Cooperativa Migros Ticino
G.A.A. 6592 S. Antonino
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXVII 24 febbraio 2014
Azione 09
Società e Territorio Nel suo ultimo libro lo psicologo Robin Dunbar spiega perché la nostra specie ha scelto la monogamia
Ambiente e Benessere Compie 100 anni il Servizio sismico svizzero, la sentinella contro terremoti artificiali e naturali
Politica e Economia Anno difficile per l’Ue che dovrà confrontarsi con le elezioni e gli indipendentismi
Cultura e Spettacoli A Villa Panza di Varese un’esperienza di luce grazie a Robert Irwin e James Turrell
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Shisha: una moda pericolosa
di Maria Grazia Buletti
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Le radici ticinesi del fenomeno frontalieri di Peter Schiesser Racconta un’amica, insegnante in una scuola professionale, che la stragrande maggioranza dei suoi allievi ha votato in favore dell’iniziativa contro l’immigrazione di massa. «Soressa, vogliamo difendere i nostri posti di lavoro, i nostri datori di lavoro minacciano di licenziarci e assumere dei frontalieri, pagandoli meno». Un segnale di rottura tutto ticinese nel mondo del lavoro, fra padrone e dipendente. Una conoscente, che ha votato sì, mi dice di non aver nulla contro gli italiani, ma ora ritiene che il mondo del lavoro ne risenta troppo, anche se un tempo chiamò una ditta italiana per dei lavori in casa. Inoltre, nel suo comune di frontiera non c’è quasi più spazio verde, sacrificato a nuove fabbriche, alcune delle quali con capitale e personale tutto straniero. Il suo sì è da leggere anche, mi dice, come un no a un certo mondo padronale e a certe autorità locali che hanno svenduto senza contropartita per la popolazione locale il suolo patrio a ditte estere. Un segnale di rottura tutto ticinese fra autorità e cittadinanza, per come viene utilizzato il suolo e contro una politica economica senza ricadute positive per la popolazione locale.
Racconta un’amica di un colloquio udito fra un sostenitore dell’iniziativa e un amico. Il primo chiede al secondo di poter portare degli scarti vegetali nella discarica del secondo; questi risponde di farla portare dal giardiniere nella discarica pubblica, ma il primo ribatte che no, non può, perché ha assoldato in nero un giardiniere italiano. Un problema tutto ticinese di coerenza (il voto contro gli stranieri non costa, il giardiniere ticinese sì, quello italiano, in nero, molto meno). Potremmo aggiungere altri racconti, di chi ritiene responsabili gli stranieri del fatto che il tal amico e/o parente non trova lavoro, ma fermiamoci qui: i casi descritti sopra sono indicatori di problemi reali, che hanno spinto queste e altre persone a votare sì all’iniziativa dell’UDC, a voler coagulare contro un elemento esterno (i lavoratori stranieri) un disagio che, onestamente, ha delle radici interne, locali, ticinesi: è il datore di lavoro ticinese che, volendo spendere meno, assume un frontaliere (laddove non vi siano motivi di disponibilità di una specifica manodopera); è l’autorità e/o il legislatore ticinese che permette di svendere terreno per l’edificazione di fabbriche che possono stare in piedi solo pagando una miseria i frontalieri; è cittadino ticinese chi vota contro l’immigrazione straniera e però vuole spende-
re meno assoldando un padroncino o un lavoratore italiano (o facendo acquisti in Italia). Eppure, è molto più facile puntare il dito contro «l’offerta» (i lavoratori stranieri) che contro «la domanda» (di manodopera a prezzi stracciati), tutta ticinese. È una costante umana: il male viene proiettato al di fuori di noi. Vale per la psiche del singolo individuo (lo riconobbe Freud), vale anche per la psiche collettiva. E naturalmente, le forze politiche ticinesi che intendono cavalcare l’onda anti-libera-circolazione hanno tutto l’interesse a «esternalizzare» i problemi e oggi chiedono a Berna uno «statuto speciale» per il Ticino (leggasi in proposito la riflessione in chiave storica di Angelo Rossi a pagina 27). Ma davvero vogliamo chiedere a Berna di cavare le nostre castagne dal fuoco, addossare alla Berna federale la responsabilità di risolvere dei problemi di cui in buona misura siamo responsabili noi? I problemi sorti con la libera circolazione in Ticino sono reali, o perlomeno percepiti come tali. Restare ciechi di fronte alle responsabilità locali – collettive e individuali – e demandare le soluzioni ad altri non aiuta a risolvere i problemi. E mandare a monte gli accordi bilaterali con l’Ue è forse più facile che affrontare i problemi in casa propria e tentare di creare un nuovo «patto sociale».
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 24 febbraio 2014 • N. 09
E anche lo strillozzo ritrovò la voce I prodotti TerraSuisse crescono nelle aziende agricole dei contadini Ip-Suisse, che le gestiscono in modo ecologico. Nelle loro fattorie, negli ultimi anni, sono aumentati del 40% gli habitat ricchi di specie animali Christoph Petermann * Con il marchio TerraSuisse Migros si impegna a lungo termine per la biodiversità nell’ambito della produzione agricola e della protezione delle specie biologiche. Viene sostenuta in questo dall’associazione dei contadini svizzeri che producono secondo i criteri dell’agricoltura integrata (IP-Suisse). Essi si impegnano a mantenere gli habitat attualmente esistenti, in cui sono insediate piante rare e animali selvatici, e a crearne di nuovi. In questo ambito i contadini devono rispettare linee guida rigidamente definite, che sono state elaborate in collaborazione con gli studiosi della Stazione ornitologica di Sempach. L’istituto di ricerca indipendente opera come consulente di Ip-Suisse e di Migros nel settore della biodiversità ed è responsabile anche dei controlli sull’efficacia delle misure. All’interno di un catalogo che copre un’ampia gamma di contesti, gli agricoltori operano una scelta tra diverse possibilità di intervento. «Cosa devo implementare nella mia azienda per soddisfare i requisiti necessari? Cosa è sensato e realizzabile? Questa è stata la maggiore sfida con cui sono stati confrontati i nostri contadini» dice il responsabile aziendale di IP-Suisse Fritz Rothen. Il programma richiede un grosso impegno, ma ne vale la pena: zone erbose ai margini del bosco offrono la necessaria protezione ai cerbiatti. I ricci invece hanno bisogno di un certo disordine: allevano i loro piccoli sotto mucchi di foglie o di rami, mentre gli spazi lasciati incolti nei campi di cereali sono luoghi ideali di nidificazione per le allodole. Nell’ambito della campagna Generazione-M Migros aveva promesso di aumentare del 30 per cento gli habitat favorevoli alla biodiversità nelle fattorie Ip-Suisse entro il 2013. In realtà la quota raggiunta è di oltre il 40 per cento. La Stazione ornitologica di Sempach ha
Markus Jenny è esperto in biodiversità. (Markus Jenny)
compiuto sull’argomento un’ampio studio. Ne abbiamo parlato con il biologo Markus Jenny della Stazione ornitologica di Sempach. * Redattore di Migros Magazin
Lo strillozzo, un uccello fortemente minacciato d’estinzione che nidifica sul terreno, può approfittare delle zone dove crescono erbe selvatiche nei campi. (Markus Jenny)
Intervista a Markus Jenny, biologo Markus Jenny, il progetto per il sostegno della biodiversità esiste dal 2008. Nel frattempo gli spazi vitali per garantire la varietà biologica sui terreni dei contadini IP-Suisse sono aumentati di oltre il 40 per cento. È un risultato che avrebbe creduto possibile?
No. Migros e IP-Suisse, così come la Stazione ornitologica stessa, nel momento della firma dell’accordo si stavano avventurando in un ambito tutto da esplorare. Soprattutto per gli agricoltori IP-Suisse occuparsi di favorire la biodiversità era una sfida difficile.
Ma sono stati in grado di gestire il problema con coraggio. In questo modo, ad esempio, la superficie di campi in cui crescono varie specie di vegetali tra il 2010 e il 2012 è aumentata di circa il 32 per cento. In termini assoluti ciò rappresenta una superficie supplementare di prati con fiori selvatici di circa 19 chilometri quadrati. Complessivamente la superficie utile come habitat, come i campi in cui crescono piante selvatiche e cespugli, è aumentata di 53 chilometri quadrati, ciò che rappresenta quasi due terzi della superficie del lago di Zurigo. Dopo aver valutato i
E ciò cosa significa per la biodiversità?
Ma sarebbe un così grande grande problema se una famiglia di farfalle dovesse estinguersi in Svizzera?
Nel quadro di un progetto scientifico i ricercatori della Stazione ornitologica di Sempach e dell’Istituto di ricerca per l’agricoltura biologica (FiBL) hanno esaminato la biodiversità in rapporto alla presenza di farfalle, cavallette, piante e uccelli in 130 aziende agricole. I risultati dello studio confermano che la biodiversità in un’azienda agricola è tanto maggiore quanto più diffusi sono gli ambienti utili a disposizione.
Per ogni specie che perdiamo, sparisce una parte dell’ecosistema. Ogni essere vivente vi svolge compiti precisi: le api impollinano le piante da frutta, i falchi si nutrono di topi. Basta che una specie scompaia per sbilanciare tutto il sistema. E un danno massiccio all’ecosistema può provocare grossi problemi economici. La perdita di specie ha dunque spesso anche un effetto economicamente valutabile.
dati per l’anno 2013, queste cifre con grande probabilità aumenteranno.
M Industria Migros: crescita del 6,3% L’Industria Migros ha ulteriormente rafforzato la sua posizione sia sul mercato svizzero che all’estero. Il fatturato realizzato si attesta a 5,763 miliardi di franchi, in crescita del 6,3% rispetto all’esercizio precedente, del 3,4% al netto degli effetti legati all’acquisizione della CCA Angehrn e della Bergsenn. Con acquisti per 4,2 miliardi di franchi, in crescita del 2,4%, le aziende della comunità Migros (in particolare le cooperative regionali Migros) rappresentano ancora i clienti più importanti. Anche le attività con esterni alla Comunità Migros hanno portato buoni risultati, con un fatturato di 1,5 miliardi di franchi, di cui 513 milioni di franchi realizzati con la vendita a clienti esteri, in particolare di cosmetici, liscive e detersivi, cioccolato, caffè in capsule e prodotti caseari. Sul mercato indigeno il principale motore di crescita è stato il segmento carne, pesce e pollame, con un incremento dell’8,8%. Micarna, Mérat e Favorit, le
aziende attive in questi settori, si affermano come partner efficienti, competenti e affidabili e stanno conquistando quote di mercato ormai da anni. Nel settore dei latticini e dei prodotti caseari, l’acquisizione dell’azienda grigionese Bergsenn SA, specializzata nella produzione di formaggio di montagna, ha contribuito a rafforzare ulteriormente la posizione della Migros in questo segmento di mercato. Unica grazie all’industria, che ne caratterizza l’offerta e la leadership nel rapporto qualità-prezzo, Migros è uno dei principali produttori di marche proprie a livello mondiale e per l’economia svizzera è un partner di primo piano. Nel corso del 2013 l’Industria Migros ha investito in Svizzera ben 160 milioni di franchi in miglioramenti tecnologici, ampliamento degli spazi di produzione e in processi finalizzati al risparmio energetico; entro la fine del 2014 è infatti prevista l’introduzione di un sistema di gestione ambientale conforme alla Norma ISO 14001.
Sul fronte dell’occupazione, a fine 2013 le Industrie Migros occupavano 11’403 collaboratori, 250 in più rispetto al precedente esercizio, tra
Azione
Settimanale edito dalla Cooperativa Migros Ticino, fondato nel 1938
Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch
Editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino Tel 091 850 81 11
Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile) Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni
La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni
Stampa Centro Stampa Ticino SA Via Industria 6933 Muzzano Telefono 091 960 31 31
cui 450 apprendisti (esercizio precedente: 415) che seguono una formazione in una trentina di professioni diverse.
Avvertenza sulla scatola UTZ
Per errore, nel dépliant Do it + Garden del 21 gennaio 2014, la Migros ha contrassegnato un articolo in modo errato. La scatola UTZ grigia (articolo 6033.404, prezzo in azione CHF 17.45) pubblicizzata in prima pagina è stata descritta come «Indicato per la conservazione dei cibi», un’informazione non corretta. La scatola, infatti, non soddisfa i requisiti imposti dalla Legge federale sulle derrate alimentari per l’idoneità all’uso alimentare. Per questo motivo, non si possono conservare cibi in questo contenitore. La scatola UTZ non rappresenta alcun pericolo per i consumatori. Tiratura 98’654 copie Inserzioni Migros Ticino Reparto pubblicità CH-6592 S. Antonino Tel 091 850 82 91 fax 091 850 84 00 pubblicita@migrosticino.ch
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 24 febbraio 2014 • N. 09
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Società eTerritorio Incontri Il lavoro e la creatività del grafico nell’esperienza di Daniele Garbarino
Archeologia industriale La storia del Macello Pubblico di Lugano iniziò nel 1891, la struttura cessò l’attività nel 1993, oggi si discute ancora sul suo futuro pagina 8
Storia ticinese Nel 1914 pochi giorni dopo l’inizio del conflitto mondiale Chiasso fu protagonista di una vicenda che coinvolse migliaia di italiani: ne fu testimone Isidoro Antognini pagina 10
pagina 5
Nel libro Amore e tradimento le relazioni amorose sono studiate dal punto di vista dell’evoluzione. (Keystone)
Amore romantico? Non proprio… Fin che morte non ci separi Siamo una specie monogamica da soli duecentomila anni: lo psicologo e antropologo
Robin Dunbar spiega come si è evoluto questo comportamento Lorenzo De Carli Solo il 5% circa di tutte le specie di mammiferi è monogamico. E noi, primati appartenenti al genere homo sapiens sapiens, siamo monogamici? È una domanda che tendiamo a porci quando osserviamo, per esempio, la promiscuità degli scimpanzé bonobo o gli harem dei gorilla. E se, sì, da quando lo siamo? Molti ricercatori stanno provando a dare una risposta in prospettiva evoluzionistica. Docente all’Università di Oxford, specialista nel comportamento dei primati, antropologo e psicologo evoluzionista, Robin Dunbar ha raccolto i dati delle sue più recenti ricerche nel campo delle relazioni d’amore studiate dal punto di vista dell’evoluzione in un libro intitolato Amore e tradimento (Raffaello Cortina editore). La prospettiva evoluzionista si era già fatta largo alla fine dell’Ottocento, dopo Darwin, e a lungo si era accettata una concezione standard, secondo la quale noi «umani abbiamo sviluppato il legame di coppia per permettere a entrambi i genitori di prendersi cura dei piccoli». Dunbar non è d’accordo. Sostenendo che «gli uomini sono superflui nell’intera attività riproduttiva dopo il concepimento», egli ritiene che «non è del tutto ovvio che i costi del crescere i figli richiedano inevitabil-
mente che due persone siano la madre e il padre». È vero che «la spiegazione convenzionale è sempre stata che per allevare la prole umana si richiedono due persone, e si è sempre supposto che due persone volesse dire mamma e papà». Dunbar è però convinto che «una possibilità altrettanto plausibile, almeno nel caso degli esseri umani, è la compresenza di mamma e nonna». Non è un caso che lo psicologo inglese citi la figura della nonna. Infatti, verso la metà del secolo scorso, gli evoluzionisti cominciarono a chiedersi perché il nostro genere abbia evoluto la menopausa, fenomeno assai raro nei mammiferi. L’ipotesi finora più accreditata è quella detta, appunto, «della nonna»: rispetto agli altri mammiferi, non solo i neonati della nostra specie nascono molto immaturi e hanno bisogno di cure prolungate a causa dell’encefalizzazione che ci caratterizza, ma anche la loro infanzia è lunga e richiede molta dedizione. Ebbene, l’«ipotesi della nonna» sostiene che l’interruzione della fertilità femminile dia un vantaggio alla nostra specie perché le cure prestate ai nipoti incrementano notevolmente la loro possibilità di sopravvivenza. Altro luogo comune messo in crisi dagli evoluzionisti è quello, secondo il quale la nostra specie avrebbe evoluto la
relazione monogamica per la cura dei figli perché i maschi, andando a caccia, fornivano sostentamento alla famiglia. Il fatto è che, studiando le abitudini delle attuali tribù di cacciatori-raccoglitori (che rappresentano con discreta approssimazione ciò che siamo stati per la maggior parte della nostra storia evolutiva), si osserva che «in realtà, gli uomini fornirebbero alla famiglia molte più calorie, catturando con trappole piccole prede o aiutando le donne nella raccolta di cibi vegetali, di quante ne abbiano mai fornito cacciando grandi animali pericolosi – spenderebbero molto meno tempo, energie e sforzi, correndo meno rischi per la loro vita e la loro integrità fisica». Anzi, confrontando l’approvvigionamento calorico fornito alla famiglia dai maschi e quello fornito dalle femmine, è stato desunto che «nelle società di cacciatori-raccoglitori erano le donne a fornire la maggior parte delle calorie attraverso la loro attività di raccolta». E allora? E allora «la caccia grossa era un modo per mettersi in mostra, non un modo per fornire cibo alla propria famiglia». La caccia grossa era un’occasione per esibire qualità, che solo buoni geni potevano procurare; una dote preziosa per le femmine della nostra specie, le quali – dato l’ineguale costo riproduttivo che debbono sostenere – hanno tutto
l’interesse a scegliere i migliori geni perché in grado di produrre una prole più vigorosa e con maggiori possibilità di sopravvivenza. A proposito della qualità dei geni, le ricerche di Dunbar sono molto interessanti. Sottoponendo ad un certo numero di donne foto di maschi, i visi dei quali erano stati modificati con un software in modo da offrire gradi diversi di mascolinità (determinata dal testosterone), Dunbar e i suoi colleghi hanno potuto osservare che le donne preferivano i visi più mascolini nella fase fertile del ciclo, optando invece per visi meno caratteristicamente maschile negli altri giorni. Usando dati ricavati da molti altri test, Dunbar sostiene che «questi risultati suggeriscono che le donne, quando scelgono un uomo con cui avere una relazione, possono mostrare una preferenza per indizi sulla qualità dei geni, ma quando scelgono un uomo con cui vivere a lungo preferiscono la scelta di qualità capaci di incidere sull’allevamento dei figli». Ciò significa che, da un punto di vista evolutivo, è meglio fare un figlio con un maschio che si distingue nella caccia grossa, e allevarlo con un maschio che si distingue perché premuroso, generoso e affidabile. Le ricerche di Dunbar spaziano dall’amicizia all’amore romantico, pas-
sando dallo studio degli annunci di matrimonio alle tecniche di seduzione, ma la risposta alla domanda su come si sia evoluto il rapporto monogamico nella nostra specie è dichiarata solo alla fine, studiando il nostro genere assieme con quello di altri primati: «sono giunto ineluttabilmente alla conclusione che i legami di coppia si sono evoluti negli esseri umani per risolvere un problema di molestie maschili e di rischi di infanticidio, probabilmente in circostanze in cui abbondavano maschi rivali». Secondo Dunbar, quando le nostre tribù di cacciatori-raccoglitori divennero tanto grandi, da rendere eccessivo il numero di maschi desiderosi di accoppiarsi, la pressione sulle femmine superò il limite, e la scelta della «guardia del corpo» (fatta anche da altre specie) fu la logica conseguenza. Rimane incerto quando siamo passati dalla convenzionale promiscuità a coppie unite da un legame. I dati del rapporto sulla lunghezza delle dita (nei primati le specie poligame ad accoppiamento promiscuo hanno il secondo dito della mano relativamente più corto del quarto dito rispetto le specie monogame) suggeriscono che ciò dovette avvenire quando apparvero gli esseri umani anatomicamente moderni, circa 200’000 anni fa.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 24 febbraio 2014 • N. 09
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Società e Territorio
Messaggi creativi Incontri A colloquio con il grafico ticinese Daniele Garbarino premiato al Taiwan International
Graphic Design Award 2013 Stefania Hubmann Un manifesto, un logo o un segnale cattura la nostra attenzione proprio perché concepito a questo scopo. È compito del grafico riuscire a condensare l’informazione e il messaggio in un unico concetto armonioso d’immediata comprensione ma che racchiude più livelli di lettura. Se l’informazione passa attraverso la sintesi e la chiarezza, il messaggio tocca altre corde, legate a sensazioni ed emozioni. Come nasce allora un’immagine grafica, un progetto di comunicazione? Abbiamo trovato risposta nell’esperienza di Daniele Garbarino, il cui lavoro è stato recentemente premiato al concorso Taiwan International Graphic Design Award 2013, dove ha presentato l’immagine coordinata del Museo Plebano di Agno.
«La nostra è una generazione cerniera che ha iniziato lavorando a mano e poi ha assistito alla rivoluzione digitale» L’identità visiva del piccolo museo, rilanciato nel 2011 con un rinnovato concetto espositivo curato dallo stesso grafico, si è distinta fra 1300 lavori provenienti da 43 Paesi, inserendosi nei 25
progetti vincitori proclamati da una giuria internazionale. Il progetto coglie tutte le peculiarità del Museo Plebano che propone esposizioni di archeologia, storia e arte del territorio. Ed è proprio ad alcuni fra i più antichi reperti rinvenuti nella Pieve, le stele leponzie, che si ispira il logo del Museo. «Ho ripreso l’alfabeto nordetrusco della scritta che sulla stele è racchiusa nella sagoma di un corpo umano», spiega Daniele Garbarino. «Alcune lettere però le ho girate per ricordare i due tipi di lettura (da sinistra a destra e viceversa) conosciuti dall’alfabeto etrusco». Le scritte sono spesso al centro dei progetti del grafico ticinese, che vive e lavora a Cademario. L’esempio più conosciuto è senz’altro l’opera concepita con l’artista Mariapia Borgnini Eclissi II, vincitrice nel 1997 del primo premio al concorso per l’arredo artistico della nuova sede dell’Archivio cantonale a Bellinzona. Il lavoro è stato realizzato la primavera seguente. «La luce che penetra dall’alto e la biblioteca, situata dietro il muro dove è collocata l’opera, sono state le nostre fonti d’ispirazione. I grandi caratteri mobili in rilievo che compongono Eclissi II sono anche un omaggio alla storia della scrittura tipografica, inventata da Gutenberg e oggi sostituita dall’era digitale». Con altri artisti il grafico aveva già partecipato nel 1996 a un’esposizione collettiva al Centre Culturel Suisse a Parigi. La collaborazione con artisti e architetti ha giocato un ruolo rilevante nel
Il manifesto del Museo Plebano di Agno premiato a Taiwan. (D. Garbarino)
percorso di Daniele Garbarino, le cui figure di riferimento durante la formazione alla Scuola professionale di arte applicata di Lugano (CSIA) sono state due esponenti di spicco della grafica: Bruno Monguzzi e Max Huber. Nato nel 1960, Daniele Garbarino si è diplomato al CSIA nel 1980, ritornando nell’istituto dal 2000 al 2012 come insegnante. «È stata un’esperienza fondamentale e gratificante che mi ha permesso di imparare molto», racconta il nostro interlocutore. «Per questo devo ringraziare molti allievi entusiasti e motivati. La formazione oggi è più articolata ed estesa e l’informatica gioca un ruolo importante. La nostra è una generazione cerniera
che ha iniziato lavorando quasi esclusivamente a mano per poi beneficiare dei supporti tecnologici e infine assistere alla rivoluzione dell’era digitale». Dalla matita al mouse, il mondo della grafica ha subìto come altri settori professionali una radicale trasformazione del proprio modus operandi, conservando le peculiarità di un processo di creazione che affina man mano proporzioni e colori. Così è stato per il manifesto del Museo Plebano e così avviene per ogni nuovo concetto, sia esso legato a un manifesto, un logo, un sito web o un sistema informativo (Daniele Garbarino ha firmato tra le altre la segnaletica orientativa del percorso storico-cultura-
le della Strada Regina fra Agno e Manno). «Tutti i settori d’attività sono in continuo sviluppo, soprattutto i siti web ai quali viene accordata sempre maggiore attenzione da parte dei committenti. Anche per il Museo Plebano si sta lavorando a un sito specifico separato da quello del Comune di Agno. Caratteristica dei siti è che hanno vita breve, mentre un logo affermato tiene nel tempo. In alcuni casi sono stato chiamato a rinnovare questi simboli. A volte si riesce, privilegiando l’intervento sulla scritta esistente, a conservare la forza dell’originale per aggiungere il necessario a farle fare quello che dice». Ne è un esempio la scritta per la casa di produzioni televisive e cinematografiche PiCfilm, dove nella nuova versione le lettere delle due parole in parte si sovrappongono creando un movimento ottico. La creatività del grafico deve però sapersi confrontare anche con il lato pratico di una realizzazione. La collaborazione con gli artigiani è quindi pure molto importante. Daniele Garbarino ha raccolto questa sfida ad esempio nella costruzione e nell’illuminazione dei pannelli informativi che nella Rotonda di Locarno documentano la storia archeologica della città e del castello. A dimostrazione che il grafico deve sapersi muovere tra giochi creativi ed esigenze concrete, tra le richieste del committente e la sua interpretazione delle stesse, sul filo di un equilibrio che racchiude l’informazione da trasmettere e l’idea da evocare.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 24 febbraio 2014 • N. 09
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Società e Territorio
Il Macello Pubblico di Lugano Archeologia industriale Proposto al Municipio nel 1880
dal veterinario Carlo Papis il macello iniziò la sua attività nel 1891 Laura Patocchi-Zweifel Fin dal 1513, per concessione dei 12 Cantoni Confederati, Lugano è stata sede di una delle più frequentate fiere del bestiame d’Europa. Il medico e scrittore Giuseppe Pasqualigo, esule veneziano ospite nel nostro Cantone, nella sua Guida di Lugano del 1855 ci fa rivivere un vivace borgo ottocentesco con le sue contrade, i suoi edifici, le sue istituzioni e la celebre Piazza del mercato dei buoi: «Trovandosi settimanalmente in Lugano un fiorito mercato, viene questa piazza fatta servire a quello dei buoi, dei cavalli e dei montoni. Ella merita però un particolare riguardo durante la fiera di Lugano, la quale protraesi dal 10 al 16 ottobre d’ogni anno, ed è una delle più importanti fiere di bestiame che si conoscano, si calcola infatti che vi giungano da oltre alpi da 8 a 10 mila bovini, e circa 1000 cavalli. Le valli ticinesi vi inviano esse pure molto bestiame; e pochi paesi d’Italia possono vantare tanta attività, tanta industria e tanto commercio quanto la città di Lugano durante la fiera». Le prime testimonianze dell’esistenza di un’organizzazione pubblica riguardo la macellazione degli animali risalgono al 1699 quando la Confraternita dell’Immacolata fece costruire il macello di mastra per la carne di particolare pregio, nella «Piazza della le-
gna», accanto all’attuale Palazzo Civico in Piazza Manzoni. Esisteva anche un macello di soriana per la carne di seconda qualità, di toro, di pecora o vaccina, alla Piazza del Grano, l’attuale piazza Rezzonico. Già allora l’autorità pubblica regolamentava la macellazione degli animali esercitando una rigorosa sorveglianza igienico-sanitaria e intervenendo direttamente sui prezzi di vendita. Nel primo Ottocento il macello di mastra venne abbattuto per far posto al Teatro Sociale mentre l’altra struttura continuò per breve tempo la sua attività. Nel 1819 in seguito a proteste a causa delle dilaganti macellazioni fuori controllo in diversi punti della città, venne finalmente edificato un nuovo macello dov’erano gli orti dell’Ospedale di Santa Maria, nella via Canova verso Piazza San Rocco. Ma ecco che nel 1875, allorché il macello dovette lasciare il posto al palazzo postale, le cose si complicarono in quanto il sistema di macellazione selvaggia sfuggiva di nuovo alla vigilanza delle autorità. Per trovare una soluzione al problema nel 1880 il veterinario Carlo Papis propose al Municipio la costruzione di un Macello Pubblico. Finalmente nel 1888, in seguito alle insistenti richieste anche da parte dei macellai, avvenne la pubblicazione del bando di concorso per la progettazione del nuovo com-
plesso. Ma fu nel 1889 che si costituì la Società del Macello Pubblico e si decise nell’Assemblea Comunale di iniziare i lavori della monumentale struttura con diversi edifici in via Ciani e della strada di accesso lungo il fiume Cassarate. Nel gennaio del 1891 il Macello Pubblico, gestito da un Società anonima per azioni con sede a Lugano, apre le porte. Giorgio Galli in Lugano cronaca del tempo riporta: «Le macellazioni nelle contrade a colpi di mazza, lo scorticar degli animali ammazzati e il cavar loro le budella in riva al lago, avrebbero avuto fine». Nel 1903 il Comune riscatta l’azienda del Macello Pubblico che passa direttamente sotto la sua gestione diventando «azienda municipalizzata». I fabbricati avevano funzioni ben precise e diversificate in regola con norme igieniche e sanitarie severe. Nel Luganese si consumava molta carne ed esisteva un’industria turistica di primaria importanza e di alto livello qualitativo che necessitava di una struttura di massima sicurezza. Il macello ispezionava tutta la catena produttiva, dall’animale vivo, occorreva accertarsi che non fosse malato, fino al preparato e sottoponeva ad attenti controlli tutte le carni e preparati provenienti da fuori comune. I macellai stessi curavano le fasi principali del lavoro – dall’acquisto dei capi di bestiame
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alla lavorazione – per cui la struttura veniva affittata a chi occorreva. Nel 1907 la carne poteva essere conservata in grandi celle frigorifere affittate dalla Società anonima fabbrica ghiaccio e celle refrigeranti della città ma essendo questi impianti molto costosi si ricorreva alle vecchie «ghiacciaie» o «nevaie» dove si depositava neve e ghiaccio invernali oppure si utilizzavano le fresche e arieggiate cantine di Caprino. Il macello cessò la sua attività nel 1993. La storia recente dell’ex Macello è segnata dalla concessione di circa un terzo dei suoi spazi al Centro sociale autogestito (CSOA). L’area, provvisoria-
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Bibliografia
Giorgio Galli, Lugano nella cronaca del tempo, Porza 1980. Giuseppe Pasqualigo, Manuale ad uso del forastiere in Lugano ovvero Guida storico-artistica della città e dei contorni, Lugano 1855, ristampa Lugano, 1962 (Giulio Topi). Giorgio Passera, I macellai-salumieri di Lugano, Lugano, 1894.
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Società e Territorio
Chiasso in prima linea, all’inizio della Grande Guerra 1914-2014 La cittadina di confine agli onori della cronaca pochi giorni
dopo l’inizio del conflitto nel racconto di Isidoro Antognini Alessandro Zanoli La dichiarazione di guerra dell’Austria alla Serbia, il 28 luglio del 1914, fu seguita a tre giorni di distanza da quella della Germania a Francia e Russia. La Svizzera si poneva in posizione neutrale rispetto al conflitto tra le potenze europee. Fece scattare il 1. agosto la mobilitazione generale delle sue truppe, in prospettiva di difesa dei confini nazionali. Il primo problema con cui fu confrontata, però, non fu di ordine militare. E, soprattutto, fu il Canton Ticino a trovarsi in una posizione di particolare emergenza. Il «Corriere del Ticino» del 3 agosto 1914, riportando le prime corrispondenze legate alla situazione bellica, racconta di come andasse configurandosi la situazione alle nostre frontiere settentrionali: «Tutte le vie che dalla Germania conducono in Svizzera sono state sbarrate militarmente (…) soldati tedeschi hanno innalzato delle barricate per mezzo di veicoli di ogni specie, camions, vagoni, ecc… ed hanno legato il tutto con catene solidissime intrecciandovi reti di filo di ferro (…) Ogni tanto questo cordone di truppe si apre per lasciar passare gruppi di gente che vengono rigettati dalla Germania, o che fuggono dinanzi al pericolo che li minaccia».
Isidoro Antognini.
