Azione 02 del 7 gennaio 2014

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Cooperativa Migros Ticino

G.A.A. 6592 S. Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXVII 7 gennaio 2014

M sho alle pa pping gine 2 3-25 / 42-43

Azione 02

Società e Territorio Riflessioni sull’odierna possibilità di incrementare le prestazioni cognitive attraverso l’ingegneria genetica

Ambiente e Benessere Le infermiere specializzate del Servizio di diabetologia dell’Ospedale regionale di Lugano (OrL), Manuela Maffeis Bassi e Samanta Ferrazzini, ci parlano di una malattia non ancora abbastanza conosciuta

Politica e Economia Dietro agli attentati nel Caucaso sta la rivalità fra Russia e Arabia Saudita e un accordo mancato

Cultura e Spettacoli L’inconfondibilità di stile di omas Schütte in mostra alla Beyeler di Basilea

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Jacek Pulawski

Scrutando l’immenso

di Jacek Pulawski

Novecento presente o passato? di Peter Schiesser In un anno come questo, in cui ricorre il centenario dallo scoppio della «Grande guerra», un interrogativo si porrà di frequente: la storia si ripete, può ripetersi, oppure ogni momento, ogni situazione politica sociale economica culturale, è unica? Angelo Rossi, a pagina 17, trova argomenti per suggerire una risposta affermativa (in contesto ticinese), altri studiosi, su altri giornali, tracciano parallelismi fra la Germania di allora e la Cina di oggi (potenze emergenti, giunte «in ritardo» sulla scena geopolitica e con il sentimento di sentirsi accerchiate), tra il regno asburgico, durato sei secoli, apparentemente solido ma incapace di resistere a mutamenti storici, geopolitici, culturali, che si imposero ai suoi confini, e l’Unione europea di oggi, che rischia di essere marginalizzata in un mondo il cui asse si sposta verso Oriente. Si potrebbe proseguire all’infinito nella ricerca di ciò che ci accomuna a quel tempo e di ciò che ci distingue, nell’inconscio esercizio di esorcizzare un passato catastrofico e di mantenerlo a debita distanza da un presente che in Occidente è vissuto psicologicamente come un momento di decadenza, benché – paradossalmente – offra un livello

di benessere collettivo e individuale mai sperimentato nella storia dell’umanità. Ma, sintetizzando, potremmo rispondere che la storia si ripete nella sua essenza, non per forza in forme eguali, nella misura in cui l’essere umano e le élite che lo guidano o rappresentano non traggono insegnamento dagli errori delle generazioni precedenti. Per cui, la domanda da porre è: abbiamo imparato le lezioni inferte dalla prima e dalla seconda guerra mondiale? 60 anni di pace sul continente europeo inducono a rispondere affermativamente. La cruenta fine del Novecento, infiammatosi sul finire in un’ennesima guerra dei Balcani, a Sarajevo, dove era cominciato nel 1914 con l’assassinio dell’erede al trono dell’impero austro-ungarico da parte di un giovane nazionalista serbo, ci ricorda però che i vulcani possono dormire a lungo ma sempre risvegliarsi. E allora è importante mantenersi vigili e non cullarsi nell’illusione che un equilibrio possa durare per sempre. Ma come? Per esempio, assumendosi la responsabilità e il coraggio – come politici e come cittadini – di difendere valori e conquiste che hanno permesso ai popoli europei di riavvicinarsi, conoscersi, apprezzarsi, collaborare dopo guerre devastanti condotte in nome della supremazia di una razza e/o di un’ideologia, riconoscendo pari dignità ad ogni es-

sere umano; ed evitando di cedere al richiamo di sirene che offrono soluzioni semplici additando nemici da disprezzare e da eliminare. Certo, più facile a dirsi che a farsi in un mondo moderno in cui sono state rapidamente globalizzate enormi opportunità ma anche grosse incertezze, in cui è venuto a mancare il collante di ideologie e valori che «spiegavano» e ordinavano la realtà, mentre l’individuo si ritrova parte di una comunità vastissima ma dai legami fragili, poiché accomunata quasi solo dalla condivisione di realtà sempre più virtuali e materiali. Facile, piuttosto, che trovino presa – come sta avvenendo – movimenti che si richiamano a forme aggressive di nazionalismo e localismo, con la promessa di restituire un’identità perduta. In realtà, la storia e la vita ci insegnano proprio che l’identità (di un essere e di un popolo) è una «cosa» complessa, diversa per ognuno, che si costruisce e si rafforza nell’incontro con gli altri, in tensione fra il mondo in cui siamo nati e quello che va trasformandosi durante la nostra esistenza. Non è facile affrontare le difficoltà che impone la vita, spesso vien voglia di ripiegarsi su se stessi e dimenticare fatiche e dolori propri e di chi sta intorno, ma è solo rimettendosi ogni volta in cammino insieme che l’umanità è progredita.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 7 gennaio 2014 • N. 02

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Attualità Migros

M 2013, bilancio soddisfacente Migros Ticino Realizzato un fatturato di 517,8 milioni di franchi, ridotti ulteriormente i prezzi, ampliata l’offerta Nel 2013, in una situazione di mercato caratterizzata da una debole propensione al consumo e un forte turismo degli acquisti a favore della concorrenza d’oltre frontiera, Migros Ticino ha realizzato un fatturato di 517,8 milioni di franchi, praticamente al livello dell’anno precedente (–0,4%). Le attività in campo commerciale sono state caratterizzate da un ulteriore sviluppo dell’offerta di beni e servizi, da un’ulteriore riduzione dei prezzi (–0,23%, che porta a circa il 9,2% le riduzioni di prezzo cumulate dal 2009 a oggi), dall’apertura di un nuovo supermercato a Taverne (stabile a standard Minergie e dotato di un impianto fotovoltaico, nella foto Ti-Press), dal completo ammodernamento della filiale di Solduno e dalla chiusura di due punti di vendita presso il Centro Serfontana di Morbio Inferiore, rispettivamente presso il Centro Ovale di Chiasso. Gli altri settori d’attività sono stati contrassegnati da alti livelli di frequenza ai corsi di formazione per adulti (Scuola Club Migros Ticino) e agli eventi sostenuti dal programma culturale (Percento culturale Migros Ticino), oltre che da un importante numero di lettori (114’000) del settimanale di informazione e cultura «Azione».

Nel 2013, grazie a miglioramenti nelle condizioni di acquisto e nell’efficienza aziendale, la Cooperativa ha raggiunto la redditività necessaria per finanziare gli investimenti, lo sviluppo di nuove attività e aumentare il potere

d’acquisto dei suoi collaboratori. A fine anno infatti, a fronte di un rincaro del –0,1% l’azienda aumenterà dell’1% la massa salariale a favore dei suoi circa 1750 collaboratori, dopo aver già versato a ognuno di loro una partecipa-

zione straordinaria sugli utili di 1'000 franchi. Ulteriori informazioni sull’esercizio 2013 verranno comunicate il prossimo mese di marzo, in occasione della conferenza stampa annuale.

Informazioni

Francesca Sala, Responsabile comunicazione, francesca.sala@migrosticino.ch, Tel. 091 850 82 01

Un corso per ogni gusto e necessità Scuola Club Un nuovo programma, valido da gennaio a luglio, per mantenere il cervello in forma e tener fede

ai buoni propositi di inizio anno Puntuale come ogni anno, a inizio gennaio la Scuola Club Migros Ticino propone il nuovo programma per il semestre gennaio-luglio 2014. Un catalogo di corsi e formazioni ricco e articolato, in grado di soddisfare le esigenze di un pubblico molto eterogeneo. Anche per l’anno appena concluso il bilancio della Scuola Club Migros Ticino è stato estremamente positivo. La riduzione dell’attività nella sede di Bellinzona, dovuta alla ristrutturazione in atto, è stata ampiamente compensata dall’ottimo andamento delle sedi di Locarno, Lugano e Mendrisio, cosicché i risultati hanno superato i valori dell’anno precedente. Nel 2013 ben 16’600 persone hanno frequentato la scuola; i corsi organizzati sono stati circa 2900, per un totale di oltre 276’000 ore di frequenza. Queste cifre confermano il ruolo di primo piano che la Scuola Club svolge nell’ambito della formazione continua degli adulti nella Svizzera italiana. Grande spazio è riservato alle lingue, da sempre un settore d’eccellenza della Scuola Club Migros. 16 le lingue che si possono imparare, tra cui l’arabo, il russo, il giapponese, il tailandese, il brasiliano e il cinese. Oltre all’apprendimento delle principali lingue europee, con corsi che vanno dal livello base ai livelli di perfezionamento, nel programma trovano posto anche il Dialetto ticinese e lo Schwytzerdütsch. Chi deve utilizzare una lingua straniera in ambito lavorativo può scegliere tra vari moduli che insegnano a interagire in modo competente, sia per iscritto che al telefono, con partner professionali che si esprimono in inglese, te-

desco o spagnolo. Tra le principali novità del settore, tre moduli specifici rivolti a chi deve ampliare le proprie conoscenza dell’inglese utilizzato in campo legale: Introduction to Legal Concepts, Company Law e Contract Law. La novità maggiore del 2014 è costituita dai corsi di lingue one2one, una nuova formula che consente di personalizzare al massimo l’apprendimento. Si tratta di lezioni private incentrate sull’espressione e la comprensione orali, tenute via Skype da formatori qualificati di lingua madre. Grazie alla formula one2one ogni persona può comporre il proprio corso di lingue «à la carte», scegliendo gli orari delle lezioni e il formatore in base alle proprie preferenze. In programma anche un evento gratuito rivolto a tutti gli appassionati dell’inglese: Slow Train to Switzerland è il titolo della conferenza del giornalista e scrittore di viaggi inglese Diccon Bewes, che il 28 marzo 2014 presenterà il suo nuovo libro presso la Scuola Club di Lugano. Parecchie novità per quanto riguarda la formazione professionale: questa sezione propone vari percorsi formativi con diploma, tra cui Leadership (con diploma ASFC), nonché una ventina di seminari di approfondimento, tra cui La gestione dei conflitti sul posto di lavoro e Salari e assicurazioni sociali. Tra i corsi professionalizzanti vi sono inoltre vari moduli in lingua inglese: Public speaking and essentials of effective presentations, Meeting Management, e, per quanto riguarda lo spagnolo: Hablar en público y realizar presentaciones efectivas e Como gestionar reuniones efectivas en español.

Numerose e varie anche le proposte per la formazione personale: si spazia dalla psicologia e conoscenza di sé, all’arte, dalla letteratura all’educazione musicale, nonché una serie di corsi per acquisire nozioni di base nei settori dell’economia e del diritto. Tra le novità un laboratorio per la costruzione di una radio FM, organizzato in collaborazione con il Dipartimento Ambiente, Costruzioni e Design della SUPSI (sabato 8 febbraio) e il corso di Sofrologia caycediana©, che insegna ad analizzare le ripercussioni di determinati eventi e situazioni a livello psichico e fisico e ad acquisire le tecniche per abbassare i livelli di stress che ne derivano. Ricco il ventaglio di proposte anche nell’ambito dell’informatica. Tra le novità il corso di Tecniche SEO per migliorare la visibilità su internet, che insegna ad applicare le migliori strategie per dare maggiore visibilità al proprio sito web e raggiungere così un gran numero di clienti e persone interessate, nonché una serie di corsi per utenti Apple (sia di base che di approfondimento). Un’intera sezione è inoltre dedicata ai corsi incentrati sull’acquisizione di strumenti pratici per la gestione di una PMI, come ad esempio: Contabilità su PC con Banana Contabilità, il programma per la contabilità salariale Easy Salary, oppure Crea il tuo gestionale per PC, Mac, iPhone, iPad. Chi ha deciso di iniziare il nuovo anno all’insegna del benessere non ha che l’imbarazzo della scelta: yoga, meditazione e corsi di massaggio fanno parte dei classici di questo settore. Molte possibilità anche per chi vuole rimet-

Azione Settimanale edito dalla Cooperativa Migros Ticino, fondato nel 1938

Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch

Editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino Tel 091 850 81 11

Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile) Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni

La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni

Stampa Centro Stampa Ticino SA Via Industria 6933 Muzzano Telefono 091 960 31 31

tersi in forma: la scelta spazia dai corsi ad alto impatto aerobico – dalla Zumba al G.A.G. funzionale, dal Power Gym all’Aero Dance, – ai corsi di Pilates, senza dimenticare i più tradizionali corsi di stretching e ginnastica per la schiena. Tra le novità più accattivanti: Bollywood Dance, il ballo di gruppo energico, creativo ed espressivo, caratterizzato dall’eleganza tipica della danza indiana, ideale per mantenersi in forma sviluppando la propria femminilità, e Mistery Class, una nuova formula pensata per chi vuole iniziare a fare più movimento ma ancora non si sa decidere. Questo pacchetto comprende sia sedute di Cardio & Tonificazione, sia lezioni Yoga & Rilassamento: ogni settimana diversi istruttori propongono, a rotazione, una lezione diversa. Per gli appassionati di cucina oltre 70 gli appuntamenti a tema, con molte stuzzicanti novità. Tra queste Thé all’inglese, che insegna a preparare varie specialità della pasticceria britannica quali scones, muffin e una selezione di

torte e piccola pasticceria. Proseguono pure, a grande richiesta, le serate sui dolci d’autore di Giuseppe Piffaretti: oltre ai dolci al cioccolato, una proposta di stagione: La colomba pasquale. Sempre per quanto riguarda la cucina dei grandi chef, in primavera la Scuola Club ospiterà altro chef d’eccezione, Sauro Ricci, sous-chef del ristorante Joia di Milano. Tema delle serate: la cucina vegetariana e vegana, con due speciali menu a base di seitan e tofu. Informazioni

Per informazioni su date di inizio, orario e sede di ogni corsi: www.scuola-club.ch. Il programma è disponibile in tutti i punti vendita di Migros Ticino. Iscrizioni presso le sedi della Scuola Club oppure online al sito: www.scuola-club.ch. Contatto con i media: Valentina Janner, Tel. 091 821 71 50, valentina.janner@migrosticino.ch

Avvertenza per persone allergiche alle nocciole Lo yogurt bio Bircher (N. d’art. 2050.505) contiene lo 0,5% di nocciole. Le nocciole sono raffigurate sulla confezione, ma non elencate negli ingredienti. Le persone allergiche alle nocciole possono riportare il prodotto nelle filiali ed ottenere il rimborso del prezzo di vendita. Temporaneamente il prodotto non è disponibile. Tiratura 98’654 copie Inserzioni Migros Ticino Reparto pubblicità CH-6592 S. Antonino Tel 091 850 82 91 fax 091 850 84 00 pubblicita@migrosticino.ch

Abbonamenti e cambio indirizzi Tel 091 850 82 31 dalle 09.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@MigrosTicino.ch Costi di abbonamento annuo Svizzera Fr. 48.– Estero a partire da Fr. 70.–


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 7 gennaio 2014 • N. 02

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Società eTerritorio Reinserimento non senza fatica Il percorso in salita di chi si ritrova inabile e, nonostante ciò, grazie a fortuna, determinazione, al sostegno dello Stato e del datore di lavoro riesce a reinserirsi nel mondo del lavoro

I Lümieri di Cannobio Una grande festa popolare si ripete ogni anno tra il 7 e l’8 gennaio sulle sponde del Lago Maggiore per ricordare il Miracolo della Santissima Pietà pagina 5

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Cambiamo esplorando le molecole Governance genetica Secondo la sociologa

Helga Nowotny e il biologo Giuseppe Testa le tecnologie servono per far emergere potenzialità, anche quelle del nostro DNA

Lorenzo De Carli Il modo in cui guardiamo le cose è fortemente influenzato dalle idee e dai concetti prevalenti del tempo. Quando Watson e Crick, nel 1953, illustrarono la struttura molecolare del DNA l’ingegnere e matematico statunitense Claude Shannon aveva da poco posto le basi della teoria dell’informazione. Fu Shannon a coniare la parola bit per designare l’unità elementare d’informazione ed è palese l’analogia tra geni e bit. È chiaro che ogni disciplina scientifica ha una sua intrinseca traiettoria evolutiva, ma è anche chiaro che ci sono idee e stili cognitivi che lasciano gli ambiti disciplinari in cui si erano sviluppati per contaminarne altri. «La concezione dei geni come codici e del DNA come linguaggio della vita – dichiarano Helga Nowotny e Giuseppe Testa – mostra una stretta relazione con il discorso epistemico e sociale dell’era dell’informazione in cui la genetica molecolare ha mosso i suoi primi passi». Professore emerito al Politecnico federale di Zurigo e presidente del Consiglio europeo della ricerca (ERC), la sociologa Helga Nowotny ha scritto con Giuseppe Testa (che dirige a Milano il Laboratorio di epigenetica delle cellule staminali presso l’Istituto europeo di oncologia) un saggio divulgativo intitolato Geni a nudo. Ripensare l’uomo del del XXI secolo per far conoscere le riflessioni in corso sull’odierna possibilità di incrementare le nostre prestazioni cognitive attraverso l’ingegneria genetica – una tendenza definita human enhancement. Il punto di partenza dei due scienziati si pone di là dell’idea di DNA come codice. L’«era molecolare» è caratterizzata non più dalla metafora testuale ma dalla predominanza del visivo, del 3D. La nostra capacità di esplorare lo spazio molecolare apre «possibilità pressoché

infinite di modificarne le funzioni e di combinarle in una nuova architettura vitale». La forte rilevanza che Nowotny e Testa assegnano al «vedere» attira l’attenzione sul confine sempre mutevole tra «dentro» e «fuori». Pensiamo allo sport. Se un atleta si allena in altitudine allo scopo d’incrementare il numero di globuli rossi e ottenere così migliori prestazioni è consentito, ma se ottiene gli stessi effetti con una trasfusione, è doping. È come se il «dentro» fosse visto come il luogo del naturale, mentre il «fuori» fosse il luogo dell’artificio. Con il doping genetico i confini del «dentro» e del «fuori» saranno invisibili, ma già oggi metodologie di allenamento, strategie alimentari, abbigliamento e apparati tecnologici rendono difficile riconoscere il «naturale» nel gesto atletico, che appare anzi ingegnosamente costruito. Ciascuno di noi fa esperienza di come l’«esterno» possa dopare il nostro corpo: chi si allena ascoltando musica ottiene l’effetto di influenzare interi insiemi di geni che ci fanno più resistenti e più veloci. Consapevoli dell’effetto doping dell’iPod, gli organizzatori della maratona di New York del 2007 ne proibirono l’uso! Se la riflessione sul doping sportivo permette a Nowotny e Testa di attirare l’attenzione sul labile confine tra il dentro e il fuori del nostro corpo, tra il naturale e l’artificiale, la misura con cui cresce la nostra difficoltà a rinnovare il senso del nostro agire è data dalla genetizzazione del concepimento. In questo contesto il sentimento morale è fortemente orientato dall’idea che abbiamo di cos’è naturale o che cosa no: «Se una coppia sposata viene a sapere che il marito ha solo pochi mesi di vita e la donna resta incinta, questa è materia prima per un racconto edificante sull’amore che vive oltre la morte. Se la stessa donna ottiene lo stesso risultato mediante

Una fase di estrazione del DNA. (Cimmyt)

la fecondazione in vitro dopo la morte del marito, questo diventa un esempio mostruoso di comportamento contro natura». La riflessione sul dentro e fuori, la distinzione tra natura e artificio, per non parlare poi degli effetti della riproduzione assistita sulla nozione di genitorialità (oggi distinta tra quella biologica e quella sociale), portano Nowotny e Testa a interrogarsi su come governare i mutamenti in corso. I due scienziati sono scettici nei confronti dei comitati di bioetica: l’accento che essi pongono sui valori, li rendono inadeguati a rinnovare con la sollecitudine necessaria il senso non solo della ricerca scientifica ma anche dei vissuti personali di chi vede trasformata la propria vita grazie alla genetica. Nowotny e Testa sostengono che la via più adeguata è quella di una governance che metta in dialogo tutti i potenziali decisori, sullo sfondo di una

condivisa accettazione dell’importanza assegnata alle procedure e alla standardizzazione. Piuttosto che negare a priori una linea di ricerca nel campo della manipolazione genetica, creando conflitti sociali o legali, Nowotny e Testa sostengono che bisogna ricorrere a regole procedurali valide per tutti, allo scopo di garantire il consenso sul piano del metodo. È stata proprio l’attenzione per le procedure che ha permesso, per esempio, di praticare il trasferimento nucleare alterato, vale a dire l’inattivazione di un gene nel nucleo di una cellula somatica prima nel trasferimento nella cellula uovo privata del nucleo, impedendo così lo sviluppo di un embrione ma producendo comunque una coltura cellulare utile a scopi terapeutici. Quanto alla standardizzazione, essa è una necessità inderogabile, in un’epoca nella quale la biologia si

sta sempre più ingegnerizzando, e l’obiettivo della biologia sintetica è diventato quello di ottenere «parti prefabbricate a partire da componenti biologiche e poi usare quelle parti per progettare nuovi sistemi viventi». Ora che abbiamo i mezzi per modificare anche le molecole di cui siamo fatti, è tempo di spazi pubblici nei quali sviluppare collettivamente una moralità adeguata al momento storico. Così come fuori di noi non c’è un mondo che possiamo comprendere lasciandolo inalterato perché conoscerlo significa modificarlo, anche la conoscenza della nostra biologia significa modificarla, e far appello a valori immutabili o a una natura come autorità morale, oppure immaginare il genoma come equivalente laico dell’anima, non permette di aprire uno spazio pubblico di discussione all’altezza delle possibilità tecnologiche che abbiamo raggiunto.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 7 gennaio 2014 • N. 02

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Società e Territorio

Ancore di salvezza

Reintegrazione professionale Intervista a Monica Maestri, capo dell’Ufficio dell’assicurazione invalidità,

e le testimonianze di chi è riuscito a inserirsi di nuovo nel mercato del lavoro, non senza fatica Laura Di Corcia Noi ci immaginiamo la vita come una retta, drittissima, pulita, senza intoppi. Non è così: non sempre, perlomeno. Ci sono fratture più o meno grandi che rompono la linearità, spezzano il fluire dell’esistenza, obbligano a spostarsi su nuovi paradigmi, a riformulare in parte (o totalmente) le fondamenta su cui avevamo basato il nostro percorso. Prendiamo il caso di Andrea Wull-schleger, che oggi ha 58 anni. Nel 2008, nel pieno della salute, un giorno qualsiasi, un drammatico incidente in automobile fa tabula rasa, creando un prima e un dopo. «Quando mi hanno detto che non avrei più potuto muovere le gambe, beh, non ci sono rimasto bene», commenta ora, a distanza di anni. I primi tempi sono duri, certo, anche se subito si viene inseriti in un iter frenetico, quasi quasi non si ha più tempo di rimuginare sulla propria sciagura: la fisioterapia, il percorso riabilitativo, e poi, una volta usciti dall’ospedale, la fatica di riprendere contatto col mondo, di riorganizzare la vita in base alle differenti condizioni («all’inizio anche un marciapiede sembrava un ostacolo insormontabile»). Infine, nuovamente, il vuoto, quel baratro in cui sembrano non esserci più appigli. «Avevo 53 anni, non mi rassegnavo a chiudere con la vita. Avevo voglia di fare, di lavorare». Sì, ma le sue condizioni non erano quelle di una volta. Aveva bisogno che l’ufficio fosse organizzato in un certo modo, che la toilette e la porta d’entrata fossero adattate alle sue esigenze. C’erano tante difficoltà, il percorso sembrava difficilissimo, eppure sentiva che la vita non poteva essere finita lì, che non poteva rimanere inchiodato anche con la mente a quella carrozzella. Voleva continuare a sentirsi vivo, a usare la sua energia, a investire in una progettualità, a rendersi utile. A dare e a ricevere.

