Azione 06 del 3 febbraio 2014

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Cooperativa Migros Ticino

G.A.A. 6592 S. Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXVII 3 febbraio 2014

Azione 06 pping 1-47 / 58-63 o h s M gine 4 alle pa

Società e Territorio Aumentano in Ticino i casi di indebitamento eccessivo e fallimento personale. Ora si pensa alla prevenzione

Ambiente e Benessere «Donna & Cuore – quello che le donne dovrebbero sapere sulle malattie cardiovascolari» è il tema della conferenza organizzata da Forum Elle per il 6 febbraio. Ce ne anticipa il contenuto la dottoressa Julija Klimusina

Politica e Economia La Tunisia approva la nuova Costituzione, raro esempio di democrazia mediorientale

Cultura e Spettacoli Un’immersione negli abissi dell’animo umano: la scrittura di William S. Burroughs

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Matteo Bellinelli

Mongolia, terra di conquista

di Matteo Bellinelli

Se ricchezza non fa rima con democrazia di Peter Schiesser Venticinque anni fa, quando l’impero sovietico si sbriciolò decretando il fallimento dell’ideologia comunista, si fece largo una certezza: il libero mercato avrebbe conquistato il mondo e la crescente ricchezza avrebbe convertito alla democrazia anche i nemici ideologici di ieri, Russia e Cina, oltre che portare pace e benessere nel Terzo mondo. Oggi dobbiamo riconoscere che questa certezza era un’ingenua utopia. Russia, Cina, ma anche India, Brasile e tanti altri Paesi emergenti sono oggi delle potenze economiche, ma nessuno di questi è diventato più democratico di quanto lo era prima. Soprattutto, non esiste un controllo democratico sulle ricchezze di quei Paesi: ovunque – e in maniera più marcata laddove c’è un’eredità comunista – sono sorte oligarchie con stretti rapporti con il potere che si sono arricchite spudoratamente e continuano a farlo, ampliando il divario fra chi ha potere e ricchezza e la gran parte della popolazione. Le ricerche condotte dal Consorzio internazionale di investigazione giornalistica (ICIJ), che raggruppa 160 giornalisti e collabora con un gran numero di testate prestigiose, sulla base di 2,5 milioni di documenti trafugati nel

2012 da due società specializzate in attività finanziarie off-shore, ci mostrano che cosa sta succedendo in Cina. Mesi di lavoro sui 22mila cinesi che hanno portato capitali all’estero ha permesso di dare una dimensione e tanti nomi al sistema politico-affaristico che regge le sorti del capitalismo di Stato cinese. In sostanza, per chiunque voglia fare affari in Cina è vitale creare uno stretto legame con i famigliari dei politici più potenti. Li chiamano i «principi rossi» e rappresentano la chiave di volta per affari colossali. «Le Monde» ha portato nelle ultime settimane un mare di esempi, quello più clamoroso riguarda due figli di Wen Jiabao, primo ministro dal 2003 al 2013, e il Credit Suisse. Dopo averli aiutati a creare delle società off-shore nelle Isole vergini britanniche e poi rafforzato sempre più i legami con loro, nel 2005 il Credit Suisse è diventata la prima banca occidentale ad entrare nel mercato cinese della gestione patrimoniale – secondo «Le Monde» proprio grazie a questa vicinanza con il potere –, e oggi gestisce 24 miliardi di euro. Ma come banca si può guadagnare molto anche con le privatizzazioni: JP Morgan (oggi sotto inchiesta in America per sospetta corruzione) ha pagato fra il 2006 e il 2008 su un conto offshore quasi 2 milioni di dollari alla

figlia di Wen Jiabao e si è poi aggiudicato il mandato di privatizzare le ferrovie cinesi, per una commissione di 100 milioni di dollari. È noto: la corruzione è endemica in Cina, ma oggi ha raggiunto livelli stratosferici. Per lavare il denaro che ne deriva bisogna dapprima trasferirlo all’estero. Siccome i cinesi non possono esportare più di 50mila dollari, cadono a fagiolo le costruzioni finanziarie off-shore. La Ong Global financial integrity stima in 3700 miliardi di dollari i capitali cinesi (certo non solo derivanti da corruzione) portati illegalmente all’estero fra il 2000 e il 2011. Il nuovo presidente, Xi Jinping, ha dichiarato guerra alla corruzione, poiché si è reso conto che può provocare rivolte popolari, ma finora agisce in modo selettivo: se ne sta servendo per eliminare gli avversari interni e nel contempo fa condannare Xu Zhiyong e altri attivisti del Nuovo movimento dei cittadini che chiedono misure contro la corruzione. Ma questo non è solo un problema della Cina, o della Russia, o di altri Paesi emergenti, poiché i proventi della corruzione e di affari sporchi servono poi per acquistare aziende e proprietà nel resto del mondo. Inquinano perciò l’economia mondiale, che sempre più viene condizionata da persone senza scrupoli e da chi si mette al loro servizio. E senza etica, niente democrazia.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 febbraio 2014 • N. 06

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Per proteggere le api

Promessa mantenuta!

Migros toglie dall’assortimento entro la fine del 2014 prodotti fitosanitari che possono essere nocivi a questi utili insetti

Riciclaggio Ritiro

di bottiglie in plastica in tutte le filiali Migros

Nel 2012 si calcola che siano morte la metà di tutte le api presenti in Svizzera. Lo stesso drastico calo si è verificato a livello mondiale. Già da almeno un decennio apicoltori e scienziati stanno studiando la moria di api. La loro scomparsa non provoca soltanto una diminuzione della quantità di miele sul mercato, ma coinvolge tutta l’agricoltura. Circa un terzo dei prodotti alimentari coltivati dipende infatti dall’impollinazione delle api. Tra le cause di questo fenomeno vanno annoverati gli effetti di parassiti come l’acaro Varroa destructor, agenti patogeni come batteri o funghi e l’uso di pesticidi. Dal 1. dicembre 2013 nell’Unione europea e in Svizzera sono vietati tre tipi di antiparassitari, che potrebbero essere collegati con la moria delle api. Si tratta dei cosiddetti neonicotinoidi, che vengono utilizzati dagli agricoltori ma anche da molti appassionati di giardinaggio per difendere le loro piante dai parassiti. Per precauzione Migros già dal marzo 2013 ha rinunciato a mettere in vendita prodotti per il giardinaggio che contengano questi principi attivi. Ora l’azienda compie un ulteriore passo avanti: uno studio dell’organizzazione mondiale Greenpeace ha identificato altre quattro sostanze che sono definite come critiche. «Prendiamo molto sul serio questi risultati e abbiamo compiuto una verifica per vedere se quei principi attivi sono presenti nei nostri pesticidi e antiparassitari» spiega Sandro Glanzmann, esperto ambientale della Federazione delle cooperative Migros. Le analisi hanno dimostrato che in alcuni prodotti sono effettivamente presenti, in particolare in quelli contro le formiche e gli afidi. In essi le sostanze Promettiamo che dalla fine del 2014 offriremo solamente prodotti fitosanitari e insetticidi che non mettono in pericolo le api.

Daniele Besomi

Christoph Petermann *

che potrebbero essere nocive per le api sono contenute in quantità estremamente limitate. Migros ha deciso di toglierli completamente dall’assortimento oppure di modificarne la composizione, utilizzando al loro posto dei componenti ecologici. «Vogliamo offrire in alternativa ai nostri clienti prodotti che non danneggiano le api» dice Glanzmann. La conversione richiederà comunque un certo tempo. «Gran parte degli articoli sarà già conforme al nuovo standard entro maggio 2014» dice l’esperto per l’ambiente della FCM. Ed entro la fine dell’anno lo sarà l’intero assortimento. * Redattore di Migros Magazin

Quattro promesse per il futuro Migros amplia il suo programma legato alla sostenibilità, Generazione M, con quattro nuove promesse rivolte alle generazioni future Circa due anni fa Migros ha ideato il progetto Generazione M. In quell’ambito l’azienda ha concentrato i suoi sforzi in rapporto ai temi della salute, del consumo, dell’ambiente, della società e della gestione dei propri collaboratori. Alle 54 promesse originarie ne sono state aggiunte quattro nuove.

Oltre a quella qui a lato, ecco le altre. Promettiamo che:

■ dal 2017 offriremo corsi di fitness e wellness nonché strutture per l’allenamento per 10 milioni di visitatori all’anno; ■ che entro la fine del 2015 creeremo almeno 2,5 milioni di metri quadrati di spazio vitale in sintonia con la natura per piante e animali; ■ che, in qualità di sponsor principale di «slowUp», entro il 2017 renderemo possibili oltre 40 milioni di chilometri di strade prive di auto.

Nel quadro dell’azione Generazione M, Migros si era posta un obiettivo ambizioso: «Promettiamo di raccogliere e riciclare entro la fine del 2013 tutte le bottiglie di plastica». La promessa è stata mantenuta e dallo scorso anno Migros, quale primo dettagliante in Svizzera, dà la possibilità di riportare in tutte le sue filiali bottiglie e flaconi in plastica usati nelle economie domestiche. In questo modo la preziosa materia prima delle confezioni di prodotti per la cura del corpo e per la pulizia, di detersivi, bottiglie per latticini, aceto, olio e salse, può essere nuovamente utilizzata, per esempio per la produzione di materiale edile. Nelle filiali è stata installata una «parete del riciclaggio» dove, in aggiunta ai materiali già precedentemente raccolti – tra i quali PET,CD e DVD, batterie, lampadine LED e lampadine a risparmio energetico – è dallo scorso anno possibile depositare anche queste confezioni in plastica. Laddove non è stato possibile installare questa parete ecologica, sono disponibili altri tipi di contenitori per la loro raccolta o, in alternativa, possono essere consegnati al Servizio clienti. E affinché la raccolta e la consegna sia ancora più semplice, Migros vende ora un apposito sistema di riciclaggio che consiste in tre sacchi, ideali per riporvi gli oggetti da recuperare e da consegnare ai punti di raccolta nelle filiali. Nella fase di lancio e fino al 10 febbraio i sacchi sono proposti a metà prezzo, ovvero a franchi 4,90.

M Migros Ticino si dà al fitness Migros Ticino amplia i suoi settori di attività e a commercio, ristorazione, editoria (Azione), formazione degli adulti (Scuola Club Migros Ticino) e promozione culturale (Percento culturale Migros Ticino) aggiunge il fitness: nei prossimi anni aprirà infatti 5 centri fitness, i primi due dei quali verranno inaugurati a Losone e a Lugano quest’autunno, rispettivamente l’anno prossimo. La nuova attività verrà svolta in franchising sotto l’insegna ACTIV FITNESS ed è frutto di un accordo tra Migros Ticino e la ACTIV FITNESS SA, una società della Cooperativa Migros Zurigo che, con 26 centri fitness e 50’0000 membri in Svizzera tedesca e in Romandia, è il leader del settore nel nostro paese. I centri ACTIV FITNESS, su una

superficie di ca. 1200 mq, proporranno un’offerta completa che comprende l’utilizzo di apparecchi di ultima generazione per la muscolazione, la resistenza, la coordinazione e la mobilità, una vasta scelta di corsi collettivi, la sauna, uno spazio sorvegliato per bambini, oltre che l’assistenza professionale di collaboratori altamente qualificati in grado di assicurare una consulenza personalizzata. Il prezzo dell’abbonamento completo è assolutamente competitivo: 740 franchi all’anno (con sconti per studenti e pensionati), tutto compreso, incluso l’accesso a tutti i centri ACTIV FITNESS presenti sul territorio nazionale. Informazioni

www.activfitnessticino.ch

Settimanale edito dalla Cooperativa Migros Ticino, fondato nel 1938

Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch

Editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino Tel 091 850 81 11

Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile) Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni

La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni

Stampa Centro Stampa Ticino SA Via Industria 6933 Muzzano Telefono 091 960 31 31

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Abbonamenti e cambio indirizzi Tel 091 850 82 31 dalle 09.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@MigrosTicino.ch Costi di abbonamento annuo Svizzera Fr. 48.– Estero a partire da Fr. 70.–


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Società eTerritorio Le Scuole medie di Lugano Il trasferimento degli allievi nei container per un periodo di sette anni ha sollevato molte polemiche

Se il successo arriva inaspettato Videogiochi: analisti e critici sono stati colti di sorpresa dal successo delle nuove console di Microsoft e Sony pagina 5

La memoria da coltivare La paura di perdere la memoria è un sentimento comune soprattutto dopo una certa età. Tom Smith, medico inglese famoso per la sua rubrica Doctor Doctor, affronta il tema nel suo ultimo libro pagina 6

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In Ticino si stima che ci siano 24mila persone che vivono in un’economia domestica che non ce la fa a pagare le bollette. (Ti-Press)

Prendi oggi, non paghi domani Indebitamento Aumentano in Ticino i casi di fallimento personale. L’associazione Dialogare-Incontri

propone un corso per migliorare la gestione del budget personale e familiare Sara Rossi Scriviamo oggi di un problema che in Ticino sta diventando importante e di due tra gli espedienti per combatterlo. Il problema è l’indebitamento eccessivo, i possibili antidoti sono un corso sulla gestione del budget familiare e la creazione a livello cantonale di un «Piano di lotta». Anche se mancano dati ufficiali, si parla di 24mila persone che vivono in un’economia domestica che non ce la fa più a pagare le bollette. «E per una volta», sottolinea Roberto Sandrinelli, capo staff della Divisione dell’azione sociale e delle famiglie del Canton Ticino, «si tratta di un problema sociale trasversale in cui i giovani non sono quelli maggiormente toccati; con loro è molto importante la prevenzione». Si tratta di un fenomeno che riguarda in prevalenza adulti e anziani e che spesso insorge dopo un brusco cambiamento: perdita di lavoro, divorzio, raggiungimento dell’età della pensione, malattia. Nella maggior parte dei casi non si tratta di «poveri», ma di persone con redditi a volte anche importanti che non sono in grado di gestire il loro budget o che non adeguano lo stile di vita alle loro entrate. «È l’eccesso di debiti, non il debito in sé, che diventa un problema», spiega

Sandrinelli. «Viviamo in una società fondata sull’indebitamento: la casa, la macchina, il computer, moltissime cose si possono pagare con un mutuo, a rate o in leasing. Se prendo un cellulare nuovo, lo pago magari un franco solo, ma devo già sottoscrivere l’abbonamento per due anni. In fondo, se ognuno di noi ci pensa bene, abbiamo già “impegnato” il nostro stipendio del mese prossimo, di quello successivo e forse anche più in là. Questo significa che se le nostre entrate o uscite dovessero alterarsi in modo repentino, potremmo ritrovarci in difficoltà. Può succedere a chiunque, di qualsiasi età o classe sociale; la differenza è che se guadagni poco, basta poco per doverti adattare, anche solo il dover cambiare l’auto». Allo sportello Donna, consultorio di orientamento e reinserimento professionale dell’Associazione DialogareIncontri, si è notato un incremento degli utenti con disagi finanziari; per dare loro supporto, è stata creata un’Antenna sociale ed è stato sviluppato, in collaborazione con l’Associazione PerCorsoGenitori, un corso sulla gestione del budget personale e familiare. Mila Ranzanici, assistente sociale, elenca i contesti in cui si trovano le persone che lamentano questo problema: divorzio, disoccupazione, perdita del lavoro, assen-

za di una copertura assicurativa per perdita di guadagno in caso di malattia (soprattutto gli indipendenti), incapacità di una gestione amministrativa-finanziaria (dovuta all’ignoranza della materia, sia perché la persona non è al corrente delle varie spese, sia perché manca la capacità di gestire il proprio budget entrate-uscite), acquisizione di debiti dal marito o ex marito, instabilità lavorativa/economica della singola persona o di entrambi i coniugi… Gli scenari sono infiniti, ma si possono dividere in due categorie: chi ce la fa e chi no. Chi riesce a modificare le proprie abitudini, adattandosi alla nuova situazione e chi invece finisce per gettare la spugna, arrivando a non aprire più le lettere di richiamo dei pagamenti ed essere poi costretto a dichiarare il fallimento individuale. La terza via sarebbe quella di chiedere aiuto, ma non molti ne hanno la forza: spesso prevale la vergogna, il senso di colpa, l’illusione che si tratti di un momento passeggero, che poi passerà e lascerà che tutto torni come prima. «Non è solo una questione tecnica», sottolineano le due formatrici del corso sulla gestione del budget familiare, Monica Garbani e Sandra Killer. «Si tratta anche di una certa visione dei valori. Prima ancora di fare ordine nella

burocrazia e di trovare il modo per tenere sotto controllo le proprie spese, bisogna prendere coscienza dei propri valori. Occorre riflettere sulle cose veramente utili per il proprio benessere (che possono essere oggetti o sfizi molto futili per qualcun altro) e quelle a cui invece si è in grado di rinunciare». Non si può fare finta che non esista nessuna pressione sociale: sappiamo o crediamo che gli altri si aspettano qualche cosa da noi; e siamo anche sommersi dalla pubblicità, che ci confronta con immagini di perfezione (famiglia perfetta, corpo perfetto, vacanze perfette, e via dicendo). Chi ha visto l’ultimo film di Woody Allen, Blue Jasmine, ha compiuto una discesa negli inferi delle debolezze umane, quelle di una donna che ha perso tutto tranne l’orgoglio di non volerlo dare a vedere. «In generale chi non ha più i soldi per pagare le fatture, comincia a non pagare le imposte e la cassa malati», illustra Roberto Sandrinelli. «Molti, piuttosto che rinunciare alle proprie apparenze, continuano ad abitare in appartamenti di lusso, a uscire a cena come prima, a pagare ai figli i loro gadget preferiti; piuttosto si indebitano e quando non ce la fanno più cominciano a pesare sullo Stato. Fosse quindi anche solo per una questione di risparmi, al settore

pubblico conviene fare prevenzione». Infatti, constatato l’ampliarsi del problema del sovraindebitamento, il Governo ha deciso di creare un gruppo di lavoro interdipartimentale incaricato di preparare un progetto di piano cantonale. «Abbiamo pensato di chiamarlo Piano cantonale di lotta all’indebitamento eccessivo», spiega Sandrinelli. «Sotto questo cappello sarà più semplice organizzare le varie risorse di cui il territorio dispone: autorità di protezione, Associazione contro l’indebitamento delle famiglie, Caritas, Pro Senectute, i corsi per adulti di Dialogare-Incontri, quelli per adolescenti di PerCorsoGenitori e molto altro». Il Piano Cantonale si occuperà di prevenzione, di formazione e di coordinare i vari interventi e sarà presentato e avviato durante nel 2014. Informazioni

Martedì 11, 18 e 25 febbraio (dalle 18.00 alle 20.30, a Massagno, in via Foletti 23), l’associazione Dialogare-Incontri propone tre incontri per imparare a gestire e organizzare il budget familiare. Iscrizione entro il 7 febbraio (scrivere a segretariato@dialogare.ch oppure telefonare allo 091 967 61 51 dalle ore 9.00 alle 12.00), costo 10 franchi per ogni incontro.


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Società e Territorio

A lezione nei container

Lugano Durante la realizzazione della nuova sede per le Scuole medie di Lugano centro gli allievi saranno ospitati

in strutture provvisorie per un periodo di sette anni: una soluzione che ha scatenato malumori e proteste Roberto Porta Giocano spensierati i bambini del «Lambertenghi», la scuola dell’infanzia di Lugano centro. Ognuno con il proprio contrassegno: il fiore, la carrozzina, la foglia. I più piccoli tra loro, quelli che oggi hanno tre anni, non sanno ancora che, se tutto andrà per il verso giusto, fra sette o otto anni avranno un grande privilegio. Saranno, forse, i primi inquilini della nuova scuola media di Lugano centro. Gli altri bambini dell’asilo, quelli più grandi – e con loro gli allievi delle elementari e dei primi anni delle medie – dovranno invece accontentarsi di un altro destino: trascorreranno gli anni della scuola media in una struttura provvisoria, le loro lezioni si terranno in alcuni container, a quanto pare di lusso, ma pur sempre container.

La petizione contraria al progetto cantonale lanciata dal Collegio dei docenti e dall’Assemblea dei genitori ha raccolto più di quattromila firme Una soluzione provvisoria, per sette o otto anni, nel frattempo si procederà alla realizzazione di un nuovo edificio, una nuova sede per le scuole medie di Lugano centro. Tutto questo perché l’attuale ubicazione dell’istituto, all’interno del Palazzo degli Studi di via Cattaneo, in coabitazione con il Liceo 1 di Lugano, dovrà essere ristrutturata a partire dal prossimo mese di settembre. Una volta terminati i lavori, lo storico edificio ospiterà unicamente gli studenti del liceo, che necessitano di maggiore spazio perché il loro numero è in costante crescita, un incremento di oltre trecento unità nel corso degli ultimi 10 anni. Realizzato nel 1904 dagli architetti Guidini e Maraini, e testimonianza architettonica di valore, l’edificio necessita di importanti lavori di ristrutturazione interni, dopo quelli esterni realizzati alcuni anni fa e costati oltre cinque milioni e mezzo di franchi. Il 26 gennaio del 2010 il Gran Consiglio aveva dato il proprio nullaosta ad un credito di progettazione di 980mila franchi per la seconda fase di questi interventi, dando nel contempo il proprio consenso ad un ulteriore credito di un milione e 670mila franchi per la posa dei prefabbricati e per la sistemazione di altri spazi scolastici destinati alle medie e al li-

Tra le proposte vi è anche quella di valutare la realizzazione del nuovo istituto scolastico nell’edificio dell’ex Macello. (CdT - Gonnella)

ceo durante i lavori di ristrutturazione. Le lezioni nei container hanno quindi ottenuto anche l’avvallo del Parlamento ticinese. Nel corso della storia scolastica del nostro cantone non è del resto la prima volta che succede, ne sanno qualcosa i figli del baby boom nati tra gli anni ’60 e ’70 del secolo scorso. A Lugano però è scoppiato un gran putiferio. Per la durata di questa fase di transizione – a parecchi genitori e docenti sette anni nelle baracche appaiono davvero troppi – e per l’incertezza sulla sede futura della scuola media di Lugano centro. E questo è il secondo nodo da sciogliere. Il Cantone è intenzionato a realizzare la nuova struttura di fronte al Palazzo degli Studi, su un terreno di sua proprietà, confinante con il parco Ciani. Il Comune di Lugano non ha ancora preso posizione su questo progetto, anche perché assillato dal tracollo finanziario emerso in questi mesi, figlio di una malagestione che coinvolge però anche l’ex Municipio. Dal canto loro, il Collegio dei docenti delle scuole medie e l’Assemblea dei genitori hanno invece lanciato una

petizione, che in poche settimane è riuscita a raccogliere oltre quattromila firme. Una petizione che chiede l’esatto contrario di ciò che prevede il Cantone, siamo pertanto al muro contro muro. Prima di tutto, dicono i firmatari, si deve realizzare la nuova sede in un area esterna al parco Ciani, per non intaccare uno dei pochi spazi verdi rimasti in città e prevedere una diversa tempistica per quanto riguarda i lavori previsti. In altri termini dapprima si dovrebbe procedere con la nuova sede della scuola media e solo in un secondo tempo si dovrebbe dare inizio ai lavori di ristrutturazione del Palazzo degli Studi. La petizione propone anche – ed è questa un’ulteriore pietra d’inciampo in una vicenda di per sé già complicata – di valutare la possibilità di realizzare il nuovo istituto scolastico nell’edificio dell’ex Macello, oggi in parte occupato dai cosiddetti «autogestiti», discendenti diretti di quelli che una quindicina d’anni fa venivano chiamati i «Molinari». Ipotesi già ventilata anni fa dal Municipio, sollecitato anche da diverse interpellanze sul tema, la prima datata 2005. L’idea alla base di questa

rivendicazione è quella di realizzare una sorta di «cittadella scolastica», perché proprio a fianco dell’ex Macello si trovano già oggi la sede della scuola elementare e quella dell’asilo di via Lambertenghi. Proprio la settimana scorsa, la sinistra cittadina, ha presentato un’altra proposta: realizzare all’ex Macello una «cittadella della solidarietà». Visto l’affollarsi dei progetti, il futuro della scuola media di Lugano centro si è trasformato in un brutto rompicapo, posto nel bel mezzo di un groviglio di interessi: quelli del Cantone – la scuola media è pur sempre di competenza cantonale – quelli dei docenti, dei genitori, del Comune di Lugano, degli autogestiti e più in generale degli abitanti della città, perché in gioco c’è la zona pregiata del parco Ciani ed un eventuale riqualifica dell’ex Macello comunale, oggi struttura fatiscente. Per farsi un’idea più precisa della reale condizione dello stabile, una struttura storica che va conservata nella sua morfologia, il Municipio di Lugano ha promesso un sopralluogo all’inizio del mese di febbraio, dopo che i servizi dell’ammini-

prevista oggi. Sempre di più, mi rendo conto che i miei sospetti sono azzeccati: la visita allo zoo è solo un pretesto; la vera destinazione della giornata è un’altra. Resta da scoprire quale può essere. Uscendo dall’auto, dopo aver salutato quello che ai miei occhi è chiaramente il complice di mio padre, gli spiego che mi sembra giunto il momento di confessarmi la verità. Lui annuisce, sorridendo nuovamente, e apre la porta posteriore del camioncino. A quel punto resto sbalordito, senza parole. Ai miei occhi appare uno stupendo go-kart, pronto per essere pilotato. Dopo un momento di gioioso smarrimento, esclamo esultante: «Sì! Andiamo ai go-kart!» Se fino a quel momento questo era solo un sogno, ora sta per diventare realtà. Dopo un’ora e mezza di viaggio, che sembra non voler finire mai, giungia-

mo finalmente ai bordi della pista. Ai miei occhi, illuminati dell’emozione, appare subito gigantesca. Mi sembra ideale per imparare a pilotare questo piccolo ma affascinante veicolo, per provare l’ebrezza della velocità, per conoscere il funzionamento del suo motore, per capire i segreti del suo telaio e per rendersi conto dei comunque numerosi pericoli connessi. E la giornata, che passa in un batter d’occhio, si rivela veramente bellissima. In serata, una volta rientrato a casa, dopo aver ringraziato mio padre e il fratello della sua fidanzata, non ho più alcun dubbio: il mio hobby dev’essere quello di fare il pilota di go-kart. Nelle settimane seguenti raddoppio i miei sforzi nei lavoretti estivi che sto svolgendo presso la ditta di mia madre. Riesco così a ottenere una valida ricompensa, da utilizzare per cercare di

strazione cittadina avranno redatto un rapporto sullo stato di salute dell’edificio e sui costi di un suo eventuale rifacimento. Dal punto di vista politico si tratterà anche di capire se e come continuare la cosiddetta «via della tolleranza» nei confronti degli autogestiti, adottata volens nolens dall’ex sindaco Giorgio Giudici. Una miccia in più, in una situazione di per sé già sufficientemente infiammata. Alla politica ora il compito di venirne a capo in quello che appare già ora un bel «derby» tra Cantone e Città di Lugano. Con a questo punto un fatto certo: comunque vada a finire si prospettano tempi lunghi, per le discussioni politiche e, quando inizierà la fase di progettazione, per i sicuri ricorsi, sia contro l’eventuale soluzione prospettata dal Cantone, al confine del parco Ciani, sia per qualsiasi altro intervento, nell’ex Macello o altrove. E chissà, tra i bambini dell’asilo di via Lambertenghi c’è forse qualcuno che ha il contrassegno della lumaca, figura che rischia di trasformarsi in un simbolo per questa vicenda a lungo sottovalutata.

I ragazzi si raccontano di Kevin Quarenghi Un piccolo sogno chiamato go-kart

Salve! Oggi vorrei raccontarvi di come un mio piccolo sogno è diventato realtà. Certo non si tratta di uno di quei sogni galattici, particolarmente ambiziosi, che mirano a stravolgere tutta una vita; spesso però, nei fatti, impossibili da realizzare. Questo è un sogno che qualcuno potrebbe considerare modesto, magari troppo legato alla sfera di un divertimento tecnologico e non in grado di coinvolgere altre persone. Per me, però, è particolarmente importante, e questo per diversi motivi, anche affettivi. La sua concretizzazione mi ha riempito di felicità, come poche altre volte. Vi racconto cos’è successo, proprio come l’ho vissuto io. Una mattina presto di un week-end di mezza estate, come ogni due settimane, mio padre viene a casa di mia madre a prendermi. Dopo avermi saluta-

to calorosamente, mi dice di portare il passaporto, perché saremmo andati in Italia a vedere uno zoo famoso. Lo ascolto attentamente, poi eseguo quello che mi chiede, piuttosto contento di andare allo zoo, anche se un po’ sorpreso di partire così presto per andare in un posto in realtà piuttosto vicino. Salendo in auto, lo vedo particolarmente sorridente, cosa che mi fa sicuramente piacere, anche se accresce i miei dubbi sulla vera meta del viaggio che stiamo intraprendendo. Non dico nulla, per non creare scompiglio, e mi siedo al solito posto nell’auto di mio padre, aspettando con crescente impazienza lo svolgersi degli avvenimenti. A un certo punto mio padre rallenta e si ferma in un posteggio, collocandosi proprio dietro a un camioncino bianco. Dall’abitacolo vedo il fratello della sua fidanzata, la cui presenza non era

comprare un go-kart. Resta però ancora da trovarne uno. Proprio alla fine dell’estate, un conoscente si fa vivo, dicendomi che sta cercando un acquirente per il suo go-kart, non volendolo più utilizzare lui, e che è disposto a farmi un prezzo di favore. È la mia grande occasione. Tanto più che mio padre, da parte sua, mi fa sapere che è disposto a concedermi un piccolo spazio nel suo garage, dove potrei depositare il veicolo tra un utilizzo e l’altro. E così il mio piccolo sogno, diventato realtà nel corso di una giornata, può esserlo anche in futuro, almeno ogni volta che avrò la possibilità di andare su una pista a sfrecciare con il mio personale go-kart. Grazie, papà e mamma! Testi corretti dal professor Gian Franco Pordenone


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Società e Territorio Annuncio pubblicitario

Un successo inatteso Videogiochi L’arrivo della nuova

generazione di console avrebbe dovuto essere un evento tiepido e invece i negozi sono stati presi d’assalto. Quali i motivi?

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Filippo Zanoli È sempre interessante quando i fatti finiscono per smentire speculazioni e ragionamenti che, alla vigilia degli eventi, sembravano assodati. Nessuno, infatti, aveva previsto un lancio così prorompente per la nuova generazione di console di Sony e Microsoft eppure è stato un grande, grandissimo successo. Entrambe, in molti casi, erano già esaurite prima ancora di arrivare nei negozi poi, con il Natale alle porte, è iniziata la caccia vera e propria. Grande assente sotto l’albero nostrano, per chi si accontenta dei canali tradizionali ovvio, è la Xbox One che verrà commercializzata ufficialmente in Svizzera solo nel corso di quest’anno. Un successo, ho detto, inaspettato, ma perché? Non è forse una nuova generazione di macchine un evento unico e degno di nota?