Un effetto non previsto dello stato di guerra, infatti, fu l’esodo dall’Alsazia di decine di migliaia di emigranti italiani. L’Italia, che il 3 agosto si era dichiarata neutrale, aveva infranto la Triplice alleanza con Germania ed Austria. Vuoi perché scacciati, vuoi per fuggire dalla zona delle operazioni, molti di questi emigranti si avviarono verso la frontiera di Basilea. La via di casa, per
loro, passava necessariamente attraverso la Svizzera. E il Ticino, come ultima tappa elvetica del percorso, in quei giorni si trovò sommerso da un’ondata di profughi di dimensioni mai viste. Le stazioni ferroviarie ticinesi fronteggiarono una marea di persone che si erano messe in viaggio in condizioni precarie. In particolar modo quella di Chiasso, in quanto snodo di collegamento tra la rete svizzera e quella italiana, dovette assumersi il compito di coordinare l’allestimento di convogli speciali diretti nel Regno. I quotidiani ticinesi raccontano la difficoltà e l’eccezionalità della situazione. Di nuovo il «Corriere del Ticino», che riferì degli avvenimenti con maggiore regolarità, annota il 6 agosto: «Nelle giornate di ieri e oggi i treni provenienti dalla Svizzera interna hanno riversato a Chiasso circa 10’000 emigranti italiani mandati via dagli stati belligeranti. Chiasso ne è restato e ne resta ancora invaso. Dappertutto si sono svolte scene di miseria e di dolore. Molte madri con bambini pallidi, smunti, macilenti sulle braccia invocavano pane, latte. Molti lavoratori lamentano lo strozzinaggio cui vanno soggetti, avendo diversi cambiato 100 marchi per 50 franchi. Tre bambini morti a Basilea per le privazioni (la notizia fu smentita nei giorni seguenti, NdR). Fu organizzato un servizio di vigilanza che valse a fugare i diversi speculatori, che come avvoltoi facevano man bassa sui malcapitati emigranti». Tra il 4 e il 12 agosto, i nostri quotidiani stimano concordi che siano transitate sulle linee ferroviarie ticinesi non meno di 40’000 persone. Un fiume in piena che si arrestava come detto a Chiasso, dove organizzare il proseguimento del loro viaggio non era impresa facile. Tanto più che gli stessi emigrati vivevano in condizioni difficili, dati l’affollamento, la mancanza di cibo e di acqua. Il «Dovere» dell’8 agosto segnala addirittura un principio di sommossa, che aveva richiesto l’intervento dei soldati per sedare gli animi: «A Chiasso ieri più di 8000 esigevano di partire immediatamente per l’Italia, mentre per quanti sforzi facessero le autorità ferroviarie causa mancanza di materiale essi dovevano sostare qui diverse ore. Vi fu anzi da parte loro un tentativo di sommossa, subito represso dall’energia del capo stazione Bürckart che piantonò la stazione con personale ferroviario armato. Subito dopo giunse una sezione della Landsturm da Mendrisio e anche
Soldati svizzeri si esercitano nell’uso della mitragliatrice, 1914. (Wikipedia)
una compagnia, la 3a del battaglione 94. Quest’ultima preceduta in automobile dal tenente colonnello Doumann, che diede le necessarie disposizioni per il servizio d’ordine». Una descrizione più puntuale e ravvicinata della drammatica situazione l’ha tramandata ai posteri un cittadino di Chiasso, Isidoro Antognini. Nato nel 1878, Antognini era stato dal 1912 al 1913 sindaco della cittadina di confine. Richiamato alle armi il 1. agosto 1914 con il grado di soldato semplice e assegnato alla Compagnia Landsturm 1/65 che era di sorveglianza alla stazione di Mendrisio, aveva avuto un ruolo di osservatore privilegiato della situazione venutasi a creare. Distaccato a Chiasso, fu (grazie forse alle sue doti di politico) destinato dai suoi superiori a collaborare nella gestione dell’«emergenza profughi», un compito largamente superiore a quanto previsto dal suo grado militare. Il resoconto di quelle vicende fu da lui affidato alle sue Pagine di storia chiassese, pubblicate nel 1958, pochi anni prima della sua morte. Si profila in quel racconto la storia di una vera avventura, provocata da una situazione di crisi straordinaria e affrontata con buon senso molto pragmatico. Dal racconto del soldato semplice Antognini si scopre come fu lui a suggerire al suo superiore, il Capitano Fontana, «di convocare un’immediata confe-
renza a Chiasso fra autorità svizzere e italiane (ferrovie, dogane e polizie). Il Capitano Fontana seguì il mio consiglio. Volle tuttavia che io fossi presente e che a mia volta prendessi la parola». Antognini cercò in tutti i modi di convincere gli italiani a far proseguire i treni verso il Regno, ma le autorità «avevano ordine tassativo da Roma di lasciar passare solo chi fosse provvisto di uno speciale lasciapassare». A questo punto Antognini, esasperato, dopo la lunga e infruttuosa discussione, si alza in piedi e prende la parola in modo deciso: «Dal momento che le cose stanno così, a nome del mio comando superiore (che, fra l’altro, non ne sapeva ancora niente) vi prego di far sapere a Roma che da questa notte a mezzanotte e alla distanza di un’ora uno dall’altro, treni speciali carichi di vostri profughi partiranno dalla stazione di Chiasso diretti a Como, dove i vostri connazionali saranno sbarcati e che nessuna autorità potrà fermare tali treni». Antognini continua: «L’effetto di questa energica dichiarazione fu salutare, tre ore dopo giungeva da Roma l’ordine di lasciar entrare senz’altro in Italia tutti questi profughi, purché fosse provata la loro nazionalità italiana (…) Mi feci dare dal bigliettaio di Chiasso un blocco di biglietti ferroviari italiani in bianco». Ci vollero tre giorni per smaltire le decine di migliaia di persone che, nell’attesa di passare per Chiasso,
erano state «parcheggiate» sui convogli nelle stazioni di Lugano e Bellinzona. In quei giorni ci si preoccupò di nutrire e accudire i numerosi profughi. E alla fine, per Antognini, ecco, se non l’encomio, almeno l’approvazione ufficiale: «Le situazioni che possono apparire le più complicate, le più difficili a risolvere, specie quando assumono un carattere internazionale, posso essere risolte con autorità e con una certa quale audacia, quando queste sono basate sul più elementare buon senso. E di questo parere fu anche il Comandante della nostra divisione Colonnello Biberstein quando, venuto per sentire come si erano passate le cose e dopo avermi detto che disciplinariamente avrei meritato una punizione per essermi arrogato diritti che non avevo, si congratulò con me, mi strinse cordialmente la mano e mi disse che se lui di fosse trovato al mio posto avrebbe fatto quello che avevo fatto io, perché avevo agito da vero e bravo svizzero». Oltre ai suoi aspetti di curiosità storica, la vicenda si presta per una interessante lettura parallela con un altro episodio militare in cui Chiasso era salito agli onori della cronaca: la celebre vicenda dell’aprile del 1945 nella quale fu coinvolto il Colonnello Mario Martinoni, anche lui costretto ad un’iniziativa personale «fuori dagli schemi» per affrontare un’emergenza bellica del tutto inattesa nel borgo di confine.
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Non vorremmo cadere nello stereotipo, ma è un dato di fatto che i piccoli lettori maschi generalmente adorino le storie di automezzi e di cantieri. Di cantieri abbiamo già parlato e non escludiamo di tornare a farlo, oggi però vi proponiamo un libro pieno di mezzi di traporto, a quattro, due, tre e persino una ruota, con o senza rimorchio, con o senza motore. Un vero e proprio catalogo di possibilità, anche lessicali. Che meraviglia snocciolare, girando le robuste pagine cartonate e stondate, tutti quei nomi: trattore, utilitaria, motocicletta, decappottabile, autoambulanza, taxi, camion dei traslochi, sidecar, jeep, carro attrezzi, furgone, ruspa, pullman, monociclo, autocisterna, trattore, spazzaneve, e non è finita qui. Il catalogo è questo: ben 39 mezzi di trasporto diversi, che sfrec-
ciano o arrancano tutti verso… cosa? E scoprire qual è la destinazione di tutti questi mezzi è solo la prima lettura possibile, perché, una volta esaurita la storia, il libro si presta a molte riletture. Sarà bellissimo rigirare tutte le pagine con il proprio bambino, mettendo il dito su ogni immagine (che si staglia vivace e chiara su sfondo bianco) e dicendo il nome di ogni mezzo di trasporto. Un’altra suggestiva lettura, poi,
sarà quella di osservare i personaggi che stanno a bordo, e immaginarne le potenzialità narrative: il coniglio musicista dentro una Cinquecento da cui sbucano orecchie e violoncello; la famiglia di alci in sidecar; l’orso in monociclo; la renna al volante dello spazzaneve e il pinguino con gli sci sul cassone; la maialina piena di pacchi in taxi; i panda in roulotte… Bruum bruum, e la storia ricomincia! Neal Layton, Grande storia delle stelle, Editoriale Scienza. Da 6 anni
L’astronomia è un settore nel quale Editoriale Scienza ha prodotto molti bei libri: ricordiamo in particolare quelli di Margherita Hack (Stelle, pianeti e galassie; Perché le stelle non ci cadono in testa; e L’universo di Margherita), riusciti esempi di divulgazione scientifica proponibile ai ragazzini. Ora è uscito un altro libro sull’astrono-
mia, la cui particolarità è il target di bimbi ancora più piccoli, e il formato pop-up. Autore/illustratore è Neal Layton, che dopo la Grande Storia Universale e la Grande Storia delle Invenzioni, si dedica alle stelle. «Le stelle sono enormi e bollenti palle di gas fiammeggiante»: ecco una definizione semplice e chiara, così com’è semplice e chiaro, ma scientificamente inappun-
tabile, l’intero libro. Le spiegazioni però, lasciano spazio anche allo humour dei commenti buffi e delle illustrazioni tenere e ironiche: «Le stelle nascono in grandi nubi di gas e polveri spaziali», e accanto una stellina neonata; mentre una stella anziana, rossa e col bastone, correda il testo «Le stelle rosse sono quasi alla fine della loro vita». Dieci pagine con innumerevoli sorprese popup, linguette da tirare, cerchi da girare, elementi da far scorrere (grazie al paper engineer Richard Ferguson), per parlare di stelle, pianeti e galassie. E anche di storia della scienza, a partire dagli antichi che si ponevano le prime domande guardando il cielo, passando per le invenzioni dei telescopi, dei razzi e degli Space Shuttle, fino alla pagina conclusiva: «Di certo ti saranno venute in mente ancora tante altre domande… e forse un giorno sarai proprio tu a trovare le risposte».
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Società e Territorio Rubriche
L’altropologo di Cesare Poppi La battaglia sul ghiaccio Ci sono almeno due motivi per parlare oggi della Battaglia sul Ghiaccio. Il primo è che nessuno se ne sarà ricordato il 16 febbraio, quando ne cadeva il 740mo anniversario. E il secondo, un po’ più mondano, perché, nelle settimane dei giochi invernali a Sochi, è bene ricordare che un tempo sul ghiaccio si facevano tante cose oltre che giocare a hockey. Nella grande distesa di mare ghiacciato fra l’isola di Muhu e la terraferma in quella che oggi è la Lituania, ad esempio, il 16 febbraio 1270 si combatté un’epica battaglia fra i cavalieri cristiani dell’Ordine dei Fratelli della Spada di Livonia e le truppe del Granduca di Lituania, nella grande maggioranza formate da guerrieri ancora pagani. Fu questa una delle tante battaglie combattute durante le cosiddette Crociate Baltiche, volte a spazzare via le ultime sacche di paganesimo dal continente europeo. I Fratelli della Spada di Livonia erano un ordine fondato nel 1202 con il preciso intento di «convertire» gli abitanti di quelle che oggi sono le Repubbliche Baltiche di Lettonia e Li-
tuania. Nel 1250 gli abitanti della Semigallia erano stati soggiogati e – almeno sulla carta – si erano convertiti obtorto collo al cristianesimo. Altrove nella regione, però, la resistenza pagana si presentava molto difficile da combattere: il fatto stesso che il paese fosse diviso in una miriade di tribù senza un’organizzazione centrale faceva sì che ribellioni improvvise, agguati ed imboscate costituissero un’efficace opposizione a chi, pur superiore in uomini e mezzi, non conosceva il territorio e faticava a trovare il cuore della resistenza avversaria: insomma, una sorta di Afghanistan sottozero, se volete. Fattostà che i Semigalli rincuorati dalle «prove generali» che nel 1259 e nel 1260, rispettivamente a Skuodas e Durbe, avevano dimostrato che battere i cavalieri dei Fratelli della Spada era possibile anche per un’armata peggio armata ma più decisa a vendere cara la libertà, si ribellarono nel 1270 e scesero in campo. Durante l’inverno i Fratelli della Spada tornarono ad invadere la Semigallia, decisi stavolta a farla finita con quelli che considera-
vano poco più che contadini primitivi ancora attardati ad adorare divinità che altrove in Europa erano già memorie archeologiche. Stavolta Traidenis, che era appena diventato Granduca di Lituania, decise di sostenere la ribellione nell’intento di ingrandire i suoi dominii. Saputo dell’avanzata verso Nord di Traidenis – ben altro avversario dei contadini armati alla bell’e meglio – Otto von Lutterberg, Gran Maestro dei Fratelli della Spada, ritenne prudente ritirarsi verso Riga. I Lituani si trovarono così la strada aperta verso il Nord. Rinforzati da contingenti Semigalli, misero a ferro e fuoco i territori dei Fratelli della Spada. Maestro Otto, messa assieme un’armata composta da Cavalieri Livoni, soldati dell’arcivescovo danese di Dorpat, in Estonia, e una forza ausiliaria di guerrieri tribali Livoni e Latgalli, decise di marciare sul mare ghiacciato per fermare l’invasione lituana vicino all’isola di Saarama. Il giorno della battaglia lo schieramento dei Cristiani era imponente: il fianco destro era formato da truppe Estoni Danesi
sotto il comando delle stesso Viceré danese Liverith, i Fratelli della Spada sotto il comando di Otto costituivano il centro mentre soldati e cavalieri degli arcivescovadi Livoni formavano il fianco sinistro – coi guerrieri Latgalli e Livoni pronti a rincalzare dalle retrovie. Certi della vittoria, i Fratelli della Spada lanciarono una prima carica contro l’avanguardia Lituana stranamente distaccata dal grosso dell’esercito del Granduca. La ragione del comportamento dei pagani non si fece attendere molto: appena la cavalleria cristiana giunse a tiro, una prima scarica di giavellotti lituani fu seguita da un repentino dietrofront di questi. Alle spalle dei pagani in fuga apparente apparve una barricata fatta con le slitte lituane incastrate le une nelle altre. I cavalli dei cristiani ci si schiantarono contro e cominciarono a scivolare sul ghiaccio mentre i lituani avevano gioco facile a colpire con le lance i cavalieri disarcionati. Alcuni cavalieri riuscirono a farsi strada fra i rottami delle slitte ed il caos generale per cercare di ricongiungersi con le ali dello schiera-
mento. Ma fu tutto inutile: alla fine dello scontro 52 cavalieri cristiani giacevano sul mare ghiacciato assieme a 600 soldati. Fra questi vi era anche il Gran Maestro dei Fratelli della Spada Otto von Lutterberg. Umiliati e decisi a vendicarsi, i Fratelli della Spada decisero cinque anni più tardi di prendersi quella che credevano fosse una facile rivincita contro un altro tentativo d’invasione da parte dei Lituani: ma a Padaugava fu un’altra Caporetto, col Vice-Maestro dell’Ordine ed altri venti cavalieri uccisi in un attacco di sorpresa. Il Granduca Lettone Traidenis poi vinse un’altra battaglia ad Aizkraukle nel 1279 – l’undicesima sconfitta subita dai Fratelli della Spada. Il Granducato di Lituania prosperò, libero, indipendente e pagano, fino alla metà del ’400, quando decise di convertirsi al Cattolicesimo Romano per mantenere una qualche forma di autonomia. E noi? Noi, per buona misura, non vedremo mai più slitte e slittini come l’innocente gioco di bambini e romantici montanari: Karuse 1270 docet.
suoi occhi senza chiudere i propri. E modulare le sue reazioni in base a quanto ha intuito, affidandosi alla sensibilità più che al pensiero. L’impresa è tutt’altro che facile e i momenti di caduta non mancano, da parte dell’una e dell’altro. Lei è stato sincero nel riconoscere di non essere sempre stato all’altezza dei suoi proponimenti e nell’accollarsi la colpa di certi tradimenti. Ma vivere sotto il giogo del senso di colpa non serve, logora soltanto. Da tempo avverto, nella corrispondenza che periodicamente ricevo, una voglia di sicurezza, di normalità, di pace. Il mondo esterno è così instabile e ansiogeno, che si tende a riequilibrarlo nella sfera privata. Capisco che a una certa età ci sia voglia di flessibilità, di novità, di cambiamento, ma forse in passato si è esagerato nel giustificarla ed esaltarla. A lungo andare i mutamenti sfibrano. L’importante è riappropriarsi del proprio destino, farsi narratori della
propria vita. Mi permetta di osservare che, a questo punto della vostra storia, un figlio ci starebbe bene perché aprirebbe un nuovo capitolo, non meno interessante del precedente. So bene che molte volte le crisi preludono a una rottura ma, nel suo caso, mi sembrano prevalere gli elementi positivi e i propositi costruttivi. Innamorarsi non è difficile, lo fanno quasi tutti, la sfida consiste nel conservare la magia iniziale anche quando il sogno è finito. Come nelle favole, il premio finale spetta all’eroe che sa superare le prove e raggiungere il traguardo che lo attende. Le assicuro che ne vale la pena.
gio può concedersi in nome della sua creatività? Sono ormai lontani, e anche da rimpiangere, i tempi in cui la «réclame», come si chiamava, si esprimeva attraverso i manifesti, cioè affidandosi a pittori, disegnatori e poi grafici, lungo un percorso, partito agli inizi del secolo scorso, con Toulouse-Lautrec, Dudovich, Cappiello, e, infine, con i nostri Erni, Brun, Piatti, e in Ticino, Buzzi, Orio Galli. Quel filone fu poi soppiantato da altri mezzi di diffusione: dai muri si passava agli schermi. E mentre si moltiplicavano i soggetti da promuovere, la pubblicità, «ottava arte» secondo la definizione di Oreste del Buono, diventava uno strumento multiuso. Destinata a reclamizzare tutto e tutti: oggetti, mestieri, svaghi, istituzioni, ideologie. Basti pensare all’uso che ne fanno i politici, UDC in testa, con manifesti non raffinati ma sicura-
mente efficaci. Nulla di nuovo: il rapporto politica-muri ha origini lontane. Lo documenta, come racconta lo storico Gian Luigi Falabrino, la scritta ritrovata su un muro di Pompei con cui un candidato invitava i cittadini a votarlo. Era l’anno 79 d.C. Ed eccoci, ormai, nel pieno di un’era dominata da una pubblicità che rispecchia virtù e vizi del vivere contemporaneo, e soprattutto le illusioni. I suoi messaggi ci offrono proposte consolatorie: farmaci che guariscono in poche ore (in Svizzera, correttamente, si parla di qualche giorno), cosmetici che fermano il tempo, casse-malati che abbassano i premi, banche accoglienti, viaggi favolosi che costano quasi niente. E, si tenta persino di sdrammatizzare il cosiddetto ultimo viaggio. Così promette un’impresa di pompe funebri con una campagna promozionale insolita: sulla cui offerta il consumatore preferisce scivolar via.
La stanza del dialogo di Silvia Vegetti Finzi Coltivare l’amore Cara Silvia, quando dodici anni fa ho incontrato Lucia, bella, dolce, intelligente, ho capito che era la donna che andavo cercando e che sarei stato per sempre con lei. Sinora non abbiamo avuto figli ma eravamo molto giovani quando ci siamo sposati, e c’è ancora tempo. Da allora siamo considerati da tutti – amici, parenti e conoscenti – una coppia ideale. A dire il vero ogni tanto l’incanto si è spezzato e l’ho trattata come un’estranea. Riconosco che la colpa è stata soprattutto mia, ma ogni volta sono tornato da lei perché, finita l’eccitazione della trasgressione, della novità e del rischio, il mio desiderio imboccava la strada di casa. E qui ho sempre trovato perdono, comprensione, voglia di ricominciare. Se sono diventato l’uomo che sono, se ho raggiunto una posizione professionale di tutto rispetto molto lo devo a mia moglie, che mi ha aiutato a trasformare i sogni in progetti, e a realizzarli. Potrei essere felice ma non
mi fido più di me, temo che il destino mi riservi altri colpi di testa e che lei, a un certo punto, voglia troncare per sempre. Cosa posso fare? Mi aiuti, la prego. / Giacomo Caro Giacomo, nessuna Società d’assicurazione è disposta a stipulare un contratto sull’amore, che è sempre fragile e imprevedibile. Non a caso gli antichi lo immaginavano come un angioletto bendato, che scocca inconsapevolmente le sue frecce. Nel vostro caso ha messo a segno un bel colpo ma nulla è per sempre e, dopo la fase dell’amore allo stato nascente, che stabilisce tra i due cuori una meravigliosa sintonia, incominciano a infiltrarsi le prime discrepanze, i primi fraintendimenti. L’incanto non è certo svanito definitivamente (ci mancherebbe altro!), ma bisogna proteggerlo dall’usura della quotidianità, della fretta, dall’indiffe-
renza e coltivarlo con la cura di un floricultore. Occorre che il rapporto di coppia mantenga una posizione di privilegio rispetto ad altre necessità, ad altre incombenze e che sappia trasformarsi lungo le stagioni della vita. In un primo tempo gli innamorati si guardano negli occhi ma, se non ci s’impegna, gli sguardi divergono e non si sa più che cosa vuole l’altro, che cosa desideri da noi. Sulla complessità dell’amore, lo psicoanalista Jacques Lacan, ci propone uno snodo interessante: «Chi ama desidera che l’altro desideri essere desiderato da lui». Attenendoci alla complessità di questa figura, si evita che l’amato si riduca a un oggetto inerte e passivo e si apre la relazione alla reciprocità e allo scambio. In questo modo entrambi i poli sono attivi e soggetti dei propri sentimenti. In un certo senso chi vuole mantenere viva la condizione amorosa, deve interrogarsi sul desiderio del partner, guardare la vita con i
Indirizzo Inviate le vostre domande o riflessioni a Silvia Vegetti Finzi, scrivendo a: La Stanza del dialogo, Azione, Via Pretorio 11, 6901 Lugano; oppure a lastanzadeldialogo@azione.ch
Mode e modi di Luciana Caglio Quando la pubblicità mette a disagio Sembra l’inizio di un poliziesco. Una camionetta si ferma ai margini di una strada solitaria. Il guidatore scende, apre un portellone e, con un gesto improvviso, vi spinge dentro una persona, di cui si scorgono fuggevolmente i connotati: quelli di un uomo malmesso, tipo barbone. Comunque, non l’aspetta una brutta fine, fra le mani di delinquenti, autori di un rapimento. Perché questa non è la scena di un film ma uno spot che, sui nostri teleschermi, reclamizza un’impresa di pulizia. E com’è logico supporre, il barbone verrà rimesso a nuovo grazie all’efficace intervento di questi specialisti del pulito che, abitualmente, operano su vetri, piastrelle, pavimenti, insomma oggetti. Questa volta, invece, è una persona trattata alla stessa stregua di una cosa. Con ciò, non s’intende dare un giudizio di valore morale o estetico, ma piuttosto esprimere una naturale
perplessità nei confronti di un messaggio che vuol essere misterioso, persino ambiguo, ancora da decifrare. Un merito, di certo, questo spot ce l’ha: osa muoversi in modo nuovo, in un settore ad alto rischio di stereotipo com’è quello dei detersivi. Dove continuano a imperversare le immutabili casalinghe fiere del proprio bianco che più bianco non si può. In proposito, aveva fatto da apripista del rinnovamento la Migros, con lo spot dei fustini Total che spalancavano miracolosamente i portelli delle lavatrici, inscenando una sorta di balletto. A dimostrare che con un’idea originale, un lampo d’ingegno si riesce a vivacizzare persino l’ambito ingrato dei bucati e delle pulizie. Ora, per tornare al caso del barbone «rapito» dall’impresa di pulizia, qui il messaggio promozionale, almeno così ci è parso, rivela un intento più ambizioso: vuol provocare, sconcertare,
mettere a disagio. E si può ricollegare a quel filone della pubblicità autonoma e trasgressiva, di cui è stato un maestro Oliviero Toscani, quando abbinò l’immagine di un moribondo di Aids ai pullover Benetton. Praticando così una nuova forma di promozione per così dire indiretta; non più basata su un prodotto bensì su una sollecitazione sociale e umanitaria. Fu una svolta discussa e discutibile. C’è, infatti, da chiedersi fino a che punto uno spot, sia pure ben congegnato e affidato magari ad attori popolari, è in grado di svolgere la sua funzione primaria: far conoscere una merce o una prestazione e invogliare ad acquistarla. Gli esempi si sprecano. Certo, si ricordano le scenette, animate dal trio Aldo, Giovanni e Giacomo o da Panariello, ma, in pratica, che cosa reclamizzavano? E, ancora, qual è lo spazio di autonomia che l’autore del messag-
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Ambiente e Benessere La moda del Narghilè Controlli, utilizzo e pericoli della pipa d’acqua in auge tra i giovani in Ticino
Degustare con… gli occhi Quando la vivacità del colore può fornire utili indicazioni sull’acidità del vino, il suo profumo e la sua struttura pagina 17
Due terre, un popolo Guardare verso il mare dalle spiagge di Haiti non fa correre il pensiero verso l’Africa perché l’Africa si trova già alle spalle del viaggiatore
Il pesce dell’anno 2014 La Federazione svizzera di pesca ha conferito il titolo allo Scazzone (Cottus gobio)
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La mappa (2004), frutto degli studi effettuati dal Servizio Sismico svizzero del Politecnico di Zurigo, riporta il livello di pericolosità di terremoti in Svizzera. (Keystone)
Non tremate, vi assistiamo! Terremoti Il Servizio Sismico Svizzero celebra il suo centesimo anniversario Loris Fedele Da quasi due anni chi vive sulla collina a nord di Lugano sente giornalmente brontolii del terreno quali conseguenze delle esplosioni sotterranee che accompagnano i lavori di scavo verso sud della galleria di base del Ceneri per l’Alptransit. A questi rumori sonno associate vibrazioni che, a detta degli esperti che le misurano costantemente, si mantengono sempre al di sotto delle soglie massime consentite dalle norme vigenti. Certo è che ogni intervento traumatico nel sottosuolo crea terremoti artificiali che non fanno bene all’ambiente e possono allarmare le persone più sensibili e apprensive. Una cartina con lo stato dei lavori è a disposizione sul sito del progetto Alptransit. Il fronte sud degli scavi si trova attualmente sotto Cureglia. Nel luglio 2013 a San Gallo vi fu un importante terremoto dovuto alla trivellazione realizzata per la costruzione di una centrale geotermica. Nel tentativo di bloccare una fuga di gas in una cavità profonda 4 km, si provocò un terremoto di 3,6 gradi sulla scala Richter. Alla prima scossa seguirono decine di più piccole scosse d’assestamento e, nell’anno successivo, addirittura oltre 200 microsismi. Terremoti artificiali, quindi, in quanto provocati dall’azione diretta dell’uomo, ma nella loro espressione del
tutto simili a quelli naturali. Per questi ultimi la gente pone una domanda ricorrente: qual è la pericolosità sismica in Svizzera? Il Canton Ticino viene annoverato tra le zone a debole sismicità. Lo dice il Sed, il Servizio Sismico Svizzero del Politecnico di Zurigo, che è l’Istituto della Confederazione competente per i terremoti. Esso pubblica regolarmente una lista dei terremoti con l’indicazione del luogo dove sono avvenuti, del giorno, dell’ora, della profondità dell’epicentro e della magnitudo riscontrata. Il Sed celebra quest’anno i cento anni di attività. Dal 1914 la sorveglianza sismica è prescritta da una legge federale. Dalla sua fondazione il Servizio Svizzero ha registrato circa 13’100 terremoti locali, di cui 1600 abbastanza forti da essere percepiti dalla popolazione. Ogni anno si verificano da noi dai 500 agli 800 terremoti, ma solo una decina hanno magnitudo superiore a 2.5 gradi, soglia indicata come abbastanza forte da essere avvertita. Sembrerebbero moltissimi per una Svizzera che è considerata con moderata attività sismica. Tuttavia il Sed, attraverso il suo sito www.seismo.ethz.ch, ci fornisce notizie puntuali per tenerci informati e, se del caso, per rassicurarci. Certo è che nemmeno il nostro Paese è al riparo dalla minaccia di terre-
moti. Fino al 1976 le mappe della pericolosità sismica si basavano sulle stime di intensità delle scosse, che è il primo passo per valutare e limitare il rischio sismico. Rischio definito come il prodotto della pericolosità, di fattori di vulnerabilità legati alla quantità delle costruzioni e della densità della popolazione distribuita sul territorio. È chiaro, infatti, che se avvenisse, per esempio, un terremoto pericoloso nel bel mezzo di un deserto disabitato comporterebbe un piccolo rischio. Una revisione e uno studio della storia sismica della Svizzera dal 1300 ai giorni nostri portò alla stesura di una mappa della pericolosità, pubblicata nel 2004, nella quale si evidenziavano con i colori le regioni sismicamente più a rischio. La probabilità maggiore risulta in Vallese e nella regione di Basilea, un poco meno nei Grigioni e sul fronte alpino, mentre appare debole in tutto l’altopiano (sulla diagonale che va dal lago Lemano al lago Bodanico) e nel Canton Ticino. La previsione di quella mappa, si precisava, evidenzia secondo il Sed il rischio che si verifichi un terremoto tra i 5 e i 6 gradi Richter nei prossimi 475 anni. Il Sed aggiunge però che terremoti con magnitudo attorno al 6 si verificano in media una volta ogni cento anni in Svizzera e che possono in linea di massima presentarsi in qualsiasi
luogo e in qualsiasi momento. Vi sono margini di incertezza, perché la pericolosità sismica di una zona è soprattutto una valutazione statistica. Per quanto riguarda il Ticino le informazioni storiche in nostro possesso non menzionano terremoti con magnitudo superiore ai 3-4 gradi. Le misure antisismiche sono state integrate nella normativa svizzera. Le norme Sia (rivedute nel 2003) sono regole dell’arte per gli architetti e gli ingegneri. Danno indicazioni per le costruzioni che da noi non sono rese obbligatorie anche perché, considerato l’accertato minimo grado di pericolosità, il Cantone Ticino non ha mai censito le strutture potenzialmente a rischio. Mentre l’Ufficio federale dell’ambiente ha affermato che circa il 90 per cento degli edifici svizzeri non è a prova di sisma, il Sed dice semplicemente che per il 90 per cento degli edifici non è noto se siano stati costruiti in maniera antisismica. Per celebrare degnamente l’anno del centenario, il Servizio Sismico Svizzero ha dichiarato di voler accompagnare idealmente la popolazione in un viaggio di scoperta su aspetti della propria attività, passati, presenti e futuri. Per questo si è messo anche su Twitter e pubblica nuove rubriche d’informazione. In autunno terrà una giornata delle
porte aperte e un’esposizione con visite guidate. Tornando al discorso dei terremoti provocati e di quelli naturali: il 12 dicembre 2013, alle 01.59 ora locale, nei pressi di Sargans è avvenuta una scossa di terremoto alla profondità di 7 km. Oltre 500 persone hanno scritto al Sed di averlo avvertito. Sulla base delle sue analisi il Sed afferma che quel terremoto non sembra correlato al progetto tecnico di San Gallo, che abbiamo già menzionato, e ha ricordato che nella stessa zona si verificò, il 23.2.2000, un terremoto naturale di magnitudo 3,6. Dopo la scossa del 20 luglio 2013, causata dai lavori sotterranei del progetto San Gallo, con l’inizio dei test di produzione a metà ottobre, nei quali sono stati estratti acqua e gas dal sottosuolo, le piccole scosse si sono notevolmente ridotte. La situazione è costantemente monitorata. Ci sono grandi interessi in gioco, ma la sicurezza va garantita. La stessa cosa avviene in tutta la Svizzera, dove precisissimi e sensibilissimi sismometri disseminati sul territorio aggiornano la situazione. Per darvene un’idea vi indico alcune tra le maggiori scosse del mese di gennaio: Biel (BE) 8 gennaio, magnitudo 3,2; Sargans (SG) 15.1, mag 2,4; Martigny (VS) 26.1, mag 1,8; Splügen (GR) 27.1, mag 1,4; Gelterkinden (BL) 31.1, mag 1,6.