Il mercato del lavoro va aiutato, per questo motivo l’AI propone alle imprese diversi incentivi per favorire l’assunzione degli assicurati Ora, c’è da chiedersi (posto che il diritto a un impiego ce l’hanno tutti, anche coloro i quali per ragioni diverse non hanno la possibilità di essere produttivi come gli altri): come reagisce il mondo del

lavoro di fronte a queste situazioni? La reintegrazione è semplice o ancora un percorso complesso, irto di ostacoli? Uno studio effettuato dalla Supsi, presentato nel 2012, ha messo in luce diversi aspetti relativi al nostro Cantone: in Ticino, dove la disoccupazione è più alta che nel resto della Svizzera, dove il tessuto aziendale è composto principalmente da unità di piccole e medie dimensioni, il reinserimento professionale non è per niente scontato. Come spiega l’avvocato Monica Maestri, gli sforzi dell’Assicurazione invalidità (AI) di cui è capoufficio, almeno a partire dalla quinta e dalla sesta revisione della Legge federale sull’assicurazione per l’invalidità, sono tesi principalmente al mantenimento del posto di lavoro occupato al momento dell’incidente o della malattia, con lo scopo di preservare il benessere mentale del malato, che deve, nei limiti del possibile, sentirsi parte attiva della società, e non un peso. Ci sarebbe, a questo proposito, una prassi da seguire, il «rilevamento tempestivo», che invita i datori di lavoro a contattare l’AI in tempi brevi, ogni volta che emerge una situazione difficile la quale lascia presagire un’inabilità lavorativa: il problema è che questa informazione non circola molto fra le aziende, anzi, lo studio sopraccitato rivela che quasi tre ditte su quattro non sono a conoscenza di questa misura. La sensibilizzazione e l’informazione sono le strade da percorrere, il chiodo da battere e ribattere, quindi, affinché il mercato del lavoro (per sua natura centrato sul profitto personale) si apra a poco a poco a questa realtà. «In effetti bisogna parlare con le aziende, comunicare loro in cosa consista l’iter da seguire e spiegare che molte persone, anche se colpite da una malattia o reduci da un infortunio, sono ancora in grado, con le dovute misure, di svolgere un’attività professionale», precisa Monica Maestri. «C’è anche da dire che molti datori di lavoro sono all’oscuro delle misure a favore loro e dell’assicurato». L’Assicurazione invalidità propone infatti alle imprese tutta una serie di incentivi per favorire l’assunzione degli assicurati, fra cui un assegno di introduzione per un massimo di 180 giorni: questo per favorire quel periodo di transizione necessario affinché il malato o l’incidentato si ambienti nel nuovo posto di lavoro e inizi a dare un contributo attivo all’azienda. «Vi è un altro incentivo rivolto all’impresa che accetta di applicare misure di reinserimento per un proprio dipendente – continua la Maestri – ovvero un’indennità, giornaliera, fino a cento franchi, per tutta la durata del provvedimento. Le misure

«Molte persone anche se colpite da una malattia o reduci da un infortunio sono ancora in grado, con le dovute misure, di svolgere un’attività professionale». (Ti-Press)

possono durare da uno a due anni». Un ultimo incentivo a favore dell’azienda è il versamento di un’indennità per sopperire all’eventuale aumento dei premi dell’Assicurazione perdita di guadagno e della Legge sulla previdenza professionale (LPP), qualora il dipendente, assunto dall’impresa tramite il servizio di aiuto al collocamento dell’Ufficio AI, risulti nuovamente inabile al lavoro. Tutte queste cose si sanno e non si sanno e molti datori di lavoro, di fronte all’opportunità di assumere un assicurato AI, fanno retromarcia. Tornando ad Andrea Wullschleger, la sua impressione è che alcune aziende, pur essendo a conoscenza di questi aiuti, rimangano scettiche rispetto alla possibilità di assumere un paraplegico (per esempio). «Non si sa mai cosa può succedere, oggi c’è, domani no: chi ha veramente voglia di rischiare?». Già, chi? Alcuni sì. Come la persona che ha assunto lui, dopo una serie di esperienze che non sono sfociate in un contratto: un disabile, quindi una persona particolarmente attenta al problema, che lavora nel settore dei mezzi ausiliari. Non è il solo. Il programma «Agiamo insieme», nato da una collaborazione fra l’AI e la Camera di commercio, sostenuta dal Dipartimento della sanità e della socialità, ha recentemente premiato le realtà lavorative che si sono distinte in questo ambito. Un riconoscimento sociale che ha come obiettivo quello di far circolare un messaggio, ricordando che anche i privati hanno qualche dovere etico, in direzione del bene comune. Il mercato del lavoro va aiutato con incentivi, non può gravarsi interamente dei costi dell’integrazione professionale. E su questo non ci piove. Ma quando si

parla di sensibilizzazione parliamo anche d’altro, di solidarietà, parliamo di cuore e di coraggio. «Il diverso ci fa sentire diversi ed è questo che non siamo disposti a perdonare» (Giuseppe Pontiggia, Nati due volte). Se già l’handicap fisico mette a confronto col limite, quello mentale rintuzza incertezze ancora più grandi. Ritorniamo a quel pronome interrogativo, a quel dito puntato e accusatore che spalanca davanti ai nostri occhi, a un momento, i nostri limiti e l’urgenza della coscienza: chi assumerebbe una persona con problemi nel comportamento e nella salute mentale? Le persone incaricate di allestire lo studio della Supsi hanno posto brutalmente la domanda ad un campione di datori di lavoro e hanno ottenuto risposte vaghe. Per fortuna c’è chi reagisce diversamente, fornendo un prezioso aiuto a persone che ne hanno bisogno come l’aria. Prendiamo il caso di Michele (nome fittizio), classe 1986, con alle spalle una dipendenza da alcol e problemi psichiatrici di una certa entità. «Ho iniziato a bere a 17 anni, quando uscivo con i miei amici, di sera». All’inizio non gli sembrava una cosa grave, ma uno sfizietto innocuo (in fondo lo fan tutti, serve a rilassarsi, a divertirsi). E invece non era un passatempo senza conseguenze. Anno dopo anno, l’attitudine ad alzare il gomito diventò sempre più abituale, una prassi settimanale che alleggeriva l’anima dal peso delle continue liti e incomprensioni in casa ma chiedendo in cambio qualcosa di molto importante: la linfa vitale, la joie de vivre e la lucidità. «È stato un periodo nerissimo in cui non mi rendevo conto di nulla. Ero depresso e ho dovuto lasciare il lavoro presso la casa anziani. Le giornate passavano sen-

za che combinassi nulla». Vegetare significa azzerare la compagine emozionale, stiparla in un cassetto nascosto, chiuso a chiave; quando però si supera la misura, quando il materiale animico è quantitativamente ingombrante, ecco che giunge l’esplosione. Così è capitato anche a Michele, che non si sbottona molto su quella famosa sera, a casa con i suoi, la glissa perché probabilmente il ricordo di ciò che è successo (una scenata di rabbia) fa ancora male. E allora la psicologa che lo seguiva ha deciso: meglio ricoverarlo, meglio che stia per qualche mese sotto controllo. L’Organizzazione sociopsichiatrica cantonale (OCS) a Mendrisio è stata la sua ancora di salvezza. Tre mesi di «incubazione», in cui Michele ha iniziato a capire come funzionava il mondo fuori. E poi, altra esperienza importante, l’anno presso il Centro abitativo, ricreativo e di lavoro (CARL) di Mendrisio, un luogo protetto che aiuta le persone con patologie psichiatriche croniche a riprendere contatto con sé stessi, imparando a gestire la propria quotidianità. «Dapprima ho lavorato proprio nel Centro, curando il giardino e le piante e imparando ad assumermi le mie responsabilità. Poi, grazie a un consulente, ho messo il naso fuori: prima uno stage presso un centro commerciale, poi un altro lavoro a tempo determinato e poi questo». Michele è ancora seguito da uno psichiatra: assume i farmaci, anche se ha ridotto le dosi, e lavora all’80 per cento. Si trova bene. Spera nel futuro di lavorare a tempo pieno, senza l’ausilio dell’AI. «Voglio essere indipendente e libero. Ma senza il sostegno degli altri non ce l’avrei mai fatta». Parole da ricordare e ripetere. Come un mantra. Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 7 gennaio 2014 • N. 02

Società e Territorio

La Madonna che pianse sangue Feste popolari I Lümineri di Cannobio o il Miracolo della Santa Pietà

Sbàsa giò quel scolapasta lé Dialetto Storia

di una multa salata

Marco Horat «Verso le ore sette di sera alla vigilia, il Santuario tutto è a splendore e a festa. Vi si affolla il popolo, risuonano i canti di preghiera e di grazie, un breve sermone illustra i fatti del 1522. Il paese fuori è tutto in trionfo. Ogni finestra ha lumi, palloncini cinesi dondolanti sui balconi e nel vano delle finestre…». È un passaggio colorito delle descrizione del Miracolo di Cannobio scritto più di cento anni fa da un religioso del posto. Una grande festa popolare che si ripete puntualmente sulle sponde del Lago Maggiore il 7 e l’8 di gennaio di ogni anno, con una straordinaria valenza a cavallo tra religione, cultura popolare, storia, tradizioni, costume e società. Una ricorrenza importante per tutta la comunità di Cannobio e per il territorio del Locarnese un tempo strettamente legati dalle vie di comunicazione da e per Milano, e dai frequentati mercati che si svolgevano sulle sponde del Verbano. Da vivere ancora oggi con l’emozione che suscitano i ricordi e con il rispetto che i fatti antichi ci devono ispirare, soprattutto quando sono parte integrante della cultura di un popolo. La leggenda, o se preferite il miracolo, risale come detto all’inizio di gennaio del 1522 ed è stato tramandato così dai documenti di archivio.

Il 7 e l’8 di gennaio sulle rive del Lago Maggiore si rievoca un’antica leggenda In una casupola adibita ad osteria la figlia tredicenne dell’oste, di nome Antognina, sale una sera al piano superiore per prendere qualcosa da una cassapanca. Mentre sta chinata si sente tirare all’improvviso per i capelli e guarda verso l’alto. Con stupore vede che dal quadretto appeso alla parete, che illustra la Passione di Cristo, trasudano gocce di sangue. Grida al miracolo «Mamma, corri; la Madonna, Gesù e San Giovanni piangono sangue!» Il fatto clamoroso si ripete il giorno seguente, quando addirittura si vede una mano della Vergine che si muove e San Giovanni che piange come una fontana. Viene steso un panno sotto il quadro che subito si colora di rosso; l’indomani l’oste, Tommaso di nome e un po’ anche di fatto poiché al-

La sera, migliaia di lümineri illuminano suggestivamente la cittadina.

l’inizio appariva piuttosto scettico, constata che dal dipinto si è staccato un ossicino insanguinato uscito dal costato di Cristo. I sacerdoti accorsi nel frattempo per le verifiche del caso depongono la reliquia in un calice e lo trasportano nella chiesa di San Vittore, dove rimarrà custodito per i secoli a venire racchiuso dentro un’urna sigillata. Verso la metà del secolo il prodigio viene ufficialmente accettato dalla chiesa; si decide di costruire, dove sorgeva l’osteria, un sacello per ricordare ai posteri quello che ancora oggi si chiama: il Miracolo della Santissima Pietà. San Carlo Borromeo trasformerà la piccola chiesa sulla riva del lago in un santuario, nel quale, proveniente da Ascona e prima di imbarcarsi per andare a morire a Milano, celebrerà la sua ultima messa. Qui viene ancora conservato ed esposto in occasione della festa il quadro miracoloso. Ma la storia non finisce qui poiché negli anni ’20 del ’900 il parroco di Cannobio, leggendo con attenzione un resoconto del cardinal Federico Borromeo datato 1605, si convince che il sangue e l’acqua raccolti in quel lontano 1522 sono tuttora conservati all’interno dell’altar maggiore della chiesa sul lago. Coraggiosamente decide di demolire l’altare ed ecco che al suo interno effettivamente vengono trovate tre ampolline e una cassa legata con una corda dentro la quale ci sono batuffoli di cotone, tovaglie, un grembiule, alcuni veli colorati e altri oggetti intrisi di sangue. Un miracolo nel miracolo, insomma. Fin qui l’aspetto religioso che ognuno può valutare come meglio crede. Ricordandosi comunque di inquadrare il

fatto miracoloso (di per sé non unico) dentro il clima storico dell’epoca: siamo nel periodo del Concilio di Trento e della Controriforma che si propone, con rinnovato e battagliero spirito di fede, di sbarrare la strada alle idee protestanti che scendono dal nord delle Alpi; vedi anche i numerosi e affascinanti Sacri Monti che sorgono dalle nostre parti proprio a partire da quei decenni. La festa serale del 7 gennaio è diventata un avvenimento popolare che attira visitatori da tutta la regione e oltre. Il culmine si ha quando, dopo la celebrazione della messa a fine pomeriggio, viene calata dall’alto della cupola di San Vittore con delle funi, la «nuvola» che contiene la costola (oggi probabilmente ridotta in polvere): una teca dorata a

raggiera che sembra volare sui fedeli prima di essere accolta dalle mani del celebrante di porpora vestito e portata solennemente in processione tra canti e musiche fino alla chiesa della Pietà. Qualcuno, ricordando l’avvenimento, ha parlato di antichi riti sacrificali dato che con il calar delle tenebre, Cannobio rimane completamente al buio con l’interruzione dell’erogazione di corrente elettrica. Ma se questa viene a mancare nelle strade e nelle case, a rischiarare la notte e le stradine del borgo con il loro timido baluginare, ci sono migliaia e migliaia di lümineri, piccoli lumi accesi davanti alle porte e alle finestre, sui balconi, sul grande campanile e su tutto il lungolago. Un momento di particolare suggestione si ha quando la lunga processione sbuca dal centro storico e scende sulla riva del lago; qui viene affiancata da un corteo di barche spuntate dal buio della notte illuminate coi famosi lumini che sembrano danzare al ritmo discreto delle onde, e accompagnata fino al tempio, a sottolineare una contiguità tra terra e acqua. Ci sono dunque i quattro elementi: la terra, l’acqua, il fuoco delle torce e dei lumini e l’aria che sorregge la sacra «nuvola», la base della vita. La festa ha però assunto nel tempo anche un aspetto per così dire laico. Spulciando la letteratura sull’argomento si scopre ad esempio che fino a non molti decenni or sono era consuetudine che i giovani fidanzati che intendevano sposarsi entro l’anno, passeggiassero tenendosi sottobraccio per le strade affollate del paese, come a dire: «ecco che ho trovato marito» o «vedete che bella sposa mi sono scelto».

È anche il rito delle luganighe Se ufficialmente si parla di Festa dei Lümineri, non bisogna dimenticare l’aspetto gastronomico della ricorrenza, altrettanto importante poiché conclude la giornata di vigilia: il 7 gennaio infatti è anche la Festa di Lüganigh. È consuetudine che per la cena – meglio riservare se avete intenzione di vivere la festa in prima persona – tutti i ristoranti di Cannobio preparino lo stesso menu servito su grandi tavoli dove si mangia tutti insieme: una boba per cominciare – una minestra di verdure senza pasta né riso, luganighe con patate lesse e crauti e magari (innovazione recente) una torta di pane; il tutto

innaffiato da un bicchiere o due di Barbera. Il rito, perché di rito si tratta, veniva celebrato dapprima solo nelle case private dove si riunivano amici e parenti e vuole richiamare un cibo popolare così come probabilmente veniva preparato da Tommaso nell’osteria del miracolo per un giorno di festa di tanti anni fa. Un cannobino doc, Germano Zaccheo, ricorda come solo cronisti sbadati parlano di semplici luganighe: «In effetti sono salami cotti fatti di un singolare impasto di carne bovina con spezie e aglio, che si confezionano solo per la Festa dei Lümineri». Provare per credere.

semplice. Durante un mese molto speciale, chiamato del Ramadan, i musulmani rinunciano a mangiare e bere dal sorgere fino al calar del sole, sentendo così sulla loro pelle la povertà proveniente dalla fame e dalla sete, in modo da apprezzare maggiormente quanto sono fortunati nella loro vita quotidiana, ricca di tanti allettanti beni. Quest’anno, per la prima volta, sono quasi riuscita a digiunare durante tutto il mese. Vi assicuro che è stato veramente molto duro. Queste diverse prove, che cerco di affrontare sempre con impegno, rafforzano profondamente il mio spirito e mi permettono di rispettare gli altri e, così, di ricevere in cambio anche il loro rispetto. Forse è anche per questo che dall’asilo fino a oggi non ho mai ricevuto nessun commento negativo o insulto da parte dei miei compagni di scuola, anche di quelli più birichini. La considero una cosa molto bella, della quale vado particolarmente fiera. Certo, non è sempre così facile, tutt’altro. Mi considero, infatti, in un certo

senso divisa in due diverse parti: una prima vive con piacere in Ticino, parla correntemente la lingua italiana e va a scuola con una maggioranza di compagni che seguono la religione cristiana; una seconda, invece, si considera orientale e lo apprezza, parla la lingua araba e vive seguendo i principi della religione islamica. Queste due parti, però, devono riuscire a convivere tra loro, anche perché, in fin dei conti, entrambe le religioni ci vogliono soltanto condurre a comportarci in modo pacifico, con gli altri come con noi stessi, e a compiere delle buone azioni nella nostra vita quotidiana. Ecco, quando sento di essere riuscita a unire in me, in un modo o nell’altro, queste due diverse dimensioni, quando riesco a trovare un punto d’incontro che ritengo soddisfacente, allora mi sento realmente «me stessa». E sto bene.

I ragazzi si raccontano di Nur Dasoki L’Islam, la mia religione

Ciao a tutti! Sono una ragazza che segue la terza media a Cadenazzo. Sono di religione islamica e ne vado particolarmente fiera. Naturalmente rispetto tutte le fedi, perché ognuno è libero di scegliere a cosa credere. Ma… stiamo parlando di me, o no? E allora vorrei raccontarvi in che modo vivo quotidianamente la mia esperienza religiosa, cosa significa per me e quali sfide non certo facili pone alla mia vita. Ogni sabato, al termine della settimana scolastica, seguo due ore in più dedicate all’insegnamento religioso islamico a Giubiasco. Durante queste lezioni, gli altri alunni ed io, preghiamo e studiamo i versi scritti nel Corano, che è un po’ come la Bibbia cristiana. Alla fine non mancano neanche i compiti, da svolgere a casa per la volta seguente. Questo impegno supplementare non costituisce per me alcun peso, anzi lo svolgo sempre con grande piacere, perché mi fa sentire in qualche modo pacifica, sia dentro di me, che fuori, nel rapporto con gli altri. Ciò mi

aiuta sicuramente anche nella vita quotidiana di tutti i giorni, e in quella scolastica in modo particolare: con i compagni e i maestri, come nel rapporto con le varie materie che studio ogni volta con grande applicazione. E, infatti, vado sempre, o almeno quasi sempre, a scuola più che volentieri, consapevole di poter trovare in ogni circostanza un buon modo per risolvere i miei problemi. Per questo però ho un segreto: si chiama il Corano. È il libro sacro per noi musulmani. È stato scritto in arabo, ma poi è stato tradotto in tantissime lingue diverse. Al suo interno è racchiusa tutta la storia dei profeti che ci hanno preceduto e che ci aiutano a trovare la difficile strada da seguire nel nostro cammino. In più ci spiega molto concretamente in che modo dobbiamo comportarci nei diversi momenti della nostra vita. E così, per esempio, un buon musulmano prega ogni giorno cinque volte. Io, a dire il vero, non riesco a farlo regolarmente, perché a scuola non è proprio così

Testi corretti dal professor Gian Franco Pordenone

Emilio Magni Una sera di qualche mese fa ero in una congrega di cinque o sei amici radunati per vedere la partita alla Tv in casa del Camillo che ha l’abbonamento ad una pay Tv. Al termine, per festeggiare la sonante vittoria della nostra squadra, è esplosa l’idea di fare una bella spaghettata. Non c’erano mogli e così ci siamo arrangiati da soli, ma mentre gli spaghetti erano in pieno bollore si è presentato subito un guaio. Il Camillo, padrone di casa e chef improvvisato, ha lanciato un urlo: «Trovi minga ul scolapasta, chissà in duvé l’ha metüu la mia mié». Cerca di qua, cerca di là el scolapasta non è venuto fuori. E così si è sacrificato il Pierino che è corso a casa sua, sfidando la sorpresa e i rimbrotti della moglie, per procurarsi l’indispensabile arnese. Di già che c’era ha recuperato anche un barattolo di conserve, che secondo lui erano la fine del mondo. E così, nonostante l’intoppo dello scolapasta, la serata è finita molto bene, in allegria totale. A dare tono alla festa ci si è messo un amico il quale ha tenuto una vera dissertazione sul fatidico scolapasta, termine che pare dialetto puro invece è un falso dialetto. In realtà è la sintesi dell’italiano scolare la pasta.

