Azione 10 del 3 marzo 2014

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Cooperativa Migros Ticino

G.A.A. 6592 S. Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXVII 3 marzo 2014

Azione 10 M sho alle pa pping gine 3 3-45 / 51-61

Società e Territorio Migranti e lavoro di cura: una ricerca della Supsi indaga il mondo delle badanti

Ambiente e Benessere Il dottor Pierre Kahn, psicologo clinico e psicoterapeuta, ci parla dell’importanza di aiutare i giovani nelle fasi difficili del loro ciclo di vita

Politica e Economia Dopo la battaglia di Kiev sale la tensione con la Russia

Cultura e Spettacoli La Fondation Beyeler di Basilea presenta un’ottantina di opere di Odilon Redon

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Avanti il prossimo RSI, un direttore nuovo Uomo della Provvidenza per una televisione in mutamento Anche questa volta l’Italia non sfugge alla tentazione di affidarsi all’«Uomo della Provvidenza» per salvare miracolosamente il Paese dal disastro imminente. Dopo il Ventennio berlusconiano e lo sfascio politico, morale, economico che ne è seguito, l’unica alternativa praticabile era incarnata dal sindaco di Firenze Matteo Renzi. Profilatosi come «rottamatore» delle cariatidi di un Partito Democratico ormai svuotatosi della spinta ideale del Partito Comunista Italiano attraverso le metamorfosi degli ultimi 20 anni, viene ora elevato a demiurgo cui è affidata la rinascita del Belpaese. La scalata di Renzi alla presidenza del Consiglio era solo una questione di tempo, un fatto ineluttabile, per cui la poco elegante defenestrazione di Enrico Letta da Palazzo Chigi ha certo dato fastidio a tanti, anche fra i sostenitori di Renzi, ma è stata archiviata come un mal di pancia passeggero. Perché Matteo Renzi, caustico golden boy toscano, era ormai l’ultima spiaggia per un Paese profondamente diviso e disorientato. Renzi piace: sprizza simpatia, è giovane e spregiudicato, ha la battuta pronta (da ricordare quella sui grillini: dobbiamo volergli bene a quelli, con il capo che si ritrovano), entusiasmo, carisma, intelligenza, baldanza, ambizione; possiede, insomma, in sufficiente misura le qualità berlusconiane che hanno stregato gli italiani, tanto da poter mettere in soffitta il vecchio Berlusconi. Perlomeno, non affronta la sua «discesa in campo» nella politica nazionale con il conflitto di interessi del Cavaliere che tanto inquinò la sua azione politica. E ha avuto il coraggio di affermare che se il suo governo fallirà, la colpa sarà sua – una novità, nel mondo politico italiano e non solo. Ma, qual è il suo programma, quali ingredienti hanno le sue ricette per risollevare l’economia e ridare fiducia agli italiani? Con gli «Uomini della Provvidenza» il rischio è che il leader diventi il programma, anziché averne uno. Fin qui la lacuna principale del nuovo capo del governo italiano è stata di dire che cosa farà ma non come lo farà. In che modo riuscirà a spendere, investire e ridurre le imposte se le casse dello Stato sono ancora vuote? Come avvenne con Obama negli Stati Uniti, Renzi sta sollevando enormi aspettative e verrà misurato sulle promesse mantenute e soprattutto su quelle tradite. E non sono promesse da poco: la riforma del lavoro in marzo, della pubblica amministrazione in aprile, del fisco in maggio – come ha scritto Beppe Severgnini sul «Corriere della Sera»: «tre mesi per tre cose che aspettiamo da trent’anni? Auguri». Analizzando un po’ più da vicino i vari proclami che ha fatto negli scorsi mesi, non si vedono ancora i contorni di una visione politico-economica coerente e capace di fare l’unanimità neppure all’interno del suo partito. Anche la compagine governativa, al di là del fatto che conta solo 16 ministri di cui la metà donne, non brilla per competenze (eccetto Gian Carlo Padoan, ministro dell’economia, da ascrivere all’orbita di Enrico Letta e di Massimo d’Alema). Nonostante le perplessità diffuse, Renzi parte con un vasto sostegno, che si estende anche oltre i confini del suo partito. La sua popolarità si misura anche con la quantità di persone che sta oggi «accorrendo in aiuto al vincitore». Oggi come oggi, ha il potenziale di rubare voti sia a destra (in particolare a Forza Italia), sia fra i sostenitori di un sempre più autoritario e sconcertante Beppe Grillo. Hanno capito bene che aria tira anche i transfughi del Polo della Libertà che fanno capo ad Angelino Alfano, che hanno rapidamente ingoiato il rospo della perdita della vicepresidenza del Consiglio e di qualche poltrona ministeriale, pur di restare ancora per un po’ nella stanza dei bottoni. Tuttavia, Renzi farà bene a guardarsi dagli abbracci e dalle esternazioni di stima che provengono dal paludoso mondo politico italiano: in questo parlamento, in cui ha contro di sé il Movimento 5 Stelle e Forza Italia, non ha una maggioranza politicamente coesa e coerente. La sua iniziale spinta politica potrebbe venire frenata, logorata, infine svuotata, lasciando le cose come stanno oggi, cioè: male. Ma il rischio maggiore che Renzi corre è insito nella tradizione italiana di delegare la realizzazione di un futuro migliore all’«Uomo della Provvidenza», perché una volta di più libera i cittadini dall’assumersi le responsabilità che spettano loro. In effetti, l’immagine di una casta politica malata, corrotta, incapace e di una società civile virtuosa è artefatta. In realtà, quel mondo politico è espressione e specchio di una società che conosce gli stessi mali: divisione, astio, corruzione, cinismo, scarso senso di solidarietà e dell’interesse comune. Se la maggioranza degli italiani non riscopre la virtù di riflettere e agire in favore della collettività anziché del proprio tornaconto personale, non basteranno mille Renzi (come non bastò Garibaldi e i suoi Mille) per cambiare l’Italia.

di Antonella Rainoldi

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Stefano Spinelli

di Peter Schiesser


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 marzo 2014 • N. 10

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Società eTerritorio Il parco di Villa Argentina A Mendrisio non si placa la polemica su uno dei pochi spazi verdi rimasti, sarà il Consiglio comunale a pronunciarsi sul suo futuro

Genere e professioni In Ticino sono pochi gli uomini che lavorano in settori considerati «femminili» come gli asili nido: l’esperienza dell’educatore Jacopo De Pol

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Casa o ospedale? Due luoghi non più inconciliabili, un’alternativa che presuppone il diritto di scelta dei pazienti, ma quali le conseguenze psicologiche e familiari? Un seminario voluto da Associazione Triangolo e Fondazione psico-oncologica si è chinato sull’argomento pagina 6

Il lavoro della cura Badanti La Supsi ha appena concluso

una ricerca sulle condizioni di lavoro e di vita delle lavoratrici immigrate giorno, quando le condizioni saranno buone, anche gli svizzeri vorranno farlo. I problemi principali che esprimono (la ricerca Supsi ha intervistato 35 donne provenienti dall’Est Europa) sono: mancanza di privacy almeno durante le ore di riposo, cioè assenza di un luogo dove andare per «staccare» veramente; turni lunghissimi e sfiancanti di notte e giornate senza tregua; scarsa considerazione da parte della famiglia, come se la badante fosse una di quelle domestiche di un tempo, che deve occuparsi di tutto, dalla spesa alle cure, alla compagnia, alla pulizia, non solo per la persona accudita ma anche per i figli e chi le sta intorno. «C’è sicuramente un problema culturale – spiega Paola Solcà, responsabile del progetto di ricerca della Supsi – perché alcune lavoratrici immigrate hanno espresso rammarico per essere trattate come fornitrici di servizi, per non sentirsi parte della famiglia, perché nessuno ha mai chiesto loro chi sono, da dove vengono, che storia hanno. È come se una badante fosse una badante e basta, non una persona, che, tra l’altro, spesso ha figli lontani al suo Paese da mantenere di cui ha nostalgia». «D’altro canto – prosegue la ricercatrice – i problemi sono molto concreti e riguardano le situazioni di coabitazione in cui è difficile, se non impossibile, operare una distinzione tra tempo di lavoro e tempo libero. Parliamo di un mestiere duro e pesante in termini psicologici, di grande responsabilità, con persone a volte affette da Alzheimer, che hanno bisogno di un’assistenza continua. La badante si pretende sia disponibile 24h/24 con un giorno e mezzo di pausa alla settimana. Ma nei momenti liberi deve esserci qualcun altro a casa, il che non sempre avviene, se no per loro diventa impossibile ignorare le chiamate della persona di cui si occupano». Un punto fondamentale è dunque cercare soluzioni abitative diverse. Ci sono esperimenti in Italia di «Casa delle badanti», in cui alcune stanze sono disponibili a rotazione per chi ha giornata di riposo e vuole avere un attimo per sé stessa oppure per chi si trova in una situazione di transizione tra un lavoro e

l’altro; oppure si sta pensando a soluzioni di alloggi per anziani dove ognuno continua a vivere in un appartamento a sé stante, ma con le badanti «di condominio» che fanno i turni e vivono anche loro in appartamenti contigui. In Ticino c’è un’associazione senza scopo di lucro, Opera Prima, nel cui comitato ora ci sono direttori di enti che si occupano di anziani, invalidi e di servizi di assistenza e cura a domicilio, che colloca badanti e fa da mediazione nelle case quando sorge un conflitto tra le parti. L’ente pubblico nel 2010 ha messo in atto una sperimentazione con l’obiettivo di definire una proposta di servizio badanti a livello cantonale. Il Servizio assi-

stenza e cura a domicilio del Mendrisiotto e del Basso Ceresio ha assunto direttamente il ruolo di collocare e inserire la badante e il servizio analogo del Locarnese, lo ha fatto collaborando con un’agenzia privata di collocamento. «In alcune situazioni sarebbe opportuno inserire due badanti – aggiunge ancora Paola Solcà – ma questa soluzione diventa impraticabile, poiché troppo cara per le famiglie. L’assunzione di una badante è la presenza di una figura che somma quella professionale e quella “filiale”. A mio parere questa soluzione può funzionare finché la persona anziana non si trova ancora in una fase acuta. Quando si arriva al

punto che la badante non osa più nemmeno uscire a fare la spesa per paura di lasciare solo il malato, è attiva giorno e notte, allora sarebbe opportuno pensare ad altre strutture meglio attrezzate». «Se cominciamo a parlare di nuove concezioni di case per gli anziani – conclude – si apre un mondo di possibilità, ancora in gran parte da studiare, valutare, inventare, apposta per renderci migliori gli anni della quarta o quinta età. In merito alle condizioni di lavoro e di vita delle badanti coresidenti occorre uno sforzo congiunto tra cantone, famiglie, associazioni e collettività affinché si possano superare situazioni che ricordano la servitù».

Settimanale edito dalla Cooperativa Migros Ticino, fondato nel 1938

Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch

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Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile) Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni

Abbonamenti e cambio indirizzi Tel 091 850 82 31 dalle 09.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@MigrosTicino.ch

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Sara Rossi Da Oriente non importiamo più soltanto stoffe e spezie, ma anche amore per i nostri genitori e nonni. La vita come è impostata oggi spesso non permette più di accogliere in casa propria i parenti non più autosufficienti e la società è alla ricerca di soluzioni. Tra le possibilità di affidare ad altri chi non riesce più a vivere da solo ci sono gli appartamenti medicalizzati, le case per anziani sempre più accoglienti e specializzate e le «badanti» (useremo anche noi il termine più facile e comune per designare chi svolge un lavoro di cura vivendo a domicilio). Il Dipartimento scienze aziendali e sociali della Supsi si è interessato all’argomento Migranti transnazionali e lavoro di cura e ha realizzato una ricerca su questo tema, strettamente collegato agli anziani, finanziata dal Fondo nazionale svizzero per la ricerca scientifica. Perché parlarne tanto? Negli ultimi anni sono usciti vari articoli di giornale, soprattutto dopo il suicidio di due badanti nel 2012; l’anno scorso il settimanale «Area» ha proposto un’indagine-denuncia sulla situazione di molte lavoratrici, i sindacati si stanno mobilitando e i quotidiani hanno dedicato vari approfondimenti sull’argomento. Perché? Perché è molto complicato. Il lavoro della badante è invischiato con i sentimenti: i suoi, quelli della persona curata e quelli della famiglia. Il datore di lavoro deve fidarsi della persona che assume a tal punto da conviverci; la lavoratrice accetta compiti che includono dove e come vivere per mesi, forse anni; quando il suo lavoro non servirà più, dovrà cercarsi non solo un altro posto, ma anche un altro alloggio. Come si può controllare l’una e gli altri? Come istituire il rispetto del contratto, delle regole, dei limiti a un lavoro totalizzante, di stretto contatto, che si svolge al chiuso, nel privato, con la difficoltà per la badante di lamentarsi di persone a cui si sta affezionando e che sente molto più forti di lei sul piano sociale? «È un mestiere bellissimo», mi hanno confidato due badanti, una dopo l’altra, e una ha aggiunto che un

Azione

Il ruolo della badante spesso somma la figura professionale a qualle «filiale».

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 marzo 2014 • N. 10

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Pochi uomini negli asili nido ticinesi Scelte professionali atipiche La segregazione dei generi nel mondo del lavoro è ancora forte ma c’è chi ha sfidato

retaggi culturali e abitudini sociali: l’esperienza di Jacopo De Pol educatore presso l’asilo nido Supsi di Manno Valentina Grignoli Che l’abito non fa il monaco lo si era capito da tempo. Quante volte abbiamo sentito parlare di quote rosa nelle alte sfere, di camioniste, fisiche nucleari, elettriciste... eppure la segregazione dei generi nel mondo del lavoro in Svizzera, secondo un interessante studio del Fondo nazionale Svizzero per la ricerca pubblicato lo scorso agosto, rimane una caratteristica marcata. Ancora di più se si prendono in considerazione uomini che iniziano una carriera in un mondo lavorativo socialmente – per abitudine o naturale evoluzione? – legato alla sfera femminile. Se ne parla poco, a volte chi lo fa ha quasi il timore di sfiorare il tabù, eppure ci sono sempre più uomini che scelgono una professione «atipica» rispetto al loro genere. Piace pensare che questa evoluzione possa tendere col tempo a una parità che distrugga la segregazione dei generi, poiché i vantaggi di una simile tendenza non si contano neppure: dall’integrazione allo scambio e complemento di competenze, dall’apporto di uno sguardo nuovo sul mestiere alla possibilità di evoluzione di un’attività. Razionalmente, certo. Ma non tutti sono ancora pronti a vedere un uomo nei panni di un «mestiere da donna», e retaggi culturali, abitudini sociali, preconcetti prendono spesso il sopravvento, più di quanto si creda. Prendiamo per esempio il mondo dell’educazione infantile: se già sono in minoranza i maestri di scuola elementare, lo sono ancora di più quelli della scuola dell’infanzia. E se ci addentriamo nel mondo della prima infanzia, in Ticino, scopriamo che gli educatori attivi negli asili nido si possono contare sulle dita di una mano. Il fatto che dei neonati se ne debbano occupare prevalentemente le donne è uno di quei falsi miti che si fatica a sfatare. Ma come all’interno delle famiglie l’equilibrio sta lentamente cambiando, con padri che si occupano sempre di più dell’accudimento dei neonati sin dai primi giorni, così vediamo che anche nel mondo lavorativo dedicato ai bambini molto piccoli pare naturale l’avvento, seppure timido e lento, di figure maschili. Abbiamo voluto incontrare a tale proposito Jacopo De Pol, educatore presso l’asilo nido Supsi, a Manno, che

ci ha parlato del proprio mestiere e della sua soddisfazione. «Il mio lavoro è stimolante! Si sta a contatto con diverse persone, sempre: bambini, genitori e colleghi. Inoltre ogni giornata è diversa dall’altra», ci racconta Jacopo. Che dell’eccezionalità del suo ruolo rispetto alla società afferma: «La figura maschile all’interno di queste strutture è ritenuta da tutti importante, ma in realtà nel nostro contesto ticinese ve ne sono pochissime. Si tratta anche di riportare una figura genitoriale nel lavoro. Io non vado a supplire il genitore, sia ben chiaro, ma in assenza di padri i bambini possono ritrovare delle figure maschili». Uno dei motivi di questa penuria è anche la formazione, che spesso propone diverse alternative come operatore sociale, alcune sembrano più attrattive o comunque offrono maggiori possibilità di sbocco professionale, rispetto a quella di educatore in asilo nido. È quello che è successo ai compagni di studio o colleghi di stage di Jacopo, che hanno scelto strade diverse, dove la richiesta di personale era maggiore. La situazione negli asili nido in Ticino pare infatti essere abbastanza precaria, sia a livello salariale sia a livello di posti vacanti. E si capisce che per un uomo, magari con una famiglia a carico, la sicurezza è importante. Quindi è stata proprio la passione per il mestiere a spingere Jacopo De Pol a fare questa scelta? «Io avevo, sin da piccolo, sempre pensato di diventare educatore. Di lavorare nel campo dell’handicap. Avevo già fatto esperienze formative interessanti, ma ciò che permette la Supsi, come scuola, è di fare esperienze diverse, e l’ultimo stage che ho fatto è stato in un asilo nido, a Mendrisio. Ho lavorato per sei mesi e mi son trovato molto molto bene, quindi ho proseguito nella stessa struttura nel ruolo di supplente e poi ho potuto continuare al nido della Supsi. Da allora non ho mai neanche pensato di cambiare». Dopo nove anni che Jacopo si occupa di prima infanzia, l’idea di lasciare il proprio lavoro non lo ha infatti mai nemmeno sfiorato. Parlando di differenze tra l’apporto che può offrire Jacopo rispetto a quello delle sue colleghe: «Credo che non sia particolarmente diverso, in fondo siamo tutti unici e quindi con delle caratteristiche personali. Per esempio spesso si dice che l’uomo

Jacopo De Pol si occupa di prima infanzia da nove anni. (Vincenzo Cammarata)

abbia una disciplina più forte. Ma io, rispetto alle mie colleghe o a altre persone con cui ho lavorato, mi sono già sentito più accogliente. È vero che da parte del bambino c’è una figura diversa con la quale si può identificare, non solo una donna. E magari è una figura che, in alcune famiglie, non è abituato a vedere spesso». Quindi a volte ci sono bambini che si affezionano maggiormente a te? «Sì, come per tutti però, e la differenza è sottile, non credo che sia perché io sia un uomo!». Con le colleghe poi, Jacopo dice di essersi sempre trovato molto bene, anche se unico uomo: «Sono a mio agio, anche se non escludo che mi farebbe piacere, un giorno, che ci siano anche altri uomini a fare questo mestiere. Da parte delle mie colleghe sento molta stima, c’è una reciprocità in questo senso, perché anche loro ritengono la figura maschile in questo ambito molto importante». Ma allora perché non ci sono praticamente uomini che fanno questa professione? «Credo che sia perché questo ambito è davvero poco conosciuto. Solo negli ultimi anni è aumentata la richiesta e se ne parla di più. Certo, non si

vedono ragazzi fare questo mestiere, per cui gli stessi, dovendo scegliere, non si sentono di poterlo fare. Inoltre a livello ticinese, c’è un grande bisogno, una forte richiesta, ma sono troppo poche le strutture che offrono buone condizioni di lavoro e che danno la disponibilità di una formazione». Nella speranza che con il tempo la situazione possa cambiare, scopriamo che l’Associazione svizzera (Assai) e quella ticinese (Atan) di Strutture d’accoglienza per l’infanzia, e il Centro di risorse in educazione dell’infanzia sono attive nella promozione di un team misto negli asili nido attraverso opuscoli orientativi e vere e proprie guide per le strutture d’accoglienza. Per quanto riguarda la formazione, inoltre, sono ben quattro le possibilità di studio che portano a fare lo stesso lavoro di Jacopo: la Scuola specializzata per le professioni sanitarie e sociali, la Scuola cantonale per operatori sociali, la Scuola Specializzata Superiore e la Supsi (DSAS), quindi l’offerta non manca, sia di percorsi sia di differenti diplomi. Forse è proprio una questione di tempo e evoluzione, e sì, anche di rottura di schemi e preconcetti.

museo, allestito con dei vecchi macchinari, tra i quali un alternatore di più di 100 anni, che mi ha lasciata a bocca aperta. Abbiamo anche potuto fare un giro nella sala di comando, una specie di balcone avvolto in una grande vetrata, che custodisce i controlli automatici e dove, ogni sera, viene stampato un foglio con i dati della giornata. Un ascensore ci ha condotto sotto il livello dell’acqua. Non riuscivamo proprio a trattenerci dal ridere, perché le nostre orecchie si stavano tappando, proprio come in aereo. Quando ci hanno detto che in passato, prima della costruzione dell’ascensore, bisognava fare ben 1400 scalini, ci siamo però subito ricomposte. Il rumore era assordante, a causa dei motori delle grandi turbine, che pesano ben 30 tonnellate; mentre degli operai stavano provando gli allarmi. Mi sono anche spaventata un pochino, ma non fa niente. All’uscita ci hanno

presentato quanta corrente si produce e si distribuisce in Ticino: impressionante! Poi ha iniziato a piovere, purtroppo. Abbiamo comunque fatto una passeggiata sulla diga e ci siamo chieste se qualcuna di noi volesse tuffarsi nel lago. Nessuna si è offerta, per fortuna. In seguito ci siamo diretti negli archivi della ditta Lombardi. I primi progetti erano tutti disegnati a mano, richiedendo un lavoro di grande precisione. Oggi, per fortuna, ci sono i computer che velocizzano non poco. Dopo aver guardato la stampa di un progetto, siamo finalmente andate a mangiare una pizza in un ristorante vicino, sempre accompagnate dagli ingegneri, con i quali abbiamo potuto chiacchierare tutto il tempo e che ci hanno offerto il pranzo. Abbiamo passato tutto il pomeriggio in ufficio, svolgendo una serie di attività tipiche di un ingegnere. Prima ci hanno fatto vedere una trasmissione sullo stu-

Anche perché Jacopo non ha mai avuto problemi neanche con i genitori che accompagnano i propri figli: «Si potrebbe pensare che alle famiglie risulti strano dover lasciare il proprio bambino a un uomo, ma è il contrario! Questo infatti favorisce la mia figura rispetto alla madre, che non essendo in competizione, si sente più a suo agio». Sembra naturale a questo punto, la via verso un’équipe di lavoro sempre più mista, che della diversità faccia la propria ricchezza. Anche se, ascoltando Jacopo De Pol, diversità e normalità sembrano solo parole: «Credo sia semplicemente naturale che una figura maschile abbia la possibilità di essere presente nella vita di ogni bambino. In famiglia e tra le mie amicizie ho sempre riscontrato molto supporto, anzi grande stima. La mia scelta è sempre stata motivo d’orgoglio, non tanto per un desiderio di voler far altro o andar contro corrente, bensì come scelta di vita legata al lavoro ed accompagnata al piacere dello stesso. Normalità? Termine generico che probabilmente dice poco… Solo un pezzo di vita quotidiana che ogni bambino ha il diritto di avere».

I ragazzi si raccontano di Thayla Belotti Un tuffo in un mondo professionale maschile

Un giorno come tanti altri, a metà settembre, il docente responsabile della «Città dei Mestieri» ha presentato alla mia terza media una giornata particolare, diversa dal solito, chiamata Nuovo Futuro, organizzata dal «Servizio Gender» della SUPSI. I ragazzi avrebbero potuto seguire un’attività tipicamente femminile, mentre le ragazze sarebbero andate in un luogo di lavoro prevalentemente maschile. L’idea mi è piaciuta subito. Ne ho discusso con i miei genitori e ho completato il foglio ricevuto, anche nello spazio previsto per illustrare la motivazione, nel mio caso l’interesse per l’ingegneria. I miei l’hanno firmato e così l’ho potuto consegnare. Qualche settimana dopo ho saputo di essere stata accettata. Ne ero felice. E poi è arrivato il fatidico giovedì 14 novembre. Mi sono svegliata di buon

umore, contenta di poter vedere con i miei occhi uno studio d’ingegneria. Il tempo era bello, con un sole splendente, pronto ad accompagnarmi nel breve viaggio dal Gambarogno fino a Minusio, presso la sede della ditta Lombardi S.A. Una volta arrivata, sono stata accolta da una signorina in segreteria, che mi ha regalato una penna e una descrizione della ditta. Essendo molto in anticipo, mi sono divertita a osservare l’entrata dei dipendenti che, tutti, mi hanno salutato, facendomi sentire subito a mio agio. Progressivamente sono giunte anche le mie compagne. Alla fine eravamo sette, di tre classi diverse, tutte della mia scuola. Al termine di una breve introduzione, due simpatici ingegneri ci hanno guidato a visitare la diga della Verzasca. È stato il momento più bello. Ho scoperto che la sua altezza è di ben 220 metri. Siamo entrati in una specie di corridoio-

dio, che abbiamo commentato rispondendo a una serie di domande. Poi ci hanno chiesto di mettere in ordine cronologico delle foto che rappresentavano le diverse fasi della costruzione di una casa. Infine ci hanno fatto disegnare la sezione del modellino di una casa da diverse prospettive, partendo da alcuni affascinanti libri illustrati. Rapidamente è giunta l’ora di compilare il foglio di bilancio, prima di ringraziare tutti per la disponibilità e di salutare. Ero un po’ dispiaciuta. È stata una giornata indimenticabile, che mi ha permesso di vivere al quotidiano questo interessante mondo professionale. A dire il vero, non so se diventerà il mio. So però che mi piacerebbe poter rivivere questa esperienza, ma in un altro ambito. Testi corretti dal professor Gian Franco Pordenone


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 marzo 2014 • N. 10

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Società e Territorio

I tormenti di un magnifico parco Pianificazione A Mendrisio il Consiglio comunale dovrà decidere sul futuro del parco di Villa Argentina

e confrontarsi con le necessità dell’Accademia di architettura Roberto Porta «Guarda, anzi ascolta» mi dice un anziano signore incontrato qualche tempo fa all’eremo di san Nicolao. Con la sua chiesetta e il grotto, l’eremo è una piccola nicchia a strapiombo sul vuoto, aggrappata com’è alla parete di roccia che sovrasta la città di Mendrisio. «Ascolta e sentirai il lamento di questo territorio che chiede, anzi che implora di essere finalmente lasciato in pace». Non ha tutti i torti questo signore che non vuol essere citato, basta guardare verso il basso per capire quanto il territorio di Mendrisio, e di tutto il distretto, stia soffrendo per l’incedere incalzante di catrame e cemento. E in questo lembo di terra ci sono di questi tempi due spazi verdi al centro della contesa per la loro destinazione futura e forse anche loro implorano di essere lasciati in pace. Si tratta della zona di Valera, lungo il fiume Laveggio, tra Genestrerio e Ligornetto (confronta «Azione» del 10 settembre 2012) e il parco di Villa Argentina a Mendrisio. Per parlare di questo parco partiamo da lontano, da quando è stata realizzata la villa che gli dà il nome. L’edificio fu costruito dall’architetto Antonio Croci, tra il 1876 e il 1878 ed inserito in un’area verde di circa 46 mila metri quadrati, che fu trasformata in un vero e proprio parco, con scuderie, serre e un giardino all’inglese, con un intreccio di scale e fontane. A quei tempi, nella parte più alta, sulla collina, fu persino realizzato un belvedere con ali a pergolato. L’intero comparto giunge poi ai giorni nostri e nel 1985 l’allora Dipartimento dell’ambiente lo inserisce, con un vincolo di protezione, nell’elenco dei monumenti storici e artistici del canton Ticino, definendolo un «raro esempio integro di spazio disegnato dell’Ottocento nel Mendrisiotto». Tre anni più tardi questa proprietà viene venduta al comune di Mendrisio, che l’acquista con un investimento di 3 milioni e mezzo di franchi. Una parte di questa area, quella sulla collina, rimane però di proprietà privata. Con la nascita dell’Accademia di architettura la Villa Argentina, posta all’entrata del parco, viene ceduta all’ateneo che ne fa la sede della propria direzione. L’accademia costruirà poi in un settore del parco un suo edificio, chiamato Palazzo Canavée,

Sulla questione del parco di Villa Argentina il clima politico si infiamma nel 2008, in quegli anni nasce un’associazione in difesa dell’area e viene lanciata una petizione firmata da 2870 persone. (CdT - Maffi)

dove oggi si trovano gli atelier, le aule informatiche e gli spazi espositivi dell’ateneo. Già alla fine degli anni 80 del secolo scorso, il comune di Mendrisio ha dato mandato di allestire un piano particolareggiato di Villa Argentina, per definire e valorizzare l’aspetto urbanistico dell’intera area, che comprende anche la vicina casa per anziani Torriani, ricavata negli spazi di quello che un tempo lontano era l’Hotel Mendrisio. Sulla questione di Villa Argentina il clima politico si infiamma attorno al 2008 quando si viene a sapere che nella parte alta del parco si progetta la costruzione di sei palazzine, a firma dell’architetto Giorgio Giudici, allora sindaco di

Lugano. Il piano regolatore considera quei 18mila metri quadrati edificabili ma una parte della popolazione non ci sta. Nasce un’associazione in difesa dell’area e viene lanciata una petizione che verrà firmata da 2870 persone. «Un magnifico parco per un magnifico borgo», questo il titolo della petizione che ha l’obiettivo di salvaguardare anche la parte alta del comparto, con il comune esortato ad acquistare anche quest’ultimo settore ancora in mano privata. A questo proposito nel corso del 2013, tra i proprietari e il Municipio si è giunti ad un possibile accordo per un prezzo di vendita che dovrebbe aggirarsi attorno agli otto milioni di franchi.

Ma con i tempi che corrono non sarà facile trovare in città una maggioranza politica disposta ad un investimento di questo genere. La risposta spetterà comunque al Consiglio comunale. Nel frattempo però il Comune, in una variante del piano regolatore intende modificare la destinazione d’uso della parte alta del parco da «abitazioni private» a «edifici e attrezzature pubbliche di interesse comunale» e ha sottoposto questa modifica all’esame del Dipartimento del territorio, che ha risposto con toni piuttosto critici un anno e mezzo fa. Perplessità dovute non alla modifica della destinazione d’uso ma ad altre probabili costruzioni. Il legislativo cit-

tadino, infatti, dovrà presto confrontarsi anche con le necessità della vicina Accademia di architettura. Nel concreto si tratta di realizzare due nuovi edifici. Dopo Canavée 1, l’ateneo ritiene che per poter funzionare al meglio dovrà costruire anche Canavée 2 e 3, per destinarvi in particolare i nuovi atelier per i lavori pratici degli studenti. «Non sarà una costruzione nel parco» assicurano i vertici dell’accademia, ma ai margini dello stesso. I due edifici potrebbero sorgere al limite del parco, in una zona oggi comunque verde, da qui l’opposizione del Comitato del parco di Villa Argentina, che in una recente lettera al Municipio chiede che venga abbandonato l’obiettivo prioritario di sostenere lo sviluppo del campus universitario. La situazione per chi difende il parco si fa comunque piuttosto ingarbugliata perché un conto è opporsi all’edificazione di case private o – come per l’aerea di Valera – alla costruzione di capannoni industriali, un altro è invece contestare l’ampliamento dell’ateneo di architettura, vero e proprio fiore all’occhiello della città di Mendrisio e anche di tutta la Svizzera italiana. In favore di chi lotta per la difesa integrale dell’area c’è però il citato documento firmato dal Dipartimento del territorio, in risposta alle modifiche proposte dal Comune per il futuro assetto pianificatorio del parco. In quel testo vi si legge tra l’altro: «Mal si comprende, se non quale logica di carattere economico, la necessità di confermare il potenziale edificatorio del comparto, pur modificandone completamente la sua connotazione, da privata a pubblica. L’abbandono dei vincoli edificatori vigenti deve favorire l’insediamento, se del caso, di nuove strutture che garantiscano un rapporto equilibrato con il parco sottostante e concorrano alla salvaguardia paesaggistica e monumentale di quest’ultimo». L’Accademia assicura di voler rispettare questi obiettivi. La palla è comunque ora nel campo del Consiglio comunale che dovrà discutere i prossimi sviluppi di questo tormentato parco di Villa Argentina. E non si esclude nemmeno che un giorno o l’altro vi sarà persino un referendum. Una cosa è certa: gli spazi verdi a Mendrisio continueranno a far discutere ancora parecchio.

Cronache di un’età interrotta Videogiochi Broken Age di Double Fine è un gioco d’avventura

di «quelli di una volta» voluto e finanziato dal popolo della rete Filippo Zanoli C’era una grande attesa per questo Broken Age, uscito a fine gennaio per Pc dalle brillanti fornaci di Double Fine, e i motivi sono diversi. Innanzitutto si tratta del titolo-simbolo di un’ondata/generazione di videogiochi finanziati «dal basso» attraverso la piattaforma online di raccolta fondi Kickstarter.com. Il progetto, lanciato da Tim Schafer uno dei guru del videogioco d’avventura cervellotico (e ironico) degli anni ’90, aveva entusiasmato le folle affamate di nostalgia. In molti desideravano un successore spirituale a grandi giochi nello stile dell’ormai defunta LucasArts come la saga di Monkey Island, Day of the Tentacle o Grim Fandango. Risultato: 3,45 milioni di dollari raccolti in pochissime ore (contro i 400 mila richiesti dall’azienda) e una copertura mediatica invidiabile con tanto di documentari a seguirne lo sviluppo che non è stato affatto in discesa. Già dopo circa un anno di lavorazione lo stesso

Schafer ha infatti dichiarato che, la somma raccolta «non era sufficiente» a coprire tutti i costi sollevando diverse polemiche fra i finanziatori. Per questo motivo il gioco sarebbe stato pubblicato in due parti la prima, a pagamento, avrebbe coperto i costi della seconda (gratuita se si possiede la prima). Spreco? Sperpero? Oppure sviluppare videogiochi è più costoso di quanto si pensi? In ogni caso, dopo due anni di lavorazione, il primo atto di Broken Age raggiunge finalmente i computer (Mac, Windows e anche Linux) con uno sbarco successivo su dispositivi mobile iOS e Android previsto ma ancora da definire. Mantiene le promesse? In parte senz’altro sì ma risulta anche un po’ limitato da questa sua violenta (e inorganica) cesura. Ma parliamo del gioco. A differenza di molti altri titoli videoludici nell’ultima impresa di Double Fine avremo a che fare con due protagonisti, due storie che inizialmente ci parranno separate.