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Ambiente e Benessere
Il veleno nascosto della Shisha Reportage Dilaga fra i giovani il rituale del Narghilè, con poca consapevolezza dei rischi e dei pericoli
causati dal fumo del tabacco, dai suoi derivati e dall’uso della pipa ad acqua Maria Grazia Buletti «È una specie di bottiglietta rigonfiata alla base, riempita d’acqua e collegata a un tubo sul quale si appoggia il tabacco. Si copre con carta alu dove poggia il dischetto di carbone acceso. Lungo il tubo sono infilate una o più cannule che ci si passa per aspirare il fumo», Lorenzo ha vent’anni e accetta di parlare del Narghilè.
«I giovani iniziano a fumarla già a partire dai dodici anni, perché è comune pensare che faccia meno male delle sigarette» «Shisha, così la chiamiamo noi giovani che la fumiamo in gruppo, e questa condivisione penso sia il lato che più ci attira, anche se siamo coscienti che aspiriamo fumo ed è ovvio, forse non per tutti, che ciò abbia qualche effetto nocivo». Pure Laura, diciassette anni, ci rende partecipi di come la pipa ad acqua sia oramai un’usanza radicata fra giovani e giovanissimi: «Al liceo si fuma la Shisha da anni: si fa una colletta per comperarne una che viene tenuta nell’armadietto di uno del gruppo. Poi si condivide la modica spesa del tabacco che uno di noi acquista al chiosco (quella iniziale ammonta a circa dieci franchi a testa, poi ogni seduta ci costa poco più di un franco per partecipante)». Nessun problema riscontrato da Laura e i suoi compagni, tutti minorenni, per comperare il tabacco necessario: «No, non ci domandano quanti anni abbiamo». Cominciamo a chiederci qual è l’età in cui i nostri giovani si avvicinano a questa pratica e scopriamo che Laura ha un fratello quindicenne, Federico, che fuma già la Shisha con i suoi amici. Tutti i nomi dei giovani che ci hanno raccontato di questo dilagante fenomeno sono fittizi, ma la loro vera identità è nota alla redazione. Ciò che più colpisce è la giovane età dei ragazzi che fumano il Narghilè, come ci conferma Laura: «Cominciano a fumarla già alcuni ragazzini dodicenni, perché si pensa che faccia meno male delle sigarette visto che il vapore acqueo filtra il tabacco». Una convinzione subito confutata da studi scientifici che provano come una seduta di Shisha può essere parificata al fumo di circa cento sigarette. «Nel Narghilè, il fumo viene fatto passare attraverso l’acqua, quindi raffreddato, ma non filtrato», spiega il caposervizio di pneumologia dell’Ospedale Civico di Lugano dottor Andrea Azzola a cui abbiamo chiesto se e quanto nuoce fumare la pipa ad acqua: «Anche dopo il bagno d’acqua, nel fumo del tabacco rimangono alte concentrazioni di sostanze tossiche, alcune delle quali presenti in misura addirittura maggiore rispetto al fumo delle sigarette». Dal canto loro, quando illustriamo questi dati ai nostri giovani intervistati, essi restano piuttosto allibiti e scopriamo che manca la corretta informazione sulla reale nocività di questo modo di fumare, a torto ritenuto praticamente innocuo persino da molti adulti. Eppure, il dottor Azzola conferma una realtà piuttosto inquietante: «Non lasciamoci ingannare dagli aromi (mela, banana, fragola e altri) che si trovano sul mercato del Narghilè, perché anche se questi aromi artificiali non sono particolarmente dannosi, essi favoriscono l’iniziazione al fumo anche rendendo il tabacco più delicato e appetibile ai fumatori inesperti. Studi scintigrafici dimostrano come il fumo del
In Ticino esistono dei locali pubblici che offrono un giro di Shisha a una modica cifra e indipendentemente dall’età di chi la ordina. (Rosaria)
Narghilè produca un effetto immediato sulla funzionalità polmonare», afferma il pneumologo che compara questo danno a quello del fumo della sigaretta prolungato nel tempo di una seduta di Shisha: «Le particelle fini giungono alla periferia polmonare e causano un incremento di monossido di carbonio nel sangue ben superiore alla sigaretta». A questo proposito, allarmanti sono i dati che egli ci indica: «Nei fumatori di pipa e sigarette assistiamo a un discreto aumento di monossido di carbonio nei polmoni, ma uno studio certifica che, dopo un’ora di seduta di Narghilè, la concentrazione di CO può aumentare sino al 400 percento». Per non dimenticare il rischio di malattie infettive che comporta il fatto di passarsi il bocchino l’un l’altro: «La saliva può contenere
agenti patogeni e nel giro collettivo può avvenire la loro trasmissione da una bocca all’altra», conclude il medico.
«Anche dopo il bagno d’acqua, nel fumo restano alte concentrazioni di sostanze tossiche, in misura maggiore rispetto al fumo delle sigarette» Dipendenza da nicotina, intossicazione da CO, trasmissione di agenti patogeni
contagiosi: comunichiamo ai ragazzi che fumare la pipa ad acqua non è affatto meno innocuo che fumare le sigarette, scoprendo a nostra volta il loro sconcerto di fronte a quelle che paiono loro vere e proprie rivelazioni delle quali, però, dicono tutti di voler tenere conto e volerle condividere con i coetanei. In merito all’età vi è poi un’ulteriore problema, visto che dal primo settembre dello scorso anno è entrata in vigore la nuova Legge che vieta la distribuzione e la vendita di tabacco ai minori di 18 anni. Eppure Laura, che di anni ne ha diciassette, ci assicura che il loro gruppo non incontra ostacoli nel comperare il tabacco per le loro sedute. E suo fratello quindicenne ha ammesso di essersi interessato con alcuni amici sui prezzi praticati per persona in un eser-
Che cosa prevede la legge Fumare la pipa ad acqua è una pratica che dilaga sempre più fra i giovani svizzeri e il nostro cantone non fa eccezione. Abbiamo posto alcune domande al capo della Gendarmeria territoriale capitano Pierluigi Vaerini. Capitano Vaerini, le autorità hanno osservato l’incremento fra le giovani generazioni di questo modo di fumare?
La Polizia è a conoscenza dell’uso di questo strumento per il fumo che, di per sé, non è proibito. Si tratta di una specie di ampolla fatta da un contenitore d’acqua, spesso profumata, al cui interno viene fatta passare una spirale che consente al fumo di raffreddarsi prima di giungere nella bocca del fumatore attraverso un tubicino flessibile o rigido. Il suo possesso è quindi legale, ma dipende sempre dall’uso che se ne fa: ci risulta che, solitamente, con il narghilè si fumino essenze profumate legali. Non possiamo ad ogni modo escludere che siano utilizzate anche delle essenze contenenti nicotina, quali tabacchi speziati con del glucosio liquido, o altre sostanze.
Che cosa pensano le autorità a proposito del dilagare di questa moda?
cede per la vendita di alcolici ai minori di 18 anni.
Come per ogni sostanza inalata, è senz’altro possibile che ci siano degli effetti collaterali e nocivi. La Polizia opera nel quadro legislativo a disposizione e, per ora, non siamo a conoscenza di eventuali problemi medici riscontrati su giovani che fanno uso di questa specifica pipa. Attualmente non ci risultano neppure direttive specifiche degli organi cantonali competenti sulla promozione della salute.
Come vengono effettuati i controlli del rispetto di questa normativa nei luoghi pubblici che offrono questo tipo di fumo?
Dal 1° settembre 2013 esiste una normativa inerente la vendita e il consumo di tabacco che sono vietati ai minori di 18 anni. Esiste un sistema di controllo?
Nella normativa cantonale, il divieto di fumo è ripreso da due leggi ben distinte: la Legge sugli esercizi alberghieri e sulla ristorazione (art 35 Lear) e la Legge sanitaria (art 52 LSan). Queste non sono altro che l’attuazione del divieto federale di fumare all’interno dei locali chiusi adibiti al pubblico (art 2 LF concernente la protezione sul fumo passivo). In questo ambito si muove la Polizia, come suc-
Durante i controlli ordinari, la Polizia cantonale o comunale può verificare, in presenza di una simile attività, se i disposti di legge sono rispettati, specialmente per quanto attiene all’uso di tabacco da parte di giovani sotto i 18 anni. Per ora, dopo l’entrata in vigore del Regolamento concernente la protezione contro il fumo dello scorso 1° settembre 2013, non ci risultano denunce sulla distribuzione e la vendita di tabacco e dei suoi derivati a giovani sotto i 18 anni: denunce all’Ufficio del commercio e dei passaporti se l’infrazione è costatata negli esercizi pubblici e all’Ufficio della Sanità se riscontrata in chioschi o negozi. Dunque, i divieti istituiti nella legislazione cantonale non possono che limitarsi a riprendere tale finalità, senza estendere gli effetti della proibizione al consumo di altre sostanze causanti fumo o vapore. / MGB
cizio pubblico locale (a noi noto) che offre la Shisha, senza che venisse chiesto loro se fossero maggiorenni. D’altronde, abbiamo trovato la pubblicizzazione del Narghilè sul profilo Facebook di uno di questi esercizi pubblici ticinesi: cosa legittima, sempre che il fumo non venga venduto ai minorenni. A tal proposito abbiamo chiesto un parere a Giacomo Gemnetti, capo dell’Ufficio del commercio e dei passaporti preposto alla vigilanza del rispetto delle leggi sugli esercizi pubblici: egli si dice soddisfatto della nuova legge a tutela dei minorenni dai danni del fumo, mentre a proposito degli esercizi pubblici che offrono il Narghilè afferma: che «su controlli e segnalazioni, il nostro Ufficio segnalerà eventuali infrazioni nella vendita di fumo ai minorenni alla Polizia che provvederà ad eseguire i controlli, sottoponendo poi a noi il rapporto per la valutazione di eventuali sanzioni o contravvenzioni». Tuttavia Gemnetti afferma che per ora non risultano segnalazioni di questa pratica nel nostro Cantone. Dal canto suo, la dottoressa Martine Bouvier Gallachi dell’Ufficio del medico cantonale (Sanità pubblica) preposto alla vigilanza delle vendite di sigarette e derivati, ci ha assicurato che, attraverso una lettera personalizzata, un adesivo e un comunicato stampa che ci ha prodotto, le autorità hanno orientato sia gli esercizi pubblici sia i rivenditori di tabacco sulla nuova legge che ne vieta la vendita ai minorenni: «Abbiamo scritto a tutti i Municipi, a tutte le persone che vendono sigarette e loro derivati, ai centri commerciali, ai chioschi, distributori di benzina, centri sportivi e quant’altro, informandoli del divieto di vendita ai minorenni di sigarette e suoi derivati, a partire dal primo settembre scorso». La dottoressa Gallachi spiega inoltre che «L’introduzione dei limiti di vendita non è un accanimento contro i giovani, anzi i controlli che presto ci saranno sono concepiti per proteggerli dai danni del fumo». Danni reali e comprovati, anche quelli del fumo di Narghilè, che purtroppo paiono molto distanti, soprattutto quando si è giovani.
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Ambiente e Benessere
Gli stufati, ma che cosa sono? Gastronomia Pochi dettagli durante la cottura permettono di fare la distinzione tra diversi piatti,
Per parlare degli stufati bisogna prima definirli, questo è ovvio. Proviamoci, pur sapendo che nella cucina, soprattutto se si cerca di catalogare e definire tecniche, tutto è un’opinione, quindi molti non saranno d’accordo.
Carne non rosolata, cotta molto a lungo, in una pentola di ghisa, con aromi e pochi liquidi Detto ciò, io chiamo stufato un pezzo di carne che non viene preventivamente rosolato e che viene cotto molto a lungo in una pentola pesante, tradizionalmente di ghisa, con ingredienti aromatici e pochi liquidi. Se la carne viene preventivamente rosolata, è una cosa relativamente moderna, chiamo quel piatto brasato. Se la carne viene preventivamente rosolata e poi cotta in casseruola aggiungendo pochi liquidi, chiamo quel piatto arrosto morto: la distinzione con brasato è sottile a livello teorico ma chiara a livello pratico, l’arrosto morto è molto più asciutto di un brasato, sempre e comunque. Per finire, se la carne, non rosolata, viene cotta molto a lungo, fino a disfarsi o quasi, chiamo quel piatto stracotto: se invece è rosolata e poi stracotta la chiamo brasato al cucchiaio. Ribadisco, sono solo nomi, ma tenete conto di questa suddivisione quando utilizzo questi termini. Ma torniamo allo stufato: il lento sobbollire di una pentola amica che si trasfigura nel vago borbottio di un’amata nonna. Perché racchiusa proprio in questo l’arte dello stufare. Di tutte le cotture, è quella che ha più riferimenti con il nostro focolare ancestrale, per l’appunto la stufa primigenia. L’uomo è nato preda e per decine di migliaia di anni ha imparato a correre e a organizzare la sua difesa contro animali
predatori spietati – e anche il semplice affrontare oggi un gatto veramente arrabbiato può dare l’idea di quanto questa difesa debba essere stata ardua. Quell’uomo mangiava cose crude, come gli animali. Poi è diventato cacciatore e grazie alla capacità di lavorare insieme ha vinto la gara con gli animali predatori – diventando a sua volta un predatore spietato e insaziabile; inoltre ha imparato ad accendere il fuoco e a cuocere allo spiedo e alla griglia. Poi una svolta fondamentale: diventa stanziale e incomincia a coltivare, non più a raccogliere, dando il via alla rivoluzione agricola, l’origine della civiltà come la intendiamo oggi. Quindi si inventa la casa e il focolare: ovvero il fuoco che scalda e che diventa l’emblema della casa e dei rapporti familiari. Sopra questo fuoco (la stufa vera e propria verrà molto, molto dopo…) un bel giorno sistema una pentola di terracotta, un’invenzione che potremmo chiamare definitiva, all’interno della quale mette gli ingredienti che a partire da quel giorno segneranno i natali dello stufato: qualche pezzo di carne di un animale allevato (raro e piccolo), tanti legumi ammollati (la carne dei poveri), tante verdure e altrettanti odori, a volte farina per addensare, cipolle per sanificare (sono un killer dei batteri… per questo motivo sono onnipresenti) e un po’ di acqua. Il tutto chiuso con un pesante coperchio. Nasce così la stufatura. La cottura era inevitabilmente lenta, ma che cosa importava? Intanto ci si scaldava e si elaboravano le strategie familiari. L’unica attenzione: aggiungere poca acqua se asciugava troppo. Alla fine il pasto veniva tradizionalmente condiviso. Oggi la stufatura è ancora in auge, nonostante i lunghi tempi di cottura che non la rendono adatta ai frenetici tempi in cui viviamo oggi, e non solo in cucina. Tuttavia resta un piatto magico e perfetto. Certo, per quanto riguarda il mio gusto, amo di più il brasato, ma nulla, anche ai miei occhi, crea maggiormente ambiente famigliare più di quanto faccia lo stufato.
CSF (come si fa)
Suviko
Allan Bay
gsx
cambiandone di volta in volta nome, ma anche sapore e consistenza
Oggi vediamo come si fanno 3 sformati molto classici. Sformato di fagiolini. Per 4 persone. Mondate e lavate 600 g di fagiolini e fateli cuocere al vapore per 20’. Quindi tagliateli a pezzetti e ripassateli in una padella con 150 g di salsa di pomodoro e 4 cucchiai di soffritto di cipolle aggiungendo alla fine una manciata di prezzemolo tritato. Preparate una be-
sciamella con 30 g di burro, 30 g di farina e 3 dl di latte, a fine cottura incorporatevi 2 cucchiai di formaggio duro grattugiato e 2 uova leggermente sbattute. Regolate di sale e di pepe. Imburrate una teglia da forno e spolverizzatela di pangrattato. Versatevi metà dei fagiolini, copriteli con metà besciamella e fate un secondo strato di entrambi. Spolverizzate ancora di formaggio, unite qualche fiocchetto di burro e cuocete in forno a 200° per 30’. Sformato di formaggio. Per 4 persone. Fate fondere 80 g di burro in una casseruola e unite 80 g di farina setacciata, mescolate con un cucchiaio di legno. Quando sarà ben rosolata versate a filo, continuando a rimestare, 6 dl di latte. Cuocete per 10’ a fuoco basso, levate la casseruola dal fuoco e amalgamate, 1 alla volta, 4 uova. Unite 200 g di un for-
maggio duro a piacere grattugiato e regolate di sale e pepe. Imburrate una forma da budino, versate il composto e cuocete a bagnomaria in forno a 180° per circa 45’. Sformate e servite con salsa di pomodoro. Sformato di maccheroni. Per 6 persone. Sbollentate per 1 minuto 100 g di piselli. Tritate 200 g di salame. Tagliate a pezzetti 100 g di mozzarella e fateli scolare del siero in un colino. Sbattete 2 uova con 1 pizzico di sale e di pepe. Cuocete in acqua salata 300 g di maccheroni, scolateli al dente, conditeli con 6 cucchiaiate di ragù, 6 cucchiai di formaggio duro grattugiato, il salame, i piselli, la mozzarella e le uova, quindi versateli in una teglia imburrata. Cuocete in forno a 180° per 30’, accendendo negli ultimi minuti anche il grill. Servite subito.
Ballando coi gusti
Manuela Vanni
Manuela Vanni
Oggi dei classici carciofi farciti, un saporito antipasto e un ricco ragù di lumache, che può essere sia antipasto sia piatto forte, aumentando le dosi.
Carciofi ripieni di uova e feta
Lumache al peperoncino e zenzero
Ingredienti per 4 persone: 8 carciofi · 150 g di formaggio feta · 1 spicchio d’aglio · 4 uova · 1 mazzetto di mentuccia · olio di oliva · sale e pepe.
Ingredienti per 4 persone: 400 g di lumache precotte decongelate · 1 gambo di
Mondate e tritate la mentuccia. Mondate e lavate i carciofi, privateli delle foglie esterne più dure e dei gambi, quindi pulite questi ultimi dai fili. Aprite leggermente i carciofi e privateli del fieno interno. Mondate e tritate l’aglio. Tagliate il formaggio a cubetti, mettetelo in una ciotola, aggiungete l’aglio e rompeteci sopra le uova. Mescolate con un cucchiaio, regolate di sale e di pepe e riempite i carciofi con il composto. Disponete i carciofi e i gambi nel cestello della vaporiera e cuocete per 30’. Serviteli tiepidi dopo averli irrorati con 1 filo di olio e cosparsi con 1 presa di mentuccia.
sedano · 1 cipolla · 4 peperoncini verdi piccanti · 2 foglie di alloro · 1 mazzo di prezzemolo · 1 pezzetto di radice di zenzero · 1 lime · vino bianco secco · olio di oliva · sale e pepe. Sciacquate le lumache, mettetele in una pentola e unite la cipolla mondata e tagliata a velo, il sedano mondato e tritato, i peperoncini verdi mondati e tagliati ad anellini e 2 foglie di alloro. Bagnate con 1 bicchiere di vino sobbollito per 3’, portate al bollore e cuocete coperto a fuoco dolce per circa 30’ unendo poca acqua bollente se e quando necessario. Regolate di sale e di pepe e unite il lime spremuto, la buccia di mezzo lime tagliata a julienne, il prezzemolo tritato e lo zenzero pelato e tagliato a fettine piccole. Cuocete mescolando ancora per un paio di minuti, poi eliminate l’alloro e servite irrorando con un giro di olio.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 24 febbraio 2014 • N. 09
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Ambiente e Benessere
Sensi e strumenti di valutazione Vini senza frontiere L’importanza della vista nella degustazione Grimod L’analisi sensoriale è una valutazione minuziosa e sistematica dei prodotti alimentari – nel nostro caso il vino – fatta mediante i nostri organi di senso allo scopo di stabilirne le qualità. Per quanto soggettiva sia, essa è la sola analisi per la valutazione del vino. Occhi, naso e bocca sono i tre principali «strumenti» chiamati in causa; ininfluenti o quasi sono gli altri due organi: il tatto e l’udito. L’analisi sensoriale, detta anche organolettica, si svolge in tre fasi successive: a) l’esame visivo, b) l’esame olfattivo, c) l’esame gustativo. Nella prima parte di questa nota ci concentreremo sull’esame visivo il quale analizza il colore, la limpidezza, la fluidità e (in caso di spumanti) l’effervescenza.
Il colore del vino durante una degustazione fornisce molti elementi per un primo giudizio Sul ruolo e sull’importanza del colore non tutti sono d’accordo: è però ormai accertato e indiscutibile che vi è una relazione abbastanza stretta tra tonalità e intensità del colore e gli altri caratteri organolettici dei vini. La tonalità del colore denota abbastanza chiaramente lo stato evolutivo del vino: un colore rosso-violetto vivace denuncia freschezza e
giovinezza; di contro, delle tonalità più o meno aranciate o giallastre indicano una certa maturità o invecchiamento dei vini rossi. Analogamente, nei vini bianchi, un certo incupimento prima e l’imbrunimento poi, denotano ossidazione e invecchiamento. La vivacità del colore può inoltre fornire utili indicazioni sull’acidità del vino: un giallo paglierino con riflessi verdognoli, oppure un rosso-violetto non solo denotano un vino giovane ma ci preannunciano anche un vino dal gusto fresco e vivace, senz’altro ricco di acidità; al contrario, un colore più smunto e meno vivace è indice di vini maturi, meno acidi e più morbidi. Ma v’è pure una relazione tra l’intensità del colore con il profumo e la struttura del vino. Si è infatti notato che i vini di tonalità chiare, come il giallo paglierino scarico, hanno un corpo leggero e sottile dai profumi e sentori leggeri, spesso floreali e fruttati, mentre i vini carichi di colore, come certi vini rossi, hanno un aroma più pesante e una struttura generalmente più ricca e complessa. Il colore pertanto ci fornisce in principio molti elementi di giudizio, che poi verificheremo via via con gli esami successivi. Di esso si valuteranno quindi la tonalità, l’intensità e la vivacità. La tonalità del colore dipende soprattutto dall’evoluzione delle sostanze coloranti del vino nel corso della conservazione e dell’invecchiamento; l’intensità è legata invece a diversi fattori quali il vitigno, la natura del terreno, lo stato di sanità, il grado di maturazione
dell’uva e il sistema di vinificazione (in bianco, in rosato, in rosso, con macerazione sulle bucce, ecc.); la vivacità, infine, è da mettere in relazione con il grado di acidità del vino: più è ricco di acidi fissi e più il suo colore sarà vivace, mentre nei vini più poveri di acidità, la tonalità sarà più smunta, poco vivace e meno trasparente. Le principali tonalità di colore nei vini si classificano come segue. Per i bianchi: verdolino, giallo paglierino, giallo d’oro o dorato, ambrato. Per i rosati: chiaretto, rosato, cerasuolo (se richiama la ciliegia giallo-rosa). Per i rossi: rosso porpora. Rosso rubino, rosso granata, rosso aranciato. La limpidezza è una caratteristica molto importante poiché l’assenza di sedimenti, di particelle in sospensione o di semplici velature denota l’assenza di difetti e/o di malattie. Non si dovrebbe tuttavia esagerare nella ricerca della limpidezza, perché l’uso (o l’abuso) di certe tecniche o pratiche per migliorare l’aspetto esteriore del vino può alterare altre qualità organolettiche del vino come gli aromi e il bouquet. La scala decrescente della limpidezza è questa: brillante, molto limpido, limpido, velato, torbido. Dopo aver effettuato l’esame di limpidità è opportuno quello della trasparenza. Che si effettua inclinando il bicchiere e appoggiandolo sopra un foglio scritto: se si riesce a leggere le parole del testo significa che il vino è bel trasparente. La fluidità si esamina nel momento in cui si versa il vino nel bicchiere: scor-
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ha definite lacrime, altri meno poeticamente gambe; i tecnici le definiscono archetti. In fisica, il fenomeno si definisce «effetto Marangoni» dal nome dell’italiano che per primo ha spiegato il movimento dei liquidi provocato dalle tensioni superficiali. In realtà, secondo alcuni ricercatori, la priorità in questo campo sarebbe da attribuire all’ingegnere e fisico inglese James Thompson che, già nel 1885, l’aveva correttamente descritto. Chiunque comprende come l’arte di degustare il vino sia di una complessità tale da richiedere particolare attenzione e applicazione. Ne riparleremo descrivendo le proprietà degli altri organi di senso.
Buffalo Cabernet Sauvignon 2011/2012, California, USA, 6 x 75 cl Rating della clientela:
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2–6 anni
9.45
revole se fluisce con vivacità e leggerezza, denso se si presenta grasso e spesso, filante o oleoso quando fluisce lentamente come l’olio e forma un lungo filo che scende senza rumore. L’«effetto Marangoni» o degli archetti. Dopo aver agitato delicatamente il vino nel bicchiere con un movimento circolare lo si lascia riposare per qualche istante. A questo punto, soprattutto per i vini ricchi di alcol si può notare la formazione sulle pareti interne del bicchiere di una sottile pellicola alta alcuni centimetri. Questa sottile pellicola che ci appare incolore si “rompe” in sottili striscioline che scendono lungo le pareti delle colonnine irregolari. Qualcuno le ha paragonate al pianto del vino e le
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Ambiente e Benessere
Dall’Africa ai Caraibi con un passo Reportage Tra prigionieri di guerra e schiavisti, storie di navi e porte del non ritorno – Prima Parte
Alfonso Zirpoli Alfonso Zirpoli
Alfonso Zirpoli
Ci si sente strani, forse fuori posto, stando seduti su quei gradini bianchi. Davanti a noi la spiaggia. Sabbia dorata, finissima. Più in là il mare. Un azzurro che abbaglia e che sembra chiamarti per un tuffo ristoratore. Invece, rimani lì inchiodato. Nella mente si accavallano le immagini di quanto visto poco prima. Una lunga via che attraversa la cittadina di Ouidah. Siamo nel sud del Benin, Repubblica dell’Africa Occidentale. Abbiamo appena ripercorso l’ultimo tratto del cammino tracciato da oltre due milioni di schiavi. La piazza dove i sovrani locali vendevano i prigionieri di guerra agli schiavisti. Le prigioni in cui venivano rinchiusi, a volte per mesi, in attesa dell’arrivo delle navi. L’albero del ritorno, dove le preghiere chiedevano che almeno l’anima potesse un giorno rivedere la terra natale. E per finire la porta del non ritorno. Oggi un monumento, non bello, ma denso di significati. Lo sguardo si perde laddove il cielo si confonde con il mare. Laggiù, a migliaia di chilometri, il porto di arrivo. I Caraibi, Haiti. Facciamo un balzo a ritroso di alcuni anni. Sulla spiaggia di Grand Goâve c’è una tendopoli. Primo, ma forse anche definitivo rifugio per un gruppo di terremotati. Allora erano trascorsi poco più di quattro mesi dal terremoto. Ora sono quasi quattro anni. C’è chi l’ha definita resilienza di un popolo, quell’essere stati capaci di non spezzarsi di fronte a un tale cataclisma. I segni della distruzione sono ancora evidenti anche oggi, ma oramai inglobati in una vita di stenti, identica a quella delle settimane, dei mesi, degli anni precedenti il 12 gennaio 2010, giorno del terremoto.
Guardare verso il mare dalle spiagge di Haiti non fa correre il pensiero verso l’Africa perché l’Africa è lì dietro, alle nostre spalle. Il portamento della gente, i colori delle case e dei vestiti, le infinite colonne di gente lungo le strade, persino gli odori, ma soprattutto i suoni sembrano non appartenere a questa isola. Basta valicare il caotico confine e ci si ritrova spaesati. Santo Domingo, un altro mondo. Là si respira quell’America latina che sempre più appartiene al grande villaggio della globalizzazione. Così uguali tra beninensi e haitiani con un oceano che li separa. Così diversi al di qua e al di là di un semplice confine tra Haiti e Santo Domingo, inquilini della medesima porzione di terra attorniata dal mare. Ma questa volta siamo sull’isola caraibica non per cercare dei confronti, ma per assistere a un qualcosa che ci hanno detto essere veramente fuori dall’ordinario. Immaginate d’essere ai piedi di una cascata, una di quelle che spesso si incontrano camminando nelle nostre vallate. Attorno a voi migliaia di persone, in gran parte con i soli calzoncini, poco importa se maschi o femmine. Tutti cercano di arrivare sotto lo scroscio della cascata. Vi rimangono per alcuni minuti, assorti, lo sguardo nel vuoto, le mani rivolte vero l’alto. Siamo a Sodò, un minuscolo villaggio perso tra le colline nel centro sud dell’isola. È il 16 luglio, giorno in cui tutti vorrebbero essere qui a purificarsi alla cascata dei miracoli. Già il viaggio da Port au Prince fin lassù è una vera e propria avventura. Per uscire dalla capitale occorre pazienza, molta pazienza. Traffico caotico. Regole della circolazione che sono un vero e proprio optional. Qua e là le tracce ancora profon-
Alfonso Zirpoli
Fredy Franzoni
de del terremoto, ma è innegabile che molto è già stato fatto in questi anni. Poi, d’improvviso, lo sguardo si distende tra colline verdi. Una volta coperte da una folta foresta, di cui oggi rimangono solo poche chiazze a ricordare quanto era rigoglioso il paesaggio in passato. Un commercio di legname pregiato che ha arricchito pochi e lasciato un territorio in balia degli scoscendimenti. A un tratto, oltre l’ennesimo dosso, si attraversa un villaggio. Case nuove, tutte allineate lungo strade appena tracciate. Un ordine così insolito, come è insolito, addirittura angosciante, il vuoto. Non un’anima. L’autista spiega che è uno dei vari insediamenti costruiti dopo il terremoto, via, fuori in campagna, dove mai nessuno aveva vissuto prima. Non hanno voluto venire ad abitarci. E così le case sono vuote. Forse uno dei tanti errori di una ricostruzione fatta più dalla foga di dover spendere che dal prendersi il tempo per ascoltare la gente del posto. Un’immagine che lascia l’amaro in bocca. Intanto, lungo la strada che porta a Sodò il traffico continua ad aumentare. A volte i vecchi camion stracarichi di gente devono far scendere parte dei passeggeri quando la strada si fa troppo ripida. Automobili, motorette, bus ma anche tanta gente a piedi. C’è chi parte giorni e giorni prima pur di non mancare l’appuntamento del 16 luglio.