Il contadino, sorpreso in stalla da un milite con un Beretta 38 dal copricanna bucherellato, intimò «Abbassa quello scolapasta lì» L’amico, per concludere in gloria, ha raccontato anche una storiella di tanti anni fa di cui lo scolapasta fu protagonista. Era una di quelle storielle che, nonostante siano passati tanti anni, si tramandano ancora, in particolare in Brianza e nelle valli intorno al Lago di Como, e che fanno venire in mente momenti tragicomici (in verità e per fortuna, più divertenti che dolorosi) vissuti nei terribili ultimi anni di guerra in Italia. Era proprio verso la fine del conflitto e il nonno del nostro amico si ritrovò in stalla due giovani della guardia repubblichina, la milizia della Repubblica di Salò che affiancava le SS. Ostentavano un piglio feroce, questi due militi, poco più che ragazzi, uno dei quali impugnava un mitra con la canna dentro un «tubo» tutto bucherellato. Uno dei due, puntandogli contro il mitra, accusò subito il povero paisan di non aver consegnato parte del suo raccolto di frumento all’ammasso, come volevano le ferree leggi fasciste. Il contadino non si scompose e ordinò perentorio: «Cumincia a sbasà gió quel scolapasta lé». («Abbassa quello scolapasta lì»). L’arma era infatti un mitra Beretta modello 38 il cui copricanna dava proprio l’idea di uno scolapasta. I due rimasero sorpresi di tanta calma. Bastò un attimo a uno dei figli che, giunto da dietro, li disarmò. La resgiura li prese in consegna, diede loro una minestra. «G’haven ’na fam tremenda e l’arma era scarica» disse la donna. Mangiarono il minestrone, quei ragazzi terribili, poi batterono in ritirata, abbandonando pure l’arma. Il nonno lo tenne nascosto. Poi finita la guerra quel mitra fu appeso in stalla. Ogni tanto arrivava qualche contadino a vedere quel bottino di guerra, a complimentarsi. Dopo un po’ però vennero anche i carabinieri a sequestrarlo. E il resgiù si beccò una multa salata per non aver denunciato uno «scolapasta».


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 7 gennaio 2014 • N. 02

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Società e Territorio Rubriche

A due passi di Oliver Scharpf La neve della Val Bedretto Val Bedretto e neve sono sempre andate di pari passo. Per me che non ci sono mai stato questa corrispondenza si è formata con un primo strato fatto da immagini regionali passate alla tele, qualche sera d’infanzia. Ma gran parte della coltre nevosa bedrettese in testa è dovuta di certo alla lettura, anni fa, di un bel libro pieno di neve fino al collo già dall’incipit: «I prati, le case, le piante e la montagna sono coperti di neve, e uno stormo di corvi segna altra neve» e dove la parola neve appare poi ancora per ventisei volte nelle prime quattro pagine. È L’anno della valanga (1965) di Giovanni Orelli, ambientato nell’inverno 1951 in val Bedretto, benché la valle con questo nome schietto non sia mai nominata, ma la si svela, per sole due volte, attraverso un unico indizio: Nostengo, paese che non c’è più ed è oggi un toponimo di Villa Bedretto. E infatti, in questi giorni, in val Bedretto, nevicata record. E fa notizia, in prima pagina, su tutti i quotidiani:

127 centimetri in 24 ore. L’aspettavo, ma adesso è quasi troppa, tutta in una volta, tanto che la strada per Bedretto è chiusa. Alla stazione di Airolo chiedo a uno vestito di arancione com’è la situazione e lui: «chissà quando la riaprono». Mi rivolgo allora a un giovane del soccorso stradale davanti al Des Alpes, a piedi la vede dura e c’è pericolo di valanghe. Quando il postino al bar dice che a piedi arrivo su domani decido di andarci. La strada che sale su in questa valle in cima al Ticino è ufficialmente chiusa, come dice un cartello, eppure la calla della neve – ticinesismo diffuso derivato dall’espressione dialettale fa la cala – è passata; perciò su, animo, in marcia. Le stan smith scricchiolano sulla patina bianca e dopo una decina di minuti mi lascio dietro il mondo: solo qualche grido d’uccelli e lo scorrere del giovane Ticino nel fondovalle. Un passo dopo l’altro, con a fianco la neve fino alle spalle e un freddo che rinfranca lo spirito, le pre-

occupazioni iniziali svaniscono ed ecco le classiche fantasticherie del passeggiatore solitario come dice un titolo di Rousseau. Versante vocato tutto all’ombra, mentre lassù i pendii innevati sono baciati dal sole. Arrivo alle prime tre case in località Cioss di Fuori, indicata sul cartello degli orari postali sommersi dalla neve. Dopo Cioss di Dentro incontro un albero spoglio con bacche rosse abbastanza fantastiche, un sorbo montano «o quel che è» come dice Orelli nel libro sopra citato. Il tratto di strada incomincia a restringersi, ogni tanto mangio la neve ai bordi. C’è uno strato polveroso, ma sotto è compatta. Alla seconda macchina che sale mostro il pollice, va fino a Villa. Ottimo, perdipiù la bettola dovrebbe essere aperta. È un meccanico in vacanza, ma per colpa della grande nevicata è dovuto tornare al lavoro ad Airolo. Passiamo in mezzo all’abitato di Fontana: colpisce il perfetto allineamento cittadino delle case in muratura.

Infatti a causa di un incendio nel 1868 il pugno di case di Fontana è stato ricostruito e strutturato secondo una singolare griglia ortogonale, si dice, per mano dell’ingegnere Louis Favre, controverso artefice del tunnel ferroviario del San Gottardo. La temperatura è meno cinque, grazie al meccanico sento due nuovi vocaboli: Lüina e Fresa. Lüina è termine leventinese per valanga che ricorda il tedesco Lawine, Fresa è felice bedrettismo per calla. E più su eccola l’eroica fresa con le lucine arancio-intermittenti che corona il nostro passaggio con un arco di neve sputato fuori. Cambiamo versante passando sopra il Ticino e saliamo a Villa. Spicca il color zabaione della chiesa dei santi Maccabei. Esco dal Subaru nero 4x4 ed entro di primo pomeriggio in inverno all’osteria Lucendro (1362 m). Mi siedo allo stammtisch vuoto e parlo di neve con la signora Alma Forni che tiene il locale con la sorella: autrici di un ottima grappa prov-

videnziale all’erba mutarina. Dalle finestre si scorge l’angolo vivo come una lama dell’atipico campanile che svolge la funzione di frangivalanghe. E questo la dice lunga sul rapporto simbiotico di amore e odio neve-Bedretto. «All’Epifania torna il sole» dice Alma Forni. Qui a Villa il sole va via un mese: dal sei dicembre al sei gennaio. A Bedretto, dove tra l’altro nel 1928 è nato Giovanni Orelli, invece ora c’è sole; da qui è un quarto d’ora. Fuori dal comune un cartello indica il pericolo di valanghe di grado 4, interessanti travi di larice di una casa più su. Su una barriera, evitabile a piedi, si ricorda ancora il pericolo, pochi passi e si è nel sole e il paesaggio innevato si apre in tutto il suo incanto con i boschi di abeti e larici sui pendii. A Bedretto l’attività attuale è spalare neve: le macchine sono dei blocchi unici di neve, bisogna scolpire. Io come nell’Anno della valanga a pagina trentanove, scrivo nella neve le cinque lettere di un nome letterario.

ché è possibile varcare in poche ore il tragitto che Colombo impiegò due mesi e mezzo a percorrere; perché si può parlare vis-à-vis, in videoconferenza o con Skype, con qualcuno che si trova agli antipodi; e anche perché radio, televisione, giornali e Internet mi portano in casa quel che è fuori e lontano, rendono presente l’assenza e noto l’ignoto. Samarcanda era un luogo favoloso e mitico quando, da ragazzo, leggevo le Mille e una notte e Marco Polo; ora l’ho vista in un documentario e la trovo bella. Ma non più meravigliosa. In un certo senso, siamo diventati «cittadini del mondo». Così, nell’antichità classica, si definivano i filosofi Stoici. Ma per uno stoico essere «cittadino del mondo» significava essere sciolto da ogni legame, non appartenere a nessuna patria. Nel non attaccarsi a nulla e a nessun luogo lo stoico perseguiva la liberazione interiore da bisogni, desi-

deri, passioni: la suprema indifferenza per le cose del mondo lo rendeva cosmopolita – che in greco significa, appunto, «cittadino del mondo». Non è così per noi, cosmopoliti di oggi. Anche il viaggiare, che è una delle distrazioni preferite e l’occupazione prediletta nelle vacanze, credo abbia perso il senso che poteva avere per i grandi viaggiatori del passato. Montaigne diceva di non conoscere migliore scuola formativa che quella di incontrare, viaggiando, «la diversità di tante altre vite, modi di essere e usi». Dello stesso parere era Vittorio Alfieri: viaggiando, diceva in una delle sue Satire, «si impara più assai che in sulle carte / a conoscer se stesso e l’uomo in parte». Ma quando Alfieri la pensava così era il XVIII secolo. Oggi, forse, la vecchia arte di viaggiare nei buoni libri torna ad essere il modo migliore per conoscere e capire l’umanità.

un evento televisivo, cresciuto a serie di culto in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, dove può vantare persino la fedele attenzione di Obama. Ha, infatti, allargato la sfera delle sue ricadute, sul piano turistico, innanzi tutto. Il castello, che ospita la fiction e in realtà si chiama Highclere, è ormai una meta frequentatissima. Ma c’è dell’altro. E concerne il rilancio del butler, figura professionale in disuso, e adesso richiesta non tanto dalle famiglie di un’aristocrazia superstite, in difficoltà finanziarie, quanto da un’alta borghesia rampante che, come ironizzano i commentatori, aspira a imparare le belle maniere. Di cui il maggiordomo è considerato il depositario. Belle maniere, dignità, rispetto reciproco: sono proprio le parole chiave che spiegano la popolarità che, in forme diverse, si sta manifestando nei confronti del tema nobiltà, visto in una nuova ottica. Alla stregua, cioè, di una ricerca condotta sul piano storico e su quello del costume, dietro la quale si avverte una componente persino nostalgica. È quel che avviene sulle pagine

del «Tages Anzeiger», quotidiano non certo sospettabile di conservatorismo, ma che ha ceduto dichiaratamente «allo charme discreto dell’aristocrazia». Attraverso una serie di servizi, dedicati alle grandi casate cittadine (i von Meiss, i von Orelli, i von Bonstetten, ecc.), il giornale non soltanto ripercorre il loro passato ma ne mette in evidenza il presente: descrivendo abitudini di vita, gusti, comportamenti al riparo da clamore ed esibizionismo. È, insomma per dirla all’inglese, l’understatement, la capacità di affermarsi, ma sotto tono. Qualcosa che rischia di andar perso, sotto l’urto di una malintesa e chiassosa democratizzazione? Qualcosa che è legittimo rimpiangere e di cui si devono apprezzare i sintomi che, qua e là, fanno capolino. Per concludere, è il caso di citare Roger Federer, simbolo di correttezza: così lo definisce Andre Agassi nella sua recente autobiografia, descrivendo un mondo del tennis, dove i bei modi di uno sport, a suo tempo elegante, non sono più di casa.

Lo specchio dei tempi di Franco Zambelloni Piccolo mondo d’oggi Ci sono titoli di libri che subito rimandano a un passato ancora recente, ma scomparso: il primo è il notissimo Piccolo mondo antico, del Fogazzaro; un altro, Mondo piccolo, è il titolo generale che raccoglie una serie di romanzi di Giovanni Guareschi su don Camillo e Peppone. Già: il mondo era piccolo, allora, sul finire dell’Ottocento e poi verso la metà del secolo scorso. Fogazzaro descriveva la piccola comunità di un paesino della Valsolda; Guareschi quella di un villaggio della bassa pianura padana. Realtà di paese, con le amicizie, le rivalità, i pettegolezzi e i bisticci tipici di tutte le piccole comunità rurali del passato. Lo spazio abitativo, per i più, costituiva tutto il mondo e al fuori di quello tutto era vago e indeterminato. Anche oggi il mondo è piccolo, ma in tutt’altro senso. Si è rimpicciolito perché i tragitti si sono fatti brevi, le nuove tecnologie hanno prodotto una

contrazione dello spazio e del tempo, sono caduti confini netti e separazioni convenzionali. Insomma, dilatandosi fino alla globalizzazione, il mondo si è rimpicciolito. La misura della realtà è data dalla percezione che ne abbiamo. Ne trovo un bellissimo esempio in una poesia di Giovanni Pascoli, dal titolo Alexandros: Alessandro Magno è giunto alla fine della sua folle corsa di conquista, di fronte all’oceano Indiano; non rimane altro che tornare indietro, l’avventura è finita. L’immaginazione poetica ne dipinge la tristezza in questi versi: «Oh! più felice, quanto più cammino / m’era d’innanzi; quanto più cimenti, / quanto più dubbi, quanto più destino!». Quando la strada da percorrere è ancora indefinita e lunga, il tempo si affonda nel futuro. Il presente, sia pure colmo di successo e di vittorie, può dare gioia e orgoglio, ma la felicità è nel sogno di quel che non

c’è, e che perciò si continua a desiderare. Nell’ignoto e lontano l’immaginazione si lancia liberamente e dilata la vita. In ogni mistero si annida il meraviglioso; proprio per questo, diceva Stevenson, «vedere le cose considerate interessanti è l’arte della delusione». In una pagina dello Zibaldone Leopardi afferma che la scienza distrugge i piaceri dell’animo, perché mostra la nuda realtà delle cose così come sono e ne evidenzia i confini. L’Ariosto poteva ben immaginare che Astolfo volasse sulla Luna col carro di Elia per cercare il senno di Orlando e poteva descrivere il nostro satellite con assoluta fantasia, con i suoi fiumi, laghi, mari, città e castelli; oggi che abbiamo visto le immagini dell’allunaggio e la Luna nella sua gelida nudità questo non è più possibile. La conoscenza oggettiva piega l’immaginazione. Così il mondo è diventato piccolo per-

Mode e modi di Luciana Caglio La nobiltà: riscoperta in modo nuovo Non parliamo, per carità, di fenomeno, termine abusato e affrettato, piuttosto di coincidenze, affiorate nelle cronache delle ultime settimane, in cui proprio il tema dei nobili è stato affrontato ben al di fuori degli schemi abituali del pettegolezzo mondano o della critica sociale: ma per motivi ancora da decifrare. Ecco, per cominciare, il successo della terza stagione di Downton Abbey, la fiction televisiva inglese che fa rivivere, attraverso una saga familiare, un mondo in via d’estinzione, con i suoi vizi e le sue virtù. Ed è quello di un’aristocrazia, chiusa in un castello,

che, fino allo scoppio della prima guerra mondiale, l’aveva protetta dai contatti e dalle contaminazioni con l’esterno. L’autore della sceneggiatura, Julian Fellowes, evitando il rischio di una contrapposizione ideologica, ricchi cattivi da una parte poveri buoni dall’altra, ci fa entrare in un guscio privilegiato, dove convivono, fianco a fianco e fra loro interdipendenti, padroni e domestici: i conti di Grantham, dominati dalla figura di un’irriducibile nonna, Violet, e la servitù, agli ordini di un altrettanto irriducibile maggiordomo, Charles Carson: due poteri pa-

Il cast della serie televisiva Downton Abbey.

ralleli e complementari. Entrambi, nobili e servitori, sono legati dallo stesso impegno: svolgere i propri ruoli rispettandosi reciprocamente, secondo un codice di comportamento che esige, da tutti, consapevolezza e dignità. È una questione di stile, che non si esaurisce però in gesti formali: tocca i sentimenti, coinvolge i rapporti umani, supera il rigore gerarchico. A svolgere le mansioni di organizzatore e mediatore di questo microcosmo sociale, a suo modo ben funzionante, è il maggiordomo o maestro di casa, capace di separare o di unire i piani alti e i piani bassi del castello, a seconda delle necessità materiali o morali del momento. È lui, il butler, il giudice responsabile della situazione tanto da diventare una figura simbolica dell’era vittoriana, addirittura mitizzata dalla letteratura e poi dal cinema. Come non ricordare, in proposito, Stevens, il maggiordomo di Darlington, impersonato da Anthony Hopkins in Quel che resta del giorno. Ora, ed è quel che incuriosisce, Downton Abbey non rappresenta soltanto


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 7 gennaio 2014 • N. 02

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Ambiente e Benessere Reportage tra le stelle Un’esplorazione degli osservatori astronomici del cantone ci invita a imparare a conoscere i misteri astrali ancora da studiare

Il senso diverso del tempo del viaggio Giuseppe Cederna, dopo aver lasciato alle spalle la carriera di attore cinematografico ha cominciato un nuovo percorso come attore di teatro e come… viaggiatore pagina 10

Ricco palcoscenico sportivo Il 2014 si preannuncia intenso e appassionante per tutti gli amanti dello sport di ogni genere: dall’hockey al calcio, dallo sci al tennis, in un susseguirsi di avvenimenti di alto livello pagina 11

Stefano Spinelli

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Conoscere il diabete Salute Chi convive con questa malattia si deve fare carico dell’enorme responsabilità di autogestirsi Maria Grazia Buletti Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), sono circa 177 milioni le persone affette da diabete tipo 2 in tutto il mondo. Un numero che sembra essere destinato a raddoppiare entro il 2025, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, a causa non solo della crescita di popolazione e dell’invecchiamento, ma pure di diete poco idonee, obesità e sedentarietà. Inoltre, il 50 percento dei diabetici di tipo 2 non è consapevole della propria condizione, con punte dell’80 percento in alcuni Paesi. In Svizzera si contano circa 250/300mila persone affette da questa malattia e da uno studio realizzato all’Istituto di medicina preventiva e sociale di Zurigo emerge che ogni anno si registrano 20mila nuovi casi. Tenendo conto che solo circa la metà di questi viene diagnosticata, nel nostro Paese si conterebbero in realtà più di mezzo milione di diabetici. In Ticino il numero di persone diabetiche è di circa 12/15mila, di cui un terzo ignora di esserlo. Questi i dati di una malattia tanto subdola quanto insidiosa perché cronica e, se non adeguatamente diagnosticata e controllata, in grado di indur-

re patologie invalidanti anche gravi come problemi visivi che possono portare in certi casi alla cecità, a un’insufficienza renale, a patologie cardiocircolatorie e a quant’altro. L’insorgenza lenta e asintomatica, l’inconsapevolezza dell’essere diabetico e le conseguenze irreversibili che un diabete mal controllato inevitabilmente comporta, rendono insidiosa questa malattia che necessita di consapevolezza, disciplina e autocontrollo da parte della persona che ne soffre. Ne abbiamo parlato con le infermiere specializzate del Servizio di diabetologia dell’Ospedale regionale di Lugano (OrL) Manuela Maffeis Bassi e Samanta Ferrazzini, che si occupano di accompagnare e seguire il paziente diabetico nel suo percorso di presa di coscienza e di gestione quotidiana della malattia. «Esistono due tipi di diabete: iniziamo a parlare di quello di tipo 1 (comunemente chiamato «del giovane») che è una malattia autoimmune – la cui causa è ancora ignota – nella quale non funziona la parte del pancreas che produce l’insulina (ndr: l’insulina regola il tasso di zucchero nel sangue e lo trasporta nelle cellule) e deve essere completamente sostituita attraverso iniezioni sottocutanee. Avendo causa ignota,

per il diabete di tipo 1 (più raro) non è possibile pensare a una prevenzione», spiega l’infermiera Maffeis, cui fa seguito la definizione del diabete più frequente, quello di tipo 2, da parte della sua collega Ferrazzini: «È la forma di diabete più frequente (veniva detto «dell’anziano») ed è un disturbo della secrezione dell’insulina da parte di una zona specifica del pancreas. I fattori di rischio sono ereditarietà, sedentarietà legata a un’alimentazione scorretta, all’obesità». Nel diabete di tipo 2 si può dunque parlare di prevenzione: «Una moderata attività fisica costante (come camminare 30 minuti almeno 4 volte alla settimana), un’alimentazione variata, sana ed equilibrata, che preservi dall’obesità, sono azioni che convergono in uno stile di vita atto a migliorare la salute e a diminuire il rischio dell’insorgenza del diabete». Malattia che, ribadisce Maffeis, «si sviluppa in modo insidioso, lento e asintomatico, evolvendo a insaputa del paziente». Per questo lo stile di vita sano risulta essere la migliore profilassi, mentre al momento in cui si scopre di essere ammalati, una delle azioni indispensabili per la corretta sorveglianza della malattia è la costanza nel seguire il pia-

no terapeutico. Proprio qui giungono in aiuto le infermiere di diabetologia che accompagnano il paziente nella presa a carico e nella gestione della propria situazione, come spiega Ferrazzini: «Chiediamo al paziente il suo parere su cos’è il diabete e da lì cominciamo ad accompagnarlo». Le fa eco Maffeis: «Partendo dalla rappresentazione che il paziente ha della propria malattia, costruiamo la definizione corretta personalizzandola alla sua situazione, attraverso strumenti che variano a dipendenza della persona che abbiamo dinanzi (bambino, adulto o anziano). Gli spieghiamo i meccanismi del diabete con l’ausilio di supporti pedagogici. Così, egli scopre come lavora un organismo sano, e da quel punto arriva a comprendere qual è il suo problema e quindi le cure da intraprendere. Si tratta di spiegazioni personalizzate che pongono le basi per una comprensione reciproca con il paziente al quale, in seguito, saranno delegate alcune azioni da svolgere quotidianamente in autonomia». Maffeis sottolinea l’importanza della collaborazione reciproca tra curanti e paziente: «È fondamentale per poter aiutare la persona ammalata e permetterle di avere risorse e cono-

scenze tecniche per continuare a fare ciò che la gestione della sua malattia cronica richiede». Ad esempio: «Il controllo del tasso glicemico, la gestione della terapia e delle pastiglie e/o dell’insulina (intesa come la conoscenza dell’effetto del medicamento, la sua corretta assunzione e cosa fare in caso di dimenticanza)». «Il paziente – spiega ancora Ferrazzini – deve potere prendere a carico se stesso al meglio possibile, per evitare che un diabete mal controllato porti a patologie invalidanti». Importante è dunque fornire al paziente gli strumenti adeguati all’autocontrollo della malattia, come pure fargli comprendere che curarsi in modo adeguato nel presente potrà diminuire il rischio di gravi conseguenze future. «Essendo un servizio infermieristico – conclude Manuela Maffeis Bassi – i pazienti vengono inviati a noi dal medico curante o diabetologo, coi quali collaboriamo. Non interveniamo sulla terapia prescritta, ma aiutiamo il paziente a trovare le strategie per seguire, giorno dopo giorno, le indicazioni ricevute. Si tratta dunque di rendere indipendente la persona nella gestione della sua malattia che va a inserirsi nell’organizzazione della vita di tutti i giorni».