La corsa per accaparrarsi le nuove macchine da gioco di Microsoft e Sony ha sorpreso analisti e critici Lo è senz’altro ma, bisogna essere sinceri, tutto lasciava a intravedere se non un flop un’accoglienza tiepida da parte dei consumatori di tutto il mondo, per una lunga serie di motivi. Innanzitutto, come già riportato anche su queste pagine, i nuovi hardware non hanno mai pienamente convinto e hanno trovato aspra opposizione e forte critica da parte del popolo della rete. Niente di nuovo sotto il sole, molte limitazioni e «solo» più potenza di calcolo. In secondo luogo, entrambe uscivano sul mercato senza giochi rilevanti che motivassero in maniera inequivocabile la necessità di acquisto di oggetti dal prezzo assolutamente non anticrisi, oscillante fra i cinquecento e i seicento franchi. Per questo motivo molti videogiocatori accaniti, consigliati anche dalla stampa del settore, avevano deciso di aspettare ancora qualche mese prima di procedere all’acquisto. Si prospettava, quindi, un normalissimo inizio «in salita», vera e propria prassi nella vita di una console. Nemmeno l’esordio di Playstation 3 e Xbox 360 era stato entusiasmante e le due avevano iniziato ad ingranare solamente dopo circa un anno dalla loro messa in pista. Questa volta però non è andata co-

sì, il pubblico ha risposto con inatteso entusiasmo sborsando volentieri i soldi necessari per accaparrarsi la propria scintillante scatola ipertecnologica e alcuni dei giochi disponibili al lancio. Per dichiarazione delle stesse aziende, le due debuttanti a poche settimane dal lancio sono entrate già in più di 4 milioni di case. Dove hanno sbagliato gli analisti e i critici? Hanno sbagliato a sottovalutare tutti quei motivi impalpabili che, volenti o nolenti, spesso finiscono per influenzare il mercato in maniera importante. In primo luogo ha sicuramente influito la «voglia di nuovo» di chi ha nel suo salotto/cameretta la stessa console da sette anni a questa parte: una grande fetta di chi ne ha comprata una nuova era spinto da una forte e sentitissima voglia di cambiare. Quindi, più che ai giochi, era interessato a continuare una narrazione (privata o condivisa con altri), dal presente al futuro del videogioco, abilmente sfruttata in fase di marketing da Sony con una pubblicità emblematica per la sua PS4: La storia visuale di un ragazzo dagli anni ’90 ad oggi, la cui crescita è stata accompagnata dalle diverse versioni della console più famosa di sempre. Passare alla «nuova generazione», quindi, è un modo per continuare quella che, nelle pratiche, altro non è che una tradizione contemporanea. L’effetto novità, inoltre, con il suo alone misterioso (e anche un po’ magico) è inoltre in grado di far svanire qualsiasi dubbio o incertezza sull’acquisto. Ultimo fattore, da manuale di commercio, che ha contribuito al vero e proprio botto è la rarità. Tutti sapevano che il numero di macchine disponibili al lancio erano poche e molte erano già state prenotate. Questo ha reso le nuove Playstation e Xbox ancora più desiderabili, scatenando una vera e propria caccia alla console che ha generato anche poco edificanti speculazioni online. Un imbuto che le aziende hanno abilmente gestito distribuendo in maniera scaglionata e capillare sul territorio limitate quantità fino al raggiungimento della «normalizzazione» post-festiva. Se Sony e Microsoft ridono, piange invece Nintendo che con la sua Wii U ha venduto ben al di sotto delle aspettative. Si prospetta, quindi, un’ottava generazione bipolare con, per ora, un leggero vantaggio in casa Playstation. Insomma, il futuro del gaming è aperto e… tutto è possibile.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 febbraio 2014 • N. 06

Società e Territorio

La casa della memoria Pubblicazioni Un libro del medico inglese Tom Smith sostiene che conoscere i meccanismi della memoria

aiuta ad evitarne la perdita Eliana Bernasconi Succede a volte di ascoltare persone lamentarsi della propria memoria, arrabbiarsi scoprendo che un meccanismo perfettamente funzionante fino a poco tempo prima ora può incepparsi. Vi è chi si innervosisce perché ciò che vorrebbe indicare, il nome di un oggetto, di una persona o di una località, gli sfugge («come si chiama? non mi viene in mente, ce l’ho sulla punta della lingua»). Vi è chi si accorge di non ricordare se ha già preso la solita medicina o meno, chi non sa dove aveva appoggiato le chiavi

Secondo il dottor Smith la memoria non è un patrimonio passivo ma un processo attivo che dura tutta la vita un momento a, chi voleva parlare di una cosa alla tal persona, ma se lo ricorda solo il giorno dopo. Siamo una società che invecchia, aumentano le persone che vedono la loro memoria «perdere qualche colpo». Capita verso i 50 anni, magari prima, magari dopo, ma capita. Di recente (vedi «Corriere del Ticino» del 29.8.2013) anche la scienza lo ha confermato, la rivista «Science Translational Medicine» ha informato della scoperta, da parte del gruppo del Nobel Eric Kandel della Columbia University, della «proteina della memoria», cioè della prima molecola direttamente responsabile della sua perdita. Denominata «RbAp48» questa proteina si riduce con l’età, esperimenti fatti sui soliti topolini hanno dimostrato come immettendo una quantità adeguata di tale proteina nel cervello di un topo anziano si ha un recupero della memoria. Questa diminuzione fisiologica alla quale andiamo incontro con gli anni, chiariscono gli scienziati, non ha niente a che vedere con la famigerata patologia

di Alzheimer. Eppure non poche persone di fronte a lievi défaillance nella loro capacità di ricordare, tendono a entrare in ansia, prevedendo rapidi e catastrofici peggioramenti. Per eliminare tale paura, che ha sperimentato personalmente, il dottor Tom Smith, medico inglese che da anni tiene sul quotidiano «The Guardian» la popolare rubrica Doctor Doctor, ha pubblicato un interessante saggio: Memoria perduta? Come venire a patti con l’età che avanza (Orme editori, collana Tarka). Leitmotiv del libro è uno solo: non perderemo la memoria se non lo vogliamo, non la perderemo nella misura in cui ne conosceremo alcuni meccanismi e apprenderemo come usarli, la memoria è un processo attivo, qualcosa che può essere migliorato a qualunque età, su cui lavorare in continuazione e di cui essere responsabili. La si perde per molte cause, non solo per l’età, può esserci una malattia, una depressione, l’uso di alcuni farmaci, lo stile di vita, il fumo o altro ancora come una forte commozione cerebrale dovuta a un incidente. Di per sé la perdita, continua il dottor Smith, è una caratteristica normale della vita, riempiamo costantemente il nostro cervello di informazioni e inevitabilmente molte resteranno inutilizzate per un sovraccarico di dati. Il libro è comunque ricco di esempi che chiariscono quando si dovrebbe sospettare qualcosa di anomalo, l’inizio di una patologia mentale più seria. Un intero capitolo spiega come si possono identificare questi casi che hanno bisogno immediatamente di un parere del medico. Per organizzare le esperienze della vita e dunque anche per ricordare, il nostro cervello usa una rete di cellule nervose interconnesse che comunicano tra loro attraverso impulsi elettrici e «trasmettitori» chimici posti sulla sua intera superficie, la famosa «corteccia». Collocata in profondità, nella parte centrale del cervello vi è una importantissima «stanza di controllo»,

La memoria può essere migliorata anche con la creatività. (Keystone)

l’ippocampo, così chiamato per la sua forma che ricorda un cavalluccio marino. La scoperta sorprendente è che imparare e conoscere sviluppa e ingrandisce l’ippocampo. A questo proposito Il dottor Smith porta l’esempio

dei tassisti di Londra, costretti quotidianamente a districarsi nell’ardua mappa delle strade: nel 2005 una ricerca scientifica ha dimostrato che i loro ippocampi risultavano più grandi e attivi di quelli di altre persone e che

non era solo la memoria delle strade a migliorare, ma anche la loro intelligenza. I tassisti di Londra ci insegnano che la memoria non è quella che abbiamo, ma quella che creiamo. Per generazioni gli insegnanti delle elementari hanno insistito sulla ripetizione, sulle tabelline, sull’ortografia, sulle poesie studiate a memoria, poi gli anni 80 e 90 accantonarono come superate le vecchie regole educative: basta grammatica, ortografia, numeri, solo «libero apprendimento». Oggi disponiamo di computer per verificare l’ortografia senza il minimo sforzo, ma ci chiediamo se tale abbandono sia stato un vero progresso. La memoria, insiste sempre il dottor Smith, è un processo attivo che dura tutta la vita, non un patrimonio passivo. Il saggio è inoltre ricco di consigli e trucchi davvero divertenti. Volete ricordare nomi e cognomi? Basta usare il metodo delle associazioni: Carlo Forni? pensare a San Carlo che si prepara una pizza; Sara Medici? una ragazza che dovrà consultare dei dottori; Leonardo Bianchi? una persona ammira la Gioconda mentre fuori nevica. Diventerete creativi. A questo proposito una miniera di consigli simili a un gioco ma molto utili si trova anche nei libri di un altro grande studioso ideatore di sistemi per ricordare: Gianni Golfera. Sia Golfera sia Tom Smith consigliano per esempio un antico metodo (risale a Giordano Bruno) per riuscire a ricordare una lista di oggetti, azioni o persone. Basta collocarsi mentalmente nella casa in cui siete cresciuti da bambini. Nessuno al mondo ricorda tanto bene questa casa come voi che ricordate perfettamente il numero dei locali, la forma, la collocazione. In ognuna di queste stanze collocate mentalmente la cosa, l’azione o la persona che volete memorizzare, ripercorrete poi le stanze che ben conoscete e dentro troverete, indissolubilmente legato all’antico ricordo quello nuovo. Provare per credere.

«Abbiamo bisogno di strade e ferrovie» Trasporti Intervista con Bernhard Metzger, responsabile della Direzione logistica

della Federazione delle cooperative Migros

Andreas Dürrenberger La Svizzera è una nazione legata alla ferrovia. Tuttavia, la manutenzione e l’ampliamento di un sistema ferroviario sempre più sollecitato costa parecchi soldi. Il Consiglio federale vuole garantire e ancorare nella Costituzione questo finanziamento grazie a un apposito fondo. Per questo motivo il 9 febbraio prossimo il popolo svizzero sarà chiamato a votare sul progetto per il finanziamento e l’ampliamento dell’infrastruttura ferroviaria, in breve FAIF (leggi anche a pagina 30).

pliamento, ma in una prima fase si tratterà soprattutto di manutenzione. Nel nuovo fondo per l’infrastruttura ferroviaria sono a disposizione 6,4 miliardi di franchi fino al 2025. Il 60 percento di questi soldi saranno utilizzati per la manutenzione e solo circa un quarto per l’ampliamento della rete. La Svizzera è un Paese legato alla ferrovia e dobbiamo prenderci cura di questo eccellente sistema. Grazie al FAIF ciò viene garantito.

L’anno scorso nel traffico passeggeri si sono verificate moltissime avarie e ritardi, al punto che Stellwerkstörung (guasto tecnico) è diventata addirittura la parola svizzera dell’anno. Ne ha risentito anche il traffico merci?

I trasporti delle merci avvengono soprattutto di notte. Sebbene esista un piano orario, esso è comunque meno preciso e quindi gli effetti dei guasti non si ripercuotono allo stesso modo di

quelli che colpiscono l’intenso traffico passeggeri. Tuttavia, stiamo toccando determinati limiti anche nel traffico merci.

in camion all’anno. Sarebbe bello, ma ci si chiede se quei trasporti saranno effettivamente trasferiti dalla strada alla ferrovia.

La situazione cambierà con un ampliamento della rete ferroviaria?

Da parte del settore logistico manca la volontà di passare dalla gomma alla rotaia?

Di certo con un ampliamento potremo eliminare qualche strozzatura. Ad esempio, secondo la Confederazione, il previsto raddoppio dei binari sulla tratta Neuchâtel – Bienne comporta un potenziale risparmio di 100’000 viaggi

Secondo lei, cosa dovrebbe cambiare allora?

Signor Metzger, cosa significa per Migros la votazione sul FAIF?

Da anni siamo di gran lunga il maggior cliente di FFS Cargo. L’anno scorso abbiamo trasportato su rotaia un milione di tonnellate di merci, equivalenti ad oltre 75’000 vagoni merci. Di conseguenza, siamo fortemente interessati ad avere una rete ferroviaria efficiente e riteniamo che il FAIF sia una buona cosa, sebbene il nome di «Finanziamento e ampliamento dell’infrastruttura ferroviaria» sia un po’ fuorviante. Cosa intende dire?

Con il FAIF non si tratta solo di am-

Sicuramente no. Il treno, però, non può soddisfare tutte le esigenze logistiche dei trasporti. Non si tratta soltanto dell’infrastruttura, ma anche dei costi di trasporto e delle limitazioni legate ai tempi. Oggi il traffico merci avviene principalmente su strada e questa situazione resterà immutata anche in futuro.

Collaborazione intelligente: i trasporti su gomma e rotaia devono completarsi a vicenda. (SBB-CFF-FFS)

Abbiamo bisogno di una rete stradale e ferroviaria che funzionino bene. Perciò, analogamente al FAIF, dovremmo mettere a disposizione sufficienti mezzi finanziari anche per la manutenzione e, dove necessario, l’ampliamento della rete stradale. Lo ha riconosciuto lo stesso Consiglio federale, che sta già lavorando a un fondo per le strade nazionali e il traffico d’agglomerato, il cosiddetto FOSTRA. * Redattore di Migros Magazin


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 febbraio 2014 • N. 06

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Società e Territorio Rubriche

Lo specchio dei tempi di Franco Zambelloni Linguaggio e civiltà Seduto al tavolino di un bar ascoltavo distrattamente le frasi di adolescenti in conversazione. Di conversazione, in realtà, ce n’era poca: con più frequenza arrivavano interiezioni oscene – quelle che un tempo si dicevano, con riprovazione, «parolacce». È così: una frasetta e tre parolacce; e qualche bestemmia. E gli amici in ascolto fanno coro. Capita spesso e non può stupire. Chi, almeno da ragazzo, non ha fatto uso di interiezioni volgari con gli amici? Ma due cose mi sembrano strane. Noi, da studenti, si badava che non ci fossero adulti nelle vicinanze che potessero sentire, specialmente signore e signorine; sapevamo, dunque, che le volgarità linguistiche possono offendere la sensibilità altrui e trasmettere un’immagine degradata di noi stessi. Nel romanzo di Federigo Tozzi Con gli occhi chiusi (1915) c’è una donna, Anna, che tiene un’osteria – un luogo dove, tradizionalmente, il tur-

piloquio è di casa. Ma, scrive Tozzi, «quando qualcuno bestemmiava troppo, Anna impallidiva e lo guardava in faccia. Egli rimaneva con la parola in bocca e tutti gli altri tacevano; e la conversazione era cambiata». Ora, invece, nessuno sembra più farci caso: ed è anche vero che il maggior numero di parolacce che ho raccolto in quella permanenza al bar provenivano da voci femminili. Già: le ragazze sembrano più sboccate dei maschi. Forse si battono per la parità dei sessi e addirittura vogliono essere più emancipate dei compagni? Seconda stranezza: le espressioni di volgarità sessuale vengono spesso usate come gettoni polisemici quando non viene la parola giusta – il che accade spesso. Un po’ come agitare freneticamente due dita disegnando virgolette nell’aria per avvisare che si sta dicendo «onesto» ma in realtà si vuol dire «legit-

timo», o «legale», o qualsiasi altra parola che non viene. Dove il lessico è povero, la volgarità supplisce. La lingua, si sa, evolve. Anche nel linguaggio asettico che usiamo comunemente s’infilano inconsapevolmente parole che in origine erano oscene ma che hanno perso il significato originario: «fesseria», ad esempio, rinvia al termine napoletano per indicare l’organo femminile; e «buggerare», preso alla lettera, significa praticare la sodomia. Forse un giorno le interiezioni oscene d’oggi saranno usate con altro senso nelle conversazioni salottiere della buona società. Non è dunque qui il problema. Piuttosto, un problema emerge quando la volgarità inflazionata diventa spasso e presunzione di spiritosaggine. Un’indagine condotta in Italia nel 2003 appurava che nelle trasmissioni televisive italiane veniva detta una parolaccia ogni 21 minuti; e lo stesso studio, condotto

dalla Eta Meta Research, portava a concludere che il fenomeno corrispondeva a una precisa scelta strategica delle reti televisive, con il deliberato obiettivo di aumentare gl’indici d’ascolto, alla ricerca della complicità dello spettatore. Non sorprende: nel 1989 la Mondadori pubblicò un Manuale per insultare meglio; tre anni dopo uscì un Insultario pubblico. Si tratta, in fondo, di libri non privi di arguzia e di ironia, ma testimoniano comunque che l’insulto furoreggia. Una decina d’anni fa la Mondadori pubblicò poi un Piccolo libro degli insulti: un libro tutt’altro che stupido. Il curatore, Beppe Cottafavi, metteva a confronto insulti in uso nella prima metà del Novecento con quelli dei decenni successivi e ne ricavava che anche in questo campo la fantasia si andava impoverendo: quanto più l’abitudine all’insulto dilaga, tanto più l’improperio perde di originalità e di efficacia.

Qualcosa dunque va perduto, e non solo in dignità e decoro. L’impoverimento del linguaggio è di per sé un segno di decadenza, perché solo un linguaggio complesso permette l’espansione del pensiero. Gustavo Zagrebelsky osserva: «Il numero di parole conosciute e usate è direttamente proporzionale al grado di sviluppo della democrazia e dell’uguaglianza delle possibilità. Poche parole e poche idee, poche possibilità e poca democrazia; più sono le parole che si conoscono, più ricca è la discussione politica e, con essa, la vita democratica». Occorre forse aggiungere che la parolaccia può anche costituire uno sfogo liberatorio. Se uno, piantando un chiodo nel muro, si pesta un dito, trarrebbe ben poco sollievo urlando «Perdindirindina!»: serve qualcosa di più forte. Ma, come annotava Umberto Eco, «l’utilità della parolaccia è appunto data dalla sua eccezionalità».

Bahn in inverno è chiusa e andarci a piedi è sconsigliato, si scivola, il ghiaccio. Tra le tante memorabilia in bacheca, diamo notizia, almeno, di un arpione da baleniere-arma del delitto in The adventure of Black Peter, l’antica maglia di rugby a righe rosse e nere del Blackheath (1858) dove ha giocato il dr. Watson, la corrispondenza spedita al 221 b Baker Street alla quale rispondeva un’impiegata di banca, il «Times» del 14 febbraio 1910 dove un corrispondente da Ginevra riportava il bando delle ferrovie svizzere di leggere i gialli. Superata questa anticamera museale, eccoci nel salotto di Sherlock Holmes a Meiringen (592 m), benché la situazione sia da acquario. Colpiscono le iniziali della regina Vittoria sforacchiate sulle vetrate: tra il visitatore e il luogo di partenza di tante straordinarie avventure. Un ornamento realizzato nei momenti di noia dallo stesso Holmes, sparando sulle pareti. La tappezzeria vittoriana, scelta da Mrs Hudson,

la governante, è quella che si poteva comprare all’epoca da Woolams & Co. La maniacalità filologica con la quale è stata ricreata questa stanza bric-à-brac da John e Sylvia Reid è ammirevole. Una scena teatrale senza personaggi, ma con gli oggetti che rimandano agli avventurosi casi vissuti da Holmes e Watson e alle loro abitudini domestiche al primo piano. C’è il violino Stradivari, tazze di tè, il «Times», caminetto, lo scrittoio georgiano dove Watson narrava le gesta di Holmes, le sue armi portate dalla guerra afgana, l’angolo degli esperimenti chimici, il portaburro che serviva per i reperti criminali eccetera. Altre tracce apocrife del pellegrinaggio holmesiano a Meiringen: Hotel Sherlock Holmes, Sherlock alpin club: per il doposcì, una Sherlock Lounge: bar in uno chalet del 1780. E una vera, l’hotel Adler. Anche se di hotel Adler ce ne sono dappertutto, l’unica donna che ha colpito Holmes è pur sempre Irene Adler.

di una causa superiore. Difendere una corretta alimentazione significa impegnarsi sul piano della salute pubblica, su quello della tutela territoriale favorendo i prodotti locali e, in definitiva, su quello della cultura e della civiltà. È un ruolo che può conferire autorevolezza e rappresentatività, di portata nazionale e addirittura internazionale, a chi sa interpretarlo ai più alti livelli. I grandi cuochi figurano, a giusto titolo, fra i cittadini benemeriti, capaci di esprimere il meglio di un Paese, valorizzando un aspetto consolatorio dell’esistenza, trasformando il vizio della ghiottoneria in virtuosa raffinatezza. Ogni Paese vanta i suoi campioni. Attualmente proprio uno svizzero ha raggiunto una fama ormai mondiale: il grigionese Andreas Caminada, che gestisce un ristorante nel castello di Fürstenau, dove per avere un tavolo bisogna prenotare con sei mesi di anticipo. Come avviene a Forte dei Marmi, da Lorenzo, e in altri luoghi consacrati da un culto gastronomico riservato a pochi. Ma, ristoranti stellati a parte, la gastronomia, al pari della moda e del turismo,

è diventata un fenomeno di massa, di cui, proprio negli ultimi tempi, si registrano gli effetti sul piano mediatico. I giornali, persino le cosiddette testate autorevoli, concedono uno spazio crescente, addirittura debordante, alle rubriche di cucina, gastronomia, alimentazione, che dir si voglia. Insomma, il mangiare viene proposto sotto tutti i suoi possibili aspetti. Per non parlare, poi, della televisione dove, a ogni ora, sugli schermi compaiono pentole, mestoli, carni, verdure, pesci presentati da cuochi, che proprio qui conquistano la popolarità di autentici guru. Una trasmissione come Master Chef decreta la loro sorte di «maghi delle padelle», che rivelano i segreti del brodo (che deve bollire per sei ore) e dell’«insalata di radicchio», banco di prova decisivo per il talento culinario, secondo lo chef Carlo Cracco. In pratica, quali saranno poi gli effetti di tutte queste edificanti lezioni? Sarà un’impressione strettamente personale, ma osservando i carrelli, alle casse della Migros, li vedo colmi, in gran parte, di surgelati o addirittura precotti.

Passeggiate svizzere di Oliver Scharpf Il salotto di Sherlock Holmes a Meiringen Alla fine dell’avventura Il problema finale, apparsa nel dicembre 1893 sul mensile «The Strand», Sherlock Holmes muore a Meiringen. Il più grande detective di tutti i tempi, inventato da Sir Arthur Conan Doyle (1859-1930), cade nel baratro della cascata del Reichenbach, avvinghiato in una lotta fatale con il professor Moriarty: il «Napoleone del delitto». Conan Doyle decide di uccidere il suo geniale personaggio per dedicarsi ad altro, tipo studi sullo spiritismo, senza però fare i conti con l’affezionato pubblico. Ventimila lettori disdicono l’abbonamento allo «Strand». Nell’ottobre 1903 Sherlock Holmes ritorna con La casa vuota: si è salvato grazie a qualche cognizione di baritsu giapponese. E così, un freddo pomeriggio ai primi di febbraio scendo alla stazione di Meiringen; comune dell’Oberland bernese di quasi cinquemila abitanti adagiato sul fondovalle pianeggiante dell’Haslital, dove scorre il giovane Aar ora color assenzio. Un

posto dove ho sognato di andare fin dalla mia preadolescenza, epoca in cui ho divorato tutto Sherlock Holmes. Accanto alla stazione, una roulottekebab. Va detto, spesso, i luoghi fantasticati a lungo attraverso i libri, all’inizio, sono un po’ una delusione; come Londra o Parigi del resto, ed è tutto dire. M’incammino sulla Bahnhofstrasse e incontro subito le meringhe in vetrina: Café-confiserie Brunner e Bäckerei-konditorei Frutiger, ex Lüthi. Le meringhe nascono nel 1600 proprio a Meiringen – mutuandone da qui il nome – per mano del pasticcere Gasparini. Intorno tante montagne innevate. Pochi passi ed ecco la statua di Sherlock Holmes; realizzata in bronzo nel 1988 da John Doubleday, idea dell’ex direttore del Parkhotel du Sauvage (1880) e la Sherlock Holmes Society (1951). Seduto dinoccolato su una roccia, braccia conserte, cappotto genere Inverness, cappello deerstalker, pipa calabash. Tre elementi iconici derivati

dalle illustrazioni di Sidney Paget (1860-1908) per lo «Strand». Alle sue spalle, la stravagante chiesetta inglese consacrata nel 1868 a uso dei tanti viaggiatori britannici di quei tempi da queste parti, tra i quali, lo scozzese Conan Doyle. Dal 1991, il suo seminterrato è sede del Sherlock Holmes Museum, dov’è stato ricreato il salotto-studio londinese di Sherlock Holmes al 221 b di Baker Street. Mi siedo lì davanti, panchina stile parchi inglesi, apre alle 16.30. In faccia alla chiesetta-museo c’è una pista di ghiaccio ma pochi pattinano: i genitori spingono i bambini sopra delle foche di plastica. Qui dietro si staglia misterioso il Parkhotel du Sauvage: l’«Englischer Hof» della finzione letteraria dove Holmes e il dr. Watson prendono una stanza il tre maggio 1891. All’audioguida auricolare rinuncio ben presto. Scendendo le scale, riproduzione delle cascate del Reichenbach di Turner, bisogna accontentarsi: la celebre Reichenbachfall-

Mode e modi di Luciana Caglio Dopo gli stilisti è la volta dei cuochi È proprio il loro momento, quello che per una categoria professionale segna l’apice di una notorietà e di un prestigio che rende i suoi esponenti protagonisti delle cronache. Sta succedendo ai cuochi ciò che, negli ultimi decenni, era avvenuto per i sarti, promossi a creatori, a responsabili dell’estetica contemporanea, insomma stilisti, per usare un termine dai connotati persino divistici. Si tratta, infatti, di percorsi paralleli e paragonabili. Al pari dei sarti, i cuochi hanno compiuto un salto di qualità, dal

profilo sociale, tanto da meritarsi denominazioni più gratificanti. Si preferisce chiamarli maestri, chef, artisti della tavola. Non è soltanto una questione di nome, ma anche di ruolo. Oggi, i cuochi, o almeno i più capaci e ambiziosi, si attribuiscono una funzione che supera i limiti tradizionali della gastronomia. E così come per Armani, Prada, Trussardi, e co., la moda non era stata unicamente vestiti, ma socialità, cultura, sport, e quant’altro, alla stessa stregua, adesso, i cuochi considerano la cucina

Andreas Caminada nella cucina del suo ristorante nel castello di Schauenstein a Fürstenau. (Keystone)

un punto di partenza verso orizzonti sempre più ampi e imprevedibili. E, per forza di cose. La materia prima di questa branca, il cibo, è diventata un oggetto di studio esplorato da una scienza in incessante sviluppo, quella dell’alimentazione appunto che ha stabilito relazioni con la medicina, la chimica, la psicologia, l’antropologia, e via dicendo, come vuole l’interdisciplinarità. Fatto sta che un’esigenza primordiale, un tempo soddisfatta con risorse modeste e casalinghe, si è caricata di significati che hanno influito sugli addetti ai lavori del settore creando nuove professioni, i dietisti per esempio, e attribuendo una nuova fisionomia anche alla figura, tradizionalmente bonaria del cuoco, a suo agio in un mondo di pentole, fornelli e ricette per tutti. Ne era stato un esempio il nostro Bigio Biaggi con la rubrica televisiva «Cosa bolle in pentola», a suo modo anticipatrice di tendenza. La sta sostituendo una generazione di cuochi che svolgono, con la dovuta professionalità, una funzione ormai ad ampio raggio: al servizio, per così dire,


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 febbraio 2014 • N. 06

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Ambiente e Benessere Il fascino delle isole greche Hotelplan organizza per tutti i lettori di «Azione» una meravigliosa crociera estiva sulla nave Costa Fascinosa. Il viaggio di gruppo avrà luogo dal 23 al 30 giugno 2014

Un reportage di… tre righe La scrittura di viaggio sintetica propone prima di tutto un esercizio di concentrazione

Antonio Stoppa al Canvetto In una mostra il precursore della divulgazione naturalistica delle nostre montagne

Champagne in via Collinetta Il Federer Fans Club si allarga dopo la vittoria di Stanislas Wawrinka agli Open di Australia pagina 19

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La cardiologa Julija Klimusina. (Vincenzo Cammarata)

Cuore di donna Salute Quello che si dovrebbe sapere sulle malattie cardiovascolari, in una conferenza

organizzata da Forum Elle, giovedì 6 febbraio Maria Grazia Buletti Il cuore è la principale pompa del nostro organismo ed è responsabile dell’apporto di una sufficiente quantità di sangue, dunque ossigeno, a tutti gli organi. Ogni giorno il nostro muscolo cardiaco batte senza sosta da 50 a 90 volte al minuto. Ciò significa circa 100mila volte al giorno e più di 3 miliardi di volte in circa 80 anni di vita. Un vero «atleta», che però potrebbe ammalarsi e quindi non essere più in grado di adempiere questo compito vitale, con la conseguenza di un’insufficiente irrorazione sanguigna di polmoni, cervello, reni, fegato, intestino, eccetera. E se la cardiomiopatia si protrae nel tempo, il cuore si altera in modo permanente mettendo a rischio la vita stessa della persona. Secondo la Società Svizzera di Cardiologia, nel nostro Paese si contano annualmente circa 30mila infarti e le malattie cardiovascolari rappresentano la più frequente causa di morte. «Distinguiamo le malattie cardiovascolari in due grandi famiglie: quelle che colpiscono primariamente il muscolo cardiaco e quelle più frequenti, inerenti le arterie cardiache che nutrono il musco-

lo stesso, il quale di conseguenza, non ricevendo sufficiente apporto sanguigno, si può ammalare», esordisce la cardiologa Fmh Julija Klimusina che ci riassume i principali fattori di rischio delle malattie cardiocircolatorie: «Predisposizione genetica, ipertensione, diabete, fumo, iperlipidemia (ndr: colesterolo alto), alimentazione e stile di vita possono intaccare arterie coronarie e cuore e avere conseguenze gravi o infauste». Non tutti sono coscienti però del fatto che il cuore della donna manifesta i sintomi delle malattie cardiache in modo diverso rispetto a quello maschile: «Di fatto, in Svizzera le malattie cardiocircolatorie rappresentano la maggiore causa di mortalità femminile: nel 2010 le morti femminili dovute a una malattia cardiovascolare rappresentavano il 37,2 per cento, mentre quelle dovute a un tumore erano il 23,3 per cento; mentre il rapporto fra donna e uomo parla del 37,2 per cento di mortalità femminile rispetto al 32,8 per cento di quella maschile». Il cuore della donna è diverso da quello maschile? E soprattutto: l’infarto è davvero un problema solo maschile? I dati statistici dimostrano il contrario.

Come si manifesta quindi nelle donne e come comportarsi in una situazione d’emergenza? Al fine di far comprendere la prevenzione efficace delle malattie cardiovascolari – anche e soprattutto nella donna che spesso ne sottovaluta i sintomi – e per fornire le risposte a queste domande specifiche, giovedì 6 febbraio (alle 20.15, Scuola Club Migros, a Lugano in via Pretorio 15) la dottoressa Julija Klimusina proporrà la serata informativa «Donna & Cuore, quello che le donne dovrebbero sapere sulle malattie cardiovascolari». Organizzata da Forum Elle di Migros Ticino in collaborazione con la Fondazione Svizzera di Cardiologia, questa conferenza ha lo scopo di informare il pubblico femminile sul tema delle malattie cardiocircolatorie, proprio perché la donna stessa spesso tende a sottovalutare una sintomatologia che potrebbe presentarsi atipica rispetto a quella dell’infarto acuto. «Stanchezza generale, sudorazione, dolore addominale superiore o alla schiena, nausea, vomito o svenimento spesso lasciano pensare ad altre cause che la donna interpreta quasi sempre come segnale di affaticamento da lavoro o dallo stress del proprio ruolo. Di con-

seguenza la donna arriva all’ospedale in ritardo per rapporto all’uomo», asserisce la dottoressa Klimusina, spiegando che nel caso dell’infarto acuto «il tempo vale il muscolo salvato: più si perde tempo e peggiore sarà la prognosi». Inoltre, i fattori di rischio nella donna aumentano al di sopra dei 45 anni: «Durante la menopausa diminuiscono gli estrogeni (ndr: ormoni femminili che fungono pure da protezione per il muscolo cardiaco), può aumentare il colesterolo, mentre ipertensione arteriosa, diabete e stile di vita possono essere determinanti insieme al fatto che la donna tende ad attribuire i sintomi della malattia a tutto fuorché al cuore». Dunque, a breve come a lungo termine la prognosi e la mortalità conseguenti alle cardiomiopatie sono nettamente superiori nella donna rispetto all’uomo. A titolo preventivo si può fare parecchio: «Età e fattori ereditari sono fattori di rischio non influenzabili, ma possiamo agire molto su tutti gli altri fattori cosiddetti influenzabili come il tabagismo, l’ipertensione arteriosa, il diabete, l’obesità e quant’altro». Senza sottovalutare che la donna giovane corre un rischio maggiore per tutta una serie di motivi: «Prima della

menopausa, la combinazione della pillola anticoncezionale con il tabagismo può notevolmente aumentare il rischio degli eventi cardiovascolari», mette in guardia la cardiologa che ricorda pure come si sottovaluta la possibilità che una giovane donna possa avere qualcosa al cuore; un atteggiamento che va sostanzialmente riveduto. L’universo femminile può fare tanto per mantenere un cuore sano e per prevenire l’insorgere di una malattia così infausta come la cardiopatia ischemica: «Essere bene informate, un sano stile di vita, che comprenda un’alimentazione bilanciata e un’attività fisica regolare, e il non sottovalutare i sintomi sono già una buona prevenzione che può salvare la vita», conclude la dottoressa Julija Klimusina che, lo ricordiamo, sarà a disposizione del pubblico per la conferenza «Donna & Cuore» organizzata da Forum Elle Ticino insieme alla Fondazione Svizzera di Cardiologia. Informazione

L’appuntamento è per giovedì 6 febbraio, alle 20.15, Scuola Club Migros, a Lugano in via Pretorio 15. L’entrata è libera.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 febbraio 2014 • N. 06

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 febbraio 2014 • N. 06

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Ambiente e Benessere

Viaggi di poche parole

Il cammino infinito

Viaggiatori d’Occidente In Giappone, nel periodo Edo (1603-1867), i brevi haiku

Bussole Inviti a

furono molto usati per raccontare luoghi e incontri, inframmezzandoli alla prosa

letture per viaggiare

«Quando come me, prima di partire, non si sa niente di Compostela, ci s’immagina un antico sentiero che corre fra l’erba, con dei pellegrini più o meno solitari che lo mantengono in buono stato con il loro continuo passaggio. Errore grossolano, subito corretto nel momento stesso in cui uno esce di casa per procurarsi quel documento noto come credencial, indispensabile per accedere agli alloggi per pellegrini! Si scopre allora che il Cammino è oggetto, se non di un culto, quantomeno di una passione, condivisa da molti di coloro che l’hanno percorso. Dietro l’antica via si cela una vera e propria organizzazione: associazioni, pubblicazioni, guide, uffici appositi. Il Cammino è una rete, una confraternita, un’internazionale…»

Claudio Visentin Si può raccontare un viaggio in diciassette sillabe? Sì, se scrivete un haiku. L’haiku di regola è una poesia di tre soli versi, di cinque, sette e ancora cinque sillabe. Tutto è essenziale sino all’estremo, le impressioni fluiscono dirette dall’anima, non c’è spazio per nulla di superfluo o decorativo. L’haiku coglie con estrema precisione un attimo, un’illuminazione, uno stato d’animo indotto dallo spettacolo della natura circostante: il silenzio, la solitudine, la nostalgia…

mirare il plenilunio nelle migliori condizioni. Nel 1689 intraprese un più impegnativo viaggio verso i boschi settentrionali (Lo stretto sentiero verso il profondo Nord), nel corso del quale rifinì e mise alla prova le sue categorie estetiche, scoprendosi sempre più parte obbediente del grande regno della natura. Incontrò la morte in viaggio verso Osaka nel 1694. E la sofferenza fa capolino nel suo ultimo haiku: Viaggiando, malato / la strada dei sogni miei / su una palude prosciugata. Gli haiku furono molto apprezzati in Occidente. Ne compose Jack Kerouac, il cantore del viaggio On the Road negli anni Cinquanta: Gli uccelli cantano / nel buio. / Alba piovosa. Così come lo scrittore argentino Jorge Luis Borges: La luna nuova. / Lei pure la guarda / da un’altra porta. Anche per un «viaggiatore d’Occidente» dei nostri tempi la sfida di raccontare un viaggio in forme brevi può essere appassionante, ispirandosi al modello dell’haiku o ad altre forme di componimento. Ci sono per esempio i romanzi in sei parole, genere nel quale il capolavoro riconosciuto è di Hemingway: «Vendesi scarpine da neonato, mai indossate» («For sale: baby shoes, never worn»). O meglio ancora i «romanzi in tre righe» di Félix Fénéon, critico letterario e d’arte francese che durante la sua vita non pubblicò neppure un saggio ma seppe riconoscere il genio dei pittori impressionisti e di scrittori e

poeti quali Verlaine, Mallarmé, Apollinaire, Rimbaud, Proust. Nel 1906, Fénéon scrisse per il quotidiano «Matin», senza mai firmarli, 1500 «romanzi» costituiti appunto da tra righe ciascuno. Per esempio: «Ieri gara di pesca con la canna nella Sèvre. / 1900 concorrenti hanno gettato l’amo, / 15mila spettatori incitavano il pesce ad abboccare.» La scrittura di viaggio sintetica propone prima di tutto un esercizio di concentrazione: esprimersi in uno spazio estremamente ridotto aiuta a rendere più essenziale la scrittura, a dare il giusto peso a ciascuna parola. Inoltre, pur partendo da così lontano, siamo assai vicini alle forme d’espressione imposte dai nuovi strumenti di comunicazione. Per esempio il piccolo racconto di Félix Fénéon, riportato qui sopra, misura 135 caratteri, poco meno dei 140 consentiti da Twitter. Questo social network di successo potrebbe dunque essere la palestra perfetta per i vostri componimenti di viaggio. Una piccola sfida: provate a raccontare un vostro viaggio applicando la «formula Fénéon», così come fu codificata dal suo inventore. Dedicate una riga per la descrizione del luogo visitato, una per raccontare un evento lì accaduto e l’ultima per l’epilogo a sorpresa. Se non altro – rispetto ad altri mezzi d’espressione come diari, raccolte di fotografie o video – avremo il merito di non chiedere troppo tempo ai nostri lettori… Mandateci i vostri componimenti più riusciti (ambiente@azione.ch)!