Si alza il sipario sulla C4 Cactus Motori Un’anteprima mondiale svelata dalla Citroën che anticipa le novità dell’imminente Salone di Ginevra Mario Alberto Cucchi La prossima settimana, giovedì 6 marzo, aprirà i battenti al pubblico il motor show di Ginevra che accoglierà appassionati da tutto il mondo sino al 16 (www.salon-auto.ch). Il gruppo francese Citroën gioca d’anticipo e svela un’anteprima mondiale: la C4 Cactus. Più design, più comfort, più tecnologia utile e budget controllato per la novità del Double Chevron. Le linee sono simili al prototipo mostrato lo scorso settembre al Salone dell’auto di Francoforte, ma ora si tratta di una vettura definitiva il cui avvio produttivo è previsto per fine aprile nella fabbrica spagnola di Villaverde, nei pressi di Madrid. Il cactus è una pianta grassa, adatta agli ambienti aridi, che comprende cir-
ca 3mila specie e 120 generi. Ma Cactus è un’automobile verde solo nel nome, oppure è anche amica dell’ambiente? In realtà non è equipaggiata con propulsori elettrici, o almeno non ancora. Ciononostante il 3 cilindri benzina, aspirato da 82 cavalli e turbo da 110 cavalli, e il 4 cilindri turbodiesel declinato nelle potenze di 92 e 100 cavalli sono stati pensati con un occhio di riguardo all’ecologia. Le versioni a gasolio consumano solo 3,4 litri/100 km ed emettono 89 g/km di CO2, le versioni a benzina sono sotto i 100 g/km. Cactus è lunga 4,16 metri e ha subito una dieta drastica. Pesa ben 200 chilogrammi in meno della C4 berlina, pur offrendo un generoso bagagliaio di 358 litri. Citroën ha attinto a mani basse al supermarket dell’elettronica e a bordo
non mancano i più innovativi sistemi di assistenza alla guida: dal Park Assist alla telecamera di retromarcia, dall’Hill Assist alla funzione Cornering Light, fino al servizio Citroën eTouch che comprende chiamata di emergenza e assistenza localizzata. Ma C4 Cactus stupisce soprattutto con gli innovativi Airbump integrati nelle fiancate e nei paraurti. Che cosa sono? Si tratta di profili termoplastici dotati di piccole camere d’aria che sono stati messi a protezione delle fiancate dai piccoli danni legati alla guida quotidiana. Davvero strano che sulla Citroën C4 Cactus non siano presenti sin dal debutto né una versione ibrida né una elettrica. Eppure pare che le vendite delle auto elettriche al 100 per cento e delle ibride plug-in siano destinate quest’an-
no a crescere del 67 per cento rispetto al bilancio precedente (già in aumento del 44 per cento sul 2012) per un totale di circa 403mila esemplari. Questa previsione è stata avanzata da IHS Automotive (www.ihs.com), società leader nella fornitura di informazioni strategiche e previsioni per il settore dell’Automotive. Secondo quest’ultima, l’impennata sarà determinata soprattutto dall’impegno dei costruttori attivi in Europa per rispettare le stringenti nuove normative dell’UE sulle emissioni inquinanti. A favorire il boom sarà anche l’introduzione a pieno regime di nuovi modelli, tra i quali Bmw i3, Volkswagen e-up!, Mercedes Classe B EV e Audi A3 e-tron plug-in. Europa, Medio Oriente ed Africa incideranno per circa il 40 per cento sul
totale vendite delle nuove elettriche e ibride plug-in, il continente americano ed Asia/Pacifico per circa il 30 per cento. Il tutto dovrà essere supportato dall’implementazione delle infrastrutture di ricarica, che si stima possano salire a oltre 1,1 milioni di stazioni a livello globale entro la fine dell’anno. Queste sono solo previsioni, ma intanto è certo che i clienti della nuova automobile elettrica Bmw i3 dovranno aspettare fino a sei mesi per entrare in possesso della vettura, a causa di una domanda elevata che sta superando le aspettative. Le vendite dell’elettrica bavarese sono iniziate lo scorso novembre in Europa e scatteranno il prossimo maggio negli Stati Uniti, dove la i3 è già stata ordinata da 1200 consumatori su un totale di ordini globale pari a oltre 11mila esemplari.
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Ambiente e Benessere
Uno schivo pesciolino Mondoanimale Piccolo pesce dalla grande testa, il Cottus gobio è sotto i riflettori della Federazione svizzera di pesca Maria Grazia Buletti La Federazione svizzera di pesca (Fsp) ha designato il pesce Scazzone (Cottus gobio) come «pesce dell’anno 2014» e per una volta la scelta non è andata a favore di una specie minacciata, ma di un pesce che popola ancora ampiamente i corsi d’acqua svizzeri, come pure qualche lago. «Si tratta di un piccolo pesce facilmente riconoscibile per la sua grande testa, la pelle liscia senza squame e le grosse pinne pettorali», si legge nella descrizione della Fsp che spiega come, contrariamente ad altri pesci, lo Scazzone nuota male a causa dell’atrofizzazione della sua vescica natatoria. Proprio a causa di questa sua peculiarità, esso si sposta compiendo una serie di piccoli balzi sul fondo di fiumi e ruscelli che fungono da suo habitat prediletto e va a nascondersi prima possibile sotto i sassi: «Perciò le dighe e la cementificazione dei corsi d’acqua costituiscono le sue principali minacce». Abbiamo approfondito la conoscenza del pesce Scazzone con Bruno Polli, dell’Ufficio cantonale della caccia e della pesca, il quale ha colto l’occasione per parlarci pure della fauna ittica dei fiumi e dei laghi ticinesi: «Questo pesce è molto noto agli esperti di fauna ittica, ma poco popolare perché è relativamente piccolo e piuttosto schivo. Inoltre, in passato era parte dell’alimentazione (perlomeno in tempi di carenza), mentre oggi non lo si mangia più e, quindi, la popolazione non lo conosce come un tempo». Lo Scazzone risulta essere ampiamente diffuso anche nei corsi d’acqua ticinesi, oltre che svizzeri, come pure in qualche lago: «Anche in Ticino abbiamo una certa abbondanza di questa specie ittica che troviamo essenzialmente in acque torrentizie a quote medio/basse della regione della trota». Si parla quindi di quasi tutti i corsi d’acqua principali e nelle tratte pedemon-
tane dei loro affluenti, come viene precisato da Bruno Polli: «La presenza delle specie si estende dalle zone di pianura verso monte, fin dove ostacoli naturali o artificiali non ne ostacolano la migrazione. In alcune tratte della sua area naturale di distribuzione può essere raro o addirittura assente a causa della scarsa capacità di questo pesce di risalire verso monte: la difficoltà di movimento non gli permette di superare anche piccoli ostacoli e di ripopolare le zone dove è venuto a mancare». Il nostro interlocutore sottolinea il significato di questo fatto: «La sua morfologia e le sue abitudini non gli consentono di recuperare tratte dove qualche evento particolare, come una piena o più raramente un inquinamento, lo avevano eliminato. Per questo, è un buon indicatore per la connessione longitudinale del sistema idrico e certifica la percorribilità di corsi d’acqua anche per le specie meno performanti». Inoltre lo Scazzone è presente anche se con densità relativamente basse pure nei due principali laghi ticinesi, ma solo «a condizione che il fondale offra giusto rifugio sassoso e che presenti le anfrattuosità in cui questo pesce si rifugia, depone uova e si riproduce». Approfittiamo del pesce dell’anno e della disponibilità del nostro esperto per appurare che la fauna ittica delle nostre acque gode di relativamente buona salute: «Il Ceresio presenta qualche problema in più, anche se oggi possiamo dire che, malgrado la fase abbastanza critica, la fauna ittica va verso un riassestamento». Polli ci ricorda come la minaccia più grande per la biodiversità sia rappresentata dalle specie aliene che sono arrivate e che, anche in futuro, si installeranno in loco: «Si tratta di un fenomeno oramai inarrestabile, data la grande mobilità che esse hanno acquisito spesso non per moto proprio, ma perché portate a destra e a manca dai pescatori o tramite gli spostamenti del-
Un esemplare di pesce Scazzone. (Franco Banfi)
le imbarcazioni da un bacino imbrifero all’altro». Un esempio di quest’ultima via di diffusione è dato dalla popolazione dei Ghiozzi nel Reno, a Basilea: «Si tratta di pesciolini che assomigliano allo Scazzone, ma appartengono a un’altra famiglia. Essi sono arrivati nel Reno probabilmente attraverso la navigazione dei barconi che vi giungono con acque pescate in altri sistemi fluviali, contenenti piccoli di questi pesciolini o le loro uova attaccate sulla chiglia. In questo modo, essi colonizzano ambienti non di loro pertinenza». Come nel caso del pesce Gardon dei nostri laghi ticinesi: «Portato dai pescatori, esso si è insediato usurpando la nicchia biologica e l’habitat di diverse specie locali». Il pesce Gardon, oggi, gode di una certa tolleranza per quanto riguarda la convivenza nel-
l’ecosistema, ma Polli ci mette in guardia sull’avanzare di altri pesci voraci potenzialmente problematici: «Nei prossimi decenni potremmo confrontarci con il problema del pesce Siluro che dall’area danubiana è stato portato in Italia, nel Po, a scopo di pesca. Da lì è arrivato nel Verbano, dove per adesso rappresenta un pericolo relativo, ma se cominciasse a moltiplicarsi potrebbe causare grossi problemi così come succede nel Po, dove ora si nutre di tutto ciò che trova, anatre comprese». E il Siluro è un pesce che arriva a superare i 200 chilogrammi! Comprendiamo la necessità di arginare l’immissione di specie non autoctone: «L’unica via praticabile per frenare la diffusione di specie aliene sarebbe quella di rendere attente le persone al fatto che non bisogna spostare pe-
ORIZZONTALI
Sudoku Livello medio
sci da un ambiente all’altro: regola globale per ogni specie animale o vegetale. Tutto ciò che non ha gambe o non ha la possibilità di superare i confini orografici come le montagne, o passare da un bacino all’altro, dovrebbe rimanere confinato nel proprio ambiente di pertinenza e di origine». Invece l’essere umano aiuta alcune di queste specie a «evadere» dal proprio territorio e le immerge in un ecosistema nuovo, causando quasi sempre una destabilizzazione degli equilibri. Anche se: «Ad esempio, l’immissione ponderata nei nostri laghi dei Coregoni provenienti dal nord delle Alpi ha sostenuto la pesca di professione: in questo caso si è trattata di un’operazione negativa dal punto di vista faunistico, ma favorevole per quanto attiene al sostentamento della popolazione», conclude Bruno Polli.
Giochi Cruciverba
Il crisantemo è l’emblema della… A soluzione ultimata leggi le lettere nelle caselle evidenziate, riuscirai così a completare la frase.
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Scopo del gioco
Completare lo schema classico (81 caselle, 9 blocchi, 9 righe per 9 colonne) in modo che ogni colonna, ogni riga e ogni blocco contenga tutti i numeri da 1 a 9, nessuno escluso e senza ripetizioni.
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VERTICALI
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1. Combatte la fame nel mondo 4. Con, per i tedeschi 7. Preposizione articolata 9. Nella riga e nella squadra 10. Tredicesima lettera dell’alfabeto greco 11. La posta sul computer 13. Nell’equipaggio del sub 14. Propaggini fronzute 17. Sottile lamiera ricoperta di stagno 18. Incitazione spagnola 19. Curriculum… 21. L’ultima della scala… 22. Emette una luce intensissima 23. Le coperte meno corte 24. Il filosofo della «Ragion pura» 25. Un dio greco 27. Primo cardinale inglese 28. Si anima girando… 29. Si scrive tra due addendi 1. Grandi ammiratori 2. Li gode… chi può 3. Le prime lettere in olandese 5. La modella Shayk 6. Uno qualunque 8. Fare come un altro 12. Imposte che non si pagano 13. Pasticcio di carne 14. Nelle fiabe può trasformarsi in principe 15. Il fiabesco Babà 16. Pronome personale 17. Elenchi di nomi 19. Furgoni inglesi 20. Fondatore della chiesa cristiana 22. Le iniziali dell’attore Argentero 23. Avverbio di tempo 24. Ai lati del kamikaze 26. Le iniziali dell’attore Pattinson
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Soluzione della settimana precedente
Curiosità sul coccodrillo – Resto della frase: …lingua fuori dalla bocca. CA) L I N A U N A A I E S A N R I N A L D O B O A B R T I D I O
G F I U G C I O L C A A N M A
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Politica e Economia La crisi dei Brics È finito il miracolo per le economie emergenti, ma gli Stati Uniti non temono ripercussioni
Maduro soffoca l’opposizione Sull’orlo di una crisi politica senza ritorno e della guerra civile, Caracas usa la violenza per far tacere la piazza. In questo grande teatro di crisi si riacutizza lo scontro con Washington e la svendita del Venezuela alla Cina
Plurilinguismo in soffitta? Sempre meno cantoni con due lingue straniere alle elementari, a svantaggio di italiano e francese
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La fine del segreto bancario Accelerando i tempi, l’OCSE ha presentato i nuovi standard per l’applicazione dello scambio automatico di informazioni. La Svizzera dovrà adeguarsi prima del previsto pagina 26
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Uno scozzese fautore dell’indipendenza manifesta a Edimburgo. (AFP)
Mesi difficili per l’Ue Elezioni e indipendentismi Molto attivi in Scozia, Fiandre e Catalogna, i movimenti secessionisti approfittano
del clima euroscettico che regna un po’ ovunque e che si concreterà verosimilmente con il voto del 25 maggio Marzio Rigonalli L’Unione europea sta vivendo mesi difficili, forse i più difficili di questi ultimi decenni. Un doppio attacco, uno dall’alto e l’altro dal basso, è in preparazione e verrà sferrato contro le istituzioni comunitarie nella loro forma attuale e contro la loro sopravvivenza. Un doppio attacco, al quale si è aggiunta anche la ferita aperta nei rapporti con la Svizzera, dopo il voto sull’iniziativa popolare dello scorso 9 febbraio. L’attacco dall’alto vien mosso dalla campagna elettorale in vista delle elezioni europee del prossimo 25 maggio. Eurocritici, euroscettici e avversari della costruzione europea fanno a gara per accusare l’Ue, per renderla responsabile di tutti i mali possibili, dalla crisi economica alla crisi morale e politica che caratterizza vari paesi europei, dall’assenza di crescita economica alla perdita di posizioni sul mercato mondiale, dalla dilagante disoccupazione ai paurosi debiti pubblici accumulati da alcuni stati. Facendo leva sulla rabbia e la sfiducia delle gente, queste forze riusciranno a far eleggere all’europarlamento un buon numero di deputati, che tenteranno di distruggere tutto quel-
lo che è stato creato finora, o perlomeno di ridurne la portata, togliendo all’Ue una buona dose di competenze. L’attacco dal basso proviene dai movimenti nazionalisti ed indipendentistici, che sembra si siano dati appuntamento nel 2014 per vivere un giorno di verità e dare una svolta alla loro esistenza. Trattasi soprattutto di tre movimenti, attivi in altrettanti regioni: la Scozia, le Fiandre e la Catalogna. In Scozia, i nazionalisti sono guidati dall’SNP (Scottish National Party), un partito sorto negli anni trenta del secolo scorso. Di tendenza socialdemocratica, l’SNP ha ottenuto una prima vittoria alle elezioni del parlamento scozzese nel 2007, vittoria che ha ampliato alle elezioni del 2011, riuscendo a conquistare la maggioranza assoluta nell’istituzione che ha sede ad Edimburgo. Il suo leader, Alex Salmond, ha ottenuto dal primo ministro David Cameron il consenso per organizzare un referendum sull’indipendenza della Scozia il prossimo 18 settembre. Secondo i sondaggi, l’esito di questa consultazione popolare è ancora incerto. È chiaro che un sì all’indipendenza creerebbe non pochi problemi al Regno Unito e anche all’Unione europea.
In Belgio, si torna a votare il 25 maggio per rieleggere il parlamento federale ed i parlamenti regionali. Dopo le ultime elezioni del 2010 vi fu una crisi politica che lasciò il Paese senza governo per ben 541 giorni, ciò che corrispose ad un record mondiale. Per il prossimo appuntamento gli occhi sono puntati soprattutto sulle Fiandre e sui nazionalisti fiamminghi, raggruppati in due partiti, la N-VA (Nieuw Vlaamse Alliantie), la Nuova Alleanza fiamminga di centro-destra, e il Vlaams Belang (interesse Fiammingo) di estrema destra. Un nuovo successo elettorale di queste due formazioni potrebbe portare ad un ulteriore decentramento dei poteri verso le regioni e, in ultima analisi, alla nascita di uno stato indipendente fiammingo, che priverebbe lo Stato belga di quasi tutte le sue competenze. Anche in questo caso, come in quello della Scozia, sorgerebbero nuovi problemi per l’Unione europea. La Catalogna, infine, sta per vivere un momento cruciale, che potrebbe costituire una svolta nella sua secolare aspirazione all’indipendenza. Dopo le elezioni regionali del 25 novembre 2012, i partiti favorevoli all’autodeterminazione si sono rafforzati; hanno ot-
tenuto 107 seggi sui 135 del parlamento regionale. Il principale partito è la CiU (Convergencia i Unio) e il suo leader è Artur Mas, il presidente del governo catalano. La volontà di poter decidere il proprio futuro è ben presente anche nel popolo, come dimostra la catena umana creata lo scorso 11 settembre, tra il nord ed il sud della Catalogna, da 1,6 milioni di persone rivendicanti l’indipendenza. Le autorità catalane vogliono organizzare un referendum sull’indipendenza ed hanno già scelto la data del prossimo 9 novembre. Madrid, però, non è disposta a rinunciare alla regione più ricca di Spagna ed ha fatto bocciare il progetto di referendum dalla corte costituzionale spagnola. È difficile prevedere che cosa succederà ora, ma è probabile che la consultazione si svolgerà e che le autorità centrali spagnole non riconosceranno il risultato, dando così il via ad una situazione conflittuale. Scozia, Fiandre e Catalogna hanno già manifestato la volontà di restare stati membri dell’Unione europea, qualora dovessero accedere all’indipendenza. Purtroppo, le cose non sono così semplici. La Commissione europea ha già dichiarato che, nel caso di secessioni, il
nuovo stato deve inoltrare una domanda d’adesione ed accettare la procedura prevista dai trattati, che prevede il voto unanime di tutti i paesi membri dell’Unione. Un iter laborioso, che può durare anni e che può essere bloccato in dirittura d’arrivo da un solo stato membro. Per di più, come è già stato dimostrato in passato, l’aumento del numero dei membri non fa necessariamente bene all’Unione. Aggrava gli squilibri economici e rende più difficile il processo decisionale. E ai 28 paesi attuali se ne aggiungeranno probabilmente ancora altri, che hanno già posto la loro candidatura, come la Serbia per esempio. La situazione rischia di complicarsi all’eccesso e di porre all’Ue una serie di nuovi problemi. Come uscirne? Forse cercando già sin d’ora una soluzione. Per esempio quella fondata sul dialogo simultaneo con le autorità centrali del paese che perde una regione e con le autorità della regione che diventa stato indipendente. Un dialogo attraverso il quale si riuscirebbe a negoziare l’indipendenza del nuovo stato e la sua adesione all’Ue. È una proposta avanzata da più parti, basata sul buon senso e che rispetterebbe il diritto all’autodeterminazione.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 24 febbraio 2014 • N. 09
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Politica e Economia
Emergenti, ovvero fragili Prospettive È finito il lungo miracolo dei Brics e dintorni? Parrebbe
Federico Rampini L’Ucraina monopolizza l’attenzione internazionale per ragioni politiche, e umanitarie, anzitutto: al termine di un’escalation di scontri di piazza, con una violenza in aumento da ambedue le parti, decine di morti, l’opposizione che assalta i palazzi del Parlamento e del governo, l’esercito che reagisce con metodi duri, e infine lo spiraglio di una tregua annunciata mercoledì scorso dopo le pressioni dell’America e dell’Europa. Ma la crisi ucraina è anche economica: una nazione di 45 milioni di abitanti, cerniera fra l’Europa e la Russia, è afflitta da fughe di capitali, svalutazione, e diventa ostaggio di chi promette aiuti immediati (cioè Vladimir Putin). Quella dell’Ucraina, pur essendo una storia a sé, è anche una parte della crisi più generale che colpisce gran parte delle economie emergenti. E rilancia un interrogativo dalle implicazioni globali: è finito il lungo «miracolo» di Brics e dintorni? Il boom delle nazioni emergenti, trainate dal quintetto Brasile Russia India Cina Sud Africa (cioè i Brics), è proprio giunto al termine? E se sì, questa crisi del Sud e dell’Oriente può fermare anche la fragile ripresa europea? Non solo l’Ucraina, ma ciascuna
delle nazioni emergenti è una storia a sé, con cause specifiche che ne determinano il rallentamento. La Turchia ha un’instabilità interna che dura ormai da un anno. L’Argentina si merita la copertina dell’«Economist» come «modello negativo», di tutto ciò che può andare storto quando una nazione ricca di risorse cade sotto i colpi del malgoverno e di una leadership populista. L’India paga il prezzo di una classe politica e amministrativa corrotta. E così via. Resta il fatto che, al di là delle specificità, il fenomeno Brics e dintorni sembra davvero giunto a una fase di esaurimento. E tuttavia le ragioni dell’ottimismo prevalgono, almeno a Washington. La crisi delle economie emergenti non farà deragliare la locomotiva America, ne è convinta la donna più potente della finanza globale. Alla sua prima deposizione al Congresso, l’11 febbraio la neopresidente della Federal Reserve rassicura i mercati, e non solo loro. Janet Yellen (nella foto) si distingue per una performance di gran classe: preparatissima, sicura di sé, mette quasi soggezione ai veterani del Congresso. Il suo messaggio più forte: «La ripresa continua, pertanto la strategia monetaria degli Stati Uniti non ha bisogno di modifiche». Di quella strategia, del resto, lei fu
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un’ispiratrice già quando era la numero due di Ben Bernanke. Questo spiega tante cose: la continuità e la competenza della Yellen che da anni si preparava «nell’ombra» per questo ruolo. Lei stessa lo ricorda: «Facevo parte del comitato di politica monetaria dove decidemmo le azioni che oggi sto applicando». La Yellen ammette di essere stata sorpresa negativamente, quando il dato sulla creazione di nuovi posti di lavoro per il mese di gennaio è stato inferiore alle attese (+113’000 posti invece di 180’000). Ma lei invita a non assegnare un’importanza eccessiva al rallentamento degli ultimi due mesi. Dunque la Fed continuerà lungo un itinerario già tracciato, verso la normalizzazione dei suoi interventi. Rispetto alla fase in cui la banca centrale acquistava ogni mese 85 miliardi di dollari di bond sul mercato aperto, il volume di quegli acquisti (che servono a generare liquidità e credito abbondante) è sceso una prima volta a 75 e poi a 65 miliardi, in due tappe a dicembre e gennaio. A marzo, dice la Yellen, faremo lo stesso, cioè taglieremo altri 10 miliardi, a meno che accadano incidenti gravi. Insomma si procede con quel ritiro della pompa monetaria che è stata per certi aspetti la «droga benefica» dietro la riAnnuncio pubblicitario
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di sì, eppure Washington è convinta che la crisi delle economie emergenti non farà deragliare la locomotiva americana
presa americana. Ma la Yellen conferma che la disoccupazione resta in cima alle priorità della Fed. Per questo la pompa monetaria viene ridimensionata solo gradualmente, e comunque la banca centrale intende mantenere i suoi tassi d’interesse a quota zero. Insomma la Fed non si vuole tirare indietro dalle sue responsabilità. Anzi, sulla questione del mercato del lavoro la Yellen si permette perfino di sconfessare i suoi stessi economisti. L’ufficio studi della Fed di recente ha pubblicato un’analisi nella quale la riduzione della forza lavoro attiva viene imputata quasi esclusivamente a un cambiamento demografico di tipo strutturale: se cala la quota della popolazione che cerca lavoro, è perché la generazione numerosa dei baby-boomer (nati fra il 1945 e il 1965) comincia ad affacciarsi all’età della pensione. La Yellen non è d’accordo, ribadisce che «le spiegazioni economiche prevalgono», in altri termini il fenomeno serio è quello dei disoccupati scoraggiati che smettono di cercarsi un posto perché hanno perso fiducia. Su questo la politica monetaria può agire, dice la Yellen, continuando a stimolare una crescita più dinamica. In quanto alle recenti turbolenze finanziarie nei Paesi emergenti, la banchiera centrale reagisce alzando le spalle: «Questi sviluppi non rappresentano un rischio sostanziale per le prospettive economiche degli Stati Uniti». Usa giudizi duri, invece, sulla salute del sistema bancario: «Il compito di rendere la finanza più sana non è ancora esaurito». Un impegno che la riguarda in prima persona per le sue responsabilità di vigilanza. L’orizzonte per l’economia americana è rasserenato anche da una novità politica. Il presidente della Camera, il repubblicano John Boehner, ha accettato di far votare un innalzamento del tetto del debito federale senza porre condizioni. È una resa della destra, che in passato aveva usato questo tipo di votazione per ottenere da Barack Obama qualche concessione sotto forma di tagli di spesa. Ed è un’incertezza in meno, per la locomotiva Usa. Ma la crisi colpisce le valute dei Paesi emergenti. La lira turca, il rand sudafricano, sono scesi a livelli che non si vedevano dai tempi del crack di Lehman Brothers, il fallimento bancario che innescò la crisi del 2008. Il rublo russo è ai minimi da cinque anni. La maggioranza delle economie emergenti, le stesse che fino all’anno scorso avevano il vento in poppa, ora sono colpite dalla sfiducia e dalle fughe di capitali. Per descrivere questo fuggi fuggi generale il governatore della banca centrale del Brasile, Alexandre Tombini, parla di un «effetto aspirapolvere». L’aspirapolvere, spiega il banchiere centrale di Brasilia, sono i rialzi dei rendimenti in Occidente. Innescati proprio dalla decisione della Federal Reserve di ridimensionare gradualmente il «quantitative easing» (creazione di liquidità attraverso acquisti di bond). Con i ren-
dimenti che diventano più interessanti sia in America sia in Europa per effetto della ripresa (o delle aspettative di ripresa, per l’Europa), tanti capitali speculativi abbandonano le piazze esotiche dove erano affluiti negli ultimi anni. Il Brasile reagisce all’effetto aspirapolvere con un classico giro di vite monetario: ha alzato i tassi d’interesse direttivi della banca centrale di 325 punti base, fino a superare la soglia del 10%. Tombini è convinto che il Brasile ce la farà, anche se ha già dovuto spendere 360 miliardi di dollari delle sue riserve valutarie per tentare (invano) di contrastare il calo della sua moneta. Altre nazioni hanno meno risorse da mettere in campo in questa battaglia: dall’Argentina all’Ucraina, gli anelli deboli sono sparsi in tutti i continenti. Nel 2013 Bernanke e la stessa Yellen hanno tentato di spiegare ai mercati che la ripresa americana impone di normalizzare la politica monetaria, riducendo la «pompa» della liquidità. E tuttavia, hanno aggiunto che questo non significa che la Fed voglia aumentare il costo del denaro, anzi non ci sono rialzi dei tassi in vista fino al 2015. Questa seconda parte del messaggio però non funziona. I mercati guardano lontano, scommettono che con la crescita Usa arriveranno anche i rialzi dei tassi. E il gioco delle aspettative di fatto sta già facendo risalire i rendimenti. Con quel che ne deriva: effetto aspirapolvere, e guai seri per tutte le economie emergenti che erano state beneficiate dalla moneta abbondante stampata a Washington. L’alta marea del credito facile si ritira, lo spettacolo che rivela nelle zone rimaste a secco fa paura. In Brasile non si placa la protesta contro la mala-gestione del prossimo Mondiale. È uno dei tanti segnali di inadeguatezza delle classi dirigenti di fronte a nuove tensioni e scenari di crisi. Quello che fino a pochi mesi fa era l’arco della crescita globale, è diventato l’arco della crisi. Tutto ciò che porta l’etichetta «emergente» diventa sinonimo di fragilità improvvisa. La stessa Cina rallenta la sua crescita e soffre di un sistema bancario opaco, oberato di investimenti sbagliati. L’India subisce da mesi la fuga dei capitali. I dollari stampati a Washington avevano allagato il pianeta, gonfiato bolle speculative da Shanghai a Johannesburg, da Istanbul a San Paolo. Bei tempi, quando il ministro brasiliano dell’Economia Guido Mantega si lamentava per la «guerra delle valute», cioè la svalutazione competitiva del dollaro, effetto collaterale della massiccia liquidità. Erano tempi in cui i Brics ricevevano troppi capitali, pertanto i loro mercati immobiliari, le loro Borse e le loro monete si rafforzavano troppo. Oggi è in atto il movimento inverso. Con la bassa marea i capitali rifluiscono, abbandonano le piazze calde. Le nazioni più vulnerabili sono quelle che negli anni d’oro investirono troppo e male, con progetti faraonici, spesso occasioni per vaste corruzioni.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 24 febbraio 2014 • N. 09
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Politica e Economia
La dittatura di Maduro Crisi politica Il presidente venezuelano reprime con violenza le manifestazioni degli studenti. Sullo sfondo
una grave crisi economica e il riacutizzarsi dello scontro con Washington
Chávez. Capriles non riesce a dettare l’agenda, né a tenere sotto controllo i suoi. Per di più la crisi economica è grave. Un valore del tutto fittizio del dollaro al cambio fisso, ha fatto esplodere il mercato nero di valuta. È impossibile per i privati acquistare dollari al valore del cambio ufficiale. Sono così costretti a procurarsi dollari sul mercato nero a un prezzo che aumenta in continuazione e ormai è pari a 13 volte quello ufficiale. I rifornimenti di beni alimentari, spesso accaparrati dalla borsa nera e altre volte bloccati da follie burocratiche, non arrivano spesso agli scaffali dei negozi. Anche la benzina a volte manca. Com’è possibile che siano vuoti i distributori di carburante nel Paese primo al mondo per riserve petrolifere, dove la benzina costa meno dell’acqua minerale? Proprio il prezzo basso della benzina, bloccato da anni, sembra essere il problema. Con il valore del dollaro alle stelle, i margini di guadagno sono inesistenti per le stazioni di servizio. Il Venezuela è un esportatore di greggio, non di prodotto raffinato. Parte del petrolio che vende agli Stati uniti lo ricompra trasformato in benzina. E lo paga in dollari. Con il crollo del valore della moneta nazionale (il bolivar), anche il pieno del serbatoio delle auto private è diventato un incubo. Il governo incolpa gli imprenditori proprietari delle catene di distribuzione dei ritardi nelle consegne e denuncia il «boicottaggio controrivoluzionario». Le imprese private dicono che, non potendo avere libero accesso ai dollari perché il governo ne limita la circolazione nel mercato ufficiale, non riescono a garantire i rifornimenti. Nel grande teatro della crisi si affaccia puntuale anche lo scontro diplomatico con gli Stati Uniti. Secondo quanto dichiarato da Maduro in tv, Edward Alex Lee, il sottosegretario di Stato per l’America Latina dell’amministrazione Obama, avrebbe convocato l’ambasciatore venezuelano davanti all’Organizzazione degli stati americani (Oea), Roy Chardeton, per chiedere di rinunciare all’arresto del leader dell’estrema destra d’opposizione, Leopoldo López. Definito l’accaduto «una pressione indebita», Maduro ha ordinato l’espulsione di tre funzionari consolari dall’ambasciata degli Stati Uniti. Già mesi fa era stata espulsa l’incaricata di affari Kelly Keiderling e altri due funzionari, con la solita accusa di «intelligenza col nemico». La rappresentanza statunitense a Caracas è ormai azzerata. L’ambasciata americana è senza ambasciatore dal dicembre del 2010. Allora a Chávez non piacquero certe frasi pronunciate dall’ambasciatore designato, Larry Palmer, e lo dichiarò «persona non gradita» prima che mettesse piede in Venezuela. Ormai nel palazzone color melanzana della rappresentanza statunitense a Caracas rimangono solo la bandiera a stelle e a strisce e qualche impiegato.