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 7 gennaio 2014 • N. 02

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Riprese astrali Fotoreportage Occhi puntati verso il cielo per spaziare dalla galassia Andromeda fino alla stella polare

attraverso gli osservatori del cantone Ticino

Jacek Pulawski, testo e foto «Questa è la galassia di Andromeda. È l’oggetto più distante che l’occhio umano riesce a captare» mi dice Fausto Delucchi puntando con un finissimo laser verde su una macchiolina appena percettibile della sfera celeste. Da tutti gli astronomi è catalogata come M31 e dista ben 2,2 milioni di anni luce. Vale a dire che la luce emessa dal trilione di stelle che la compongono, ha viaggiato per 2,2 milioni di anni prima di giungere ai nostri occhi. Può darsi che nel frattempo la galassia abbia subito dei cambiamenti stupefacenti, magari un’imponente esplosione di un astro al suo interno, ma non sarà la nostra generazione a poterla osservare e studiare. Vista attraverso un telescopio, si presenta come un disco grigiastro con un nucleo molto luminoso.

Il canton Ticino offre numerose tecnologie per chi desidera intraprendere un magico viaggio tra le stelle Fausto punta il cannocchiale verso la Luna – il nostro satellite naturale, – che nel pieno della fase crescente è molto luminosa. I crateri da impatto sono ben definiti nella zona di penombra, mentre quelli situati al centro si distinguono per il proprio chiarore. Avvicino la lente della mia macchina fotografica e scatto un’immagine. Risulta un pochino mossa, ma porta il merito di essere la mia prima ripresa astrale. Il telescopio interamente computerizzato si muove su altro corpo celeste, la stella polare, svelando la sua «compagna» Polaris Ab; poco più pesante del Sole. Per mezzo del laser pointer, Fausto mi guida attraverso il cosmo visibile. Mi spiega le distanze mostrandomi tutti i segreti dell’emisfero boreale. In qualità di astronomo, Fausto Delucchi è responsabile dell’osservatorio di Carona e vanta un’esperienza maturata nel corso di 50 anni. Ha molto da trasmettere ai numerosi amatori che si ritrovano ogni primo venerdì del mese. L’osservatorio Calina non è l’unico luogo ticinese allestito con un’attrezzatura altamente professionale. Sulle montagne malcantonesi sboccia la bellezza dell’osservatorio del Monte Lema. Gestito dal gruppo di appassio-

Fausto Delucchi, responsabile dell’osservatorio di Carona.

nati astrofili chiamato «Le Pleiadi», è posto a ben 1700 m d’altitudine. Questa caratteristica permette di sfuggire alla maggior parte dell’inquinamento luminoso, uno dei punti dolenti delle osservazioni astronomiche. Munito di un telescopio riflettore con un diametro di 410 mm, è uno degli strumenti più efficaci del canton Ticino. Le sue ottiche in vetro ceramica arrivano direttamente dalle prestigiose officine Lomo di San Pietroburgo. La struttura che lo ospita ha una forma ottagonale e ricorda vagamente il modulo d’allunaggio LEM, utilizzato nelle missioni lunari Apollo. Incontro il responsabile, Gilberto Luvini, che mi spiega l’evoluzione storica dell’osservatorio. Esso nasce dalla passione e dalla perseveranza di pochi amici, per essere infine ristrutturato nel 2002 presentandosi infine come la regina dei cieli ticinesi. Grazie alle modifiche apportate, il telescopio può essere controllato a distan-

za in modo da sfruttarne il potenziale per tutto l’anno. Agli amanti del Sole e delle osservazioni diurne si consiglia anche una

visita alla Specola Solare Ticinese di Locarno-Monti. Lo storico osservatorio comincia l’attività nel lontano 1957 e ha tutte le sembianze di un posto fer-

Marco Cagnotti, direttore della Specola Solare Ticinese.

matosi nel tempo. Le sue stanze conservano l’odore dei mobili invecchiati per decenni e trasmettono il misterioso fascino delle prime osservazioni astronomiche. Sin dall’inizio, la Specola Solare Ticinese si specializza nelle osservazioni e nella misurazione di macchie solari presenti sulla superficie della nostra stella. La determinazione del cosiddetto «numero di Wolf» è rappresentata per mezzo di un disegno molto preciso. «Il Sole sta vivendo una fase parecchio insolita rispetto al passato. Nonostante si trovi nel massimo della propria attività, il numero di macchie solari sono poche rispetto ai livelli abituali» puntualizza il direttore Marco Cagnotti. Il suo compito è quello di riportare fedelmente la posizione di tutte le macchie osservabili. I controlli vengono quotidianamente comunicati a Bruxelles, dando un’importante contributo referenziale ai numerosi scienziati del settore. Tra gli osservatori astronomici ticinesi bisogna menzionare l’imponente telescopio situato sul Monte Generoso che, a causa dei lavori di modernizzazione, rimarrà inattivo fino alla seconda metà del 2014. Il canton Ticino offre numerose tecnologie per chi volesse intraprendere un dettagliato viaggio tra le stelle, strutture di cui i responsabili sono facilmente raggiungibili. Nel segno della passione e di una grande disponibilità, vi faranno assaporare uno dei sentimenti più contraddittori. Mentre si guarda attraverso un telescopio si rischia l’incomoda sensazione di essere osservati al microscopio. Informazioni

www.astroticino.ch Gilberto Luvini, all’Osservatorio del Monte Lema.

Il riporto delle macchie solari.


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Ambiente e Benessere

La valigia dell’attore

Turismo di prossimità

Viaggiatori d’Occidente Una conversazione sul viaggio con Giuseppe Cederna

Bussole Inviti a

letture per viaggiare «Roero, Langhe, Monferrato. Sono i nomi dei territori in cui intendiamo farvi perdere: nomi storici per territori storici, con confini a volte precisi a volte più sfumati, frutto di discussioni infinite, sberleffi campanilisti e musi lunghi, risollevati solo da un buon bicchiere (meglio se di provenienza neutrale)…»

Claudio Visentin Giuseppe Cederna è uno degli attori italiani più apprezzati. Si fece conoscere interpretando il personaggio di Paolino – viaggiatore in perenne apprensione per la famiglia lasciata a casa – nel film Marrakech Express del 1989: un classico road movie presto adottato da una generazione disillusa dalla vita adulta, che in un viaggio nostalgico e rocambolesco ritrova i valori e la leggerezza della gioventù. Il successo si consolidò con un altro film diretto da Gabriele Salvatores, Mediterraneo del 1991, premio Oscar per il miglior film straniero. La trama è nota: un piccolo gruppo di soldati italiani sbarca sull’isola greca di Castelrosso, nel Dodecaneso, per stabilirvi un presidio. Ma ben presto perdono i contatti con il resto dell’esercito e cominciano una nuova vita, in fuga dalla storia e dai suoi sgraditi doveri. In quel film Giuseppe Cederna era l’impacciato e colto attendente Antonio Farina, che si innamora follemente della bellissima prostituta dell’isola, Vassilissa. Quando la sua carriera sembrava vicino allo zenit, Cederna ha cominciato invece un nuovo percorso come attore di teatro e viaggiatore. Di mezzo c’è l’India naturalmente e in particolare un lungo pellegrinaggio del 1999 alle sorgenti del fiume sacro per eccellenza, il Gange, raccontata in Il grande viaggio (Feltrinelli). Ed eccoci di nuovo qui. Gli incontri tra viaggiatori avvengono spesso nei luoghi più disparati e a grande distanza di tempo. La prima volta fu nella Sicilia occidentale, saranno dieci anni fa. Poi una lunga conversazione serale nella sua casa di famiglia in Valtellina, ma parlando quasi soltanto della Spagna e della Mancia di Don Chisciotte. Infine qualche settimana fa abbiamo ripreso il filo del discorso approfittando del passaggio di Cederna per Lugano.

Come scoprire che la soglia della conoscenza e della comprensione può sempre essere spinta un poco più in là Si comincia facendo il punto sullo stato civile, che per un attore non si riduce mai alla banale alternativa tra l’avere il cuore libero oppure moglie. Ma presto siamo scivolati sulla comune passione

Giuseppe Cederna in versione escursionista. (Youtube)

per i viaggi. Curiosamente abbiamo iniziato dalla fine, dai ritorni, l’arte perduta dei grandi viaggiatori (ne avevo parlato su «Azione 32», 8 agosto 2011). Dopo una crisi professionale ed esistenziale che si traduce in un prolungato e radicale rifiuto dinanzi alla prospettiva di tornare sull’isola greca di Mediterraneo, dove aveva trascorso lunghi mesi felici, finalmente Cederna infrange il suo personale tabù e scopre che la soglia della conoscenza e della comprensione può sempre essere spinta un poco più in là, che non si finisce mai di vedere un luogo. Ma è soprattutto tornando nel deserto del Marocco di Marrakech Express che scopre la differenza tra una presenza solo fisica e la pienezza dell’esperienza. Una condizione raggiunta grazie a un «maestro di viaggio», capace di suscitare curiosità e meraviglia, di svelare l’essenziale che spesso è invisibile, come l’acqua che detta tempi e modi della vita nel deserto senza mostrarsi quasi mai in superficie. Come tutti i grandi viaggiatori, Cederna ha un senso diverso del tempo del viaggio: sa bene che il viaggio comincia a crescere dentro di noi – sfida e promessa – molto tempo prima della par-

tenza, quando ancora non è questione di biglietti e bagagli; che il viaggio è parte di noi ma è al tempo stesso una realtà distinta con la quale stabilire un dialogo; che il viaggio continua ad abitare la mente a lungo dopo il ritorno, nella forma della memoria, della scrittura, magari anche del rimpianto per quello che non è stato. Una volta conquistati occhi nuovi, anche la distinzione apparentemente fondamentale tra vicino e lontano perde molto significato e può accadere così che il cantore del Gange si cali nel nostro domestico Ticino (Ticino. Le voci del fiume, storie d’acqua e di terra, con Carlo Cerchioli, Excelsior 1881. Cfr. «Azione 26», 22 settembre 2009) con risultati sorprendentemente profondi. Qualche tempo fa, con la stessa empatia, gli ho visto far visita alle sorgenti dell’umile torrente Staffora, nell’Oltrepo pavese. Ci sono poi i viaggi impossibili, che Cederna ha comunque tentato, nei Paesi dell’Africa devastati dalla guerra civile, nella Palestina che attende da un tempo infinito un ragionevole compromesso e in tanti altri luoghi dove la povertà è troppa per consentire al viaggia-

tore responsabile di mettere in scena il consueto spettacolo della nostra vita sotto altri cieli. Solo rimedio, ma felice scioglimento dello stallo, è stato l’impegno nelle Ong (organizzazioni non governative) che aiutano i Paesi in difficoltà. Cederna in particolare sostiene Asia Onlus (www.asia-ngo.org) e il progetto per dare una sede migliore alla scuola di Golok, a 4mila metri d’altitudine sull’altopiano tibetano, frequentata esclusivamente da bambine provenienti dai villaggi sparsi sulle montagne circostanti. Questo passaggio dal viaggio all’aiuto concreto avviene quasi naturalmente, quando gli incontri occasionali si trasformano nella tessitura di relazioni profonde e durevoli con la comunità che custodisce i luoghi che amiamo. Esaurita l’urgenza delle novità, il discorso tra noi si sposta sulle sotterranee affinità con i viaggiatori di carta, a cominciare dallo svizzero Nicola Bouvier, a entrambi caro (ne ho tracciato un profilo su «Azione 4», 23 gennaio 2012) o ancora lo Stevenson dei viaggi con l’asino e del «Sermone di Natale». Poi resta tempo solo per il congedo e l’arrivederci: chissà dove, chissà quando.

Langhe e Roero ci sono familiari. Dopo tutto sono terre alle porte di casa, raggiungibili in poche ore d’auto. La visita è facile e gradevole: la strada si snoda su e giù per le colline attraverso vigneti e paesi e tutto ha una confortante aria di provincia d’altri tempi. Proprio per questo potrebbero sfuggire facilmente le vicende straordinarie avvenute in questo territorio, che solo pochi anni fa le guide citavano di sfuggita per aver dato i natali a Cesare Pavese e per la produzione massiccia di vini frizzanti da esportazione. La scintilla che provoca l’incendio brilla a Bra nel 1986 quando Carlin Petrini fonda Slow Food, che conta oggi centomila iscritti in centocinquanta Paesi. Slow Food ha promosso la cultura del cibo e un nuovo stile di vita rispettoso dei territori e delle tradizioni locali, anche attraverso la sua università che ha sede poco lontano, a Pollenzo. L’enogastronomia ha rafforzato l’identità del territorio ma soprattutto ha prodotto un imponente sviluppo economico e turistico che ha dato speranza a tutta la provincia italiana, abbandonata nel secondo dopoguerra in favore delle grandi città. La candidatura a entrare nella lista del Patrimonio mondiale dell’umanità Unesco è stato il punto d’arrivo di questo processo di riscoperta delle proprie radici. Questi borghi sono stati anche uno dei più importanti laboratori del turismo di prossimità: l’idea rivoluzionaria che non servisse andare lontano per vedere meraviglie, che dietro ogni angolo può celarsi la bellezza per chi ha occhi per riconoscerla. Tutte queste prospettive s’intrecciano ne L’acino fuggente, un libro di viaggio scanzonato ma non banale che può essere facilmente utilizzato come una guida per week end tra chiese, cantine e trattorie, dando lavoro a stomaco e cervello. Bibliografia

Enrico Remmert e Luca Ragagnin, L’acino fuggente. Sulle strade del vino tra Monferrato, Langhe e Roero, Laterza, 2013, pp. 144, € 12,00.

Robert Walser riuscirà a convincere Federer Sport Dopo David Foster Wallace un altro grande scrittore sulla sua strada Ovidio Biffi Certo: c’è David F. Wallace come massimo cantore di Roger Federer e della sua arte. Corrispondente di lusso per il NYT a Wimbledon, Wallace confezionò addosso al nostro massimo atleta una specie di «summa» (Tennis, Tv, trigonometria, tornado, il titolo originale del libro, edito in italiano da Einaudi e Casagrande con l’altro titolo Il tennis come esperienza religiosa). «Ci sono tre spiegazioni valide per l’ascesa di Federer. La prima ha a che vedere col mistero e la metafisica ed è, a mio avviso, la più vicina alla verità. Le altre sono più tecniche e funzionano meglio come giornalismo». In virtù di una di queste interpretazioni ora va collocato subito sotto Wallace, se non sullo stesso piano, anche Ronald Giammò, emergente giornalista sportivo italiano, forgiatosi nel rugby e autore di pregevoli ritratti come quello dedicato su «Il Foglio» (23.11) al nostro Roger, sinora «canta-

to» alle nostre latitudini in modo professionale sopra tutti da Gianni Clerici ed Emanuela Audisio. «L’importante è finire» dice il titolo dell’articolo di Giammò e lascia intuire che si rivolge al Federer trentaduenne, quello che nelle arene non combatte più solo con gli avversari, ma anche con la delicatissima, a volte struggente e drammatica conclusione della sua fantastica carriera. Giammò inizia il suo pezzo con una sorprendente evocazione letteraria: «Quando il 25 gennaio del 1929 Robert Walser bussò alla porta della clinica Waldau di Berna per chiedere di venire internato aveva cinquant’anni e aveva già scritto tutto ciò che doveva dire. Trasferito tre anni dopo al sanatorio mentale di Herisau, vi restò per altri ventiquattro anni, alternando lunghe passeggiate ad appunti minutissimi scritti a matita, in una calligrafia minutissima e arricciolata, e andati perduti. “Dice di sentire delle voci”, così recitava la sua cartella clinica. In realtà il poeta svizzero aveva piani molto

più lucidi di quanto sospettassero i suoi infermieri. Solo tra le mura di quella casa di cura infatti egli sentiva di poter attuare il suo ultimo proposito: “Scomparire il più discretamente possibile”». La sublime arte letteraria e la drammatica decisione di Robert Walser servono a Giammò come metro di paragone, se non proprio come esempio da proporre, per cercare di presentire l’ultimo atto della carriera del grande tennista basilese: «Quando Roger Federer due settimane fa ha fatto il suo ingresso nella 02 Arena di Londra per il dodicesimo Masters Final consecutivo della sua carriera, il suo palmares contava 17 vittorie nelle prove dello Slam, 302 settimane da numero 1 in classifica e oltre 78 milioni di dollari di montepremi vinti. Cifre mai raggiunte da nessun altro. I numeri però non raccontano dell’allure di talento e bellezza con cui questo schivo svizzero è stato capace di mettere d’accordo tutti gli addetti ai lavori e le leggende del passato del tennis, coster-

nate oggi, gli uni come le altre, nel vedere il loro campione vittima di acciacchi e sconfitte, sacrifici inevitabili da tributare all’avanzata del tempo». A dirla tutta, costernati ci sentiamo anche noi, sempre più divisi fra Roger e l’avversario che ha di fronte, oppure fra Federer e Wawrinka nobilissimo gregario («Al cospetto di Roger io sono una nullità» ha confessato Stan a Londra dove, anch’egli fra i primi otto tennisti del Masters, ha raccolto applausi e ammirazione come mai prima d’ora). Certo, provare a risalire la china si può ed è una legittima fonte di speranza per tutti, anche per i grandissimi campioni. Ma non può essere fuga in avanti o scusante, poiché, come giustamente ricorda Giammò, bisogna saper scegliere in tempo anche quando finire e non arrivarci per contrarietà. A riprova di questa condizione, Giammò termina il suo affresco ancora una volta con un ancor più inaspettato rimando a Robert Walser usandolo per una sorta di consiglio

rivolto (in maniera più che discreta, verrebbe da dire in ginocchio) a Roger Federer: «Deponga gli ultimi sforzi, allora e faccia come Platini che aveva la sua stessa età quando disse basta al calcio, al sudore e alla fatica (…) Se ancora non dovesse essere convinto, Federer allora si rilegga Walser e ciò che scriveva riguardo a un altro lucidissimo talento che decise di ritirarsi dalla scena ancora nel pieno della sua ispirazione: “Hölderlin – scrive Walser – giudicò conveniente, anzi riguardoso, rinunciare a quarant’anni di età al proprio sano intelletto: con ciò egli offrì ai molti l’occasione di compiangerlo nella maniera più dilettevole e gradevole. La commozione è qualcosa che fa bene alla salute, e perciò è bene accetta”». Chissà se a Dubai, o in Australia, Federer si lascerà convincere da Robert Walser? Nell’attesa sarà meglio allenare il nostro orgoglio nazionale a saltellare fra il «Roger sei grande anche quando perdi» e il «Roger, ora faresti meglio a ritirarti».


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Ambiente e Benessere

Sarà un anno duro anche davanti alla tv Sportivamente Il vecchio tifoso cerca di superare i primi esami di tenuta allo sforzo in vista

dei Giochi Invernali e dei Mondiali di calcio. Senza dimenticare tanti altri appuntamenti Alcide Bernasconi Il vecchio tifoso sta perdendo colpi. Alzarsi dalla poltrona in salotto è una fatica, a volte anche molto dolorosa. Le cartilagini mandano sinistri rumori, specie dalle ginocchia. I muscoli sono indolenziti per la fatica del dolce far niente. I pranzi e le cene di fine anno si sono rivelati meno dannosi degli innumerevoli aperitivi perlati di prosecchini (come li chiamano, cercando di diminuire i sensi di colpa degli invitati) e champagne, con accompagnamento di stuzzichini apparentemente innocui. A tutto questo sta pensando il nostro, il primo giorno dell’anno, mentre si assopisce l’ennesima volta davanti alla sua vecchia tv. A Natale avrebbe desiderato uno schermo gigante, per assistere come sul posto (cioè in «alta definizione») ai Giochi olimpici invernali di Sochi (7-23 febbraio) e poi ai Campionati del mondo di calcio in Brasile (12 giugno–13 luglio). «Sarà un anno duro», è stato il suo ultimo pensiero prima di sintonizzarsi sul canale privato «Russo a più non posso», un programma a dir poco odiato dai vicini di casa costretti a sentirlo quasi senza soluzione di continuità.