Vicky

il cammino di Tôkaidô che, snodandosi vicino al mare, collegava Edo (dove aveva sede lo Shogun, il governatore del paese) a Kyoto, residenza dell’imperatore (vedi «Azione» n. 10 del 4 marzo 2013). Ne trasse un libro di viaggio dal titolo curioso: I ricordi di uno scheletro scosso dalle intemperie (non è da meno un altro suo libro intitolato Ricordi di un bagaglio consumato). Negli anni seguenti viaggi e componimenti poetici si moltiplicarono, a placare i movimenti di un’anima inquieta: il viaggio più poetico fu quello che compì al solo scopo di am-

C Lynn Steele

In ogni haiku troviamo un accenno (kigo) alla dimensione del tempo, quello del componimento o della vicenda in esso narrata. È quasi sempre espresso in forme indirette e raffinate: la fioritura dei ciliegi, le lucciole d’estate, una fredda pioggia autunnale, una festa pubblica che cade in un particolare periodo dell’anno… Per esempio, sapete trovare il kigo in questo haiku? Stanco: / entrando in una locanda / fiori di glicine. Naturalmente è il glicine, che rimanda alla bella stagione. E ancora: Vecchio stagno / una rana si tuffa. / Rumore dell’acqua. Qui è la rana con i suoi giochi primaverili a segnare il tempo. Perché parliamo di questa poesia minima? Perché in Giappone, nel periodo Edo (1603-1867), i brevi haiku furono molto usati per raccontare i viaggi, inframmezzandoli alla prosa. Il maestro di questo genere è l’autore dei componimenti che avete appena letto, Matsuo Basho (1644-1694). Matsuo Munefusa (questo il suo vero nome) dopo un’educazione militare e alcuni anni di servizio come samurai volle staccarsi dal mondo e dalle sue illusioni, diventando un monaco zen. Per lunghi anni visse tra Kyoto e Tokyo, ma fu soprattutto viaggiatore infaticabile e attraverso l’uso dell’haiku seppe creare ritratti di luoghi e incontri perfettamente conclusi. Nell’estate del 1685, Basho compì il tradizionale viaggio al Monte Fuij lungo

Yosa_Buson

Esprimersi in uno spazio estremamente ridotto aiuta a rendere più essenziale la scrittura e anche a dare il giusto peso a ciascuna parola usata

Infinito Cammino. Quando tutto sembra essere stato detto, ecco che un altro pellegrino chiude a chiave la porta di casa, si mette in spalla le sue poche cose e va per le strade del nord della Spagna verso il «Campo della stella» e la fine del mondo, per visitare la tomba di Giacomo. Sempre più spesso lo fa senza una vera motivazione che non sia la curiosità, come Jean-Cristophe Rufin, medico e scrittore, che si lascia plasmare giorno dopo giorno dalla strada sino a concludere: «Partendo per Santiago non cercavo niente e l’ho trovato». E se in un primo momento si guarda il suo libro con sospetto, con il timore che sia simile a troppi altri, si finisce poi per apprezzarlo pagina dopo pagina. Ultimo paradosso: lungo il Cammino si può…pedalare, come sembra dimostrare una fortunata guida giunta alla quarta edizione. Un altro piccolo miracolo.. Bibliografia

Jean-Cristophe Rufin, Il cammino immortale. La strada per Santiago, Ponte alle Grazie, 2013, pp. 208, € 13,90; Riccardo Latini e Mariacarla Castagna, Guida al Cammino di Santiago de Compostela in bicicletta. Oltre 800 chilometri dai Pirenei a Finisterre, Terre di mezzo, 2014, pp. 160, € 18.

Trappole mentali Giochi Come allenare l’intelligenza stimolando ed educando il proprio intuito 1. Giuseppe tiene stretto nelle mani un pallone da basket. Appena allenta la presa, il pallone si dirige verso l’alto, invece di cadere in basso. Come mai? 2. Un commissario di polizia interroga un insigne professore e la sua assistente, sospettati di aver commesso un delitto. L’uomo confessa: «Noi siamo colpevoli», ma l’altra dichiara: «Io sono innocente». Come può spiegarsi un fatto del genere, tenendo conto che entrambi hanno detto la verità? 3. Un valente architetto mette a punto un progetto per evitare il crollo degli edifici in caso di forti scosse telluriche. Il progetto viene messo in opera, ma nonostante la sua oggettiva validità, il numero di edifici lesionati aumenta sensibilmente rispetto al passato. Come mai?

4. Il 22° e il 24° presidente degli Usa avevano lo stesso padre e la stessa madre, ma non erano fratelli. Come mai? 5. Due turisti inglesi girano per Roma; l’inglese più piccolo è figlio dell’inglese più grande, ma l’inglese più

grande non è il padre dell’inglese più piccolo. Come mai? 6. Per questioni di lavoro, ogni tanto il signor Valente Bellocchio deve portare delle lenti a contatto graduate, pur se gode di un’ottima vista. Come mai?

Soluzione

L’intelligenza è un’attitudine di difficile e delicata definizione; una sua componente fondamentale, però, consiste sicuramente nella capacità di saper affrontare la soluzione di un problema, riuscendo a individuare rapidamente lo spazio adeguato nel quale ricercarla, senza farsi condizionare da fuorvianti presupposti. Questa capacità, che in alcuni individui è innata, e che abitualmente viene definita intuito, è legata più a un’adeguata impostazione mentale che a particolari predisposizioni genetiche; di conseguenza, si tratta di un’attitudine che può essere opportunamente stimolata ed educata. Molto spesso, infatti, non si riesce a trovare una soluzione convincente, non perché non si possegga-

no gli strumenti opportuni per farlo, ma perché inconsciamente si tende ad affiancare ai dati di partenza altre ipotesi vincolanti, non esplicitamente enunciate, che finiscono per rendere irresolubile il problema. Per darvi la possibilità di testare il livello del vostro intuito, vi propongo alcuni enigmi piuttosto capziosi, la cui soluzione non necessita di particolari conoscenze, ma della capacità di saper interpretare adeguatamente l’enunciato proposto. Vi consiglio, comunque, in tutti gli eventuali casi in cui non riusciate a trovare la soluzione corretta, di andare a leggere con attenzione quella ufficiale, cercando di individuare (e, possibilmente, di rimuovere…) il vincolo mentale che vi ha indotto a cadere in trappola.

1. Giuseppe si trova sott’acqua. Appena allenta la presa, il pallone sale a galla. 2. L’insigne professore ha parlato, usando il noi di maestà. Di conseguenza, è come sa avesse detto: «Io sono colpevole». 3. Perché, diminuendo il numero di edifici totalmente distrutti, aumenta il numero di quelli solo danneggiati (alcuni edifici che prima sarebbero crollati al suolo, adesso riportano soltanto delle lesioni…). 4. Non erano fratelli, perché erano la stessa persona. Grover Cleveland, infatti, assunse la carica di presidente degli Usa due volte, non consecutive: dal 1885 al 1889 e dal 1893 al 1897. 5. L’inglese più grande è la madre (e non il padre) di quello più piccolo… 6. Il signor Bellocchio lavora in una fabbrica di materiale ottico e, quindi, ogni tanto deve… portare delle lenti a contatto ad alcuni rivenditori.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 febbraio 2014 • N. 06

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Ambiente e Benessere

Un pioniere della divulgazione naturalistica Escursionismo «Sulle tracce di Antonio Stoppani» è il nome della mostra allestita al Canvetto luganese,

che resterà aperta fino al primo di marzo

Marco Martucci Fra le tante sfaccettature affascinanti dei nostri monti c’è anche l’esperienza che si prova, scarponi ai piedi, di non sapere dove si è. Siamo in Svizzera o siamo in Italia? È perfino divertente sorridere di questi confini politici, come quando mi capita di zigzagare giocherellando su qualche cresta lungo la linea di frontiera. Le montagne non conoscono confini, se non quelli di suolo, di vegetazione e di roccia o ancora quelli formati da lunghe incisioni che chiamiamo valli. Di certo nulla ha il sapore di quei confini politici da noi fissati, fra ghiacci e creste conquistati col sangue.

Naturalista, alpinista, ricercatore, divulgatore, appassionato di natura e paleontologia, e anche insegnante: sono solo alcune delle tante facce di Antonio Stoppani Pensavo anche a tutto questo, l’altra sera, durante l’inaugurazione della bella mostra Sulle tracce di Antonio Stoppani – pioniere della divulgazione naturalistica, presentata al Canvetto luganese dalla Fondazione Diamante e promossa dal Club Alpino Svizzero Sezione Ticino con il Club Alpino Italiano Sezione di Lecco. La mostra luganese, che resterà aperta fino al primo marzo, è un riassunto significativo di una più ampia esposizione che il CAI Sezione di Lecco aveva realizzato lo scorso autunno, per i 150 anni del Club Alpino Italiano, fondato nel 1863; lo stesso anno in cui nacque il Club Alpino Svizzero. È anche per questo doppio compleanno che la mostra è stata portata a Lugano, brillante intuizione del nostro Club Alpino. Le montagne, più che dividere, uniscono. Prima della costruzione delle

Ritratto di Antonio Stoppani, penna su carta da spolvero, novembre 2013. (© Silvia Todeschini)

grandi vie di comunicazione di pianura, sono molti gli uomini e le donne che sono transitati a piedi attraverso passaggi – San Jorio o San Lucio per citarne due – oggi frequentati da escursionisti e sportivi. Sulle tracce di Antonio Stoppani – Percorsi fra montagna, scienza e arte in Lombardia e Canton Ticino, così la denominazione della mostra di Lecco. Titolo felice che non divide ma unisce queste nostre terre insubriche, le quali tanto si somigliano, per cultura, lingua, monti, vegetazione e clima. Ecco dunque Antonio Stoppani, figura ottocentesca davvero poliedrica, di cui l’esposizione mette a fuoco, volutamente, solo alcune facce, il naturalista, l’alpinista, la passione per la natura, la ricerca, la paleontologia, l’insegna-

mento e la divulgazione. Conoscevo pochissimo di Stoppani, tante volte avevo visto il suo busto all’entrata del Museo di Storia Naturale di Milano, ma tutto finiva qui. È stata perciò – per me e, credo, per molti – una piacevole sorpresa scoprire, attraverso la mostra e la sua presentazione, un personaggio così importante per le nostre terre e non soltanto. A giusta ragione è stato scelto dal progetto interreg Confini d’incontro. Vie condivise d’arte, storia e tradizioni, frutto della cooperazione transfrontaliera Italia-Svizzera, per sviluppare una rete di itinerari di turismo culturale fra Lombardia e Canton Ticino. E proprio a Lecco, patria natale di Stoppani, è previsto per domenica 23 febbraio un pomeriggio speciale.

Antonio Stoppani: chi era? Eclettico è dir poco! Leggiamo allora qualche notizia dalla sua biografia. Nacque il 15 agosto 1824 a Lecco, quarto di sedici figli. Entrò presto in seminario, fu ordinato sacerdote. Convinto sostenitore dell’unità d’Italia, fu sulle barricate nella Milano delle «Cinque giornate» nel 1848 e aderì, appassionato di montagna, al neocostituito Club Alpino Italiano. Pur mantenendo una solida fede cattolica, preferì dedicarsi all’insegnamento. Nel 1861 gli fu affidata la prima cattedra italiana di geologia presso l’Università di Pavia. Divenne poi professore di geologia all’Università di Firenze e al Politecnico di Milano. Scienziato autentico, Stoppani aveva raggiunto un alto livello in due scienze da poco nate, la geologia e la paleontologia

– ovvero lo studio dei fossili – da autodidatta, attraverso letture, frequentazioni e soprattutto come instancabile percorritore delle sue montagne che amava e indagava nei loro aspetti naturalistici. Sin da giovanissimo girava per le montagne, fu anche sul nostro Monte San Giorgio, cercando rocce e fossili, tanto che qualcuno coniò il termine stoppanizzare, per intendere che, dove passava lui, non restava neppure un fossile. Si può affermare che la ricerca paleontologica in Lombardia nasce con Stoppani, che troviamo fra i fondatori del Museo Civico di Scienze Naturali di Milano, da lui diretto dal 1882 fino alla morte avvenuta nel 1891. Ma Stoppani non fu solo eccellente geologo e paleontologo. I suoi interessi erano vastissimi e fra i suoi amici contava personaggi come Antonio Rosmini, Alessandro Manzoni e Giuseppe Verdi. Fu scrittore prolifico e pubblicò moltissimi libri, dai trattati scientifici alle opere letterarie spesso finalizzate a divulgare in modo semplice ma sempre rigoroso le scienze naturali. Anche in questo, Stoppani fu pioniere, uno dei primi divulgatori scientifici. Celeberrimo è il suo libro Il Bel Paese, opera scientifico-popolare, che divenne un best-seller con oltre trenta ristampe nei primi trent’anni e in cui Stoppani descrive in modo rigoroso e al contempo poetico le meraviglie naturalistiche dell’Italia. Curiosità: nel 1906 un notissimo formaggio venne battezzato con il nome del libro più popolare dell’epoca. Era il Bel Paese che per molti anni portò sull’etichetta, accanto alla carta d’Italia, l’effigie di Antonio Stoppani. Alpinista nel vero senso della parola, Stoppani non fu. Non conquistò grandi vette né aprì nuove vie. Ma, in tempi in cui l’alpinismo era ancora disciplina elitaria riservata a persone facoltose, ebbe un forse ancor più grande merito: quello di comprendere il valore educativo e sociale dell’alpinismo e di diffondere fra la gente il «piacere dei monti».

Il censimento degli equidi Mondoanimale La banca dati sul traffico di animali è uno strumento importante per salvaguardare

la salute di cavalli, pony, asini, muli e bardotti

Da quasi tre anni, in Svizzera vige l’obbligo di registrare tutti gli equini nella banca dati sul traffico di animali (Bdta) e quest’obbligo di notifica si estende a tutti gli equidi: oltre ai cavalli anche pony, asini, muli e bardotti. L’Ufficio federale di veterinaria (Ufv), in comunione con l’Ufficio federale dell’agricoltura (Ufag), ritiene che la loro registrazione consentirà, in futuro, di reagire meglio alle minacce in caso di epizoozie. «Oggi si pone il problema che a fronte di un’epizoozia non si può assolutamente dire quali effettivi sono minacciati e come si può proteggere questi equini», affermano all’Ufv e Ufag. Gli addetti ai lavori spiegano che, al manifestarsi di un’eventuale epizoozia, bisogna essere in grado di dare pronta risposta alle seguenti domande: «Da dove provengono gli equini colpiti? Con quali altri animali sono entrati in contatto? Vi sono altre aziende ad essere minacciate dall’epizoozia?». Proprio grazie ai dati registrati nella Bdta diventa dunque più facile rispondere rapidamente a questi quesiti e si possono di conseguenza attuare le misure mirate a evitare il propagarsi di un’eventuale epizoozia. All’inizio dello

scorso anno è scaduto il termine transitorio per la registrazione di tutti gli equidi alla banca dati, ma fino ad allora si stimava che un terzo di essi non era ancora stato registrato. Di fatto, a fine 2012 dei circa 90mila capi detenuti in Svizzera ne erano stati registrati 52’733. Mentre oggi, a distanza di un anno, i dati indicano che la quasi totalità dei proprietari ha provveduto a registrare i propri animali. Cifre confermate piena-

mente dall’Ufv: «A metà agosto 2013 erano registrati oltre 95’500 cavalli, pony, asini e muli». All’Ufv e all’Ufag ribadiscono che questo risultato rappresenta: «Una lotta efficace contro le malattie infettive tra gli animali, a patto però che i dati siano costantemente aggiornati», e invitano i proprietari di un equide a notificare tempestivamente tutti i cambiamenti che sopravvengono nel tempo.

Lilly M.

Maria Grazia Buletti

Dunque, registrare un equino (o un equide) significa innanzitutto iscriverlo alla banca dati sul traffico degli animali Bdta che si trova su www.agate.ch. Inoltre: «Tutti devono essere muniti di un passaporto e i puledri devono essere identificati mediante microchip». Una volta effettuata la registrazione, i doveri non sono finiti perché alla Bdta vanno notificati anche un’eventuale esportazione, un cambio di proprietario o scuderia e gli altri importanti cambiamenti ed eventi occorsi. Ed è proprio su tutti questi cambiamenti e sulla loro relativa e tempestiva notifica che gli uffici preposti mettono l’accento a inizio 2014, a partire dal cambio di scuderia: «Se un equide è trasferito per oltre 30 giorni in una nuova scuderia o su un nuovo pascolo, occorre inoltrare una notifica di cambio di ubicazione. Lo stesso vale per i trasferimenti all’estero, per cui dovrà essere registrato il Paese di destinazione». Nelle disposizioni vengono altresì regolate le norme di registrazione di vendita e acquisto, in modo che il nuovo proprietario annunci correttamente e tempestivamente l’acquisizione dell’animale. Anche l’importazione di animali che non figurano ancora nella Bdta è soggetta a notifica. E naturalmente, pure la nascita di un puledro deve essere

registrata entro 30 giorni, mentre la giumenta deve ovviamente già figurarvi. All’atto della notifica della nascita, il puledro è sempre registrato come animale da reddito e sta al proprietario notificare l’eventuale cambio dello scopo di utilizzazione, chiedendo la mutazione sulla banca dati da «animale da reddito» ad «animale da compagnia». Ma attenzione: la mutazione non può essere revocata e gli animali da compagnia non possono essere macellati né immessi nella catena alimentare! Merita naturalmente un accurato aggiornamento anche la morte di un equide, sia in caso di macellazione (se si tratta di un animale da reddito) sia per quelli da compagnia. L’aggiornamento costante della Bdta contribuisce a che essa diventi una vera e propria piattaforma per tutte le organizzazioni equine, a tutela dei nostri animali. Inoltre: «Un’identificazione inequivocabile e la registrazione sono anche presupposti importanti per la notifica di trattamenti con medicamenti veterinari e la rintracciabilità delle derrate alimentari di origine animale». L’indirizzo di registrazione è www.agate.ch > Informazioni > Notifica degli animali > Equidi, dove si trova pure un elenco delle organizzazioni riconosciute per il rilascio del passaporto.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 febbraio 2014 • N. 06

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Ambiente e Benessere

Dolci… espressini

Cucina di Stagione La ricetta della settimana

Dessert Ingredienti per 4 persone: 50 g di pasta sfoglia · zucchero ·

1 dl di caffè espresso molto forte · 1 dl di panna intera · 2 cucchiai di liquore al caffè · 30 g di crema alla vaniglia in polvere da cuocere. 1. Scaldate il forno a 180 °C. Stendete la pasta sfoglia su uno

strato abbondante di zucchero in una sfoglia di 5 mm. Ritagliate dalla sfoglia 1 rondella per persona di circa 3 cm. Accomodatele in una teglia foderata con carta da forno. Cuocete al centro del forno per 15 minuti. 2. Mescolate l’espresso con la panna, il liquore e la crema in polvere. Trasferite il tutto in una padella e portate a ebollizione per 2 minuti, mescolando. Distribuite la crema nelle tazzine da caffè o in bicchierini e lasciatela raffreddare. Al momento di servire posate sulla tazzina il coperchio di pasta sfoglia.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 febbraio 2014 • N. 06

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Ambiente e Benessere

Sognando altri colpi grossi Sportivamente Complice il tennis implacabile di Stan Wawrinka contro Rafa Nadal, nella finale dell’Australian

Open vinta dallo svizzero, e lo champagne stappato con largo anticipo nel salone tv del club di Via Collinetta, i soci festeggiano rumorosamente il primo «slam» dell’ex ombra di Roger Federer

Alcide Bernasconi Quella domenica mattina c’era un buon numero di soci del Federer Fans Club di Via Collinetta nel salone della tv. Qualche giovane era riuscito ad alzarsi in tempo per non perdersi i primi scambi tra Stanislas Wawrinka e Rafa Nadal perché i genitori l’avevano costretto a salire in villa, e non mancare di rispetto alla presidentessa che si era data molto da fare per organizzare quel party di cui si era persa l’abitudine da quando Roger Federer usciva troppo presto dai tornei dello slam.

A più di una settimana dallo storico incontro, alcuni momenti rimangono impressi nella memoria dei fan Stavolta ero salito soltanto io, in villa, quando Rafa ha costretto il nostro a tornare negli spogliatoi dopo tre set, senza intervista finale, quella che spetta al vincitore e per la quale Federer aveva ritrovato il gusto, cavando anche un paio di battute esilaranti dal suo repertorio, come nelle occasioni che contano. Riempito il sacco da tennis in un baleno, le racchette infilate alla rinfusa e sopra, forse, il solito asciugamano, da portare a casa o da regalare a qualche sostenitore di riguardo, Roger si era già infilato nel corridoio verso lo spogliatoio, sparendo alla vista del pubblico, mentre Michelle, pensando di non esser vista, si asciugava una lacrima. Quasi impassibili, invece, i volti di Miroslava, moglie del campione, dell’allenatore e consigliere Stefan Edberg, che sembra aver fatto finora un buon lavoro, non fosse che per la vit-

toria di Federer contro Murray. Quanto a me, mi sono limitato a stringere forte la mano a donna Michelle, come sempre al limite del pianto ogni volta che Nadal, o Djokovic e, talvolta, Murray si congedavano da Roger, battendogli una mano sulla spalla, come a dire di non prendersela, che comunque aveva disputato una buona partita. Sapevamo entrambi, donna Michelle ed io (e perfino la governante Victoria) che il destino era segnato, quando quel satanasso di Rafa rispondeva a tutti i colpi. Qualche bella giocata dal basilese bastava appena a strappare un «oh!» di ammirazione del pubblico e di qualche cronista, oltre agli applausi di circostanza. Nadal, una mano ricoperta di bendaggi, i tic rispolverati come nelle migliori giornate e i servizi sempre ad alta velocità, aveva mostrato all’amico Roger che il più forte era sempre lui. Federer doveva fare un ulteriore salto di qualità, per ritrovare quelle risposte che destabilizzavano a volte lo spagnolo. Sorprendendo quasi tutti, ci sarebbe riuscito Stan Wawrinka a suscitare dubbi su dubbi nella mente di Rafael Nadal, in una finale, pur non bellissima, che non potremo però mai dimenticare. Dovevate sentirli, i soci del club – da qualche giorno ormai, ossia dall’eliminazione dell’esterrefatto Djokovic ad opera del vodese nei quarti – il nuovo «Federer & Wawrinka Fans Club». Tifo da calcio o da hockey, voci che si alzavano sempre più col passare del tempo, visto che Victoria, con l’intuito di chi sa fare bene il suo mestiere, aveva già portato in tavola diverse bottiglie di champagne. Di quello buono. Ai fans pareva di sognare: pasticcini preparati ad arte, e quel nettare perlaceo in due versioni, bianco e rosé. Così c’era davvero gusto a seguire la finale.

Wawrinka festeggiato al suo rientro a Ginevra. (Keystone)

Stan sparava i suoi colpi senza alcun timore reverenziale. La sua faccia era quasi impassibile e alcuni lampi nei suoi occhi confermavano che si trattava proprio di lui, non di un automa con le sue parvenze. Il clan di Nadal, in tribuna, abbozzava gesti come per dire a Rafa di non preoccuparsi. Ma bastava guardarli, i maiorchini, per capire che i più in ansia erano proprio loro. Certo, non sto a raccontare ancora l’incontro, a oltre una settimana dal trionfo di Stan, ma l’intermezzo di nove minuti e rotti in cui Rafa aveva abbandonato il campo per farsi curare un dolore improvviso alla schiena, aveva gelato la

sala. A un certo punto Stan è scattato, alzando la voce in direzione del giudice di gara, perché non gli era stato detto che cosa stava succedendo. Abbiamo visto che cosa possa significare, sul piano psicologico, un’interruzione come quella in una finale. Fortunatamente Rafa e Stan sono buoni amici, però Wawrinka per un po’ ha perso il filo del suoi gioco nel terzo set, prima di ritrovare pienamente il controllo della partita nel quarto. Alla fine, battuto 6-3 6-2 3-6 6-3, Rafa ha appoggiato la testa sulla spalla dell’avversario. Non voleva gettare la spugna lo spagnolo e si è perciò battuto a fondo per onorare il vode-

se, la platea, gli organizzatori e Rod Laver, a cui è intitolata l’arena di Melbourne. Mi chiedo che cosa passasse per la testa a lui, uno dei più grandi campioni del tennis mondiale, in quel festival di colpi micidiali, scagliati con violenza, dritti e rovesci per non dire dei servizi sparati come proiettili, scatti, frenate e ripartenze. In questo gioco, logorante quasi come una tortura, che ha messo k.o. Nadal, Laver ha visto comunque benissimo la crescita di Wawrinka, lasciando intendere che le probabilità di successo finale erano altissime per lo svizzero. Ancora un paio di cosette da sistemare, ma questo Stan può vincere altri slam se tiene duro. Era stato o no, Wawrinka, il primo a battere Djokovic e Nadal nello stesso torneo? Eccolo balzare così, Stan, al terzo posto della classifica mondiale, dopo aver impedito al direttore di banca che abita ai piedi della collina, fan del maiorchino ma nonostante ciò socio del club della presidentessa, Michelle, di piantare l’ennesimo alberello di… Nadal per festeggiare il «suo» pupillo. I brindisi sono tutti per Wawrinka. Nel mucchio festante mi limito a un casto bacio su una guancia di Michelle che prima di congedare gli amici, a chiusura della splendida mattinata, dice di augurarsi che Federer ci ripensi e partecipi con Stan all’impegno di Coppa Davis a Novi Sad contro la Serbia. Una Davis, ecco che cosa ci manca. Il vincitore dell’Australian Open aveva o no salvato l’Olimpiade di Federer a Pechino guidandolo quasi nella finale del doppio alla conquista della medaglia d’oro. E, infatti, Roger ci ha ripensato. Il nuovo «Federer & Wawrinka Fans Club di via Collinetta» stringe di nuovo i pugni: ecco giunto il momento di uscire dal torpore, perché il tennis svizzero ha – sembra – ancora qualcosa d’importante da dire.

Giochi Cruciverba Risolvi il cruciverba e, leggendo le lettere nelle caselle evidenziate, troverai un proverbio.

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Scopo del gioco

Completare lo schema classico (81 caselle, 9 blocchi, 9 righe per 9 colonne) in modo che ogni colonna, ogni riga e ogni blocco contenga tutti i numeri da 1 a 9, nessuno escluso e senza ripetizioni.

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27. Riceve l’oro 28. Giungono proprio in centro 29. Gli estremi del Nord 30. In, in francese 31. Tolgono il sonno 33. Pecora, capra 34. Non variabile VERTICALI

1. «Da» in inglese 2. La cultura a Lugano... in futuro 3. Le iniziali del giornalista Giannino 4. Può essere telefonica 5. Lettera dell’alfabeto greco 6. Un numero 7. I bis della salsa 8. Diffusione di liquidi attraverso una membrana

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4 ORIZZONTALI

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1. Nome femminile 5. Risolve problemi di natura ortopedica 9. Un condimento per tagliatelle 10. Ha la criniera sulla schiena 11. Di questo ne è pieno il borioso 13. La lingua dei trovatori 14. Assicura il carico sul mulo 16. Tutt’altro che sommo 17. Canta «Meraviglioso amore mio» 18. Uno strato del nucleo terrestre 19. Non è mai sazia! 20. Si spazientisce facilmente 21. Decora il muro 22. Simulacri 23. Un’agile saltatrice 24. Un figlio di Adamo 26. Fa i cross

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10. L’incitazione per sollevare un grosso peso 12. Uno dei Sette Nani 15. Opera di Giuseppe Verdi 16. Non si possono lasciare a piedi 17. Un cereale 18. Segnano il tempo 19. Messaggero, banditore 20. La stessa cosa 21. Il Paradiso delle Alpi 22. Un trampoliere 24. Bagna Firenze 25. Anagramma di gaio 27. Amò la ninfa Siringa 28. Una sigla dell’Arma dei Carabinieri 30. Preposizione 32. Le iniziali dello scrittore Saba

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Soluzione della settimana precedente

Piante e salute – Frase risultante: Sedative e antinfiammatorie.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 febbraio 2014 • N. 06

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Politica e Economia Olimpiadi invernali a Sochi Avranno luogo dal 7 al 23 febbraio nella città della Russia meridionale. Proteste, critiche internazionali e timori di attentati stanno rovinando a Putin e al suo governo poco liberale la vigilia dei giochi

Obama più ottimista Nel suo consueto discorso sullo stato dell’Unione il presidente americano promette al Paese di voler trasformare il 2014 in un anno di azione, con o senza Congresso, e di ridare vita al sogno americano che si è spento durante i primi anni del suo mandato

Fra gli eredi di Gengis Khan La Mongolia si è aperta al capitalismo, al prezzo di grosse fratture sociali ed economiche

Votazioni federali Finanziamento delle ferrovie e attribuzione dei costi degli aborti al voto il 9 febbraio

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pagine 26-27

In Tunisia è ancora primavera Nuova Costituzione È stata salutata come una pietra miliare della democrazia in Medio Oriente, a differenza

di quella egiziana appena approvata non garantisce alcun privilegio o immunità ai militari Marcella Emiliani Hanno impiegato 2 anni e 3 mesi, ma alla fine i tunisini ce l’hanno fatta. Il 26 gennaio scorso l’Assemblea costituente ha approvato a larga maggioranza (200 a favore, 12 contro, 4 astenuti) la nuova Costituzione che si presenta come la più democratica mai apparsa in Medio Oriente. Considerate le convulsioni delle primavere arabe, il risultato è decisamente positivo. Gli stessi padri costituenti erano consci del buon lavoro fatto e, brandendo la bandiera, hanno festeggiato cantando tutti assieme l’inno nazionale. Vale la pena dunque vedere quale futuro politico è stato disegnato sulla carta per la Tunisia, partendo dal punto dolens dell’islam. La maggior preoccupazione dell’Occidente e dell’opinione pubblica tunisina, di gran lunga la più laica della regione, era che la sharia, ovvero la legge islamica, diventasse la fonte prima-

ria del legislativo. Preoccupazione fondata, visto che la maggioranza dei seggi della Costituente medesima (91 su 216) era occupata da rappresentanti di EnNahda (il Partito della rinascita) dichiaratamente islamico, che ha vinto le elezioni dell’ottobre 2011. Ebbene, anche dentro En-Nahda, ha vinto lo spirito di riconciliazione nazionale e l’islam è stato riconosciuto solo come «religione della Tunisia». Attenzione: «della Tunisia», non dello Stato, che rimane civile, secolarizzato e concede piena «libertà di credo e coscienza» a tutti i suoi cittadini. Questa precisazione, contenuta nell’articolo 6, è importante perché in pratica proibisce l’apostasia. L’apostasia a noi ricorda il Medio Evo ma per i musulmani di oggi è un rischio reale. I takfiristi (takfir in arabo significa il massimo dell’empietà o apostasia, appunto) cioè gli estremisti islamici che si arrogano il diritto di giudicare chi sia o non sia

un buon musulmano, arrivano a condannare a morte chi giudicano apostata. Il povero Anwar Sadat, allora presidente dell’Egitto, il 6 ottobre del 1981 ci rimise la vita per questo, dopo aver fatto la pace con Israele a Camp David nel ’79. Unica concessione ai nostalgici del califfato islamico, l’obbligo per i candidati alle presidenziali (non alle politiche) di essere di fede mussulmana. E visto che i due poli che si stanno azzuffando nelle primavere arabe sono soprattutto i partiti islamici e gli eserciti, andiamo a vedere cosa è previsto per le forze armate. A differenza della nuova Costituzione egiziana, quella tunisina non garantisce alcun privilegio o impunità ai militari, specificando che «l’esercito nazionale appoggia le autorità civili in base ai principi e alle condizioni definite dalla legge». Le Forze armate d’altronde in Tunisia non hanno mai avuto il peso e l’importanza che hanno avuto in Egitto fin dal 1952 e non

hanno giocato alcun ruolo politico nella Primavera dei gelsomini. Hanno anzi protetto la popolazione dagli attacchi delle forze di sicurezza che erano lo strumento principe della repressione di Ben Ali. Tutto sta a vedere quanto saranno forti e salde le istituzioni che l’esercito è chiamato a difendere e coadiuvare. Sotto questo profilo la Tunisia si è dotata di un regime misto che affida l’esecutivo sia al presidente della repubblica che al capo del governo che decidono assieme le linee generali nel campo della difesa, della politica estera e della sicurezza nazionale nel rispetto delle leggi votate dal parlamento, eletto a suffragio universale. Il presidente è eletto per 5 anni e può essere oggetto di impeachment qualora lo richiedano i due terzi del parlamento, anch’esso eletto con un mandato di 5 anni. Sulla carta tutto è stato calibrato perché non si creino centri di potere troppo forti e ci sia un costante monito-

raggio di un’istituzione sull’altra. Insomma un check and balance che – come ha sottolineato l’attuale presidente della repubblica Moncef Marzouki (al centro nella foto) – metta la Tunisia al riparo da altre dittature. Ma, islam a parte, la nuova Costituzione tunisina è stata salutata come una pietra miliare della democrazia in Medio Oriente per il totale rispetto dei diritti umani, civili e politici che proclama, primo fra tutti l’uguaglianza tra uomo e donna che a quelle latitudini suona come iperavveniristica. Detto ciò, nessuno si illude che la nuova Costituzione possa alleviare nell’immediato i gravi problemi economici del Paese e comincia a serpeggiare anche la preoccupazione per la reazione dei partiti islamici «alla destra» di En-Nahda come Hizb ut-Tahrir (Partito della liberazione) o, peggio, delle formazioni salafite jihadiste. Ma intanto la Tunisia ha tracciato ancora una volta la via.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 febbraio 2014 • N. 06

Politica e Economia

È iniziato il conto alla rovescia Olimpiadi invernali di Sochi Si stanno per aprire i giochi olimpici più costosi e rischiosi della storia, sui quali

Astrit Dakli Se non fosse in gioco la stabilità di mezza Europa, e con essa le prospettive di sviluppo e di uscita dalla crisi economica della stessa Russia, il disastro dell’Ucraina potrebbe tornar comodo a Vladimir Putin. Le fiamme di Kiev hanno infatti spostato l’attenzione generale lasciando per il momento in ombra i problemi che il leader del Cremlino ha di fronte in quel di Sochi, dove dal 7 al 23 febbraio si svolgeranno i giochi olimpici più costosi – e rischiosi – della storia, giochi sui quali Putin ha puntato tutto il prestigio della sua figura facendone l’evento-chiave del proprio mandato presidenziale.

