Azione 11 del 10 marzo 2014

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Cooperativa Migros Ticino

G.A.A. 6592 S. Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXVII 10 marzo 2014

Azione 11 7 pping 5-52 / 62-6 o h s M gine 4 alle pa

Società e Territorio Il comune di Bedretto e le sue frazioni: una realtà fatta di isolamento e volontà di autonomia

Ambiente e Benessere Secondo la medicina darwiniana ci ammaliamo perché la nostra biologia e il nostro comportamento sono adatti a condizioni di vita passate

Politica e Economia La Francia si appresta ad affrontare le amministrative in un doppio turno elettorale

Cultura e Spettacoli Al m.a.x.museo di Chiasso una grande mostra dedicata a Luigi Rossini incisore

pagine 10-11

pagina 25

pagina 35

pagina 3 pagine 23, 24, 25

AFP

A un passo dalla guerra

di Alfredo Venturi, Federico Rampini e Astrit Dakli

Su un piano inclinato di Peter Schiesser Siamo in guerra? Il Ticino è un’appendice territoriale e culturale pronta a staccarsi dal corpo confederale? Non esageriamo. Ma tantomeno sarebbe saggio distogliere lo sguardo da segnali di rovesciamento del piano dei valori e da un mutamento della percezione collettiva della realtà, emersi con prepotenza dopo la votazione del 9 febbraio. Prendiamo la recente visita in Ticino della consigliera federale Eveline Widmer-Schlumpf: concesso, avrebbe fatto meglio a presentarsi ai giornalisti dopo l’incontro con il Consiglio di Stato, non fosse che per dire, con eleganza, che non aveva nulla da dire. Avrebbe calmato momentaneamente l’ansia del cantone. Ma non era un po’ fuori luogo il tono astioso di tanti politici e giornalisti nostrani nei suoi confronti? Ed è degno di un modo elvetico di intendere la politica fischiare una consigliera federale, come è successo al suo arrivo ad Agno da parte di un gruppo di politici della Lega? È da rimarcare che oggi in Ticino è diventato «politically correct» provare sdegno e usare parole pesanti per una mancata dichiarazione di una consigliera federale e mostrare indifferenza se questa viene prima di tutto fischiata.

Non è uno spostamento di valori? Ad esso si accompagna una modifica della percezione collettiva della realtà. L’esempio migliore è rappresentato dai frontalieri. Se in passato erano generalmente considerati un guadagno per l’economia ticinese nel suo complesso, oggi sono generalmente percepiti come un problema. E la percezione è così forte che il loro apporto positivo non viene neppure più tematizzato, tanto viene schiacciato da argomenti negativi. Chi li considera un problema sottolinea che rispetto a dieci anni fa il loro numero è raddoppiato, superando quota 60 mila. Vero. Ma altrettanto vero è che sono raddoppiati anche (e solo ancora) a Ginevra, che ne conta qualche migliaio in più del Ticino. Ma lì, sulle rive del Lemano e del Rodano, il 60,9 per cento dei cittadini ha votato contro l’iniziativa dell’UDC. Quindi? Quali elementi – oggettivi o/e emotivi – fanno sì che un identico aumento, un numero simile di frontalieri, addirittura a fronte di una popolazione di un terzo inferiore (la città-cantone di Calvino conta 200 mila abitanti, noi 330 mila), ponga Ticino e Ginevra agli antipodi nella percezione del valore dei frontalieri? Forse perché da noi in molti si è fatta largo la convinzione che questo aumento sia andato a scapito dei ticinesi, in parole povere che i

frontalieri rubino oggi il lavoro ai ticinesi? Per sostenere questa tesi si sottolinea che oggi un impiego su quattro è occupato da frontalieri. Se però andiamo a spulciare qualche statistica, per esempio lo studio dell’Istituto di ricerche economiche del 2010, constatiamo (pag 34) che già nel 2008 la quota dei frontalieri raggiungeva il 24 per cento della manodopera globale (ossia un impiego su quattro). Quindi, se il numero dei frontalieri è cresciuto e la percentuale rispetto alla manodopera complessiva è rimasto uguale, significa che sono aumentati anche i posti di lavoro occupati da chi risiede in Ticino, se la matematica non è un’opinione. Eppure in questi sei anni la percezione è cambiata radicalmente. E si è colorata di molta emotività. È tipico di un mutamento collettivo improvviso che le emozioni prendano il sopravvento sulla razionalità, sul pensiero. Ma il passato insegna che può essere pericoloso opporre la «pancia» alla testa, l’emozione al pensiero. Poiché simili cambiamenti repentini creano sì un’unione collettiva, ma sulla base di emozioni che possono giungere al punto in cui non sono più individualmente controllabili. Poiché, come afferma chi studia la psiche umana, in realtà non siamo noi ad «avere» un’emozione, è l’emozione che si impossessa di noi.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 marzo 2014 • N. 11

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«Molte persone si sentono insicure» Ogni anno circa 2500 persone si rivolgono al servizio di consulenza dietetica di Migros. Annina Erb, responsabile per alimentazione e salute della FCM parla di veganismo e di un caffè che risale alla Seconda guerra mondiale

o rispondiamo a richieste di chiarimenti sui valori nutrizionali, sulle vitamine e sui sali minerali.

Christoph Petermann * Signora Erb, chi si rivolge al servizio di consulenza dietetica di Migros?

Quali sono i temi che interessano maggiormente le persone?

Molte domande sono centrate sul tema delle allergie e delle intolleranze. Ad esempio, una interlocutrice voleva sapere quale pane e quali paste sono esenti da glutine, perché le era stata diagnosticata una intolleranza di quel tipo. I vegani vogliono essere rassicurati sul fatto che in molti prodotti, come ad esempio la margarina, siano veramente assenti i grassi animali. Anche le prescrizioni religiose giocano un ruolo: ad esempio i musulmani desiderano essere sicuri che in alcune preparazioni a base di carne non sia contenuto del maiale.

Persone di tutte le classi di età; donne e uomini chiamano con la stessa frequenza. La fascia di popolazione sensibile ai temi dell’alimentazione sembra più ampia di quanto quanto lo fosse alcuni anni fa. Quali sono i motivi?

Sui media il tema dell’alimentazione tiene banco da tempo. Molte persone si sentono insicure. Che cosa dovrei e posso ancora mangiare? Che cos’è un’alimentazione sana? E non da ultimo, vogliamo rafforzare la competenza individuale dei clienti. Cosa offrite ai vostri interlocutori, precisamente?

Oltre a questo, in che modo potete rendervi utili?

Rispondiamo a tutti i quesiti alimentari legati ai prodotti Migros. A volte si tratta di informazioni su allergie e intolleranze, oppure su componenti di origine animale. Forniamo anche consigli sulla conservabilità degli alimenti

Possiamo fornire ai vegani informazioni sugli ingredienti di origine animale. Per farlo spesso sono necessarie verifiche specifiche presso i fornitori informazioni. Agli allergici offriamo un sostegno nella scelta di prodotti adatti, sotto forma di una informazione generica o anche di una lista di prodotti speciali per allergici e per persone che soffrono di intolleranze, che spediamo per email o per posta.

Mangiare meglio con l’Infoline per l’alimentazione

Quanto tempo dura una consulenza telefonica?

La consulenza gratuita di Migros permette ai clienti di porre le più diverse domande sull’argomento. Prerequisito è, chiaramente, che si parli di prodotti Migros. L’offerta non comprende una consulenza medica. Ogni anno vengono prese in considerazione tra le 2000 e le 2500 richieste. Il numero di telefono per entrare in contatto con il servizio di consulenza è parte dei servizi della M-Infoline: 0848 840848.

Ogni richiesta viene trattata in modo individuale: l’esperta di alimentazione Annina Erb. (Daniel Winkler)

Tra cinque minuti e mezz’ora, a volte di più. Ciò è dovuto al fatto che dobbiamo trattare in modo individuale ognuna delle richieste. Un esempio: è successo che ci contattasse una persona che aveva fatto pulizia nella sua cantina. Le era capitato così di ritrovare del caffè in chicchi che risaliva alla Seconda guerra mondiale. Qui il caso era chiaro: l’abbiamo sconsigliata di utilizzarlo. * Redattore di Migros Magazin

M Neo diplomati nella logistica

M Appello ai soci della cooperativa Migros Ticino

Da 25 anni Migros Ticino collabora con la Fondazione Diamante nell’integrazione di persone nel mondo del lavoro. Attualmente sono nove gli utenti inseriti nel team logistico presso la sede centrale a Sant’Antonino. Tra questi Nathan Ramelli, Leutrim Kelmendi, Carlos Rosasco e Patrick Lucchini, della Fondazione Diamante, hanno conseguito l’attestato di abilitazione per l’utilizzo dei «carrelli a timone» presso l’Associazione Svizzera per la formazione professionale in logistica. Nella foto – da sinistra – Nathan Ramelli, Leutrim Kelmendi, Pierfranco Chiappini Responsabile dipartimento logistica di Migros Ticino, Carlos Rosasco, Patrick Lucchini e Pier Morisoli, uno degli educatori della Fondazione Diamante che seguono gli utenti che lavorano presso la centrale di Migros Ticino a S. Antonino.

Cari soci, nel corso della dodicesima settimana che segue questo avviso, la vostra Cooperativa procederà all’elezione di rinnovo dell’Ufficio di revisione per un nuovo mandato biennale (20142015). Le elezioni si svolgeranno secondo le disposizioni dello Statuto del 7 giugno 2008 e del Regolamento per votazioni, elezioni e iniziative della vostra Cooperativa dell’8 settembre 2010. Quali soci potete consultare questi documenti (presentando la vostra quota sociale o la tessera di socio) in tutte le nostre filiali nonché presso la sede della Cooperativa a S. Antonino. I soci della Cooperativa possono presentare proposte elettorali, che devono soddisfare le disposizioni previste dallo Statuto (art. 35) e del Regolamento (art. 27) ed essere inoltrate entro il 29

marzo 2014 all’Ufficio elettorale di Migros Ticino. In applicazione dell’art. 30 dello Statuto, il Consiglio di amministrazione ha nominato un Ufficio elettorale che oltre a ricevere le proposte elettorali, sorveglia lo svolgimento dello scrutinio. Esso è così composto: ■ avv. Filippo Gianoni, Bellinzona, presidente; ■ Alfredo Kägi, Ascona, vicepresidente; ■ Roberto Bozzini, Sementina, membro; ■ Myrto Fedeli, Cadenazzo, membro; ■ Giovanni Jegen, Locarno, membro. Le proposte elettorali e tutta la corrispondenza destinata all’Ufficio elettorale devono essere indirizzate al suo presidente.

Tiratura 98’654 copie

Abbonamenti e cambio indirizzi Tel 091 850 82 31 dalle 09.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@MigrosTicino.ch

Settimanale edito dalla Cooperativa Migros Ticino, fondato nel 1938

Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch

Editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino Tel 091 850 81 11

Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile) Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni

La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni

Stampa Centro Stampa Ticino SA Via Industria 6933 Muzzano Telefono 091 960 31 31

Azione

Inserzioni Migros Ticino Reparto pubblicità CH-6592 S. Antonino Tel 091 850 82 91 fax 091 850 84 00 pubblicita@migrosticino.ch

Sant’Antonino, 10 marzo 2014 Cooperativa Migros Ticino Il Consiglio di amministrazione

Costi di abbonamento annuo Svizzera Fr. 48.– Estero a partire da Fr. 70.–


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 marzo 2014 • N. 11

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Società eTerritorio Educazione sessuale Parlare di sessualità con i propri figli, per molti genitori è ancora causa di imbarazzi e insicurezze: intervista allo psicoterapeuta dell’età evolutiva Alberto Pellai pagina 5

Il progetto ParLaMondo L’Associazione Progetto Genitori Mendrisiotto e Basso Ceresio ha avviato da poco un progetto di integrazione presso il preasilo di Chiasso pagina 6

L’inverno a Villa Bedretto. (CdT - Maffi)

La via solitaria di Bedretto Isolamento e autonomia Sono un’ottantina i residenti del comune di Bedretto e delle sue frazioni e praticamente

nessuno vuole l’aggregazione con Airolo e Quinto. Abbiamo incontrato il sindaco Diego Orelli Alberto Cotti Più del bianco della neve, è il silenzio ad impressionare. Soprattutto chi a Bedretto non vive. Per chi ci abita invece, l’ovattato silenzio invernale è assolutamente normale. E neppure il fatto che la strada che collega la valle ad Airolo resti chiusa al traffico a causa della neve ha alcunché di straordinario. Succede quasi ogni anno, eppure sono un’ottantina le persone che risiedono stabilmente nel villaggio e nelle sue frazioni. Per la gioia di Diego Orelli, l’arzillo sindaco ottantenne che è anche una sorta di memoria storica e non solo dell’intera valle. Chi l’ha già sentito cantare – negli ultimi anni è stato spesso ospite dell’osteria Zoccolino di Bellinzona –, non fatica oltre misura ad immaginarselo negli anni ’50 ad allietare le serate nei ristoranti del Kreis vier di Zurigo con l’immancabile fisarmonica. Così come è facile intuire quanto Diego Orelli ami Bedretto. Pur senza mai abbandonare la musica – alcuni anni fa ha anche pubblicato il suo primo cd – è stato agricoltore, allevatore, produttore di formaggio, maestro di sci e, soprattutto, ristoratore. Per moltissimi anni infatti, la Locanda Orelli ha trovato posto nelle migliori guide ga-

stronomiche ed in quelle turistiche di mezzo mondo. Sorride quando glielo si fa notare, ma poi riporta il discorso sul suo argomento preferito: Bedretto. E non solo perché è proprio dagli anni ’50 che riveste quasi ininterrottamente cariche pubbliche. «Tranne per un breve periodo – racconta – durante il quale ho trasferito il domicilio ad Airolo, ma non era la stessa cosa». Anche Bedretto però, non è più lo stesso. «Molte cose sono cambiate – ammette –. L’economia alpestre e il turismo tengono, ma l’agricoltura tradizionale è praticamente sparita». Così, se sugli alpi durante la stagione estiva si possono contare circa 400 mucche, a falciare i prati sono i contadini di Airolo. Di aggregazione però, non ne vuole parlare. «Quasi tutti i cittadini sono contrari – dice Diego Orelli –, anche perché, inevitabilmente, diventeremmo solo un quartiere periferico di Airolo e Quinto». L’autonomia deve però essere sostenuta anche finanziariamente. «Se non ci avessero rubato l’acqua – replica immediatamente il sindaco di Bedretto –, non avremmo alcun problema!» L’acqua, quella del Ticino le cui sorgenti sono proprio in valle e che è quasi subito captata per essere condotta attraver-

so la montagna fino agli impianti delle Officine idroelettriche della Maggia (Ofima). Senza però dimenticare che almeno una piccola parte delle acque del Ticino oggi alimentano una micro centrale che appartiene all’ente pubblico. Intanto il progetto di posare sulla Novena e al Corno Gries alcune pale eoliche avanza. «Le verifiche e gli incontri proseguono – ammette Diego Orelli – ed i risultati sono positivi. Speriamo solo che ci lascino almeno il vento». Le aspettative del sindaco di Bedretto non si esauriscono certo nella speranza di poter alimentare le casse comunali grazie agli introiti della vendita dell’energia eolica. Nel cassetto c’è ancora e sempre la speranza di realizzare la cosiddetta «finestra di Bedretto» – il collegamento in galleria con la linea ferroviaria del Furka sfruttando gli scavi eseguiti al momento della realizzazione dei grandi lavori idroelettrici –, così da poter raggiungere il Vallese tutto l’anno. Un progetto – e questo va pure detto – che non è però mai andato oltre la semplice proposta. Anzi, ancora recentemente, il Consiglio di Stato ha bocciato l’ipotesi (respingendo anche la proposta di realizzare la «bretella di Andermatt»), soprattutto in considerazione degli alti

costi. Sostanzialmente i due progetti erano stati rilanciati nell’ambito delle riflessioni sul destino dell’attuale linea del San Gottardo dopo l’entrata in funzione di AlpTransit. E questo per inserire l’Alto Ticino in una rete di trasporto pubblico tra le più apprezzate dal punto di vista turistico, come la ferrovia nata nel 2003 dalla fusione della Furka-Oberalp e della Briga-Zermatt. Un aggancio che anche il Consiglio di Stato caldeggia, ma non con opere che costerebbero centinaia di milioni. Il Governo si propone piuttosto di mantenere e valorizzare il servizio sull’esistente linea di montagna che alla stazione di Göschenen prevede coincidenze con il trenino rosso per Andermatt. Decisamente meno apprezzata per contro, l’intenzione delle autorità federali di mettere a disposizione di un centinaio di richiedenti l’asilo i dormitori delle istallazioni militari di All’Acqua. Non per nulla lo scorso anno, al primo incontro tra le autorità comunali e i responsabili dell’Ufficio federale della migrazione, non si è presentato solo Diego Orelli, ma anche quasi tutti gli abitanti del villaggio. E quasi tutti con la stessa identica opinione: i richiedenti l’asilo qui non li vogliamo. Un rifiuto non det-

tato necessariamente da un’opposizione agli stranieri però. Fra i motivi che avrebbero dovuto sconsigliare Berna dal trasferire in Valle Bedretto i richiedenti l’asilo, è stato ricordato come «mandare gli asilanti in una caserma sotterranea ed esiliata, significa: ghettizzazione». Inoltre, i bedrettesi hanno evidenziato come l’intera infrastruttura militare presa in considerazione si trovi in una zona che potrebbe essere raggiunta da una valanga. In definitiva, Berna ha deciso di rinunciare, almeno momentaneamente al progetto. Ed anche se, finora, non sono segnalate valanghe di grosse proporzioni, la neve quest’inverno è scesa in abbondanza. Una volta di più nel corso di febbraio, la strada che sale da Airolo è rimasta chiusa al traffico per alcuni giorni. Niente di preoccupante però. «La gente è abituata e tranquilla – assicura Diego Orelli –. C’è anche chi vive lì da oltre ottant’anni». Insomma il 1951, quello che è ricordato come «l’anno della valanga», è ancora solo un ricordo. Un ricordo non certo sbiadito perché la neve fa ancora paura. Ed anche perché l’inverno non è ancora finito. Non per nulla la saggezza popolare in valle annota che: «Chi muore d’aprile, muore d’inverno».


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 marzo 2014 • N. 11

Società e Territorio

Educare alla sessualità Intervista Alberto Pellai, psicoterapeuta

dell’età evolutiva, ha pubblicato diversi saggi per aiutare i genitori a raccontare la sessualità ai figli Laura Di Corcia Son cose che capitano spesso, scene da commedia americana, situazioni che a pensarci dopo ti viene da ridere, mentre le vivi, invece, vorresti sotterrarti. La scena è questa: visita dei genitori verso sera. Che si fa? Si guarda un film, è ovvio. Fin lì, tutto bene. Ma poi, a un certo punto, la pacata e scontata storia d’amore vira verso un territorio decisamente out of control. Gli attori si avvicinano, si baciano, si toccano e (maledizione!) iniziano ad amoreggiare. Quello che sta succedendo nel piccolo schermo è limpido e cristallino. Fuori, invece, un muro di gelo divide i presenti, la tensione sale, l’imbarazzo è talmente denso che si può tagliare col coltello. Insomma, è inutile: puoi avere pure quarant’anni, ma se guardi Nove settimane e mezzo con mamma e papà, ti sentirai sempre un bambino intimidito, un adolescente impacciato e con le mani sudate. Ma perché tutta questa vergogna? A cosa si devono questi freni

«È importante che i padri parlino di sessualità con i figli… occorre cercare una comunicazione più profonda, più vicina ai sentimenti, che non ammicchi alla pornografia» inibitori, che origine hanno? «Siamo vittime di modelli educativi sbagliati, tramandati di generazione in generazione», spiega Alberto Pellai, psicoterapeuta dell’età evolutiva, che da anni si occupa del tema anche da un punto di vista divulgativo. «Quell’imbarazzo non appartiene all’adulto, ma al bambino che eravamo». Pellai, che ha pubblicato diversi saggi per aiutare i genitori a raccontare la sessualità ai bambini e una serie di manuali con narrazioni che accompagnano la crescita dei ragazzi nelle varie tappe (ricordiamo le ultime pubblicazioni: Così sei nato tu – nella doppia versione 4-7 e 7-10 anni, edizioni Erickson e

Il primo bacio. L’educazione sentimentale ai tempi di Facebook, edizioni Kowalski), ha tenuto un’interessante e frizzante conferenza sul tema dell’educazione sessuale a Chiasso giovedì 20 febbraio, organizzata dall’associazione Spazio Famiglia. In quell’occasione l’abbiamo avvicinato per approfondire alcuni punti. Dottor Pellai, c’è un momento giusto per iniziare a parlare di sessualità con i propri figli?

In realtà sarebbe meglio non fissare una data, ma prendere spunto da ogni occasione per proporre questo tipo di riflessione e piano piano avvicinare i nostri figli alla tematica. Spesso sono i bambini stessi a porci dei quesiti: bene, accogliamoli senza tirarci indietro e formuliamo delle risposte, tenendo conto dell’età e della capacità di accoglienza rispetto a determinati argomenti. Si può partire, anche in un’ottica di prevenzione degli abusi sessuali, con lo spiegare che le parti intime del corpo si coprono con il costume da bagno, d’estate, perché pertengono alla sfera privata. Io propongo di accompagnare a poco a poco il loro percorso di crescita con una serie di narrazioni via via più dettagliate. Alcuni genitori provano un forte imbarazzo nell’affrontare questi argomenti. Si sentono a disagio, sono nervosi, rimandano in continuazione o, peggio ancora, passano la patata bollente all’altro partner. È possibile liberarsi da questi freni inibitori? Come?

Certamente, ma occorre aiutarsi all’interno della coppia. Per esempio, se si decide di far affidamento su un libro che accompagni i genitori nel percorso educativo, si può trovare un momento per leggerlo prima da soli con il proprio o con la propria partner e insieme scoprire quali punti della narrazione fanno emergere sensazioni spiacevoli nella pancia, ricordandosi che quelli sono residui della propria infanzia e dei blocchi emotivi che vengono trasmessi di generazione in generazione e che non servono a nulla se non a impedire un corretto approccio alla sessualità da parte dei bambini, molto ricettivi nell’intercettare le paure degli adulti (e nel farle proprie).

Nell’era di Facebook l’educazione sessuale e sentimentale diventa un tema urgente all’interno della famiglia. (Keystone) Diciamocelo pure, spesso sono i padri a lavarsene le mani… lasciano il compito alle madri ripetendo il mantra «a me nessuno ha spiegato nulla, eppure son cresciuto lo stesso».

In molti casi è ancora così. E invece è estremamente importante che i padri parlino di sessualità ed emozioni con i loro figli maschi, anche per rompere quello stile sgarbato, da spogliatoio, che molti uomini usano ancora quando devono parlare di questi temi. Occorre cercare una comunicazione più profonda, più vicina ai sentimenti, che non ammicchi alla pornografia, un linguaggio diffusissimo oggi come oggi che non aiuta certo le persone a costruire gioia e felicità. La sessualità, al di fuori della famiglia, non è un tabù, anzi. Spesso i bambini e i ragazzi sono esposti al corpo nudo, tramite la tv, internet e altri mezzi, e anche all’esibizione dell’atto sessuale. Che influenza ha tutto questo?

Siamo una società fortemente «pornizzata». Il sesso raccontato dalla pornografia, però, non può fungere da fondamento ad una vera e propria felicità relazionale. Il sesso dovrebbe essere uno scambio emotivo, ha lo scopo di condividere il piacere e non solo di appropriarsene. Quando diventa merce di scambio, mi dispiace, ma la gioia relazionale viene meno.

confini, costruire cornici che delimitino ciò che è sano da ciò che non lo è. Il bigottismo stringe troppo l’area, individua in tutta la sessualità il male, sessualità che invece, se vissuta bene, apporta piacere e gioia di vivere. L’atto di fare l’amore deve essere qualcosa che eccita, certo, ma attorno ad esso è importante costruire dei significati ed eventualmente anche un progetto di vita. Parlare di sessualità porta in auge, inevitabilmente, un’altra questione: il tema dell’omosessualità.

Sul piano educativo ci sono ancora molti genitori spaventati dal tema e soprattutto dal fatto che i propri figli possano diventare omosessuali. Ma io credo che omosessuali non si diventi: semplicemente lo si è. Chi nasce con questo orientamento sessuale non potrà negare con sé stesso questo tratto delle propria identità e in termini psicologici è meglio che impari a non farlo nemmeno con gli altri. Soprattutto con le persone che ama e da cui è amato. Più i genitori sono spaventati da questo tema più insegnano ai loro figli ad averne paura. Un bambino gay con genitori molto irrigiditi rispetto all’omosessualità cercherà di proteggersi nascondendo la sua identità, ma in questo modo farà male a se stesso, inficiando anche la relazione con la propria madre e il proprio padre.

È possibile educare ad una sessualità sana che escluda la pornografia ma eviti il rischio di cadere in un’altra trappola, quella del bigottismo?

Durante le Olimpiadi di Sochi sono emerse polemiche relative alle manifestazioni gay, che in Russia sono proibite per tutelare i minori. Ha seguito la vicenda?

Come genitori occorre mandare questo messaggio ai bambini: che verso la pornografia, in casa nostra, c’è tolleranza zero. Bisogna tracciare precisi

La Russia ha ostentato un atteggiamento che francamente trovo omofobo. Proteggere i bambini significa fare l’esatto opposto di ciò che ab-

giocare dentro il silenzio», al rudimentale linguaggio ancora in formazione, che solo papà e mamma e capivano, alla padronanza gioiosa delle parole, espressa nel piacere di creare giochi linguistici e filastrocche. Per quanto riguarda il gioco, il fulcro è Cipiciò, un cane di pezza con cui Ciro parlava e che parlava a lui (ma «gli altri non sentivano»). Cipiciò è il compagno imprescindibile del mondo immaginario, interlocutore privilegiato e intimo, con cui condividere avventure e paure, rabbia e tenerezza. È la storia di un’infanzia, unica e magica come tutte. Ciro è un bambino come tanti, con la fortuna di essere amato e con la peculiare capacità di apprezzare il silenzio. Anche questo, dell’infanzia che non è per forza urlatrice, è un tema su cui varrebbe la pena di soffermarsi. Qui, in particolare, il silenzio è lo sfondo su cui possono stagliarsi i suoni, e il silenzio è la dimensione fantastica in cui si svolgono i dialoghi tra Ciro e Cipiciò.

La storia finisce quando finisce l’età d’oro dell’infanzia, e Cipiciò ritorna a essere solo un cane di pezza: ma Ciro «non soffrì tanto», ormai è grande, è la vita, ed è giusto così. Quello che importa è che Cipiciò ci sia stato, e che «i bei viaggi che facevano insieme» possano continuare a nutrire la memoria. «Li ricordò per tutta la vita», leggiamo, non a caso, nell’ultima frase del libro.

biamo visto, ovvero garantire la libertà di espressione e soprattutto il rispetto. Per quel che riguarda l’Italia, trovo che troppe volte il dibattito su questi temi sia strumentalizzato solo per procacciarsi voti. La politica non è veramente interessata alla sessualità e ai sentimenti, altrimenti agirebbe in modo diverso. Viviamo davvero la più grande crisi umanistica dopo il Medioevo. E il diritto, da parte delle coppie gay, di adottare uno o più figli, come lo vede?

Il tema è molto nuovo e abbiamo pochissimi dati a disposizione per verificare se crescere con una coppia di genitori gay abbia effetti positivi, negativi o non abbia alcun effetto sul bambino. Personalmente credo che i più piccoli abbiano prima di tutto bisogno di due adulti capaci di rispondere ai loro bisogni emotivi. E a volte questi bisogni sono così intensi, che non bastano due adulti, ma ce ne vogliono quattro, come dimostrano i tanti bambini cresciuti con l’aiuto dei nonni o che vengono dati in affido ad un’altra coppia. Per me è importante che sia valutata prima di tutto la competenza reale di chi vuole crescere un figlio e per questo motivo lo chiede in adozione. Ma penso anche che ad un bambino in crescita serva davvero tanto confrontarsi con il maschile ed il femminile, perciò auspico che, qualora si verificasse la crescita di un minore in una coppia gay, quest’ultima sia così illuminata da permettere ampi e frequenti contatti del figlio con persone adulte di entrambi i sessi: nonni, zii, quant’altro. Del resto la stessa cosa viene consigliata anche ai genitori single, che non hanno un partner stabile accanto.

Viale dei ciliegi di Letizia Bolzani Roberto Piumini, C’era una volta che Ciro non c’era, San Paolo. Da 5 anni

Già il titolo, un endecasillabo giocato sul suono «c», ci dà la cifra di questo libro, che potremmo riassumere in un aggettivo: poetico. È un aggettivo di cui spesso si abusa, ma nel caso di Piumini sappiamo bene che è proprio adeguato. Questo libro è poetico per il ritmo, per i suoni, per la cura delle parole, per la storia. La storia di un bambino: da quando, appunto, «non c’era», ed è stato desiderato dai suoi genitori, «che si unirono e cominciò ad esserci un bambino». (E già qui abbiamo un esempio lieve, semplice e intelligente di come parlare di temi che spesso sono trattati con grevità e presunta scientificità, peraltro non sempre richiesta dai bambini). Ciro «cominciò ad esserci», dunque, e pagina dopo pagina lo vediamo abitare la vita, crescendo. Dai primi pensieri, coscienza iniziale del tempo e delle cose, col ritmo del giorno e del respiro

(«Fame tic, latte tac, mamma tic, sonno tac, luce tic, buio tac, aria che entra tic, aria che esce tac»), a tutte le tappe del suo percorso di bambino: i suoni, i passi, i giochi, la scuola materna e poi la scuola elementare. Su due aspetti soprattutto si concentra l’autore: il linguaggio e il gioco, che a ben vedere sono correlati. Per quanto riguarda il linguaggio, l’attenzione è sui suoi aspetti creativi e giocosi, di piacere anche. Sin dai primi suoni, mandati dal bebè «a

John Yeoman, Quentin Blake, Attenti al gatto!, collana «Anch’io so leggere», edizioni Il Castoro. Da 5 anni

Abbiamo solo lo spazio di una segnalazione: nella bella collana «Anch’io so leggere», dedicata ai primi lettori (e scritta in alcuni casi in corsivo, in altri in stampatello minuscolo, o in stampatello maiuscolo), le edizioni Il Castoro ripropongono, oltre a testi nuovi, anche riedizioni di loro albi illustrati di successo, in piccolo formato e a un prezzo contenuto (6,90 Euro). È il caso, ad esempio, di Attenti al gatto!, te-

sto di John Yeoman e illustrazioni del grande Quentin Blake: la storia è quella di un gatto depresso, incapace di dare la caccia ai topi; di un mugnaio, il quale, visto che il gatto «non serve a niente», lo vuole affogare; e di una schiera di topolini intraprendenti che dimostreranno la possibilità della più improbabile delle amicizie. Un’amicizia giocosa e assolutamente gratuita… alla faccia del mugnaio utilitarista!