Sono davvero molti gli appuntamenti sportivi di grande interesse che ci riserva l’anno appena iniziato Un anno duro: chi non è coinvolto dalle vicende sportive, moglie, o figli o badanti, non può capire lo sforzo di concentrazione e la tensione nervosa di uno spettatore «professionista», ex competitore o ex giornalista sportivo, in un’annata come quella che ci attende, con la tortura, poi, di doversi tenere tutto den-

tro. Se grida, in casa, all’indirizzo di un arbitro o in seguito a un episodio che ha fatto scattare in piedi tutti gli spettatori che sono sul posto, in tribuna, rischia di spaventare la gatta e quindi di provocare qualche danno; se ogni tanto gli consentono di scrivere qualche considerazione, gli pare che l’abbiano fatto per pietà: ma se l’hanno mandato in pensione (magari pure anticipata) un motivo deve pur esserci… Succede – è storia di pochi giorni fa – che il vecchio tifoso si svegli di soprassalto, nel bel mezzo del concerto di Capodanno. È storia di pochi giorni fa. Adora Johann Strauss Jr. e i suoi valzer, perciò vorrebbe potersela prendere con chi avrebbe dovuto impedirgli – sempre con i dovuti modi – di addormentarsi! Invece ha lottato, da solo, qualche secondo con le palpebre degli occhi pesantissime dopo appena un paio di brani, addormentandosi poi di colpo (magìa della televisione…). Come Chiro (la gatta), indifferente a qualsiasi spettacolo musicale o di carattere sportivo, altro che il povero, grande Woody, il primo gatto che sperimentò ormai tanti anni fa le poltrone del salotto, fino a trovarne una ideale tanto per lunghissimi sonni ristoratori quanto per assistere alle gare di bob, di cui andava matto. Che grande gatto fu, Woody. Amava gli sport invernali e intuiva quando uno sciatore svizzero stava per vincere una medaglia: alzava la testa, aguzzava le orecchie e lanciava un’occhiata a chi gli faceva compagnia in quel momento. Fra la finale della Coppa Spengler e il Concerto di Capodanno, il salto è parso breve al nostro. Meno di 24 ore: dall’appuntamento di mezzogiorno in punto del torneo di hockey a Davos, con una finale palpitante fra il Ginevra Servette vincitore contro il Cska Mosca, ai Wiener Philarmoniker diretti dall’istrionico Daniel Barenboim nella «Sala dorata» del Musikverein di Vienna. L’episodio qui raccontato consente

La presentazione di Sochi alla cerimonia di chiusura del 2010. (S. Yume)

stdorf e chissà mai che non riesca a tornare sul podio olimpico dopo le imprese di Calgary e Vancouver con quattro medaglie d’oro complessive. Per chiudere, torniamo all’hockey. L’ex giocatore e presidente dell’HC Lugano Beat Kaufmann è stato nominato capo degli arbitri al posto del dimissionario Reto Bertolotti, e sarà fiancheggiato dal fischietto Brent Reiber quale consigliere arbitrale. Inevitabile che la stampa ricordasse lo scandalo «discogate» nel quale fu coinvolto Kaufmann con lo staff dirigenziale bianconero per i soldi «in nero» e mancati pagamenti di imposte e Avs fra il 1996 e il 2005 nell’ordine di circa tre milioni e mezzo. Cose che succedono ovunque nello sport, ma troppi sfuggono ad approfonditi controlli. Kaufmann, coinvolto suo malgrado, è persona perbene e che conosce a fondo l’hockey. Potrebbe essere davvero l’uomo giusto al posto giusto. Infine, un plauso lo merita l’attaccante dell’Ambrì Piotta Inti Pestoni, per il suo impegno alla Spengler, dimostrandosi gran pattinatore veloce, capace di leggere il gioco e di offrirsi come spalla di assoluto valore al canadese Lombardi, con il quale ha firmato una delle reti più belle del torneo contro il Team Canada, oltre a cinque assist con cui ha onorato il suo apporto eccezionale col compagno di squadra biancoblù, il difensore Nordlund. Ah, dimenticavo: fra il 9 e il 25 maggio si svolgeranno a Minsk i Mondiali di hockey, con la Svizzera reduce dall’impresa di Stoccolma nel 2013, con vittorie contro tutti gli avversari, tranne che la Svezia nel secondo confronto proprio nella finale. Intanto suona il telefono per un invito in via Collinetta, con l’Open d’Australia (13-26 gennaio), torneo che le nonne innamorate di Roger Federer seguiranno sferruzzando anche loro davanti alla tv: in casa del basilese è in arrivo, infatti, un terzo erede.

di valutare le capacità e la tenuta del vecchio tifoso per gli impegni che lo attendono. In un concentrato di sei giornate, con due incontri di hockey nelle prime cinque, la Coppa Spengler va considerata come un esame d’ammissione all’annata sportiva 2014, anche perché in quei giorni due episodi imprevisti hanno messo ulteriormente sotto pressione il vecchio spettatore di cose sportive. Dapprima l’ingaggio da parte della Federcalcio svizzera del successore di Ottmar Hitzfeld alla guida della nazionale di calcio rossocrociata dopo i Mondiali in Brasile di Vladimir Petkovic, licenziato dalla Lazio per non aver comunicato coi vertici della squadra la sua decisione di non rinnovare il contratto al termine del campionato. Via Hitzfeld, lascia i rossocrociati anche Michel Pont, già assistente prima di Köbi Kuhn, ma il cambiamento riguarderà gran parte dello staff. Se a Roma il presidente della Lazio, Claudio Lotito, fa finta d’essere arrabbiato e si è detto pronto a chiedere un risarcimento im-

portante, «Petko» intendeva invece onorare fino all’ultimo il contratto, per una questione di mezzo milione circa di franchi. Il vile denaro ha permesso a Lotito di ingaggiare Edy Reja, con alle spalle alcuni mesi della guida dei laziali nel 2012, per sostituire Petkovic. In Svizzera non è che abbiano fatto tutti salti di gioia. In seno alla squadra, c’è prima di tutto il Mondiale da affrontare con qualche speranziella (diciamo così) di farsi onore anche nella caldera brasiliana. Ad abbattere gli appassionati della Formula 1 ecco poi la notizia del gravissimo incidente sugli sci di Michael Schumacher a Méribel, proprio nei giorni di festa. Ai messaggi d’auguri indirizzati al pilota tedesco all’ospedale di Grenoble, dove lotta fra la vita e la morte (al momento in cui scriviamo) si aggiungono quelli di tutti gli sportivi. In vista dei Giochi di Sochi, ecco il redivivo Simon Ammann, il quale, a digiuno di successi da mesi e mesi, vince la prima tappa della prestigiosa Tournée dei Quattro Trampolini a Ober-

ORIZZONTALI

Sudoku Livello per geni

Giochi Cruciverba

Per scoprire l’altro nome del grande squalo bianco e qual è all’incirca la sua lunghezza, risolvi il cruciverba e leggi le lettere evidenziate.

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1. Le iniziali dello scultore Canova 3. Nome femminile 7. A est… della Francia 9. Preposizione articolata 10. Poggia sullo scalmo 12. Scritte senza consonanti 13. Tutt’altro che mesti 15. Due in moto 16. Incartamento 22. Sono uguali nel diritto 24. Sono di famiglia 25. Di questo ne è pieno il borioso 26. Capatina in centro 28. Congiunzione francese 30. Destinate ai sacrifici 32. Un appellativo regale 35. Un quadrato con le corde 37. Profeta biblico 38. Uccello dalle carni pregiate

Scopo del gioco

Completare lo schema classico (81 caselle, 9 blocchi, 9 righe per 9 colonne) in modo che ogni colonna, ogni riga e ogni blocco contenga tutti i numeri da 1 a 9, nessuno escluso e senza ripetizioni.

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1. Misure inglesi di superficie 2. Avvolge la superficie terrestre 4. Le iniziali dello scrittore Daudet 5. Vanno in cerca di alibi 6. Il nome della Marcuzzi 8. Molto cari 11. Le iniziali del musicista Respighi 14. Le iniziali della conduttrice D’Amico 17. Patria di un noto mago 18. L’orto delle primizie 19. Scrisse «Il Corsaro Nero» (Iniz.) 20. Un Francesco cantante 21. Nome inglese 23. Sporge dal cappello 27. Il signor dei tali 29. Le iniziali dell’autore della «Gerusalemme liberata» 31. Valchiria della mitologia norrena 33. Pronome poetico 34. Le iniziali dell’attore comico Siani 36. Due nel panino

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Soluzione del numero 52

Un messaggio per voi – Messaggio risultante: Auguri di Buone Feste a tutti i nostri affezionati lettori.

F E N A S T B E S

U R D I I O B U R N O E D E S T E T A N U D E T I A I N O O S

A G O U M A R I T O R A T B I L T A N U A T E N T E A F V I R M A T I A

A E N T Z S F

E O I A S A A R E

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 7 gennaio 2014 • N. 02

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Politica e Economia La crisi dei giornali La via d’uscita sembra essere quella di incrementare la qualità dell’informazione. Questa, perlomeno, è la ricetta che ci giunge dagli Stati Uniti

pagina 14

Un’adesione controvoglia La partecipazione delle banche svizzere al programma fiscale americano avrà conseguenze non ancora valutabili, ma eviterà perlomeno dei procedimenti penali pagina 15

Keystone

pagina 13

L’economia e la sfera di cristallo Con l’anno nuovo abbondano le previsioni, ma le crisi più insidiose restano sempre quelle inaspettate. Per cui: meglio non fidarsi ciecamente degli esperti

Partita a scacchi a suon di bombe Geopolitica Dietro agli attentati nel Caucaso sta la rivalità fra Russia e Arabia Saudita e un accordo mancato Lucio Caracciolo L’estate scorsa il capo dei servizi segreti sauditi, già ambasciatore negli Stati Uniti e oggi aspirante successore di re Abdallah sul trono di Riyad, principe Bandar bin Sultan, fu ricevuto da Vladimir Putin nella sua dacia presso Mosca. Bandar era latore di una minaccia vestita da proposta. La proposta: mettiamoci d’accordo per stabilizzare il prezzo del petrolio sui mercati mondiali, che vi sta tanto a cuore, e voi smettete di sostenere il regime di Bashar al-Asad in Siria, principale alleato di quell’Iran che noi consideriamo il nostro nemico mortale. La non troppo velata minaccia: «Posso garantirle la protezione dei Giochi Olimpici invernali dell’anno prossimo, a Soci. I gruppi ceceni che mettono a repentaglio la sicurezza dei Giochi sono controllati da noi». Secondo alcune indiscrezioni, la reazione del presidente russo fu secca. Fissandolo negli occhi, replicò: «Principe Bandar, noi veniamo dallo stesso ambiente, dall’intelligence. Ebbene per questo posso dirle che io non mi fido di lei».

Poco dopo, il capo dei jihadisti caucasici, Doku Umarov, autoproclamato leader dell’Imrat Kavkaz, l’Emirato del Caucaso che per ora esiste solo nella sua mente, stabiliva la fine della tregua negli attacchi terroristici contro la popolazione civile russa. Prendendo a pretesto i «diabolici» Giochi di Soci, il centro turistico sul Mar Nero a ridosso del Caucaso dove il 7 febbraio saranno inaugurate le Olimpiadi invernali, Umarov dichiarava che d’ora in poi anche i civili russi saranno oggetto di attacchi, dovunque possibile. Non solo: Umarov dava una colorazione etnica alla sua guerra, ricordando come Soci fosse parte del vasto territorio caucasico abitato da popolazioni autoctone di origine circassa, deportate in massa dai russi a metà dell’Ottocento in quello che alcuni storici simpatetici con la causa dei deportati hanno definito il «genocidio dei circassi». Molti dei quali finirono in Siria, da dove hanno inutilmente chiesto di essere rimpatriati, ossia riammessi in quella parte di Russia – il Caucaso occidentale, Soci in-

clusa – da cui furono espulsi con la forza. Non è un caso che Umarov abbia parlato, nel suo ultimo intervento contro le Olimpiadi di Soci, di «macabra danza satanica sulle ossa dei nostri antenati» (circassi). I recenti attentati terroristici nella Russia del Sud-Ovest, a ridosso del Caucaso, vanno dunque letti in questo contesto più ampio. Non è possibile avere alcuna certezza su chi abbia compiuto l’attentato di Pjatigorsk, una cittadina balneare caucasica, e soprattutto la doppia strage di Volgograd, già Stalingrado, nel dicembre scorso (nella foto, garofani deposti in onore alle vittime dell’attentato alla stazione ferroviaria). Ma è opinione comune che i terroristi suicidi – forse russi convertiti all’islam jihadista – appartengano alla filiera di Umarov, che conterebbe al più un paio di migliaia di affiliati, forse molti meno. Sicuro è invece che costoro ricevono copiosi aiuti, oltre che indottrinamento, dall’Arabia Saudita e da altre petromonarchie del Golfo, Qatar incluso. Ossia da quelle potenze regionali che

sono impegnate in Siria nel rovesciamento del regime di al-Asad, contro il quale si adoperano anche guerriglieri jihadisti circassi. Alcuni interpretano gli attentati di Volgograd, a 680 chilometri da Soci, come la dimostrazione che la cintura di sicurezza stesa da Putin intorno alla città olimpica – a lui particolarmente cara visto che vi trascorre parecchio tempo nella dacia presidenziale – sta funzionando. Una zona di esclusione presidiata da decine di migliaia fra poliziotti e militari dovrebbe garantire la sicurezza dei Giochi, ma lascia inevitabilmente scoperti mille altri obiettivi nell’immenso spazio russo, specie nella regione meridionale-occidentale, dove l’islamismo è in crescita. Umarov non avrebbe dunque la forza per colpire a Soci e dovrebbe concentrarsi altrove: ipotesi tutta da verificare, ma che non lascia certo tranquilli i russi, compresi gli abitanti di Mosca, che già hanno sperimentato le bombe cecene – o attribuite ai ceceni – in anni recenti. Certo è che la retorica putiniana sulla vittoria nella guerra di Cecenia e

sulla decisione di «liquidare totalmente» il terrorismo musulmano non convince molti suoi concittadini. I quali farebbero volentieri a meno del Caucaso – con i suoi «culi neri» ceceni o daghestani – pur di garantirsi pace e tranquillità in casa propria. Ma per il Cremlino, ossessionato dalla stabilizzazione dello spazio imperiale, sempre a rischio di disintegrazione, rinunciare al Caucaso settentrionale, da due secoli territorio russo, significa rischiare il collasso dell’impalcatura geopolitica edificata dagli zar e allargata, sotto diversa veste ideologica, dai bolscevichi. La lezione del crollo dell’Urss, quando secondo Putin fu lasciato troppo spazio agli indipendentismi e ai nazionalismi a scapito della coesione imperiale, è sempre ben viva nella leadership della Federazione Russa. Quella che si apre il 7 febbraio a Soci non è quindi solo una grandiosa competizione sportiva, ma un test fondamentale per la solidità della Russia e per la credibilità del suo leader, a quindici anni dalla scalata ai vertici del potere.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 7 gennaio 2014 • N. 02

È la qualità, stupido! Media americani «Politico» punta a New York, «Newsweek» torna in edicola, «New York» diventa bisettimanale.

Una riflessione attorno al ruolo dei giornali e alle ragioni del loro impoverimento dopo la grande paura

Paola Peduzzi Black and White and Dead All Over è un documentario che la Pbs ha mandato in onda qualche giorno prima di Natale e fin dal titolo si capisce che c’è poco da stare allegri. Parla dell’industria dei media americani, dei giornali, di quelli locali in particolare, e conferma, in termini ancora più apocalittici, quel che era stato raccontato nello splendido documentario del 2011 sul «New York Times», Page One. I morti del titolo che si vedono tutt’attorno al bianco e nero sono i giornali stessi, che stanno attraversando una crisi finanziaria che è ancor di più una crisi d’identità dovuta all’ultima rivoluzione industriale della nostra epoca, che è quella tecnologica e internettiana. Wendy Ruderman, una giornalista che ha vinto il Pulitzer con una serie dedicata ai malaffari dell’Fbi, dice di sapere qual è il momento preciso dell’arrivo dell’apocalisse, l’ha vista arrivare con i suoi occhi, nel gennaio del 2011. È stato quando un hedge fund ha acquistato il «Philadelphia Daily News», giornale sull’orlo del fallimento dove lavorava la Ruderman, e ha nominato come direttore un signore che era stato licenziato dal posto precedente per aver inviato la foto di un suo testicolo rimosso durante un’operazione chirurgica a una sua assistente. «Ho pensato fosse uno scherzo», dice la Ruderman, ma poi ha capito che non lo era e che anzi quell’episodio era l’inizio della svolta identitaria del «Daily News».

Il modello editoriale di «Politico» sta facendo scuola, con il suo stile innovativo di raccontare la realtà La storia principale del documentario è proprio questa: fare buon giornalismo quando i soldi non ci sono più e il voyeurismo internettiano prende il sopravvento sulla sobrietà di una pagina ben scritta. Stu Bykofsky, commentatore del «Daily News», sintetizza in poche frasi piuttosto irritate, guardando dritto nella telecamera, il pessimismo cosmico di tutto il film: «Gli editori hanno voltato le spalle a un modello di business che li ha tenuti in piedi per 300 anni. E come delle pecore sono tutti andati giù nel dirupo: non volevano rimanere indietro, “non vogliamo sembrare vecchi”. Anche la più stupida delle escort sa che si viene pagati in anticipo. “Questi scemi capitani d’industria non hanno pensato

a farsi pagare. Si sono fatti fottere, e alla fine non c’erano più soldi”». A Filadelfia sono tutti arrabbiati, e questo è chiaro. I giornali locali sono stati falcidiati dalla crisi finanziaria: come accadde quando scoppiò la bolla internettiana all’inizio degli anni Duemila, ci sono stati a lungo elenchi aggiornati quasi quotidianamente, listati a lutto, dei business mediatici finiti male. Ma ci sono oggi anche segnali di ben altro tipo: la grande paura è passata e se le economie occidentali iniziano a guardare avanti senza troppi piagnistei – e con qualche eccellenza, come quella britannica – anche i giornali stanno tentando di riorganizzarsi senza suicidarsi. Prendiamo il «New York», uno dei settimanali più belli del mondo, che scandisce l’anno con alcuni appuntamenti imperdibili, come quello natalizio sulle Reasons to Love New York, che nell’edizione 2013 parla di aria pulita, del sindaco Bill De Blasio nuovo di zecca, dei Cronuts, di Lou Reed e del controllo delle nascite dei topi. Il «New York» è il tempio del new journalism di Tom Wolfe, ha scoperto Nora Ephron, ha ospitato il concetto e la cultura del radical chic. Il «New York» è però in crisi, la pubblicità è crollata del 9 per cento nel 2013 rispetto all’anno precedente, che già segnava un trend decisamente negativo. Così dal 14 marzo il «New York» non sarà più settimanale, ma uscirà ogni due settimane, con il 20 per cento di pagine e di contenuti in più dedicati a Hollywood, alla moda, al mondo del business. New York Media, che è la società che pubblica il magazine, vuole investire nel sito, NYmag.com, e ha già pensato a un nuovo blog che si occupa di comportamenti umani (siamo diventati social e sempre più antropologi, ci osserviamo e ci valutiamo e ce la raccontiamo, il blog si chiama «The Science of Us», la scienza di noi stessi), a storie politiche più approfondite, e a un canale Instagram, che produce foto celebri a catena tutto il giorno. I ricavi digitali crescono del 15 per cento ogni anno e, stando ai dati, l’anno prossimo supereranno i ricavi della pubblicità sull’edizione cartacea, per questo il cuore degli investimenti della società è diventata l’edizione digitale. David Carr, commentatore geniale del mondo dei media, definendo il «New York» un magazine «regalmente locale» e preoccupandosi della reazione dei newyorchesi al cambiamento, ha riportato le parole di Anup Bagaria, chief executive di New York Media: «Qui siamo tutti romantici quando si parla della carta e dell’edizione cartacea. La cosa che ci ha trattenuti

dal fare questi cambiamenti in passato è proprio il carico emotivo legato al giornale di carta. Ma una volta che abbiamo capito che c’è un modo per continuare a fare quel che abbiamo sempre fatto, e magari a farlo meglio, credo che anche i lettori si entusiasmeranno». Le reazioni del pubblico sono difficili da prevedere, certo è che l’alternativa carta-digitale ha già fatto passi avanti e pure passi indietro, se si guarda l’esperienza di «Newsweek». All’inizio degli anni Novanta, il settimanale che vanta una storia lunga ottant’anni, aveva 3,3 milioni di lettori, uffici di corrispondenza lussuosi, storie strepitose. Nel 2010, il «Washington Post», che era

proprietario di «Newsweek», lo vendette al miliardario Sidney Harman per un dollaro, e Harman, che si prese 40 milioni di dollari di debiti, fuse «Newsweek» con il «Daily Beast» diretto dalla regina delle «direttore» Tina Brown. La fusione è stata un disastro, la sinergia non ha funzionato e nell’ottobre del 2012, la Brown ha annunciato che «Newsweek» non sarebbe più stato stampato, la carta sarebbe scomparsa per risparmiare 40 milioni di dollari l’anno (in realtà alcuni stampatori in giro per il mondo hanno deciso di stampare l’edizione digitale: per questo è probabile che vi sia capitato di trovare il magazine esposto in edicola).

Ma la rinuncia alla carta non ha salvato «Newsweek», che è stato rimesso in vendita e acquistato nell’agosto scorso da IBT Media, una piccola compagnia di digital media: a settembre la Brown s’è dimessa anche dal «Daily Beast» e ha detto di voler lasciare il mondo dell’editoria. Poi la sorpresa: qualche settimana fa, Jim Impoco, attuale direttore di «Newsweek» con un passato al «New York Times», ha annunciato che tra gennaio e febbraio del 2014 «Newsweek» tornerà nella sua versione cartacea. Sessantaquattro pagine e un’attenzione più agli abbonati che alla pubblicità sono gli elementi base di quest’ultima scommessa, che punta a un giornale di qualità, un «magazine boutique», come lo ha definito Impoco. E si ritorna alla qualità, la cui scomparsa, secondo il documentario della Pbs, è la grande ragione dell’impoverimento di tutto il settore. Il dibattito non è destinato a fermarsi qui, ché la qualità costa e sono proprio i soldi a mancare, drammaticamente, ma vale la pena di essere ottimisti se si guarda l’intraprendenza di Jim VandHei, ideatore e fondatore di «Politico» nel 2007, un giornale digitale ma anche di carta, che ha innovato non soltanto il modo di raccontare la politica, ma soprattutto il modo di fare i giornali (ora si è buttato sugli approfondimenti, con un magazine). Dopo aver rivoluzionato Washington, VandHei ora punta nientemeno che a New York. Intervistato dalla rivista settimanale di economia «Bloomberg Businessweek», VandHei ha detto che New York oggi sembra molto la Washington del 2006, «sembra satura, sembra che non ci possano essere nuove aperture, ma non è vero. Se si guarda Manhattan, Albany, i media, la finanza, penso che ci siano grandi storie di questa città che non sono state raccontate e che potrebbero esserlo in un modo esponenzialmente migliore». A settembre, Allbritton Communications, la società che possiede «Politico», ha acquistato «Capital New York», un sito di news con base a Manhattan, con un traffico limitato, che a inizio dicembre è stato riconfigurato come un news outlet: nuovi giornalisti, nuova grafica, un po’ di «spirito di Politico» nell’aria. Ora «Capital New York» vuole parlare molto di politica e di potere, concentrandosi anche su Wall Street, che serve a tutti. Se l’esperimento funziona, «la colonizzazione di Politico» arriverà in altre città. E non si parlerà di carta o digitale o di presenza in edicola, o di periodizzazione. Si parlerà soltanto di quanto sono bravi, questi di «Politico»: è la qualità, bellezza, in tutte le sue forme. Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 7 gennaio 2014 • N. 02

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Politica e Economia

La lezione di Edward Snowden La consulenza della Banca Migros

Daniel Lang

Reazione tardiva alla crisi dell’euro

Quali sono i maggiori rischi per l’economia e i mercati nel 2014?

50%

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Fallimento Lehman Brothers

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Le crisi più pericolose sono quelle inaspettate Persino dopo il fallimento della Lehman Brothers, nell’autunno 2008, c’è voluto

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siamo accorti prima. Ma proprio qui sta la difficoltà: se tutti mettono in guardia contro una minaccia, possiamo armarci prima per combatterla. E così diventa meno pericolosa. Viceversa un incidente è particolarmente insidioso se arriva inaspettato. Come Edward Snowden all’NSA. Con le crisi succede un po’ come con i cani. Se abbaiano, non mordono. In questa ottica vi auguro un 2014 non mordace.

