Azione 03 del 13 gennaio 2014

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Cooperativa Migros Ticino

G.A.A. 6592 S. Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXVII 13 gennaio 2014

Azione 03 9 pping 1-42 / 56-5 o h s M ine 4 g a p e all

Società e Territorio L’attività della Fondazione éducation 21 a favore dell’educazione allo sviluppo sostenibile

Ambiente e Benessere Perché l’impianto di smaltimento rifiuti di Giubiasco si chiama termovalorizzatore e non inceneritore?

Politica e Economia Il 2014, con le elezioni di midterm di novembre, sarà un anno cruciale per Barack Obama

Cultura e Spettacoli In una strabiliante mostra a Roma sono esposti i tesori creati per San Gennaro

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Stefano Faravelli

Gli ultimi esploratori

di Stefano Faravelli

Immigrazione, nodo elvetico di Peter Schiesser Una volta di più, la presenza e il numero crescente di cittadini stranieri diventa tema dominante fra la popolazione svizzera e sfocia in una votazione. Per un Paese che da decenni è da considerare «di immigrazione» ma tenacemente si rifiuta di riconoscerlo, si tratta di una questione senza una possibile soluzione definitiva, anche quando le proposte avanzate sono drastiche nelle loro conseguenze. L’immigrazione è un fenomeno che non si può impedire, poiché è frutto di necessità economiche da ambedue le parti e conseguenza del grande successo economico che una nazione piccola come la nostra è riuscita a conquistarsi. Certo, si può tentare di frenarla, che è quanto cerca di fare l’iniziativa popolare dell’Udc contro l’immigrazione di massa, con cui in sintesi vorrebbe tornare a porre un tetto massimo di immigrati all’anno, come si faceva prima della libera circolazione delle persone. Siccome la stessa Udc è consapevole dell’importanza per l’economia svizzera di trovare il necessario personale qualificato, ciò che oggi è garantito proprio dall’accordo con l’Ue sulla libera circolazione, promette «contingenti generosi»; vorrebbe invece porre dei limiti al ricongiun-

gimento familiare (rappresentano attualmente fra il 23 e il 32 per cento della popolazione immigrata). Una cosa è certa: un sì all’iniziativa al voto in febbraio farebbe cadere la libera circolazione delle persone e quindi l’intero pacchetto di accordi denominato «Bilaterali 1», con un bel po’ di conseguenze per l’industria di esportazione. Meno certo è se davvero potrebbe frenare l’immigrazione: come ricordato dal Consiglio federale un anno fa, il regime di contingentamento non ha potuto impedire che dal 1960 e il 1974 immigrassero ogni anno in media 140mila persone, il doppio rispetto ad oggi (in una Svizzera che nel 1960 contava 5,4 milioni di abitanti, mentre oggi ne conta 8). In effetti, diversi esperti sostengono che non è tanto il quadro normativo più o meno attrattivo a scatenare una corsa all’immigrazione in Svizzera, quanto piuttosto la situazione congiunturale dei Paesi di emigrazione. Il politologo zurighese Michael Hermann ha fatto notare («Tages Anzeiger», 28.12.13) che il numero di immigrati tedeschi ha toccato il picco subito dopo l’entrata in vigore della piena libera circolazione e da allora è declinato; motivo: dal 2000 al 2008 l’economia tedesca era in difficoltà, da allora macina a pieno regime e si emigra quindi meno. Tuttavia, se persino frenare l’immigrazione può rivelarsi impos-

sibile, che cosa si può e si deve fare è riconoscere i problemi che un forte afflusso di persone in cerca di lavoro può causare e cercarvi rimedio. In realtà, non è sempre facile determinare in quale misura un problema sia riconducibile all’immigrazione. Per esempio, la scarsità di abitazioni e il conseguente aumento del costo degli affitti che si registra in particolare Oltralpe è dovuta ai 70mila cittadini europei all’anno che emigrano in Svizzera, oppure (come argomenta il Consiglio federale) è soprattutto conseguenza della richiesta di abitazioni proprie e di un’accresciuta mobilità da parte della popolazione svizzera? E quali possono essere le soluzioni per non consumare troppo altro territorio: frenare l’immigrazione oppure passare da un’urbanizzazione orizzontale a una verticale, ossia costruire più in altezza che ulteriori casette unifamiliari? Infine, considerando i problemi di traffico: per quanto riguarda il Ticino, è difficile negare che 60mila frontalieri abbiano il loro peso nell’intasare determinate strade, ma il collasso totale lo si potrà evitare solo se tutti utilizzeremo meno l’auto. I problemi, insomma, sono spesso compositi e le soluzioni richiedono sacrifici anche alla popolazione svizzera. Soluzioni semplici, anche qui, non ne sono ancora state trovate.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 13 gennaio 2014 • N. 03

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Salare con misura Usare troppo sale non è sano: per questo Migros continua costantemente a diminuirne il tenore nei suoi prodotti pronti

Andreas Dürrenberger * Un vecchio proverbio tedesco dice: «Pane e sale, Dio ce li conservi». Tra le tradizioni antiche esisteva, del resto, la consuetudine di regalare pane e sale a chi inaugurava una nuova casa. Il sale, poi, in alcune culture era considerato un prodotto di lusso, a causa della fatica e dei costosi sforzi necessari per procurarselo. Nonostante questo, comunque, il sale rimane un elemento irrinunciabile dell’alimentazione. All’uomo servono da uno a due grammi al giorno di sale. Servono per regolare la quantità di acqua presente nel corpo, per i processi legati alla digestione e per un corretto funzionamento del sistema nervoso. Oltre a questo il sale esalta il sapore dei cibi e li rende conservabili più a lungo. In generale gli svizzeri assumono al giorno mediamente nove grammi di sale, ciò che rappresenta qua-

si il doppio della quantità consigliata dall’OMS. Un consumo troppo alto di sale, infatti, si sospetta possa causare un aumento della pressione sanguigna e provocare patologie del sistema cardiocircolatorio. Un ruolo particolare nell’assunzione quotidiana di sale lo ricopre il consumo di cibi pronti, spiega Annina Erb, responsabile alimentazione e salute della Federazione delle Cooperative Migros (FCM): «Dal 70 all’80 per cento del sale che assimiliamo viene da alimenti preparati. In questo ambito pane, formaggio, minestre, pietanze pronte e prodotti a base di carne giocano la parte del leone». Per ciò che riguarda i prodotti della panificazione Migros ha diminuito già da tempo il tenore di sale. In questo contesto Migros Ticino e Jowa S. Antonino hanno messo in commercio già nella prima metà del 2011 un pane con solo lo 0,7% di sale, che nel Annuncio pubblicitario

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T er il p o in in Tic

icino

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tempo ha avuto un ottimo riscontro e che è in vendita nelle maggiori filiali Migros Ticino (vedi foto). Nel quadro dell’iniziativa Generazione-M l’azienda al dettaglio ha promesso di ridurre entro la fine del 2012 il tenore di sale in 170 prodotti confezionati. Con la sua promessa in questo senso Migros sostiene un’iniziativa del Dipartimento federale della sanità pubblica e offre un contributo alla promozione della salute. Alla scadenza del termine fissato per la promessa, Migros aveva raggiunto il suo proposito per oltre l’80 per cento della quantità di prodotti stabilita, vale a dire per una cifra che si aggira attorno ai 140 prodotti. Il fatto che il 100 per cento di quanto previsto non sia stato raggiunto ha una spiegazione: «Ci siamo resi conto che una repentina riduzione del tenore di sale, in un solo passo, non sarebbe stata accettata dai nostri clienti, a causa della differenza di sapore» spiega Annina Erb. Anche se Migros per poco non è riuscita a mantenere la promessa, sicuramente non è rimasta con le mani in mano. Negli scorsi anni è stato ridotto il tenore di sale nelle minestre e nei piatti pronti, diminuendo così la quantità in ulteriori 20 articoli. Le nuove ricette dei prodotti Convenience e di quelli pronti sono controllate accuratamente. I pasti sono stati salati con quantità differenti di sale e le differenti versioni sono state infine degustate. La prova ha premiato i piatti con una ridotta quantità di sale ma che conservano il sapore della ricetta originaria. * Redattore di Migros Magazin

Data d’inizio – Al più presto o da convenire. Requisiti professionali – Formazione di base con diploma universitario oppure formazione con perfezionamento professionale adeguato; – Esperienza professionale pluriennale nel settore della sicurezza alimentare; – Esperienza in attività di progetto; – La conoscenza del tedesco parlato e scritto costituisce un requisito indispensabile.

In movimento, grazie allo sponsoring Migros

Competenze personali – Spiccate capacità organizzative; – Autonomia e spirito d’iniziativa; – Buone doti comunicative e relazionali, attitudine al lavoro in team. Mansioni – Assicurare controlli di qualità sui prodotti lungo l’intera filiera; – Assicurare controlli di qualità nel rispetto delle disposizioni di legge e disposizioni interne nei servizi delle filiali/centrale in materia di sicurezza alimentare e monitorare i provvedimenti da adottare in caso di irregolarità; – Assicurare controlli di qualità per i prodotti e servizi dei fornitori regionali; – Accompagnare l’implementazione dei programmi Label dal punto di vista qualitativo; – Assicurare un’efficiente gestione degli stati di crisi; – Collaborare alla realizzazione o alla direzione di progetti. Offriamo – Settimana lavorativa di 41 ore; – Almeno 5 settimane di vacanza; – Salario attrattivo e prestazioni sociali all’avanguardia; – Ambiente di lavoro aperto e dinamico. Saranno prese in considerazione unicamente le candidature con i requisiti corrispondenti al profilo indicato. Le persone interessate possono inviare la loro candidatura, corredata da un curriculum vitae e da fotocopie dei certificati d’uso a: Cooperativa Migros Ticino Dipartimento Risorse Umane Casella Postale 468 6592 S. Antonino

Sono arrivati duecentomillesimi… la famiglia Muffler al Silvesterlauf di Zurigo.

Settimanale edito dalla Cooperativa Migros Ticino, fondato nel 1938

Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch

Editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino Tel 091 850 81 11

Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile) Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni

La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni

Stampa Centro Stampa Ticino SA Via Industria 6933 Muzzano Telefono 091 960 31 31

Azione

Tiratura 98’654 copie Inserzioni Migros Ticino Reparto pubblicità CH-6592 S. Antonino Tel 091 850 82 91 fax 091 850 84 00 pubblicita@migrosticino.ch

Nell’ambito del suo programma di sostenibilità Generazione M, Migros ha promesso, come sponsor principale, di rendere possibile la partecipazione a manifestazioni podistiche a oltre 200’000 sportivi. Il traguardo è stato raggiunto il 15 dicembre scorso durante il Silvesterlauf di Zurigo, con l’iscrizione della famiglia Muffler di Dietlikon. Tanja e Silvan Muffler con i loro bambini Noelia (2 anni) e Janik, che festeggiava proprio quel giorno il suo quarto compleanno, hanno tagliato il traguardo nella categoria «Famiglie». «Questa bella sorpresa ci fa molto piacere», hanno affermato i membri della famiglia nel momento in cui è stato assegnato loro, come riconoscimento, un buono acquisto di 1000 franchi. In ognuna delle grandi manifestazioni podistiche sostenute da Migros in qualità di sponsor viene applicato ai concorrenti un contatore elettronico, contrassegnato dai colori di Generazione M, che permette di definire esattamente il numero dei partecipanti. Un microchip impermeabile, che è integrato nella pettorina del numero, oppure fissato alla stringa di una scarpa dei corridori, permette la registrazione. Abbonamenti e cambio indirizzi Tel 091 850 82 31 dalle 09.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@MigrosTicino.ch Costi di abbonamento annuo Svizzera Fr. 48.– Estero a partire da Fr. 70.–


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Società eTerritorio Ti ricordi la password? Nell’era dell’informatica diffusa quante password ci servono? Come inventarle? E soprattutto come ricordarle?

Z come Zircone Una mostra alla Casorella di Locarno presenta gli zirconi giganti scoperti da Fabio Girlanda negli anni Novanta sul Gridone pagina 6

Re Magi al Bigorio Da più di venticinque anni i frati del convento del Bigorio alla vigilia dell’Epifania mettono in scena l’arrivo dei Re Magi pagina 8

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Educare a partecipare Formazione La Fondazione éducation21

promuove l’educazione allo sviluppo sostenibile e favorisce progetti scolastici nell’ambito dei diritti umani e della prevenzione al razzismo

Stefania Hubmann A un anno dalla fusione che ha dato vita alla Fondazione éducation21, l’attività di promuovere l’educazione allo sviluppo sostenibile nelle scuole conosce nella Svizzera italiana un nuovo slancio grazie all’apertura di una vera e propria sede in Piazza Nosetto 3 a Bellinzona e al rafforzamento delle risorse umane. L’ente nazionale che ha riunito la Fondazione educazione e sviluppo (FES) e la Fondazione svizzera di educazione ambientale (FEA) opera su mandato della Conferenza svizzera dei direttori cantonali della pubblica educazione, della Confederazione e della società civile. Protezione ambientale, ecologia, cambiamento climatico, migrazioni, diritti umani, consumo e salute sono alcuni dei temi principali che si cerca di portare nelle scuole dell’obbligo e superiori. L’obiettivo è di permettere alle nuove generazioni di crescere consapevoli dell’interconnessione dei processi economici, sociali e ambientali a tutti i livelli e di maturare le competenze e le conoscenze necessarie ad uno sviluppo sostenibile. Roger Welti, oggi responsabile della comunicazione di éducation21 nella Svizzera italiana, lavora nel settore da oltre quindici anni. Docente in possesso dell’attestato federale di accompagnatore di escursionismo, fino all’anno scorso era alle dipendenze della FES, attraverso la quale le associazioni non governative hanno iniziato negli anni Novanta a diffondere la tematica della cooperazione allo sviluppo nelle scuole. «Grazie alla fusione – spiega Roger Welti – nella Svizzera italiana esce rafforzato soprattutto il settore dell’educazione ambientale. Da febbraio il team, formato da due persone impiegate all’80 per cento, potrà contare su un ulteriore 50 per cento rappresentato da un collaboratore con una formazione specifica nel settore ambientale. Grazie alle accresciute risorse finanziarie (il budget nazionale annuale è di quasi sette milioni di franchi), disporremo inoltre di una sede con la possibilità di apri-

re al pubblico una sala dove consultare il materiale didattico in vendita e la nostra biblioteca». Per éducation21 – il nome si riallaccia all’Agenda21 del vertice mondiale ONU di Rio del 1992 – l’apertura di uno spazio accessibile al pubblico significa ampliare la propria attività (organizzando anche conferenze) e migliorare la conoscenza di quanto viene promosso a favore del settore scolastico. «La vendita di libri, giochi e video online – precisa Roger Welti – è la nostra prestazione principale. Il materiale è selezionato secondo criteri restrittivi che ne assicurano un elevato livello di qualità. Proviene principalmente da quattro o cinque case editrici italiane con le quali collaboriamo da anni. Poche sono infatti le produzioni svizzere in lingua italiana alle quali possiamo fare riferimento. Non essendo previsto il prestito, il materiale è a disposizione per consultazione solo nei due centri didattici cantonali e nelle biblioteche scolastiche che lo acquistano. Per questo motivo l’apertura della sede, prevista da febbraio il mercoledì pomeriggio dalle 14 alle 17, sarà molto utile». Vista la crescente richiesta del supporto elettronico, la Fondazione sta pure valutando la possibilità di offrire video e lezioni attraverso questo mezzo, sempre garantendo un elevato standard qualitativo. Suddivisa in quattro sedi (Berna, Losanna, Bellinzona e Zurigo), l’attività della Fondazione comprende anche la gestione di due negozi a Berna e Losanna. La sede svizzero-italiana è riuscita a centralizzare il servizio di spedizione a Berna, guadagnando così risorse da destinare alla valutazione e alla promozione del materiale e agli altri compiti che le sono stati attribuiti. Fra le prestazioni di éducation21 figura infatti anche il sostegno ai docenti e la gestione di fondi per il finanziamento di progetti scolastici. Di queste attività si occupa Oliviero Ratti, docente con una formazione specializzata in psicologia sociale e antropologia. «Nella nostra regione, non potendo organizzare corsi di formazione come

Gli allievi della Scuola per sportivi d’élite di Tenero hanno presentato il loro progetto di prevenzione al razzismo nello sport durante l’edizione di Sportech 2012. (Ti-Press)

nel resto della Svizzera per questioni numeriche, abbiamo optato per un accompagnamento degli insegnanti nell’ambito dei progetti d’istituto. Negli anni Novanta, rispondendo ai problemi emergenti del momento, abbiamo privilegiato il tema dell’interculturalità finalizzato all’integrazione degli allievi stranieri. Oggi le preoccupazioni sono rivolte più alle questioni ambientali e ai problemi legati al consumo». In alcuni casi l’intervento di éducation21 nell’ambito dei progetti scolastici è invece legato al loro sostegno finanziario. Alla Scuola sportivi d’élite di Tenero, ad esempio, è stato realizzato in questi anni un progetto educativo sulla prevenzione al razzismo nello sport. «Qualsiasi docente o sede scolastica può contattarci e presentare il suo progetto. Anche se i criteri di valutazione sono comunque rigorosi perché si punta sulla qualità. Spunti e informazioni, oltre che sul sito, sono a di-

sposizione nella rivista “ventuno” e a breve nella nuova sede». La rivista sarà potenziata a partire dal prossimo numero che apparirà in febbraio e sarà dedicato all’agricoltura. I primi tre numeri pubblicati nel 2013 comprendevano, oltre alle novità dell’assortimento, articoli e notizie sul tema principale. Come già avvenuto nelle altre regioni linguistiche, «ventuno» raddoppierà le pagine in modo da poter offrire «piste per l’insegnamento» differenziate secondo i vari ordini di scuola. Il settore più difficile, precisa Roger Welti, riguarda la scuola dell’infanzia perché il materiale a disposizione è più limitato. Molto apprezzata dagli insegnati ticinesi e del Grigioni italiano anche la giornata ESS (Educazione allo Sviluppo Sostenibile), organizzata dalla FES prima e ora da éducation21 quale momento di informazione e formazione. Roger Welti: «Negli ultimi anni abbiamo ac-

colto circa 80 partecipanti grazie alla stretta collaborazione con il DFA (Dipartimento formazione e apprendimento della SUPSI). Quest’anno la proponiamo per la settima volta, facendola beneficiare dei vantaggi organizzativi offerti dalla nuova fondazione. Per questa giornata abbiamo già collaborato in passato con Fabio Guarneri che da febbraio entrerà nel nostro team». Per le scuole e i docenti della Svizzera italiana si aprono quindi nuove opportunità per affrontare in modo approfondito e con un supporto a tutto campo argomenti legati allo sviluppo sostenibile. E per chi cerca anche solo uno spunto il sito di éducation21 apre sempre una finestra su un tema d’attualità. L’ultimo in ordine di tempo: la politica d’asilo partendo dal caso di Lampedusa. Informazioni

www.education21.ch


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Società e Territorio Annuncio pubblicitario

Login: parola d’ordine «sicurezza»

Influenza? Raffreddore? Erste Hilfe bei Verletzungen und Erkrankungen

Alfabeto Digitale Come inventare

una password e soprattutto come ricordarla

La schermata d’avvio, primo sforzo di memoria della giornata.

Ugo Wolf Quante password servono per una vita normale, nell’era dell’informatica diffusa? Quattro? Cinque? Di più? Per chi utilizza un computer quotidianamente la ginnastica mnemonica comincia di prima mattina, con l’accesso alla propria postazione. E si ripete diverse volte al giorno, nel caso il terminale disconnetta l’utente quando il PC non è utilizzato. Ci sono poi i programmi aziendali, che richiedono all’utilizzatore di accreditarsi con una pass. Infine, nel caso si volesse dare un’occhiata alla propria posta elettronica personale tramite Gmail, Hotmail, Bluewin, servirà un ulteriore sforzo dei neuroni. Come gestire un così massiccio uso di memoria «umana», quella meno affidabile? Molti utenti, risolvono il problema in modo banale, usando sempre la stessa password, ma non è una buona idea.

Trucchi e suggerimenti per tutelare la propria identità digitale e rendere più semplice la gestione della nostra memoria Se in ambito lavorativo a smuovere la pigrizia contribuisce spesso una decisione superiore (il sistema può chiedere, ad esempio, di aggiornare la pass ogni due o tre mesi), per quel che riguarda la gestione delle password personali la questione è più sfumata. Una persona «normale» è fiduciosa e ritiene improbabile un tentativo di effrazione della sua identità digitale. Ma questo non è un buon motivo per non difendersi preventivamente. I malintenzionati sono dappertutto e magari solo per impegnarsi in una sfida fine a sé stessa alla fine potrebbero interessarsi anche a chi non sembra degno della loro attenzione. Basta un piccolo giro di orizzonte su Google per tentare di mettersi nei panni di un cracker che per qualche recondito motivo cerca di «scassinare» le password. All’indirizzo web www.outpost9.com/files/WordLists.html, ad esempio, possiamo vedere alcuni degli strumenti del mestiere. Sono lunghissime liste di parole che i cracker provano, in sequenze automatizzate, fino a scoprire quella giusta. Veri e propri grimaldelli digitali: liste di cognomi, di nomi, di soprannomi, nomi di attori e personaggi cinematografici, termini del ger-

go informatico, combinazioni varie di lettere e numeri, nomi di animali. C’è anche la lista di tutte le parole usate nella Bibbia. Insomma: chi si sta attrezzando per scoprire la nostra parola chiave può contare su un repertorio infinito di «parole» tra cui si trova, molto probabilmente, quella giusta. Consideriamo dunque la necessità di procurarci delle pass il più possibile sicure. La raccomandazione essenziale è di non ricorrere a termini di senso comune, né a sequenze di cifre troppo semplici, né a nomi o numeri di telefono. Per essere inattaccabili, dicono gli esperti, le pass devono essere composte da almeno 8 caratteri, se possibile da lettere maiuscole e minuscole e da qualcuno dei segni grafici più comuni come «*&/$£#». Agli indecisi segnaliamo che esistono generatori di password online. È il caso di fidarsi di quelli più ufficiali, come quello creato dalla Norton Antivirus (https:// identitysafe.norton. com/it/password-generator). I codici così ricavati sono sufficientemente complessi, ma difficili da ricordare («Nufr8jeG»; «sPeB8etA»; «ZapHu6 Ev» sono tre esempi che abbiamo elaborato per prova). Per creare pass sicure ma più facilmente memorizzabili si possono cammuffare parole conosciute, usando cifre e numeri. Ad esempio volendo usare il nome del proprio cane «Fido», si può nasconderlo in questo modo «F35i7$d13o», oppure usando sequenze di tasti vicini tra loro «F1qi2wd3eo»(provate a digitarlo sulla tastiera e capirete il trucco). Un altro sistema potrebbe essere quello di creare password, che riprendano la lettera iniziale di un numero: «cst567onu891». Oppure «scrivere lettere» disegnandole sulla tastiera: «5thu87uko0» corrisponde all’iniziale del cognome «Wolf». Per fortuna su Internet non si trovano solo cracker, ma anche persone ingegnose che suggeriscono idee sul modo di creare password complesse ma facili. Il consiglio più frequente è quello di associare la parola d’ordine a una frase di senso compiuto, già memorizzata, ma decostruita attraverso un acronimo. Allo scopo si prestano molto bene i proverbi, in particolare se contengono numeri. Esempi: «m1Uok1Gd» (corrisponde a «Meglio un uovo oggi che una gallina domani», dove tutti i sostantivi sono resi con maiuscola, alla tedesca); «CfdSfx3» («Chi fa da se fa per tre»). Eccetera. Il consiglio fondamentale, comunque, è di non annotare la vostra password in un foglietto nascosto nel primo cassetto della scrivania. Quello è il primo posto in cui vanno a cercare i cracker…

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Società e Territorio

Gli zirconi del Gridone

Scoperte Un’esposizione a Locarno presenta per la prima volta gli zirconi giganti delle Centovalli

trovati da Fabio Girlanda negli anni Novanta e le complesse tematiche scientifiche connesse

Elena Robert Le proprietà naturali dello zircone, longevità, durezza e resistenza, lucentezza e stabilità chimica, hanno da sole concorso a rendere noto e straordinario questo minerale nella gemmologia, ma anche, in quanto fonte primaria dello zirconio, elemento pregiato in ambito tecnologico, dove se ne fa ampio uso, per esempio nel rivestimento di forni o di contenitori di fluidi ad alte temperature. Altri usi sono possibili nel processo di sintesi per ottenere la zirconia, impiegata ancora in gemmologia e in quasi tutti i tipi di restauri in odontoiatria come pure per la realizzazione di ceramiche ad alta resistenza, mentre il fluoruro di zirconio è impiegato nella fabbricazione di certe fibre ottiche. È anche il minerale più osservato per la datazione delle rocce, persino delle più antiche e parliamo di diversi miliardi di anni. Lo zircone può infatti includere al momento della «nascita», nella sua struttura cristallina, tracce di uranio di cui sono noti i tempi della sua trasformazione in piombo: si può così calcolare il tempo trascorso dalla sua cristallizzazione e pertanto anche della roccia magmatica che lo ingloba. Gli zirconi giganti trovati negli anni Novanta sul versante centovallino del Gridone dal cercatore di minerali Fabio Girlanda sono eccezionali per le loro dimensioni e per il particolare contesto geologico, tanto da lasciare increduli e spiazzati gli specialisti in materia. Sul versante italiano nella Val Vigezzo si segnalarono grandi zirconi già nel 1990. Le Centovalli, una sorta di crocevia geologico nelle Alpi e per questo motivo molto studiate da un secolo, si situano al limite tra la Placca europea a nord e quella africana a sud, confine segnato dalla Linea insubrica, lungo la quale ci furono importanti movimenti tettonici e profonde trasformazioni delle rocce, tanto che tra l’altro emerse in

Gli zirconi delle Centovalli sono di colore rosa-bruno. (Museo cantonale di storia naturale)

Fabio Girlanda coltiva la passione per la mineralogia fin da quando era ragazzo, i suoi ritrovamenti sul Gridone sono di importanza internazionale. (F. Girlanda)

superficie tra le montagne addirittura un pezzo del mantello terrestre. L’importanza internazionale del ritrovamento è legata agli affioramenti in superficie proprio dove emerge il mantello, al fatto che la roccia che include gli zirconi è rarissima sul nostro pianeta, alla grande abbondanza di zirconi trovati, alla loro grandezza eccezionale, alla ricchezza di forme cristallografiche, alla intensa fluorescenza degli zirconi ai raggi ultravioletti. Con la scoperta è nata una stretta collaborazione tra il cercatore di minerali di Verscio, oggi quarantacinquenne, e il Museo cantonale di storia naturale a Lugano (MCSN) che lo ha affiancato negli anni sostenendolo, promuovendo la rete di contatti necessari alle ricerche, finanziate parzialmente dall’istituto e coordinate dallo stesso. Come succede in questi casi si sono fatti rilievi sul terreno, campagne di acquisizione di campioni di materiali, la montagna è stata scandagliata e il giacimento asportato, si sono effettuate verifiche in laboratorio (analisi di datazioni con spettrometri di massa a Zurigo e a Ginevra e mineralogiche a Losanna e in Canada). Si è costituito un team di ricerca internazionale, si sono coinvolti

diversi istituti e consultati specialisti, in particolare russi. La scoperta fu divulgata solo a fine 2007 e fece subito il giro del mondo. Da allora sono usciti alcuni articoli scientifici, ma il «filone» è tutt’altro che esaurito e le tematiche messe a fuoco potrebbero essere oggetto di ulteriori approfondimenti. Urs Schaltegger del Laboratorio di geocronologia dell’Università di Ginevra, dove insegna mineralogia, ha sottoposto recentemente a una prestigiosa rivista americana un articolo sui tempi di formazione di un singolo cristallo e sulla genesi della pegmatite, la roccia che ospita, in due diversi affioramenti, il tesoro delle Centovalli: più di cento cristalli pluricentimetrici di zircone, di colore rosa-bruno, un minerale che in natura è di dimensioni microscopiche. È come se si fosse trovata una vespa di due metri! Fu il geologo Paolo Oppizzi, allora al MCSN, con Schaltegger, a determinare anni fa l’età degli zirconi, risalenti a 212 milioni di anni fa, cioè al periodo del tardo Triassico quando la terra era abitata da grandi rettili come il Ticinosuchus ferox (di cui è rimasta traccia sul Monte San Giorgio) e dai primi dinosauri. Campioni di materiali sono esposti nelle Centovalli a Intragna e a Bordei

come pure a Lugano nel MCSN, diventato punto di riferimento per gli studiosi di questi zirconi da primato mondiale. Ora alla Casorella di Locarno è in corso un’esposizione curata da Marco Antognini, geologo e conservatore di mineralogia del Museo. È la prima approfondita sul tema a rendere omaggio a questo straordinario ritrovamento. Una presentazione efficace e essenziale consente al pubblico di contestualizzare la scoperta e di esplorare facilmente le complesse tematiche scientifiche connesse. S’intitola Z come Zircone, è stata ideata dal MCSN e promossa dai Servizi culturali della Città di Locarno, sostenuta da quest’ultima e dal Museo. Trovarsi di fronte al più grande cristallo di zircone di 8,5 centimetri rinvenuto da Girlanda fa un certo effetto, e non sono da meno gli altri otto zirconi, di dimensioni più ridotte ma pur sempre enormi, tutti riuniti nella saletta più piccola, messi a confronto con una gigantografia della superficie terrestre che dà un’idea concreta della portata della scoperta perché indica gli otto principali giacimenti al mondo di zirconi giganti, compreso quello delle Centovalli. Da quest’area provengono anche gli altri minerali esposti, entrati via via a far par-

te della collezione del ticinese, che conta un centinaio di specie trovate in oltre vent’anni di ricerca. Fabio Girlanda ama profondamente la sua regione che conosce come le sue tasche. Non passa giorno che non sieda al binoculare. Si porta dentro questa grande passione per la mineralogia da quando svolgeva l’apprendistato di orefice, anche se oggi lavora alla Protezione civile di Locarno. Quello degli zirconi è stato il ritrovamento della sua vita. Ogni volta che esce sul territorio continua a essere molto motivato: «Trovarmi in mezzo alla natura anche senza scoprire nulla è la più bella avventura che possa capitarmi». Il ritrovamento di cui è stato protagonista non lo ha certo arricchito e senza volerlo è entrato a far parte di un thriller-avventura, Il segreto della colomba, della locarnese Manuela Mazzi, che ha voluto prendere spunto da questa scoperta eccezionale per tessere una storia avvincente da raccontare. Dove e quando

Z come Zircone, Locarno, palazzo Casorella (Via B. Rusca 5), fino al 28 febbraio. Orari: lu-ve 10.00-12.00 e 14.00-17.00. Tel. 091 756 31 70-85.