Si tratta di una coppia adolescenti in situazioni simili anche se apparentemente agli antipodi. Ad entrambi, infatti, è stato imposto un destino scomodo a cui faranno di tutto per sfuggire. Una certa urgenza ce l’ha senz’altro Vella, la protagonista femminile, abitante di un pianeta idilliaco, scelta come agnello sacrificale per placare l’ira di una divinità-mostro dal nome di Mog Chothra. Meno drammatica, ma ugualmente opprimente, la situazione di Shay prigioniero di un’astronave iperprotettiva progettata dai suoi genitori. Assieme al lupo Marek cercherà di evadere dalla sua gabbia dorata e dare un significato alla propria esistenza. Compito del giocatore sarà quello di aiutare i due ragazzi a scardinare le barriere imposte loro e, raggiunta l’anelata libertà, aiutarli ad affrontarne le imprevedibili conseguenze. Sin dal primo momento Broken Age impressiona per la veste grafica meravigliosa che ricorda un libro illustrato per bambini/ragazzi e che scorre

Vella e Shay, i due protagonisti adolescenti di Broken Age.

davanti agli occhi come i migliori film d’animazione. Cura estrema anche per quanto riguarda il doppiaggio (ovviamente in lingua inglese) con ugole d’eccezione come Elijah Wood (la voce di Shay) e il divo rock Jack Black. Ottima anche la scrittura e l’orchestrazione narrativa e interattiva del gioco che scorre senza intoppi da una meraviglia e una sghignazzata all’altra. Colpisce abbastanza duramente l’interruzione

del primo atto che coglie il giocatore un po’ fra «capo e collo» con un colpo di scena incredibile e ben orchestrato. La durata? Attorno alle quattro orette, forse poche? Tutto sommato, quindi, Broken Age resta un ottimo titolo, consigliato a videogiocatori di tutte le età che non disdegnano di divertirsi con un gioco ispiratissimo e che, spesso e volentieri, farà spremere loro un pochino le meningi.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 marzo 2014 • N. 10

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Società e Territorio Rubriche

Lo specchio dei tempi di Franco Zambelloni La sfortuna di stare bene I quotidiani svizzeri danno notizia di un rapporto dell’Organizzazione mondiale della sanità che segnala un’anomalia svizzera: i dati forniti dall’OCSE indicano che in quattro anni, tra il 2008 e il 2012, la quota di giovani passati al beneficio di una rendita AI è cresciuto dell’11%. Sono circa 1300 i giovani ai quali è assegnata la rendita per turbe comportamentali e problemi psichici. Di per sé la cifra non è elevata rispetto al totale della popolazione attiva. A preoccupare è piuttosto l’evoluzione della tendenza: dal 1995 la quota di giovani afflitti da tali disturbi si è triplicata, ed è questo il fattore d’allarme segnalato dall’OCSE. Deve esistere, evidentemente, qualche fattore patogeno. Secondo Pro Juventute, la causa di questo aumento inquietante sarebbe lo stress al quale le nuove generazioni sono sottoposte. E qui, la prima reazione è di perplessità: lo stress? Ma

come è possibile? La nostra società e il mondo del lavoro hanno condizioni di vita grandemente migliorate rispetto anche solo alla prima metà del secolo scorso. Ancora tra le due guerre mondiali gran parte delle famiglie contadine viveva più o meno come nel Medioevo: non avevano l’elettricità, attingevano l’acqua dal pozzo, si scaldavano e cuocevano il cibo con la legna raccolta nel bosco; se il raccolto del grano o la vendemmia andavano male pativano la fame; riservavano le scarpe e la giacca per i giorni di festa; il cavallo e il bue erano i mezzi per alleggerire la fatica, che rimaneva comunque grande. E l’incertezza e le ansie circa il domani? In caso di malattia o d’incidenti non c’erano rapide possibilità d’intervento, né casse malati che ti rimborsassero le spese. In caso di grandine o d’incendio nessuna assicurazione ti garantiva il recupero dei beni perduti. L’assistenza sociale era quasi nulla, il domani in-

certo, la sciagura sempre in agguato. Non abbiamo dati che ci dicano quanto fossero stressati gli uomini d’allora. A quel tempo non esisteva neppure la parola «stress», che, ci dicono i dizionari italiani, fa la sua apparizione da noi solo a partire dal 1955. È però da supporre che molti fossero sovraffaticati, malnutriti, magari infelici – ma stressati probabilmente no. Perché lo stress, almeno così come si configura nella statistica dell’OCSE, sembra piuttosto un fenomeno d’oggi. E allora la notizia fornita circa la gran quantità di giovani stressati può risultare meno paradossale. Lasciamo stare i casi possibili di giovani che preferiscono cadere in malattia piuttosto che lavorare (lo stesso documento dell’OCSE segnala che, soprattutto per giovani che percepiscono un basso reddito, è più conveniente percepire una rendita AI che un salario). Consideriamo solo gli stressati autentici:

quali sono i fattori che li tempestano di stress? La scuola certamente no – per lo meno non quella dell’obbligo. Chiunque abbia più di quarant’anni e confronti il carico scolastico dei suoi tempi con quello d’oggi non può che convenirne. «Star bene a scuola» è, lo sappiamo, l’imperativo pedagogico oggi dominante. Dunque sembrerebbe di dover escludere il percorso scolastico dai fattori di stress. Eppure, forse proprio qui si annida un’insidia nascosta. A giudizio di Pro Juventute i ragazzi sono sottoposti a pressioni psicologiche da parte dei datori di lavoro durante l’apprendistato e da parte delle famiglie che li spronano al successo. E sarà vero; ma queste considerazioni vanno valutate anche in rapporto con altri fattori. Un bambino, poniamo, cresce in condizioni di benessere costante; gli è sempre possibile rinviare il tempo dello studio dando la precedenza al gioco e alla TV; non im-

para gradualmente a disciplinarsi nell’uso del tempo e a concentrarsi per tempi prolungati. Poi, di colpo, inizia un apprendistato e tutto cambia: d’improvviso non deve perdere tempo, non deve distrarsi, dev’essere efficiente e preciso. Lo stress è inevitabile, perché è mancato l’allenamento; è come se, a chi non ha mai corso duecento metri, si chiedesse di fare una maratona. Questa non è che un’ipotesi e può rivelarsi errata. Ma per saperlo occorrerebbe condurre un’indagine seria presso i giovani – stressati e non – per vedere che tipo di famiglia, di educazione, di scuola hanno avuto e se esista una correlazione tra questi fattori e la sindrome da stress. Si dà tanto peso alla prevenzione, in tutti i campi: ebbene, sembra ragionevole pensare che la prevenzione allo stress della vita adulta consista nel preparare gradualmente il ragazzo al mondo che lo attende.

corrimano scendendo le scale – è un contrappunto magistrale. Questa fonte termale era già conosciuta nella media età del bronzo. Perdipiù, il bronzo, riflette le scintille di luce in fondo a lunghi steli neri appesi al soffitto. Qui incomincia la liturgia dei tagli netti e labirintici dei volumi che creano vari tragitti, tutti ad angolo retto, con fughe prospettiche mozzafiato. La luce bluastra che si specchia nell’acqua, dando tinte azzurrine alla quarzite interna, viene dai quadratini di vetro sul soffitto della nota vasca centrale, aperta ai quattro lati. Passo via e vado dritto a immergermi nell’acqua a trentasei gradi che porta fuori, nella piscinapatio. Qui l’anima trova di colpo il suo luogo, da tre proboscidi bronzee escono getti forti d’acqua al solfato di calcio. Sotto, testa e schiena: inizia il rito, la rinascita. Attorno le montagne rocciose della Surselva, baite isolate, undici paravalanghe, pinete a perdita d’occhio. C’è sempre gente alle terme,

ma numero chiuso a parte, nessuna percezione di folla; il vapore acqueo sfuma i volti, oltre a favorire le narici che ispirano l’aria pura. A poco a poco poi, va da sé, ci si rilassa e nasce un senso di condivisione eccetera. È qui che le mura mostrano il loro vero volto. Apparenza monolitica, raggiunta pezzo per pezzo: lastre di trentuno, quarantasette, sessantatré millimetri di spessore – tagliate in cinque diverse lunghezze agli angoli – sono state combinate dai muratori con modulo alla mano. Con tre millimetri di malta per lastra, si arriva a una cadenza di quindici centimetri: «corrisponde all’altezza di un passo» dice lo stesso Zumthor. Una tessitura muraria con sei sequenze possibili in altezza, ritma dunque di questo passo, le infinite tonalità di questa pietra con cinquanta milioni di anni, riportata alla luce dal ventre dell’Adula e poi lavorata. Siamo a mollo modernamente arcaici. Per la quarzite di Vals si parla di metamor-

fite, vale a dire formata con sbalzi termici favolosi: negli scontri condensati ci sono anche occhiate bianche; in tedesco è chiamato appunto Augengneiss. Risalendo le scale di prima, faccio attenzione allo scalino: tre lastre, quindici centimetri. Ma ci sono ben altre cose degne d’interesse: il bagno turco minimale tutto nero fatto di basalto, mettere i piedi nella neve accanto alla pensilina sacrale, le orme d’acqua in giro sul pavimento. Le dieci chaise longue disegnate senza tanti frou frou da Zumthor: in mogano e poggiatesta di pelle nera, con vista a pieni vetri sul versante innevato. Trovare i due unici orologi nascosti, gli altri spazi-grotta, la luce che entra zenitale dai sei centimetri degli interstizi-giunture vetrate in alto, i coni d’ombra, la connessione con una partitura di John Cage. O il Blütenbad: in un bagno-bunker con la spiritualità dei soffitti alti, ad esempio, nuotano nell’acqua a trentadue gradi, petali di calendula.

varsela per conto proprio, rimanendo fra le pareti domestiche. Ecco allora che si giustifica la domanda, che è anche un diritto di scelta: meglio in casa o in ospedale? E per ospedale si deve intendere casa di cura, casa di riposo, e, in generale, l’istituzione. Una parola che, a partire dagli anni 60, è stata spesso abbinata alla contestazione, al bisogno e al piacere di dire no. Anche nel rifiuto dell’ospedale, simbolo dell’autoritarismo, e nella riscoperta della casa, simbolo della libertà, ha avuto la sua parte una corrente di pensiero ereditata da quegli anni, quando si predicava il ritorno alle origini, alla purezza della natura, alle cose genuine. E tutto ciò come reazione alla medicina tecnologicizzata, all’eccesso specialistico e alla spocchia dei baroni della scienza ufficiale. Di questa dissacrazione si era fatto banditore Ivan Illich, personaggio eclettico e pittoresco, un mix di scienziato e guru, che denunciava la diffusione del cosiddetto «morbo iatrogeno», cioè prodotto da un’eccessiva «medicalizzazione della

vita». E, quindi, invitava alla ribellione: « Curatevi in casa, fate nascere i bambini in casa…». La casa, insomma, idealizzata alla stregua di un luogo di armonia e salvezza. Lanciò questo messaggio anche a Lugano, in un’affollatissima serata al Palazzo dei congressi, invitato dal Percento culturale Migros. Era il 24 febbraio 1978, e Illich aveva toccato, con estremismo polemico, un tema comunque d’avvenire: ancora in fieri, aperto a interrogativi sul piano organizzativo, finanziario e, non da ultimo, umano. Com’è emerso dal seminario, organizzato la scorsa settimana dall’Associazione Triangolo e dalla Fondazione di ricerca psico-oncologica che, appunto, si presentava con un titolo già rivelatore: La casa che libera, la casa che imprigiona. Un dualismo, dunque, che sottintende una conquista ma anche una rinuncia. Certo, al paziente si riconosce il diritto di far sentire la propria voce, in un momento delicato dell’esistenza, è lui a decidere di rimanere nel suo ambiente di sempre. E se le abita-

zioni attuali sono spesso esigue, le difficoltà logistiche appaiono, per lo più, superabili. È possibile, insomma, trasferire in casa le attrezzature indispensabili a un malato, un invalido, un anziano. Ben più complesse e insidiose, invece, le difficoltà d’ordine psicologico o familiare. Qui si tratta di modificare abitudini e mentalità. Per taluni, la casa, in particolare la camera da letto, rimane una sorta di spazio inviolabile dove l’infermiere, la badante, l’operatore sociale diventa un intruso. La difesa della privacy ha, insomma, il sopravvento. Non si accetta, e l’ha rilevato il filosofo Carlo Sini, che «un mondo considerato privato sia invaso» e si dimentica che il malato stesso è «un individuo unico e in pari tempo il membro di una collettività» e quindi la malattia rappresenta una situazione da condividere. Ma c’è, infine, un altro aspetto ancora del problema, più imbarazzante e persino inconfessabile. Non tutti i familiari, persino i più prossimi, il coniuge, i figli, i nipoti sono disposti ad accogliere nella loro quotidianità il malato o il vecchio.

Passeggiate svizzere di Oliver Scharpf Le terme di Vals Le terme di Vals, si sa, sono un capolavoro e per me, anche un luogo dell’anima. Da quando ci sono stato cinque anni fa, cerco di andarci una volta all’anno. Ora che sto per arrivare con la posta da Ilanz, un pomeriggio di fine febbraio, non vedo l’ora di riscoprire questo tempio radicale di pietra e acqua. Opera (1994-1996) di Peter Zumthor, architetto antistar ma di culto, nato a Basilea nel 1943 con ora casa-studio ad Haldenstein, paesino appena fuori Coira a cinquantatré chilometri da qui. Alle soglie di Vals, villaggio di origini walser adagiato laggiù, che assomiglia a Bosco Gurin: stessa posizione, conca incontaminata, in cima a una valle. Questa è la Valsertal, impervia diramazione della Lumnezia. Tra i larici, la neve, e la figura slanciata tipica degli sporthotel sciistici grigionesi anni Sessanta, si scorge un angolo monolitico di queste terme ormai diciottenni che hanno fatto di Vals, una meta internazionale. Il tetto-prato ri-

coperto di neve, mimetizza bene l’edificio termale eretto con sessantamila lastre di ortogneiss – noto anche come quarzite di Vals – anticipandone così, la felice ispirazione bunkeriana all’interno. Su, dentro: spogliarsi, accappatoio bianco di spugna e via, a piedi nudi e mente sgombra. Il pellegrino termale è introdotto dal rimbombo di uno sgorgare meditativo, tunnel nero in pendenza, illusione di entrare nel cuore della montagna. Cinque esili tubi grezzi scandiscono il beton lungo un corridoio monacale, l’acqua mineralizzata scroscia sulla pietra: per terra si è formata una mezzaluna arancio-rossiccia. Dietro l’angolo, il primo bagliore di bronzo: l’agile poggia-asciugamani a U rovesciata delle terme di Vals (1272 m). Poi subito spazi puri e austeri, delineati da blocchi grigioverdastri, ottenuti con lastre impilate di quarzite in tre spessori diversi. L’elemento bronzo, declinato anche nelle linee della ringhiera – che diventa

Mode e modi di Luciana Caglio Meglio in casa o in ospedale? La domanda, oggi, è tutt’altro che peregrina. Sta a indicare una scelta diventata possibile, anzi sempre più frequente. Casa e ospedale, infatti, non sono più i poli di una contrapposizione in termini assoluti, cioè inconciliabili. Da un lato, il luogo che spetta a chi è sano, efficiente, autonomo, dall’altro il luogo per chi, colpito da una malattia acuta o vittima di un infortunio, esige terapie d’emergenza, trattamenti specialistici, interventi chirurgici. La separazione non è più tanto netta. Negli ultimi de-

cenni, fra le due categorie, sani e malati a pieno titolo, si è aperto un nuovo spazio che rappresenta un terreno di studio e di sperimentazione per la medicina e la socialità. Concerne una gamma di situazioni diverse, per così dire intermedie: vissute da persone alle prese con affezioni croniche, da convalescenti reduci da incidenti cardiocircolatori e anche da tumori, da invalidi che, grazie a cure appropriate, possono recuperare un certo grado di autosufficienza, e poi, soprattutto da anziani, che vogliono ca-

Ivan Illich nel 1976 scrisse Nemesi medica. L’espropriazione della salute.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 marzo 2014 • N. 10

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Ambiente e Benessere Turismo scolastico Quando la scelta degli allievi ricade su una meta famosa per la vita notturna, o per lo shopping, dimenticando invece l’esistenza di musei, monumenti e altre attrazioni culturali

Convivenze difficili Anche nel mondo degli animali non sempre è facile andare d’accordo

La ricchezza dell’acqua L’annuale Giornata dell’Acqua, World Water Day, avrà luogo il 22 marzo e si concentrerà sul tema «acqua ed energia»

Grand Prix Migros 2014 Sono ben 13 i giovani ticinesi che ad Airolo si sono classificati per la finale di Arosa

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Il dottor Pierre Kahn, psicologo clinico e psicoterapeuta Fsp. (Stefano Spinelli)

Una porta sempre aperta Psicologia Nell’odierna realtà sociale permeata dall’incertezza, è importante aiutare i giovani

nelle fasi difficili della loro vita Maria Grazia Buletti «Quando accolgo un bambino, sono cosciente che gran parte della terapia si risolverà nel momento in cui io apro la porta del mio studio: quello è il momento decisivo per porre le basi relazionali e di fiducia della relazione terapeuta/bambino, con il quale la comunicazione si gioca maggiormente a livello del linguaggio non verbale rispetto all’ingaggio con il cliente adulto». Con la sua trentennale esperienza di psicologo clinico Fsp (Federazione Svizzera delle Psicologhe e degli Psicologi ) e psicoterapeuta Fsp, il dottor Pierre Kahn ci riceve nel suo studio di psicoterapia e consulenza di Mendrisio. Dapprima in ambito cantonale, e in seguito nel suo studio privato, egli in qualità di specialista ha accolto e accoglie bambini, adolescenti e le loro famiglie che chiedono un aiuto psicologico per i propri figli. Kahn definisce l’approccio psicoterapico di tipo «sistemico-relazionale» come uno strumento elettivo per accompagnare il giovane attraverso le proprie difficoltà: «Non si lavora solo su ciò che c’è all’interno dell’individuo, ma anche e soprattutto sulle relazioni del bambino nella sua famiglia e nei contesti esterni come scuola, amicizie e quan-

t’altro». Secondo il dottor Kahn, il bambino in difficoltà deve sentirsi subito accolto, metaforicamente attraverso quella porta aperta: «Egli deve comprendere che l’adulto lo capisce e sa di cosa sta parlando. Solo così sarà possibile capire l’origine dei problemi e aiutarlo ad attraversarli». In pratica «l’insieme delle problematiche che si presentano alla mia osservazione si possono racchiudere nei due concetti di “insicurezza” e “grado di sofferenza” del bambino». Astrazioni che vanno individuati e quantificati. «Ogni problematica racchiude una dose di sofferenza in rapporto alla quale devo poter aiutare il bambino attraverso risorse disponibili come generalmente la famiglia, e quelle eventualmente da attivare come la scuola, i docenti, la logopedista…». Ci viene spiegato che il ventaglio delle insicurezze dei nostri bambini e dei giovani adolescenti si apre sull’affettività e sulla relazione, come pure sulle difficoltà comportamentali e scolastiche, o sulle incertezze per rapporto al futuro: «Ad esempio, separazioni, divorzi e timore di perdere una figura genitoriale di riferimento (come pure la paura del buio, dei ladri, del rapimento di mamma o papà) sono comprese nelle grandi insicurezze del bambino, insieme alla paura

della morte di un genitore e alla preoccupazione legata alla propria salute o a quella di mamma o papà. E oggi, nell’ambito affettivo, ansia, stati di panico, manie, rituali nei preadolescenti e adolescenti sono molto più palesi di una ventina d’anni fa e possono risultare molto invalidanti per il giovane stesso». Chiudono il cerchio delle difficoltà legate all’infanzia e all’adolescenza la scarsa autostima («per la quale dobbiamo aiutare il giovane a sentirsi più competente e bravo, e a volte cercando di alleviare la delusione che egli pensa di arrecare ai propri genitori verso i quali non si sente all’altezza»), e le difficoltà comportamentali manifeste nel contesto famigliare come pure scolastico («ragazzi che non riescono a seguire le regole, iperattività, deficit di attenzione…»). «D’altronde, sempre con un occhio all’adolescenza, le incertezze in senso lato riflettono quelle della nostra società odierna», afferma il dottor Kahn il cui approccio terapeutico coinvolge, come in una rete, famiglia e ambiti relazionali del giovane paziente: «Al primo incontro partecipa tutta la famiglia (papà super occupato, figli piccoli e grandi compresi) per cercare di individuare le risorse che ci permetteranno di sbloccare la situazione. Il secondo incontro è ri-

servato a colui che apparentemente ha il problema (bambino o adolescente), mentre in seguito vedo i genitori per dare il mio punto di vista sulla situazione». Professionalità, preparazione, metodologia, capacità di comprendere, empatia sono alla base di un buon lavoro terapeutico-relazionale, qualitativamente costante nel tempo, perché quando si parla di salute mentale il tema è spesso delicato: «Certo, ci sono bravi falegnami e falegnami incapaci, così come ci sono bravi psicologi e no: questo dipende dalla preparazione del singolo e non dalla categoria, anche se dobbiamo ammettere che la salute mentale sensibilizza maggiormente i famigliari, per cui lo psicoterapeuta deve essere consapevole che dovrà offrire loro la massima professionalità». Un livello terapeutico che va mantenuto nel tempo attraverso il piacere del proprio operato: «Piacere che è rimasto inalterato nel trentennio dell’esercizio della mia professione, anche se oggi ho una stanchezza diversa che è però largamente compensata con la gioia di vedere il cambiamento nei miei piccoli pazienti. Questo mi ripaga malgrado l’attenzione a tutti i dettagli necessaria per ogni singolo caso». Il dottor Kahn è persuaso che per ogni situazione si debba accendere la

«scintilla relazionale» tra bambino e terapeuta, a prescindere dalla capacità terapeutica di quest’ultimo, proprio per la natura relazionale della terapia stessa. Quella porta aperta assume quindi una grande valenza nella comprensione dell’aiuto che va richiesto, se necessario, senza pregiudizi: «Credo ancora parecchio nell’affettività, nel legame e nel modello famigliare positivo. Bisogna anche però essere coscienti che un bambino va aiutato nelle delicate fasi della sua vita che gli causano incertezze e angosce che tutti possono trovarsi ad attraversare». Egli invita dunque i genitori a chiedere sostegno specialistico dinanzi alle difficoltà che paiono problematiche: «Poter aiutare un bambino precocemente permette di determinare positivamente le traiettorie per il suo futuro e, se abbiamo fatto un buon lavoro, questo dovrebbe rimanere negli anni a venire». Ed è in tal modo che possiamo parlare di una buona prevenzione: «Una guida sarà utilissima ai genitori e permetterà al bambino di vivere un equilibrio generale migliore: se starà bene nella sua pelle, egli attraverserà con maggiore sicurezza anche le fasi più difficili, evitando se possibile le potenziali situazioni devianti che potrebbe trovare sul suo cammino».


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 marzo 2014 • N. 10

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Ambiente e Benessere

A scuola di viaggio

Il viaggio in tre frasi

Viaggiatori d’Occidente Le gite scolastiche sono spesso occasioni perdute

Bussole Gli haiku

e i versi dei lettori di «Azione» Claudio Visentin Frammenti di un dialogo tra genitore e figlio adolescente: «Che cosa fate questa settimana a scuola?»; «Niente, il professore di italiano e latino è ammalato». Il padre rilancia: «Allora la prossima settimana…»; «Niente, siamo in autogestione». Prima di arrendersi: «Quella dopo almeno?»; «Niente, andiamo in gita». Già, dimenticavo che la primavera è la stagione delle gite scolastiche. Scriveva d’altronde il poeta inglese Geoffrey Chaucer nei suoi Racconti di Canterbury, composti alla fine del Trecento: «Quando aprile con le sue dolci piogge ha penetrato fino alla radice la siccità di marzo, impregnando ogni vena di quell’umore che ha la virtù di dar vita ai fiori, quando anche zeffiro col suo dolce fiato ha rianimato per ogni bosco e per ogni brughiera i teneri germogli, e il nuovo sole ha percorso metà del suo cammino in Ariete, e cantano melodiosi gli uccelletti che dormono tutta la notte a occhi aperti (tanto li punge in cuore la natura), la gente allora è presa dal desiderio di mettersi in pellegrinaggio…». A dire il vero Chaucer parlava dei pellegrini, ma il suo assunto può applicarsi altrettanto bene al mondo della scuola. La gita scolastica è in cima ai pensieri degli studenti sin dall’inizio dell’anno e le manovre nell’ombra si moltiplicano. Per cominciare occorre individuare con largo anticipo il necessario professore-accompagnatore, bene raro e prezioso da sottrarre alle altre classi. Dopo aver scelto quello adatto con fine analisi psicologica, bisogna irretirlo a lungo dal momento che spesso – e saggiamente – questi cerca di non farsi coinvolgere, sino alla resa finale per eccessiva bontà d’animo.

La gita scolastica non è una ricreazione più lunga, ma un’occasione di crescita personale ed educativa Anche la scelta della meta è di solito oggetto di accese discussioni, con gli studenti che si mostrano tutti concordi solo nel proporre mete famose per la loro vita notturna – Barcellona! Parigi! – delle quali con incredibile spudoratezza si magnificano invece musei, monumenti e altre attrazioni culturali. Dopo questo lungo e accidentato

I musei restano una tappa imprescindibile nell’educazione al viaggio. (Dalbera)

percorso arriva infine il giorno della partenza e di norma la gita scolastica sarà poi ricordata per anni, a ogni rimpatriata di classe, soprattutto per gli scherzi e gli eccessi di ogni tipo. In teoria nessuno dubita che il viaggio sia un perfetto completamento di ogni educazione, eppure nella pratica le gite scolastiche da questo punto di vista sono spesso occasioni perdute, per diverse ragioni. Per cominciare, c’è il pregiudizio dell’età. Si tende a proporre uscite molto semplici, spesso di un solo giorno, nei primi anni di scuola e gite più articolate alle superiori. In realtà gli adolescenti, concentrati sulla propria crescita e sulle proprie insicurezze, sono spesso dei modesti viaggiatori, specie se in gruppo con i coetanei, mentre ragazzini intorno ai dieci anni sono molto più motivati, curiosi, partecipi e notevolmente resistenti alle fatiche. Anche la scelta delle mete e delle forme di viaggio è spesso superata. Le grandi città e i famosi musei restano una tappa imprescindibile nell’educazione al viaggio, ma non è detto che si debba vederli con la scuola, specie in un momento storico come questo, dove le

compagnie low cost hanno reso economico e facile il viaggio in Europa. Una visita al Louvre potrebbe essere per esempio un perfetto compito per le vacanze (facoltativo naturalmente). Senza contare che grazie alle nuove tecnologie molte opere d’arte possono essere esplorate in ogni minimo dettaglio dal proprio computer, anziché intravederle a fatica tra la folla e la confusione di un museo. Semmai si potrebbe proporre l’esperienza del contesto che quelle opere ha prodotto. Per esempio in Toscana la vivacità della vita cittadina, le contese tra contrade o la bellezza del paesaggio spiegano meglio di ogni storia dell’arte la fioritura di artisti famosi. Queste proposte di turismo scolastico sono poi spesso poco aperte alle novità, come se nulla fosse successo in questo campo. Per esempio – e parlo per esperienza personale – i viaggi a piedi zaino in spalla sono una perfetta esperienza educativa, con quel misto di fatica fisica, lentezza profonda, apertura agli incontri e agli imprevisti del cammino, ma soprattutto per la perfetta adesione al paesaggio in ogni sua piega; eppure solo raramente sono proposti da pochi professori particolarmente moti-

vati. In Ticino la vicinanza delle valli rende ancora più a portata di mano questa possibilità. I viaggi scolastici potrebbero poi essere momenti di formazione anche nei confronti della sostenibilità ambientale, viaggiando in forme leggere ed ecologiche, e soprattutto un’opportunità per far conoscere il mondo del turismo responsabile: è ancora possibile immaginare un viaggio di formazione che non metta al centro dell’esperienza l’incontro con la comunità che quei luoghi conosce e custodisce? Al contrario molte gite, a volte anche per comprensibili esigenze di sicurezza e pianificazione, sono troppo vicine a un turismo di massa anonimo e concentrato solo sui costi. Si perde così anche un’occasione per far conoscere questi temi alle famiglie degli studenti. Qualche professore si è già messo lungo questa via e va sostenuto e incoraggiato. La gita scolastica non è una ricreazione più lunga e avrà tutto il mio sostegno e affetto chi saprà riportare il viaggio, con le sue straordinarie potenzialità di crescita personale, là dove dovrebbe essere: al centro del percorso educativo.

Qualche tempo fa («Azione» n° 6 del 3 febbraio 2014) vi abbiamo sfidato a raccontare un’esperienza di viaggio applicando la «Formula Fénéon»: una riga per la descrizione del luogo visitato, un’altra per raccontare un evento e l’ultima per l’epilogo. Un esercizio di brevità che obbliga a mettere a fuoco l’essenziale e permette di curare sin nei dettagli il proprio testo. La risposta è stata sorprendente, per numero e qualità. Vi proponiamo quindi alcuni di questi brevi componimenti. Dei versi di Patrizia Foti Zappa si ricorda l’apparizione finale dei candidi animali, bianco su bianco. Il primo: Finlandia, Kutajärvi – Il sole è pallido. / Cammino su laghi ghiacciati, / lepri bianche mi sorpassano. Il secondo: Bosco Gurin sommersa dalla neve. / Con le ciaspole si entra nel silenzio, / il cielo nel cuore. Adriana Rigamonti svolta con efficacia l’ultimo verso, dopo un avvio più convenzionale: Viaggio a Londra – Guglie e vie, riflessi di tramonto: fulvo e oro. / Di sera camminavo lungo l’ombra di Westminster. / Un mendicante con la scimmia cantava Shakespeare. Quasi un haiku è la proposta di Nando Uffer: Frastuono di fiume. / Ricordi l’infanzia, / scende la sera, luminosa. Veri e propri haiku, la tradizionale forma poetica giapponese (tre versi di cinque, sette e ancora cinque sillabe) sono stati composti invece da Annamaria Marcacci. Il primo prende il suo ritmo dall’enjambement tra i due versi conclusivi, slegando nella metrica quel che il senso della frase unisce: Erecteion (Acropoli di Atene) – Un vento lieve / nell’ulivo, Atena, / presente, veglia. Nel secondo, ancora virtuosamente, la chiusa è affidata a una sinestesia, accostando termini appartenenti a piani sensoriali diversi: Andros, Cicladi – Di papavero / è il cuore di Andros, / verde il vento. La porta resta aperta per altri vostri esercizi, nell’una o nell’altra variante. Perché solo nel tentativo di raccontarlo, in qualunque forma, si comprende quel che il viaggio ha davvero lasciato in noi.

Libri per giocare e giochi da leggere Editoria Nuovi consigli biblio-ludici

Ennio Peres 50 enigmi per sviluppare il pensiero laterale di Charles Phillips (A.Vallardi,

2011, pp. 96, € 5,90) Un pratico volumetto che evidenzia come, spesso, noi percepiamo solo ciò che siamo indotti a vedere, ma non ciò che abbiamo effettivamente davanti. Gli esercizi proposti si pongono l’obiettivo di insegnare a osservare la realtà in modo diverso, trovando soluzioni inaspettate e ragionando in maniera innovativa. L’autore è uno specialista di meccanismi cognitivi e percettivi. Le sue opere hanno incontrato grande successo in molti paesi del mondo. La stessa casa editrice ha pubblicato cinque altri suoi interessanti libretti, dedicati ad altrettanti diversi tipi di pensiero (creativo, tattico, logico, veloce e visivo).

Genio di Mike Byster (A.Vallardi, 2012,

pp. 286, € 15,90) Un ponderoso manuale di tecniche mentali, che si propone di insegnare ad allenare il cervello, stimolandone le zone che solitamente non vengono attivate. Oltre ai capitoli, dedicati all’esposizione dei vari esercizi proposti, il libro comprende un’appendice contenente, a titolo puramente ricreativo, giochi di società, illusioni ottiche, trucchi di magia, alcuni dei quali di natura matematica. Matematica per gioco di Federico Pei-

retti (Longanesi, 2013, pp. 220, € 14,90) Un encomiabile opera che intende dimostrare come il gioco sia la via più semplice per superare blocchi e timori legati all’apprendimento della Matematica. Questa disciplina, infatti, non deve essere considerata una sterile opinione,

ma una sfida alla nostra intelligenza, che richiede intuizione e creatività. Il volume contiene più di 200 giochi e rompicapi, molti dei quali ideati o analizzati da grandi matematici della nostra storia (tra i quali, Luca Pacioli, Niccolò Tartaglia, Girolamo Cardano, Galileo Galilei, Gottfried Leibniz, Giuseppe Peano, John Conway). SuperPoker di Dario De Toffoli (Sperling & Kupfer, 2012, pp. 486, € 19,90) Un manuale esaustivo sul gioco del Poker, messo a punto dal neo Campione del mondo di Giochi della Mente. Nell’introduzione, l’autore si premura di assicurare che il Poker, non solo non è un gioco d’azzardo, ma non deve neanche essere giocato necessariamente puntando dei soldi. A tale riguardo, afferma che la più grande poker room del mondo, Zynga, fa giocare 35 milioni di

persone a settimana, senza mettere in palio un dollaro. Il libro si rivolge sia ai principianti, che accompagna in modo chiaro e semplice alla scoperta dei principali segreti di questo gioco, sia agli esperti, che guida verso tecniche più avanzate, anche attraverso l’analisi di numerose mani giocate dai più grandi pokeristi del mondo. In definitiva, si tratta di un testo di alto livello, raccomandabile soprattutto a coloro che scelgono di giocare solo su Zynga... Stop! Chi corteggia chi? di Sanha Kim

e Hanmin Kim (Editoriale Scienza, 2012, pp. 64, € 12,90) Si tratta del nuovo titolo della collana Stop!, che si propone di esporre ai bambini (dai 6 anni in poi) i principali concetti scientifici, in maniera semplice a piacevole, attraverso l’accattivante linguaggio dei fumetti. L’argomento trat-

tato in questo volume riguarda gli innumerevoli espedienti a cui ricorrono gli animali, per corteggiarsi e per riprodursi. La protagonista della storia è una bambina speciale, che possiede le incredibili capacità di parlare con gli animali e di bloccare il tempo per cinque minuti (semplicemente gridando «Stop!»). In tale intervallo, gli animali di turno hanno l’opportunità di esprimere le proprie opinioni, come in un classico talk show.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 marzo 2014 • N. 10

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Ambiente e Benessere Annuncio pubblicitario

La magia delle erbe

Raffreddore da fieno? Erste Hilfe bei Verletzungen

Fitoterapia L’uso di prodotti

di origine naturale richiede attenzione

Il bisogno di affidarsi alle cure naturali viste come dispensatrici di vita è forte. Cresce infatti la tendenza a rivolgersi all’antichissimo mondo delle piante e delle erbe medicinali e a quello più recente della fitoterapia. Parallelamente giungono da più fonti e spesso con grande leggerezza consigli vari, suggerimenti, indicazioni. Ma il mondo delle piante è un settore vastissimo e complesso, tanto da richiedere molta più attenzione di quanto non si faccia abitualmente; ogni pianta ha un suo diverso meccanismo di azione e contiene anche parti chimiche: fra tisane e decotti, tinture madri e macerati, compresse e capsule varie è davvero difficile districarsi. Quindi, per non incorrere in errori, come possono orientarsi le persone comuni – e sono la maggior parte – che pur con le migliori intenzioni del mondo sono evidentemente prive di nozioni essenziali o di conoscenze scientifiche? In proposito abbiamo posto alcune domande al dottor Ario Conti, libero docente presso la Facoltà di biologia e medicina dell’Università di Losanna e direttore della Fondazione alpina per le scienze della vita di Olivone (istituto che collabora tra l’altro all’elaborazione di alcuni prodotti Nostrani di Migros Ticino). Alla Fasv dal 2005 si promuove la formazione per l’ottenimento del Diploma cantonale di Fitoterapia e trovano sede il Centro di competenza per la chimica e la tossicologia, la Scuola Alpina e il Campus per studenti di istituti cantonali comunali riconosciuti dal Dipartimento Educazione del Canton Ticino. Dottor Conti, a chi possono indirizzarsi le persone che vogliono far uso di prodotti naturali?