Le relazioni negli ultimi mesi dopo le elezioni si stavano lentamente ricucendo, un discreto backstage diplomatico stava mettendo insieme i cocci rotti, il terreno era pronto per un tentativo di restaurazione delle normali relazioni diplomatiche. E tutto è precipitato di nuovo. Per la verità, da quando Chàvez vinse le elezioni per la prima volta nel 1998, i momenti di serenità nelle relazioni bilaterali sono dipesi puntualmente da congiunture in cui per tattica conveniva ad entrambi i governi non aggredirsi. Mai sono stati il frutto di una scelta diplomatica strategica. Dopo la vittoria risicata di Maduro ad aprile, conveniva ai chavisti non cercare guai con Washington, per non offrire argomenti di polemica all’opposizione già sul piede di guerra. Tanto intenzionati erano a mantenere una posizione morbida, da aver incaricato Roy Chaderton, vecchio amico di Chávez e di Fidel Castro e fine diplomatico, di facilitare il dialogo. Washington non ha interesse immediato in realtà a mostrarsi aggressiva con Caracas, propaganda a parte. Per arginare gli effetti della politica estera venezuelana è più efficace indebolire le alleanze politiche continentali tessute da Chávez, gli organismi multilaterali l’Alba e l’Unasur, sostenendo alleanze economiche continentali alternative a quelle a guida chavista, soprattutto attraverso gli accordi commerciali tra Perù, Cile e Messico. Il Dipartimento di Stato segue da vicino la creazione di un asse politico latinoamericano sul versante dell’Oceano Pacifico da utilizzare poi in alternativa alla diplomazia continentale creata da Chàvez. Poiché nell’eterno «Venezuela sau-
dita» la miglior arma diplomatica è sempre il petrolio, Maduro moltiplica i suoi rapporti politici e d’affari in Cina per rinsaldare una alleanza con Pechino sbandierata come la via d’uscita dalla sudditanza al mercato statunitense. La Cina sta superando per volume di scambio commerciale il ruolo finora occupato dagli Stati Uniti. Ma è anche vero che Pechino sta legando le sorti del Venezuela al rubinetto dei suoi prestiti. E si sta comprando, pezzo dopo pezzo, l’intero Paese. Il governo chavista festeggia l’apertura di una nuova linea di credito per 5mila milioni di dollari, ma la gran parte di quei soldi è vincolata all’importazione di prodotti cinesi o al finanziamento di imprese cinesi in territorio venezuelano che usano tecnologia e manodopera cinese. Sono tremila le fabbriche cinesi in Venezuela, la madrepatria le segue così da vicino che a Maduro è toccato andare a far visita al governatore di Shandong, Guo Shuquing, businessman del regime, che voleva notizie fresche su due imprese cinesi a lui care: la Inspur, azienda di elettronica e la Haier, costruita su 40 ettari di terreno nelle vicinanze di Caracas per affidarle l’assemblaggio degli elettrodomestici cinesi distribuiti «a prezzi solidali» dal programma governativo «Mi casa bien equipada» (la mia casa ben attrezzata). Il denaro prestato finisce tutto nel Fondo mixto China-Venezuela, creato nel 2007 per finanziare le grandi opere chaviste, ed è la corda che il regime cinese stringe attorno al collo di Maduro e delle riserve petrolifere venezuelane, ab-
bondanti sì, ma già in gran parte ipotecate. L’accordo prevede infatti che il debito venga risarcito con l’invio di barili di crudo a Pechino: 660mila al giorno. Cinque mesi fa erano 460 mila. La quota dovuta aumenta esponenzialmente ogni volta che un nuovo accordo viene sottoscritto. Un prezzo da strozzini. La nomenklatura chavista non si mette d’accordo nemmeno sull’importo totale del debito accumulato. Secondo il ministro degli Esteri la cifra è «40’000 milioni di dollari ma la metà è già stata pagata». Secondo la Banca nazionale dello sviluppo che finanzia le opere pubbliche, la cifra giusta è «36mila milioni di dollari», ma pare sia ancora da rimborsare. Pechino ha stanziato 14mila milioni di dollari per finanziare una joint venture che sfrutti le riserve del grande campo petrolifero «Junìn 1», nel delta del fiume Orinoco, nel sud est venezuelano. Non si sa come saranno ripartiti i profitti ricavati dal greggio estratto. Si sa però che diventerà cinese la miniera d’oro Las Cristinas, che un’impresa cinese si occuperà di mettere in piedi una centrale termoelettrica nella regione centrale del Paese, che un’altra si prenderà 60mila ettari per coltivare grano da esportare a Pechino e che ad esperti del regime cinese è stata affidata la realizzazione di una mappatura delle ricchezze minerarie venezuelane. Il quadro finanziario ed economico del Venezuela è talmente drogato di propaganda e petrodollari solo virtuali (perché già promessi ai cinesi) che basta un piccolo incidente in strada, ormai, a far precipitare la crisi.
Tupamaros, braccio armato del chavismo Prendono il nome dal gruppo guerrigliero dell’Uruguay, di cui è stato fondatore l’attuale presidente uruguaiano, Pepe Mujica. Sono accusati dall’opposizione venezuelana di essere i responsabili degli spari che hanno disperso nel terrore una delle ultime manifestazione di protesta contro il governo a Caracas, finita con tre morti. Loro sostengono che a sparare siano stati invece «provocatori infiltrati dell’estrema destra». Il collettivo dei Tupamaros è un elemento essenziale della organizzazione chavista. Si muovono sempre a volto coperto, in motociclette. Hanno una media di venticinque anni. Hanno la loro base alla «23 de enero», un quartiere alveare dell’ovest di Caracas, a
due passi dal palazzo presidenziale. Su quei palazzoni poveri, dipinti di colori pastello, si affacciano le finestre dell’ufficio del presidente della Repubblica. Proprio lì sopra è stato costruito il mausoleo con le spoglie di Hugo Chavez. Il «23 de enero» ha una tradizione di rivolta ben precedente alla prima elezione di Chavez (1998). Da lì partì la resistenza, vittoriosa, alla dittatura di Marco Perez Jimenez, negli anni ’50. Lì ha reclutato militanti l’estrema sinistra venezuelana negli anni Sessanta e Settanta. Negli scontri con gli studenti antichavisti, nelle settimane scorse, è rimasto ucciso uno dei leader del gruppo, Juan Montoya (Juancho). Gli hanno sparato sull’Avenida Universidad all’altezza del Parque Carabobos. Annuncio pubblicitario
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Il Venezuela è di nuovo sull’orlo di una crisi politica violenta e senza ritorno. C’è il rischio di una guerra civile. Morti in piazza, manifestazioni di protesta convocate e poi vietate per «ragioni di ordine pubblico», seri problemi di approvvigionamento nei supermercati e nuova crisi diplomatica con Washington. L’estrema tensione politica qui non è una notizia. Dall’inizio dell’era chavista, ormai quindici anni fa, colpi di stato e colpi di mano – reali e fittizi – si sono succeduti con ritmo forsennato, costringendo la vita politica e anche quella quotidiana, a un’incessante frenesia. Il tasso di violenza è alto, la polarizzazione politica alle stelle. Caracas, la capitale, è anche topograficamente divisa dalla politica. Ad ovest i quartieri più popolari e chavisti, ad est (ma con grande sacche di povertà e anche di enclave rosse all’interno) la popolazione benestante e furiosamente antigovernativa. Che governo e opposizione si accusino a vicenda di varie nefandezze, sempre a un passo dal conflitto armato, è cronaca di tutti i giorni in Venezuela. Dal golpe contro Chàvez del 2002 fino ad oggi, la fisiologia della politica venezuelana funziona così. Entrambi gli schieramenti devono avere la tifoseria a disposizione, sempre pronte a scendere in strada, a confrontarsi e a misurarsi in marce contrapposte. Quando però, come sta accadendo in questi giorni, gli scontri finiscono con cadaveri di militanti in strada, l’esplosione definitiva sembra drammaticamente vicina. Il presidente Nicolas Maduro, indicato da Hugo Chàvez come suo successore e consacrato tale nell’aprile scorso dal voto popolare con soli 280mila voti di scarto sul rappresentante della destra Henrique Capriles, appare in estremo affanno. Estenuato da una campagna elettorale permanente e sempre più in difficoltà a infiammare le piazze a tempo pieno, ha deciso di andare per le spicce. Si è fatto dare dal parlamento, che controlla, l’autorizzazione a governare per decreto fino al 2015. E ha rispolverato la vecchia propaganda chavista della guerra «alla borghesia parassita e fascista». Un grande classico. L’inflazione viaggia sopra al 54%? La banca centrale ammette che non c’è approvvigionamento per il 22% dei beni necessari? Maduro spedisce i militari ad occupare i negozi e costringe i commercianti a vendere quasi tutto, anche i televisori di ultima generazione, a prezzi politici. Cosicché i negozi chiudono. I portavoce governativi giurano che chiudono perché sono parte del piano di destabilizzazione del Paese, i proprietari dei negozi sostengono invece che non hanno margine di guadagno e preferiscono abbassare le saracinesche prima di fallire. Dall’altra parte l’opposizione antichavista, che ormai da dieci anni è frantumata in mille piccoli gruppi molto ben finanziati ma in eterna guerra tra loro e ha perso tutte le elezioni finora (una quindicina), ha trovato nelle università private dell’est di Caracas un bacino di sostenitori molto agguerriti e mediaticamente spendibili. L’immagine televisiva che internazionalmente passa è quella dei giovani studenti in rivolta contro un governo in gran parte in mano ai militari. Questo è vero fino ad un certo punto. Gli studenti antichavisti sono la punta visibile di un’opposizione che conta su bande paramilitari armate fino ai denti esattamente come armati sono i Tupamaros (vedi a parte) di fede chavista. Capriles ha finora fatto una gran fatica a tenere mobilitati i suoi militanti. Quattordici anni di sconfitte hanno spolpato l’opposizione venezuelana. L’unico vero avversario dei chavisti al potere è ormai solo la loro incapacità politica a sopravvivere al mito di Hugo
AFP
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 24 febbraio 2014 • N. 09
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Politica e Economia
Svolta epocale sul mercato del lavoro La consulenza della Banca Migros
Il picco è raggiunto Tasso di attività lordo: scostamento dal valore del 2014 in %
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Responsabile Product Management della Banca Migros
Le istituzioni di previdenza sempre più sotto pressione Sino ad oggi la demografia ha accelerato la ripresa economica, d’ora in poi fungerà da freno. I moderati tassi di crescita costituiscono un problema soprattutto per i Paesi con un debito elevato: un Paese, il cui prodotto interno lordo aumenta, riesce più facilmente a ridurre il suo disavanzo. In Giappone e in molti Stati europei una popolazione attiva sempre meno nu-
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In sordina si conclude quest’anno un’evoluzione che ha plasmato la nostra società sin dall’inizio del processo di industrializzazione. Sto parlando dell’aumento del tasso di attività. Quest’anno raggiungiamo in Svizzera un massimo storico: 58 persone su 100 svolgono un’attività lucrativa. Tra i 42 rimanenti si annoverano i bambini, i pensionati e le persone che hanno interrotto il lavoro volontariamente. Perché il tasso di attività è così importante? La crescita economica si basa in primo luogo su due fattori: la crescita della produttività e l’aumento della manodopera. Grazie alla generazione del baby boom, i cui esponenti sono entrati nella vita professionale oltre quarant’anni fa, negli ultimi decenni il tasso di attività è aumentato vertiginosamente. Quello delle donne, inoltre, ha registrato un forte incremento dal 1980, passando dal 34 al 53 percento. Ma ormai sempre più persone di quella
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L’invecchiamento della popolazione è un tema ricorrente, ma nella vita di tutti i giorni le presunte conseguenze negative si avvertono poco. Il problema è gonfiato?
generazione raggiungono l’età della pensione. Contemporaneamente sono meno numerosi i giovani che entrano nel mondo del lavoro. L’effetto di questa futura ondata di pensionamenti appare nel grafico: il tasso di attività registra un pesante calo. Tra dieci anni dovrebbe scendere sotto il livello del 1995. La proiezione si basa sullo scenario intermedio dell’andamento demografico elaborato dalla Confederazione. Il calo può essere più lento o più rapido, a seconda di quanta manodopera straniera entra in Svizzera.
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Daniel Lang
La curva indica la variazione del tasso di attività lordo in Svizzera, partendo dal massimo storico di quest’anno. Nel 2014 svolgono un’attività lavorativa 58 persone su 100, un record assoluto. In futuro il tasso di attività diminuirà notevolmente. Dati: Ufficio federale di statistica
merosa deve sostenere un debito di anno in anno più elevato. Da questo punto di vista la Svizzera gode di una situazione favorevole, ma anche da noi la pressione finanziaria sulle istituzioni di previdenza si inasprisce. Lo dimostra il cosiddetto quoziente dell’età: a 100 persone in età da lavoro corrispondono 30 pensionati. Già nel
2030 il numero dei pensionati salirà a 43, dieci anni dopo addirittura a 49. Per le persone che svolgono un’attività lucrativa vale dunque la pena di investire nella propria previdenza per la vecchiaia. Quale pilastro previdenziale è più adatto a chi lo spieghiamo nel prossimo numero della rubrica a cura della Banca Migros, tra due settimane.
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Politica e Economia
Plurilinguismo in soffitta? Dibattiti Il regolamento federale che prescrive l’offerta di due lingue nazionali come materie scolastiche
fondamentali viene ignorato sempre più spesso, a vantaggio dell’inglese e a svantaggio del francese e dell’italiano Marzio Rigonalli Le lingue nazionali latine hanno la vita dura nella Svizzera tedesca. L’insegnamento nella scuola pubblica del francese e dell’italiano stenta ad imporsi, frenato com’è da numerosi ostacoli, politici o di altra natura. L’insegnamento dell’inglese, invece, è ben visto, non vien messo in discussione e vien accettato ovunque. Vediamo dapprima il quadro legale in cui s’inserisce l’insegnamento delle lingue nazionali nella scuola pubblica. Due sono i principali punti di riferimento: il regolamento concernente il riconoscimento degli attestati di maturità, adottato nel 1995, e la strategia della Conferenza svizzera dei direttori cantonali della pubblica educazione sull’insegnamento delle lingue straniere nella scuola dell’obbligo. Il regolamento federale prescrive l’offerta di due lingue nazionali come materie fondamentali. Nella Svizzera tedesca, il francese e l’italiano. In vari cantoni, però, questa regola non viene rispettata, soprattutto per quanto concerne l’italiano. La strategia approvata dai responsabili cantonali della pubblica istruzione nel 2004 prescrive l’insegnamento di due lingue straniere, la prima a partire dal terzo anno scolastico, la seconda a partire dal quinto anno. È il cosiddetto modello 3/5. In pratica una lingua nazionale e l’inglese. Nella stragrande maggioranza dei cantoni svizzero tedeschi la prima lingua straniera insegnata è l’inglese e la seconda il francese, eccetto nei cantoni lungo la frontiera linguistica, come per esempio il canton Berna, dove il francese vien insegnato prima dell’inglese. La regola adottata nel 2004 è obbligatoria per i cantoni che hanno aderito al concordato HarmoS, l’accordo intercantonale sull’armonizzazione della scuola obbligatoria, mentre per gli altri cantoni equivale ad una raccomandazione.
In crescita nei cantoni svizzero-tedeschi i tentativi di limitare ad una sola l’insegnamento delle lingue straniere alle elementari, di preferenza l’inglese Contro il modello 3/5, negli ultimi anni, in vari cantoni della Svizzera tedesca, sono sorte numerose critiche e non sono mancati i tentativi per metterlo fuori uso e per limitare ad una sola, praticamente all’inglese, l’insegnamento delle lingue straniere nella scuola elementare. Tentativi, di cui possiamo segnalare i più importanti, cominciando da quelli più recenti. Nella Svizzera tedesca è in consultazione il cosiddetto «Lehrplan 21», un testo di 557 pagine che si prefigge di armonizzare l’insegnamento nella scuola elementare nei 21 cantoni tedeschi e multilingue, in sintonia con gli obiettivi fissati dall’articolo 62 della Costituzione federale. Il documento messo in consultazione verrà rielaborato sulla base delle proposte e dei pareri raccolti, ed entrerà in vigore probabilmente a partire dal prossimo autunno. Il «Lehrplan 21» conferma il modello 3/5 e per questo è stato bersaglio di numerose critiche provenienti dai genitori, da partiti politici come l’UDC e perfino dal «Dachverband Schweizer Lehrerinnen und Lehrer» (LCH), la Federazione svizzera degli insegnanti, che vanta circa 50 mila aderenti. Le voci critiche emerse sostengono che due lingue straniere sono troppe per gli allievi, rappresentano un onere troppo grave e rischiano anche di
Se è comprensibile l’interesse per l’inglese, lo è meno il disinteresse per le lingue latine. (Keystone)
compromettere l’apprendimento delle altre materie. Sempre secondo queste voci critiche, una lingua straniera dovrebbe venir soppressa, o perlomeno resa materia facoltativa. In realtà, queste critiche non vengono confermate dall’esperienza raccolta negli ultimi anni. L’insegnamento di due lingue straniere dimostra che soltanto un allievo su cinque incontra difficoltà a seguire. Basterebbe, quindi, studiare una soluzione in grado di aiutare gli allievi più deboli, senza rinunciare al principio delle due lingue straniere. Il ripiego su una sola lingua straniera inferirebbe innanzitutto un duro colpo alla lingua di Molière e al suo insegnamento sul territorio nazionale. Lo scorso mese di novembre, alla Cancelleria di stato dei Grigioni sono state depositate 3700 firme a sostegno dell’iniziativa popolare «Una sola lingua straniera alle elementari». Le firme sono state raccolte in cinque mesi. Nei Grigioni, un’iniziativa popolare è valida quando vien sostenuta da almeno 3'000 firme. Il testo verrà esaminato dal governo e dal parlamento e poi andrà in votazione popolare, probabilmente nel 2015. Se l’iniziativa verrà accettata, gli allievi delle scuole tedesche impareranno l’inglese come unica lingua straniera, mentre nelle scuole di lingua italiana si insegnerà il tedesco. Sarà una situazione perlomeno paradossale, poco conciliabile con il trilinguismo che vige nel cantone, unico esempio in Svizzera. Un trilinguismo che, in realtà, già oggi ha ben poca sostanza, ma che rischierebbe di venire ulteriormente impoverito. Un’iniziativa popolare cantonale analoga a quella grigionese è stata lanciata nel canton Lucerna. Definita «Eine Fremdsprache auf der Primarstufe» (una sola lingua straniera nella scuola elementare), l’iniziativa è stata promossa da un comitato che comprende rappresentanti degli insegnanti e di tutti i gruppi parlamentari. La raccolta delle firme è in corso. Ce ne vogliono 4000. Nei parlamenti dei cantoni Turgovia, Basilea Campagna e Sciaffusa sono pendenti atti che chiedono l’insegnamento di una sola lingua straniera nella scuola elementare. I governi di Nidvaldo e Zugo stanno riesaminando i criteri che determinano la scelta delle lingue straniere di insegnamento. Nel 2012, le conferenze delle scuole medie dei cantoni di Appenzello Interno, Glarona, Svitto, San Gallo, Turgovia e Zurigo hanno
chiesto di spostare l’inizio dell’insegnamento del francese dalla scuola elementare a quella media. Sono tutti attacchi contro le lingue latine, innanzitutto contro il francese,
ma in una certa misura anche contro l’italiano, attacchi che lasciano perplessi e che sollevano interrogativi sul futuro della pace linguistica nel nostro Paese e sullo stato di salute del quadrilin-
guismo. Si può comprendere la simpatia che i confederati di lingua tedesca nutrono per la lingua di Shakespeare e l’utilità che una buona conoscenza dell’inglese comporta in ambito professionale, in un mondo sempre più globalizzato, dove poche ormai sono le attività che sfuggono alla tendenza dominante. Sono del tutto incomprensibili, invece, la diffusa indifferenza e la forte mancanza d’interesse che i confederati germanofoni dimostrano nei confronti delle lingue nazionali latine. Queste lingue detengono un posto importante sul mercato interno svizzero, figurano tra le principali lingue della comunità europea e sono parlate in Paesi confinanti con il nostro, Paesi molto più grandi della Svizzera, che rappresentano ambiti mercati per le nostre esportazioni e che vantano una ricca storia plurisecolare. Inoltre, sono parte essenziale della nostra ricchezza linguistica e culturale, sono un cardine insostituibile del plurilinguismo, senza il quale la Svizzera non sarebbe quella costruzione senza pari, che il mondo si è abituato ad osservare, ad apprezzare e talvolta anche a criticare. Infine, costituiscono il cemento che tiene insieme la casa elvetica, che aiuta a conoscerci, a capirci ed a eliminare le reciproche incomprensioni. Il plurilinguismo segna la vita di molti cittadini svizzeri. Il suo progressivo indebolimento, eventualmente la sua scomparsa, avrebbero conseguenze incalcolabili. Annuncio pubblicitario
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Politica e Economia
Pronto il documento OCSE per la trasparenza fiscale Segreto bancario L’OCSE ha presentato il progetto di nuovi standard per l’applicazione dello scambio automatico
di informazioni fiscali. Si intravvedono già alcuni difetti e si teme l’opposizione degli Stati Uniti Ignazio Bonoli Un nuovo passo importante verso lo scambio automatico di informazioni fiscali è stato compiuto dall’OCSE. L’organizzazione internazionale, di cui fa parte anche la Svizzera, ha infatti pubblicato un rapporto nel quale definisce le linee direttive, alle quali dovranno adeguarsi tutti i Paesi, per lo scambio di informazioni in campo fiscale. Come noto, la Svizzera ha dichiarato da tempo di volersi conformare a queste direttive, a patto che siano chiariti che cosa, quando e in che forma i dati fiscali dovranno essere forniti ad altre amministrazioni e soprattutto che sia garantita la reciprocità, cioè, in pratica, che tutti i Paesi si adeguino a questi standard. È in sostanza quanto è stato fatto, secondo le prime informazioni su questo rapporto, sia per quanto attiene alle direttive per la trasparenza, sia per quanto concerne le modalità dello scambio. Non vi sono quindi grandi novità rispetto a quanto si potesse prevedere. Risulta però chiaro che i dati trasmessi potranno venire utilizzati solo e unicamente per scopi fiscali fra amministrazioni nazionali, secondo il principio della «specialità». In ogni caso – ha precisato il responsabile OCSE del settore fiscale Pascal Saint-Amans – il termine «automatico» dovrà essere interpretato alla lettera. In pratica, quelli che saranno considerati «dati rilevanti» saranno au-
tomaticamente messi a disposizione di tutte le amministrazioni fiscali. Diventa quindi subito importante la «confidenzialità» di questi dati, come del resto ha subito fatto notare l’Associazione dei banchieri svizzeri. Per Berna, abituata all’assistenza giudiziaria per singoli casi e su richiesta, si tratta di uno sforzo notevole di adeguamento. Anche per questo la Svizzera punta molto sulla reale cooperazione internazionale, cioè sulla reciprocità nello scambio di dati, fra tutti i Paesi che si conformeranno al «Competent Authority Agreement» (CAA) e quindi riceveranno i dati fiscalmente rilevanti da parte delle singole amministrazioni fiscali. Questi dati dovranno però basarsi su accordi bilaterali che dovranno quindi essere conclusi fra i Paesi partecipanti all’«Agreement» globale. La partecipazione dovrebbe essere molto estesa, dal momento che tanto il G-20, quanto l’Unione Europea lo richiedono. Finora sono 42 gli Stati che hanno dichiarato di partecipare all’accordo, tra i quali figurano anche il Lussemburgo e le isole Cayman. Rimane aperta anche l’opzione di una futura estensione a livello multilaterale. Per quanto attiene a quali informazioni e su quali conti devono essere trasmesse, gli esperti dell’OCSE pensano a un sistema molto impermeabile, al quale dovrebbero partecipare anche certi strumenti di investimenti collettivi e le compagnie di
Widmer-Schlumpf: la fine del segreto bancario giunge prima del previsto. (Keystone)
assicurazione. Dovranno essere comunicate tutte le forme di redditi, compresi i dividendi, gli investimenti e i saldi dei conti sia di privati, sia di società e simili. In caso di «trust» deve essere comunicato il beneficiario economico. Sono invece escluse società quotate in borsa, organizzazioni internazionali e società statali. La conclusione dei lavori è stata accelerata, sia da quanto si sta discutendo nell’ambito dell’UE, sia dalla messa in atto dell’americano FATCA. Rispetto a quest’ultimo, l’OCSE considera però il concetto di residente e non quello della cittadinanza. Alcune parti del progetto dovranno però essere completate, dopo
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che un primo approccio ha avuto luogo nell’incontro del G-20 in Australia. Entro giugno, una volta completate tutte le parti dell’accordo e trovata una soluzione informatica per tutti, l’accordo dovrà essere accettato dai ministri dei 34 Paesi che fanno parte dell’OCSE. Alcune osservazioni critiche sono però già state avanzate. Secondo i banchieri svizzeri l’operazione verrebbe a costare tra i 500 e gli 800 milioni di franchi e potrebbe durare due anni. Timori analoghi sono stati espressi anche dai banchieri europei. Sul piano giuridico, si temono disparità di trattamento. Per l’identificazione dei clienti si usano le re-
gole nazionali contro il riciclaggio di denaro, che non sono uguali per tutti gli Stati. Un problema può nascere per i Paesi che non hanno sottoscritto l’accordo FATCA con gli Stati Uniti e non fanno parte dell’OCSE. Potrebbero diventare luoghi privilegiati per la fuga di capitali. L’accordo OCSE dovrà fare in modo che tale pericolo venga evitato. Più in generale, si teme che gli Stati Uniti possano opporsi alla firma dell’accordo generale dell’OCSE. Tramite il loro FATCA si sono infatti già garantiti una posizione di privilegio alla quale non vorranno rinunciare. Inoltre non vorranno concedere informazioni sui beneficiari economici dei trust. C’è quindi il pericolo reale che, per finire, gli Stati Uniti diventino il Paese privilegiato nel quale depositare capitali sottratti al fisco di altri Stati. Per la Svizzera – oltre al danno subito dalle banche con l’accordo con gli Stati Uniti – potrebbe giungere ora anche la beffa di quello nell’ambito dell’OCSE. Quest’ultimo, pur rispettando i principi voluti da Berna (quello della confidenzialità e protezione dei dati, quello della specialità – solo uso fiscale –, quello della reciprocità e quello dell’identificazione dei beneficiari economici di tutte le strutture giuridiche) rischia di permettere importanti scappatoie, nonché criteri diversi nell’applicazione. Un vantaggio: la Svizzera potrà partecipare ai lavori e alla decisione finale.
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Politica e Economia Rubriche
Cantoni e Spigoli di Orazio Martinetti Un Paese da ricucire Prima lo strappo, poi la cucitura. Qui s’incunea la politica, intesa come arte della mediazione. Il voto del 9 febbraio ha scavato numerose trincee, interne ed esterne. Interne: tra i centri urbani e l’arcipelago del retroterra; tra i cantoni romandi e i cantoni svizzeri tedeschi (eccetto Basilea-città, Zugo e Zurigo). Esterne: tra la Confederazione e l’Unione europea (o tra Berna e Bruxelles), tra il Ticino e la Lombardia. Si è voluto inviare un «segnale» e così è stato. Il segnale era necessario, vista la situazione che si era creata in alcune regioni, ma forse la reazione è stata eccessiva. L’avvertimento è diventato un calcio negli stinchi, un fallo da espulsione. Ora, certo, le forze antieuropee esultano, dalle urne elvetiche è uscito un genio torvo e vendicativo che piace tanto alla destra. Tutto questo era prevedibile? In parte sì, perché la temperatura sociale era scesa sotto lo zero, soprattutto in Ticino, ma non solo. La vera sorpresa è giunta dal canton Zurigo, dalla sua vasta agglomerazione, una delle aree più popolose e prospere
della Confederazione. Nessuno s’aspettava che da questo comprensorio così dinamico, aperto agli scambi internazionali, cuore di aziende tecnologicamente avanzate, potesse arrivare un no all’iniziativa così striminzito, quasi un sì. Mai prima d’ora la piccola Svizzera si era ritrovata sotto il tiro incrociato di cronisti e commentatori. Sui giornali esteri abbiamo letto parole grosse: chiusura, xenofobia, razzismo; di un intero popolo plagiato dall’Unione democratica di centro e dal suo arruffapopoli. Non saremo noi a sottovalutare il risultato, ma chi ricorre a queste categorie, alquanto sommarie, dimostra di non aver compreso pienamente che cosa sia accaduto nel Paese negli ultimi anni. L’impennata del numero dei frontalieri è il dato più tangibile, certo, ma anche un disagio per una crescita che ha preso dimensioni abnormi, incurante delle conseguenze sul piano degli alloggi (rincaro degli affitti) e dell’ambiente (edificazione sfrenata).
Tuttavia la questione economica e il dumping salariale non spiegano tutto. Bisognerà prima o poi chiedersi come mai la cosiddetta «campagna» – regioni rurali e vallate alpine – si sia ribellata alla città, allo stile di vita e di consumo perseguito nei centri urbani. Perché nella cosiddetta «Svizzera profonda» il no è fermo e costantemente ribadito in tutte le votazioni riguardanti l’Unione europea e le annesse manifestazioni giudicate estranee allo spirito nazionale, quali i minareti, i richiedenti l’asilo, le donne velate (v. il caso del Ticino). Le tabelle riguardanti il voto favorevole all’iniziativa Udc allestite dall’Amministrazione federale registrano un divario città-campagna oscillante tra quasi venti punti della Svizzera tedesca (41% di sì nei centri, 60,7 nelle campagne), di dieci punti nella Svizzera francese (37,7-47). Minima invece la variazione nel caso ticinese: 66,3 di consensi nei centri, 69,6 nei comuni rurali, un voto quindi pressoché omogeneo da Airolo a Chiasso.
Di fronte ad un rifiuto dell’elemento estraneo così granitico e reiterato nel tempo, qualche dubbio sui sentimenti e gli orientamenti ideali di questa parte del Paese può sorgere. Il voto ha inoltre ridestato dal sonno un vecchio fantasma: quello del fossé, della spaccatura tra romandi e svizzeri tedeschi; una lacerazione che ha le sue remote radici nel modo con cui la Confederazione si è formata attraverso i secoli: un itinerario che ha nei territori tedescofoni alpini il suo motore propulsivo, e che successivamente si è consolidato attraverso alleanze e conquiste, sia verso il paese di Vaud sia verso sud, nelle terre cisalpine. Differenze di lingua, di mentalità, di modi di rapportarsi con il bagaglio culturale del potente vicino; l’illuminismo da una parte, con i suoi diritti dell’uomo e del cittadino; il romanticismo dall’altro, con il suo intimo legame con la natura, la foresta, il suolo. Non è mai stato facile mantenere unite sensibilità così diverse; la prima
guerra mondiale mise duramente a prova l’unità della Confederazione; anche la consultazione del 6 dicembre 1992 sullo Spazio economico europeo fece emergere una divergenza di principio nel concepire le relazioni con l’Europa. Ora questo Graben (o Röstigraben) si è riaperto lungo la Sarine, riattizzando polemiche rimaste sempre vive sotto la brace. Qualche anno fa la «Weltwoche» accusava i romandi di essere i «greci della Svizzera», connazionali lavativi e mantenuti dallo Stato; la settimana scorsa l’«Hebdo» ha rinfacciato agli svizzeri-tedeschi di aver «silurato» le imprese romande, il loro sforzo per farsi largo nella competizione economica mondiale. Sono quindi due i fronti che il voto del 9 febbraio ha aperto. Un fronte interno, fatto di contrasti tra regioni linguistiche, tra città e campagna, tra forze populiste e imprese rivolte all’export; e un fronte esterno, nei rapporti con l’Unione europea. Alla politica, nei prossimi mesi, il lavoro non mancherà sicuramente.