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 marzo 2014 • N. 11

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Società e Territorio

Mappe: il mondo dentro un PC Alfabeto digitale La dodicesima puntata

della nostra serie di articoli sulla tecnologia per «novizi» si concentra su un utilissimo servizio fornito da Internet

Ti-Press

Ugo Wolf

Integrare gli adulti attraverso i bambini Famiglie Una nuova iniziativa pilota dell’Associazione Progetto

Genitori Mendrisiotto e Basso Ceresio al preasilo di Chiasso cerca di favorire le mamme straniere Stefania Hubmann Un mondo che parla. Un mondo di mamme e bambini piccoli che s’incontrano, condividono momenti ludici e si confrontano sulle rispettive esperienze di genitori discutendo in italiano pur avendo origini linguistiche e culturali diverse. È la nuova forma d’integrazione in atto dallo scorso mese di settembre al preasilo di Chiasso attraverso ParLaMondo, l’iniziativa promossa dall’Associazione Progetto Genitori Mendrisiotto e Basso Ceresio. Favorire l’integrazione degli adulti attraverso i bambini è lo scopo del progetto che, così come le altre attività dell’ente, risponde direttamente ai bisogni provenienti dal territorio. Chiasso con la forte presenza di stranieri è sicuramente il luogo ideale per cercare di coinvolgere le famiglie che faticano a instaurare nuovi contatti sociali.

Il progetto ParLaMondo permette di migliorare le competenze linguistiche e promuove la creazione di una rete di sostegno tra mamme Il progetto si fonda sul principio che guida l’impegno dell’associazione, vale a dire proporre percorsi flessibili da compiere con i genitori, ma anche con i nonni e in generale con gli adulti che educano i bambini di età compresa tra 0 e 3 anni. La responsabile Martina Flury-Figini, pedagogista, ribadisce l’importanza di questo approccio, sottolineando la condivisione e lo scambio che caratterizzano le diverse proposte del Progetto Genitori. «L’associazione è stata fondata nel 2006 dal pediatra dottor Vincenzo D’Apuzzo, per rispondere al desiderio delle mamme di discutere temi riguardanti la crescita e l’educazione dei figli. L’attività ha conosciuto uno sviluppo costante sia per quanto riguarda il numero di partecipanti sia per la varietà dei temi affrontati». Da rilevare, che dal 2009 per iniziativa del Dipartimento della sanità e della socialità la proposta è stata man mano estesa nel resto del cantone con modalità e tempi adattati in funzione delle realtà dei vari compren-

sori. L’associazione del Mendrisiotto e Basso Ceresio ha comunque mantenuto il suo statuto continuando a svolgere un ruolo d’avanguardia, come dimostra anche il progetto ParLaMondo. Martina Flury-Figini non esclude che quest’ultimo possa pure trovare applicazione in altre località, ma è necessario attendere la valutazione globale prevista dopo il primo anno d’attività. Nel frattempo ParLaMondo evolve con grande flessibilità grazie a una riflessione continua che permette al gruppo di lavoro – formato da due pedagogiste dell’associazione, quattro mamme volontarie, la responsabile dell’Ufficio culture in movimento del Comune di Chiasso e una rappresentante del Soccorso Operaio Svizzero – di cambiare direzione in funzione degli obiettivi prefissati. Gli scopi sono di favorire l’integrazione di mamme straniere nel gruppo che frequenta abitualmente il preasilo, permettere loro di migliorare le competenze linguistiche, promuovere riflessioni educative e la conoscenza di altre prassi in questo ambito per giungere alla creazione di una rete di sostegno tra mamme. «In questi primi mesi ci siamo accorte che l’interesse esiste», precisa la responsabile del progetto. «Le mamme coinvolte nel corso d’italiano che proponiamo il mercoledì mattina sono una decina. Al momento però solo una minoranza si presenta anche negli altri giorni, perché la maggior parte è già impegnata nel corso d’italiano organizzato dal Comune, pure in agenda al mattino. Per questo motivo dopo le vacanze di Natale abbiamo deciso di trasformare il mercoledì mattina in un giorno di apertura del preasilo in modo da garantire l’incontro con le frequentatrici abituali». Da dove provengono le famiglie che partecipano al ParLaMondo? «I Paesi d’origine sono molto variati. Al momento comprendono Eritrea, Siria, Giappone, Corea e Thailandia. Si tratta sia di donne residenti sia di richiedenti l’asilo con un permesso di soggiorno provvisorio. In un caso, ad esempio, mamma coreana e papà ticinese alternano la loro presenza, mentre una donna thailandese con figli già iscritti alla scuola dell’infanzia viene da sola proprio per cercare un contatto con altre mamme. Il messaggio di apertura e di accoglienza che il progetto voleva lanciare sta quindi passando».

Un aspetto importante della nuova iniziativa è la possibilità di individuare situazioni critiche, come è avvenuto nei primi mesi con un bambino difficile da gestire attorno al quale è stato possibile creare un gruppo di lavoro. ParLaMondo ha così funto da coordinatore fra diversi professionisti che ora seguono la famiglia garantendo al piccolo una terapia mirata. Grazie a un cospicuo sostegno finanziario da parte dell’associazione benefica Club del Tappo il progetto pilota è garantito fino alla fine dell’anno scolastico. Indispensabili pure il sostegno del Comune di Chiasso e l’apporto di numerosi volontari. Volontari che assicurano gran parte delle attività di prevenzione svolte dall’Associazione Progetto Genitori, presente essenzialmente nei preasili (sedici quelli operativi nel distretto), negli studi pediatrici e nei tre consultori materno-pediatrici. «Cerchiamo di andare laddove i genitori già si trovano, pensando ai problemi in termini di soluzioni e garantendo un intervento educativo con e non sulle famiglie», spiega Martina FluryFigini. «Il lavoro di gruppo svolto in queste sedi, unito ad atelier di motivazione e incontri a tema, permette di affrontare e risolvere i piccoli grandi dubbi su questioni educative fondamentali come l’alimentazione, il sonno, le regole e i capricci, nonché le sfide della crescita (inizio della scuola dell’infanzia) e della vita (separazione dei genitori, morte)». Le figure professionali che gestiscono l’attività dell’associazione contano proprio sulle risorse di ogni singolo genitore. A questo aspetto è dedicato un progetto specifico lanciato nel 2009 per raggiungere meglio le famiglie in situazione di vulnerabilità. Un percorso formativo già seguito da una quarantina di partecipanti permette alle mamme che gestiscono i gruppi dei preasili di prestarsi all’ascolto attivo e riconoscere questi casi. Genitori che aiutano altri genitori è d’altronde lo spirito dell’associazione, le cui iniziative maturano quali segni dei tempi e delle realtà in cui crescono i più piccoli attori della nostra società, ai quali si cerca di assicurare un contesto familiare il più favorevole possibile al loro sviluppo.

I prodotti dell’informatica domestica stanno sempre più convergendo e uniformandosi, per finire a esprimere le loro doti migliori negli smartphone. La cartografia satellitare, ad esempio, è uno dei campi in cui è in corso una vera trasformazione epocale. Sui nostri piccoli mostri da tasca funzionano sofisticati navigatori stradali, tanto che quelli in dotazione alle automobili stanno diventando sempre meno necessari. Molti conducenti montano, anzi, sul cruscotto delle proprie auto comodi supporti in cui alloggiare il proprio telefono e ne sfruttano le app di navigazione. Gigante nel settore delle mappe digitali è naturalmente Google Maps. Tornato di prepotenza a installarsi anche sugli iPhone (dopo che Mac aveva cercato invano di sviluppare un proprio sistema indipendente), sul web Maps ha introdotto di recente la sua versione più sofisticata e, in qualche modo, spaventosamente efficace. Tolti di mezzo orpelli e comandi di ricerca invadenti, la sua interfaccia è ampia e comoda. Offre nuove funzionalità, tra cui la possibilità di osservare il paesaggio non soltanto dall’alto, ma anche avvicinandosi alle strade da una prospettiva laterale. Come sorvolando le città in elicottero, ora è possibile vedere comodamente le facciate dei palazzi. Cliccando sugli immobili stessi ne potremo ottenere indicazioni quali indirizzo, nome dei negozi presenti nello stabile, eccetera. Utilissima e ancor meglio visualizzabile l’opzione Street View, l’«omino giallo» da posizionare sulle strade, che ci rende una visuale «sul terreno» del tratto di mondo che ci interessa. Curiosità: questa opzione non è disponibile in tutto il mondo. Oltre alle zone più impervie che la Google Mobile non ha potuto raggiungere nei suoi spostamenti di mappatura, Svizzera, Germania e Austria sono state immortalate solo molto selettivamente. Street View, in Ticino ad esempio, non funziona. Al di là di questo, comunque, per gli appassionati di viaggio Google Maps è un luogo di scoperte inesauribili. E probabilmente il miglior luogo in cui programmare le proprie vacanze, con una precisione al centimetro. Volete vedere se veramente la pensione che avete prenotato ha la vista sul mare, o se l’albergo che vi propone la vostra agenzia di viaggi è davvero a 50 metri dal centro città? Per non parlare della possibilità che ci offre addirittura di esplorare la Luna (www.goo-

gle.com/moon), Marte (www.google.com/mars) e il sistema solare (www.google.com/sky). E se Google Maps non è tutto il mondo, è perlomeno il mondo al suo meglio: ci consente le più comode e più ampie passeggiate che avremmo mai desiderato, in un paesaggio dove non piove mai (avete mai visto passanti con l’ombrello su Street View?). Comodo e esaustivo, ci permette persino di rivivere qualche esperienza del passato, andando a ricercare i luoghi della nostra infanzia. A volte persino di riconoscere qualche conoscente (a chi scrive è successo…). Il sistema di Google Maps è talmente ricco di informazioni che consente anche un utilizzo scientifico. L’Università americana del Maryland, ad esempio, lo ha usato per sorvegliare lo stato della vegetazione mondiale, in uno studio compiuto tra il 2000 e il 2012. Le fotografie delle varie zone del globo sono state confrontate nel corso degli anni: quelle che appaiono come deforestate vengono segnate in rosso, quelle riforestate invece in blu. La mappa è qui: http://earthenginepartners.appspot.com/science-2013-global-forest. Provate a centrare l’attenzione sul Ticino, per verificare l’attendibilità della rilevazione: vengono segnalate (correttamente) come deforestate l’area corrispondente al cantiere del Lac di Lugano, oppure quella della zona di scarico del materiale tratto dalla galleria di base Alptransit a Mezzovico… Naturalmente, una così incredibile quantità di dati raccolti non è molto rassicurante per chi teme una violazione della propria privacy. L’invadenza di Google dà fastidio a molti. Ecco perché da tempo è in corso un progetto alternativo, compiuto con l’utilizzazione di programmi indipendenti e senza scopo di lucro, per creare mappe «neutrali», a misura d’uomo, in cui anzi tutti sono invitati a partecipare segnalando punti di interesse. Il progetto si chiama www.openstreetmap.org e potremmo definirlo quasi una forma di Wikipedia topografica. Richiede infatti la collaborazione dei suoi utenti per essere mantenuta aggiornata. Di fatto ne ha proprio bisogno: se provate a dare un’occhiata all’«area culturale» di Chiasso, ad esempio, troverete che non è stata resa in modo proprio corretto. Al di là da queste imperfezioni, comunque si tratta di un esperimento interessante, che varrebbe la pena di sostenere: le spiegazioni su come farlo si trovano nel sito stesso.

Informazioni

www.associazioneprogettogenitori.com

Zurigo è una delle poche città in Svizzera esplorabile con Street View di Google. (maps.google.com)


PUNTI. RISPARMIO. EMOZIONI.

IL CIRCO KNIE IN TOURNÉE CON DAVID LARIBLE La famiglia Knie presenta nuovamente un coloratissimo programma con tanti animali, acrobazie da record e spettacoli clowneschi. Il Circo nazionale svizzero può vantare il «clown dei clown» Davide Larible quale ospite d’onore. Questo pagliaccio italiano dal tipico naso rosso, i vestiti troppo larghi, il carattere inimitabile e una presenza scenica particolarmente espressiva rappresenta il classico clown da circo.

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Negli eventi «Lilibiggs Famiglia in festa» i bambini sono le star. Questi appuntamenti sono un’ottima occasione per ballare e divertirsi insieme durante tutto un pomeriggio. Quando le hit dei bambini risuonano dagli altoparlanti, grandi e piccoli fan della musica non riescono più a stare fermi. Anche i Lilibiggs non vedono l’ora di lasciarsi alle spalle

la monotonia quotidiana grazie alla musica elettrizzante e ai ritmi coinvolgenti. Prezzo: adulti/bambini (da 5 anni in su): pass per famiglie per 3 persone: fr. 32.– invece di fr. 40.– / pass per famiglie per 4 persone: fr. 40.– invece di fr. 50.– / pass per famiglie per 5 persone: fr. 49.60

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Società e Territorio Rubriche

L’altropologo di Cesare Poppi La maschera del Papa Fra le news di seconda fila (guai ignorarle perché spesso danno il polso della situazione meglio di tante altre «di prima») ha fatto nei giorni scorsi un certo stanco scalpore la notizia secondo la quale durante uno dei giri di pista in Piazza San Pietro, Papa Francesco avrebbe sollevato fra le braccia un bambino di tre-quattro anni «mascherato da Papa con tanto di zucchetto»: così uno dei siti web che riportano la notizia, corredata naturalmente con la prova-verità della foto. La notizia è zuccherosa/saponosa a vari livelli. In primis il Papa-Bambino/Bambino-Papa. Quale mamma degna del suo ufficio avrebbe mai pensato a vestire il pargolo da Papa ci fosse ancora stato in Catedra Petri il Pastore Tedesco? Nessuna. Poi lo zucchetto. Arnese che da sempre evoca nel nome stesso – che peraltro al secolo è «zuccotto» e non «zucchetto» – un certo infantile frisson di chi vuol far vedere di essere tanto famigliare con i misteri

dei palazzi da poter permettersi certe libertà: anche il Papa ha una zucca – brrr… ho osato. Poco importa che l’infante in questione piangesse come un’aquila durante tutta la querimonia (vedi foto in web) e meno ancora che il buon Francesco (a quando «Checco», per farcelo ancora più di casa?) appaia un po’ imbarazzato dall’evento che sembra un tantino difficile da gestire… In secundis: l’incontro fra le maschere e il Papa era già avvenuto un paio di anni fa, nel pieno del pontificato di Benedetto XVI. Allora, ad una delegazione di maschere del Carnevale Veronese – per la precisione si trattava delle Maschere Veneziane del Comune di Mozzecane guidate dall’Assessore alla cultura dello stesso Comune – era stato concesso di partecipare all’Udienza Generale. Sembra che il Papa di allora si fosse intrattenuto con le maschere per qualche momento «visibilmente divertito», riporta il cronista. Tanto tuonò e tanto

piovve che alle stesse maschere fu permesso di visitare la basilica di San Pietro «in maschera» (insistono le fonti) e sotto la guida di Don Francesco Todeschini in qualità di Assistente Spirituale del Carnevale Veronese (sic). Cosa c’è, in tutto ciò, di così strano, si chiederà all’Altropologo? Beh, in soldoni: portare le maschere in Vaticano equivale, nella storia della cultura cosiddetta occidentale, a costringere il Diavolo a tuffarsi nell’acquasanta. E viceversa. Il monoteismo di stampo semita – e parlo qui di Ebraismo, Cristianesimo ed Islam – non ha mai guardato favorevolmente alle maschere. Le ragioni dell’ostilità e conseguenti proibizioni nei confronti della maschera affondano le loro radici nei fondamenti dell’antropologia religiosa delle Religioni del Libro. Queste nascono, infatti, come religioni «della confessione»: laddove le religioni «pagane» ammettono una quantità di dèi – tante quante sono le possibili espe-

rienze del divino – per le religioni rivelate «non esiste altro Dio all’infuori di Dio». Da questa premessa ne consegue un’altra, cruciale per capire la differenza fra la concettualizzazione della maschera nelle culture «pagane» di contro alle loro controparti monoteiste. Nelle religioni monoteiste il rapporto fra «Dio» ed «Io» è speculare e diretto: «Il Sé è creato ad immagine e somiglianza di Dio». Cos’è che viene in mente di fare ad Adamo appena si accorge di aver peccato? Nasconde il suo volto da Dio. In altre parole «si maschera», diventa altro da Sé. Si nega: «Non sono stato io – è stata Lei». Nelle religioni pagane accade l’inverso: ad essere «mascherato» è il dio stesso, che appare in una moltitudine di forme in una varietà di metamorfosi. Dioniso/Bacco – fra i tanti – è il dio-maschera, e «maschere» saranno nei secoli a venire i suoi adepti dai quali tante delle nostre maschere prendono la discendenza. L’incompa-

tibilità fra la maschera ed un concetto «moderno», «occidentale» del Sè trova forse la sua più alta espressione nell’accusa che Amleto fa nei confronti di Ofelia: «Dio vi ha dato un volto e voi ne create un altro». È questo il risultato di secoli di battaglie culturali che il Cristianesimo ha portato avanti contro le maschere: da Tertulliano ad Origene e via via fino ai giorni nostri la maschera è stata condannata come espressione prima del Demonio – il Falso, la Menzogna ed il Mutante per eccellenza. «Non essere sé stessi»: malattia profonda che viene poi affrancata dalla modernità laica come disturbo psicologico ed incapacità di coprire i propri ruoli: tutti abbiamo una maschera. L’importante – mi dicono certi colleghi psicologi – è mettersi nelle condizioni di sceglierla. Mmmmh… per quanto lo riguarda l’Altropologo attende di vedere da cosa si maschera Checco la prossima Vigilia del Mercoledì delle Ceneri – tiè!

rito da Grazia, sia talvolta interrotto da litigi. Certo rende ansiosi assistere a una guerriglia domestica ma tutto è preferibile all’indifferenza. Anche se lo scambio di parole è teso e aggressivo, attesta comunque che esiste una relazione, che a entrambi importa che cosa pensa, fa e dice l’altro. A litigare s’impara, purché si assuma anche il punto di vista dell’antagonista e si riesca a guardare il conflitto dal di fuori, a inquadrarlo in una prospettiva obiettiva. In quei frangenti lei può fungere da terzo, evitando la contrapposizione frontale che innesca il ferma immagine dell’interazione. Tenga conto che ogni litigio contiene una volontà di cambiamento che va riconosciuta, esplicitata e valorizzata. Quando questo accade, il nodo che strangola la comunicazione si scioglie ed emergono energie positive e

dinamiche costruttive. Dopo tanti anni può darsi che la situazione si sia cronicizzata e risulti difficile modificarla. Ma vale la pena di tentare, anche ricorrendo ai consigli e ai supporti di un Centro di mediazione familiare. Un servizio sociale che, nel Canton Ticino, offre prestazioni di eccellenza. Non dia tutto per perduto, non si rassegni all’infelicità, la prego. C’è sempre qualcosa da fare per migliorare la vita a sé e agli altri e noi siamo qui ad augurarle la buona riuscita del suo impegno. Ci scriva ancora! Grazie.

com’è successo a politici, magistrati, insegnanti, sacerdoti, medici, anche i critici, considerati a loro volta una casta, sono diventati il bersaglio dei movimenti antiautoritari che, in nome della democrazia, rifiutano giudizi calati dall’alto, chiedono trasparenza e sospettano intrallazzi. Una rivendicazione, insomma, di tipo ideologico. Ma, ce n’è un’altra di tipo tecnologico. I professionisti della critica si trovano alle prese con una nuova forma di concorrenza: Internet che, attraverso i social networks, sollecita e diffonde le voci del cosiddetto grande pubblico, promosso a giudice e intenditore. Con effetti che suscitano perplessità. «Oggi tutti esprimono opinioni: è davvero un bene?»: ci si è chiesti, in un dibattito, organizzato recentemente a Milano, dal «Corriere della Sera». Da cui è emersa, innanzitutto, una situazione di molteplicità per non dire confusione: sono tanti i critici, quelli ufficiali e quelli della rete, e sono tanti i pubblici, i ribelli e i fedeli alla critica. Infatti, pure qui come in politica, resiste lo zoccolo duro dei conservatori. Si tratta di fre-

quentatori di cinema, teatri, concerti, di visitatori di mostre e musei, di lettori di libri che si attengono ai giudizi delle giurie, alle classifiche dei titoli più venduti, ai premi conferiti dai festival. Si potrebbe persino parlare di «festival-dipendenti», per definire una categoria di spettatori mobilitata dalle pellicole scelte a Cannes, Locarno, Venezia, Berlino. Nei cui confronti sono evidenti quelle reazioni di segno opposto, cui si alludeva. Comunque, entrambe sono viziate dal pregiudizio: accettando a occhi chiusi, come capolavori, dei film perché premiati, o rifiutarli, sempre per la stessa ragione. Questo discorso è tornato di stretta attualità con l’Oscar assegnato a La grande bellezza che, una volta ancora, rimette a confronto le due categorie di pubblico: gli obbedienti che s’inchinano, rispettosamente, a un verdetto di specialisti e gli insofferenti che osano denunciare l’irritante estetismo di belle immagini fini a se stesse. Allora da che parte schierarsi? Magari qualche mio paziente lettore avrà capito da che parte sto senza, però, la presunzione di essere da quella giusta.

La stanza del dialogo di Silvia Vegetti Finzi A mia figlia non piace mio marito Carissima Silvia, io ci credevo (all’amore), mi sono risposata 3 anni fa, ci eravamo conosciuti 7 anni fa, mia figlia allora aveva 6 anni, ero divorziata da 4 anni però non ho fatto i conti con mia figlia ormai 13enne. Pensavo, «sognavo», di poter finalmente essere di nuovo felice insieme invece mi accorgo di aver sbagliato, mia figlia non ha mai accettato anzi con gli anni la situazione è peggiorata, non si parlano neanche più e se lo fanno è per litigare (a mia figlia le sono sempre stata vicino e le ho sempre spiegato come stavano le cose). Ora mi sento sempre più stanca e infelice, non ce la faccio più. Grazie per avermi ascoltata. / Monica Cara Monica, grazie a lei per averci scritto. Come sa, la stanza del dialogo è sempre aperta e pronta a condividere problemi esisten-

ziali che ci riguardano in quanto siamo tutti appartenenti a un’unica grande famiglia, quella dell’umanità. Il suo malessere si riverbera necessariamente sulle persone che le stanno vicine e progressivamente, come quando si lancia un sasso nell’acqua, si estende per centri concentrici all’intera comunità. Purtroppo la sua lettera è avara d’informazioni ma, poiché si tratta di una situazione abbastanza frequente, credo di riuscire a comprenderla. Sua figlia, che chiameremo Grazia, non ha mai accettato il suo secondo marito e, col procedere dell’età, l’indifferenza si è trasformata in ostilità, in rigetto. Mi chiedo se Grazia, nel frattempo, abbia continuato ad incontrare il padre naturale e ad avere con lui buoni rapporti. In questo caso sarebbe importante che i suoi due mariti si incontrassero per stipulare un patto di

alleanza, magari utilizzando la sua mediazione. Se invece, come spesso accade, il genitore si è volatilizzato, non pretenda che l’attuale marito lo sostituisca. Molti uomini, quando sposano una donna che ha già un figlio, magari piccolo come era la sua quando vi siete conosciuti, sentono spontaneamente emergere un sentimento di affetto di responsabilità. Ma non tutti e non sempre. Può darsi che avvertano il bambino come una fastidiosa appendice del coniuge, come un corpo estraneo con cui non intendono allacciare nessuna relazione. Convivono allora, l’uno accanto all’altro, nella reciproca indifferenza. Ma un accenno della sua lettera mi fa presumere che, nella vostra famiglia ricomposta, le cose non vadano esattamente così. Sembra infatti che il silenzio, che separa suo ma-

Indirizzo Inviate le vostre domande o riflessioni a Silvia Vegetti Finzi, scrivendo a: La Stanza del dialogo, Azione, Via Pretorio 11, 6901 Lugano; oppure a lastanzadeldialogo@azione.ch

Mode e modi di Luciana Caglio La critica propone: e il pubblico dispone? «Se un film lo consiglia quel critico, non lo vado proprio a vedere» mi dice scherzosamente, ma non troppo, un conoscente incontrato in una sala cinematografica, dove si proiettava Nebraska: una pellicola, che il critico in questione aveva giudicato con sufficienza, alla stregua di un prodotto d’ordinaria amministrazione. Mentre, per una parte di pubblico, sia pure esigua, (il film non è stato un successo commerciale, ed è già scomparso dai nostri schermi), Nebraska doveva diventare un oggetto di culto, con effetti persino sociali: a far da collante fra gli estimatori che, incontrandosi, ne rievocano scene e dialoghi. Insomma, come si potrebbe ricavare a prima vista da quest’episodio, gli spettatori si sentono ormai liberi di scegliere con la propria testa e la propria pancia, sganciati dall’obbedienza dovuta agli specialisti. Per dirla adattando un proverbio, la critica propone e il pubblico dispone. Ma è poi vero? A ben guardare la battuta del nostro conoscente dimostra, invece, che la critica, volere o no, continua a influire sui nostri comportamenti, anche se in modi

contrastanti, cioè accettata o rifiutata. Dichiarando di evitare film raccomandati da un certo critico, lo spettatore, comunque, ne tiene conto quale controindicazione. A quel sì cattedratico replica con il suo no spontaneo. Fatto sta che il critico c’è sempre di mezzo: rappresenta un punto di riferimento e svolge una funzione di guida,

tanto più utile in un’epoca che ha moltiplicato le occasioni di svago e di cultura: creando un labirinto di cose da vedere, ascoltare, leggere, visitare, dove appunto serve una bussola. E questo sarebbe il compito, appunto, della critica, che però sta perdendo autorevolezza, incalzata da fenomeni difficilmente contrastabili. Da un lato,

Anche il film di Sorrentino premiato con l’Oscar divide il pubblico.


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Ambiente e Benessere Potente ed ecologica Presentata al Salone di Ginevra la e-Golf Gte. Una versione ibrida ben equipaggiata

Etiopia: culla del caffè selvatico Un reportage dalla terra africana per fare conoscere gli ultimi raccoglitori della foresta Harenna

Minestre e vino Il buon matrimonio è garantito per qualsiasi tipo di zuppa, basta abbinare l’etichetta giusta

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Animali da compagnia Il Consiglio federale ha deciso di apportare alcune modifiche alla legge sul trattamento e la detenzione di cani ed equini pagina 21

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Istockphoto.com

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Evolutiper un mondo diverso Scienza La medicina darwiniana ci ricorda che la nostra biologia e il nostro comportamento

sono adatti a condizioni di vita che non ci sono più; secondo la tesi raccolta in un libro scritto dallo psicologo Nesse e dal biologo Williams è questo il motivo per cui ci ammaliamo Lorenzo De Carli L’evoluzione è il processo attraverso il quale una popolazione cambia nel tempo, ottimizzando il suo stato di forma nell’ambiente in cui vive. La medicina darwiniana ha scoperto che molte delle patologie attuali hanno rappresentato, in tempi remoti, delle risposte positive alle condizioni ambientali in cui si stava sviluppando il genere umano. Queste risposte, che si sono dimostrate utili nel Pleistocene, talvolta si rivelano oggi inappropriate e dannose. L’atto di fondazione della medicina darwiniana – scienza che sta studiando la malattia cercando di mettere in dialogo discipline assai diverse tra loro come l’antropologia, la genetica e la microbiologia, legandole assieme con la biologia evolutiva – è racchiuso nel libro che nel 1994 pubblicarono Randolph M. Nesse e George C. Williams: Perché

ci ammaliamo? La nuova Medicina Darwiniana. I due autori – psicologo il primo e biologo il secondo, nel frattempo scomparso – spiegano che la medicina darwiniana studia le cause evolutive della malattia, complementari alle cause prossime studiate invece dalla medicina abitualmente praticata. Nella medicina darwiniana le cause evolutive sono esaminate attraverso il cosiddetto «programma adattazionista». Si tratta di un programma basato sul presupposto che ogni patologia ha un significato adattativo. È un orientamento molto accreditato in biologia, dove si considera l’adattamento un meccanismo che permette agli organismi di risolvere i problemi posti dall’ambiente. Quando applicato alla medicina, il programma adattazionista mette in evidenza tre possibili aspetti della malattia, la quale può essere: 1) un componente necessario del meccani-

smo adattativo; 2) un costo del meccanismo; oppure 3) una manifestazione accidentale del modo di funzionare del meccanismo. L’approccio darwiniano alla malattia si fonda su una convinzione antropologica di base: l’organismo umano è una macchina nello stesso tempo perfetta e difettosa. Siamo il prodotto di una storia evolutiva priva di fini precostituiti perché l’evoluzione procede come un bricoleur, servendosi di quello che ha a disposizione; di fatto ci siamo sviluppati e adattati in un ambiente antico, la savana del Pleistocene, che oggigiorno non esiste più. Questa discrepanza ambientale è la causa di molte malattie, come per esempio l’obesità e le disfunzioni cardiovascolari. Dopo la pubblicazione di Perché ci ammaliamo si è assistito al moltiplicarsi dei libri sulla relazione tra evoluzione e malattia, scritti da biologi o da antropo-

logi, tutti inclini ad abbandonare l’espressione «medicina darwiniana» in favore di «medicina evolutiva». «La medicina darwiniana di seconda generazione – ha scritto Fabio Zampieri (oggi all’Università di Padova, dopo aver svolto attività di ricerca all’Università di Ginevra) – può essere divisa in due correnti: una sperimentale, rivolta soprattutto ai problemi dell’evoluzione della virulenza e della variazione genetica, e una antropologica». Il punto di partenza della corrente antropologica è la constatazione che per il 95 per cento della nostra storia evolutiva siamo vissuti senza agricoltura e allevamento, e che quindi la nostra biologia e il nostro comportamento hanno sviluppato un processo di adattamento per condizioni che non sono più quelle venutesi a creare dopo la rivoluzione agropastorale, né tanto più quelle di oggi. «Agricoltura, allevamento, scrittura,

commercio, città e strade – scrive Zampieri – sono novità talmente recenti e che hanno talmente cambiato il nostro mondo e la nostra società, che è naturale che il nostro organismo si trovi impreparato. Questi cambiamenti sono stati alla base di importanti miglioramenti della nostra vita, ma hanno avuto e hanno tuttora un costo da pagare: alcune caratteristiche vantaggiose nel lontano passato della nostra formazione biologica ora possono essere divenute fonte di malattia». C’è un esempio ormai classico che serve a comprendere qual è la prospettiva della medicina evolutiva. È l’esempio della nostra attrazione per gli zuccheri. «La nostra biologia – ci racconta Zampieri – si è evoluta in un ambiente povero di risorse alimentari grasse e zuccherate, e caratterizzato probabilmente da brevi periodi di abbondanza e lunghi periodi di scarsità. Abbiamo evoluto un


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metabolismo capace di accumulare i grassi in vista dei periodi di carestia e un sistema motivazionale che ci porta a desiderare e a trovare deliziosi i cibi grassi e zuccherati. Se queste caratteristiche erano adattative nell’ambiente preistorico, ora sono alla base di obesità e diabete negli individui che le hanno più pronunciate». Con l’obiettivo di dare spiegazioni di tipo evoluzionistico alle malattie, Nesse e Williams hanno identificato sette categorie: 1) la difesa, vale a dire ciò che noi riteniamo un sintomo patologico, in realtà, è un meccanismo di adattamento; 2) il conflitto con altri elementi in evoluzione, ad esempio gli organismi patogeni; 3) il disadattamento del nostro corpo alle veloci modificazioni dell’ambiente e dei modi di vita nell’epoca moderna; 4) i compromessi evolutivi a livello genetico; 5) i compromessi evolutivi a livello dei tratti fenotipici complessi; 6) i vincoli storici e dipendenza da traiettorie evolutive; e 7) i fattori casuali.