Nel corso degli ultimi decenni, l’interesse della gente comune per i rimedi naturali è in costante crescita. Questo fenomeno è comunque foriero di grandi preoccupazioni poiché per saper curarsi o curare qualcuno con le erbe, piante o prodotti di origine naturale è necessario seguire una formazione adeguata. Per rimanere nel nostro Paese, i professionisti che hanno ricevuto una formazione in questo senso sono i farmacisti e alcuni medici che hanno quindi seguito una formazione universitaria. E nel Ticino in particolare?

Negli scorsi anni sono state formate una ventina di persone che hanno ottenuto il Diploma cantonale di Fitoterapista, unico diploma di questo tipo oggi riconosciuto in Svizzera. La complessità della materia fa sì che non sia facile reclutare persone che, senza una formazione universitaria, possano seguire

questi corsi. Da parecchi anni si stanno cercando delle valide soluzioni e si guarda con ottimismo al futuro. Una cosa è certa: meglio diffidare di chi non ha un diploma universitario o un diploma cantonale.

und Erkrankungen

Altrimenti si possono correre rischi?

La vostra farmacia Amavita

Curarsi e curare con i rimedi di origine naturale non è un’attività esente da rischi, soprattutto se non si conosce la materia: da una parte vi è la possibilità di cadere in prodotti di scarsa qualità e nei pericoli legati alle interazioni possibili fra prodotti e rimedi naturali con farmaci di sintesi, dall’altra è esiguo il numero di persone che conoscono a fondo la materia e possono consigliare con cognizione di causa. La facilità con la quale oggi si può disporre di prodotti di origine naturale, vedi acquisti online, vendita presso le grandi distribuzioni, vendita da parte di persone non competenti, rappresentano rischi con i quali occorre fare i conti. Anche la terminologia a volte può confondere o non sembrare precisa, per esempio qual è il preciso campo di competenza dell’erborista?

% 0 –2

L’erborista è una figura professionale che si occupa e lavora nell’ambito della coltivazione, della raccolta, della stabilizzazione, della conservazione e del controllo di qualità e del commercio delle droghe che derivano dalle piante officinali e medicinali. Nel nostro Paese vi è una sola scuola in Svizzera interna che forma queste figure professionali. Che cosa distingue invece il fitoterapeuta?

Il fitoterapeuta è una figura emergente che, grazie alla formazione acquisita e al diploma cantonale ottenuto, può aprire uno studio e curare le persone con rimedi di origine naturale. Nel nostro cantone svolgono quest’attività una ventina di persone. E il naturopata?

È anch’essa una figura emergente che cerca di coniugare salute, benessere e natura proponendo uno stile di vita alternativo. Da queste figure occorre tuttavia cautelarsi perché se da un lato vi sono persone adeguatamente preparate presso ottime scuole, dall’altro – e sono la maggior parte – ci si trova confrontati con persone senza scrupoli. Nel nostro Paese, soprattutto in Svizzera interna, sono una decina le scuole private note per la serietà della preparazione. Che tipo di sicurezza abbiamo sulla non tossicità delle erbe che troviamo in commercio? Ci sono dei controlli?

In Svizzera vi sono controlli severi: Swissmedic di Berna emana le disposizioni di legge e laboratori come quelli dell’Istituto alpino di chimica e tossicologia di Olivone possono eseguire i controlli.

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Eliana Bernasconi


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 marzo 2014 • N. 10

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Ambiente e Benessere

Separati in casa

Notizie scientifiche

Mondoanimale La convivenza tra animali, anche se consimili, può talvolta

Medicina e dintorni

Maria Grazia Buletti

Marialuigia Bagni

Lo scorso mese di dicembre avevamo proposto un articolo che metteva in primo piano le questioni legate all’arrivo di un cucciolo (E se proprio arriva un cucciolo? apparso su «Azione» n° 51 del 16 dicembre 2013), il cui senso stava nel fatto che quando si accoglie un cucciolo in casa bisogna avere bene in chiaro le caratteristiche e i bisogni a cui dover fare fronte. Il consiglio saliente che chi vi scrive riportava era innanzitutto legato alla consapevolezza di una scelta così impegnativa, visto che l’animale rimane per tutta la sua vita con chi lo prende a carico. Dunque: l’accento veniva posto sul fatto che è importante documentarsi preventivamente sul tipo di cucciolo, sulle sue caratteristiche da adulto e sulle sue esigenze che dobbiamo essere in grado di soddisfare e, soprattutto, che devono poter integrarsi se non coincidere con il nostro stile di vita. Ciò significa, in concreto, che per esempio non possiamo pensare di accogliere un cucciolo di Border Collie (dal proverbiale temperamento che lo induce a un importante movimento quotidiano) se abitiamo in un appartamento senza giardino e soprattutto se non abbiamo la possibilità di portarlo a spasso quanto merita la sua indole. Ma i problemi che si possono manifestare non finiscono qui: «Avevo valutato attentamente ogni aspetto, mi ero documentata accuratamente, lo avevo scelto con cura e successo in un allevamento serio e garante del suo stato di salute e del suo ottimo carattere…», ci racconta la proprietaria di un cane. Ma…c’è un «ma» abbastanza emblematico con cui si è dovuta confrontare.

Da Zurigo: le piante da fiori hanno 245 milioni di anni Uno studio dell’Istituto di Paleontologia dell’Università di Zurigo ha identificato sei tipi di pollini che appartengono a piante da fiori, databili da 247 a 245 milioni di anni. Sono stati trovati a una profondità di 900 metri durante trivellazioni nel nord della Svizzera. Finora i fossili più antichi di piante da fiori risalivano a 140 milioni di anni. Questa scoperta ci dice, invece, che le piante fiorite sono apparse ben cento milioni di anni prima di quanto si credesse.

rivelarsi complicata

Attenti, perché il Chihuahua potrebbe assumere una postura spavalda per provocare il Pastore tedesco «Vivo con un sensibile e buonissimo Pastore tedesco di 9 anni e un Jack Russel di 12 anni. Quest’ultimo è il boss a cui il Pastore tedesco si affida di buon grado, malgrado la differenza di mole. Dopo un’attentissima valutazione, a di-

Una scena tratta dal film Beverly Hills Chihuahua di Walt Disney Pictures. (Cinesite)

cembre, abbiamo scelto di adottare un Chihuahua e l’unico problema a cui credevamo di dover far fronte era rappresentato dal temperamento del boss – Jack Russel: lo avrebbe accettato di buon grado? Non ci preoccupava il Pastore tedesco, ottimamente socializzato e amico di tutti i cani che incontra». Ma qui casca l’asino, anzi: il Chihuahua: «Giunti a casa, abbiamo subito capito che il vero problema, invece, era rappresentato dal Pastore tedesco che ha subito provato a morsicare (mai successo prima!) il cucciolo, mentre il Jack Russel lo ha preso sotto la sua ala protettrice». Che fare? Questa esperienza riguarda una situazione concreta dinanzi alla quale chiunque si potrebbe trovare, per dare una risposta al quesito ci siamo fatti aiutare da due esperte: la vicepresidente della Federazione cinofila ticinese Jsabel Balestra (esperta in cuccioli) e la veterinaria comportamentalista Elena Stern. «A volte è difficile trovare una soluzione», esordisce Jsabel Balestra: «Mettere il cucciolo in un box, dunque protetto, e lasciarlo nello stesso ambiente del Pastore tedesco è una buona idea che permette a quest’ultimo di abituarsi al piccolo. Sicuramente il Pastore tedesco è anche un po’ incuriosito per il fatto che il nuovo arrivato sta spesso in braccio alla sua padrona e questo lo rende ancora più interessante. Inoltre, per un cane vecchio è spesso difficile acco-

glierne uno giovane, per il fatto che cambiano le dinamiche di gruppo». Jsabel invita inoltre alla prudenza: «Vista la grande differenza di mole, una zampata o un morso potrebbero davvero causare ferite al piccolo». E aggiunge qualche suggerimento come portare tutti a spasso, senza forzare la situazione. Ad esempio bisogna restare prudenti perché il cucciolo potrebbe assumere una postura spavalda che provoca il Pastore tedesco, per contro non bisogna premiare quest’ultimo con carezze se si è comportato male con il piccolo e, infine: «Bisogna anche accettare l’eventuale fatto che il Chihuahua proprio non piaccia al Pastore tedesco». Dal canto suo, la veterinaria comportamentalista Elena Stern condivide quanto consigliato da Jsabel Balestra, e aggiunge che «il Pastore tedesco, se non completamente socializzato ai cani molto piccoli, potrebbe non riconoscere il Chihuahua come un suo consimile data l’enorme differenza di stazza e di comportamento, e considerare il piccolo come una preda, complice magari l’esuberanza e lo scappare a destra e a manca che il cucciolo potrebbe fare per giocare». Ed ecco che il rischio di aggressione è dietro l’angolo! Il fatto che la proprietaria del terzetto di cani abbia sgridato il Pastore tedesco (che poi ha dimostrato finalmente almeno disinteresse per il cucciolo) non è comunque cosa confortante:

«Questo disinteresse può essere interpretato come un timore della punizione: non riconoscendo il piccolo come un consimile, non sappiamo quanto sia in grado di comunicare con lui e quanto lo lasci in pace solo per fare piacere alla padrona», aggiunge Stern che pone sul piatto anche la senilità del Pastore tedesco: «Un cane anziano comunica meno bene di uno giovane e si irrita più facilmente. Bisogna inoltre considerare un eventuale calo di vista o di udito che non lo aiutano a interagire correttamente con il nuovo piccolo (troppo piccolo) arrivato». Con queste premesse, Elena Stern prova a rispondere alla domanda sul da farsi: «La proprietaria dovrebbe provare a non catalizzare la propria attenzione sul piccolo e non dovrebbe far trasparire l’ansia che inevitabilmente la situazione provoca in lei. In sua presenza è poco probabile che succeda qualcosa, visto che il Pastore tedesco fa di tutto per ubbidire al suo ordine di non aggredire il Chihuahua, ma non possiamo assicurare con certezza che, in una situazione esterna o lasciandoli da soli, tutto possa funzionare per il meglio». Invito alla prudenza, dunque, da parte di tutte e due le nostre interlocutrici che ricordano entrambe come il corso di educazione per cuccioli è determinante per ogni animale e per la sua socializzazione futura.

Profumatissimo gelsomino Mondoverde Lo Stephanotis è il sostituto perfetto dei classici gerani,

soprattutto quando si trova in compagnia di qualche petunia

Stanchi dei soliti gerani alla finestra? Quest’anno vi invito a creare una vera oasi tropicale, con lo Stephanotis, ovvero il gelsomino del Madagascar che per tutta l’estate, fino ad ottobre, vi delizierà con grappoli di fiori carnosi ed intensamente aromatici. Le varietà più diffuse hanno grandi fiori bianchi a forma di stella, dalla fragranza intensa simile a quella delle tuberose. Benché sia un rampicante, non ha viticci propri e per ancorarsi alle superfici va legato con dello spago contro un graticciato; non è in grado di sopportare il freddo invernale e deve essere quindi ritirato da fine ottobre a marzo. È quindi tempo di rimetterlo all’aperto. Per averlo bello e rigoglioso nelle fioriere, trapiantatelo in un vaso preferibilmente di cotto poco più grande di quello dell’acquisto, ma più piccolo della balconetta, in modo tale da poterlo

inserire con tutto il vaso, accompagnandolo se lo desiderate ad altre piante dalle fioriture estive. All’arrivo dei primi freddi basterà estrarre il gelsomino con tutto il suo vaso di terracotta e riportarlo all’interno dell’abitazione, dove continuerà a fiorire per tutto l’inverno. Durante l’estate va tenuto ben bagnato, offrendogli un’irrigazione quotidiana, preferibilmente al mattino, fa-

Kor

Anita Negretti

cendo attenzione a non utilizzare acqua ricca di calcare, sostanza che provoca la caduta dei fiori se presente in eccesso. Per ovviare a questo inconveniente si può utilizzare acqua piovana, quella demineralizzata o più semplicemente acqua del rubinetto con l’aggiunta di qualche goccia di aceto. Il segreto per ottenere una super fioritura? Concimate ogni 3 settimane con prodotti a base di azoto, seguendo le dosi indicate sulle confezioni. Se già si presentano preziosi posti da soli in vasi decorativi, gli Stephanotis assumono ancor maggior pregio abbinati alle petunie. Queste ultime, insostituibili regine dei balconi, arrivarono dal Brasile nel lontano 1700, e oggi sono stati creati ibridi di colori variegati e forme diversissime, tanto da trovarne di quasi ogni sfumatura, screziate o bicolori, arrivando fino alla famosa Surfinia, creata in Giappone e oggi molto diffusa.

La petunia è in grado di offrire fioriture continuative da aprile a ottobre; necessita di irrigazioni costanti e regolari: bagnandola tutti i giorni, proprio come il gelsomino bianco, si riempirà di fiori colorati a forma di trombetta. Importante è inoltre nutrirle con concime per piante da fiore, intervenendo ogni 10-12 giorni da maggio fino a settembre per assicurarvi una fioritura sempre abbondante. Hanno un unico punto debole: non amano la pioggia battente (tipica dei temporali estivi) che rischia di rompere i rami e rovinarne i boccioli. Quando i fiori appassiscono o le piante si presentano svuotate con lunghi steli filanti per via della calura di luglio e agosto, procedete con una potatura riparatrice: il taglio stimolerà la formazione di nuovi boccioli e inoltre dai rami tagliati si potranno ottenere talee per creare nuove piantine di petunia.

Da Losanna un robot per interventi in caso di catastrofi Ispirato prendendo ad esempio gli insetti volanti, «Gimball», il robot sviluppato dal Politecnico di Losanna, può urtare ostacoli senza «disorientarsi», grazie a un ingegnoso sistema di stabilizzazione giroscopica. I suoi due anelli mobili e indipendenti gli consentono di preservare l’equilibrio nonché di proteggere la traiettoria in caso di collisione. La sua scatola sferica in fibra di carbonio incassa lo choc, rimbalza e lo protegge. Gimball ha un peso record di 370 grammi per 34 centimetri di diametro. Munito di una telecamera, può intervenire in caso di incidenti o di catastrofi naturali, ben prima dell’arrivo dei soccorsi. Uccelli che possono volare 200 giorni Questi incredibili «viaggiatori» sono i rondoni a ventre bianco (Tachymarptis melba). Gli studiosi hanno osservato tre esemplari che hanno effettuato il periplo dall’Africa subsahariana all’Europa senza mai posare le zampe sul suolo. Un viaggio durato all’incirca sette mesi durante i quali i rondoni si sono nutriti e hanno dormito in volo. È la prima verifica della performance degli uccelli, già da tempo supposta, ma mai provata. Sei pesticidi accelerano l’invecchiamento È il risultato di uno studio di ricercatori svizzeri. L’esposizione a certi pesticidi (inclusi erbicidi e insetticidi) agirebbe come un acceleratore dell’orologio biologico facendo invecchiare più rapidamente le cellule. Una forte esposizione corrisponde a una diminuzione della taglia dei telomeri, situati all’estremità dei cromosomi, la regione del Dna che si restringe a ogni nuova divisione cellulare, fino al punto che le cellule non ce la fanno più a rinnovarsi e muoiono. Dopo l’ictus, un guanto per controllare il paziente Si tratta di un sistema che viene indossato per riabilitare mano e polso e, in generale, gli arti superiori. Studiato da un consorzio europeo, si chiama Script (Supervised care and rehabilitation involving personal tele robotics). Il guanto permette di seguire a domicilio il training riabilitativo del paziente. Un nuovo aiuto per i paralizzati Un sistema d’avanguardia che unisce gli impulsi cerebrali alle abilità robotiche: ecco la nuova arma per ridare capacità di movimento alle persone paralizzate. Lo studio, presentato sulla rivista «Nature», è stato condotto da un’équipe dell’Università di Houston, in Texas, e punta a connettere le onde del cervello all’esoscheletro di Rex Bionics, un robot già in commercio, che permette ai paraplegici anche di salire le scale ma che può essere usato solo se collegato a un computer. Con la connessione al cervello, invece, il robot diventa letteralmente parte dell’essere umano.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 marzo 2014 • N. 10

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Ambiente e Benessere

I segretidi una goccia Scienza Il prossimo 22 marzo è la giornata mondiale dell’acqua Marco Martucci, testo e foto La natura è prodiga di piccoli spettacoli, poco appariscenti, che ci regalano momenti di commozione e di gioia. Proprio in quanto doni, non ci costano un centesimo. Richiedono da parte nostra solo che ci soffermiamo un momento. Ne saremo lautamente ripagati. Uno di questi spettacoli, davvero incantevole, è dato ad esempio dalle goccioline di rugiada sulle ragnatele.

Come si sono formate le collane di rugiada? Perché brillano? A che cosa è dovuta la forma sferica delle gocce? A seconda dell’inclinazione dei raggi solari, alla mattina, lo spettacolo può sorprenderci oppure lo possiamo anche cercare, sotto un lampione, fra i rami d’un cespuglio, in mezzo all’erba alta. Ci si può perfino allenare a scoprire simili spettacoli e a godere le emozioni che ne nascono. Si possono semplicemente contemplare, oppure se ne può scrivere, si possono scattare fotografie artistiche, dare origine a una poesia, comporre una musica. Ma si può anche – felice connubio fra arte e scienza – ammirare la goccia d’acqua attraverso gli occhi del chimico o del fisico. Magari porgendosi, com’è nello spirito dello scienziato, un sacco di domande a cui rispondere attraverso il metodo scientifico, ipotesi e verifica mediante esperimento e misurazione. Come si sono formate le goccioline d’acqua sulla ragnatela? Perché brillano? A cosa sarà dovuta la loro perfetta forma sferica? L’acqua è davvero qualcosa di unico e speciale! E prezioso: molto più di tutto l’oro del mondo e di tutto il petrolio. Senz’acqua non si vive. Per questo molti ci hanno messo gli occhi sopra; chi per specularci, chi per proteggerla. Mentre ancora si disputa se l’acqua sia un diritto o un bene di consumo, le Nazioni Unite le dedicano grande attenzione. L’anno conclusosi da poco era stato infatti nominato l’Anno Internazionale della cooperazione idrica, mentre l’imminente annuale Giornata dell’Acqua, World Water Day, che avrà luogo il 22 marzo, si concentrerà sul tema acqua ed energia. Prodigiosa, sorprendente, preziosa, unica, insostituibile: l’acqua. La nostra piccola gocciolina rappresenta un momento della sua vita, del suo inesauribile ciclo. Nasce durante la notte, quando il vapore acqueo, invisibile e contenuto nell’aria, si raffredda e da gas diventa liquido, condensa. Ed ecco la ragnatela imperlata di goccioline. Sferiche, perfettamente tonde. Ma come mai? Si potrebbe rispondere che la sfera è la perfezione: basta guardare la forma della Luna o di molti frutti. Ma non sarebbe una risposta scientifica. Più og-

gettivo è invece il fatto, accertato, che la sfera è il solido con la minor superficie a parità di volume. Vuol dire per esempio che se volessimo risparmiare sull’imballaggio e avere il massimo di contenuto dovremmo fare contenitori sferici. Non li si fanno, perché sono scomodi e rotolano via. La vita, però, che tende al risparmio, pena l’estinzione, usa spesso la sfera: permette di avere il massimo contenuto con il minimo di involucro; molti frutti, le uova, la testa, per fare qualche esempio, tendono alla forma sferica. Forse anche la goccia segue questo imperativo? Sia come sia, ci si può chiedere cosa tenga insieme la goccia. Provate a toccare delicatamente con un ago la superficie di una stilla. La vedrete tremare, come se non volesse spezzarsi, come se tutt’intorno avesse una protezione, la «pelle» dell’acqua. Di cosa sarà fatta questa «membrana»? E che cosa c’è «dentro» la goccia? Non è difficile scoprire che, dentro e fuori, essa è fatta d’acqua e basta. Che cosa la tiene insieme, allora? Si sa che i liquidi, a differenza dei solidi, non hanno «forma propria». Si può fare una palla di neve ma non una palla d’acqua. A meno che non sia molto, ma proprio tanto piccola, come una goccia per l’appunto. Ma di che cosa è fatta l’acqua? Nel 1905 Albert Einstein dimostrò, in modo inequivocabile, ciò che i chimici, da quasi un secolo, ammettevano correntemente e praticavano con successo. Cioè che la materia è fatta da atomi, particelle piccolissime, e che gli atomi si attaccano insieme, formando particelle più grandi, come le molecole. Così sappiamo per certo, anche se non lo vediamo con i nostri occhi, che l’acqua è fatta da molecole, davvero molto molto piccole. Per fare una goccia ce ne vogliono un numero con ventidue zeri! Le molecole d’acqua stanno attaccate l’una all’altra. Quando l’acqua gela si attaccano in modo ancora più forte, mentre quando l’acqua evapora o bolle, ogni molecola va per conto suo. Nella goccia, le molecole che stanno all’interno si attaccano con le altre, sopra, sotto, di fianco. Quelle invece che formano la superficie della goccia non hanno nulla cui attaccarsi sopra di loro. Ecco allora che si tengono strettamente unite fra di loro, con una grande forza che tiene la goccia tesa. Questa forza si chiama appunto tensione superficiale. È per la tensione superficiale che la goccia mantiene la sua forma, che dal vapore acqueo salito per evaporazione dai mari, dai laghi, dai fiumi si riformano goccioline di nebbia, nuvole e che infine l’acqua ritorna come pioggia. Se le molecole d’acqua non fossero così tanto strette fra loro, ciò che ne fa una sostanza unica, l’acqua non potrebbe esistere allo stato liquido sul nostro pianeta. La vita non sarebbe possibile. Piccoli insetti dalle lunghe zampe riescono a camminare sull’acqua ferma di laghi, stagni, pozzanghere. Non galleggiano: sotto le loro zampine l’acqua si piega, come fos-

se un tappeto elastico: così non si bagnano. Si possono perfino deporre sull’acqua oggetti che normalmente andrebbero a fondo, come lamette di rasoio, graffette, aghi d’acciaio. Anche in questo caso l’acqua si piega. D’altra parte, la sua tensione superficiale può anche essere fastidiosa. Quando vogliamo bagnare qualcosa, ad esempio per lavare, la tensione superficiale rende molto difficile l’adesione e la penetrazione dell’acqua dentro un tessuto. L’acqua scivola via e non toglie lo sporco. Ecco allora che si aggiunge sapone, detersivo. Questi prodotti sono detti anche tensioattivi perché riducono la tensione superficiale dell’acqua che, così, aderisce e toglie lo sporco. Nel contempo si forma la schiuma, segno dell’effetto lavante, perché l’aria si mescola con l’acqua. Come nelle cascate e nelle onde, pure loro spumeggianti. Ma le bolle d’aria in quel caso sono molto piccole perché la tensione superficiale dell’acqua non permette loro di cresce-

re. Con il sapone è tutta un’altra cosa. La tensione superficiale crolla, la «pelle» dell’acqua può dilatarsi e le bolle diventano grandissime. Ma perché, rispetto ad altre sostanze fatte da piccole molecole, l’acqua ha una tensione superficiale così forte, tanto da renderla l’unica sostanza che, in natura, possiamo trovare nello stesso momento (pensate a un lago gelato) come solido, liquido e gas? Per capirlo s’è dovuto aspettare fino a quando si riuscì a smontare le molecole d’acqua. Ritenuta per secoli un elemento, in realtà l’acqua è un composto, formato da due elementi, idrogeno e ossigeno. Il suo nome «chimico» è dunque «ossido di idrogeno», con la ben nota formula H2O. Chi per primo, nel 1783, scompose l’acqua fu il francese Antoine Laurent Lavoisier, padre della moderna scienza chimica. Per riuscirci, fece passare vapore d’acqua all’interno di una canna di fucile arroventata. Il ferro del fucile divenne fragile, ossidandosi, e infine ne

uscì un gas molto infiammabile, che Lavoisier chiamò «idrogeno», ovvero generatore di acqua. Ogni molecola d’acqua è fatta da un atomo di ossigeno legato a due atomi di idrogeno e se ne conosce anche la forma: una «V» un po’ allargata con al vertice l’atomo di ossigeno e due atomi di idrogeno nelle punte. Ora, per capire come mai queste molecole stanno tanto attaccate, bisogna sapere che l’atomo di ossigeno ha una leggera carica elettrica negativa, mentre quelli di idrogeno ce l’hanno positiva. La molecola d’acqua, si dice, è un dipòlo elettrico. E, visto che il più e il meno si attirano, le molecole stanno ancor più appiccicate fra loro: è quello che viene chiamato il «legame idrogeno». Ebbene l’acqua è liquida e permette la vita proprio grazie al legame idrogeno. Senza di esso, la vita sulla Terra non si sarebbe mai sviluppata, nemmeno la nostra. Ed è sempre per il legame idrogeno che l’acqua, quando gela, aumenta di volume cosicché il ghiaccio galleggia, mentre se l’acqua più densa va a fondo, significa che è a quattro e non a zero gradi. Il fondo dei laghi e dei mari non gela mai, consentendo la vita anche quando la superficie è ghiacciata. È incredibile quante cose possa raccontarci una «banale» goccia d’acqua! E ce ne sono ancora tantissime, che tralasciamo. Un’ulteriore curiosità, l’ultima per concludere, riguarda la luce. La goccia d’acqua brilla perché riflette la luce in tutte le direzioni e si comporta come uno specchio convesso: guardando attentamente una goccia d’acqua, magari con una lente, possiamo vedere tutto quanto rimpicciolito. E non è finita qui. La goccia d’acqua infatti è anche trasparente e, quando la luce la attraversa, si scompone in tutti i suoi colori dando vita all’arcobaleno.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 marzo 2014 • N. 10

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Ambiente e Benessere

Pesto di aglio orsino con pecorino e mandorle

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Ambiente e Benessere

Divertimento sulla neve Grand Prix Migros Airolo riconferma il successo delle passate edizioni

Renato Facchetti La stazione sciistica di Airolo Pesciüm ha ospitato, domenica 23 febbraio, l’ottava tappa stagionale del Grand-Prix Migros. Condizioni di neve ottimali e uno splendido sole hanno fatto da degna cornice a questa manifestazione che ha visto al via poco più di 500 giovanissimi sciatori giunti sia dalla Svizzera italiana sia da oltre Gottardo e dai Grigioni. Il buonumore generale è aleggiato sin dalle prime ore del mattino, grazie a una giornata «da cartolina» che, fortunatamente, per molti dei presenti contrastava con le condizioni meteo avverse dell’edizione 2013. Anche per i volontari dello Sci Club Airolo – che erano circa un centinaio, tutti molto impegnati nell’organizzazione di questa manifestazione e ai quali vanno pertanto i meritati complimenti – il lavoro è stato certamente facilitato dal clima favorevole. Appena scesi dalla cabina che dalla stazione di partenza di Airolo porta a Pesciüm, ci siamo immediatamente trovati immersi nella tipica atmosfera del Grand-Prix Migros. Nel «villaggio» degli sponsor, infatti, giochi, omaggi, concorsi hanno offerto a tutti i partecipanti l’opportunità di divertirsi grazie a SwissSki, Migros, Carne Svizzera, Thomy, Migros Vacanze, Blizzard, Nordica e Toko. Per molti bambini privi di particolari ambizioni agonistiche, correre da uno stand all’altro del «villaggio» ha rappresentato l’essenza della giornata, a tal punto da doversi far richiamare più volte da genitori o allenatori per la classica ricognizione del tracciato. Singolare è stato il privilegio di osservare i serpentoni di partecipanti scendere in scivolata fra le porte dei tre percorsi con lo scopo di imparare a memorizzare soprattutto i passaggi più insidiosi. A questo proposito, considerato il ruolo promozionale della manifestazione, i tecnici dello Sci Club Airolo – con la supervisione dello staff di SwissSki capitanato dall’infaticabile Roman

Sciare con gioia. (Mario Curti)

Atleta in gara sul «canalone». (Mario Curti)

Rogenmoser – sono sempre molto attenti a dosare e differenziare il grado di difficoltà in funzione delle varie categorie d’età a partire dalla Minirace (riservata a bambini di 6 e 7 anni). Questa gara è, infatti, andata in scena sul facile pendio davanti al ristorante. Dai più piccoli fino ai sedicenni, che, più navigati, si sono contesi la vittoria lungo il mitico «canalone».

Fra le novità di questa edizione, non è passata inosservata la voce dello speaker Rosi Nervi, nota animatrice di Rete Tre che è riuscita a ritmare con energia e simpatia la manifestazione. Tutto è funzionato per il meglio rispettando il programma e puntualmente alle ore 15 il piazzale della stazione di partenza era gremito per l’inizio della cerimonia di premiazione

Da sinistra: Mauro Terribilini, Urs Lehmann, Kuki Zamberlani. (Mario Curti)

delle 18 categorie. A valorizzare la tappa ticinese del Grand-Prix Migros 2014, è stata anche la gradita presenza di Urs Lehmann, presidente di SwissSki e già campione del mondo di discesa libera nel ’93 a Morioka. Di ritorno dai giochi olimpici di Sochi, Lehmann ha premiato personalmente tutti i vincitori saliti sui tre gradini più alti del podio di Airolo.

Partenza Minirace. (Mario Curti)

I finalisti ticinesi Alla finale di Arosa si sono qualificati i seguenti concorrenti ticinesi. Dell’anno 2006: 1° posto per Greta Beffa di Airolo; 1°, Jonas Oliva di Motto Blenio; 2°, Loris Perosa di Arbedo. Del 2005: 1°, Gaia Schenal di Airolo; 3°, Chantal Ceresa di Olivone; 3°, Enrico Zucchini di Vacallo. Del 2003: 1° posto per Francesco Zucchini di Vacallo). Del 2002: 1°, Annachiara Maghetti di Mendrisio; 2°, Mida Fah Jaiman di Quinto; 3°, Celeste Conceprio di Corzoneso. Del 2000: 2° posto per Viola Garbani di Casigliano; 1°, Mattia Ballarin di Mendrisio. Infine dell’anno 1999, 2° posto per Marina Morelli di Bellinzona. Le classifiche complete sono consultabili su: www.gp-migros.ch Panoramica sul villaggio. (Mario Curti)

Giochi al villaggio. (Mario Curti)

Ci congratuliamo in particolare con i tredici giovani ticinesi qualificatisi per la finale nazionale del Grand-Prix Migros in programma dal 4 al 6 aprile ad Arosa; gara della quale riferiremo sull’edizione del prossimo 14 aprile. Grand Prix Migros, 23 febbraio 2014 ad Airolo


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Ambiente e Benessere

Cologna, Gisin e le ragazze dell’hockey Sportivamente Un po’ di commozione, un po’ d’orgoglio e un po’ di febbre per alcuni momenti

della XXII Olimpiade Invernale Alcide Bernasconi Quante medaglie? Mi bastava, nelle scorse settimane, un’occhiata alla classifica delle nazioni per capire se i nostri atleti del freddo non deludevano le aspettative del Comitato olimpico svizzero, ma anche della gente comune a cui il capo delegazione Gian Gilli aveva detto che si attendeva attorno alle dieci medaglie. Una o due in più, andava bene lo stesso. Di meno: no! Alla fine gli esperti ne hanno contate undici, di cui ben sei d’oro (come quattro anni fa a Vancouver) conquistate sui campi di gara dei Giochi olimpici di Sochi, in riva al Mar Nero. Ora, tutto è già stato scritto e detto e non avrei nulla da aggiungere. Oppure sì, visto che mi si chiede – «sportivamente» – un contributo anche riguardo alle Olimpiadi. Allora posso confessare soltanto ciò che ha toccato il mio cuore di vecchio tifoso. Dapprima le lacrime scese senza permesso lungo le guance di Dario Cologna (infortunatosi seriamente a inizio stagione), in occasione della prima medaglia d’oro nello skiathlon; una prestazione, la sua, che ha dato la carica a tutti gli altri atleti che difendevano i colori rossocrociati. Cologna ha poi conquistato un altro oro nella 15 km stile classico diventando il dominatore delle prove di fondo e nell’ultima giornata è stato lui a farci nuovamente commuovere per la dignità con cui ha fallito la conquista di una terza medaglia d’oro, alla quale teneva tantissimo, quella sui 50 km. Tutto, per una caduta nel tratto finale, a poco più di un chilometro dal traguardo: rialzatosi, ecco che un altro atleta, nel concitato finish, passandoci sopra, gli ha spezzato uno sci. E addio sogni di gloria. Quelli della tv ci hanno messo qualche secondo a capire che cosa era realmente succedendo al nostro eroe, quasi non volessero credere (o ammet-

tere) che quanto era capitato non era una burla, bensì il solito crudele scherzo del destino. L’altro momento di pura commozione e al tempo stesso di ammirazione per un gesto che significa più di molte parole, è stato quando Dominique Gisin e la slovena Tina Maze, vincitrici della discesa libera con lo stesso identico tempo, sono salite tenendosi per mano sul podio del dopo gara per riceve un mazzolino di fiori, aperitivo della medaglia che si sarebbero messe al collo la sera, sul podio delle premiazioni a Sochi. Le montagne attorno ai tracciati dello sci alpino e del fondo conferivano un aspetto molto familiare allo scenario delle gare, quasi da illudersi che si gareggiasse sulle alpi, ossia in casa delle nostre atlete o di Sandro Villetta, vincitore a sorpresa ma con pieno merito della super-combinata. Citiamo anche l’oro vinto dalla vallesana Patrizia Kummer nel gigante parallelo e, soprattutto, quello di Iouri Podladtchikov, moscovita di nascita ma svizzero dall’età di tre anni. Per raggiungere il massimo livello mondiale, il simpatico Iouri ha speso la bellezza di mezzo milione di franchi. I quarantamila che gli spettano per questo successo sono poche briciole. Ma è quanto la Svizzera può dare, anche se Ueli Maurer ha dichiarato che a Berna si discuterà per un incremento delle somme destinate agli sportivi d’élite, ambasciatori della nostra nazione, applauditi dal mondo dello sport. Ora faccio un bel salto per giungere alla finale che è valsa ai nostri la medaglia di bronzo nell’hockey femminile: l’impresa delle rossocrociate mi ha infatti strappato dalla gola un urlo di gioia sincero che, del resto, non ha allarmato nessuno dei vicini di casa, nel movimentato finale contro le svedesi. Due sole vittorie sono bastate alle elvetiche –contro però Russia e Svezia – per

Parecchi gli ori mancati, anche se compensati da medaglie inattese. (Andy Miah)

mettersi al collo un bronzo che tutti hanno giustamente detto che «vale oro». Una ragazzina, Lina Müller, appena quindicenne, ha realizzato il gol partita contro le svedesi, a porta vuota e pure con molta fortuna come ha ammesso la stessa giocatrice, tirando dal cerchio d’ingaggio nel proprio terzo di difesa, insomma un tentativo di liberazione eseguito però… a regola d’arte. È stata una vittoria di squadra, ma è pur vero che gran parte del merito spetta alla portiera Florence Schelling, autrice di innumerevoli parate, di cui non poche spettacolari, in tutto il torneo. Sempre sorridente, al punto che il cameraman della tv la inquadrava spesso per mettere in risalto i suoi occhi brillanti e il sorriso che si indovinava sotto la maschera. Tra le nazionali ben quattro giocatrici del Ladies Team dell’HC Lugano: Nicole Bullo di Claro e la giurassiana Sarah Forster in difesa, Romy Eggimann, figlia dell’ex bianconero Beat Eggimann, e la poschiavina Evelina Ra-

selli in attacco. Della Forster è giusto sottolineare le molte ore rubate al riposo, per lunghe trasferte in automobile a Lugano in occasione delle partite, visto che lavora oltre San Gottardo. Riportato il successo delle hockeyste che si sono aggiudicate il bronzo, l’altro se l’è messo al collo la ticinese Lara Gut, sfortunata protagonista della discesa libera, oltre che in altre specialità in cui avrebbe voluto e potuto ottenere una giusta ricompensa per il suo impegno. Tre medaglie d’argento, inoltre, le hanno assicurate la biathleta Selina Gasparin, Nevin Galmarini nel gigante parallelo, nonché Beat Hefti e Alex Baumann nel bob a due. Diverse medaglie sono state conquistate dagli svizzeri dove si sperava forse soltanto in un diploma, mentre le delusioni si sono registrate nel curling, tanto fra le donne quanto fra gli uomini (Gilli si attendeva almeno una medaglia), oltre che nello sci Freestyle e, soprattutto, nello sci-cross. In quest’ulti-

ma disciplina, dove tanto le donne quanto gli uomini dominano in Coppa del mondo, siamo rimasti a mani vuote. È successo però anche a molti altri di rimare delusi. Il caso più eclatante riguarda la nazionale russa di hockey, che puntava al titolo olimpico, ma che è uscita dal torneo dalla porta di servizio, senza neppure una medaglia. Una medaglia d’oro, almeno virtuale, la meritano invece due ticinesi: l’allenatore Mauro Pini, chiamato a gennaio per ridare fiducia e la giusta carica alla sciatrice slovena Tina Maze, vincitrice a Sochi dell’oro nella discesa e nel gigante e Daniele Finzi Pasca, regista e autore del bellissimo spettacolo della cerimonia di chiusura nel quale ha inserito per pochissimi secondi, come una firma, l’inconfondibile figura della statua di Spartaco, scolpita da Vincenzo Vela, che campeggia all’entrata del Municipio, forse un gesto con cui ha voluto rendere omaggio alla sua Lugano. Chiuse le Olimpiadi Invernali, rieccoci all’hockey di casa nostra, giunto al momento cruciale dei playoff (con entrambe le ticinesi al via) e dei playout. E poi c’è il calcio: fa sorridere che in una realtà ticinese – e dove è più difficile che nelle grandi città d’Oltralpe reperire le somme necessarie per portare almeno una squadra nell’élite del calcio elvetico – si stia cercando di far nascere una nuova compagine, che rappresenti il cantone dimostrandosi la più forte. Ancora non si sa da dove giungeranno i soldi, né come reagirà il pubblico ticinese: si dice che abbia sempre una gran voglia di calcio, ma intanto diserta gli stadi, sperando, forse, di consolarsi con la Nazionale rossocrociata ai prossimi Mondiali in Brasile, mentre appare più interessato a quanto succede in Italia, poiché le «sue» simpatie si dividono fra Inter, Milan e Juve.