Viale dei ciliegi di Letizia Bolzani Anna Carey, La mia vita secondo me, Edizioni Giralangolo. Da 12 anni

Se hai quattordici anni e tua madre è una scrittrice per ragazzi di successo, che dichiara garrula in tutte le interviste di essersi ispirata alla vita di sua figlia per le sue storie sugli adolescenti, il minimo che tu possa fare è prendere dignitosamente le distanze e affermare con forza il tuo diritto a raccontarti da sé. Ecco allora che quei ribaditi riferimenti personali del titolo (mio, me), oltre ad alludere alle parole della prima canzone che Rebecca, la giovane protagonista, compone con la sua girlband, sanciscono anche l’esigenza legittima del proprio diritto a raccontarsi in prima persona. È un tema originale e interessante, quello che l’autrice irlandese Anna Carey affronta in questo romanzo, un tema metaletterario, che va a sottolinea-

re l’inevitabile paradosso della letteratura per l’infanzia, nella quale è sempre un autore adulto a raccontare i ragazzi, anche se la prospettiva interna alla storia è spesso quella di un giovane protagonista (come del resto fa la stessa Carey). Questa esigenza della protagonista di autodefinirsi, opportunamente espressa in forma diaristica, fornisce un valore aggiunto al libro, già apprezzabile anche solo come divertentissimo diario di una ragazzina alle prese con la propria quotidianità. Rebecca

narra e al contempo costruisce la propria personalità, in una storia che coinvolgerà sicuramente ogni lettrice. La scuola, le compagne indisponenti, le amiche vere, la cotta per quel paperboy così carino che ogni venerdì sera passa a ritirare i soldi dei giornali, la passione per la batteria, realizzata nella creazione delle Hey Dollface, la band con cui Rebecca e le sue amiche affronteranno per la prima volta un pubblico di coetanei: tutto viene raccontato con differenti tonalità umorali, a seconda dei giorni, ma sempre con arguzia, humour e grandissima ironia. Il lupo e i sette capretti, a cura di Enza Crivelli, illustrazioni di Andrea Alemanno, Edizioni Uovonero. Da 3 anni

La celebre fiaba del lupo e dei sette capretti è l’ultima uscita nella collana

«Pesci Parlanti», dell’editore Uovonero, che già annovera Cappuccetto Rosso, Raperonzolo, Riccioli d’Oro, Giacomino e il fagiolo magico e I tre porcellini. Qual è la particolarità della collana? È quella di essere destinata in modo specifico ai bambini con difficoltà di lettura (il che non toglie che siano albi apprezzabili da tutti). Per i lettori che, per vari motivi, faticano a fruire dei libri, molti sono gli accorgimenti

pensati appositamente: ad esempio il particolare formato Sfogliafacile®, ideato da Uovonero per facilitare lo sfogliare delle pagine: grazie a una particolare sagomatura e alla robustezza del cartone, le pagine si riescono a girare agevolmente una dopo l’altra, anche se si ha una ridotta motricità fine. Inoltre la storia è raccontata su ogni pagina di destra con un’illustrazione a colori, mentre sulla rispettiva pagina di sinistra la narrazione avviene tramite i simboli PCS (Picture Communication Symbols), ossia immagini grafiche che rappresentano parole, frasi e concetti, allo scopo di rinforzare la comunicazione e la comprensione. I libri della collana sono curati da Enza Crivelli, pedagogista clinica e responsabile per l’autismo del Polo di Neuropsichiatria «Il Tubero» dell’Anffas di Crema.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 13 gennaio 2014 • N. 03

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Società e Territorio

Momenti biblici al Bigorio Tradizioni Da più di venticinque anni, alla vigilia dell’Epifania, i frati del Bigorio fanno rivivere la tradizione

dell’arrivo dei Re Magi. Una manifestazione preparata con grande cura, momento di festa e di spiritualità per grandi e piccini Peter Keller testo e foto «Gesù nacque a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode. Alcuni Magi giunsero da Oriente a Gerusalemme e domandavano: “Dov’è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella e siamo venuti per adorarlo”» (Vangelo di Matteo, II, 1-14). Il Vangelo di Matteo è l’unica fonte cristiana canonica che descrive questo episodio. Per molti storici si tratterebbe di una leggenda, il Magistero della Chiesa Cattolica ne sostiene invece la veridicità. Diverse sono anche le fonti sull’origine del nome dei Magi e sulla loro provenienza. Il brano evangelico, in effetti, non riporta nemmeno il loro numero. La tradizione popolare cristiana preferisce identificarli come tre saggi, sacerdoti o re, di nome Melchiorre, Baldassare e Gaspare che, provenienti dalla Persia e seguendo una stella, arrivano sul luogo di nascita di Gesù per portargli dei doni simbolici: l’oro, il dono riservato ai re, l’incenso, simbolo di adorazione alla divinità di Gesù, e la mirra, usata ai tempi nel culto dei morti, come simbolo per l’espiazione dei peccati attraverso la morte. Ancora oggi il culto dei Re Magi non è dimenticato e viene festeggiato in diverse parti del mondo il giorno dell’Epifania. In Ticino il 6 gennaio è un giorno festivo e in molti comuni del cantone vengono organizzate le tradizionali cavalcate dei Re Magi. Così anche al convento del Bigorio dove ogni anno, alla vigilia dell’Epifania, i frati cappuccini del Bigorio mettono in scena il tradizionale incontro con i Re Magi. E fino a quattrocento persone, tra cui molti bambini, sfidano le insidie del tempo invernale e salgono al convento per assistere alla cerimonia. Seguendo il copione del regista Pietro Aiani, gli interpreti recitano l’episodio biblico. Ci sono i pastori che accendono il fuoco sul sagrato attorno al quale si raduna il folto pubblico. Dal portale della chiesa esce Maria con il piccolo Gesù e saluta i presenti. Maria prende posto su una sedia posta in cima alla scala che collega la chiesa con il sagrato e due zampognari iniziano a suonare. Dal bosco arrivano i tre Re Magi guidati da un angelo vestito di bianco e portatore di una stella. Mentre i Re Magi attendono davanti al fuoco, l’angelo sale le scale per incontrare Maria e il piccolo Gesù. Dall’alto della scala l’angelo chiama uno a uno i tre Re Magi i quali salgono a loro volta per presentare i doni. Molto belli e tessuti appositamente per questa cerimonia sono i costumi. Mel-

chiorre, il più anziano, veste di rosso per simboleggiare amore e carità e dona l’oro. Baldassare porta un mantello verde, il colore della fede e delle forze vitali, e regala l’incenso. E Gaspare veste un

manto blu per simboleggiare la gioventù e porta al Bambino la preziosa mirra. Alla fine della cerimonia i Re Magi scendono di nuovo sul sagrato e, accompagnati dalle armoniose melodie delle cornamuse, donano ai bimbi presenti dolciumi e cioccolatini, simbolo di amore e dolcezza. L’incontro con i Re Magi al Bigorio risale a una antica tradizione. Come ci spiega Fra Roberto, già oltre sessanta anni fa per l’Epifania i bambini di Bigorio, con i loro visi anneriti dal carbone, salivano al convento recitando la nota filastrocca «Noi siamo i tre Re venuti dall’oriente...» in cambio di qualche biscotto. Da questa antica tradizione è nato un evento organizzato dai frati cappuccini, il quale si è man mano sviluppato fino alla odierna manifestazione. Quest’ultima esiste ormai da oltre venticinque anni e, per tradizione, si svolge ogni anno alla vigilia dell’Epifania. Sempre stando alle spiegazioni di Fra Roberto, i bellissimi costumi sono stati all’epoca appositamente voluti da

Marlis Loser e confezionati secondo suoi modelli. La famosa tessitrice e artista capriaschese Antonietta Airoldi ne ha prodotto i tessuti e i costumi sono stati cuciti dalla sarta Marilena Gianna Quarenghi di Cagiallo. Il successo conferma la qualità dell’evento. La cerimonia è molto apprezzata non solo dagli abitanti della Capriasca, ma anche da famiglie provenienti da tutto il Ticino e dalla vicina Italia, ogni anno più numerosi. I frati cappuccini offrono un bellissimo momento di festa e di spiritualità e trasmettono a grandi e piccini un segno di amore e di gioia. Tipico dello spirito francescano.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 13 gennaio 2014 • N. 03

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Società e Territorio Rubriche

L’altropologo di Cesare Poppi Uligani e teologi Fra i numerosi amici un po’ strani dell’Altropologo ce n’è uno che dice di aver visto il film Ben Hur almeno dodici volte perché continua a sperare che prima o poi la biga dei cavalli neri vinca la corsa ippica più famosa della storia del cinema… La passione di un tifoso va presa seriamente, e quella degli appassionati di corse di bighe non è da meno. O forse è il caso dire non è stata da meno. O così uno può immaginarsi abbia pensato l’Imperatore Giustiniano la mattina del 13 gennaio di 1482 anni fa. Dal podio sovrastante l’ippodromo ricavato nelle mura del suo palazzo, l’Imperatore assisteva con preoccupazione crescente al degenerare delle gare ippiche prima in tumulto e poi in aperta rivolta che sarebbe costata decine di migliaia di vittime e danni irreparabili alla città più grande del mondo allora conosciuto. In quel gennaio del 532 antichi nodi di natura sociale, culturale e politica erano venuti al pettine, protagonisti i partiti che si organizzavano attorno agli eventi sportivi e soprattutto attorno alle corse di bighe nel grande Ippodromo della capitale. Li

chiamavano i demi – fazioni di tifosi, quegli hooligans che mia cognata ha italianizzato in un eloquente – converrete – «uligani». Ai tempi di Giustiniano le fazioni erano ancora quattro: Verdi, Blu, Rossi e Bianchi, per quanto ormai le fazioni dei Rossi e dei Bianchi fossero state assorbite dai Verdi e dai Blu rispettivamente. L’appartenenza alle contrapposte tifoserie era trasversale non solo alla classe dirigente dell’Impero. Se Giustiniano era per i Blu, molti dei suoi oppositori interni alla corte erano per i Verdi. Nel Quinto e Sesto secolo, inoltre, le tifoserie erano anche attive nel sostenere questa o quella posizione in campo teologico. Già il grande Cassiodoro, segretario di Teodorico, aveva scritto con sconcerto di come al mercato di Costantinopoli scoppiassero gigantesche risse su questioni teologiche attorno alle quali le tifoserie prendevano posizioni opposte. Nel V e nel VI secolo – e negli anni dunque di cui ci occupiamo – i Verdi erano sostenitori del Monofisismo. Secondo questa dottrina Cristo non avrebbe avuto due nature – l’umana e la divina – compresenti nella sua persona – ma sarebbe

stato di natura puramente divina. Cosa questo c’entrasse con le corse delle bighe non sta a questa rubrica decifrare: ad ogni epoca le sue peculiarità. Tant’è che per due lunghi secoli le dispute teologiche avrebbero minacciato l’unità dell’impero a colpi di sottili e dottissime argomentazioni teologiche sostenute da insulti, scomuniche, pugni, calci e via escalando… In questo clima non sorprende come le gare equestri fossero spesso l’occasione per il manifestarsi del dissenso politico a sostegno di questa o quella richiesta fomentata dai politici attraverso le fazioni dei Verdi e dei Blu. Nella fattispecie: nel 531 alcuni membri delle due fazioni erano stati arrestati e condannati a morte per aver causato risse con risultati letali durante alcune gare. Già una buona parte delle condanne erano state eseguite, ma il 10 gennaio del 532 due dei morituri erano riusciti a fuggire – un Blu e un Verde – e si erano rifugiati in una chiesa. Subito una folla minacciosa aveva circondato l’edificio – i Verdi per linciare il Blu, i Blu per linciare il Verde. Giustiniano non sapeva che pesci prendere. Stava a fatica

negoziando una tregua coi Persiani per mettere fine ad una serie di guerre devastanti che lo avevano obbligato ad alzare le tasse. La pace gli sarebbe probabilmente venuta a costare un tot da pagare imponendo ancora nuove tasse ad una popolazione già esasperata. E ora anche questa grana: la capitale in fermento e sull’orlo della rivolta. Che fare? Panem et Circenses: la vecchia e collaudata arma degli imperatori in difficoltà. Giustiniano annunciò di aver commutato la sentenza capitale in reclusione e indisse una grande corsa di bighe per il 13 gennaio. Ma la folla non ci stava: bene le corse, ma i due «uligai» dovevano essere liberati. E così, in quella fatale mattina, Verdi e Blu trovarono una rara occasione di solidarietà: dopo ben ventidue gare nelle quali le opposte fazioni si erano cantate addosso «Blu!» e «Verde!» improvvisamente cambiarono gli inni in un «Nika!» («Vinci! Vittoria!») sempre più minaccioso. Sfondati i cancelli dell’Ippodromo la folla aveva preso d’assedio il Palazzo Imperiale. Alcuni senatori ostili a Giustiniano videro una chance per far valere le loro ragioni. Non contenti di

aver mandato pesanti richieste all’Imperatore, giunsero addirittura a nominarne uno alternativo nella persona di Ipazio, nipote dell’ex imperatore Anastasio I. Ipazio era, naturalmente, tifoso dei Verdi. Portato trionfalmente in Ippodromo dai suoi supporters, Ipazio stava per essere incoronato quando Narsete, un generale eunuco che godeva di grande popolarità, entrò nell’Ippodromo solo e disarmato. Recapitava una borsa piena d’oro ai capipopolo dei Blu: «Davvero» – pare sia bastato dire – «Davvero sareste disposti a farvi governare da un Imperatore Verde!?». Non ci volle altro: i Blu presero i soldi, li distribuirono e poco dopo abbandonarono l’Ippodromo in massa. Poi fu la volta delle truppe fedeli a Giustiniano: irruppero nell’arena e fu una strage. Nella rivolta che seguì gran parte di Costantinopoli venne distrutta, compresa la grande cattedrale di Santa Sofia. Si calcola che vi fossero almeno trentamila morti. Morale? La prossima volta che sentirete gridare «Arbitro cornuto!» alla partita Morbegno vs. Gandria ricordatevi del 13 gennaio 532, Costantinopoli: Verdi vs. Blu.

elementare, un periodo di tranquillità emotiva che ogni società sfrutta per acculturare i suoi membri. Il problema sorge quando, come nel vostro caso, il figlio riesce, almeno simbolicamente, a realizzare i desideri inconsci sino a scacciare il padre e a prenderne il posto nel letto coniugale. In tal modo viene meno un fondamentale incentivo a crescere, quello di trovare fuori dalle mura domestiche, a tempo debito, il proprio partner. Perché mai Fabio dovrebbe diventare grande se si è già «sistemato» da piccolo? Considero questa situazione un «incesto» leggero, soft, apparentemente innocuo ma in realtà capace di invischiare le relazioni familiari. Se suo marito si sposta nella stanza del figlio significa che ha abdicato al ruolo paterno, che si è collocato su una linea orizzontale, da coetaneo, invece che su una posizione verticale, da padre autorevole.

Nella mia lunga esperienza, ho sentito molti genitori dichiarare «sono il miglior amico di mio figlio» ma non ho mai sentito un figlio dire «sono il miglior amico di mio padre». Eppure l’amicizia è reciproca o non è. Come avrà già capito, consiglio a suo marito di riprendere la posizione che gli compete: accanto a sua moglie. L’organizzazione delle stanze non è arbitraria né casuale. Tradizionalmente camera matrimoniale rappresenta l’unico spazio in cui si svolge la sessualità legittima, quella coniugale. Non a caso un tempo si educavano i figli a chiedere «permesso» prima di entrare. Ora invece le camerette accolgono le esperienze sessuali degli adolescenti depurandole dalle componenti di trasgressione e di segreto che le caratterizzavano un tempo. Indubbiamente l’amore a domicilio protegge ragazze e ragazzi da molti pericoli ma al tempo stesso conferma il loro essere

figli a scapito dei processi di emancipazione. È significativo che l’età della convivenza e del matrimonio si spostino sempre più il là e che si parli sovente di «bamboccioni». Inutile negarlo: se Fabio continua a ottenere le gratificazioni che pretende, è sulla buona via per diventare un bamboccione. Urge provvedere in tempo, a costo di affrontare le sue proteste e la sua insonnia. Le limitazioni e i divieti, se posti in modo giusto e al momento opportuno, non sono sbarre che negano la libertà ma confini che consentono di superare l’onnipotenza che condanna chi «vuole tutto» a non ottenere niente.

culturali: il disprezzo per la televisione. Che, in seguito, doveva attenuarsi quando la «cattiva maestra», strada facendo, cominciò a chiedere il contributo degli esponenti della cultura e diventò un’attraente datrice di lavoro e un trampolino di lancio per giornalisti, scrittori, artisti, scienziati d’ogni categoria. Comparire sul video rappresenta, ormai, una necessità professionale, una consacrazione dagli effetti socialmente utili. Anche se il vecchio disprezzo per una forma di attività e d’espressione, ritenuta inferiore, ha lasciato qualche traccia, che qua e là riemerge. Come, appunto, nel caso della Bignardi che dovendo esercitare la mansione tipicamente televisiva di conduttrice e intervistatrice sul video, si trova alle prese con una contraddizione ancora più imbarazzante rispetto a quella culturale, che si gioca

sul piano professionale. E apre interrogativi d’ordine pratico e anche morale. Come si può fare televisione, senz’aggiornarsi per conoscere i modi, gli stili, le tecniche, che hanno corso attualmente? Per vedere quel che fanno gli altri, confrontarsi con loro, evitare i loro difetti, privilegiare le loro virtù? Si tratta, in definitiva, di appropriarsi di quelli che, un tempo, si chiamavano i ferri del mestiere. Più di altri, questo è un mestiere che s’impara facendolo e, rubandolo, come si usa dire, a chi lo fa meglio. Senza parlare, infine, del risvolto morale di questo disprezzo: sparlare della tv, che ti fa campare, è sputare nel piatto da cui si mangia. È un atteggiamento senza frontiere. Partito addirittura dagli USA, dove John Condry, più di mezzo secolo fa, definì la tv «Ladra di tempo e serva infedele» e che si ritrova anche alle no-

stre latitudini, in un Ticino dove la Rsi è una datrice di lavoro ambita. Proprio fra le schiere dei suoi collaboratori serpeggia questo curioso spirito d’autosufficienza. Capita d’incontrare giornalisti che, impiegati stabilmente alla radio, confessano di non seguirne mai le trasmissioni, e addetti ai lavori televisivi che non hanno l’apparecchio in casa. Mentre, in ambiti se si vuole culturalmente più impegnativi, quali la musica e l’arte, ecco insegnanti di conservatorio che non frequentano concerti e pittori che non visitano mostre. O ancora, e qui il discorso mi tocca da vicino, giornalisti che non comprano regolarmente i quotidiani e quindi non li leggono. Come spiegare quest’ossimoro professionale? Una forma di supponenza, il timore di uscire sconfitti da un confronto o forse, peggio ancora, pigrizia mentale?

La stanza del dialogo di Silvia Vegetti Finzi A dodici anni dorme nel lettone Cara Silvia, non sappiamo come fare a convincere nostro figlio Fabio a dormire nel suo letto. Quando era piccolo lo portavo nel lettone per calmarlo quando aveva la febbre o gli incubi ma poi è diventata una abitudine. Adesso, che ha dodici anni, va ancora a dormire solo se può infilarsi sotto le nostre lenzuola. Noi aspettiamo che si addormenti profondamente e poi lo spostiamo di peso nella sua cameretta. Ma il ragazzo cresce e tra poco non ce la faremo più. Non riusciamo a convincerlo con le buone e, se lo sfrattiamo con le cattive, resta sveglio tutta la notte. Mio marito sarebbe disposto, per quieto vivere, a dormire lui nel letto di Fabio ma io mi chiedo se è giusto. Lei che cosa ne pensa? Grazie. / Lidia Cara Lidia, avevamo già trattato questo tema in una lettera pubblicata nel settembre scorso. Ma lei lo ripropone con urgenza e penso

valga la pena di riprenderlo perché la questione è più complessa di quanto sembri. Sono del parere che le posizioni che ciascuno occupa nello spazio domestico rappresentino, come su una scacchiera, le relazioni che intrattengono i familiari tra di loro. La geometria della famiglia riflette la geometria della mente e viceversa. Pretendendo di infilarsi nel vostro letto e di installarsi al posto del padre, Fabio rivela il desiderio inconscio di sostituirlo e di diventare lui il partner della mamma. È una fantasia che tutti i bambini elaborano nella prima infanzia e, come tale, è perfettamente normale. Si chiama complesso di Edipo in riferimento a un mito dell’antica Grecia, dove il re Edipo inconsapevolmente uccide il padre e sposa la madre. Tutti i bambini sono stati «piccoli Edipo» ma quell’assurda pretesa dovrebbe tramontare alla fine dell’infanzia per lasciare il posto alla età di latenza, corrispondente alla scuola

Indirizzo Inviate le vostre domande o riflessioni a Silvia Vegetti Finzi, scrivendo a: La Stanza del dialogo, Azione, Via Pretorio 11, 6901 Lugano; oppure a lastanzadeldialogo@azione.ch

Mode e modi di Luciana Caglio «Faccio tv ma non la guardo» La battuta è proprio un bel esempio di ossimoro, per usare il termine scientifico che significa l’accoppiamento di due concetti contrari, che logicamente, non possono convivere, al pari di luce buia o silenzio rumoroso. Ma non è così per Daria Bignardi: «conduttrice televisiva che non apre il televisore», come ha dichiarato annunciando la ripresa del suo programma Le invasioni barbariche, in onda su La 7. Anticipando le reazioni che avrebbe suscitato, furbescamente si è premunita, definendosi, lei stessa, una snob, ma una snob particolare, cresciuta in un ambiente, tutto libri e buone letture, al riparo insomma dalle volgari contaminazioni veicolate dal piccolo schermo. Alle cui lusinghe, però, Daria doveva poi cedere, ricavandone larga notorietà e alte retribuzioni. Tuttavia, mantenendone sempre le dovute distanze.

Qui, appunto, sta una contraddizione che si presenta con sfaccettature diverse. A cominciare da quella storicoideologica. Denunciare le colpe del video, rendendolo responsabile di diseducazione, ignoranza, violenza non è certo una novità. Richiama piuttosto alla memoria tempi andati, quando, agli inizi degli anni 80, il pamphlet di Karl Popper Cattiva maestra televisione diventò una sorta di vademecum educativo tanto da indurre sia pure una minoranza di genitori a mettere al bando quel temibile elettrodomestico. E prima ancora, nel 1961, era uscito il commento di Umberto Eco Fenomenologia di Mike Bongiorno, dove il semiologo analizzava il trionfo dell’ignoranza cui proprio il piccolo schermo offriva uno spazio privilegiato. E con ciò Eco esprimeva un pensiero allora dominante in ambienti


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 13 gennaio 2014 • N. 03

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Ambiente e Benessere Paleobiologia Il patrimonio racchiuso nell’ambra risale fino a 35-40 milioni di anni or sono

Carnet di un viaggio avventuroso Immagini e racconto da una spedizione scientifica in Madagascar, in una delle aree più difficili da visitare al mondo pagine 16-17

Fusion Hybrid Un significativo progresso nella ricerca, per portare in un futuro in piena sicurezza la mobilità sostenibile

L’importanza dei veterinari Per il bene dei nostri animali è necessario delegare diagnosi e relative terapie a chi di dovere

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L’impianto di termovalorizzazione di Giubiasco. (Elia Stampanoni)

Non solo bruciare, ma valorizzare i rifiuti Ecosostenibilità Alcuni lo chiamano ecomostro, altri inceneritore, ma il termine corretto

è termovalorizzatore, ecco perché Elia Stampanoni La fumata bianca del camino nelle fredde mattine e l’andirivieni di automezzi carichi di rifiuti sono gli indizi che portano al termovalorizzatore di Giubiasco, un impianto all’avanguardia, dove è oggi possibile smaltire in modo ecosostenibile i rifiuti prodotti in Ticino e nel Moesano. Il termine inceneritore è invece obsoleto, dato che la Confederazione impone dei sistemi di smaltimento che garantiscano il recupero del calore generato dalla combustione, mandando in pensione tutti i vecchi impianti, ormai abbandonati per dare spazio ai moderni termovalorizzatori che, oltre a bruciare rifiuti, producono energia. Grazie alla combustione, a Giubiasco si producono oggi 100 milioni di chilowattora, un dato che dice molto, dal momento che è un risultato sicuramente notevole se pensiamo che un frigorifero necessita di un solo chilowattora per funzionare circa due giorni. Il sistema è molto semplice e paragonabile a una caldaia, dove sono però i rifiuti ad alimentare il fuoco. Il vapore generato, che raggiunge i 400°C, attiva la turbina, mentre i fumi vengono depurati attraverso sofisticati sistemi (elettrofiltri, torre di lavaggio,…). L’impianto fun-

ziona in continuazione per smaltire al meglio i rifiuti raccolti, come ci spiega Paolo Selldorf, responsabile del settore comunicazione e sensibilizzazione dell’Azienda cantonale dei rifiuti (Acr): «L’impianto è stato dimensionato per i rifiuti prodotti in Ticino e nel Moesano, tenendo conto della qualità e della composizione di quanto viene raccolto nelle economie domestiche, nelle industrie o nei commerci». Non c’è dunque spazio in Ticino per i rifiuti esteri, come alcuni sostengono? Sembra proprio di no, dato che il termovalorizzatore di Giubiasco funziona già a pieno regime con i quantitativi raccolti entro il suo raggio d’azione, Ticino e Moesano. Va segnalato che il Cantone ha introdotto alla fine del 2008 un nuovo articolo nel Regolamento cantonale di applicazione dell’Ordinanza tecnica sui rifiuti (Rotr), con il quale impone di fatto, a enti pubblici o a privati, l’obbligo di consegna all’Acr di tutti i rifiuti urbani non riciclabili, quelli ad essi assimilabili, nonché quelli artigianali e industriali comparabili per genere a quelli urbani. Ricordiamo che Acr ha inoltre siglato un accordo con il Comune di Giubiasco con cui si è impegnato a trattare unicamente i rifiuti della regione citata.

L’impianto smaltisce oggi circa 155mila tonnellate di rifiuti all’anno, ben oltre i calcoli iniziali che stimavano una produzione di 140mila tonnellate. Un incremento dovuto soprattuto al boom edilizio in corso e alla continua crescita demografica, a cui si contrappone solo in parte l’aumento delle raccolte separate. Un ambito di cui si occupa pure l’Acr, promuovendo la gestione integrata dei rifiuti (prevenire, riutilizzare, riciclare) spingendosi ben oltre il semplice smaltimento, come ci tiene a sottolineare Paolo Selldorf: «Per noi è importante che si riducano i rifiuti prodotti, diminuendo per esempio gli imballaggi inutili e scegliendo materiali riutilizzabili. È altresì necessario aumentare la percentuale di raccolte separate, dato che anche noi notiamo come nei sacchi della spazzatura finiscano ancora troppi materiali riciclabili, come carta e cartone o vetro». Ma non c’è il rischio, incitando la raccolta separata, il risparmio e il riutilizzo, di ritrovarsi senza rifiuti? Anche in questo caso la risposta sembra essere negativa, dato che sono comunque molti quelli immessi ogni giorno nel mercato e che non possono essere riciclati o smaltiti in altro modo. Pensiamo per esempio alle plastiche sporche, ai

materiali misti o agli altri scarti non riciclabili, che devono per forza finire nei forni del termovalorizzatore e per il quale esso è stato concepito. L’Acr, con la gestione integrata dei rifiuti, sostiene dunque un comportamento che, oltre a valorizzare preziose risorse e contribuire alla salvaguardia ambientale, garantisce pure il miglior funzionamento del termovalorizzatore. Un rendimento che l’azienda ha saputo perfezionare con il teleriscaldamento (un sistema di cogenerazione energetica) che permette oggi di recuperare parte del calore prodotto dalla combustione. Quanto non sfruttato per la generazione elettrica viene utilizzato per scaldare acqua calda, che a sua volta viene poi distribuita sul territorio, da Cadenazzo fino a Bellinzona. Grazie a quest’impianto la Teris (società nata dalla collaborazione tra Azienda cantonale dei rifiuti, Azienda elettrica ticinese e il Comune di Giubiasco) riesce a trasportare il calore, valorizzando l’energia prodotta dalla termovalorizzazione dei rifiuti. I lavori, iniziati nel 2010 e attualmente in pieno svolgimento, permetteranno di approvvigionare d’energia l’equivalente di 2500 economie domestiche. Per ora la rete fornisce soprattut-

to i grossi edifici, come per esempio alcune serre agricole oppure gli edifici Migros di San Antonino, che hanno così potuto abbandonare il gasolio. «Verso nord sono previsti, nel giro di cinque anni, 15 chilometri di condotte, verso sud cinque, quasi ultimati. Il calore prodotto e distribuito permetterà di sostituire gli impianti di combustione tradizionale», ci indica Andrea Fabiano, direttore della Teris. Un piccolo passo verso un’energia più pulita e locale, dato che questa prodotta a Giubiasco è definita rinnovabile al 50 per cento. Ma i servizi dell’Acr sono pure a favore della gestione integrata. Oltre ad occuparsi di smaltire nel modo corretto gli scarti domestici o industriali, l’Acr si occupa pure di ritirare tutti i rifiuti speciali delle economie domestiche, come i prodotti chimici, recuperati su tutto il territorio grazie all’unità mobile, che regolarmente transita nei vari Comuni. Altro compito dell’Acr è l’informazione e la sensibilizzazione della popolazione e delle scuole, obiettivo raggiunto per esempio tramite il sentiero del riciclo, la mostra Modus riciclandi oppure con le visite al termovalorizzatore, sempre possibili e gratuite, e che ogni anno attirano a Giubiasco circa duemila visitatori.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 13 gennaio 2014 • N. 03

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Ambiente e Benessere

Un recipiente… con la valvola di sicurezza Curiosamente non ho mai parlato su «Azione» della pentola a pressione. La uso spesso, come fanno molti di voi. Ma non tutti. In Italia la «penetrazione» – che poi non è altro se non percentuale delle famiglie che la posseggono – della pentola a pressione è bassa, molto bassa; in Svizzera invece il suo impiego è più comune. Tuttavia anche qui la nuova generazione sta iniziando a evitarla. Per i produttori e chi le vende il motivo è che le persone ne hanno paura, temono che possano «esplodere» in cottura. Un timore che però non trova riscontri reali, tanto da apparire quindi irrazionale: un amico medico che lavoro nel reparto del pronto soccorso in un grande ospedale di Milano, tempo fa, mi disse di non aver mai visto arrivare qualcuno con danni da pentola a pressione – mentre i danni da coltelli sono più che quotidiani…; ciononostante la paura resta, anche perché l’essere umano non è del tutto razionale. A me l’unica cosa che non piace della pentola a pressione è di non vedere il cibo mentre cuoce - e io sono certo che il cibo ama essere guardato e accudito mentre viene cucinato: mi rendo comunque conto che è poca cosa, e infatti la uso abbastanza spesso. La pentola a pressione è stata inventata prima di quanto si pensi, ovvero alla fine del Seicento. Il padre di questa invenzione è Denis Papin, un fisico francese, apostolo delle macchine a vapore. La prima pentola fu chiamata digesteur, era dotata di una valvola di sicurezza e fu descritta nell’opera La manière d’amolir les os et de faire cuire toutes sortes de viandes en fort peu de temps (1682, Papin). Essa si impose lentamente, prima nell’industria ovviamente, poi nelle mega-mense e infine anche nelle famiglie. La pentola a pressione è una pentola cilindrica dotata di coperchio a chiusura ermetica «a baionetta» – o al-

tri tipi di chiusura sempre ermetica – che permette una rapida cottura degli alimenti. Il fondo della pentola è molto spesso: ciò assicura una distribuzione uniforme del calore e diminuisce il rischio che i cibi si attacchino. Il coperchio è munito di una valvola di regolazione del vapore che mantiene costante la pressione all’interno, per evitare ogni rischio di esplosione, e di una seconda valvola di sicurezza che interviene in caso di blocco della prima. Grazie all’alta temperatura che si genera all’interno della pentola, più elevata di quella di ebollizione dell’acqua (dai 112 ai 125°), i tempi di cottura si dimezzano, direi con sorprendente precisione: tenetene conto quando la usate le prime volte. Il cibo posto nella pentola viene coperto con il liquido di cottura fino a un massimo di due terzi dell’altezza oppure lo stesso viene collocato in appositi cestelli in rete metallica – in uno solo oppure anche di più – simili ai classici cestelli cinesi di bambù, o in alternativa il cibo viene anche messo in un contenitore forato simile a un colapasta munito di piedini che consente di cuocere a vapore, con pochissima acqua. Quando viene raggiunta la pressione adeguata, la valvola di scarico fischia; si prosegue allora con la cottura a fiamma molto bassa per un tempo variabile in base all’alimento e alla quantità. Prima di aprire la pentola è necessario far uscire completamente il vapore contenuto all’interno, azionando l’apposita valvola oppure lasciando raffreddare la pentola. Io la uso, come tutti, per il lesso, per brasati e stufati, per gli amati legumi e per una manciata di altri piatti. Pur amando le cotture lente e dolci, trovo che per questi ingredienti la qualità non degrada. Amici esperti cucinano anche il risotto nella pentola a pressione, non per risparmio di tempo ma perché dicono che viene più buono. Io però non l’ho mai fatto.