La medicina darwiniana è importante perché ci incoraggia a studiare la relazione tra geni e ambiente Lo storico della medicina Stefano Canali – autore del libro Emozioni e malattia – ha osservato che «la prima categoria di spiegazioni, la difesa, ha messo in evidenza come certe patologie o debolezze organiche in realtà costituiscono dei fini meccanismi di difesa e adattamento». Per esempio, la tosse favorisce la liberazione dei polmoni dai corpi estranei, dai residui dei processi di infezione e infiammazione delle vie respiratorie. La febbre serve a uccidere gli agenti patogeni estranei, virus, batteri, piuttosto vulnerabili all’ipertermia. Il vomito permette all’organismo di liberare il canale alimentare dalle sostanze irritanti o tossiche, o da eventuali eccessi di cibo. Il dolore segnala l’avvicinarsi dei limiti di funzionalità organica, l’insorgenza di patologie interne, e limita i movimenti negli arti malati che hanno bisogno di riposo. L’ansia induce l’attivazione organica e stimola l’attenzione in situazio-

ni importanti della vita o cruciali per la sopravvivenza, quando è necessario cioè essere pronti, determinati, motivati, sensibili agli stimoli, inoltre essa può impedire comportamenti e azioni pericolose. Il quarto modello darwiniano della malattia, quello dei compromessi evolutivi a livello genetico, spiega certi stati patologici come conseguenza di determinati adattamenti genetici a un ambiente. Un gene può conferire certi vantaggi in specifici contesti ambientali ma aumentare la suscettibilità a sviluppare alcune patologie. Un caso tipico è quello delle emoglobinopatie, come l’anemia falciforme e la talassemia, che in condizione eterozigotica possono dare vantaggi selettivi in ambienti malarici ma espongono anche al pericolo di anemie più o meno gravi. La categoria dei vincoli storici è quella che ci mostra l’evoluzione funzionare come un bricoleur. Un esempio spesso citato è quello dei rischi di soffocamento dovuti a ostruzione delle vie aeree con cibi a causa della parziale condivisione dei canali delle vie respiratorie e del primo tratto del canale alimentare: è il risultato della nostra conquista della parola. Spiccatamente sensibile a una prospettiva storica, la medicina darwiniana è importante perché c’incoraggia a studiare la relazione tra geni e ambiente. «I geni – ci ricorda Stefano Canali – regolano la sintesi proteica in funzione dei fattori ambientali. Stimoli interni ed esterni quali gli stadi dello sviluppo, le concentrazioni di ormoni e di mediatori chimici, la disponibilità di certi nutrienti, di certe sostanze, la presenza di certi contaminanti nell’ambiente, lo stress, l’apprendimento, l’interazione sociale influenzano la formazione e il comportamento dei fattori di trascrizione genica, modulando sensibilmente l’espressione dei geni, ciò che si indica col termine di regolazione epigenetica». Ciò significa che, studiando il nostro genoma, potremo conoscere le basi della nostra vulnerabilità per malattie prodotte dall’interazione con una nicchia ecologica che ci siamo costruiti dopo la rivoluzione agropastorale, mettendoci in tal modo nella condizione di sviluppare politiche d’intervento sull’ambiente e sugli stili di vita importanti nell’attività di prevenzione.

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Ambiente e Benessere

L’ibrida e-Golf al salone di Ginevra Motori Il Gruppo tedesco ha scelto la Svizzera per mostrare al grande pubblico europeo la sua nuova stella Mario Alberto Cucchi Dopo diversi mesi di trattative, a fine febbraio l’Unione Europea ha ufficialmente deciso che le emissioni di nuove auto dovranno rispettare il limite di 95 g/km di CO2 entro il 2020. Questa soluzione riguarderà il 95% dei nuovi veicoli prodotti, con l’obiettivo di raggiungere il 100% per l’anno successivo.

La Golf GTE coniuga i vantaggi dell’elettromobilità e il dinamismo delle classiche GTI A nulla sono valse le resistenze della Germania che voleva proteggere i «propri» costruttori. Questi ultimi producono modelli con cilindrate generose e faticano quindi maggiormente a mantenere basse le emissioni. Il primo passo per l’UE è quello di limitare le emissioni di CO2 a 130 g/km entro il 2015. Nel frattempo, tra i costruttori automobilistici tedeschi presenti al Salone dell’auto di Ginevra – che chiuderà i battenti il prossimo 16 marzo – Volkswagen ha presentato il suo ultimo gioiello: l’ecologica Golf Gte. Una versione ibrida plug-in che completa una gamma articolata su tutte le possibili alimentazioni. La eGolf è equipaggiata con un potente propulsore turbo benzina 1.4 Tsi da 150 cavalli che, per l’occasione, è stato abbinato a un motore elet-

trico da 102 cavalli. La potenza complessiva così ottenuta è di ben 204 cavalli. Coniuga dunque i vantaggi dell’elettromobilità e il dinamismo delle classiche GTI di Wolfsburg. In modalità puramente elettrica, la Golf GTE raggiunge una velocità massima di 130 km/h, mentre sfruttando la potenza del motore Tsi lo spunto velocistico arriva fino a 217 km/h con accelerazione da 0 a 100 orari in 7,6 secondi. I consumi sono limitati a 1,5 litri/100 km, le emissioni di CO2 sono contenute ad appena 35 g/km e l’autonomia in modalità esclusivamente elettrica è di 50 km. Ben 939 chilometri quella complessiva. La terza GT della gamma (dopo GTI e GTD) sarà commercializzata nei mercati internazionali il prossimo autunno. Le batterie sono agli ioni di litio da 8,8 kWh e il cambio è un automatico a tripla frizione DSG a sei rapporti, sviluppato appositamente per l’impiego ibrido. Proprio nell’alloggiamento del cambio si trova il motore elettrico. Volkswagen ha già aperto in Germania le ordinazioni per la GTE che sarà disponibile a partire da 34’900 Euro, inclusa la garanzia per le batterie di 8 anni o 160 mila km. Il Gruppo tedesco ha quindi scelto la Svizzera per mostrare al grande pubblico europeo la sua nuova stella. Il Salone internazionale di Ginevra si conferma ancora una volta uno dei maggiori eventi mondiali dedicati all’automobile con i suoi oltre 80mila metri quadrati assegnati, 7 padiglioni, 250 espositori provenienti da 30 Paesi e oltre 700 marchi rappresentati. Una kermesse in cui si at-

In mostra al Salone di Ginevra fino al 16 marzo.

tendono oltre 700mila visitatori e 10mila operatori della stampa provenienti da tutto il mondo (www.salon-auto.ch). Per facilitare gli appassionati provenienti da altri Paesi sono stati studiati, in collaborazione con l’Ente del Turismo elvetico, pacchetti all-inclusive che comprendono pernottamento, visita al Salone e trasferimenti urbani con prezzi calmierati a partire da 70 franchi.

L’84esima edizione della manifestazione elvetica strizza l’occhio all’ecologia con una brochure che riporta i 65 modelli con emissioni di CO2 inferiori ai 95 g/km con indicazioni precise sulla loro ubicazione all’interno dei padiglioni. Dedicata alle elettriche è pure una pista coperta ricavata all’interno del padiglione 1 che darà la possibilità di toccare con mano le prestazioni delle

ultime evoluzioni sul tema proposto dalle Case. Parlando di anteprime, le novità assolute a livello mondiale sono ben 105, quelle europee 46. Un’abbuffata che spazia dalle «normali» Citroën Cactus, Renault Twingo, VW Polo, Peugeot 308 SW o BMW Serie 2 Active Tourer, fino alle supersportive da sogno come Ferrari, Porsche e Lamborghini.

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Lo sport per puro piacere Editoria A-Z fitness è il titolo dell’ultimo

libro di Nicola Pfund

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% 0 2 – Elia Stampanoni Nicola Pfund è uno scrittore, ma anche uno sportivo e appassionato di triathlon. Sono questi gli interessi che lo hanno condotto alla pubblicazione di un nuovo libro: A-Z fitness, lo sportivo a 360°. Un piccolo manuale per tutti coloro che praticano o che si vogliono avvicinare allo sport, al benessere e alla salute generale.

Riassunto in 180 pagine lo sport inteso come fonte di benessere, o meglio come mezzo per restare in salute Filosofo di formazione, Pfund ha completato questa sua opera con il consueto entusiasmo che lo contraddistingue e che nella sua carriera sportiva lo ha condotto ai massimi livelli nella disciplina del triathlon. Dal 1988 vi si è dedicato intensamente per alcuni anni, arrivando fino alle Hawaii (qui si svolgono i campionati del Mondo di Ironman) dove, in 9 ore e trenta minuti, ha coperto i 3,86 chilometri a nuoto, i 180 in bicicletta e i finali 42,195 a corsa. Oggi è docente di cultura generale presso una Scuola professionale del Cantone, ma anche un giornalista, un blogger e uno scrittore: A-Z fitness, lo sportivo a 360° è la sua ultima pubblicazione, a pochi anni di distanza dalla precedente che si intitolava La filosofia del jogger, di cui «Azione» aveva riferito nel 2012. Il volume conta 168 pagine che racchiudono in esse una serie di piccoli testi, suddivisi in consigli, informazioni e motivazioni ordinati in modo alfabetico. Da Acido lattico a Yoga, passando per Bruciare grasso o per Dormire che bello, i 140 flash spaziano dall’allenamento all’alimentazione, esplorando pure altri contesti. Troviamo per esempio otto raccomandazioni per un’adeguata preparazione fisica, la storia della maratona oppure capitoli più tecnici sulle fibre muscolari o informazioni sul test Conconi. La lettura, scorrevole, variata e piacevole pone particolare attenzione allo sport inteso come fonte di benessere, come mezzo per restare in salute. L’aspetto agonistico è un argomento più marginale, mentre grande importanza viene

data alla prevenzione, al riposo e a uno stile di vita salutare che contempli attività fisica. Non mancano i riferimenti al cibo; ad esempio il gelato viene elogiato sotto la lettera «V» di Voglia di gelato. Ma che cosa l’ha spinto a scrivere questo nuovo libro, Nicola Pfund?

Non è stato un evento particolare ma il seguito di quanto fatto in questi anni, un percorso iniziato nel 2003 con la pubblicazione del libro Triathleta per passione: viaggio alla scoperta di uno sport affascinante. Già dieci anni fa parlavo, infatti, di sport inteso anche come benessere e questo libro è un naturale e ulteriore tassello nell’approfondimento della tematica. Si è allontanato quindi dal lato competitivo dello sport?

Nello sport abbiamo sempre tre principali fattori che ci spronano a praticarlo: competizione, obiettivi personali e benessere individuale. Effettivamente, in A-Z fitness, lo sportivo a 360° è proprio quest’ultimo fattore a essere predominante, a tal punto che tutti i consigli ruotano attorno all’attività fisica intesa in un’ottica positiva e in modo che possa apportare benefici alla vita. Cerca in un certo senso di seguire quella tendenza che, lentamente, si sta affermando anche da noi?

Sì, dieci anni fa parlavo già di fitness come elemento essenziale nella vita di tutti e non solo per gli sportivi. Erano però ancora discorsi pionieristici, mentre oggi questo cambio di tendenza è in atto (pensiamo per esempio alla nascita di Sportissima che promuove lo sport e non necessariamente la competizione) e sono sempre di più le persone che praticano sport solo e unicamente per il puro piacere. Nel suo libro propone diversi suggerimenti per un allenamento sensato: programmare, variare, riposare, essere motivati, prudenza, ginnastica, forza, alimentazione, continuità. Cos’altro deve aspettarsi chi legge A-Z fitness?

Tanti consigli per non farsi male, per assaporare appieno la pratica di una sana attività fisica e per uscire da un approccio esasperato allo sport. Bibliografia

Nicola Pfund, A-Z fitness - Lo sportivo a 360°, Fontana Edizioni, 2013, pp. 168, CHF 30.–.

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Ambiente e Benessere Harenna, la drupa, il frutto del caffè.

L’ultimo caffè selvatico Viaggiatori d’Occidente Frutto spontaneo e straordinario della foresta etiope, il caffè di Harenna

è reputato uno dei cinque migliori di tutta l’Africa Alessandro Gandolfi, foto e testo Sembra una favola: in Etiopia c’è un favoloso caffè che cresce spontaneo a quasi duemila metri d’altezza. È unico al mondo, la sua qualità è straordinaria e lo raccolgono donne laboriose vestite di giallo, di verde e di blu, camminando per ore nel cuore della foresta di Harenna.

Le piantagioni si trovano a un altezza di quasi 2000 metri e si raggiungono su una strada impervia Questa piccola comunità di cinquemila anime è rimasta isolata per secoli, continuando a vivere in capanne di paglia e a trasportare il caffè selvatico a dorso d’asino, in grossi sacchi di iuta. Ma trent’anni or sono le cose sono cambiate: l’esercito socialista di Mengistu costruì una strada che, superato un forte dislivello, arrivava fino alla foresta di Harenna. Ed è proprio seguendo questa via che oggi il prezioso caffè arabica arriva ai mercati della capitale. Un prodotto di alta qualità che inizia a essere apprezzato: l’anno scorso una speciale commissione lo ha premiato

come uno dei cinque migliori caffè di tutta l’Africa. Il caffè è nato in Etiopia. Qui la sua preparazione accurata resta un rituale simbolico, una cerimonia praticata ogni giorno e ispirata all’ospitalità. Lo è nei ristoranti alla moda di Addis Abeba come nei remoti villaggi del Tigrè, dell’Afar o dell’Oromia, regione meridionale verso la quale ci spostiamo a bordo di un 4x4. Mi accompagna l’italiana Flaminia Battistelli: «Quella di Harenna è una foresta primaria meravigliosa – spiega la ragazza – e ospita le ultime piante di caffè selvatico al mondo: il risultato della raccolta è un caffè che non hai mai assaggiato prima». Flaminia lavora per la Cooperazione Italiana, l’organo del Ministero degli esteri che sta portando avanti un progetto di sostegno ai piccoli raccoglitori e produttori di caffè di Harenna. Il problema è arrivarci, ad Harenna! Questa remota foresta si trova cinquecento chilometri a sud della capitale, al centro dell’Etiopa meridionale, e il percorso è massacrante: si guida per due giornate intere e lungo il primo tratto ci si lascia alle spalle laghi popolati da pellicani, sicomori secolari (il loro legno nell’antico Egitto veniva usato per costruire sarcofaghi) e villaggi dal fascino unico, come Shashemene. Qui dal 1948 vive una folta comunità di rastafa-

Harenna: i sacchi di caffè sono portati fuori dalla foresta con gli asini.

riani arrivati direttamente dalla Giamaica, e proprio qui ogni settimana arriva il caffè di Harenna per essere venduto agli intermediari. Da Shashemene la strada vira bruscamente verso est. Dopo pochi chilometri, l’asfalto lascia il posto alla terra battuta e ai campi di teff, il cereale con il quale si cucina l’enjera, una crêpe spugnosa che è alla base di tutta la cucina etiope. Il giorno successivo si sale fino a quattromila metri, entrando in una dimensione inconsueta: vegetazione bassa, vento freddo, steppa a perdita d’occhio, un uomo che cavalca solitario ver-

so il nulla. Sembra la Mongolia ma si chiama Sonetti Plateau, il maggiore altopiano etiope, sul quale corre la strada asfaltata più alta dell’Africa. Scendendo di nuovo, la steppa si trasforma in foresta tropicale e si entra così nel vasto Bale National Park, dove si trova la foresta di Harenna: «Mi sembra di avere fatto un salto indietro di duecento anni» commenta Flaminia quando ai lati della strada iniziano ad apparire le prime case in terra e fango, con gli asini che trasportano lenti i sacchi di caffè. È questa da sempre la loro unica fonte di reddito.

Harenna: le donne vanno a raccogliere il caffè nella foresta.

Mena, Harenna: una donna cammina lungo una strada del villaggio.

Le allegre donne del villaggio si infilano nella foresta intonando canzoni della tradizione. Passano ore a raccogliere la drupa, il rosso frutto del caffè che sembra una ciliegia, gettandolo velocemente nella lunga cesta in vimini con un gesto che i loro antenati hanno ripetuto per anni, sempre uguale. Poi era consuetudine metterlo a essiccare a terra, sopra grandi teli colorati che vediamo ancora qua e là fra le colline vicine. Il progetto, con la consulenza dell’Iao (l’Istituto Agronomico per l'Oltremare), mira proprio a cambiare questa abitudine secolare: «A contatto con il terreno – spiega Tiberio Chiari dell’Iao – il chicco di caffè ne assorbe in parte l’odore. Per questo sono state introdotte reti che impediscono il contatto con il suolo, aumentandone così la qualità». Te ne accorgi quando una donna arriva con due tazze fumanti di caffè appena tostato: il sapore è unico, intenso, mai sentito prima. Ma non è questo l’unico pregio del caffè di Harenna. «A causa dei cambiamenti climatici – continua Tiberio – nei prossimi quarant’anni le coltivazioni di caffè potrebbero sparire dall’Africa Orientale. Una catastrofe! La soluzione, pensiamo, potrebbe arrivare proprio dalla biodiversità genetica dell’Harenna». Più buono, dunque, ma anche molto più resistente…

Addis Abeba: lavoratori alla Oromia Coffee Farmers Cooperative Union (OCFCU).


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Ambiente e Benessere

Minestre e vini, un felice matrimonio Bacco a tavola Tornano di moda anche le zuppe,

Davide Comoli Le zuppe e le minestre appartengono alla tradizione popolare e alla cucina povera dei nostri avi. Per lungo tempo rifiutate a causa di questo loro retaggio, stanno oggi tornando di moda sia tra i privati sia sulle proposte dei vari ristoranti. Oggi vengono considerate a tutti gli effetti un primo piatto. Che siano di magro oppure più o meno sostanziose, meritano comunque di essere riscoperte per le loro caratteristiche organolettiche e per il buon valore nutritivo. Di certo le zuppe di oggi sono il diversivo di piatti più impegnativi e l’offerta culinaria per chi ha voglia di scaldarsi. Esse vantano un equilibrio di sapori e consistenze, e preparano il commensale ad affrontare in seguito cibi più corpulenti. Quelle che vengono proposte oggi non sono le minestre altamente caloriche come quelle descritte dall’Artusi (1820-1911), che introduceva così le minestre nel suo famosissimo libro: «Poca a chi non trovandosi nella pienezza delle forze né in perfetta salute ha bisogno di un trattamento speciale, poca minestra e leggera nei pranzi se i commensali devono fare onore alle varie pietanze che vengono appresso». Se c’è il vino non c’è zuppa e se c’è zuppa non c’è vino, sembrerebbe cosa ovvia, ma non lo è. Se c’è zuppa c’è anche pane, ingrediente cardine della die-

ta medievale (il nome zuppa sembra appunto che derivi dal gotico suppa e cioè dalla parola che indicava la fetta di pane su cui veniva versato il brodo). Al fine di superare gli ostacoli, nei quali questa portata può incappare quando si parla di abbinamento con il vino, bisogna dividere le minestre in quattro categorie: minestre chiare, minestre legate, minestroni e zuppe. Le minestre chiare comprendono piatti preparati con brodo di carne e si suddividono in due altre sottocategorie. Nella prima troviamo le minestre all’italiana (se nel brodo si aggiunge pasta, riso, crostini o carne e se vengono consumate calde). A questo genere occorre abbinare un vino bianco giovane, di poco corpo, abbastanza morbido, eventualmente amabile, con un ricco bouquet vegetale e floreale, fresco d’acidità come ad esempio un Sylvaner o un Riesling italico. Nella seconda categoria troviamo invece i consommé (se composte da una dose più o meno concentrata di brodo, insaporito da particolari ingredienti, con guarniture servite a parte). A loro volta i consommé possono essere ulteriormente insaporiti con ingredienti come vini liquorosi o tartufi; a volte serviti freddi danno origine a ricette di grande classe. Il miglior abbinamento con questi «brodi» si ha con vini bianchi secchi e liquorosi, ricchi di acidità e profumi ossidativi che ricordano le spezie e la frutta

secca come il Marsala Vergine e lo Sherry. Le minestre «legate» si possono suddividere invece in: «puree» ovvero passati di vario genere alle quali vanno abbinati vini bianchi molto leggeri di struttura, come il Menfi bianco o l’Erbaluce di Caluso; e in «creme» nel caso siano composte da una purea legata con besciamella o roux, e in questo caso un buon abbinamento può essere con dei vini bianchi giovani, abbastanza di corpo e morbidi, ma freschi d’acidità, quali l’Asprinio d’Aversa o i Lessini-Durello. Con le «vellutate» (quando alla purea sono aggiunte componenti come tuorli d’uovo o burro che la rendono particolarmente liscia), per un buon abbinamento, occorre scegliere un vino bianco giovane, molto fresco d’acidità, non molto ricco d’alcol, ma soprattutto un ricco bouquet di aromi vegetali e frutta fresca, come un Sancerre bianco o un Sauvignon dell’Alto Adige. Normalmente le creme e vellutate vengono servite con punte d’asparagi o lamelle di fungo che richiamano gli ingredienti usati per la preparazione. La categoria dei «minestroni» comprende piatti ricchi e composti piuttosto da una base di soffritto con grassi – come olio extravergine o burro, che determinano piacevoli sensazioni di grassezza e untuosità – alla quale si aggiungono varie verdure e legumi che apportano al piatto sensazioni di aromaticità e tendenza

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Nuova cucina economica (1803) nota che l’ingresso della zuppa di pesce nei ricettari coincide con la comparsa in cucina del pomodoro, che ha conferito dignità aromatica a un piatto ritenuto fino ad allora troppo rustico. Il miglior abbinamento si realizzerà con un vino bianco secco, di buona struttura, nel quale l’alcol stemperi la grande freschezza data dagli acidi e la mancata sapidità. Il vino dovrà avere un bouquet che spazia tra il floreale (rosa, glicine) e la frutta matura (pesca bianca, pera) quale il Pinot Grigio dei Colli Orientali del Friuli o il Verdicchio di Jesi, ma non sottovaluterei un Rosato di Bandol dal grande equilibrio, in grado di smorzare l’untuosità del piatto. Nel corso degli anni, molti chef di cucina si sono adoperati per rendere queste preparazioni meno pesanti e più digeribili, meglio adattabili a essere inseriti nei menu. Essi hanno inoltre permesso di rendere attuale il pensiero di Grimod de la Reynière (1758-1837) che soleva dire: «Una zuppa è per una cena, quello che un portico o un peristilio sono per un edificio, e siccome è un primo piatto, dovrà essere scelto in funzione della qualità e del seguito della cena stessa».

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dolce che aumenta con l’aggiunta di riso o pasta. Numerose e varie sono le ricette regionali di questo tipo di piatto. Per l’abbinamento si ricercherà un vino bianco secco, di corpo, con una buona alcolicità, fresco d’acidità, con note ricche di profumi di frutta fresca come la mela o vegetali come il sedano, ottimo quindi un Lugana o un Trebbiano d’Abruzzo, ma anche un nostro Bianco di Merlot. Nelle «zuppe» troviamo le ricette più antiche e tradizionali preparate con una base di pane o crostoni abbrustoliti, quasi sempre posti nella fondina prima di essere ricoperti dal liquido della preparazione piuttosto densa a base di brodo di carne, verdure, cereali, ecc. Alcuni vini rossi giovani si possono ben abbinare a queste ricette della tradizione; vini quindi di medio corpo, dai tannini leggeri, un po’ spigolosi, con un bouquet ricco di aromi vinosi e di frutta, non troppo alcolici, come un Merlot del Ticino, un Chianti Colline Senesi o un Cabernet del Friuli. «Brodetto»: così viene definita una preparazione a base di pesce. Questo tipo di zuppa è stato per secoli un piatto a uso esclusivo popolare: sulla tavola dei ricchi compariva di rado. Vincenzo Agnoletti, nella sua

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 marzo 2014 • N. 11

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Ambiente e Benessere

Dalla parte della legge Mondoanimale I detentori di animali devono essere ben informati

sulla legislazione OPAn e le sue modifiche Maria Grazia Buletti Per colmare alcune lacune presenti nel diritto vigente in materia di protezione degli animali e adeguare alcune disposizioni della relativa ordinanza (OPAn), il Consiglio federale ha deciso di apportarvi alcune modifiche che coinvolgono il trattamento e la detenzione degli animali da compagnia. Queste modifiche dell’ordinanza sono entrate in vigore il 1° gennaio di quest’anno e riguardano principalmente la detenzione di cani e cavalli.

Tra le modifiche dell’ordinanza OPAn anche diversi obblighi o divieti per chi ha a che fare con gli equini Le novità inerenti i cani riguardano la loro detenzione in box o nei canili (art. 70 cpv. 2 / art. 72), dove non sussisterà più l’obbligo di detenzione almeno a coppie: «Si possono tenere animali anche in parchi limitrofi, purché in contatto visivo, acustico e olfattivo con altri cani», escludendo così da questo requi-

sito i cani che durante il giorno hanno contatto con altri conspecifici o con persone per almeno cinque ore al di fuori del parco e i cani che invece vivono in box o canili per un periodo inferiore ai tre mesi. Inoltre, si puntualizza che tutti i tipi di collari che provocano dolori sono vietati (art. 73 cpv. 2). Di fatto, nuove forme di collari di addestramento che infliggevano dolori ai cani venivano usati per eludere il divieto di utilizzare collari con aculei interni. Ora questo non è più permesso. Subisce qualche aggiustamento pure l’articolo 74 che regola la formazione dei cani da difesa da parte di imprese di sicurezza private: «Fino a oggi era consentito lo svolgimento di allenamenti per i servizi di difesa soltanto con i cani di servizio in dotazione a esercito, guardie di confine, polizia e con cani destinati alle competizioni sportive dei servizi di difesa. I cani di servizi di sicurezza privati non rientrano in alcuna delle categorie summenzionate. Tuttavia il loro addestramento è necessario affinché i servizi di sicurezza statali come la polizia possano impiegarli a scopo di sostegno». Perciò, l’ordinanza OPAn oggi include anche la formazione di cani da difesa di queste imprese di sicurezza private.

Social a quattrozampe È un mix tra Instagram, Facebook e Twitter e si chiama Petigram: parliamo di un’app che funge anche da rete sociale. Nello specifico, si tratta di una piattaforma che permette di condividere fotografie e notizie sui propri animali a quattro zampe, come pure di intrecciare amicizia con altri proprietari e amanti degli animali. Di fatto, il web è sempre più colmo di siti, imma-

gini e video che rappresentano i migliori amici dell’uomo e la nuova tendenza è proprio quella che vede nascere veri e propri social network a loro dedicati, come Ynetpet, Matchpuppi e Mysocialpet, per citarne solo qualche esempio che certifica come, oramai, i nostri animali sono entrati anch’essi a pieno titolo, e forse loro malgrado, nell’era telematica.

Per quanto attiene invece ai cani da caccia e al loro addestramento, l’articolo 75 estende il suo campo d’applicazione, mentre l’art. 76 rafforza il divieto di usare mezzi per impedire ai cani di emettere gridi o esprimere dolore. In rapporto invece agli equini, l’articolo più significativo aggiornato (art. 63) ribadisce che permane il divieto di utilizzo del filo spinato nelle recinzioni che li ospitano, anche se a determinate condizioni esiste la possibilità di ottenere una deroga: «Ad esempio, per un pascolo vasto che dispone di una delimitazione aggiuntiva ben visibile – come il margine di un bosco o i muri a secco tipici del Giura – questa autorizzazione dovrebbe essere possibile». Un altro interessante aggiornamento concerne gli articoli 21 g e h, che pongono le regole di protezione dei cavalli da addestramento e da salto, vietando la rollkur (ndr: iperflessione della testa e del collo del cavallo, che comporta a sua volta un’eccessiva tensione del dorso) e lo sbarramento dei cavalli da salto. Quest’ultimo è una pratica nella quale si infligge dolore o si incute paura all’animale per indurlo a saltare più alto. Ad esempio: durante l’allenamento si alza artificialmente l’asta dell’ostacolo al passaggio del cavallo, in modo che l’animale vi urti contro e in seguito sia costretto ad alzare maggiormente le zampe. Infine, per il trasporto dei cavalli (art. 160 cpv. 1), oltre alle capezzine di corda (finimento di cuoio con cui si lega la testa di un animale per condurlo) è ora espressamente vietato anche l’uso di quelle annodate e delle briglie per legare i cavalli durante il trasporto: «Le cavezze annodate e le briglie permettono di controllare facilmente i cavalli, a causa della pressione esercitata su alcuni punti sensibili della testa. Non si può tuttavia escludere che durante il trasporto un cavallo perda l’equilibrio e lo strappo

Autorizzazione obbligatoria anche per dog-sitting/walking multipli. (Oskarp)

provocato dalle briglie o dalla cavezza annodata provochi inutili dolori». Un’ultima modifica concerne il trattamento professionale degli animali che oggi impone un’autorizzazione cantonale anche per alcuni casi che prima non erano ancora contemplati (art. 101 e 102). Quest’ultima deve essere ottenuta dai titolari di pensioni e rifugi per animali, dalle persone che offrono servizi di accudimento (come ad esempio dog-sitter e dog-walking) e che accolgono animali quando il loro proprietario è in vacanza, «qualora si occupino di più di cinque animali, escludendo naturalmente i propri da questo conteggio». Viene inoltre richiesta un’autorizzazione cantonale anche per gli allevamenti e le organizzazioni di soccorso che si prendono cura ogni anno di grandi numeri di animali, così come per le persone che si occupano professional-

mente della cura degli zoccoli dei cavalli (ad esempio: pareggiatori di cavalli scalzi), che ora dovranno dimostrare di essere in possesso di una formazione riconosciuta. Mentre i maniscalchi, dei quali già si fa garante la formazione svolta a norma di legge, non necessitano di autorizzazione. Queste nuove clausole legali dovrebbero proteggere i detentori, e soprattutto i loro animali, da persone che non sono qualificate ad occuparsene professionalmente, mentre lo potrà fare chi potrà dimostrare di aver portato a termine un percorso di formazione riconosciuto e aver ottenuto anche la relativa autorizzazione cantonale a esercitare. Con queste premesse, l’Ufficio federale di veterinaria, sempre a beneficio degli animali, invita i loro detentori a richiedere l’autorizzazione cantonale quando decidono di dare in custodia ad altre persone il loro animale domestico.

Giochi ORIZZONTALI

Cruciverba

Dopo cinquant’anni di matrimonio lui muore, passa qualche anno e anche lei sale in cielo, lì rivede il marito e correndogli incontro esclama: «Amore che bello rivederti!» – Lui infastidito risponde: «Mia cara, non ricordi cosa disse Don Matteo?…». Per scoprire la frase, risolvi il cruciverba leggendo le lettere evidenziate. 1

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1. Sottili, minuti 5. Francesco, scrittore ticinese 10. Nome maschile 11. Pagamenti dilazionati 12. Numero delle Muse 13. Acido ribonucleico (Sigla) 15. Le iniziali dell’attrice Rohrwacher 16. Si dice per incoraggiare ed esortare 17. Primo cardinale 18. Le figlie di Zeus 19. Finito in fondo 20. Deteriorato, guasto 21. Imposta sul Valore Aggiunto 22. Le tracce più labili 24. Le iniziali del regista Avati 25.Uno stretto parente di però 26. L’attore Bova 28. Sconfinati

Sudoku Livello per geni Scopo del gioco

Completare lo schema classico (81 caselle, 9 blocchi, 9 righe per 9 colonne) in modo che ogni colonna, ogni riga e ogni blocco contenga tutti i numeri da 1 a 9, nessuno escluso e senza ripetizioni.