Il tema dei diritti degli omosessuali sta accendendo gli animi dopo la legge anti-gay di Putin All’appuntamento di Sochi, Putin arriva con degli indubbi successi ma anche con parecchi guai e soprattutto con molte incognite aperte, con la possibilità di cambiare completamente il segno al bilancio finale che si potrà tirare quando gli ultimi atleti avranno lasciato il resort sulla costa del Mar Nero per far ritorno a casa. Tra i successi, il principale è indubbiamente l’aver tenuto fede agli impegni presi nel 2007, quando riuscì con uno straordinario pressing personale ad ottenere l’assegnazione dei giochi invernali: nonostante la crisi economica abbia colpito negli anni successivi la Russia in misura superiore alle attese, e nonostante una marea di problemi tecnici, logistici e perfino strategici, ora tutto è pronto a dispetto delle pessimistiche previsioni di molti, in Russia e fuori. La città di Sochi – già fatiscente esempio di urbanizzazione alla sovietica – è stata trasformata in una modernissima e scintillante vetrina della moda e dello sport, alberghi nuovi di zecca hanno in offerta oltre quarantamila posti letto, impianti ultramoderni accoglieranno le prestazioni dei seimila atleti attesi nel centro montano di Krasnaya Polyana, collegato a Sochi e alla costa del Mar Nero da un’autostrada e una linea ferroviaria di nuovissima costruzione: le basi materiali per lo svolgimento di giochi olimpici nel modo migliore ci sono insomma tutte – e non era un risultato scontato. Ma sull’altro piatto della bilancia ci sono comunque guai non risolti, o addirittura provocati proprio da Putin e dal suo modo di gestire la politica nazionale. In primo luogo, la questione della cosiddetta legge anti-gay, che se non ha portato come alcuni temevano (o speravano) a un boicottaggio dei giochi come quello che seguì l’invasione sovietica dell’Afghanistan nel 1979, mettendo in crisi i giochi olimpici estivi

di Mosca 1980, porterà comunque a proteste e contestazioni durante le prossime settimane. La legge in questione, ricordiamo, non mette fuorilegge i gay né considera reato le relazioni tra persone dello stesso sesso – come alcuni in Occidente con ignoranza sostengono – ma prevede il divieto di svolgere «propaganda omosessuale» in pubblico in modi e luoghi dove essa possa essere recepita da minorenni. In pratica essa mette al bando le manifestazioni del gay pride e consente di sanzionare chi per esempio esibisca in pubblico simboli legati al movimento gay. Come conseguenza collaterale della stessa legge, le autorità russe hanno imposto uno stop alle adozioni di bambini russi verso quei Paesi dove è legale il matrimonio fra persone dello stesso sesso. Ci sono state fortissime proteste in Europa e negli Stati Uniti riguardo questa iniziativa, fortemente voluta dalla Chiesa ortodossa e da una parte significativa del partito Russia Unita, ma Putin l’ha voluta confermare e difendere ad ogni costo (pur insistendo sul fatto che ai giochi di Sochi «saranno benvenuti e tutelati tutti gli atleti e gli spettatori, senza riguardo ai loro orientamenti sessuali»); è certo che durante le due settimane dei giochi sia alcuni atleti sia gruppi di visitatori stranieri insceneranno proteste e manifestazioni spiacevoli per il Cremlino. Più in generale, Putin arriva all’appuntamento olimpico con addosso un vespaio di critiche internazionali per l’atteggiamento autoritario e assai poco liberale del suo governo: anche per depotenziare queste critiche il leader russo ha voluto in dicembre un’amnistia che ha fatto uscire dal carcere migliaia di detenuti tra cui – non a caso – tutti i più noti in Occidente, dall’ex re del petrolio (tramutatosi in filosofo e politico liberal) Mikhail Khodorkovskij alle ragazze del gruppo Pussy Riot, Marija Alyokhina e Nadja Tolokonnikova. Pur apprezzata, questa misura di clemenza non ha ovviamente fermato le critiche e le accuse di autoritarismo. Il punto più critico comunque, dove si concentrano le maggiori incertezze e i maggiori timori, più che le proteste e le critiche, resta quello della sicurezza. Nonostante un enorme spiegamento di forze in tutta la regione, il Cremlino non sembra pienamente in grado di garantire che i giochi non saranno in qualche modo toccati dal terrorismo separatista e islamista, fattosi molto attivo negli ultimi tempi, con il suo massimo esponente, l’«emiro» ceceno Doku Umarov, che ha esplicitamente invocato la necessità per i gruppi estremisti attivi nella regione di colpire proprio le Olimpiadi invernali e la loro macchina organizzativa. In questi sette anni passati da che i giochi sono stati assegnati a Sochi, poco o nulla è stato fatto dalle autorità di Mosca per curare politicamente e socialmente il tumore che da un ventennio avvelena Caucaso: né investimenti per creare posti di lavoro né negoziati per coinvolgere i gruppi radicali, né misure per combattere la corru-

Keystone

il presidente russo Putin ha puntato tutto il prestigio della sua figura facendone l’evento-chiave del proprio mandato

zione e l’arbitrio che imperano nella regione. Al contrario, in molti casi la valanga di denaro (50 miliardi di dollari, secondo i calcoli più aggiornati) abbattutasi su Sochi e dintorni ha alimentato corruzione e mafie, mentre a lavorare nei cantieri venivano chiamati – a salari bassissimi e in condizioni semi-schiavistiche – operai centroasiatici importati a intere squadre da organizzazioni malavitose. Il notissimo blogger Aleksej Navalny, diventato ormai da tempo un vero e proprio leader politico dell’opposizione, ha pubblicato proprio alla vigilia dei giochi un poderoso dossier sulla corruzione, gli imbrogli e i furti che hanno contraddistinto la preparazione

delle Olimpiadi invernali, portando nelle tasche private di un pugno di oligarchi molto vicini a Putin e all’entourage del Cremlino un buon terzo dei soldi pubblici spesi dallo Stato. Ovviamente le autorità hanno negato totalmente le affermazioni di Navalny, sostenendo che in realtà i costi dell’operazione Sochi 2014 sono stati largamente inferiori a quanto detto dai critici. Sochi è a pochi chilometri dalle repubbliche caucasiche ribelli – nonché dall’Abkhazia in lotta con la Georgia, ma questa è un’altra storia – e si trova di fatto nel territorio che due secoli fa era la patria dei circassi islamici, poi sconfitti e costretti alla diaspora dai generali dello zar con lunghe e sanguinose guer-

re. Umarov ha parlato di «danze sataniche sulle tombe dei nostri antenati» per definire i prossimi giochi; e anche se secondo alcuni lo stesso Umarov è ormai morto e in suo nome parlerebbero altri, è chiaro che il pericolo esiste. Nelle scorse settimane per ben tre volte la grande città di Volgograd, nel sud della Russia e relativamente vicina al Caucaso, è stata colpita da attentatori suicidi, con un pesantissimo bilancio di vittime (35 morti), senza che l’imponente presenza della polizia e dei servizi di sicurezza riuscisse né a impedire gli attentati né a mettere poi le mani sugli organizzatori. Logico temere che altri attacchi, contro gli obiettivi più disparati, possano verificarsi durante i giochi. Annuncio pubblicitario

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Politica e Economia Obama è passato all’azione alzando il salario minimo per i dipendenti dell’Amministrazione federale. (Keystone)

Obama, il sogno e la promessa Discorso alla Nazione Il presidente americano annuncia che il 2014 sarà l’anno della svolta: in parte per infondere

ottimismo e in parte per scrollarsi di dosso l’immagine di presidente dalle promesse deluse Federico Rampini «Breakthrough year»: l’anno della svolta. Barack Obama è più che ottimista, quasi trionfale nell’annunciare un 2014 che segnerà la riscossa americana. «Quest’America affronta il XXI secolo in una posizione più forte di qualsiasi altra nazione». Nel suo discorso sullo Stato dell’Unione, pronunciato nel consueto appuntamento annuo a Camere riunite e in diretta su tutti i network tv, il presidente elenca con puntiglio una lunga serie di successi, molti dei quali si sono accumulati sotto la sua Amministrazione. «Abbiamo la più alta percentuale di neolaureati da più di tre decenni. Otto milioni di posti lavoro creati in quattro anni, la disoccupazione più bassa da cinque anni. L’indipendenza energetica sempre più vicina. Il deficit pubblico ridotto di metà». Un elenco di forze che viene suggellato da questo sorpasso verso la grande rivale: «Non è più la Cina la principale destinazione degli investimenti esteri, è l’America». Obama rivendica una situazione davvero eccellente, almeno se paragonata con il resto del mondo: anche se non lo dice, è evidente il confronto con l’Europa stagnante, con tante potenze emergenti in affanno e afflitte da recenti fughe di capitali.

La situazione è paradossale: l’America torna ad essere la locomotiva della crescita globale, tuttavia la popolarità di Obama è ai minimi storici L’iniezione di ottimismo è necessaria in una fase paradossale in cui l’America torna ad essere la locomotiva della crescita globale e tuttavia il suo presidente è ai minimi di popolarità nei sondaggi. Nell’ultima inchiesta demoscopica del «Wall Street Journal» il 61% si dice «insoddisfatto» per la situazione economi-

ca, anche se il 71% si dichiara almeno parzialmente soddisfatto per la propria situazione personale. Dopo averne elencato le forze, ecco i punti deboli degli Stati Uniti secondo lo stesso Obama. La politica è al primo posto. Un sistema di governo che non è stato all’altezza dei suoi compiti. «Trasformiamo questo 2014 in un anno di azione», esorta Obama. Poi spiega che lui è pronto a farlo da solo, con o senza Congresso. Il tema centrale, quello che spiega la stessa impopolarità del presidente pur in una fase di ripresa, è la rottura del Sogno americano. «Ancora prima della Grande Recessione – spiega Obama – profonde trasformazioni tecnologiche e la globalizzazione avevano eliminato molti posti di lavoro ben remunerati». Descrive così questa ripresa economica diseguale e ingiusta: «I profitti delle imprese non sono mai stati tanto alti, eppure molti salari sono fermi. La mobilità sociale non è più quella di una volta. Nel mezzo di una crescita troppi lavoratori fanno fatica a tirare avanti». Il compito della politica, sottolinea, deve essere quello di «rovesciare queste tendenze». Ed ecco la sua sfida al Congresso: «Ogni volta che potrò migliorare le opportunità degli americani senza passare attraverso l’iter legislativo, io lo farò». Una promessa alla sua base, una minaccia alla destra repubblicana. È il caso del salario minimo legale, dove lui passa all’azione da subito. Più volte Obama ha cercato di fare approvare dal Congresso un aumento del minimo retributivo, senza successo. Ora si muove da solo, laddove questo è possibile: alza da 7,25 a 10,10 dollari l’ora il minimo salariale almeno per i dipendenti di quelle aziende che lavorano per l’Amministrazione federale. È un gesto importante, che comincia con i neoassunti e al termine alzerà le buste paga per centinaia di milioni di americani. Guardiani, addetti alla sicurezza, uscieri, muratori, camerieri: come dice il presidente, citando un esempio fra tante mansioni date in subappalto a ditte esterne, «non è ammissibile che chi cucina i pasti per le nostre truppe sia co-

stretto a vivere ai margini della povertà». Una legge varata dal Congresso avrebbe ben altra portata, certo: si applicherebbe a 17 milioni di lavoratori. Impossibile farlo, per il no della destra. E allora ecco «Obama l’unilateralista», come lo definiscono i repubblicani. «L’attuale minimo – incalza lui – è del 20% inferiore rispetto ai tempi in cui era presidente Ronald Reagan». Non a caso cita in questo passaggio il leader storico della rivincita conservatrice: oggi un partito repubblicano che si è spostato molto più a destra di Reagan, è l’ostacolo per tutte le riforme. «Date un aumento all’America», invoca Obama mentre lo applaude in piedi solo metà del Congresso: i suoi. Segue un elenco dettagliato di atti che Obama indica come i passaggi essenziali per consolidare questa ripresa e renderla più equa nella ripartizione dei benefici. «Eliminiamo i privilegi fiscali che incentivano le nostre multinazionali a delocalizzare il lavoro all’estero. Usiamo il gettito recuperato da questa elusione, per ricostruire le infrastrutture. Rovesciamo i tagli ai finanziamenti pubblici per la ricerca (voluti anche questi dalla destra repubblicana, che ha la maggioranza alla Camera, ndr)». C’è un rinnovato impegno per l’ambiente: Obama s’impegna a usare il suo potere esecutivo per imporre nuovi e più severi limiti alle emissioni di CO2 da parte delle centrali elettriche, attraverso regolamenti emanati direttamente dall’Environmental Protection Agency. «Il cambiamento climatico è un fatto. I nostri figli ci chiederanno se noi abbiamo fatto tutto quello che potevamo per salvare il pianeta». Rilancia l’obiettivo di una riforma delle leggi sull’immigrazione, «perché quelli che vengono qui per studiare e lavorare rendono l’America più attraente». Incassa l’appoggio dei chief executive di grandi imprese che sottoscrivono un impegno a «non discriminare nelle politiche di assunzione coloro che sono rimasti disoccupati per lunghi periodi». Annuncia un altro piano condiviso con le grandi imprese hitech: «Apple, Microsoft, Verizon e altri offriranno gratis a 20 milioni di studenti

l’accesso alla connessione Internet a banda larga nelle scuole». Un obiettivo riguarda la parità femminile: «Troppe politiche aziendali sembrano prese da un episodio di Mad Men (la celebre serie televisiva ambientata negli uffici aziendali degli anni Cinquanta, ndr), le donne devono avere retribuzioni eguali a parità di lavoro, e non devono essere penalizzate quando hanno figli». Il messaggio centrale resta quello sulla ripresa diseguale. Obama dà la linea ai democratici, in vista delle elezioni legislative di novembre. La battaglia sarà tutta in salita, e tuttavia il presidente è convinto che il tema sociale sia quello vincente. A condizione di non declinarlo in modo ostile, punitivo. «Noi americani non abbiamo risentimenti contro chi ha successo. Ma nessun cittadino che lavora a tempo pieno dovrebbe avere una famiglia che vive nella povertà». La politica estera occupa uno spazio ridotto. Ma Obama non rinuncia a ribadire la sua richiesta al Congresso, più volte rilanciata e sempre respinta: «Chiudiamo Guantanamo. L’America è più forte e più sicura quando è coerente con i valori in cui crede». Per la stessa ragione annuncia di avere deciso dei limiti all’uso dei droni, e richiama la riforma avviata per ridurre le attività di spionaggio della National Security Agency. «I cittadini ordinari non dovrebbero sentirsi minacciati nella loro privacy». Annuncia che porrà un veto se i repubblicani dovessero mandargli una legge che inasprisca le sanzioni sull’Iran, boicottando così il dialogo in atto fra Washington e Teheran. Il senso di questo discorso sullo Stato dell’Unione è duplice. Da una parte Obama usa una delle occasioni più solenni a disposizione del presidente, per fare una «pedagogia dell’ottimismo», infondendo fiducia in un’opinione pubblica americana che non «sente» la ripresa in atto. D’altra parte tenta disperatamente di divincolarsi dalla sua immagine di presidente dalle troppe promesse deluse: e mentre galvanizza le truppe del partito democratico in vista del voto di novembre, deve rassicurare

sul fatto che non passeranno altri tre anni del suo mandato in un estenuante gioco di veti incrociati con la destra. Il discorso del presidente sullo Stato dell'Unione è una confutazione del «teorema Electrolux» (per citare l’azienda di elettrodomestici che in Italia propone un brutale ridimensionamento dei salari operai), quello cioè secondo cui la globalizzazione impone una rincorsa al ribasso verso i concorrenti più poveri, i salari più bassi, le nazioni con meno diritti. Obama rivendica il fatto che la sua America torna ad essere la prima destinazione degli investimenti internazionali, strappando alla Cina questo primato. Esalta il capitalismo illuminato, quello che «il salario minimo lo aumenta autonomamente, senza aspettare il governo». La sua strategia per una ripresa sostenibile passa attraverso l'aumento delle retribuzioni più basse: è la lezione di Franklin Roosevelt nel New Deal, il potere d’acquisto diffuso come antidoto alla depressione. Il Sogno Americano da ricostruire, eccolo nelle sue parole: «Io credo che qui in America il nostro successo non deve dipendere da come siamo nati, ma dalla nostra etica del lavoro e dall’ambizione dei nostri sogni. È questo che attirò qui i nostri antenati. È così che la figlia di un operaio oggi è chief executive di General Motors, il figlio di un barista è presidente della Camera, e il figlio di una mamma single è il presidente della più grande nazione del mondo». Non sfugge ai commentatori la sottile distinzione tra Obama e una nuova star del suo partito, il neosindaco di New York Bill de Blasio. Il presidente non vuole insistere troppo sul tema delle «diseguaglianze», perché la lotta alle ingiustizie evoca in una parte degli elettori moderati dei temi tabù: «lotta di classe», egualitarismo, socialismo. Meglio quindi affrontare lo stesso tema sul versante positivo e costruttivo, cominciando con un gesto concreto a favore dei più deboli, dei lavoratori meno remunerati. Migliorare la condizione di chi sta in basso, è un approccio meno divisivo rispetto alle tasse sui ricchi.


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Politica e Economia

La statuta di Marco Polo nel centro città.

stro sogno è di rendere stanziale il novanta per cento della popolazione entro il 2030». Una follia, che alimenta tuttora le file dei nostalgici del sistema comunista e delle sue «regole». Se nei secoli la popolazione mongola pensava di essere sopravvissuta al peggio, non aveva ancora conosciuto la razzia del capitalismo energetico. A poco più di vent’anni dalla caduta del comunismo, a dieci anni dall’avvento di un liberismo sfrenato e brutale, che prospera nella più cinica mancanza di valori, di regole e di rispetto degli uomini e della natura, un Paese che potrebbe essere ricco e autonomo è ostaggio di una «élite» mongola (spesso composta dagli stessi politici che hanno retto per anni le sorti del Paese, o dai loro insaziabili rampolli) che pasteggia ostentatamente a champagne, cena in esclusivi ristoran-

Una Mongol-fiera Matteo Bellinelli, giornalista e regista attivo per molti anni preso la RSIRadiotelevisione svizzera, è autore di decine di documentari e di moltissimi ritratti di personalità del mondo della cultura, delle arti, dello spettacolo e della politica, realizzati in tutti i continenti (o quasi). Alla Mongolia ha dedicato tre documentari, tra cui «La mensa e il gregge», che ha dato vita all’Associazione dal nome omonimo (www.lamensaeilgregge.ch), attiva in Mongolia dal 2004 al fianco di allevatori nomadi e dove ha costruito scuole e asili per bambini particolarmente poveri. Per festeggiare i suoi dieci anni di vita, il 7-8-9 febbraio l’Associazione «La mensa e il gregge» organizza presso «Jazz in Bess» (Via Besso 42a, 6900 Lugano) un evento di musica jazz e multi-culturale ricco di sorprese, con un’esposizione-asta di opere di artisti svizzeri e italiani. L’entrata è libera.

ti francesi, viaggia su enormi fuoristrada blindati e abita in ville degne della California più volgare e pacchiana. Una concentrazione di esibizionismo e pessimo gusto difficilmente eguagliabile. Al loro fianco, una schiera di uomini d’affari e funzionari occidentali privi di scrupoli che ogni mese guadagnano decine e decine di migliaia di euro, vive in appartamenti sontuosi, sorseggia vini francesi pregiati e alimenta il mercato della prostituzione. Così si consuma la grande spartizione della Mongolia, in silenzio e sotto gli occhi complici della comunità internazionale. Un «sistema» (quello comunista) che, pur arricchendo e perpetuando il potere della nomenclatura, assicurava un minimo vitale a tutta la popolazione mongola, e persino un’ipotesi di futuro, in due decenni è stato sostituito da un «sistema» opposto ma simile, nel quale il 5% della popolazione controlla il 95% delle ricchezze del Paese. Che sono vertiginose: nel deserto del Gobi compagnie australiane, cinesi, giapponesi sfruttano avidamente il secondo giacimento di rame e oro del pianeta, 450 mila tonnellate di rame e centinaia di chili di oro all’anno per il prossimo mezzo secolo. E poi uranio, ferro, carbone, gas e «terre rare» fondamentali per l’industria globale. Un patrimonio stimato in oltre tremila miliardi di euro, da cui però pochissimi cittadini mongoli potranno trarre beneficio: il 40% è disoccupato e vive sotto la soglia di povertà, il 35% vive con 50 franchi al mese e, secondo la FAO, l’organizzazione della Nazioni Unite per l’alimentazione, un terzo della popolazione è sotto alimentato. Sette maschi su dieci sono alcolizzati. «Togliete l’alcol alla Mongolia, avrete il più bel Paese del mondo», mi disse una volta una religiosa francese che ha consacrato la sua vita ai poveri di Ulaanbaatar. Una brutta città, Ulaanbaatar, terribilmente inquinata, ostaggio di un traffico selvaggio e anarchico, sommersa in dieci anni dall’arrivo di centinaia

Ulaan Baatar: un tempio buddhista sovrastato da nuovi palazzi.

La sterminata periferia di Ulaanbaatar, detta Gher district; sullo sfondo si intravvedono i palazzi della città moderna.

di migliaia di diseredati provenienti dalla steppa e dal Gobi: dei suoi 1’200’000 abitanti il 60% vive nel «Distretto delle gher» (le tende-abitazioni tipiche della Mongolia), una bidonville tentacolare e insalubre, che circonda avvolge e soffoca la città. Con centinaia, migliaia di bambini che preferiscono vivere nelle fognature della città e «farsi» di droghe poverissime e mortali, piuttosto che subire le violenze di padri alcolizzati. Il tasso ufficiale (e molto pubblicizzato) di crescita del PIL mongolo nel 2013 è stato del 15%, con punte mensili del 18%, ma l’inflazione cresce di giorno in giorno e il costo della vita ha raggiunto livelli insostenibili per questi «miserabili» del ventunesimo secolo. Una giovane nomade del Gobi un giorno mi disse: «Io sono felice di essere la moglie di un allevatore. Qui molte

donne si lamentano delle nostre condizioni di vita; lo riconosco, sono dure e difficili. Lavoriamo molto e abbiamo poche comodità. Sono stata anch’io in città, ho visto come si vive a Ulaanbaatar. Hanno tutto, o quasi. Ma non la vita che voglio io. A me basta che nella nostra gher ci siano sempre una candela, i fiammiferi e il sale. Al resto penso io». Gli osservatori mongoli più attenti all’evoluzione della propria società, preoccupatissimi, credono che i prossimi 3-5 anni saranno decisivi: la folle corsa della Mongolia verso il capitalismo è nelle mani di una classe dirigente tra le più corrotte del mondo (il Paese è al 120° posto su 183 nella classifica di «Transparency international» sulla corruzione percepita nel settore pubblico). Se non si farà nulla per fermarla, il destino di un Paese straordinario è segnato.

A sinistra, nomade mongolo kazako nella sua gher, a destra allevatore nella steppa.

Intanto, l’imponente statua di Lenin, che troneggiava nel centro della città, di fronte all’albergo costruito nel 1961 per ospitare i dignitari sovietici in visita, è stata rimossa: al suo posto, a poche decine di metri di distanza, davanti alla modernissima Central Tower di vetro azzurro che ospita le lussuose boutique di Vuitton, Zegna e Armani (guardia armata alla porta, ricevono solo su appuntamento) è comparsa una (brutta) statua di Marco Polo. Segno dei tempi: il grande viaggiatore veneziano che aprì la strada dei commerci tra l’Occidente e la Cina, passando proprio per la Mongolia, è diventato il suo nuovo luccicante punto di riferimento. Poco lontano, nella steppa, donne e uomini calzano ancora, come nei secoli i loro avi, stivali di cuoio con la punta rivolta verso il cielo. Per non ferire la terra.


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Politica e Economia

Votazione federale Sull’immigrazione di massa, favorevoli

e oppositori dell’iniziativa si servono degli stessi simboli, ma i toni dell’UDC denotano un mutamento di strategia

Johnny Canonica Da una parte un albero di mele, le cui radici stanno sgretolando la Svizzera. Dall’altra un boscaiolo che sta abbattendo un melo pieno di frutti. Sono le due immagini che i promotori dell’iniziativa UDC «contro l’immigrazione di massa» (l’albero «sgretolante») e chi invece la combatte (l’albero «in via di abbattimento») hanno scelto per affrontare la campagna di voto sulla proposta democentrista. E se fra meno di una settimana sapremo come sarà andata a finire (cioè se l’iniziativa sarà stata accolta o respinta da popolo e cantoni), quel che è già certo è che le due campagne hanno fatto discutere dentro e fuori i due fronti.

Non più corvi o pecore nere, solo slogan pacati: l’UDC intende così conquistare i voti degli elettori moderati Ma cominciamo col parlare della prima delle due immagini che è stata affissa sui muri delle case della Confederazione, e questo ben prima che la campagna in vista della votazione del 9 febbraio prendesse il via. Nel corso dell’estate un manifesto raffigurante un melo pieno di frutti ha fatto la sua comparsa nei quattro angoli della Confederazione, manifesti sponsorizzati da Economiesuisse che ricordavano i benefici per la piazza economica svizzera degli accordi bilaterali e della libera circolazione delle persone. Poi, con l’avvicinarsi dell’appuntamento alle urne, accanto all’albero è comparso un boscaiolo nell’atto di abbatterlo. Un boscaiolo che ha la silhouette del Boscaiolo di Ferdinand Hodler, quadro che tra l’altro troneggiava nell’ufficio dell’allora consigliere federale Christoph Blocher, uno dei padri dell’iniziativa «contro l’immigrazione di massa». Una scelta non casuale quindi quella fatta da chi ha curato la campagna del no, un’immagine che deve far passare il messaggio «l’iniziativa UDC mette in pericolo il successo della piazza economica svizzera e di conseguenza il benessere della popolazione». Tra fine novembre e inizio dicembre un altro melo è cresciuto sui muri svizzeri, quello dei promotori dell’iniziativa. Questo albero, anch’esso ricco di frutti, ha radici rigogliose e forti. Talmente forti che sta sgretolando il terreno su cui poggia, un terreno che altro

non è se non la Svizzera. Se il primo albero, quello di Economiesuisse, vuole rappresentare i vantaggi delle relazioni bilaterali con l’Unione europea per l’economia elvetica, questo secondo rappresenta invece i flussi di persone che vengono in Svizzera per trovare lavoro, flussi che i promotori dell’iniziativa giudicano eccessivi e quindi pericolosi per il benessere del Paese e della sua popolazione. È probabile che chi ha curato la campagna democentrista si sia ispirato coscientemente all’albero di Economiesuisse – un albero, quest’ultimo, che tra l’altro era già stato utilizzato in passato per sostenere in votazioni popolari oggetti attinenti le relazioni bilaterali Svizzera-UE – certo è che facendo uso di questo melo, si è distanziato da un certo stile che l’UDC ha impiegato in passato, anche con successo. Nessuna immagine per così dire violenta – nessuna pecora nera, nessun corvo, nessuna scarpa che calpesta la Confederazione, nessun «losco figuro» che tiene minaccioso un coltello in mano – ma un semplice melo dalle radici rigogliose e lo slogan innocuo e politicamente corretto «l’eccesso nuoce». Uno stile tutto sommato poco UDC. La campagna democentrista non sorprende però con la sua mitezza solo nella forma, ma sorprende anche nei contenuti. Sfogliando il giornale che il partito ha fatto recapitare a tutte le economie domestiche elvetiche per sostenere la propria iniziativa vi sono un paio di cose che balzano all’occhio. In primo luogo la scelta di alcuni argomenti scelti per convincere la popolazione a sostenere la proposta, argomenti già utilizzati in passato dal fronte rossoverde per le proprie battaglie. Pensiamo qui al metro quadrato di terreno coltivabile perso ogni secondo (per la precisione 1,1 m2, come afferma la grafica nel giornale del partito), l’edificazione sfrenata (di alloggi, ospedali, scuole), l’aumento del traffico. Non proprio gli esempi tipici di marca UDC. E poi, secondo aspetto, la mancanza della voce (e del viso) di Christoph Blocher nella stessa pubblicazione. «Questa campagna di voto potrebbe essere il segno di un cambio di strategia del partito», ha affermato un paio di settimane fa Georg Lutz, professore di scienze politiche all’Università di Losanna, in un articolo pubblicato dalla «NZZ am Sonntag». Dopo la sconfitta elettorale del 2011, il partito potrebbe essersi convinto che lo stile del confronto duro, adottato da tempo e che tanti successi gli ha dato, possa essere anche il suo limite. Se grazie a questo stile è

riuscito a raccogliere molti voti di persone scontente della politica, lo stesso non riesce però a calamitare sul partito i voti moderati provenienti da altri partiti. Meglio quindi adottare uno stile più sobrio se si vogliono portare a casa dei successi alle urne (e in parlamento). Uno stile che non è però quello di Christoph Blocher, ed è forse per questo che la sua figura resta in secondo piano in questa campagna di voto. E chissà cosa penserà il «grande vecchio» del partito guardando il melo dalle radici rigogliose, soprattutto se ricorderà la tenaglia che «azzannava» la croce svizzera, l’immagine che aveva accompagnato la sua battaglia condotta nel 1992 (e vinta) contro l’adesione della Svizzera allo Spazio economico europeo. Ma non è perché sia – forse! – in disaccordo con la campagna adottata a sostegno dell’iniziativa contro l’immigrazione di massa che Christoph Blocher abbia mollato il partito. Anzi! Come ammesso da lui stesso alla «Sonntagszeitung» due settimane fa, è praticamente solo lui che sta finanziando questa campagna, avendo sborsato tre milioni di franchi di tasca propria. Molti altri imprenditori democentristi si sono guardati bene dal farlo, forse anche perché tutto sommato contrari all’iniziativa, visto che dalle buone relazioni politiche e commerciali con l’UE ci guadagnano; pensiamo qui al consigliere nazionale bernese Hansruedi Wandfluh o al suo ex collega turgoviese Peter Spuhler; per non parlare di Walter Frey, ex capogruppo a Palazzo federale, che da importatore di vari marchi automobilistici grazie all’immigrazione può sperare in una crescita della sua cifra d’affari e dei suoi guadagni. Nelle ultime settimane però l’UDC ha deciso di non basarsi più solo sul melo per sostenere la sua campagna, due altri tipi di annunci sono comparsi sulla stampa a favore dell’iniziativa. Il primo prevede una popolazione residente di 16,3 milioni di persone e con una maggioranza di cittadini stranieri entro il 2060, il secondo invece (non dell’UDC stessa, ma di alcuni suoi membri riuniti nel Comitato di Egerkingen) si chiede invece se presto il numero di musulmani in Svizzera raggiungerà il milione. Se con i toni politicamente più corretti l’UDC vuole convincere i moderati a sostenere la sua proposta, con quelli da battaglia non vuol perdere i voti conquistati in passato. Soprattutto in questa votazione sull’immigrazione di massa, dove verosimilmente ogni voto a favore (o contrario) conterà. E parecchio.