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un anno prima che le banche e i politici europei riconoscessero il pericolo della crisi del debito per la zona euro. Solo verso la fine del 2009 i premi di rischio sui titoli di stato della Grecia hanno cominciato timidamente a salire, per poi esplodere all’improvviso (v. grafico). Col senno di poi è lampante come si è innescata la crisi immobiliare e dell’euro. In entrambi i casi sembrava già programmata. Ancora di più dobbiamo quindi chiederci perché non ce ne

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schi del mercato immobiliare statunitense? E chi un anno dopo aveva previsto la crisi dell’euro?

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I mercati finanziari hanno ignorato a lungo la crisi dell’euro, come dimostra l’andamento dei tassi dei titoli di stato ellenici. Solo a fine 2009, oltre un anno dopo il fallimento della Lehman Brothers, la modificata percezione del rischio ha prodotto un rialzo dei tassi.

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A fine anno il rituale è sempre lo stesso: con dovizia di parole gli autori di pronostici e gli esperti dispensano spiegazioni sulle più gravi minacce che, a dir loro, ci attendono nel nuovo anno. E un anno più tardi, con altrettanta dovizia di parole, ci raccontano perché non è ancora avvenuto ciò che temevano. Da parte mia rinuncio a presentarvi una simile hit parade di pericoli per un motivo molto semplice: i veri rischi non sono quelli annunciati a gran voce dagli esperti. Rimangono invece a covare praticamente inosservati fino a quando scoppiano all’improvviso. Un esempio eloquente ci è giunto dall’agenzia per la sicurezza americana NSA: la competenza prioritaria di un servizio segreto consiste, com’è noto, nello scovare tempestivamente i possibili rischi e pericoli. Persino il cellulare di Angela Merkel era stato intercettato per questo. Ma la minaccia di gran lunga peggiore fermentava del tutto inosservata nella stessa NSA, nella persona di un insignificante amministratore di sistema di trent’anni. La crisi provocata da Edward Snowden ha colto del tutto di sorpresa il potente servizio segreto. Ma l’NSA non è certo l’unica a sbagliare l’analisi dei rischi. Soprattutto nel mondo dell’economia e della finanza è tutto un brulicare di previsioni sbagliate: per esempio, chi all’inizio del 2007 aveva messo in guardia contro i ri-

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 7 gennaio 2014 • N. 02

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Politica e Economia Annuncio pubblicitario

Una firma a capo chino Contenzioso fiscale L’adesione delle banche

svizzere al programma americano avrà conseguenze non ancora valutabili; in compenso non ci saranno procedure penali Ignazio Bonoli Con la decisione di tutte le banche cantonali (compresa quella del canton Ticino), la stragrande maggioranza delle banche elvetiche ha deciso di aderire al piano americano di risanamento delle situazioni create in passato dall’accettazione di capitali di cittadini americani non dichiarati al fisco. Il piano non si applica alle grandi banche svizzere e agli istituti che sono già oggetto di indagine da parte del fisco americano. Sia il Consiglio federale che la FINMA hanno esortato le banche a partecipare a questo programma, nonostante i rischi e i costi che potrebbe provocare. Entro il 9 dicembre, data per la quale la FINMA aveva chiesto alle banche di annunciarle le loro intenzioni, le reticenze erano ancora molte, ma entro la fine del 2013, scadenza voluta dagli americani, la questione si è in gran parte risolta. Infatti, salvo qualche eccezione per le banche che possono dimostrare di non aver avuto in passato clientela americana, la maggior parte delle banche ha scelto la categoria 2 o 3 del programma in quattro punti presentato dal fisco americano. Il vantaggio essenziale di questo programma è quello di evitare procedure penali per le banche, e anche per i gestori privati di fondi che hanno ospitato clienti americani i cui capitali sono stati nascosti al fisco. La contropartita consiste comunque in multe salate che possono variare tra il 20% e il 50% dei capitali non dichiarati e che saranno poste direttamente a carico dell’istituto finanziario. Del gruppo 1 del programma americano fanno parte le banche nei cui confronti sono già in corso indagini, tra cui il Credit Suisse, la banca Julius Baer, le Banche cantonali di Zurigo e Basilea e altri istituti minori, ma anche importanti filiali di banche estere in Svizzera, come la britannica HSDC. La maggior parte delle banche ha scelto il gruppo 2, riservato a quelle banche che pensano di aver violato in passato le leggi fiscali americane e non sono in grado di dimostrare il contrario. La maggior parte delle banche cantonali – ad eccezione delle due citate – hanno aderito a questo gruppo. La Banca dello Stato del canton Ticino lo ha fatto soltanto il 20 dicembre, giorno in cui si è riunito il Consiglio d’amministrazione, motivando la decisione come una «scelta prudenziale». Secondo le prime stime della banca, l’operazione potrebbe costare dai 5,4 agli 8 milioni di franchi. Questo perché BancaStato non può escludere che alcuni suoi clienti abbiano violato le leggi

tributarie americane. Comunque i depositi di clienti con domicilio negli Stati Uniti non sono mai stati un obiettivo della sua espansione, per cui può valutare attualmente le conseguenze dell’operazione riferibili a una cinquantina di conti «americani». Per contro, la Axton Swiss Bank SA, di cui BancaStato ha recentemente completato l’acquisizione del 100% del capitale azionario, ha deciso di non annunciarsi al programma americano. Tra le banche cantonali, 15 istituti si sono iscritti nel gruppo 2 e 6 nel gruppo 4, riservato alle piccole banche che operano soltanto sul piano locale. C’è invece ancora attesa per un’eventuale adesione al gruppo 3, destinato a quelle banche che possono garantire di non aver violato le leggi fiscali americane, non avendo gestito conti di cittadini statunitensi. Queste banche (e anche quelle del gruppo 4) hanno comunque tempo fino al luglio 2014 per chiarire le loro posizioni e aderire eventualmente al gruppo 2 entro il 31 ottobre. Le reticenze che molte banche svizzere o operanti in Svizzera hanno mostrato nell’aderire al programma americano sono un chiaro sintomo delle difficoltà alle quali le banche, ma anche tutte quelle attività a loro collaterali, sono esposte. È già difficile accettare un sistema che è molto distante da quello svizzero, basato sulla protezione della sfera privata, ma ancora più difficile risulta accettare l’applicazione del diritto di uno Stato estero e per di più con effetto retroattivo, cioè applicando principi e metodi che in passato non erano conosciuti e tanto meno applicati. Eppure sia con questo programma, sia con la sottoscrizione del FATCA, la Svizzera si è messa (o ha dovuto mettersi), come del resto anche molti altri Stati, nelle mani delle autorità fiscali americane. La contropartita è quella di vedersi garantita, per quanto concerne il passato e in deroga alla possibilità tutta americana di applicare a piacimento il principio della retroattività, l’esclusione di eventuali procedimenti penali o addirittura enormi difficoltà di partecipare al mercato finanziario americano, che è tuttora il più importante al mondo. La strategia svizzera del «denaro pulito» non è più in sostanza una decisione autonoma e ben delineata, ma è frutto di enormi pressioni, dipendenti più dalla forza del contendente che non del diritto nazionale o internazionale. Una svolta pericolosa nei rapporti internazionali che potrebbe far scuola in altre situazioni, con grossi rischi per la piazza finanziaria elvetica.

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Politica e Economia Rubriche

Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi 1914, 1964, 2014: la storia si ripete


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 7 gennaio 2014 • N. 02

Cultura e Spettacoli Un premio per i giovani La giovane arte e il viaggio al centro dell’attenzione a Chiasso grazie a un premio pagina 19

L’eredità di Peter O’Toole Un ricordo del grande attore scomparso lo scorso dicembre, celebre in tutto il mondo dopo la sua indimenticabile interpretazione di Lawrence d’Arabia pagina 20

Verso la dissoluzione delle regole Mostre Thomas Schütte alla Fondation

Beyeler di Basilea

Gianluigi Bellei Il vivere sociale e comunitario è basato su alcune norme e regole che ordinano le relazioni fra gli uomini. Le regole possono essere magari diverse per cultura, religione, credo politico, ma in ogni caso il loro rispetto fa sì che venga favorito lo sviluppo del senso di appartenenza che ne sancisce l’inclusione o meno nel gruppo. I cristiani hanno le loro, i musulmani anche, i criminali pure. A volte queste si intrecciano: sui comodini nei bunker dei mafiosi latitanti c’è spesso, per esempio, una Bibbia e un’immagine della Madonna. Altre volte si scontrano fra loro e altre ancora vengono violate. Attenzione però, il malato mentale, colui cioè che forse più di ogni altro destruttura le regole della società, è comunque costretto suo malgrado ad accettare quelle imposte negli ospedali psichiatrici. Agli artisti, al contrario, a volte è dato di infrangerle e di essere tollerati. Però mai completamente. Avere un comportamento bizzarro seduce i paludati borghesi che vedono in loro quello che non possono essere e così sognano; entro certi limiti in ogni caso. Se un artista manda al diavolo in malo modo chi gli sta organizzando una mostra verrà trattato alla stregua di una cassiera che insulta il suo direttore; cioè licenziato. Gli artisti possono essere degli assassini, come per esempio Caravaggio, degli stupratori, come Agostino Tassi, dei pazzi, come Franz Xaver Messerschmidt, ed essere contemporaneamente degli innovatori nel loro lavoro o semplicemente solo per quel che riguarda l’aspetto estetico. Lo scultore Thomas Schütte cerca di scardinare le regole: appena appena, ma lo fa. Innanzitutto attraverso un ritorno alla manualità dopo la sbornia di Minimalismo e Concettualismo. Nulla

di rivoluzionario, intendiamoci, l’arte come la vita è ciclica, e quando il mercato è saturo di sassolini al centro delle stanze o di performance, si rivolge ad altro: o verso i Paesi emergenti o verso una nuova figuratività. Se ci si sofferma sulle esposizioni dei grandi collezionisti ci si accorge infatti che generalmente acquistano opere figurative. Dopo il boom economico del secondo dopoguerra l’artista diventa consapevole dei propri limiti e negli anni Ottanta incontra la disillusione seguita al benessere economico. Riscopre il mercato e pensa che il marketing sia importante «tanto quanto la bellezza». Nasce così la «Nuova scultura» che ha come protagonisti, tra gli altri, Jeff Koons e Thomas Schütte. Il lavoro di quest’ultimo segue due direttive: da una parte la sperimentazione e l’ibridazione nei confronti di materiali nuovi e dall’altra la perdita dello stile pur mantenendo una personale riconoscibilità formale. Sì, perché fino ad oggi si pensava che la caratteristica legata alla riconoscibilità di un artista facesse parte del valore intrinseco dell’opera che di conseguenza doveva avere una propria coerenza. Un po’ come con le persone: le riconosciamo, anche se invecchiano. Picasso ben prima però ha sparigliato i giochi: se facciamo vedere a un profano tre suoi diversi dipinti relativi ad altrettanti periodi, difficilmente l’osservatore penserà che si tratti della stessa mano. In questo senso Thomas Schütte compie un piccolo prodigio, realizza cioè delle sculture stilisticamente differenti ma sempre riconoscibili come sue. La Fondation Beyeler di Basilea gli dedica un’ampia retrospettiva realizzata in collaborazione con l’artista stesso e comprendente i lavori degli ultimi trent’anni incentrati sulla figura umana che seguono quelli degli anni Ottanta di ca-

Thomas Schütte, United Enemies (dettaglio), bronzo patinato, © ProLitteris Zurigo. (Nic Tenwiggenhorn)

rattere non figurativo i quali, per lo più, rappresentavano elementi architettonici e ingegneristici. Schütte nasce a Oldenburg in Germania nel 1954, studia alla Kunstakademie di Düsseldorf, allievo di Gerhard Richter. Partecipa all’ottava e alla nona edizione di Dokumenta a Kassel e nel 2005 vince il Leone d’oro alla Biennale di Venezia. Chi lo conosce sostiene che ama contraddire l’interlocutore anche a costo di smentire sé stesso. I suoi lavori spaziano dall’infinitamente piccolo al gigantesco, dalla pittura alla scultura, dal bronzo alla ceramica, dai polimateri all’acciaio. Le sculture possono essere brutali e violente o dolci e sensuali; dalle forme morbide e tondeggianti a quelle spigolose ed arcaiche. Schütte è uno sperimentatore con dei punti di riferimento, contraddittori come lui, come Aristide Maillol, Henri Matisse, Pablo Picasso e Honoré Daumier. Da questo crogiolo nascono forme inquietanti che assumono l’aspetto del ritratto borghese agiografico o della truculenta deformazione di un mondo tragico ed assurdo. Nelle sculture intitolate Frauen e

realizzate tra il 1998 e il 2006 troviamo il tema della femminilità analizzato nelle sue varie forme e allora la donna può essere accovacciata e dolce e morbida per terminare minacciosa come un drago o languida come una sirena. Nella seconda sala del museo ce ne sono 18 realizzate in bronzo, acciaio, alluminio o ceramica. United Enemies, al contrario, rappresenta dei fratelli siamesi deformati. Legati fra loro e uniti doppiamente anche con una spessa corda, poggiano su tre trampoli. Questi mostri imperscrutabili sembrano dei Capricci del Goya e richiamano le sculture barocche di Messerschmidt. Nella serie Grosse Geister, nell’ultima sala, l’uomo diventa guerriero e la forma si arrotonda, un po’ come nell’omino Michelin, e i seminatori di morte paiono macchiette più che eroi immortali. Al centro del percorso espositivo troviamo gli acquarelli del 1998 dedicati al suo amico, pittore e gallerista, Konrad Fischer al quale era particolarmente legato. Rappresentano dei fiori, leggeri, aerei, sensualissimi e delicati. Blumen für Konrad sono l’omaggio speciale di rose e gigli a un amico spe-

ciale ritratto, al centro della sala, sul letto di morte. Ma è ne Gli innocenti, una serie di scatti fotografici del 1994, che Schütte esprime la sua vena eroico-tragica nella deformazione dei volti e nell’assurdità di una condizione umana patetica, misteriosa, quasi aliena. Forse perché come dice lui «è più semplice rappresentare le cose orribili e brutte di quelle belle» nella disillusione che quelli della sua generazione non sono stati «né abbastanza ingenui per cambiare il mondo, né abbastanza distruttivi per ridurlo a un cumulo di macerie». Catalogo particolare contenente un saggio di Adrian Searle, un’intervista all’artista di Theodora Vischer e la trascrizione di una conversazione fra quest’ultima, Gerard Richter e Thomas Schütte. Dove e quando

Thomas Schütte. Figures. A cura di Theodora Vischer. Fondation Beyeler, Basilea. Fino al 2 febbraio 2014. Catalogo edizioni Walther König, fr. 59. www.fondationbeyeler.ch


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Cultura e Spettacoli

Il giovane viaggio Mostre Chiasso ha celebrato il viaggio in molte sue forme –

anche rivolgendo il proprio sguardo alla giovane scena artistica

Quintetto di rose al profumo di caffè In scena A Verscio un ardito incontro

tra insegnanti e allieve Eliana Bernasconi

Giorgio Thoeni

Si è chiusa, con al suo attivo tre esposizioni al m.a.x. museo e quattro nell’attiguo Spazio Officina, l’attività espositiva 2012-13 del Centro Culturale di Chiasso; tema vastissimo scelto come ispirazione intorno alla quale le esposizioni si sono focalizzate in diverse angolazioni era «Il Viaggio». Alla poliedricità e alla ricchezza di tale programma si è riallacciata la storica Galleria chiassese del Mosaico, nella forma di una produttiva collaborazione fra Nicoletta Ossanna Cavadini e Gianna Macconi Paltenghi che ha organizzato negli accoglienti ambienti dello Spazio Officina e nella sua galleria due mostre parallele promosse dalla Fondazione Gino e Gianna Macconi di Mendrisio e patrocinate dal comune di Chiasso. Se sono tra loro lontane per cronologia, le due esposizioni sono vicine nell’ispirazione: personale la prima, collettiva la seconda.

Non è necessaria una trama per imbastire uno spettacolo. L’idea può nascere dalla voglia di riunire sulla scena cinque personalità artistiche diverse ma con radici comuni, ad esempio nella formazione teatrale. Artisti che si trovano accomunati dal piacere di confrontare le proprie esperienze, fra stili e linguaggi maturati nel corso degli anni. Les cinq roses è una nuova produzione nata dalla comunione di tre docenti delle aule «pedemontane» e ormai considerate «storiche», insieme con due attrici. Le cinque si propongono al pubblico in una sorta di rassegna proprio con questa particolarità, ma anche con la coraggiosa prerogativa di mettersi in gioco. In particolare tre di loro. Fra queste «rose», infatti, tre fan parte dell’organico d’insegnamento alla Scuola di Teatro di Movimento di Verscio. E la prospettiva di esibirsi davanti a un pubblico potenzialmente composto anche da allievi, immaginiamo possa generare qualche lecito timore. È comunque certo che Sara Bocchini (ex-allieva e giovane attrice), Luisa Braga (attrice e docente di pantomima), Nancy Fürst (attrice, cantante e docente di movimento), Silvana Gargiulo (ex-allieva e attrice di consolidata esperienza) e Corinna Vitale (docente di danza e coreografa) sono sulla scena del Teatro Dimitri con uno spettacolo dall’architettura semplice e dagli intenti molto espliciti. Il progetto prende forma dall’idea di un incontro particolare: quello fra

Due mostre celebrano il viaggio di Gino Macconi e l’approccio di giovani artisti al tema del viaggio

Concorsi

Il filo conduttore che le accomuna si declina al Mosaico con Appunti di viaggio, lavori quasi tutti inediti che Gino Macconi da inizio anni ’60 a fine anni ’80 realizzò nei suoi viaggi in Egitto, America, Turchia e altrove; si tratta di schizzi a china e carboncino, disegni a matita, pastelli e acquerelli, deliziose impressioni estemporanee di luoghi lontani fissate anche in piccolissimi commoventi notes che sembrano voler trattenere l’attimo fuggente, fermarlo, come conferma la sorprendente freschezza del gesto sempre sostenuta dalla sapiente e matura impostazione grafica che sottende la tessitura del segno. La seconda esposizione: Premio giovani artisti 2013. Il viaggio: sogno o realtà? è frutto del concorso biennale, alla sua seconda edizione e a partecipazione gratuita, rivolto ai giovani artisti originari o residenti in Ticino e nell’area insubrica, iscritti o diplomati in istituti superiori a indirizzo artistico. Sono 44 opere inedite di 25 giovani cui una qualificata giuria di rappresentanti del mondo della cultura e dell’arte (Antonio D’Avossa, docente di storia dell’arte

091/8217162 Orario per le telefonate: dalle 10.30 fino a esaurimento dei biglietti

L’allestimento della mostra allo Spazio Officina di Chiasso. (Guido Santinelli)

all’Accademia di Brera, Simone Soldini, Direttore del Museo d’arte di Mendrisio, Barbara Paltenghi Malacrida, storica dell’arte) ha assegnato quattro premi in denaro e quattro menzioni. Viviamo tempi in cui le offerte espositive si susseguono creando una saturazione indifferenziata nella percezione della gente, rischiando di produrre confusione nei riguardi di quello che resterà sempre l’autenticità del contenuto artistico - chiunque ormai ha la possibilità di presentarsi al pubblico. Ma proprio per questo si evidenzia la crescente importanza della funzione orientativa e selettiva delle non certo numerose gallerie che rimangono fedeli alla loro originaria funzione: promuovere e diffondere vera arte. E ci si può chiedere se in Ticino siano molte le iniziative che incoraggiano e si occupano dell’arte giovane. È quindi una vera novità e molto attuale il risultato di questo concorso, che nella prossima edizione sarà esteso a tutta la Svizzera. Differenziati i fermenti che si colgono in questa iniziativa, sono voci giovani nella pluralità dei mezzi espressivi e delle tecniche, che con scelte e sentimenti diversi hanno interpretato metaforicamente, ma più spesso realisticamente, il tema, indifferentemente usando l’immortale tela, il disegno, la scultura, la grafica e la fotografia, così come le installazioni e la Videoart. Quella parte di pubblico non ancora avvezzo a queste modalità rappresentative tanto connaturate alle ultime generazioni ha occasione di convincersi che esse nulla tolgono alla grandezza

Minispettacoli Rassegna teatrale per l’infanzia Oratorio san Giovanni, Minusio Do 12 gennaio, ore 15.00-17.00

delle opere cui siamo abituati dal passato, ma semplicemente si affiancano alle stesse per essere ascoltate perché parlano un differente e contemporaneo linguaggio. Lo dimostrano le sorprendenti gioiose installazioni o l’attrattività contenuta nei video presentati. Pensiamo all’opera premiata Disegno, Aspetto, 2011 (animazione flash vettoriale MOV) di Timothy Hofmann, classe 1986: nella quasi estraniante velocissima corsa delle immagini che scorrono riproducendo il movimento del treno, dimostra indubbia capacità nell’uso dello strumento tecnologico; egli riesce a inserire e sovrapporre uno spiazzante segno grafico che pure corre rapidissimo e ci riporta allo scorrere giocoso e antico del segno della matita. Hofmann fonde così due percezioni del movimento estranee e lontane, e le avvicina tra di loro rendendole straordinariamente assimilabili, introducendoci nella leggerezza del suo gioco creativo.

Silvana Gargiulo, napoletana verace, e Corinna Vitale, svizzera verace. Raccontare la propria voglia di far teatro diventa così il collante per tutte e cinque, dove ognuna delle artiste mette in campo la propria personale bravura tra assoli, momenti corali e controscene, lasciando affiorare momenti di leggerezza e simpatica autoironia, come l’ansia per il sopraggiungere della vecchiaia. Uno sviluppo lineare, tra piccole icone di bravura individuale e gradevoli siparietti umoristici. Il tutto per un’ora e un quarto che fila via senza indugi con una scenografia ridotta all’osso: quattro teli e un divano. Il nucleo parlato dello spettacolo è sostenuto da tutte ma soprattutto, chiave di volta per comprendere l’operazione, da brevi istantanee di memoria della Gargiulo incentrate sulla figura di sua madre dove affiorano i ricordi dei saggi consigli, alcune piccole scene di vita quotidiana e delle verità espresse con popolare immediatezza. Su tutto viene evocato… quel buon profumo di caffè che sembra essere stato rapito dalle pagine di Eduardo. Les cinq roses sono la piattaforma di un gioco teatrale dove l’amicizia e la complicità fra le attrici riassumono un’unica figura di donna: un bouquet ideale per queste attrici, tutte brave. In alcuni momenti la performance ci fa persino venir voglia di vederla trasformarsi in un piccolo music-hall… Andrew Lloyd Webber prima o poi dovrebbe vedere all’opera la Fürst. Secondo noi la scrittura subito.