La sua origine risale al 1848, ossia al momento della creazione dello spazio economico elvetico. La prima Costituzione federale abolì i dazi e i pedaggi cantonali, sottraendo di fatto al Cantone Ticino la sua unica fonte di entrata. Il lettore non sarà meravigliato di venire a sapere che è proprio per questo che la maggioranza dei votanti ticinesi respinse sia la Costituzione del 1848, sia quella riformata, e, economicamente parlando, ancora più integratrice, del 1874. Forse il Ticino avrebbe preferito che la Svizzera restasse economicamente disintegrata, con tasse e balzelli da pagare ad ogni piè sospinto. Qualche decennio più avanti, negli anni Trenta dello scorso secolo, l’idea dello statuto speciale ritornò a dominare il dibattito politico. Da una parte vi erano gli irredentisti che, non potendo realizzare l’unione del Ticino con l’Italia, scoprirono come soluzione di second best la zona
franca. Tutto il territorio del Ticino avrebbe dovuto venire escluso dal regime doganale elvetico, come si fece per esempio nel caso della località di Samnaun nei Grigioni. Dall’altra parte vi era la Camera di Commercio che imprecava contro i padroncini svizzero-tedeschi che venivano a far concorrenza ai poveri artigiani ticinesi sottraendo loro il pane quotidiano e, di fatto, inquinando l’italianità del Cantone. Si parlava del pericolo di penetrazione svizzero-tedesca che aleggiava sul Ticino. Pochi sanno che, in relazione a questa polemica, venne chiesto un parere al grande specialista di diritto pubblico Zaccaria Giacometti. Giacometti riconobbe che se il pericolo fosse stato effettivo il Cantone Ticino avrebbe potuto vietare l’immigrazione di svizzero-tedeschi. Non se ne fece nulla, naturalmente! Lo statuto speciale ritornò d’attualità nel 1965 quando il
Ticino ricorse a Berna per ottenere che i frontalieri fossero esclusi dal sistema di contingentamento della manodopera estera. Per una volta, la rivendicazione ticinese venne approvata. L’esclusione dei frontalieri dal regime di contingentamento consentì al Cantone di sviluppare il suo settore industriale durante gli anni Settanta, quando fu abolito lo statuto dello stagionale. Invece di stagionali si impiegarono frontalieri assicurando all’economia ticinese un vantaggio comparativo rispetto al resto della Svizzera che durò un paio di decenni. Oggi, il corso della storia è mutato, e una maggioranza del parlamento ticinese esige da Berna che contingenti proprio i frontalieri, ossia quella categoria di lavoratori che, ancora ieri, assicuravano le fortune dell’economia locale. È proprio vero: non c’è terreno più friabile di quello sul quale è assisa la politica.
studiato e che porteranno a casa, con tutta probabilità, due stipendi per crescere i bambini (i dati sono tremendi: il 56,1 per cento dei bimbi che crescono in povertà sono allevati da una ragazza madre). In secondo luogo perché il romanticismo conta sempre meno. Se il matrimonio tradizionale è collassato (soltanto gli uomini con un livello di istruzione bassa pensano che le donne debbano stare a casa a curare i figli: anche qui i livelli di reddito sono determinanti), pure l’amore non se la passa tanto bene. Anzi, è diventato una faccenda buona per Hollywood (libri e fiction sono già oltre: basta guardare una puntata della serie tv «Girls» per averne la certezza), nella vita reale non è dato che un matrimonio appassionante e sexy possa esistere quando la priorità è crescere i figli. Ancora peggio: quando ci si risposa o ci si rifidanza gli «effetti negativi» sui figli sono riscontrabili immediatamente, non tanto per lo
shock di vedere papà e mamma che vivono in due case diverse e magari si insultano e si lanciano piatti, ma perché il nuovo fidanzamento significa passione e devozione sottratte ai bambini (non puoi passare notti in bianco con il tuo amante se passi già notti in bianco per i tuoi figli, delle due l’una, e i secondi dovrebbero comunque avere la meglio). È così che il matrimonio si è trasformato in un’unione di genitori professionisti. È un «contratto di co-parenting», uno strumento per impegnarsi a vicenda nella crescita dei figli. I papà passano molto più tempo con i bambini rispetto a quello che facevano i loro padri (anche allo stesso livello di istruzione, il tempo a casa è raddoppiato ed è triplicato quello dedicato alla cura dei figli), le mamme non dipendono economicamente dagli uomini, anzi la grande rivoluzione è qui: se sei una donna indipendente è più facile che farai du-
rare questa nuova forma di matrimonio (se sei contro il divorzio e sei liberal su tutti gli altri temi etici questo matrimonio è fatto per te). Sulla durata di questi contratti-per-ifigli ancora non c’è certezza. Ma sulla felicità qualcosa si può già dire: in uno studio citato dal «New York Times», che ogni domenica ormai si dedica alla questione, il 34 per cento delle donne adultere intervistate dice di essere «felice» all’interno del suo matrimonio. Tradisce perché va cercando trasgressione, perché l’uomo che passa l’aspirapolvere non è sexy (e non lo è nemmeno quando finge di fare il macho, dicono le mogli, cioè non ha speranza di salvare la vita sessuale della coppia). Nel nuovo matrimonio i bimbi tolgono tutto il tempo, i genitori si dividono mantenimento e cura dei figli al 50 per cento, ma la vita sessuale si sposta fuori dalla coppia. Forse è il caso di riesumare un po’ di romanticismo.
Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Sete di statuto speciale A guardar bene, alla base della coscienza collettiva ticinese vi sono due rappresentazioni mentali contrastanti. La prima è conosciutissima: il Ticino ponte fra due culture. Appena le cose vanno bene questa immagine ci viene propinata in tutte le salse. La seconda è forse meno conosciuta, ma altrettanto diffusa: il Ticino regione periferica, isolata e snobbata. Non appena le cose vanno un po’ male questo archetipo viene rispolverato per conseguire due finalità che, di nuovo, sono contraddittorie. Per gli uni è indispensabile rompere l’isolamento al quale il Ticino è condannato dalla natura e dalla storia. Strade, ferrovie, gallerie in quota e gallerie di base, ma anche sussidi per difendere, in qualunque modo si possa fare, l’italianità, di qua e di là del S. Gottardo e abolizione delle frontiere: questi sono gli interventi che, nel succedersi delle stagioni storiche, i politici ticinesi
hanno domandato al resto della Svizzera e ai vicini europei per poter sfuggire a questo fato. Per gli altri, invece, è utile mantenere il Cantone isolato dal resto del mondo, per proteggerlo da una concorrenza che si reputa sempre dannosa e illegittima. Per conseguire questo scopo si è proposto, in modalità diverse a seconda delle epoche, di erigere muri attorno al confine o di affibbiare al Cantone, in forma permanente, uno statuto speciale. L’archetipo dello statuto speciale è ritornato di recente d’attualità in seguito all’approvazione in Gran Consiglio di una proposta dei verdi con la quale si chiede a Berna uno statuto speciale per le regioni periferiche esposte, più del resto del Paese, alle conseguenze negative della libera circolazione della manodopera. Anche se sembra originalissima, quella di dotare il Ticino di uno statuto speciale è nei fatti una vecchia rivendicazione.
Affari Esteri di Paola Peduzzi Dove è finito il romanticismo? In America il matrimonio pare morto: se sei ventenni su dieci negli anni Sessanta erano sposati, ora soltanto il 20 per cento dei giovani tra i 18 e i 29 anni va a nozze, cioè sposarsi a quell’età è diventata un’eccezione. Secondo un bel saggio pubblicato dall’«Atlantic», la morte del matrimonio è però soltanto apparente: è in atto una trasformazione, cioè non ci sono più l’uomo che porta a casa i soldi e la donna che cucina, ma una maggiore eguaglianza nei ruoli e un maggior impegno nei confronti dei figli (e naturalmente su questo aspetto si stanno già accanendo gli esperti: che ne sarà di questi ragazzi sempre al centro della vita dei loro genitori al punto che i genitori non hanno più una vita a due? Le previsioni non sono rosee). Le donne che fino a qualche anno fa o studiavano o facevano una famiglia ora sono il fulcro di questi nuovi matrimoni: «A differenza dei giovani europei, che
sono sempre più ambivalenti nei confronti del matrimonio, i laureati stanno reinventando il matrimonio in America come una macchina per crescere i figli in una società post femminista», scrive Richard Reeves sull’«Atlantic». Nei fatti si sta risolvendo anche il dilemma delle donne a metà tra casa e ufficio: si può avere tutto, se si ha un marito che è pronto a diventare papà con impegno (si chiama «high-investment parenting», c’è già l’acronimo, si sa che gli americani sono imbattibili su questo: «Hip marriages»). La crisi della famiglia si sta risolvendo per il meglio? Non proprio. C’è una sostanziale differenza tra livelli di reddito, cosa che in una società come quella americana tormentata dalle diseguaglianze (il presidente Barack Obama ormai non parla d’altro) è piuttosto preoccupante: il matrimonio sta diventando un bene di lusso. Si sposano soltanto coloro che hanno
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Cultura e Spettacoli Per amore di disegno Poco più di trent’anni or sono moriva Dino Battaglia, uno dei maestri del disegno italiano
Dimensioni Un divertente libro di recente pubblicazione presenta tutta una serie di luoghi minuscoli pagina 33
La rottura del 1913 La prima di Le sacre du printemps di Stravinskij con coreografia di Nijinskij fu un momento di scandalo generale, da cui nacque però la danza contemporanea come la conosciamo oggi. Lo studioso di teatro Gerald Siegmund ci racconta i retroscena
Il ritorno di «Croz» Per la gioia dei suoi ammiratori David Crosby torna con un nuovo album
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Spazio alla luce Mostre James Turrell e Robert Irwin
illuminano Villa Panza
Alessia Brughera Luogo di silenzio e di piacevole armonia, Villa Panza, a Varese, ci ha ormai abituati a non avere fretta quando si vanno a visitare le mostre che ospita. Perché è sempre perdendo un po’ la cognizione del tempo, meglio ancora cercando di estraniarsi completamente da tutto il resto, che possiamo godere al meglio delle suggestioni che le opere ogni volta presentate ci offrono. Non fa eccezione nemmeno l’esposizione attuale, dedicata ai maestri dell’Arte Ambientale americana James Turrell e Robert Irwin, due artisti che hanno un lungo sodalizio con il conte Panza e con la dimora varesina, e che a distanza di quarant’anni dai loro primi interventi nella villa (oggi proprietà del Fondo Ambiente Italiano) vi ritornano per darle letteralmente nuova luce. Perché è proprio la luce l’elemento con cui Turrell e Irwin lavorano da sempre: un elemento complesso, mutevole, inafferrabile, ma anche incredibilmente tangibile e duttile. Proiettata, riflessa, a volte attenuata, altre volte rafforzata, la luce viene forgiata dai due artisti come fosse una vera e propria entità concreta, diventando materia architettonica e percettiva. Nella mostra di Varese invade in ogni modo le sale ovattate della residenza Panza: ora è bagliore naturale che vive di sottili variazioni, di riverberi e di rifrazioni, ora è fascio artificiale capace di acquistare solidità tridimensionale o di creare splendidi effetti coloristici. La luce qui agisce sugli spazi e ne crea di nuovi, stimola inedite percezioni, allude, suggestiona, condiziona e magnetizza. Erano gli anni Settanta quando Giuseppe Panza e la moglie Giovanna, infallibili segugi sempre alla ricerca di nuovi artisti da cui farsi emozionare, si ritrovarono nella stanza di un malcon-
cio hotel a Santa Monica a fissare per ore uno scorcio di cielo da una piccola finestra. Davanti ai loro occhi si svolgeva lentamente un inatteso spettacolo che aveva del meraviglioso: la volta celeste, nel suo graduale trasmutare dal blu all’azzurro, al rosso fuoco, all’arancione, e poi all’oro, al rosso scuro, al viola e infine al nero, esibiva un ventaglio di tinte di straordinaria intensità, perché quando la si osserva attraverso una minuscola apertura i suoi colori guadagnano in potenza ed energia. Era stato James Turrell, allora trentenne, a fare accomodare i Panza in quella stanza d’albergo adibita a studio e a invitarli a guardare il cielo come se fosse un quadro dipinto con la luce. Folgorati da quell’esperienza, poco dopo i due lo chiamarono a realizzare un’opera sitespecific all’interno della loro villa. A presentare Turrell al conte ci aveva pensato Robert Irwin, conosciuto dai Panza nel 1968 alla Pace Gallery di New York e da loro subito apprezzato per l’affascinante direzione che già allora stavano prendendo i suoi lavori, rivolti com’erano verso l’annullamento della percezione dell’oggetto e la creazione di qualcosa che fosse immateriale, che si dissolvesse nella totalità. E ben presto anche le sue opere fatte di luce e di spazio andarono a impreziosire le sale dell’abitazione varesina insieme a quelle di Turrell. Con gli anni le ricerche dei due artisti si sono affinate, i loro percorsi formali si sono ampliati e la loro conoscenza dei fenomeni luminosi ha raggiunto livelli sofisticati, ma l’obiettivo è il medesimo di allora: manipolare e controllare la luce fino a farla diventare puro stimolo in grado di influenzare con forza la percezione e di rendere più acuta e ricettiva la sensibilità visiva. Per tutto il percorso di mostra i nostri occhi (ma non solo) vengono irretiti, provocati, sollecitati, quasi sfidati, a
Il Ganzfeld progettato da James Turrell.
discernere la realtà e a svelare l’illusione. Arte e scienza si incontrano. Sta a noi, allora, scoprire se vi sia veramente un cubo luminescente che fuoriesce dalla parete, o se questo sia frutto di un’abile proiezione di fasci luminosi che alterano la nostra percezione della profondità, conferendo volumetria alla luce (quella che Turrell chiama «thingness of light», la luce che diventa materia). O riconoscere, in quello che sembra dapprima un semplice quadro, un sofisticato gioco di effetti cromatici luminosi su telai al carbonio che creano un ologramma della luce stessa, diventando una visione di bagliori vivaci che si dilatano e si affinano a seconda del movimento di chi li guarda. In alcuni casi, poi, risulta persino difficile distinguere la concretezza di alcuni oggetti utilizzati dagli artisti come veicoli di irraggiamento luminoso, tanto sono capaci di ridurre al minimo la loro presenza fisica fino a divenire una pura esperienza di luce. È il caso della Column di Irwin, una colonna trasparente, alta e sottile che riesce quasi ad
annullarsi completamente nel catturare i raggi solari e nel diffonderli poi tutt’attorno in un profluvio di riflessi che variano a seconda del tempo. Il tempo, appunto. Una dimensione da esplorare nel suo accostamento alla luce e allo spazio, come avviene nell’installazione, sempre di Irwin, intitolata Villa Panza 2013, realizzata in occasione della mostra. L’artista plasma l’ambiente con il chiarore naturale e con evanescenti velari di nylon che suddividono geometricamente la stanza. Si viene così a disegnare un percorso labirintico fatto di superfici diafane che restituiscono suggestioni diverse quanto diversi sono i momenti della giornata e le alterazioni atmosferiche. A fine percorso ci attende l’esperienza sicuramente più totalizzante della mostra: l’immersione nel Ganzfeld progettato da Turrell, quintessenza della manipolazione percettiva attraverso la luce. In un ambiente invaso da una cromatismo uniforme che smaterializza lo spazio, la nostra capacità visiva viene completamente destabilizza-
ta. Non ci sono più il vicino e il lontano, solo un lento alternarsi di luci colorate ciascuna delle quali, dapprima immobile in un’atmosfera quasi rarefatta, si risveglia poi generando un bombardamento luminoso che scuote anima e corpo. La luce diventa così qualcosa che supera limiti e origina nuove possibilità, capace di trasportarci in una dimensione in cui riflettere sull’assoluto. Dove e quando
AISTHESIS – All’origine delle sensazioni. Robert Irwin e James Turrell a Villa Panza. Villa Panza, Varese. Fino al 2 novembre 2014. A cura di Michael Govan e Anna Bernardini. Mostra organizzata dal FAI – Fondo Ambiente Italiano con il Los Angeles County Museum of Art. Aperto tutti i giorni tranne i lunedì non festivi: ore 10.00-18.00. Domenica e festivi: ore 10.00-20.00. www.aisthesis-fai.it faibiumo@fondoambiente.it
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 24 febbraio 2014 • N. 09
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Cultura e Spettacoli
Dino Battaglia, di fine segno In memoria Il piacere condiviso di raccontar disegnando a trent’anni di distanza
Sanremo, palinsesti e La7 Visti in tivù Sulla
Piero Zanotto Ricordiamo a poco più di trent’anni dalla scomparsa (Venezia 1923 – Milano 1983) Dino Battaglia, «figurinaio» artisticamente tra i grandi dell’illustrazione e del fumetto. Quella del disegnare, illustrare, inventare e ricreare sul foglio bianco figure, costumi, paesaggi secondo una propria intima visione che gli veniva dalla attenta lettura di romanzi e racconti della più nobile e talora inquietante narrativa classica, senza alcun dubbio era per Dino Battaglia un piacere. Non si spiegherebbe altrimenti quel continuo suo sperimentare attraverso tecniche e strumenti «misteriosi» (non gli strumenti in sé, ch’erano di materiali poveri, bensì l’uso d’essi) sempre più raffinate e modulate espressioni espressive.
Dino Battaglia fra le altre cose si ispirava alla lettura di grandi classici «Io sul foglio bianco fatico sempre molto e mi piace – amava confidare – altrimenti valeva fare un altro mestiere». E così scusava i tempi lunghi del proprio lavoro, a differenza di colleghi più di lui svelti «di pennino» e per questo destinati a maggiori guadagni. Aperto, Battaglia, al confronto tra opposte visioni letterarie e biografiche che agevolmente scivolavano spesso in una dimensione onirica che aveva fertile terreno pure nella leggenda e nella fiaba. Da una parte – pescando tra il tanto, tantissimo da lui prodotto, sorretto
dalla mediazione, nel «ripulire» fino all’essenziale i testi, della moglie Laura, sensibile quand’era necessario pure nella distribuzione dei colori pur prediligendo il bianco e nero – la traduzione figurale di pagine scritte da autori dell’incubo e del fantastico, come Hoffman, Shiel, Poe (e di quest’ultimo da ricordare è l’ambientazione veneziana che sostituisce quella della campagna inglese del fumetto Non scommettete la testa col diavolo desunto dal racconto La scommessa) o suggerite da leggende come la cabala ebraica che dona la vita al gigantesco Golem di argilla. Sull’altro versante le nobili versioni di soggetti religiosi, permeati di lirismo mistico. Sopra tutti la narrazione della vita e delle opere di San Francesco e di Frate Antonio. Su questa linea, e fa immenso piacere al sottoscritto poterlo ricordare poiché ebbi il piacere di godere della stima di Battaglia scrivendo per lui alcune sceneggiature per racconti di nobile dignità (tra queste dalle pagine di Charles De Coster la leggenda fiamminga intestata a Till Ulenspiegel: il libro che ne uscì ricevette poi in Francia un premio del Ministero dell’Educazione Nazionale), Un Patrono per Venezia, ovvero la leggenda della traslazione del corpo di San Marco da parte di due intrepidi mercanti veneziani da Alessandria d’Egitto beffando la dogana turca. Ci perderemmo in un elenco infinito anche solo citando i titoli delle storie, in prevalenza ispirate alla letteratura dell’Ottocento, da lui «depositate» sul foglio Fabriano. Aveva iniziato ancora adolescente nella sua Venezia (vi era nato il 1° agosto 1923) disegnando una storia di guerra, Junglemen, nel periodico «Asso di Picche» inventato con goliardico coraggio assieme a un grup-
rete di Cairo approfondimenti come alternativa alla sagra della canzonetta
Antonella Rainoldi
L’autore si ispirò spesso ad Edgar Allan Poe.
po di coetanei poi diventati «da grandi» in rami diversi professionisti di tutto rispetto: Hugo Pratt, Alberto Ongaro, Mario Faustinelli, Giorgio Bellavitis, Damiano Damiani. Trasmigrato a Milano, ormai ventenne fresco di studi al liceo artistico, si trovò a disegnare per l’editore e soggettista Gian Luigi Bonelli riduzioni didascalizzate di romanzi per la gioventù, dalla stevensoniana Isola del tesoro alle favole di Aladino e di Peter Pan. Una bella scuola… Base per tutto il resto che resta negli annali del fumetto nobilmente Adulto. Al quale col citato Till appartiene ad esempio l’affascinante rabelaisiano Gargantua e Pantagruel e la favola, ma non solo, di Oscar Wilde Il gigante egoista. Quindi dal patrimonio della favolistica russa L’uccello di fuoco, e perfino, assieme alla moglie Laura, Hans Pfaall desunto da Edgar Allan Poe. Il suo fine, insistito segno votato spesso a un allusivo saporoso grottesco
diede un’aura di afflitto crepuscolarismo tra l’altro a Giacomo Casanova visto nei suoi ultimi anni consumati da anziano nel castello boemo di Dux. Il bianco e nero con effetti di trasparenza trova un sublime momento della sua creatività. In coerenza con tutto quanto egli ebbe da creare nell’arco di pochi decenni, interrotto d’improvviso dalla sorte a soli sessant’anni. Disegnava e realizzava per suo piacere eserciti di soldatini nelle più diverse uniformi. Anche se manifestava contrarietà per le realtà belliche. Apparente contraddizione. L’artista nel privato che sapeva rivolgersi all’esterno, al suo lettore, porgendogli anche storie di angoscioso pacifismo. Si cita per tutte La prova del fuoco, fumetto desunto dal romanzo di Stephen Crane. La cui vignetta di apertura è un manifesto programmatico: soldati allineati in attesa della battaglia, uniti nella loro scura uniforme, tutti senza volto.
Lo ripetiamo da tempo: non riusciamo più a farci piacere il Festival di Sanremo: le polemiche, i veleni, le chiacchiere, le canzonette. Da un punto di vista televisivo c’è poco da dire: il prodotto è ben confezionato. Ma gli eccessi affaticano, logorano le forze. Per cinque lunghissimi giorni tutti si improvvisano esperti di musica. Chi si occupa di tv prova non poco disagio a vedere certi colleghi, giornalisti e critici televisivi, offrirsi alla platea in qualità di opinionisti. Il loro compito è altro, il loro posto altrove. Aldo Grasso non ha mai partecipato alla sagra della canzonetta, com’è giusto che sia. Quest’anno poi è successo l’incredibile: il sipario s’è inceppato, due operai dei Consorzi del bacino di Napoli e Caserta hanno minacciato di buttarsi dalla galleria dell’Ariston, Fabio Fazio ha parlato di bellezza, allo sfinimento. Ci mancava anche il comizio di Beppe Grillo contro i poteri forti, le banche, la
L’arte che impressionò Picasso Mostre Alla scoperta del popolo dei Baga: al Museo Barbier-Mueller di Ginevra
una «prima» europea, fino a maggio Marco Horat L’etnologo francese Marcel Griaule è noto per essere lo studioso che negli anni ’30-’40 del secolo scorso ha fatto conoscere al mondo europeo la cultura, e in particolare la cosmogonia del popolo dei Dogon. Aveva partecipato a diverse missioni scientifiche soggiornando a lungo in Mali, dove aveva trascritto i racconti di un anziano sciamano di nome Ogotemmeli che lo aveva introdotto alle apparentemente sorprendenti conoscenze astronomiche della tradizione dogon; nel 1948 era poi uscito il libro che raccontava questa sua straordinaria esperienza: Il dio d’acqua, ripubblicato da Boringhieri in chiave critica pochi anni fa. È grazie a Griaule, agli antropologi americani, inglesi e francesi che si sono dedicati con partecipazione ai popoli nascosti della terra, se agli inizi del ’900 in Occidente ci si è finalmente resi conto che anche i cosiddetti «selvaggi», in Africa come altrove, avevano una storia degna di essere raccontata, fatta di una cultura ben articolata, di credenze secolari e delle espressioni artistiche che le portavano in scena; l’altra faccia della medaglia colonialista improntata al solo sfruttamento economico di Paesi, risorse naturali ed esseri umani. Anche nel nostro orizzonte storico sono da allora comparsi nomi di popoli più o meno sconosciuti, che ogni tanto tornano alla ribalta della cronaca quando in uno dei Paesi di nuova indipendenza riaffiorano e spesso sfociano in tragedia, rivalità che la presenza occidentale aveva solo dissimulato. Al di là di questi aspetti dram-
matici rimane però l’interesse e il fascino per l’«altro da noi» che del resto l’arte occidentale aveva subito grazie alle sculture e alle maschere africane che tanto avevano impressionato (e influenzato) gli artisti cubisti, Braque e Picasso in primis. L’ultimo popolo in ordine di apparizione, almeno per quanto riguarda esposizioni artistico-etnografiche in Svizzera, è quello dei Baga della Guinea, al quale il Museo Barbier-Mueller di Ginevra, famoso per essere un punto di riferimento internazionale quando si parla di «arte altra», dedica una esposizione di maschere, statue, troni rituali e tamburi decorati con figure zoomorfe e antropomorfe, che rappresenta una
Maschera Dimba, Guinea. (© Musée Barbier-Mueller, Photo Studio Ferrazzini Bouchet).
prima nazionale e addirittura europea, essendo la collezione più importante al mondo in mani private. L’arte dei Baga aveva in effetti già impressionato lo stesso Picasso, Giacometti e altri artisti occidentali che ne apprezzavano la straordinaria bellezza derivata dall’essenzialità delle forme e dall’armonia dei volumi, la fantasia e la creatività che gli artisti baga sapevano esprimere in mille forme diverse. Vale per loro quanto detto per altre espressioni artistiche importanti che vengono dall’Africa della tradizione e che il tempo e la globalizzazione stanno lentamente cancellando o quanto meno modificando radicalmente. Un tempo le maschere erano usate nel corso di cerimonie religiose con accompagnamento di musica e danze, e incarnavano un antenato delle tribù oppure uno di quei «genii primordiali» che, prima della comparsa dell’uomo, avevano governato la terra, e che costituiscono una presenza invisibile che bisogna ingraziarsi mediante rituali, sacrifici, offerte e preghiere. I Baga, come tutti i popoli della tradizione, si tramandano i miti della creazione e nel corso dei secoli hanno elaborato una visione del mondo articolata e coerente che spiega la realtà, quando la ragione non basta, facendo capo al soprannaturale. Le maschere erano fabbricate in gran segreto dagli anziani della tribù, uomini e donne depositari della saggezza, dato che la società era di tipo gerontocratico. Anche sui famosi troni scolpiti, simbolo del potere politico e religioso, potevano sedersi unicamente gli anziani durante le cerimonie ufficiali, mentre i giovani si accomoda-
vano simbolicamente per terra. All’inizio del XX secolo ecco che arrivano i missionari cristiani e il credo islamico a mutare l’orizzonte culturale dei Baga, e così le credenze e i riti antichi vengono messi da parte… anche se non dimenticati e cancellati del tutto; maschere e troni si fabbricano ancora, anche se di qualità più scadente rispetto al passato, come constata qualche anziano della tribù. Ma è l’uso che se ne fa che è cambiato: si continua a ballare al suono dei tamburi ma le maschere che si tirano fuori sono per festeggiare la vittoria della squadra di calcio del villaggio oppure per onorare un visitatore straniero; o magari per assecondare la passione per l’esotismo di qualche turista coraggioso armato di cinepresa. In fondo va bene anche così e c’è poco di che meravigliarsi o storcere il naso. Pensiamo a cosa è successo dalle nostre parti negli ultimi cento anni, a come è cambiata, in senso antropologico, la nostra cultura. E come anche sotto i nostri cieli, per rimanere all’esempio della partita di calcio, un gesto di stampo religioso sia messo oggi al servizio di qualcosa di profano: il giocatore di calcio che entra in campo per una sostituzione cosa fa per prima cosa? il segno della croce toccando l’erba del prato. Non è la stessa cosa che impetrare l’intervento di un protettore invisibile? Dove e quando
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A Sanremo lui non andrà mai (forse): il critico Aldo Grasso.
RAI. Sarà un nostro difetto, una idiosincrasia personale, ma quando c’è Sanremo la mano corre veloce al telecomando. Come sempre, nei giorni del concorso canoro il problema sono i palinsesti assopiti. La domanda allora è: se le tv sono in smobilitazione, cosa guarda chi rinuncia a seguire il Festival? Anche stavolta, tra repliche e B movies, c’era ben poco da salvare. E dire che la politica italiana di occasioni ne offriva: l’incarico a Matteo Renzi di formare il governo, l’incontro Renzi-Grillo trasmesso in diretta streaming. Nella prima serata di Sanremo c’era anche in atto la protesta in Ucraina con scontri e vittime. Mentre succedeva tutto questo, Bruno Vespa svacanzava nella capitale dei fiori e Mediaset cedeva volentieri al fascino delle opere dimenticate. Per fortuna è venuto in soccorso il terzo polo generalista. La7, rete di Urbano Cairo vocata all’approfondimento tagliato sul dibattito, ha fatto la parte del leone, potendo contare su programmi come Otto e mezzo, La Gabbia e Bersaglio Mobile (Enrico Mentana, prontamente, ha organizzato uno speciale sul governo nascente, con l’aggiunta di alcune finestre su Kiev, a testimonianza del drammatico incalzare degli avvenimenti). Certo, Sanremo è un evento, e come tale resta imbattibile, in termini di ascolti. Ma il successo in tv non lo si giudica unicamente dai numeri.
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Cultura e Spettacoli
Quando le dimensioni contano Pubblicazioni L’italiano Valerio Millefoglie ha dedicato le sue attenzioni alle cose più piccole del mondo,
dalla mini-chiesa alla mini-casa, passando da cinema, ristoranti e celle Mariarosa Mancuso Le dimensioni contano. Basta pensare alla bellezza di certi gadget pubblicitari o di certi prodotti: gli orologi Swatch da muro, le grandi banane gonfiabili Chiquita, le nutelle in confezione mignon, le carotine in miniatura che i ristoranti chic piazzano intorno all’arrosto. Valerio Millefoglie ha una passione per le cose in formato ridotto, ed è andato a cercarsele in giro per il mondo: in Mondo piccolo, uscito da Laterza nella collana Contromano (finora affidata a scrittori che raccontavano i loro luoghi di origine) mette insieme un catalogo affascinante di edifici, luoghi e geografie fuori misura. Rispetto a quel che ci aspettiamo: sembra ovvio che in una chiesa debbano poter entrare almeno una decina di persone, che una discoteca debba essere più ampia di un salotto, che un fiume con un nome debba essere più lungo di un centinaio di metri. Valerio Millefoglie ha scovato e visitato un ristorante per sole due persone, su una collina sui monti Sabini, in provincia di Rieti. È aperto dal 1988 e per decisione dei proprietari non accoglie coppie clandestine, considerati clienti a rischio: «Sono amori passionali che possono finire da un momento all’altro». Mandano a monte l’accurata pianificazione della serata: gli ospiti scelgono le musiche, i fiori, il menu, in caso di rinuncia non si può imporre tutto a un’altra coppia. Ha scovato e si è fatto rinchiudere
nel carcere dei Cappuccini, Repubblica di San Marino, sei celle soltanto. I detenuti sentono quel che dicono le guardie carcerarie, e viceversa. Il cortile misura 43 passi in tutto, i pranzi e le cene sono serviti dal vicino ristorante. Quasi un’appendice alla scena di un film in concorso all’ultima Berlinale, il divertentissimo In Order of Disappearance di Hans Petter Moland. Due criminali serbi in Norvegia discutono di mal di denti, e uno consiglia all’altro: «Fatti arrestare, a me li hanno curati in prigione, e anche il cibo era buonissimo». Due giorni dopo abbiamo letto la notizia che Anders Breivik, il massacratore di Utoya, minacciava lo sciopero della fame. Le sue richieste: una playstation ultimo modello, un nuovo computer, il raddoppio della paghetta settimanale. Il cinema più piccolo del mondo è nato a Trieste, nel 2006. Affittare una sala costava troppo, il documentarista Francesco Azzini decise di proiettare i suoi cortometraggi in una macchina, battezzata Cortomobile. Fa da telone il retro di una locandina del Settimo Sigillo, gli spettatori siedono sui sedili posteriori ricoperti con un plaid leopardato, il proiettore trova posto all’esterno. Il mercante di una bancarella indiana situata poco lontano dall’automobile guarda con curiosità, e ne approfitta per raccontare i giganteschi e affollatissimi cinema di Bombay. Anche per dare il suo giudizio sul cinema italiano: «Nei film indiani lo vedi subito quando sono contenti, felici, tristi… e sono storie che fanno sognare la gente: se tu vedi una
La casa più piccola del mondo: Etgar Keret House di Varsavia. (Keystone)
casa, vorresti fosse la tua. In Italia invece i film sono troppo realistici». La casa più piccola del mondo è a Varsavia, con una certa sorpresa si chiama Etgar Keret House: prende nome dal bravissimo scrittore israeliano di
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racconti brevi e fulminanti. Le raccolte uscite da e/o si intitolano Pizzeria Kamikaze, Abram Kadabram, La notte in cui morirono gli autobus, mentre All’improvviso bussano alla porta, da Feltrinelli, contiene la storia «Cheesus
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Christ»: cliente di fastfood pugnalato a morte per aver ordinato un hamburger senza formaggio. La casina misura 14 metri quadrati, ed è costruita in un vicolo cieco tra due edifici. Si entra intrufolandosi da una botola, che richiusa diventa il pavimento del corridoio. In salotto si tocca il soffitto con la testa, l’angolo bagno e l’angolo cucina sono ridotti all’indispensabile, una scaletta a muro conduce alla camera da letto. Perfetto nido d’amore per la coppia che abbia deciso di sposarsi nella «Cattedrale più piccola del mondo». Così sta scritto su un cartello stradale nell’isola di Nona, a pochi chilometri da Zara. Per entrarci bisogna abbassare la testa, all’interno non c’è un’altare e neppure una croce. Ci si sposa da separati, fa notare Valerio Millefoglie, e sembra di capire che dopo la visita a questa minicattedrale ha avuto l’idea per il libro, che lo ha portato dall’Italia all’Ungheria, all’Inghilterra, alla Georgia e a Tokyo (tutti i luoghi sono raccontati senza scadere mai nel tono e nel lessico da guida turistica). Lo sposo e la sposa entrano a turno, senza il sacerdote perché non ci sta neppure lui. Pronunciano la loro promessa, senza che uno senta quella dell’altro. Viaggio di nozze consigliato, nell’albergo con un solo letto. Situato nella cittadina bavarese di Amberg, garantisce amore eterno anche se nessuno degli invitati al matrimonio ha sentito il prete pronunciare la formula di rito. Lo stile è barocco, il caminetto è elettrico, e volendo c’è anche una poco romantica tv a schermo piatto.