CSF (come si fa)

Ann@74

Allan Bay

Gilmoth

Gastronomia Molti temono senza buone ragioni l’impiego delle pentole a pressione in cucina

È ben raro che di una preparazione si conoscano anno di messa a punto (ma si può usare anche il termine invenzione, anche se non ho mai capito quanto sia corretto dire che un piatto è stato inventato, dato che sono tutti elaborazioni di piatti precedenti), dove è avvenuta questa messa a punto e chi ne è stato il padre. Questa è una regola più che generale, sempre valida.

Però, come in tutte le regole, c’è qualche eccezione. Rarissima, ma c’è. Una di queste poche è la torta paradiso. Di questo meraviglioso dolce si sa quasi tutto. L’inventore fu il pasticcere Enrico Vigoni, il luogo Pavia e l’anno il 1878. Il nome della torta sembra che venga dall’esclamazione entusiastica di uno dei primi clienti: non so quanto sia vero, ma comunque un po’ di leggenda non fa mai male. È una torta buonissima che rimane fresca per molto tempo. L’unica cosa che non si sa è la ricetta originale esatta. È un segreto che, morto Vigoni, le due figlie cercarono di mantenere – ma non ci riuscirono o ci riuscirono solo in parte. Quindi questa è la ricetta (non integralmente originale) o per meglio dire, è l’elaborazione fatta da chi ha cercato di riprodurla.

Per 6/8 persone. Fate ammorbidire 200 g di burro a temperatura ambiente poi lavoratelo in una ciotola con le fruste elettriche finché sarà soffice e ben montato. Unite 200 g di zucchero a velo, sempre sbattendo con le fruste fino a ottenere un composto traslucido. Unite la scorza grattugiata di 1 limone, 3 tuorli e 2 uova, aggiungendone uno alla volta, senza unire il successivo se il precedente non si sarà ben amalgamato. Per ultimo, mescolando con delicatezza, versate a pioggia 100 g di farina e 100 g di fecola setacciate insieme. Versate il composto in uno stampo ad anello apribile dai bordi alti, imburrato e infarinato, e cuocete in forno a 180° per circa 45’. Sformate la torta e fatela raffreddare su una gratella. Servitela cosparsa di zucchero al velo.

Ballando coi gusti

Manuela Vanni

Manuela Vanni

Oggi, un semplice tortino di carciofi e una altrettanto semplice zuppa di cipolle, qui proposta in una versione non troppo classica.

Tortino di carciofi

Zuppa di cipolle al Gruyère

Ingredienti per 4 persone: 3 carciofi · 1 limone · 1 grossa cipolla · 6 uova · 80 g di grana grattugiato · latte · olio extravergine di oliva · sale e pepe.

Ingredienti per 4 persone: 500 g di cipolle bianche · 40 g di roux chiaro · 100 g

Pelate la cipolla e tagliatela a rondelle sottili. Mondate i carciofi, tagliateli a listarelle, anche il gambo pelato, metteteli in una boule colma d’acqua acidulata con il succo del limone. Scaldate 1 filo d’olio nella pentola, unite la cipolla e i carciofi, ben sgocciolati, e rosolate per 2’, mescolando. Bagnate con poca acqua e cuocete per 15’, regolate di sale. Sbattete le uova con il formaggio, poco latte, 1 presa di sale e 1 di pepe. Unite i carciofi e le cipolle e mescolate. Trasferite il composto in un contenitore di alluminio oliato e cuocete per 20 minuti, o poco più, in forno a 180°, avendo l’accortezza di mettervi di fianco anche una ciotola colma di acqua bollente. Per colorirlo un po’, alla fine, passatelo in forno sotto al grill per 2’.

Mondate, pelate e affettate le cipolle. Fate fondere 1 noce di burro in una casseruola. Unite le cipolle e fatele dorare mescolando con un cucchiaio di legno per 10’. Unite il roux, mescolate e dopo pochi minuti, coprite a filo con il brodo bollente, circa 1 litro, e cuocete per 30’, aggiungendo altro brodo bollente se necessario. Regolate di sale. Tostate il pane, tagliatelo a quadrotti, metteteli in 4 cocottine individuali e versate sopra la zuppa; profumate con 1 pizzico di pepe e passatele sotto il grill per 3’. Arricchite con il Gruyère tagliato a julienne e servite.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 13 gennaio 2014 • N. 03

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Ambiente e Benessere

I dolci nel quotidiano Bacco a tavola Dalla piccola pasticceria del XVI secolo alla ricchezza di oggi,

Davide Comoli Degli ingredienti usati spesso nelle preparazioni di cucina, molti sono quelli che compongono i dolci. Le tecniche di manipolazione e trasformazione affinate dall’uomo nei secoli ci hanno portato, sia pure con un impiego tecnologico più o meno elevato e l’utilizzo di un’ampia gamma di prodotti semilavorati, a delle vere e proprie creazioni.

I dolci possono essere classificati in tre grandi gruppi: quelli da forno, quelli al cucchiaio, e i dolci freddi Se una volta queste realizzazioni originali trovavano un collocamento particolare nel solennizzare eventi disparati: nascite, anniversari, feste di paese, eccetera, oggi il benessere raggiunto dai Paesi più industrializzati ha permesso una rapida evoluzione delle consuetudini alimentari, diffondendo il consumo dei dolci nel quotidiano. La storia dei dolci inizia, come quella del pane, lontano nel tempo. La convinzione che un dessert sia esclusivamente una portata dal sapore dolce è piuttosto recente. Oggi il concetto di armoniosità dei

sapori di un dolce è ben lontano da quello greco e romano. Anticamente non si faceva distinzione tra portate dolci e salate; con disinvoltura si mescolavano i sapori. Analizzando il ricettario di Apicio (I secolo d.C.) abbiamo notato che le preparazioni a base di aceto sono circa il 46 per cento, quelle a base di miele, succo di frutta o frutta secca sono il 64 per cento. Anche in alcune liste di vivande compilate alla corte dei Duchi di Ferrara nel XVI secolo, i piatti dolci e agrodolci venivano inseriti nel corso di tutto il pasto. A quell’epoca non era raro che il pasto cominciasse con marmellate, piccola pasticceria a base di mandorle, nocciole, pinoli o piccole offelle di marzapane. Una grande svolta nelle preparazioni dolciarie fu data dalla progressiva adozione dello zucchero, mentre in precedenza il potere dolcificante era affidato al miele, alle uova negli impasti con la farina e più tardi al cacao e ai suoi derivati. Questi ultimi elementi uniti al patrimonio già acquisito, ci introdussero a elaborati di pasticceria per noi più consueti. Tra XVII e XVIII secolo, tra i nobili era in voga la moda di rinchiudere in convento le figlie recalcitranti al matrimonio e le mogli infedeli. Era una soluzione adottata da padri e mariti disperati, con la speranza che le preghiere riportassero a sentimenti migliori le loro care.

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passando dall’industria della redenzione (prima parte)

glassati con zucchero, conosciuti ancora oggi con il nome di sfogliatine. Le Visitandines, fondate dalla nonna della marchesa di Sevigné, proponevano invece delle barchette di sfoglia con le mandorle, le Ursulines delle tartellette con crema pasticciera, ma la lista delle buone cose create dalle religiose è ancora lunga. Possiamo classificare i dolci in tre grandi gruppi. Il primo è quello della

Questa industria della redenzione, portò ottimi guadagni a questi pii luoghi che funzionavano come degli alberghi, soprattutto a Parigi, dove le recluse tenevano salotti mondani e le monache fornivano la materia prima per gli spuntini offerti dalle penitenti. Tra i gaudenti dell’epoca girava così una virtuale guida con i migliori indirizzi, il convento delle Feuillantines era famoso per i suoi petits-four

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pasticceria da forno, che si appoggia su una serie di impasti diversi e straordinari a base di farina, zucchero e altri ingredienti come burro, uova, latte e aromi. Questo insieme, a sua volta, si divide in: pasta lievitata (panettone, croissant, eccetera) e pasta non lievitata. Alla pasticceria da forno appartengono una vasta gamma di dolci, la pasta sfoglia, utilizzata per preparazioni dolci e salate, la pasta phillo (o filo) e la pasta di brik: sono due paste sottili, molto simili, entrambe hanno un sapore neutro e tempi di cottura molto ridotti, possono essere usate per preparazioni al forno o fritte. Il pan di Spagna, molto soffice, e ottenuto con un elevato numero di uova intere e albumi, si usa di solito tagliato in due strati, talvolta aromatizzato con liquori e farcito con crema e cioccolato come base di molti dolci. Inoltre, esistono la pasta frolla, preparata con una buona quantità di burro, la pasta choux, utilizzata per i bigné, e la pasta brisé (neutra, dolce o salata) usata per torte alla frutta o farcite con crema. Senza dimenticare, infine, la pasta di mandorle, le meringhe e i vari dolci fritti e farciti in modo diverso come i bomboloni. Nel prossimo numero di «Bacco a tavola» vi parleremo del secondo e del terzo gruppo, e per finire vi saranno dati i consigli sugli abbinamenti vinodolce più azzeccati.

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Ambiente e Benessere

L’ambra, una dorata finestra sul passato Paleobiologia Nelle resine che il Baltico ci restituisce con generosità si trovano insetti risalenti a 40 milioni di anni fa Alessandro Focarile L’ambra è la resina fossilizzata di una conifera oggi estinta: il Pinites succinifera, albero simile alle araucarie attualmente note dell’Australia, Oceania e Sud America. Il Pinites, molto generoso produttore di resina, era un albero che popolava la vastissima foresta subtropicale e tropicale esistente 35-40 milioni di anni or sono (nell’Eocene) nell’attuale Eurasia e Nord America. I maggiori giacimenti di ambra sono quelli depositati, fin da epoca storica, sulle coste dell’attuale Mare Baltico dalla Lettonia alla Danimarca, con epicentro nella ex Prussia, attualmente enclave russa. Un maestoso fiume, largo diversi chilometri, sfociava su quei litorali. Galleggiando, l’ambra era convogliata depositandosi in considerevoli quantitativi durante le ere geologiche fino ai nostri giorni. È stato calcolato che, in epoca storica dopo l’anno Mille, ne siano state estratte dai fondali sabbiosi ben 60mila tonnellate, facendo la fortuna economica di quelle contrade boreali. Fortuna che ha avuto inizio grazie ai Fenici, grandi navigatori e trafficanti, che giungevano dal Mediterraneo fino al Mare del Nord e al Baltico. A questi efficienti veicolatori di merci, si aggiungevano le carovane di mercanti che agivano via terra attraverso l’Europa centrale fino all’Egitto dei faraoni. Frequentando i nostri boschi di conifere, specialmente di abeti e di pini, si può osservare sui tronchi incisi o scortecciati, colaticci di resina che inglobano frustoli, foglie e, molto spesso, anche formiche, moscerini e coleotteri. Possiamo osservare oggi ciò che avveniva con simili modalità durante milioni di anni, nelle foreste di Pinites. L’ambra testimonia l’esistenza di ambienti forestali paragonabili a quelli attuali; la stessa grande varietà di microambienti popolati da una notevole biodiversità di micro-fauna: ragni, millepiedi, isopodi, insetti. Una «vita» straordinariamente ben conservata che è giunta fino a noi. Una documentazione preziosa così vasta da fornirci, in visione tridimensionale, un quadro affascinante e dettagliato degli ambienti, degli eventi che si sono originati e della diversità biologica risalenti a parecchi milioni di anni or sono. Nella sola ambra del Baltico sono state scoperte circa 235 famiglie di insetti, rappresentate da migliaia di specie differenti, offrendo un quadro dettagliato e composito della vita animale e vegetale, che caratterizzava caldi e umidi ambienti tropicali in luoghi ove oggi regna il gelo durante lunghi mesi. Anche in quel lontano passato, l’ambiente forestale era popolato, tra l’altro, da una ricca e multiforme fauna di minuti esseri: insetti e altri invertebrati. Durante i loro spostamenti, in volo e a terra, restavano in parte intrappolati nella resina che colava dagli alberi, e sono giunti fino a noi mirabilmente conservati e riconoscibili, spesso rivelando i loro più minuti particolari morfologici. Grazie ad approfondite ricerche, iniziatesi oltre duecento anni or sono, conosciamo un ricco contingente faunistico, soprattutto insetti e persino

qualche vertebrato (lucertole) e resti vegetali. Grazie a queste indagini è stato possibile ricostruire le condizioni ambientali regnanti nel lontano passato. L’ecosistema forestale è un’espressione vitale di notevole complessità, a maggior ragione quando la copertura boschiva si estende su vastissime superfici. L’infinita varietà di situazioni locali, legate alla topografia (altitudine, esposizione), all’idrografia (presenza di acque correnti e stagnanti) e alla vegetazione (muschi, licheni, felci, erbe, arbusti e alberi di differenti altezze, liane) è all’origine di un popolamento molto composito e complesso, che tende a occupare tutte le nicchie ecologiche potenzialmente presenti nel bosco. Le inclusioni nell’ambra sono le immagini fedeli, giunte fino a noi, di quanto e in quale misura doveva popolare la foresta eocenica del Baltico. Basti pensare alle grandi potenzialità e varietà biologiche presenti su un singolo albero: sulle chiome (a quell’epoca gli alberi alti 50 e più metri erano la regola), nel legno del tronco e dei rami, sotto le cortecce, sui fiori e sulle foglie, nei muschi e nei licheni sul tronco e alla sua base, nella lettiera di fogliame. Una folla di consumatori e riduttori primari della materia vegetale, di predatori, di parassiti e parassitoidi. Tutti organismi deputati a comporre un’intricata rete di rapporti e di interdipendenze. Limitandoci ai soli insetti,

Campioni di ambra del Baltico (Lituania). La freccia bianca (campione in alto a sinistra), indica l’inclusione di un insetto. (Alessandro Focarile)

Un millepiedi, il Polyxenus lagurus (4 millimetri), rimasto invariato attraverso milioni di anni, conserva intatti tutti i suoi caratteri somatici. Ambra del baltico. (Alessandro Focarile) Un micro-imenottero (0,9 millimetri), dopo 35 milioni di anni conserva intatti tutti i suoi caratteri somatici. Ambra del Baltico. (Alessandro Focarile)

il gruppo zoologico più ricco e meglio documentato, è stato possibile appurare che questi organismi possono essere inquadrati in tre categorie: 1. famiglie, generi e specie estinte e non più presenti in epoca attuale; 2. rappresentanti delle stesse categorie sistematiche diffusi attualmente soltanto nelle regioni tropicali ed equatoriali (Africa, Asia, Americhe); 3. appartenenti alle stesse categorie rimasti praticamente invariati di aspetto nel corso del tempo, rivelando una notevole stabilità delle loro strutture morfologiche e delle loro peculiarità comportamentali. Questi organismi popolano, attualmente, le regioni temperate euro-asiatiche e americane. Nel corso delle ricerche sulla fauna «minuta» insediata nella lettiera dei boschi ticinesi, sono stati trovati numerosi rappresentanti di questi «fossili viventi». Sono giunti fino a noi dopo milioni di anni, raccontandoci le vicende di un cammino evolutivo che si è bloccato. Sono i minuscoli dinosauri viven-

ti della fauna silvicola attuale, che spesso calpestiamo ignari. In tutto il mondo antico, l’ambra fu un materiale ambito e prezioso, tanto che a esso venivano attribuiti anche poteri magici ed efficacia terapeutica in medicina. L’ambra, bruciando, produ-

Una lacrima che cola «La resina è una lacrima che cola dall’albero ferito. Gocce dorate, gialle come il miele, che non scappano via, non fuggono come l’acqua, non abbandonano l’albero. Rimangono incollate al tronco, per tenergli compagnia, per aiutarlo a resistere, a crescere ancora. I ricordi sono gocce di resina che sgorgano dalle ferite della vita». Mauro Corona, 2001, Gocce di resina, Edizioni Biblioteca dell’Immagine (Pordenone), 142 pp.

ce un gradevole profumo (in tedesco Brenstein significa la pietra che brucia), e si carica di elettricità statica: quando è strofinata con una stoffa di lana attira pagliuzze e frammenti di carta. L’impiego dell’ambra, per la produzione di oggetti ornamentali, o a destinazione rituale, risale alle antiche civiltà egizia e minoica, quando gli orafi utilizzavano la materia prima proveniente dalle coste del Mare Baltico, attraverso l’Europa centrale, l’Italia fino al Mediterraneo, seguendo la cosiddetta «via dell’ambra». In Italia, l’ambra giunse attraverso il passo del Brennero (Alto Adige/Süd Tirol) e dalle Alpi Giulie, dall’Austria (di allora) e dalla Slovenia, fino al fiume Po. Anche dalla necropoli di Giubiasco (di recente scoperta), come da quella di Madrano (presso Airolo) sono giunte fino a noi – dopo quasi 3mila anni – collane e monili confezionati con l’ambra. Da vecchissima data, fino dagli albori delle civiltà indo-europee, questo splendido materiale, con l’intenso e caldo colore miele e la sua facilità di lavorazione ha conquistato l’uomo. Impre-

ziosito da abili orafi, artigiani con uno spiccato senso artistico esaltante il bello, si trasformava in gioielli per personaggi facoltosi, che ne facevano un simbolo di valore e significato. Si trattava di preziosi manufatti che documentano, a distanza di secoli, la straordinaria perizia e il raffinato gusto artistico anche di Enotri ed Elleni in quella che venne denominata la Magna Grecia, prima che la malaria rendesse deserte contrade un tempo floride. Bibliografia

Ewa Krzeminska, Wieslaw Krezeminsky, Jean-Paul Haenni, Christophe Dufour, 1992, Les fantômes de l’Ambre, Musée d’Histoire Naturelle de Neuchâtel (Neuchâtel), 142 pp. Swen Gisle Larsson, 1978, Baltic Amber. A palaeobiological Study. Entomonograph 1, Scandinavian Science Press (Klamenberg, DK) 192 pp. George O. Poinar, Jr. 1982, Life in Amber, Stanford University Press (Stanford, USA), 350 pp. Annuncio pubblicitario

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Ambiente e Benessere

L’alba del mondo

Viaggiatori d’Occidente Con taccuini e colori nella foresta pluviale

del Madagascar – Prima parte

Stefano Faravelli, testo e illustrazioni

Il campo base a Rendrirendry. Sulla lavagna (n°4) l’ordine del giorno reca la scritta: «Stephano, dessin des bio de Betampona».

I membri della spedizione: a sinistra l’autorizzazione rilasciata dall’autorità malgascia. Questa tavola gioca ironicamente sull’anacronismo della attività di Faravelli quale pittore naturalista. Il disegno riecheggia le fotografie in seppia delle spedizioni del XIX secolo. L’abbigliamento dei componenti – caschi coloniali, Indiana Jones, the African Queen, le guide in perizoma, eccetera – sollecita l’imagerie delle leggendarie spedizioni esplorative. Il documento del tutto apocrifo nella forma è però in sostanza la trascrizione del reale lascia passare consegnatogli a Tamatave.

Il salto dell’indri, il più grande e affascinante dei lemuri malgasci. L’indri è chiamato dai locali babakutu ossia «padre dell’uomo, antenato»: singolare la convergenza con il nomen genericum scelto da Linneo per la famiglia dei Lemuridae.

Betampona è uno scampolo di foresta primaria nell’entroterra tropicale del Madagascar centro orientale ed è assai simile a come doveva essere il mondo prima che l’uomo facesse la sua comparsa. Sono stato ingaggiato con il ruolo di «pittore naturalista» – come si usava al tempo di James Cook e Charles Darwin – in una spedizione scientifica dedicata a rettili e anfibi. La mia missione è raggiungere un team di ricercatori già insediati nella foresta e unirmi a loro per descrivere con l’inattuale esattezza dei miei acquarelli la vita segreta della fauna più stravagante che esista al mondo. È stato lo scienziato torinese Franco Andreone, un anno fa, a schiudermi questa collaborazione con il Museo regionale di scienze naturali di Torino: mi propose di creare un carnet de voyage che proiettasse l’illustrazione scientifica oltre l’intenzione didattica, nel glamour della narrazione dipinta, anacronisticamente e poeticamente, ma secondo una tradizione rigorosa e mirabile che precedeva l’avvento della fotografia. La spedizione alla quale mi sarei aggregato, mi disse, studierà l’ecologia e le preferenze ambientali dei rettili e degli anfibi della foresta e andrà alla ricerca di nuove specie da descrivere, come capita ancora oggi in Madagascar. Franco mi mostrò in quell’occasione la fotografia di una piccola rana verde da lui scoperta proprio a Betampona e che oggi porta il suo nome: la Boophis andreonei. Ed eccomi qui, con i miei taccuini e colori, su piste di terra rossa che in caso di pioggia diventano fiumi di fango, alla volta della «Grande Collina» (questo significa Betampona), la riserva naturale integrale di primo livello istituita dai francesi nel 1937 e accessibile solo ai ricercatori. Ho con me il permesso, firmato dal directeur de la rèserve, dottor Rakotomamonjy; ed è già stata una fortuna ottenerlo. Ma un’altra avventura mi aspetta, più esigente: raggiungere quella collina impervia e selvaggia che vedo laggiù, oltre i monconi del vecchio ponte colo-

niale che un tifone si è portato via qualche anno fa. Sono a Nosybè, ultimo villaggio sulla «carrozzabile» che arriva da Tamatave, poche capanne costruite con ravenala (la «palma del viaggiatore») e bambù. Scendo al fiume e carico il bagaglio su una rozza piroga, scavata in un tronco d’albero. Un Caronte sdentato mi traghetta sull’altra sponda in compagnia di una signora con due galline e una cesta di litchi. Qui il più sgangherato e rugginoso dei taxibrousse, l’immancabile taxy collettivo africano, mi porterà fino a Fontsimavo, dove ogni pista finisce e un sentiero serpeggia tra torrenti da guadare e rossa laterite fin sulla vetta di Betampona. Prima di inerpicarmi devo arruolare due portatori e mi sento un po’ come il leggendario esploratore Richard Burton mentre arranco sotto un sole equatoriale dietro ai giovani scalzi che reggono in testa le cassette con le derrate comprate a Tamatave per confortare i miei amici accampati nella foresta. Finalmente raggiungo Rendrirendry, l’ultimo avamposto umano in faccia alla visione struggente della foresta pluviale, antica decine di migliaia di anni. Le capanne sono costruite su palafitte, caratteristica questa tipica delle abitazioni dell’etnia Betsimisaraka presente sulla costa orientale. Il villaggio ospita anche un campo base per guide e ricercatori: bungalow dotati di candele e zanzariere promettono rustici comfort e un pannello solare garantisce un minimo di risorse energetiche per uniche finalità scientifiche. Il mio bungalow si affaccia su un macchione di bambù, dove assisto alla colazione mattutina dell’apalemure dorato sugli steli altissimi del volohosy, il bambù gigante del Madagascar, una pianta che contiene un’altissima concentrazione di cianuro. Questa proscimmia è una delle cento specie di mammiferi a maggior rischio di estinzione e forse l’apalemure dorato sparirà prima che gli zoologi capiscano come funziona il metabolismo di questa proscimmia, che ingerisce ogni giorno una dose di veleno


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Ambiente e Benessere La foresta pluviale ad Andasibè, dipinta dalla veranda del lodge. A fianco, raro clichè dei portatori di una spedizione malgascia ottocentesca (forse quella del pittore Tinayre).

Arriva la guida automatizzata? Motori Dopo dieci anni di ricerche, Ford

ha presentato un prototipo dotato di alimentazione ibrida e che non ha bisogno di un essere umano al volante

Mario Alberto Cucchi Entro l’anno 2025 Ford punta a produrre auto ecologiche, che non inquinano nulla o quasi e dotate di guida automatizzata. Cose da film di fantascienza? Una volta. Ora si tratta di una realtà a portata di mano. Proprio in questi giorni il Gruppo Ford ha svelato il prototipo della nuova Fusion Hybrid. Progettata in collaborazione con l’Università del Michigan e il gruppo americano State Farm è il risultato di studi e ricerche iniziate più di dieci anni fa. Ecco quindi il frutto della strategia green di Ford, un prototipo dotato di alimentazione ibrida e che non ha bisogno di un essere umano al volante.

«Il piroghiere Arsène in attesa di trasportarmi oltre il fiume Ivoloina, dove mi aspetta il taxibrousse per Fontsimavo. Da lì, a piedi salirò a Betampona, la “grande collina”, la mia destinazione nella foresta pluviale…».

dodici volte superiore a quella necessaria per uccidere un uomo, senza ricavarne alcun danno. Ride l’amico Franco quando lo saluto con un «Doctor Andreone, I presume». Andreone mi presenta alle guide, tra le quali il mitico Jean Noel, che unisce il talento e l’esperienza eccezionale di un cacciatore a una rara vocazione di naturalista. Il ruolo delle guide è fondamentale, tanto per individuare gli animali, invisibili a un occhio non esercitato, quanto per muoversi sulle piste spesso insidiose della foresta. Ho sperimentato personalmente quanto sia facile perdersi allontanandomi solo di pochi passi dalla via battuta! Domani si partirà verso Sahabefoza, letteralmente «dove abbondano i granchi», l’angolo di foresta a qualche ora di cammino da qui dove gli altri membri della spedizione ci stanno aspettando. Al campo base c’è anche una latrina, il solito buco tagliato nell’impiantito di una capanna su palafitte. E qui, una volta tornato dopo il soggiorno nella foresta, mi capitò di… espletare senza accorgermi che condividevo la ridotta con un grosso boa di due metri circa, addormentato nella lenta digestione di una preda. Che fare? Terminato che ebbi, corsi dagli amici scienziati annunciando di aver trovato un altro interessante esemplare di Sanzinia madagascariensis da esaminare e, armato di taccuino, tornai a schizzarlo. Ho trovato l’avventura sulla via di

Il credo di Henry Ford: «C’è vero progresso solo quando i vantaggi di una nuova tecnologia lo diventano per tutti» Fusion Hybrid implementa a bordo tecnologie sperimentali che un domani potranno essere offerte sulle auto di serie. «Rappresenta un significativo progresso nella ricerca, per portare avanti la nostra vision del futuro della mobilità sostenibile» ha dichiarato Bill Ford, executive chairman della Casa automobilistica americana. «Immaginiamo un domani in cui l’automobile connessa comunicherà con gli altri veicoli per migliorare i flussi del traffico, ridurre le emissioni e rendere le strade più sicure e sostenibili. Il nostro obiettivo – conclude Ford – è rappresentare il punto di riferimento per questa trasformazione, contribuendo a cambiare il mondo nei prossimi 100 anni ancor più di quanto abbiamo fatto nell’ultimo secolo». «C’è vero progresso solo quando i vantaggi di una nuova tecnologia lo diventano per tutti»: il credo di Henry Ford

Mappa «animata» con dettaglio del tratto di costa dove è segnata l’ubicazione della foresta di Betampona.

L’apalemure dorato (Apalemur auratus) sul bambù gigante del Madagascar e il boa (Sanzinia madagascariensis) nella latrina a Rendirendry.

Betampona. Quell’avventura che mi faceva sognare sulle illustrazioni dei libri di Verne e di Salgari, o sulle pagine dei leggendari esploratori del XIX secolo. L’av-

ventura come rimedio alle troppe giornate snervate, come tonificante per sedentari fondoschiena: vero balsamo per corpi e anime.

è diventato una specie di mantra per la casa americana, che lo ripete ossessivamente nelle sue pubblicità, nelle concessionarie e nei discorsi dei manager. La Fusion Hybrid per ora non è certo per tutti, è una piattaforma di ricerca per lo sviluppo a lungo termine di soluzioni per gli aspetti sociali, legali e tecnologici legati ai sistemi di automazione della guida. Va detto che oggi, Ford ha già implementato a bordo delle sue auto numerose tecnologie che sino a pochi anni fa non s’immaginavano neppure. Basti pensare al sistema di parcheggio semiautomatico, già disponibile a bordo di Focus, C-Max e Kuga, grazie a cui il volante gira da solo. Ma anche al controllo adattivo della velocità di crociera disponibile sempre su Focus e Kuga, ma anche su Mondeo, S-Max e Galaxy. In questo caso l’automobile è in grado di rallentare autonomamente in modo da evitare i possibili tamponamenti che, secondo Ford, solo lo scorso anno sono stati causa in Europa di 28mila vittime. A bordo delle Ford di oggi si può trovare anche il Blis che controlla la zona d’ombra degli specchietti retrovisori segnalando con una luce lampeggiante quando una vettura ci sta per sorpassare. Per non parlare del monitoraggio della segnaletica orizzontale che ci permette di adeguare il nostro stile di guida alla strada che stiamo percorrendo. Sul prototipo Fusion Hybrid ci sono quattro nuovi sensori. Si chiamano Lidar, Light detection and ranging, e utilizzano raggi di luce per effettuare una scansione tridimensionale dell’area intorno all’automobile in uno spazio di sessanta metri. Grazie a Lidar si viene a creare una mappa ambientale che contiene ogni oggetto in grado di riflettere la luce, compresi pedoni, ciclisti e piccoli animali. Tutti questi dati, uniti alle mappe dei navigatori satellitari e a molto altro, permettono potenzialmente all’automobile di muoversi autonomamente in sicurezza in qualsiasi ambiente.