Dove e quando

Premio giovani artisti 2013. Il viaggio: sogno o realtà?, Chiasso, Spazio Officina. Appunti di viaggio, Chiasso, Galleria Mosaico (Via Bossi 32). Entrambe fino al 12 gennaio 2014. In collaborazione con

Le cinque protagoniste dello spettacolo Les Cinq Roses.

Com.x Rassegna della Comicità Teatro Sociale, Bellinzona Domenica 18 gennaio, ore 20.45

ChiassoDanza Rassegna di balletto Cinema teatro, Chiasso Giovedì 13 febbraio, ore 20.30

Agenda dal 7 al 12 gennaio 2014 Eventi sostenuti dalla Cooperativa Migros Ticino

Il sogno del Clown

Mia moglie parla strano

Balletto Imperiale di Bucarest

Musicateatro. Compagnia Michel Poletti. Le avventure di un clown che ha smarrito il suo circo. Per ridere e per sognare. Dai 4 anni.

Di e con Alfredo Colina e Barbara Bertato. Regia di Corrado Accordino. Produzione: La Danzaimmobile.

I grandi virtuosismi dei più celebri e spettacolari pas de deux, con le Star del Balletto rumeno. Direzione Alin Gheorghiu. Musiche di L. Minkus, A. Adam, P.I. Ciaikovskij.

www.minispettacoli.ch

www.teatrosociale.ch

www.chiassocultura.ch

Regolamento Migros Ticino offre ai lettori biglietti gratuiti per le manifestazioni sopra menzionate.

Massimo due biglietti per economia domestica. La partecipazione è riservata a chi non ha beneficiato di vincite in occasione di analoghe promozioni nel corso degli scorsi mesi.

Per aggiudicarsi i biglietti basta telefonare mercoledì 8 gennaio al numero sulla sinistra nell’orario indicato. Buona fortuna!

Biglietti in palio per gli eventi sostenuti dal Percento culturale di Migros Ticino

Minispettacoli Il sogno del clown Domenica 12, ore 17.00 Oratorio San Giovanni, Minusio Mostra Serge Brignoni (1903-2002) artista e collezionista Fino al 19 gennaio 2014 m.a.x. Museo, Chiasso Mostra Un mondo in trasformazione Fino al 12 gennaio 2014 Pinacoteca Züst, Rancate Per saperne di più su programmi, attività e concorsi del Percento Culturale Migros consultate anche percentoculturale.ch e Facebook


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Cultura e Spettacoli

Il meglio e il peggio del 2013 discografico Musica La rivelazione del rapper belga Stromae

e la deteriore conferma di Giovanni Allevi

Zeno Gabaglio Il peggiore – Giovanni Allevi, «Christmas For You»

Una gratuita e sadica mitragliata sulla croce rossa, così può apparire il fatto di incoronare Giovanni Allevi come il re del peggio discografico 2013: perché al peggio in realtà non ci sarebbe mai fine e perché già in troppi hanno imputato al pianista-compositore-direttore ascolano le più turpi colpe del declino socioculturale contemporaneo. Il recente disco Christmas For You offre però un

Giovanni Allevi questa volta non riesce più a «gabbare» il pubblico, mentre il rapper Stromae sbaraglia tutti punto di vista diverso e forse più oggettivo per storcere il naso ed abbassare il pollice. Se infatti la produzione sin qui licenziata da Allevi si è basata su materiale originale – cioè da lui composto e da lui

eseguito, al riparo quindi dai confronti con l’esterno e dalla doverosa fedeltà dell’interprete – con Christmas For You si è invece compiuto il decisivo passo sull’infido territorio del repertorio comune. Come compositore Allevi non si era mai distinto per particolare originalità o qualità, e la sua auto-celebrazione quale novello Mozart della musica classica contemporanea è subito sembrata uno smargiasso insulto al buonsenso di chi la musica la conosce e la ama: però nella particolare combinazione spaziotemporale in cui la sua opera è andata a collocarsi, essa ha dimostrato (anche grazie alla prodigiosa abilità di certe agenzie di marketing) di avere delle ragioni d’esistere. Giovanni Allevi pianista al servizio di melodie altrui, purtroppo, di ragioni d’esistere non ne ha nessuna. E a certificarlo sono gli arcinoti temi natalizi contenuti nel disco Christmas For You, che esibisce in tutta nudità un pianista mediocre, dal tocco assai poco raffinato, dall’approfondimento melodico elementare, dallo sviluppo armonico inconsistente, dalla precisione ritmica basculante, dall’inesistente consapevolezza artistica di sé stesso.

Il migliore – Stromae, «Racine Carrée»

Rap? Elettronica? Canzone? Hanno ancora senso queste categorie musicali – a volte addirittura recepite come categorie dello spirito – a quasi tre lustri di distanza dal millennio che le ha generate? La risposta potrebbe, ormai dovrebbe, essere «no». Anche se per sostenerla servirebbero delle convincenti pezze di appoggio, ci vorrebbero delle opere che mostrino una strada praticabile al di fuori dei recinti culturali che noi stessi ci siamo costruiti. E una simile «mappa per la fuga dallo stereotipo» è senz’altro il disco Racine Carrée pubblicato lo scorso anno da Stromae. Musicista di madre belga e di padre ruandese, Stromae – non ancora trentenne – ha un background decisamente eterogeneo: avviamento alla musica scritta e alle percussioni, esperienze di hip hop, studi di tecnico del suono, attività nell’ambito della produzione elettronica. La giusta combinazione per arrivare ad un risultato intermedio rispetto a tutto, un linguaggio meticcio che in una pur breve carriera si è fatto precisissima scelta espressiva. Strofe quasi tutte rappate ma anche melodie che non sono solo abbel-

Il musicista belga (di padre ruandese) Stromae.

limenti per ritornelli: pura canzone che cavalca i più acidi suoni dell’elettronica analogica o i campionamenti più inaspettati. E da questo mix di attualità emerge anche una convincente intelligenza colta (con la sorprendente assimilazione del passato in Carmen, dove

gli archi distorti introducono il tema di Bizet applicato alla critica dei social media) e commovente epica contemporanea, con il trascinante singolo Formidable che ha anche contagiato la rete francofona sulle ali di un videoclip dall’alta viralità.

Quel che resta di O’Toole Personaggi Il prezioso lascito umano e artistico di Peter O’Toole, attore e personaggio complesso e multiforme,

recentemente scomparso a Londra all’età di 81 anni Benedicta Froelich Chissà se, nel lontano 1961 – quando si imbarcò nella titanica impresa che lo avrebbe costretto a un anno e mezzo di assidue e sfiancanti riprese tra il deserto giordano e la Spagna – l’esordiente Peter O’Toole immaginava che, al momento della sua morte, pubblico e giornalisti lo avrebbero ricordato soprattutto come «Lawrence», in omaggio proprio a quel film che tanta fatica e sacrifici gli era costato: l’indimenticabile Lawrence d’Arabia di David Lean, uno dei rari «kolossal con l’anima» del cinema moderno. Certo il giovane e affascinante attore anglo-irlandese doveva aver intuito il peso e lo spessore di quel suo primo ruolo cinematografico da protagonista, soffiato a nomi quali Marlon Brando e Albert Finney – in effetti, il ruolo di una vita, nel quale O’Toole seppe calarsi con tale perfezione da sovrapporre per l’eternità il proprio volto a quello dello sfuggente T.E. Lawrence, il geniale comandante britannico della Prima Guerra Mondiale assurto allo status di vera e propria figura «mitica» del XX secolo. Incarnare un personaggio tanto enigmatico e complesso non era certo facile, ma O’Toole ci riuscì grazie a una dedizione e professionalità estreme, che lo videro studiare minuziosamente le fotografie e i filmati di Lawrence e prestare un’attenzione mania-

cale alla mimica e gestualità del suo personaggio. Una professionalità che costituisce ulteriore dimostrazione di come Peter O’Toole appartenesse inequivocabilmente a una generazione e a un’epoca irripetibili nello scenario del cinema inglese, e non solo: finissimo attore teatrale shakespeariano e uomo di cultura (al punto da poter affermare con legittimo orgoglio di conoscere a memoria tutti i sonetti del Bardo di Stratford), si sarebbe perfino imbarcato nell’impresa di

scrivere la propria autobiografia – producendo, tra il ’92 e il ’96, due tomi di grande respiro narrativo, lontani anni luce dagli smilzi libercoli che innumerevoli attori odierni fanno firmare da invisibili ghostwriter. Loitering with Intent rappresenta infatti una matura opera di storytelling che, contro ogni previsione, sceglie di concentrarsi sulla parte meno nota della vita del suo autore: l’infanzia e gli anni di apprendistato teatrale presso la Royal Academy of Dramatic Art di Londra e nella storica

Peter O’Toole nel ruolo che lo ha reso celebre, Lawrence d’Arabia. (Keystone)

compagnia dell’Old Vic. Inizi illustri per un attore che, dopo la fortunata esperienza di Lawrence d’Arabia, riuscì a inanellare un’impressionante quanto variegata serie di personaggi, sfuggendo all’incasellamento in qualsivoglia tipologia narrativa: tra le sue oltre ottanta apparizioni cinematografiche vi sono capolavori del cinema storico come Becket e il Suo Re (1964) – dove il suo eccitabile e fatuo Enrico II divideva la scena con il vescovo Richard Burton – e Il Leone in Inverno, in cui il medesimo ruolo lo trovava accanto a una straordinaria Katharine Hepburn; ma anche commedie surreali quali Ciao Pussycat (dove vestiva i panni di un impenitente playboy in cura presso il delirante psicoanalista Peter Sellers), o drammi dal respiro rivoluzionario come La Classe Dirigente (1972), all’epoca fortemente criticato dai media britannici per il suo spietato ritratto di un lord inglese che si scopre maniaco omicida. Certo, quella di Peter O’Toole è stata una vita tormentata, segnata dagli eccessi alcolici e dalla malattia (negli anni ’70 un cancro lo obbligò all’asportazione del pancreas e di gran parte dello stomaco). Eppure, la sua roboante gioia di vivere ed energia non sono mai venute meno: in barba al fatto che i segni dell’età non erano propriamente clementi, Peter ha continuato a recitare finché le forze lo hanno sostenuto (il suo ultimo

film è Katherine of Alexandria, un altro kolossal storico, la cui uscita è prevista per il 2014). Così, l’impressione generale è che l’attore sia riuscito a compiere ciò che a ben pochi riesce: vivere la propria vita e carriera esattamente come le desiderava, con tutte le gioie e dolori, capitomboli e imprevisti che lui stesso e la sorte avevano voluto causare, e con quell’irresponsabile spavalderia tipica di chi non si è mai pentito delle proprie scelte. Non a caso, quando, nel 2012, ha annunciato il suo ritiro dalla scena, Peter O’Toole ha detto di aver preso questa decisione senza alcun rimpianto, e «con gli occhi asciutti». Così, poco importa se O’Toole non ha mai vinto quell’Oscar in cui per tanti anni (e ben otto nomination) aveva sperato: la sua personalità coraggiosamente fuori dagli schemi poco si adattava alle banali regole dello show business, e il premio alla carriera vinto nel 2003 è stato il meglio che l’Academy potesse concedergli. Ma di tutto ciò non poteva importare poi molto a chi, come lo stesso O’Toole disse di sé, «sperava in una lunga, bella vita», e riteneva di averla ottenuta grazie al mestiere di attore. Forse proprio in questo – nell’insaziabile sete di vita e di nuove esperienze – stava la sua vera forza d’animo: quella capacità di rialzarsi da terra sempre con il sorriso sulle labbra, che lo ha reso per molti una figura indimenticabile. Annuncio pubblicitario

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Cultura e Spettacoli Rubriche

In fin della fiera di Bruno Gambarotta Caro Bruno, ti scrivo… Com’era fin troppo facile prevedere, la lettera di Ornella e soprattutto la mia brillante risposta, hanno suscitato uno tsunami di interesse da parte delle lettrici di questa rubrica. Tal che mi sento incoraggiato a proporre una seconda lettera scritta da una ragazza che si firma Mercedes. Caro Bruno, per favore spiegami, aiutami a capire: che cosa c’è di male nel cercare di migliorare le persone che ci stanno accanto e che ci sono care? Ti vuole più bene chi ti costringe a rientrare in camera per toglierti i calzini quando indossi i sandali o chi ti lascia andare in giro conciato come un gitante che ha perso il pullman per Montecarlo? Coloro che non intervengono si giustificano affermando che intendono rispettare la libertà del partner, che non vogliono prevaricare pretendendo che si adegui ai nostri gusti. La verità è che non vogliono grane, hanno paura di irritare il partner e spingerlo a mollarli per manifesta inferiorità culturale. Così vanno in giro con uno magari pieno di soldi ma

vergognandosi ogni volta che apre bocca: «Io se avrei la piscina non andavo al mare». I miei fidanzati, dopo uno stage più o meno lungo, mi hanno sempre lasciato, ma sono partiti verso altri lidi molto migliorati rispetto a quando li avevo presi in carico io. Gli uomini li vedo così: è come se ciascuno di loro fosse un brutto quadro, appeso alle pareti di qualche ristorante. Io, quando inizio una storia, è come se idealmente staccassi quel brutto quadro dalla parete per restaurarlo e farlo diventare degno di essere appeso, non dico in un museo, ma almeno in una galleria d’arte apprezzata dai collezionisti. Il mio metodo è semplice e lineare; dopo aver agganciato il nuovo fidanzato, lascio trascorrere un periodo che definirei di ambientamento, anche per esaurire in fretta il repertorio delle smancerie caratteristiche dello stato nascente dell’amore che fanno parte ahimè del nostro codice genetico. Subito dopo inizia la cura disintossicante. Dalla sua auto spariscono da un giorno all’altro le chiavette e i com-

pact con la techno music. So di rischiare molto ma non mi tiro indietro. Una volta ero in auto con un fidanzato a cui piaceva correre; a un certo punto ha schiacciato il tasto play del lettore CD sicuro che dentro ci fosse una di quelle musiche orrende da discoteca, con le percussioni martellanti in primo piano che vanno avanti per ore sempre uguali; lui ha iniziato a oscillare con la testa avanti e indietro prima ancora che iniziasse la musica e quando invece i dodici diffusori (quattro sotto i sedili) hanno iniziato a trasmettere un celestiale canto gregoriano si è spaventato a tal punto che siamo andati fuori strada. Nel fosso c’era l’erba alta e avevo indossato la cintura, così per fortuna non mi sono fatta niente. All’auto non è andata altrettanto bene, ma tanto prima o poi sarebbe stata da cambiare. Prima ancora che della musica mi occupo dei pupazzi di peluche che oscillano al centro del lunotto posteriore dell’auto: via tutti, senza pietà! Una volta alle tre di notte mi ha telefonato la mamma del fidanzato di

turno; era disperata, suo figlio piangeva da ore nella sua cameretta perché non poteva fare a meno dei suoi pupazzi. Ho dovuto rivestirmi, andarli a recuperare e riportarglieli, per fortuna non era ancora transitato il camion della nettezza urbana. Credimi, caro Bruno, il mio è un lavoraccio! Non è sufficiente portarli a godere la bellezza nei concerti, negli spettacoli e nei film giusti. Anche se mi seguono senza protestare, fanno poi resistenza passiva, si distraggono, si rannicchiano sulla poltrona e mentre con il corpo sono presenti con la mente volano altrove. Uno ha avuto il coraggio di dirmi che chiudeva gli occhi per assaporare meglio la musica e invece dormiva. Nelle prime fasi riesco anche a farmi invitare nei ristoranti giusti, quelli con i tavoli esagonali, le tovaglie di lino di Fiandra, il candeliere, sei bicchieri e dodici posate, tre palline da cinque grammi di pane che devono durare tutto il pasto. I miei spasimanti fingono di apprezzare le portate che si susseguono, raffinate cosine al centro di piatti enormi decorati

con un filo di salsa. Ogni volta che tento l’esperimento devo cambiare locale per la vergogna. Un fidanzato ha fatto razzia di panini dai tavoli vicini; un altro, infastidito per la penombra, ha chiesto più luce e, non ottenendola, è andato a prendere dalla sua auto una potente pila, l’ha accesa e ha preteso che il cameriere la tenesse puntata sul suo piatto mentre lui mangiava. Al termine di queste cene raffinate hanno tutti fretta di riaccompagnarmi a casa. Una volta ho fatto finta di rientrare e ho pedinato il cavaliere con la mia auto; non ci crederai, è andato in rosticceria a rimpinzarsi di supplì, di calzoni ripieni e di patate cotte nel grasso che cola dai polli allo spiedo. Caro Bruno, aiutami, dammi qualche consiglio per fare in modo che i fidanzati non mi mollino più. Tua Mercedes. Questa la mia risposta: Cara Mercedes, l’unico aiuto che mi sento di darti è l’invito a fare con me il giro delle rosticcerie. Non immagini quanto sono buone le patate cotte nel grasso dei polli allo spiedo. Tuo Bruno.

noi lo costruiamo, gli diamo regole, lo «fingiamo» nel senso di Leopardi che nel pensier si «finge» spazi oltre la siepe, «e sovrumani / Silenzi, e profondissima quiete», / …ove per poco / Il cor non si spaura». Immanuel Kant, preso dall’inarrestabile desiderio di ridurre a scienza ogni forma di rapporto con la realtà, per chiudere una volta per tutte gli scrupoli di Descartes e del suo genio maligno, definì inconoscibile, solo ipotizzabile, ciò che è, noi avremmo dovuto accontentarci di ciò che appare ai nostri sensi (i fenomeni), e che sì, si può inquadrare dentro precisi schemi: lo spazio e il tempo, le categorie. Per tutto ciò che non è nello spazio, nel tempo ecc., niente scienza, quindi nessuna certezza. Non ci tratteniamo ora sulle contraddizioni del filosofo prussiano che poi fu costretto a far derivare l’etica da ipotesi di buon senso e l’estetica da un non meglio definito «gioco delle facoltà conoscitive». Guardiamo piuttosto alla filosofia oggi,

dopo due secoli abbondanti di autosospensione e di masochismo dialettico. Sembra aver detto, la filosofia: scusate, signore Scienze, abbiate compassione, per molto tempo vi ho rubato la scena, ora tocca a voi, io balbetterò qualche vostra imitazione purché non mi eliminiate definitivamente. Così abbiamo imparato che è il soggetto che costruisce e interpreta la stessa realtà in cui vive (crede di vivere?); che noi siamo solo parte di una narrazione che si narra; che solo pochi eletti, che fanno scienza, possono pretendere verità e certezze, noi siamo tutti sempre figli della opinabilità. Quanto di più distante dall’esperienza quotidiana. Provate a fermare col pensiero un treno che vi parte sotto il naso. Stavamo guardando un neonato, il suo delirio di onnipotenza e la sua presa di coscienza dei primi limiti. Seguiamolo, scolaretto, che pensa di aver fatto per bene le addizioni, e invece le ha sbagliate, e son dolori. Che si impegna con tutte le

forze nella pallacanestro, ma non lo prendono nella squadra della scuola, non è portato. Che, oh terribile esperienza, si innamora di una ragazzina dai capelli rossi, forse scema, ma per lui unico motivo di vita. E lei non se ne accorge. Non è che lo tratti male, non se ne accorge. Dobbiamo continuare? Quella volta che sì, passo col rosso, non arriva nessuno, e poi. Sì, partecipo al concorso, mi hanno detto che non ci sono problemi. E poi. Perché la realtà è molto più ricca di sorprese di qualsiasi mondo possibile che ci possiamo costruire. E non tutte brutte le sorprese. Però bisogna saperle vedere e accettare. Realismo positivo, libello di Maurizio Ferraris per la Fondazione Eranos di Ascona-Moscia, è un ottimo manuale per giovani marmotte che vogliono esplorare il bello e il brutto della realtà, lasciandosi alle spalle le farneticazioni di Archimede Pitagorico e le speranze di onnipotenza di Paperon de’ Paperoni.

tennista Rafael Nadal, 4. il campione del mondo di motociclismo Marc Marquez, 5. Sebastian Vettel, pilota di F1, 5. il primo ministro norvegese Erna Solberg, 6. il fisico premio Nobel Peter Ware Higgs eccetera. Non chiedete che cosa c’entra un premier con un corridore, perché la risposta più ovvia è: niente. Le cinque Vicende di Terrore del 2013: 1. la carneficina del 21 agosto a Damasco, 2. la rivolta contro il regime turco al parco Gezi, 3. l’assalto a Palazzo della Legislatura di Rio de Janeiro, 4. il colpo di Stato egiziano contro i Fratelli musulmani… Altro elenco. Le cento cose «strane ma vere» del 2013 secondo la Bbc: 1. le scimmie evitano di avvicinarsi alle persone cattive, 2. i piloti di droni soffrono di disturbi da stress come quelli da combattimento, 3. i lavoratori di Amazon sono tra i più schiavizzati del mondo, 4. se sei un uomo che si agita per niente, per rilassarti devi essere sotto pressione, 5. la tartaruga embricata può conservare lo sperma per 75 giorni, 6. è il mercoledì

alle 15.30 il momento della settimana in cui la donna appare più vecchia nell’arco dei sette giorni, 7. al 2 per cento degli europei le ascelle non puzzano, 8. le dita si raggrinziscono in acqua per migliorare la presa degli oggetti quando si è a mollo, 9. le bevande calde cambiano gusto a seconda del colore della tazza che le contiene, 10. Mc Donald’s non serve clienti a cavallo… E lo sport. Le dieci partite di basket più emozionanti dell’anno secondo la «Gazzetta dello Sport». Le dieci partite di calcio più belle secondo Eurosport. Le dieci partite più pazze secondo Calcionews24. Le dieci partite più importanti secondo LeNius.it. Le dieci «cose migliori dell’anno zebrato» secondo tuttojuve.com. I dieci match di tennis più belli secondo ubitennis.com. E ancora. Le dieci serie televisive più scaricate (illegalmente) secondo il sito Torrentfreak: 1. Game of Thrones, 2. Breaking Bad, 3. The Walking. Non vi basta? Eccovi le sette vacanze più «in-

credibili», secondo Media Financial Credit: 1. sul superyacht Pegaso, il cui prezzo di noleggio parte da 530 mila euro, 2. nello Chalet N a Oberlech, sulle Alpi austriache, dotato di una piscina che cambia colore, 3. a Laucala Island, sei miglia al largo delle Fiji: sette notti per soli 1.3 milioni di euro, eccetera. Insomma, di tutto un po’. La vertigine della lista ha invaso le nostre giornate, per illuderci di dare un ordine al caos quotidiano. Del resto, il gusto della classifica vien classificando, come la fame vien mangiando. A proposito, a Palermo hanno fatto una lista delle arancine più buone della città. Per le prossime vacanze si può volare in Sicilia e consultare il sito cronachedigusto.it per conoscere le rosticcerie e friggitorie migliori del capoluogo. Se seguite il consiglio, non dimenticate, al ritorno, di proporre la classifica dei gastroprotettori più efficaci del 2014. Potrebbe entrare nella lista delle liste più belle del 2014.