Cartellone degli oppositori dell’iniziativa contro l’immigrazione di massa: l’albero è l’economia svizzera. (Keystone)

Doppio cuscinetto anticongiunturale Finanza La BNS invita inoltre le banche ad

applicare regole di autolimitazione sui crediti ipotecari per timore di un’eventuale crisi immobiliare. Troppa fretta e troppo zelo?

Keystone

L’albero della discordia

Ignazio Bonoli L’analisi dell’evoluzione del settore dei crediti ipotecari ha indotto la Banca Nazionale Svizzera a chiedere al Consiglio federale di aumentare il cuscinetto anticiclico del capitale proprio delle banche. Il governo ha quindi autorizzato la BNS a chiedere alle banche di aumentare dall’attuale 1% al 2% i mezzi propri sulle posizioni in crediti ipotecari per il finanziamento di abitazioni, ponderati in base al rischio, a partire dal 30 giugno 2014 sul tema, vedasi anche Angelo Rossi a pagina 31). Segni di squilibrio sul mercato del credito ipotecario e, più in generale, su quello immobiliare erano visibili già a partire dal mese di novembre dello scorso anno, quando presso le banche erano in atto crediti ipotecari per 863 miliardi di franchi, con una crescita del 4% rispetto al 2012, mentre la crescita globale dell’economia si assestava attorno al 2% soltanto. L’aumento delle ipoteche concesse a debitori privati, negli undici mesi del 2013, risultava del 3,7% e quello per le aziende perfino del 5,5%. Questa dinamica ha quindi suggerito alla Banca Nazionale di far uso dello strumento anticiclico settoriale a disposizione. Questa possibilità era stata annunciata una prima volta nel febbraio del 2013, con un tasso dell’1%, a partire dall’autunno dello stesso anno (vedi «Azione» del 1.4.13). Anche questa volta la banca centrale concede quindi un lasso di tempo di cinque mesi per adeguarsi alle nuove condizioni. L’attesa, già lo scorso anno, era che questo cuscinetto, accompagnato da misure di autoregolazione da parte delle banche, nella concessione di crediti ipotecari, potesse contribuire ad attenuare il surriscaldamento di questo mercato. Tuttavia queste misure non hanno avuto l’effetto sperato sul mercato immobiliare e gli squilibri si sono accentuati. In realtà però queste prime misure hanno indotto parecchie banche – anche fra le più importanti del settore – ad adottare misure che ne hanno migliorato la solidità. Già questi primi interventi avrebbero perciò avuto l’effetto, nel 2013, di rallentare la crescita dei crediti ipotecari, nonché quella dei prezzi degli immobili, rispetto ai ritmi dell’anno precedente. L’aumento è stato però ancora tale da far temere interventi ben più drastici se la crescita si fosse mantenuta a quei livelli. In un clima congiunturale tuttora caratterizzato da bassi tassi di interesse e da un settore bancario ben fornito

di capitali da investire, senza appropriati interventi si potrebbe correre il rischio di una pericolosa bolla immobiliare. Il cuscinetto immobiliare da solo però non basta per correggere la tendenza e si torna a parlare di regole di autogestione da parte delle banche. Il cuscinetto serve infatti soprattutto a migliorare la resistenza degli istituti di credito in caso di crisi del settore immobiliare. Ha quindi lo scopo di rendere un po’ meno attrattivo per le banche il credito ipotecario rispetto ad altre forme di credito. Non è però sicuro che il raddoppio di questa misura abbia l’effetto sperato. Del resto l’Associazione dei banchieri svizzeri non crede che questi interventi possano servire a calmierare i prezzi sul mercato immobiliare, mentre eventuali effetti rallentatori sulla congiuntura sarebbero ancora più problematici. Sempre secondo i banchieri, il raddoppio del tasso del cuscinetto potrebbe anche avverarsi esagerato e quindi avere effetti negativi sull’intero settore. Il surriscaldamento del mercato immobiliare colpisce attualmente soltanto alcune regioni come l’agglomerato zurighese, l’arco lemanico o l’alta Engadina. Le banche avrebbero preferito essere coinvolte nel processo decisionale, piuttosto che vedersi confrontate con un adeguamento in tempi brevi e con un provvedimento recente, la cui efficacia sarebbe ancora da dimostrare. Sarebbero necessari tempi più lunghi da concedere all’autoregolazione delle banche e consentire di sviluppare effetti constatabili empiricamente sui mercati, prima di decretare misure più severe. Le stesse autorità federali contano molto sull’autoregolazione delle banche. Sono infatti in atto discussioni tra i rappresentanti delle banche, il Dipartimento federale delle finanze, la FINMA e la Banca Nazionale, con lo scopo di migliorare le linee direttrici dell’autoregolamentazione nella concessione di crediti ipotecari. In particolare si vorrebbe limitare, nel caso di abitazioni private, l’indebitamento che, con un interesse calcolatorio del 5%, venga a costare al debitore più del terzo del suo debito. Si vorrebbero inoltre regole più chiare per l’ammortamento. Dal canto suo anche l’Associazione dei proprietari di case si dice preoccupata della decisione, benché ne possa capire le ragioni, a causa della forte crescita dei crediti ipotecari. Teme però che questo intervento possa provocare un aumento dei tassi d’interesse ipotecari.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 febbraio 2014 • N. 06

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Politica e Economia

Nuovo fondo per la ferrovia Votazione federale L’estensione e l’efficienza della rete ferroviaria nazionale impone nuovi investimenti

di 6,4 miliardi entro il 2025. Spese inutili che non migliorano l’autofinanziamento delle FFS, secondo gli oppositori

Alessandro Carli Se non vuole correre il rischio di «perdere il treno», la ferrovia necessita di nuovi investimenti. Il 9 febbraio prossimo, gli Svizzeri saranno chiamati ad approvare l’ennesimo fondo per poter far fronte alle esigenze di sviluppo di questo mezzo di trasporto pubblico. Tra una quindicina d’anni, la domanda di viaggiatori potrebbe crescere del 50%. In una prima fase, entro il 2025, si prevede di investire 6,4 miliardi di franchi. Visto che il nuovo fondo sarà ancorato nella Costituzione, popolo e cantoni saranno chiamati a pronunciarsi. I cittadini dovranno esprimersi anche sulle iniziative popolari «Contro l’immigrazione di massa» (ne abbiamo riferito nell’ultimo numero) e sul «finanziamento dell’aborto» (vedi sotto).

Contestato in particolare il limite di 3000 franchi di deduzione fiscale per le spese di trasporto Negli ultimi decenni, i fondi per il finanziamento della ferrovia sono spuntati come funghi, con molteplici varianti di finanziamento. Il popolo ha più volte approvato progetti infrastrutturali miliardari. Non è tuttavia facile calcolare quanto è finora stato speso per «Ferrovia 2000» (nel 1987 furono stanziati 5,4 miliardi), per la realizzazione delle Nuove linee ferroviarie alpine (nel 1992 il popolo ha accolto un credito di 15 miliardi di franchi), per il successivo Fondo di finanziamento dei trasporti pubblici (Fondo-FTP), con un investimento totale di 30,5 miliardi e per la seconda fase di «Ferrovia 2000», ribattezzata Sviluppo dell’infrastruttura ferroviaria (SIF). Per quest’ultimo, nel 2009 il Parlamento ha iniettato nel Fondo-FTP 5,4 miliardi. Ma i soldi non bastano! Sono infatti previsti nuovi sviluppi, da finanziare attraverso un nuovo unico Fondo per l’infrastruttura ferroviaria (FinFer), ancorato nella Costituzione, e realizzato a tempo indeterminato nell’ambito del finanziamento e amplia-

mento dell’infrastruttura ferroviaria (FAIF). Il FinFer subentrerà all’attuale Fondo per il finanziamento dei progetti d’infrastruttura dei trasporti pubblici (Fondo FTP), che nel frattempo giunge a scadenza. Il decreto federale che istituisce il FAIF potrebbe effettivamente essere accolto il 9 febbraio prossimo da popolo e cantoni, già per il fatto che gli abitanti del nostro Paese sono assidui frequentatori dei treni. In una prima fase, con una spesa di 6,4 miliardi, il progetto FAIF deve dunque garantire loro, entro il 2025, l’efficienza di una rete, oramai satura, con convogli sempre più affollati e prezzi dei biglietti in continuo aumento. È recente l’annuncio del presidente del consiglio d’amministrazione delle FFS Ulrich Gygi che i biglietti del treno aumenteranno mediamente dell’1,5% all’anno fino al 2033 e anche di più con il FAIF. In ogni caso, in questa prima fase d’ampliamento decisa dalle Camere saranno creati i presupposti per poter migliorare l’offerta ferroviaria: aumento della lunghezza dei treni, delle carrozze a due piani e della frequenza dei collegamenti, anche in Ticino. Il progetto FAIF, è un controprogetto diretto all’iniziativa popolare dell’Associazione traffico e ambiente (ATA) «Per i trasporti pubblici», nel frattempo ritirata, poiché i suoi autori si sono detti soddisfatti del «pacchetto» approvato dalle Camere. L’iniziativa ATA voleva attribuire il gettito dell’imposta sugli oli minerali in parti uguali alla strada e alla ferrovia. Il nuovo FinFer sarà alimentato, oltre che dalle fonti esistenti – circa 4 miliardi di franchi all’anno, pari all’80% dei depositi che vi confluiranno – anche da nuove entrate. I mezzi già disponibili provengono dalle risorse generali della Confederazione (2,3 miliardi), dai proventi della tassa sul traffico pesante commisurata alle prestazioni (TTPCP), da una quota dell’IVA e dall’imposta sugli oli minerali. Le nuove entrate, pari a circa un miliardo di franchi, saranno costituite dai contributi dei cantoni (500 milioni), nonché dall’1 per mille dell’IVA, destinato fino al 2017 al risanamento dell’assicurazione invalidità. Dal 2018 al 2030,

Operai FFS preparano la messa in esercizio di una galleria a Zurigo. (Keystone )

questo introito sarà di 300 milioni all’anno. Inoltre, saranno chiamati alla cassa anche gli utenti. Il parlamento ha infatti accettato di limitare a 3000 franchi la deduzione massima dall’imposta federale diretta per spese di trasporto domicilio-luogo di lavoro. Questa misura, che dovrebbe far affluire nelle casse federali, rispettivamente nel FinFer, 200-220 milioni di franchi all’anno, costituisce l’aspetto più contestato del progetto in votazione. Gli oppositori non vogliono infatti saperne di un nuovo contributo degli automobilisti. Lo schieramento favorevole al FAIF – che riunisce tutti i grandi partiti (UDC esclusa) – sostiene che l’80% della popolazione non sarebbe toccato dal nuovo limite di 3000 franchi, deducibili a titolo di spese di trasporto per recarsi al lavoro. Saranno penalizzati i pendolari con un abbonamento generale di prima classe (che non potranno dedurre interamente le spese di viaggio) e gli automobilisti il cui tragitto quotidiano supera i 20-35 km. In questo modo, gli utenti della strada e della ferrovia saranno posti sullo stesso piano, mentre il pendolarismo su lunghe distanze sarà reso fiscalmente meno interessante.

Tuttavia, molti automobilisti non ne vogliono sapere. I pendolari sulle lunghe distanze saranno i più colpiti. Secondo il consigliere nazionale Adrian Amstutz (UDC/BE), presidente dell’Associazione svizzera dei trasportatori stradali (ASTAG), si tratta di un controsenso: «se da un canto lo Stato pretende dai lavoratori e dai disoccupati grande flessibilità, dall’altro vuole ora ridurre loro la deduzione delle spese di viaggio». A suo modo di vedere, anche i cantoni adegueranno di riflesso la loro fiscalità. A essere colpito è soprattutto il ceto medio. Forte del recente siluramento del rincaro della vignetta, il fronte degli oppositori – condotto dal consigliere nazionale Walter Wobman (UDC/SO) e del quale fanno parte la citata ASTAG e gli importatori di veicoli «auto suisse» – biasima un progetto eccessivo e troppo caro. Per questo fronte, un importo «delirante» di 6,4 miliardi è precursore di altre esigenze smisurate. In definitiva, si tratta di una questione di principio: non è il caso che il popolo, e in particolare gli automobilisti, siano nuovamente chiamati alla cassa per sostenere gli utenti del treno. Per i contrari, i miliardi di franchi

sfornati negli ultimi decenni non hanno migliorato l’autofinanziamento dei trasporti pubblici. Sancire il sovvenzionamento trasversale strada-ferrovia – affermano – è una «fregatura» e il prossimo annuncio dell’istituzione di un fondo analogo per la strada non cambia le cose. I fautori avvertono che se il popolo rifiutasse il FAIF, anche il fondo stradale sarebbe destinato a naufragare. Un «no» provocherebbe un ulteriore massiccio aumento dei biglietti e indurrebbe i viaggiatori a sfruttare nuovamente l’auto. La ministra dei trasporti Doris Leuthard definisce il FAIF «progetto di primaria importanza per il nostro Paese». Solo così sarà possibile gestire l’aumento dei viaggiatori, estendendo la rete laddove è necessario. Secondo Doris Leuthard, gli Svizzeri ci tengono ad avere ferrovie efficienti, che rispondano alle nuove necessità. D’altronde, tutti concordano sulla necessità di fluidificare il traffico. Investendo nella ferrovia – sottolinea la ministra dei trasporti – si evita nei prossimi anni il collasso sulle strade. A suo modo di vedere, il popolo, che ne è consapevole, approverà anche questa volta il nuovo fondo di finanziamento. I sondaggi le stanno dando ragione.

Chi deve pagare un’interruzione di gravidanza? Votazione federale Gli ambienti anti-abortisti non sono d’accordo che i costi siano a carico dell’assicurazione

malattia di base; la controparte teme che un sì all’iniziativa spinga le donne con meno mezzi a correre dei pericoli L’aborto torna a far discutere, quasi 12 anni dopo la sua depenalizzazione. Occorre subito chiarire che l’iniziativa popolare in votazione il 9 febbraio prossimo, non intende vietare l’aborto, ma chiede che non venga più finanziato dall’assicurazione di base obbligatoria, bensì attraverso una copertura assicurativa complementare. L’iniziativa sembra comunque volta al fallimento. Il 2 giugno 2002, il 72,2% dei votanti approvarono il cosiddetto «regime dei termini» che autorizza l’interruzione della gravidanza, anche su richiesta della gestante, nelle prime 12 settimane dall’inizio dell’ultima mestruazione, dopo un colloquio personale col medico, chiamato a proporre alternative. Allora, gli Svizzeri accolsero anche il relativo rimborso. Tuttavia, i fautori dell’iniziativa – che si annoverano negli ambienti antiabortisti – sostengono che i votanti non avevano deciso su questo aspetto con cognizione di causa. Tra i sostenitori dell’iniziativa figurano anche UDC e PPD, sebbene la

stessa divida questi partiti. Addirittura, i democratici cristiani raccomandano chiaramente di respingerla. I fautori garantiscono di non voler mettere in causa la depenalizzazione delle interruzioni volontarie della gravidanza (IVG). Ri-

Chi abortisce paga già oggi una parte dei costi. (Keystone)

tengono comunque l’aborto un crimine, sostenendo di voler salvare mille feti all’anno. Il comitato d’iniziativa ricorda che, contrariamente a Italia e Francia, l’Austria, che ha depenalizzato l’IVG, non la rimborsa. In Germania, certi costi vengono presi a carico, ma in linea di principio non l’intervento. Attualmente, in Svizzera l’assicurazione malattie copre i costi dell’interruzione di gravidanza se è chiesta dalla donna o se è effettuata per necessità medica. Si tratta infatti di un intervento medico che deve svolgersi in condizioni adeguate. Per i fautori dell’iniziativa è giusto che le casse malattia coprano i costi che servono a tutelare la vita, com’è il caso per la gravidanza e il parto. L’aborto – ricordano – serve invece a distruggere la vita. Chi sceglie liberamente questa soluzione, deve assumersi la responsabilità, ivi compresa quella finanziaria. È dunque ingiusto che i costi di questa scelta ricadano su tutti i cittadini. Nel caso in cui la gravidanza mettesse in pericolo la salute della puerpera

o fosse frutto di uno stupro, l’aborto rimarrebbe in ogni caso coperto dall’assicurazione di base. Chi vuole però essere libero di ricorrere a questo mezzo, secondo l’iniziativa deve stipulare un’apposita assicurazione complementare, che costerebbe solo 2-3 franchi al mese, evitando di far ricadere i costi sull’intera collettività. Gli aborti costerebbero da 8 a 10 milioni di franchi all’anno. Questi costi non si limitano all’intervento di IVG: non di rado, infatti, quest’ultimo provoca nella donna disturbi psichici anche gravi. Risultano così costi sanitari aggiuntivi non indifferenti. Gli oppositori, con il Consiglio federale, replicano che 8 milioni rappresentano soltanto lo 0,03% dei 26 miliardi finanziati attualmente dall’assicurazione di base. Nel caso in cui l’IVG non fosse più rimborsata – affermano – ogni assicurato adulto si vedrebbe ridotto il premio mensile di 20 centesimi. Inoltre, le donne che si sottopongo all’IVG pagano di tasca loro, attraverso la franchi-

gia, da 300 a 2500 franchi, come pure la partecipazione del 10% ai costi rimanenti (fino a 700 franchi). Tutto ciò basta per coprire una parte dei costi di IVG, valutati tra i 600 e i 1000 franchi. Se approvata, l’iniziativa rischia di instaurare una medicina a doppia velocità, dal momento che le donne gravide sprovviste di sufficienti mezzi economici, potrebbero rivolgersi a metodi abortivi insicuri, magari nella clandestinità, mettendo a repentaglio la loro salute. Per l’ampio fronte che invita a respingere l’iniziativa, l’argomento finanziario è solo un pretesto per nascondere un attacco al regime dei termini. Un sotterfugio, dunque, solo per rimettere in causa un regime che si è rivelato valido? Nel 2012, in Svizzera sono stati praticati 10’853 aborti. Dall’introduzione del regime dei termini nel 2002, ciò si è tradotto – come ricorda il Consiglio federale – in circa 7 interruzioni di gravidanza su 1000 donne tra i 15 e i 44 anni. È uno dei dati più bassi d’Europa. / AC


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 febbraio 2014 • N. 06

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Politica e Economia Rubriche

Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Torniamo a parlare di bolla Da quattro anni si parla in Svizzera di una bolla dell’immobiliare. Se ne parla, è necessario precisare, non come di un fatto accertato, ma come di un evento che potrebbe, prima o dopo, concretizzarsi. Il fascino di queste discussioni è che tutti vi possono partecipare e dire la loro, senza tema di essere smentiti, almeno fino a quando non scoppierà la bolla. A questo punto, per il beneficio dei lettori che non sono addentro alle cose dell’economia, sarà utile definire che cosa sia una bolla immobiliare. Grosso modo si può dire che il fenomeno si compone di quattro fasi che si succedono nel tempo. Dapprima vi è un forte aumento della domanda di immobili (case, appartamenti, uffici). La seconda fase, che è quella nella quale si trovano certe regioni della Svizzera da quattro anni circa, vede i prezzi dell’immobiliare aumentare rapidamente,

molto più rapidamente che l’indice dei prezzi al consumo, per intenderci. È evidente che un simile fenomeno di rincaro non può durare per sempre. La terza fase è contrassegnata da un arresto nella crescita della domanda, perché i prezzi vengono oramai considerati troppo alti. La fase successiva è quella nella quale i prezzi tracollano perché oramai si è formata un’ampia riserva di costruzioni vuote che non trovano clienti. Per fare un esempio: nel corso della bolla della seconda metà degli anni Ottanta, i prezzi dei terreni nel Canton Zurigo si sono triplicati in 5 anni. Dal 1991 al 1996, invece, la proprietà immobiliare in quel Cantone ha perso circa il 35% del suo valore. Tutti i partecipanti al mercato immobiliare fanno le spese della bolla. Ma il rischio maggiore lo sopportano le banche che distribuiscono le ipoteche. Il fenomeno di rin-

caro dell’immobiliare che stiamo vivendo oggi è molto più contenuto di quello di trent’anni fa e non concerne praticamente che le due regioni nelle quali la crescita economica è più rapida, ossia la metropoli zurighese e l’arco lemanico. Le cifre in gioco sono comunque elevate e preoccupano le autorità che devono controllare l’andamento del mercato creditizio. La Finma come la Banca nazionale predicano, almeno dal 2011, che l’evoluzione del mercato immobiliare del nostro Paese ha tutti i crismi di una bolla e che quindi le banche dovrebbero restringere i cordoni del credito ipotecario. Cosa che, è giusto aggiungere, le stesse stanno facendo, almeno da un paio d’anni, proprio per i provvedimenti imposti da questi due organi di vigilanza sui mercati finanziari. È dell’altra settimana l’ultimo provvedimento cautelativo. La Banca

nazionale ha chiesto che le banche aumentino, a partire da metà anno, i fondi propri destinati a coprire i rischi di ipoteche sulle abitazioni dall’1 al 2%. Gli investimenti ipotecari in Ticino ammontano a circa 40 miliardi di franchi. Supponiamo che la metà delle ipoteche, ossia 20 miliardi, riguardi abitazioni. L’1% di 20 miliardi sono 200 milioni che le nostre banche dovranno mettere da parte, a partire dal luglio di quest’anno, per coprire i rischi legati al credito ipotecario. Si può pensare che non tutte le banche siano contente di dar seguito a questo provvedimento, tanto più che, dal luglio del 2013, hanno già dovuto metter da parte, su raccomandazione dell’Associazione svizzera dei banchieri, la medesima somma per il medesimo scopo. Così in Ticino, nel giro di due anni, si saranno tolti dai mercati finanziari 400 milioni di fran-

chi per assicurare i rischi legati all’espandersi della bolla immobiliare. Nessuno si meraviglierà se, nel prossimo futuro, i tassi ipotecari dovessero salire di qualche quarto per cento. Il vero problema però è che, finora, i provvedimenti adottati per contenere l’espansione del mercato ipotecario non sono serviti a gran che. Si può quindi ipotizzare che anche la misura appena annunciata dalla Banca nazionale non basterà a contenere il rincaro dei prezzi dell’immobiliare. A meno che non abbia sulla domanda un effetto premonitore talmente forte da far mutare – e potrebbe succedere anche da una settimana all’altra – le attese degli speculatori. Intanto, da Zurigo si annuncia che nel quartiere alla moda di Zurigo-Ovest sono molti i nuovi appartamenti che non trovano compratore o rimangono sfitti perché sono troppo cari.

non importa nulla; ma vede una breccia per mettere in difficoltà Renzi, e lì si infila. Quanto a Grillo, lui si muove in modo da evitare con cura la possibilità di un accordo con qualsiasi partito; nel giro di un mese è passato dalla difesa del Porcellum al Mattarellum al proporzionale puro; e le giravolte non sono ancora finite. L’Italicum, o come verrà chiamato, garantisce la governabilità; non la rappresentanza. Gli elettori rischiano di non poter decidere neppure stavolta il nome degli eletti. Il modello Renzi-Berlusconi evita solo formalmente il vizio del Porcellum dichiarato incostituzionale dalla Consulta: l’impossibilità di individuare i candidati. Le liste più brevi renderanno se non altro i deputati riconoscibili. Ma essi non dovranno il loro mandato a una scelta popolare, come nel caso dei collegi uninominali; saranno comunque e sempre legati al capo partito. Se i seggi saranno ripartiti su base nazionale si eviterà il pericolo di frammentazione, impedendo a ogni collegio di eleggere un sindacalista del territorio; ma si concentrerà ancora di più il potere di selezione della classe di-

rigente nelle mani di pochi. Per tacere dei 92 seggi attribuiti con il premio di maggioranza e quindi del tutto svincolati al territorio. Oltretutto, di ridurre il numero dei parlamentari non si parla più. Mentre viene attribuita una funziona salvifica al superamento del bicameralismo perfetto, che in effetti rallenta le decisioni, ma non ha impedito agli Stati Uniti (dove le leggi devono passare al vaglio di Camera e Senato) di diventare la più potente democrazia al mondo. Non è solo una questione politica. La crisi della rappresentanza non riguarda soltanto i partiti. Trasferire potere dalle segreterie ai cittadini è condizione necessaria ma non sufficiente. La rivolta contro le élite investe l’intero establishment, dai sindacati alle varie istituzioni. Non saranno primarie semiclandestine come quelle tenute dal Pd tra il Natale e il Capodanno 2012, o consultazioni online poco trasparenti come quelle grilline, a sciogliere un nodo che non riguarda solo l’Italia ma è il grande tema del nostro tempo. Per recuperare un minimo di credibilità, di capacità

di guida, di rapporto con la base, le élite devono porsi il tema della rappresentanza. La logica di Grillo – sostituirle con «uno di noi» – palesemente non funziona, così come non ha funzionato l’utopia leninista di affidare l’amministrazione dello Stato alla cuoca (che nell’epoca della cucinaspettacolo ha trovato ben altre gratificazioni). Ma questo non autorizza nessuno a richiudersi nella logica delle consorterie e dei partiti personali. L’unico modo per restituire pienamente ai cittadini il potere di scegliere i loro rappresentanti sarebbe reintrodurre i collegi uninominali previsti dal Mattarellum, il sistema con cui si è votato nel 1994, nel 1996 e nel 2001 (quando emerse tutte le volte una chiara maggioranza di governo). Il più votato vince, e si trova a rappresentare il collegio, vale a dire il territorio; se poi non farà bene il suo mestiere, sarà mandato a casa. Ma i collegi uninominali non passeranno mai: Berlusconi non li vuole; e anche gli altri capi partito tutto sommato preferiscono tenere per sé quote di potere anziché trasferirle agli elettori.

nuzione della mortalità infantile sino all’alimentazione sempre più controllata e a una medicina in grado di consentire anche agli anziani un’esistenza degna di essere vissuta. Va però ricordato che questi primati causano anche effetti collaterali meno rallegranti. Lo evidenzia un’analisi condotta qualche mese fa dall’Istituto di ricerche economiche (Ire) e pubblicata sul periodico «Square» dell’Università della Svizzera italiana. Prendendo in esame l’atavica lacuna della scarsa competitività del nostro Cantone, la pubblicazione dell’Usi proietta una situazione socio-economica del Ticino assai più neutrale rispetto a quella «mitizzata» da cronache e polemiche politiche. Ad esempio, analizzando i fattori critici o le influenze negative, l’Ire include, oltre al grosso problema dei bassi salari, anche il peso della struttura demografica, evidenziando giustamente come il nostro cantone abbia «gli indici di vecchiaia e di dipendenza (fasce d’età non attive)

tra i più alti della Confederazione» e risulti oltretutto anche un cantone «poco pronto a gestire il processo d’invecchiamento». Primati non sempre invidiabili, quindi, quelli dell’invecchiamento. Lo si deduce ad esempio dai commenti sul tasso di denatalità che in Europa stranamente accomuna Grecia e Germania: lo stesso giorno che un giornalista greco scriveva un vibrante articolo (sul «New York Times») per dire che «i greci sono in lotta con la sopravvivenza», su uno dei maggiori quotidiani tedeschi («Bild») in prima pagina troneggiava questo interrogativo: «I tedeschi si estingueranno?». La cancelliera Merkel ha ipotizzato una soluzione improntata sull’immigrazione; l’arcivescovo di Colonia mons. Meisner ha invece lanciato un singolare appello: «Donne, state a casa e fate almeno tre figli». Basterà un mix di queste due soluzioni per risolvere i problemi demografici e di sviluppo del nostro cantone?

In&outlet di Aldo Cazzullo Il nodo della rappresentanza Ma qual è il significato della partita che sta agitando la politica italiana? L’opinione pubblica assiste un po’ smarrita e un po’ spazientita a una discussione che sfugge alla comprensione di chi legittimamente non si appassiona ai metodi elettorali, e soprattutto alle convenienze dei vari partiti. Forse vale la pena mettere ordine. Berlusconi ha voluto il Porcellum, e ora vuole questa nuova versione resa appena più decente che passa sotto il nome di Italicum, per due motivi. Ha

bisogno del bipolarismo, per poter continuare a segnare la politica italiana nella logica «o con me o contro di me». E ha bisogno di designare di persona i parlamentari. Per questo non vuole le preferenze, che sottraggono potere al capo per darlo, più che agli elettori, alle consorterie e alle clientele locali. Alfano ha l’interesse opposto: il Nuovo centrodestra si presenta come fortemente radicato in particolare al Sud e in Sicilia, e dalle preferenze trarrebbe giovamento. Alla minoranza del Pd, delle preferenze

Trattative in corso fra il segretario Pd Matteo Renzi e Silvio Berlusconi.