Giochi Cruciverba Tra innamorati, lui a lei: «Il sole mi parla di te, il mare mi parla di te, l’universo mi parla di te… e questo sai cosa significa?» Trova la risposta di lei risolvendo il cruciverba e leggendo nelle caselle evidenziate.

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Completare lo schema classico (81 caselle, 9 blocchi, 9 righe per 9 colonne) in modo che ogni colonna, ogni riga e ogni blocco contenga tutti i numeri da 1 a 9, nessuno escluso e senza ripetizioni.

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25. Le iniziali del capitano della Roma 26. Un quinto di five 27. Fiume del Kenya 28. Coda di somari 29. Una fibra tessile 30. Tracollo finanziario 31. Mancanza, carenza 32. Sono di chi rompe e paga VERTICALI

1. Signorotto dell’antica Roma 2. Profeta dell’Antico Testamento 3. Pronome dimostrativo 4. Abbreviazione di ettaro 5. Tessuto epiteliale 6. Mezzo greco… 7. Lascia l’amaro in bocca

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8. Seta artificiale 10. Priva di compagnia 12. Venerato dagli antichi egizi 13. Protetta da Igea 14. Privi di germi 16. Un prefisso che vuol dire voce 17. Vicine al cuore 18. Escursioni, passeggiate 19. Stato dell’Asia orientale 21. Vi abita una curiosa regina 22. Si può averla di traverso 24. La rivale della strega 25. Ha due code 27. Un ufficiale abbreviato 28. Fiume della Savoia 29. Si ripete rincuorando 30. Due di cuori

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1. Scarse 5. La prova del fuoco… 9. Dagli Urali al Giappone 10. Antica lotta giapponese 11. Il Teocoli della TV 12. Conosciuti 13. Esprime concessione 15. Sono in mezzo alla strada 16. Le indiane sono per uno 17. Il più antico di tutti gli dei 18. Angusto passo montano 19. Ci sono quelle di fucile e di bambù 20. Sulle spalle 22. Costellazione dell’emisfero boreale 23. Otri rovesciati… 24. Pende nel pozzo

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Forse non tutti sanno che… – Resto della frase: …famiglia imperiale giapponese. ONESE)

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 marzo 2014 • N. 10

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Politica e Economia Che cosa resta di Kiev In Ucraina il fronte filo-russo di Yanukovic e la variegata opposizione combattono per il futuro del Paese

La moderazione di Obama Nella crisi ucraina gli Stati Uniti scelgono la via del buon senso e della Realpolitik. Troppe sono state le delusioni che il presidente americano ha dovuto subire e che ora gli impongono un atteggiamento meno entusiastico rispetto a quello di Bush nel 2004

Trasparenza fiscale A Sydney il G-20 impone un’accelerazione sullo scambio automatico di informazioni, al quale la Svizzera dovrà adattarsi anzitempo pagina 22

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Poche carte in mano Con la trasparenza fiscale indotta dai nuovi standard dell’OCSE ora accettati dal G-20, la Svizzera non ha più carte da giocare per ottenere qualcosa in cambio dello scambio automatico di informazioni pagina 23

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Il memoriale per le vittime degli scontri di Kiev. (AFP)

Sotto lo sguardo (impotente) dell’Ue Crisi ucraina Mentre il Paese si sta disintegrando, all’interno della troika potrebbero emergere differenze su come

continuare a impegnarsi per salvare Kiev e non perdere completamente il controllo degli avvenimenti Lucio Caracciolo Da quando l’Unione Sovietica si è dissolta, Occidente e Russia si contendono l’Ucraina come terra estrema delle rispettive sfere d’influenza. Il round della partita ucraina giocato fra dicembre e febbraio vede la netta sconfitta della Russia. Ma questo non significa che l’Europa abbia vinto, come spesso si sostiene. La realtà è parecchio più complessa e richiede di incrociare i punti di vista. Partiamo da Majdan. I manifestanti della prima ora, come dieci anni fa quelli della «rivoluzione arancione», inneggiavano all’Unione Europea quale famiglia naturale cui Kiev vuole aderire. Ma le anime della piazza erano e restano piuttosto diverse. Da una parte la consistente porzione di manifestanti che, condannando la corrotta e inefficiente amministrazione Yanukovich, guardavano all’insieme comunitario come all’unica alternativa possibile. Dall’altra gli ultranazionalisti – in particolare il Pravi Sektor di chiara impronta neonazista, ma anche la sua versione light (Svoboda) – coltivavano e coltivano un’altra idea di Europa, di stampo

razzista. Una famiglia europea composta di nazioni coerenti per etnia, questo l’obiettivo strategico della piazza più estremista, seccamente russofoba, antisemita e polonofoba. Sarà difficile trovare nella ex opposizione un punto di equilibrio fra istanze tanto diverse. Rovesciamo il punto di vista e assumiamo quello dei Ventotto. A parlare a nome dell’Unione Europea sono stati in questo caso tedeschi, polacchi e francesi. La signora Ashton ha fatto qualche pallida apparizione, ma non ha avuto alcun ruolo politico operativo. La troika germano-polacco-francese (in ordine di impegno e di impatto) ha puntato soprattutto sull’ex pugile Vitali Klitschko come punto di riferimento della protesta, pur nell’iniziale imbarazzo di trovarsi di fronte un presidente, Viktor Yanukovich, democraticamente eletto e considerato fino a ieri il rappresentante politico-legale di Kiev nel mondo. Colpisce anzitutto, in questo singolare schieramento, la sostanziale ininfluenza degli altri 25 Stati membri dell’Unione, quasi non avessero nulla da dire e da fare in una crisi pur così fondamentale sotto l’aspetto geopolitico – rapporto

con la Russia – ed economico – gas russo in transito dall’Ucraina. Certo non è una novità: sembra ormai stabilita la prassi per cui di fronte a specifiche crisi, o semplicemente a particolari dossier, in assenza di un forte potere centralizzato e in presenza di molti interessi incompatibili la pratica viene affidata a chi se ne sente più coinvolto. Il risultato è un continuo sbilanciamento e ribilanciamento che rende strutturalmente impossibile un approccio strategico europeo alle grandi questioni che ci interessano tutti. Ma la vicenda ucraina ha visto coinvolte, non molto visibilmente ma efficacemente, anche America e Gran Bretagna. La logica prevalente a Washington e a Londra è stata quella della guerra fredda, sia pure nell’attuale, peculiare versione. Si trattava di infliggere un colpo a Mosca, di bloccare le ambizioni neoimperiali di Putin tratteggiate nell’ambizioso progetto dell’Unione Euroasiatica: uno spazio imperiale esterno alla Federazione Russa imperniato soprattutto sull’Ucraina, deposito demografico, storico e simbolico di Santa Madre Russia in versione allargata. L’intervento an-

glo-americano è stato essenzialmente limitato al sostegno politico-finanziario alla piazza. Né era pensabile spingersi più in là, vista la lontananza di quella terra di frontiera dagli interessi immediati delle due potenze sorelle. Ora però, la partita ingaggiata da Washington e Londra ricadrà direttamente sulle spalle degli altri europei, a cominciare dalla stessa troika. Yanukovich è ignominiosamente caduto, Majdan ha vinto, ma la partita resta indefinita. Anzitutto, sul fronte interno: non sappiamo ancora chi potrà rappresentare l’Ucraina e soprattutto se potrà farlo in nome dell’intero Paese o solo di una sua parte. Il rischio di secessioni non incruente è inevitabile nel momento in cui si crea un vuoto di potere. Emerge infatti in questo caso l’estrema eterogeneità politico-culturale tra le popolazioni ucraine, tuttora contenute in uno spazio pensato all’interno dell’Unione Sovietica. Non si può quindi escludere che la Russia faccia valere il suo «diritto di prelazione» sulla Crimea («regalata» sessant’anni fa dal Cremlino all’Ucraina sovietica), anche a spese della locale popolazione tatara. Né, d’altra

parte, si riesce a capire fino a che punto Kiev potrà riprendere il controllo di alcuni territori occidentali oggi autogestiti dai ribelli locali, specie in Galizia. Appare ora in tutta evidenza l’asimmetria di potenza tra un’Unione Europea rappresentata dalla troika e la Federazione Russa. Se la Ashton può mettere sul tavolo 200 milioni e il Fondo monetario sembra disposto ad allentare le condizioni di un prestito miliardario, Putin ha già concesso all’Ucraina (di Yanukovich) tre miliardi di dollari, ma minaccia di bloccare gli altri dodici promessi. E fa sapere alla piazza e agli oligarchi che volessero sostenerla, che il regime energetico privilegiato di cui l’Ucraina ha goduto finora – forniture di gas russo a prezzi sovietici – è improrogabile in questo caos. È probabile a questo punto che anche tra Francia, Germania e Polonia possano emergere delle differenze su come continuare ad impegnarsi nella crisi ucraina. Nella consapevolezza che se tale crisi dovesse slittare in aperta guerra civile, l’Unione Europea avrà perso completamente il controllo di avvenimenti che pure ha contribuito a scatenare.


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Politica e Economia

A Kiev la storia è da riscrivere La seconda rivoluzione Per Mosca non è tanto la perdita di Yanukovic a impensierire, quanto capire

chi ha veramente in mano il potere e chi difenderà gli interessi russi in Ucraina con le armate hitleriane nel ’41-’44 e chiedendo a gran voce che Mosca difenda i russi in Ucraina – per esempio dando loro passaporto e cittadinanza russa, sulla scorta di quanto fatto in Sud Ossezia e in Abkhazia, le due repubbliche autonome staccatesi dalla Georgia con la protezione delle forze armate di Mosca.

Astrit Dakli Archiviato senza danni – ma diciamo pure con un buon successo, almeno d’immagine – il capitolo olimpico di Sochi, il «cattivo» per eccellenza dell’Occidente Vladimir Putin non ha avuto neanche il tempo di godersi le prestazioni record dello squadrone russo, che la crisi ucraina gli è precipitata addosso in forma disastrosa, mettendolo ancora una volta in grave difficoltà. Non è tanto la perdita di Viktor Yanukovich che pesa sul leader del Cremlino – l’uomo non gli stava per niente simpatico, ha dimostrato chiaramente di esser personaggio di grande doppiezza e poco valore e potendo Putin l’avrebbe probabilmente messo in soffitta già da tempo. Del resto, nel corso degli anni il presidente russo aveva saputo concludere buoni affari e positive intese anche con gli avversari di Yanukovich, la coppia «arancione» Viktor Yushenko-Yulia Tymoshenko (ricordiamo che proprio l’intesa con Putin sul gas ha portato Yulia in carcere). Se ci fossero state le elezioni e il presidente ucraino fosse stato sconfitto e sostituito da uno dei leader dell’opposizione, è lecito pensare che Putin non avrebbe perso il sonno per questo. Che Yanukovich sia sparito dalla scena quindi non è un problema per la Russia. Il problema è che a questo punto non è ben chiaro né al Cremlino né a quanto pare a nessuno chi comandi a Kiev, dove intenda portare l’Ucraina, e come.

La Crimea teme la fascistizzazione del Paese e incomincia a rispolverare il sogno della secessione

Uno dei primi atti del Parlamento epurato è stata l’abolizione di una legge che ammetteva il russo come seconda lingua ufficiale I dirigenti russi lo hanno detto molto chiaramente: per loro le «autorità» provvisorie che si sono installate nella capitale ucraina sono arrivate dove sono arrivate usando la violenza («se vogliamo chiamare governo gente mascherata che gira con il mitra in mano, bene, allora noi abbiamo difficoltà a trattare con un governo del genere», ha detto il premier Dmitry Medvedev) e dai loro primi atti è lecito temere per gli interessi russi e per le vite dei cittadini russi che vivono in Ucraina. In effetti, uno dei primissimi atti del parlamento «epurato» dai seguaci di Yanukovich, oltre a dichiarare decaduto il presidente in fuga, è stata l’abolizione della legge che nelle regioni con una forte minoranza russofona ammetteva il russo come seconda lingua ufficiale. Un segnale molto allarmante, una vera e propria dichiarazione di guerra dello schieramento nazionalista (e di estre-

Manifestazione di filo-russi con le bandiere a Sebastopoli, capoluogo della Crimea. (AFP)

ma destra) nei confronti di una parte significativa del Paese, cioè le regioni orientali e meridionali. Dove non a caso si sono formati dei comitati di lotta contro il nuovo potere di Kiev e addirittura si sono raccolte le adesioni per una mobilitazione armata. Uno scenario abbastanza terrorizzante per Mosca, che rischierebbe di essere coinvolta suo malgrado in un conflitto dalla portata imprevedibile; eppure uno scenario oggi non più così remoto, se a Kiev dovessero continuare a prevalere gli estremisti nazionalisti, che hanno avuto un ruolo dominante in queste ultime settimane e che sono stati decisivi, convergendo sulla capitale in formazioni armate dopo aver dato l’assalto a caserme e depositi di armi a Lviv (Leopoli), nel provocare il crollo finale

del regime di Yanukovich. I leader dell’opposizione «moderata» e filo-occidentale infatti avevano già firmato il patto con il presidente che gli garantiva di restare al potere ancora per parecchi mesi, sia pure sotto pesanti condizioni: è stata la piazza, eccitata dalla notizia dell’arrivo delle squadre armate, a volere la cacciata immediata di Yanukovich e la presa dei palazzi del potere, mandando così alle ortiche, con una vera spinta «rivoluzionaria», il lavoro di mediazione tessuto dagli inviati europei. Ma tutto questo conferma la liceità della domanda russa: chi è davvero al comando adesso? Yulia Tymoshenko, liberata dalla detenzione, si è candidata a governare, salvo far subito marcia indietro viste le reazioni non entusiaste della piazza e

l’aperto dissenso di alcuni gruppi militanti evidentemente di rilievo; nessuno dei leader politici finora impegnati nella complicata gestione del movimento che va sotto il nome di «Euromaidan» sembra godere di un consenso abbastanza largo, mentre nelle città ribelli dell’ovest – Lviv, Volyn, Ternopil e altre – prevalgono le teste calde e le istanze più radicali e anti-russe. E in parallelo crescono in Crimea e nell’est minerario e industriale i timori per quella che viene chiamata senza mezzi termini la «fascistizzazione» del Paese. Il Cremlino non sa con chi trattare e vede soltanto pericoli, mentre l’opinione pubblica russa e i media soffiano sul fuoco, rievocando scenari storici che si pensavano ormai rimossi, come il collaborazionismo dei nazionalisti ucraini

Facile prevedere che Putin almeno per il momento non cederà a queste richieste e cercherà piuttosto di usare come può l’unica vera arma che ha a disposizione, la leva economica: il maxi-prestito di 15 miliardi di dollari promesso in dicembre a Yanukovich verrà certamente messo in stand-by, sfidando europei e americani a tirar fuori la stessa cifra se davvero vogliono «salvare l’Ucraina». Difficile che la sfida venga accettata, peraltro: nelle prime dichiarazioni dei dirigenti dell’Unione europea e dei singoli Stati ci sono accenni alla necessità di coinvolgere il Fondo monetario internazionale e la generosità di Paesi terzi, dalla Cina alla Turchia all’Arabia saudita, per venire incontro alle necessità ucraine, ma di cacciar fuori dei soldi in prima persona nessuno parla. A Mosca resta poi sempre la possibilità di annullare la tariffa di favore sulle vendite di gas concordata sempre in dicembre come parte del pacchetto di aiuti, e di esigere il pagamento puntuale delle forniture. Queste mosse renderebbero impossibile alle autorità di Kiev, qualunque esse siano, di evitare il default e continuare a pagare i salari ai dipendenti pubblici; ma chiaramente avrebbero un forte impatto negativo sull’immagine della Russia, già gravemente compromessa dall’aver dato una mano a Yanukovich. Non si tratta dunque di scelte facili: il Cremlino avrebbe in realtà bisogno della collaborazione con gli occidentali per gestire la situazione ucraina evitando il peggio e dando spazio alle forze più moderate; ma in questa fase al di là delle parole generiche non sembra che l’Occidente – e in particolar modo Washington – abbia interesse a collaborare quanto piuttosto a sfruttare al massimo una ghiotta occasione per infliggere a Mosca una sconfitta strategica cruciale. Per ora, l’unica intesa fra Russia e Occidente è il comune auspicio, espresso in diversi comunicati al termine dei frenetici contatti telefonici degli scorsi giorni, che venga preservata l’unità nazionale ucraina: ma si ha l’impressione che con questo termine russi e occidentali intendano realtà e dinamiche politiche abbastanza diverse, per non dire opposte. Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 marzo 2014 • N. 10

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Politica e Economia Il presidente americano Barack Obama ha mandato ripetuti avvertimenti a Putin per dissuaderlo dall’intervenire in Ucraina. (AFP)

Obama moderato in Ucraina La Casa Bianca Dieci anni fa, nel 2004, la Rivoluzione arancione ispirò George W. Bush

che promise di promuovere la democrazia. Oggi in America prevalgono buonsenso e Realpolitik Federico Rampini La crisi dell’Ucraina può segnare l’inizio di una riscossa di Barack Obama in politica estera, dopo una serie di sconfitte o quantomeno di delusioni e battute d’arresto. A prima vista non è così, anzi. L’Ucraina ha le caratteristiche per risucchiare il mondo in un remake della Guerra fredda, ad esempio nell’ipotesi di un intervento militare russo in Crimea. Col pretesto di difendere la minoranza russa contro presunte vessazioni da parte del nuovo governo di Kiev; e magari in «risposta» ad appelli di aiuto che arrivino da Sebastopoli, il porto della Crimea che è già una base militare russa, Vladimir Putin potrebbe essere tentato da un’operazione militare. Ha già mobilitato le sue truppe per delle «esercitazioni» al confine russo-ucraino, proprio mentre il presidente Viktor Yanukovich in fuga da Kiev trovava asilo a Mosca. Potremmo assistere a una sorta di bis della Georgia, con una singolare coincidenza: ogni volta le mini-guerre ai confini della Russia vengono scatenate durante o nelle vicinanze dei Giochi olimpici (in Georgia nel 2008, Olimpiadi di Pechino). Ed è ovvio che un’invasione russa della Crimea troverebbe l’America costretta a fare da spettatrice. Al di là delle condanne obbligatorie, Obama non potrebbe certo sognarsi di muovere le truppe americane o di proporre un intervento della Nato. L’Ucraina non fa parte della Nato (non ancora…) e dunque non ci sarebbero le condizioni per legittimare un intervento. Si confermerebbe dunque che quell’area del mondo resta implicitamente in una sfera egemonica della Russia, anche un quarto di secolo dopo la dissoluzione dell’Urss. Si chiuderebbe definitivamente ogni speranza per quelle «rivoluzioni arancioni» che cominciarono nel 2004, precedettero e forse ispirarono le primavere arabe. Ma la stessa crisi si può guardare in un’ottica completamente diversa. Ed è

quest’altra ottica che nel lungo periodo finirà per prevalere, con ogni probabilità. In Ucraina Putin si trova, ancora una volta, «dalla parte sbagliata della Storia». Ha appoggiato fino all’ultimo Yanukovich, un leader inefficiente, corrotto, impopolare. Mosca si è di fatto resa complice della sanguinosa repressione che ha ucciso quasi un centinaio di persone nelle strade di Kiev.

L’Ucraina non fa parte della Nato e dunque non ci sono le condizioni per un intervento Usa Questo è lo stesso Putin che in Siria puntella Assad, uno dei più feroci e sanguinari dittatori del nostro tempo. In giro per il mondo, i regimi che godono dell’appoggio di Mosca hanno ben poco di attraente. L’abbraccio di Putin è quasi una «certificazione» da appestati. Soprattutto nell’area dell’Est europeo ogni volta che le popolazioni hanno la possibilità di esprimere la loro preferenza – com’è accaduto a Kiev negli ultimi mesi – scendono in piazza per distanziarsi dall’abbraccio russo. Non è un buon segno in una fase in cui Putin vorrebbe accelerare i tempi di costituzione di quella Comunità eurasiatica con cui spera di fare da contrappeso all’Unione europea, alla Nato, all’influenza americana. E tutto ciò si situa in un contesto più generale dove le tendenze di lungo periodo rafforzano gli Stati Uniti e indeboliscono la Russia. Sul piano energetico, l’America settentrionale (Usa + Canada + Messico) è già la più grande potenza globale, supera Russia e Arabia Saudita nella produzione di petrolio e gas naturale. E il divario non fa che allargarsi, riducendo la petro-rendita di Putin. Altrettanto vale sul piano demografico: grazie all’immigrazione gli Stati Uniti hanno una dina-

mica positiva della natalità e la loro popolazione continua a crescere, mentre in Russia (e soprattutto nella componente etnica dei «russi bianchi») accade il contrario. Questo spiega la moderazione che Obama sta mostrando sull’Ucraina. Qualcuno glielo ha rimproverato, naturalmente. Il repubblicano John McCain, il solito «falco» di politica estera, ha rimproverato il presidente per una presunta timidezza nel contrastare Putin. Ma la posizione di McCain ha avuto scarsa eco e non è popolare negli Stati Uniti. Obama sta procedendo con cautela e con tempi lunghi. Ha mandato ripetuti avvertimenti a Putin per dissuaderlo dall’interferire in Ucraina. Ma la Casa Bianca non ha offerto al nuovo governo ucraino aiuti d’emergenza, preferendo delegare la questione economica al Fondo monetario internazionale (che a sua volta procede con molta lentezza). Obama ha dalla sua, anzitutto, un «fattore-disillusione». Non vi è più traccia dell’entusiasmo di George W.Bush suscitato nel 2004 dalle «rivoluzioni arancioni». È passata tanta acqua sotto i ponti. Soprattutto dopo che il colore arancione si è trasformato attraverso le varie vicissitudini delle primavere arabe, gli Stati Uniti hanno incassato delusioni amare. L’Obama di oggi non è lo stesso che fece lo storico discorso del Cairo nella primavera 2009, tantomeno quello che appoggiò i manifestanti antiMubarak di Piazza Tahrir. Questo presidente ha visto spegnersi velocemente le ventate pro-occidentali di Tunisi e Bengasi, sostituite da radicalismi ostili. Ma anche nell’Europa centro-orientale, gli americani avvertono pericoli di radicalizzazione, frange di estremismo di destra e persino nazi-fascista, xenofobie. Nel caso che la Crimea dovesse tentare una secessione, pochi s’illudono che questa avrebbe le stesse sembianze della «separazione di velluto» tra Repubblica cèca e Slovacchia. Fra i commentatori americani pre-

valgono il buonsenso e l’invito al realismo. Scorrendo le pagine degli editoriali, dal «New York Times» al «Washington Post», tutti si augurano che l’Ucraina possa trovare un equilibrio con la cooperazione di Stati Uniti, Unione europea, e anche Russia. Non si sentono qui in America nostalgia di Guerra fredda, se non accendendo la televisione per la nuova fiction a puntate The Americans: ma quella è fiction, per l’appunto, ed è una serie televisiva ambientata all’epoca di Ronald Reagan. C’è stato un periodo, ancora recente, in cui Obama sembrava un ingenuo, costretto a prendere lezioni di Realpolitik da Putin. Fu il caso della Siria. Il presidente americano, per la verità con molta riluttanza e sotto la pressione di alcuni consiglieri iper-attivi sui diritti umani (come l’ambasciatrice all’Onu Samantha Power) si era deciso a proporre un intervento militare in Siria dopo le stragi chimiche di Assad. Proprio perché indeciso, aveva optato per rivolgersi al Congresso prima di ordinare i bombardamenti su Damasco. Era sul punto di incassare una brutale sconfessione dal Congresso. Putin in quel caso lo aveva cavato d’impiccio, e al tempo stesso gli aveva dato una lezione. Era al G20 di San Pietroburgo che la diplomazia russa aveva scodellato la soluzione Onu, col disarmo chimico concordato con Assad. In seguito l’emergere di fazioni sempre più violente (vicine ad Al Qaeda) nell’opposizione siriana, aveva dato quasi ragione a Putin. Col senno di poi un intervento armato contro Assad rischiava di produrre un esito simile a quello della Libia, dove tuttora non esiste un vero governo e alcune aree del Paese sono in mano a fazioni radicali. Oggi però Obama è in una posizione diversa. È Putin che si trova in difficoltà, qualsiasi cosa faccia in Ucraina ha solo da perderci. Un intervento militare russo in Crimea avrebbe caratteristiche da Guerra fredda, senza per questo rappresentare una vittoria per gli interessi della Russia nel lungo termine.

Fra i libri di Paolo A. Dossena Carlo Alberto Defanti, Richard Wagner. Genio e antisemitismo, Lindau, 2013 Come in un gioco di scatole cinesi, il presente mediorientale sembra condizionato dalla storia del XX secolo europeo, il quale sembra a sua volta condizionato dalle idee del XIX secolo. L’anno scorso, per esempio, l’Università di Tel Aviv avrebbe dovuto ospitare un simposio su Richard Wagner, un evento che nei piani sarebbe culminato in una performance musicale. Alla notizia che la musica di Wagner sarebbe stata eseguita in Israele, un’ondata di proteste ha scosso il Paese. In realtà l’evento wagneriano non aveva finalità politiche, ma il furore popolare ne ha comunque provocato la cancellazione. Il bando israeliano alle opere di Wagner cominciò vent’anni prima della fondazione dello Stato. Infatti, nel 1938 il movimento sionista identificò strettamente la musica di Richard Wagner con il nazismo di Hitler. Tuttavia, Wagner è morto nel 1883, e Hitler (nato nel 1889), entrò in politica ben 37 anni dopo la morte del compositore. In ogni caso, da quel 1938 in poi, l’organizzazione che precorre l’attuale Filarmonica Israeliana bandisce l’opera wagneriana. Il bando non ufficiale prosegue fino ad oggi, come gli eventi del 2012 hanno dimostrato. Oggi, a un anno di distanza dall’ultimo boicottaggio, in tutti i Paesi dell’Occidente escono saggi storici ispirati da questi fatti d’attualità. Un lavoro decisamente equilibrato e interessante è il libro di Carlo Alberto Defanti, che scrive: «Ancora oggi le opere di Wagner non vengono rappresentate nello stato di Israele e i tentativi di introdurre la sua musica in quel Paese hanno sempre suscitato polemiche accesissime. L’appropriazione di simboli wagneriani da parte del regime nazionalsocialista, la vicinanza del cosiddetto circolo di Bayreuth al nascente partito nazista, la passione di Hitler per il musicista e il pesante coinvolgimento della famiglia Wagner nelle vicende del Terzo Reich hanno stimolato, dopo la Seconda guerra mondiale, un’abbondante letteratura in cui il musicista è presentato addirittura come un precursore di Hitler». Nel 1850 Wagner pubblica il suo saggio antisemita, L’ebraismo nella musica, che secondo Defanti è anche il prodotto d’invidia e risentimento verso colleghi ebrei. Wagner lo confessa in una sua lettera a Franz Liszt. Tuttavia, ritiene Defanti, attribuire a Wagner un’influenza diretta e decisiva sul nazismo è sbagliato. Come Fichte, Wagner considera gli ebrei come un’etnia estranea e inconciliabile con la Germania. Rammenta tuttavia di avere amici ebrei e suggerisce che le sue parole hanno trovato ascolto presso alcuni di loro. Inoltre non aderisce alla petizione che chiede di restringere i diritti degli ebrei. Questo ruolo (l’influsso diretto sul nazismo) è assegnato da Defanti a Houston Chamberlain, l’autore di I fondamenti del XIX secolo. Chamberlain è tuttavia un membro del circolo di Bayreuth e il suo libro sarà molto apprezzato da Hitler. È quindi il circolo di Bayreuth, che ruota intorno a Wagner, la chiave del problema. Infatti, secondo Defanti, Nietzsche aveva capito che frequentando questo gruppo «Wagner si era attorniato di persone non degne di lui e coinvolte nell’antisemitismo militante». I lavori di Wagner che avrebbero dovuto essere rappresentati in Israele includevano brani da L’anello del Nibelungo e da La Valchiria. Una parte del pubblico israeliano avrebbe voluto assistere a queste rappresentazioni. Infatti, oggi, in Israele esiste (come già nella Francia sconfitta del 1940) una Società wagneriana. Il tabù è in parte già crollato. A quando la riconciliazione?


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Politica e Economia

Trasparenza fiscale: si accelera Segreto bancario I ministri delle finanze del G-20 danno il via al piano di concretizzazione dello scambio

automatico di informazioni messo a punto dall’OCSE. La Svizzera costretta ad accorciare i tempi Johnny Canonica Detto, fatto. Intervistata dalla «Neue Zürcher Zeitung», sull’edizione del 20 febbraio scorso, la consigliera federale Eveline Widmer-Schlumpf, rispondendo a una domanda riguardante l’applicazione dello scambio automatico delle informazioni fiscali da parte della Svizzera, aveva affermato che «tutto è andato più velocemente di quel che pensassimo. E questo significa che noi (la Svizzera) dobbiamo posizionarci velocemente». Esattamente tre giorni più tardi, domenica 23 febbraio, i ministri delle finanze del G-20 riuniti a Sydney, in Australia, davano il via al piano per lo scambio automatico dei dati fiscali messo a punto dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico OCSE (vedi anche Ignazio Bonoli, nella pagina accanto). Eveline Widmer-Schlumpf non dispone verosimilmente di doti divinatorie, semplicemente era in grado di immaginare quale potesse essere il risultato che sarebbe uscito dalla riunione di Sydney. Fatto sta che quello che lei aveva affermato nell’intervista è poi diventato realtà. «Detto, fatto», appunto. Quello che fino a pochi anni fa sarebbe risultato impensabile, tra poco dovrebbe quindi diventare realtà. Lontani i tempi durante i quali gli ex consiglieri federale Kaspar Villiger e HansRudolf Merz affermavano che «il segreto bancario non è negoziabile» e che

Eveline Widmer -Schlumpf: «Dobbiamo riposizionarci velocemente». (Keystone)

«chi vorrà forzare il segreto bancario si romperà i denti nel granito». Dopo la crisi finanziaria del 2008, quando molti Stati sono dovuti correre in soccorso di diverse banche per evitare il tracollo del

loro sistema finanziario nazionale e una reazione a catena a livello planetario, è iniziata una guerra senza quartiere contro l’evasione fiscale. La pressione sulle piazze finanziarie che davano Annuncio pubblicitario

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(e danno ancora) rifugio a capitali non dichiarati alle autorità fiscali dei Paesi di domicilio dei loro proprietari è cresciuta in maniera esponenziale, e queste piazze finanziarie corrono il serio rischio di venir messe al bando della comunità internazionale, con pesanti conseguenze per tutta l’economia nazionale. Alcuni Paesi non si curano di questo rischio e continuano con la loro politica; non così la Svizzera, che già lo scorso autunno, per la bocca del Consiglio federale, si è detta pronta a introdurre lo scambio automatico delle informazioni una volta che questo venga definito a livello dell’OCSE (definito quindi con il contributo elvetico, essendo la Svizzera membro dell’organizzazione) e che tutte le principali piazze finanziarie concorrenti della Confederazione lo abbiano adottato. Questo non significa però la scomparsa definitiva del segreto bancario elvetico. Come ribadito da Eveline Widmer-Schlumpf nell’intervista alla NZZ, «per i contribuenti elvetici non cambia nulla. Lo scambio automatico delle informazioni varrà solo nei rapporti con autorità estere e non riguarderà gli averi di clienti svizzeri (o di cittadini stranieri domiciliati nella Confederazione, ndr) di banche svizzere». A questo bisogna poi aggiungere che un comitato sta raccogliendo le firme a sostegno dell’iniziativa popolare «Sì alla protezione della sfera privata», che vuole iscrivere nella Costituzione la garanzia del segreto bancario per tutte le persone domiciliate in Svizzera. Entro la fine dell’anno le 100mila firme necessarie alla riuscita dell’iniziativa dovranno venir consegnate alla Cancelleria federale. Per far capire che nella lotta contro l’evasione fiscale non si sta scherzando, i ministri delle finanze del G-20 hanno anche lanciato un chiaro segnale a 14 Paesi (tra questi la Svizzera), che non stanno applicando con sufficiente efficienza gli standard sull’assistenza amministrativa fiscale. Se questi Paesi non dovessero, per così dire, «darsi una mossa», contro di loro delle sanzioni non vengono escluse. E sebbene il termine «sanzione» non sia stato chiaramente espresso (il comunicato parla di «tougher incentives», che potremmo tradurre con «incentivi più severi»), il messaggio lanciato è stato sufficientemente chiaro. «Chi ha orecchie per intendere, intenda», insomma. Ma come ammesso dal ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble, la Svizzera

non dovrebbe preoccuparsi eccessivamente di quelle minacce. La volontà della Confederazione a conformarsi agli standard internazionali è stata riconosciuta, il problema è che ci vuole del tempo per iscriverli nelle leggi. E il fattore «tempo» è stato menzionato dalla stessa Eveline WidmerSchlumpf nell’intervista alla NZZ come elemento di attrito dentro e fuori i confini nazionali. Perché se in Svizzera ritengono che il Consiglio federale stia cedendo con eccessiva accondiscendenza alle pressioni internazionali, al di fuori della Svizzera si ritiene al contrario che la Confederazione si stia muovendo troppo lentamente. «Quanto abbiamo vissuto negli ultimi cinque anni nel settore finanziario non è mai stato percepito con la medesima intensità in precedenza per parecchi decenni», ha affermato la ministra delle finanze, cercando di spiegare l’insicurezza che colpisce molte persone in Svizzera. E a chi in Parlamento accusa il Consiglio federale di inondare continuamente le Camere con nuovi progetti riguardanti la piazza finanziaria, risponde che «sono gli sviluppi internazionali che rendono necessario agire speditamente». E se si pensa che in Svizzera sono solitamente necessari dai due ai tre anni per vedere concretizzata una legge, è chiaro che questi tempi mal si sposano con la celerità richiesta sul palcoscenico internazionale, ed è per questa ragione che la Svizzera viene a volte collocata sulle liste nere o grigie dei paradisi fiscali. I ministri delle finanze del G20 e l’OCSE hanno fissato il calendario per la concretizzazione dello scambio automatico delle informazioni. «Entro settembre dovremo presentare le soluzioni tecniche che permettano lo scambio dei dati», ha affermato Pascal SaintAmas, il direttore del Centro di politica e amministrazione fiscale dell’OCSE. Mentre per la fine del 2015, cioè tra poco meno di due anni, questo scambio di informazioni di dati fiscali dovrebbe divenire effettivo tra i G-20, con il resto dei Paesi dell’OCSE a seguire, Svizzera inclusa. Difficile però dire quando (e se!) dalla Svizzera partiranno i primi dati verso le autorità fiscali estere, perché oltre al «ping pong» parlamentare, che potrebbe allungare i tempi di attuazione degli standard internazionali in Svizzera, non è da escludere che l’ultima parola spetti al popolo. Tutt’altra cosa quindi rispetto ad affermare «detto, fatto».