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Ambiente e Benessere

Quando si ammalano… Mondoanimale Chiunque si occupi di animali deve tener conto delle loro esigenze nel miglior modo possibile,

Maria Grazia Buletti «Il veterinario? Il mio Ross non ama molto andarci e in sala d’aspetto trema come una foglia, ma per fortuna fino ad ora lo vediamo solo per la visita annuale e le vaccinazioni». Ross è un cane Golden retriever di tre anni e Arianna, la sua proprietaria, lo imita mostrandoci quanto tema i suoi necessari controlli veterinari di routine.

«I veterinari sono responsabili di diagnosi, trattamento e corrette misure terapeutiche» «Jacky è tremendo e oramai mi sono rassegnata; finiamo dal veterinario ad ogni sua marachella: una volta è finito sotto un pesante sacco di mangime che gli è caduto addosso perché stava provando a bucarlo con i denti, un’altra si è rotto un’unghia scavando un buco enorme: sanguinava come una fontana… e allora di corsa dal medico per gli interventi del caso!». Lucia raccontando del suo Jack Russel terrier afferma, sorridendo dell’intemperanza del suo beniamino, di essere praticamente «abbonata al pronto soccorso veterinario». «Le mie tartarughe non hanno mai avuto necessità di una visita veterinaria, ma talvolta mi è successo di informarmi dallo specialista circa le normali cure, l’alimentazione e tutte queste cose, perché trovo importante sapere molto bene come tenere ogni tipo di animale nel modo più confortevole e sano possibile», Samantha chiude la nostra carrellata di esempi di come le persone considerano il rapporto con il medico dei propri animali. La figura del veterinario, di fatto, ha

sempre avuto, e ancora ricopre, un’enorme importanza per la salute degli animali. Lo esprime molto bene la dottoressa Julika Fitzi-Rathgen, presidente della società dei veterinari svizzeri (Svs), in un’ampia ed esaustiva riflessione consegnata all’Ufficio federale di veterinaria (Ufv) nell’ambito dei «Punti di vista» a proposito degli animali da compagnia: «Ogni giorno noi veterinari ci impegniamo per la salute degli animali e lo facciamo negli ambiti più vari: dall’assistenza medica urgente non pianificabile di un animale vittima di incidente, all’intervento nelle emergenze più diverse quali avvelenamenti, ferite, assistenza al parto, malattie infettive o disturbi acuti del metabolismo». Ne sa qualcosa il Jack Russel di Lucia, ogni qualvolta ha dovuto ricorrere urgentemente alle cure. Ma i veterinari sono pure costantemente a disposizione, su appuntamento, per i trattamenti e gli interventi curativi di routine, aggiunge la veterinaria Fitzi-Rathgen: «In questo modo ci impegniamo tutti i giorni per soddisfare i punti centrali della legge sulla protezione degli animali e aiutiamo i detentori a rispettarla».

E fra i proprietari nostri intervistati è emerso chiaramente il rispetto e la cura che dobbiamo ai nostri beniamini e che la legge per la protezione degli animali impone: «Nessuno deve infliggere ingiustificatamente a un animale dolori, sofferenze o lesioni, incutergli paura o lederne in altro modo la dignità». La cura della sua salute, il soccorso in caso di incidente o ferite e ogni tipo di assistenza divengono dunque imperativi e possibili proprio grazie al prezioso aiuto competente e specialistico della figura del veterinario, il cui compito non si riduce però unicamente a questi aspetti, ma va ben oltre, come la presidente della Svs ci ricorda: «Operiamo pure sul fronte della prevenzione, ad esempio vaccinando gli animali, consigliando i detentori riguardo all’alimentazione, all’allevamento e alla detenzione corretti per le varie specie. Nella nostra società globalizzata consentiamo a chi detiene un animale di portarlo in viaggio con sé, grazie allo scrupoloso rilascio di documenti di viaggio e di identità. Infine, il nostro ruolo nella produzione di alimenti di origine animale è

200 Candeline A inizio giugno dello scorso anno si è festeggiato a Berna il giubileo della Società svizzera di veterinaria (Svs). I duecento anni sono stati festeggiati da più di 400 partecipanti che hanno seguito non solo la cerimonia ufficiale di rivisitazione storica, ma anche le varie sezioni scientifiche. In quel frangente, pure il consigliere federale Alain Berset si è congratulato con il sodalizio e ha ringraziato i veterinari «per il loro impegno a favore della salute degli animali», evidenziando l’importanza del rapporto equilibrato fra veterinari e

detentori di animali nell’ambito della prevenzione delle malattie degli animali da reddito. Berset ha pure ricordato la grande responsabilità degli specialisti nell’impiego corretto ed efficace dei medicamenti. Infine, il consigliere federale ha sottolineato ed enumerato con gratitudine gli ambiti delle competenze veterinarie nel trattamento degli animali da compagnia ammalati. Animali da compagnia che, ha ricordato, ricoprono grande importanza nella nostra società, per le persone sole o per le famiglie con bambini.

Sean

con particolare attenzione alla salute

centrale e inizia già nelle aziende agricole con l’accudimento dei singoli animali e la gestione di interi effettivi». Un compito complesso, che richiede approfondite conoscenze e amore per i propri pazienti, naturalmente dipendenti dal proprietario umano. Difatti, afferma Fitzi-Rathgen «per il nostro lavoro e per il buon esito del trattamento è importante che i pazienti vengano portati da noi il più presto possibile, non appena si manifestano i primi sintomi clinici e preferibilmente prima di eventuali trattamenti». Il cosiddetto «fai da te» incentivato dalle ricerche in Internet circa diagnosi e relative terapie si rivela purtroppo quasi sempre poco efficace, se non talvolta deleterio, e quasi sempre compromette l’esito delle cure: «Negli ultimi tempi, noi veterinari ci troviamo spesso ad essere scambiati per semplici fornitori di farmaci, probabilmente anche a causa di ragioni economiche comprensibili. Succede che i detentori di animali domestici e da compagnia hanno desideri e idee ben precisi circa i trattamenti e ricavano da Internet le loro informazioni sulle cui

basi formulano per i propri animali una diagnosi a loro parere corretta e impostano la relativa terapia. Non di rado iniziano un trattamento con farmaci acquistati in farmacia o erboristeria, senza consulenza veterinaria». Con grandi rischi, dicevamo, per l’esito finale e Julika Fitzi-Rathgen lo conferma: «I pretrattamenti errati aumentano la difficoltà del nostro lavoro, in quanto diagnosi e terapie vengono formulate ed effettuate senza seguire metodi corretti dal punto di vista tecnico. In alcuni casi, a quel punto, neppure noi veterinari siamo più in grado di intervenire e l’animale muore ancora prima dell’inizio del trattamento». Secondo la dottoressa, per garantire la salute dei nostri animali in modo duraturo e nel rispetto dei criteri ecologici, è indispensabile fare ritorno alla classica divisione dei compiti: «I veterinari sono responsabili della diagnosi, del trattamento e delle corrette misure terapeutiche, mentre i detentori devono tenere gli animali in modo tale da non farli ammalare». E questo si chiama «rispetto per gli animali».

Giochi Cruciverba

ORIZZONTALI

Il nostro cuore è veramente un gran lavoratore e per fortuna!!! Sai quante volte al giorno batte? La risposta è nascosta in questo schema, trovala risolvendo il cruciverba e leggendo le lettere nelle caselle evidenziate.

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1. Trasforma i compagni di Ulisse in animali 5. Sacro in latino 10. Figlio di Anchise e Afrodite 11. Se è di vita… non canta 12. Si portano sulle spalle 13. Bovini maschi castrati 14. Conta solo alla fine 15. Pesci dalle carni pregiate 16. Simbolo chimico del tantalio 17. Persona abile e competente in un settore 18. Pronome personale 19. Nei mari e nei laghi 20. Stretto che separa la Tasmania dall’Australia 21. Si prepara verso sera 22. Allegria, buon umore 25. Strumenti musicali 26. Oro francese

Sudoku Livello facile Scopo del gioco

Completare lo schema classico (81 caselle, 9 blocchi, 9 righe per 9 colonne) in modo che ogni colonna, ogni riga e ogni blocco contenga tutti i numeri da 1 a 9, nessuno escluso e senza ripetizioni.

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1. Panieri di vimini 2. Li sterminò Pizarro 3. Affollano i penitenziari 4. Le iniziali dell’attore Amendola 5. Fiume francese 6. Vale a dire 7. Preposizione articolata 8. Il… trasteverino 9. Dispositivo per circuiti elettrici 11. Grandi quantità 13. Un Alberto scrittore 15. Fuma nel salotto 16. Privo di vello 18. Non sono all’altezza 20. Un vizio deleterio 21. Un ufficiale abbreviato 23. Le iniziali dell’attrice Ranieri 24. Diede i natali al Petrarca (Sigla)

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Soluzione della settimana scorsa

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Politica e Economia Le sfide di Obama Le elezioni di mid-term di novembre avranno un peso decisivo per il presidente americano così come la tenuta o meno della ripresa economica

Sud America alle urne Anno politicamente impegnativo per sette Paesi dell’America Latina che nel 2014 dovranno affrontare delicate elezioni presidenziali

La Ginevra internazionale Sede di numerose organizzazioni e missioni diplomatiche, vuole restare attrattiva anche in futuro

Fine di una tradizione Dopo 165 anni, il Consiglio degli Stati abbandona le votazioni per alzata di mano

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Il segretario PD e il presidente del Consiglio: assediante e assediato. (Keystone)

Campagna elettorale perenne Italia Enrico Letta cerca di tirare avanti, incoraggiato dal relativo miglioramento dei dati macroeconomici, mentre

i vari pretendenti al voto anticipato, da Berlusconi a Grillo fino a Renzi, insistono per riformare la legge elettorale Alfredo Venturi La politica italiana ha di fronte un’alternativa: contare sull’attuale governo di Enrico Letta per proseguire gli sforzi di risanamento e avviare il sospirato rilancio del sistema-paese, o trasferire nell’esecutivo il dinamismo che le primarie del Partito democratico, con l’elezione plebiscitaria di Matteo Renzi alla segreteria, hanno trasmesso alla principale fra le forze politiche governative. Di fatto, i dioscuri del Pd navigano lungo rotte diverse. Letta sta trattando con gli alleati, dai centristi di Monti a quelli di Casini, fino al centro-destra del vicepremier Angelino Alfano, rimasto fedele dopo che la maggioranza del Popolo della libertà, stretta attorno a Silvio Berlusconi, ha abbandonato il governo delle «larghe intese». Lo scopo, un patto di coalizione che attorno a un documento denominato «Impegno 2014» dovrebbe avviare una nuova fase dell’attività governativa proiettando l’Italia verso obiettivi di ripresa economica attraverso la rigorosa revisione della spesa pubblica e la riduzione del carico fiscale. Per negoziare i dettagli del piano, il presidente ha rinviato un vertice italo-turco. Letta vorrebbe anche un rimpasto della squadra di governo, volto ad aprire spazi alla nuova maggioranza renziana del Pd. Ma proprio Renzi di rimpasto non vuole nemmeno sentir parlare:

preferisce condizionare l’esecutivo dall’esterno, infierendo sulle sue manchevolezze e avanzando proposte in materia di lavoro e architettura istituzionale. E mentre il presidente, incoraggiato da qualche timido segno di risveglio congiunturale come il rinnovato interesse dei mercati internazionali ai titoli del debito italiano, punta a un’accelerazione dell’attività governativa che gli permetta di gestire da luglio a dicembre il semestre di presidenza dell’Unione europea, il segretario si guarda bene dal contraddirlo. Letta, assicura, resterà in sella fino al 2015. Quanto a lui, si ricandiderà a sindaco di Firenze, dunque niente assalto, per ora, a Palazzo Chigi. E allora perché mai non offre una convincente garanzia facendo entrare nel governo qualcuno dei suoi? La risposta è facile: Renzi intende conservare la massima libertà di critica nei confronti dell’esecutivo di cui il Pd è socio di maggioranza ma che non è il «suo» esecutivo. Vuol continuare con le punture di spillo: come quando, a proposito dell’esultanza di Letta per il buon collocamento dei titoli pubblici che ha sensibilmente ridotto l’onere degli interessi sul bilancio dello Stato, ha detto che il merito non è del governo italiano, ma del presidente della Banca centrale europea Mario Draghi… D’altra parte sa benissimo che il tempo non lavora per lui: la sua imma-

gine di aggressivo innovatore a lungo andare potrebbe logorarsi. La sua scoppiettante presenza sugli schermi televisivi alla fine rischia di stancare, anche perché nel difetto di stile che affligge la politica italiana Renzi non fa certo eccezione. Una sua perfida battuta a carico di Stefano Fassina, esponente della sinistra Pd («Fassina chi?», ha chiesto a un giornalista che gli chiedeva di commentarne una dichiarazione) ha non soltanto sciolto gli ultimi dubbi dell’interessato inducendolo a dimettersi da viceministro dell’economia, ma ha anche provocato un sordo malumore nel partito: il segretario può forse permettersi d’ignorare la minoranza interna? Deve dunque guardarsi dagli eccessi polemici, eppure continuerà l’azione di stimolo, come dice lui, o di disturbo, come la chiamano altri, nei confronti del governo. Se Letta non dovesse reggere all’assedio amico, ecco uno scenario tale da risolvere il problema esistenziale di Renzi: elezioni anticipate a primavera, magari in coincidenza con il voto europeo di maggio come vorrebbero Berlusconi e Beppe Grillo, il sulfureo capo del Movimento cinque stelle. Di fronte a questa prospettiva si erge il paletto posto dal presidente della repubblica Giorgio Napolitano, che non scioglierà le camere, e dunque non permetterà che si vada alle elezioni, prima che il parla-

mento abbia colmato il vuoto lasciato dalla sentenza con cui la Corte costituzionale ha cancellato l’attuale normativa sul voto. Dunque ci vuole una nuova legge elettorale e Renzi, per essere sicuro che questo ostacolo venga rimosso in tempi rapidi, di leggi elettorali ne propone addirittura tre. Scegliete voi, dice ai partiti, purché si proceda alla svelta. Le opzioni sono il cosiddetto «sindaco d’Italia», cioè la normativa attualmente in vigore per le elezioni comunali, proporzionale a due turni con premio di maggioranza a chi vince il ballottaggio; il ritorno alla legge che precedette quella sepolta dalla Corte, cioè un misto di proporzionale e maggioritario; il cosiddetto modello spagnolo, proporzionale all’interno di una fitta rete di piccole circoscrizioni. Sono sistemi studiati perché dalle urne esca una maggioranza solida e capace di governare senza che si debba ricorrere a larghe intese o grandi coalizioni. Naturalmente ogni partito ha le sue preferenze, fondate sul calcolo della rappresentanza prevedibile in relazione a questo o quel sistema. Si tratta di discutere i dettagli, di addentrarsi nei tecnicismi: ma su tutto questo prevale un’alternativa politica che ancora una volta contrappone Renzi e Letta. La soluzione va dapprima concordata all’interno della maggioranza attuale, come suggerisce il presidente, o in una platea

più vasta che coinvolga le opposizioni? Il segretario preferisce quest’ultima strada, per questo ne vuol parlare con gli altri leader, incurante del rischio di esasperare la sinistra facendosi riprendere accanto al «pregiudicato» Berlusconi. In questa perenne campagna elettorale si affilano intanto le armi per il rinnovo del parlamento europeo, che si farà con la normativa proporzionale scelta dall’Unione. Nella previsione generale di una vasta affermazione dei partiti euroscettici, anche Roma farà la sua parte. Infatti Forza Italia è piuttosto critica nei confronti di Bruxelles, mentre sono esplicitamente ostili la Lega nord, che d’altra parte non attraversa un momento favorevole, e il Movimento cinque stelle, che probabilmente manderà a Strasburgo una folta pattuglia di deputati. Eppure anche fra i grillini si registrano scricchiolii: non a caso il capo ha ritirato il simbolo delle cinque stelle dalle elezioni, in programma a febbraio, per il rinnovo dell’assemblea regionale della Sardegna. Troppi litigi fra i rappresentanti locali del movimento, è la spiegazione ufficiale, ma un’interpretazione più smaliziata parla del timore di un nuovo fiasco dopo quelli registrati in altre consultazioni locali. Perché nel Paese nauseato dalla politica ormai anche certa antipolitica ha cominciato a mostrare la corda.


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Per Obama un anno cruciale Scenari Sulle elezioni di mid-term in novembre due questioni avranno un peso decisivo: se la ripresa economica

comincerà a diffondere i suoi benefici in modo equo e se la sanità riformata si rivelerà meno predatoria della vecchia Federico Rampini Se fosse un leader europeo, probabilmente Barack Obama godrebbe di una popolarità record. Ha chiuso il 2013 con un dato (trimestrale) di crescita del Pil pari a +4,1% e un tasso di disoccupazione sceso al 7% (lo aveva ereditato al 10% nella crisi del 2008). Se si eccettua Angela Merkel, nessun governante europeo si sogna un bilancio così positivo. Eppure Obama è ai minimi storici nella popolarità, gli ultimi sondaggi lo danno attorno al 40% dei consensi. E il 2014 si presenta come un anno potenzialmente difficile per lui. A novembre si vota per le elezioni di mid-term. Come di consueto l’appuntamento cade a metà del mandato presidenziale, in quell’elezione si rinnovano tutta la Camera dei deputati e un terzo dei seggi del Senato (nella stessa occasione si eleggono molti governatori di Stati). Le prospettive per il partito del presidente sono difficili. Stando ai sondaggi attuali l’elezione di novembre vede favoriti i repubblicani. Non solo la destra dovrebbe confermare la propria maggioranza alla Camera, dove dal 2011 è stata in grado di bloccare tante leggi proposte da Obama; ma c’è perfino la possibilità che i repubblicani rosicchino i vantaggi dei democratici al Senato, forse al punto da mettere in bilico il controllo dell’altro ramo del Congresso. Lo scenario catastrofico sarebbe un’avanzata della destra tale da espugnare pure il Senato. In quel caso Obama farebbe la fine di un «lame duck» o anatra zoppa, la colorita espressione con cui vengono descritti quei presidenti che finiscono il proprio mandato in una situazione di debolezza che rasenta l’impotenza. Da qui a novembre possono cambiare ancora tante cose. Dieci mesi sono tanti, le dinamiche delle campagne elettorali possono influire sull’opinione pubblica. È possibile che la situazione economica, se continua a migliorare, giochi in favore dei democratici. E tuttavia resta da spiegare il perché dell’attuale debolezza di Obama.

Nel lungo termine è probabile che Obama sarà ricordato come uno dei grandi presidenti americani Per un europeo è un vero «mistero»: un presidente coronato da tanti successi, e tuttavia così impopolare da rischiare di portare il proprio partito verso una memorabile disfatta. Ovviamente, bisogna distinguere il «giudizio della storia», dal verdetto delle urne. Nel lungo termine, è probabile che Obama sarà ricordato come uno dei grandi presidenti americani. E non solo in quanto passerà alla storia come il primo afroamericano eletto alla Casa Bianca, per ben due volte. Quel che conterà per i posteri – mi azzardo a prevedere – sarà il fatto che la sua presidenza abbia coinciso con l’uscita dalla crisi economica più grave dopo la Grande Depressione degli anni Trenta. Che l’uscita dalla crisi sia merito suo o meno, importa poco: anche Franklin Roosevelt forse non ebbe un ruolo davvero determinante per l’uscita dalla Grande Depressione e tuttavia la sua presidenza coincise con la fine di quel terribile incubo. Altro bilancio non trascurabile: Obama è il presidente che ha concluso

Barack Obama nell’ufficio ovale alla Casa Bianca. (AFP)

le due guerre in cui l’America era impelagata da un decennio, Iraq e Afghanistan. E mentre riportava a casa le truppe, ha incassato l’eliminazione di Osama Bin Laden, obiettivo sfuggito al suo predecessore George Bush. Sempre guardando al bilancio «storico», in una prospettiva di lungo termine, i matrimoni gay saranno probabilmente considerati come una pietra miliare nei diritti civili. Infine, ma su questo punto occorre sospendere il giudizio, Obama ha portato casa una riforma sanitaria che è un obiettivo inseguito senza successo da tanti suoi predecessori.

Tuttavia la debolezza di Obama, come viene percepita nel resto del mondo, è legata a questioni di politica estera Com’è possibile che il giudizio degli americani prescinda da questi risultati positivi? Sgombro il terreno da un equivoco che può ingannare gli europei. La debolezza di Obama come viene perce-

pita nel resto del mondo, è legata a questioni di politica estera. A questo presidente viene addebitato, almeno in parte, l’esito fin qui disastroso delle «primavere arabe», con l’avanzata di forze radicali e perfino di Al Qaeda in Libia, Iraq; il golpe militare egiziano; la tragedia in Siria. Che Obama abbia davvero queste responsabilità, è questione controversa. Ma in America, non è questo che conta. La politica estera interessa poco gli elettori, salvo in periodi eccezionali. Alcuni repubblicani attaccano Obama per i suoi errori, veri o presunti, in Medio Oriente. Ma questo dibattito appassiona solo gli editorialisti dei giornali e una élite di esperti di geostrategia. La politica estera, salvo eventi drammatici e imprevedibili, è destinata a non avere peso sul voto di novembre. Bisogna invece partire dall’economia, al primo posto nelle preoccupazioni dei cittadini. La ripresa americana dura ormai da tre anni, e non è solo descritta da una statistica «fredda» come il Pil; se ne percepiscono risultati tangibili sul fronte dell’occupazione. La creazione di nuovi posti di lavoro procede al ritmo di duecentomila assunzioni aggiuntive ogni mese. E tuttavia la percezione di un miglioramento non è così netta come dovrebbe essere. Perché?

Una risposta la offre la nuova presidente della Federal Reserve, Janet Yellen, nominata da Obama per succedere a Ben Bernanke. È lei ad avere spinto gli economisti della Fed su un nuovo filone di ricerche: per capire gli effetti della disoccupazione di lungo periodo. La Yellen ha lanciato un allarme: chi resta senza lavoro per periodi prolungati, è esposto a un duplice rischio. O finisce per scoraggiarsi, cessa di cercare un posto, quindi esce dalle statistiche della disoccupazione e in questo modo riduce la percentuale della popolazione attiva. Oppure si accontenta di lavori sempre meno pagati, perde ogni forza contrattuale sul mercato: e questo contribuisce a spiegare la stagnazione dei salari, la perdita di potere d’acquisto nelle fasce più deboli del mercato del lavoro. A queste novità dell’analisi, corrisponde una svolta politica della Fed. Negli ultimi anni la banca centrale, anche per impulso della Yellen, ha interpretato in modo innovativo il proprio mandato istituzionale. La ricerca del pieno impiego è diventata la stella polare della politica monetaria. I massicci acquisti di bond per generare liquidità, sono stati orientati a perseguire aggressivamente una riduzione della disoccupazione. Ora la Yellen, che assume la guida della Fed dal

primo febbraio, si trova di fronte a una sfida. La Fed ha avuto successo, di conseguenza inizia la graduale riduzione dei suoi acquisti di bond, che da 85 miliardi mensili sono scesi a 75 e dovrebbero continuare a scendere. Ma di quanto, e a che velocità? La Yellen si è battuta per ridefinire l’obiettivo «pieno impiego». Ora la Fed punta a ridurre la disoccupazione al 6,5% e anche più in giù. I tassi resteranno inchiodati a quota zero ben oltre il raggiungimento del 6,5% di disoccupazione. La prima prova per la Yellen, nel corso del 2014, sarà proprio questa: dare ai mercati delle certezze su una politica monetaria pro-crescita estesa a un orizzonte temporale molto largo, per intervenire sui fattori strutturali che indeboliscono i lavoratori. La questione sociale viene dibattuta sulla grande stampa americana, nel 50esimo anniversario della War on Poverty lanciata da Lyndon Johnson. Ultimo presidente democratico a potersi permettere un vigoroso potenziamento del Welfare State, Johnson fu nell’ambito sociale il degno continuatore di Franklin Roosevelt e John Kennedy. Ma 50 anni dopo, constatano tutte le analisi, quella «guerra alla povertà» è stata sostanzialmente perduta. La percentuale di americani sotto la soglia della sussistenza, oggi al 15%, è di poco inferiore ai livelli degli anni Sessanta. Due le conclusioni su questo punto, per Obama. Primo: la ripresa economica non sta ancora diffondendo benefici sensibili nelle buste paga e nel tenore di vita della maggioranza di lavoratori, che quindi non sono entusiasti della situazione attuale. Secondo: la centralità della politica monetaria serve a ricordarci che Obama è stato quasi paralizzato nelle sue azioni di politica economica da quando i repubblicani controllano la Camera e cioè dal gennaio 2011. In sostanza questo presidente ha «governato» l’economia solo per 24 mesi: il primo biennio del primo mandato. Poi è subentrato un ostruzionismo totale e quindi Obama ha dovuto affidarsi al ruolo di supplenza della banca centrale. C’è poi la riforma sanitaria, quella in cui Obama aveva investito la massima parte del suo «capitale politico» all’inizio del primo mandato. È una riforma a cui lui ha affidato aspettative enormi. È per un certo verso anch’essa una vittoria storica, visto che tanti presidenti ci avevano provato e si erano ritirati sconfitti. Ma la riforma sanitaria, che sta entrando in vigore di fatto solo con l’inizio del 2014, ha avuto un esordio difficile. Prima di tutto, le cronache di novembre e dicembre 2013 sono state dominate dal disastro tecnologico: per molte settimane ha fatto flop il sito informatico della Casa Bianca che doveva aiutare i cittadini a districarsi nella nuova sanità, a confrontare le varie opzioni assicurative, a paragonare tariffe e prestazioni per poi poter acquistare una polizza di assistenza. Poi hanno avuto molta visibilità i casi di cittadini che nella transizione tra il vecchio sistema e quello nuovo, hanno subito aumenti di tariffe: cioè l’effetto contrario di quel che prometteva Obama. Alcuni problemi sono stati risolti. Il rodaggio è in corso. Ma di certo sulle elezioni di novembre avranno un peso decisivo due questioni: se la ripresa economica comincia a diffondere i suoi benefici in modo più equo; e se la sanità riformata si rivela meno predatoria del sistema pessimo che l’ha preceduta.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 13 gennaio 2014 • N. 03

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Politica e Economia

Il Sud America in 7elezioni

Maratona elettorale Quest’anno si vota per le presidenziali in Salvador, Costa Rica, Panama, Colombia,

Brasile, Bolivia e Uruguay Angela Nocioni L’anno appena iniziato sarà una maratona elettorale molto delicata in America latina. Si vota per le presidenziali in sette Paesi del continente e vanno alla verifica del voto popolare quattro delle differenti coalizioni di governo che, negli ultimi anni, si sono presentate al mondo come «la nuova sinistra latinoamericana». In Brasile, il Partito dei lavoratori (Pt) fondato dall’ex presidente Lula da Silva (al potere dal 2003), cercherà il 5 ottobre la rielezione dell’attuale presidente e pupilla di Lula, Dilma Rousseff. In Bolivia, lo stesso giorno, il governo indigenista del Movimiento al socialismo (Mas), presieduto da Evo Morales, tenterà di ottenere il terzo mandato consecutivo. In Uruguay il vasto centro sinistra del Frente amplio, guidato finora dall’ex leader guerrigliero dei Tupamaros e regista politico dell’alleanza di governo, Pepe Mujica, cercherà di rimanere al potere presentando un altro candidato presidente: l’ex premier socialista Tabaré Vazquez che già ha governato dal 2005 al 2010. C’è un altro Frente amplio che cerca la vittoria elettorale, è il fronte guidato in Costa Rica da Johnny Araya, secondo i sondaggi con un indice di gradimento quasi identico a quello della attuale presidente e sua avversaria politica, Laura Chincilla del Partido liberación nacional (Pln), di centro. Si vota anche in Salvador, dove è candidato favorito l’attuale vicepresidente Sánchez Cerén, ex guerrigliero ora nelle fila del Frente Farabundo Martí de Liberación Nacional (Fmln). Appuntamento elettorale molto importante in Colombia, Paese fondamentale negli equilibri politici latinoamericani e attualmente guidato dal governo di destra di Juan Manuel Santos, del partido di Unidad Nacional, favoritissimo per la rielezione. Si vota anche a Panama, dove il partito Cambio democratico ambisce a rimanere al potere sostituendo il presidente uscente Ricardo Martinelli con José Domingo Arias. Il primo appuntamento elettorale è il 2 febbraio. Si vota in Salvador e in Costa Rica. In Salvador il gruppo politico uscito dalla lunga e sanguinosa guerriglia degli anni ’80, il Frente Farabundo Martí de Liberación Nacional (Fmln), che nel 2009 vinse le elezioni presentando il moderato Mauricio Funes, tenta di rimanere al governo e dovrà vedersela con il candidato della destra Norman Quijano, esponente di

Il Salvador di Mauricio Funes inaugura la maratona elettorale del 2014. (AFP)

spicco della Alianza Republicana Nacionalista (Arena), che ha governato dal 1989 al 2009. A primavera si vota invece a Panama. Il 4 maggio Cambio democratico si gioca la presidenza contro l’alleanza di centrodestra El Pueblo Primero, attualmente all’opposizione, che candiderà Juan Carlos Varela. C’è un terzo incomodo nella disputa: il socialista Juan Carlos Navarro, del Partido revolucionario democrático (Prd) dato dai sondaggi in rimonta rispetto agli altri due. Sempre a maggio, il 25, si celebreranno le elezioni presidenziali in Colombia. Si tratta di un appuntamento con le urne fondamentale per la destra al governo del Paese. La sfida sarà infatti tra l’attuale presidente Santos e il nuovo pupillo del suo ex protettore politico, l’ex presidente Álvaro Uribe (al governo dal 2002 al 2010) di cui Santos fu prezioso ministro. Uribe, attualmente ancora assai potente in Colombia, ha fondato un suo partito, Uribe Centro Democrático, e tenta di tornare al potere, stavolta dietro le quinte, attraverso il suo candidato presidenziale Óscar Zuluaga. I voti dell’elettorato di sinistra saranno contesi tra Clara López, del Polo