Zig-Zag di Ovidio Biffi Primati rallegranti ma non troppo Con la solita professionalità Carlo Silini a metà gennaio ha presentato e commentato sul «Corriere del Ticino» il voluminoso rapporto su demografia e salute a fine 2012 nei 35 Stati membri dell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico). Recensendo questo «Panorama della salute», il «Corriere» ha posto in evidenza un bizzarro primato della Svizzera: il nostro Paese risulta al primo posto con 45 psichiatri ogni 100 mila abitanti (i secondi, ovvero gli islandesi, ne censiscono meno della metà: 22,3). Sull’origine di questo primato io azzarderei un «effetto Jung», ma per avere certezze occorrono ben altri studi! Molto più «pacifico» l’altro nostro primato, quello della longevità, presentato così sul CdT: «Nel 2011 la speranza media di vita per uno svizzero era di 82,8 anni, poco più di giapponesi e italiani (a pari merito con 82,7 anni). Negli USA, per dire, si vive in media 4,2 anni di meno. In Turchia si raggiungono in

media i 75 anni. Dove si campa poco, soprattutto per colpa dell’AIDS, è il Sudafrica dove la speranza di vita si ferma a 52,6 anni». Ho scelto questo dato riguardante la longevità perché mi serve da riferimento per approdare ad un altro importante primato captato qualche mese fa, forse (non ne ho la certezza, avendo smarrito ogni riferimento sulle fonti) quando i quotidiani svizzero-tedeschi hanno presentato lo stesso rapporto dell’Ocse e integrato quei dati con quelli di un altro studio sulla demografia presentato dall’Ufficio federale di statistica agli inizi del 2013. Il lavoro dei ricercatori svizzeri era centrato sulle diversità che emergono fra le varie regioni elvetiche in fatto di mortalità ma, di riflesso, esaminava anche quelle riguardanti la longevità. Il primato più eclatante di quel rapporto è tutto ticinese. Infatti gli esperti dell’UFS di Neuchâtel hanno evidenziato l’eccezionale dato relativo all’aspettativa di vita delle donne tici-

nesi. Quasi un secolo fa, nel 1920 le nostre donne avevano una vita media che superava di poco i 50 anni e risultavano in «ritardo» di oltre 7 anni rispetto alle donne di Basilea città che allora guidavano la classifica. Nel 2010 in Svizzera nessuno superava in anzianità le donne ticinesi che vantano una media di 85,5 anni di aspettativa di vita, un anno oltre la media nazionale e 3 anni in più di quella delle donne glaronesi. Ricordiamo anche che la media svizzera negli ultimi 40 anni dell’aspettativa di vita per gli uomini è passata da 70,1 a 80,3 anni, mentre per le donne ( 76,1 anni nel 1970) è salita a 84,7 anni (da questi due dati l’Ocse ha derivato i quasi 83 anni di speranza media di vita in Svizzera). Non v’è dubbio che tutti, in particolare coloro che vedono questi «cippi» ancora lontani, si rallegrano dei primati di longevità, come pure del continuo progresso (sociale e medico-sanitario) che contribuisce ad allungare sempre più le prospettive di vita: a partire dalla dimi-



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Cultura e Spettacoli A teatro Ogni settimana la scena ticinese propone diverse pièces che testimoniano la vivacità locale

Una vita per il cinema La produttrice Elda Guidinetti della Ventura Film con sede a Meride racconta le gioie e i dolori del «fare cinema» in una società che al cinema va sempre meno

Di architettura e non solo L’architetto ticinese Mario Botta protagonista di un libro-intervista

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Dopo gli Smiths Morrissey, ex-cantante della celebre band inglese The Smiths ha dato alle stampe una discutibile autobiografia pagina 37

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Lo Spirito Orrendo Personaggi Ricordando William

S. Burroughs nel centenario della nascita

Daniele Bernardi Ogni scrittore svolge delle indagini. Si muove attorno al cadavere, raccattando indizi come vecchie cicche che qualcuno ha lasciato imprudentemente sul pavimento. Prende nota di ciò che ha visto e sentito nel luogo oscuro in cui il crimine si è consumato. Nulla gli sfugge: la posizione del corpo della vittima gli suggerisce come si sono svolti i fatti e gli rivela dove si trovava l’assassino al momento dello sparo. Joan Vollmer nel 1944 studiava giornalismo alla Columbia University ed era particolarmente dedita all’uso della benzedrina. Viveva assieme a Jack Kerouac e a Edie Parker in un appartamento della 115th Street, a New York. All’epoca del suo incontro con Joan, William Seward Burroughs (Saint Louis, 1914 – Lawrence, 1997) era un trentenne eroinomane ben conscio della propria omosessualità. La cosa non turbava affatto la ragazza, anzi, pare affermasse che «faceva l’amore meglio di tutti i papponi con cui lei aveva avuto a che fare in passato». I due si sposarono e condivisero una dissoluta convivenza in compagnia dei protagonisti della «Beat Generation». Ebbero anche un figlio, William Burroughs III, che venne al mondo già tossicodipendente e destinato alla catastrofe. Quando, dopo disastrose vicissitudini, nel 1950 la famiglia si trasferì a Città del Messico, Burroughs non era ancora un vero e proprio scrittore. Fu lì che iniziò a buttare giù il suo primo libro, Junkie – un romanzo che considerava di scarso valore, ma contenente già i semi di quella mostruosa arborescenza che è l’opera burroughsiana. Quello che avvenne in seguito è fin troppo noto. Il 6 settembre del 1951 un proiettile attraversò le tempie di Joan: completamente ubriachi i due avevano

deciso di inscenare l’impresa di Guglielmo Tell, utilizzando una delle pistole che avevano in casa. Forse, narrando questi fatti, come scrisse Fernanda Pivano, «un critico rischierebbe di passare per un cronista nero e abbassarsi, come già certi giornalisti sensazionali, a definire Burroughs un assassino comune o un ex detenuto per spaccio di droghe». Non è così, ed è stato lo scrittore stesso a darcene conferma quando asserì che, con il decesso della moglie, egli fu costretto a diventare l’autore che tutti oggi conosciamo. «Vivo con l’incubo costante del dominio, e con il bisogno costante di sfuggire al dominio, al Controllo. La morte di Joan mi ha portato in contatto con l’invasore, con lo Spirito Orrendo, costringendomi a una lotta eterna, in cui non ho altra scelta che scrivermi la via di fuga». Da quel fatidico giorno iniziò l’operazione Burroughs. Muovendosi attorno ad una ferita sempre aperta, accompagnato dal suo fantasma, el hombre invisible, come lo soprannominarono alcuni, cominciò la dolorosa indagine che lo portò nei labirinti paranoidi del potere e a dar forma alle ossessioni che nascono da ogni tipo di dipendenza. Non si scrive mai da soli. C’è sempre qualcuno che accompagna il poeta nella sua discesa agli inferi e nella risalita verso la superficie. Quando Jack Kerouac nel 1957 raggiunse Burroughs a Tangeri (luogo in cui si era rifugiato e che si era trasformato, nel suo immaginario, in quella terra di nessuno che aveva chiamato col nome di «Interzona») sapeva già quale sarebbe stato il titolo del romanzo che, via via, andava formandosi nelle mani dell’amico: The Naked Lunch. «Non ho ricordi precisi di aver scritto le note che ora sono state pubblicate sotto il titolo di Il Pasto Nudo» scrisse Burroughs nella sua intro-

William Burroughs in un ritratto di Giona Bernardi.

duzione al libro. Kerouac, come solo un amico può fare, lavorava fino a sei ore al giorno dattilografando il manoscritto che, presto, sarebbe diventato una delle leggende della sottocultura americana. Narrazione senza storia, flusso di scrittura con slanci lirici e trovate ferocemente grottesche, scatola cinese devastata contenente miriadi di narrazioni che si susseguono a catena come un domino inesorabile, Il Pasto Nudo è un vero e proprio «rapporto» (come ha ben visto David Cronenberg nella sua versione cinematografica – alla cui realizzazione, peraltro, partecipò lo scrittore stesso) di un agente infiltrato nell’universo della malattia. Ma quello di Burroughs, ovviamente, non è un mero re-

soconto del disagio. Attraverso la sua esplorazione ciò che risalta sono le dinamiche di schiavitù alla base delle relazioni tra gli esseri. Come Franz Kafka (con le dovute proporzioni) egli ci vuole mostrare le nostre parti di dominati e di dominanti – e quanto questi due lati della stessa medaglia collaborino vicendevolmente contendendosi la carne della nostra mente, mantenendo vivo un conflitto permanente in un paradossale equilibrio. «Ci vuole un bel po’ di fegato, ragazzino, a far fuori un’abitudine» scrisse nella «Prefazione atrofica» che conclude il volume. Forse un’esperienza estrema ed un’opera così singolare come quelle di «Old Bull Lee» (così lo chiamò Kerouac nelle pagine di

On the road) ci rivelano anche quale sia l’unica possibile via di scampo al dolore umano: sapere che non c’è via di scampo e di questa constatazione, a dispetto di sé, fare qualcosa – qualcosa che ci apra la strada verso il mondo dell’altro, portando sul volto i segni di quelle ferite che sono i lineamenti del nostro spirito. Allora, forse, come l’ottantatreenne autore di una ventina di libri (senza contare le opere sonore e visive), amante dei gatti e della prosa di Joseph Conrad, potremo dire, seduti sotto un portico di legno in una casa nel Kansas, «Io, William Seward, capitano di questa sotterranea dalla testa di hashish, domerò il Mostro di Loch Ness con rotenone e farò cow boy alla balena bianca».


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Cultura e Spettacoli

Rabbia soffocata su un letto di lenticchie

Serie Tv, nessun segno di rispetto

Scena ticinese Oltre allo spettacolo presentato da DesertoDentroTeatro, anche le proposte

problema della cattiva scelta di programmazione continua a far discutere

di Flavio Stroppini e di Filippo Armati Giorgio Thoeni L’avventura teatrale della nostra regione ha ripreso ad alimentarsi con regolarità. C’è molta voglia di mettersi in gioco seguendo paradigmi professionali spesso diversi ma tutti accomunati da un percorso di crescita e affermazione. Letto di lenticchie (A bed among the lentils), un monologo di Alan Bennett, è stato proposto recentemente per tre sere al Teatro Foce di Lugano da DesertoDentroTeatro, la compagnia fondata nel 2005 da Fabio Doriali e Mirko D’Urso. Ora D’Urso, che dirige il prolifico MAT (Movimento Artistico Ticinese), non fa più parte della compagnia che è guidata da Doriali con scelte di repertorio che guardano alla drammaturgia contemporanea. Conosciamo il suo stile registico, energico, determinato talvolta impetuoso. In questo caso affida il compito di reggere la scena a Nadia Penzavalli, cresciuta nel grembo del MAT e attrice che avevamo già notato in alcune precedenti produzioni. Letto di lenticchie fa parte di Talking Heads, una serie di dodici racconti scritti per la BBC alla fine degli anni Ottanta.

La regia di Doriali avrebbe potuto essere più insistente e incisiva, agevolando il lavoro dell’attrice Bennett, classe 1934, attore, scrittore e sceneggiatore di successo, è uno degli «arrabbiati» della scena inglese. Cresciuto in periferia e da una famiglia proletaria, descrive un mondo schietto, di-

L’attrice Nadia Penzavalli in Letto di lenticchie.

retto, con un linguaggio ricco di luoghi comuni, spesso disarmanti e posti accanto a considerazioni intrise di feroce sarcasmo e involontaria ironia: elementi costitutivi di un ritratto quotidiano e drammatico. Sono storie che hanno per protagoniste persone semplici, confrontate con una società in profonda trasformazione e intrappolate nel disagio delle sue contraddizioni. Letto di lenticchie racconta di Susan, cinquantenne infelice è moglie di un reverendo inglese, molto popolare nel quartiere in cui vivono e che deve accompagnare in tutte le funzioni religiose. Tra noia e disperazione, su una scena su cui penzolano barattoli-ampolle-acquasantiere simili a capestri, Susan racconta della sua vita senza emozioni e del suo incontro con Mister Ramesh, un pizzicagnolo pakistano che sa danzare: una danza che cambierà

la vita di Susan facendole scoprire una felicità proibita… su un letto di lenticchie. Lo spettacolo scorre abbastanza bene e la Penzavalli ce la mette tutta per rendere credibile la disperazione di Susan, forse ancora al di sotto delle sue vere potenzialità espressive. Per aiutarla la regia di Doriali avrebbe potuto insistere di più nell’accentuare la drammatica ironia di un testo lasciando così emergere la drammaticità di un disagio sociale di grande attualità. Applausi ripetuti per tre seguite serate. La ferrovia si racconta e Quantum II al Teatro Sociale

È un progetto in divenire quello che Flavio Stroppini e Monica De Benedictis stanno presentando a tappe al pubblico del Teatro Sociale. Da poco è stata superata la terza fase (Step) di Prossima fer-

mata Bellinzona, una ricerca che vedrà la sua realizzazione definitiva per il palcoscenico della capitale nel gennaio del 2015. È un teatro-documentario nutrito di materiali d’archivio e originali, ricerche e testimonianze che hanno quale tema il rapporto tra la capitale ticinese e la ferrovia. Al centro di questa operazione c’è il racconto di un tragico scontro fra treni avvenuto nel 1924 alla stazione di scambio di San Paolo, alle porte di Bellinzona. Un racconto che accende la memoria locale ancora così tenacemente attaccata a quella «Gotthard Bahn», alle storiche Officine, a una società operaia che è ancora sentita nella capitale. Una memoria ancora viva con i suoi suoni, le sue voci e leggende, la sua cadenza lavorativa, i personaggi di una realtà fortemente ancorata al territorio. Dietro a quest’altra avventura c’è la tenacia progettuale della nostra prosa radiofonica accanto a una politica di prossimità portata avanti con perseveranza dal Teatro Sociale e da buona parte delle sue coproduzioni. Un esempio ci arriva anche da Quantum II di Filippo Armati e Sarah Waelchli, andato in scena sul suo palco in prima assoluta a metà gennaio. Lo spettacolo è un divertente accostamento fra danza contemporanea e quella pop passando per il tango e attraversando i decenni. Animato dalle teorie della fisica quantistica, da esplorazioni filosofiche e da una buona dose di training, Armati e la Waelchli sviluppano una serie di momenti danzati senza soluzione di continuità dove prevale l’ironia. Un po’ debole drammaturgicamente, Quantum II propone però uno spettacolo fresco e simpatico al cui debutto il pubblico ha assistito numeroso rispondendo con applausi anche a scena aperta.

Otto borghesi in una casa di campagna Teatro Visita al padre di Schimmelpfennig al Piccolo di Milano Giovanni Fattorini Dei drammaturghi della sua generazione, Roland Schimmelpfennig (Göttingen 1967) è il più rappresentato in Germania e uno dei più rappresentati all’estero. In Italia, prima di Visita al padre sono stati messi in scena quattro suoi lavori, uno dei quali s’intitola Die Frau von früher (La donna di una volta). Il vero protagonista di questo dramma del 2001, a mio parere, è il Tempo: il Tempo che altera i corpi, gli affetti e i ricordi; che genera e vanifica illusioni e giuramenti di fedeltà e di eterno amore; che accende e spegne il desiderio e la passione, trasformandoli in indifferenza e avversione, e a volte in odio che spinge al delitto. Romy (la donna del titolo) incarna il passato che ritorna e irrompe nell’altrui presente, con esiti rovinosi. Come Romy, in una calda giornata d’estate, suona alla porta di Franz (sposato e con figlio), per dirgli che intende onorare – e per pretendere che anche lui onori, dopo ventiquattro anni – un patto d’amore contratto al tempo della loro adolescenza, così il ventisettenne Peter, in una fredda giornata d’inverno, suona al cancello di una grande e antica casa di campagna per incontrare Heinrich, il padre sessantenne che non ha mai visto, e che ignora di avere un figlio, nato da una breve relazione con una donna molto più giovane di lui. Che cosa ha spinto Peter a lasciare gli Stati Uniti a bordo di

un mercantile e a raggiungere a piedi, in due settimane, la casa che sorge isolata nella campagna coperta di neve? Certo il desiderio di conoscere il padre, ma quasi sicuramente anche la volontà di vendicare in qualche modo la madre sedotta e abbandonata, che poco tempo prima di essere uccisa da un cancro gli aveva rivelato – fornendogli altresì nome e indirizzo – che il padre non era morto subito dopo la sua nascita, come gli aveva fatto credere fino ad allora. Heinrich (un anglista da dieci anni alle prese con la traduzione del Paradiso perduto di Milton) vive lontano dal mondo con la moglie sessantenne Edith (proprietaria della casa); con la figlia ventenne Isabel, che ha interrotto gli studi per intraprendere la carriera di attrice; con la nipote trentenne di Edith, Sonja, che lavora presso l’Istituto di Botanica. Ospite per un tempo imprecisato è la quarantenne Marietta, figlia di primo letto di Edith, che ha dovuto chiudere il suo negozio di moda e progetta di fare l’infermiera. La vendetta di Peter sarà quella del giovane maschio che attenta al ruolo e all’autorevolezza del genitore possedendo tutte le femmine a lui variamente legate. Quando il vecchio maschio reagisce, la situazione sembra volgere al peggio; ma poi il dramma si sgonfia in un finalino grottesco. Nel programma di sala il regista Carmelo Rifici parla di una rimozione del passato (quello della Germania nazi-

sta e comunista) «che ha impedito la trasmissione alle nuove generazioni di un’eredità storica». Parla di uno scontro tra padre e figlio che richiama modelli mitici. Parla di giovani «privi di riferimenti, incapaci di imprimere una direzione alle proprie esistenze»: giovani che «brancolano in cerca di ruoli, cambiano continuamente lavoro, sovente indicano il mestiere dell’attore quale ideale obiettivo di realizzazione (perché l’attore ha una parte assegnata)». Per Carmelo Rifici, è chiaro, Visita al padre sviluppa in modo persuasivo dei temi (tutti riconducibili al tema più generale del Tempo: passato, presente e futuro) che a me paiono solo accennati, oppure illustrati in modo goffamente didascalico: si veda ad esempio il tormentone di Isabel (Sara Putignano), che all’inizio di ogni atto tenta di cambiare, senza riuscirci, la schermata di avvio del suo cellulare, raffigurante – così le sembra – la torretta di guardia di un campo di concentramento. Al di fuori di queste scenette (di queste gag?), Isabel è un personaggio di imbarazzante inconsistenza. Di una mancanza di spessore soffrono chi più chi meno anche gli altri personaggi. Massimo Popolizio e Mariangela Granelli (i migliori in scena) si applicano con grande impegno alla caratterizzazione di Heinrich e Marietta, ma il risultato è al limite del macchiettismo. Paola Bigatto e Caterina Carpio sono la professorale professoressa e la di lei fi-

Una scena della pièce Visita al padre, regia di Carmelo Rifici.

glia Nadia. Alice Torriani è Sonja: molto alta e molto bionda. Nemmeno Anna Bonaiuto e Marco Foschi (attori di qualità) riescono a rendere convincenti le figure di Edith e Peter. Devo aggiungere che Visita al padre abbonda di riferimenti parodici piuttosto rozzi a drammaturghi famosi: Cechov (i bersagli mancati e la scena degli arrivederci), Ibsen (l’uccisione e l’eviscerazione dell’anitra selvatica), Bernhard (il modo irritato e insolente con cui Heinrich parla degli scrittori russi). Dentro la spaziosa, nitida, algida scena di Guido Buganza, la regia di Rifici sa rendere fluida una scrittura drammaturgica frammentata e lacunosa, ma non riesce a vivificare più di tanto una commedia poco coinvolgente a livello di intreccio e psicologia dei personaggi. Dove e quando

Milano, Piccolo Teatro Studio Melato, fino al 16 febbraio.

Visti in tivù Il

Antonella Rainoldi Tante volte abbiamo criticato la tv italiana perché dimostra di considerare il telefilm alla stregua di un tappabuchi. Tante volte abbiamo sottolineato l’importanza dell’applicazione del principio di razionalità. Che senso ha acquistare un telefilm se poi lo si umilia tenendolo ai margini della programmazione o spostandolo in continuazione? O uno ci crede a queste narrazioni televisive moderne e le valorizza il più possibile, co-

Mad Men, su Rai4 a notte fonda: perché umiliare un capolavoro?

me usa alla RSI, oppure non ci crede e decide di rinunciarvi. La soluzione di ripiego non giova a nessuno, tanto meno allo spettatore. Quello della confezione è un problema serio. L’ha affrontato la scorsa settimana Paolo Martini in un articolo di fondo apparso sulla guida ai programmi televisivi all’interno di «Sette», il magazine del «Corriere della Sera». Nel dispiacersi della moralistica ritrosia diffusa per la grande serialità internazionale, Martini stigmatizza il trattamento riservato dalla tv italiana ai recenti vincitori di Golden Globe e punta il dito contro i programmatori: troppe volte le serie più belle sono state massacrate da mani insensate. È successo con Breaking Bad e Parks and Recreation, confinate in collocazioni difficili sulle reti a pagamento, sul satellite e sul digitale. È successo in queste settimane con Mad Men: pur rappresentando la qualità assoluta, il capolavoro di Matthew Weiner è finito a nascondersi tra le pieghe notturne del palinsesto di Rai4. Downton Abbey è una delle occasioni sprecate più clamorose. Avevamo in mente di tornarci sopra, dopo l’insuccesso della terza edizione su Retequattro e il trionfo della quarta su PBS, la televisione pubblica americana. Ma la penna di Martini ci ha frenato: «Negli Stati Uniti, Downton Abbey ha fatto segnare il record di ascolti: ha appena battuto persino The Good Wife della CBS, che dal 21 gennaio Raidue ripropone, chissà perché, proprio da metà di una vecchia stagione. Alla fine una regola base del successo delle serie è inscritta nel nome stesso, il programmatore televisivo deve scegliere una collocazione adeguata e mantenerla costante. Ma figurarsi se interessa a qualcuno in Italia la coerenza editoriale di una rete. E poi, per un telefilm americano o inglese, non ci sono agenti, produttori, faccendieri o politici che si lamentino della pessima programmazione». Non avremmo potuto scrivere di meglio.


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Cultura e Spettacoli

Al pubblico piacerà? Incontri A colloquio con Elsa Guidinetti, co-responsabile della casa

di produzione cinematografica Ventura Film Eliana Bernasconi Fondata a Chiasso nel 1991 da Andreas Pfaeffli e Elda Guidinetti, con l’obiettivo di produrre film che superassero frontiere e confini convenzionali di forma e contenuto, Ventura Film è una casa di produzione cinematografica con sede a Meride, che ha avuto quest’anno significativi riconoscimenti: a livello cantonale il premio assegnato al Festival di Locarno dal Canton Ticino ai produttori (ex-aequo con Amka Films di Tiziana Soudani), a livello internazionale con la presenza di due film in concorso alla 70ma Mostra internazionale del cinema di Venezia. Due film dal linguaggio cinematografico molto diverso, due mondi raccontati in modo originale da registi con una forte personalità artistica: Via Castellana Bandiera, esordio cinematografico intenso e drammatico della regista e autrice teatrale Emma Dante, premiato con la coppa Volpi a Elena Cotta per la migliore interpretazione femminile, e Die Frau des Polizisten di Philip Groening, un autore tedesco affermato (di lui si ricorderà Il grande silenzio, documentario girato nella Grande Chartreuse, premiato come miglior documentario europeo nel 2007). Elda Guidinetti, non è facile incontrarla... la sua attività la porta a spostarsi molto?

In questo momento sono spesso in viaggio per due film, uno dei quali è Fuori Mira di Erik Bernasconi, il regista di Sinestesia (prodotto da Villi Hermann, Imago Films). Fuori mira è il secondo film di Bernasconi, e come tale una prova difficile. Girato nell’Alto Adige, con un cast di bravi attori italiani, il film è attualmente in fase di montaggio. Sarà finito in primavera. È una storia dell’oggi, una tragicommedia sviluppata partendo da una fatto di cronaca avvenuto in Ticino alcuni anni fa. Mi diceva della Polonia.

Proprio il mese scorso siamo stati a Lodz per le riprese di un film di Matthias Huser, regista svizzero tedesco al suo primo lungometraggio. Forse il titolo del film – provvisorio – Mi hanno rincorso attraverso tutta l’Arizona lascia

intuire perché è stato girato in Polonia. La storia aveva bisogno di grandi spazi, ma in Svizzera il paesaggio è marcato da valli e montagne. La Polonia inoltre ha una delle più famose scuole di cinema al mondo, proprio a Lodz, e quindi abbiamo trovato un ambiente molto professionale che ha senz’altro contribuito a superare la barriera linguistica. Lo scorso anno in novembre-dicembre eravamo in Argentina per le riprese di un documentario su Alfonsina Storni: Alfonsina di Christoph Kühn, regista svizzero tedesco che da anni vive ad Auressio e che, studiando la storia dell’emigrazione ticinese si è imbattuto appunto nella Storni. Il pubblico delle sale vede solo il prodotto finale, ma come si muove un produttore cinematografico?

Capita che un regista arrivi con una primissima vaga idea. È capitato con Kristina Wagenbauer, per esempio. Eravamo a Berlino e ci ha chiesto un appuntamento. Non la conoscevamo anche se è cresciuta a Lugano. Ci ha detto: ho un’idea e voglio che voi siate i produttori dei miei film. È una giovane regista talentuosa e molto motivata. Sta scrivendo il suo primo lungometraggio. Nel frattempo abbiamo prodotto un suo cortometraggio, con l’aiuto della RSI, nostro importante partner. La base della collaborazione è la voglia di confrontarsi vicendevolmente. Se riteniamo che una storia abbia il potenziale di diventare un film, aiutiamo a svilupparla, a farla diventare sceneggiatura. Magari permettendo al regista e allo sceneggiatore di confrontarsi con una realtà più grande, internazionale. È capitato per esempio al momento della scrittura di Fuori mira: abbiamo dato la possibilità a Erik Bernasconi e ai suoi cosceneggiatori Mario Fabio e Daniel Bilenko di frequentare i workshop di EKRAN, un programma europeo organizzato a Varsavia dalla Scuola di Wajda. A sceneggiatura finita, vediamo di trovare i finanziamenti così che la storia possa diventare un film. Una fase che può essere anche molto lunga. Quindi non succede che un regista svizzero vi contatti con una sceneggiatura.

A noi non è mai capitato. Anche perché in Ticino e Svizzera il rapporto produttore regista è più facile. Siamo in pochi e ci conosciamo tutti. Un regista s’informa e capisce con chi gli piacerebbe lavorare in base alla filmografia del produttore. Nelle coproduzioni invece il produttore straniero ci contatta sempre con la sceneggiatura a uno stadio di sviluppo avanzato, se non già con la versione definitiva. E di solito con il finanziamento garantito. Spesso c’è già una relazione di lavoro stabilita in precedenza, una collaborazione oppure conoscenza e stima reciproche. Capita anche che incontriamo registi con progetti interessanti, di cui ci piacerebbe produrre un film. In questi casi spesso il cammino è lungo, i film stranieri sono così costosi che come coproduttori svizzeri è impossibile arrivare a trovare anche solo il 10% dei costi. È importante il distributore?

Il distributore è importantissimo. Può già essere coinvolto perché la sceneggiatura gli piace, o per il nome degli attori protagonisti, o perché gli sono piaciuti i film del regista. Avere un distributore fin dall’inizio può essere un fattore importante nella ricerca dei finanziamenti perché è garanzia che il film venga realizzato. Il momento in cui il rapporto produttore-distributore è più stretto è durante la promozione del film, quando si concorda la strategia per coinvolgere il pubblico. Il distributore da parte sua collabora con il gestore delle sale cinematografiche. La vostra esperienza in merito?

I ticinesi non vanno molto al cinema. Possiamo produrre film interessantissimi, ma la percentuale di spettatori rimane bassa. Anche perché si compete con molti film prodotti con potenti mezzi finanziari, penso ai film americani. La produzione cinematografica rappresenta la maggior industria di esportazione negli USA, una realtà che non ha nulla da vedere con la nostra. Già solo i mezzi per promuovere i film sono ingenti: la presenza di un’attrice famosa per promuovere un film a un festival importante può costare metà di un budget di un nostro film, per dare un’idea. In Svizzera non c’è un’indu-

La produttrice cinematografica Elda Guidinetti. (CdT - Crinari)

stria cinematografica. Si producono film in modo quasi artigianale. In Francia invece l’industria cinematografica nazionale è promossa maggiormente, e i risultati si vedono. In Italia la situazione è difficile e lo notiamo dal numero altissimo di richieste di coproduzioni che ci arrivano da produttori italiani. Il film di Emma Dante in Ticino è stato visto?

Via Castellana Bandiera, in prima mondiale a Venezia, è uscito a metà settembre in Italia e la settimana dopo in Ticino. Nelle 4 sale che l’hanno programmato percentualmente ha avuto gli stessi spettatori che in Italia. La differenza sta nei numeri, più di 70’000 in Italia, meno di mille in Ticino. Naturalmente il distributore così come il gestore delle sale guardano al numero di spettatori. Vi è però anche chi è interessato a programmare film meno commerciali, ma di valore per forma e contenuti, di produttori indipendenti come noi. Un film non vive solo al cinema.

I festival sono un modo per far conoscere i film al pubblico straniero già interessato al cinema. Per esempio, dopo Venezia Via Castellana Bandiera è stato invitato a festival importanti

come Londra, Pechino, Tokyo. I festival possono essere anche un’occasione per presentare il film a distributori stranieri o a chi si occupa delle vendite mondiali, arrivando così alla distribuzione televisiva. Oltre ai festival abbiamo la distribuzione di DVD e di VOD (Video on Demand). La gente ormai non va al cinema ma vede i film a casa. La tecnologia influenza le nostre abitudini. Quali difficoltà incontrate?

Le difficoltà sono a ogni tappa della realizzazione di un film. Nella fase della scrittura sono legate alla struttura che si vuol dare alla storia, alla psicologia dei personaggi. Scrivere una sceneggiatura è un percorso lungo e accidentato, di natura più concreta al momento della ricerca dei finanziamenti. Una volta che i finanziamenti sono assicurati bisogna organizzare le riprese e assicurare che alla fine siano «in time e in budget», cioè non superino il tempo preventivato e il preventivo. C’è quindi la fase del montaggio, delicata nei documentari perché spesso quest’ultimi sono «ricreati» al momento del montaggio. Vengono poi la sonorizzazione, le musiche, gli effetti speciali. A film finito la domanda è sempre la stessa: piacerà al pubblico?

Il Novecento secondo Mario Matasci Gallerie Negli spazi Matasci Arte di Tenero e nel Deposito di Riazzino fino al 22 febbraio è possibile visitare

una mostra dedicata al Novecento artistico di stampo ticinese

Simona Ostinelli Partiamo da quello che succede ora, una mostra intitolata Novecento, un secolo d’Arte fra Ticino e Lombardia, che rimarrà aperta alla Matasci Arte di Tenero e al Deposito di Riazzino fino al 22 febbraio. E parliamo dei temi della rassegna, dedicata alla pittura lombarda e ticinese fra Otto e Novecento, con aperture espressioniste provenienti da Nord. Il programma potrebbe apparire strano a chi non conosce le vicende artistiche del nostro cantone, e soprattutto la storia della Galleria Matasci, affermatasi in anni in cui non c’erano né il Museo cantonale e nemmeno i musei cittadini. Il promotore dell’iniziativa è Mario Matasci, viticoltore e conoscitore d’arte. Matasci, che accoglie il visitatore sempre con il sorriso e grande ospitalità, non sa quante opere possiede, non ha mai fatto un inventario, ma da come ne parla deve conoscerle tutte una per una. E non ha un artista preferito, ma tante predilezioni, che lo hanno accompagnato per quattro decenni di acquisizioni. Per appar-

tenere alla sua collezione, un pittore deve corrispondere alla sua arte. Come Tino Repetto, che vive come un eremita, e i suoi dipinti sono spiritualmente rarefatti. O come Franco Francese, che ritrae la moglie Elide mentre si spegne giorno per giorno. Mario Matasci, classe 1931, ha il passo svelto di chi ha un obiettivo preciso: far conoscere la sua formidabile raccolta al maggior numero di persone. «Lo sa quanto ha impiegato quel capodicastero per visitare la collezione? Tre minuti, dico, tre minuti, neppure il tempo di preparare un caffè». Non è tenero nei confronti delle istituzioni, ma i fatti, o meglio, i numeri, sono dalla sua parte, con l’organizzazione di un centinaio di mostre di pittura, scultura e fotografia, che hanno indagato soprattutto il linguaggio espressionista e l’informale, e l’edizione di validi cataloghi con contributi scientifici di prim’ordine. Non è un caso insomma se la Galleria Matasci ha saputo ritagliarsi uno spazio importante nella storia artistica cantonale, andando a supplire proprio quelle lacune che

Grande nudo di Edmondo Dobrzanski.

le istituzioni non sapevano o non potevano colmare. La storia di Mario Matasci, un uomo che ha saputo mettere a frutto al meglio le sue doti materiali e intellettuali, è ricca di aneddoti divertenti. Fino a quarant’anni si occupa dell’azien-

da vinicola di famiglia e non ha mai posseduto un quadro. Nel 1968, mentre sta attendendo un viticoltore in un grotto di Losone, conosce Erwin Sauter, pittore confederato, che gli offre un suo quadro. Mario e Erwin entrano subito in sintonia, e dopo poco tempo l’artista di Davos chiede di organizzare una personale nello scantinato di Villa Jelmini a Tenero, vicino all’azienda vinicola. Quello che poteva restare un caso isolato si trasforma in una bellissima avventura espositiva che dura ancora oggi. Dalle cantine agli spazi soprastanti il passo è breve, e negli anni Villa Jelmini ospiterà decine di appuntamenti dedicati ad artisti storici e contemporanei, quasi tutti vissuti fra Ticino e Lombardia. A questo filone locale se ne accosta un altro dedicato alle influenze espressioniste provenienti da Nord, con nomi di caratura internazionale che contribuiscono ad attirare a Tenero visitatori italiani e confederati. La mostra odierna, con la sezione dedicata al figurativo esposta a Riazzino e quella astratta a Tenero, è la storia

della Galleria Matasci, ma è anche la storia della formazione di un’identità di un territorio. Una vicenda che non ha pretese di completezza e che è solidamente ancorata ai gusti e alle passioni del suo promotore. Gli autori presentati sono quasi quaranta ed è impossibile citarli tutti. Però, nel percorso espositivo, abbiamo notato dipinti di Franzoni, Cattori e Boldini, Dobrzanski e Morlotti, Francese e Repetto. Interessante a Riazzino anche l’allestimento: i grandi ambienti consentono una certa fluidità, ed ecco che visivamente sono possibili i confronti fra Genucchi e Remo Rossi, e le due Crocefissioni di Schürch e Bonetti. Più contenuta per ragioni di spazio la mostra a Tenero, ma anche qui non mancano i protagonisti dell’arte lombarda e ticinese: Chighine e Giunni, Verdi e Piccoli, ma anche Bolzani, Gabai, Realini e Cavalli. Un’avventura che continuerà anche in futuro: attualmente Matasci sta lavorando ad una grande mostra su Dobrzanski, uno dei suoi preferiti, o meglio, uno dei suoi tanti artisti preferiti.


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Cultura e Spettacoli

Vivere l’architettura Meridiani e paralleli In un libro edito da Casagrande l’architetto ticinese Mario Botta

svela convinzioni, ricordi e visioni Giovanni Orelli Dopo una prima segnalazione fatta a giovani pre-universitari giustamente incerti sulla scelta universitaria, su quale facoltà, pensateci su bene, voi – voi, cioè non per obbedienza ai vostri genitori o parenti o amici, ma senza trascurare loro consigli; ma decidete voi VOI, perché è una ragguardevole parte del vostro destino che ne dipende, eccomi con la segnalazione di un ammirevole bilancio intorno alla propria scelta fatta da un architetto ticinese noto in tutto il mondo.