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Politica e Economia

Standard OCSE: Svizzera senza più monete di scambio Fiscalità La rapida applicazione delle decisioni prese dal G-20 a Sydney toglie alle proposte bilaterali svizzere

quasi ogni valore di scambio Ignazio Bonoli Come era ampiamente prevedibile, il G-20 – il gruppo dei maggiori Paesi industrializzati al mondo – ha adottato gli «standard» dell’OCSE per lo scambio automatico di informazioni in materia fiscale (vedi anche articolo nella pagina a fianco). Riunito a Sydney a livello di ministri delle finanze lo scorso 22/23 febbraio, ha anche deciso di inserire nell’accordo il principio della reciprocità. Un principio al quale la Svizzera teneva molto e che poneva quale pregiudiziale per aderire all’accordo. La cosa non era però così scontata, poiché parecchi Paesi – a cominciare dagli Stati Uniti – volevano continuare a praticare i loro propri sistemi, senza impegnarsi a garantire agli altri le stesse possibilità. Per quanto concerne i tempi d’applicazione, vi è stata una certa accelerazione, poiché il gruppo ha deciso che, in occasione del prossimo incontro in settembre, gli aspetti tecnici delle nuove regole dovranno essere risolti, in modo che, entro la fine del 2015, tutti i Paesi firmatari dovranno cominciare ad applicarle. In un primo tempo si tratterà sicuramente dei Paesi che fanno parte dell’OCSE (quindi anche della Svizzera) per poi giungere a un’applicazione a livello mondiale. Con questa decisione l’OCSE aumenta anche la pressione verso quegli

Stati che finora non utilizzano standard di livello adeguato nelle loro procedure di assistenza amministrativa in campo fiscale e quindi non sono presi in considerazione nella seconda fase della valutazione dell’applicazione dell’assistenza amministrativa stessa. Nel comunicato sulla riunione di Sydney si precisa anzi di voler accentuare queste pressioni. Tra questi Paesi figura anche la Svizzera, in compagnia di Stati del Terzo mondo o degli Emirati arabi. Secondo gli esperti, questo linguaggio diplomatico dell’OCSE non significa altro se non l’intenzione di adottare sanzioni. Che cosa questo atteggiamento possa significare per la Svizzera non è ancora dato sapere. Durante una conferenza stampa, il ministro tedesco delle finanze Wolfgang Schäuble ha però detto di non farsi troppe preoccupazioni. In effetti, il Consiglio federale ha già compiuto passi importanti nella direzione della seconda fase di valutazione dell’OCSE. In ottobre ha, per esempio, firmato la convenzione dell’OCSE e del Consiglio d’Europa per l’assistenza giudiziaria reciproca in materia fiscale. Questo comporta anche un’assistenza «spontanea» in caso di sospetto delitto fiscale. Quindi non più – come finora – solo su richiesta motivata. Questa evoluzione ha indotto la consigliera federale Eveline WidmerSchlumpf, in un’intervista alla NZZ, ad

affermare che l’adesione della Svizzera allo scambio automatico di informazioni sarà più rapida di quanto si potesse prevedere. Questo presuppone che la Svizzera debba riconoscere al più presto i nuovi standard dell’OCSE. Di fronte ad affermazioni di questo tipo, anche l’esigenza svizzera di accettare le condizioni OCSE solo se viene garantita la reciprocità perde qualcosa della propria forza. Riaffiora però il problema degli Stati Uniti. In particolare i banchieri svizzeri temono che gli Stati Uniti si siano ormai garantiti una posizione di forza all’interno della stessa OCSE e che

non si cureranno di applicare il principio della reciprocità che è esplicitamente previsto. In fondo i banchieri della Svizzera – e anche di altri Paesi – firmando il trattato FATCA con gli Stati Uniti hanno in pratica rinunciato a far valere il principio della reciprocità nei confronti degli Stati Uniti. Essi hanno, infatti, aderito al secondo modello del trattato, mentre la reciprocità era contenuta nel primo modello dell’accordo FATCA, anche se solo parzialmente. Secondo l’OCSE, il trattato FATCA è comunque compatibile con gli standards OCSE.

VO O U

N

«Dimagrire con gusto»

Foto di gruppo a Sydney dei ministri delle finanze del G-20. (Keystone)

Un aspetto importante dei rapporti finanziari internazionali discusso a Sydney è anche l’erosione del capitale e il trasferimento di utili da parte delle multinazionali in Paesi più convenienti. Questo modo di fare potrebbe rientrare nelle pratiche fiscali dannose. Anche in questo caso sarebbero prese di mira le pratiche fiscali di alcuni cantoni svizzeri che facilitano fiscalmente le «holding» e gli utili derivanti da licenze. La Svizzera sta esaminando questi aspetti soprattutto nei contatti con i Paesi europei. Nell’ambito del G-20 si manifestano invece interessi divergenti. Il gruppo se ne occuperà nell’incontro previsto per settembre, ma le intenzioni sono quelle di trovare soluzioni univoche, in modo da evitare che ogni Stato adotti misure proprie. Per Berna però – dopo il voto del 9 febbraio – parecchie cose sono cambiate. Se prima si potevano scambiare concessioni come l’accesso ai mercati finanziari nell’UE contro concessioni nelle informazioni fiscali, ora la moneta di scambio da un lato è la libera circolazione delle persone e dall’altro gli «standard» OCSE ai quali in futuro nessuno potrà più sottrarsi. In questo senso Widmer-Schlumpf, nell’intervista citata, parla di condizioni molto più difficili. In realtà – infatti – la Svizzera di monete di scambio non ne avrà praticamente più.

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Politica e Economia Rubriche

Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Aumenteranno anche i disoccupati svizzeri Gli avversari dell’iniziativa sull’immigrazione di massa non hanno mai cessato di avvisare che una sua accettazione avrebbe potuto avere conseguenze catastrofiche per l’economia svizzera. Ora che l’iniziativa, nonostante gli avvertimenti, è passata, e i pericoli annunciati dovrebbero concretizzarsi, assistiamo invece a una gara tra politici ed esperti per minimizzare le possibili conseguenze negative del voto sull’andamento della nostra economia o, per lo meno, per dichiarare che è ancora difficile fare delle stesse un quadro affidabile con importi e scadenze. La maggioranza dei commentatori è però d’accordo nell’affermare che la competitività dell’economia svizzera ha ricevuto un duro colpo e che la stessa potrebbe riceverne un altro, forse ancora peggiore, il prossimo 18 maggio, se

dovesse passare l’iniziativa sul salario minimo. L’incertezza sulla portata delle conseguenze negative dell’introduzione del contingentamento è giustificata dal fatto che, sino a quando non si conoscerà il risultato delle trattative con l’Ue, è certamente rischioso quantificarle. Abbiamo però un precedente che si può richiamare a titolo di comparazione, anche se i sostenitori del contingentamento si affretteranno a dire che è come voler comparare un piatto vegetariano a un piatto di carne. Si tratta del contingentamento introdotto dal Consiglio federale a partire dal 1965 per frenare crescita e inflazione. Vediamo dapprima quale influenza ebbe questa misura sui tassi di crescita del prodotto interno lordo reale. Nel periodo 1960-1964, ossia nei cinque anni immediatamente precedenti l’introduzione del contingenta-

mento, il tasso di crescita annuale reale fu, in Svizzera, pari al 6%. Nei cinque anni successivi, ossia dal 1965 al 1969, la velocità di crescita dell’economia svizzera si ridusse al 3,8%, ossia di un po’ più di un terzo. Se dovessimo considerare queste cifre come indicative di che cosa potrebbe succedere alla nostra economia nei prossimi cinque anni, potremmo concludere che il suo tasso di crescita annuale, tra il 2015 e il 2019, potrebbe scendere dallo 0,9 allo 0,6%. Ricadremmo quindi nella situazione di lunga stagnazione che aveva caratterizzato il periodo posteriore alla votazione del 1992 sullo Spazio economico europeo. Vale la pena di aggiungere che il contingentamento degli anni Sessanta era abbastanza all’acqua di rose (i frontalieri, per esempio, non erano contingentati) e che se si vogliono soddisfare le richie-

ste dei sostenitori dell’iniziativa dovrebbe essere molto più conseguente. È quindi probabile che le ripercussioni negative in termini di riduzione relativa del tasso di crescita saranno anche maggiori. Per fortuna la nostra economia viaggia oggi con un tasso di crescita medio reale di medio termine inferiore all’1%. Di conseguenza anche se la perdita di crescita fosse superiore al terzo ricordato qui sopra, il tasso di crescita annuale effettivo, sempre nel medio termine, non sarebbe che di un decimo o forse due inferiore allo 0,6% già ricordato. Il problema si complica però quando consideriamo le possibili ripercussioni sull’evoluzione dell’impiego. Se l’esperienza degli ultimi dieci anni ci ha insegnato qualcosa è che, in un’economia dominata dal settore dei servizi e dalle piccole aziende, la cre-

scita economica è legata a doppio filo alla crescita dell’occupazione. Tanto che, dopo la crisi finanziaria del 2008, la produttività in Svizzera non si è praticamente mossa da dove era e tutta la crescita o quasi è stata assicurata dall’espansione dell’occupazione. Secondo noi, indipendentemente da dove si vorrà fissare, in futuro, il livello del pieno impiego, è certo che con un tasso di crescita reale del Pil pari a 0,6% o meno all’anno, questo obiettivo non potrà essere raggiunto e la disoccupazione aumenterà. Non solo la componente straniera della manodopera, ma anche quella svizzera registreranno un aumento del tasso di disoccupazione. Certo che per rilanciare la competitività potremmo naturalmente sempre provare a impiegare più robot (possibilmente di origine svizzera, però)!

vista razionale, Renzi ha tutto contro: un establishment che si sente scosso nelle proprie certezze e nei propri privilegi, una maggioranza vecchia e divisa, un partito che l’ha accettato come un male necessario, una sinistra interna umiliata e un clan piccolo ma compatto – quello dei lettiani – certo non ben disposto nei suoi confronti. Eppure una chance di successo Renzi ce l’ha. E non la deve solo alle proprie capacità; la deve alle caratteristiche del suo Paese. C’è un’Italia irredimibile, che si crogiola nel conservatorismo o si agita nel ribellismo, convinta che non si debba cambiare nulla o che si possa uscire dall’euro, non pagare il debito pubblico e dare mille euro a tutti in cambio di niente. Ma c’è un’Italia che non attende altro che uno scossone per rimettersi in moto, recuperare fiducia. La biografia di Renzi è quella di un outsider. Il più giovane presidente del Consiglio è nato l’11 gennaio 1975 a Rignano sull’Arno, 9 mila abitanti, 23 chilometri da piazza della Signoria. Il padre Tiziano – piccolo imprenditore

che diventerà consigliere comunale per la Dc – e la madre Laura Bovoli vivono in un palazzone di via Vittorio Veneto, con la primogenita Benedetta di tre anni (nel 1983 arriverà Samuele e nel 1984 Matilde, l’unica impegnata nei comitati elettorali del fratello). Dopo un mese di prima elementare, la maestra, signora Persello, lo promuove: il bambino è sveglio, può passare in seconda. Serve messa a don Giovanni Sassolini, parroco di Santa Maria Immacolata. Gioca trequartista nella Rignanese, ma riesce meglio come arbitro e come radiocronista. (Ancora l’anno scorso, in una partita di beneficenza, ha preteso di tirare un rigore: parato, per giunta dal sottosegretario Toccafondi, alfaniano). Si fa eleggere rappresentante di classe. Entra negli scout. Guida un gruppo in una gita in Garfagnana: si perdono in un bosco, passano la notte all’addiaccio. Nel 1994, mentre l’Italia antiberlusconiana inorridisce nel vedere il padrone delle tv private entrare a Palazzo Chigi, Renzi va nelle tv pri-

vate di Berlusconi: in cinque puntate della «Ruota della fortuna» con Mike Bongiorno vince 48 milioni. L’anno dopo, a vent’anni, fonda a Rignano un circolo in sostegno di Prodi. Nel 1999 si laurea con una tesi su «La Pira sindaco di Firenze» e sposa Agnese Landini, conosciuta agli esercizi spirituali. Organizza la rete di strilloni per conto dell’azienda del padre, per distribuire «La Nazione» in strada. Con i soldi che ha guadagnato parte assieme agli amici scout per il Cammino di Santiago: una settimana di pellegrinaggio a piedi. Al ritorno i capi gli propongono di candidarsi alla guida del partito popolare di Firenze, che ha appena toccato il minimo storico: 2 per cento. Renzi accetta e vince il congresso. Segretario nazionale è Franco Marini. Che sarà una delle sue tante vittime. La prima è Lapo Pistelli, di cui Renzi è stato assistente parlamentare: alle primarie per il sindaco si candida contro di lui e lo batte. L’ultima vittima è ovviamente Letta. Ora vedremo se Renzi, oltre a distruggere, sa anche costruire.

dividuo abbia un’attitudine omofoba». Sui contenuti di questa specie di kit «pro-gender» la scrittrice e giornalista Isabella Bossi Fedrigotti ha cercato di ironizzare prendendo lo spunto dalle fiabe («Corriere della Sera», 15 febbraio): «Al bando Biancaneve, la Bella addormentata, il Principe rospo e tutte quelle storie che parlano di principi azzurri e principesse in cerca di un eroe che ammazzi il drago, colpevoli di indurre le bambine a cercare poi – invano – per tutta la vita un uomo che assomigli a quel perfetto prototipo e i bambini a convincersi di dover usare spada e coltello per far colpo sulle fidanzate». Ma per gli autori del kit le fiabe continuano «a promuovere un solo modello, quello della famiglia tradizionale, e impediscono identificazioni diverse» e anche qui, dicendo di combattere il bullismo e la discriminazione, propongono lunghi capitoli contro l’omofobia. Lo stesso giorno (un sabato!?!) il Ministero per le Pari Opportunità italiano sconfessa i promotori di «questa as-

surda operazione ideologica per la diffusione nelle scuole di materiale mai approvato da chi di dovere». Tutto bene? Forse. Resta da appurare chi abbia voluto e potuto promuovere e finanziare una simile campagna «transnazionale» se non proprio europea. Tanto più che a rincarare la dose – e a dare conferma che l’Europa non è paese per vecchi e nemmeno per bambini – dal Belgio è giunta anche la notizia della definitiva approvazione della proposta di legge che estende anche ai minori in fin di vita la possibilità di chiedere l’eutanasia. A questo punto alla denuncia iniziale di Francesco Forte contro la nuova etica laica illuminista, credo di poter abbinare anche queste parole dello scrittore inglese Gilbert K. Chesterton: «La grande marcia della distruzione culturale proseguirà. Tutto verrà negato… Accenderemo fuochi per testimoniare che due più due fa quattro. Sguaineremo spade per dimostrare che le foglie sono verdi in estate».

In&outlet di Aldo Cazzullo Renzi, la ruota gira Perché una parte d’Italia si è innamorata di Matteo Renzi? E perché molti non gli perdonano di essere andato al governo in questo modo? Matteo Renzi non è frutto delle élites. È un politico puro. Non è figlio dell’establishment o del Partito; è un autentico leader popolare. Non ha un curriculum d’eccellenza. È laureato in giurisprudenza (con 109; mancò il 110 perché discutendo la tesi litigò con il relatore), ma non ha fatto studi superiori. Parlotta l’inglese con l’accento toscano, ma non ha fatto master all’estero. Gli italiani non vedono in lui un marziano, ma uno di loro. Con i suoi limiti, e con due punti di forza: il fiuto e l’energia. Il fiuto gli ha suggerito che l’unico modo per emergere a sinistra era andare contro la vecchia guardia, cavalcando l’insofferenza della base per leader che non vincevano mai. Poi ha usato contro l’intera classe politica lo stesso linguaggio e gli stessi argomenti della gente comune. Infine ha alzato il tiro contro l’establishment, dalle banche ai sindacati. Si è insomma costruito contro il Palazzo.

Proprio per questo l’opinione pubblica è perplessa, ora che lui nel Palazzo entra senza passare dal voto popolare. Ma la sua energia può imprimere uno scossone a un Paese sprofondato in una crisi di fiducia. Se si esamina la situazione dal punto di

Matteo Renzi durante una puntata del quiz di Mike Bongiorno.

Zig-Zag di Ovidio Biffi Testimoniare che due più due fa quattro Agli inizi di febbraio la stampa italiana si è gettata a capofitto su una notizia attribuita all’Unione Europea e rivelatasi poi una bufala: la corruzione in Italia ha un giro annuo di 60 miliardi di euro. Persino il «Corriere della Sera» e uno dei suoi più autorevoli editorialisti (Stella) hanno rimediato una magra figura. A lisciare il pelo a tutti è giunto, il giorno dopo, l’85.enne economista Francesco Forte su «Il Foglio»: dopo aver ricordato che senza fondamentali non si va lontano, soprattutto in economia, ha spiegato che quella notizia presentava cifre talmente spropositate, e fuori da ogni parametro, che non sarebbe mai stata pubblicata se nelle redazioni ci fosse ancora il filtro di veri economisti. Nella sua rampogna Forte ha volutamente sconfinato dal campo economico e proprio per questo il suo intervento merita di essere evidenziato. La sua osservazione più vivace si rifà al mutamento epocale sviluppatosi dopo la caduta del sistema comunista e l’af-

fermarsi del capitalismo praticamente in tutto il mondo. Prendendo come metro di giudizio l’indignazione popolare, Forte è approdato a questo fulminante parallelo: «Nella cultura intellettualista postmoderna, il peccato contro il denaro ha sostituito quello contro il sesso, la famiglia e la vita della morale cattolica tradizionale. E così nella nuova etica laica illuminista, che s’è liberata della moralità sessuale ereditata dall’Ottocento, gli ex peccati contro la vita umana (come eutanasia e aborto) sono diventati diritti di libertà degli esseri umani. L’indignazione morale ora è riservata ai peccati economici, specie corruzione, evasione o frode fiscale». A fornire prove sulla validità di questa perfetta radiografia della nostra società e della piroetta dei diritti di libertà giungono altre notizie. La prima concerne una manifestazione svoltasi a Parigi e a Lyon, organizzata dal movimento «Manif pour tous», nato lo scorso anno per contrastare «Mariage

pour tous», ovvero le rivendicazioni omosessuali in materia di famiglia e di adozione di figli. I manifestanti francesi ora protestano contro alcune disposizioni che riguardano l’insegnamento: volute dal governo per contrastare l’omofobia, in realtà predicano una «famigliafobia». Beghe fra destra e sinistra francesi? La smentita giunge dall’Italia dove sono stati distribuiti tre opuscoli scolastici con matrice («Educare alla diversità a scuola») e obiettivi (ce n’è per tutti!) uguali a quelli del governo francese. Un breve estratto spiega bene la materia trattata: «L’età avanzata, la tendenza all’autoritarismo, il grado di religiosità, di ideologia conservatrice, di rigidità mentale, costituiscono fattori importanti da tenere in considerazione nel delineare il ritratto di un individuo omofobo. Come appare evidente, maggiore risulta il grado di ignoranza, di conservatorismo politico e sociale, di cieca credenza nei precetti religiosi, maggiore sarà la probabilità che un in-


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Cultura e Spettacoli La lezione di Pontiggia Il grande scrittore e pensatore italiano non ha mai smesso di essere oggetto di studi

Attenti alla musica Per gli amanti del folk e degli anni Sessanta il più recente film dei fratelli Coen, Inside Llewys Devine, ha in serbo ben più di una gradevole sorpresa pagina 30

Stranissimi strumenti L’Auditorio di Lugano propone una serie di concerti che prevedono un ascolto piuttosto impegnativo, anche grazie alla stravaganza di musicisti e strumenti… pagina 30

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L’arte è un fiore libero Mostre Odilon Redon alla Fondation Beyeler di Basilea

Gianluigi Bellei «A nera, E bianca, I rossa, U verde, O blu: vocali». Così scriveva un giovanissimo Rimbaud dando un colore alle vocali. Un atto di coraggio, simbolico, o criptico se volete, tipico di fine Ottocento quando da una parte l’Impressionismo diventa arte per specialisti o tecnici e dall’altra il Simbolismo si profila come arte dell’élite colta. Odilon Redon è un po’ un piccolo maestro simbolista, solitario e appartato, che dal buio scopre la luce e il colore, dalla malattia la bellezza. Personaggio tutt’altro che stravagante, di sicuro non un bohémien, si fa fotografare sempre in pose ieratiche con la lunga barba curata, la cravatta, e non certo la trasgressiva Lavallière, i gemelli ai polsini. Nasce nel 1840 a Bordeaux, figlio di un proprietario terriero, Bertrand e della creola Marie-Odile. In realtà il suo nome è Bertrand Jean, ma tutti lo chiamano Odilon in onore alla madre. Fin da piccolo ha delle crisi epilettiche che lo costringono a una vita appartata. Nel 1862 si trasferisce a Parigi, inizia a frequentare artisti e ad andare al Louvre per copiare Leonardo. Nei vari salotti parigini conosce Henri Fantin-Latour, Mallarmé, Emile Verhaeren, Paul Verlaine. Incontra Edgar Degas alla galleria Ambroise Vollard dove nel 1898 espone. L’anno successivo partecipa a una collettiva del gruppo Nabis alla galleria

Durand-Ruel. Nel 1901 dipinge 17 grandi nature morte parietali nella sala da pranzo del castello del suo mecenate, il barone de Domecy a Burgdorf. Dal 1907, dopo un’asta all’Hôtel Drouot, ottiene la sicurezza finanziaria anche grazie al sostegno di una serie di collezionisti. Per uno di questi, Gustave Fayet, realizza nella biblioteca della sua abbazia di Fontfroide una serie di tempere di grande formato. Muore a Parigi nel 1916. La Fondation Beyeler di Basilea gli dedica una mostra, organizzata cronologicamente e per temi, comprendente un’ottantina fra dipinti, pastelli, litografie e carboncini. Si inizia con il primo periodo detto «nero». La malattia, la solitudine, lo sconforto, chissà, rendono cupi gli anni della giovinezza e Redon dipinge unicamente tramite il segno nero, intenso e opaco, del carboncino o quello maggiormente granuloso della litografia. Il suo mondo è fatto di silenzio e drammaticità come in Martyr ou Tête de martyr sur une coupe ou Saint Jean del 1877 dove il volto di San Giovanni Battista appare degno di una saga misteriosa e indecifrabile: una testa mozzata senza sangue, capelli, violenza. Christ del 1896 gioca sull’orrore della corona di spine, dannatamente taglienti, in contrasto col volto etereo e silente di un Cristo trasognato e irreale. I suoi incubi sembrano presenti e reali ma galleggiano in un vuoto indefinito come

un ricordo latente; per questo L’araignée souriante del 1881 è terribile e morbidamente paffuto. Gli occhi sordidi del ragno si accompagnano ai denti acuminati e le lunghe zampe sembrano arrivarti addosso mentre la peluria ammorbidisce l’inquietudine della visione. Dopo il matrimonio nel 1880 con Camille Falte, Redon trova la serenità e a seguito della nascita dei figli, soprattutto il secondo, Arï, nel 1889, scopre il colore, vivo, lucido, arioso, vibrante. Splendida Les Yeux clos, nelle tre versioni del 1889, 1890 e 1894, nella quale una eterea donna androgina con gli occhi chiusi sorge dal mare come una montagna. Probabilmente è un ritratto della moglie Camille, che rievoca il sogno e il mondo interiore: una figura imponente rappresentata in una forma simile a un marmo di Francesco Laurana. Con il ciclo di Ophélie, realizzato fra il 1900 e il 1905, i volti sfumano fino ad annientarsi in un’orgia di sensazioni nelle quali l’umano e il vegetale si confondono e la donna dormiente, galleggiante sull’acqua, si coniuga con un mondo onirico pieno di suggestione. In ogni caso è l’assenza che predomina nei suoi lavori; un’assenza di sentimenti forti e di contrasti oppure dell’uomo stesso, come in Papillons del 1910, dove l’aria, l’acqua e la terra gioiscono nella vibrazione della vita. Alfred Barr nel 1936 scrive di Redon come di un precursore dell’arte

astratta non geometrica e identifica nei suoi lavori scintille iridescenti e amorfe. Il simbolismo in ogni caso è sempre presente e in Le Cyclope del 1914 la bellezza eterea e pudica di Galatea nuda contrasta con l’occhio triste e nostalgico di un Polifemo che guarda intenerito dall’alto delle rocce. Ma forse è Le Char d’Apollon che riassume la sua visione onirica nella quale la luce trionfa sulle tenebre. Mentre l’Hommage à Léonard de Vinci, sempre del 1914, rende omaggio a uno dei suoi grandi maestri che da Rembrandt van Rijn passa per Eugène Delacroix e approda appunto a Leonardo da Vinci del quale ammira da sempre la tecnica dello sfumato. Qui, prendendo spunto dal dipinto La vergine, il bambino e Sant’Anna del Louvre, Redon immerge la figura femminile in un mondo incantato pieno di fascino e di vegetazione, terrestre e acquatica, fluttuante. In mostra vi sono tre versioni provenienti dal Musée d’Orsay, dal Clemens-Sels Museum Neuss e dall’Arp Museum Bahnhof Rolandsch; una più bella e palpitante dell’altra. A sessant’anni scopre il nudo femminile che dipinge nell’armonia di corpi candidi e misteriosi come in Pandora, pretesto per immaginare un Eden nel quale non c’è posto per l'impudicizia ma solo per la bellezza. Nel 1922, dopo la morte, viene pubblicata una sua raccolta di appunti,

sotto il titolo di A soi-même, nel quale sono racchiusi i pensieri e i diari della vita. I suoi intendimenti possono essere racchiusi in una frase rivelatrice: ho cercato di «far vivere umanamente degli esseri inverosimili secondo le leggi del verosimile e ponendo per quanto era possibile la logica del visibile al servizio dell’invisibile». La mostra basilese si avvale di una serie di prestiti internazionali di prestigio provenienti da collezioni private e da musei quali il Museum of Modern Art e il Metropolitan Museum of Art di New York, il Rijksmuseum di Amsterdam e il Musée d’Orsay che ha contribuito con ben nove capolavori. Bello l’allestimento, ottime luci, corposo il catalogo divulgativo comprendente alcuni saggi fra i quali quello del curatore Raphäel Bouvier che indaga sull’influenza di Redon sui Nabis, i Fauves, Matisse, Yves Klein, Picasso, Kandinsky, Mondrian, Kelly, Duchamp e il Surrealismo. Dove e quando

Odilon Redon.A cura di Raphäel Bouvier. Fondation Beyeler, Basilea. Tutti i giorni ore 10.00-18.00; mercoledì 10.00-20.00. Fino al 18 maggio. Catalogo edizioni Hatje Cantz Verlag, tedesco e inglese, Fr. 62.50 www.fondationbeyeler.ch


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 marzo 2014 • N. 10

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Cultura e Spettacoli

Follie per Giacometti

Un trittico di coreografie Danza Di recente

la prima al Teatro dell’Opera di Zurigo

Meridiani e paralleli Di recente

pubblicazione un libro dedicato al grande intellettuale italiano Giuseppe Pontiggia Giovanni Orelli Dice Giuseppe Pontiggia, ottimo pensatore e scrittore lombardo (e vicino al Ticino), in una citazione che lo ricorda nel bel libro a lui dedicato post mortem da Rossana Dedola, Giuseppe Pontiggia. La letteratura e le cose essenziali che ci riguardano, Avagliano editore, Roma, 2013 (e sono le prime parole del libro): La letteratura ha un senso se si confronta con le cose essenziali che ci riguardano. Tutto il resto è letteratura. «Et tout le reste est littérature» diceva, tempo fa, un francese… E alla fine di questo raccomandabile libro è ancora il caro (caro = che ci manca, latino qui caret) il caro Pontiggia che insiste: Il modo per evitare, parlando di uno scrittore scomparso, di cadere nell’agiografia, è quello di pensare non a lui, ma a noi. A quello che veramente di lui ci riguarda. Qui rispondo prima di tutto per me. Tutto quel che Pontiggia qui dice mi riguarda: l’ho conosciuto e molto stimato al Bagutta (Milano) nei suoi misuratissimi pareri su scrittori da premiare e (altro non «si poteva» fare) non premiare. Che cosa – per tornare alla domanda di cui sopra – che cosa di lui ci riguarda? Le cose sono tante, come potrà vedere chi, con pazienza (quella pazienza che ci vuole per scrittori «seri» e meno, molto meno, ahimè!, per gli scrittori, numerosissimi e di successo, dell’ «intrattenimento»). Ne faccio un riassuntivo (colpevole) elenco: quando invece dei riassuntini come i miei ci vorrebbero «dibattiti» su temi che premevano nella mente di Pontiggia. Spero proprio che l’attivo e intelligente neodirettore di «Cenobio», Pietro Montorfani, con suoi collaboratori, trovi la soluzione buona .

Pontiggia, per correttamente tornare a lui, è autore che onora, avendole studiate (non per far carriera) le «brevitas» di un Tacito, di un Cesare, di un Machiavelli… Egli, se parla, come ne parla, di un narratore del nostro tempo, facciamo Italo Svevo, si veda come ne parla. E qui cedo la parola a Rossana Dedola, pp. 25-26, che non tergiversa ma subito va all’essenziale del «genio visionario», Italo Svevo. Parole, eccoci, parole di Pontiggia: «A proposito dell’abilità di Svevo tipicamente, direi stilistica, nel manovrare e addirittura manipolare la sintassi, mi viene in mente un episodio importante della Coscienza di Zeno in cui il protagonista decide di confessare a sua moglie che la sta tradendo con un’altra donna». Non è come (per un cattolico) confessarlo a Dio (e qui non ce la faccio a citare il Pettazzoni perché la Dedola è purtroppo carente nella bibliografia): «…lì confessare i peccati è certamente corroborante, liberatorio». La confessione è molto più forte del peccato. Qualcuno dice: purtroppo mogli (e viceversa i mariti) non sono come il Dio dei preti: «Nel caso raccontato da Svevo, Zeno racconta alla moglie che la sta tradendo, ma lo fa con una chiarezza tale che la moglie non capisce di che cosa sta parlando e lo lascia ritirandosi nella sua stanza. Qui un narratore normale, nel senso di comune, avrebbe adottato questa frase: “Io glielo avevo detto, ma lei non aveva capito”; invece Svevo… dice… “Lei non aveva capito, ma io glielo avevo detto”. In questo modo rovescia la sintassi, rovescia un mondo, fa capire l’ipocrisia particolare (…)». I tre momenti fondamentali della nostra vita sono nascita copula e morte. Sulla nascita, nulla qui. Sulla copula, legittima o no, su un aspetto minimo del-

Marinella Polli

Lo scrittore italiano Giuseppe Pontiggia. (Marka)

la vicissitudine matrimoniale, la sua sostanza è infinitamente più vasta del cenno fatto qui sopra (e non per colpa di Svevo). E la morte? Giuseppe Pontiggia, rispondendo alla Dedola, non scappa via. Vado alla p. 27 dove il Pontiggia vede la morte confrontata con «l’orgoglio della mentalità intellettuale». Anche qui devo ridurre al massimo recando danno all’autore Pontiggia. Riparerà il lettore?: «La morte era piuttosto la rinuncia a un approfondimento ulteriore, vero, della vita, la banalità, la convenzionalità dei

giudizi, delle interpretazioni (…) quando non l’orgoglio della mediocrità intellettuale». Veda il lettore il resto. Ma per capire, per un esempio forse impertinente mio, il folle prezzo pagato recentemente per un Giacometti (il quale sarebbe il primo, suppongo, a chiudere, scandalizzato, gli occhi) penso che ignoranti pieni di denari, che conoscono, di nome, otto o dieci nomi di grandi artisti, li comprano per comperare. Come comprare azioni del Nilo o… senza ovviamente andare a vedere il Nilo.