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1. Estremismi intolleranti 2. Simulacro 3. Cade finendo in acqua 4. Isola francese 5. Palchi quelle del cervo 6. Fa bollire il sangue 7. Le iniziali dell’imitatrice Aureli 8. All’inizio di una corsa 9. Sta spesso tra le nuvole 14. Regolari, ordinari 17. Supera l’esame di maturità a settembre 18. Le ali dell’oca 20. Conseguire, ottenere 21. L’ultimo re Umberto 23. Un figlio di Noè 24. Si forma per suppurazione 27. Sono uguali nel fidanzamento

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Soluzione della settimana precedente

Tra innamorati – Risposta di lei: «che nessuno si fa gli affari suoi?». O C H E S I A S E O N O A F I L G O L A A I N O R T O F N E T A I S E T L A C U N A

P A T R I Z I O

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 marzo 2014 • N. 11

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Politica e Economia Ritorno al passato Le relazioni diplomatiche Usa-Russia subiscono una battuta d’arresto in Crimea

Le invasioni di Mosca L’intervento in Crimea di forze armate facenti capo al Cremlino è di gran lunga più modesto e incruento (per ora) di quelli compiuti dagli dagli stessi russi in Ungheria, Cecoslovacchia, Afghanistan e Georgia (e dagli Usa in Iraq)

In cerca di compromessi Come conciliare il sì all’iniziativa contro l’immigrazione di massa e la libera circolazione? Una proposta di Avenir Suisse

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Consiglio federale a nove? Si riaffaccia l’idea di allargare il governo a nove consiglieri federali, una soluzione che garantirebbe un posto alla Svizzera italiana, più che necessario visto lo scollamento fra la Confederazione e il Ticino pagina 28

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Crimea, le radici della crisi Il caso Per capire la scontro che oppone

Kiev alla Russia riguardo alla regione autonoma bisogna tornare a guardare la storia del suo turbolento passato Alfredo Venturi È il 1954 quando un tratto di penna sposta la Crimea dall’appartenenza etnica a quella geografica: a un anno dalla morte di Stalin il nuovo capo del Cremlino, Nikita Krusciov, trasferisce la penisola del Mar Nero dalla Repubblica socialista federativa sovietica russa alla Repubblica socialista sovietica ucraina. Lo fa per celebrare i tre secoli dell’annessione ucraina all’impero russo. Ovviamente il primo successore di Stalin non ha ragione di dubitare della solidità del monolito sovietico, né potrebbe lontanamente immaginare che pochi decenni lo separano dalla disintegrazione dell’impero e dunque dall’estraniamento della Crimea ormai ucraina rispetto a Mosca. I russi che abitano la penisola, quasi i due terzi della popolazione, possono dormire sonni tranquilli, il potere di Mosca sulla penisola non è minimamente scalfito dalla formale dipendenza da Kiev. Ma la storia ha in serbo uno spettacolare mutamento di circostanze e di prospettive: il crollo dell’Unione Sovietica rende la Crimea straniera alla Russia. La penisola torna a essere al centro dell’attenzione di Mosca, come lo fu spesso negli anni successivi al 1783, quando le truppe imperiali sottrassero la magnifica preda alla dominazione ottomana. Era il trampolino ideale della proiezione russa nei mari caldi, ostacolata da quella «questione degli Stretti» che dominò a lungo gli annali della diplomazia: il vitale collegamento fra Mar Nero e Mediterraneo controllato dai turchi. Non a caso proprio qui si combatterono a metà Ottocento le battaglie decisive della guerra che vide schierate accanto agli ottomani le potenze europee occidentali. Di fronte alla sfida fra il declinante impero turco e l’arrembante autocrazia zarista, Londra e Parigi scelsero senza esitare l’alleanza con Costantinopoli, assicurandosi una posizione di forza nelle terre ottomane e coinvolgendo il Regno di Sardegna, ansioso di affacciarsi alla ribalta internazionale per promuovere il progetto unitario italiano. Meno di un secolo più tardi, nuovo cruciale appuntamento con la storia. La Germania hitleriana invade l’Unione Sovietica e quei risentimenti antirussi che da sempre serpeggiano alla periferia dell’impero generano la tentazione del collaborazionismo. In particolare fra gli inquieti tatari di Crimea, un popolo affine ai turchi per lingua, cultura e religione che a lungo appoggiò contro i russi le politiche ottomane, prende corpo un movimento fi-

lonazista. La risposta di Mosca è spietata: subito dopo la conclusione vittoriosa della «grande guerra patriottica», Stalin ordina la deportazione dei tatari verso gli immensi spazi orientali. Poi li sostituisce con immigrati ucraini e russi, più russi che ucraini. Il gesto di Krusciov, che assegna la Crimea alla dipendenza amministrativa da Kiev, vuole essere un segnale di conciliazione, all’insegna di una fraternità sovietica che si vuole più forte delle identità nazionali e che nessuno, al momento, può mettere in discussione. La crisi in corso fra Mosca e Kiev, che vede il presidente Vladimir Putin rifiutarsi di escludere il ricorso alla forza per tutelare la minoranza russa in Ucraina, del resto maggioranza nella regione autonoma di Crimea, affonda dunque le sue radici in un turbolento passato, fonte di frustrazioni, rancori e desideri di rivalsa. La fraternità sovietica non c’è più e le identità nazionali rialzano la testa. Le popolose comunità russe dell’Ucraina orientale e soprattutto della Crimea guardano a quella che considerano da sempre la loro madrepatria. A Mosca si richiama il precedente dei primi anni Quaranta e si bolla come «fascista» la posizione antirussa emersa dalla rivoluzione di Kiev. Putin muove le forze russe che in virtù degli accordi bilaterali stazionano in Crimea, in particolare allerta la potente flotta del Mar Nero che ha base a Sebastopoli. Assicura che non attaccherà, non ora… Nel bollente calderone ucraino il caso della Crimea fa storia a sé. Poiché nella regione autonoma i russi sono maggioranza, lo status della penisola offre un quadro giuridico all’interno del quale trova posto l’ipotesi di un referendum per una maggiore autonomia da Kiev che potrebbe essere, confidano coloro che guardano nostalgicamente a Mosca, il primo passo verso l’autodeterminazione e il ritorno alla Russia. Naturalmente Kiev respinge questo scenario e chiama in soccorso l’Occidente, ma la pressione dell’Occidente ha come obiettivo niente più che scongiurare la guerra e favorire una soluzione incruenta. Del resto Putin ha a disposizione non soltanto la potenza militare ma anche l’arma formidabile degli approvvigionamenti energetici. Quei gasdotti che attraversano l’Ucraina per distribuire energia in Europa stanno a cuore non soltanto a Kiev ma all’intero continente. Un dettaglio che spiega, fra l’altro, la sensibile differenza fra la durissima reazione degli Stati Uniti alle mosse di Mosca e quella meno intransigente degli europei.

Il monumento del Soldato Sovietico a difesa di Sebastopoli durante la Seconda guerra mondiale. (Keystone)

Per il nuovo zar Putin la partita si gioca su molti tavoli. Non vuole assolutamente che un’Ucraina ostile avvicini ulteriormente al cuore della Russia l’influenza occidentale. Vuole tener lontana la frontiera della Nato, all’interno della quale già si trovano non soltanto gli ex alleati dell’Europa orientale ma perfino le repubbliche ex sovietiche del Baltico. Per questo ha assunto una posizione aggressiva nei confronti dei nuovi padroni di Kiev, ai quali rimprovera una deriva verso Occidente che ripropone, a suo dire, lo sbandamento filonazista di tanti ucraini durante l’oc-

cupazione tedesca. In tutto questo la Crimea è una comoda pedina, perché gli permette di affiancare al principio della tutela delle minoranze quello della capacità decisionale delle maggioranze. Inoltre intende mettere al riparo da ogni possibile insidia la base navale di Sebastopoli, essenziale oggi come sempre per la strategia planetaria di Mosca. Nel difendere gli interessi dei russi ovunque si trovino, Putin agita infine il vessillo dell’orgoglio nazionale. Dalle ceneri dell’impero sovietico il nazionalismo è riemerso anche a Mosca, è il

nuovo collante che ha sostituito quello sovietico, salvando nel collasso dell’Unione il suo nucleo gigantesco, quella Federazione russa che si estende dall’Europa fino al Pacifico. L’uomo del Cremlino sente come suo dovere storico proteggerne l’integrità affrontando le minacce periferiche, che si tratti di rivolte «interne» come quelle caucasiche o di fibrillazioni sulla soglia di casa come i fatti di Kiev. Quanto all’antico gioiello della corona imperiale, i turbinosi eventi ucraini aprono le porte al sogno: il ritorno della Crimea fra le braccia della santa madre Russia.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 marzo 2014 • N. 11

Politica e Economia

È l’addio al «Reset»

Federico Rampini va in scena

Usa-Russia La strategia del riposizionamento delle relazioni con Mosca inaugurata

da Obama e dalla Clinton ha subìto un grave colpo con l’annessione russa della Crimea Federico Rampini Hillary Clinton ha scatenato una bufera di polemiche, per aver paragonato Vladimir Putin a Hitler. L’analogia è parsa eccessiva soprattutto ad alcuni suoi compagni di partito, «colombe» di politica estera, che in questa fase sperano ancora che sia possibile una soluzione negoziata della crisi in Ucraina, nonostante l’annessione militare della Crimea alla Russia, «legittimata» (per così dire) dal voto-farsa del parlamentino della Crimea. I repubblicani gongolano: la Clinton dice ad alta voce quel che molti di loro pensano, ma vederla al centro di una controversia fa sempre piacere alla destra che considera Hillary come la più temibile candidata (per ora virtuale) alla Casa Bianca nel 2016. Di fatto, poi, la Clinton non è stata l’unica a usare il paragone con Hitler. Prima di lei lo ha fatto sul «Washington Post» un esperto di geostrategia come Zbigniew Brzezinski, democratico anche lui, che fu consigliere di sicurezza nazionale di Jimmy Carter dal 1977 al 1980. Brzezinski ha paragonato l’invasione russa della Crimea all’annessione che il dittatore nazista fece dei Sudeti nel 1938, seguita dall’occupazione della Cecoslovacchia nel 1939. Altri evocano paragoni altrettanto inquietanti con la guerra di Crimea del 1853-1856: allora ci volle una vasta alleanza tra l’Impero britannico, la Francia, l’Impero ottomano, e il Regno di Sardegna (Piemonte), per venire a capo dell’armata zarista…

L’America vara le prime sanzioni mentre l’Europa si defila provocando irritazione a Washington Ma l’uscita della Clinton è sintomatica per un’altra ragione. Quando fu segretario di Stato di Barack Obama, lei diede un contributo essenziale alla politica del «reset». Qualcuno ricorda ancora quel termine? Sembrano passati cent’anni… Il «reset», è il bottone che si schiaccia sul computer per azzerare quel che si sta facendo, rimettere i programmi di software al punto di partenza, insomma ricominciare tutto da capo. E «reset» fu il termine con cui Obama e il suo segretario di Stato all’inizio del 2009 lanciarono un’idea di ri-posizionamento nelle relazioni con la Russia. Per fare piazza pulita delle gravi incomprensioni del passato – c’era stata l’anno prima la guerra in Ge-

orgia – Obama voleva ripartire da una pagina bianca, provare a ricostruire un rapporto positivo. L’inizio fu promettente davvero. Ricordo ancora, perché fu uno dei miei primi viaggi al seguito di Obama, il vertice di Praga per il trattato Start 2, nuova tappa nel disarmo nucleare. Già, ma a Praga di fronte a Obama c’era Dmitri Medvedev, non Putin. Si era in quella fase in cui Putin aveva dovuto «fare una sosta» dopo due mandati presidenziali, si era fintamente rassegnato a una posizione di secondo piano, lasciando a Medvedev la presidenza. Grave abbaglio, quello di Obama. Credette, come peraltro molti leader occidentali e altrettanti esperti di geopolitica, che Medvedev fosse un leader vero. E l’aspetto modernizzatore, occidentalizzante, moderato di Medvedev piaceva molto agli americani, conquistati anche dal suo ottimo inglese. Non capirono che Medvedev era un burattino, che il potere restava nelle mani di Putin anche se momentaneamente traslocato nel suo ufficio di primo ministro. Putin peraltro se la legò a un dito, visse come un affronto personale quell’idillio diplomatico tra Obama e Medvedev. Covò risentimenti e voglie di rivincita. Il seguito lo si è visto, dalla Siria all’Ucraina. «Reset» addio. Il 2014 è iniziato in un copione sempre più simile alla Guerra fredda. Gli ultimi sviluppi sono pessimi. Putin esibisce la più gelida indifferenza alle vibrate proteste dell’Occidente. Prima si è annesso di fatto la Crimea dispiegando le risorse militari che aveva già in loco (in virtù di un accordo siglato all’epoca dell’indipendenza dell’Ucraina, dopo la dissoluzione dell’Unione sovietica, alla Russia è rimasta la base navale di Sebastopoli e quindi una robusta presenza militare). Ha deciso di far «richiedere» allo stesso parlamentino della Crimea l’aiuto russo, ripetendo anche in questo un copione collaudato durante la Guerra fredda: i carri armati sovietici entrarono a Budapest nel 1956 e a Praga nel 1968 sempre «rispondendo fraternamente» a una richiesta di aiuto da parte delle autorità locali, che ovviamente erano fantocci manovrati da Mosca. Obama non si rassegna. Ancora giovedì sera, in un colloquio tesissimo al telefono con Putin, per un’ora il presidente americano ha ribadito la sua posizione: l’annessione della Crimea è una grave violazione del diritto internazionale, la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina vanno rispettate, la crisi va risolta attraverso un dialogo diplomatico tra Kiev e Mosca, eventualmente con

la mediazione di altre organizzazioni multilaterali (Onu e Osce). Intanto l’America vara le sue prime sanzioni contro la Russia, cominciando dal congelamento dei visti che colpisce direttamente la cerchia di Putin. E sempre rispettando un copione già visto, l’Europa si defila, provocando irritazione a Washington. Ma la convocazione imminente di un G7 senza la Russia, annunciata dal Canada, viene accompagnata da voci secondo cui la Germania non è affatto d’accordo di abolire il G8 e relegare Mosca nell’isolamento di vent’anni fa. Il Pentagono da parte sua non drammatizza il test missilistico compiuto martedì scorso da Mosca: «Era previsto, ci avevano avvertiti in base alle regole del tratto Start». Ma dalla Casa Bianca traspare malumore anche su quello: se Putin avesse voluto dare un segnale distensivo, avrebbe cancellato quel lancio. Obama ha pronte anche le sanzioni successive: dopo il congelamento dei visti, può scattare il sequestro di conti bancari e altre proprietà che i capi della nomenclatura russa detengono negli Stati Uniti. Non è una misura simbolica: se il mercato immobiliare di Manhattan è di nuovo una bolla speculativa, lo si deve anche agli acquisti degli oligarchi russi, alcuni dei quali fanno parte della cerchia di Vladimir Putin. Al Congresso Usa crescono consensi bipartisan verso un’idea avanzata dal presidente della Camera John Boehner: «Obama acceleri le autorizzazioni per esportare gas naturale americano verso l’Europa». E già, questa sarebbe davvero una mossa efficace. Gli Usa traboccano di gas naturale, a costi irrisori rispetto a quello europeo, ma l’antica preoccupazione per l’autosufficienza energetica fa sì che il gas «made in Usa» non sia esportato. Un via libera alle vendite, ridurrebbe la capacità di ricatto che Putin ha in virtù delle sue forniture di energia all’Europa (Ucraina inclusa). Liberalizzare l’export di gas americano avrebbe conseguenze enormi sui rapporti di forze tra la Russia e i suoi «clienti». Tuttavia bisogna sapere che non si decidono queste cose in un istante. Il gas naturale abbonda negli Stati Uniti, a prezzi stracciati, ma per essere esportato in grandi quantità ha bisogno di nuove infrastrutture: impianti di liquefazione e rigassificazioni, terminali portuali, ecc. È possibile che tutto questo avvenga con un’accelerazione causata dall’aggressione russa in Crimea, ma gli effetti si vedranno tra qualche anno. Decisivo è il ruolo degli europei, nella partita delle sanzioni. Le relazioni economiche Usa-Russia sono modeste, appena 40 miliardi di interscambio al-

l’anno contro 460 miliardi fra Ue e Russia. Gli Stati Uniti non figurano neppure tra i primi dieci partner commerciali di Mosca. Se Obama dovesse andare avanti da solo con le sanzioni, rischierebbe di «regalare» il mercato russo agli europei danneggiando quelle multinazionali Usa che vi hanno interessi importanti come Exxon, Boeing, General Motors, Procter & Gamble. Per Obama le titubanze europee sulle sanzioni segnano il fallimento di un’altra strategia, quella che puntava proprio a delegare all’Ue un dossier regionale come quello ucraino. In una fase in cui vuole disimpegnarsi dal ruolo di gendarme del mondo per dedicarsi alle priorità domestiche (la scorsa settimana ha presentato una legge di bilancio con forti investimenti nella scuola e più tasse sui ricchi), Obama si era deciso a delegare agli europei certe missioni locali come l’ancoraggio dell’Ucraina all’Occidente. Ora la Casa Bianca constata che l’Ue procede con grande lentezza, almeno sulla partita delle sanzioni economiche contro la Russia. Il consiglio di Brzezinski: «Fornire armi all’esercito ucraino, e mettere la Nato in stato di allerta, se non vogliamo che le prossime prede di Putin siano Romania, Polonia e Paesi baltici». Altri ricordano però che di fronte all’invasione della Georgia nel 2008, perfino i falchi neoconservatori dell’Amministrazione Bush si limitarono a mosse simboliche. La U.S. Navy mandò una piccola flotta nell’area, solo per distribuire aiuti umanitari. Per ora il gesto più rapido di Obama è la richiesta di aiuti economici immediati a Kiev, che il Congresso ha approvato in tempi record: ma si tratta di un solo miliardo di dollari, mentre all’Ucraina ne servono venti volte tanti. Almeno su questo fronte la Ue sta facendo di più, da Bruxelles sono in arrivo 10 miliardi di euro per Kiev. Come gesti di forza, a Washington qualcuno invoca rappresaglie su altri fronti: la U.S Navy potrebbe preparare un embargo contro le navi russe che forniscono armi alla Siria. In tal modo Obama si prenderebbe una rivincita su un’altra partita strategica sulla quale Putin a suo tempo lo aveva beffato. Ma nessuno vuole davvero combattere un’altra guerra per la Crimea, in Occidente, dopo quella di 160 anni fa. Intanto Putin va avanti per la sua strada che prevede un referendum tra la popolazione crimeana. Anzi: un plebiscito. Mandando alle urne una popolazione etnicamente russa che invocherà l’annessione a Mosca, e le altre componenti etniche (ucraini di Crimea, Tatari) che andranno al voto con i fucili puntati addosso.

Teatro Una lezione

spettacolo su Occidente Estremo alla SUPSI

Il noto giornalista e scrittore italiano, attuale corrispondente dagli Stati Uniti, editorialista di «Repubblica» e nostro collaboratore da quando cominciò a seguire per la testata romana l’ascesa della Cina e il suo miracolo economico, torna a Lugano. Questa volta portando in scena il suo libro Occidente Estremo: frutto del suo nomadismo giornalistico che diventa spettacolo teatrale, dove racconta il Mito americano rivisitato in chiave autobiografica, attraverso le sue esperienze in California – terra di tutte le rivoluzioni sociali e tecnologiche – e a New York – cuore del capitalismo malato di Wall Street nel periodo della Grande Contrazione. È una riflessione sul declino (irreversibile?) degli Stati Uniti, risultato dell’ascesa dell’impero cinese e delle seduzioni che essa ha esercitato sull’Occidente. Ma è anche la riflessione su di noi, sul Continente Europa, periferia di un Occidente in declino che sta vivendo questo rovesciamento di rapporti di forze e di mondi, e sul futuro che ci aspetta e che va riscoperto con fiducia e speranza. Ma dove nasce l’esigenza di portare in scena il giornalismo? Perché raccontare di nuovo su un palcoscenico quanto già raccontato con la parola scritta su libri e giornali? Raccontare la crisi globale, spiega Rampini, è un’operazione complessa che ha bisogno di essere spiegata anche attraverso questa efficacissima tecnica comunicativa che è il teatro, altrimenti la sequestrano gli esperti, i tecnocrati che ci espropriano dal nostro futuro. Da questa idea di ridefinire i luoghi dell’apprendimento, nasce la serie di incontri organizzati dalla Formazione Continua del Dipartimento scienze aziendali e sociali (Palcoscienza) della SUPSI che esplorano nuove vie di formazione e di comunicazione, fra i quali, appunto la lezione-spettacolo di Rampini. La sua performance, che avrà luogo alla SUPSI di Trevano venerdì 21 marzo, sarà anche un originale intreccio di parole, musica e immagini. Le scelte musicali, da Gershwin a Ravel fino ad autori cinesi ignoti al pubblico, sono della direttrice d’orchestra Gianna Fratta (pianoforte) accanto alla quale saranno in scena anche il violinista Dino De Palma e la cantante Veronica Granatiero. La regia è affidata ad Antonio Patris e la produzione è di Marcello Corvino. Lo show di Federico Rampini sarà introdotto da Wilma Minoggio, direttrice DSAS e da Donato Ruggiero. Dove e quando

Il segretario di Stato americano John Kerry porta fiori e una candela per i morti di Kiev. (AFP)

Aula Magna SUPSI, Trevano, venerdì 21 marzo, ore 18.15. La partecipazione all’evento è gratuita. Al termine verrà offerto un aperitivo. È richiesta la prenotazione entro il 18 marzo all’indirizzo: www.supsi.ch/go/palcoscienza


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 marzo 2014 • N. 11

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Politica e Economia

L’ultima invasione di Mosca Dall’Ungheria alla Georgia La violazione russa del diritto

internazionale in Crimea è un evento molto differente per contesto e condizioni dai passati interventi militari in Paesi satelliti Astrit Dakli Guidato dall’Amministrazione statunitense, a sua volta incalzata e sospinta in questa direzione dalla destra repubblicana che vi vede l’occasione propizia per mettere in difficoltà Barack Obama, tutto lo schieramento governativo e mediatico dell’Occidente sta raggiungendo in questi giorni livelli di vera e propria isteria anti-russa, come non si vedevano da 35 anni almeno a questa parte – dai giorni cioè dell’invasione sovietica dell’Afghanistan. Lo schieramento in Crimea di forze armate chiaramente, anche se non esplicitamente, facenti capo al Cremlino, in contrapposizione con i nuovi dirigenti nazionali ucraini arrivati al potere con la «rivoluzione» di fine febbraio, ha provocato una reazione furibonda negli Stati Uniti; molto meno accesa in Europa, dove però la pressione di Washington si è fatta comunque sentire. E questo nonostante il fatto che, oggettivamente, la violazione del diritto internazionale compiuta da Mosca in Crimea sia di gran lunga più modesta e incruenta di quella compiuta dagli stessi Usa e dai loro alleati nel 2003 invadendo l’Iraq. Ma tant’è, sessant’anni di propaganda – e di crisi – alimentati dalla Guerra fredda non sono passati invano e tuttora quando un soldato russo si muove fuori dai confini nazionali, le ombre di Budapest, di Praga, di Kabul tornano a rendere difficile mantenersi freddi e oggettivi nel giudizio. In realtà, le vicende del passato e quelle odierne sono davvero assai diverse. Tanto per incominciare, è diversa la scala con cui si presentano: bisogna ricordare che nel 1956 in Ungheria e poi di nuovo nel 1968 in Cecoslovacchia i sovietici intervennero con un esercito

enorme. A Budapest si presentarono in quel 4 novembre oltre duecentomila soldati sovietici con 4000 tank; a Praga dodici anni dopo un’armata quasi doppia, nella quale alle forze dell’Urss si unirono anche grossi contingenti di altri paesi comunisti europei, tedescoorientali, polacchi, magiari. Non parliamo poi dell’Afghanistan, dove le truppe sovietiche impegnate ammontarono, nell’arco di dieci anni (1979-1989) a oltre seicentomila uomini, dai circa 50mila che costituivano il primo contingente spedito a Kabul. In Crimea, almeno finora, si sono viste all’opera poche centinaia di soldati ed è difficile capire quanti di questi siano effettivamente parte delle forze armate russe già stanziate in Crimea nella base navale di Sebastopoli e quanti siano invece membri delle milizie locali, in una regione dove i sentimenti pro-moscoviti sono largamente dominanti sia tra la popolazione sia a livello di autorità autonome territoriali. Molto diversa anche la scala delle conseguenze umane di quelle invasioni: quasi tremilacinquecento morti in Ungheria, con decine di migliaia di feriti; niente vittime ma centinaia di migliaia di esuli in Cecoslovacchia, dove venne annientato un coraggioso e popolarissimo progetto di rinnovamento politico e sociale; un’ecatombe in Afghanistan, dove si contarono (ma le stime variano molto) oltre un milione di civili uccisi, a fianco di 90mila mujaheddin afghani e a forse 45mila morti tra soldati sovietici e regolari afghani schierati al loro fianco. In Crimea fino a questo momento e sperabilmente anche in futuro l’intervento russo è incruento. A parte questo, non si può non vedere un’altra fondamentale differenza: in tutte le occasioni citate l’intervento

venne diretto contro popolazioni civili ribelli all’autorità del Cremlino, mentre oggi in Crimea la popolazione civile appare favorevole all’azione russa, che anzi vi trova la sua giustificazione essenziale – anche se ovviamente la verità storica potrebbe in futuro raccontare cose diverse, visto che oggi tutto viene avvolto da ondate di propaganda contrapposta che rendono difficile capire esattamente cosa succede. Come che sia, l’intervento delle forze russe è esplicitamente mirato a contrapporsi ad eventuali azioni militari ucraine, dunque si pone su un piano diverso rispetto al passato. Una qualche analogia si potrebbe piuttosto trovare rispetto al più recente intervento militare di Mosca fuori dai propri confini, cioè la guerra con la Georgia del 2008. Anche in quel caso infatti l’azione russa fu condotta contro un altro esercito – che tra l’altro aveva anche compiuto la stupidaggine di attaccare per primo, confidando probabilmente in un intervento americano in proprio favore – e con la motivazione fondamentale di difendere cittadini russi minacciati; e anche in quel caso il risultato immediato dell’operazione fu di mettere le due regioni secessioniste della Georgia, la Sud Ossezia e l’Abkhazia, in condizione di proclamare la propria indipendenza sotto la tutela delle armi russe, diventando de facto dei protettorati di Mosca. Che è quello che ci si aspetta succeda ora in Crimea, anche se il presidente russo Vladimir Putin ha esplicitamente negato che Mosca voglia favorire la secessione, o a maggior ragione voglia annettere la penisola. Chiaro comunque che verba volant, e domani Putin potrebbe agevolmente trovare pretesti per gettare alle ortiche il suo impegno. In effetti, quello che sembra oggi

Il presidente russo Vladimir Putin. (Keystone)

chiaro è che l’operazione Crimea per Putin non è fine a se stessa ma mira a un bersaglio più complesso e difficile, rappresentato dall’assetto del potere a Kiev. La Russia non ha riconosciuto – né poteva farlo – l’esito della rivoluzione armata che alla fine di febbraio ha rovesciato il presidente ucraino Yanukovic: per Mosca (Putin lo ha detto a chiare lettere) si è trattato di un golpe inaccettabile, condotto sotto la spinta di «gruppi neonazisti», che ha reso l’intera situazione ucraina «illegale» togliendo ogni valore anche ai patti e ai trattati che legano i due Paesi e che regolano la convivenza civile tra i diversi gruppi nazionali all’interno dell’Ucraina. Staccare la Crimea dal resto dell’Ucraina è per Putin un modo per far capire a Kiev – e all’Occidente che sostiene acriticamente il nuovo regime – che un compromesso diverso può e deve essere trovato a tutti i costi: un esito in cui una

parte vince tutto non sarà accettato. Intanto, però, una trattativa diretta fra il nuovo potere ucraino e il governo russo sembra estremamente ardua, proprio per la reciproca sfiducia – quando non aperta ostilità – fra le due parti, convinti come sono i russi di trovarsi di fronte a una gang di fascisti xenofobi desiderosi solo di schierare truppe occidentali sui confini con la Russia, e gli ucraini di aver a che fare con il vecchio orso russo di sempre, pronto a schiacciarli con i carri armati per imporre il comunismo o qualcosa del genere. Toccherebbe proprio agli Stati Uniti e all’Occidente il ruolo di pazienti e convincenti mediatori in questo conflitto, capaci di mostrarsi al di sopra delle parti e soprattutto senza essere rozzamente protesi a conquistare posizioni. Purtroppo non sembra che questa sia la scelta che nelle cancellerie occidentali va per la maggiore.

Tempo di marzo per Hollande Francia È il primo grande appuntamento elettorale nazionale dopo le legislative del 2012 e un test importante

per verificare la perdita di consensi popolari delle forze politiche al governo Marzio Rigonalli Fra due settimane i francesi tornano alle urne per scegliere le autorità comunali. È il primo grande appuntamento elettorale con valenza nazionale, dopo quello delle legislative del giugno 2012. Ed è anche la prima grande prova di verità per il presidente Hollande e la sua maggioranza. Di solito, le elezioni locali e regionali che avvengono durante un mandato presidenziale, si concludono con un risultato negativo per le forze politiche che sono al governo. Sono una sorta di sanzione nei confronti di chi è al potere, uno sfogo che esprime delusione, o per lo meno insoddisfazione per il modo in cui il paese vien governato. I sondaggi indicano che sarà così anche questa volta. Il dubbio, prevale soltanto riguardo all’ampiezza di quella che ormai quasi tutti gli osservatori chiamano la sconfitta socialista. Sarà contenuta entro limiti ancora difendibili o si rivelerà una vera batosta? È l’interrogativo intorno al quale ruotano le riflessioni preelettorali. La lista dei problemi irrisolti e delle situazioni sfavorevoli per il presidente ed il suo governo è lunga. Va dalla crisi economica che è ancora lontana dall’essere risolta alle promesse non mantenute da Hollande; dalla scarsa fiducia che i francesi ripongono nel loro presidente all’assenza di obiettivi ben definiti e di

chiari percorsi necessari per raggiungerli; dalla debolezza dell’esecutivo alle divisioni sorte all’interno della sinistra. La crescita economica stenta ad arrivare: sarà di pochi punti decimali nel 2014 e ancora ben timida nel 2015. Il deficit pubblico non è rientrato entro i limiti annunciati, che prevedevano il 3% del Pil nel 2015; la Commissione europea calcola un 4% quest’anno ed un 3,9% nel 2015. La disoccupazione continua ad aumentare, nonostante la promessa di Hollande di invertire la tendenza entro la fine del 2013. Una promessa non mantenuta, che ha provocato nei francesi un’altalena di perplessità

e di commenti ironici sulle capacità del presidente a governare. Hollande cerca ora di porvi rimedio con il tanto declamato «patto di responsabilità». Annunciato nella conferenza stampa di metà gennaio, il patto prevede la riduzione di 30 miliardi di euro del carico fiscale delle imprese, che come contropartita dovranno creare nuovi posti di lavoro. Questo è il principio, che deve però ancora essere negoziato tra le parti sociali e che, quindi, non porterà risultati positivi in tempi brevi. Una prima riunione tra imprenditori e sindacati si è svolta una settimana fa. Nel patto è stata vista una svolta socialdemocratica voluta da Hollande, un passo ben accolto da una parte della destra, ma criticato dalle forze politiche a sinistra del partito socialista, che l’hanno giudicato un regalo fatto agli imprenditori. Anche la pressione fiscale sulle persone rimane alta. La maggior parte dei francesi è esasperata ed intrattiene un rapporto teso con la politica e la pubblica amministrazione. Per di più, il governo di Jean-Marc Ayrault non dà l’impressione di essere all’altezza della situazione. Il primo ministro non è certo una persona energica e decisa. La sua azione non è sempre lineare e non vien debitamente confortata dai suoi ministri. Per esempio, vi sono stati progetti di legge, come la legge sulla famiglia, presentati in parlamento e poi ritirati, in

seguito ad una manifestazione pubblica. Oppure vi sono ministri che hanno rilasciato dichiarazioni contraddittorie sullo stesso argomento ed altri che sono andati ancora più in là, come l’ecologista Cécile Duflot, che non ha esitato a criticare pubblicamente la politica economica ed ambientale dell’esecutivo. Al centro di questo contesto, fatto di pochi risultati positivi e di altrettanta poca fiducia dei cittadini nei loro governanti, si erge la figura di Hollande. Il presidente ha raggiunto qualche successo in politica estera, in particolare in Africa, ma sul piano interno attraversa un momento veramente difficile. Un po’ per la sua azione politica, giudicata debole e senza progettualità, un po’ per le storie legate alla sua vita privata, l’inquilino dell’Eliseo è diventato il presidente meno popolare della V Repubblica. Secondo l’ultimo sondaggio di febbraio, soltanto il 19% dei francesi gli esprime ancora la propria fiducia e tra questi soltanto il 49% dei simpatizzanti socialisti. Il partito socialista vanta una forte presenza locale. Dirige più della metà dei comuni con più di 9000 abitanti e due terzi delle città con più di 100’000 abitanti. Una bella fetta di potere, che subirà la prova delle urne il 23 ed il 30 marzo. In vari casi verrà premiato il lavoro svolto localmente, ma in tanti altri prevarranno valutazioni di carattere più generale, condizionate dalla situa-

zione economica e politica nazionale. La destra è molto attiva. L’UMP (Union pour un mouvement populaire), nonostante l’esistenza al suo interno di vecchi e nuovi problemi, tenta di riconquistare un po’ di potere, utile per affrontare le prossime scadenze elettorali. Il Fronte nazionale cerca di allargare il suo consenso a livello locale e molti lo vedono già come il principale vincitore. Il confronto più vivace avviene nelle grandi città, in particolare a Parigi ed a Marsiglia. Per la prima volta nella sua storia, la capitale avrà una donna come sindaco: la socialista Anne Hidalgo, braccio destro del sindaco uscente Bertrand Delanoé, affronta Nathalie Kosciusko-Morizet, UMP, ex ministro dell’ambiente del governo Fillon. A Marsiglia, i socialisti cercano d’impedire a Jean-Claude Gaudin, UMP, di farsi eleggere sindaco per la quarta volta consecutiva. Il verdetto che emergerà la sera del secondo turno sarà seguito, due mesi dopo, da un altro verdetto, quello delle elezioni europee. Un’altra prova che s’annuncia difficile per Hollande ed il suo governo. Come reagirà il presidente? Con un rimpasto di governo subito dopo le comunali? Oppure Hollande aspetterà l’esito delle europee prima di decidere? La sua scelta sarà probabilmente determinata dai numeri che emergeranno alla fine marzo.