Davanti agli scenari delle megalopoli globalizzate l’architetto non può abbandonare il proprio impegno Il suo nome è Mario Botta. Tanto nomini nullum par elogium disse un cinquecentista per un grande del suo tempo: a tanto nome nessun elogio è inadeguato. Il libro sul quale mi appoggio è Vivere l’architettura, Conversazione con Marco Alloni, Casagrande-Saggi, Bellinzona 2012. La prima scossa (è un libro pieno di «scosse») datami (spero proprio che il –mi si converta in un –ci) quando, subito affrontando il tema dell’etica, (sì, i buoni architetti non dimenticano l’etica) scrive, pagina 22: «Questa etica e cultura degli affetti era una condizione “naturale”, una prerogativa delle donne di una

volta, segnate dalla femminilità austera e dignitosa tipica del mondo contadino». Molto ben detto. Grazie a Botta. Degli uomini son vari gli appetiti, come dice l’Ariosto. Così le opinioni. A p. 32 l’intervistatore Alloni interroga Botta sulla sua formazione, sulle scuole fatte, cominciando con le elementari. Botta dice tra l’altro che la scuola elementare «cambia poco o nulla. A quell’età andare bene o male a scuola non fa una grande differenza». Strana opinione, in radicale contrasto con quella espressa dal maggior critico letterario del Novecento italiano, Gianfranco Contini, per il quale (vedi Diligenza e voluttà. Ludovica Ripa di Meana interroga Gianfranco Contini, Mondadori, 1989, p. 21 e dintorni): «Io penso che sia molto più importante un buon insegnamento elementare che un buon insegnamento universitario. L’universitario è molto facile da produrre. Un buon insegnamento elementare, questo è essenziale (…). Venire incontro a curiosità mie suscitarmene di nuove: questo è veramente una cosa unica, e in fondo, l’insegnamento è tutto lì». Mario Botta (ma forse qui arrischio) si sente forse più mendrisiotto-lombardo che «ticinese»: «A sud delle Alpi siamo guardati con sospetto dagli altri Svizzeri perché per noi l’Italia è l’Europa. Quando affermo che la mia città è Milano, certi benpensanti svizzeri si arrabbiano, ma lo dico con piena cognizione di causa. È inevitabile che Zurigo sia più lontana rispetto a Como o Milano. Como era al centro del mio distretto vitale e

Il celebre architetto Mario Botta. (CdT - Crinari)

immaginario dell’infanzia, così come Milano è diventata la capitale della mia formazione». Ma il giovane studente che vuol conoscere alcune delle ragioni che hanno spinto Botta a scegliere architettura, è impaziente di giungere a quelle pagine che illustrino il titolo del libro: Vivere l’architettura. Io non ho nessun numero per aiutarlo in questa scoperta. Posso dire che mi ha impressionato una pagina come la 117 sul cantiere di Campione, che indica anche come un architetto può essere relativamente libero di inventare per le «parti esterne» ma non per gli interni: «Per gli interni devo riconoscere che non avevo nessun mandato specifico,

per cui l’interior design del casinò ha finito per non avere niente a che fare con il linguaggio architettonico. Va detto che purtroppo questo succede sempre più spesso nei grandi edifici, dove gli interni hanno una progettazione autonoma, che per rispondere alle sciagurate leggi del marketing segue criteri lontani da quelli dell’architettura». E quali sono i criteri dell’architettura? Legga, il giovane studente curioso, il libro, e vedrà. Io segnalerei, come esemplare il capitolo Opero attraverso la luce, p. 155 e seguenti, e privilegerei la p. 158 per la Biblioteca Bodmer a Cologny, vicino a Ginevra. «La biblioteca Bodmer è una “meraviglia del mondo”. È conosciuta da pochi…». È una struttura ipo-

gea, cioè sotterranea. La pagina 159 è soprattutto dedicata alla luce, la vera generatrice dello spazio. Ma lo spazio per Botta è interstellarmente diverso dallo spazio mio, qui, esaurito. Ma oso rubare quattro righe al settimanale per una non confortosa opinione di Botta (p. 124) che mi trova totalmente consenziente: «Davanti agli scenari delle megalopoli sparse nel mondo globalizzato, l’incidenza che la cultura architettonica riesce ad esercitare appare in effetti insignificante. Questo non significa però che si debba abbandonare l’impegno. Sarebbe come chiedere a un poeta di non scrivere poesie solo perché il giornalismo più volgare o lo spettacolo televisivo più triviale hanno mercato».

Una promessa è una promessa! Ritiriamo da subito tutte le bottiglie di plastica vuote e le ricicliamo. La piccola Solei ha un buon motivo per essere contenta: come abbiamo promesso, ora in ogni filiale Migros insieme alle bottiglie del latte si possono restituire anche i flaconi vuoti di shampoo, docciaschiuma, detersivi e prodotti per la pulizia. Con questa misura e altre numerose promesse concrete ci impegniamo per la generazione di domani.


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Cultura e Spettacoli

Mezze rivelazioni Pubblicazioni L’eterno scontro tra ego e arte nell’attesissima

autobiografia della tormentata rockstar inglese Morrissey, criticata ed elogiata in egual misura dalla stampa e dai fan

Benedicta Froelich Per quanto sgradevole tale considerazione possa apparire, è indubbio che vi siano spesso buone ragioni per rimanere perplessi davanti ai libri firmati da nomi del mondo dello spettacolo quali showmen, cantanti, attori, etc. Tralasciando palesi aberrazioni quali i vari volumi a opera di calciatori o soubrette, la diffidenza verso questo tipo di prodotti deriva quasi sempre dalla consapevolezza di come essi siano sovente redatti da invisibili ghostwriter – e di come, se a scrivere è la celebrità che firma il volume, il risultato sia perlopiù scadente.

Morrissey avrebbe fatto meglio ad affidarsi alla competenza di un editor Questo, tuttavia, non sembra essere il caso di Steven Morrissey (meglio conosciuto semplicemente come Morrissey), carismatico e tormentato ex frontman della celebre band inglese degli Smiths, e da molti anni performer solista dall’innegabile originalità. All’età di cinquantaquattro anni, il buon vecchio «Moz», come lo chiamano i suoi fan, ha

infatti deciso di seguire le orme di molti illustri predecessori e scrivere un’autobiografia, intitolata semplicemente Autobiography e da poco pubblicata in Gran Bretagna (si suppone che una traduzione italiana sia presto in arrivo). Certo, bisogna ammettere che fa un certo effetto vedere un libro contemporaneo, per giunta realizzato da un cantante, apparire nella prestigiosa collana «Classics» delle edizioni Penguin (normalmente riservata, come il nome stesso suggerisce, ai grandi classici della letteratura), così come suona strano leggere in quarta di copertina dello «status iconico raggiunto da Morrissey in vita». Ma se si riesce a sorvolare su simili cadute di stile, una volta aperto il libro si rimane piacevolmente sorpresi: perché, più ancora che il suo racconto, ciò che cattura il lettore fin dalla prima pagina è la scrittura di Moz. In modo abbastanza classico, il libro ha inizio con l’infanzia di Steven, calata nell’atmosfera triste e fuligginosa dei quartieri working-class della Manchester del dopoguerra – ambientazione già immortalata in molti brani dello stesso Morrissey, in cui questo fondale squallido e spietato diveniva metafora dell’inevitabile sconfitta a cui sono destinate le aspirazioni di chi abbia la sfortuna di nascere in simili condizioni (all’interno di «un programma governativo / studiato per uccidere i tuoi sogni», come recitava il brano Interesting Drug). Ma, sebbene la prima

parte di Autobiography costituisca un grande affresco dell’Inghilterra urbana degli anni ’60-’70 e della fervida scena musicale che animava il mondo anglofono, curiosamente l’elemento più interessante del libro resta comunque lo stile: Morrissey gioca con le parole, con il ritmo e le assonanze di ogni singola frase, e le sue descrizioni spietate dei palazzi sventrati e delle strade luride del suo triste mondo cittadino ricordano vagamente certe visionarie pagine del Dickens di Tempi Difficili – mentre i racconti dei soprusi subiti a scuola (tipici del sistema educativo anglosassone dei tempi andati) hanno lo stile lucido e tagliente di una cronaca neorealista. In effetti, la prima metà del volume è senz’altro la più catalizzante e intrigante; per contro, chi da Autobiography si aspettava un compendio di rivelazioni e confessioni sulla carriera musicale degli Smiths e del loro leader è destinato a una cocente delusione, poiché, in modo piuttosto arbitrario, Morrissey glissa su molti dettagli della propria avventura con la band che lo ha reso celebre. Al di là di questo, tuttavia, si presenta a tratti un quesito più sottile: quello sulla reale motivazione dietro diverse pagine del libro, che suonano come se l’autore stesse usando la scrittura per tentare di convincere il lettore a schierarsi dalla sua parte contro vari colleghi e nemici – il che, purtroppo, lo spinge a dedicare ben cinquanta pagine alla famosa causa

Il cantante inglese Steven Morrissey (Moz). (Keystone)

legale che lo vide trascinato in tribunale da un ex membro degli Smiths per una triste questione di diritti d’autore. Certo, chiunque abbia mai amato Morrissey come musicista di spessore (e chi scrive è una di queste persone) sa bene quanto il carattere umorale del personaggio abbia influito sulla sua carriera, e sulle difficili e tese interazioni con la stampa e con i colleghi; e bisogna dire che in queste pagine, egli fa valere con innegabile forza le proprie ragioni. Tuttavia, la sua tendenza ad autocommiserarsi risulta piuttosto ridondante per un lettore, soprattutto considerando che Autobiography conta ben 457

pagine (!). Eppure, nonostante da questo memoriale traspaia un innegabile egocentrismo, il suo grande valore sta nella preziosa grazia delle «vignette» che Morrissey dipinge per illustrare le sue esperienze giovanili, o i vari personaggi da lui conosciuti; e viene da pensare che, forse, la presenza di un buon editor o consulente avrebbe davvero fatto la differenza, nei delicati equilibri del testo – anche se, probabilmente, il diretto interessato non avrebbe mai accettato di abbassarsi a seguire i consigli altrui. Purtroppo, bisogna ammetterlo, spesso l’egotismo mal si accorda con l’esercizio dell’arte.

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Cultura e Spettacoli Annuncio pubblicitario

Sì è vero, la canzone NOVITÀ riesce ancora a stupirci Musica Nuovi dischi per i giovani talenti Julia Holter e Blue Hawaii Zeno Gabaglio

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Malgrado la discografia sia in una declamata crisi, malgrado l’industria musicale sia data per spacciata, malgrado sembri che nessuno possa più produrre musica, ogni mese si viene letteralmente sommersi da nuove uscite discografiche. Al punto che il problema non è tanto scegliere a quale capezzale indirizzarsi per sussurrare le ultime preghiere, quanto piuttosto capire come muoversi per poter continuare ad ascoltare buona musica, in un sistema che brilla per sovrapproduzione ed eccesso di promozione. Il circolo vizioso in cui siamo coinvolti comporta infatti che – nel sistema musicale sempre più povero e nella società sempre più disattenta – le forze residue dell’industria si concentrino sulla pubblicità per prodotti sicuri, l’usato garantito del mercato della musica. Diventa quasi impossibile uscire da un simile meccanismo che coinvolge tutti i media, i social network e persino i più fidati consigli degli amici. Finché – per puro caso – il mouse non casca su un link un po’ discosto, la radio web non trasmette una certa canzone, in fondo alla rivista un nome mai sentito prima attira l’attenzione. E dalla finestra del proprio udito comincia ad entrare aria fresca, che non si pensava potesse più esserci, e il corpo si sospende in ascolto. Julia Holter, Loud City Song

È a metà del pezzo che capita la magia. Non che He’s Running Through My Eyes inizi male, anzi: un piano scordato da saloon che si combina a rumori da esecuzione domestica e ad una voce cristallina. Autentica intimità sonora. Ma poi comincia il ritornello, in minore, languido, che arriva a chiudersi con un’armonia sospesa e su di un accordo in maggiore: cosa diavolo ci fa, lì in una canzone di una giovane californiana, un fraseggio che sa di Rinascimento e una cadenza piccarda? Un vero corto circuito per la percezione, un dubbio che colpisce e al tempo stesso affascina. E anche il resto delle tracce di Loud City Song – l’album pubblicato pochi mesi fa per la Domino – continua a ripagare

La copertina di Untogether dei Blue Hawaii.

l’ascolto curioso di chi crede che la forma-canzone possa comunque e sempre regalare emozioni nuove. Che sia con ambientazioni soul-funky, con rumorismi evocativi o con affascinanti arrangiamenti acustici, e sempre ad accompagnare la delicata voce della cantante. Blue Hawaii, Untogether

No, non è il film del 1961 diretto da Norman Taurog ed interpretato da Elvis Presley. E nemmeno c’entra l’omonima traccia dell’omonimo album di Elvis, conosciuto soprattutto per la canzone

Can’t Help Falling in Love. Blue Hawaii è un duo canadese di recente formazione, anche se costola di una band relativamente nota come i Braids, che si iscrive nel genere «musica elettronica». Cassa dritta e su le mani? Tutt’altro, perché la raffinatezza con cui Raphaelle StandellPreston and Alex Cowan cesellano il suono di ogni canzone non ha niente a che vedere con lo stereotipo di musica elettronica danzereccia. Non che qualche traccia del disco Untogether non si possa ballare, ma a farla da padrone – anche qui – è il concetto di canzone, di

Top10 DVD & Blu Ray

Top10 Libri

Top10 CD

1. Sotto Assedio

1. Clara Sánchez

1. Artisti Vari

C. Tatum, J. Foxx

Le cose che sai di me, Garzanti novità

2. Un piano perfetto

D. Kruger, D. Boon novità 3. I Puffi 2

Megahits 2014 2. Artisti Vari

2. Jeff Kinney

Diario di una schiappa – Guai in arrivo, Il Castoro

Animazione

The Dome Vol. 68 3. Laura Pausini

Greatest Hits

brano da ascoltare per il valore di testo e musica, di suoni (e il miscuglio elettrico/acustico è davvero riuscito) o di linee melodiche (belle e imprevedibili, soprattutto quando l’interpretazione della cantante va a fingere meccanismi, come il loop, solitamente regno della postproduzione elettronica). Ma a togliere il fiato è soprattutto The Other Day, l’ultima traccia. Con quel synth arpeggiato che vaga nell’aria accanto alla voce, mentre un basso profondissimo tiene ancorato l’ascolto alle radici della terra. Vorrei volare ma non posso.

Agenda dal 3 al 9 febbraio 2014 Eventi sostenuti dalla Cooperativa Migros Ticino 900presente Pour échapper à la télévision Domenica 9 febbraio Auditorium RSI, Lugano, ore 17.30

3. Stephen King 4. Shadowhunters

Doctor Sleep, Sperling novità

L. Collins, J.C. Bower

4. Modà

Gioia… non è mai abbastanza 4. J. P. Sloan

5. Elysium

English da zero, Mondadori novità

M. Damon, J. Foster

5. Eugenio Finardi

Fibrillante novità 5. Violetta

6. Come ti spaccio la famiglia

J. Aniston, J. Sudeikis 7. The Lost Dinosaurs

R. Dillane, P. Brooke novità 8. Turbo

Animazione 9. Percy Jackson e gli Dei dell’Olimpo 2

Il mio diario – un anno dopo Disney novità 6. Fabio Volo

La strada verso casa, Mondadori 7. Margaret Mazzantini

Splendore, Mondadori 8. Isabel Allende

Il gioco di Ripper, Feltrinelli

6. Andrea Bocelli

Love in Portofino 7. Ligabue

Mondovisione 8. Zucchero

Minispettacoli Una giornata con Giulio Coniglio Domenica 9 febbraio Oratorio S. Giovanni, Minusio ore 15.00 / 17.00

Una rosa blanca 9. Eros Ramazzotti

Noi Due

L. Lerman, A. Daddario 9. Khaled Hosseini 10. R.I.P.D – Poliziotti d’aldilà

E l’eco rispose, Piemme

J. Bridges, R. Reynolds 10. Ildefonso Falcones In vendita nelle maggiori filiali Migros.

Knorr è in vendita alla tua Migros

La regina scalza, Longanesi

10. Antony/Battiato

Dal suo veloce volo Per saperne di più su programmi, attività e concorsi del Percento Culturale Migros consultate anche percento-culturale.ch e Facebook


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Cultura e Spettacoli Rubriche

In fin della fiera di Bruno Gambarotta Giuro che è l’ultima Ancora una lettera da una affezionata lettrice. Giuro che è l’ultima. Mi ha spinto a renderla nota la considerazione che chissà quante signore si sono trovate invischiate in una circostanza simile. Caro Bruno, ho bisogno del tuo aiuto. Sei la mia ultima spiaggia. Ho già sottoposto il mio dilemma a un sacco di rubriche di corrispondenza e nessuno ha saputo o se l’è sentita di darmi un consiglio. Una mia cara amica, donna colta intelligente e sensibile, quando le ho manifestato la mia intenzione di rivolgermi a te, mi ha domandato se per caso mi avesse dato di volta il cervello. Secondo lei tu non hai un briciolo di esperienza e darti retta può solo provocare disastri, ma, giunta a questo punto, non ho alternative. La situazione angosciosa nella quale mi dibatto senza intravedere via d’uscita è presto detta: non so come far sapere a mio marito che ho intenzione di lasciarlo perché mi sono innamorata di un altro uomo. Tu dirai: è una storia vecchia, banale, si è già verificata milioni di

volte. Lo so, però nel mio caso c’è una piccola variante ed è, tieniti forte, che l’uomo di cui mi sono innamorata è un alieno, un extraterrestre. Guarda che non è come pensi tu, il mio Lui non è una palla verde con antenne al posto degli occhi. È in tutto e per tutto uguale a un terrestre, solo un filino più bello. Il mio Eriberto mi ha spiegato che loro devono assumere le sembianze degli abitanti del pianeta che sono incaricati di esplorare. Il nome glielo assegnano sfogliando dei nostri vecchi registri di cui sono venuti in possesso e in questo senso sono rimasti un po’ indietro. Eriberto mi ha detto che quando lui torna a casa in licenza, sul suo pianeta, d’aspetto è tutto diverso ma non ha voluto entrare nei dettagli, forse per non spaventarmi. Tu mi dirai: se è in tutto e per tutto eguale a uno di noi, come fai a essere sicura che si tratti di un alieno? Non credere che non mi sia posta anch’io questa domanda. Un giorno che Eriberto non stava tanto bene, l’ho convinto a farsi visitare dal mio iridologo di fiducia. Ebbene, quello che ha

letto nell’iride dei suoi occhi è stato uno spettacolo così sconvolgente da spingerlo a cambiare specializzazione, ora fa il maestro di Kundalini. Caro Bruno, mi permetto di darti del tu anche se non ci conosciamo perché sono sicura che tu sei uno di quelli che vanno sul monte Musinè ad aspettare gli Ufo. Un mio amico ti ha visto e mi ha riferito che mentre gli altri ufologi erano intenti a puntare i loro binocoli verso il cielo stellato tu ne approfittavi per spazzolare le cibarie e i vini portati fin lassù negli zaini per combattere il freddo della notte. Per tornare al mio amore alieno, devi sapere che gli esploratori inviati in giro per l’universo hanno la proibizione assoluta di innamorarsi e di stabilire legami sentimentali duraturi con le donne del posto, ma Eriberto appena mi ha vista ha perso la testa e ha infranto le regole. Sinceramente, come dargli torto? Per ridurre al minimo il rischio che i suoi capi vengano a saperlo e lo richiamino in patria, dobbiamo vederci di nascosto e, quando andiamo in giro a comprare

degli abiti e della biancheria per lui, o andiamo al ristorante o in albergo, pago sempre io. La verità è che quelli che comandano sul suo pianeta li spediscono in giro per l’universo praticamente senza istruzioni; per fortuna Eriberto fa in fretta a imparare i nostri usi e le nostre abitudini. Gli ho prestato la mia carta di credito e il mio Bancomat e vedessi com’è diventato bravo a fare i prelievi! In questo sembra proprio uno di noi. Anche con il nostro cibo ha fatto progressi incredibili; nei primi tempi era così affamato che gli andava bene tutto, panini, pizze, focacce, farinata; poi è stata la fase dei piatti tipici e adesso siamo al top, ostriche, champagne, tartufi. Ogni tanto si ritira in una località segreta per compilare e spedire un rapporto. Persino le pile del suo trasmettitore gliele devo comprare io, è incredibile che li mandino in giro così, senza mezzi. Qualche volta parliamo del nostro futuro ma Eriberto mi ha fatto capire con molto tatto che è impensabile che lui possa portarmi con sé nel viaggio di ritorno,

troppo diverse dalle nostre sono le abitudini sul suo pianeta. Nonostante il fatto che il nostro amore sembri senza futuro io vorrei ugualmente dire tutto a mio marito, uno psichiatra poco attento agli aspetti pratici della vita ma che prima o poi si accorgerà dei buchi nel nostro conto corrente. Infine non ti nascondo che coltivo il sogno che il mio Eriberto si decida a chiedere asilo politico e rimanga per sempre con me. Tu cosa mi consigli? Cara Ornella, io penso che per il momento non dovresti ancora dire nulla a tuo marito; gli psichiatri hanno la pericolosa tendenza a vedere matti dappertutto. Invece potresti predisporre una gradita sorpresa al tuo Eriberto; chiedere, senza dirgli niente, l’asilo politico per lui. Vedi di rilevare di nascosto con uno stratagemma le sue impronte, anche incomplete, e portale in Commissariato con una sua fotografia. Vedrai che un asilo glielo trovano e prima di quanto ti immagini. Fammi poi sapere com’è andata, a meno che non ne parlino anche i giornali. Tuo Bruno.

sioni di alcuni filosofi, che a partire da Gorgia fino agli analitici del secolo scorso non hanno fatto che ripeterci che noi siamo un qualcosa («monade», diceva Leibniz) che non ha contatti certi né con la realtà (Kant, Critica della Ragion Pura), né con coloro che appaiono simili a noi. Come il primo Wittgenstein del Tractatus (1922), che nella prefazione scrive: «Tutto il senso del libro si potrebbe riassumere nelle parole: Quanto può dirsi, si può dir chiaro; e su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere», e secondo lui non si può parlare di ciò che si scontra con i limiti del proprio personale linguaggio. Poi cambierà idea, parlerà di gioco di combinazioni che porta a una possibile espressione e comprensione di quanto ciascuno dice. Ma la paura dell’incomunicabilità ha ormai, non solo grazie al Tractatus, preso possesso del ventesimo secolo. Le scienze della psiche e la filosofia, soprattutto la filosofia del linguaggio e la se-

miotica, hanno dedicato a questo argomento molti scritti e dibattiti, arricchiti da posizioni limite e opposte o possibili conciliazioni. Io ho sempre visto con gratitudine i risultati di alcuni filosofi nell’età matura: dopo aver negato ogni possibile contatto con la realtà, Kant poi non riesce a fare a meno della morale e della fede in un Dio giudice e retributore, come deve, anche lui, arrendersi al «libero gioco delle facoltà» quando si tratta di giudicare del bello, del sublime, della tensione a un fine di questo mondo. Così, come si è visto, Wittgenstein. Partendo dunque dalla estrema severità delle dimostrazioni scientifiche e logiche, si deve accettare la sfuggente realtà di come sia possibile aver contezza del mio qui e ora, e riuscire anche a trasmetterla ai miei simili. Anche perché la vita quotidiana va esattamente nella direzione opposta, i nostri rapporti col mondo e con l’«altro» sono fondati su sensazioni, intuizioni, vaghi

sentire. «Hai una brutta cera, che cosa ti preoccupa?»; «È inutile che tu mi ripeta che m’ami, si vede che non sei convinto»; «Ho una paura che non riesco a respirare, né a pensare»; «Scelgo l’abito rosso, me lo sento mio»; «Qui mi sento a casa». Quale scienza può scientificamente mostrare il significato di tali espressioni, che peraltro qualunque essere umano dotato di ragione invece interpreta perfettamente? Ma. Ma non dobbiamo nemmeno abbracciare con fiducia tutto quanto ci viene comunicato, perché la non scientificità delle espressioni altrui comporta una non univoca via al senso. Ed ecco che una richiesta da ragioniere viene intesa come una battutaccia da guitto, proprio perché, tra le tante facoltà che «giocano» nel comunicare tra noi, esiste anche l’arte del fingere e simulare. Ne riparleremo, per i prossimi quindici giorni, i compiti: riprendete in mano il Galateo.

del rene e così via, spaziando liberamente come nulla fosse in ogni settore della conoscenza, pretendendo ascolto e spacciando la vostra ignoranza per autenticità creativa. Se poi per caso non venite presi sul serio o il vostro interlocutore si permette di disapprovare, c’è sempre la scorciatoia dell’insulto o la strada maestra del complottismo: «Comeeee?! Non è d’accordo con me! Eh già, deve difendere la sua casta…». «Casta» (unico voto della settimana: 2) è decisamente parola abusata, come altre espressioni che vanno per la maggiore: «quant’altro», «piagnisteo», «gogna mediatica» («infamante» e «insopportabile»)… Automatismi linguistici. Ma è stata la Giornata della Memoria a offrirci il meglio (il peggio) del repertorio retorico degli ultimi anni. Dal calciatore Del Piero al presidente delle Ferrovie dello Stato, la frenesia di rilasciare alle agenzie, a Twitter e a Facebook la propria dichiarazione sul tema

ha aperto un festival dell’ovvietà e dell’ipocrisia senza pari. Ognuno con il suo pensierino perfettamente confezionato e con la sua piccola citazione faticosamente mandata a memoria (appunto, la memoria…) due minuti prima: aperte e chiuse virgolette. Non costa molto, deresponsabilizza e fa molto figo. Alcuni, nella fretta, hanno azzardato considerazioni non proprio di portata universale. Tipo: «Ricordare per non dimenticare». Che è come dire: camminare per non star fermi, correre per non andar piano, parlare per non tacere o tacere per non parlare… Ridere per non piangere. Ci sarebbe da ridere per non piangere. Per esempio, ecco i compagni di partito di Calderoli e Borghezio, quelli che di solito paragonano a una scimmia la ministra Kyenge, gente che caccerebbe a calci nel sedere i «Bingo Bongo» arrivati sulle carrette del mare, eccoli consegnare ai posteri frasette ispirate tipo: «La memoria di quei tragici eventi è

importante soprattutto per i nostri giovani affinché mai più si ripetano simili atrocità» (Roberto Cota, presidente della regione Piemonte). Applausi. Ecco il presidente della Lombardia Roberto Maroni citare Primo Levi: «Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare»… E a proposito di memoria, val la pena rammentare che solo il giorno prima (26 gennaio), per commemorare adeguatamente le vittime della Shoah, Maria Teresa Baldini, consigliera regionale della lista di Maroni, aveva chiesto al sindaco di Milano di chiudere i Rom nelle caserme in disuso. Ricordare per non dimenticare (le castronerie). Ma qualcuno che sappia tacere (per non dire scemenze)? Non sarebbe meglio, come in Israele, fermarsi due minuti in silenzio? Ascoltare il suono straziante di una sirena piuttosto che sopportare per ventiquattr’ore una serie infinita di fesserie?

Postille filosofiche di Maria Bettetini Paura di (non) comunicare Avevo scritto una email «di lavoro»: caro collega, etc., dobbiamo prendere accordi sugli aspetti tecnici sull’acquisto di materiale che è di competenza sia mia che tua, buon anno, saluti etc. Dopo quindici giorni, non avendo ottenuto risposta, riprovo: forse non ti è giunta la mia email, volevo solo sapere etc. Risposta: la tua email mi è giunta, ma pensavo che fosse uno scherzo, che tu volessi prendermi in giro, e io alle email ironiche non rispondo mai. Ohibò. È vero, sia per scritto che a voce facilmente mi scappa una battuta, ma da tempo ho imparato, spero, a controllarmi, soprattutto quando si tratta di numeri, acquisti, bilanci. Lì c’è poco da ridere, di questi tempi e comunque in generale. È vero, negli anni potrei aver scherzato in maniera non gradita. Se così fu, fu un errore, me ne dispiaccio. Ma… come si può pensare che uno scherzi a proposito di materiali di lavoro e denaro che o c’è o non c’è, c’è

poco da ironizzare? Così ragionando ho capito che l’errore era mio. Era quell’idiota convinzione di pensare e pretendere che tutti seguano lo stesso tuo filo di pensiero, logico o non logico. Che in fondo ci intendiamo, ci somigliamo tutti, proviamo gli stessi sentimenti, miriamo alle stesse mete. E questo è sbagliato, sbagliato, sbagliato. Perché più la mente del nostro interlocutore sarà raffinata e matura, più facilmente occulterà il suo vero sentire, per mostrare quello che ritiene opportuno e quando lo ritiene. Così negli anni, ogni incontro con questo collega, per me privo di ripercussione emotiva o intellettuale, per lui forse significava «Attenzione, eccola qui, attivare modalità “pesce in barile”, liberarsene subito, pericolo pericolo». Certamente non possiamo riempirci di paranoie (il giornalaio mi dà il resto senza guardarmi in faccia, sta forse complottando un rapimento?), e nemmeno, d’altra parte, accettare le conclu-

Voti d’aria di Paolo Di Stefano Le parole allo sbaraglio Spulciando nel chiacchiericcio universale che quotidianamente ingolfa il web c’è da divertirsi, perché la Rete esorta chiunque a commentare qualunque cosa senza ritegno, come in una gigantesca «Corrida» (vi ricordate la storica trasmissione radiofonica e poi televisiva di Corrado, sottotitolo: «Dilettanti allo sbaraglio»?). Commentare è l’invito indifferenziato di ogni sito di informazione che si rispetti: siete pregati di dire la vostra su ogni argomento, poco importa se sparate scemenze, fatelo, non esitate, partecipate, intervenite, non siate timidi, commentate tutto il commentabile… Il vostro commento cretino si sommerà a un altro commento cretino e avanti di questo passo i contatti cretini si moltiplicheranno e il successo del sito sarà assicurato ai posteri. Per esempio, pur non avendo mai aperto la Costituzione, volete dire la vostra sullo psicodramma della legge elettorale italiana? Non intendete per nulla al

mondo risparmiare all’umanità il vostro parere incompetente e per di più anonimo? Collegatevi con un giornale a caso e buttate là la vostra stupidata in faccia al costituzionalista che nella vita non ha fatto altro che studiare la legge elettorale: su, coraggio, combattete con lui ad armi pari. Insegnate a Giovanni Sartori o a Gustavo Zagrebelsky che cos’è un collegio uninominale. Che sarebbe come voler dare consigli ad Alonso su come pilotare la Ferrari e a Leonardo su come rendere più espressiva la Gioconda: «Avresti dovuto mette un’ombra in più di grigio sulla palpebra destra…». Dietro uno pseudonimo (nickname in inglese), potete fingervi esperti e disquisire con tutti di tutto: stamattina di fissione nucleare, a mezzogiorno dell’urbanistica di Los Angeles, oggi pomeriggio di filologia bizantina, stasera di criminalità organizzata, domani mattina di pesca a mosca, dopodomani di staminali o di tecniche di trapianto


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Idee e acquisti per la settimana

shopping E vai con i bagordi Attualità Sono oltre 150’000 le persone che ogni anno si divertono partecipando ai carnevali sparsi per il Ticino.

Nostro incontro con un Re

Alcune classiche specialità carnascialesche di Migros Ticino: i bigné ticinesi Savaris, le frittelle ondulate e le bugie zuccherate. (Flavia Leuenberger) Il Re di Locarno è stato eletto l’anno scorso a questa nuova carica e a lui chiediamo da dove provenga questa sua passione.

Nella lista delle tradizioni viventi allestita dall’Unesco, c’è anche il carnevale ticinese che sta entrando nel pieno del suo svolgimento. Per conservare le tradizioni, ma anche per promuovere forme di divertimento non violente e lontane da eccessi di sorta, 130 società carnevalesche del Ticino e della Mesolcina si sono unite nel 2007 per fondare l’Associazione regnanti della svizzera italiana (Arsi – www.arsiticino.ch), oggi presieduta da Mauro Trapletti (nella foto).

«La mia passione per il carnevale nasce da molto lontano. Da giovane seguii l’invito di un amico e partecipai al mio primo veglione. Fu un vero successo per me, tanto che da allora non ho più smesso di festeggiare. A conseguenza della mia assidua presenza, in diversi mi hanno chiesto se volevo diventare Re e io ho semplicemente accettato con gioia: per dieci anni sono stato il Re di Gordevio, mentre l’anno scorso sono stato eletto a capo della Stranociada, il carnevale di Locarno».

volta “CarnevalArsi”, ossia un carnevale benefico per gli utenti dell’Unitas e del Tavolino magico. Lunedì 3 marzo saremo alla casa Andreina di Lugano per portare allegria, musica e coriandoli, gustando nel contempo e in compagnia il tradizionale risotto e luganiga». Già, risotto e luganiga è di sicuro un piatto importante della maggior parte dei carnevali della Svizzera italiana (se non di tutti). Quali le altre tradizioni culinarie (e non) che pos-

siamo ancora trovare e che volete anche mantenere?

cora degustare, contribuendo così a mantenere viva una bella tradizione».

«Personalmente ritengo importante che a carnevale ci si mascheri ancora e pertanto vedo di buon occhio iniziative a incitamento di questo, come i concorsi che a Locarno vengono organizzati per le migliori maschere presenti alla Stranociada. A livello culinario noto che purtroppo si fatica sempre più a trovare i ravioli o i tortelli di carnevale. Fortunatamente in alcuni paesi si possono an-

Oltre ai tortelli, altri dolci allietano questi momenti di festa. Nei supermercati Migros possiamo per esempio assaporare le classiche frittelle ondulate, i bigné ticinesi, le chiacchiere o le bugie zuccherate, tutti prodotti che sono entrati ormai a far parte delle abitudini carnevalesche dei ticinesi. / Elia Stampanoni

Alcuni carnevali del 2014

A Locarno ha preso posto su un trono vacante…

«Esatto, Locarno ha finalmente riavuto un suo Monarca, Re Pardo 1°, dopo ben 22 anni di assenza. Nello stesso anno sono pure diventato presidente dell’associazione Arsi». Oltre che difendere le tradizioni e promuovere la sicurezza, quali altre attività svolge l’associazione?