Un intenso trittico di coreografie lungo l’arco di una serata che è stata una vera gioia per tutti gli amanti della danza, e per i numerosissimi fan del Ballett Zürich, da oltre un anno animato e diretto da Christian Spuck, sinora capace di ottenere degli ottimi risultati dai solisti e dagli altri membri della formazione. Lo si è visto di nuovo, come questi ballerini siano in grado di danzare sempre ad un notevole livello di tecnica e – soprattutto le ballerine – di espressività, le coreografie stilisticamente più diverse e difficili. Difficili come A-Life, in prima mondiale, ovvero Artificial life, dell’ex ballerino dello Stuttgarter Ballett e ora coreografo Douglas Lee, danzata in modo impeccabile da solisti e ensemble, perfetti nell’assecondarsi a vicenda in un continuo metamorfismo. Su musiche di Bjarnason & Frost, Childs, Kline e Henne (su nastro), Lee crea immagini coreografiche di prorompente vitalità, spesso anche inusuali, che si disegnano e si moltiplicano rapide nella suggestiva scenografia da lui creata. Il secondo balletto in programma è il celebre Wings of Wax (1997) di Jiri Kylian ispiratosi a Musée des Beaux Arts del poeta W. H. Auden e al dipinto di Pieter Bruegel il Vecchio La Caduta di Icaro, e su musiche (sempre su nastro) di H. I. F. Biber, John Cage, Philipp Glass e Bach. Esprimono qui la loro brillante versatilità soprattutto – siamo al cospetto di un balletto che richiede più espressività che forza fisica – la splendida, carismatica cinese Yen Han e Felipe Portugal, ma va ribadito che tutti i partecipanti sono padroni della scena, e ancora una volta soprattutto le ballerine. Il clou della serata è comunque l’atteso Forellenquintett. Creato da Martin Schläpfer, il coreografo sangallese e direttore del Balletto del Reno Düssel-

Cinema specchio dei tempi Filmselezione La Brianza esemplare di Virzì e i due Oscar annunciati

a Matthew McConaughey e Jared Leto

Fabio Fumagalli *** Il capitale umano, di Paolo Virzì, con Fabrizio Bentivoglio, Fabrizio Gifuni, Valeria Bruni Tedeschi, Matilde Gioli, Valeria Golino (Italia 2014)

Paolo Virzì ama i film corali, incollarsi alla sua girandola d’attori, osservarli assieme agli ambienti che li contengono; con un’intelligenza che ritroviamo raramente nel cinema di casa sua. Un cinema che si vuole sempre popolare, che diverte, ma senza rinunciare a riflettere; che fa satira ma non farsa, con una voglia di analisi sociale, d’indagine dei comportamenti che fa probabilmente di Il capitale umano il film italiano più acuto dell’anno. Quanto sopra pare il manifesto di quella che Paolo Virzì predilige da sempre, la matrice più nobile della commedia all’italiana frequentata dall’esordio di Ovosodo alle riuscite costanti di La prima cosa bella, Tutta la vita davanti, Caterina va in città. Eppure, anche se per nostro indubbio piacere questo suo ulteriore capitolo conserva certe risonanze dei Germi, Monicelli o Risi, il suo nuovo film è innovativo e maturo. In parte perché cavalca il successo del romanzo americano di Stephen Amidon ambientato nel Connecticut da cui è tratto; dall’altra, poiché sembra (quasi) abbandonare la com-

La locandina del film di Paolo Virzì.

media a favore di atmosfere più cupe da noir se non proprio da thriller, misurandosi fuori dagli umori un po’ regionalistici della satira centromeridionale cara al regista di Livorno. Così, questo mix di destini brianzoli che lega la viscida ambiguità della scalata sociale di un immobiliarista (un Fabrizio Bentivoglio straordinario) al finanziere cinico «mago della finanza tossica» (Fabrizio Gifuni, determinatissimo) spalanca nuovi orizzonti. Si fa specchio significativo del teatro spicciolo che sta a monte della crisi economica che conosciamo; e, nel profondo di una Brianza mai descritta con tanta baldanza, si trascina appresso le altre componenti del mosaico. Due mogli dalla interessante, contrapposta reazione psicologica e quindi esistenziale (Valeria Bruni Tedeschi e Valeria Golino); e, so-

prattutto, il coro degli adolescenti, sul quale finiscono per ripercuotersi con una indubbia partecipazione emotiva le conseguenze del meschino teatro fra avidità e valori fasulli che li sovrasta. Virzì rinchiude la struttura in capitoli, con continui ritorni nel tempo, prospettive diverse a seconda dei punti di vista. Una meccanica sperimentata, che ha pure qualche inciampo e ovvietà. Ma a rilanciare di continuo il film è la forza dell’attenzione psicologica concessa ad ognuno dei personaggi, la qualità della loro interpretazione, l’acume dello spaccato epocale. **(*) Dallas Buyers Club, di Jean-Marc Vallée, con Matthew McConaughey, Jared Leto, Jennifer Garner (Stati Uniti 2013)

È stato in pratica un pettegolezzo ad avviare il cammino che sta conducendo agli Oscar con ben sei nomination Dallas Buyers Club. Due protagonisti, Matthew McConaughey e Jared Leto, fatti dimagrire rispettivamente di 22 e 25 chili: al fine d’interpretare la lotta per la vita di due sieropositivi che si trasforma – nel clima particolare che ancora circondava negli Anni Ottanta chi si ammalava di AIDS – in una battaglia nei confronti delle lobby del potentato farmaceutico. Una lotta per la sopravvi-

venza, ma anche nei confronti di una morale che considerava il virus un’esclusiva per omosessuali e drogati. Il cowboy texano letteralmente posseduto da Matthew McConaughey è l’emblema di un machismo imperante nell’epoca di Reagan; omofobo, sbruffoneria ed eccessi di ogni genere, alcol, droga e sesso – ovviamente etero. Eppure, una volta superata l’incredulità nel vedersi vittima di una sentenza che considerava riservata ad altri, la storia vera di Ron finirà per condurlo a legarsi in modo sempre più commovente a un transessuale clamoroso come Rayon (interpretato con stupefacente verità da Jared Leto). L’interesse del film di Jean-Marc Vallée risiede soprattutto nella performance degli attori, nella maschera progressivamente consapevole e sofferente di McConaughey, in quella dolorosa, assai più che derisibile, di Leto. Ma il film ha il merito non indifferente di non essere mai pietistico, e nemmeno moralizzatore; di rimanere ruvido e pragmatico a perfetta immagine della progressione esistenziale vissuta dal suo protagonista. La dura, spesso crudele strategia che questi deve mettere in atto per aggirare il cinismo e i diktat di un sistema sanitario ancora inadeguato diventa allora una lotta per la libertà di scelta di un individuo nei confronti del proprio destino.

Alcuni ballerini impegnati nel Forellenquintett.

dorf-Duisburg, e sulla partitura di grande impatto emotivo di Schubert eseguita da musicisti della Philarmonia Zürich appena tacciono le note di Don’t be shy del gruppo rock The Libertines, il balletto è una sequenza di immagini coreografiche altamente plastiche, e anche divertenti. Gli straordinari ballerini danno forma a gestualità, stupore, conflitti, giochi ammiccanti, situazioni quotidiane, stati d’animo di un gruppo di trote nel loro mitico mondo sottomarino (scenografia di Keso Dekker nella quale fanno la loro apparizione anche un bel paio di maxi stivali di gomma), insomma a tutto quanto fa l’incontro e lo scontro di esseri viventi, in una caleidoscopica gamma di possibilità che solo la danza può illustrare. Si replica fino a giugno.


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Cultura e Spettacoli

La TV? Sta solo cambiando Personaggi televisivi Incontro con Maurizio Canetta, nuovo direttore della RSI a partire dal primo giugno Antonella Rainoldi La sua è la storia di una irresistibile ascesa verso la vetta della RSI, cominciata al TG di Zurigo nel 1980 e proseguita poi a Comano. Trentaquattro anni trascorsi in una basculante alternanza di retroscena e ribalta, di uffici e riflettori. Maurizio Canetta, cinquantasettenne, giornalista, uomo di prodotto, responsabile dell’informazione, dirigerà dal primo giugno un’azienda di più di mille persone, duecentoquaranta milioni di budget, televisione, radio e Internet. La dirigerà in un momento difficile. Il mondo della comunicazione è al centro di una trasformazione radicale. La tv è cambiata. La generalista ha ancora il potere di aggregare pubblico e fare ascolti, ma la convergenza tecnologica e la frammentazione dei consumi le attribuiscono contorni nuovi. Incontriamo Canetta nel suo ufficio a Comano: Tex alle pareti, mobilio vissuto. La soddisfazione gliela si legge in volto. Lo provochiamo subito. La scelta del successore di un uomo d’azienda illuminato come Dino Balestra non è stata semplicissima. Replica: «Secondo me una delle difficoltà della successione di Balestra è il peso dell’eredità. Per due fattori. Il primo è la lucidità di lettura delle situazioni del mondo dei media. Il secondo è la capacità di aver messo l’indipendenza della RSI, e dunque della SSR, al centro dei suoi valori e delle sue riflessioni. Io continuerò certamente su questi due punti». Quando gli facciamo notare che un giornalista come lui dovrà far pesare in modo diverso il ruolo che ha esercitato, risponde: «Giornalista si diventa e poi si resta per sempre. Non smetto di essere giornalista. Ma fare il direttore è un altro mestiere». Partiamo da qui. A richiesta, gli diamo del tu.

Maurizio Canetta, nuovo direttore della RSI. (Stefano Spinelli)

l’affetto. Ma non mi pare il caso di rinunciare a cederlo per questo. Anzi, è quasi più bello cederlo, se continua ad andare bene. Chi lo condurrà?

Maurizio, dovrai imparare a non ficcare il naso in casa d’altri.

Dovrò imparare a non mettere il naso in qualsiasi cosa, saltando chi se ne deve occupare. Il vero ruolo del direttore è quello di trasmettere le impressioni e i giudizi in termini corretti. D’altra parte il vantaggio è che tutte le persone di questa azienda sanno che quando parleranno con me, parleranno con uno che ha fatto.

Ci dobbiamo pensare. Sceglieremo. Ora non mi chiedere chi prenderà il mio posto al vertice dell’informazione. Perché?

Perché non lo so. Non sono io a decidere. Tu chi vedresti bene a dirigere l’informazione?

La domanda successiva? Quando hai capito che avresti voluto fare il giornalista?

Non più come prima. Non avrò più un mio programma.

In prima liceo. È stata la prima fulminazione giornalistica. Con un amico avevamo scritto un giornaletto, prima affisso all’albo e poi pubblicato.

Sei pronto per lo sforzo titanico?

Argomento affrontato?

Quale?

Avevamo preso un articolo di Umberto Eco, che era Il televisionario, dal Diario minimo, e avevamo applicato i suoi principi sull’analisi che lui faceva del telegiornale sui TG italiani e svizzeri. Avevamo registrato i TG e riportato quell’analisi lì.

Come direttore sarai esposto, ma non più alle telecamere.

Coltivare la discrezione. Da giugno è la fine: fine della ribalta.

E questo è un sacrificio, per uno che ha fatto il telegiornale, Falò, il Gioco del mondo, dibattiti, speciali, dirette di papi e di 11 settembre. Ce l’ho nel sangue, questa parte del lavoro. C’è un piacere nel dare qualcosa ma anche nel ricevere riscontri. Però si fanno delle scelte, nella vita. Scusa, che cosa intendi per riscontri?

Complimenti ma anche critiche. Accetti critiche, purché siano costruttive?

Università?

Università. Ma poi ho interrotto gli studi per cominciare a lavorare al TG di Zurigo. Alla RSI come ci entra il figlio di Alberto Canetta? Per diritto familiare?

No. A quell’epoca c’era la circolare Darani che impediva ai parenti stretti di essere assunti.

No, guarda. Io sostengo da sempre che l’espressione «critica costruttiva» sia un falso. La critica distrugge, infastidisce ma è molto utile. Se Antonella Rainoldi muove una critica al Gioco del mondo, e la critica è giustificata, io mi sento in errore e quindi in difficoltà. La costruzione comincia dopo.

Con quale astuzia hai eluso la circolare Darani?

Il Gioco del mondo chiuderà?

Rimpiango di non aver fatto la tesi di laurea, perché è comunque un banco di prova importante, di profondità. Ho iniziato dicendo: be’, intanto faccio gli esami e poi finisco. È andata diversamente. Quando uno ama questo mestiere lavora, se può, al centoventi percento. Ma comunque non è che se smetti gli studi universitari smetti di studiare.

No. Intanto uno spazio di incontri-interviste in tv è fondamentale. E poi la trasmissione è iniziata in aprile e fin da subito ha avuto riscontri positivi. È vista come una modalità in parte relativamente nuova di affrontare persone e personaggi. Questo è evidente. Ma il Gioco del mondo è Maurizio Canetta.

L’ho scritto io, l’ho elaborato io insieme a Paolo Taggi. Il titolo è made in Dino Balestra e quindi il timbro è suo. Naturalmente ci sono legato con il cuore, con

Non ho eluso proprio niente. Nel 1980 il TG di Zurigo era nazionale e non dipendeva dalla RSI. Sono stato assunto dalla direzione dei programmi di Berna. Sugli studi avrei però qualcosa da aggiungere. Prego.

No, infatti. E forse si dovrebbe uscire dall’equazione «titoli uguale capacità».

Quando ci sono i concorsi dico sempre: guardiamo bene le candidature; con-

tano le persone, non i titoli. Ci sono aziende che ignorano i titoli di studio. Fanno i test, vedono le persone e decidono: questo ha talento, questo non ha talento. Quindi dico che sì, si dovrebbe uscire dall’equazione «titoli uguale capacità», ma… Ma?

Se duecentocinquanta persone concorrono per un posto di giornalista, tu qualche paletto lo devi pur mettere. E d’altra parte non è nemmeno giusto che chi ha investito negli studi si veda superato da uno che manco ha finito il liceo. Però è anche vero che uno può giocare a calcio da accademia, aver fatto tutte le scuole del mondo, e poi esce Maradona dai campetti e tu prendi sempre Maradona. Ne sei proprio sicuro? Ci sono direttori che si comportano come certi allenatori di calcio: respingono i talentuosi per non essere oscurati.

Subito dopo la tua nomina a direttore RSI, tre leghisti membri del Consiglio della Corsi si sono dichiarati ufficialmente tuoi sponsor con un pezzo lodativo sul «Mattino della domenica». Come hai reagito?

Che domanda è? Le espressioni di stima non possono dare fastidio. No, ma qualcuno potrebbe pensare che non siano gratuite. Proprio come le protezioni.

Il problema è: se le espressioni di stima, o gli appoggi, sono richiesti, bisogna dare qualcosa in cambio. Se non ci sono richieste, non c’è baratto. Il peggio della vita di un’azienda, nel nostro mestiere, è il baratto. Ti chiedo e poi ti devo ridare. Appunto. Com’è andata con i leghisti?

zione ha subito un cambiamento radicale. Procedere sul terreno della cosiddetta cultura convergente non è un po’ come avventurarsi verso l’ignoto?

Sì. E questo da un lato è affascinante, ma dall’altro è pericoloso perché rischi di imboccare vie tortuose o vicoli ciechi. Quella del mondo della comunicazione è una realtà talmente magmatica che nulla è codificato e descritto. E quindi?

Quindi occorre capire le tendenze, i nuovi linguaggi. Io sarò alla guida di un transatlantico che è difficile da manovrare. Non puoi fare delle sterzate secche, devi girare la barra del timone piano piano. E soprattutto una volta che l’hai girata è difficile tornare indietro.

Sanvido, Besomi e Foletti hanno semplicemente espresso dei pareri sulla mia carriera e sulla mia modalità di fare, e va benissimo. L’hanno fatto in tanti da tutte le parti, da altre correnti, da altri partiti e gruppi di interesse. Mi sono arrivati i complimenti dal centro, da destra e da sinistra.

Fuor di metafora?

Su quale punto?

Prego.

Altri complimenti. Fino all’altro ieri il «Mattino della domenica» ti dava del giornalista «rosso».

Io credo di essere stato un buon presentatore di TG, di aver conquistato negli anni una credibilità e una forza. Però oggi c’è gente che presenta il TG perlomeno come me, se non meglio di me. E va benissimo. Che cosa posso aggiungere?

Sì, però a me c’è una cosa che risulta strana. Se la RSI è in mano ai rossi, come qualcuno dice e pensa, e se il cosiddetto quarto potere è fondamentale per orientare l’opinione pubblica, la domanda è: perché i partiti di sinistra e il PS hanno dei risultati elettorali normali?

Assunzioni discutibili. Alla RSI ne sono state fatte. Ammettilo.

Ti sembrano «normali»?

Beh, se non ammettiamo l’errore cominciamo male. Valutare i talenti è molto difficile. Un’azienda di oltre mille persone può certamente aver sottovalutato qualche ottimo giornalista e sbagliato qualche assunzione. Ma quale azienda ha il cento per cento di perfezione nei profili assunti?

Datti una risposta.

Come direttore io mi pongo nell’ottica secondo la quale più talenti emergono, più ci guadagno io. E quindi ricercare e coltivare talenti è obbligatorio. Per mia fortuna non sono affetto da invidia o dalla paura di essere superato. Ti faccio l’esempio del TG.

Torniamo a te. Si dice che tu sia un socialista con buone capacità atletiche. La sinistra è ancora la tua casa politica?

È la mia casa da uomo, da persona che pensa, che ha dei dubbi. Poi però faccio un mestiere che si chiama giornalista, e dentro questa azienda, cioè nel Servizio pubblico, c’è un valore che li supera tutti ed è l’indipendenza.

«Normali». Semplicemente perché alla RSI si fa soprattutto il proprio mestiere. Uhm. Non è bello svicolare.

Cosa ti devo dire? Questo è il mio pensiero. Alla RSI non si commettono errori?

L’ho già detto, di errori se ne fanno. Anche di tipo professionale. Produciamo ore e ore di programmi. L’errore si annida dietro ogni angolo. La perfezione non è umana. L’importante è che ci sia la consapevolezza di aver sempre fatto il proprio lavoro con coscienza e che se c’è un errore si intervenga. Parlo da direttore dell’informazione. Parla da direttore RSI. In un decennio il sistema dei mezzi di comunica-

Se noi decidiamo di togliere una parte da uno dei media per trasferirla sui nuovi media, dobbiamo essere pronti comunque a tornare indietro se vediamo sviluppi diversi. Non possiamo dunque aver messo tutto su una sola casella. Detto ciò dobbiamo chiarirci. Ogni tanto dicono: «la televisione sta morendo». Non è vero. Non sarà vero. Ma quanto sarà ridotto l’impatto della tv in nome del nuovo modo di consumare i programmi? Oggi sappiamo solo che la tv sarà più verticale e più segmentata.

Esatto. Quindi noi dobbiamo prepararci a questo. Dobbiamo analizzare e poi fare. Dobbiamo continuare a fornire quello che forniamo oggi ed essere pronti alle alternative. Credo però che comunque, dentro a tutto questo, resta la centralità della generalista, intesa come generalità o generalismo di proporre contenuti. A proposito di tv: la guardi o la fai soltanto?

Laguardo,laguardo.Guardoditutto,di più.Informazione,cultura,sport,telefilm. Ti piacciono le serie tv americane?

Tantissimo. Le serie americane oggi sono la lettura del mondo. Usi Twitter?

Ogni mattina mai senza caffè, «Gazzetta dello Sport» e Twitter. Vado anche in Facebook. Oggi uno non può stare alla guida della RSI se non conosce i meccanismi dei social media, no?


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Cultura e Spettacoli

L’omaggio dei Coen Musica Le suggestioni e le chimere della scena folk del Greenwich

Village newyorchese dei primi anni ’60 rivivono con i Coen

Oggetti misteriosi sul palco accanto all’orchestra Concerti Ottimo avvio per le «Stravaganze

Benedicta Froelich Non c’è dubbio che, negli ultimi mesi, diversi prodotti del mercato discografico abbiano mostrato una crescente attrazione verso «l’effetto nostalgia» legato alle atmosfere e al repertorio della scena folk-rock statunitense degli anni ’60; tanto che anche la cinematografia di grande richiamo sembra cedere alle lusinghe di quella magica e irripetibile stagione che vide il quartiere newyorchese del Greenwich Village assurgere a scenario della grande creatività musicale dell’epoca – una creatività fortemente intrisa dell’impegno sociale e politico che era figlio dei fermenti e delle rivoluzioni di un decennio davvero cruciale. Ecco quindi che l’attuale stagione cinematografica vede anche il celebre duo formato da Joel ed Ethan Coen tentare un’operazione di questo tipo: la quotata coppia di registi – che già aveva omaggiato la musica folk statunitense nel film Fratello Dove Sei, ambientato nell’America rurale della Grande Depressione – ha infatti dedicato il suo nuovo lavoro, A Proposito di Davis, alla libera rielaborazione della vicenda personale di una delle figure chiave che, all’inizio degli anni ’60, animarono la fiorente scena folk del Village. Anni in cui, nei locali intorno a Washington Square, si avvicendavano giovani musicisti del calibro di Bob Dylan, Harry Nilsson, Ramblin’ Jack Elliott, Tom Paxton e innumerevoli altri – tra cui l’illustre Dave Van Ronk, uno dei mentori di Dy-

lan, non a caso prescelto dai Coen come protagonista e ispiratore principale della loro opera (il titolo originale del film, Inside Llewyn Davis, è un riferimento al titolo dell’autobiografia Inside Dave Van Ronk). Con la sua aria trasognata, i capelli ribelli e la barba scura, il personaggio di Llewyn diventa così il perfetto alter ego di Dave – confrontato, fin dalla scena d’apertura del film, con il fantasma dell’inimmaginabile successo del collega Bob Dylan, pronto a portare la musica folk all’attenzione di pubblico e media. Ora che A Proposito di Davis è giunto anche nelle nostre sale, la colonna sonora lo ha immediatamente seguito nei negozi di dischi; e non poteva essere altrimenti, con un film in cui la musica ricopre un ruolo tanto fondamentale. La soundtrack è stata infatti realizzata con un’attenzione certosina all’autenticità, tanto che i Coen hanno voluto fossero gli stessi attori a cantare i vari brani, senza nessun tipo di doppiaggio; del resto, la presenza di un produttore come T-Bone Burnett (già curatore di Fratello, Dove Sei?) dimostra come l’intenzione fosse quella di rendere un serio e professionale omaggio ai numi del folk americano – rigorosamente acustico – dei primi anni ’60. Bisogna dire che l’album riesce appieno nel suo compito: senza voler essere un capolavoro, Inside Llewyn Davis cattura infatti lo spirito della musica popolare USA nella sua accezione più genuina e spontanea, tramite la scelta di una tracklist composta perlopiù da traditional del

Una scena da Inside Llewyn Davis (a sin. e in mezzo, O. Isaac e J. Timberlake).

genere. Inoltre, pur non potendo aspirare all’eccellenza di Van Ronk, l’attore protagonista Oscar Isaac è un buon performer, in grado di donarci efficaci versioni per voce e chitarra di classici immortali quali Hang Me, Oh Hang Me e The Death of Queen Jane. Interpretazioni che si rivelano particolarmente efficaci quando Isaac viene affiancato da professionisti quali i Punch Brothers (sulla delicata The Shoals of Herring) e Marcus Mumford, con cui condivide le efficaci armonie vocali di Fare Thee Well (Dink’s Song), pezzo che la tracklist offre anche in una versione eseguita dal solo Isaac. E se stupisce non poco trovare in quest’album anche un cantante pop di stampo commerciale come Justin Timberlake (che nel film interpreta il folksinger Jim Berkey), bisogna ammettere che l’esperimento funziona, poiché la vivacità del teen idol ben si presta al carattere del personaggio, e alle sue performance: particolarmente interessante, a questo riguardo, la versione di Five Hundred Miles che vede l’unione delle voci di Timberlake, dell’attrice Carey Mulligan (Jean nel film) e di Stark Sands in una prova che non ha nulla da invidiare a quella di una formazione folk professionista. Per il cultore del genere, risulta poi davvero preziosa la presenza di nomi storici quali John Cohen (in una versione di The Roving Gambler firmata dai The Down Hill Strugglers) e Nancy Blake, fautrice di una svagata The Storms Are on the Ocean. Naturalmente, l’album non poteva che chiudersi con i contributi dei due artisti esplicitamente omaggiati nel film – il «vero» Van Ronk, che appare con lo standard Green, Green Rocky Road, e l’immancabile Bob Dylan, che firma la breve ma intensa Farewell; il che contribuisce ulteriormente a rendere Inside Llewyn Davis un efficace tributo al mondo perduto di Washington Square. Un universo scomparso, che tuttavia avrebbe ancora molto da donare al pubblico, come il successo dello stesso film dei Coen dimostra; e che fa davvero piacere veder riportato in vita dalla cinematografia – anche a beneficio di chi, per motivi anagrafici, non lo ha mai conosciuto.

Top10 DVD & Blu Ray

Top10 Libri

Top10 CD

1. Cattivissimo Me 2

1. Clara Sánchez

1. Laura Pausini

Animazione 2. Planes

Animazione

Le cose che sai di me, Garzanti 2. Jeff Kinney

Diario di una schiappa Guai in arrivo, Il Castoro

3. Gravity

S. Bullock, G. Clooney /novità

Greatest Hits 2. Artisti Vari

Megahits 2014 3. Artisti Vari

3. Stephen King

Bravo Hits Vol. 84

Doctor Sleep, Sperling 4. Thor 2

C. Hemsworth, N. Portman /novità

4. Eugenio Finardi 4. J. P. Sloan

Fibrillante

English da zero, Mondadori 5. Corpi da reato

S. Bullock, M. McCarthy /novità

5. Ligabue 5. Michael Connelly

Mondovisione

Il quinto testimone, Piemme /novità 6. Prisoners

H. Jackman, J. Gyllenhaal /novità

6. Artisti Vari 6. Fabio Volo

The Dome Vol. 68

La strada verso casa, Mondadori 7. Runner Runner

J. Timberlake, B. Affleck /novità

7. Modà 7. Michele Serra

Gioia… non è mai abbastanza

Gli sdraiati, Feltrinelli /novità 8. Un piano perfetto

D. Kruger, D. Boon 9. Captain Phillips

T. Hanks, M. Martini /novità 10. Gli stagisti

V. Vaughn, O. Wilson /novità

8. Zucchero 8. Luis Sepulveda

Storia di una lumaca che scoprì l’importanza di essere lenta Guanda /novità 9. Khaled Hosseini

E l’eco rispose, Piemme 10. Isabel Allende

Il gioco di Ripper, Feltrinelli

Una rosa blanca 9. Antony/Battiato

Dal suo veloce volo 10. Eros Ramazzotti

Noi Due

strumentali» all’Auditorio

Matthias Ziegler posa accanto al suo flauto contrabbasso.

Zeno Gabaglio Tracciare bilanci a metà di un’opera è esercizio che espone sempre a pericoli, se non altro di parzialità. Malgrado questi rischi – e approfittando della settimana di pausa nel flusso di appuntamenti iniziati il 10 gennaio e che termineranno il 18 aprile – qualche considerazione a proposito dei Concerti dell’Auditorio 2014 è necessario spenderla.

Lo spettatore sa che il suo ascolto sarà molto più impegnativo, ma i biglietti vanno a ruba Mantenere – con gli anni che passano e i gusti che cambiano – una stagione sinfonica (ma non solo) che abbia un vero legante tematico è un punto di partenza già meritorio: tranne pochissime eccezioni tutti i concerti della stagione presentano infatti una declinazione sempre diversa del leitmotiv «Stravaganze strumentali». Per gli organizzatori sarebbe molto più semplice non darsi temi (o scegliersene di talmente ampi da giustificare quasi tutto), molto più agevole sarebbe anche il rapporto con le agenzie (per trovare solisti, direttori e programmi disponibili) e molto più facile l’ottenere il compiacimento del pubblico con scelte sempre ammiccanti. E invece no, non è così: chi entra negli studi RSI nei primi tre mesi dell’anno ormai sa che rischia di essere stupito, sa che gli verrà chiesta una disponibilità più attiva rispetto a quella (quasi nulla) che viene normalmente pretesa dagli ascoltatori sinfonici. Ma non per questo il pubblico diserta la sala: trovare un biglietto è anzi spesso impresa ardua. Poi si entra nel merito: «Stravaganze strumentali». Una gara a chi lo fa più strano? Un’inopportuna riscoperta del giustamente dimenticato? Una corte dei miracoli esibita sul palco? Dubbi legittimi, ma per fortuna sconfessati dai

fatti. Perché se la ricerca dell’insolito o dell’esotico spesso riserva sorprese indesiderate, nel caso dei Concerti dell’Auditorio si è finora potuto godere di scoperte veramente gustose. Perché i solisti che si sono sin qui avvicendati accanto all’Orchestra della Svizzera italiana (in un’occasione anche accanto a I Barocchisti) portavano in dote oltre al loro strumento particolare (stranissimo, a volte), oltre alle loro grandi capacità tecniche, oltre alla bellezza delle musiche scelte, anche un ulteriore contenuto di umanità e di arte. Perché nella maggior parte dei casi la persona è lo strumento e lo strumento è la persona, frutti gemelli di una scelta individuale e di una crescita simbiotica che non ha simili da nessun’altra parte. Quale altro pianista, oltre a Roberto Prosseda, ha scelto di convivere con un piano-pédalier, di capirne la tecnica, di studiarne la meccanica, di indagarne il repertorio, di portarne pionieristicamente attraverso il mondo i risultati? Nessuno. E per questo la sua particolarità, la sua specificità, la consapevolezza del suo porsi non ha uguali. A maggior ragione questo capita se le scelte sono ancora più radicali, e su tutti va citato il caso di Matthias Ziegler. Scopritore di flauti non ortodossi (il basso e il contrabbasso), estensore elettronico delle potenzialità dello strumento, propiziatore di composizioni scritte ad hoc e con sensibilità pienamente contemporanea: dove abbiamo mai visto un solista con computer, che manda in loop un proprio fraseggio, e un direttore e un’orchestra che vi si devono adeguare? Ma a colpire non è solo il nuovo dato tecnico, bensì la figura del musicista: finalmente artista e scopritore, che ricerca fuori dal seminato, a proprio rischio e pericolo. Non semplice ripetitore – ancorché virtuosissimo – di consuetudini tramandate nei secoli e difficilmente argomentabili nel senso di una cultura che si vuole viva e attuale. Ma questo è un altro gravoso tema: per ora limitiamo ad ascoltare e a farci stupire dai concerti che, sempre all’Auditorio, riprenderanno il prossimo 14 marzo.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 marzo 2014 • N. 10

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Cultura e Spettacoli Rubriche

In fin della fiera di Bruno Gambarotta I casi della vita I sessanta anni dall’inizio delle trasmissioni televisive in Italia (3 gennaio 1954) saranno celebrati, io credo, per tutto l’anno. Questa certezza mi deriva dal numero di inviti a partecipare come testimone a serate presso circoli privati, o strutture pubbliche, dedicate al tema. Accetto volentieri anche se mi sento come un reduce delle guerre puniche al quale fanno sempre la medesima domanda: «Com’era, visto da vicino, Scipione l’Africano?». A me piacerebbe invece raccontare com’erano negli anni ’60 i processi decisionali che portavano a disegnare il palinsesto dei programmi. A metà di quel decennio mi è capitato di vivere una singolare esperienza, passare in pochi mesi da un lavoro marginale svolto nell’estrema periferia dell’impero Rai a un incarico in direzione, nel cuore del sistema. Nel 1965 lavoravo da tre anni come cameraman presso il centro di produzione Rai di Torino, impegnato nelle riprese di programmi per ragazzi e di gare di sport minori; tutto il mio tempo libero, che non era poco, lo tra-

scorrevo come volontario presso il centro studi Piero Gobetti, una figura di intellettuale e di organizzatore di cultura che era (ed è tuttora) uno dei miei miti. Immaginatevi la mia gratificazione nel collaborare fianco a fianco con Ada Prospero, la vedova di Piero, con suo figlio Paolo e la nuora Carla. Quest’ultima mi fece una proposta, eravamo a settembre al rientro dalle vacanze: l’allora presidente del centro studi, il professor Franco Antonicelli, traslocava da un appartamento ad un altro, sempre di Torino, e cercava un volontario disposto a mettergli a posto la biblioteca: 40 mila libri! Ho trascorso un mese di felicità assoluta ad aprire scatole su scatole per scoprire i tesori che contenevano. Arrivò il giorno in cui dovevo consegnare al professore le chiavi di casa e spiegargli i criteri con i quali avevo ordinato i libri negli scaffali; quella mattina, sulla bacheca dei comunicati per i dipendenti della Rai, era apparso il bando per la partecipazione a un corso di formazione per programmisti, aperto anche ai di-

pendenti che fossero provvisti di un diploma di laurea, che a me mancava. Con uno spiraglio: si poteva tentare l’ammissione al corso allegando le prove di avere svolto una qualche attività culturale. Quando Antonicelli, dopo avere approvato il mio lavoro, mi chiese se c’era un modo per dirmi grazie, gli parlai del bando di concorso: poteva farmi due righe per certificare che gli avevo messo a posto la biblioteca? Lui non solo scrisse su di me un panegirico imbarazzante ma senza dirmelo, mi raccomandò presso Marziano Bernardi, vice direttore della Rai, suo amico. Eccomi ammesso all’esame, e, una volta superato, a frequentare un corso durante il quale morì Sergio Pugliese, direttore dei programmi. Il responsabile del mio corso fu chiamato, insieme ad altri, a prendere il posto di Pugliese e decise che avrei lavorato in direzione nella sua struttura. In quegli anni nelle varie sfaccettature del pensiero di sinistra ferveva un animato dibattito su quella che veniva chiamata «industria culturale». I libri dei sociologi

e filosofi francesi e tedeschi (la scuola di Francoforte) erano tradotti e divorati, le riviste (I quaderni piacentini) dedicavano ampio spazio al tema. Nella sinistra era opinione condivisa che la borghesia esercitasse il suo dominio sulla cultura attraverso un «grande disegno». Eccomi dunque sbarcato a Roma, nel cuore della più grande industria culturale italiana che operava ancora in regime monopolistico, pronto a cogliere tutti i segnali del grande disegno nel suo compiersi. Un caso fra tanti: ogni venerdì andava in onda uno spettacolo teatrale, la cosiddetta prosa, una cinquantina di commedie e tragedie all’anno; immaginavo una riunione nella quale venisse varato il progetto globale, tenuto conto di tutte le variabili: che so, quattro tragedie classiche, due Goldoni, due Shakespeare, uno Schiller, un Ibsen, tre Pirandello, ecc. ecc. Niente di tutto questo, ma un navigare a vista, giorno per giorno, modellandosi come un’ameba sulle dinamiche della società. Scelte fatte sovente per andare incontro

alle difficoltà di una compagnia teatrale che dalle riprese televisive avrebbe ricavato una boccata di ossigeno. Allora, nel mio rigore ideologico, ero deluso e scandalizzato; adesso penso che fosse un comportamento saggio, esempio della divaricazione fra principi teorici e comportamento pratico che ha permesso alla società italiana di stare a galla in tutti quegli anni. Un esempio: nel 1970 Federico Fellini accettò, dopo un lungo corteggiamento, di lavorare per la Rai e realizzò un film per la TV, I clowns, trasmesso la sera di Natale. Nel cast non c’era un ruolo adatto per Giulietta Masina e il grande maestro ci chiese se era possibile impegnarla altrove. Con il mio capo chiedemmo di incontrare la signora Masina, per manifestarle il nostro desiderio di coinvolgerla in una nostra produzione. Lei aveva in serbo il copione per un film, scritto per lei da Tullio Pinelli, Eleonora. Trasformato in uno sceneggiato in cinque puntate, interpretato da lei e da Giulio Brogi, fu un successo. Nato per caso.