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Politica e Economia

Avenir Suisse tenta la quadratura del cerchio CH-UE Il think tank liberale propone di conciliare la limitazione dell’immigrazione con la libera circolazione

delle persone attraverso un modello che prevede un’autoregolazione dell’economia Ignazio Bonoli La messa in atto dell’iniziativa contro l’immigrazione di massa – accettata di misura dal popolo svizzero lo scorso 9 febbraio – sta suscitando animate discussioni in Europa, ma soprattutto in Svizzera. Il 1. marzo il consigliere federale Schneider-Ammann ha incontrato a Berna una trentina di rappresentanti dell’economia. Della massima importanza per l’economia – è stato ribadito – è il salvataggio degli accordi bilaterali con l’Unione europea. Ora, di fronte alle posizioni molto rigide dell’Europa, conciliare questo salvataggio con una corretta applicazione dell’iniziativa è praticamente impossibile. Bisognerà quindi vedere in che misura le due parti in campo sarano disposte a compiere passi di avvicinamento fra le opposte tesi. In sostanza – ha riassunto Schneider-Ammann – la concretizzazione dell’iniziativa dovrà essere tanto vicina al principio della libera circolazione delle persone da riuscire a salvare il primo pacchetto di accordi bilaterali. Vi è però anche un pericolo interno, finora solo accennato, e cioè quello di costringere i vari settori dell’economia a lottare l’uno contro l’altro per accaparrarsi il massimo possibile dei contingenti di mano d’opera estera che saranno ancora a disposizione. Lo scontro è latente non solo fra coloro che vorrebbero un massimo di personale qualificato, in provenienza tanto dall’UE quanto da Stati terzi, e coloro che invece vogliono personale non accademico proveniente dai Paesi dell’UE. A tutti preoccupa molto il fatto che l’iniziativa proponga il contingentamento anche dei frontalieri: dall’industria farmaceutica di Basilea, a quella orologiera del Giura, a intere regioni come il canton Ti-

Sono «intrecciabili» le diverse posizioni sull’immigrazione? Johann Schneider-Ammann ci prova, anche figurativamente, qui alla MUBA di Basilea. (Keystone)

cino o l’arco lemanico. Una soluzione di questo problema, focalizzato in precise zone di confine, potrebbe essere quella di lasciare ai cantoni la competenza del probabile contingentamento. Su queste discussioni è venuta a innestarsi la proposta del think tank dell’economia Avenir Suisse, resa nota proprio alla vigilia dell’incontro di Berna. Secondo questo studio, la Svizzera dovrebbe fissare un «tetto globale» decennale di immigrazione consentita e anche di popolazione totale. Il grosso vantaggio di questa soluzione starebbe nel costringere l’economia ad adeguarsi a rigidi contingenti settoriali o regionali, ma la indurrebbe a collaborare al contenimento della mano d’opera estera tramite l’autoregolamentazione.

A prima vista l’idea sembrerebbe non distanziarsi da altre proposte che sono già state definite incompatibili con l’iniziativa. Avenir Suisse precisa però quali devono essere gli elementi costitutivi del progetto. Sarà infatti comunque necessario fissare limiti massimi entro i quali ci si possa muovere e che potranno quindi fungere da stimolo a un comportamento che si avvicini allo scopo di ridurre l’immigrazione. La stessa iniziativa dà tempo fino al 2016 per realizzare i suoi presupposti. A partire da questa data verrebbe quindi fissato un tetto globale d’immigrazione (per esempio 55’000 persone) e di popolazione (per esempio 9 milioni). La cifra sarebbe inferiore a quella media del periodo 2007-2013 che era di

75’000 immigrati netti. Nei primi cinque anni non ci saranno contingenti e ci sarebbe la libera circolazione delle persone. Se dopo cinque anni l’obiettivo fosse superato, il sistema dei contingenti entrerebbe automaticamente in funzione. Questa «minaccia» dopo cinque anni dovrebbe indurre l’economia ad autoregolarsi. A livello di azienda si agirebbe su coloro che hanno assunto più mano d’opera estera. Le associazioni economiche e le autorità politiche dovrebbero agire di comune accordo, per esempio con una tassa per ogni nuova assunzione di straniero. Il ricavato verrebbe usato per una migliore utilizzazione della riserva di mano d’opera indigena (per esempio donne e anziani). Altre misure potreb-

bero essere il ricorso a mano d’opera esterna ai Paesi UE e il non favorire (per esempio fiscalmente) l’arrivo di nuove aziende. Dopo dieci anni la situazione dovrebbe essere migliorata nel senso voluto dall’iniziativa e – si spera – accettato dall’UE. Il tentativo di Avenir Suisse di una «quadratura del cerchio» è senz’altro interessante, ma presenta alcuni punti deboli e parecchie incognite. Intanto non rispetta, in senso stretto, il testo dell’iniziativa, che esige l’introduzione di contingenti. Quindi è in contraddizione con la libera circolazione delle persone e l’UE potrebbe vedervi una discriminazione degli stranieri. Il punto più debole è proprio nell’incompleto allontanamento dal sistema dei contingenti (solo per cinque anni). È lecito anche chiedersi se la minaccia di sanzioni sia un incentivo sufficiente per riportare l’immigrazione entro limiti accettabili. Resta poi da vedere se la tassa per ogni assunzione di uno straniero possa essere considerata compatibile con la libera circolazione delle persone. D’altro canto però questa tassa potrebbe rispondere alla richiesta dell’iniziativa di dare la priorità alla mano d’opera svizzera, comunque senza sciogliere il dubbio di una discriminazione. A coloro che hanno subito giudicato la proposta «poco compatibile con l’iniziativa» oppure «illusoria quanto all’autoregolazione dell’economia» si può far notare che i due concetti a confronto (contingenti contro libera circolazione delle persone) sono così lontani da chiedere notevoli passi di avvicinamento per evitare una completa rottura. Ogni idea in questa direzione è benvenuta, tanto per i negoziatori svizzeri a livello diplomatico, quanto per il gruppo di lavoro che si sta costituendo a Berna.

Meglio il 2° o il 3° pilastro?

Lo stipendio aumenta con l’età

La consulenza della Banca Migros

Stipendio lordo in franchi

Daniel Lang Vorrei migliorare la mia previdenza per la vecchiaia. Che cosa mi consiglia: devo versare il denaro nella cassa pensioni o nel terzo pilastro?

Responsabile Product Management della Banca Migros

Qui sono in ballo grosse somme: ogni anno i lavoratori svizzeri versano volontariamente quattro miliardi di franchi nella propria cassa pensioni. E addirittura sei miliardi nel pilastro 3a. La decisione di quale sia, per lei personalmente, il pilastro previdenziale più opportuno dipende da diversi fattori. Mi limito dunque a una regola d’oro di carattere generale: per i più giovani il pilastro 3a offre più vantaggi. Il riscatto nella cassa pensioni è indicato di solito a partire da 50-55 anni circa. Per entrambi i pilastri vale comunque il principio che, effettuando un versamento regolare, prima di tutto impedite difficoltà finanziarie dopo il pensionamento. In secondo luogo beneficiate di interessanti agevolazioni fiscali, poiché potete dedurre il versamento dal reddito imponibile. Con un’aliquota fiscale marginale del 20 percento un versamento di 5000 franchi riduce l’onere fiscale di 1000 franchi. Anche i proventi degli investimenti nel secondo e terzo pilastro sono esenti da imposte. D’altro canto il capitale è vincolato: indipen-

dentemente da poche eccezioni, come l’acquisto di una proprietà abitativa, è possibile attingere ad esso solo dopo il pensionamento.

Rimandare il riscatto nella cassa pensioni Che cosa distingue i due pilastri previdenziali? Per il pilastro 3a la possibilità di versamento vale solo per l’anno in corso e, una volta mancata, non può più essere recuperata. I riscatti nella cassa pensioni, invece, possono essere distribuiti in modo flessibile. Di conseguenza, se investe regolarmente nel terzo pilastro quando è più giovane, a partire dai 50 anni le rimane comunque l’opzione di aumentare il suo capitale nella cassa pensioni. Di solito lo stipendio sale con l’età (v. grafico), quindi ottiene un maggiore vantaggio fiscale se aspetta un po’ ad aumentare il secondo pilastro. Il momento più favorevole è inoltre quando i figli diventano maggiorenni e la deduzione per i figli nella dichiarazione fiscale viene meno. A seconda dei cantoni, va dai 5000 ai 10’000 franchi per figlio. Con l’acquisto nella cassa

0 Meno 20 - 29 30 - 39 40 - 49 di 20 anni anni anni anni Stipendio medio annuo di diverse categorie di età.

50 - 65 anni

Fonte: Ufficio federale di statistica

pensioni queste penalizzazioni possono essere compensate. In ogni caso consiglio una pianificazione accurata: invece di versare una somma elevata un anno e niente dopo, gli importi dovrebbero essere

distribuiti regolarmente per interrompere la progressione fiscale. Con un po’ di abilità, quindi, non solo aumenta il cuscinetto di sicurezza per gli anni della pensione, ma risparmia anche migliaia di franchi di tasse.


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Politica e Economia Rubriche

Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Un moltiplicatore regionale? La teoria del federalismo fiscale afferma che vi sono indubbi vantaggi economici a decentralizzare la produzione di servizi pubblici. Quanto alla dimensione dell’unità di produzione locale questa potrebbe variare da servizio a servizio in funzione delle caratteristiche della domanda. Ovviamente, poiché non è possibile costituire delle unità amministrative di grandezza diversa per ciascun servizio, in pratica la dimensione ideale delle unità locali sarà un compromesso tra le esigenze che può manifestare ciascun servizio. Ciò nonostante non è solo auspicabile, ma capita realmente che, anche quando i comuni offrono i medesimi servizi, la qualità dell’insieme di servizi offerti da un comune sia abbastanza diversa da quella dei servizi offerti da un altro comune. In America, in Gran Bretagna, ma anche in alcuni cantoni svizzeri le differenze di qualità maggiori nell’of-

ferta dei servizi comunali si ritrovano in ambito scolastico. In Ticino non sembrerebbe che l’offerta di servizi scolastici sia molto diversa da un comune all’altro, almeno per il momento. Forse anche perché di fatto i comuni non offrono che l’asilo e la scuola elementare. Inoltre, la chiusura di molte scuole elementari in località discoste ha probabilmente fatto sì che le differenze qualitative in materia di formazione scolastica siano diminuite. Non sembra d’altronde che l’offerta di altri servizi susciti in Ticino preferenze marcate per un comune (o un tipo di comune) o l’altro. L’eccezione alla regola potrebbe essere costituita dalla disponibilità di aree edificabili con tassi di occupazione bassi. Ma questo è un discorso che faremo un’altra volta. È forse per questo che da noi, piuttosto che dalla qualità dei servizi che offre, l’attrattiva di un comune dipende dal loro costo per il con-

tribuente. Per le caratteristiche del nostro sistema di finanziamento della spesa comunale, questo costo viene misurato, in modo sintetico, dal moltiplicatore d’imposta. Comuni con moltiplicatori d’imposta bassi sono così più attrattivi di comuni con moltiplicatore d’imposta elevati. A titolo di esempio possiamo comparare la situazione di Chiasso con quella di Mendrisio. Siccome le due cittadine si trovano nella medesima regione è pensabile che come luoghi di residenza le stesse siano in concorrenza. Nel 2009, ultimo anno per il quale disponiamo di dati, Chiasso aveva un moltiplicatore dell’85 e Mendrisio uno del 70%. Mendrisio dovrebbe quindi essere, come luogo di residenza, più attrattivo di Chiasso. Se un comune è attrattivo è probabile che la sua popolazione sia stabile, ossia che la quota di abitanti che risiedono nel comune da molti anni sia elevata. La quota

di popolazione stabile dovrebbe essere a Mendrisio più elevata che a Chiasso. Di fatto a Chiasso la popolazione che risiede da più di 5 anni era, nel 2010, pari al 44,9%; a Mendrisio, invece, era vicina al 60%. Penso che siano costatazioni di questo tipo che motivano coloro che, da qualche tempo, argomentano in favore di un moltiplicatore d’imposta regionale. Se, infatti, le differenze nel moltiplicatore giocano un ruolo determinante nella scelta del comune di residenza e, di fatto, creano differenze significative nel grado di stabilità della popolazione, eliminando le stesse si dovrebbe conseguire un rallentamento, se non addirittura un annullamento della propensione ad emigrare da un comune all’altro, all’interno di una data regione. Una possibile alternativa al moltiplicatore regionale è naturalmente l’aggregazione. Infatti, se i comuni di una data regione, attraverso l’aggregazione, fos-

sero ridotti da 10 a 1, invece di 10 moltiplicatori d’imposta ce ne sarebbe solo uno. Personalmente reputo che la proposta del moltiplicatore regionale sia da respingere soprattutto perché annienterebbe l’autonomia comunale. Indipendentemente dall’ente al quale spetterebbe di fissare il moltiplicatore (Cantone o consorzio dei comuni della regione) è evidente che questa decisione sarebbe presa fuori dai consessi che oggi sono delegati a gestire il comune, con poche possibilità per gli elettori dei singoli comuni di potersi pronunciare sul peso fiscale che sarebbero chiamati a sopportare. La competizione per il moltiplicatore più basso non cesserebbe. Si sposterebbe solo dal livello comunale al livello regionale. Con il grosso pericolo che, alla fine, regioni finanziariamente deboli trovino la strada per addossare al Cantone ancora maggiori oneri di quanto non debba già sopportare.

era l’emblema dell’interventismo liberal, quello degli anni Novanta, regime change in nome dei diritti dei popoli, nonché l’autrice di uno dei più documentati libri sui genocidi e sulla tendenza dell’Occidente a ignorarli (si intitola A Problem from Hell, è bellissimo). Sembrava che quell’idealismo, depurato dalla tossicità del bushismo, fosse tornato alla Casa Bianca. Sappiamo che non è andata così, ma quel che non si sa è che l’ambizione idealista è stata abbassata anche in contesti che parevano, per i democratici tornati al potere dopo le guerre dei repubblicani e il loro unilateralismo, decisivi. Prendiamo la Corte internazionale all’Aia, per la cui creazione la stessa Power fece grandi pressioni: quando nel 2002 l’Amministrazione Bush decise di tirarsi fuori da quel circuito di giustizia internazionale ci fu una rivolta capitanata dai democratici contro quell’atto di unilateralismo controproducente. Durante la crisi libica la dedizione alla giustizia internazionale ha iniziato a traballare (ora è quasi scomparsa). David Bosco ha ricostruito, su «Foreign Policy», quelle

settimane del marzo del 2011 quando si stava mettendo a punto l’intervento militare contro Gheddafi ma si valutava anche la possibilità di garantire l’esilio al rais di Tripoli. Si mise in mezzo la Corte internazionale, che invece voleva spiccare un mandato di cattura per Gheddafi, finché un giorno, il capo dei procuratori della Corte, l’argentino Luis MorenoOcampo, ricevette una telefonata proprio dalla Power. Power e Moreno-Ocampo si conoscevano bene, avevano lavorato assieme su molti dossier, lui era persino andato al matrimonio di lei in Irlanda. Ma in quella telefonata la Power voleva dirgli di andare piano con le accuse a Gheddafi, che avrebbero potuto inficiare tutto il costrutto militare che stava predisponendo a Washington. Ovviamente non ci sono dettagli di quella telefonata, e lo stesso MorenoOcampo non ha voluto commentare l’incidente, ma molti dei suoi hanno detto che aveva subito pressioni e che ne era uscito frustrato. E a oggi nessuna delle persone ricercate dalla Corte è stata consegnata e gli Stati

Uniti hanno smesso di far pressioni sul governo libico perché ci sia il passaggio alla Corte (i libici vogliono gestire da sé il processo, e soprattutto l’esecuzione). La stessa freddezza si è riproposta nel caso della Siria: molti Stati, compresi nove membri del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, hanno chiesto alla Corte internazionale di aprire un’inchiesta (la Siria non fa parte della Corte). Ma l’Amministrazione Obama non si è mai eccitata all’idea. In un discorso intenso del 2013, in cui la Power spiegava e giustificava la decisione di Obama di intervenire contro il regime di Assad, l’ambasciatrice precisò l’inefficacia della giustizia internazionale: «Che cosa può fare la Corte internazionale, anche se Russia e Cina fossero d’accordo? Può un processo legale influenzare i calcoli di Assad e di chi ha ordinato gli attacchi chimici?». La risposta era no, ed era il motivo per cui Bush si ritirò dalla Corte. E poi, come si sa, nemmeno l’America di Obama e della Power è riuscita a influenzare i calcoli chimici di Assad.

sarebbe probabilmente scaduto a sagra nazional-popolare, a manifestazione priva di guizzi originali. La ricorrenza, come si ricorderà, non aveva ottenuto l’appoggio dei cantoni della Svizzera centrale; inoltre tanti intellettuali influenti avevano negato la loro collaborazione, scossi dallo scandalo delle schedature («Kulturboykott»). Solo il contributo fattivo della minoranza ticinese riuscì a salvare l’anniversario dal naufragio. Altro esempio: la nomina di Giuseppe Motta a Consigliere federale sullo scorcio del 1911. Allora nelle vene del Ticino e dei ticinesi scorreva sangue amaro. Il cantone languiva, fra promesse non mantenute e atteggiamenti di sufficienza da parte degli «orsi bernesi». Dopo la partenza, nel 1864, di Giovan Battista Pioda, divenuto ministro plenipotenziario a Torino, nessun italofono a Berna aveva preso il suo posto. Fino, appunto, al dicembre del

1911: una vacanza durata quasi mezzo secolo. Alcuni, come il radicale Emilio Bossi, detto Milesbo, giunse a chiedersi «se valesse la pena ancora rimanere svizzeri», talmente diffuso era lo sconforto. L’elezione di Motta spense le intemperanze e i propositi di secessione. Defunto l’airolese, nel 1940, l’assemblea federale provvide a sostituirlo subito con un altro ticinese, Enrico Celio, nativo di Ambrì. Oltre i confini nazionali la guerra imperversava, la Confederazione doveva rimanere coesa, non mostrare né crepe né segni di cedimento. Oggi, per fortuna, l’atmosfera è diversa, non siamo più sotto una spada di Damocle. Eppure c’è scollamento, incomprensione tra i poteri, e un regionalismo che assomiglia ad un conglomerato di compartimenti stagni. Una riforma del Consiglio federale nella direzione indicata da Kessler potrebbe contribuire a raddrizzare la barca.

Affari Esteri di Paola Peduzzi Dov’è finito l’idealismo? L’idealismo in politica estera ha abbandonato la Casa Bianca, e questo è evidente, ma quel che è più grave è che ha abbandonato anche gli idealisti. C’è una figura, nell’Amministrazione americana, che incarna questo passaggio: Samantha Power. È una figura riconoscibile, ha i capelli lunghi e rossi, gli occhi chiari, le lentiggini, sembra non invecchiare mai, mantiene quell’espressione da ragazzina competente che aveva quando faceva la giornalista, nella Jugoslavia in guerra, negli anni Novanta. Ora la Power è l’ambasciatrice degli Stati Uniti all’Onu, in questi giorni ha persino alzato la voce con i russi, in una sessione del Consiglio di sicurezza, in maniera tanto sorprendente quanto inefficace. Prima di arrivare all’Onu, la Power è stata consigliera di Obama, ha lavorato al Consiglio per la sicurezza della Casa Bianca ed è diventata famosa come una delle tre «valchirie» che hanno convinto il presidente ad andare a cacciare Gheddafi dalla Libia. Le altre due erano Susan Rice, amica della Power e idealista non di nascita (dice di essere stata segnata dalla non

comprensione del genocidio ruandese), e Hillary Clinton, allora al dipartimento di Stato, interventista cauta. La Power spiccava nel gruppo non soltanto perché la sua presenza dimostrava la riappacificazione con la Clinton, che aveva gentilmente definito «un mostro», ma anche perché lei

Samantha Power, ambasciatrice Onu.

Cantoni e Spigoli di Orazio Martinetti È tempo di allargare il governo Ritroviamo, nel supplemento illustrato del «Tages-Anzeiger» («Das Magazin n. 8»), una vecchia, anzi ormai antica proposta: quella di portare i consiglieri federali da sette a nove. Firma l’articolo Thomas Kessler, responsabile della sezione urbanistica di Basilea-città. Argomenta l’autore che per «meglio tener conto del paesaggio partitico e della Svizzera latina occorre aumentare il numero dei ministri e dei Dipartimenti da sette a nove, affinché la Romandia abbia sempre tre esponenti e la Svizzera italiana almeno uno. Un nuovo, importante Dipartimento sarà quello dedicato alla formazione, alla ricerca e all’innovazione, le basi del nostro benessere». Finora l’idea, come i lettori ricorderanno, è sempre stata bocciata, l’ultima volta non molto tempo fa. L’edificio del governo centrale – eretto nel 1848 – sembra davvero intangibile. Anche la contro-proposta di integrare la compagine con funzionari d’alto rango, in so-

stanza con dei sottosegretari, non ha avuto fortuna. Ma ora, dopo il voto del 9 febbraio e il riemergere di inquietanti faglie sulla superficie elvetica, forse la riforma può ottenere le gambe che le sono necessarie per camminare. La Svizzera italiana, il Ticino in particolare, non ha più rappresentanti nell’esecutivo federale dal 1999, anno della partenza di Flavio Cotti. L’assenza, agli inizi non reputata grave o preoccupante, si è col tempo trasformata in scarsa conoscenza reciproca, in indifferenza e in estraneità. Difficile dire dove stiano torti e ragioni, se più a Berna o più a Bellinzona. Fatto sta che le due culture politiche si sono allontanate l’una dall’altra come due blocchi di ghiaccio staccatisi dalla banchisa. Quella ticinese è addirittura caduta nel vortice del rivendicazionismo petulante e scarsamente documentato. Risultato: una perdita di credibilità che non ha certamente giovato alla causa.

Spesso si sostiene che la presenza di un «Bundesrat» italofono non generi quegli effetti benefici che generalmente tutti si attendono nel cantone d’origine. Vero, perché il suo compito non sta nel farsi portavoce di una parte (un cantone, una regione linguistica, una determinata corporazione), ma nel difendere gli interessi dell’intero Paese. Con il linguaggio di Rousseau, si potrebbe dire che il «saggio» che siede nell’esecutivo federale si pone come interprete supremo della «volontà generale», ne è filtro e mediatore. Tuttavia la storia ci dice anche che una fiammella «regionalistica», diciamo così, rimane sempre accesa. Sapere che nella capitale c’è qualcuno che ti ascolta è confortante. Facciamo un esempio: i festeggiamenti per i settecento anni della Confederazione, 1991. Senza l’apporto della «troika» ticinese (Flavio Cotti, Marco Solari, Mario Botta), l’anno giubilare


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Cultura e Spettacoli Addio «Affari di famiglia» A colloquio con Erica Bottega, storica produttrice della sitcom di grande successo

Yes, I’m also Swiss Il britannico di nascita e svizzero d’adozione Diccon Bewes il 28 marzo presenterà il suo nuovo libro (un Grand Tour del XXI secolo) alla Scuola Club Migros di Lugano

Il Ticino e Berlino La flautista ticinese Linda Jozefowksi sarà ospite della rassegna Jazz a Primavera

Una nuova TV a Massagno Molto spazio (creativo) per la musica e idee interessanti: il Ticino ha un nuovo canale TV pagina 43

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Luigi Rossini, Parte del Foro Romano e Monte Capitolino col Tempio di Giove, 1827-1829, acquaforte, 56 x 81 cm, tavola XI della raccolta «I sette colli di Roma antica e moderna», Biblioteca di Archeologia e Storia dell’Arte, Fondo Lanciani, Roma.

L’illustratore delle meraviglie di Roma Mostre A Chiasso le suggestive incisioni di Luigi Rossini Alessia Brughera Roma, prima metà dell’Ottocento. Sono gli anni degli scavi, dell’indagine archeologica, dell’esplorazione delle vestigia del passato. Lo spirito che anima il desiderio di scoperta è però cambiato rispetto all’epoca tardo settecentesca: il nuovo secolo porta infatti con sé un modo diverso di rapportarsi all’antichità, ora non più vista come una sorta di Eden perduto a cui aspirare, ma come materia di studio da esaminare con piglio analitico. Si intensificano le ricerche, si affinano le tecniche e, soprattutto, si considera ogni testimonianza come un documento estetico attraverso cui la gloriosa storia della «città eterna» viene compresa e non più soltanto contemplata. A quel tempo Roma era un grande museo a cielo aperto continuamente arricchito da nuovi e importanti ritrovamenti. L’andirivieni incessante di viaggiatori stranieri, poi, tutti smaniosi di acquistare illustrazioni che rappresentassero gli scorci più suggestivi della città, ne faceva il luogo prediletto da molti artisti, che qui trovavano un buon mercato per le loro opere. Poco più che ventenne e dopo aver frequentato l’Accademia di Bologna, nel 1813 arriva a Roma anche Luigi Rossini, ben consapevole di quanto lo

studio dell’antico fosse importante per la sua carriera di architetto. Dopo il quadriennio di formazione romana si rende però ben presto conto della difficoltà di trovare un impiego in questo ambito e decide così di dedicarsi all’incisione, battendo «la strada segnata dall’immortale Piranesi». Lo scenario dell’arte incisoria è molto variegato in quel momento. Le correnti del gusto neoclassico si consolidano sempre più, di pari passo con l’interesse per il paesaggio e per la veduta pittoresca, quest’ultima capace di mettere in risalto i costumi delle varie realtà locali. E poi c’è la nascente disciplina archeologica che rivendica rigore, precisione e imparzialità: diventa quindi fondamentale attestare la conoscenza dei reperti del passato tramite una rappresentazione che sia il più oggettiva e fedele possibile. Acuto interprete di tutte queste molteplici tendenze, Rossini diventa uno degli incisori più richiesti. Le sue stampe, molto ricercate soprattutto dalla nutrita colonia di inglesi a Roma, vengono apprezzate non solo per la loro valenza documentaria e per l’accurata resa dei particolari, ma anche perché descrittive delle bellezze paesaggistiche e monumentali di Roma e dintorni, ammiccando alla vita popolare nei suoi aspetti più caratteristici.

Nella mostra che il m.a.x. museo di Chiasso dedica a Rossini, la prolifica attività dell’artista ravennate viene ripercorsa attraverso una ricca selezione delle opere più significative. Vera chicca dell’esposizione sono gli inediti acquerelli preparatori alle incisioni, alcuni dei quali conservati in Canton Ticino perché di proprietà di un ramo della famiglia che qui si trasferì anni or sono. A questi disegni acquarellati, realizzati con fluide pennellate di inchiostro bruno, sono accostate le relative matrici in rame, provenienti dall’Istituto Nazionale per la Grafica di Roma, e le stampe, che arrivano dalla Biblioteca di Archeologia e Storia dell’Arte di Roma e dalla Civica Raccolta di Stampe «Achille Bertarelli» di Milano. Ed è interessante osservare come dal confronto tra questi materiali, che rappresentano le tre diverse tappe di un unico processo creativo, si possano cogliere i ripensamenti e le modifiche effettuate durante l’esecuzione dell’incisione. Ci si accorge, per esempio, che Rossini si prende una certa libertà nella variazione degli elementi naturalistici o nella realizzazione dei particolari dei personaggi che animano i suoi scenari, gli unici ambiti, questi, in cui estro e inventiva potevano impreziosire l’opera senza compromettere la precisione della veduta.