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Cultura e Spettacoli
Una lingua per capirsi Pubblicazioni La vicenda italiana della lingua scritta e parlata dalle persone meno istruite e colte
a partire dal Cinquecento scomposto nelle movenze o trasandato negli atteggiamenti». L’italiano del titolo è «nascosto» perché è pratico, di necessità, di sopravvivenza e soprattutto piegato a emergenze di necessità; un italiano per capirsi, che persone non particolarmente «imparate» finiscono per usare quasi per disperazione. Ma l’italiano di Testa è nascosto anche perché letteralmente da svelare, sotto l’ingombrante e impositiva tradizione degli studi sociolinguistici italiani degli ultimi decenni. Perché dobbiamo sapere che grandi maestri dell’italianistica come Carlo Dionisotti e Tullio De Mauro hanno codificato una fino a poco tempo fa sacra e indiscussa tesi secondo la quale lingua italiana e dialetti avrebbero vissuto fianco a fianco per secoli e fino all’Ottocento inoltrato quasi ignorandosi; e che sarebbero stati interessati oltretutto da una separazione funzionale rigidissima: italiano per gli usi alti e qualificati e istruiti e ricchi e scritti da una parte, dialetti per il gigantesco ambito del parlato, informale, quotidiano, semicolto, orale dall’altra. Ora, c’è già una giovane tradizione di studi, che vede peraltro il ticinese Sandro Bianconi tra i più entusiasti evangelisti, che dice che no, un italiano «pratico» c’era già eccome anche prima, ed era oltretutto a disposizione anche delle classi dei semicolti, che lo imparavano con libri e scuole e ne hanno fatto ampio uso a partire dal Cinquecento, soprattutto per necessità (testimonianze scritte nei processi, lavoro, commerci, lettere
Stefano Vassere «Questi documenti sono segno e testimonianza di ciò che Foucault chiamava “esistenze-lampo”, vite il cui fulmineo passaggio nel mondo sarebbe stato, in assenza di queste deboli tracce, inghiottito nell’oblio, sepolto nella necropoli del tempo».
Nel bel libro di Enrico Testa la materia scientifica è permeata di eleganza e lirismo Si vede in più parti di questo nuovissimo L’italiano nascosto. Una storia linguistica e culturale che il suo autore non è solo un linguista: Enrico Testa è sì docente di Storia della lingua italiana nell’Università di Genova, ma ha pure pubblicato parecchie raccolte di poesie, saggi di critica letteraria, edizioni e antologie. La sua scrittura scientifica è elegante e qua e là quasi lirica, come quando dice che l’italiano semplice di cui si è occupato in questo studio risponde a una classificazione che richiama una metafora biologica e che, «sia pure dubitativamente, si può dire che i testi di un primo genere sono espressione di un linguaggio vagamente funerario, rigido, inerte, morto, mentre i testi di un secondo genere si presentano come fenomeni di un corpo verbale vivo, anche se
dall’emigrazione e dal fronte di guerra, fino alle ingiurie e alle minacce affisse dai briganti) ma non solo. Si capisce che un libro di questo tipo ha anche un valore antologico di pregio. Perché spesso è una rassegna di esempi che non di rado presenta anche le sembianze della galleria antropologica. Per esempio, possono colpire i cartelli infamanti di cui si parla nel primo capitolo: come in certi social network della modernità, nella Roma del Seicento alcune questioni personali si facevano fuori pubblicamente, mettendo in atto lo sberleffo affidato a cartelli esposti sulle porte delle bettole: «Francesco Riccio, beccaccio, vituperoso, infame, non la credi, Ruffiano mancia potte, nella tua bettola se concludono tutti li Ruffianeggi, tutti li tradimenti, tutte le furbarie del rione, spionaccio». E tra gli altri materiali non lasciano certo indifferenti i dolenti testi autografi dei ricoverati di guerra nell’ospedale psichiatrico di Genova Quarto, tra il 1916 e il 1919, e le lettere che i ricoverati spedivano ai parenti, «segno e testimonianza» di queste vite umili e marginali, di queste esistenze lampo. Sono gli ultimi segni, peraltro, di questo italiano pratico e semicolto, perché, allora da qualche decennio, c’è l’Unità e sono arrivate le scuole. Bibliografia
Piazza Santa Croce a Firenze con il monumento a Dante, padre dell’italiano; incisione inglese del 1882. (Keystone)
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Enrico Testa, L’italiano nascosto. Una storia linguistica e culturale, Torino, Einaudi, 2014.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 24 febbraio 2014 • N. 09
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Cultura e Spettacoli
Sacro, eterno fascino
Incontri Sacre 101, l’attuale mostra del Migros Museum für Gegenwartskunst di Zurigo si china sull’opera
di Stravinskij Sacre du printemps. Lo studioso di danza Gerald Siegmund spiega i motivi del fascino di quest’opera
Vaslav Nijinskij (a sin.) con tre ballerini del Balletto Russo in Le Sacre du Printemps, 1913. (Keystone)
Andreas Tobler *
toccare il nervo scoperto di una metropoli come Parigi?
Gerald Siegmund, il 29 maggio 1913 a Parigi vi fu la prima di Le Sacre du printemps di Igor Stravinskij con la coreografia di Vaslav Nijinskij. In quell’occasione fra il pubblico ebbero luogo degli scontri molto accesi, sedati solo dopo l’intervento della polizia. Cosa era successo?
La storia del rituale della vittima è un’invenzione del pittore e scenografo Nicholas Roerich che, insieme a Stravinskij, per la stesura del libretto ha attinto a un motivo corrente della letteratura e dell’arte della fine del 19mo secolo. La vittima femminile della danza si trova già nel balletto romantico, ad esempio in Giselle di Théophile Gautiers del 1841. All’inizio del 20mo secolo per molti artisti e intellettuali la cultura si era esaurita ed era entrata in una fase di decadenza. Per ravvivarla dandole nuovo vigore artisti come Picasso attinsero alla cosiddetta arte «primitiva» africana. Si inventarono delle radici arcaiche che permettessero di accedere al centro di forza della propria cultura.
Sia la musica di Stravinskij sia la coreografia di Nijinskij erano talmente nuove per l’epoca che gli spettatori si sentirono provocati. Diversamente da L’uccello di fuoco del 1910 e Petruska del 1911, di gran lunga più convenzionali, per il Sacre Stravinskij aveva rinunciato a una melodia e ad armonie tradizionali, privilegiando un complesso lavoro sul ritmo che risultò estremamente brutale per gli ascoltatori di allora. A questo si aggiunse la strumentazione alquanto insolita. La struttura ritmica della composizione era complicata al punto che durante le prove i ballerini e le ballerine si trovarono in difficoltà a studiare i passi della coreografia. Dopo la prima si parlò di «crime against grace». In cosa consisteva il «crimine contro la grazia» di Nijinskij?
Egli aveva spezzato gli ensemble tradizionali sostituendoli con un’innovativa conduzione di gruppo. La coreografia di Nijinskij era agli antipodi della danza che veniva portata in scena nei grandi teatri a quel tempo. Se nei teatri tradizionali a farla da padrone era il balletto classico con il suo ideale di eterea leggerezza, Nijinskij lavorava invece con la forza di gravità del corpo. Voleva che i ballerini danzassero con le gambe rivolte all’interno del corpo, picchiando i piedi per terra. In Sacre du printemps una giovane viene scelta come vittima da parte della comunità. Per imbonire un dio della fertilità deve danzare fino alla morte. Come si spiega che nel 1913 un tema tanto arcaico sia riuscito a
Questo culto del primitivo fu criticato aspramente da più parti, ad esempio dal filosofo Theodor W. Adorno. Secondo Adorno il Sacre del 1913 fa risuonare «la guerra imminente» nel suo «desolato splendore».
Una pièce come il Sacre gioca con l’ambivalenza del tempo a cavallo tra il primitivismo e il modernismo, tra l’arcaico e l’avanguardia. Se si definisce il Sacre come un’opera d’arte primitiva significa che non si riconoscono i molti elementi legati all’estetica moderna della coreografia. Sul palco Nijinskij lavorava con la stessa astrazione geometrica che si ritrovava sugli schermi degli avanguardisti russi. Nijinskij non era solo coreografo, ma anche pittore e scultore, creava una sorta di opera globale attraverso il corpo dei suoi ensemble di danza – un’idea estremamente moderna per l’epoca. La musica di Stravinskij fa ormai parte del repertorio delle grandi sale da concerto. Per contro la coreografia di Nijinskij ci è giunta solo in forma frammentaria e dopo qualche rappresentazione a Parigi e Londra è scomparsa dai palcoscenici. Cosa sappiamo di quella coreografia?
La nostra conoscenza si basa principal-
mente sulla ricostruzione dei due «restauratori della danza» Millicent Hodson e Kenneth Archer, presentata al pubblico dal Joffrey Ballet di Chicago dopo anni di ricerche. Hodson e Archer hanno cercato di ricostruire la coreografia con l’aiuto di documenti: copioni originali, fotografie, disegni e recensioni di giornali. Se davvero si tratta della coreografia di Nijinskij è discutibile. Le fonti sono contraddittorie, i ricordi dei testimoni del tempo e di quelli che furono collaboratori di Nijinskij non sempre sono affidabili. La versione di Hodson e Archer si basa dunque su decisioni prese da una prospettiva personale. Nonostante ci sia pervenuto in modo frammentario, il Sacre du printemps è diventato un’opera chiave della danza moderna. Cosa la rende tanto importante per la danza?
Da una parte vi è il mito della prima: circolarono infatti molte critiche e testimonianze, di cui alcune – oggi ne siamo certi – inventate di sana pianta. Molti fra coloro che ne parlarono non potevano essere presenti quella sera. Si tratta di uno scandalo che non ha perso nulla del proprio fascino: il desiderio di avvicinarsi al potenziale di quest’opera è ancora vivo. I coreografi si misurano sul Sacre. Dall’altra parte l’opera tematizza quello che si potrebbe definire il conflitto di fondo di una società: la ragazza deve ballare fino alla morte così da evitare che la comunità vada in pezzi. La società qui si basa dunque su una vittima comune. Come afferma lo scienziato delle culture René Girard: grazie alla vittima si ricongiungono le fila della comunità. Le vittime rituali sono estranee alla nostra società secolare. In questa prospettiva quali sono gli aspetti ancora attuali nel Sacre?
La domanda centrale ruota intorno al modo in cui una società gestisce il proprio potenziale di aggressività. Si tratta di una questione di grande attualità se si pensa al razzismo, all’ostilità verso gli
stranieri e alla violenza. Oggi c’è ancora bisogno di una vittima per smorzare le tendenze distruttive e regolare la convivenza? Che aspetto avrebbe questo tipo di vittima? Un’opera importante è Sacre di Pina Bausch del 1975. Lei ha descritto questo Sacre come una pièce che scenicamente riflette la funzione della danza e di conseguenza anche la società in cui essa ha luogo. Quale funzione può avere la danza con il Sacre di Pina Bausch?
Già nell’antica Grecia la danza e il teatro avevano la funzione di condurre la partecipazione emotiva degli spettatori verso una catarsi; i ballerini si sacrificavano per il pubblico in un ambito artistico, ponendo delle questioni che riguardavano la società. Nel teatro è inoltre possibile godere esteticamente della violenza, e lo si fa delegandola ai ballerini o agli attori. Questo permette di raggiungere un certo godimento, poiché si osservano da lontano il modo e i motivi per cui si prova piacere. A metà degli anni Settanta nella Repubblica federale di Germania – e non solo lì – furono liberate molte energie che presero poi direzioni diverse. La rivoluzione sessuale, l’emancipazione della società e la libertà a un certo punto si trasformarono in terrore nei confronti della Rote Armee Fraktion, e lo Stato non era pronto per questo. La danza e il teatro danno sfogo a questi conflitti a livello simbolico e allo stesso tempo anche fisico. Il Sacre di Pina Bausch raccoglie queste energie sociali, le riunisce e le canalizza per poi, al culmine della spossatezza, rivolgere al pubblico la seguente domanda: cosa facciamo di tutti gli uomini, le donne, le vittime che sono state danneggiate? È un appello alla nostra responsabilità. Sessualità, violenza, aggressività: forze motrici elementari messe in risalto dal Sacre du printemps. Niente di tutto ciò si ritrova nel Sacre di Xavier Le Roy che sarà in scena a Zurigo a inizio marzo. Le Roy riprende da
solista i gesti del direttore d’orchestra Simon Rattle, il quale realizzato una registrazione importante della composizione di Stravinskji insieme ai Berliner Philharmoniker. Di cosa si tratta?
Il Sacre di Le Roy è il tentativo di rovesciare l’ordinamento spaziale della situazione teatrale «coreografando» il pubblico: gli spettatori si trovano nella posizione dell’orchestra, diretta dal direttore dei ballerini Le Roy. Se da spettatore mi trovo in questa prospettiva, la danza vera e propria ha luogo in modo non visibile dietro la mia schiena. Naturalmente tutto ciò è molto lontano da un confronto con la sessualità, la violenza e l’aggressione. Ma anche per Xavier Le Roy il Sacre rappresenta uno strumento per analizzare le tradizioni. Il teatro funge da laboratorio per analizzare il modo in cui percepiamo le cose e come la nostra percezione, in questo caso dei corpi, cambia a dipendenza della situazione. La danza ha dunque la funzione di mostrarci come nascono i giudizi e le attribuzioni di valore. E tutto ciò contiene un qualcosa di oltremodo riflessivo, che analizza il costituirsi della realtà in modo più approfondito di quanto succeda in Pina Bausch. * Traduzione di Simona Sala Dove e quando
Sacré 101 – An Exhibition Based on «The Rite of Spring». Migros Museum für Gegenwartskunst, Zurigo. Orari: ma, me, ve 11.00-18.00; gio 11.00-20.00, a partire dalle 17 ingresso libero; sa e do 10.00-17.00. Fino all’11 maggio 2014. www.migrosmuseum.ch Sacre du printemps di Xavier Le Roy andrà in scena il 3 e 4 marzo 2014 nell’ambito di «zürich moves!». www.zurichmoves.com Per ulteriori articoli sull’argomento: www.percento-culturale-migros.ch
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Cultura e Spettacoli
Con grazia ed eleganza Musica Il ritorno del figliol prodigo: David Crosby, alias «Croz», torna alla ribalta con un inaspettato
nuovo album, che lo riporta felicemente ai fasti di un tempo Benedicta Froelich Ci sono personaggi di spicco che, all’interno della scena musicale internazionale degli ultimi 50 anni, sono andati incontro a un destino per certi versi singolare: pur essendo stati figure chiave nell’ambito di importanti fasi dell’evoluzione del pop-rock, non hanno mai ottenuto quella generale visibilità che ha invece reso molti loro colleghi delle vere e proprie leggende viventi. L’eccentrico David Crosby (classe 1941), anima dei leggendari Byrds e del supergruppo noto con il nome di Crosby, Stills e Nash, ai quali si è spesso unito nientemeno che il giovane Neil Young – è senz’altro uno di questi: nonostante la sua innegabile influenza artistica, gli alti e bassi di una vita complicata e spesso vissuta «al limite» hanno fatto sì che, dopo lo scioglimento della band, la sua produzione solista si limitasse a pochi, preziosi album – di cui l’ultimo, Thousand Roads, risale ormai a ben 21 anni fa. Ciononostante, benché appesantito dall’età e da qualche eccesso di troppo, David Crosby si è dimostrato capace di attraversare indenne gli anni, le malattie e le tragedie (compreso il suicidio del fratello Ethan e un controverso trapianto di fegato) per rimanere a tutt’oggi un punto di riferimento per musicisti di tutte le età e background; e, sebbene gli ultimi anni lo abbiano visto diradare alquanto la sua attività e le apparizioni pubbliche, questo 2014 ci regala la gradita sorpresa di vedere il 72enne tornare
alla ribalta con un disco che tradisce un’energia mai sopita. Croz, il cui titolo deriva dal soprannome del cantante, è infatti un ritorno ruggente per il vecchio leone, che si mostra capace di affibbiare ancora una sana zampata alla scena folk-rock odierna. Anche perché, bisogna ammetterlo, ascoltare nuovamente la splendida voce del buon Crosby – così come le indimenticabili armonie vocali che abbiamo imparato ad amare fin dai tempi del sodalizio con Stills, Nash e Young e che ancora fanno parte del suo marchio di fabbrica – è un’innegabile gioia. In effetti, l’impressione è che l’intero Croz sia animato da uno spirito incredibilmente giovanile e vitale, che si ritrova fin dal brano d’apertura – What’s Broken, perfetto esempio del classico stile di David, in più impreziosito dalla presenza dell’inconfondibile chitarra di Mark Knopfler, i cui delicati arabeschi enfatizzano la grazia del cantato di Crosby. L’intero album, del resto, beneficia dell’apporto di interessanti nomi della scena internazionale, ognuno dei quali mostra peculiarità stilistiche che si fondono perfettamente con il tipo di sound qui proposto dal cantautore: oltre agli ottimi musicisti dell’abituale band di David, troviamo così Wynton Marsalis all’opera in un grande assolo di tromba sulla lieve e quasi sussurrata Holding On to Nothing, e il bassista Lee Sklar nel lento Find a Heart, che si distingue anche per l’uso delicato del sax soprano di Steve Tavaglione. Ma soprattutto, la presenza più si-
Una recente immagine di David Crosby. (Keystone)
gnificativa all’interno dell’album resta quella di James Raymond, il «figlio ritrovato» con il quale Crosby ha forgiato una collaborazione artistica davvero proficua, e che qui vediamo occuparsi delle tastiere e degli arrangiamenti orchestrali – il tutto con una quieta e impeccabile professionalità, che rende
Croz un album elegante e dalle atmosfere di ampio respiro, per certi versi molto «cinematografiche». Ciò si nota soprattutto nei brani incentrati sul lacerante senso di solitudine tipico della nostra epoca, come la struggente ballata Dangerous Night e l’elegante Radio, piccola gemma sull’irrinunciabile speran-
za in una possibile rinascita («immergi la mano nell’acqua / trai qualcuno in salvo dal mare»). In maniera affatto scontata, la medesima qualità pervade anche gli immancabili pezzi upbeat, il cui sapore fresco e piacevole – in questo caso quasi jazzato, come nell’eccellente The Clearing e nella vivace Set That Baggage Down – dona equilibrio e armonia alla tracklist. Ma non mancano nemmeno brani dalle tematiche più delicate e impegnate, come If She Called, sul dramma emotivo vissuto da una prostituta dell’est europeo; o l’eterea e inquietante Morning Falling, che narra di un bombardamento a opera di droni militari in Medioriente. Si può dire che, rispetto all’abituale sound «west coast» al quale ci ha abituati, simili brani rappresentino per David esperimenti piuttosto arditi; e fa quindi particolarmente piacere notare come, anche a questo punto della propria carriera, l’artista non abbia perso la voglia di sperimentare nuovi percorsi di songwriting. Il che ci spinge inevitabilmente a considerare questo nuovo sforzo di Crosby come l’ennesima dimostrazione del fatto che i migliori esponenti della «magica» generazione degli anni ’60-’70 sono ancora in grado di emozionare il pubblico, e non solo quello degli aficionados; tanto che il piacere di aver ritrovato qualcuno di cui a lungo avevamo sentito la mancanza porta con sé anche la speranza che Croz possa essere, per David Crosby, solo il primo di una serie di nuovi esperimenti creativi.
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Cultura e Spettacoli
L’eredità di John Ford Cinema eterno Con mezzi piuttosto limitati ne Il traditore John Ford è riuscito a dire
tutte le cose più importanti su tradimento, perdono, giustizia, povertà e guerra Maria Bettetini Da gennaio, ogni raggio di sole ci proietta sulla primavera (arriverà arriverà), e da un altro punto di vista sullo svolgersi antico di Carnevale, Quaresima, Pasqua, lo sfogo dei sensi, la disciplina, il sollievo per la salvezza ottenuta a prezzo della Passione. La scena finale del film con cui chiudiamo per ora il percorso tra i grandi film del passato, Il Traditore, ricostruisce il dramma del Calvario: davanti a un crocefisso di legno, Gypo ottiene il perdono dalla madre di Frankie, una sorridente Madonna delle lacrime, e muore con occhi sereni e illuminati, che non gli avevamo mai visto finora. Di fronte al buonismo consumista dei saldi di fine stagione, paghi uno prendi due, tre, quattro, caro cliente ti vogliamo bene; presto, distrazione, shopping, viaggi da organizzare per pensare ad altro, tutto pur di non ragionare sulla vita e la morte, in questa atmosfera noi ringraziamo John Martin Jack Feeney, più noto come John Ford.
Il capolavoro del 1935 di Ford in bianco e nero ha le caratteristiche della tragedia greca, così come la riassunse Aristotele
Concorsi
Figlio di irlandesi, e poi autore di importanti film irlandesi, come il Traditore, il regista nacque nel 1894 vicino a Portland, tentò l’accademia navale, poi fece il calzolaio, poi raggiunse il fratello Francis a Hollywood, dove era già stimato come attore e regista di B-movies. John (che così si fece chiamare solo dal 1923) fu trovarobe, comparsa, addirittura controfigura del fratello, fino all’incontro con David W. Griffith, al suo primo film da regista, nel 1917. Forse noi lo conosciamo di più per Ombre
Una locandina d’epoca di The Informer (Il traditore) film di John Ford del 1935.
rosse, Furore, Com’era verde la mia valle, Un uomo tranquillo, e tanti tanti western con il suo attore icona, John Wayne. Ma è con Il Traditore che nel 1936 arriva il primo Oscar per la miglior regia. Questo capolavoro in bianco e nero ha le caratteristiche della tragedia greca, così come le riassunse Aristotele nella Poetica: unità di tempo, perché tutto si svolge entro una giornata; unità di azione (tradimento e sue conseguenze); unità di luogo, il quartiere di Belfast che noi conosciamo solo da strade e facciate, con qualche interno sempre «aperto» sulla strada. Quindi una scenografia teatrale. I personaggi sono «maschere»: le donne per bene hanno i tratti raffinati delle Madonne, anche in poveri abiti. I ribelli dediti alla causa hanno il volto
pulito, capelli corti, impermeabile classico, sguardo penetrante. Il popolo, affamato e ben poco idealista, è brutto a vedersi, vestito male, sporco, grossolano in ogni espressione. Prima di dire del protagonista, un segnale importante: i ciechi. È cieco il cantante che intona le malinconiche nenie irlandesi, è cieco l’uomo che Gypo continua a incontrare e che lo mette in grande imbarazzo (lo potrà riconoscere? Sì, sapremo poi, al processo nella sede dell’esercito ribelle). La cecità, sappiamo, è anche simbolo forte della fede, che vede cose che gli occhi non vedono, anche questo un segno che rende fortemente religioso un film che in fondo racconta un sordido e nemmeno eccezionale tradimento della fiducia di un
Minispettacoli Rassegna teatrale per l’infanzia Oratorio San Giovanni, Minusio Do. 16 marzo, ore 15.00-17.00
Barba e silenzio con le forbici di Vito Gravante
Le stagioni Compagnia Gino Balestrino, Genova. Attraverso il ciclo delle stagioni, i burattini intraprendono un viaggio divertente nei misteri della vita. Per bambini dai 4 anni. www.minispettacoli.ch Jazz a Primavera Rassegna di concerti jazz Osteria Centrale, Olivone Domenica 16 marzo, ore 17.00 Mauro Dassiè Trio suona Pat Martino Mauro Dassié, chitarra Marco Conti, contrabbasso Mauro Pesenti, batteria www.musibiasca.ch
091/8217162
Orario per le telefonate: dalle 10.30 fino a esaurimento dei biglietti
Regolamento Migros Ticino offre ai lettori biglietti gratuiti per le manifestazioni sopra menzionate. Massimo due biglietti per economia domestica. La partecipazione è riservata a chi non ha beneficiato di vincite in occasione di analoghe promozioni nel corso degli scorsi mesi.
incorniciato in un povero scialle. Per garantire a loro due la fuga in America, Gypo tradisce l’amico di sempre Frankie, per venti sterline, il prezzo del biglietto della nave. Disprezzato dagli inglesi (gli avvicinano il denaro con una stecca, lo fanno uscire dal retro) e con la paura di esserlo anche dai suoi, Gypo entra nella spirale del senso di colpa che lo porta a perdere il controllo. Spende le sterline per offrire da bere a tutti, per beneficiare chiunque si trovi sulla sua strada, sempre più ubriaco si proclama «king Gypo», con una corte di poveretti che adorano i suoi soldi. Il volto e il corpo di Gypo si sfaldano in questa discesa agli inferi, la sua volgarità lo rende antipatico e odioso allo spettatore. Inoltre, ormai non ha giustificazioni, perché le venti sterline per andare in America sono state scialacquate stupidamente. Per noi, Gypo è perso, non c’è nulla in lui che possa attrarre verso la comprensione e il perdono. È anche sporco, si pulisce nervosamente il volto con la sudicia coppola che porta in testa. Costretto a confessare, intona il grido che percorre tutta la parte finale del film: non sapevo quello che facevo. Così grida al processo, così per lui ripete Katie al capo dell’esercito ribelle. Ma c’è un errore: Gypo sapeva quel che faceva, solo un essere superiore potrebbe dire che non comprendeva fino in fondo le conseguenze del suo agire. Per noi Gypo è un essere vile e schifoso, e non serve dire che non sapeva. È Giuda, richiamato nei titoli di testa con una citazione evangelica. Ma davanti a Gypo morente, la mamma di Frankie lo perdona, sollevandolo con uno sguardo affettuoso dal suo letame, permettendogli di morire in pace, contro ogni logica di giustizia. Scenografie di cartone, pellicola in bianco e nero, pochi attori e quasi tutti non professionisti. Strumenti poveri ed essenziali, che dicono tutto quel che si può su tradimento, perdono, giustizia, e poi povertà, guerra, soprusi. Con un unico effetto speciale, gli sbuffi di nebbia (ghiaccio secco?), per un film che fa pensare senza annoiare. Grazie, giovane John Martin Jack.
Per aggiudicarsi i biglietti basta telefonare martedì 25 febbraio al numero sulla sinistra nell’orario indicato. Buona fortuna!
Biglietti in palio per gli eventi sostenuti dal Percento culturale di Migros Ticino
amico. Il taglio espressionista di Ford non concede nulla al superfluo. La nebbia, coerente con Belfast, avvolge le strade buie, sembra sempre notte, le luci tagliano i volti, impietose. Poi c’è Gypo, un Victor McLaglen che ebbe l’Oscar per questo ruolo. Grande, grosso, poco intelligente, non è tutto cattivo, infatti è stato estromesso dai ribelli perché non era riuscito a uccidere a sangue freddo un prigioniero inglese, che poi non rispettò, ovviamente, la promessa di non dire nulla alla polizia. Gypo quindi è un isolato, già a sua volta tradito, se pur da un inglese. Siamo nel 1922, la guerra è aperta e durissima. Gypo ama Katie, ragazza di buona famiglia, vicina a prostituirsi per povertà, anche lei un volto da Madonna
In scena Alla rassegna «Home» ha partecipato anche Michel Poletti sione nella durata. Suddiviso in due tempi, merita infatti tagli significativi del testo; un’operazione chirurgica certamente dolorosa ma necessaria. Una nutrita «claque» ha accompagnato la prima assoluta dello spettacolo che verrà replicato nello spazio «La clandestina» di Minusio (presso la Carrozzeria Touring) nei giorni 1, 2, 7, 8 marzo: è necessaria la prenotazione.
Giorgio Thoeni Ha debuttato al Teatro Sociale di Bellinzona Alla ricerca dei capelli perduti, un testo scritto e diretto da Ferruccio Cainero con l’interpretazione di Vito Gravante. Il sipario si apre scoprendo l’interno del negozio di un barbiere. Di schiena si vede seduto un cliente, soprattutto la sua criniera, lunga e rossiccia, oggetto delle attenzioni di pettine e forbice (le «Jaguar») di Rocco Pasquali di Olivasecca. Emigrato dal sud Italia in Svizzera all’età di 14 anni, «sciupafemmine» e ballerino di rock&roll acrobatico, Rocco sogna di diventare un ballerino famoso. Sennonché la spinta di un rivale gli procura una grave ferita al ginocchio che l’azzoppa interrompendo i sogni di gloria. E il cliente scopriamo essere proprio quel collega che da giovane l’aveva spinto malamente. Rocco diventa così barbiere e il suo negozio lo chiama «Barba e silenzio» (ma avrebbe potuto essere anche «Rocco e i suoi capelli»). I capelli che taglia con passione sono la metafora di ciò che appartiene al passato, testimoni di pensieri e ambizioni, ma anche di amori e rinunce. Lo spettacolo permette di apprezzare fondamentalmente due aspetti. Dapprima la prova di Vito Gravante, un attore che
Il mestiere difficile del Clown L’attore Vito Gravante.
abbiamo riscoperto e che merita di essere ulteriormente valorizzato. Gravante tiene con grande efficacia il palcoscenico e trasmette con chiarezza il testo e la sua tensione drammaturgica. Una prova sostenuta dalla scrittura di Cainero, attore, autore e regista che attraverso le sue produzioni ci ha abituati al racconto di storie di vita vissuta, personaggi emblematici della memoria di tutti, di mestieri della tradizione popolare che fotografano, con un pizzico di nostalgia, una società che perde per strada i valori della semplicità. Lo spettacolo è sostanzialmente riuscito, compreso il «coup de théâtre» finale, ma deve ancora trovare la sua giusta dimen-
Abbiamo assistito anche al Teatro Foce, per la rassegna «Home» a Il sogno del Clown di e con Michel Poletti, Gil Pidoux e Lucia Bassetti (Produzione TAA-Musicateatro). È la storia del «Circo Vagabondo» che sta per concludere un suo spettacolo. Purtroppo Augusto il clown è sparito e il Maestro delle Cerimonie con il Clown bianco corrono ai ripari per salvare la situazione prima di rimettersi in marcia. Partita la carovana arriva il clown che però si addormenta e sogna. Un pretesto per ripercorrere la magia dell’illusione che Poletti sfrutta deliziosamente con le sue marionette per far decollare la prima parte dello spettacolo. Più difficile risulta la figura del Clown di Pidoux, un bravo attore alle prese con gag di scarsa efficacia.
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Idee e acquisti per la settimana
shopping Dedicato alle donne Eventi Martedì 11 marzo all’OBI di S. Antonino si terrà la prima serata del 2014 dedicata alle donne amanti
del fai da te. Abbiamo raccolto le testimonianze di alcune partecipanti delle ultime edizioni
«Sono una grande affezionata di queste serate, ho partecipato ben cinque volte sinora. Le cose imparate mi sono servite spesso anche a casa, soprattutto nell’ambito del giardinaggio e dei lavoretti manuali. Alla fine poi è bellissimo ritrovarsi per l’aperitivo con tutte le donne partecipanti» (Raffaella). «Simpaticissime e divertenti! Queste serate sviluppano il lato creativo e sono una fonte di idee per i lavoretti in casa. Interessante è stata anche la difesa personale, con la speranza di
non farne mai uso…» (Amelia). «Durante le serate organizzate dall’OBI s’impara sempre qualcosa, anche dagli altri partecipanti. I vari temi trattati sono d’aiuto nella vita di tutti i giorni» (Bruna). «È bello il fatto che queste serate siano rivolte alle donne, visto che spesso sono loro ad essere confrontate con piccoli lavoretti casalinghi. Anche lo scambio di idee tra le partecipanti è molto utile. Il corso di pittura e quello di manutenzione del giardino mi sono serviti nella mia casa appena co-
struita» (Neva). Questi sono solo alcuni degli entusiastici commenti raccolti fra le partecipanti alle serate per sole donne OBI delle passate edizioni. Un vero invito a coloro che non hanno ancora partecipato ad iscriversi subito. Come consuetudine, durante la serata verranno trattati i temi più disparati e si potranno mettere in pratica le basi teoriche spiegate dettagliatamente dagli specialisti presenti. Ogni partecipante potrà scegliere tre temi. Quelli
proposti l’11 marzo saranno i seguenti: cura e manutenzione del prato verde, delle piante e dei fiori da giardino; pittura per interni; montaggio sistemi di protezione dagli insetti per porte e finestre; posa e rinnovo fughe in silicone; montaggio di un mobiletto (Micasa) e nozioni di base di difesa personale (SportXX). Al termine della serata tutte le partecipanti riceveranno un piccolo omaggio e verrà offerto loro un ricco aperitivo. Corri ad iscriverti!