dei concittadini per la matrigna fece esaltare Maria come una santa e da lì sarebbero sorte leggende poi confluite nel testo dei Grimm. Anche non tenendo conto delle innumerevoli parodie di queste fiabe, dal capovolgimento dei personaggi fino alle versioni pornografiche, anche non considerando le letture psicanalitiche pronte a mostrare simboli di sessualità ed Edipi per ogni dove, si comprende la censura del governo italiano. Che insegnamento potranno trarre i fanciulli da matrigne invidiose e assassine, da padri assenti, da parenti gelose per un mancato invito? Solo a ricordarle a memoria, sono evidenti le violenze alla radice e nello svolgimento delle fiabe: Cenerentola è schiavizzata dalle sorellastre e dalla matrigna; Hänsel e Gretel sono abbandonati nel bosco dai genitori che non sanno come sfamarli, per cadere tra le braccia della strega cannibale; e Pollicino? Abbandonato da madre (vera) e padre con sei fratelli più grandi il primo giorno con il

trucco dei sassolini, come Arianna con il filo, ritrova la strada di casa per tutti. Chissà che felicità, i genitori, penserete, chissà come erano già pentiti del loro folle gesto. Macché. Il giorno dopo, di nuovo tutti i bambini abbandonati nel bosco, e Pollicino aveva al posto dei sassi solo briciole, che gli uccelli si mangiarono. Perduti tutti e sette trovano una casa, ma poi scoprono che il padrone di casa è un Orco. Pollicino ruba le coroncine alle sette figlie dell’orco, le indossa con i suoi fratelli e l’orco nella notte sgozza le sue sette figliole. Poi insegue i bambini con gli stivali delle sette leghe, ma Pollicino uccide l’orco, gli ruba l’oro e gli stivali, così tornano a casa da quei delinquenti dei genitori. Dunque, genitori che abbandonano a morte sicura i figli, orchi, salvezza ottenuta solo con azioni cruente. Niente di educativo. Come Platone nella Repubblica censura Omero, e propone di espungere dai testi le scene più violente e quelle in cui gli eroi mostrano le loro

debolezze, così, mi pare corretto, il Governo vigila sui futuri cittadini. Niente esempi violenti e cattivi. Soddisfatta di questo mio pensare, apro i sei libretti pervenuti alle scuole italiane di ogni livello: non bisogna fare distinzioni di razza o religione, giusto. Prevenire il bullismo, soprattutto in rete. Giusto. Non si devono più leggere o raccontare le fiabe, ecco ci siamo. Perché presentano stereotipi di donne sottomesse e dedite ai lavori domestici e uomini che fanno della forza la loro principale virtù. Ohibò, le matrigne non sembravano tanto sottomesse. E il principe in calzamaglia azzurrina non aveva niente del macho, né del bullo. Un bacetto, la commozione per la bellezza in sonno, la felicità del risveglio. Non avevo capito niente. Gli orchi pasteggino, le streghe avvelenino, i genitori abbandonino i figli. L’importante è che per ogni principessa riportata in vita ci sia un maschio salvato da femmina, e se di mestiere è cuoco o cameriere, meglio.

didata (sconfitta) alle elezioni sarde, ha provocato un caos di commenti indignati. Una mattina si è lasciata sfuggire in tv che, insomma, si pentiva di essersi svegliata alle 7.30 per sentirsi fare delle domande tanto inutili: «Sacrifico il riposo per le cose importanti». La reazione scandalizzata degli editorialisti politici di mezza Italia: ma quando si sveglia questa Murgia? Possibile che le 7.30 sia un orario tanto impossibile per una persona impegnata nella politica? Ma siamo pazzi? Tutti increduli a ripetere la domanda di Cartesio: sogno o son desto? Un politico che si rispetti, insomma, dovrebbe stare in piedi 24 ore su 24, secondo alcuni politologi. L’efficientismo di Berlusconi deve aver fatto proseliti: il Cavaliere non manca mai occasione per far sapere che dorme tre ore e mezza per notte. Per lavorare? Non è detto. Comunque ammirevole, anche se qualche volta si rifà con una pennichella nei momenti e nei luoghi più impensati, come al Quirinale mentre parla Napoli-

tano. Una fotografia impietosa lo ritrae seduto su una poltroncina, con la testa rovesciata all’indietro e in totale catalessi, a Dallas durante l’inaugurazione del museo dedicato alla presidenza di George W. Bush. Fatto sta che il Berlusca è la dimostrazione vivente e plastica che se il sonno della ragione genera mostri (per certi assessori locali genera mostre, ma questo è un altro discorso), anche l’insonnia può produrre i suoi guai. Lo stesso vale per Mussolini che si vantava di stare a letto al massimo quattro ore. Il resto era ginnastica, parate e discorsi da Palazzo Venezia (molto meglio se si fosse concesso qualche sonnellino in più): alla domanda «sogno o son destro?» avrebbe saputo cosa rispondere. Il sonno, però, non conosce destra e sinistra. Ma pure in questo Matteo Renzi è un simpatizzante di Berlusconi, se ama convocare le riunioni di partito alle sei e mezza del mattino («ronfo o son lesto»). Forse se dormisse un po’ di più si risparmierebbe scivoloni clamo-

rosi, come quando ha scritto, nel suo libro, che «il Rinascimento si sviluppa a Firenze anche perché i trovatelli degli Innocenti ricevono la stessa educazione dei figli delle famiglie ricche». Figurarsi. Anche se Alessandro Magno e Napoleone dormivano non più di quattro ore, la qualità dei governanti non si misura da quanto (poco) dormono. E neanche quella degli scienziati, degli artisti e degli scrittori, tant’è che tra i grandi ronfatori della storia ci sono Leonardo da Vinci (12 ore minuto più minuto meno), Michelangelo (10), Einstein (11), Kafka (10). Il quale Kafka, però, con il solito spirito autopunitivo, in una lettera a Milena diceva che «quando non si dorme abbastanza si è più intelligenti». Del resto, come si fa a chiudere occhio se temi di risvegliarti scarafaggio? Ecco una buona domanda cui potrebbero rispondere, dopo il letargo, i ricercatori dell’Università del Surrey: quante ore di insonnia ci vogliono per finire come il povero Gregor Samsa?

Postille filosofiche di Maria Bettetini Ma l’orrore dove sta? Biancaneve dorme di un sonno infinito, chiusa nella teca di cristallo. I nani si alternano per vegliarla e portarle fiori freschi. È sempre bellissima, pelle come la neve, labbra del color del sangue. Clop clop clop, arriva un giovanotto in calzamaglia, un Roberto Bolle col giustacuore celeste e la piuma sul cappello. Togli la teca, bacia la ragazza. La bella si risveglia, oplà, un saluto frettoloso e via sul bianco cavallo col celeste principe, verso un castello di cui diverrà a breve regina e governante. Come l’altra, Aurora (Rosaspina nella versione dei fratelli Grimm): maledetta dalla fata cattiva non invitata al battesimo, la piccina a quindici anni si pungerà con un fuso e morirà, condanna trasformata dalle fate madrine in cento anni di sonno per tutti, fino al bacio di un principe. Il governo italiano ha deciso che questi sono racconti inadatti a un pubblico giovane. Con ragione, verrebbe da pensare, perché chi vada oltre le versioni edulcorate di Disney conosce bene

gli orrori narrati nelle fiabe. Nelle prime versioni cinquecentesche della bella «nel bosco addormentato» (questo il vero titolo poi usato da Perrault, La belle au bois dormant) non ci sono bacetti, ma stupri, subiti dalla bella anche durante il sonno, tanto che in una versione la ragazza sarà svegliata dal suo secondo figlio. Che dire poi di Biancaneve, la cui figura sarebbe il risultato della trasposizione orale della storia di Maria Sophia Margaretha Catharina von Erthal, nata nel 1725 a Lohr, vicino a Francoforte e figlia del principe locale, Philipp Christoph von Erthal. Il padre, due anni dopo essere rimasto vedovo, si risposò con Claudia Elisabeth von Reichenstein, che lo avrebbe dominato al punto da essere la sola ad avvantaggiarsi della posizione sociale di lui. Maria fu cacciata dal palazzo e si rifugiò lontano dalla città, dove si trovavano diverse miniere. I «nani» della storia sarebbero identificabili nei minatori, di bassa statura per malnutrizione. L’avversione

Voti d’aria di Paolo Di Stefano Sonno, sogni e letargo Un’ora di sonno migliora la vita. Bella scoperta. «Ozio de l’alme, oblio de’ mali», lo definiva Torquato Tasso, ma c’è voluta l’Università del Surrey, in Inghilterra, e un’équipe di studio (4–: si dovrebbe impegnare di più) per scoprire che dormire tanto fa molto meglio all’organismo che dormire poco. Vi ricordate il famoso «filosofo» televisivo Catalano di «Quelli della notte»? («È meglio essere giovani e belli, ricchi e in buona salute, piuttosto che essere vecchi, brutti, poveri e malati»). Comunque sia, il discrimine sono le sette ore. Prendete due gruppi di persone, ordinate ai primi di dormire sei ore e mezza e ai secondi di prolungare di un’ora. Non immaginereste mai qual è il gruppo che sta meglio dopo una settimana, quello che dimostra le migliori prestazioni fisiche e mentali. Il secondo? Bravi (6+), come avete fatto a indovinare? Gli altri avranno conseguenze negative sul metabolismo. Già, ma chi dorme non piglia pesci, dicevano gli antichi. È vero. Ma, punto primo: chi l’ha

detto che si debba per forza prendere pesci. Punto secondo: chi non dorme ne piglia ancora meno. Secondo gli studiosi inglesi, l’insonne perde la memoria, è instabile emotivamente, ha un calo di creatività, è più predisposto alle malattie. L’alternativa è: sogno o son pesto. Bella scoperta. Solo Baudelaire poteva definire il sonno «la sinistra avventura di tutte le sere». Leopardi era più saggio, quando sosteneva che il momento migliore della sua «infelicissima vita» era l’attimo del risveglio, perché ancora rimbambito dal torpore della notte non aveva ripreso il ricordo dei mali del vivere. Insomma, se seguissimo l’invito di Puccini e del suo principe Calaf («Nessun dorma, nessun dorma»), saremmo un’umanità distrutta, butterata, rachitica, infetta e soprattutto angosciata. Ogni regola, si sa, ha la sua eccezione: Rita Levi Montalcini, pur dormendo non più di due ore, è morta centenaria. A proposito di sonno. Una frase della povera Michela Murgia, scrittrice e can-


Uova nostrane da oltre 50 anni! «Le nostre galline sono allevate nel pieno rispetto della loro qualità di vita. Chi acquista le nostre uova, è sicuro di mangiare un prodotto genuino, di ottima qualità in termini di gusto e valori nutrizionali». Marco Consonni, titolare azienda «al Formicaio», Ponte Capriasca.

I nostri sapori. I Nostrani del Ticino sono la riscoperta dei sapori locali e provengono esclusivamente da aziende ticinesi che ne garantiscono la qualità, la freschezza e la genuinità. Essi rappresentano l’impegno concreto e coerente nel sostenere agricoltori, allevatori e produttori alimentari della nostra regione. dal 1933

T er il p o n i in Tic

icino


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 marzo 2014 • N. 10

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Idee e acquisti per la settimana

shopping Carne di vitello a chilometro zero Attualità Che ne direste di un bel piatto

di carne di vitello nostrano?

Stefania e Roberto Canonica con i loro vitelli di montagna. (Giovanni Barberis)

La gamma del vitello nostrano a Migros Ticino: Arrosto collo, Costolette, Fettine fesa, Rognonata, Filetto, Ossibuchi, Punta grill, Arrosto spalla, Spezzatino.

Ad un anno dall’introduzione nell’assortimento dei Nostrani del Ticino della carne di vitello di montagna (Vedill Nostràn da Montagna), abbiamo chiesto qualche impressione ai coniugi Stefania e Roberto Canonica, allevatori e titolari dell’azienda agricola La Lobbia di Leontica. «La collaborazione con Migros Ticino sta andando bene; questo ci rallegra e ci

sprona a continuare su questa strada», afferma Stefania. «Siamo inoltre particolarmente orgogliosi del fatto che la clientela Migros abbia dimostrato di saper apprezzare un prodotto di qualità, allevato con cura e attenzione ai suoi bisogni naturali sulle nostre montagne ticinesi». I vitelli di montagna vengono allevati in gruppi e sono liberi di uscire al-

l’aperto ogni volta che lo desiderano. La loro alimentazione è composta da latte intero dell’azienda stessa e fieno a volontà. La carne si distingue per il suo colore rosato, la fibra fine e la sua tenerezza. È facilmente digeribile in virtù dei pochi grassi che contiene. Grazie alle sue caratteristiche si presta perfettamente alla preparazione dei piatti più

delicati e saporiti. Voglia per esempio di un spezzatino di vitello con spinaci? Per 4 persone tagliare a pezzettini 200 g di carote e tritare 1 cipolla. Dimezzare 200 g di funghi shiitake. Scaldare poco olio in una brasiera e rosolare per 5 minuti 500 g di spezzatino di vitello nostrano. Condire con sale, pepe e paprica. Unire carote, funghi e ci-

polla e proseguire la cottura per qualche minuto. Bagnare con 2 dl di vino bianco e versare 6 dl di brodo. Stufare lo spezzatino con il coperchio a fuoco medio per ca. 1 ora. Unire dell’acqua se si asciuga troppo. Poco prima del termine di cottura aggiungere alla carne 200 g di spinaci freschi finché s’afflosciano. Condire a piacere con sale, pepe e servire subito.


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Idee e acquisti per la settimana

La forza dell’asparago Attualità Con l’arrivo della primavera si avvicinano anche le rassegne dedicate agli asparagi, un ortaggio tanto

apprezzato e ricercato. Gratinati, in insalata, nei risotti, nelle paste, oppure come contorno, i turioni sono un piatto ideale. Questa settimana alla Migros gli asparagi verdi sono in offerta speciale

Turione è il nome tecnico della parte commestibile dell’asparago, quello stelo che spunta dai terreni con una forza incredibile. I germogli (il termine asparago deriva dal greco aspharagos, ossia germoglio), si sviluppano dalla radice dell’asparago e riescono a farsi spazio tra sassi e altri ostacoli naturali del suolo. La velocità di crescita varia secondo le condizioni climatiche e le varietà, influendo sul sapore, che risulta più tenero e delicato con una maturazione rapida. Una volta sul piatto, gli asparagi sono gustosi e nutrienti, ricchi di fibre, vitamine e sali minerali. Molto poveri in calorie, sono anche noti perché provocano un tipico odore nelle urine dopo averne consumato anche piccole quantità. La particolarità è dovuta alla presenza dell’asparagina (un amminoacido) che nel corpo viene rapidamente trasformata in sostanze odorose. La differenza tra gli asparagi bianchi e quelli verdi? Si tratta della stessa varietà, l’unica differenza è che quelli bianchi vengono coperti con della terra e crescono dunque al buio. L’assenza di luce non permette all’ortaggio di eseguire la fotosintesi clorofilliana e quindi di sviluppare il colore verde. L’asparago è un ortaggio mediamente

esigente e la coltivazione è abbastanza semplice. La piantagione delle «mazze» ossia dell’apparato radicale, avviene in un campo arato e preferibilmente non compatto. Dopo due

anni, in cui si lascia tempo alla pianta di rinforzarsi, si può cominciare con il raccolto dei turioni. Vengono tagliati regolarmente e una pianta produce, per circa 15 anni, una decina di aspa-

ragi a stagione (alle nostre latitudini). A fine raccolta si ometterà di tagliare i germogli, che cresceranno e fioriranno, permettendo così alle radici di rigenerarsi e prepararsi per l’inverno.

Nella seguente stagione, con temperature sopra i dieci gradi centigradi, i turioni rispunteranno con forza dal terreno, dando avvio a una nuova annata. / Elia Stampanoni

Festa della Donna

Immancabili per la Festa della Donna: mimose, torta e tartelletta. (Flavia Leuenberger)

Sabato 8 marzo le donne celebrano la propria festa! Tutti gli uomini sono invitati a omaggiare la propria moglie, compagna, amica o collega con un bel mazzetto di mimose. Questo magnifico fiore dal colore giallo intenso, che ben rappresenta l’universo femminile grazie alla sua solarità, forza e bellezza, proviene principalmente dalla Riviera dei Fiori, nei dintorni di Sanremo, dove trova il clima ideale per la sua coltivazione. Ed è proprio da questa regione che provengono le mimose che potrete trovare in tutti i reparti fiori di Migros Ticino il prossimo fine settimana. Oltre all’immancabile fiore, anche i banchi pasticceria dei maggiori supermercati propon-

gono degli speciali dolcetti dedicati alle più golose: la torta mimosa e la tartelletta mimosa. La prima è fatta con morbido pan di spagna, crema alla vaniglia e panna; quindi decorata con panna, cocco e pan di spagna sbriciolato. La tartelletta è dal canto suo a base di pasta frolla e sapientemente decorata con crema alla vaniglia per richiamare i graziosi pallini della vera mimosa in fiore. Ricordiamo che la Festa della donna nasce nel 1909, negli Stati Uniti, per ricordare le lotte femminili in favore della parità dei sessi, del diritto di voto e del miglioramento delle condizioni di vita e lavorative. In Svizzera la giornata è commemorata a partire dal 1911.


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Idee e acquisti per la settimana

Quando il pesce è tutto sostenibile Novità Nelle pescherie Migros di Serfontana, S. Antonino, Lugano e Locarno la totalità del pesce offerto

proviene esclusivamente da fonti sostenibili. Recentemente sono state introdotte cinque nuove varietà di pesce particolarmente saporite Chi si rivolge alle pescherie Migros per i propri acquisti lo può fare con la coscienza tranquilla: tutti i prodotti ittici dell’assortimento provengono infatti da pesca o allevamenti responsabili che non danneggiano le risorse naturali del pianeta. In questo senso Migros è il primo commerciante al dettaglio svizzero ad offrire esclusivamente pesce sostenibile presso i propri banchi a servizio. Ma c’è di più: entro il 2020 tutti i prodotti ittici venduti dalla Migros dovranno provenire da fonti sostenibili. Per i pesci proposti ai banchi, Migros si rifà alle raccomandazioni del WWF, il quale stabilisce che i prodotti abbiano esclusivamente origini «consigliate» o «accettabili» e che non vi siano specie a rischio di estinzione. All’acquisto si raccomanda di prestare attenzione ai marchi sostenibili quali MSC (Marine Stewardship Council), ASC (Aquaculture Stewardship Council), Bio o Pesce Svizzero. Tra le novità sostenibili appena introdotte nelle quattro pescherie Migros del Cantone, citiamo: Filetto di brosmio: pesce selvatico dalle carni povere di grassi, molto tenere. Ottimo grigliato, in padella o al forno. Saporita alternativa al lupo di mare. Filetto di molva: la molva possiede una carne simile a quella del merluzzo. Molto diffusa nei paesi scandinavi, si gusta al meglio cotta in padella o fritta. Scorfano: pesce dalle carni morbide, sode e gustose, particolarmente apprezzato fritto o in zuppe di pesce. Cernia intera o filetto: molto consumata in Oriente, si distingue per la sua carne gustosa, compatta e ben digeribile. Eccellente in padella, al forno o grigliata.

Scorfano saporito

Leccia stella intera o filetto: carne dall’ottima consistenza e dal sapore delicato. Al forno, grigliata oppure cotta nella padella wok dà il meglio di sé.

Ricetta per 4 persone Ingredienti 1 pezzetto di zenzero (ca. 0.5 cm) 2 cucchiai di pasta di curry 200 g di yogurt denso nature 4 filetti di scorfano Sale 2 cucchiai d’olio di girasole 1 limetta

www.generazione-m.ch

Preparazione Grattugiare lo zenzero e metterlo in una ciotola larga. Unire la pasta di curry e lo yogurt e amalgamare bene il tutto. Aggiungere i filetti di scorfano, coprire e lasciare marinare per trenta minuti. Togliere i filetti dalla ciotola, aggiustare di sale e pepe e cuocerli sulla griglia o in padella per 2-3 minuti.

Parte di

Mario Cortazzo, responsabile della pescheria Migros di Serfontana, invita ad assaggiare i nuovi pesci provenienti da fonti sostenibili. (Flavia Leuenberger)

Generazione M è il nome del programma a favore della sostenibilità della Migros. La nostra promessa fino al 2020: soltanto pesce e frutti di mare da fonti sostenibili.

Lo sapevate che…? Atelier di pittura per bambini dal 6 all’8 marzo «Uccelli scappati» è il nome scherzoso di un saporito piatto molto diffuso anche in Ticino. Sono degli involtini di lonza di maiale o vitello, avvolti o ripieni di pancetta, profumati alla salvia e fatti saltare nel burro per una decina di minuti infilzati su un bastoncino o spiedo, oppure anche tenuti fermi da due stuzzichini. Chi ama i gustosi intingoli, li spruzza a metà cottura con del brodo o del vino bianco. Di origini antiche, il piatto richiama il modo di cottura usato per gli uccel-

lini. Era un onesto surrogato di cucina quando mancavano tordi e quaglie: se i cacciatori ritornavano dalla caccia a mani vuote, si decideva di supplire alla selvaggina “scappata” con un’alternativa a base di carne. Nell’aspetto potevano essere ritenuti simili a spiedini di uccellini. Un’altra tradizione dice invece che il nome corretto sia «uccelli scapati», questo per la loro somiglianza ad un uccello senza testa. Tra i più classici contorni degli uccelli scappati citiamo il purè di patate e i fagiolini.

Alcune opere su stoffa di Fosca Bacciarini sono esposte al reparto bambini Micasa.

Gli artisti in erba dai 6 agli 11 anni che desiderano dar libero sfogo alla propria creatività non possono perdere l’appuntamento con l’atelier di pittura organizzato appositamente per loro, da giovedì a sabato prossimi, presso il negozio Micasa del Centro S. Antonino. Con l’aiuto della giovane artista tici-

nese Fosca Bacciarini, i piccoli partecipanti potranno creare con le proprie mani delle vere opere d’arte da portare a casa. Gli orari sono i seguenti: giovedì e venerdì dalle ore 10.00 alle 18.00, sabato dalle 9.00 alle 17.00 (pausa dalle 12.00 alle 13.00). Massimo 60 minuti per bambino.

Ricordiamo che attualmente alcune opere su stoffa di Fosca Bacciarini sono esposte nello stesso negozio Micasa di S. Antonino, nel reparto bambini. La giovane artista è titolare di un atelier a Sementina dove crea dipinti su stoffa personalizzabili, oltre ad altre originali creazioni.


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Idee e acquisti per la settimana

L’addetto al processo produttivo Frédéric Fournier controlla una bottiglia durante il processo d’imbottigliamento. Le bottiglie in PET vengono soffiate ad aria compressa direttamente sul posto partendo da un pezzo di PET vergine. In laboratorio, invece, si sviluppano nuove bevande. Anche i consumatori partecipano alla scelta dei prodotti da introdurre in assortimento.

«Controlliamo ogni singola bottiglia» Yannick De Giorgi, ingegnere in scienza dei materiali, lavora per l’impresa Aproz, che risiede nell’omonima località vallesana. Insieme ai suoi colleghi, segue la produzione della tanto apprezzata limonata Jarimba, in modo che tutto proceda senza intoppi. In laboratorio, poi, due ingegneri alimentari sviluppano i nuovi gusti da proporre ai consumatori. Yannick De Giorgi, entrando in questa sala, si viene accolti da un rumore assordante. Questo frastuono è causato dall’imbottigliamento delle grandi bottiglie in PET?

No, gran parte del rumore è dovuto al soffiaggio delle bottiglie. Il PET vergine, viene prima riscaldato, poi trattato con aria a pressione e trasformato così in una bottiglia dalla forma desiderata. Ogni linea di bevande, infatti, vanta una sua forma specifica. E tutto questo causa così tanto rumore?

Sì, perché lavoriamo con un getto d’aria

che spazia dai 20 ai 30 bar. Si tratta di un’operazione rapidissima. Infatti, produciamo ben 25’000 bottiglie all’ora, raggiungendo persino picchi di 28’000. Le bottiglie in PET spesso sono prese di mira, perché considerate poco ecologiche. In che modo si impegna Aproz a favore dell’ambiente?

Cerchiamo di ottimizzare costantemente la nostra produzione, riducendo al minimo l’impiego di PET, optando per bottiglie più leggere e ricorrendo in parte a PET riciclato. Le bottiglie devono comunque proporre una certa resistenza. Il PET è riciclabile al 100 percento. Inoltre, il 90% della merce viene trasportata su rotaie. Qui possiamo osservare il suo collega Frédéric Fournier mentre estrae delle prove. Cosa analizza di preciso?

Eseguiamo tre test per ogni ciclo di produzione: uno all’inizio, uno a metà produzione e uno una volta concluso il ciclo produttivo. Mettiamo da parte queste prove come campioni. In seguito, in caso

Lo specialista di imballaggi Yannick De Giorgi mette a confronto una bottiglia del prodotto Jarimba finita e un pezzo di PET vergine che aspetta di essere trasformato in una bottiglia.

Illustrazioni Alex Buschor, Marvin Zilm

Squisiti bocconcini per l’aperitivo e snack a base di carne, golosi gelati e rinfrescanti limonate frizzanti. L’industria Migros propone tutto l’indispensabile per una festa con i fiocchi. Le imprese Aproz Sources Minérales SA, Jowa SA, Micarna SA e Midor SA ci permettono di dare un’occhiata dietro le quinte dei loro reparti di produzione e sviluppo e scoprire così interessanti dettagli sui prodotti più amati

di necessità, possiamo verificare se vi sono stati errori. Inoltre, controlliamo il contenuto delle bottiglie più volte durante ogni ciclo produttivo. In questo modo, ogni singola bottiglia viene sottoposta a una verifica automatica. E in cosa consistono i test eseguiti direttamente sul nastro di produzione?

Il collega controlla il contenuto di acido e di CO2, nonché il grado di dolcezza della bevanda Jarimba Citron. Questo avviene in parte tramite il valore pH e in parte tramite il refrattometro, lo stesso utilizzato per determinare il tenore zuccherino dell’uva. Nel reparto di sviluppo dei prodotti abbiamo visto tante bottiglie colorate. Di che cosa si occupano?

Offerte della settimana Al centro del giornale trovate un flyer con le attuali offerte relative ai prodotti di marca Migros.

In quel reparto si creano tanti nuovi gusti. Al momento non posso svelarvi di più. Quanto tempo ci vuole per sviluppare un nuovo gusto?

Dipende, a volte bastano pochi mesi per creare un nuovo aroma.

Prova e vota APROZ

I creaparty

L’industria Migros produce in Svizzera numerosi prodotti molto apprezzati, tra cui troviamo bevande rinfrescanti, gelati, snack a base di carne e bocconcini per l’aperitivo delle imprese Aproz, Midor, Micarna e Jowa.

50% su tutte le bevande Jarimba in conf. da 6 da 1,5 l dal 4 al 10.3 • Himbo Fr. 4.95 invece di 9.90 • Citron Fr. 4.35 invece di 8.70 • Arancia-Mango Fr. 4.95 invece di 9.90

Quale gusto preferisci, mango & ananas oppure menta & fiori di sambuco, in breve Hugo? Prova i nuovi mitici Ice Tea, in vendita nelle filiali Migros e decidi con noi quale varietà conquisterà un posto fisso nel nostro assortimento di tè freddo. Vota il tuo gusto preferito e vinci su www.migros.ch/avsb


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Idee e acquisti per la settimana

«I nostri bocconcini per l’aperitivo richiedono grande maestria» Lars Nowak, tecnologo alimentare, lavora come assistente alla produzione presso la Jowa SA di Gränichen, nel Canton Argovia. Grazie al suo lavoro, durante la cottura, le specialità Happy Hour conservano tutta la loro bontà. Lars Nowak, le tortine gourmet proposte dalla linea di surgelati Happy Hour sono considerate una particolarità. Che cosa le rende così speciali?

Contrariamente ai cornetti al prosciutto, per esempio, vengono precotte. Sono disponibili in tre varietà diverse, che però è possibile cuocere tutte contemporaneamente… Esatto, per tutte le varietà - quiche, spinaci e formaggio - la temperatura di cottura è identica: a 220 °C il calore superiore, 250 °C quello inferiore. Le tortine, però, si distinguono nella quantità del ripieno. Infatti, alcuni tipi di ripieno, nel forno crescono di più rispetto ad altri. Questo è un particolare che dobbiamo osservare al momento della farcitura.

Le fettine Pork Waves vengono ricavate da pezzi di prosciutto crudo con l’aiuto di una lama speciale.

Torsten Raith assaggia le Pork Waves appena tagliate, mentre Benjamin Chollet aspetta impaziente il suo giudizio.

Quante tortine gourmet alla volta potete cuocere qui?

Effettuiamo due turni di cottura al giorno. Oggi, per esempio, cuociamo 14 256 confezioni da 12 tortine; ciò corrisponde a un totale di 171 072 tortine gourmet.

Dopo la cottura, si procede immediatamente alla surgelazione delle tortine?

No, non subito. Prima devono raffreddarsi. È come quando si cuoce una torta a casa. Una quiche non va tolta immediatamente dallo stampo. Solo una volta tiepide, le tortine vengono surgelate a –30 °C per mezz’ora. A casa, quindi, basta terminare la cottura delle tortine gourmet infornandole per soli 23 minuti.

Sì, si possono gustare dopo una breve cottura. A casa, una volta infornate, si scongelano, e riscaldandosi assumono un leggero colore dorato. Molti clienti, infatti, vogliono prodotti pronti subito e quindi con tempi di cottura ridotti. Quali sono i bocconcini per l’aperitivo più amati?

Senza dubbio i cornetti al prosciutto, seguiti a ruota dalle gustose sfogliatine per l’aperitivo. Nell’ambito dei bocconcini per l’aperitivo si nota una tendenza particolare?

Proviamo sempre cose nuove. Attualmente, per esempio, le salse piccanti messicane oppure il ripieno mediterraneo al ratatouille spiccano per tendenza.

MICARNA

20% 20 su diversi snack del reparto salumeria dal 4 al 10.3 • Pork Waves 81 g Fr. 3.90 invece di 4.90 • Chicken Chips 72 g Fr. 3.90 invece di 4.90 • Beef Chips 80 g Fr. 3.90 invece di 4.90

«La superficie ondulata si ottiene grazie a lame speciali» Torsten Raith è macellaio e tecnico della carne per passione. Lavora alla Micarna SA di Courtepin FR, dove insieme al suo collega Benjamin Chollet sviluppa tra l’altro innovativi snack a base di carne. Gli ultimi arrivati sono le squisite Pork Waves. Thorsten Raith, la Migros propone una grande scelta di snack a base di carne. Gran parte di loro sono definite chips. Non però le Pork Waves. Cosa hanno di diverso?

Le Pork Waves spiccano per la loro particolare superficie ondulata. In questo caso, quindi, pur trattandosi di uno snack a base di carne, la parola chips non sa-

rebbe del tutto esatta. Da cosa si ricavano le Pork Waves?

Da pregiato prosciutto crudo. Ciò significa che, prima della consegna, il prosciutto è stato sottoposto a una lunga stagionatura?

In una prima fase, la carne viene salata. Prima che il sale raggiunga il cuore del prosciutto, trascorrono 4-5 settimane. Dopodiché, il prosciutto viene essiccato e pressato per quattro mesi. Ci viene consegnato in pezzi grandi, dai quali ricaviamo delle striscioline spesse quanto un pollice. Come si ottiene la particolare superficie ondulata?

Si ottiene grazie a speciali lame ondulate,

simili a quelle dei coltelli da cucina utilizzati per tagliare le verdure nel settore gastronomico. Della parte tecnica se n’è occupato il mio collega Benjamin Chollet. Qual è la più grande differenza rispetto agli altri snack a base di carne?

Le chips sono disponibili in diverse varietà. Alcune vengono essiccate solo leggermente, altre invece persino affumicate, per conferire loro un gusto particolarmente accentuato. Quanto tempo ci vuole per sviluppare nuovi prodotti?

Prima che il prodotto finito giunga sugli scaffali, ci vuole circa un anno.

L’addetto al processo produttivo Hakan Topuzoglu toglie dal forno le tortine gourmet appena cotte.

Ogni confezione contiene 4 pezzi per ognuna delle seguenti varietà: formaggio/pancetta, spinaci e formaggio. JOWA

20% 20 su tutti i prodotti surgelati Happy Hour dal 4 al 10.3 • Sfogliatine per l’aperitivo 420 g Fr. 3.85 invece di 4.85 • Cornetti al prosciutto 12 pezzi, 500g Fr. 4.95 invece di 6.20 • Baguette all’aglio 240 g Fr. 2.60 invece di 3.25 • Tortine gourmet 280 g Fr. 3.70 invece di 4.65



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«Mai mettere il gelato nel microonde» Per molti di noi, il gelato fa parte dei ricordi più belli legati all’infanzia. Una passione nata da bambini, quindi, che ci accompagna per tutta la vita. Alla Midor SA di Meilen, sul lago di Zurigo, il food designer e cioccolatiere Daniel Tännler crea nuovi irresistibili gelati.

tuirne un’altra, deve poter raggiungere gli stessi risultati di vendita; ma come ben sappiamo, ciò vale per tutti i prodotti. Nel reparto surgelati, non c’è posto sufficiente per tutti i gusti di gelato. Spesso, quindi, le varietà passate di moda, devono cedere il loro posto alle novità.

Daniel Tännler, in passato ha lavorato come cioccolatiere, oggi invece sviluppa nuovi gelati. Le piacciono ancora i dolci?

L’assortimento Migros non propone varietà particolarmente esotiche...

Prima mangiavo fino a tre tavolette di cioccolato al giorno, e confesso che ne vado matto tuttora. In compenso consumo molto meno gelato, anche se mi piace tantissimo. Per produrre un buon gelato, bisogna amarlo. Quali sono i suoi favoriti in assoluto?

Prediligo i gelati profumati al liquore. Alla ricerca di nuove bontà per la linea Crème d’or, eseguiamo esperimenti davvero interessanti. Quali caratteristiche deve presentare una nuova varietà di gelato, per poter essere venduta alla Migros?

Il gelato dev’essere in sintonia con la stagione, in cui viene gustato. E se si tratta di una varietà creata per sosti-

I gusti più amati sono e rimangono la vaniglia, il cioccolato, la fragola e la stracciatella. Per invogliare gli amanti del gelato ad acquistare una nuova varietà, non bisogna proporre sapori troppo esotici. Un esempio: propongo un sorbetto a base di un frutto sconosciuto alle nostre latitudini. Le probabilità che qualcuno lo acquisti, sono ridotte. Se invece prendo lo stesso frutto e lo trasformo in una salsa e la propongo insieme al gelato alla vaniglia, incuriosisco il cliente perché conosce già e apprezza il gusto base della vaniglia. Qual è il metodo più semplice per ammorbidire il gelato?

Basta toglierlo dal congelatore 10 minuti prima di servirlo. Mai metterlo nel microonde! Perché si scioglierebbe dall’interno. / Claudia Schmidt

Il food designer Daniel Tännler porziona il gelato. L’ex-cioccolatiere adora tuttora sperimentare con il cacao e il cioccolato fondente.