Nella mostra viene anche documentata la figura di Rossini quale uomo colto e ben introdotto negli ambienti intellettuali, attraverso libri, appunti e i preziosi carteggi con il famoso cugino compositore Gioachino e con lo scultore Antonio Canova. Quanto le prime opere di Rossini risentano ancora dell’influenza di Piranesi ce lo dimostra la raccolta delle Antichità Romane, del 1823, di cui l’esposizione propone alcune delle stampe più notevoli: il grande artista veneto viene qui emulato nelle inconsuete inquadrature prospettiche e nel marcato contrasto chiaroscurale. Eppure anche in queste incisioni iniziali si respira già un’aria nuova, conforme al momento storico. Non ci sono più la potenza immaginifica, la visionarietà e l’inquietudine piranesiane. Rossini interpreta in modo oggettivo la realtà dell’antica rovina e ne restituisce una rappresentazione coerente e riconoscibile attraverso una puntuale descrizione dei dettagli costruttivi. Le sue vedute si basano su un approccio scientifico, sostenuto da una documentazione scrupolosa, dal raffronto diretto con le scoperte e dalla riproduzione meticolosa delle piante di monumenti e siti. Accade così anche nelle tavole de I sette colli di Roma antica e moderna, riguardo alle quali è

lo stesso Rossini a sottolineare la propria estrema attenzione al dato reale per ritrarre al meglio «le sembianze di Roma», o ne Le antichità di Pompei, altro grande paesaggio archeologico che l’artista racconta con estrema diligenza. Ma le vedute di Rossini non sono solo rigore e accuratezza. L’originalità di questo abile incisore sta nel creare composizioni innovative per la scelta della luce e per il punto di ripresa, e nel saperle vivacizzare con l’inserimento di brani di vita popolare che dialogano con disinvoltura con il resto della rappresentazione. Dei grandi illustratori delle meraviglie di Roma, Rossini sarà l’ultimo: la fotografia, con il suo avvento, incomincerà infatti di lì a poco a sostituire l’arte incisoria nell’affascinante compito di immortalare la città. Dove e quando

Luigi Rossini (1790-1857) incisore. Il viaggio segreto, m.a.x. museo, Chiasso. Fino al 4 maggio 2014. A cura di Maria Antonella Fusco e Nicoletta Ossanna Cavadini. Orari e giorni di apertura: martedì-domenica 10.00-12.00 / 15.00-18.00. Chiuso il lunedì. Catalogo pubblicato da Silvana Editoriale, Fr. 38.–. www.maxmuseo.ch


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Cultura e Spettacoli

Un mondo all’asta Televisione Erica Bottega, storica produttrice di Affari di famiglia, ci racconta la fortunata

esperienza vissuta con una delle più seguite soap opera della storia della RSI Marisa Marzelli In Ticino si è trattato di una prima assoluta. Conclusa l’ultima stagione della fiction RSI Affari di famiglia, gli oggetti di scena sono andati all’asta. Abiti da boutique, mobili, soprammobili d’artigianato, lampade, quadri… In un sabato di febbraio, alla Polivideo di Riazzino il pubblico ha potuto portarsi a casa «pezzi» di Affari di famiglia. Accanto a un mercatino con circa 2000 oggetti disparati, a prezzi bassi, l’asta riguardava i lotti più pregiati. Banditore Eugenio Jelmini, neo-delegato per la Svizzera italiana della Catena della Solidarietà (alla quale è andato l’incasso di quasi 5’000 franchi), coadiuvato da tre attori della fiction: Diego Gaffuri (nonno Mario), Caterina Righenzi (la nipote Sara) e Aglaia Amadò (l’amica Stefy). Il pubblico ha fatto shopping al mercatino e ha potuto acquistare in anteprima il cofanetto dvd con la raccolta delle sei stagioni. Quanto all’asta, alcuni oggetti sono andati a ruba, soprattutto quelli di piccole dimensioni (l’inquietante maschera del clown, ad esempio, partita da una base di 20 franchi è stata aggiudicata a 70). Hanno invece stentato i più voluminosi. Mercatino ed asta hanno chiuso in un’atmosfera di festa l’iter della fiction tv da record, d’intera produzione nella Svizzera italiana: sei stagioni in dieci anni, 105 puntate complessive e la notevolissima media d’ascolti – nell’ultima stagione trasmessa a dicembre – del

44,1% di quota di mercato, con punte sopra il 50%. Affari di famiglia è diventato un fenomeno locale, stabilendo grande feeling con il pubblico di riferimento. Il successo sta in un mix tra il legame della vicenda al territorio ticinese, una storia popolare e verosimile, l’identificazione dei telespettatori. Affari di famiglia è diventata una vera saga, non letteraria ma televisiva. Con il valore aggiunto di una sicura professionalità. La varietà degli oggetti testimonia l’impegno con cui era stato creato l’arredo scenografico della serie, con ricerche anche tra rigattieri e antiquari. La preparazione di mercatino e asta hanno impegnato negli ultimi due mesi Erica Bottega, «inventrice», autrice e storica produttrice della fiction, che proprio dopo il boom di ascolti della sua «creatura», dopo 32 anni di lavoro lascia la RSI. Bottega è la classica personalità che sta dietro le quinte di un lavoro creativo, costruendolo con entusiasmo, tenacia e competenza. Di origine confederata – nata a Zugo, vissuta fino a sei anni a Zurigo prima di trasferirsi in Ticino –, ha studiato in Germania ed è bilingue; l’abbiamo intervistata. Esordisce così: «Alla RSI ho avuto la fortuna di collaborare subito con il regista Vittorio Barino, che mi ha introdotto ai segreti della fiction di coproduzione internazionale. Come Arsenio Lupin, che coinvolse otto Paesi per la produzione di due stagioni, per un totale di 26 episodi. Ogni ente televi-

facevano analisi del racconto, ricordavano tutti i dettagli. È sua l’idea dell’asta di oggetti della fiction?

L’idea è mia e ne ho seguito tutto lo sviluppo. Avevo fatto degli stage e seguito corsi a New York e Los Angeles, con l’opportunità di frequentare certi set – in particolare Sex and the City – e di partecipare a un’asta dove al termine di una serie tutto il materiale era stato messo in vendita. Ho visto come funziona e ho provato a farlo anche da noi. Non ho inventato niente, ho applicato. Mi sembrava bello. Tante soddisfazioni, però se ne va dalla RSI… Diego Gaffuri, uno dei protagonisti della serie tv.

sivo realizzava una puntata e trasmetteva tutta la serie. È stata una grande esperienza e un arricchimento». Come ha cominciato a occuparsi di fiction tv?

Ho iniziato come organizzatrice, quello che oggi viene chiamato direttore di produzione. Barino, allora anche capo-dipartimento, alternava produzioni teatrali, fiction seriali, commedie dialettali. Dal ’99 ho cominciato come produttrice e autrice. Affari di famiglia l’ho inventato e prodotto io. Avevo un’idea che mi girava per la testa e cominciavo a capire che la prossimità ha un valore. Ero

alla ricerca di uno spunto forte e penso di averlo trovato con l’ambientazione nella vigna. Così «la Ginestra» è diventata il personaggio silenzioso. La vite affonda le radici nel territorio; c’è un passato, un presente e anche un futuro. C’era un potenziale narrativo molto ampio e la possibilità di sfruttarlo per più stagioni. Qual è la soddisfazione più grande che le ha dato Affari di famiglia?

Gli ascolti sono stati una bella soddisfazione, d’accordo. Però la gratificazione è venuta dal pubblico. Ho potuto sentirne l’affetto attraverso i social. Mi ha quasi commosso. Leggendo ciò che scrivevano i fan li sentivo davvero dentro la storia,

Non potevo lasciare in un momento migliore, al top. Compresa la partecipazione alla produzione nazionale Gli Svizzeri, dove sono subentrata a Giulia Fretta. Negli ultimi due anni ho collaborato a questa produzione che ho amato subito. Anche lì abbiamo fatto indici insperati: 32% di media d’ascolto. Era davvero un buon prodotto. Allora, perché parte?

Si dice sempre «per affrontare nuove sfide». In concreto si tratta di mie sfide personali: voglio mettermi in gioco con altri progetti e riappropriarmi della libertà. Ne ho sempre avuta in RSI, ma ora voglio essere io a decidere se fare o non fare. Ho anche progetti di vita personale. Ma sono grata alla RSI che mi ha dato le opportunità e la fiducia per esprimere la mia creatività. Fiducia che spero di avere ricambiato.

Una promessa è una promessa! Ritiriamo da subito tutte le bottiglie di plastica vuote e le ricicliamo. La piccola Solei ha un buon motivo per essere contenta: come abbiamo promesso, ora in ogni filiale Migros insieme alle bottiglie del latte si possono restituire anche i flaconi vuoti di shampoo, docciaschiuma, detersivi e prodotti per la pulizia. Con questa misura e altre numerose promesse concrete ci impegniamo per la generazione di domani.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 marzo 2014 • N. 11

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Cultura e Spettacoli

La Svizzera secondo un inglese Personaggi Il britannico (e svizzero di adozione) Diccon Bewes sarà a Lugano a fine marzo per un incontro

pubblico, in cui presenterà il nuovo libro Slow Train to Switzerland

è diverso qui è il sistema della democrazia diretta. Un sistema grandioso, di cui anche gli altri Paesi potrebbero approfittare, nonostante vi sia il pericolo di scegliere per i motivi sbagliati o decontestualizzando gli argomenti. Comunque non credo che per il 9 febbraio si possa parlare di razzismo o di xenofobia, è stata molto più una questione di città e strade sovraffollate, di affitti alti e di stipendi bassi, e di sfiducia nei confronti di Bruxelles. Se si fosse votato in GB probabilmente il risultato sarebbe stato lo stesso. Gli Svizzeri hanno il diritto di riappropriarsi della propria politica di immigrazione, ma devono essere pronti ad accettare le conseguenze. Perdere la possibilità di accedere al programma Erasmus potrebbe costituire la prima tappa di una spirale negativa, a meno che Svizzera e UE non si affrontino da adulti. Il primo ostacolo psicologico e politico è rappresentato dal fatto che gli Svizzeri si sono creati questo problema da soli: hanno deciso di cambiare le regole del gioco. Qualunque cosa succeda, per uno straniero è sicuramente un momento interessante, in cui trovarsi in Svizzera!

Simona Sala I due terzi del mese di febbraio sono stati caratterizzati da fiumi di parole, da congetture e proiezioni su quello che sarà il futuro della nostra nazione dopo il voto del 9 febbraio. In mezzo a tanta politica farcita di economia, cultura e perfino morale, mancava forse un elemento fondamentale: il sense of humour. Visto che proverbialmente il popolo britannico è forse il massimo detentore europeo di questa meravigliosa qualità, abbiamo incontrato Diccon Bewes, brillante scrittore inglese residente nel nostro Paese ormai da nove anni, autore di numerosi libri che ci vedono protagonisti, nonché presto ospite della Scuola Club Migros di Lugano. Diccon Bewes, cosa l’ha affascinata al punto da spingerla a vivere qui?

La ragione principale è da ricercare nel mio grande amore per il cioccolato. Al secondo posto c’era il mio compagno: dopo nove anni trascorsi lontani l’uno dall’altro abbiamo deciso di ridurre la distanza da 900km a pochi centimetri. 18 mesi dopo il mio arrivo (durante i quali ho studiato il tedesco) ho trovato lavoro in una libreria a Berna. Sono qui da nove anni, e mi sento a casa, specie ora che mi sono abituato alle buffe abitudini degli svizzeri. Ci indichi le 10 maggiori differenze fra il Regno Unito e la Svizzera.

In certi aspetti le due nazioni sono simili, specie per quel che riguarda l’atteggiamento verso l’UE, ma ecco le differenze: 1. I Britannici amano parlare del tempo. È un buon modo per iniziare una conversazione. Gli Svizzeri non amano lo small talk, dunque questo non è un argomento che dura a lungo. Ecco un esempio di conversazione tra un Britannico e uno Svizzero: Britannico, appena entrato in un locale «Brrr, che freddo oggi». Svizzero: «È inverno». Fine della conversazione. 2. La GB ha delle colline che considera montagne, la Svizzera ha delle vere montagne. 3. La Svizzera ha quattro lingue nazionali, e in molti parlano un buon inglese. I britannici parlano inglese anche all’estero.

Bewes racconta ai sudditi di Elisabetta la più antica democrazia d’Europa.

4. Noi abbiamo la Regina da 62 anni, voi cambiate Presidente ogni anno, quindi non si sa mai il suo nome. 5. Il treno è un’invenzione britannica ma è diventata una perfezione svizzera. 6. La Gran Bretagna è un’isola circoscritta dal mare mentre la Svizzera è un Paese isolato (in realtà è un’isola emotiva che ama isolarsi dai vicini). 7. Le marche di cioccolato svizzere sono le migliori del mondo, mentre quelle inglesi sono le migliori solo in GB. 8. Noi abbiamo fish and chips, voi avete la fondue. Sono entrambi deliziosi in patria, ma non all’estero. 9. I Britannici guidano dalla parte corretta (la sinistra), gli svizzeri dalla parte sbagliata (la destra). 10. In GB ci scusiamo molto, anche quando non è colpa nostra; in Svizzera la gente non si scusa neanche quando è in torto, ma quando lo fa, è sincera. Il suo approccio è basato solo sull’osservazione o anche su testi scientifici?

Il primo libro, Swiss Watching, era un miscuglio di osservazione e ricerca, rea-

lizzato sia in casa a Berna sia viaggiando per la Svizzera. Il mio libro più recente, Slow Train to Switzerland, ha un approccio più storico. Segue il percorso del primo tour della Svizzera di Thomas Cook del 1863, che ha segnato l’inizio dell’industria del turismo così come la conosciamo, e rappresenta un momento di svolta per lo sviluppo della Svizzera. Ripercorrendo il tour con l’ausilio di un diario scritto da una donna di quel tempo, ho cominciato a vedere la Svizzera con lo sguardo di 150 anni or sono; ho scoperto ciò che era cambiato e ciò che invece era rimasto uguale. Questo libro si è rivelato affascinante per due motivi: anzitutto ho realizzato quanto sia diventato facile viaggiare. Nel 1800 si iniziava a viaggiare alle 4 di mattina, la giornata durava 18 ore, non c’erano bagni negli hotel né WC sui treni, inoltre si attraversavano le Alpi in abiti vittoriani. In secondo luogo il libro mi ha mostrato quanto sia cambiata la Svizzera. Nel 1863 era un Paese povero con infrastrutture limitate e un’aspettativa di vita

di 40 anni. Il turismo ha dato il via all’economia. C’è qualcosa che rende questo Paese completamente diverso da quelli da lei visitati finora?

Credo sia il fatto che questo Paese esista unicamente perché lo vogliono i suoi cittadini. La Svizzera è sopravvissuta per 700 anni nonostante le differenze politiche, linguistiche, geografiche e religiose. E sono proprio queste differenze a renderla unica. Senza il Ticino e la Romandia, la Svizzera sarebbe semplicemente un’altra Austria. Va anche detto che sebbene i ticinesi non abbiano un consigliere federale dal 1999, preferiscono essere ignorati da Berna che governati da Roma. Passiamo a un tema caldo: come si è sentito il 10 febbraio scorso?

Il 10 febbraio mi sono sentito come il 9 febbraio. Le cose non erano cambiate molto, ma potrebbero cambiare nei prossimi 3 anni. Purtroppo i razzisti ci sono dappertutto e la Svizzera non fa eccezione, anche se fortunatamente rappresentano una minoranza. Ciò che

Cosa prova pensando alla GB dopo tutti questi anni all’estero?

Molti espatriati dicono di avere due case: quella che hanno lasciato e quella che hanno scelto, ciò vale anche per me. Sono molte le cose che mi mancano, più di tutte il mare. Alcune parti di me resteranno britanniche: devo ad esempio controllare il mio desiderio di mettermi in fila in modo ordinato, una tendenza che mi porto nel DNA, come tutti i britannici. Quando vado in GB mi arrabbio per i treni in ritardo e i vicini che ascoltano la musica a mezzanotte, e passo i primi giorni a stupirmi per il fatto che tutti parlino la mia lingua! Mi reputo fortunato perché ho due patrie, e le amo entrambe. Dove e quando

Diccon Bewes incontrerà i suoi lettori alla Scuola Club Migros di Lugano (Via Pretorio, 4. piano) il 28 marzo 2014. Per maggiori informazioni telefonare al no. 091 821 71 50 Per informazioni sull’autore: www.dicconbewes.com

Le nostre cose Pubblicazioni Profili antropologici costruiti sull’analisi degli oggetti che ci circondano

e che parlano di noi in un libro di Daniel Miller Stefano Vassere «Leggendo questo libro scoprirete che, in molti casi, le relazioni con gli oggetti che possediamo sono spesso molto profonde e, di norma, più vicini siamo alle cose, più vicini siamo alle persone». Daniel Miller, ci dice il risvolto di copertina (ma è la copertina stessa che è molto bella, di questo libro), è docente allo University College di Londra e, soprattutto fiero «fondatore dell’antropologia del consumo». Ha pubblicato in traduzione italiana cose decisamente curiose: una Teoria dello shopping nel 1998 e Per un’antropologia delle cose l’anno scorso. A comperare e leggere un libro come questo Cose che parlano di noi. Un antropologo a casa nostra, viene per qualche ora (ma per qualche ora solamente, per carità!) il sospetto di avere sbagliato mestiere, e che in cuor nostro avremmo dovuto dedicarci al sognante e immaginifico mondo dell’antropologia culturale, dell’etnografia urbana in modo particolare: studi su quartieri

delle città, abitudini alimentari delle società, che ci dicono tutto sulle loro componenti etniche e sociali, l’osservazione sulla metropolitana, la scuola di Chicago, quella di Palo Alto. Questo libro parte da un’asserzione molto «antropologica»: accompagnarsi a oggetti è pratica comune ed è pure piuttosto diffusa l’idea che circondarsi di beni di consumo renda tutti più superficiali e meno attenti; di fatto però, detto appunto molto antropologicamente, gli oggetti comunicano al di là della loro essenza e non è vero per esempio che vestire la propria casa ci isoli dal mondo e dalle relazioni con il prossimo, anzi. Così Miller e la sua squadra hanno deciso di andare a casa di una serie di persone, single e famiglie di una strada scelta a caso in un quartiere di Londra; di parlare con loro, di vedere come le loro case erano arredate e di dedurre le loro faccende e la loro vita. Anche i titoli dei capitoli sono molto «antropologici» e quindi gradevoli e accattivanti: scelti a caso, «Paperelle di plastica», «Fantasmi», «Parla

col cane», «Gli Happy Meal e la felicità». Metodo ed esposizione testuale sono sorprendenti e in un certo senso molto british. Nella storia di Harry e del suo cane Jeff (qui Jeff è l’oggetto), l’inquilino accoglie i ricercatori con ritrosia e diffidenza, non tanto perché non ha fiducia in loro ma semplicemente perché «pensava che non c’era nulla di interessante su di lui da scoprire e che quindi noi stavamo perdendo inutilmente il nostro tempo». E poi ci sono i primi due capitoli, che più che a oggetti specifici e al loro tipo volge lo sguardo alla loro densità: si intitolano «Vuoto» e «Pieno» perché osservano e descrivono l’appartamento di George, sconcertante perché non contiene nulla, «fatta eccezione per un tappeto e qualche mobile», e quello dei Clarke, che colpisce per la sua pienezza, che sembra una scena dello Schiaccianoci e dove «dal centro di ciascun soffitto pende un elaborato congegno di cerchi e raggi, su cui sono sospesi un centinaio di minuscoli pacchetti, ricoperti di cartapesta rossa o verde». Tra gli oggetti, interessano Miller

La copertina del libro di Miller.

anche quelli così intimi e personali da finire per coincidere con la persona stessa: come nel capitolo dedicato alla tenerissima storia di Charlotte, ragazzina ventenne, segnalata per l’abbon-

danza di tatuaggi e piercing sul suo corpo. È una ragazza giovane ma saggia, come succede ogni tanto, e gli interventi sulla pelle non sono ammassati a casaccio: i piercing sono associati a determinati ricordi, «a cui si può guardare per tornare alle proprie origini». Ci sono quelli felici e colorati e poi ci sono anche quelli tristi, come felici e tristi sono le fotografie che conserva. Le prime sulla parete, le seconde, una serie di immagini scattate nel periodo della partenza per il Brasile del suo ragazzo, stanno in una scatolina che tiene in alto, sopra l’armadio: sa che sono lì ma non le può raggiungere senza un qualche sforzo. «Queste persone riflettono sui beni accumulati, per considerare il grado in cui la loro vita è stata o non è stata degna di essere vissuta; o, come si è detto qui, è stata piena o vuota». Bibliografia

Daniel Miller, Cose che parlano di noi. Un antropologo a casa nostra, Bologna, il Mulino, 2014.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 marzo 2014 • N. 11

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Una ticinese a Berlino Jazz a Primavera Intervista a Linda

Jozefowski, che partecipa alla rassegna musicale proposta da Musibiasca

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La flautista luganese. (lindajozefowski. com)

Alessandro Zanoli Il festival jazz (e davvero jazz) più settentrionale del nostro cantone si avvia con passo tranquillo e con costanza verso il suo decennale: Jazz a Primavera è curato dall’Associazione Musibiasca e coordinato dall’infaticabile Domenico Ceresa (con il sostegno del Percento culturale di Migros Ticino). Propone nel 2014 il suo ottavo cartellone, mantenendo fede alla sua vocazione di palcoscenico attento alle produzioni elvetico-insubriche di medio/piccolo formato. Un impegno degno di nota oltre che per gli aspetti artistici, sempre molto interessanti, anche perché culturalmente… a chilometro zero. Nella lista dei musicisti presenti per l’edizione 2014 abbiamo scelto di interpellare la brava e promettente flautista Linda Jozefowski, che si presenterà a Biasca con il suo trio. Dopo aver portato in giro per la Svizzera durante il 2012 il suo bellissimo album For My Dead Folks (2011, Unit Records), la giovane ticinese vive da oltre un anno a Berlino e sarà un piacere dunque riascoltarla e sentire in quale modo la sua esperienza all’estero si rispecchia nella sua musica. Linda Jozefowski, è difficile vivere da jazzisti in Ticino: è per questo che si va a finire a Berlino, giusto?

È una domanda a cui non posso rispondere veramente perché io non ho mai provato a vivere da musicista in Ticino. Ho studiato a Losanna per 7 anni, e ho provato a resistere là, ma ero decisa da sempre a vedere il mondo, a praticare un’attività che mi consentisse

Il programma Sabato 16.3, Olivone, 17.00 – Mauro Dassié trio suona Pat Martino. Sabato 22.3, Biasca, 21.00 – Linda Jozefowski New Trio – Exp Jazz. Sabato 29.3, Biasca, 21.00 Ars3 – promemoria. Sabato 5.4, Biasca, 21.00 Inside evening quartet. Giovedì 10.4, Biasca, 21.00 Peter Schärli Trio feat. Glenn Ferris. Domenica 13.4, Olivone, 17.00 Daniel Macullo Hammond Trio. Biglietti in palio I lettori di Azione possono vincere alcuni biglietti per il concerto del 22 marzo di Linda Jozefowski New Trio. (Casa Cavalier Pellanda, Biasca, ore 20.30). Per aggiudicarseli basta telefonare al numero 091 821 71 62, martedì 11 marzo dalle 10.30, fino ad esaurimento dei biglietti.

di stare all’estero. Certo la Svizzera offrirebbe la comodità, la sicurezza finanziaria, ma io preferisco conoscere altri Paesi, altre mentalità, avere una maggiore libertà. E come si sta a Berlino, dal punto di vista di una flautista jazz?

Diciamo che non ci sono tanti flautisti jazz sul mercato. Credo che in tutto il mondo siamo abbastanza privilegiati come categoria di musicisti. Lo sapevo già quando ho cominciato a suonare il flauto, anche se non me ne rendevo bene conto. Beh, poi bisogna essere un bravo musicista, devi possedere il linguaggio del flauto jazz. Spesso sono i sassofonisti che hanno la possibilità di avvicinarsi anche al flauto. Occorre mantenersi sempre a un certo livello, anche per quello che riguarda lo studio. Parliamo del gruppo con cui verrai in Ticino: suonerai i brani del tuo disco?

In realtà avrei voluto venire con i musicisti con cui suono qui a Berlino, Tai Knupfen al basso e Valentin Schuster alla batteria, ma loro non hanno potuto esserci, quindi mi rimetterò a suonare con il mio vecchio bassista e il mio vecchio batterista, Fabien Iannone e Maxence Sibille. Siamo molto contenti di suonare insieme di nuovo, perché ci siamo mancati. Maxence è venuto un paio di volte e abbiamo suonato qui, anche Jean Loup Trebloux, il vibrafonista che è sul disco, è venuto a Berlino... Vorrei portare nuovi pezzi che ho preparato per l’altro progetto, infatti dovremo organizzare delle prove prima del concerto di Biasca. Sono brani molto complicati: ho cominciato a triplicare le ritmiche, a introdurre tempi complessi come 13 ottavi, ci divertiamo insomma nella ricerca musicale. L’aria di Berlino come cambia il tuo modo di suonare, di comporre?

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Qui c’è talmente tanta gente, si sente questa libertà, la libertà di essere quello che si vuole e lo vedi semplicemente da come si pone la gente: puoi andare in giro con i capelli rosa, nudo con un tatuaggio in faccia, e nessuno ti guarda strano. C’è un senso di grande tolleranza che si percepisce in giro. Anche se questo senso di libertà non è necessariamente legato alla qualità artistica: può esserci anche cultura molto cheap, musicisti che in fondo non sono artisti, che vengono qui per fare fortuna, che si atteggiano un po’. (Una versione più lunga dell’intervista è pubblicata su: www.percento-culturale.ch) In collaborazione con

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 marzo 2014 • N. 11

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Cultura e Spettacoli

I romanzi dei nostri tempi True detective Due attori di eccezionale bravura per le otto puntate

di un poliziesco di grande successo su HBO Mariarosa Mancuso Un altro bel colpo messo da segno dalla HBO, la tv americana via cavo dei Soprano e di Sex and the City, di Game of Thrones e di Girls, di In Treatment e di Boardwalk Empire: serie da vedere e rivedere, per non perdersi il meglio che oggi offre la televisione. In termini di narrazione, capacità di scrittura, bravi attori – e seguito di pubblico – da un decennio almeno lo schermo casalingo se la sta giocando alla pari con il cinema. Con il romanzo, anche. Un paio di settimane fa il supplemento libri del New York Times ha dedicato lo spazio del dibattito alla questione: «Le serie televisive sono il romanzo dei nostri tempi?» Mohsin Hamid, lo scrittore pakistano che conosciamo per Il fondamentalista riluttante (Mira Nair ne ha tratto un film zeppo di luoghi comuni e ingenuità, fosse stata una serie tv le avrebbero bocciato subito la sceneggiatura) non si sbilancia troppo sui giudizi di valore. Ma rivela l’orribile verità: i romanzieri ormai passano più tempo a guardare le serie che a leggere libri. Ognuno ne tragga le sue conclusioni: le nostre non sono affatto apocalittiche. Fin dall’800, fa parte del mestieraccio stabilire un contatto con il pubblico, senza scavalcarlo per entrare direttamente nella storia della letteratura. L’ultimo successo targato HBO è True Detective, thriller in otto puntate (l’ultima è andata in onda il 9 marzo) che ha generato riassunti per chi l’avesse cominciata in ritardo, interpretazioni filosofiche, parallelismi letterari, commenti appassionati, dibattiti sul possibile finale. Racconta la storia di due poliziotti della Louisiana, Rust Cohle e Marty Hart: il primo nichilista come se ne sono visti di rado, il secondo

più in linea con la tradizione («è uno sporco lavoro, ma qualcuno lo deve pur fare»). Rust è Matthew McConaughey, fresco vincitore di Oscar per Dallas Buyers Club di Jean-Marc Vallée. Marty è Woody Harrelson, altro splendido attore che ricordiamo come cow boy canterino, in coppia con John C. Reilly, in Radio America di Robert Altman. Dusty e Lefty entravano in scena con la chitarra, e attaccavano canzonacce country. I loro dialoghi in automobile, tra un interrogatorio e un sopralluogo, sono da mandare a memoria. Marty vorrebbe conversare, Rust lo gela con i suoi mutismi, rotti soltanto da cupe considerazioni sulla tragedia che chiamiamo mondo. Ognuno può scegliere la parte preferita: il pessimista (ma è ancora un eufemismo) che cita Nietzsche, Emil Cioran e Schopenauer; l’ottimista convinto delle virtù salvifiche di una birra e di una bella ragazza rimorchiata al bar. Siamo nel 1995, stanno indagando sulla scomparsa di una ragazza e su una macabra messa in scena: corna di cervo, strane spirali, ramoscelli intrecciati. Il classico delitto che affonda le radici in quel che si usa chiamare gotico sudista e ha tra i suoi campioni letterari William Faulkner e Flannery O’Connor. Interamente scritta da Nick Pizzolatto – nato a New Orleans nel 1969, Mondadori ha pubblicato il suo romanzo Galveston – la serie alterna con strepitosa bravura tre diverse epoche. Il 1995, quando i due indagano sul delitto, e Rust viene soprannominato «l’agente delle tasse» per l’abitudine di girare con un grande quaderno dalla copertina nera. Il 2012, quando la coppia viene interrogata separatamente da altri due poliziotti sui fatti di 17 anni prima.

Visti in tivù Gli

scrittori su Raitre in progressivo calo di ascolti e di «reputazione»

Antonella Rainoldi

Woody Harrelson e Matthew McConaughey sono gli interpreti.

Rust ha ora i capelli lunghi, appare più scheletrico e spiritato che mai. Marty i capelli li ha persi, ha messo su pancia, capiamo che non se la passa tanto bene neanche lui (aveva una moglie, tradita a ripetizione: una delle scene più spaventose, nelle prime puntate, mostra Rust invitato per cena a casa di Marty, la conversazione ha momenti tremendi). I due non si parlano più da parecchi anni, qualcosa di grave è accaduto ma non sappiamo cosa. Non è chiaro neppure perché i poliziotti vengano interrogati dai colleghi più giovani, che prendono nota di tutto, soprattutto delle contraddizioni. Uno scrittore meno geniale ci avrebbe campato sopra fin dalla prima scena, mettendo Rust e Marty in lotta uno contro l’altro. Non Nick Pizzolatto: in quel momento capiamo perché la HBO abbia fatto scrivere le otto puntate della serie tutte a lui e non a un gruppo di sceneg-

giatori, per quanto bravi potessero essere. Unico per tutta la stagione anche il regista Cary Fukunaga: nato in California nel 1977, da padre giapponese e madre svedese, ha tra i suoi film un riuscitissimo adattamento di Jane Eyre. Pagine e pagine di Charlotte Bronte – le pagine con le descrizioni, per intenderci – rese sullo schermo solo con i gesti, gli abiti, il modo di sedersi, le occhiatacce tra Mia Wasikowska e il suo RochesterMichael Fassbender. Il grande successo di True Detective obbligherà a una seconda stagione, ma è già deciso che la serie sarà antologica: cambierà la storia e cambieranno gli attori. Sarà un dolore abbandonarli, sia Matthew McConaughey sia Woody Harrelson sono semplicemente perfetti. Vanno contro tutte le regole, per esempio indugiando sui tempi, ma mai danno l’impressione di voler esibire la loro bravura.

Vivere, non sopravvivere Filmselezione L’Oscar al primo film di un regista di colore sullo schiavismo

Fabio Fumagalli **** 12 anni schiavo (12 Years a Slave), di Steve McQueen, con Chiwetel Ejiofor, Michael Fassbender, Benedict Cumberbatch, Paul Dano, Paul Giamatti, Lupita Nyong’o, Brad Pitt (Stati Uniti 2013)

Oscar per il Miglior Film a suggello di una premiazione insolitamente coerente (Regia a Gravity di Cuaron, Interpretazioni per Matthew McConaughey di Dallas Buyers Club e Cate Blanchett in Blue Jasmine di Woody Allen, Sceneggiatura a Her di Spike Jones, ecc.) 12 anni schiavo conferma l’importanza di un artista ai vertici delle arti plastiche contemporanee divenuto una delle personalità più marcanti di un cinema ormai non più «soltanto» sperimentale. Forse di riflesso a uno storico complesso di colpa collettiva il cinema americano si è da sempre occupato poco di schiavismo. Ora, ispirandosi alla cronaca autobiografica di un certo Solomon Northup apparsa a metà del diciannovesimo secolo, Steve McQueen firma il primo film che un nero americano dedica al soggetto. Seguendo un procedimento drammaturgico inabituale quanto proficuo ai fini dell’identificazione da parte dello spettatore, McQueen mostra quanto possa essere fulmineo il passaggio dalla libertà alla schiavitù. Un meticcio, libero poiché figlio di un padre liberato e di madre bianca, padre felice di una famiglia borghese nel Nord degli Stati Uniti, che viene rapito e venduto come schiavo in

Il protagonista Chiwetel Ejiofor e il regista Steve McQueen.

uno degli stati del Sud che ancora non riconoscevano l’emendamento abolizionista di Abraham Lincoln, imposto poi con la Guerra di Secessione. Una spirale disperata, a cui non si sottrarrà che otto anni dopo, grazie alla propria cultura, al proprio accanimento nel «volere vivere, non sopravvivere». All’interno di questa epopea che avrebbe potuto essere soltanto grandiloquente, melodrammatica o kitsch, pur avviando una riflessione profonda sulle contraddizioni della natura umana, sugli estremi inimmaginabili dell’ingiustizia, le commistioni con l’ipocrisia religiosa, la cupidigia alleata della legge, al film riesce una transizione mirabile dal cinema d’autore a quello popolare. Alcuni rimproverano a McQueen di aver annacquato il rigore del proprio sguardo cinematografico in nome della consensualità di quello classico ed edulcorato la spirale progressiva di quei gironi infernali nella luce e nei suoni di una Louisiana lussureggiante.