Democrático Alternativo, e Aída Abella, de la Unión Patriótica. Si tratterà però molto probabilmente di una contesa tutta interna alla dirigenza della destra colombiana, in cui il principale punto di distanza e di confronto tra i candidati è la gestione della decennale guerra interna contro la milizia di estrema sinistra delle Fuerzas armadas revolucionarias de Colombia (Farc) con cui Santos, dopo averla combattuta per anni a mano armata, ha trovato una bozza di accordo politico di tregua attraverso un difficilissimo negoziato di pace intavolato all’Avana, unico posto al mondo in cui le Farc erano disposte a sedersi ad un tavolo di mediazione. I risultati della trattativa saranno sottoposti a referendum popolare. Trattandosi di un conflitto feroce, che ha causato centinaia di migliaia di morti ed ha sconvolto profondamente la vita civile della Colombia degli ultimi cinquant’anni generando, tra l’altro, ondate di profughi interni, la sottoposizione al vaglio popolare dei risultati dei negoziati di pace è un evento politico delicatissimo per il Paese. Per ragioni assai diverse sarà altrettanto dirimente per il futuro politico del

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continente anche il voto del 5 ottobre in Brasile. Se Dilma Rousseff riuscisse a farsi rieleggere vorrebbe dire che il Partito dei lavoratori manterrebbe una continuità di governo, almeno teorica, di sedici anni: una vera era politica per un Paese che oltre ad essere il più grande e popolato è anche il gigante economico latinoamericano, il cui boom, attualmente in crisi, ha trascinato tutte le economie vicine negli ultimi quattro anni. Dilma Rousseff deve evitare ad ogni costo di arrivare al ballottaggio. In qualsiasi caso lo sfidante sarebbe infatti molto ostico: i più probabili candidati al ballottaggio sono Aécio Neves, brillante dirigente del Partido de la social democracia brasilera (Psdb), e l’ex compagno di governo di Dilma, Eduardo Campos, che fu ministro di Luiz Inázio Lula da Silva e che ora si candida con il Partido socialista. Per questo la presidente deve riuscire a superare il 50% dei voti al primo turno e per questo teme moltissimo la candidatura, sorta alla sua sinistra, della icona dell’ambientalismo planetario, Marina Silva. Lei, allieva dell’amatissimo e scomparso leader campesino Chico Mendes, potrebbe sottrarle una parte significativa dei voti necessari per vincere al primo turno. Marina Silva è un mito vivente per l’ambientalismo militante. È molto famosa, popolare e pericolosissima per Dilma in un momento di contestazioni di piazza. Ha un’immagine solida di integerrima attivista, nemica dei compromessi. È probabile che catalizzi su di sé buona parte dei voti di chi altrimenti si asterrebbe per protesta, oltre ai voti della sinistra interna al Partito dei lavoratori, molto critica con Dilma. Marina ha una storia che si confonde nel mito dell’ l’immaginario pop. Viene dallo Stato di Acre, Amazzonia profonda, al confine con la Bolivia. Era una adolescente analfabeta quando entrò in contatto con il movimento degli estrattori di caucciù, guidati da Chico Mendes. Quando lui fu ucciso nel 1988, Marina prese il suo posto. Lula fece di tutto per averla con sé nel 2003. Il partito dei lavoratori per la prima volta alla presidenza aveva bisogno della faccia pulita di Marina Silva. Lei avrebbe dovuto essere la garanzia della veridicità dei programmi della sinistra al debutto di governo, comprese le promesse sulla difesa della foresta amazzonica e sul freno all’espansione

delle piantagioni ogm. Poi, però, i programmi sono cambiati. La deforestazione è incominciata a crescere allo stesso ritmo dell’aumento dei prezzi della soia. Marina ha gridato, pianto, denunciato in conferenze internazionali la potenza di corruzione dell’agrobusiness. Infine si è dimessa. Ed è diventata la croce di Lula. Con oltre venti milioni di seguaci, raccolti soprattutto tra i fedeli delle chiese evangeliche, di cui fa parte, ha provato a fondare un suo gruppo politico, escluso dalle elezioni. Da lì, la scelta di candidarsi. Un guaio serio per Dilma Rousseff ritrovarsela contro. Nello stesso giorno delle elezioni brasiliane si voterà anche in Bolivia. Il presidente Evo Morales è favorito rispetto ai suoi avversari Rubén Costa, del partito di destra Movimiento demócrata social, e Juan del Granado, leder del Movimiento sin miedo (Movimento senza paura). Il presidente ha ottenuto con un escamotage tecnico la possibilità di ricandidarsi, aggirando il divieto di un eventuale terzo governo consecutivo stabilito dalla Costituzione da lui varata nel 2009. Il Tribunale costituzionale ha stabilito, con una sentenza molto criticata dall’opposizione, che la prima legislatura (quella dal 2006 al 2010) non va considerata perché con l’entrata in vigore di una nuova Carta costituzionale la Bolivia è diventata uno Stato plurinazionale. Si tratterebbe quindi, secondo la sentenza, di una sorta di rifondazione dello Stato e quindi il primo governo con conterebbe nel computo. Il 26 ottobre, infine, si voterà in Uruguay. È dato per certo che a guidare il Frente amplio ci sarà l’ex presidente Tabaré Vazquez, ma in realtà per saperlo bisognerà attendere il risultato delle primarie che si celebreranno il 27 di aprile. I voti della destra uruguaiana saranno contesi tra il Partido nacional e il Partido colorado. Nessuno dei due sembra al momento in grado di sconfiggere l’alleanza di centrosinistra al governo. Il Partido nacional è dato dai sondaggi in vantaggio sul Colorado, anche se ancora non ha deciso se presentare come candidato Jorge Larrañaga, considerato un moderato, o Luis Lacalle Pou, figlio dell’ex presidente Luis Alberto Lacalle che governò l’Uruguay dal 1990 al 1995 con una politica marcatamente liberista che precedette il tracollo economico del 2002.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 13 gennaio 2014 • N. 03

Politica e Economia

L’effetto ricchezza La consulenza della Banca Migros

In Svizzera il mattone non è più caro che negli USA Indice

Il rapporto tra i prezzi delle case e gli affitti è un valido criterio per identificare una bolla immobiliare. In Svizzera e negli Stati Uniti l’indicatore è vicino alla media pluriennale di 100.

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Dati: The Economist

Daniel Lang La Banca nazionale svizzera vuole frenare il mercato immobiliare. È giusta l’impressione che sia un po’ una mosca bianca sulla scena internazionale?

Responsabile Product Management della Banca Migros

Cominciamo con una supposizione: provi a immaginarsi che la Banca nazionale svizzera acquisti prestiti ipotecari per un controvalore di venti miliardi di franchi l’anno, spiegando che vuole ridurre gli oneri da interessi dei proprietari immobiliari. Un’idea assurda? Non negli Stati Uniti, dove la banca centrale ha sinora acquistato 480 miliardi di dollari l’anno di prestiti garantiti da ipoteche, che nel nostro Paese corrisponderebbero a circa 20 miliardi di franchi. A questo punto si potrebbe forse obiettare che i due mercati immobiliari non sono paragonabili tra loro:

negli Stati Uniti domina la crisi, da noi il boom. È proprio vero? Se confrontiamo i prezzi degli immobili in Svizzera e negli Stati Uniti ci accorgiamo che sono praticamente sugli stessi livelli. Lo dimostra per esempio il rapporto prezzo/affitto, che misura quanti affitti annui occorrono per comprare un oggetto analogo. Durante una bolla speculativa la proprietà costa molto di più dell’affitto. Dal grafico emerge che questo rapporto è quasi identico nei due Paesi. Conclusione: gli immobili svizzeri non sono sopravvalutati rispetto a quelli negli Stati Uniti. Questo esito è confermato da altri criteri, tra cui il rapporto prezzo/reddito (che misura quanto sia abbordabile la proprietà abitativa).

Un patrimonio elevato promuove i consumi Ma allora perché, se i due mercati presentano valutazioni analoghe, la banca centrale statunitense spinge i prezzi degli immobili al rialzo con ingenti acquisti di prestiti ipotecari, mentre la nostra banca nazionale mette in guardia contro una bolla speculativa? La risposta è data dal «Wealth Effect» (in italiano: effetto ricchezza): di fronte alla persistente fragilità dell’economia la banca centrale americana vuole stimolare i consumi dei privati. E i consumatori sono tanto più propensi a spendere, quanto più elevato è il valore del loro

patrimonio privato, in particolare della casa propria. In realtà la cura ha avuto l’effetto sperato: a livello nazionale i prezzi delle case sono saliti dell’11 percento su base annua, addirittura di oltre il 20 percento a Los Angeles e San Francisco. La Banca nazionale svizzera ha, invece, le mani legate: un aumento dei tassi di riferimento può essere preso in considerazione solo se le autorità monetarie negli Stati Uniti e in Europa fanno lo stesso. Ma non c’è fretta di irrigidire la politica monetaria. Meglio lasciare agire l’effetto ricchezza ancora per un po’, tanto più che i privati risparmiano troppo poco da anni. Approfondiremo questo argomento tra due settimane, nella prossima rubrica della Banca Migros.

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Politica e Economia

Dove fa tappa la politica internazionale Diplomazia Dopo il recente accordo sul nucleare con l’Iran, torna in auge il ruolo della Ginevra

internazionale, sede di molte organizzazioni dell’ONU e non solo – Ma per garantirlo anche in futuro, si dovrà migliorarne l’attrattività Marzio Rigonalli Il recente accordo sul nucleare iraniano, raggiunto a Ginevra lo scorso 24 novembre, tra Teheran ed il gruppo 5+1, e l’annuncio della conferenza di pace sulla Siria il prossimo 22 gennaio, hanno riproposto e rilanciato il ruolo di Ginevra come centro del negoziato multilaterale, come polo d’attrazione della diplomazia mondiale. Certo, l’accordo delle grandi potenze con l’Iran è soltanto un primo passo, chiamato ad aprire

Ginevra oggi accoglie 30 organizzazioni internazionali, 250 Ong e 172 missioni permanenti presso l’ONU e altri organismi internazionali Il «Palazzo delle Nazioni», sede dell’Onu a Ginevra. (Keystone)

città e al suo buon nome, a tutta la regione del Lemano, alla Svizzera, alla sua politica estera e alla sua immagine. Per valutare l’importanza della funzione internazionale che, progressi-

vamente, è stata conquistata dalla città di Calvino, conviene innanzitutto fare un passo indietro e ricordare alcuni momenti significativi vissuti da Ginevra nel corso dei secoli.

All’epoca della Riforma, Ginevra era una città isolata tra terre cattoliche. Si vide così costretta a cercare contatti ed alleati all’esterno. Nei secoli successivi si distinse nei settori della finanza e

del commercio e continuò a mantenere importanti relazioni esterne. Il punto di partenza del suo sviluppo come centro internazionale fu la creazione, nel 1863, ossia 150 anni fa, da parte di Henry Du-

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la strada ad un accordo globale entro sei mesi, e l’annunciata conferenza sulla Siria è già il secondo tentativo e poche ancora sono le premesse positive che lasciano sperare in un imminente accordo tra il regime siriano ed i ribelli, nonché nella fine della guerra civile. Ciò non scalfisce, però, il ritorno in auge del ruolo della Ginevra internazionale. Un ruolo da cui traggono vantaggi in tanti, da chi cerca soluzioni ai problemi, alla

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Politica e Economia nant ed alcuni volontari, del Comitato internazionale di soccorso ai militari feriti, diventato nel 1876, il Comitato internazionale della Croce Rossa. Nel 1919 ci fu una notevole spinta con la creazione della Società delle Nazioni e dell’Organizzazione internazionale del lavoro. Dopo la seconda guerra mondiale, Ginevra dovette accontentarsi della sede europea dell’ONU, ma riuscì a conservare ed a sviluppare numerose Organizzazioni specializzate delle Nazioni Unite, come per esempio l’OMS (Organizzazione mondiale della sanità), l’UIT (Unione internazionale delle telecomunicazioni), o l’HCR (Alto Commissariato per i rifugiati). Nel 1954, alla frontiera tra la Francia e la Svizzera, sorse il CERN, L’Organizzazione europea per la ricerca nucleare, e più tardi si costituirono nuove organizzazioni internazionali, in particolare nei settori dell’ambiente, dello sviluppo sostenibile e dei diritti umani. Alcune conferenze ed incontri internazionali organizzati a Ginevra fanno ormai parte della storia mondiale degli ultimi decenni. Ecco qualche esempio: la Conferenza internazionale sull’Indocina nel 1954, con la partecipazione di rappresentanti di 19 Paesi; oppure, nel 1955, il vertice dei rappresentanti dei quattro grandi Paesi sul futuro della Germania (Dwight D. Eisenhower, Nikita Kruscev, Anthony Eden ed Edgar Faure); oppure ancora, nel novembre 1985, l’incontro tra Ronald Reagan e Mikhail Gorbaciov, per discutere una consistente riduzione dei rispettivi arsenali nucleari strategici; infine, nel dicembre 2003, l’iniziativa di Ginevra, un accordo firmato dall’ex ministro israeliano della giustizia Yossi Beilin e l’ex ministro palestinese dell’informazione Yasser Abed Rabbo e che prevede una soluzione globale e definitiva del conflitto israelo-palestinese. Oggi, Ginevra accoglie 30 organizzazioni internazionali, circa 250 orga-

Momenti carichi di significato: il presidente statunitense Ronald Reagan e il leader sovietico Mikhail Gorbaciov a Ginevra, nello storico incontro del 19 novembre 1985. (Keystone)

nizzazioni non governative (ONG), come per esempio il Consiglio ecumenico delle chiese (CEC), o il Centro di politica di sicurezza (GCSP), 172 missioni permanenti presso le Nazioni Unite e le altre organizzazioni internazionali, in rappresentanza di altrettanti Stati, fra i quali, ovviamente, anche la Svizzera. Ogni anno vengono organizzate circa 2700 conferenze e riunioni internazionali, nonché più di 3000 visite di capi di Stato, capi di governo e ministri. L’ampia struttura internazionale accoglie oltre 40’000 persone, tra diplomatici e funzionari e, con il trascorrere degli anni, è diventata un polo di competenze, riconosciuto sul piano internazionale,

in almeno cinque settori: la pace e il disarmo, i diritti umani e le migrazioni, il lavoro e la scienza, la salute, l’ambiente e lo sviluppo sostenibile. La Ginevra internazionale offre vantaggi concreti e d’immagine alla città stessa, alla regione che la circonda e alla Svizzera. Il 9% del PIL (Prodotto interno lordo) ginevrino e un posto di lavoro su dieci sono garantiti dalla struttura internazionale. Gli impieghi messi a disposizione sono circa 30’000, ai quali conviene aggiungere quelli indotti, per un totale di quasi 50’000 posti di lavoro. È un apporto notevole che rafforza la posizione di Ginevra come polo economico della regione del Lemano.

Significativo è pure l’apporto dell’immagine internazionale di Ginevra, per esempio allo sviluppo del turismo. La città di Calvino è di gran lunga la città svizzera più citata e conosciuta nel mondo. Anche la Svizzera, ovviamente, ne trae vantaggi, in primo luogo per la sua politica estera. Grazie a Ginevra, la Confederazione ha un peso politico internazionale superiore alla sua dimensione geografica e strategica. Le numerose conferenze ed incontri richiamano a Ginevra parecchie personalità internazionali e offrono così a Berna l’opportunità di numerosi incontri bilaterali e di contatti permanenti, che servono per raggiungere i propri obiettivi di po-

litica estera e per rafforzare la posizione della Svizzera nel mondo. La Ginevra internazionale, però, non è un dato acquisito definitivo, immutabile, con un futuro senza nubi e privo di insidie. È una conquista che va difesa e possibilmente rafforzata. La concorrenza non manca. Negli ultimi anni, si è assistito ad un aumento della forza d’attrazione della sede principale delle Nazioni Unite a New York ed a rivendicazioni provenienti soprattutto dagli altri continenti e dai Paesi emergenti, che invocano una più equa suddivisione geografica e politica. Numerose sono le città che con offerte molto allettanti (edifici e infrastrutture messi a disposizione gratuitamente) hanno cercato di attirare parecchie organizzazioni internazionali. Centri come Budapest, Abu Dhabi, Manila, Copenhagen e altri. Città che nei loro tentativi sono aiutati dalla crisi economica che spinge le organizzazioni internazionali a ridurre i loro costi, dal forte valore del franco svizzero e dal costo della vita a Ginevra. Dal 2008, dall’inizio della crisi finanziaria ed economica, ad oggi, ci sono state circa venti dislocazioni parziali, tutte decise con l’intento di ridurre i costi di gestione. Berna, il cantone e la città di Ginevra sono ben coscienti della situazione. Un gruppo di lavoro ha presentato quest’anno uno studio («Ginevra internazionale e il suo futuro») che prevede una serie di misure per migliorare la forza d’attrazione di Ginevra e le condizioni in cui operano le organizzazioni internazionali presenti. Misure che prevedono il restauro degli edifici, lo snellimento delle procedure necessarie per ottenere i visti ed i permessi di lavoro, la creazione di sinergie tra gli attori internazionali che operano a Ginevra, e tanti altri miglioramenti. Misure che richiedono investimenti finanziari certo, ma che sono ormai necessarie per difendere la Ginevra internazionale e per garantirne il successo.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 13 gennaio 2014 • N. 03

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Politica e Economia 13 dicembre 2013: l’ultima votazione per levata di mano al Consiglio degli Stati. (Keystone)

Pensione, sistemi sotto la lente Statistiche OCSE Se nel resto dell’Occidente

urgono interventi profondi sul sistema previdenziale, la riforma annunciata da Alain Berset in Svizzera viene considerata un passo nella giusta direzione Ignazio Bonoli

Fine di una tradizione Camere federali Il Consiglio degli Stati abolisce il voto

per levata di mano – Atto di modernizzazione e trasparenza o perdita di autonomia? Johnny Canonica Venerdì 13 dicembre 2013, ore 8.29. Il presidente del Consiglio degli Stati Hannes Germann annuncia il risultato dell’ultimo voto previsto dalle votazioni finali di fine sessione, quello riguardante la «Legge federale sulla costruzione e il finanziamento di un corridoio di quattro metri sulle tratte di accesso alla Nuova ferrovia transalpina». Poi, una volta comunicato il risultato (per la cronaca: legge approvata per 37 voti contro uno e con tre astenuti), Germann si rivolge al plenum: «con questa ultima votazione siamo arrivati al termine della seduta, care colleghe e cari colleghi. Si è trattato di una seduta storica, perché per l’ultima volta abbiamo votato per alzata di mano; per la sessione primaverile il sistema di voto elettronico dovrebbe essere installato, e mi auguro che per le votazioni finali saremo sufficientemente rodati, in modo che tutto funzioni per il meglio. Voglio qui ringraziare gli scrutatori per il lavoro eccellente che hanno svolto, non sempre nelle condizioni più semplici». A quel punto, si può dire, il sipario è calato definitivamente sul voto per alzata di mano al Consiglio degli Stati. E questo – ironicamente – proprio sotto gli occhi dei protagonisti della «Landsgemeinde di Nidvaldo» – raffigurata nella sala dello «Stöckli» nel dipinto murale di Albert Welti e Wilhelm Balmer – la massima espressione della democrazia diretta elvetica, durante la quale si vota per alzata di mano.

Dopo vari tentativi di introdurre il voto elettronico, i senatori hanno infine accolto l’iniziativa di This Jenny Dopo 165 anni di onorato servizio il voto per alzata di mano può quindi venir considerato come estinto a Palazzo federale. Certo: nel caso in cui il sistema di voto elettronico non dovesse funzionare, gli scrutatori sarebbero sempre chiamati a porre rimedio al problema facendo capo ai rudimenti dell’aritmetica (e alle dita per contare i colleghi). L’esperienza insegna però che la cosa

accade assai di rado – al Consiglio nazionale, dove il voto elettronico è stato introdotto nel 1995, il numero dei voti per i quali si è dovuto far capo alla conta manuale è nell’ambito del «per mille», assicurano i servizi del Parlamento – gli scrutatori continueranno di principio a venir chiamati all’opera solo in caso di elezioni (dei presidenti delle Camere, dei membri del Consiglio federale, dei giudici federali), per il resto del tempo svolgeranno il loro normale lavoro di parlamentari, con la sola differenza che non staranno seduti nell’emiciclo, ma sotto lo scranno presidenziale. Pronti a scattare in piedi per contare i colleghi, ma solo in caso di necessità e su ordine del presidente. Più volte al Consiglio degli Stati si sono registrati tentativi di introdurre il voto elettronico in passato. Due, sostanzialmente, i motivi alla base di quelle proposte. Prima di tutto per creare trasparenza sulle decisioni prese dal Consiglio degli Stati, permettendo ai cittadini di sapere come hanno votato i loro rappresentanti (e non per nulla il termine trasparenza era esplicitamente menzionato nel titolo dell’iniziativa parlamentare del consigliere agli Stati glaronese This Jenny, UDC) – «Trasparenza in materia di voto» – la cui accettazione ha portato alla scomparsa del voto per alzata di mano; e già prima di Jenny, nel 2005, l’allora consigliera agli Stati bernese Simonetta Sommaruga (PS) aveva tentato invano di convincere i colleghi ad approvare la sua mozione «Trasparenza al Consiglio degli Stati», che chiedeva la medesima cosa). Secondariamente, per mettere fine a tutta una serie di passi falsi che in più di un’occasione hanno portato alla ripetizione di un voto quando ci si è accorti di aver fatto un errore al momento di tirare le somme. «Con le nostre decisioni influenziamo massicciamente la vita della gente. Continuando a rifiutare il progresso, faremmo una figura da cocciuti dilettanti, nei confronti della popolazione», aveva affermato Jenny nel corso del dibattito sulla sua iniziativa parlamentare, difendendo la posizione di chi interpretava il passaggio al voto elettronico come un passaggio dal XIX al XXI secolo - un passaggio dall’opacità alla trasparenza. Di opinione opposta si era invece espresso in quell’occasione il vodese

Luc Recordon (Verdi) che nel passaggio al voto elettronico non vedeva assolutamente la volontà di portare luce e trasparenza nella «camera oscura della democrazia» (così l’UDC aveva definito il Consiglio degli Stati alla vigilia delle ultime elezioni federali, proprio perché il suo sistema di voto non permetteva ai cittadini di sapere come si esprimevano i suoi membri). «C’è una fortissima volontà di controllo da parte degli stati maggiori dei partiti sulle persone. Per me è questa la questione centrale», aveva affermato Recordon in quella occasione. «Si tratta della volontà di disciplinare questa banda di galoppini che noi dovremmo essere» nelle intenzioni dei vertici dei partiti. Era quindi per sottrarsi al controllo dei vertici dei partiti (e dei media, che in base a come un parlamentare vota lo inseriscono in una ipotetica scala «sinistra-centro-destra») che Recordon si era espresso per il mantenimento dello statu quo. Una volta approvata l’iniziativa parlamentare di This Jenny, in un primo tempo si era previsto di introdurre il voto elettronico unicamente per le votazioni finali e per le votazioni per le quali è richiesta una maggioranza qualificata (cioè la metà più uno dei consiglieri agli Stati, non solo dei presenti in sala). Poi, mettendo nero su bianco le nuove regole, si è deciso di far capo al voto elettronico per tutte le votazioni, ma di registrare come nominali solo i voti «sul complesso» (cioè sul progetto nel suo insieme come approvato dalla Camera) e le votazioni finali; il voto nominale potrà essere richiesto anche per altri tipi di voti (sui singoli emendamenti ai vari articoli di legge, per esempio), basta che dieci «senatori» ne facciano richiesta; proprio come era previsto con il voto per alzata di mano. Lunedì 3 marzo 2014, ore 16.15. Con la classica scampanellata del presidente, Hannes Germann darà il via alla sessione primaverile al Consiglio degli Stati. A partire da quel momento, il voto per alzata di mano farà parte della storia dello «Stöckli». Ma a ricordare i suoi 165 anni di presenza sotto la cupola di Palazzo federale ci saranno i protagonisti della «Landsgemeinde di Nidvaldo». Che osserveranno con curiosità – e forse scetticismo – quanto accadrà da lì in poi. Ai «senatori» in carica il compito di convincerli della bontà del progresso.

Lo scorso 20 novembre il Consiglio federale ha messo in consultazione, fino al marzo del 2014, il progetto di riforma della previdenza vecchiaia, definita brevemente «riforma delle rendite». Rispetto al progetto originale presentato dal consigliere federale Alain Berset nel mese di giugno («Azione» del 1.7.13), i principali cambiamenti concernono solo la previdenza professionale. L’aspetto più drammatico da affrontare in questa riforma sta senz’altro nella previsione secondo cui nel 2030 l’AVS avrà un buco finanziario di 8,6 miliardi di franchi. Per farvi fronte, il Consiglio federale prevede un aumento per tappe dell’IVA di al massimo il 2%: un primo aumento all’entrata in vigore della riforma e un secondo aumento nel 2030. Le altre misure sono note: aumento dell’età di pensionamento delle donne a 65 anni, pensionamento flessibile tra i 62 e i 70 anni anche per l’AVS, rendite parziali tra il 20 e l’80 con riduzione proporzionale dell’attività, possibilità di aumentare la rendita fino al massimo di legge anche dopo i 65 anni, escluse le rendite prima dei 62 anni. Se il fondo di compensazione AVS dovesse scendere sotto il 70% delle rendite di un anno, si dovrà procedere al risanamento (aumento contributi e parziale adeguamento delle rendite al rincaro). Nelle casse pensioni: riduzione in 4 anni dal 6,8% al 6% del tasso di conversione del capitale in rendita; riduzione dell’inizio dei contributi a 14’000 franchi di reddito; salario minimo assicurato da 3500 a 10’530 franchi. Altre misure concernono le assicurazioni private del secondo pilastro. Come gli ultimi tentativi di riforma della previdenza vecchiaia, anche questo non avrà vita facile. Già le misure introdotte per le assicurazioni professionali private hanno suscitato la reazione degli interessati. La «quota minima» di partecipazione agli utili, aumentata del 90%, solleva parecchie critiche, così come il nuovo limite massimo dei premi per rischi. Infine, preoccupano le misure di compensazione per la riduzione del tasso di conversione del capitale in rendita. Dal canto loro gli ambienti economici giudicano insopportabile la riforma, tanto per gli assicurati, quanto per l’economia: potrebbero entrare in linea di conto leggeri aumenti dell’IVA, accompagnati però da un aumento dell’età di pensionamento. Mentre per il responsabile della riforma si annunciano tempi duri, la pubblicazione dell’OCSE sui sistemi di previdenza professionale «Pensions at a glance» fa un’analisi molto positiva del sistema svizzero dei tre pilastri. Lo studio dell’OCSE parte dalla constatazione che generalmente i sistemi di assicurazione vecchiaia sono giunti al limite. La

crisi economica e dell’impiego, finanze pubbliche precarie e l’invecchiamento sono i fattori che chiedono una riforma dei sistemi di pensionamento. In caso contrario si rischia il crollo finanziario e l’impoverimento della popolazione. Nonostante la grande diversità fra i sistemi dei vari Paesi dell’OCSE, due principi devono valere per tutti: primo, il finanziamento deve essere costantemente tenuto sotto osservazione e quindi anche riduzioni di prestazioni sono da considerare. Di fatto, le spese in proporzione alla spesa statale totale variano tra il 3% dell’Islanda e il 30% dell’Italia. Si consideri poi anche il crescente trasferimento di risorse, per esempio in Francia la cassa pensione dei dipendenti pubblici paga solo un quarto delle redite, il resto lo paga lo Stato (37 miliardi di euro). Secondo principio: si deve garantire ai pensionati un reddito adeguato. Se nella media dei Paesi OCSE la sostituzione del reddito con la pensione è del 54,4% (in Svizzera del 55,2%), in Gran Bretagna è del 32%, ma in Olanda del 91%. Per i redditi bassi la Svizzera è al 64% (media OCSE: 71%). Anche l’OCSE pensa che le persone che iniziano ora un’attività lavorativa dovranno accontentarsi di rendite di pensione minori. Questo potrebbe significare il pericolo di povertà negli anni di pensionamento. Per combattere il fenomeno sono necessari vari provvedimenti, da quelli pubblici a quelli privati. Nel primo caso si pensa a ospedali o case di cura per anziani, nel secondo caso a vantaggi da concedere agli anziani fino alla promozione della proprietà dell’abitazione. In passato l’OCSE ha sempre lodato il sistema svizzero dei tre pilastri e anche con le recenti evoluzioni è quello che sembra più adatto a combattere i fenomeni negativi. Anche la riforma proposta per il 2020 va nella buona direzione, ma dovrà essere accompagnata da provvedimenti nel senso indicato. Nell’interpretare le statistiche si deve far attenzione alle particolarità nazionali: per esempio, per quanto riguarda la povertà nell’età di pensionamento, il dato svizzero (22% delle persone con più di 65 anni) è vicino a quello messicano, ma perché la statistica considera poveri coloro che hanno meno della metà del reddito medio, che però è di 86’900 franchi all’anno. Il confronto con la media dei redditi OCSE è già più significativo: in Svizzera la quota della spesa pubblica per la previdenza vecchiaia è del 6,3% (media OCSE 7,8%), la speranza di vita alla nascita è di 82,5 anni (OCSE 79,9 anni), la popolazione con più di 65 anni è il 28,1% di quella attiva (OCSE 25,5%). La situazione richiede dunque riforme, non fosse che per la maggior speranza di vita in Svizzera, come dimostra il previsto disavanzo nelle casse dell’AVS.

Gli anziani del futuro dovranno accontentarsi di rendite inferiori. (Keystone)


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 13 gennaio 2014 • N. 03

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Politica e Economia Rubriche

Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Turismo alla frontiera Brissago, l’ultimo comune svizzero sulla sponda destra del Lago Maggiore, è uno dei paesi più belli del Ticino. Con le sue tre coste che salgono dal lago verso il Gridone e il pizzo Leone, Brissago è, in piccolo, la nostra Valparaiso. Il lago, le isole, e il Gridone, sono lì da sempre e non sono mai cambiati. L’occupazione del territorio da parte dell’uomo e le sue attività sono invece mutate, soprattutto nel corso degli ultimi centocinquant’anni. Villaggio di pescatori, agricoltori, contrabbandieri e emigranti, Brissago ha cambiato almeno due volte di identità economica, nel corso di questo periodo. Verso la metà del diciannovesimo secolo vi venne creata la Fabbrica di Tabacchi che doveva diventare, per diversi decenni, una delle aziende più importanti del Cantone. 60 anni più tardi è il turismo di alto livello a far il suo ingresso in paese con la costruzione del Grand

Hôtel, di cui, oggi, purtroppo, non rimane più che il sedime. L’iniziativa per il Grand Hôtel nacque, e non poteva probabilmente essere altrimenti, dalla Fabbrica Tabacchi. Lo ricorda, con abbondanza di dettagli, Orlando Nosetti in uno stimolante libro sulle vicende del turismo brissaghese, appena pubblicato. Fino all’inizio del ventesimo secolo, l’attività turistica era poca cosa. Brissago, che non era raggiunto dalla ferrovia, mancò il momento del grande decollo del turismo dei laghi ticinesi. Mentre a Lugano e a Locarno, tra il 1880 e l’inizio del nuovo secolo, sorsero numerosi alberghi, a Brissago l’ondata dello sviluppo turistico approdò solo a secolo già iniziato. Nonostante il ritardo, tuttavia, il turismo partì alla grande, da un lato, grazie al Grand Hôtel, aperto nel 1906, dall’altro, grazie alla casa di villeggiatura dei ferrovieri al Brenscino, che fu aperta nel 1913.