20% su tutti i gelati M-Classic nella vaschetta da 2000 ml dal 4 al 10.3 • Vaniglia 2000 ml Fr. 4.70 invece di 5.90 • Stracciatella 2000 ml Fr. 5.50 invece di 6.90 • Vaniglia/mocca 2000 ml Fr. 6.– invece di 7.50 • Vaniglia/pistacchio/cacao/noce 2000 ml Fr. 6.– invece di 7.50


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Idee e acquisti per la settimana

Inizio di giornata «fruttato» Gli yogurt Passion, ricchi di frutta e dalla consistenza cremosa, sono prodotti utilizzando poco zucchero. Diverse combinazioni di gusto interessanti assicurano un piacere variato Non solo alle donne piace lo yogurt. Anche molti uomini apprezzano già al mattino le fruttate combinazioni di gusto di questo popolare latticino. Non per niente in Svizzera il consumo medio pro-capite si attesta sui 18 kg di yogurt all’anno. A chi ama diversità e varietà, Migros propone la linea di yogurt Passion. Con grande passione si sono migliorate le ricette dei differenti gusti, rendendo gli yogurt ancora più cremosi e riducendo nel contempo il contenuto di zucchero fin anche del 5 per cento. Ora con più frutta

Nelle varianti all’arancia sanguigna e all’albicocca, il contenuto di frutta è stato incrementato, portandolo al 10 per cento, in quella ai frutti di bosco al 9,9. Tale percentuale è composta da una massa di frutta di prima qualità con grandi pezzi di frutta. Anche gli appassionati di yogurt che desiderano ridurre il consumo di grassi non resteranno a mani vuote. Per loro esiste infatti la varietà mango/frutto della passione con lo 0,1 per cento di grassi. Consiglio: se arrivano visite improvvise e si ha in casa solo yogurt, si può guadagnare punti preparando un rinfrescante shake allo yogurt e latte. È sufficiente frullare uno yogurt Passion al mango con latte e un mango fresco. Il successo è assicurato! / Anette Wolffram Eugster; foto: Max de Vree; styling Mirjam Käser

In vendita nelle maggiori filiali Migros.

L’industria Migros produce numerosi prodotti molto apprezzati, tra cui gli yogurt Passion.

Passion yogurt lampone/vaniglia 180 g Fr. –.90

C’è solo l’imbarazzo della scelta con una bella scorta di cremosi yogurt Passion.

Passion yogurt albicocca 180 g Fr. –.90

Passion yogurt mango/frutto della passione 0,1% grassi 180 g Fr. –.90

Passion yogurt mango 180 g Fr. –.90


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Idee e acquisti per la settimana

L’acido folico va integrato nell’alimentazione quotidiana!

Il Prof. Dott. Kurt Baerlocher è membro del foro consultivo della fondazione «Offensiva Acido Folico Svizzera».

Kurt Baerlocher, lei è membro del foro consultivo della fondazione «Offensiva Acido Folico Svizzera». Qual è l’obiettivo principale di questa fondazione?

In Svizzera si è persa l’occasione più pratica e semplice per rifornire il corpo umano di acido folico, ovvero quella di arricchire la farina con questa preziosa vitamina. Vari studi condotti in 75 Paesi, in cui l'aggiunta di acido folico agli alimenti è obbligatoria, hanno dimostrato che un'assunzione ottimale o addirittura superiore alla dose consigliata di questa vitamina comporta numerosi vantaggi per la salute. Con questa offensiva privata, la nostra fondazione mira a informare la popolazione svizzera sulla funzione vitale dell’acido folico. Qual è la sua funzione all’interno del foro consultivo scientifico?

L’acido folico sostiene numerose funzioni vitali del corpo, e questo a qualsiasi età.

Presiedo il foro consultivo composto da medici e biochimici. Il nostro compito è quello di informare il consiglio della fondazione sulle ultime nozioni acquisite in merito al folato/acido folico e di verificare la scientificità delle informazioni e pubblicazioni destinate al pubblico esterno. Inoltre, rispondo a tutte le domande in ambito medico trasmesse tramite internet.

«I fumatori necessitano di una maggiore quantità di acido folico»

Qual è il fabbisogno giornaliero di acido folico consigliato per un adulto?

Per rimanere in forma fino in età avanzata, è importante seguire un’alimentazione corretta. In particolar modo, è importante prestare attenzione a un’assunzione sufficiente di acido folico

Le donne in gravidanza o che desiderano avere un figlio ne sono a conoscenza: prima e durante la gravidanza, l’acido folico è di vitale importanza per uno sviluppo sano del feto. Spesso si dimentica, però, che l’acido folico favorisce la salute di uomini e donne di qualsiasi età. Questa

vitamina, indispensabile per la divisione cellulare nel corpo umano, svolge una funzione importante in qualsiasi processo di crescita fisica. Infatti, stimola anche la formazione dei globuli rossi. Il folato, la forma più naturale di questa vitamina presente negli alimenti, è contenuta per esem-

pio negli spinaci, nel formentino, nei fagioli, nel fegato e nei cereali integrali, e in particolar modo nei germi di frumento. Oltre ai folati alimentari naturali, esistono anche acidi folici sintetici, che spesso vengono aggiunti agli alimenti oppure proposti sotto forma di preparato. Il corpo è in

grado di assorbire ben il 50% del folato assunto, nel caso dell‘acido folico sintetico ingerito come preparato questa percentuale può avvicinarsi persino al 100%. Gran parte dei cracker Blévita sono ricchi di acido folico e rappresentano, perciò, una preziosa fonte di fibre alimentari.

Dal 2005, la Migros è il partner principale della fondazione «Offensiva Acido Folico Svizzera» e vanta nel suo assortimento una ricca scelta di prodotti arricchiti con questa preziosa vitamina. / Anna Bürgin www.folsaeure.ch

Illustrazione Getty Images

La vitamina per la vita

Le raccomandazioni più recenti parlano di un fabbisogno giornaliero di 300 microgrammi di folato, risp. di 150 microgrammi di acido folico. In situazioni particolari, il fabbisogno può anche essere superiore. Ad esempio, per i fumatori, per chi consuma alcool oppure in caso di assunzione di determinati medicinali. Il fabbisogno aumenta anche per le donne in gravidanza o che desiderano avere un bambino. È sufficiente seguire un’alimentazione sana per coprire il fabbisogno giornaliero?

Un’alimentazione equilibrata può bastare per chi mangia tanta verdura e molta insalata, il tutto preparato in modo delicato senza dispersione di vitamine. 300 microgrammi di folato corrispondono a 85 grammi di germi di frumento, 133 grammi di fagioli bianchi oppure 370 grammi di broccoli. In caso di dubbio, i prodotti arricchiti di acido folico rappresentano una valida alternativa. Quali effetti ha sul nostro corpo l'assunzione regolare della dose giornaliera consigliata?

Blévita al gruyère 6 porzioni, 228 g Fr. 3.60

Blévita al timo e sale marino 6 porzioni, 228 g Fr. 3.55

Blévita ai 5 cereali 6 porzioni, 228 g Fr. 3.35

Blévita al timo e sale marino 295 g Fr. 3.50

Blévita al sesamo 6 porzioni, 228 g Fr. 3.35

Blévita ai semi di lino 6 porzioni, 228 g Fr. 3.35

In caso di malattie, quali demenza senile, morbo di Alzheimer o depressioni, l’assunzione di acido folico svolge un effetto positivo. Negli uomini, può persino comportare un netto miglioramento della qualità del liquido seminale. Inoltre, il folato favorisce una corretta emopoiesi e il funzionamento corretto del sistema immunitario e riduce il fastidioso senso di spossatezza, senza dimenticare il suo ruolo importante nello sviluppo del tubo neurale dei feti. / Intervista Anna Bürgin


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Galletto speziato Svizzera, in conf. da 2 pezzi, per 100 g

Salame del contadino, Citterio prodotto in Italia, al banco a servizio, per 100 g

Trio di Tomme Val d’Arve in conf. da 3 x 100 g

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PESCE, CARNE E POLLAME Prosciutto cotto Puccini Rapelli, aha!, Svizzera, per 100 g 20x 3.70 20x PUNTI Bratwurst di maiale in conf. da 4, Svizzera, 4 x 110 g 4.40 invece di 7.40 40% Diversi snack di salumeria, per es. Beef Chips, Svizzera, 80 g 3.90 invece di 4.90 20% Carne secca dei Grigioni affettata, Svizzera, 123 g 7.90 invece di 9.90 20% Fettine di manzo à la minute, TerraSuisse, per 100 g 3.35 invece di 4.80 30% Mini filetti di pollo M-Classic, Germania / Francia / Ungheria, per 100 g 2.15 invece di 2.70 20% Salmone affumicato, bio, d’allevamento, Scozia, 260 g 14.50 invece di 20.80 30%

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PANE E LATTICINI Latte intero UHT Valflora, 12 x 1 l 12.90 invece di 16.20 20% Tutti gli yogurt Farmer, per es. al cioccolato, 225 g 1.55 invece di 1.95 20% Tutti gli yogurt Passion, per es. alle arance sanguigne, 180 g –.70 invece di –.90 20% Le Gruyère piccante, pezzo da ca. 450 g, per 100 g 1.25 invece di 1.85 30% Formaggio alla panna dei Grigioni Heidi, per 100 g 1.95 invece di 2.45 20% Tutto l’assortimento alimentare aha!, per es. mozzarella, 20x 150 g 2.40 20x PUNTI * Grana Padano grattugiato in conf. da 3, 3 x 120 g 6.– invece di 7.50 20% Tutto l’assortimento alimentare aha!, per es. latte privo di 20x lattosio, 1 l 1.95 20x PUNTI * Tête de Moine, a libero servizio, per 100 g 1.45 invece di 2.10 30% Trio di Tomme Val d’Arve, in conf. da 3 x 100 g 4.05 invece di 5.85 30%

FIORI E PIANTE Narcisi, il mazzo da 10 5.90 invece di 6.90 Bouquet di rose e mimose Gloria, il mazzo 17.90 Phalaenopsis 2 steli, in vaso da 15 cm, la pianta 23.80 invece di 39.80 40% Primula, in vaso da 9 cm, la pianta –.95 invece di 1.90

Tutti le barrette di cioccolato Frey, Risoletto e Mahony, UTZ, in confezioni grandi e multiple, per es. Risoletto Classic in conf. da 10, 10 x 42 g 7.20 invece di 9.– 20% Tavolette di cioccolato al latte finissimo Frey, UTZ, in conf. da 10, 10 x 100 g 9.20 invece di 18.50 50% Gomme da masticare Skai Spearmint in conf. grande con scatoletta in omaggio, 220 g 9.80 invece di 13.40 25% Highlanders, Chocolate Chip o Chocolate Chunk Biscuits di marca Walkers in conf. da 3, per es. Shortbread Highlanders, 3 x 200 g 9.95 invece di 13.50 25% Tutte le stecche e le confezioni da 4 e da 6 Blévita, a partire dall’acquisto di 2 confezioni, –.60 di riduzione l’una, per es. al sesamo, 295 g 2.70 invece di 3.30 Caffè in capsule Boncampo Classico, 10 pezzi 2.75 20x NOVITÀ *,** Cafino in busta, UTZ, in conf. da 2, 2 x 550 g 13.80 invece di 20.60 33% Tutti i birchermüesli da 700–800 g, per es. Reddy Nature, bio, 700 g 4.45 invece di 5.60 20% Focaccia all’alsaziana in conf. da 2, surgelata, 2 x 260 g 5.95 invece di 8.50 30% Tutto l’assortimento di prodotti da forno Happy Hour, surgelati, per es. cornetti al prosciutto, 12 pezzi, 500 g 4.95 invece di 6.20 20% Cosce di pollo Optigal, in busta da 2 kg, surgelate 12.85 invece di 18.40 30% Tutti i gelati M-Classic in vaschette da 2000 ml, per es. alla vaniglia 4.70 invece di 5.90 20% Tutto l’assortimento aha! 20x 20x PUNTI Tutte le bibite dolci Jarimba in conf. da 6 x 1,5 l, per es. Himbo 4.95 invece di 9.90 50% Succo di mele M-Classic in conf. da 10, 10 x 1 l 6.– invece di 12.– 50% Tutto l’assortimento Mister Rice, per es. Wild Rice Mix, 1 kg 3.60 invece di 4.50 20% Rösti Original in conf. da 3, 3 x 500 g 4.30 invece di 6.15 30% Tutti i chicchi di cereali, i legumi e la quinoa bio, per es. quinoa bianca, 400 g 3.65 invece di 4.60 20% Chicchi di mais M-Classic in conf. da 6, 6 x 285 g 4.55 invece di 5.70 20% Tutto l’assortimento Subito, per es. pasta all’arrabbiata, 2 porzioni 2.15 invece di 2.70 20% Chips Zweifel al naturale, alla paprica o Salt & Vinegar in conf. XXL, per es. alla paprica, 380 g 5.95 invece di 7.60 20% Tutti gli articoli precotti M-Classic (non refrigerati), per es. pane del contadino, 400 g 2.60 invece di 3.30 20% *

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 marzo 2014 • N. 10

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Idee e acquisti per la settimana

Un caffè tutto d’oro I caffè Caruso portano in casa la cultura italiana del caffè in un nuovo design Desidera? Caffellatte, cappuccino, espresso o café crème? O piuttosto un latte macchiato? Caruso offre a tutti gli amanti del caffè la varietà più adatta ai loro gusti. La linea si ispira alla cultura italiana del caffè e si caratterizza per il suo aroma pronunciato. L’assortimento, che comprende cinque torrefazioni d’alta qualità – in chicchi o macinato – è stato rielaborato e ora risplende tutto in un oro brillante. Nel contempo sono state migliorate le formule dell’Espresso e del Ristretto. Due le nuove varietà: Oro e Mocca. L’Imperiale ora si chiama Imperiale Crema

La varietà Mocca, aromatica e armoniosa, è adatta fra l’altro per la preparazione nella caffettiera. Il suo sapore si può benissimo classificare fra il forte Espresso e il fruttato Imperiale, che ora porta nel nome l’aggiunta Crema, ma incanta sempre con la sua delicata nota di castagna. Nel nuovo Oro si percepisce una sfumatura di cioccolato amaro, il che si sposa bene con l’aroma leggermente aspro di questo caffè, molto adatto anche per il café crème. Tranne il Mocca, che consiste al 100 per cento di chicchi di Arabica, tutte le varietà sono una miscela di chicchi di Arabica e Robusta. I caffè Caruso hanno il certificato UTZ per una coltivazione rispettosa dell’ambiente. / Dora Horvath; foto Plainpicture

Caruso Oro macinato* 500 g Fr. 9.50

Caruso Imperiale Crema chicchi* 1 kg Fr. 14.50

Caruso Espresso chicchi* 500 g Fr. 8.–

Caruso Mocca chicchi* 500 g Fr. 9.50 * Nelle maggiori filiali

Un’aromatica tazza di caffè al mattino dà subito tono alla giornata.

L’industria Migros produce numerosi prodotti molto apprezzati, tra cui l’assortimento di caffè Caruso.


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Idee e acquisti per la settimana

Il benessere a portata di mano

Melanie K. (34), istruttrice di yoga, rinuncia volontariamente a prodotti contenenti lattosio.

Sempre più persone optano di loro spontanea volontà per prodotti senza lattosio o glutine. Una scelta che li aiuta a sentirsi meglio. C’è però chi soffre di un’intolleranza alimentare e li consuma per motivi di salute

Il marchio di qualità aha! contrassegna prodotti ben tollerabili anche per chi soffre di allergie e intolleranze.

digerire il lattosio contenuto nel latte e in molti latticini. Un’altra intolleranza alimentare, che colpisce circa l'un percento dei cittadini, è la celiachia e cioè un disturbo nell‘assorbimento del glutine, una sostanza lipoproteica contenuta in diversi tipi di cereali. Chi è colpito da un’intolleranza alimentare deve seguire delle rigide linee nutrizionali e conta su prodotti su misura alle sue esigenze. E alla Migros trova gli alimenti contrassegnati con il marchio aha!, creati appositamente per far fronte a questo bisogno. L’alimentazione senza lattosio o glutine fa tendenza Oltre a chi non sopporta determinati alimenti, sono sempre più le persone che, pur non avendo un motivo fisiologico, scelgono di consumare meno lattosio e preferiscono così prodotti privi di tale componente, senza però rinunciare ai latticini. Una scelta che li fa sen-

tire meglio. Melanie K. (34) fa parte di questo gruppo di consumatori in costante crescita. «Sono istruttrice di yoga e seguo uno stile di vita molto consapevole, all'insegna del movimento e dell'alimentazione a me più consoni. Scelgo così sempre, quando possibile, latte e latticini senza lattosio». Non si sente però limitata nella scelta, al contrario; oltre ai prodotti speciali privi di questo elemento, trova diverse alternative, come il latte di riso o di soia. La Migros si impegna a estendere costantemente il suo assortimento, al fine di proporre alimenti e cosmetici particolarmente ben tollerabili. Dal 2008 collabora a tale scopo con la Fondazione aha!, centro allergie svizzero, al fine di contribuire al costante tema della salute e offrire a tutti i consumatori in Svizzera – e quindi anche a chi soffre di un'intolleranza – un vasto assortimento di prodotti. / AnnaKatharina Ris; foto Getty Images

Parte di

Crostata con crema al quark (senza lattosio) Per ca. 12 fette, per 1 stampo a cerniera di 24 cm Ø

Ingredienti 4 uova 50 g di zucchero 1 cucchiaino di pasta di vaniglia 1 presa di sale 60 g di amido di mais ½ limone ½ cucchiaino di lievito in polvere 500 g di quark magro* 200 g di crème fraîche* 200 g di confettura, ad es. di lamponi 2 cucchiai di mandorle a scaglie zucchero a velo da spolverizzare

Generazione M è il nome del programma testimone dell’impegno Migros a favore della sostenibilità. aha! offre un prezioso contributo.

Pasta frolla: 200 g di farina 1 presa di sale 60 g di zucchero ½ limone 100 g di burro*, freddo 1 uovo piccolo burro per lo stampo* farina per spianare la pasta

Cottage Cheese aha! senza lattosio 200 g Fr. 2.30

Formaggio fresco aha! senza lattosio 150 g Fr. 3.55

Crème fraîche aha!, senza lattosio 200 g Fr. 3.–

Quark magro aha! senza lattosio 250 g Fr. 1.35

Burro aha! senza lattosio 100 g Fr. 2.65

Yogurt alla fragola aha! senza lattosio 150 g Fr. 0.75

Preparazione 1. Per la pasta frolla, versate in una scodella la farina con il sale e lo zucchero. Unite la scorza di limone grattugiata finemente. Aggiungete il burro a pezzetti. Sfregate gli ingredienti con le dita fino a ottenere un composto formato da tante briciole. Sbattete l’uovo, incorporatelo e impastate il tutto velocemente. Se necessario, aggiungete un poco d’acqua o di farina. Avvolgete la pasta nella pellicola trasparente e lasciate riposare in frigo per ca. 30 minuti. 2. Scaldate il forno a 220 °C. Imburrate lo stampo. Spianate la pasta su poca farina formando un disco un po’ più grande dello stampo. Accomodate il disco di pasta nello stampo e sistemate il bordo. Bucherellate il fondo con una forchetta. Cuocete la torta a vuoto in forno per ca. 20 minuti. 3. Nel frattempo, montate a spuma le uova con lo zucchero, la pasta di vaniglia, il sale e l’amido di mais. Unite la scorza di limone grat-

Yogurt al mango Bio Sojaline aha! senza latte 150 g Fr. 0.80

tugiata. Incorporate il lievito, il quark e la crème fraîche. 4. Abbassate la temperatura del forno a 160 °C. Spalmate la confettura sul fondo della torta già cotta. Distribuite la crema al quark. Cospargete con le mandorle a scaglie. Cuocete la torta al quark per ca. 1 ora. Sfornate, fate raffreddare e togliete dallo stampo. Cospargete la crostata di zucchero a velo. Tempo di preparazione ca. 30 minuti + riposo ca. 30 minuti + cottura ca. 1 ora Una fetta ca. 10 g di proteine, 16 g di grassi, 39 g di carboidrati, 1450 kJ/ 350 kcal * In vendita come prodotto aha Una ricetta di

Crema da montare Bio Sojaline aha! senza latte 5 dl Fr. 2.80

L’assortimento completo in vendita nelle maggiori filiali Migros.

Le intolleranze alimentari avanzano. Secondo le ultime stime, tra il 15 e il 20 percento della popolazione svizzera soffre di un’intolleranza al lattosio; ciò significa che non sono in grado o solo in parte di


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Idee e acquisti per la settimana

GLOSSARIO Buono a sapersi Intolleranza alimentare Questo termine riassume allergie e intolleranze dovute ad alimenti. Allergie Le allergie sono reazioni eccessive del sistema immunitario, che crea degli anticorpi nei confronti di sostanze generalmente innocue (p. es. noci, sedano o latte). Intolleranze Il corpo perde completamente o in parte la capacità di digerire una determinata sostanza. Non forma anticorpi, ma la reazione è immediata e si presenta sottoforma di disturbi (p. es. intolleranza al lattosio). Imballaggi aha! Chi è colpito da allergie o intolleranze, riconosce a colpo d’occhio l‘assortimento che fa per lui: pittogrammi colorati informano su quali ingredienti, possibili causa di allergie o intolleranze, non sono contenuti nel rispettivo prodotto.

«Sei ciò che non mangi» Intervista a Hanni Rützler, esperta di psicologia della salute e fisiologia alimentare, nonché ricercatrice in ambito nutrizionale e delle tendenze Le vendite dei cosiddetti prodotti per allergici sono notevolmente aumentate. Significa che ci sono più persone che soffrono di allergie?

Le intolleranze alimentari sono effettivamente aumentate, ma mai come potrebbero suggerire le cifre di vendita dei prodotti privi di determinate sostanze. Si può quindi pensare che sempre più consumatori scelgono volontariamente questo genere di alimenti, pur non soffrendo di un’anomalia fisiologica. Acquistano e consumano questi prodotti, perché li fanno sentire meglio e danno loro la sensazione di alimentarsi in modo più adeguato.

mezzo di auto-messa-in-scena. Con il cibo si può comunicare e provocare. Basti pensare alla tendenza del veganismo e quindi alle persone che non consumano alcun prodotto di origine animale. Oppure ai flessitari, che di base si nutrono in modo vegetariano, di tanto in tanto si concedono però della carne, rigorosamente della migliore qualità. L’uomo è forse in difficoltà davanti all’abbondanza alimentare?

Perché si sentono meglio?

Cosa mi fa bene?

Ognuno è alla ricerca degli alimenti «giusti» e della filosofia alimentare, che più fa al caso suo e si scopre esperto per sé stesso, basandosi sulle proprie conoscenze, sensazioni ed esperienze. Al momento sembra essere una moda, riflettere e occuparsi di alimentazione e salute. Sì, è una delle tendenze più contagiose alle nostre latitudini. Soprattutto persone di una certa cultura e benestanti si interessano particolarmente di questo tema. Anche i viaggi sono fonte d’ispirazione. Ne è un ottimo esempio

Piuttosto il contrario: «Sei ciò che non mangi.» L’alimentazione è oggi un buon

Il gusto dei prodotti per allergici aha! convince anche chi non soffre di allergie?

Certo. Questi prodotti sono anche una spinta per il mercato alimentare a innovarsi costantemente. Trovo geniale che non tutti i tipi di pane siano preparati con frumento o altri cereali ricorrenti; che si osi sperimentare anche con ingredienti base completamente diversi dall’originale. Leader in quest’ambito sono senza dubbio gli USA, lì la scelta di prodotti alternativi è molto più vasta. Dopo quella «light» arriva adesso la tendenza del «senza»?

Assolutamente. Oggi è più facile scegliere a cosa rinunciare, piuttosto che a cosa consumare. L’alimentazione è uno strumento nella ricerca di sé stessi.

Si tratta di una sensazione relativa: spesso rinunciando consapevolmente a qualcosa, che si ritiene sfavorevole, ci si sente automaticamente meglio. Ciò è certo collegato al fatto, che il tema generale dell’alimentazione e della salute è sempre più presente. Si cucina più in casa e si dà maggior importanza a frutta e verdura. Proprio secondo la massima «Sei ciò che mangi»?

l’influsso che l’ayurveda, la medicina tradizionale indiana, ha nell’ambito alimentare o le filosofie nutrizionali d’ispirazione asiatica che si diffondono anche da noi.

Hanni Rützler (51) risiede a Vienna ed è considerata a livello europeo una delle principali ricercatrici in materia di tendenze alimentari.

Sì, penso si possa dire così. Le tendenze hanno però anche un lato buono, lasciano una scia positiva dietro di sé. Da quella «light» è nata la consapevolezza per i grassi nascosti e la cognizione che, meno dolce, può essere altrettanto buono. Dall’ondata del «senza» mi aspetto uno strascico di gustosi prodotti alternativi dalle composizioni innovative. Anche la gastronomia non aspetta con le mani in mano. Diversi ristoranti, cucinano rinunciando consapevolmente all’impiego di determinati ingredienti, proprio come dettato dalla tendenza del «senza». / Intervista Anna-Katharina Ris

Crema alla stracciatella con lamponi Dessert per 4 persone

Ingredienti 250 g di lamponi surgelati, scongelati prima dell’uso 2 cucchiai di Grand Marnier o di succo d'arancia 60 g di cioccolato al latte* 2,5 dl di panna intera* 250 g di quark magro* 1 bustina di zucchero vanigliato 50 g di zucchero menta per guarnire

Preparazione Mettete da parte alcuni lamponi. Aromatizzate gli altri con il Grand Marnier e distribuiteli nei bicchieri. Con il pelapatate riducete in scaglie sottili il cioccolato. Montate la panna ben ferma. Mescolate il quark, lo zucchero vanigliato e lo zucchero fino a ottenere una crema omogenea. Incorporate alla crema la panna montata e 3/4 delle scaglie di cioccolato. Versate la crema sui lamponi e guarnite con le scaglie, i lamponi messi da parte e la menta. Te nete i dessert in frigo fino al momento di servire. Suggerimento se di stagione, utilizzate lamponi freschi. Tempo di preparazione ca. 20 minuti Per persona ca. 9 g di proteine, 22 g di grassi, 24 g di carboidrati, 1450 kJ/340 kcal

* In vendita come prodotto aha

Drink Bio Sojaline, al naturale, aha! senza latte 1 l Fr. 1.90

Drink di riso aha! senza latte 5 dl Fr. 1.65

Bevanda al latte aha!, senza lattosio 500 ml Fr. 1.30

Choco Drink aha!, senza lattosio 250 ml Fr. 1.20



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Idee e acquisti per la settimana

Concorso Come partecipare

1

Sul sito www.iam.ch trovate una cartolina con più di 500 luoghi in Svizzera dove sono presenti dei cartelloni. Cliccando su una bandierina, appare il luogo esatto completo di indirizzo e veduta Streetview. Scegliete un cartellone, sul quale vorreste apporre il vostro complimento. La cosa migliore è scegliere un luogo che ricorre spesso nel vostro indirizzario.

2

Scegliete uno sfondo. Potete scegliere fra otto modelli.

3

Scrivete un complimento. Avete a disposizione 80 caratteri compresi gli spazi.

Scrivi qui il tuo complimento più bello

4

Inserite il nome del destinatario.

L’assortimento di I am si presenta man mano con un nuovo design. • I am Hair Professional Oil Repair Gold Elixir 100 m. Fr. 9.30 • I am Face crema da notte Q10+ 50 ml Fr. 10.20 • I am Face Vital Tonic 200 ml Fr. 6.80 • I am Shower Milk & Honey 250 ml Fr. 2.20

Cosmesi per una cura del corpo globale I am è una marca propria della Migros. L’assortimento, fabbricato dalla Mibelle SA a Buchs/AG, comprende più di 250 prodotti per viso, capelli, mani e piedi, dunque la cura e la pulizia complete. Così per ogni esigenza c’è il prodotto adatto. Ad esempio la linea Young per la pelle giovane e la linea Young-Clear per la pelle tendente alle impurità dei giovani adulti. O la cura Anti-Aging per le esigenze della pelle più matura. Inoltre I am offre un assortimento speciale per uomini così come una linea di cosmesi naturale con prodotti a base di sostanze vegetali naturali. Una vasta scelta di deodoranti e prodotti per la depilazione completano il programma. Le confezioni dei prodotti di I am si presenteranno man mano in un nuovo design e con un nuovo logo, più grande.

In una stazione ferroviaria di Zurigo sono stati messi a disposizione del pubblico alcuni cartelloni pubblicitari per la campagna I am legata ai complimenti.

Non bisogna essere avari di complimenti. Una nuova campagna di I am si fa promotrice di un’offensiva del fascino.

Con la sua nuova campagna pubblicitaria, la marca I am fa propaganda per un particolarissimo prodotto di bellezza. Esso apre il cuore, rende felici, fa brillare gli occhi, materializza un sorriso sul volto e fa parlare fra loro anche perfetti sconosciuti. Si parla del complimento. La campagna invita le svizzere e gli svizzeri a farsi più complimenti. L’idea che ci sta dietro: i complimenti rendono più belli dall’interno, i prodotti trattanti di I am

La Stefan-mobile a zonzo per la Svizzera nel nuovo spot pubblicitario di I am. Dal megafono risuonano complimenti.

dall’esterno. Nel contempo i prodotti si presentano in un nuovo design, più moderno, che sottolinea con maggior forza il carattere di marca di I am. Gli effetti positivi che può avere la gentilezza sincera sono evidenziati dal nuovo spot televisivo, che si può vedere anche sul sito www.i-am.ch: gironzolando per la Svizzera, Stefan dà avvio a un’offensiva del fascino, distribuendo generosi complimenti. Le situazioni sono state filmate

live e con autentici passanti. Parallelamente allo spot è stato lanciato un concorso online: ogni partecipante può formulare un complimento personale, per una persona di sua scelta. I naviganti votano cliccando col mouse quale complimento è loro piaciuto di più. Quelli che avranno ricevuto più voti verranno stampati come cartellone e presentati in più di 500 luoghi a partire dal 31 marzo./ Dora Horvath

L’industria Migros produce numerosi prodotti molto apprezzati, tra cui i prodotti di I am.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 marzo 2014 • N. 10

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Idee e acquisti per la settimana

Fresco profumo ad ogni contatto

A tutti noi piace che la biancheria emani un profumo come se fosse appena stata lavata. L’innovativa tecnologia dei detersivi Elan fa sì che a ogni contatto i capi bianchi e anche quelli colorati profumino piacevolmente a lungo. Il segreto? Perle di freschezza che si fissano alle fibre dei tessuti. Il contatto o lo sfregamento con il capo

fa scoppiare queste micro perle, liberando così il loro profumo. I detersivi ersivi liquidi Summer Breeze, Spring Time me e Flower Moments si caratterizzano per la loro nota fresca e floreale, mentre Pacific Dream ricorda la brezza marina. Tutti e quattro sprigionano la loro forza pulente già alla bassissima temperatura di 15 gradi.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 marzo 2014 • N. 10

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 marzo 2014 • N. 10

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Idee e acquisti per la settimana

Cura extra per giorno o e notte Il Night Renewal Booster è un siero efficace per la notte, che serve anche da base per la crema da notte. Il Day Perfect Elixir opacizzante è leggero e penetra velocemente. Affina i pori e si raccomanda quale cura complementare o base per il trucco. • Zoé Effect Night Renewal Booster 30 ml Fr. 26.50 • Zoé Effect Day Perfect Elixir 30 ml Fr. 26.50

Protettiva

Anti-Aging con la forza delle piante

La varietà di uva Gamay Tenturier Fréaux è estremamente resistente contro i raggi UV. Le sue cellule staminali proteggono la pelle dai radicali liberi e dall’invecchiamento cutaneo dovuto alla luce. Mantengono inoltre la vitalità delle cellule staminali della pelle.

La cosmesi ad alta tecnologia di Zoé Effect sfrutta l’efficacia delle cellule staminali della mela e dell’uva, che ritardano l’invecchiamento della pelle

Un aspetto splendente non è più una questione di età, ormai. L’innovativo programma trattante di Zoé Effect aiuta a ritardare visibilmente l’invecchiamento della pelle. I prodotti della linea ad alta tecnologia, armonizzati fra di loro in modo ottimale, sfruttano le possibilità di una cosmesi moderna, che punta a rigenerare la pelle. Basate sulle ultime scoperte della ricerca sulle cellule staminali delle piante, utilizzano la tecnologia PhytoCellTecTM appositamente sviluppata. Le sostanze attive, brevettate e premiate, sono state sviluppate nei laboratori della Mibelle Biochemistry. Sono ottenute da cellule staminali della mela e dell’uva, la cui forza rigenerativa esercita un effetto vitalizzante sulle cellule staminali della

pelle. Test dermatologici dimostrano l’alta efficacia di queste sostanze attive tecnologicamente innovative. I prodotti della linea col principio attivo PhytoCellTecTM Malus Domestica, fornito dalle cellule staminali della mela, favoriscono la rigenerazione della pelle, forniscono idratazione e ritardano il processo naturale di invecchiamento. I prodotti con il principio attivo PhytoCellTecTM Vitis Vinifera, che si ricava dalle cellule staminali dell’uva, proteggono dai radicali liberi e in particolare dall’invecchiamento della pelle dovuto alla luce: regalano all’epidermide un’idratazione a lunga durata, riducono le rughe e incrementano l’elasticità./ Jacqueline Vinzelberg; foto Getty Image

Cura e strutturazione per la notte

Crema ma per gli occhi La zona occhi, particolarmente sensibile, richiede una cura intensiva, idratante: Zoé Effect Eye Care penetra rapidamente, fornisce alla pelle delicata attorno agli occhi moltissima idratazione ed è così efficace contro la formazione delle rughe. Zoé Effect Eye Care 15 ml Fr. 20.60

Zoé Effect Night Care offre la cura per la notte leggera e che penetra rapidamente nel pratico dispenser. Chi preferisce qualcosa di più ricco sceglierà la crema da notte in vasetto. Entrambi i prodotti contengono il principio at attivo ad alta tecnologia Vitis Vinifera, forniscono un’idratazione a lunga durata e sono efficaci contro le un’idrat rughe. • Zoé Effect Night Care 50 ml Fr. 23.30 E • Zoé E Effect Advanced Night Care 50 ml Fr. 23.30

Cura intensiva

Rigenerante Le cellule staminali della mela svizzera Uttwiler Spätlauber favoriscono la rigenerazione della pelle e accrescono la vitalità cellulare delle cellule staminali della pelle. Il naturale processo di invecchiamento dell’epidermide viene così rallentato e la pelle ulteriormente protette.

Il tocco di bellezza intensivo per labbra e occhi: il Flash Program Lip & Eye è un gel efficacemente trattante in sette pratiche porzioni. È facile da applicare e si può utilizzare sia come cura settimanale sia anche come «aiuto immediato» dopo una lunga notte. Zoé Effect Lip & Eye Flash Program 7 x 1,2 ml Fr. 17.50

Piacevole sensazione sulla pelle Idratazione, protezione dalla luce e effetto antirughe in due versioni: la cura leggera nel dispenser è ideale per la stagione più calda o come base per il trucco. Una porzione extra di idratazione la fornisce la crema da giono nel vasetto. Entrambe penetrano rapidamente e procurano una piacevole sensazione sulla pelle. • Zoé Effect Day Care SPF 15 50 ml Fr. 22.40 • Zoé Effect Advanced Day Care SPF 15 50 ml Fr. 22.40

L’industria Migros produce numerosi prodotti molto apprezzati, tra cui anche la linea trattante Zoé Effect.


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