Masterpiece, non c’è più speranza

Ma se vi è bellezza, essa serve al regista quale contrasto alla brutalità dell’infamia: contrariamente ad altri film del passato (Slaves di Biberman, Mandingo di Fleischer fino a Spielberg e Tarantino) 12 Years a Slave ha il pregio di analizzare l’indecenza della piaga in tutti i suoi aspetti. La disumanizzazione progressiva degli schiavi, ma pure le contraddizioni e le fragilità degli schiavisti (rivelate nella finezza interpretativa di Michael Fassbender, sadico ma autopunitivo nell’annientamento della propria vena amorosa) autori di una inimmaginabile sopraffazione che finisce però per minare, introducendovi terrore e ingiustizia, il cuore stesso dello Stato sudista. Il cinismo della perversione nasce in una Washington già sontuosa (la panoramica sui suoi tetti dopo l’inganno, tra le più significative del film) per proseguire nell’ipocrisia dei sermoni biblici dei padroni, le gerarchie di casta fra schiavi e servitori, le loro mortali sottomissioni sessuali, le sadiche frustrazio-

ni vendicative delle mogli tradite, ecc. Al suo terzo film, McQueen affina la propria poetica così vicina al corpo e alle sue torture: quelle fisiche, indicibilmente mortificate di Bobby Sands, il resistente irlandese dell’IRA imprigionato a morte in Hunger, e quelle psichiche, interiorizzate, l’insoddisfazione sessuale dello splendido yuppie nuovaiorchese, sempre interpretato da Fassbender di Shame, sfociano ora nelle frustate sempre più invasive di 12 anni schiavo. Dove l’accanimento compulsivo, estenuante sui corpi forza alla condivisione lo spettatore, acquistando sempre più una dimensione mentale; mentre l’uso dei piani fissi, dei tempi immobili terribilmente dilatati ci trasportano in una dimensione seconda, paradossalmente immateriale e quindi morale. Così, nella sequenza indimenticabile dell’impiccato che, per sopravvivere, deve mantenersi con la punta dei piedi sul fango, l’occhio dello spettatore non è tanto attirato dall’atroce meccanica: ma da quanto accade nell’idilliaco controluce sullo sfondo, dove la vita ricomincia noncurante, dove l’impotenza, la rassegnazione confinano con l’indifferenza, dove i bimbi si rincorrono, mentre gli schiavi incrociano eleganti dame anche di colore. È tutta la complessità di una condizione, l’elaborazione di una memoria rifiutata: inserendo l’intransigenza del proprio sguardo all’interno di una cornice più accessibile Steve McQueen rende allora possibile quella divulgazione popolare che è ambizione da sempre di una parte dell’arte cinematografica.

Come va Masterpiece? Gli ascolti non lo premiano (appena 400 mila spettatori, pari all’1,91% di share, per la puntata del 3 marzo), ma più ancora è difficile dare un senso a un programma costruito sul controsenso. È un controsenso portare la scrittura in tv. A differenza della cucina, la scrittura è invisibile. E l’invisibile non può misurarsi con il visibile. Ha ragione Aldo Grasso quando scrive: «Masterpiece è la cosa meno televisiva che si possa mettere in scena: i manoscritti non hanno volto». È ripartito un paio di settimane fa su Raitre, la domenica alle 22.45, il primo talent letterario al mondo, per la gioia del direttore di rete Andrea Vianello e di pochi altri. Com’è noto, Masterpiece si articola in due fasi. Nella prima, andata in onda tra novembre e dicembre, i migliori aspiranti scrittori emersi da una selezione effettuata dallo staff di Rcs Libri si sono sfidati in prove di capacità creativa e di lettura. In questa seconda fase, i sei vincitori della prima, più tre ripescati dai giurati e tre dal pubblico attraverso il web, si cimentano in una nuova competizione. Si procede così a eliminazione, finché gli ultimi rimasti in gioco si contendono la pubblicazione del romanzo nel cassetto in centomila copie con Bompiani in collaborazione con Rai Eri e «Corriere della Sera». La gran parte della gara si svolge di fronte a una giuria composta da Giancarlo De Cataldo, Andrea De Carlo e Taiye Selasi. Il coach Massimo Coppola aiuta i concorrenti a entrare nella parte. Abbiamo sperato in una crescita di Masterpiece, almeno dal punto di vista della resa, ma questa seconda fase sembra fatta apposta per scoraggiare la visione: l’insensato andirivieni di personaggi (Elisabetta Sgarbi, Roberto Vecchioni, Luca Bianchini, Teresa Ciabatti), l’incertezza sui ripescaggi, la farsa dello storytelling. Come se non bastasse, gli autori Omar Bouriki, Edoardo Camurri, Giancarlo De Cataldo, Tommaso Marazza, Giovanni Robertini e Michele Truglio hanno introdotto le varianti della scrittura veloce come gli sms, i tweet, le email, i biglietti d’auguri, con i talenti nei panni dei pubblici scrivani impegnati a esporsi a una figura imbarazzante nelle piazze di Torino. Inutile chiedersi se Masterpiece possa far bene alla letteratura, renderle un buon servizio. Ogni speranza è ormai solo un ricordo lontano.

Giancarlo De Cataldo, Taiye Selasi e Andrea De Carlo.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 marzo 2014 • N. 11

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Cultura e Spettacoli

Mary Poppins Reloaded

La televisione di quartiere e i live musicali vintage

Cinema Dietro le quinte: il nuovo film firmato Disney

Musica Gionata ci introduce a

offre un’interessante riflessione sul potere catartico dell’arte, e della scrittura in particolare Benedicta Froelich Esiste da sempre, alla base della vicenda letteraria di ogni scrittore o narratore che dir si voglia, un irrinunciabile e costante principio – un precetto secondo il quale dietro qualsiasi sforzo creativo, vi è sempre un tentativo di rettificare ciò che nella vita dell’autore è rimasto irrisolto o incompiuto, raddrizzando i torti e traendo qualcosa di buono e positivo dagli eventuali mali sofferti. In ciò, dopotutto, risiede il potere catartico e terapeutico della scrittura: e nemmeno i libri per bambini, si sa, ne sono immuni. Questo sembra essere anche l’insegnamento di Saving Mr. Banks, l’interessante film disneyano «per adulti» da poco giunto nelle nostre sale, incentrato sull’odissea che Walt Disney dovette affrontare per riuscire a realizzare una versione cinematografica del celeberrimo romanzo della scrittrice P.L. Travers – quel Mary Poppins che avrebbe finito per diventare noto al pubblico internazionale proprio grazie al tanto sofferto film, infine presentato al mondo nel 1964. In effetti, il fatto che siano passati già cinquant’anni dall’uscita di questo capolavoro della cinematografia per l’infanzia costituisce probabilmente la motivazione principale dietro la realizzazione di Saving Mr. Banks, ottimo esempio di biopic psicologico, seppur a tratti un po’ retorico. La storyline si di-

ti a trasformare un padre indifferente e anaffettivo in una persona a tutto tondo. E qui sta il fulcro della vicenda: perché proprio quel salvataggio costituisce la trasposizione romanzata del mai sopito senso di colpa della piccola Helen Goff (vero nome della Travers), incapace di perdonarsi la propria impotenza davanti agli impulsi autodistruttivi del padre, morto precocemente quando lei era ancora una bambina. Ci vorrà tutto l’intuito di Disney per comprendere come i continui rifiuti della scrittrice a cedere i diritti del suo romanzo nascondano in realtà un’incapacità a «staccarsi» dalla propria stessa tragedia: una resistenza che il creatore di Mickey Mouse dovrà riuscire a vincere, per regalare al pubblico di tutto il mondo un sogno di celluloide che rappresenti, in qualche modo, il riscatto di ogni sfortunata figura paterna – non solo quella dell’infelice autrice, ma anche dello stesso Disney. Perciò, sebbene, come molti film americani, Saving Mr. Banks tenda a cedere a un certo sentimentalismo dalla lacrima facile, il messaggio trasmesso dalla vicenda personale di P.L. Travers resta più che valido: l’impulso creativo è in grado di «redimere» e nobilitare qualsiasi vissuto, spesso fungendo da tramite salvifico tra l’autore dell’opera e la realtà. E se l’insopportabile scrittrice si vede infine costretta a cedere all’arte persuasiva di Disney e a firmare il tanto sospirato contratto, tale resa non rappresenta in realtà una sconfitta, bensì un punto di svolta importante: per la prima volta, la donna riesce infatti a «voltare pagina» e a smettere di colpevolizzarsi per quanto accaduto a un padre che, nella sua mente di bambina, non aveva potuto che idealizzare – per poi, inevitabilmente, distaccarsene una volta divenuta adulta. Come a voler dire che a volte è necessario arrendersi, accettando di «lasciar andare» il passato, per liberarsene davvero. Un messaggio che potrebbe apparire insolitamente profondo per un film targato Disney, ma che, in fondo, racconta la storia di ogni opera e autore; ricordandoci come l’arte non sia mai fine a se stessa o al mero apprezzamento estetico o formale, ma dipenda da un insopprimibile anelito vitale – quello di lenire il dolore, donando rinnovata speranza a chiunque possa beneficiarne.

Una première per la Svizzera italiana: è di questi giorni il debutto ufficiale della trasmissione musicale televisiva Mono live session. Un format che sa di altri tempi, con le immagini missate in analogico e in diretta, con una pasta dei colori e il ritaglio dello schermo indubbiamente vintage, con le registrazioni dal vivo presso il Living Room, con la trasmissione su scala planetaria grazie alla TV di quartiere TeleMassagno e al suo canale youtube. Un annuncio, quello relativo alla nuova trasmissione, che sembra mischiare senza soluzione di continuità vecchio e nuovo, grande e piccolo, globale e locale. Per cercare di capirne qualcosa di più ci siamo rivolti a Gionata Zanetta – musicista, videomaker nonché personalità tra le più eclettiche della cultura ticinese degli ultimi vent’anni – che di TeleMassagno è tra i promotori, nonché ideatore di Mono live session. «È stata innanzitutto un’esigenza di condivisione tra amici, quella che ha portato a nascere TeleMassagno. Si sentiva il bisogno di creare una piazza virtuale per il quartiere, siccome nel nostro comune non esiste una vera e propria piazza fisica. Quindi a costo zero si è recuperato materiale televisivo in disuso e si è cominciato a metterlo in funzione». La linea editoriale di TeleMassagno, grazie alle dimensioni volutamente ridotte, è totalmente libera e autogestita dal gruppo di persone che l’hanno creata, con un occhio di riguardo ai temi locali e a quelli culturali, ma soprattutto con l’attenzione al fatto che la forma – malgrado il contesto volontario che muove l’intera operazione – mantenga sempre un certo livello qualitativo. E di qualità – a proposito di Mono live session – propriamente si tratta. Pur nella dimensione del «live», o forse proprio nel forte sapore di estemporaneità

Tra jazz e nuove musiche Rassegna di Rete Due Studio 2 RSI, Lugano Giovedì 20 marzo, ore 21.00

Chiasso Danza Rassegna di balletto Cinema Teatro, Chiasso Sabato 22 marzo, ore 20.30

900Presente Rassegna concertistica Auditorio RSI, Lugano Domenica 23 marzo, ore 17.30

Primi applausi Rassegna teatrale per l’infanzia Teatro Sociale, Bellinzona Domenica 23 marzo, ore 16.00

Harriet Tubman & Wadada Leo Smith

Hamburg Ballet/John Neumeier

Percussus

La bambina dei fiammiferi

Wadada Leo Smith, tromba; Brandon Ross, chitarre, banjo; Melvin Gibbs, basso; JT Lewis, batteria. www.rsi.ch/jazz

Con Silvia Azzoni, Otto Bubenicek, Alexandre Ryabko, Ivan Urban, Lucia Solari, Alexandr Trusch, Fernando Magadan. www.chiassocultura.ch

Ensemble percussioni, elettronica e solisti. Direttore Bernhard Wulff. Musiche di autori molto diversi tra loro mostreranno le numerose facce di un mondo strumentale virtualmente infinito ed in continua evoluzione. www.conservatorio.ch

Di Chiara Guidi, da La bella fiammiferaia di Hans Christian Andersen con Lucia Trasforini e con Fabrizio Ottaviucci (pianoforte). Dai 7 anni. www.teatrosociale.ch

Orario per le telefonate: dalle 10.30 fino a esaurimento dei biglietti

Orario per le telefonate: dalle 10.30 fino a esaurimento dei biglietti

Orario per le telefonate: dalle 14.30 fino a esaurimento dei biglietti

Orario per le telefonate: dalle 14.30 fino a esaurimento dei biglietti

pana infatti lungo tutto l’arco della complicata lavorazione alla sceneggiatura del film, alternando il racconto del difficile rapporto tra l’acida signora Travers e l’équipe di Walt Disney a ripetuti e strazianti flashback sull’infanzia della scrittrice – i quali ci permettono via via di scoprire le molte e rivelatrici corrispondenze tra la vicenda inventata di Mary Poppins e la dolorosa storia personale della Travers. L’abilità degli attori protagonisti rispecchia perfettamente la tensione tra i personaggi (la sfavillante Emma Thompson-Travers ruba spesso e volentieri la scena al Disney di Tom Hanks), contribuendo non poco a calare lo spettatore nella rarefatta realtà del ricordo; e scopriamo così che, dato il proprio vissuto di bambina, la scrittrice aveva ben più di un motivo per desiderare di dare vita non solo a una tata di talento, ma a una vera e propria «figura salvifica» quale il personaggio incarnato su pellicola da Julie Andrews. Del resto, basta guardare il film del 1964 con occhi da adulto per rendersi conto di come l’arrivo dell’astuta Mary Poppins serva, prima ancora che ad aiutare i due trascurati fratellini Jane e Michael, a salvare dal baratro il loro padre, il signor Banks (non per niente il titolo di questo nuovo biopic si può tradurre proprio come Salvando il signor Banks): solo gli sconvolgimenti portati dall’intervento dell’incredibile governante riusciranno infat-

Concorsi

Tom Hanks e Emma Thompson in una scena di Saving Mr. Banks.

091/8217162

TeleMassagno e alle Mono live session

Regolamento Migros Ticino offre ai lettori biglietti gratuiti per le manifestazioni sopra menzionate.

Gionata e Yea Nay. (Davide Bolgé-Maison Grise)

Zeno Gabaglio

Massimo due biglietti per economia domestica. La partecipazione è riservata a chi non ha beneficiato di vincite in occasione di analoghe promozioni nel corso degli scorsi mesi.

Biglietti in palio per gli eventi sostenuti dal Percento culturale di Migros Ticino

che da essa si ricava, il primo episodio della serie offre la vivida documentazione di un concerto tenuto lo scorso ottobre al Living Room di Lugano, che vedeva proprio Gionata tra i protagonisti. «Il progetto Yea/Nay – presentato nella Mono live session – ha visto la luce perché già da qualche anno volevo mettermi alla prova con canzoni scritte e cantate in inglese. Fare un intero disco da solo con questa novità sarebbe però stato troppo gravoso, e quindi ho ripreso in mano alcune basi musicali che Omar Bernasconi (già attivo da diverso tempo con il concept RE-COUNT) mi aveva mandato nel corso degli anni, cominciando poi una collaborazione effettiva ed elaborando assieme nuovo materiale». Human Obsolescence è il risultato dell’album che è approdato alla distribuzione digitale ma anche fisica, pubblicato in una futuristica confezione contenente una chiavetta usb. Una specie di mini-astronave che rimanda ad un precedente disco concepito da Gionata: L’uomo e lo spazio. «Ci sono effettivamente delle tematiche affini tra i due dischi. Il viaggio nello spazio e l’obsolescenza umana trovano qui però una differente veste musicale, electro-dance con venature anni Ottanta». Come andrà avanti, a questo punto, il progetto delle Mono live session? Chiederlo a Gionata equivale ad avere un giudizio di esperto – in quanto tra i pochi «musicisti nostri» ad aver ottenuto riscontri in terra straniera – sull’attuale musica della Svizzera italiana. Quali quindi i gruppi che potreste ospitare sulle onde di TeleMassagno? «Non mi dispiacerebbe vederci i Peter Kernel, o qualche altra realtà della loro etichetta, la On the Camper Records. Per la contagiosa energia delle loro esibizione live inviterei volentieri i Gospel Blastfighter, mentre per la freschezza e la spontaneità del modo di porsi Andrea Bignasca».

Per aggiudicarsi i biglietti basta telefonare martedì 11 marzo al numero sulla sinistra nell’orario indicato. Buona fortuna!


Passione per il bio. Floriano Locarnini è fra i pionieri dell’agricoltura biologica in Ticino, da oltre quarant’anni fornisce prodotti nostrani a Migros Ticino. Dal 1995 la sua azienda agricola è certificata secondo le norme di Bio Suisse. «La scelta che mi ha portato a dedicarmi totalmente all’agricoltura biologica è senza dubbio motivata dal fatto che ritengo sia molto importante contribuire alla salvaguardia dell’ambiente in cui viviamo, favorendo così uno stile di vita sano e sostenibile». Floriano Locarnini, Orticola Locarnini, Sementina dal 1933

T er il p o n i in Tic

icino


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Idee e acquisti per la settimana

shopping Passione Nostrana

Una selezione di prodotti dei Nostrani del Ticino. (Flavia Leuenberger)

Lavorare con passione tenendo presente non solo grandi progetti di respiro nazionale o internazionale, ma con un occhio di riguardo a quanto succede fuori dai nostri uffici, nel campo di fronte, nel piccolo laboratorio dall’altro lato della strada, nell’industria che si trova qualche chilometro più il là. Questo spirito contraddistingue il team marketing di Migros Ticino. Da quasi 10 anni siamo una porta aperta ad imprenditori locali che vogliono trovare uno sbocco per i loro prodotti. Tante volte ci siamo trovati riuniti ad un tavolo con di volta in volta diverse varianti dello stesso biscotto o di uno iogurt all’uva americana. Sempre con un occhio di riguardo rivolto ai nostri clienti, cercando di trovare la ricetta migliore, pensando a quale aroma poteva al meglio incontrare i loro favori. In tutti questi anni ci siamo trovati tante volte a discutere di un deter-

minato imballaggio, o di una certa etichetta preparata dal nostro grafico Michele, valutando le diverse impostazioni grafiche, i diversi colori, meravigliandoci di come si traduceva la parola albicocca nel dialetto di Airolo. Ci sono stati prodotti che sono nati un po’ per caso, altri un po’ strani/inusuali, come la confettura di zucca, per scommessa, altri che non abbiamo ancora avuto il coraggio di portare avanti come la marmellata di pomodori verdi. Piccoli progetti, ma anche qualcosa di molto di più, come nel caso degli iogurt nostrani, in cui da una telefonata con Floriano, il nostro responsabile dei latticini, è nato lo iogurtificio di Airolo. Grazie al coraggio imprenditoriale di Ari Lombardi sono stati investiti 5 milioni di franchi e creati una decina di posti di lavoro in una zona periferica del Canton Ticino.

In tutti questi anni anche noi abbiamo imparato tante cose, come ad esempio alcuni «trucchi» per un’agricoltura biologica dal nostro fornitore Floriano Locarnini, ma non solo. Abbiamo portato avanti anche dei progetti articolati, che tenevano conto di un’intera filiera, per esempio il progetto del maiale nostrano. Qui si partiva dalla fattoria di Ueli, per poi andare all’ingrasso gestito da Chico e, dopo esser passati dal macello cantonale di Cresciano, si finiva nel reparto degli apprendisti della Rapelli. Anno dopo anno la coccarda dei Nostrani del Ticino è diventata un marchio di garanzia, via via abbiamo aggiunto la foto dei nostri produttori per mostrare chi stava dietro a questi prodotti, quindi qualche anno fa abbiamo aggiunto, per sottolineare il legame con il territorio, il nome nel dialetto della regione in cui vengono prodotti.

Lo sviluppo di tutti i nostri prodotti dei Nostrani si è composto di tanti piccoli tasselli, che ci hanno arricchito e ci hanno fatto conoscere molte persone interessanti, i loro progetti, i loro sogni ed è stato emozionante collaborare tutti assieme per poterli realizzare. Con il progetto dei Nostrani siamo stati pionieri per quanto riguarda la sostenibilità, l’ambiente e l’economia locale, tema che oggi tutti gli attori della grande distribuzione cercano di cavalcare. Bello è stato pure a vedere come i nostri clienti hanno apprezzato i nostri sforzi. In tutti questi anni ce lo hanno dimostrato giorno dopo giorno comprando i prodotti dei Nostrani, scrivendoci, telefonandoci, dandoci la carica per guardare avanti e trovare assieme ai nostri fornitori nuove prelibatezze nostrane. / Fabio Rossinelli, responsabile dipartimento marketing Migros Ticino


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Idee e acquisti per la settimana

I Crèfli di Paul Forni Novità I biscotti alla panna e al miele sono la «new entry» dei Nostrani del Ticino. Nostra

intervista al produttore della specialità Paul Forni, cosa l’ha spinta a lanciare questo nuovo prodotto?

Come al solito la mia golosità! Oltre a questo, è già da alcuni anni che produco dei biscotti al miele, ma con un’altra forma. I Crèfli li ho sempre prodotti solo per amici e per la mia famiglia. Alla fine qualcuno mi ha tirato le orecchie dicendomi che tutto ciò era un’ingiustizia nei confronti di altri golosi. Qualche curiosità sui Crèfli?

Come con le Pastefrolle, tra i Crèfli ci sono quasi nato. In famiglia non si producevano e quindi da bambino goloso mi comportavo un po’ come i segugi alla ricerca di «piste» che portassero a questi buonissimi biscotti, con ottimi risultati oserei dire. Da quello che so, i Crèfli generalmente si producono tra Airolo e Giornico, ognuno ha naturalmente la propria ricetta e quindi variano per consistenza, gusto, forma ecc.. Come avviene la produzione?

Posso dire che l’impasto lo produco

con un certo anticipo. La lavorazione è abbastanza lunga e laboriosa, come pure il confezionamento che, come per tutti gli altri nostri prodotti forniti a Migros Ticino, viene sempre effettuato dai miei fedeli collaboratori della Fondazione Diamante. Gli ingredienti sono semplici e genuini, vale a dire miele, panna, burro, farina e zucchero… null’altro. Purtroppo, a causa della moria di api, quest’anno sarà più difficile avere una certa quantità di miele, ma può essere una ragione in più per gustare quanto la natura ci offre al momento. Chi apprezza i Crèfli?

Sicuramente gli amanti del miele, alimento sano dalle «mille» proprietà. Sono molto apprezzati a merenda con il tè, ma ho molti conoscenti e amici che se li portano in montagna, in bicicletta o in diverse altre occasioni dove può servire un apporto energetico naturale e facilmente digeribile.

Flavia Leuenberger

Crèfli 150 g Fr. 5.90 Oltre ai nuovi Crèfli, a Migros Ticino di Paul Forni trovate anche i Biscotti alla «farina bona» della Valle Onsernone, le Frolle al limone, le Pastefrolle e il Panspezi.

Flavia Leuenberger

Vincenzo Cammarata

I Crèfli sono apprezzati sia a casa…

… sia durante le gite in montagna.

Paul Forni, produttore dei Crèfli.


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Idee e acquisti per la settimana

Una carne tanto rinomata

I bovini Charolais pascolano sugli ampi prati della tenuta Aerni da marzo a novembre. (Giovanni Barberis)

Tenera, succosa e incredibilmente saporita: gli atout della carne di manzo Charolais sono apprezzati in tutto il mondo dagli chef più prestigiosi. Una carne che si distingue per il suo colore rosso vivo, la fibratura fine e i pochi grassi distribuiti in modo uniforme. La Charolais è senza dubbio una delle più famose razze bovine da carne francesi; originaria dell’omonima regione della Borgogna è nota da tempi molto lontani. Fino al diciottesimo secolo era allevata solamente per il consumo locale, tuttavia dopo l’esposizione universale di Parigi del 1867 la sua carne

venne riconosciuta come un’autentica prelibatezza e si diffuse ben presto in tutta la Francia e oltre. Anche in Ticino la docile razza Charolais ha trovato casa grazie all’intraprendenza dei fratelli Aerni di Gordola che l’allevano con grande passione da più di vent’anni. L’Azienda Aerni attualmente possiede oltre 250 capi di bestiame. Per i primi 8-10 mesi i vitelli sono allattati direttamente dalla madre. Successivamente sono nutriti con foraggi secchi – fieno e mais – prodotti dall’azienda stessa, nonché erba fresca che da metà

marzo a inizio novembre i manzi brucano golosamente e liberamente sui prati a pochi passi dalle Bolle di Magadino. A Migros Ticino la carne di manzo Charolais è disponibile nei seguenti tagli a libero servizio: bistecche, spiedini, arrosto coscia, geretto, lesso magro, spezzatino, arrosto spalla, hamburger e fettine alla pizzaiola. Ai banchi troverete invece costa schiena e filetto (Agno e Lugano), entrecôte (Serfontana, S. Antonino, Agno e Lugano) e scamone (Serfontana e S. Antonino). Chiedete consiglio ai nostri macellai per piatti di sicuro successo.

Dolce pausa p vantaggiosa

Il barometro dei prezzi Migros riduce i prezzi dei gipfel al prosciutto crudo affumicato. D’altro canto diverse miscele di noci rincarano. Questo è dovuto al fatto che attualmente, a causa del cattivo raccolto, l’offerta di mandorle e nocciole è carente.

Alcuni esempi:

Prezzo vecchio in Fr.

Gipfel al prosciutto crudo affumicato, surgelati, 8 pezzi 7.50 Sun Queen Premium Nuts noci miste salate, 170 g 3.90 Party noci miste salate, 200 g 2.20

L’allevatore Roberto Aerni.

Nuovo in Fr.

in %

6.80 4.40 2.40

–9,3 12,8 9,1

A colazione oppure a merenda, durante tutta la settimana nei Ristoranti e De Gustibus Migros ti attende un’imperdibile promozione sulle tue bontà preferite. L’offerta – valida al mattino dalle ore 9.00 alle 11.30 e al pomeriggio dalle 14.30 alle 18.30 – ti dà la possibilità di acquistare caffè e relativo dolce ad un prezzo particolarmente vantaggioso. L’offerta propone al mattino Cappuccino e Croissant all’albicocca e al pomeriggio Espresso con Torta di Fragole pan di Spagna. Passa a trovarci!


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Idee e acquisti per la settimana

Così tanti da perderci la testa Attualità Con la piccola panetteria Jowa non c’è pericolo di annoiarsi. Tutto l’assortimento è ora in promozione

e vi permette di partecipare ad un grande concorso Sono talmente tanti che è un attimo perderci la testa quando si tratta di fare la propria scelta. Stiamo parlando dei panini, delle michette e dei cornetti in sacchetto dell’assortimento dei supermercati di Migros Ticino, disponibili in ben 19 varianti differenti. Dai classici della colazione come i cornetti alla parigina o al burro fino alle michette soffiate e alle ciabattine per panini supersfiziosi, passando per i mini sandwich tanto amati dai bambini e dagli sportivi fino ai morbidissimi panini al burro: ce n’è proprio per tutti i gusti e desideri. Tutti sono prodotti dal panificio Jowa di S. Antonino – un’azienda Migros – con ingredienti naturali di prima qualità. Qui gli abili fornai sfornano annualmente qualcosa come 7 milioni di pezzi. Infine, ricordati di partecipare al

grande concorso sulla piccola panetteria Jowa: ritaglia 4 bollini dai sacchetti e incollali sulla cartolina di partecipazione che trovi nei supermercati di Migros Ticino. In palio vi sono 1 buono del valore di Fr. 1000.– presso il Kurhaus Cademario Hotel & Spa; 2 buoni da Fr. 250.– per lo Splash e Spa Rivera e 5 carte regalo Migros del valore di Fr. 100.– ciascuna.

L’industria Migros produce numerosi prodotti molto apprezzati, tra cui il pane Jowa

Michette soffiate TerraSuisse 5 pezzi Fr. 1.75 invece di 2.20*

Cornetti alla parigina 5 pezzi Fr. 1.75 invece di 2.20*

Mini Sandwiches 10 pezzi Fr. 1.80 invece di 2.30*

Flavia Leuenberger

Bambini in panetteria

Panini al burro TerraSuisse 5 pezzi Fr. 2.05 invece di 2.60*

In vendita nei supermercati di Migros Ticino. *20% su tutti i panini Jowa fino al 17.3.2014.

Mercoledì 26 marzo, dalle ore 14.00 alle 16.30 ca., nelle panetterie della casa Migros di S. Antonino e Serfontana si terrà il primo pomeriggio in panetteria del 2014 dedicato ai bambini. La partecipazione è gratuita e aperta a tutti i bimbi tra i 7 e i 14 anni (10 partecipanti per panetteria). Durante il pomeriggio i panettieri in erba potranno assistere insieme agli artigiani Jowa alla produzione di pane e creare con le proprie mani golose specialità. Per partecipare telefonare al numero 091 840 12 61, mercoledì 12 marzo 2014, tra le ore 10.30 e 11.30.

Migros: la grande corsa ai pacchetti sorpresa La Svizzera è in preda alla febbre da raccolta. Il pacchetto sorpresa della Migros gode infatti di una popolarità enorme. Le clienti e i clienti hanno già consegnato molte più cartoline del previsto. E non tutte le filiali avranno pacchetti a sufficienza per tutti. Nessuno, però, se ne andrà a mani vuote tra coloro che disporranno di cartoline per la raccolta punti complete. Chi non potrà portarsi a casa un pacchetto, riceverà pertanto da

subito uno sconto pari a 20.– Fr. sulla spesa attuale o successiva. Il programma «Noi firmiamo. Noi garantiamo.» della Migros è partito all’insegna di un grande successo. Dall’11 febbraio è in corso la campagna di raccolta con cui la Migros consente di toccare con mano la ricchezza delle marche proprie. Chi acquista per almeno 20.– Fr., riceve un bollino e una cartolina per la raccolta punti. Con una car-

tolina completa di 18 bollini si può ritirare un pacchetto sorpresa in negozio (fino a esaurimento delle scorte). La campagna proseguirà ancora fino all’11 marzo 2014. Già ora appare però evidente che gli stock di pacchetti sorpresa non saranno sufficienti in tutte le filiali. «Siamo stati larghi nei calcoli ed eravamo convinti di avere abbastanza pacchetti in magazzino», spiega Marc Engelhard, Responsabile Marketing

Comunicazione alla Migros. «Ma non avevamo fatto i conti con un simile fervore da parte dei nostri clienti!» Sebbene con una nota si faccia sempre presente che la campagna è valida fino a esaurimento delle scorte, tutti coloro che possiedono una cartolina completa devono poterne approfittare. Per questa ragione la raccolta proseguirà come previsto fino all’11 marzo 2014. Qualora in un negozio non vi fosse più

alcun pacchetto disponibile, tutti i clienti che presenteranno una cartolina completa riceveranno 20.– Fr. di sconto sulla spesa attuale o successiva – ancora fino al 24 marzo 2014.