Come precisa Nosetti, queste due strutture ricettive dovevano, fino all’inizio degli anni Settanta del secolo scorso, dominare lo sviluppo del turismo brissaghese. I loro pernottamenti furono infatti sempre superiori al 60% del totale. Le vicende del turismo di Brissago si confondono quindi con quelle che hanno caratterizzato la loro evoluzione. Il Grand Hôtel ha avuto una vita difficile, terminata nel 1971. Il Brenscino, sorto da un’iniziativa del sindacato dei ferrovieri, continua ancora la sua attività anche se, oggi, i suoi clienti non sono più solo i ferrovieri. Nel corso degli ultimi trent’anni, i pernottamenti in albergo sono diminuiti, a Brissago, come in tutto il bacino svizzero del Lago Maggiore (Ascona esclusa). Cercando le ragioni di questo fenomeno Nosetti sembra dapprima pensare che il prodotto «turismo lacuale alberghiero» sia entrato nella fase finale del

suo ciclo di vita. Ma, attorno al Lago Maggiore, ci sono località, come Ascona per l’appunto, nelle quali il turismo alberghiero si mantiene. Un’altra causa di decadenza potrebbe essere data dalla forte espansione delle residenze secondarie. Questa spiegazione ha qualcosa di vero. Sacrificando alle residenze secondarie larga parte della sua superficie edificabile, Brissago ha, in un certo senso, rinunciato a sviluppare il turismo alberghiero. Ma forse la verità è ancora un’altra. Se i pernottamenti sono concentrati in poche strutture ricettive, la sorte della località turistica è legata, a doppio filo, a quella di queste grandi strutture. Nosetti dimostra che, né il Grand Hôtel, né il Brenscino, sono stati redditizi per lunghi periodi di tempo. Posto di fronte all’aumento della concorrenza, determinata dalla nuova mobilità turistica internazionale, il Grand Hôtel ha

dovuto chiudere i battenti. Il Brenscino, invece, è riuscito, grazie al sostegno finanziario del sindacato, a sostenere più a lungo la nuova concorrenza turistica. Continuerà a farcela anche nei prossimi vent’anni? Secondo me, le prospettive non sono buone. Nonostante la posizione periferica, anche a Brissago i valori immobiliari sono saliti alle stelle. Il sindacato, visto anche che non sono più molti i ferrovieri che frequentano il Brenscino, potrebbe così essere tentato, nel prossimo futuro, di cederlo a uno speculatore immobiliare di qui o d’oltre S. Gottardo per effettuare altrove, con il ricavato, investimenti più consoni alla sua attività.

Il centro del potere dev’esser stato raggiunto perché da metà dicembre gli uomini di Gulen si sono fatti notare parecchio. La polizia turca ha preso in custodia i figli di tre ministri del governo di Erdogan, un tycoon del real estate, un banchiere e un sindaco del partito del premier, l’Akp, e altre decine di persone, in tutto una cinquantina: sono accusati di corruzione. È iniziato così lo scontro frontale tra Gulen ed Erdogan, con il secondo che continua a parlare di complotti, di «forze oscure straniere» (come già faceva quando erano i ragazzi di piazza Taksim a chiedere la sua testa e lui li bruciava con idranti pieni di acidi), di procuratori corrotti, di giudici corrotti, di poliziotti corrotti. Così l’esecutivo ha rimosso dall’incarico magistrati e forze dell’ordine, per arginare la minaccia messa in campo da Gulen che vuole travolgere, con l’accusa di corruzione, l’establishment politico ed economico che fa capo al partito islamico di Erdogan. Il premier conosce bene il copione, perché quando nel 2002 si alleò con Gulen per creare un’alternativa isla-

mica moderata allo strapotere dei militari – che ha garantito a Erdogan la vittoria in tre tornate elettorali consecutive e che ha determinato il cosiddetto «modello turco» cui si sono ispirate le primavere arabe ma che ha già esaurito il suo fascino – lasciò che i membri della congregazione facessero il lavoro sporco con i generali. La campagna mediatica e giudiziaria che ha tranciato la leadership militare della Turchia, storicamente fortissima e rappresentativa dell’identità turca, è stata guidata da Gulen, che adesso vuole garantire lo stesso servizio a Erdogan e al suo entourage. La frattura – tutta interna al mondo islamico turco – è talmente netta che il premier ha dichiarato di essere favorevole a rifare i processi ai militari, cosa che loro chiedono da mesi, perché devono essere garantite le basi legali ai procedimenti giudiziari. È una rivoluzione nella strategia erdoganiana, se si pensa che per dieci anni il premier si è dedicato a smantellare il potere economico e politico dei militari (riuscendoci) e ora, per paura di Gulen e della sua confraternita, arriva ad allearsi con

i suoi nemici storici. Per alcuni si tratta di disperazione: la missione di Gulen è stata quella di creare «uno Stato nello Stato», come dice Erdogan, e ora sdradicarlo, dopo averlo assecondato per un decennio nella lotta congiunta all’esercito, non sarà semplice. Il premier usa le maniere forti, come è nel suo stile (ci sono purghe nella polizia ormai ogni notte in tutte le parti del Paese), ma Gulen sa dove colpirlo per fargli male. Con toni da gran negoziatore, il predicatore ha scritto una lettera melliflua prima di Natale (ma si è scoperto questa settimana) al «caro amico» presidente turco, Abdullah Gül, in cui si diceva dispiaciuto per la brutta propaganda che lo circonda e prometteva di essere pronto a mediazioni di qualsiasi genere per abbassare la tensione. Ma è tardi per la pace, naturalmente: Gül è un ex alleato di Erdogan, i rapporti tra i due si sono raffreddati, lo stesso presidente ancora non si è espresso sullo scandalo della corruzione che sta sfasciando il Paese. Forse perché deve ancora capire da che parte stare, e Gulen sa come attirarlo dalla sua.

slegate tra loro, scarsamente coeso sia politicamente che culturalmente; un’economia fondata sull’agricoltura e l’allevamento, semi-autarchica e dotata di un’unica valvola di sfogo: l’emigrazione stagionale, che a metà dell’Ottocento sarebbe per molti diventata definitiva. Su questo insieme di tessere irregolari e sconnesse si sovrappone, nel 1882, la ferrovia del San Gottardo, un filo d’acciaio Nord-Sud, con diramazione verso il Locarnese. Grandi speranze ma anche qualche delusione, perché il settore industriale non decolla nella misura auspicata. La strada ferrata funziona comunque da spina dorsale e da cordone ombelicale con la madrepatria, un asse aperto tutto l’anno e che mette in comunicazione il bacino della Ruhr con la val Padana. Gli anni ’60 aggiungono un terzo piano: quello autostradale: è l’era del Ticino «regione aperta», che da quel

momento lascia definitamente l’orbita rurale per entrare in quella, turbinosa e non priva di effetti collaterali, del terziario (piazza finanziaria), delle relazioni transfrontaliere, dei trasporti internazionali, delle residenze secondarie. Il lettore interessato troverà questo impianto, qui grossolanamente riassunto, nei lavori che Bottinelli ha inserito in volumi a più mani: la parte introduttiva del quaderno Ure n. 13 (Il Ticino ed i traffici internazionali di transito, 1980), il capitolo sul Ticino nel libro di Oskar Bär (Geografia della Svizzera, 1985) e il volume Fra immagini, contesti e flussi: per una geografia del popolamento della Svizzera (1999). Contributi non numerosi ma fondamentali; impossibile avviare una lettura storico-geografica della nostra regione prescindendo dalla modellistica approntata da Bottinelli (tra l’altro, su quella base, sarebbe nato il primo Piano direttore cantonale).

Bibliografia

Orlando Nosetti: Oltre cent’anni di accoglienza, studi sul turismo a Brissago, Dadò editore, 2013.

Affari Esteri di Paola Peduzzi Crisi politica in Turchia Il nemico del premier turco Recep Tayyip Erdogan, il nemico più temuto, il nemico più pericoloso, il nemico più infido perché prima era un amico, non abita nemmeno in Turchia. Fethullah Gulen è un predicatore islamico quasi settantenne con i baffi bianchi che vive in un centro di ritiro e preghiera noto come «The Camp» a Saylorsburg, una cittadina della Pennsylvania a ridosso dei monti Pocono, dal 1999, in autoesilio, dopo essere stato accusato di voler rovesciare l’allora governo laico della Turchia. Gulen è a capo di un movimento che non ha iscritti, si chiama «Hizmet», che significa «servizio», ma per i detrattori la definizione giusta è «ceemat», che vuol dire confraternita. I seguaci – da tre a sei milioni nel mondo, il numero è molto vago, gestiscono un network di scuole, campus, ong e centri culturali in almeno 130 Paesi; in Turchia Gulen controlla anche un gruppo editoriale che pubblica «Zaman», il quotidiano più venduto del Paese – si sono ispirati al pensatore sufi Said Nursi, credono nell’istruzione, soprattutto scientifica, sono aperti all’Occidente, al dialogo interreligioso, non hanno la

barba, parlano bene l’inglese e fanno quel che Gulen disse nel 1999 (c’è un video con le sue parole, come ha scritto in un bel ritratto il «Christian Science Monitor»): «Dovete muovervi nelle arterie del sistema senza che nessuno vi noti fino a che non arrivate nei centri del potere».

Il premier turco Erdogan.

Cantoni e Spigoli di Orazio Martinetti Le «trame» di Tazio Bottinelli Pochi giorni prima di Natale si è spento Tazio Bottinelli, docente di geografia, esperto della materia nella ex Asp (Alta scuola pedagogica di Locarno, ora integrata nella Supsi), ricercatore. Se ne è andato come un’ombra che scantona, e avendo cura di cancellare le tracce del suo passaggio su questo mondo. Strano destino per un geografo, abituato ad osservare rilievi, a disegnare carte e mappe, a ricostruire itinerari. Insegnante esigente ed ispido, non a tutti gradito (stando a chi lo ha conosciuto o lo ha avuto come collega), Bottinelli ha avuto il merito di riabilitare la geografia in una fase in cui questa disciplina sembrava soccombere all’irruzione dell’economia, della sociologia e dell’antropologia culturale. Geografia che fino agli anni ’60 appariva inchiodata alla descrizione del dato fisico – clima popolazione bandiere capitali montagne fiumi laghi – e che stentava ad assorbire gli stimoli provenienti

dalle scienze umane. Almeno nelle nostre scuole, perché altrove, soprattutto in Francia ma anche nella vicina Italia, i geografi già ponevano al centro delle loro indagini il rapporto tra uomo e spazio, tra uomo e ambiente. In queste relazioni emergevano temi come le migrazioni, gli squilibri interni e internazionali, l’arretratezza nel terzo mondo, l’eredità del colonialismo. I nomi erano quelli di Pierre George, di Yves Lacoste, di Lucio Gambi, di Teresa Isenburg. Fu in questa temperie di rinnovamento che sui banchi dei nostri istituti mediosuperiori giunse uno dei libri più significativi di George, che già nel titolo indicava nuovi orizzonti: L’action humaine (1968) tradotto da Franco Angeli sotto il titolo L’organizzazione sociale ed economica degli spazi terrestri. Anche la pubblicazione di un corposo studio come quello allestito dal geografo di Grenoble Jean Billet, Le Tessin. Essai de géographie régionale (1972),

contribuì a risvegliare l’interesse e a rianimare il dibattito su una terra «en mutation rapide». Bottinelli raccolse tutti questi spunti per inserirli in un quadro che permettesse di ripensare lo sviluppo regionale del triangolo cisalpino, dall’epoca dei baliaggi fino all’avvento dell’autostrada. Il «laboratorio» in cui avvenne tale reinterpretazione fu l’Ufficio delle ricerche economiche (Ure) all’epoca diretto dal professor Remigio Ratti. Si trattava, in parole povere, di «leggere il Ticino con occhi diversi», ovvero di mettere a punto un modello interpretativo dinamico: la regione come «espressione mutevole di una società in continua evoluzione». I due approcci – quello storico-geografico e quello economico-spaziale – illuminavano la filigrana di una serie di «stadi» di sviluppo, soprattutto a partire dall’antico regime. Dapprima la trama di un Ticino pre-ferroviario, frammentato al suo interno, diviso in «cellule»


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Cultura e Spettacoli Gli incredibili luoghi di Eco Viaggio alla ricerca dei luoghi nati nelle creative menti di scrittori e artisti

Giuseppe Rensi e il Ticino Pubblicati gli atti di un convegno in cui sono state ripercorse alcune delle tappe fondamentali dell’esule Rensi, cittadino ticinese per consapevole scelta

De Keersmaeker e la danza Un ritratto della grande e innovativa ballerina e coreografa belga

pagina 34

La musica di Oscar Bianchi A colloquio con il compositore italo-svizzero che recentemente ha vinto il prestigioso premio della critica discografica tedesca pagina 39

pagina 32 pagina 35

Collana in oro, argento e pietre preziose realizzata da Michele Dato nel 1679.

Un tesoro per San Gennaro Mostre Un’eccezionale esposizione nella capitale italiana mostra lo sfarzo e il lusso con cui si è da sempre

cercato di dimostrare la massima devozione al più popolare fra i santi Blanche Greco Per la prima volta lontano dalla città partenopea, in una mostra sorprendente, sotto l’occhio vigile di decine di custodi e poliziotti, alla Fondazione Roma Museo, a Palazzo Sciarra a Roma, si possono ammirare in tutto il loro splendore: I capolavori del Museo del Tesoro di San Gennaro, settanta opere, delle 21.610 di eccezionale valore realizzate da raffinati maestri orafi, donazioni che il santo patrono di Napoli, ha ricevuto nell’arco di sette secoli e che costituiscono una delle collezioni di arte orafa più importanti al mondo. Re, imperatori, papi, conquistatori senza scrupoli e fedeli devoti, tutti indistintamente, hanno contribuito a questo inestimabile tesoro che conta anche una grande collezione di ex-voto e che, come è emerso dopo una lunga ricerca condotta nel 2010 da un’equipe di gemmologi, ha un valore storico superiore a quello dei gioielli della corona d’Inghilterra e a quelli dello zar di Russia. Infatti il «Tesoro di San Gennaro» non ha mai subito spoliazioni, o saccheggi, le gemme che decorano i vari oggetti che lo compongono, non sono mai state vendute per finanziare guerre, o avventure di sorta, ma al contrario, questo santo,

forse il più famoso e conosciuto al mondo, che conta venticinque milioni di fedeli, riceve continue donazioni. Patrono e baluardo ultimo della città di Napoli, contro le guerre, le pestilenze, le carestie, i terremoti, ogni sorta di catastrofe naturale che affliggeva la città, questo martire cristiano del III secolo dopo Cristo, è venerato dai napoletani che, per ottenere la sua intercessione, giunsero persino a stipulare con lui un patto suggellato dal notaio. Era il 1526: Napoli era squassata dai terremoti provocati dal Vesuvio, e martoriata dalla guerra degli angioini che aveva causato anche la pestilenza in città, fu così che la cittadinanza promise, in cambio della grazia, per essere liberata da tutte quelle sciagure, di costruirgli in Duomo, una nuova cappella più grande, e per sottolineare questa ferma intenzione, fu firmato un patto notarile ufficiale il 13 gennaio del 1527. La Real Cappella del Tesoro di San Gennaro, in stile barocco fu consacrata il 16 dicembre 1646 ed affidata alla Deputazione, un’istituzione laica che rappresenta la cittadinanza e che con l’adiacente museo, custodisce ancora oggi il tesoro: in parte esposto, in parte mantenuto in un caveau. In occasione di questa mostra, nelle sale di Palazzo

Sciarra, per la prima volta, si possono ammirare molti di quei pezzi preziosi che a Napoli non trovano spazio in esposizione, ma anche i documenti originali, come l’atto notarile, e poi i dipinti e i disegni che raccontano la storia del tesoro che s’intreccia con quella della città. Così se del magnifico busto reliquiario in argento dorato del 1350, dono di Carlo II D’Angiò, vediamo solo una perfetta copia (l’originale non può essere spostato dal Duomo di Napoli), si rimane senza fiato davanti alla mitra che veniva messa sul busto nelle processioni solenni ed è in argento dorato, con incastonate 3964 pietre preziose: diamanti, rubini e smeraldi. Di grande valore, la mitra, costata ben ventimila ducati raccolti con una colletta popolare, venne creata dal maestro orafo Matteo Treglia nel 1713, secondo una tradizione legata alla simbologia delle pietre negli oggetti ecclesiastici, dove lo smeraldo rappresentava l’unione della sacralità del santo con l’emblema dell’eternità e del potere; i rubini, il sangue dei martiri e i diamanti, il simbolo della fede inattaccabile. Altrettanto preziosa è la famosa collana di San Gennaro, a ornamento del busto, realizzata da Michele Dato ed altri orafi-artigiani, con tredici grosse maglie in oro massiccio

con appese delle croci tempestate di zaffiri e smeraldi, alle quali si sono poi aggiunti altri gioielli di diversa fattura donati da pellegrini illustri. Legati ai preziosi oggetti di squisita fattura che si possono ammirare nelle varie sezioni della mostra, ci sono i nomi di famose famiglie napoletane che operavano nell’Antico Borgo degli Orefici: scultori, argentieri, cesellatori, saldatori, capaci di realizzare capolavori di rara bellezza e vere e proprie statue come i 54 busti d’argento a grandezza naturale, alcuni dei quali presenti in mostra a Roma, e che rappresentano i santi compatroni di Napoli, commissionati e pagati dal popolo che li portava in processione. L’ultima sezione, anch’essa sorprendente nella lunga mostra del Tesoro di San Gennaro, è costituita dai molti doni di alta oreficeria, fatti a San Gennaro da re e imperatori, tra i quali troviamo lo stesso Napoleone, che a Napoli nel 1806, invece di razziare, donò a San Gennaro una croce di zaffiri e diamanti, mentre è di suo cognato Gioacchino Murat, un prezioso ostensorio in oro, rubini, zaffiri e diamanti. Anche Pio IX rifugiatosi a Napoli nel 1849, durante i moti mazziniani di Roma, si sdebitò con San Gennaro, con un calice in oro zecchino, opera dell’orefice romano

Valadier, che oggi viene stimato circa nove milioni di euro. Tuttavia fu soprattutto per proteggerlo dalle bombe durante la seconda guerra mondiale che il Tesoro di San Gennaro fu inviato dai napoletani in Vaticano, ma a fine conflitto la sua restituzione alla città di Napoli, tardava. Allora, come racconta anche Paolo Jorio direttore del museo, si fece avanti Giuseppe Navarra, un palombaro chiamato anche «il re di Poggioreale», conosciuto nella «mala» per i suoi travestimenti, che promise al cardinale di riportare il Tesoro a Napoli. Dieci giorni dopo si seppe che lo aveva avuto in consegna e poi sparì. Riapparve davanti al Duomo con tutto il tesoro, molti mesi dopo: non mancava nulla, e non volle niente per sé, chiese solo di legare per sempre il suo nome a quell’impresa. Dove e quando

Il tesoro di Napoli, I capolavori del Museo del Tesoro di San Gennaro, Roma, Fondazione Roma Museo, Palazzo Sciarra, (Via Minghetti 2, ang. Via del Corso, Roma). Orari: Lu-ve 9.00-18.00, sa 9.00-12.30; chiuso do e festivi. Fino al 16 febbraio 2014.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 13 gennaio 2014 • N. 03

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Cultura e Spettacoli

Come ti reinvento Sherlock Riscritture Il trend di riscrivere i classici della letteratura (soprattutto inglese)

toccherà presto anche l’intoccabile William Shakespeare

Visti in tivù È iniziata

venerdì la seconda stagione della serie più vista in Italia nel 2013

Mariarosa Mancuso Colazione da Starbucks. Qualche giorno fa il quotidiano inglese «The Guardian» – con cui spesso e volentieri commettiamo adulterio quando le pagine culturali dei giornali italiani offrono poca soddisfazione – indagava sui classici ammodernati. I quattrocento anni dalla morte di William Shakespeare (scadono il 16 aprile 2016, e tre giorni dopo saranno 4 secoli dalla morte di Cervantes) hanno già messo in agitazione le case editrici. La Hogarth Shakespeare, che fa parte del colosso Penguin Random House e riprende il nome della casa editrice fondata nel 1917 da Virginia Woolf con il marito Leonard, ha avviato un programma di riscritture. Ogni tragedia o commedia sarà affidata a un romanziere contemporaneo. Non per volgerla in inglese moderno (resta celebre la scena del film Riccardo III – un uomo un re di Al Pacino, con gli attori americani che faticano a capire la lingua di Will). Per reinventarla. Fa notare Howard Jacobson, saggista e scrittore (il suo Kalooki Nights e gli altri romanzi sugli ebrei britannici sono pubblicati in italiano da Cargo) alle prese con Il mercante di Venezia: «Shakespeare probabilmente non aveva mai visto un ebreo, l’antisemitismo non aveva un nome, e dopo l’Olocausto la libbra di carne ha un altro significato». Confessa però che il confronto lo spaventa. Per lo stesso motivo la Hogarth Shakespeare ha tenuto i sonetti fuori dal suo catalogo. Altri restauri (conservativi) sono in corso. La disegnatrice canadese Karen Klassen ha illustrato Colazione da Tiffany restituendo a Holly Golightly i suoi capelli biondi (per questo Truman Capote avrebbe preferito Marilyn Monroe a Audrey Hepburn, forse la storia della magrezza e del tubino nero sarebbe cambiata). Val McDermid sta riscrivendo L’abbazia di Northanger di Jane Austen trasportando l’azione da Bath (luogo di villeggiatura e di caccia al marito)

Antonella Rainoldi

Il nuovo Holmes è Benedict Cumberbatch.

al festival di Edimburgo che si tiene in agosto. In arrivo, anche Emma riscritto da Alexander McCall Smith – l’inventore della detective africana Mama Ramotswe. Joanna Trollope sta lavorando su Senno e sensibilità: il cattivo arriva a bordo di una Aston Martin, neanche fosse James Bond. L’agente 007 ha subito i suoi ritocchini a opera di William Boyd (altro scrittore celebre e premiatissimo, leggete da Neri Pozza il suo Ogni cuore umano, che già aveva Ian Fleming tra i suoi numerosi personaggi). Uscito da Einaudi Stile Libero con il titolo La nuova missione di James Bond, ristabilisce i fondamentali messi in ombra dai film. Per esempio, la sua passione per il cibo, oltre mezzo secolo prima che diventasse di massa: oltre alla ricetta del martini mescolato e non shakerato, abbiamo la ricetta per le perfette uova strapazzate. Il «Guardian» colpevolmente trascura – in questa sezione, nella sezione tv ne scrive moltissimo – il più meraviglioso degli adattamenti: lo Sherlock Holmes in onda sulla BBC con il titolo

Sherlock (sei arrivato in vetta quando ti chiamano con il solo nome di battesimo). Siamo alla terza sospiratissima stagione, la seconda si era chiusa due anni fa con la morte del detective (ognuna si compone di sole tre puntate, ed è subito crisi d’astinenza: per ricuperare, il canale Top Crime di Mediaset ripropone dallo scorso martedì la prima stagione del 2010). Perfetta filologia: anche Arthur Conan Doyle cercò di liberarsi del suo personaggio, facendolo precipitare durante un combattimento con il mortale nemico Moriarty giù dalle cascate di Reichenbach (il fiume è l’Aar, siamo vicini a Meiringen). Gli sceneggiatori Steven Moffat e Mark Gatiss hanno fatto un lavoro meraviglioso, conservando le manie del grande deduttore – tecnicamente, si tratta di abduzione, per risolvere un delitto serve un disegno che tenga insieme tutti gli indizi, la deduzione non produce niente più delle premesse. Fanno tornare il dottor Watson dall’Afghanistan, come nell’originale (c’è sempre una guerra che serve alla bisogna): per raccontare le

indagini apre un blog. Sublimi gli attori. Benedict Cumberbatch, che allora era poco conosciuto e oggi è tanto famoso che gli danno la parte del drago sputafuoco Smaug nell’ultimo Hobbit di Peter Jackson. Gli fa da spalla Martin Freeman, che purtroppo è finito a fare lo Hobbit medesimo, con il nome di Bilbo (ancora non lo abbiamo perdonato). Vivono insieme al 211B di Baker Street. Holmes si annoia e spara alle brutte tappezzerie (dettaglio che ne fa un dandy alla Oscar Wilde). Tranne quando arriva un caso interessante da risolvere: le scritte in sovrimpressione simulano la velocità di pensiero, l’ispettore Lestrade di Scotland Yard viene ridicolizzato mandando sms ai giornalisti che assistono alla conferenza stampa. Morto Sherlock – anche se per finta, ma l’amico e aiutante non lo sa – Watson si trova una fidanzata. Va da sé che Sherlock riappare – anche Conan Doyle fu costretto dai lettori a resuscitare il detective – e farà da testimone alle nozze. Un incubo, per uno che detesta le cerimonie e le smancerie.

I luoghi della leggenda Viaggi immaginari Terre leggendarie che hanno creato chimere, utopie e illusioni

nel nuovo volume di Umberto Eco Stefano Vassere «Talvolta, là dove la strada tagliava per pinete che nell’oscurità sembravano sul punto di piombarci addosso, i grandi banchi di foschia, qua e là insinuantisi fra i tronchi, producevano un effetto singolare, lugubre e solenne, risuscitatore di pensieri e sinistre fantasie. Sul nostro capo, nubi nere, trascorrenti, e, nell’aria, la sensazione greve, opprimente, che precede il tuono». Sicuro che cercheremmo invano il castello del conte Dracula nella cupezza dei Carpazi, anche se tutti sappiamo che era stato il reale Vlad Tepes, oscuro impalatore voivoda del Quattrocento, a ispirare il romanzo. E soprattutto anche se questi luoghi sono frutto di un miracolo narrativo antico e universale, che trasforma «i luoghi dell’illusione leggendaria» in quelli «dell’illusione romanzesca». Da quanto esiste la letteratura, c’è un patto tra scrittore e lettore, una specie di contratto che ci trattiene dal partire a cercare l’Isola Che Non C’è o la casa di Madame Bovary o il castello di Hogwarts. Come invece magari faremmo per andare a scoprire Atlantide o altre credulonerie delle quali si sono invaghiti matti e marinai tanto da armare spedizioni più o meno credibili o fondate. Eppure è la storia di quest’ultima categoria

La scommessa vinta di Arrow

di luogo leggendario ad avere ispirato sedi sorelle di creatività, su tutte la pittura e la rappresentazione grafica. Se proprio si vuole trovare un difetto a questo dotto e colorato Storia delle terre e dei luoghi leggendari di Umberto Eco, lo si potrà cercare nel peso e nel formato, che ne fanno un volume da tavolo del salotto mentre invece lo si dovrebbe potere portare in giro, a letto, sul treno e in tutti quei posti che facilitano una lettura comoda. Certo è che sono per contro quella grammatura della car-

ta e la sua patinatura a permettergli di accogliere le immagini che integrano con profitto un testo dal piacevole tono enciclopedico, sostenuto e lieve, che riconosciamo in questo autore speciale. Perché questa è la storia dei luoghi leggendari ma anche delle loro rappresentazioni, e il lettore se ne accorge ben prima di quando, nelle ultime pagine, sia lo stesso Eco a dirci finalmente che «ci vengono in soccorso le narrazioni figurative che accompagnano i capitoli di questo libro, che fissano i personaggi di leggenda in una realtà incancellabile, parte del museo della nostra memoria». Nei quindici capitoli, nelle tavole, nelle appendici con benvenuti assaggi antologici, negli apparati finali, il lettore è portato di qua e di là, verso posti di differenti nature e dignità: dalle terre del Vecchio Testamento, alle cosmogonie e rappresentazioni del pianeta, ai viaggi all’interno della Terra, al paese di Cuccagna. Non possiamo escludere che siano esistite o che esisteranno un giorno, e comunque ne parlano le leggende, ne parla la Bibbia, stanno in documenti falsi, strampalati, fittizi. La Terra che poggia su una tartaruga, la Terra come un disco piatto, quella che sta sul dorso di una balena che a sua volta sta su un toro che sta su una roccia che sta sulla polvere. O Saba, luogo

di provenienza della favolosa regina che conosce il re Salomone e che secondo la leggenda avrebbe di lì a poco partorito Menelik, capostipite dell’impero Etiopico (qui, immagini delle bandiere dell’Etiopia e del Salomone e la regina di Saba di Piero della Francesca). O, per restare nel periodo, i Magi: vengono dalla Persia, dalla Caldea, dalle Indie, dall’Estremo Oriente? A dar retta alle varie fonti c’è da diventare, felicemente, matti. Come matti si diventa nel cercare di capire seguendo le leggende dove i Magi furono poi sepolti: nella città di Saba come in Marco Polo o nella basilica milanese di Sant’Eustorgio all’epoca del Barbarossa o in quella di Santa Sofia a Costantinopoli? Le immagini, come detto, non sono solo l’accompagnamento banalmente esemplificativo del testo: tra le più rilevanti il dolcissimo e commovente Bouguereau Ninfe e satiri di pagina 64, le allucinate illustrazioni della Commedia o dell’Orlando furioso di Gustave Doré (pagine 172 e 461, vedi foto), i parecchi Paradisi terrestri del quinto capitolo.