Per iscriversi Le interessate alla serata per sole donne di martedì 11 marzo 2014, a partire dalle ore 19.15, hanno la possibilità di iscriversi direttamente al banco accoglienza clienti di OBI S. Antonino, sul sito www.obiticino.ch oppure inviando un’e-mail a marktch006@obich.ch.
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Idee e acquisti per la settimana
Una coccola per la tua pelle Novità Crema Vellutante Borotalco:
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Crema Vellutante di Borotalco 150 ml Fr. 5.20
Ci accompagna ogni giorno, sotto la doccia, nella vasca da bagno, davanti allo specchio, quando laviamo le mani. Stiamo naturalmente parlando dell’inconfondibile profumo di Borotalco, la magica polvere per la pelle creata nel
1904 dalla Manetti & Roberts. Dopo bagnoschiuma, docciaschiuma, saponi e deodoranti, ecco giungere sul mercato un altro prodotto innovativo per una pelle morbida, idratata e rivitalizzata: la Crema Vellutante Borotalco. Una crema
che conserva tutte le proprietà del Talco, ma con l’aggiunta di un tocco supplementare di delicatezza, per una pelle ancora più liscia che profuma di Borotalco. La sua ricca formulazione nutre la pelle in profondità già dalla prima applica-
zione. Spalmandola dopo il bagno, facilita l’asciugatura della pelle lasciandola piacevolmente idratata per tutta la giornata. Inoltre, la sua originale confezione con l’immagine d’altri tempi, vi permetterà di ritrovarla subito sugli scaffali dei
supermercati Migros Ticino. Grazie al suo inconfondibile profumo e alle sue straordinarie proprietà, la Crema Vellutante Borotalco non mancherà di diventare un altro indispensabile prodotto per la cura della pelle di tutta la famiglia.
Profumi di primavera
Mangiare sano ma con gusto
Con un po’ di fantasia possiamo già far entrare la primavera a casa nostra, per esempio con una graziosa composizione come quella illustrata qui. Non c’è niente di più azzeccato dell’abbinare dei variopinti tulipani – vere e proprie star della nuova stagione – con giacinti o ra-
nuncoli. Un consiglio per far sì che questo magnifico bouquet si conservi più a lungo: tenere i fiori recisi in un locale fresco e luminoso; sostituire l’acqua quotidianamente aggiungendo l’apposito nutrimento per fiori recisi disponibile nei reparti fiori Migros.
«Dal campo alla tavola» di Elena Beltrametti Fontana Edizioni 192 pagine Fr. 33.90 In vendita ai reparti libri delle filiali Migros di Serfontana, Lugano, Agno e S. Antonino.
Dopo il successo riscontrato con le due precedenti pubblicazioni «Cibi e Salute in Armonia» e «Corso di Cucina», l’autrice Elena Beltrametti ha da poco dato alle stampe per la Fontana Edizioni di Lugano il suo nuovo libro dedicato ai cibi naturali «Dal Campo alla tavola». Consigli per alimentarsi in modo sano, ricette gustose di facile esecuzione, interviste a contadini,
come rapportarsi correttamente con il nostro ambiente… sono alcuni dei temi affrontati in maniera piacevole e avvincente nell’opera dell’autrice bellinzonese. «Dalla mia esperienza personale – spiega Elena Beltrametti – mi sono resa conto che la verdura cambiava gusto anche solo cambiando posto di alcuni metri nell’orto di casa. Da qui
sono iniziate le mie trasferte negli orti degli altri per cercare di capire – e carpire – il pensiero dei contadini, con lo scopo di poter aiutare le persone ad alimentarsi in modo più sano e consapevole. Gli ingredienti che utilizzo nelle ricette si possono trovare facilmente anche sugli scaffali dei supermercati Migros Ticino a costi ragionevoli per tutti».
Tulipani M-Classic 20 pezzi Fr. 14.50 10 pezzi Fr. 7.50 Ranuncoli 10 pezzi Fr. 8.90 Giacinti 5 pezzi Fr. 6.80 In vendita al reparto fiori delle maggiori filiali Migros.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 24 febbraio 2014 • N. 09
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Idee e acquisti per la settimana
Ospiti dopodomani allo SportXX S. Antonino
Nell’attesa di affrontare le ultime partite del campionato svizzero di Lega Nazionale A di disco su ghiaccio dopo la pausa dei Giochi Olimpici invernali di Sochi, per la gioia dei numerosi fans alcuni giocatori dell’Hockey Club Ambrì Piotta saranno presenti presso lo
SportXX di S. Antonino, mercoledì 26 febbraio, dalle ore 14.30 alle 16.00. Ospiti di questo pomeriggio all’insegna degli autografi, delle dediche personali e delle foto, saranno il difensore Marc Gautschi e gli attaccanti Marco Pedretti e Alain Miéville.
Ricordiamo che nelle ultime partite di regular season l’Ambrì affronterà, alla Valascia, domani i capolisti dello ZSC Lions, venerdì 28 febbraio il Lugano nel sesto derby stagionale; sabato 1. marzo il Losanna e martedì 4 marzo, in trasferta, il Bienne.
Famigros, il club per famiglie della Migros
Infine, segnaliamo che durante l’evento di dopodomani a S. Antonino gli appassionati della squadra biancoblù avranno la possibilità di acquistare alcuni simpatici gadget della loro squadra del cuore fino ad esaurimento delle scorte. Vi aspettiamo numerosissimi!
Due dei giocatori presenti allo SportXX di S. Antonino il 26 febbraio: Marc Gautschi e Marco Pedretti.
Il barometro dei prezzi Migros riduce i prezzi di tutte le lasagne surgelate M-Classic e di diversi prodotti M-Budget. I salumi invece rincarano, dal momento che i prezzi della carne di maiale sono aumentati. Ciò è dovuto all'alta richiesta e, contemporaneamente, alla scarsa offerta di materia prima.
Alcuni esempi: Famigros è il club per famiglie della Migros. Se aspetti un bambino, sei appena diventato genitore, hai già figli piccoli, un po’ più grandi o adolescenti, puoi approfittare di fantastiche offerte per il tempo libero e agevolazioni per la tua famiglia, consigli di esperti sull’educazione e lo sviluppo, prezzi scontati per la spesa di tutta la famiglia e molto altro. La partecipazione al club è gratuita e può essere disdetta in qualsiasi momento. Aderire al programma Famigros è
possibile unicamente attraverso il sito web www.famigros.ch; quest’ultimo rappresenterà successivamente il canale privilegiato per una comunicazione dinamica, personalizzata e interattiva. La famiglia è riunita e volete trascorrere una bella giornata tutti insieme? Famigros ha preparato per voi una rubrica ricca di eventi e manifestazioni ideali per le famiglie e i bambini. La scelta è vasta e capace di soddisfare qualsiasi desiderio: dagli eventi all’aria
aperta alle manifestazioni al coperto, dalle giornate a carattere musicale alle attività sportive. Ce n’è davvero per tutti i gusti! Date un’occhiata alle nostre proposte e decidete tutti insieme come trascorrere una giornata all’insegna dello svago e del divertimento! Infine, tutti gli iscritti a Famigros potranno partecipare al concorso pubblicato sul sito www.ticinoperbambini.ch, ed avranno la possibilità di aggiudicarsi fantastici premi. Buona fortuna!! www.famigros.ch
M-Classic Lasagne verdi Bolognese, 600 g M-Classic Lasagne Fiorentina, 600 g M-Classic Cannelloni Fiorentina, 360 g M-Classic Lasagne Bolognese, 1kg M-Classic Lasagne Mediterranee, 360 g M-Budget Alimento gatti, manzo, 415 g M-Budget Alimento gatti, 4,5 kg M-Budget Alimento cani, 10 kg M-Budget Formaggio fuso, fette, 250 g M-Classic Affettato délicatesse Midi, 100 g Terra Suisse Cervelas 2x100 g Terra Suisse Bratwurst vitello, 280 g Rapelli Salame Classico MAXI, 118 g
Prezzo vecchio in Fr. 5.50 5.50 3.60 8.80 3.70 –.55 6.40 11.— 2.— 1.75 2.35 5.— 5.40
Nuovo in Fr. 5.20 5.20 3.40 8.30 3.50 –.50 5.80 10.60 1.95 1.90 2.60 5.40 5.70
in % –5,5% –5,5% –5,6% –5,7% –5,4% –9,1% –9,4% –3,6% –2,5% 8,6% 10,6% 8,0% 5,6%
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Idee e acquisti per la settimana
Tranquillità, calore e medicine A partire da ora, la Migros propone prodotti medicinali, quali le compresse effervescenti contro la tosse o le capsule contro i disturbi allo stomaco e all’intestino
Vi auguriamo una pronta guarigione con le pastiglie da succhiare Cistus-Echinacea ImmunFit e le compresse effervescenti contro la tosse della Migros.
In caso di tosse, non sempre è necessario correre subito dal medico. Per lenire o persino guarire i piccoli malanni che a volte possono insorgere, la Migros lancia ora la linea Actilife Medisana, la quale propone diversi prodotti medicinali per l’uso domestico. Questo
Relax Stomaco-Intestino* 30 capsule Fr. 7.60
assortimento include cinque preparati per il trattamento dei disturbi più comuni. Le compresse effervescenti contro la tosse aiutano a lenire la tosse secca o irritativa. In caso di disturbi legati alla digestione, invece, basta affidarsi alle cap-
sule Relax Stomaco-Intestino, mentre le capsule ai cranberry sono l’alleato perfetto per combattere le infezioni alle vie urinarie: le sue sostanze attive, infatti, prevengono la colonizzazione batterica nella parete vescicale riducendo la predisposizione alle infezioni.
Cistus-Echinacea ImmunFit* 30 pastiglie da succhiare Fr. 8.90
Le pastiglie da succhiare Cistus-Echinacea aiutano, invece, a proteggere la cavità orale da virus e batteri. E chi si è già ammalato, non deve disperare: la Migros, infatti, propone anche speciali pastiglie da succhiare per combattere il mal di gola e le infezioni orali.
Cranberry MED* 30 capsule Fr. 10.80 * In vendita nelle maggiori filiali
I prodotti Medisana, la cui efficacia è stata scientificamente provata, si distinguono per un buon rapporto qualitàprezzo. In caso di disturbi duraturi e ricorrenti, però, non sostituiscono una visita medica. / Anna-Katharina Ris; illustrazione Daniel Kellenberger
Compresse effervescenti contro la tosse* 20 pezzi Fr. 5.90
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Idee e acquisti per la settimana
Delicatezza a 360 gradi La pelle delicata e secca necessita di cure particolari. I prodotti della linea trattante pH Balance sono fatti apposta per queste esigenze
pH Balance, crema idratante per viso e corpo 250 ml Fr. 5.40
pH Balance si prende cura della pelle delicata rendendola liscia come la seta ed elastica. pH Balance Deo Roll-on 50 ml Fr. 4.–
pH Balance, crema mani con Urea 100 ml Fr. 5.80
Getty Images
pH Balance, latte corpo con Urea 250 ml Fr. 5.80
Da oltre trent’anni pH Balance propone un assortimento completo di prodotti per la cura delle pelli sensibili (linea blu) e molto secche (linea rossa). Tutti i prodotti sono extra delicati e arricchiti con speciali complessi curativi. Il valore pH di 5,5 corrisponde a quello naturale della pelle e pertanto risulta particolarmente ben tollerato. Coloranti e para-
beni sono vietati. Tutta la linea è inoltre priva di sapone e alcali. La discreta profumazione è data da sostanze prive di qualsiasi potenziale allergenico. Per alcuni articoli, come la nuova crema per le mani della linea blu, si è rinunciato completamente al profumo. Tutti i prodotti sono ipoallergenici. La loro tollerabilità sulla pelle è te-
stata dermatologicamente dall’Inselspital di Berna. Cura intensiva nel tubetto rosso
Chi ha una cute particolarmente secca, troverà la cura ottimale nei prodotti con il coperchio rosso, che si basano su formulazioni straordinariamente ricche e contengono oli selezionati o urea. In questo modo la pelle viene curata inten-
samente e idratata in modo adeguato. Con olio per la doccia, doccia crema, olio per la pelle, crema per le mani e bodymilk la linea rossa assicura un programma curativo integrale, e non ha niente da invidiare alla gamma dei prodotti dal design blu. Entrambi gli assortimenti sono ideali per tutta la famiglia. / Jacqueline Vinzelberg
L’industria Migros produce numerosi prodotti molto apprezzati, tra cui l la linea trattante pH Balance.
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InvisiDIMs Coton Slip/Boxer 2x Slip et boxer confortevoli e senza cuciture, invisibili anche sotto i vestiti più attillati.
Opaque Velouté Collant classico opaco, per tutti i giorni
In vendita nelle maggiori filiali Migros.
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sui tappeti orientali In vendita presso Migros Lugano-Città.
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Arance sanguigne Italia, retina da 2 kg
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Zucchine Spagna / Italia, al kg
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Pomodorini ciliegia Italia / Spagna, vaschetta da 250 g
Tutte le barbabietole cotte al vapore Anna’s Best Gamberetti tail-on e bio, intere d’allevamento, Tailandia / Vietnam / Ecuador, 500 g 15% di riduzione, per es. barbabietole cotte al vapore, bio, al kg
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1.30 invece di 1.65
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Tulipani mazzo da 30, il mazzo
Ravioli al pomodoro e alla mozzarella o fiori alla rucola Anna’s Best in conf. da 3 20% di riduzione, per es. ravioli al pomodoro e alla mozzarella, 3 x 250 g
Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli M-Budget e quelli già ridotti. OFFERTE VALIDE SOLO DAL 25.2 AL 3.3.2014, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
Appenzeller Classic per 100 g, 20% di riduzione
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Scarola lavata Italia, imballata, al kg
Sbrinz a libero servizio, per 100 g
Fettine fesa di vitello, TerraSuisse Svizzera, imballate, per 100 g
Lasagne verdi o alla bolognese M-Classic in conf. da 2 surgelate, per es. lasagne verdi, 2 x 600 g
Tutto l’assortimento di pasta M-Classic a partire dall’acquisto di 2 confezioni, –.50 di riduzione l’una, per es. pipe grandi, 500 g
Crispy di tacchino Don Pollo impanati surgelati, 1 kg
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4.80 invece di 6.40
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1.40 invece di 2.–
4.65 invece di 5.85
7.20 invece di 9.60
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Pere Abate Italia, sciolte, al kg
Pancetta arrotolata prodotta in Ticino, affettata in vaschetta, per 100 g
Sottilissime di pollo AIA Italia, in conf. da ca. 250 g, per 100 g
Tutti i drink Bifidus in conf. da 10 20% di riduzione, per es. alla fragola, 10 x 65 ml
Tutti i tipi di Coca-Cola in conf. da 8 x 50 cl 6 + 2 gratis, 25% di riduzione, per es. Coca-Cola Classic
Tutte le farine speciali per es. farina per treccia, TerraSuisse, 1 kg
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5.50 invece di 7.90
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Coste Italia, imballate, al kg
Affettato misto ticinese prodotto in Ticino, in vaschetta, per 100 g
Filetto di sogliola limanda Atlantico nord-orientale, per 100 g, fino all’1.3
Tutti i prodotti per la cura dei bebè Milette a partire dall’acquisto di 2 prodotti, –.50 di riduzione l’uno, per es. bagnoschiuma per bebè, 500 ml, offerta valida fino al 10.3
Tutto l’assortimento per l’igiene intima femminile Molfina 15% di riduzione, per es. salvaslip Bodyform Air, 36 pezzi, offerta valida fino al 10.3
Tutti i pantaloni da donna e da uomo 20% di riduzione, per es. jeans da uomo Levis 501, in vendita in diversi colori, tg. 32–38, offerta valida fino al 10.3
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PESCE, CARNE E POLLAME
47.90 invece di 59.90 Tutti i mollettoni 20% di riduzione, per es. mollettone Alvaro, lato superiore 100% cotone bio, bordo 100% poliestere, 90 x 200 cm, bianco, offerta valida fino al 10.3
Prosciutto crudo San Pietro Rapelli, Svizzera, per 100 g 5.40 invece di 7.75 30% Gamberetti tail-on, d’allevamento, Tailandia / Vietnam / Ecuador, 500 g 19.90 invece di 28.50 30% Arrosto di vitello cotto, Svizzera, affettato in vaschetta, per 100 g 3.20 invece di 4.10 20% Affettato misto ticinese, prodotto in Ticino, in vaschetta, per 100 g 3.30 invece di 4.75 30% Pancetta arrotolata, prodotta in Ticino, affettata in vaschetta, per 100 g 2.60 invece di 3.75 30% Fettine fesa di vitello, TerraSuisse, Svizzera, imballate, per 100 g 4.60 invece di 6.70 30% Puntine di maiale, Svizzera, imballate, per 100 g 1.15 invece di 1.35 Sottilissime di pollo AIA, Italia, in conf. da ca. 250 g, per 100 g 1.40 invece di 2.– 30% Filetto di sogliola limanda, Atlantico nord-orientale, per 100 g 5.50 invece di 7.90 30% fino all’1.3
PANE E LATTICINI
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FRUTTA E VERDURA Tutte le barbabietole cotte al vapore Anna’s Best e bio, intere, per es. cotte al vapore, bio, al kg 4.15 invece di 4.90 15% Pomodorini ciliegia, Italia / Spagna, vaschetta da 250 g 1.40 Pomodori extra, Italia, vaschetta da 300 g 3.50 20x NOVITÀ *,** Zucchine, Spagna / Italia, al kg 2.10 invece di 3.50 40% Mango, Perù, al pezzo 1.50 Arance sanguigne, Italia, retina da 2 kg 2.80 invece di 4.70 40% Scarola lavata, Italia, imballata, al kg 3.80 invece di 5.50 30% Coste, Italia, imballate, al kg 2.90 invece di 3.90 25% Pere Abate, Italia, sciolte, al kg 4.80 invece di 6.40 25%
*In vendita nelle maggiori filiali Migros. Società Cooperativa Migros Ticino
Pain Création Le Baluchon, 20x 340 g 3.90 NOVITÀ *,** Tutti i drink Bifidus in conf. da 10, per es. alla fragola, 10 x 65 ml 4.65 invece di 5.85 20% Tutto il formaggio fuso a fette da 600 g, per es. Gruyère, 600 g 5.25 invece di 6.60 20% Appenzeller Classic, per 100 g 1.30 invece di 1.65 20% Pane Nostrano e pane Nostrano integrale, 300 g e 400 g, per es. Pane Nostrano, 300 g 1.75 invece di 2.20 20% Sbrinz, a libero servizio, per 100 g 1.55 invece di 2.25 30%
FIORI E PIANTE Tulipani, mazzo da 30, il mazzo 11.80 invece di 19.80 40% Bouquet di rose e fresie Fiona, il mazzo 12.90
ALTRI ALIMENTI Frey Adoro al latte, 500 g, 20x UTZ, 16.20 NOVITÀ *,** Tavoletta di cioccolato Frey Blanca, UTZ, cioccolato bianco finissimo, 100 g 20x 2.10 NOVITÀ *,** Tutti i tipi di caffè Caruso, UTZ, per es. Caruso Oro macinato, 500 g 7.60 invece di 9.50 20% ** Articoli Kellogg’s in conf. da 2, per es. Special K, 2 x 500 g 7.90 invece di 9.90 20% Barretta ai cereali Farmer Soft Caramel, Limited Edition, 20x 150 g 4.50 NOVITÀ *,** **Offerta valida fino al 10.3
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NEAR FOOD / NON FOOD Mini menu nutri soft al manzo Matzinger, 1,4 kg 20x 6.70 NOVITÀ *,** Tutto l’assortimento di alimenti per cani Asco, per es. Asco Classic Sensitive, 4 kg 9.40 invece di 11.80 20% Linea di prodotti alla cheratina Syoss Hair Perfection, per es. shampoo alla chera20x tina, 500 ml 6.70 NOVITÀ *,** Prodotti Gliss Kur (esclusi articoli mini, prodotti curativi ad azione immediata e confezioni multiple), a partire dall’acquisto di 2 prodotti, 2.– di riduzione l’uno, per es. shampoo Ultimate Oil Elixir, 250 ml 2.75 invece di 4.75 ** Prodotti Garnier Body in confezioni multiple, per es. lozione per il corpo da usare in doccia in conf. da 2, 2 x 250 ml 9.40 invece di 11.80 20% Prodotti Elmex contro l’erosione dello smalto, per es. dentifricio contro l’erosione dello smalto, 75 ml 6.90 ** Shampoo Volume & Care I am Natural Cosmetics, 20x 250 ml 4.90 NOVITÀ *,** Diversi slip Ellen Amber Lifestyle in confezioni multiple, per es. slip midi in conf. da 3 9.90 Pigiama, accappatoi e homewear Ellen Amber Fashion, per es. pigiama da donna, tg. S–XL 19.90 Diversi capi intimi da uomo, per es. boxer da uomo Nick Tyler in conf. da 3, tg. XS–XL 14.90 Pigiama corto da uomo, Bio Cotton, tg. S–XL 19.90 Tutti i pannolini Pampers (confezioni giganti escluse), per es. Baby-Dry 3, 52 pezzi 13.25 invece di 19.80 33% Vestito di jeans da bambina con cintura, tg. 98–128 20x 29.– NOVITÀ *,** Biancheria per bambini e bebè, per es. pigiama da bambino, tg. 98–128 11.90 Tutti i detergenti Hygo, a partire dall’acquisto di 2 prodotti, –.60 di riduzione l’uno, per es. cestelli per WC Blue Water 2.60 invece di 3.20 ** Tutti i detergenti Pial, a partire dall’acquisto di 2 prodotti, 1.– di riduzione l’uno, per es. detergente per parquet, 1 l 4.60 invece di 5.60 ** Carta per uso domestico M-Classic, 1 rotolo maxi 2.40 invece di 3.– 20% ** Diversi articoli per le pulizie di primavera (compresi articoli per il bucato e la stiratura), per es. puliscipavimenti con panni in microfibra, 3 pezzi 9.80 Tutto l’assortimento di calzetteria fine DIM, per es. collant «opaque velouté», 40 den 10.15 invece di 14.50 30% ** Tutto l’assortimento di intimo femminile DIM, per es. slip da donna in conf. da 2 14.90 invece di 24.90 40%
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ALTRE OFFERTE.
Tutte le farine speciali, per es. farina per treccia, TerraSuisse, 20x 1 kg 2.35 20x PUNTI Lasagne verdi o alla bolognese M-Classic in conf. da 2, surgelate, per es. lasagne verdi, 2 x 600 g 5.20 invece di 10.40 50% Lasagne al salame M-Classic, Limited Edition, surgelate, 20x 600 g 6.20 NOVITÀ *,** Purea di patate Yummie con piselli, surgelata, 500 g 20x 5.20 NOVITÀ *,** Purea di patate Yummie con carote, surgelata, 500 g 20x 5.20 NOVITÀ *,** Crocchette di verdure Yummie, surgelate, 500 g 20x 5.50 NOVITÀ *,** Pommes Duchesse bicolor Yummie, surgelate, 500 g 20x 4.90 NOVITÀ *,** Gamberetti crudi, sgusciati, bio, surgelati, 200 g 11.10 20x NOVITÀ *,** Crispy di tacchino Don Pollo impanati, surgelati, 1 kg 8.25 invece di 11.85 30% Tutti i frutti e i frutti di bosco, surgelati, per es. lamponi M-Classic, in vaschetta, 500 g 6.20 invece di 7.80 20% Tutti i tipi di Orangina in conf. da 6 x 1,5 l, per es. Orangina Regular 6.15 invece di 12.30 50% Tutto l’assortimento di brodi Knorr, per es. brodo di pollo, in dadi, 113 g 3.25 invece di 4.10 20% Asparagi Sélection, questi asparagi Sélection molto grossi e succosi appartengono a una varietà rara che rimane più a lungo nel terreno e ricevono una speciale lavorazione. Raccolti a mano uno ad uno, vengono conservati in barattoli di vetro che ne conservano a lungo il sapore, 320 g 4.90 NOVITÀ *,** 20x Filetti di tonno Albacore Sélection, MSC, i filetti di tonno bianco attentamente selezionati vengono tagliati a mano e conservati solo nel migliore olio d’oliva. La certificazione MSC garantisce inoltre metodi di pesca sostenibili. Lavorati a mano e pescati in modo ecologico, sono una delicatezza davvero 20x unica, 140 g 6.40 NOVITÀ *,** Penne con tonno Anna’s Best, 20x 350 g 7.90 NOVITÀ *,** Fiori o tagliatelle Léger, per es. fiori alla ricotta e agli spinaci, 250 g 4.50 NOVITÀ *,** 20x Ravioli al pomodoro e alla mozzarella o fiori alla rucola Anna’s Best in conf. da 3, per es. ravioli al pomodoro e alla mozzarella, 3 x 250 g 11.70 invece di 14.70 20% Sugo al basilico Longobardi in conf. da 3, 3 x 700 g 6.– invece di 7.50 20% Funghi secchi Dama in sacchetto, 20 g e 50 g, per es. porcini secchi 20 g 3.10 invece di 3.90 20% Cornetti dolce marmellata e dolce crema, per es. dolce marmellata, 87 g 1.60 invece di 2.– 20%
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 24 febbraio 2014 • N. 09
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Idee e acquisti per la settimana
Per ogni tessuto e per ogni colore esiste l’Yvette ideale: per una pulizia delicata che protegge le fibre.
Yvette Sport, ideale per i capi sportivi e funzionali 2 l Fr. 11.20
Yvette Fibre Fresh ideale per i tessuti misti e sintetici 2 l Fr. 11.20
Yvette Care, ideale per lana seta e tutti i delicati 2 l Fr. 11.20
Curati fino all’ultima fibra I detersivi liquidi di Yvette fanno sì che i vostri capi d’abbigliamento preferiti sembrino a lungo come nuovi
L’industria Migros produce numerosi prodotti molto apprezzati, tra cui anche i detersivi di Yvette.
La bella camicetta di seta, il soffice pullover di lana, l’elegante tubino nero o il morbido completo di microfibra: ci sono capi di vestiario che ci stanno particolarmente a cuore. Con un detersivo specifico per il tipo di tessuto, il programma di lavaggio adeguato e la giusta temperatura, i tessuti rimangono come nuovi.
I detersivi liquidi di Yvette sono particolarmente delicati sulle fibre. Lo ha verificato e confermato un’istituto indipendente, il Laboratorio federale di prova dei materiali e di ricerca (EMPA). L’assortimento comprende sette prodotti, che puliscono efficacementge già a una temperatura di 20°C.
Yvette Care cura i tessuti di lana, seta e tutti i capi delicati. Yvette Color e Yvette Black preservano la lucentezza e la brillantezza dei capi colorati e scuri. Per i tessili bianchi e chiari è ideale Yvette White, che contiene sbiancanti ottici. Anche i capi d’abbigliamento sportivi e funzionali dovrebbero essere lavati con
un detersivo speciale, affinché le fibre non perdano la loro funzione traspirante. Si raccomanda quindi di usare Yvette Sport. Nei tessuti in cui si formano facilmente odori indesiderati, come i tessuti misti o sintetici, Yvette Fibre Fresh esplica la sua particolare efficacia. / Dora Horvath
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 24 febbraio 2014 • N. 09
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 24 febbraio 2014 • N. 09
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Idee e acquisti per la settimana
«Le nostre confetture sono prodotte in modo delicatissimo»
La confezione delle tavolette di cioccolato avviene in modo velocissimo.
Marcel Zollinger è tecnologo alimentare e caposettore nella produzione di tutto quanto è a base di frutta alla Bischofszell Nahrungsmittel AG (Bina) di Bischofszell. Sorveglia la produzione delle molte confetture che non sono prodotte solo per la Migros, ma per gli appassionati in tutto il mondo.
Tavolette appena pressate del tipo «Bouquet d’Oranges». Il Brand Manager Ivo Arnold presenta una scelta di tavolette Suprême.
Va di moda il fai da te. Ma come si differenzia la preparazione di confetture in casa e alla Bina?
Marcel Zollinger: In fondo è tutto molto simile. Utilizziamo i medesimi ingredienti, solo in quantità molto maggiori. Come ogni massaia, dobbiamo fare in modo che la confettura gelifichi correttamente. Ogni raccolto è diverso, così anche i frutti non sono sempre uguali. Ma qualcosa deve pur essere diverso rispetto a casa…
Lavoriamo i frutti in modo più delicato, cuociamo la confettura sottovuoto. Il tal modo il punto di bollore si situa più in basso, fra gli 80 e gli 85°C. L’aroma di frutta risulta così più intenso rispetto a molte confetture fatte in casa. E cosa fa se la confettura non gelifica
correttamente? Su quantità di 1600 chili nel calderone non ci si può permettere che qualcosa vada storto, vero?
Misuriamo il valore pH e determiniamo la massa secca con l’aiuto di un rifrattometro. Se questi parametri sono in ordine, siamo sicuri che la confettura gelificherà. Per sicurezza, durante il processo di riempimento eseguiamo ancora una classica prova di gelificazione. E se un anno il raccolto fornisce frutti non proprio dolcissimi e aromaticissimi?
Allora, per i nostri acquisti dobbiamo vedere se non possiamo magari acquistare in più anche un’altra qualità proveniente da un’altra zona. Che cosa prediligono al momento gli amanti della confettura? Si può riconoscere una moda?
Ai nostri clienti piacciono in particolare le creazioni con frutti indigeni. Quando abbiamo cominciato a produrre la confettura di albicocche con frutti svizzeri, improvvisamente se ne comprava molta di più. / Claudia Schmid
FREY
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«Il 31 per cento di nocciole, molto di più non funziona» Alla Chocolat Frey SA di Buchs, canton Argovia, da più di 125 anni si creano squisite varietà di cioccolato. Affinché anche in futuro più volte all’anno possiamo essere tentati da nuovi tipi di cioccolato da sgranocchiare, Brand Manager come Ivo Arnold, insieme ai cioccolatai, ne creano nuove qualità. Quando si ha a che fare tutti i giorni con il cioccolato, lo si ama ancora?
Ivo Arnold: Assolutamente sì. Per il mio lavoro è importante che ci si possa identificare al 100 per cento coi propri prodotti. Il mio favorito è il Lait Trois Noix della linea Suprême con le sue tante noci.. Le tavolette vengono pressate in modo del tutto tradizionale. Certa-
mente non sarà semplice, con tutte quelle noci…
È una sfida tecnica. Nella Lait Noisette abbiamo il 31 per cento di nocciole. Molto di più, da noi, non è tecnicamente possibile. La Chocolat Frey utilizza molti tipi di noci diverse. Solo le arachidi non si trovano…
Non utilizziamo più del tutto le arachidi. Troppo persone reagiscono allergicamente alle noccioline.
si riscontrano delle differenze. Nella Svizzera orientale è molto in voga il cioccolato al latte, mentre i romandi preferiscono tendenzialmente le varietà di cioccolato scuro. In Francia si prediligono allora altri tipi di cioccolato?
Altri paesi, altri usi. Al momento i clienti francesi richiedono cioccolato con caramello salato o violette candite.
C’è un trend nel consumo di cioccolato?
La Chocolat Frey ha un unico luogo di produzione. Come riuscite a produrre anche per l’estero?
Ci sono grandi trend come quello del cioccolato scuro. Poi è importante anche la stagione. Le tavolette fruttate, con aroma di fragola o limone, sono adatte all’estate. Anche regionalmente
Con una buona pianificazione e naturalmente una buona produzione. Le nostre macchine producono 16'800 tavolette all’ora. C’è quindi abbastanza cioccolato per tutti.
BINA
Marcel Zollinger, tecnologo alimentare, prova la confettura fresca. Anche in una fabbrica, la prova di gelificazione si effettua in modo assolutamente tradizionale.
Fresca e bollente: la macchina riempie fino a 10’000 vasetti. In un calderone ci stanno circa 1600 chili di confettura.
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