«Quest’anno organizzeremo per la prima

Bigné ticinesi Savaris 150 g Fr. 3.90 Frittelle di carnevale 216 g Fr. 2.90 Bugie zuccherate 250 g Fr. 3.50

5-8.2 13-16.2 18-23.2 24.2-3.3 27.2-4.3 27.2-4.3 28.2-1.3 5.3-8.3 6.3-8.3

Re Bözz Sementina Carnasch Cadenazzo Lingera Roveredo Sbroia Lugano Rabadan Bellinzona Nebiopoli Chiasso Stranociada Locarno Re Naregna Biasca Or Penagin Tesserete


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Idee e acquisti per la settimana

Legumi secchi: buoni, nutrienti e convenienti Novità Da questa settimana presso i reparti verdura dei supermercati Migros di Serfontana, Lugano, Agno,

S. Antonino e Locarno troverete diverse leguminose secche in vendita sfusa

La scelta è veramente allettante e saprà certamente accontentare tutti gli amanti dei legumi. Ceci giganti, farro perlato, lenticchie verdi e rosse, fave, piselli e diversi tipi di fagioli quali spagna, neri, borlottini, dall’occhio, rossi e cannellini sono ora ottenibili al libero servizio, nelle

maggiori filiali di Migros Ticino. Non dovete fare altro che riempire il sacchetto messo a disposizione con la quantità desiderata, pesarlo e stampare l’etichetta da apporre sul sacchetto. I legumi secchi sono apprezzati dai buongustai non solo per la loro delica-

tezza, ma anche per le loro proprietà nutrizionali, dal momento che contengono pregiate sostanze quali fibre alimentari, vitamine, oligoelementi e proteine (leggi riquadro). Inoltre sono praticamente privi di materia grassa e il loro prezzo è particolarmente vantaggioso. Alcuni

consigli: per ammorbidirli e ridurre i tempi di cottura, come pure per renderli più digeribili, i legumi secchi vanno messi in ammollo in acqua fredda il giorno prima della cottura. Prima di farlo sciacquarli sotto l’acqua corrente per eliminare le impurità. Salate i legumi

solo a fine cottura. Cuocere a fuoco basso in abbondante acqua. I tempi di cottura possono variare da circa un’ora e mezza (fagioli) fino a tre-quattro ore (ceci) . Per dimezzare i tempi di cottura si può utilizzare la pentola a pressione; in questo caso si può anche evitare l’ammollo.

Il parere dell’esperta

Falafel ai pinoli con crème fraîche alla limetta

«Le leguminose sono ricche di amido e quindi di energia. Inoltre sono una buona fonte di proteine, fibre alimentari, ferro, calcio, magnesio, e potassio. Fra le leguminose troviamo lenticchie, ceci, fagioli di vari tipi (borlotti, cannellini, bianchi di spagna, dall’occhio, neri,... come pure piselli). Le proteine delle leguminose sono più sensibili alle interferenze positive o negative sull’assorbimento. Per questo motivo è raccomandato l’ammollo, e gettare l’acqua dell’ammollo, al fine di eliminare i fitati che interferiscono con l’assorbimento del ferro. Combinare ai legumi un cereale permette di aumentare il valore biologico delle proteine. Le raccomandazioni nutrizionali attuali per un’alimentazione equilibrata propongono di consumare settimanalmente due o tre volte leguminose abbinate ai cereali. Nella pratica potete abbinare 50-100 g di legumi cotti con 150-200 g di cereali, di preferenza integrali, oppure pasta, cotti. Potete preparare leguminose in maggiore quantità e congelarle, così da averne sempre una

Piatto principale per 6 persone

Pamela Beltrametti, dietista diplomata S.S.S., titolare dello studio di consulenza e terapia dietetica «La Dietista» di Cadenazzo (www.ladietista.ch)

scorta. Alcune gustose preparazione potrebbe essere, ad esempio: Falafel (polpette di ceci) con riso integrale; Fagioli in insalata con farrotto allo zafferano; Paté di lenticchie con pane integrale; Fagioli borlotti con pasta; Minestra di farro e ceci. Sarebbe ideale accompagnare questi abbinamenti con un’insalata o delle crudità, fonti di vitamina C, che aumenta l’assorbimento del ferro proveniente dai legumi».

ciato e le erbe tritate finemente. Pestate il cumino e aggiungetelo ai ceci insieme con la paprica, il sale, il sumac, l’amido di mais, la farina e il lievito. Impastate bene il tutto e lasciate riposare l’impasto per un paio d’ore.

Ingredienti 500 g di ceci 300 g di cipolle 200 g di pinoli 4 spicchi d’aglio 3 mazzetti d’erbe, ad es. prezzemolo, cerfoglio, coriandolo 1 cucchiaio di semi di cumino 1 cucchiaio di paprica 15 g di sale 1 cucchiaio di sumac, in vendita nei negozi di specialità etniche 1 cucchiaio di amido di mais 2 cucchiai di farina 0.5 cucchiaino di lievito in polvere olio per friggere ½ limetta 200 g di crème fraîche sale, pepe

2. Formate delle polpette grosse come una noce. Doratele in una friggitrice, poche alla volta, a 170 °C per ca. 5 minuti. Grattugiate la scorza della limetta e mescolatela con la crème fraîche. Unite un poco di succo e condite con sale e pepe. Servite la crème fraîche con i falafel. Tempo di preparazione ca. 40 minuti + riposo alcune ore + ammollo tutta la notte Per persona ca. 18 g di proteine, 19 g di grassi, 29 g di carboidrati, 1500 kJ/360 kcal Preparazione 1. Mettete a bagno i ceci in acqua fredda e lasciateli ammollo per tutta la notte. Scolateli e fateli sgocciolare bene. Tritateli grossolanamente con le cipolle e i pinoli in un tritatutto poco alla volta. Trasferite la massa in una scodella. Unite ai ceci l’aglio schiac-

Una ricetta di


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Idee e acquisti per la settimana

Portateci i vostri giocattoli usati!

Sabato 8 febbraio, dalle 8.00 alle 17.00, il Centro S. Antonino ha il piacere di ospitare ancora una volta l’associazione locarnese GiocaSolida. Nell'ambito di un programma occupazionale gestito dal comune di Muralto, dei disoccupati raccolgono giocattoli usati e una volta rimessi quasi a nuovo vengono donati ai bambini più bisognosi in Ticino, in Svizzera e all’estero. Il programma riscuote di anno in anno un successo sempre maggiore. La formula è semplice: consegnate i vostri giocattoli da riciclare agli utenti di GiocaSolida presenti nella mall del Centro S. Antonino. Dopo essere stati

Più shopping Lo sapevate che alcune filiali Migros del Sottoceneri vi danno la possibilità di effettuare la spesa serale fino alle ore 19.00, dal lunedì al sabato, durante tutto l’anno? Vi ricordiamo qui quali sono gli orari d’apertura dei punti vendita interessati: Boffalora dal lunedì al sabato 08.00 - 19.00 Stabio dal lunedì al sabato 08.00-12.30/14.00-19.00 Molino Nuovo dal lunedì al sabato 08.00-19.00 Mendrisio dal lunedì al sabato 08.00-19.00 (giovedì 20.00) Pregassona dal lunedì al sabato 08.00-19.00 (giovedì 21.00) Serfontana dal lunedì al venerdì 8.30-19.00 (giovedì 21.00) Sabato 8.30-18.00 Cassarate dal lunedì al sabato 08.00-19.00 Lugano dal lunedì al sabato 08.00-19.00 (giovedì 21.00)

Premiazione concorsi «SMS» weekend Royal Negli scorsi giorni si è svolta la premiazione dei due concorsi proposti durante lo scorso anno in collaborazione con il fornitore La Ferme Bongrain di Cressier sur Morat, abbinati ai rinomati formaggi francesi: Tartare, Saint Albray, Chavroux Tendre Bûche, Fol Epi Classic e Caprice

des Dieux. 20 fortunati clienti si sono aggiudicati ognuno una carta regalo Migros del valore di 200 franchi. I due premi principali, costituiti da un buono viaggio Hotelplan del valore di 2’000 franchi l’uno, sono stati assegnati alla signora Lea Nyfeler di Lugaggia e alla signora Camilla

Fossati di Bellinzona. Alle due fortunatissime vincitrici vanno i nostri complimenti. Vi possiamo sin d’ora anticipare che nel corso dell’anno saranno riproposti altri concorsi abbinati a questi formaggi tipici della Francia; non perdete le prossime edizioni di Azione per i dettagli!

separati per tipologia, verranno portati nell’atelier di Muralto, dove saranno lavati, disinfettati e, laddove necessario, accuratamente riparati. I giochi rimessi a nuovo verranno quindi imballati, catalogati e infine regalati ai bambini più indigenti. L’anno scorso, GiocaSolida ha trattato oltre 50 mila giocattoli, mettendoli a disposizione di più di 37 mila bambini di ogni parte del mondo. Infine ricordiamo che GiocaSolida non ritira giochi elettrici a pila o batteria, giochi e peluches ingombranti, nonché giochi attinenti alla guerra. Vi aspettiamo numerosi!

Da sinistra: Renato Facchetti (responsabile pubblicità e sponsoring Migros Ticino), i coniugi Nyfeler e Charles-André Robert (responsabile vendite La Ferme Bongrain). (Giovanni Barberis)

Richiamo e ritiro dei gorgonzola Da un controllo a campione effettuato internamente alla Migros sui gorgonzola è stata riscontrata la presenza di microorganismi del tipo Listeria nel prodotto Gorgonzola Dolce. Per motivi di sicurezza, nella giornata di venerdì 24 gennaio 2014, la Migros ha richiamato l’articolo interessato – Gorgonzola Dolce, 200 g, n. articolo 2125.843, prezzo d’acquisto Fr. 2.90. L’Assicurazione qualità ha poi valutato nuovamente la situazione dopo il richiamo. Sebbene finora non si segnalino ulteriori casi di listerie, la Migros ha comunque attivato uno stop agli approvvigionamenti per tutti i prodotti del fornitore italiano. Precisiamo che si tratta di una pura misura cautelativa. Né le verifiche del fornitore che analizza a campione ogni partita prima della consegna né i controlli interni alla Migros hanno infatti rivelato la presenza di altra Listeria. Il produttore viene attualmente sottoposto a ulteriori audit e controlli. Gli approvvigionamenti potranno riprendere soltanto a fronte dei risultati completi dei test e del via libera da parte dell’Assicurazione qualità. La misura adottata avrà come conseguenza l’assenza dei singoli gorgonzola dagli scaffali Migros per il prossimo periodo. I gorgonzola di altri fornitori re-

gionali non sono interessati dalla misura cautelativa e rimangono pertanto in assortimento. Per qualsiasi domanda, i clienti possono rivolgersi all’Infoline della Migros: M-Infoline tel. 0848 84 08 48 da lunedì a venerdì dalle 08.00 alle 17.00 sabato: dalle 08.30 alle 12.30 www.migros.ch/m-infoline


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Idee e acquisti per la settimana

Cosce di pollo saporite con yogurt alle erbe e spicchi di patate al forno Piatto principale per 4 persone Ingredienti qualche gambo di prezzemolo* e di aneto* 1½ limoni* 4 cucchiai d’olio d’oliva* 360 g di yogurt al naturale* 800 g di patate* 3 spicchi d’aglio* ¼ di mazzetto di erbe, ad es. timo, rosmarino, salvia 4 cosce di pollo* sale alle erbe*, pepe dal macinapepe*

Il gruppo

L’uscita all’aperto

Nell’allevamento bio sono permessi al massimo 500 animali per gruppo. In ogni pollaio si possono tenere quattro gruppi suddivisi. Ciò influisce positivamente sulla salute degli animali.

Per garantire un allevamento rispettoso degli animali, i polli possono fra l’altro uscire sul pascolo e dispongono di sufficiente luce del giorno.

2. Scaldate il forno a 220 °C. Tagliate i limoni a pezzetti, dimezzate le patate per il lungo e tagliatele a spicchi. Schiacciate un poco gli spicchi d’aglio senza sbucciarli. Trasferite il tutto in un sacchetto grande per surgelati. Infilate sotto la pelle di ogni coscia di pollo 1 rametto d’erba aromatica o delle foglioline. Staccate le foglioline dai rametti d’erba rimasti e mettetele nel sacchetto insieme con le cosce di pollo. Condite generosamente il tutto con sale alle erbe e pepe. Mescolate bene. 3. Estraete le cosce di pollo dal sacchetto e accomodatele nella teglia. Rosolatele nel forno per ca. 10 minuti. Abbassate la temperatura a 200 °C. Distribuite le patate, i pezzetti di limone e l’aglio intorno alle cosce. Cuocete il tutto nella parte superiore del forno per ca. 30 minuti. Durante la cottura girate le cosce una volta. Servite il pollo e le patate con lo yogurt alle erbe.

Il pollo che può andare sul pascolo

Suggerimento se volete cosce di pollo particolarmente saporite, prima della cottura fatele marinare in frigo per ca. 2 ore. Tempo di preparazione ca. 15 minuti + cottura ca. 40 minuti Per persona ca. 27 g di proteine, 23 g di grassi, 37 g di carboidrati, 200 kJ/470 kcal

Il cibo

Illustrazione Maja Drachsel; foto Claudia Linsi

I polli bio sono tenuti in piccoli gruppi che possono uscire regolarmente all’aperto. Di conseguenza la loro carne, povera di grassi, acquista una buona consistenza

Preparazione 1. Tritate il prezzemolo e l’aglio. Grattugiate un poco di scorza di limone. Mescolate la scorza grattugiata e il trito d’erbe con 1 cucchiaino d’olio e lo yogurt. Condite la salsa con sale alle erbe e pepe e mettete in frigo.

Il cibo bio è privo di organismi geneticamente modificati. Qualità bio significa anche nessun impiego preventivo di medicamenti e additivi chimici.

Il tema polli risveglia in noi immagini di diverso tipo. Da una parte si pensa a moltissimi polli in uno spazio ristretto, dall’altra ad animali che razzolano pacificamente in un verde prato. Quest’ultima è la realtà per i polli bio. Da subito Migros offre un assortimento ampliato di polli bio. Questi animali sono allevati secondo le severe linee direttive bio: possono uscire all’aperto tutti i giorni e nei pollai godono

Bio è simbolo di misure severissime nella coltivazione di materie prime. La massima priorità spetta al rapporto delicato con la natura, alla naturalezza delle materie prime e dei prodotti nonché al benessere degli animali.

di aria fresca e luce del giorno. La fase di oscurità dura otto ore, e ogni gruppo di polli non può comprendere più di 500 animali. L’uscita all’aperto giornaliera rafforza le loro difese immunitarie e ne favorisce l’irrobustimento. Questo è importante, perché l’impiego preventivo di medicamenti chimici come antibiotici è proibito. Organizzazioni riconosciute dallo Stato controllano e certificano i pro-

duttori bio e chi lavora le carni almeno una volta all’anno. In tal modo si può garantire che dove c’è scritto bio, c’è dentro bio. Il pollo è una carne apprezzatissima. Questo perché si tratta di una carne sana, leggera e versatile nella preparazione. Un petto di pollo ben arrostito e tenero con un’insalata mista, un croccante pollo al forno o uno sminuzzato esotico con riso basmati: non ci sono limiti alla fantasia

creativa. Le erbette aromatiche mediterranee come timo, maggiorana e salvia si sposano perfettamente col pollo, che di per sé ha poco aroma, quindi gli olii eterici delle erbe fresche servono a esaltare al meglio il delicato sapore della carne. Per renderla bella piccante, si aggiunge pepe, sale, peperoncino e paprika. E un buon brodo di pollo riscalda e rinforza nel gelido inverno. / Heidi Bacchilega

*Tutti gli ingredienti sono disponibili come prodotti bio. Ricetta di

Parte di

Generazione M è simbolo dell’impegno sostenibile della Migros. Migros bio ne fornisce un prezioso contributo.

Bio jogurt nature 180 g Fr. –.45 invece di –.60 Bio petto di pollo** Fr. 4.90 per 100 g Bio pepe** Max Havelaar nero intero 100 g Fr. 2.05 invece di 2.60 ** In vendita nelle maggiori filiali Migros. Prezzi azione fino al 10.2


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Idee e acquisti per la settimana

Sulle piste carichi di energia I loro preziosi ingredienti fanno dei diversi prodotti Farmer i compagni ideali degli sportivi. Ora il già vasto assortimento si arricchito di tre creazioni a base di noci e frutta

Anche durante le vacanze sciistiche, la mattina si dovrebbe iniziare con una sana colazione. In particolare se si intende praticare sport tutto il giorno, una sana alimentazione è essenziale per vivere la giornata in piena energia. I prodotti Farmer forniscono all’organismo preziose energie, perché il loro principale componente sono i cereali. I fiocchi e i müesli Farmer, contrariamente a una colazione tradizionale composta da molti ingredienti, si preparano in un attimo. Si aggiunge un po’ di latte, di jogurt e di frutta fresca, ed ecco pronto un pasto equilibrato, sano e leggero. Farmer Croc semi e noci, ad esempio, un müesli con cereali, semi di zucca e di girasole, noci croccanti e dolcificato con glicosidi steviolici invece che con zucchero, fa della colazione un’autentica leccornia da sgranocchiare. Chi preferisce il gusto acidulo ricorrerà a Farmer Croc bacche di bosco. E anche gli amanti del cioccolato troveranno

CONS IG LI PE R L’ALIM EN TA

Cibo da pista I nutrienti sono decisivi per ma ntenere la forma e l’efficienza. • Alla mattina Un müesli forn isce energia. Aggiungetevi pure un po’ di frutta fresca. • Pasto principale Sciare me tte appetito. Rinunciate alla bistecca con patatine fritt e. L’organismo necessita poi di molta energia per la dig estione e s’impigrisce. Meglio una minestra o pollo con verdura. • Bevande L’aria secca inverna le fa consumare più liquidi. Ideali sono acqua o tè non zuccherato. Le bevande alcoliche non son o adatte quali dissetanti, in quanto compromettono la capacità di concentrazione e di guida.

pane per i loro denti: i fiocchi di grano integrale, in parte rivestiti di cioccolato, contengono sette vitamine e ferro, oltre a un’alta percentuale di fibre. L’assortimento Farmer offre una gran varietà di prodotti per tutti i gusti. Come novità, ora c’è anche la barretta di cereali alle noci e alla frutta in tre varietà. Con melagrana, mirtilli o mela e molte noci intere, questo snack è gustosissimo e fornisce tanta energia. Lo spuntino ideale per ricuperare velocemente le forze

Se si trascorre tutta la giornata sulle piste, una barretta Farmer è lo spuntino ideale. Ad esempio Farmer Sport, la barretta energetica con martilli rossi: la sua ricca percentuale di fruttosio e glucosio fornisce velocemente al corpo preziosa energia. Barrette, fiocchi e müesli: tutti i prodotti Farmer sono anche fonte di fibre vegetali. / Anette Wolffram Eugster; foto Daniel Ammann; styling Carla Camiolo

Coi prodotti Farmer si parte perfettamente attrezzati per una giornata attiva.

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PESCE, CARNE E POLLAME Wienerli M-Classic, 5 x 2 paia, Svizzera, 1 kg 8.55 invece di 14.25 40% Lonza di maiale, TerraSuisse, affumicata, per 100 g 1.95 invece di 3.30 40% Carne secca dei Grigioni, affettata, Svizzera, 123 g 7.90 invece di 9.90 20% Fettine di pollo Optigal, Svizzera, per 100 g 2.70 invece di 3.30 Tutti i tipi di sushi, per es. sushi, bio, salmone da allevamento in Irlanda e gamberetti da allevamento in Costa Rica, 130 g 9.50 invece di 11.90 20% Gamberetti tail-on, bio, cotti, d’allevamento, Ecuador, per 100 g 4.30 invece di 6.20 30% Prosciutto cotto Puccini, prodotto in Ticino, affettato fine in vaschetta, per 100 g 2.55 invece di 3.90 30% Salame spinata Beretta, prodotto italiano, affettato in vaschetta, per 100 g 2.80 invece di 4.10 30% Teneroni di vitello, TerraSuisse, Svizzera, imballati, per 100 g 2.50 invece di 3.20 20% Spezzatino di vitello magro, TerraSuisse, Svizzera, imballato, per 100 g 2.50 invece di 3.60 30% Lombatine d’agnello, Nuova Zelanda / Australia, imballate, per 100 g 3.70 invece di 5.30 30% Galletto speziato, Svizzera, in conf. da 2 pezzi, per 100 g 1.– invece di 1.45 30% Punta di vitello, TerraSuisse, Svizzera, al banco, per 100 g 2.30 invece di 3.10 25% Filetto dorsale di salmone, Norvegia, al banco, per 100 g 3.65 invece di 4.90 25% fino all’8.2

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PANE E LATTICINI Tutti i pani bio a lunga scadenza, per es. pane integrale di segale, rotondo, 500 g 2.70 invece di 3.40 20% Tutti gli yogurt Farmer, per es. al cioccolato, 225 g 1.55 invece di 1.95 20% Tutti gli yogurt bio (yogurt di latte di pecora esclusi), per es. prugna, 180 g –.60 invece di –.75 20% Raccard Tradition in blocco maxi, per 100 g 1.50 invece di 2.20 30% Tilsiter alla panna, bio, per 100 g 1.50 invece di 1.90 20% Pane Val Morobbia, 550 g 2.70 invece di 3.40 20%

FIORI E PIANTE Tutti i tulipani, per es. tulipani M-Classic, mazzo da 10 pezzi, 6.– invece di 7.50 20% Mix di orchidee, in vaso da 12 cm, la pianta 19.80

ALTRI ALIMENTI Baby Kisss in conf. da 2, UTZ, al latte o noir, per es. al latte, 2 x 15 pezzi 4.30 invece di 5.40 20% Tutti i praliné Frey in scatole e i cioccolatini Adoro, UTZ, per es. Pralinés Prestige, 250 g 11.10 invece di 13.90 20% ** Tutti i biscotti bio, per es. biscotti di spelta con uvetta, 260 g 2.75 invece di 3.45 20% Tutti i biscotti ChocMidor, a partire dall’acquisto di 2 confezioni, –.60 di riduzione l’una, per es. Carré, 100 g 2.30 invece di 2.90 Tutti i caffè e le bevande a base di cacao bio, Fairtrade, per es. caffè in chicchi, 500 g 7.05 invece di 8.30 15% Nutella in vaso di vetro da 1 kg 6.20 Miscela di frutta secca e noci M-Classic in conf. da 3, 3 x 250 g 6.40 invece di 8.10 20% Zucchero fino cristallizzato 1 kg (zucchero Aarberg escluso), per es. zucchero fino cristallizzato Cristal 1.– invece di 1.25 20% Tutti i Filets Gourmet Pelican MSC, in conf. da 400 g, surgelati, per es. Filets Gourmet à la Provençale 5.75 invece di 7.20 20% Sminuzzato di pollo M-Classic in conf. da 2, surgelato, 2 x 350 g 6.85 invece di 11.45 40% Tutti gli articoli Pepsi e Schwip Schwap in conf. da 6 x 1,5 l, per es. Pepsi Regular 5.50 invece di 11.– 50% Tutti i succhi Fairtrade non refrigerati, per es. succo d’arancia e mango Sarasay, 1 l 2.20 invece di 2.80 * **Offerta valida fino al 17.2

Tutti i tipi di riso M-Classic in busta da 1 kg, a partire dall’acquisto di 2 confezioni, –.60 di riduzione l’una, per es. riso Parboiled Carolina 1.90 invece di 2.50 Tutti i prodotti Mifloc bio e i rösti bio, per es. Mifloc, 2 x 95 g 3.15 invece di 3.95 20% Spaghetti o spaghetti all’uovo M-Classic in conf. da 3, per es. all’uovo, 3 x 750 g 5.40 invece di 6.75 20% Tutto l’assortimento di senape e maionese Thomy, per es. maionese à la française, 265 g 2.– invece di 2.50 20% Ketchup Heinz in conf. da 2, hot o normal, per es. ketchup normal, 2 x 700 g 4.75 invece di 6.80 30% Tutte le minestre, le salse e i brodi bio, per es. brodo di verdura, 180 g 3.– invece di 3.80 20% Tutto l’assortimento di conserve di pesce Rio Mare e Albo, per es. tonno rosa Rio Mare in olio d’oliva, 104 g 3.15 invece di 3.95 20% Thai Kitchen Pad Thai Sauce, 200 g 3.90 NOVITÀ *,** 20x Tutto l’assortimento Pancho Villa, per es. Soft Tortillas, 326 g 3.80 invece di 4.80 20% Arachidi, bio, e noci miste, bio, salate, per es. noci miste, 170 g 2.20 invece di 2.80 20% * Snacketti Zweifel in conf. da 2, per es. Snacketti Onion Rings, 2 x 75 g 3.10 invece di 3.90 20% Tutte le crostate, per es. crostata di mele, 215 g 2.30 invece di 2.90 20% Tutte le tortine in conf. da 4, per es. tortina di Linz, 4 pezzi, 300 g 3.90 invece di 5.20 25% Bagel con salmone American Favorites, 155 g 20x 4.80 NOVITÀ *,** Tutti i crauti e i cavoli rossi bio e M-Classic refrigerati, per es. crauti cotti, bio, 500 g 2.45 invece di 2.90 15% Miscela di verdure Anna’s Best, per es. mediterranea, 320 g 20x 4.40 NOVITÀ *,** Gnocchi M-Classic in conf. da 2, 2 x 550 g 5.90 invece di 7.– 15% Pasta in conf. da 3, bio, per es. fiori alla ricotta e agli spinaci, 3 x 200 g 9.60 invece di 12.90 25% Sofficini vegetariani in conf. da 2, bio, per es. sofficini con erbe aromatiche, 2 x 165 g 7.30 invece di 8.60 15% Tutto l’assortimento Galbusera (escluso Mini Tra), per es. frollini al cacao, 160 g 2.30 invece di 2.90 20% Sughi La Reinese, per es. al basilico, 350 g 2.30 invece di 2.90 20% Cake Generoso, 380 g 4.– invece di 5.– 20%

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 febbraio 2014 • N. 06

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 febbraio 2014 • N. 06

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Idee e acquisti per la settimana

Iniziare la giornata con varietà ed equità Colazione con Max? L’assortimento di prodotti Fairtrade Max Havelaar viene continuamente ampliato.Così ci sono anche tante buone cose per la colazione Bisognerebbe far colazione come un imperatore, si dice. Ma durante la settimana è piû facile dirlo che farlo: o si ha voglia di poltrire ancora un po’ sotto le coperte, oppure bisogna dedicarsi ai bambini prima che vadano a scuola. Al contrario di quella dell’imperatore, però, una colazione equa è semplice da inserire nel tran tran quotidiano. Inoltre una colazione a base di prodotti Fairtrade Max Havelaar non dà energia solo a noi, ma rafforza

anche le popolazioni dei paesi emergenti e in via di sviluppo di questo nostro mondo. Fairtrade è un modello commerciale alternativo che si basa su tre colonne: commercio equo, organizzazione sociale e protezione ambientale. Prezzi stabili e relazioni a lunga scadenza servono a migliorare le condizioni di vita dei piccoli contadini e dei lavoratori. Grazie a Fairtrade, i piccoli contadini godono di in-

Fairtrade sostiene i piccoli contadini e i lavoratori delle piantagioni, fra l’altro con prezzi minimi garantiti per le materie prime e premi Fairtrade, affinché essi possano migliorare autonomamente il loro tenore di vita e le condizioni lavorative.

Coacipar, Brasile

troiti più alti, maggior stabilità finanziaria, e i lavoratori delle piantagioni di condizioni di lavoro migliori e una protezione della salute migliorata. Essenziale anche il premio Fairtrade: spesso viene utilizzato per progetti sociali come le cure mediche o per l’infrastruttura (per esempio fontane). Sono i produttori stessi a decidere insieme democraticamente sull’utilizzazione del premio. I piccoli contadni, dal canto loro, s’impegnano

per una coltura responsabile. I prodotti Fairtrade non devono provenire necessariamente da coltivazioni biologiche. Tali metodi vengono conunque incentivati in modo mirato, ad esempio tramite prezzi minimi più alti per i prodotti bio come gli ananas Fairtrade bio. Bevanda al cacao, caffè, noci di para, smoothie, jogurt, tè nero o zucchero greggio: c’è tutto per una colazione equa. / Nicole Ochsenbein; foto & styling Veronika Studer

Parte di

Generazione M testimonia l’impegno della Migros per la sostenibilità.

Agronorte, Costa Rica

In questa cooperativa di arance nel sud del Brasile, oltre a consultazioni gratuite dal dentista e cure mediche, a tutti i membri e alle loro famiglie sono offerti corsi di perfezionamento per raccoglitori.

Qui nel nord del Costa Rica si producono biologicamente ananas Fairtrade. I premi finanziano ad esempio l’istruzione dei contadini nel campo della coltura ecologica, materiale scolastico e attività per i bambini.

El Arroyense, Paraguay Invece di dover vendere lo zucchero alla macina a prezzi instabili, oggi Yeni Paolo Recalde Barrios è esportatore indipendente. «Trattiamo, facciamo contratti e vendiamo il nostro zucchero con fierezza».

Apicoop, Cile 470 contadini formano la cooperativa del miele nel sud del Cile. Il premio Fairtrade ha migliorato sensibilmente le condizioni di vita in questa regione: è stato investito nella fornitura di corrente e nella scolarizzazione dei bambini.

La Migros offre un vasto assortimento di prodotti equi per la colazione: • Bio Fairtrade Smoothie kiwi-banana* 25 c. Fr. 3.30 • Fairtrade succo d’arancia 1 l Fr. 1 .50 • Bio Fairtrade zucchero greggio 600 g Fr. 2.30 • Bio Fairtrade tè nero 20 bustine Fr. 2.70 • Bio Fairtrade ananas al prezzo del giorno • Fairtrade miele di fiori cremoso 500 g Fr. 5.95


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 febbraio 2014 • N. 06

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Idee e acquisti per la settimana

Meno cartone per risparmiare spazio La nuova scatola di cartone certificato FSC è molto più compatta: misura 15 x 7,5 x 3 cm (prima 16,5 x 12,5 x 9,5 cm). Risparmiamo spazio nella credenza e nella borsa della spesa.

Café Royal Espresso 10 capsule Fr. 3.80

Capsule con sigillo salva aroma Nuove sono le capsule prive di imballaggio, ciò che permette di produrre molto meno rifiuti. Il caffè risulta comunque saporito come appena macinato.

Tanto aroma in formato mini Basta con imballaggi e cartone superflui. Ogni capsula di Café Royal possiede ora un sigillo salva aroma. Ciò consente di confezionare 10 pezzi in una scatola molto più piccola. Il risparmio di rifiuti è così del 60%

Gli amanti del caffè apprezzano la qualità e la varietà di Café Royal. Questo sistema di capsule rappresenta una valida alternativa per le tutte le macchine da caffè Nespresso abituali. L’unica pecca finora era dovuta al fatto che ogni capsula era imballata singolarmente per preservare il delicato aroma del caffè. Le capsule ora posseggono esse stesse un sigillo salva aroma, pertanto anche la scatola per contenerle ha potuto essere rimpicciolita. Inoltre il caffè è certificato

UTZ, il marchio per una coltivazione sostenibile. Al contempo, anche il design è stato rivisto e la gamma ampliata con due novità. Café Royal Lungo Forte è una variante più intensa del Lungo, dedicato a chi ama apprezzare lentamente il caffè in una tazza grande. Come prodotto stagionale viene invece proposta la varietà Café Royal Vanilla con una delicata nota vanigliata. / Dora Horvath; foto Gettyimages

Café Royal Lungo Forte 10 capsule Fr. 3.80 Café Royal Limited Edition Vanilla 10 capsule Fr. 4.20

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CONCORSO

a l a t t u t r e p * L E T T I e V a e l d a n r a e n m i o . m d 0 a e t 8 u n q 8 e c o u a r ’ g l e l e e s m d a u l e l n Vincet rispondendo a alla risposta al l i e h c o t n o c o a d d i l n e o e g i n t h e c t , o d » fam o VITA segui a n t e i p v a a s l e è g a k u q 5 c 2 a ' a d i L l « n g i f a a i i l a l g v i e n m i g a k f a 5 l 3 e o n i l e i g ont ? il fi c a , u g a k q u c q 0 a c 6 i a d e a r d % a 0 m 6 l Quant a l a , d g a 014 e k i 2 o d z 0 r e a 8 m m a n s i e o p orte il 3 chtenstein. t s i e a r i u t t t d i a r t a t s s p o c è ranno e vizzera o nel Lie a s o i r n o t i a c n i m u .Iv i in S t 4 a 1 o i l 0 i p 2 c i r o i m o a o r il c 8 febb devono essere d quisto. dal 1° al 2

anti di ac p orso: i o c c g n i e l o t b r c a b l p o e I d a Durata personalmente. i in denaro. Senz contattati n sono convertibilnza sovrattasse. I premi noSMS: 0.20 CHF se minerale VITTEL. Costo del x 120 litri di acqua 10 * In palio:

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 febbraio 2014 • N. 06

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Idee e acquisti per la settimana

Per un bucato senza troppe complicazioni: Total 1 for all Caps 28 pezzi Fr. 15.90

TOTALmente facile Bianchi, colorati; delicati e non: con le capsule concentrate di Total tutti i capi restano puliti e curati. Le pratiche porzioni evitano sovradosaggi, salvaguardando così l’ambiente

Scendere in lavanderia, caricare la biancheria, aggiungere la capsula Total e avviare la lavatrice. Oggi fare il bucato è un gioco da bambini. La pellicola che avvolge le Total Caps è completamente

idrosolubile. Il liquido concentrato che contengono è particolarmente efficiente e sviluppa la sua forza pulente già a basse temperature. In tal modo si risparmia pure energia. Per un risultato ottimale

l’importante è comunque non caricare troppo la lavatrice. Una sola porzione di detersivo è sufficiente per un intero programma. Il concentrato è efficace sulle macchie ma deli-

cato sulle fibre. Che si tratti di capi bianchi, colorati o delicati, Total promette pulizia e protezione di ogni tipo di tessuto e colore. Inoltre previene l’ingrigimento, preserva la brillantezza e la lumi-

nosità mantenendo la struttura dei capi. Infine, le capsule di detersivo sono anche comode da portare con sé in viaggio oppure per la lavanderia a gettoni. / Jacqueline Vinzelberg; foto Getty Images


PAGARE RAPIDAMENTE SENZA CONTATTO. Ora alla Migros: pagamento con carta di credito senza contatto. Fino a fr. 40.– non occorrono né il PIN né la firma. Ancora meglio con la Cumulus-MasterCard gratuita.


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