I lettori allarmati ci perdoneranno, ma questa rubrica si è semplicemente presa qualche giorno di riposo. Vediamo di recuperare da subito il tempo perduto. Da anni Italia 1 tenta di riappropriarsi del pubblico più giovane, meno televisivo. Ci ha provato lo scorso autunno con la prima stagione di Arrow, una serie americana ideata da Greg Berlanti, Marc Guggenheim e Andrew Kreisberg e ispirata al personaggio di Freccia verde, eroe protagonista dei fumetti della DC Comics nel 1941. Ci riprova adesso con la seconda stagione, confortata dal successo della prima: una media di tre milioni e mezzo di prede, in prevalenza venti-trentenni, e un primo posto nella classifica delle serie più viste in Italia nel 2013 (venerdì, ore 21.10, a ridosso della trasmissione negli Stati Uniti). Arrow racconta le avventure del giustiziere Oliver Queen (Stephen Amell), playboy miliardario sopravvissuto al naufragio del grande yacht su cui viaggiava insieme al padre. Dopo aver trascorso cinque anni su un’isola deserta, torna a Starling City per assumere l’identità segreta di Hood e combattere il crimine, con l’aiuto di una lista nera lasciatagli dal padre prima di morire. Sull’isola ha imparato come cavarsela in situazioni estreme, ha affinato le tecniche di lotta, si è costruito un corpo muscoloso, ma soprattutto è diventato un perfetto arciere, pronto a consumare la sua vendetta contro i «cattivi». Lo spunto narrativo della seconda stagione è rappresentato dalla morte di Tommy (Colin Donnel), l’amico di sempre. Oliver sente su di sé il peso della colpa e si rifugia sull’isola, dove tutto è cominciato, costringendosi a un percorso di profonda introspezione. Ma l’avvio ha un tono di passaggio, perché Starling City ha ancora bisogno di Hood, e Hood di Starling City. E infatti i nuovi episodi riannodano presto i fili che si sono dispiegati per gran parte della prima stagione, finché il destino di Oliver inizia a intrecciarsi con quello di due new entry: Black Canary (Caity Lotz), la poco santa protettrice delle donne, e Flash (Grant Gustin), lo scienziato dalla doppia vita Barry Allen, entrambi supereroi nati negli albi della DC Comics negli anni Quaranta. La forza di Arrow sta soprattutto nella congiunzione di azione e ritmi vibranti: ampio spazio ai duelli, agli intrighi, ai colpi di scena, come piace al pubblico più giovane.

Bibliografia

Umberto Eco, Storia delle terre e dei luoghi leggendari, Milano, Bompiani, 2013.

Stephen Amell interpreta il giustiziere con l’arco, Oliver Queen.


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Cultura e Spettacoli

Il mondo reale dell’opera Incontri Glorwina è il secondo romanzo (purtroppo non ancora tradotto) di Antonino Orlando,

scrittore e intellettuale svizzero che non ama allinearsi

Marinella Polli

dire del primo, un’opera di non facile lettura.

Antonino Orlando (classe 1946), scrittore e letterato, vive e lavora a Wald/ZH. Conseguito il dottorato presso il leggendario professore di germanistica Emil Staiger con una tesi sulla Minna von Barnhelm di Lessing, è dapprima giornalista e professore di ginnasio, in seguito direttore responsabile della prestigiosa rivista «Turicum». Si interessa in particolare delle tradizioni in letteratura, arti figurative, musica e teatro. Glorwina è il suo secondo romanzo, preceduto da Im Reich des schwimmenden Kaisers, pubblicati entrambi per i tipi della Karin Fischer Verlag di Aachen.

L’azione di Glorwina si svolge a Bologna, nel periodo fra gli Anni Cinquanta e Settanta. La protagonista è una cantante d’opera che interpreta ruoli molto noti. Siamo in un mondo reale, dunque molto più accessibile, più comprensibile per il lettore. L’azione del romanzo d’esordio si svolge invece in un mondo lontano e di fantasia, di conseguenza anche la lingua è diversa.

Antonino Orlando, dopo la Sua prima prova letteraria Im Reich des schwimmenden Kaisers, ora Glorwina, un romanzo in cui lei abbandona completamente gli schemi del precedente. Si tratta di una scelta voluta?

Glorwina è una mia vecchia fantasia, la prima nel tempo e che con il tempo è cresciuta con me. In ambedue i romanzi è il traguardo a rappresentare un ideale: nel Kaiser viene raggiunto da una società, in Glorwina da un individuo. Il suo secondo romanzo si legge tutto d’un fiato, ciò che non si può

Glorwina è una storia che ha luogo in un ambiente che lei conosce molto bene, il mondo dell’Opera. È dunque dalla sua passione per l’Opera che prende le mosse il romanzo?

Il mondo dell’Opera con i suoi grandi cantanti mi ha procurato molti momenti felici. Ogni volta che questi artisti riescono a calarsi alla perfezione nel loro ruolo è per me un miracolo. In Glorwina cerco di descrivere questi mirabili momenti, evidenziando ad un tempo un ideale: quello di una persona privilegiata che però non dimentica mai di pensare a chi privilegiato non è. Che ruolo hanno per un autore la propria vita e le passioni coltivate nella scelta del tema di un romanzo?

La mia biografia non è inconsueta, laddove le mie convinzioni e speranze guardano all’inconsueto. In Glorwina

mente quello che la voce è per un cantante. Scrittori e cantanti lavorano incessantemente al loro strumento, eloquente testimonianza di ciò che è il loro modo di vedere il mondo. Un autore dovrebbe avere un lessico estesissimo e saper costruire alla perfezione frasi e periodi, e non sono pochi gli autori svizzero tedeschi in grado di creare una propria lingua, per esempio Markus Werner o Pascal Mercier, o Peter von Matt. Purtroppo oggi vi è però anche la cattiva abitudine delle frasi corte e delle parole comprensibili al vasto pubblico. Ma che senso ha esprimersi in modo semplicistico, sperando che il lettore capisca da sé quello che è complicato?

queste sono veicolate da un modo di narrare tradizionale e dunque comprensibile per il lettore. Il mio orizzonte è diverso da quello di altri autori svizzero tedeschi, vuoi Meinrad Inglin, vuoi Kurt Guggenheim, vuoi Urs Widmer, nelle cui opere esperienza di vita e momento storico si riflettono l’una nell’altro. Personalmente ho scelto un altro percorso. Nell’odierno contesto della letteratura di lingua tedesca e svizzero tedesca, dove collocare i due romanzi?

I miei romanzi sono probabilmente isole, ma sono molte le persone che oggi desiderano il buono e il bello che vi descrivo. Il fatto che essi non siano collocabili in seno a questa o quella scuola non deve per forza essere negativo, tranne forse – ciò che però poi potrebbe essere uno svantaggio per il pubblico – in termini di mercato. Sono comunque vicino più di quanto sembra alla letteratura svizzera che descrive, è vero, la nostra realtà, ma suggerisce anche un che di non reale e auspicabile. Oggi alcuni autori continuano sulle orme di Max Frisch, Adolf Muschg e Paul Nizon, eppure il nostro Paese ha raggiunto molto dal punto di vista politico, basti pensare alla nostra democrazia diretta ove vige l’uguaglianza. Molti ci invidiano per questo, mostrando disprezzo e diffidenza nei confronti della

Quali autori di lingua tedesca legge oggi?

L’autore del romanzo, Antonino Orlando. (Odette Abraham)

Svizzera, un Paese quasi ideale, e che per questo io amo molto. I due romanzi hanno la lingua in comune, una lingua ricca, ma anche molto precisa: ogni parola ha un suono ben determinato che prelude a quello della successiva. Qualità e precisione linguistica vengono spesso trascurate dagli scrittori.

Lo stile per uno scrittore è sostanzial-

Anche oggi che Thomas Bernhard non c’è più, vi sono validi autori per quanto riguarda la lingua. La prosa di Peter Handke, Ernst Augustin, Georg Klein e Robert Menasse, per esempio, è doviziosamente orchestrata, laddove Daniel Kehlmann padroneggia nel vero senso della parola l’arte della semplicità. E il prossimo romanzo? La storia di un’altra donna affascinante?

Sono attualmente alle prese con una storia d’amore complicata che però finisce bene. Un happy end ben narrato può essere una gioia.

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Cultura e Spettacoli

Giuseppe Rensi, ciò che deveal Ticino

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Meridiani e paralleli Usciti gli atti

di un convegno tenutosi nel 2011 Giovanni Orelli Giuseppe Rensi, chi era costui? Era (è) anche un ticinese per il quale l’accompagnanome (o aggettivo) ticinese va messo tra virgolette. Perché egli è un italiano, nato a Villafranca di Verona nel 1871, è morto a Genova nel 1941. Era un probo avvocato e filosofo, attivissimo a Milano nella stampa socialista, anch’egli esule del 1898, anno della repressione di moti popolari ad opera del «feroce monarchico Bava», come canta una bella canzone «partigiana». L’esule Rensi rimase nel Ticino per dieci anni, «integrandosi nella società del Cantone, dove infatti collaborò alla stampa radicale, acquistò la cittadinanza ticinese, militò nel partito socialista, assunse cariche pubbliche e si diede a studiare le istituzioni della Confederazione e del Cantone per darne indicazioni utili all’Italia»: così Fabrizio Mena, pagina 412 nella Storia del Cantone Ticino, a c. di Raffaello Ceschi, tomo I, ed. d. Stato del Cantone Ticino, 1998. E vi pare poco? «Per trarne indicazioni utili all’Italia!»

Un’occasione per scoprire l’esule Rensi che acquistò la cittadinanza ticinese e studiò il Paese Per chi vuol saperne un po’ di più su questo italo-ticinese, c’è ora a disposizione un bel volumetto: Giuseppe Rensi. Politica e filosofia tra Svizzera e Italia, Atti dell’incontro di studio, Bellinzona, 26 marzo 2011, molto ben curato da Simone Bionda, editore del Club Plinio Verda per le Ed. Salvioni, Bellinzona, ottobre 2013. Prima di dire due mezze-parole sugli atti di quel convegno, vorrei appena suggerire, a un giovane lettore curioso di storia-e-civica, di fare una «lettura parallela», di leggere le dense, chiare, intelligenti risposte che un «intellettuale» ticinese di sottovalutato valore, Virginio Pedroni, dà alle sollecitazioni dello storico Pompeo Macaluso, in apertura del libro (del Macaluso) Tra due guerre, Problemi e protagonisti del Ticino (1920-1940), Dadò, Locarno, 2013. Raramente mi sono trovato così in imbarazzo come nel caso del Pedroni a prele-

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Il libro degli atti del convegno dedicato a Rensi.

vare un esempio del suo acuto procedere, perché tutte le sue risposte sono fuori del comune. Rischio ugualmente: «Anche da noi i circoli culturali hanno quasi completamente perso la loro capacità di elaborare la cultura in vista di un impegno civile, e si limitano alla divulgazione, spesso di ottimo livello, o all’intrattenimento». E quattro pagine dopo, cioè alla 22: «Dovrebbe essere ormai chiaro alle forze di ispirazione liberale che le politiche neoliberiste stanno generando un rancore sociale di cui si nutrono le destre populiste, con il rischio di mettere in pericolo i princìpi stessi di libertà e tolleranza». Il mio lettore si è accorto che qui, per lo spazio che ho, metto su strade parallele due studiosi, Rensi e Pedroni, che vivono in epoche diverse e sollecitati da eventi diversi. Eppure… Ma devo finalmente rispettare il titolo della mia segnalazione. Devo tornare a Rensi, al bel libro fatto per lui. Non è indispensabile che il lettore segua l’ordine proposto dal convegno e dall’impaginazione. Tradotto in nomi: Simone Bionda, Alberto Castelli, Fabrizio Meroi, Gian Matteo Corrias, Nicola Emery. E poi due testi di Rensi, uno dei quali ha proprio per titolo Ciò che devo al Canton Ticino. Si cominci pure da Nicola Emery, che per Rensi può partire dall’aggettivo perturbante, che si oppone a famigliare; in modo più accarnante nel tedesco di Freud: heimlich che diventa unheimlich, anche se non diventa proprio spaventoso come l’abisso orrido immenso / ov’ei precipitando il tutto oblia del Leopardi pastore errante dell’Asia. Poi, il paziente lettore può tornare indietro alle pagine del saggio di Alberto Castelli dove l’ottimista Rensi è «marcato a uomo» (come dicono per il calcio) da Gaetano Mosca. Che «aveva mostrato che in ogni ordinamento politico esiste una classe di governati, che costituisce la grande maggioranza della popolazione, e una classe composta da pochi che detiene ed esercita il potere». Come vorrei trascrivere il resto. Salto invece a poche righe di alcune pagine più in là, alla 19, dove si parla (è il Castelli che parla, e realisticamente) del referendum, che in tantissimi di noi, ticinesi! cioè componenti del popolo sovrano, dovrebbe essere (come si auspica per certi « politici») santificato. Che fare allora? Fare decentemente, bene, il proprio mestiere? Sì, chi può farlo.


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Cultura e Spettacoli

Semplicità, purezza e rigore Danza Anne Teresa de Keersmaeker, fra cielo e terra alla ricerca di un legame magico con il mondo Giorgia Del Don Come parlare di danza contemporanea senza spingersi istintivamente e con un certo timore verso quel personaggio enigmatico, magnetico e unico che è Anne Teresa de Keersmaeker? Senza di lei, senza la sua forza e la sua eleganza così particolare, instabile e ruvida allo stesso tempo, la storia recente della danza contemporanea sarebbe di sicuro un tantino (molto) zoppicante.

La coreografa belga definisce la sua ossessione per la danza un «movimento fra il caos e l’ordine» Sin dall’inizio degli anni Ottanta l’impronta coreografica così particolare di Anne Teresa de Keersmaeker si è imposta come un’evidenza. I suoi vestitini neri che ondeggiano su scena come corolle, le gonnelline bianche essenziali, quasi naive, coordinate a calzini e scarpette da ragazzina, marcano da allora indelebilmente il panorama della danza contemporanea. Questa miscela di semplicità, di purezza, e di estremo rigore quasi matematico sono gli elementi essenziali di un’estetica che non smette di arricchirsi di nuove ispirazioni. Seppur inevitabilmente spinta a cercare sempre, nella realtà che la circonda, nuovi stimoli per i suoi lavori, Anne Teresa de Keersmaeker ha saputo rimanere fedele a un’immagine della danza che non appartiene che a lei; un modo di esprimersi che come lei stessa dice è «un modo per essere legata al mondo», al suo mondo, nel quale ci lasciamo trascinare, come stregati. Nata nel cuore delle Fiandre la nostra coreografa belga comincia sin da

La ballerina e coreografa belga Anne Teresa de Keersmaeker (al centro) durante le prove di uno spettacolo nel 2004. (Keystone)

piccola ad interessarsi alla musica che, in simbiosi con la danza, diventerà il centro delle sue inquietudini artistiche. Il suo primo contatto con la danza (classica) avviene a Bruxelles alla scuola di Lilian Lambert dove incontra alcuni dei collaboratori che non la molleranno praticamente mai. Fra questi Michèle Anne De Mey, uno dei membri fondatori della sua compagnia (ROSAS) e suo fratello Thierry De Mey con il quale collaborerà a livello cinematografico dando corpo ad alcune delle opere di video danza più potenti mai realizzate, una coabitazione perfetta fra due arti (il cinema e la danza) per creare qualcosa di unico, indipendente e sublime. La scuola Mudra (fondata da Maurice Béjart a Bruxelles) che frequenta in seguito sarà per lei essenziale; è proprio qui che Anne Teresa incontra uno dei suoi mento-

ri, il musicista e pedagogo Fernand Schirren, incaricato allora dei corsi di ritmo. L’approccio alla musica di Schirren sarà fondamentale per lei che, come il suo maestro, vive il ritmo come qualcosa di fisico, di interiore, una sorta di richiamo intimo che bisogna allenare costantemente, come un muscolo. Questo equilibrio delicato, fra il rigore che bisogna mettere per sentire questo richiamo e l’emozione che questo suscita in noi, è al centro di tutte le coreografie di De Keersmaeker. A cominciare da Fase, four mouvements to the music of Steve Reich, l’allieva del professor Schirren, che nel frattempo è partita due anni a New York per studiare alla Tisch School, sviluppa un linguaggio coreografico deciso a rinnovare il legame intenso fra danza e musica. In questo senso le composizio-

ni minimaliste di Steve Reich si sposano così perfettamente con le sue creazioni da acquistare quasi una nuova dimensione. Non sarà che quindici anni dopo la sua creazione che il compositore statunitense scoprirà infine Fase che sarà per lui una grande rivelazione: «il lavoro di Anne Teresa De Keersmaeker era equivalente alla mia musica. Sul piano emotivo e psicologico ho sentito di aver imparato qualcosa sul mio stesso lavoro». Il minimalismo della musica di Steve Reich rinforza il gusto di De Keersmaeker per la struttura e allo stesso tempo rivela un sottostrato emotivo molto forte. Queste sensazioni apparentemente contrastanti si ritrovano non solo in Fase ma praticamente in tutte le coreografie che seguiranno, specialmente Rosas danst Rosas, che darà vita all’omonima compagnia, o i più re-

centi En attendant e Cesena. Seppur sempre estremamente controllato, il linguaggio coreografico della nostra artista belga dà vita ad un mondo di una bellezza infinita che ci trasporta ancor più a livello emotivo che celebrale; questo forse perché tocca proprio quel punto nascosto che Schirren definisce come la sorgente del ritmo. Ciò che ci lascia sconcertati di fronte ad una coreografia come Fase è il renderci conto che la complessità e la «secchezza» matematica della sua composizione suscitano nello spettatore un’euforia sensoriale tale da trasportarlo praticamente in un altro mondo. Di sicuro il legame quasi magico che le coreografie di De Keersmaeker instaurano con la musica (utilizzata in modo radicale) è al centro di questo «fenomeno». In effetti «sperimentazioni» quali The Song, pièce in cui (sorprendentemente) la musica è quasi completamente assente, non riescono a risvegliare quell’emozione che suscitano invece pièce quali Fase, e lasciano in bocca quel cattivo gusto di pura sperimentazione formale. Il cielo e la terra, o ancora il vuoto ed il pieno (il binomio favorito del professor Schirren), questi sono gli opposti che vivono nelle opere di De Keersmaeker, sempre alla ricerca di un’ebbrezza rigorosamente controllata. Dall’apertura della sua scuola P.A.R.T.S a Bruxelles nel 1995 (dopo il trasferimento di Mudra da Bruxelles a Losanna), la coreografa belga non smette di trasmettere questo suo savoir faire, questa sua ossessione per la danza che lei stessa descrive come «il movimento fra il caos e l’ordine». Sebbene molti nomi si siano susseguiti alla ricerca della «nuova» De Keersmaeker (fra questi quello della performer e coreografa americana Eleanor Bauer), nessuno per ora è stato davvero all’altezza. Di sicuro le aspettative sono tante, tantissime, forse troppe... affaire à suivre!

Humour e delicatezza per parlare di cose importanti Filmselezione Due film che hanno incantato Cannes e Venezia Fabio Fumagalli *** Like Father, Like Son, di Hirokazu

Kore-eda, con Masaharu Fukuyama, Yôko Maki, Jun Kunimura, Machiko Ono (Giappone 2013) Al tema della vita e della morte, della fragilità del ricordo, dell’impotenza della parola di fronte a entità tanto astratte che hanno segnato la prima parte dei capolavori di Kore-Eda Hirokazu (Maborosi nel 1995, quindi After Life) sembra sostituirsi (nello straordinario Nobody Knows del 2004, sui quattro figli progressivamente abbandonati dalla madre nel centro di Tokyo, in Still Walking, ora in questo delicatissimo Like Father, Like Son) uno spazio più concreto, la famiglia, il rapporto genitori e figli. Un motivo in più per fare della sua

estrema attenzione all’intimità di quei sentimenti, ai loro dettagli solo in apparenza minori, una delle eredità più preziose del cinema giapponese, quella ormai leggendaria di Ozu e Naruse. E una certa parentela, letteraria questa, con l’approccio al quotidiano nei romanzi di Haruki Murakami. Tale padre, tale figlio. Giovane architetto rampante, Ryota ripone tutte le sue speranze nell’adorabile Keita: iscrizione all’imprescindibile scuola privata, lezioni d’inglese, le altrettanto onerose e non proprio fruttifere lezioni di pianoforte. Ma non sarà allora che nel piccolo Keita è assente la feroce, tipicamente giapponese determinazione di papà Ryota? Scivolando impercettibilmente dalla commedia al dramma, la risposta non tarderà a giungere: a sei anni dalla nascita, una telefonata dall’ospedale av-

verte che ci fu un malaugurato, terribile scambio di neonati. Fra due famiglie, che si ritrovano ora unite da un vincolo di sangue, ma del tutto opposte nelle condizioni sociali, e più ancora nello stile di vita. Costrette alla decisione impossibile: la scelta fra il figlio naturale e il bimbo che si è amorevolmente cresciuto per sei anni. All’assurdo quesito, la risposta al quale non può essere che genitori si diventa al termine di un lungo percorso formativo e non in conseguenza di un incontro produttivo, Kore-Eda giunge con una delicatezza che ha pochi eguali. Un’aderenza alla realtà che nasce dall’osservazione minuziosa degli spazi (l’ambiente dal modernismo asettico per la famiglia dell’architetto; il bailamme creativo e affettuoso di quello dell’elettricista) nei quali iscrivere i personaggi nella naturalezza di una misura al tempo stesso psicologica e poetica. Nel sapiente rifiuto di ogni ricorso al melodramma nasce allora la commozione più autentica; nella serenità la riflessione su interrogativi essenziali della società. **(*) Still Life, di Uberto Pasolini, con Eddie Marsan, Joanne Froggatt (Gran Bretagna – Italia 2013)

La locandina del film giapponese Like Father, Like Son.

Italiano a Londra, produttore del fortunatissimo Full Monty, ora al suo secondo lungometraggio come regista, Uberto Pasolini conquista il premio della Migliore Regia nella sezione Orizzonti di Venezia 2013. Con un film che non ha niente di banale. A cominciare da quel suo protagonista John May, un impiega-

to comunale che definire minuzioso è riduttivo, incaricato di ricercare i parenti delle persone decedute in solitudine. Operazione problematica, quanto di struggente empatia: così da condurlo a redigere lui stesso le orazioni funebri del parroco, e finendo inevitabilmente per seguire tutto solo le esequie. Poco banale, come l’attore che s’incarica del peso non indifferente della faccenda, Eddie Marsan: un’apparenza singolare, come già testimoniato nelle apparizioni nel cinema di Mike Leigh, Spielberg, Malick. Ripreso frontalmente, in primissimo piano, inserito nelle inquadrature fisse di minuzioso calcolo dell’architettura registica (caratteristica che potrà apparire creatrice ma pure manipolatrice), Marsan rappresenta il collante drammatico certamente straordinario del film. Still Life riesce ad occuparsi della morte per parlarci della vita; a trasformare un film malinconico sulla solitudine in un invito commovente, caloroso e finanche divertito a guardarci fiduciosi attorno. Impariamo ad occuparci di coloro che occupano lo spazio che ci circonda; a misura di quello, splendido per concisione e verità, della Londra periferica che Pasolini inquadra fra interni ed esterni. Sul filo pericoloso di un compiacimento espressivo, di un eccesso di buoni sentimenti. Poi, proprio quando sembra sul punto di soccombervi (ma per quel finale a sorpresa non si poteva trovare qualcosa di meglio?) ne esce alla brava: grazie ad una sceneggiatura impeccabile e a una regia conseguente. Una volta ancora, è tutta questione di linguaggio.

**** La vita di Adele

Abdellatif Kechiche ***(*) Il passato

Asghar Farhadi ***(*) Blue Jasmine

Woody Allenv ***(*) Venere in pelliccia

Roman Polanski ***(*) Gravity

Alfonso Cuaron ***(*) The Grandmaster

Wong Kar-wai *** Io e te

Bernardo Bertolucci *** Questione di tempo (About Time)

Richard Curtis *** Come ti spaccio la famiglia (We’re the Millers)

Rawson Marshall Thurber **(*) Camille redouble

Noémie Lvovsky **(*) No

Pablo Larrain **(*) Miele

Valeria Golino **(*) Via Castellana Bandiera

Emma Dante **(*) Vado a scuola

Pascal Plisson ** L’ultima ruota del carro

Giovanni Veronesi ** Cani sciolti – Two Guns

Baltasar Kormakur ** È stato il figlio

Daniele Ciprì *(*) Lo Hobbit – La desolazione di Smaug

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 13 gennaio 2014 • N. 03

Cultura e Spettacoli Annuncio pubblicitario

Mille e una Persia Pubblicazioni La Persia che non ti aspetti:

il testo divulgativo di Franco F. Bernasconi, da poco pubblicato dalle Edizioni Ulivo, offre uno sguardo privilegiato su un mondo affascinante e a molti sconosciuto

Miniatura safavide da un manoscritto dello Shâhnâmeh, Herat, 1590-1600 (regno di Shâh Abbas).

Benedicta Froelich Per quanto non sempre ottenga la giusta visibilità all’interno del panorama editoriale italofono, la scena letteraria ticinese costituisce un microcosmo ben più attivo e variegato di quanto comunemente si pensi; e come tale, è capace di offrire sorprese di spessore, permettendo a personaggi contraddistinti da grande preparazione e altrettanta passione di mettere i propri sforzi al servizio di un pubblico che, potenzialmente, andrebbe ben oltre il semplice bacino d’utenza della regione. Il compianto Franco F. Bernasconi rappresenta a tutti gli effetti un esempio di questa categoria: uomo di grande cultura e dai molteplici interessi, era animato da un amore innato e contagioso per la storia e il folclore persiani – passione che lo ha portato a decidere di dedicare ben due libri all’argomento, divenendo così un abile divulgatore della materia. Dopo I Racconti di Farhad (2010), esordio di carattere narrativo, le Edizioni Ulivo hanno infatti appena diffuso anche La Persia in Noi, il secondo volume di Bernasconi, pubblicato postumo e presentato a Lugano appena tre mesi fa. Questo libro costituisce in primis un compendio delle personali ricerche filologiche, etimologiche e storiche dell’autore, trasmesse al grande pubblico attraverso un ammirevole lavoro di diffusione popolare; perché se è vero, come dice il Prof. Piras nel risvolto di copertina, che il libro «non vuole avere pretese di scientificità», è altrettanto vero che qui ci troviamo davanti a un reale atto d’amore verso quel mondo lontano al quale Bernasconi ha voluto consacrare la sua intera produzione letteraria. La forza di questo libro, del resto, sta proprio nella sua accessibilità: si tratta di un testo agile (poco più di centotrenta pagine), ma che riesce a riassumere in poco spazio una gran quantità di informazioni, suggestioni e atmosfere, permettendo anche a chi sia digiuno dell’argomento, di immergersi completamente in una realtà narrativa e filosofica per molti versi «esotica». Ciò che preme sottolineare a Bernasconi è quanto, in realtà, la sapienza dell’antichissimo Regno di Persia – di quel territorio mediorientale che, come sottolinea il Prof. Redolfi, curatore del volume, è più vicino a noi di quanto vorremmo ammettere – abbia giocato un ruolo fondamentale nella formazione della moderna matrice culturale occidentale. Non soltanto l’influenza cru-

ciale che la cultura persiana ha avuto sul mondo europeo fin da ben prima del Medioevo e delle Crociate; ma anche perché, in fondo, soltanto un caso storico ha voluto che il bacino del Mediterraneo si trovasse sottoposto all’influenza della civiltà greca-occidentale, anziché a quella di matrice orientale. Ciò che più dispiace è che, in tempi confusi come quelli che stiamo vivendo, la maggior parte del grande pubblico sia automaticamente portato a identificare la cultura iranica e mediorientale con la dottrina islamica e la sua moderna degenerazione in integralismo religioso; laddove, invece, la vera storia dell’Iran è ben più antica e variegata. Ma, soprattutto, la sua influenza e il suo immaginario si ritrovano nel «bagaglio culturale» di ognuno di noi: basti pensare al mondo rievocato nella nostra mente dalla semplice menzione de Le Mille e Una Notte. Questo è un punto cruciale per l’autore, che, nel presentare i risultati delle sue ricerche, sceglie di raccontare la Persia soprattutto attraverso la comparazione con la nostra cultura popolare d’origine. Ecco quindi una spiegazione chiarissima ed efficace della dottrina dello Zoroastrismo in rapporto al mondo moderno, e un’accurata analisi delle similitudini tra i racconti biblici e le leggende di Persia; senza dimenticare fondamentali cenni storici quali un utile «identikit» dei Re dei più antichi regni persiani. Il tutto reso magistralmente accessibile dall’analisi colloquiale quanto attenta di Bernasconi, valorizzata da interessanti ipotesi e letture personali delle fonti citate e dall’ampio e prezioso apparato di note (integrato da un glossario e una bibliografia) con il quale egli illustra i propri riferimenti letterari. Tocchi che conferiscono al libro una sua legittima autorità, oltre a dare un’idea della preparazione e della cura dell’autore relativamente all’argomento trattato. Motivo per cui fa particolarmente piacere che questo libro sia stato pubblicato a due anni dalla scomparsa dell’autore, a fungere da memoria imperitura di Franco F. Bernasconi; perché, andando ben al di là della mera appartenenza alla «letteratura ticinese», testi di questo tipo si dimostrano sempre più importanti nel perseguimento di una cultura personale del singolo come autodidatta. Bibliografia

Franco F. Bernasconi, La Persia in Noi, Edizioni Ulivo, pp. 139, fr. 28.00.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 13 gennaio 2014 • N. 03

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Cultura e Spettacoli

Oscar Bianchi, un compositore senza frontiere Incontri Premiato dalla critica tedesca il disco monografico pubblicato

da «Musiques Suisses»

Il premio della critica discografica tedesca probabilmente è l’onorificenza più alta mai ottenuta da una delle numerose (e autenticamente interessanti) pubblicazioni della serie di dischi «Musiques Suisses» promossa dal Percento culturale Migros. Ad ottenere una palma così prestigiosa è stato – poche settimane fa – il disco monografico dedicato al compositore Oscar Bianchi, zurighese di origine, milanese di nascita e ormai cittadino del mondo. Lo abbiamo raggiunto nella sua attuale residenza berlinese per introdurre la sua opera e commentare questo recente successo. Partendo da lontano: come e quando si è avvicinato alla musica?

Sono stato esposto alla musica piuttosto presto, a partire circa dai sette anni. Mia madre aveva proposto di prendere lezioni di pianoforte a me come ai miei due fratelli, e così ho potuto avere un’educazione musicale di base in un’età relativamente giovane. Fra i tre fratelli sono poi quello che più si è interessato al pianoforte, continuando nello studio e cominciando abbastanza presto anche a creare delle musiche mie. Come succede che un ragazzo decida di inventare, di diventare compositore di musica?

In maniera assolutamente spontanea, nel mio caso. Ho sempre avuto una certa facilità nell’inventare, nel creare: ovviamente a dieci anni si trattava di forme musicali piuttosto semplici: melodie orecchiabili nello stile delle canzoni, sonorità che si adattavano alle mie capacità di quell’epoca. In adolescenza ho poi ampliato le possibilità di fare musica, attivandomi in diversi ambiti: da un lato sempre lo studio classico, dall’altro suonando in differenti band, scrivendo musica pop e lavorando come arrangiatore in studi milanesi di musica per la televisione e la pubblicità.

Leggendo oggi le varie biografie di Oscar Bianchi, però, questo passato pop fatica ad emergere: come mai?