Postille filosofiche di Maria Bettetini La dura e bella realtà Con la decadenza dei costumi arrivano un po’ più tardi, i neonati, ad accorgersi di non essere, ahimè, creatori e imperatori del loro regno. Infatti ora usa allattare a richiesta, prendere in braccio a richiesta, far dormire nel lettone a breve cenno di pianto sconsolato. Ma prima o poi capiterà anche a loro, oh se capiterà. Non occorre attendere l’arrivo traumatico di un fratellino, il rivale. Basta accorgersi di quanto è difficile uscire dal lettuccio, maledette sbarre. E che sgarbo, vedersi rifiutare la terza porzione di budino, o non riuscire a trattenere un adulto che se ne deve proprio andare, fine delle coccole, il capoufficio chiama. E che battaglie, dover rendere al coetaneo il suo gioco, cosa vuol dire «è suo», «ne hai tanti altri», io volevo quello lì, il Diavolo della Tasmania senza un occhio. Non ci siamo trasformati in una rubrica di puericultura, stiamo semplicemente considerando come l’umano essere si renda conto molto presto di

vivere in un «qui» limitato, con regole esterne che non si è dato da solo, circondato da oggetti ostili. Banale, no? Noi considereremmo un idiota l’amico che ci dicesse «Il treno partirebbe tra un minuto, ma chissà in che mondo possibile, facciamo finta di niente e continuiamo la partita di Subbuteo». E chi non riterrebbe una poco di buono una fanciulla (o un fanciullo, è uguale) disposta ad amare, sì, per ora, non so domani, vedremo come ci costruiremo il futuro, ciascuno per sé. Oppure matto chi sostenesse che nel testo scritto nella storia dal suo medico sarebbe colpito da polmonite, ma nel suo testo personale ritiene invece di avere un affaticamento dei polpacci, quindi tutto passerà con un pediluvio (non fate gesti di sconcerto, si vede che non avete frequentato abbastanza la medicina alternativa). Eppure, eppure signori miei, il Novecento e buona parte dell’Ottocento e qualcuno ancora oggi, la pensano così. Il mondo esiste perché

Voti d’aria di Paolo Di Stefano Elencomaniaci di fine anno La vertigine della lista è il titolo di un affascinante libro di Umberto Eco (5½) sugli elenchi nella letteratura, da Esiodo a Joyce, da Ezechiele a Gadda. Ne emerge (emergeva: il libro è del 2009) il piacere vertiginoso di accostare all’infinito elementi che non hanno tra loro un rapporto specifico. Ma l’enumerazione caotica è una sublime forma letteraria che sembra uscita dalla letteratura ed entrata prepotentemente nelle cronache a cavallo tra fine 2013 e inizio 2014. Ecco un breve elenco degli elenchi. I dieci volti dell’anno riassunti in dieci fotografie dal «Corriere della sera»: 1. papa Francesco e papa Benedetto XVI che si abbracciano a Castel Gandolfo, 2. Mandela, 3. Barack Obama e Vladimir Putin nell’incontro (catastrofico) del G8 nordirlandese di Enniskillen, 4. il neonato di casa Windsor George Alexander Louis, 5. Berlusconi accanto alla sua fidanzata Francesca Pascale, 6. Mohammad, un combattente di tredici anni che ricarica il suo fucile mentre cerca di

sfuggire ai cecchini del regime siriano, 7. Nina De Chiffre, una militante ventenne dei No Tav che bacia sulla visiera un poliziotto durante una protesta, eccetera. Una enumerazione talmente caotica che si potrebbe anche cancellare e rifare ex novo. Per l’«Espresso» il personaggio dell’anno (scorso) è stato un certo Costantino Baratta, il muratore di Lampedusa che la mattina del 3 ottobre è uscito in barca, ha avvistato in mare un gruppo di naufraghi eritrei e ne ha salvati dodici. Ma la lista dei personaggi internazionali è questa: 1. le oppositrici russe Pussy Riot, 2. l’ex informatico della Cia Edward Snowden, 3. la scandalosa cantante americana Miley Cyrus, sempre più nuda e provocante, 4. David Bowie, tornato sulla scena dopo dieci anni con un nuovo album «heideggeriano», 5. Angelina Jolie, che ha optato per la mastectomia preventiva… eccetera. L’elenco dei Vincitori del 2013: 1. Bill De Blasio, il nuovo sindaco di New York, 2. il fulmine giamaicano Usain Bolt, 3. il


DAL 7 AL 20 GENNAIO

PUNTI

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 7 gennaio 2014 • N. 02

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Idee e acquisti per la settimana

shopping Buone, sociali e sostenibili Novità Due tisane biologiche prodotte dall’Orto il Gelso di Melano della Fondazione San Gottardo sono ora

ottenibili nei maggiori supermercati di Migros Ticino

Migros Ticino amplia ulteriormente la sua collaborazione con istituti di accoglienza e integrazione di persone disabili nel mondo del lavoro. Accanto ai già apprezzati prodotti provenienti dalle fondazioni OTAF, La Fonte e Diamante, da qualche settimana sugli scaffali dei supermercati la clientela può trovare due tisane elaborate dalla Fondazione San Gottardo. Questa istituzione, attiva dal 1996, accoglie oggi un centinaio di persone disabili in diverse strutture: due Cen-

tri diurni, due Case con e senza occupazione, una ventina di appartamenti protetti e l’azienda agricola L’Orto il Gelso a Melano. Proprio in quest’ultima struttura che vengono coltivate, essiccate e lavorate le erbe aromatiche officinali utilizzate nel confezionamento delle tisane. I metodi di coltivazione applicati dall’Orto il Gelso beneficiano delle certificazioni Bio Suisse e Demeter. La tisana del Mattino, grazie alla miscela erbe officinali quali menta, ro-

smarino, salvia e fiordaliso, si caratterizza per la sua azione corroborante; mentre la tisana della Sera, a base di melissa, basilico, verbena e monarda, è apprezzata per l’effetto calmante e distensivo prima di coricarsi. Infine, va sottolineato il fatto che anche per le due nuove tisane della Fondazione San Gottardo – come gli altri prodotti provenienti dalle fondazioni ticinesi – Migros Ticino rinuncia all’utile e riversa l’intero ricavato all’ente stesso.

Tisana del mattino 20 bustine Fr. 4.80 Tisana del sera 20 bustine Fr. 4.80 In vendita nelle maggiori filiali di Migros Ticino.

L’Orto il Gelso di Melano della Fondazione San Gottardo.

Dall’America… all’Europa Park

Concorso Feste di compleanno. I piccoli Michele, Lorenzo e Luca Bernaschina ricevono il premio da Raffaella Vaghi, collaboratrice del ristorante Migros di Agno. (Giovanni Barberis)

Concorso American Favorites. Da sinistra: Graziella Rizzi, responsabile Jowa S. Antonino; Carla Tonelli; Marika Grassi; Pino Parisi, gerente Migros S. Antonino e Raffaella Guazzoni. Assente, Maria Garatti. (Vincenzo Cammarata)

Recentemente, presso le iliali S. Antonino e Agno, sono stati premiati i vincitori di due concorsi organizzati durante lo scorso autunno da Migros Ticino. Il primo era incentrato sui prodotti di tendenza della linea «American Favorites», le specialità d’ispirazione americana di panetteria e pasticceria dall’inconfondibile design a stelle e strisce disponibili sotto forma di brownies, cookie, cake, toast, bagel, pancakes, donut, muin, buns e apple pie. Il concorso metteva in palio un buono viaggio unico Hotelplan del valore di Fr. 2000.–, nonché altri premi in carte regalo Migros. All’estrazione, la dea bendata ha favorito quattro fortunati: Marika Grassi di Camignolo (1° premio:

buono viaggio Hotelplan da Fr. 2000.–); Maria Garatti di Giubiasco (2° premio: carta regalo Migros da Fr. 300.–); Raffaella Guazzoni di Tenero (3° premio: carta regalo Migros da Fr. 200.–); Carla Tonelli di Lodrino (4° premio: carta regalo Migros da Fr. 200.–). L’altro concorso è stato invece organizzato dai Ristoranti Migros, nell’ambito delle «Feste di compleanno per bambini». Vincitore del premio unico è stata la famiglia Bernaschina di Pregassona, la quale si è aggiudicata quattro biglietti d’entrata per una giornata all’Europa Park, uno dei parchi divertimento più grandi d’Europa. Congratulazioni a tutti i vincitori!



Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 7 gennaio 2014 • N. 02

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Idee e acquisti per la settimana

Slittare e giocare mette sete: Aproz Kids segue i ragazzi ovunque, anche sulle piste.

Piccole mani, grande sete! Le bottigliette Aproz Kids sono pratiche da portare con sé, così i bimbi possono bere ogniqualvolta hanno sete

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I bambini non si fermano mai e tanto movimento significa anche tanta sete. Per fortuna ci sono le bibite Aproz Kids, prive di anidride carbonica, per bimbi a partire dai due anni. Confezionate nelle bottigliette da 3,3 decilitri sono tanto apprezzate dai più piccoli e praticissime da portare con sé. Inoltre, sono preparate con pregiata acqua minerale delle alpi vallesane e ricche di calcio e magnesio. Piccole confezioni su misura per le manine dei bimbi e le tasche delle loro giacche, che contengono però una buona porzione di minerali: 3,3 decilitri forniscono infatti tanto calcio quanto un decilitro di latte. E una volta vuote, la bottigliette si pos-

sono riempire di nuovo. Insomma, sono davvero pratiche, basti pensare che sono dotate di un coperchio Sportcap che non lascia sfuggire nemmeno una goccia. Decorate con un divertente motivo, i bambini non vorranno più farne a meno e non si scorderanno più di bere. Le Aproz Kids sono disponibili in due fantastiche varietà: la classica Cristal, dal gusto neutro ed etichetta blu e la golosa variante etichetta rossa al gusto di fragola, leggermente dolce, senza coloranti né conservanti. Grazie all’elevato contenuto di sali minerali, l’acqua minerale Aproz è particolarmente pregiata e indispensabile per bimbi svegli. / Dora Horvath

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ALTRE OFFERTE. FRUTTA E VERDURA Lattuga M-Classic, con il 20% di contenuto in più, 200 g + 40 g gratis 3.90 Pomodorini ciliegia su rametto, Spagna / Italia, vaschetta da 500 g 2.60 Carote, Svizzera, sacchetto da 1 kg 1.50 Cavoliore, Italia / Spagna, al kg 2.50 Extra Mele Jazz, agrodolci, Svizzera, al kg 3.60 Clementine, Spagna, retina da 2 kg 3.25 invece di 4.90 33% Lattuga rossa Anna’s Best, in conf. da 150 g 2.– invece di 2.90 30% Arance bionde a foglia, Italia, sciolte, al kg 2.90 invece di 3.90 25%

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PESCE, CARNE E POLLAME Carne di manzo macinata, Svizzera, al kg 9.80 invece di 17.– 40% Salsiccette di maiale M-Classic, Svizzera, 3 x 2 paia, 600 g 6.90 invece di 11.85 40% Petto di pollo M-Classic affettato inemente, Brasile, 180 g 3.75 invece di 5.40 30% Tutti i prodotti Léger 20x 20x PUNTI ** Prosciutto crudo della Foresta Nera, bio, Germania, per 100 g 5.– invece di 6.30 20% Sminuzzato di pollo Optigal, Svizzera, per 100 g 2.60 invece di 3.30 20% Gamberetti tail-on, d’allevamento, Tailandia / Vietnam / Ecuador, 500 g 19.– invece di 28.50 33% Salametti di cavallo, prodotti in Ticino, imballati, per 100 g 2.45 invece di 3.50 30% Prosciutto crudo San Pietro, prodotto in Ticino, affettato in vaschetta, per 100 g 5.10 invece di 7.75 33% Arrosto spalla di manzo, TerraSuisse, Svizzera, imballato, per 100 g 2.30 invece di 3.10 25% Costolette di vitello, TerraSuisse, Svizzera, imballate, per 100 g 3.80 invece di 5.10 25% Prodotti pronti di pollo AIA, per es. Bonroll classico, prodotto in Italia, conf. da 750 g 9.90 invece di 12.50 20% Filetto dorsale di salmone, Norvegia, per 100 g 4.10 invece di 5.10 al banco pesce, dal 9.1 all’11.1 Filetto di pangasius, ASC, Vietnam, per 100 g 1.85 invece di 2.70 30% ino all’11.1

*In vendita nelle maggiori iliali Migros.

PANE E LATTICINI Mezza panna UHT Vallora in conf. da 2, 2 x 500 ml 3.50 invece di 5.– 30% Tutti i drink Biidus in conf. da 10, per es. alla fragola, 10 x 65 ml 4.65 invece di 5.85 20% Tutti i prodotti Léger 20x 20x PUNTI ** Fondue moitié-moitié e Tradition Swiss-Style in conf. da 2, per es. moitié-moitié Swiss-Style, 2 x 800 g 20.90 invece di 26.20 20% Emmentaler dolce, ca. 450 g, per 100 g 1.– invece di 1.45 30% Emmentaler e Le Gruyère grattugiati in conf. da 2, 2 x 120 g 3.75 invece di 4.70 20% Panini del cuore con beta-glucano, 2 x 60 g 20x 2.40 NOVITÀ *,**

FIORI E PIANTE Minirose, Fairtrade, mazzo da 20 10.80 invece di 12.80 Tulipani, mazzo da 10 5.90 invece di 7.50 Azalea Christine, in vaso da 12 cm, la pianta 9.80 invece di 12.80

ALTRI ALIMENTI Branches Classic Frey, UTZ, in conf. da 50, 50 x 27 g 10.30 invece di 20.75 50% Tutte le tavolette di cioccolato Frey da 400 g, UTZ, in conf. da 3, per es. al latte con nocciole, 3 x 400 g 10.80 invece di 16.20 33% Magdalenas al limone o marmorizzate M-Classic in conf. da 3, per es. Magdalenas marmorizzate, 3 x 225 g 4.20 invece di 6.30 33% Tutte le stecche e le conf. da 4 e da 6 Blévita, a partire dall’acquisto di 2 confezioni, –.60 di riduzione l’una, per es. al sesamo, 295 g 2.70 invece di 3.30 Tutti i tipi di caffè Boncampo, UTZ, in chicchi e macinato, per es. in chicchi, 500 g 3.05 invece di 4.40 30% Tutte le tisane Klostergarten, a partire dall’acquisto di 2 confezioni, –.40 di riduzione l’una, per es. tisana ai semi di inocchio, bio, 20 bustine 1.15 invece di 1.55 Confettura di fragole svizzere Favorit, 350 g 3.70 NOVITÀ *,** 20x Kellogg’s Special K, All-Bran, Corn Flakes, Crunchy Nut, Toppas e Optivita, per es. Special K, 500 g 3.95 invece di 4.95 20% Pizza Toscana M-Classic in conf. da 2 x 360 g, surgelata 5.30 invece di 7.60 30% Tutte le specialità a base di patate Delicious e TerraSuisse, surgelate, per es. Pommes Duchesse Delicious, 600 g 3.65 invece di 4.60 20%

**Offerta valida ino al 20.1

Tutti i prodotti Léger 20x 20x PUNTI ** Bastoncini di iletto di nasello neozelandese Pelican, MSC, in conf. da 3, surgelati, 3 x 450 g 8.80 invece di 13.20 33% Red Bull Standard o Sugarfree in conf. da 12, 12 x 250 ml 15.90 invece di 19.80 Tutta l’acqua minerale Aquella in conf. da 6 x 1,5 l, per es. Aquella verde 1.65 invece di 3.30 50% Rösti Original in conf. da 3, 3 x 500 g 4.30 invece di 6.15 30% Tutta la pasta Garofalo, a partire dall’acquisto di 2 confezioni, –.50 di riduzione l’una, per es. rigatoni, 500 g 2.– invece di 2.50 Cannelloni Agnesi, 250 g 20x 1.60 NOVITÀ *,** Tutte le zuppe Bon Chef in conf. da 3, per es. vermicelli con polpettine di carne, 3 x 74 g 2.80 invece di 4.20 33% Fleischkäse al prosciutto, al tacchino o Delikatess Malbuner in conf. da 6, per es. Fleischkäse Delikatess, 6 x 115 g 6.– invece di 9.– 33% Polenta già pronta Subito, 20x 500 g 1.70 NOVITÀ *,** Frittelle di Carnevale, 6 pezzi, 216 g 2.30 invece di 2.90 20% Pasta di spelta e pasta per pizza Anna’s Best, per es. pasta di spelta, 300 g 2.60 NOVITÀ *,** 20x Tutti i tipi di torta svedese intera o a pezzi, per es. torta svedese ai lamponi, 500 g 7.80 invece di 9.80 20% Insalate di pasta nelle varietà salmone e pipe al formaggio Anna’s Best, per es. al salmone, 300 g 4.50 NOVITÀ *,** 20x Ravioli al pomodoro e alla mozzarella o iori alla rucola Anna’s Best in conf. da 3, per es. ravioli al pomodoro e alla mozzarella, 3 x 250 g 9.80 invece di 14.70 33% Focaccia all’alsaziana Anna’s Best in conf. da 2, per es. 2 x 350 g 8.30 invece di 10.40 20% Zuppe Anna’s Best con nuove ricette, per es. vellutata di carote, 500 ml 3.60 NOVITÀ *,** 20x Vellutata di verdure Anna’s Best, 500 ml 20x 3.60 NOVITÀ *,** Lasagne Anna’s Best in conf. da 2, 2 x 400 g 8.– invece di 10.– 20% Piatto di affettati di Quorn Cornatur, 140 g 4.90 NOVITÀ *,** 20x Tutti gli Zwieback (M-Budget esclusi), per es. Zwieback mini, 100 g 1.75 invece di 2.20 20% Rustichella, TerraSuisse, 280 g 2.15 invece di 2.70 20% Fichi secchi, bio, Turchia, imballati, per 100 g 1.35 invece di 1.80 25% Minestrone alla ticinese, Svizzera, imballato, al kg 4.90 invece di 7.20 30%

NEAR FOOD / NON FOOD Alimenti per gatti Exelcat in conf. da 24, per es. pollame, 24 x 85 g 15.80 invece di 19.80 20%

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 7 gennaio 2014 • N. 02

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 7 gennaio 2014 • N. 02

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Idee e acquisti per la settimana

A prova di parrucchiere La linea per la cura dei capelli I am professional propone prodotti professionali a prezzi davvero convenienti

Ogni tipo di capello richiede una cura specifica. Uno shampoo ricco e nutriente per capelli secchi, per esempio, rende i capelli fini troppo pesanti; i capelli colorati, invece, necessitano di prodotti dotati di protezione UV. E anche i capelli opachi e indisciplinati hanno bisogno di cure su misura per un risultato perfetto. I am ha quindi deciso di lanciare quattro nuove linee

professional per donne esigenti, particolarmente attente al loro aspetto e alla loro bellezza. Questi pregiati prodotti professionali e innovativi rappresentano un’alternativa conveniente ai prodotti acquistati dal parrucchiere. Insieme alla linea I am hair care, la linea base I am sviluppata per soddisfare le esigenze di tutta la famiglia, i prodotti professional

completano alla perfezione l’assortimento I am. Ogni gruppo di prodotti all’interno della linea professional, si distingue per un’innovativa formula a base di sostanze attive. Paragonabili ai prodotti venduti dal parrucchiere, gli articoli professional sono stati testati da veri esperti del campo, superando con il massimo dei voti ogni test! / Dora Horvath

Avete capelli secchi e sollecitati? Nuova linea trattante: Oil Repair. Risultato: capelli luminosi, forti e resistenti. Sostanza attiva: olio d’argan. Effetto: nutre e ripara la struttura dei capelli danneggiati, proteggendoli dalle doppie punte. Suggerimento: lavare i capelli secchi con acqua tiepida. Se possibile, lasciare asciugare i capelli all’aria, oppure usando il fon non troppo caldo.

Avete capelli fini o colorati? Linea trattante: Color Protection. Risultato: naturali riflessi di luce e colore. Sostanza attiva: cheratina e filtro UV. Effetto: rende la struttura del capello più liscia, prevenendo scolorimenti e perdite di colore.

Oil Repair ■ Shampoo 250 ml Fr. 3.35 ■ Cura Express 20 ml Fr. 1.35 ■ Elisir effetto oro 100 ml Fr. 9.30

Suggerimento: per rendere ancora più brillanti i capelli, asciugarli tirandoli con la spazzola dal cuoio cappelluto verso le punte. Una volta asciutti, trattarli brevemente con il getto d’aria fredda del fon.

Avete capelli crespi e indisciplinati? Linea trattante: Smooth & Glossy. Risultato: morbidezza e brillantezza. Sostanza attiva: seta. Effetto: rende i capelli lisci e docili. Suggerimento: per regalare maggiore brillantezza ai capelli, consigliamo l’uso di una spazzola con setole naturali e compatte. Esse assorbono il sebo all’attaccatura dei capelli rendendo più liscia la struttura del capello in modo del tutto naturale.

Shampoo Smooth & Glossy I am Professional 250 ml Fr. 3.35

Linea trattante: Pure Volume. Risultato: più volume e consistenza. Sostanza attiva: collagene. Effetto: il capello viene deterso a fondo e «rimpolpato» sin dall’attaccatura, la schiuma balsamo, poi, garantisce una fantastica leggerezza. Suggerimento: un taglio perfetto è il segreto per una pettinatura, soprattutto in caso di capelli fini; consigliamo perciò un taglio scalato. Qualche mèche, poi, aiuta a creare uno splendido effetto volume.

Color Condtioner I am Professional 250 ml Fr. 3.35

I am Professional Pure Volume ■ Shampoo 250 ml Fr. 3.35 ■ Conditioner 150 ml Fr. 3.90

L’industria Migros produce numerosi prodotti molto apprezzati, tra cui la linea di prodotti per la cura dei capelli I am.



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