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Idee e acquisti per la settimana

Fairness sotto vetro

Un campo di asparagi verdi con alcuni contadini della cooperative Fairtrade Ceprovaje e rappresentanti della Migros.

PERU

Migros amplia costantemente il suo assortimento Fairtrade-Max-Havelaar, agendo così in modo pionieristico. I nuovi prodotti in conserva e in vaso come gli asparagi verdi offrono ai piccoli contadini peruviani nuove possibilità di guadagno

Insalata d’asparagi e pollo con toast

Nella regione di Trujillo le condizioni climatiche per la coltivazione degli asparagi sono ideali.

Piatto principale per 4 persone Ingredienti 600 g di dadini di pollo 1 cucchiaio d’olio d’oliva 200 g di crème fraîche ¼ di cucchiaino di paprica dolce sale, pepe* 4 fette di pane da toast 2 vasetti d’asparagi verdi da 190 g (100 gr, peso sgocciolato) 100 g d’insalata a foglia mista, ad es. formentino, lattuga, riccia crescione per guarnire

Trujillo Lima

0

100

Preparazione Rosolate i dadini di pollo da ogni lato nell’olio in una padella antiaderente per ca. 6 minuti. Estraeteli e lasciateli raffreddare. Mescolate il pollo con la crème fraîche. Condite con la paprica, sale e pepe. Tostate bene il pane e dimezzatelo in diagonale. Scolate gli asparagi e fateli sgocciolare bene. Servite il toast, gli asparagi e il pollo con l’insalata. Guarnite con il crescione.

200 km

Tempo di preparazione ca. 25 minuti Per persona ca. 35 g di proteine, 30 g di grassi, 14 g di carboidrati, 2000 kJ/480 kcal

In Perù, quando ci si sposta dalla capitale Lima in direzione nord, pochi chilometri prima della città di Trujillo il paesaggio desertico si trasforma all’improvviso: la desolazione di sabbia e pietre color ocra, delimitata a ovest dal Pacifico e a est dalle Ande, si trasforma in un mare di verde: una distesa di campi di asparagi a non finire. Con un fatturato di 532 milioni di dollari statunitensi, il Perù è il maggior esportatore di asparagi al mondo. La cittadina coloniale di Trujillo, un tempo sonnacchiosa, conta oggi un milione di abitanti, di cui circa 60’000 si guadagnano da vivere coltivando asparagi, che sul povero terreno sabbioso e nel clima costantemente caldo della costa peruviana prosperano benissimo. Enrico Antonini, 49 anni, è acquisitore di conserve per la Migros ed è un autentico pioniere in fatto di Fairtrade. Viaggia in tutto il mondo per trovare nuovi produttori Fairtrade per frutta e verdura in scatola. «Spesso devo fare opera di convinzione per far capire ai contadini

Il marchio Fairtrade per prodotti coltivati in modo sostenibile e commerciati in modo equo permette alle famiglie dei piccoli contadini nonché alle lavoratrici e ai lavoratori nei paesi emergenti e in via di sviluppo di godere di condizioni di vita migliori. Ulteriori informazioni sul sito: www.maxhavelaar.ch

* Disponibile come articolo Faritrade

che Migros è un partner affidabile. Proprio in Perù i contadini non sono molto propensi ai cambiamenti e all’inizio temono un impegno eccessivo», afferma Antonini. Negli anni 70 in Perù ci fu un’importante riforma territoriale con l’esproprio di tutti i grandi proprietari fondiari. La terra venne suddivisa fra i lavoratori e a poco a poco, particolarmente attraverso le eredità, finì in possesso di piccoli con-

Enrico Antonini dialoga con i contadini della cooperativa Faitrade Ceprovaje.

«Spesso devo convincere i contadini che ne vale la pena» Enrico Antonini, acquisitore di prodotti in scatola di Migros.

tadini. Il reddito della coltivazione di queste superfici relativamente piccole è modesto e per i contadini non è facile lavorare in modo effciente e affermarsi contro i grandi produttori. Con la fondazione di cooperative, i contadini creano una premessa per la certificazione Fairtrade, che li aiuta a conquistare una posizione più forte sul mercato. «Grazie alla certificazione ho uno smercio garantito del prodotto attraverso la società di lavorazione Sociedad Agricola Viru SA e Migros. Ciò mi permette di pianificare a lungo termine e mi dà sicurezza», dice Reyes Artega, coltivatore di asparagi e membro della cooperativa Ceprovaje.

Ottimizzazione dell’azienda e premi Fairtrade La comunità organizzata in questo modo sostiene lo sviluppo economico e sociale delle aziende coinvolte. I suoi membri si aiutano reciprocamente, non soltanto scambiandosi le rispettive esperienze, ma anche i macchinari stessi e gli apparecchi per la lavorazione. Oltre a questo possono approfittare di un premio Fairtrade che è utile alla Cooperativa. Nel caso dei coltivatori di asparagi di Trujllo, si finanziano bilance e fertilizzanti. Collaboratori di Fairtrade impartiscono lezioni di agronomia. I futuro sono previste formazioni specifiche su temi quali la potabilizzazione dell’ac-

qua di fiume o l’ottimizzazione dell’azienda attraverso l’informatica e l’uso di Internet. Due volte all’anno si raccolgono asparagi verdi

Per gli asparagi verdi lavorano 57 fattori attorno a Trujillo. Due volte all’anno, in maggio e giugno così come da ottobre a dicembre, è tempo di raccolta. La produttività si aggira sulle dodici tonnellate all’ettaro, circa tre volte quanto si raccoglie in Svizzera, dove a causa del clima si può raccogliere solo una volta all’anno. Coltivare asparagi significa anche commerciare asparagi. Tra l’altro bisogna scavare solchi e sistemare tubi per l’irri-

gazione; l’acqua necessaria allo scopo è trasportata mediante canali dalle Ande. Durante il periodo della raccolta i lavoratori devono percorrere un campo fino a due volte al giorno, perché l’asparago cresce anche di otto centimetri dalla mattina alla sera. Dopo la raccolta, l’asparago è portato nella fabbrica di scatolame Sociedad Agricola Viru S.A. Già da 15 anni la Migros ritira da questo stabilimento asparagi verdi in vaso. Ora anche la lavorazione, cioè il riempimento dei vasi di vetro, avviene nello stabilimento di un’azienda certificata Fairtrade collegata e offre così a tutti i lavoratori coinvolti nella produzione un’interessante

vantaggio supplementare. Circa sei settimane dopo la raccolta l’asparago giunge in Svizzera; il trasporto avviene su nave. La sua conservabilità è di circa quattro anni. Ogni anno, sugli scaffali della Migros arrivano 350’000 vasi Fairtrade con asparagi verdi. «Siamo continuamente alla ricerca di nuovi produttori. Per i contadini, Fairtrade in scatola è una possibilità in più di esportare e di guadagnare di più», afferma Antonini, dopo che una volta ancora ha potuto convincersi sul posto che il commercio equo migliora effettivamente a lungo termine le condizioni di vita dei coltivatori. L’attuale offerta Migros di scatolame da

commercio equo comprende mango, litschi, ananas, asparagi verdi, cuori di palma, cuori di carciofo e latte di cocco. E ne seguiranno ancora altri. / Anette Wolffram Eugster

Parte di

Generazione M è simbolo dell’impegno sostenibile della Migros Fairtrade Max Havelaar ne fornisce un prezioso contributo.

• M-Classic Fairtrade asparagi verdi 100 g Fr. 1.90 • M-Classic Fairtrade cuori di carciofo 240 g Fr. 3.40 • Sun Queen Fairtrade fette di mango 250 g Fr. 1.70 • M-Classic Fairtrade cuori di palma 220 g Fr. 3.20


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 marzo 2014 • N. 11

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Idee e acquisti per la settimana

Per guadagnare punti Gli ovetti punteggiati addolcisono la Pasqua. Quest’anno c’è una nuova, fruttata Limited Ediltion Gli ovetti di cioccolato della Chocolat Frey sono un prodotto di culto. Per un regalo si prestano in particolare le grandi uova di metallo, che esistono nelle varianti Extra, Pralinor, Torrone o Mocca. Inoltre tre novità sono giunte ad arricchire l’assortimento. Le prime due faranno la gioia del golosoni, che potranno gustarsi le varietà Pralinor e Extra anche in grandezza maxi. L’altra è costituita dalla Limited Edlition Blueberry, che presenta un nuovo gusto. Era stata scelta a Pasqua dell’anno scorso dagli utenti di Migipedia, e dal 25 marzo su www.migipedia.ch si potrà già votare per la Limited Edition 2015. Questa volta si potrà scegliere fra cocco, cranberry e frutto della passione. / Dora Horvath; foto Claudia Lins

Ecco le novità: gli ovetti Blueberry e le maxiuova Extra e Pralinor.

Il giudizio dei lettori Patricia Egresits, 37 anni, di Zurigo, specialista in cure Gli ovetti punteggiati sono da sempre la mia leccornia pasquale preferita. Sono cremosi e buonissimi. La varietà Blueberry fa già pregustare l’estate. Per me sono un tantino troppo dolci. Varietà preferita: quelli gialli coi puntini rossi: Torrone.

Vorreste provare anche voi il cioccolato e dare il vostro giudizio in merito? Allora annunciatevi con un’e-mail con foto a: choco@mediasmigros.ch

Frey ovetti Blueberry Limited Edition 500 g Fr. 10.50

Frey maxiuova Pralinor 6 pezzi, 186 g Fr. 6.50

Frey uovo di metallo ripieno di ovetti Torrone 264 g Fr. 12.50 L’industria Migros produce numerosi prodotti molto apprezzati, tra cui anche gli ovetti punteggiati della Frey.


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Tutti i cake e i biscotti M-Classic 20% di riduzione, per es. cake al cioccolato*, 700 g

Tutti gli articoli pasquali in PET Frey Bunny Family e le uova Babushka Frey, UTZ per es. Bunny al latte, 170 g

Tutti i sofficini M-Classic surgelati, 20% di riduzione, per es. sofficini al formaggio, 10 pezzi

ChocMidor Rocher o Carré in conf. da 3 per es. Carré, 3 x 100 g

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Tutti gli ovetti di cioccolato Frey, UTZ, in sacchetto da 500 g per es. ovetti Pralinor e Giandor, assortiti

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Tutta l’acqua minerale Aquella in conf. da 6 x 1,5 l 20% di riduzione, per es. Aquella blu

Ravioli, polpette di carne, purea di mele o crema di pomodoro Bischofszell in conf. da 3 per es. purea di mele Jonagold*, 3 x 300 g

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Fiori agli spinaci e alla ricotta Anna’s Best in conf. da 2, aha! 2 x 200 g, 20% di riduzione

Tutti i cornetti al burro precotti, refrigerati, in conf. da 2 25% di riduzione, per es. 2 x 6 pezzi, 2 x 210 g

Barrette ai cereali Farmer in conf. da 2 20% di riduzione, per es. Soft Choc alla mela, 2 x 290 g

Graneo e Corn Chips Zweifel in busta grande per es. Graneo Original, 225 g

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ALTRE OFFERTE. FRUTTA E VERDURA Formentino Anna’s Best in conf. da 2, 2 x 100 g 5.60 invece di 7.– Cetrioli, Spagna, al pezzo –.70 invece di 1.40 50% Carote, Svizzera, sacchetto da 1 kg 1.50 Finocchi, Italia, al kg 2.60 Prugne rosse, Sudafrica, al kg 3.20 Uva bianca senza semi, Sudafrica / Cile / India, vaschetta da 500 g 2.40 Arance sanguigne, Italia, rete da 2 kg 3.20 invece di 4.60 30% Mirtilli, Cile / Spagna, in conf. da 125 g 2.30 invece di 2.90 20%

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PESCE, CARNE E POLLAME Mini vaschette grigionesi (carne secca / pancetta cruda / coppa), Svizzera, 180 g 7.95 invece di 11.85 30% Mortadella Beretta affettata, Italia, per 100 g 2.10 invece di 3.– 30% Salame della festa del papà Rapelli, Svizzera, pezzo da 640 g 16.50 invece di 27.50 40% Carne di manzo macinata, Svizzera, al kg 9.80 invece di 17.– 40% Nuggets di pollo Don Pollo, prodotti in Svizzera con carne del Brasile, 2 x 500 g 12.50 invece di 21.20 40% Tutti i tipi di sushi, per es. bio, salmone da allevamento in Irlanda, gamberetti da allevamento in Costa Rica, 130 g 9.50 invece di 11.90 20% * Luganighetta, Svizzera, imballata, per 100 g 1.40 invece di 2.– 30% Salametti a pasta grossa, prodotti in Ticino, imballati, per 100 g 2.65 invece di 3.85 30% Spezzatino di manzo, TerraSuisse, Svizzera, imballato, per 100 g 1.95 invece di 2.80 30% Tutto il lesso di manzo, Svizzera, per es. lesso magro, TerraSuisse, imballato, per 100 g 1.95 invece di 2.70 25% Cordon-bleu di maiale, Svizzera, imballati, per 100 g 2.35 invece di 3.40 30% Fettine di tacchino, importate dall’Unione Europea, imballate, per 100 g 1.55 invece di 1.95 20% Filetti di merluzzo, MSC, pesca, Atlantico nordorientale, per 100 g 2.15 invece di 3.10 30% fino al 15.3 Filetto di pesce persico, Polonia, al banco pesce, per 100 g 3.90 invece di 4.90 20% fino al 15.03

PANE E LATTICINI Tutti gli yogurt Bifidus, per es. al mango, 150 g –.65 invece di –.85 20% Tutti i Crème Dessert da 6 x 125 g, per es. al cioccolato 2.– invece di 2.50 20%

*In vendita nelle maggiori filiali Migros.

Tilsiter Surchoix, per 100 g 1.25 invece di 1.60 20% Philadelphia al naturale in porzioni, 100 g 1.90 NOVITÀ *,** 20x Mozzarella Alfredo in conf. da 2, 2 x 150 g 2.40 invece di 3.– 20% Grigliata Lucana, pomodori Pugliesi e olive Siciliana Polli, per es. pomodori Pugliesi, 535 g 6.40 Caseificio Leventina, prodotto in Ticino, a libero servizio, al kg 19.50 invece di 24.35

FIORI E PIANTE Tulipani ton sur ton, mazzo da 20, il mazzo 12.50 invece di 15.80 Narcisi Tête-à-Tête 1.– di riduzione, in vaso da 10 cm, la pianta 2.80 invece di 3.80 Tutti i bulbi di fiori primaverili, per es. mughetti 7.– invece di 8.80 20%

ALTRI ALIMENTI Articoli Kinder Ferrero in confezioni grandi e multiple, per es. barrette Kinder, 18 pezzi 4.40 invece di 4.65 Tavolette di cioccolato Frey con soggetto primaverile, UTZ, in conf. da 3, cioccolato al latte finissimo o Noxana, per es. cioccolato al latte finissimo, 3 x 100 g 3.70 invece di 5.55 33% Tutti gli articoli pasquali in PET Frey Bunny Family e le uova Babushka Frey, UTZ, per es. Bunny al latte, 170 g 20x 6.50 20x PUNTI Tutti gli ovetti di cioccolato Frey, UTZ, in sacchetto da 500 g, per es. Pralinor e Giandor, assortiti 8.40 invece di 10.50 20% ChocMidor Rocher o Carré in conf. da 3, per es. Carré, 3 x 100 g 5.80 invece di 8.70 33% Biscotti Tradition Petit Gâteau in conf. da 2, per es. al limone, 2 x 150 g 5.60 invece di 7.– 20% Tutti i tipi di Nescafé, per es. Gold de Luxe Smart Pack, 150 g 7.10 invece di 8.90 20% Tutti i tè e le tisane Tea Time in bustina, a partire dall’acquisto di 2 confezioni, –.50 di riduzione l’una, per es. menta, 50 bustine –.65 invece di 1.15 Tutti i müesli e i cereali Actilife, per es. Crunchy Mix Plus, 600 g 4.55 invece di 5.70 20% Barrette ai cereali Farmer in conf. da 2, per es. Soft Choc alla mela, 2 x 290 g 7.20 invece di 9.– 20% Tondelli di riso o di mais in conf. da 3, per es. tondelli di riso con cioccolato, 3 x 100 g 3.30 invece di 4.95 3 per 2 Tutti i sofficini M-Classic, surgelati, per es. sofficini al formaggio, 10 pezzi 5.10 invece di 6.40 20%

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NEAR FOOD / NON FOOD Alimenti per gatti Sheba in conf. da 12, per es. Découvertes, 12 x 100 g 9.80 invece di 12.30 20% Asco Fit by Nature, coniglio, agnello o pollo, per es. coniglio, 20x 3 kg 11.50 NOVITÀ *,** Diversi prodotti Nivea Hair Men in confezioni multiple, per es. shampoo Sport in conf. da 3, 3 x 250 ml 7.90 invece di 11.85 Tutto l’assortimento I am face, per es. gel idratante Aqua 20x Care, 50 ml 11.– NOVITÀ ** Tutti i sistemi di rasatura da uomo Gillette (lame di ricambio escluse), per es. Fusion Proglide Power 14.20 invece di 28.40 50% ** Prodotti I am Men e Nivea Men, per es. Aftershave Balm Sensitive, 100 ml 4.70 invece di 5.90 20% ** Diversi prodotti per la rasatura Gillette, Bic e Wilkinson, per es. gel da barba Gillette Basic in conf. da 2, 2 x 200 ml 6.70 invece di 7.90 Deodorante e docciaschiuma Axe Peace, per es. deodorante, 20x 150 ml 5.50 NOVITÀ ** Diversi docciaschiuma e deodoranti I am, Nivea e Rexona in confezioni multiple, per es. docciaschiuma trattante Nivea for men Sport in conf. da 3, 3 x 250 ml 7.20 invece di 9.– Completino per feminuccia 2 pezzi, tg. 68–98 25.– 20x NOVITÀ *,** Ammorbidente Exelia Parfumeur, per es. Violet Senses, 1 l 6.50 20x NOVITÀ ** Calgon in conf. risparmio o da 2, per es. in polvere, 1,8 kg 16.90 invece di 21.80 Hygo WC Fresh Gel Tab Grapefruit o Orange, igiene accurata e profumo intenso, per es. 20x Grapefruit 3.90 NOVITÀ *,** Lampadina alogena Osram Classic Eco in set da 4, attacco E14 ed E27, per es. Classic A ECO Superstar, 46W, E27 9.80 invece di 14.– Contenitori trasparenti, per es. con 4 rotelle 15.– Set FriXion, 1 penna stilografica con meccanismo a pressione e 3 ricambi + 1 penna stilografica in omaggio 14.70 invece di 19.60


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Actilife Lactobene compresse con lattasi, per la scissione del lattosio, 30 pastiglie

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Capsule di cranberry Actilife Medisana prodotto medicinale per ridurre l’incidenza di infezioni della vescica, 30 capsule

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Asco Fit by Nature coniglio, agnello o pollo, per es. coniglio, 3 kg

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 marzo 2014 • N. 11

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 marzo 2014 • N. 11

Idee e acquisti per la settimana

Un patto con la natura

Walter Heiniger, contadino IP-Suisse, è fieramente convinto: «La carne dei vitelli che godono di aria fresca e spazi aperti è senza dubbio migliore».

Allevamenti con spazi all’aperto per respirare tanta buona aria fresca, campi di cereali con piccole superfici fiorite e promozione della biodiversità: sono circa 10’000 i contadini legati al programma IP-Suisse, che si impegnano così a praticare un’agricoltura in sintonia con la natura. Alla Migros i loro prodotti si riconoscono dal marchio TerraSuisse

Walter Heiniger (44), alleva vitelli a Weier nell’Emmental e ogni volta che entra nella stalla pensa a undici anni fa, quando decise di ristrutturarla; una scelta più che mai azzeccata: «Da quando i miei dieci vitelli dispongono di maggior spazio all’aperto e hanno così la possibilità di scorazzare allegramente all’aria fresca, sono molto più robusti e meno soggetti a malattie». Se allora era ancora considerato un visionario, oggi la sua opzione è diventata una direttiva, che gli agricoltori IPSuisse devono realizzare entro la fine dell’anno. Ciò per incrementare notevolmente il benessere degli animali. E non è l’unica misura dettata al fine di rispettare al meglio le esigenze degli

TerraSuisse è simbolo di un’agricoltura in sintonia con la natura, rispettosa degli animali. Il marchio della sostenibilità si basa sulle linee direttive di IP-Suisse, l’associazione svizzera dei contadini che producono in modo integrato, che conta 12’000 membri. Ulteriori informazioni sul sito www.migros.ch/terrasuisse

animali, anche l’adattamento dell’alimentazione è basilare a tale scopo. Ogni vitello riceve, così, almeno 1000 litri di latte fresco oltre a fieno e acqua a volontà. Un piano nutrizionale che influisce considerevolmente sulla qualità della carne, poiché il fieno ne incrementa il tenore di ferro. A lungo si è ritenuto che la carne di vitello dovesse essere tendenzialmente chiara. Oggi, però, si sa che la carne che offre un maggior contenuto di ferro – e quindi più pregiata - ha un colore tendenzialmente rosato. La carne di vitello di Walter Heiniger, fornitore Migros, risponde a tutte le esigenze del programma ed è perciò contrassegnata con il marchio TerraSuisse, come d’al-

tronde già il 91 percento della carne di vitello proposta dal maggior dettagliante svizzero. Direttive più severe di quelle previste dalla Confederazione

Walter Heiniger e i suoi colleghi IPSuisse possono tranquillamente sostenere di allevare nel pieno rispetto di direttive addirittura più severe, rispetto a quelle dettate dalla legislazione della protezione degli animali svizzera. E lo stesso Heiniger è convinto che ad approfittare del benessere dell’animale alla fine è lo stesso consumatore: «La carne dei vitelli che godono di aria fresca e spazi aperti è senza dubbio migliore».

• Entrecôte di manzo TerraSuisse 100 g, al prezzo del giorno • Bratwurst di vitello TerraSuisse 280 g Fr. 5.40 • Fettine lonza di maiale TerraSuisse 100 g, al prezzo del giorno • Medaglioni di rösti TerraSuisse, surgelati 500 g Fr. 5.40*

Illustrazioni Daniel Kellenberger, Peter Mosimann, Veronika Studer

* in vendita nelle maggiori filiali Migros

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 marzo 2014 • N. 11

Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 marzo 2014 • N. 11

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Idee e acquisti per la settimana

Bramata Polenta 500 g Fr. 1.80* Olio di colza 50 cl Fr. 3.35 Tagliatelle alla spelta 500 g Fr. 4.95* Treccia al burro 500 g Fr. 3.30

* nelle maggiori filiali.

«Nei campi di cereali non pianto ogni anno la stessa cosa, bensì punto sulla rotazione delle colture e il riposo del terreno» Martin Tanner, coltivatore di cereali IP-Suisse

Il lavoro di un contadino non è mai noioso. Nessun anno assomiglia al precedente; infatti non si sa mai, quando si potranno raccogliere cereali, frutta o patate. Un agricoltore si deve affidare alla natura e ciò vale anche per i coltivatori IP-Suisse. Lo sanno bene, che per ottenere i risultati migliori e offrire prodotti degni di questo marchio sinonimo di sostenibilità, si devono seguire le regole dettate da madre natura e non lottare contro di lei. Le condizioni imposte da IP-Suisse, l’associazione svizzera degli agricoltori a produzione integrata, sono molto severe. Vieta ad esempio l’uso di insetticidi e fungicidi chimici, nonché di regolatori della crescita. Il cinquantacinquenne Martin Tanner, come i contadini legati al programma si impegnano inoltre a promuovere la biodiversità. Ciò significa che favoriscono la varietà di piante e animali. I coltivatori conoscono bene, ad esempio, l'importanza fondamentale del lavoro svolto dalle api, con l’impollinazione delle piante. Purtroppo, però, indagini

Martin Tanner, coltivatore di cereali di Bolligen BE, controlla il grado di maturazione del grano.

Promuovere la varietà I coltivatori di cereali IP-Suisse rinunciano all’uso di insetticidi, fungicidi e regolatori della crescita e puntano sulla biodiversità. Un particolare che si rivela, ad esempio, nella semina puntuale di fiori selvatici nel bel mezzo dei campi di cereali, al fine di creare un piccolo paradiso per la nidificazione delle allodole (ill. a destra). Gli agricoltori piantano inoltre siepi o dispongono mucchi di pietre ai margini delle coltivazioni per offrire l’habitat ideale a tanti insetti, rettili e uccelli e combattere così possibili parassiti in modo del tutto naturale. Martin Tanner è contento della qualità del suo frumento.

scientifiche hanno svelato che, negli ultimi anni, in Svizzera, coltivazioni monotone e l’impiego di pesticidi hanno portato alla moria di intere popolazioni di api. I contadini IP-Suisse si impegnano, perciò, ad offrire loro l’habitat ideale e attirare e invitare a restare queste preziosissime assistenti naturali. Pregiati cereali per le migliori preparazioni

Nell’ambito del progetto Generazione M, la Migros promette di offrire entro fine anno solo insetticidi e fitosanitari rispettosi delle api. È infatti risaputo, che proprio negli orti e nei giardini privati e sulle terrazze di casa vengono impiegate sostanze che potrebbero risultare dannose per questi preziosi insetti. I contadini IPSuisse, che producono per TerraSuisse, danno il buon esempio, creando biotopi per piante e animali rari. E i risultati si vedono; con le loro particolari caratteristiche, convincono, infatti, anche i panettieri Migros. Così nasce un buon pane.

Piantando costantemente la stessa varietà di cereali s’impoverirebbe il terreno. Per evitare ciò, gli agricoltori si impegnano a variare il tipo di coltivazione o a concedere ai campi un periodo di riposo. Ciò significa che seminano una miscela di erbe e fiori e lasciano che il terreno si rigeneri con essa per un intervallo che va dai due ai sei anni, in modo che sia nuovamente fertile per l’anno successivo. Per molti coltivatori questa è la miglior compensazione ecologica possibile. In questo modo gli oltre 10 000 contadini, che hanno scelto di lavorare in sintonia con la natura, formano le basi per un’agricoltura moderna. / Claudia Schmidt

Parte di

Generazione M è il nome del programma testimone dell’impegno Migros a favore della sostenibilità. E TerraSuisse offre un importante contributo.

Proteggere le api Nell’ambito del progetto Generazione M, la Migros promette di offrire entro fine 2014 solo insetticidi e fitosanitari rispettosi delle api. In qualità di cliente Migros, si ha ora la possibilità di garantire a questi preziosi insetti un’alimentazione variata, piantando nel proprio giardino o nelle cassette sul balcone di casa piante particolarmente ricche di polline. Un vero e proprio «campo per api» insomma. Ordinate ora il vostro sacchetto di sementi di fiori su www.generationm.ch/api.


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Idee e acquisti per la settimana

Piatti tradizionali svizzeri subito in tavola Nessun trambusto, niente caos in cucina: quando si è di fretta, Bischofszell offre gustose alternative ai piatti fatti in casa. Pratici e assolutamente privi di esaltatori del sapore, aromi o coloranti

Bischofszell rösti al burro 400 g Fr. 1.70 invece di 2.60

Bischofszell mousse di mele Jonagold 3 x 300 g Fr. 5.– invece di 7.50

Bischofszell zuppa di pomodori 3 x 420 g Fr. 5.80 invece di 8.70

In vendita nelle maggiori filiali Migros. Azione valida dall’11 al 17.3

Quando lo stomaco brontola, il classico menu è subito servito.

Convenience è sinonimo di praticità. Una parola che ben si addice ai prodotti della Bischofszell. Quando manca tempo e voglia, oppure semplicemente si vuole mangiare bene senza dover stare troppo a lungo in cucina, gli appetitosi piatti pronti della nostra tradizionale marca sono un’ottima soluzione. I

piatti si conservano a lungo senza refrigerazione – grazie ad un trattamento termico – è sono veloci da preparare. Tuttavia si distinguono chiaramente dai prodotti pronti convenzionali. Le materie prime principali provengono dalla Svizzera

Le ricette sono di qualità, le materie

prime principali come patate, mele, carne o panna sono di origine svizzera, e anche la produzione avviene nel nostro paese. Sostanze aggiuntive come esaltatori del sapore, aromi e coloranti artificiali, sono praticamente abolite del tutto: sono presenti sostanze aromatiche solo sotto forma di

estratti di spezie. La zuppa di pomodori è raffinata con panna, i rösti sono al burro, mentre la mousse di mele nel vasetto richiudibile è costituita di una sola varietà e non contiene zucchero cristallizzato. / Anna Bürgin; foto & styling Claudia Linsi

L’industria Migros produce numerosi prodotti molto apprezzati, tra cui gli alimenti della Bischofszell.


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Idee e acquisti per la settimana

Ice, ice, Baby! Quando si tratta di festeggiare, le cose non si fanno certo a metà. Con un’eccezione: il nuovo tè freddo Tencha Half & Half Non ci vuole molto per organizzare un piccolo party casalingo: basta chiamare un paio di amici, invitare anche i vicini per mantenere buoni rapporti e tirar fuori la vecchia collezione di vinili. A questo punto manca solo l’amico DJ con il suo giradischi e la festa Oldschool-Disco da appartamento può iniziare.

Bere molto: ballando intensamente si perdono ogni ora quasi due litri di liquidi.

Fifty-fifty: mixami qualcosa di tè e limonata

Chi si lancia nei balli più sfrenati ovviamente perde molti liquidi attraverso il sudore; di conseguenza è importante bere molto, preferendo le bevande senz’alcol. La novità dell’assortimento Tencha mette d’accordo sia gli amanti del tè freddo sia i fan della limonata: la nuova bibita Half & Half Lemonade & Black Tea contiene gli ingredienti base del migliore tè freddo, dove al classico tè nero viene aggiunto del rinfrescante succo di limone per un dissetante piacere senza fine. Inoltre la nuova bibita si presenta in una nuova, graziosa bottiglia. La novità firmata Tencha è la quinta della serie: l’assortimento comprende già Green Tea with Honey, Green Tea Pomegranate, White Tea Blueberry e White Tea fiori di sambuco. / Nicole Ochsenbein; foto Markus Bertschi; styling Mirjam Kaeser

Tencha Lemonade & Black Tea 50 cl Fr. 1.60

Tencha Green Tea with Honey 50 cl Fr. 1.50

Tencha White Tea Blueberry 50 cl Fr. 1.50

Tencha Green Tea Pomegranate 50 cl Fr. 1.50

In vendita nelle maggiori filiali Migros.

L’industria Migros produce numerosi prodotti molto apprezzati, tra cui i tè freddi Tencha.


u I P % 1 0 E N TE I N E V N O C

OLTRE 4 MILIONI DI ACQUISTI DIMOSTRANO CHE LA MIGROS È PIÙ CONVENIENTE DELLA COOP. In collaborazione con l’Istituto di ricerche di mercato indipendente LP, dall’11 al 17 febbraio 2014 abbiamo ripetuto il più grande confronto di prezzi nel settore del commercio al dettaglio svizzero, prendendo in considerazione oltre 5000 articoli. Nell’ambito di questo studio oltre 4 milioni di acquisti, realmente effettuati, sono stati messi a confronto con acquisti avvenuti alla Coop. Il risultato? Facendo la spesa alla Migros si risparmia l’11,6%. È quindi dimostrato ciò che i nostri clienti sanno da sempre: LA MIGROS È SEMPRE PIÙ CONVENIENTE.

MGB www.migros.ch W

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