Ad inizio carriera ho forse dovuto mantenere una certa cautela nel far risaltare le mie attività popular. Ma fa parte del gioco delle cose, il fatto che imboccando una nuova e diversa strada ci si trovi a lasciare in sospeso quelle che sono state le esperienze e le passioni precedenti. Non rinnego però nulla del mio passato, e quelli nel pop o nella musica per la pubblicità sono stati momenti molto importanti per me: sia musicalmente, sia da un punto di vista economico perché mi hanno permesso di mantenermi in un periodo in cui ancora studiavo al conservatorio. Quel tipo di attività è perciò parte di quello che oggi io sono, e sono fiero di aver potuto fare anche queste esperienze. La condizione del compositore di tradizione classica è particolare. Perché si trova ad affidare le proprie idee musicali a dei segni su carta, che verranno poi interpretati da musicisti-esecutori. Qual è il rapporto che intrattiene con i suoi esecutori: si fida ciecamente di loro?

Nel momento attuale tendo a fidarmi dei miei interpreti, anche perché ho la fortuna di poter essere quasi sempre presente all’ultima fase delle prove e alla prima esecuzione dei miei brani, perciò di lavorare direttamente con loro al risultato sonoro delle mie partiture. Ma non si tratta solo di avere o meno una fiducia umana: è nella natura stessa della scrittura musicale il fatto di essere un compromesso, un mezzo e non un fine. Uno stereotipo piuttosto diffuso vuole che la musica classica-contemporanea sia un’arte difficile.

Ho riscontrato in diverse circostanze che – paradossalmente – sono le persone musicalmente più istruite che hanno difficoltà nel vivere e nel godere del linguaggio contemporaneo. Il loro non è un problema di rifiuto ideale a

Eventi sostenuti dalla Cooperativa Migros Ticino Com.X Mia moglie parla strano Venerdì 17 e sabato 18 gennaio, ore 20.45 Teatro Sociale, Bellinzona Mostra Serge Brignoni (1903-2002) artista e collezionista Fino al 19 gennaio 2014 m.a.x. Museo, Chiasso

Il compositore Oscar Bianchi.

priori, quanto di abitudini culturali: una persona che ha passato tanto tempo nel conoscere e allenare determinate regole di ascolto o di comportamento musicale, fatica molto di più ad accettarne di diverse rispetto a chi quella solida base non l’ha mai avuta. Quando lei si accinge a comporre ha in mente un preciso tipo di pubblico, un ascoltatore ideale?

No, io non penso a nessun tipo di spettatore in particolare perché penso a tutti: credo e spero che chiunque abbia interesse per la musica, potrebbe trovare qualcosa di buono anche nelle mie opere. E questo in un senso generale dell’ascolto come curiosità e apertura verso il mondo, che è poi il senso che guida i programmatori culturali più attenti del nostro presente, come mi capita proprio in questi giorni di poter riscontrare qui a Berlino, dove la programmazione della Philharmonie alterna in maniera sempre più naturale musica nuova a musica di repertorio classico. Fausto Romitelli – compianto compositore milanese nonché mio caro amico – nutriva fiducia nel fatto che in futuro le barriere tra generi mu-

Top10 DVD & Blu Ray

Top10 Libri

Top10 CD

1. Turbo

1. Fabio Volo

1. Ligabue

Animazione

La strada verso casa, Mondadori

2. I Puffi 2

Animazione novità

Mondovisione 2. Laura Pausini

2. Margaret Mazzantini

Greatest Hits

Splendore, Mondadori 3. Come ti spaccio la famiglia

J. Aniston, J. Sudeikis 4. Elysium

3. Modà 3. Jeff Kinney

Diario di una schiappa – Guai in arrivo, Il Castoro novità

M. Damon, J. Foster

Gioia… non è mai abbastanza 4. Andrea Bocelli

Love in Portofino 4. Glenn Cooper

5. Percy Jackson e gli Dei dell’Olimpo 2

L. Lerman, A. Daddario 6. Red 2

Il calice della vita, Nord

Per saperne di più su programmi, attività e concorsi del Percento Culturale Migros consultate anche percento-culturale.ch e Facebook

sicali, tra le abitudini di ascolto, sarebbero cadute. Anch’io sono di quest’idea.

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Ha citato Milano: in che misura si sente svizzero e in che misura italiano?

Vivo in maniera forte la mia bi-culturalità e sono molto sensibile ai due diversi mondi rappresentati dall’Italia e dalla Svizzera. Mia madre è la parte svizzera della famiglia, originaria di Zurigo, e credo che da lei ho preso la propensione per la musica strumentale-sinfonica di ascendenza germanica. Dall’altro lato sono cresciuto a Milano, quindi immerso nella cultura italiana, in quel sentimento mediterraneo che ha attraversato il contrappunto rinascimentale e il belcanto ottocentesco. Due elementi molto distanti che oggi convivono nella mia somma artistica e nel mio modo di vivere il suono.

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Informazione

L’intervista integrale si trova su www.percento-culturale-migros.ch Il disco è ottenibile su www.musiques-suisses.ch

Concorsi

Zeno Gabaglio

Agenda dal 13 al 19 gennaio 2014

5. Zucchero

Una rosa blanca

(Ch)ontaminazioni) Concerto Teatro San Materno, Ascona Domenica 26 gennaio, ore 17.00 Zehnder-Brennan-Shilkloper Trio Improvvisazione, jazz, musica alpina. J. Wolf Brennan, piano; A. Shilkloper, corno delle Alpi; C. Zehnder, voce. www.teatrosanmaterno.ch Swiss Chamber Concerts Rassegna di concerti Conservatorio, Lugano Mercoledì 29 gennaio, ore 19.00 RiflessoHaydn

5. Isabel Allende

Il gioco di Ripper, Feltrinelli

Swiss Chamber Soloists

6. Robbie Williams

Swing Both Ways

B. Willis, J. Malkovich 6. Gianrico Carofiglio 7. R.I.P.D - Poliziotti d’aldilà

J. Bridges, R. Reynolds novità

Il bordo vertiginoso delle cose Rizzoli

Megahits 2014 8. Eros Ramazzotti

8. Pain & Gain

M. Wahlberg, D. Johnson

7. Benedetta Parodi

H. Jackman, T. Okamoto

8. Khaled Hosseini

091/8217162

Orario per le telefonate: dalle 10.30 fino a esaurimento dei biglietti

Noi Due

È pronto, Rizzoli 9. Antony/Battiato

9. Wolverine - L’immortale

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7. Artisti Vari

Dal suo veloce volo

E l’eco rispose, Piemme

Regolamento Migros Ticino offre ai lettori biglietti gratuiti per le manifestazioni sopra menzionate.

10. Artisti Vari 10. Barbie e il cavallo leggendario

Animazione

9. Joël Dicker

La verità sul caso Harry Quebert Bompiani 10. Ildefonso Falcones

La regina scalza, Longanesi

The Dome Vol. 68

Massimo due biglietti per economia domestica. La partecipazione è riservata a chi non ha beneficiato di vincite in occasione di analoghe promozioni nel corso degli scorsi mesi.

Buona fortuna! Per aggiudicarsi i biglietti basta telefonare martedì 14 gennaio al numero sulla sinistra nell’orario indicato. Buona fortuna!

Biglietti in palio per gli eventi sostenuti dal Percento culturale di Migros Ticino


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 13 gennaio 2014 • N. 03

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Idee e acquisti per la settimana

shopping Pane alla ticinese con cioccolato

Flavia Leuenberger

Attualità Una sana ed equilibrata merenda da gustare in famiglia

Ore 16 e 20: si apre la porta e nella casa risuonano le voci dei bambini e lo scalpiccìo dei loro passi veloci. «Sai che la maestra ha detto che ci porta in gita settimana prossima?». «Ho dimenticato i pennarelli a scuola, mamma…». Cartelle e sacchetti dell'asilo vengono presto abbandonati all’ingresso. La ciurma è affamata e reclama a gran voce la merenda. «Allora, cosa avete fatto oggi a scuola?» chiede la mamma: i racconti vivaci dei bambini si accavallano, mentre in tavola si condivide un semplice spuntino. Una scena di vita quotidiana comune a molte mamme come Tiziana Tentori, madre di Geremia, 6 anni, e Lia, 4 anni (nella foto). La merenda dei bambini è molto importante e Tiziana cerca di mantenerla variata ma soprattutto semplice e nutritiva. Immancabile la frutta alla quale segue una barretta ai ce-

reali oppure del pane e occasionalmente qualcosa di dolce. Per i bambini è fondamentale assimilare energia sotto forma di carboidrati in modo di affrontare le giornate di scuola, gioco e sport al meglio delle proprie energie. Il pane va introdotto non solo ai pasti principali, ma soprattutto durante le pause della giornata come la ricreazione e la merenda. Il pane alla ticinese è ideale per un sano ed equilibrato snack. La soicità conferita dall’olio di semi di girasole permette di spezzare facilmente le pagnotte con le mani e per i bambini la merenda diventa quasi un gioco da assemblare. Una praticità che non passa inosservata a casa Tentori. «Pane e cioccolato – afferma Tiziana - rappresentano lo spuntino che prediligo quando siamo in viaggio e non c’è tempo per mangiare qualcosa a casa, ad esempio quando andiamo al parco

giochi dopo la scuola. È una merenda comoda. Basta prendere un paio di panini dalla pagnotta di pane alla ticinese, delle barrette di cioccolato e il gioco è fatto». Chi di voi non ricorda l’infantile piacere provato nell’affondare una riga di cioccolato o una branche nella morbida mollica alzi la mano! Anche mamma Tiziana conserva ricordi d’infanzia legati a questa merenda tutta nostrana. «Da bambina giocavo spesso con le mie cugine e a casa loro la zia ci faceva far merenda con pane e cioccolato. A volte oltre la condivisione dei racconti della giornata mi lascio prendere dai ricordi e ne mangio un po’ insieme ai miei igli». Lasciatevi conquistare anche voi da un piacere genuino, in fondo è così semplice tornare bambini anche solo per il tempo di una dolce pausa. / Luisa Jane Rusconi

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 13 gennaio 2014 • N. 03

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Idee e acquisti per la settimana

Un nuovo modo di ascoltare! Novità Ampliicatore individuale di suoni disponibile adesso da melectronics

Gli amplificatori individuali di suoni o PSA (Personal Sound Amplifier) costituiscono una nuova forma di protesi acustiche. Essi rappresentano l’aiuto ideale in specifiche situazioni (ad esempio al ristorante o durante le conversazioni) per coloro che vogliono avere una perfetta comprensione del parlato. La voce dell’interlocutore viene amplificata e i rumori di sottofondo filtrati in modo ottimale. Distribuiti dall’azienda svizzera Claratone, sono di facile utilizzo e cura, grazie ai tre o quattro livelli di volume per i differenti ambienti sonori, all’accensione rapida e al kit di cura e pulizia. L’alta tecnologia digitale degli stessi permette una qualità audio elevata e la neutralizzazione dei disturbi e delle distorsioni. Gli amplificatori individuali di suoni sono disponibili nei maggiori melectronics nei due modelli sotto elencati. I nostri consulenti alla vendita sono a vostra disposizione per una consulenza personalizzata.

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FocusEar RS1

Cremosa delizia dalla Svizzera centrale Il formaggio lucernese alla panna di Emmi è apprezzato da tutta la famiglia in qualsiasi occasione: a colazione, sul pane come spuntino, a cena oppure ogni volta che si ha voglia di concedersi qualcosa di particolarmente gustoso. Delicatamente cremoso e dolce, questo formaggio a pasta semi-dura è prodotto come vuole la tradizione con il migliore latte pastorizzato della Svizzera centrale. Il segreto della sua irresistibile cremosità sta nell’aggiunta di una porzione extra di panna durante la produzione. Dopo una stagionatura di sei settimane in ambienti a clima controllato, il formaggio alla panna sprigiona il suo aroma inconfondibile. Per gustarne tutto il sapore, prima del consumo si consiglia di lasciarlo per una mezz’ora a temperatura ambiente.

Concorso ricetta nostrana Lo scorso anno, in occasione delle rassegne sui prodotti dei Nostrani del Ticino Migros, era stato un indetto un concorso gastronomico: si trattava di inviare una ricetta che avesse come ingredienti principalmente prodotti nostrani. Dopo un’attenta valutazione delle diverse ricette pervenute, sono state premiate le tre preparazioni se-

guenti: Pizzocan leventinese di Irene Clemente-Guidi di Muralto (carta regalo Migros da Fr. 300.–); Asparagi verdi nostrani con risotto alle bietole di Barbara Graf di Comano (Fr. 200.–); Paté di manzo nostrano Charolais di Silene Gilardi di Minusio (Fr. 100.-). Pubblichiamo qui la ricetta vincitrice:

Pizzocan leventinese per 4 persone

Formaggio lucernese alla panna Emmi affettato in vaschetta, 150 g Fr. 4.60 In vendita nelle maggiori filiali Migros.

Ingredienti 1 uovo nostrano 400 g di farina bona nostrana 3 dl di latte nostrano 3 dl di acqua Sale-pepe 1 o 2 patate 100 g di burro 2 spicchi d’aglio formaggio grattugiato

Preparazione Rompere l’uovo in una ciotola, aggiungere sale, pepe e a poco a poco la farina bona, il latte e un po’ d’acqua, non troppo fredda. L’impasto deve risultare omogeneo e consistente. Far bollire dell’acqua salata , mettere le patate tagliate a pezzetti e dopo 10 minuti aggiungere la pasta con l’aiuto di un cucchiaino da tè. Quando gli gnocchi tornano a galla sono cotti. Scolarli con la schiumarola e metterli nella marmitta che avrete scaldato prima. Rosolare il burro con l’aglio tagliuzzato e quando sarà color nocciola versarlo sugli gnocchi. Volendo si può aggiungere un pò di salsa legata d’arrosto. Spolverare con formaggio grattugiato e servire subito.


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Fettine di pollo M-Classic Germania / Ungheria, per 100 g

Salmone selvatico Sockeye in conf. da 2 pesca, Alaska, 2 x 100 g

Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli M-Budget e quelli già ridotti. OFFERTE VALIDE SOLO DAL 14.1 AL 20.1.2014, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

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Fragole Spagna, in conf. da 250 g

Peperoni misti Spagna, busta da 500 g

Branzino 300–600 g Grecia, per 100 g, 25% di riduzione, ino al 18.1

Prosciutto crudo dei Grigioni in conf. da 3 Svizzera, 3 x 69 g

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Pomodorini ciliegia Italia / Spagna, vaschetta da 250 g

Tutti gli iogurt Nostrani prodotti in Ticino, 180–500 g, –.10 di riduzione, per es. castégna (castagna), 180 g

Caseiicio Gottardo prodotto in Ticino, al libero serivzio, al kg

Coppa prodotta in Ticino, affettata ine in vaschetta, per 100 g

Roastbeef cotto Premium Svizzera / Germania, affettato in vaschetta, per 100 g

Salsiccia di vitello M-Classic Svizzera, per 100 g

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Uva bianca senza semi Sudafrica, vaschetta da 500 g

Ravioli alla carne M-Classic in conf. da 3 x 250 g

Pizza Anna’s Best in conf. da 2 per es. pizza al prosciutto, 2 x 380 g

Spezzatino di maiale, TerraSuisse Svizzera, imballato, per 100 g

Entrecôte di manzo, TerraSuisse Svizzera, imballato, per 100 g

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Il Burro panetto da 250 g, –.20 di riduzione

Bastoncini alle nocciole in conf. da 2 2 x 440 g

Tutti i cake e i biscotti M-Classic* 20% di riduzione, per es. cake al cioccolato, 700 g

Tutti i biscotti Midor in sacchetto (Tradition esclusi), 20% di riduzione, per es. zampe d’orso, 380 g

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Tutti i succhi freschi Anna’s Best 20% di riduzione, per es. succo d’arancia, 75 cl

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Camembert Suisse Crémeux 300 g, 20% di riduzione

Tutte le barbabietole cotte al vapore Anna’s Best e bio, intere 15% di riduzione, per es. barbabietole cotte al vapore, bio, al kg

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Michette e panini al latte M-Classic 25% di riduzione, per es. michette, 800 g

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Cornetti al prosciutto Happy Hour in conf. grande surgelati, 24 pezzi

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Tutti i caffè istantanei in sacchetto 20% di riduzione, per es. Noblesse Oro, UTZ, 200 g

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Tutte le tavolette di ciocolato, le palline e iFriletti Frey Suprême, UTZ a partire dall’acquisto di 2 prodotti, –.50 di riduzione l’uno, per es. tavoletta di cioccolato Noir Authentique, 100 g, offerta valida ino al 27.1

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ALTRE OFFERTE. FRUTTA E VERDURA Tutte le barbabietole cotte al vapore Anna’s Best e bio, intere, per es. bio, al kg 4.15 invece di 4.90 15% Pomodorini ciliegia, Italia / Spagna, vaschetta da 250 g 1.30 Peperoni misti, Spagna, busta da 500 g 1.95 Finocchi, Italia, al kg 2.70 Arance sanguigne, Italia, retina da 2 kg 2.80 invece di 4.70 40% Uva bianca senza semi, Sudafrica, vaschetta da 500 g 2.30 Fragole, Spagna, in conf. da 250 g 1.95 invece di 2.90 30%

PESCE, CARNE E POLLAME Salsiccia di vitello M-Classic, Svizzera, per 100 g 1.30 invece di 2.20 40% Prosciutto crudo dei Grigioni in conf. da 3, Svizzera, 3 x 69 g 7.50 invece di 12.60 40% Fettine di pollo M-Classic, Germania / Ungheria, per 100 g 1.40 invece di 2.– 30% Salmone selvatico Sockeye in conf. da 2, pesca, Alaska, 2 x 100 g 10.30 invece di 14.80 30% Roastbeef cotto Premium, Svizzera / Germania, affettato, in vaschetta, per 100 g 4.80 invece di 6.90 30% Coppa, prodotta in Ticino, affettata ine, in vaschetta, per 100 g 3.35 invece di 4.90 30% Entrecôte di manzo, TerraSuisse, Svizzera, imballato, per 100 g 4.50 invece di 6.50 30% Spezzatino di maiale, TerraSuisse, Svizzera, imballato, per 100 g 1.25 invece di 1.70 25% Branzino 300–600 g, Grecia, per 100 g 2.10 invece di 2.80 25% ino al 18.1 Tartare di manzo pronta, Svizzera (prodotta in iliale), imballata, per 100 g 3.50 invece di 5.– 30%

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Il Burro –.20 di riduzione, panetto da 250 g 2.95 invece di 3.15 Tilsiter dolce (formato Maxi escluso), per 100 g 1.– invece di 1.30 20% Raccard Tradition in blocco e in fette, per es. blocco maxi, per 100 g 1.75 invece di 2.20 20% Camembert Suisse Crémeux, 300 g 4.40 invece di 5.50 20% Tutti gli iogurt Nostrani 180–500 g –.10 di riduzione, prodotti in Ticino, per es. castégna (castagna), 180 g –.95 invece di 1.05 Caseiicio Gottardo, prodotto in Ticino, al libero serivzio, al kg 17.60 invece di 22.– 20%

FIORI E PIANTE Rose dell’altopiano, 50 cm, Fairtrade, mazzo da 9 13.40 invece di 16.80 Phalaenopsis, set da 2, in vaso da 12 cm, il set 19.80 invece di 33.60

ALTRI ALIMENTI Articoli Kinder Ferrero in confezioni grandi e multiple, per es. barrette, 18 pezzi 4.40 invece di 4.65 Tutte le tavolette di cioccolato, le palline e i Friletti Frey Suprême, UTZ, a partire dall’acquisto di 2 prodotti, –.50 di riduzione l’uno, per es. tavoletta di cioccolato Noir Authentique, 100 g 2.20 invece di 2.70 ** Pastiglie per la gola in conf. da 2 con scatoletta in omaggio, per es. al cassis, 2 x 220 g 8.60 invece di 10.80 20% Pastiglie Grether’s, per es. senza zucchero, 20x 60 g 5.90 NOVITÀ ** Cialde inissime ChocMidor Classico, Noir o Diplomat in conf. da 3, per es. Classico, 3 x 165 g 5.70 invece di 8.55 33% Tutti i biscotti Midor in sacchetto (Tradition esclusi), per es. zampe d’orso, 380 g 2.30 invece di 2.90 20% Tutti i caffè istantanei in sacchetto, per es. Noblesse Oro, UTZ, 200 g 7.65 invece di 9.60 20% Tutto l’assortimento di tè e tisane Tetley, per es. English Breakfast Tea, 25 bustine 2.30 invece di 3.30 30% Tutto l’assortimento Wasa, per es. Sandwich con formaggio ed erba cipollina, 111 g 2.60 invece di 3.25 20% * Noci di anacardi Sun Queen in conf. da 2, 2 x 200 g 6.10 invece di 8.20 25% Datteri Medjool, bio, 227 g 20x 6.30 NOVITÀ *,** Cornetti al prosciutto Happy Hour in conf. grande, surgelati, 24 pezzi 6.20 invece di 12.40 50%

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Tutto l’assortimento di prodotti J. Bank’s, surgelati, per es. involtini primavera con verdure, 6 pezzi 4.45 invece di 6.40 30% Cosce di pollo M-Classic in busta da 2 kg, surgelate 9.15 invece di 15.30 40% Tutte le confezioni di Coca-Cola da 6 x 1,5 l, per es. Regular 8.80 invece di 13.20 33% Tutto l’assortimento di integratori alimentari, bevande e müesli Actilife, per es. All in One all’arancia, 20 pastiglie effervescenti 2.70 invece di 3.40 20% Riso a chicco lungo Asia in sacco di iuta, 2 kg 3.90 Pomodori tritati Longobardi in conf. da 6, 6 x 280 g 4.30 invece di 5.40 20% Tutto l’assortimento di pasta M-Classic, per es. pipe grandi, 500 g –.90 invece di 1.50 40% Tutto l’assortimento di verdure sott’aceto Condy, per es. cetrioli alle erbe, 270 g 1.50 invece di 1.90 20% Tutte le salse Bon Chef in conf. da 3, per es. al curry, 3 x 30 g 2.80 invece di 4.20 33% Ravioli alla napoletana o alla bolognese M-Classic in conf. da 4, per es. alla napoletana, 4 x 870 g 8.70 invece di 11.60 25% Tutto l’assortimento Chop Stick, Saitaku, Kikkoman e Nissin, per es. chips ai gamberetti Chop Stick, 75 g 1.25 invece di 1.60 20% Tutto l’assortimento di prodotti da forno per l’aperitivo Gran Pavesi e Olivia & Marino, per es. Gran Pavesi salati, 250 g 2.45 invece di 3.10 20% Tutti i cake e i biscotti M-Classic, per es. cake al cioccolato, 700 g 4.70 invece di 5.90 20% * Bastoncini alle nocciole in conf. da 2, 2 x 440 g 4.25 invece di 6.40 33% Tutti i succhi freschi Anna’s Best, per es. succo d’arancia, 75 cl 2.45 invece di 3.10 20% Tortelloni M-Classic alla ricotta e agli spinaci in conf. da 3, 3 x 250 g 7.70 invece di 11.10 30% Pizza Anna’s Best in conf. da 2, per es. pizza al prosciutto, 2 x 380 g 9.60 invece di 13.80 30% Uova svizzere da allevamento all’aperto, 9 pezzi da 53 g+ 4.50 invece di 5.40 15% Cake Salvatore, 300 g 4.40 invece di 5.50 20% Ravioli alla carne M-Classic, in conf. da 3 x 250 g 8.40 invece di 12.– 30%

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Idee e acquisti per la settimana


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 13 gennaio 2014 • N. 03

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 13 gennaio 2014 • N. 03

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Idee e acquisti per la settimana

Con leggerezza in un nuovo anno tutto da gustare Dopo le scorpacciate delle Feste, molti di noi vorrebbero iniziare l’anno facendo un po’ attenzione alle calorie, ma senza rinunciare al gusto. La vasta gamma di prodotti Léger permette di mantenere senza problemi questo buon proposito sera offre volentieri anche ai suoi ospiti una pietanza Léger. Spesso giunge in visita sua sorella, così rimane poco tempo per preparare un menu complicato. Gli hamburger di manzo contengono il 55 per cento di grassi in meno

A volte prepara i Fiori, la pasta col ripieno di ricotta e spinaci. Questo prodotto low-carb contiene il 30 per cento in meno di carboidrati, ma è altrettanto gustoso della pasta convenzionale. Dal momento che Sandra preferisce rinunciare a una salsa pesante, fa rosolare in padella cipollotti, porri, pomodorini, zucchine e peperoni gialli, che unisce poi alla pasta con un filo d’olio d’oliva. Per Reto, il suo ragazzo, Sandra rosola inoltre anche due fette di hamburger Léger. A lui piace la carne e non vorrebbe mai rinunciarvi. Naturalmente apprezza il fatto che gli hamburger hanno il 55 per cento in meno di grassi rispetto a prodotti simili. «È sorprendente che il gusto non ne soffra, in quanto sapore e aroma restano inalterati». E per chi apprezza, Sandra mette in tavola anche un piatto di formaggi con squisite varietà Léger e salame Léger. / Anette Wolffram Eugster Un pasto completo anche in ufficio: per mangiar bene non è necessario sprecare molto tempo.

Lo sappiamo bene: durante le Feste ci si abbuffa volentieri e ci si muove troppo poco. Proprio all’inizio dell’anno, quindi molti svizzeri fanno il buon proposito di alimentarsi in modo controllato, badando alle calorie che ingeriscono. Ci si può riuscire, ad esempio, coi prodotti Léger, che hanno almeno il 30 per cento meno calorie, grassi o carboidrati rispetto a prodotti paragonabili. Chi vuol fare qualcosa di buono per il corpo e la salute, inoltre, dovrebbe anche fare regolarmente del moto e praticare qualche sport. Sandra, che ha un lavoro d’ufficio piuttosto sedentario e si allena una volta alla settimana praticando lo zumba in una palestra, a mezzogiorno apprezza un pasto un po’ sostanzioso, così sceglie spesso un’insalata con pane proteico e formaggio di capra Léger. Dato che Léger è così buono e la gamma di prodotti molto vasta, alla

Se arrivano ospiti all’improvviso, via libera ai prodotti Léger come i Fiori con ripieno di ricotta e spinaci.

Léger Mini Cookies 180 g Fr. 2.60

Léger Chips Nature 200 g Fr. 3.90

Léger latte magro UHT 1l Fr. 1.60

Léger pane proteico chiaro 300 g Fr. 3.60

Léger Fiori ricotta e spinaci 250 g Fr. 4.50

Léger confettura di albicocche 325 g Fr.1.90

Léger formaggio fresco di capra 150 g Fr. 3.70

Léger hamburger di manzo 230 g Fr. 5.90


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 13 gennaio 2014 • N. 03

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Idee e acquisti per la settimana

Mai senza wok: in Cina si cucina spesso all’aperto, su stufe a ruote.

Suggerimenti per i patiti del wok Quando si cuoce nel wok è bene osservare alcune regole: • Il wok va scaldato sulla fiamma viva del gas o sulla placca caldissima, prima di versarvi l’olio. Scuotere il wok affinché l’olio si distribuisca omogeneamente. In seguito aggiungere gli ingredienti da rosolare.

Il vasto mondo del wok

• Occorre rimestare continuamente gli ingredienti, affinché vengano in contatto in alternanza con la parte centrale caldissima del wok e quella esterna più fresca. • Preparare tutti gli ingredienti tagliati a pezzettini e tenerli a portata di mano. Durante il breve periodo di cottura si sarà occupati esclusivamente a rimestare.

Il wok ha un ruolo fondamentale nella cucina asiatica. Attorno alla tradizionale padella dell’Asia sudorientale ruota tutto un variegato mondo dei gusti

Chi considera la cucina cinese alla stessa stregua dei collosi involtini primavera del negozio take-away all’angolo, non rende giustizia alla Terra di Mezzo. Quella cinese non è una cucina omogenea, ma si compone di molte cucine regionali diverse, che fanno dell’universo culinario cinese uno dei più variegati e ricchi di particolarità di tutto il mondo. Il paese, segnato da una lunga storia di carestie, ha sempre dovuto coniugare il verbo arrangiarsi, diventando maestro nel ricavare molto dal poco. Fra la lingua d’anatra alla griglia e il

polletto in agrodolce, comunque, ci sono vaste praterie: un paese del Bengodi che può offrire molto anche a chi non osa troppo sperimentare in cucina. Un fedele accompagnatore nel viaggio culinario attraverso la Cina è il wok. Si può capire quanto sia importante ad esempio dall’espressione «Wok Hei»: descrive lo speciale aroma di una pietanza cotta nel wok. Il viaggio esplorativo comincia alla Migros, con una corposa offerta di prodotti che portano nelle cucine nostrane l’aroma del wok e un tocco di «cinesità». / Nicole Ochsenbein

Petto d’anatra con cavolo cinese Piatto principale per 4 persone Ingredienti 100 g di noci di acagiù 2 petti d’anatra di ca. 320 g sale, pepe 1 ananas baby 500 g di cavolo cinese 1 cucchiaio d’olio per wok 1 dl d’acqua 3 cucchiai di salsa d’ostriche

Salsa Chop Stick Oyster 270 ml Fr. 2.60* invece di Fr. 3.30

Cavolo cinese bio Svizzera al kg al prezzo del giorno

Guanto da cucina neopren Fr. 9.80

Padella wok Fr. 9.80

Filetto d’anatra Francia Fr. 3.60 per 100 g Solo nelle maggiori filiali

Ananas Costa Rica al pezzo al prezzo del giorno

Preparazione 1. Tostate le noci di acagiù in un wok o in una padella ampia, senza aggiungere grassi, finché si dorano. Estraetele e mettetele da parte. 2. Incidete la pelle del petto d’anatra a losanghe, facendo attenzione a non tagliare la carne. Condite con sale e pepe. Rosolate i petti nella stessa padella, cominciando dal lato della pelle, a fuoco medio per ca. 8 minuti. Girate i petti. Togliete la padella dal fuoco e lasciate riposare la carne per ca. 5 minuti. Togliete la carne dalla padella e gettate il grasso. 3. Sbucciate l’ananas baby e tagliatela a pezzetti. Tagliate il cavolo cinese a striscioline di ca. 1 cm. Fate soffriggere il cavolo e l’ananas nell’olio per ca. 3 minuti. Affettate i petti d’anatra, metteteli in padella e fateli scaldare. Bagnate con l’acqua e la salsa d’ostriche. Condite con sale e pepe. Aggiungete le noci di acagiù. Servite con del riso. Tempo di preparazione ca. 35 minuti Per persona ca. 35 g di proteine, 40 g di grassi, 19 g di carboidrati, 2400 kJ/580 kcal

• Ciotola per salsa turchese smaltata Fr. 2.90 • Piatto turchese smaltato da Fr. 5.90 • Set di posabacchette 6 pezzi Fr. 6.90 • Bowl Tulip Fr. 2.90 • Strofinaccio da cucina set da 2 assortiti Fr. 7.90

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