Cooperativa Migros Ticino
Società e territorio In Svizzera nel 2020 il 56% dei giovani è entrato in contatto con una notizia falsa, ma non tutti sanno riconoscerla
ambiente e Benessere Matteo Denti, specialista in chirurgia ortopedica e traumatologica, e la fisioterapista dello sport Danja Santini ci parlano delle lesioni al ginocchio
G.A.A. 6592 Sant’Antonino
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXIV 3 maggio 2021
azione 18 Politica e economia Vladimir Putin ha perso una battaglia ma si prepara a riprendere le ostilità
cultura e Spettacoli Restaurato al Monte Verità Il chiaro mondo dei beati, opera di Elisàr von Kupffer
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di Monica Müller Poffa pagina 3
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I bambini nella pandemia
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dopo merkel, continuità o cambiamento? di Peter Schiesser Tra settembre di quest’anno e aprile del prossimo, tedeschi e francesi sceglieranno i loro futuri leader, i paesi cardine della vecchia e nuova Europa affrontano dunque quasi simultaneamente delle elezioni in cui lo scontro fra continuità a cambiamento sarà il mantra di fondo della campagna. Della Francia abbiamo scritto il 29 marzo, lì si ripropone il duello fra il presidente Macron e la leader della destra nazionalista Marine Le Pen (che ammicca un po’ di più al centro) e l’esito oggi non può dirsi scontato. Della Germania si comincia a parlarne, ora che i candidati alla cancelleria dei tre maggiori partiti sono stati definiti. E qui si constata che la partenza di Angela Merkel, cancelliera per quasi 16 anni, lascia un vuoto che risulta ancora indecifrabile come l’elettorato intenda colmarlo. C’è un dato di fatto. I due partiti storici Cdu e Spd, democristiani e socialdemocratici, sembrano avviati verso il declino. La Cdu veleggia sotto il 30 per cento, secondo tutti i sondaggi, la Spd sotto il 20. La somma dei due non supera il 50 per cento, per cui una nuova grosse Koalition risulta improbabile. Ma soprattutto, la crisi nei due partiti
è di identità. Dopo 16 anni di politica merkeliana, in cui la Cdu si è spostata a sinistra e la Spd a destra, il profilo dei due partiti risulta troppo diffuso per cementare un consenso. Non aiutano le lotte intestine come quella fra Cdu e Csu, la consorella bavarese, il cui leader Markus Söder solo a malincuore ha ceduto il passo al candidato per la cancelleria della Cdu Armin Laschet, dopo un aspro confronto pubblico. Il capo della Csu sembra più amato dalla base Cdu-Csu, ma la dirigenza Cdu non si fida di uno che cambia radicalmente posizione quando opportunità lo impone. Il bavarese Söder rappresenta l’imprevedibile, Laschet la continuità con l’era Merkel. Ora, la questione che politici e politologi si pongono è proprio questa: che cosa vogliono i tedeschi dopo 16 anni di Merkel, un anno e mezzo di pandemia (in rigido stile germanico), davanti a un futuro che si annuncia ricco di trasformazioni epocali? Continuità o cambiamento? In sostanza: Armin Laschet o Annalena Baerbock? Annalena Baerbock è la prima candidata dei Verdi alla carica di cancelliera. Come l’altro co-presidente Robert Habeck (superato nella corsa alla nomina di candidato), appartiene all’ala dei Realos, i pragmatici, che nel corso degli anni hanno preso il sopravvento sui
Fundis, i fondamentalisti, molto più a sinistra; lo si era già visto con Joschka Fischer nella coalizione con la Spd di Gehrard Schröder. I Verdi in Germania oggi sono un partito di centro che promette il cambiamento. Non sono contro l’economia, ma per un’economia e una società più verde e digitalizzata; e in politica estera molto più filo-americani e assertivi: contro il gasdotto Nord Stream 2 che permetterebbe alla Russia di aggirare l’Ucraina e la Polonia per le sue forniture all’Europa e alla Germania in particolare, contro un accordo commerciale dell’Ue con la Cina, impegnati più decisamente nella Nato (e questo per un partito con radici pacifiste dice tanto). I Verdi sono una forza di governo in 11 dei 16 Länder, per cui l’approdo al centro per la scalata al potere è un processo avviato da tempo. Tuttavia, Annalena Baerbock non ha esperienza di governo, a differenza di Armin Laschet che governa la Renania Settentrionale-Vestfalia. I Verdi puntano a superare la Cdu-Csu (sono qualche punto sotto, ma ben al di sopra del 20 per cento, 4 anni fa alle elezioni per il Bundestag raggiunsero l’8,9 per cento). Ma anche se non dovessero diventare il primo partito, tutti in Germania sanno che senza di loro il prossimo governo non si fa.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 maggio 2021 • N. 18
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Società e territorio architettura ticinese È online e liberamente accessibile una nuova Guida storico-critica all’architettura del XX secolo nel Cantone Ticino curata da Nicola Navone
linguaggio e disparità di genere Le parole rivelano i costrutti pregiudiziali nella testa di chi parla: intervista a Michela Murgia sul suo ultimo libro intitolato Stai zitta! pagina 7
Insegnanti e burnout Esaurimento, stress, disagio: tra i docenti sono causati soprattutto da relazioni difficili con la classe, con i colleghi o con le famiglie pagina 9
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Giovani, social e fake news media La pandemia ha riavvicinato
le persone ai media tradizionali anche se formati e linguaggi dell’informazione stanno cambiando e i «deprivati di notizie» crescono
Roberto Porta In questa nostra società in cui esiste una statistica per (quasi) tutto non ne poteva mancare una relativa alle fake news, con riferimento in particolare a quanti giovani entrano in contatto con queste notizie, che un tempo chiamavamo «bufale». «Questa esposizione varia da paese a paese e dipende anche dall’educazione ai media di cui si dispone – ci dice Eleonora Benecchi, docente alla Facoltà di comunicazione dell’USI di Lugano – Lo studio nazionale JAMES con cui collaboriamo indica che nel corso del 2020 il 56% dei giovani tra i 12 e i 19 anni è entrato in contatto con una notizia che poi si è rivelata falsa». In altri termini l’esposizione alle fake news coinvolge più di un giovane su due, una proporzione che potrebbe essere più alta, visto che si tratta di un’autovalutazione, cioè sono gli stessi giovani che affermano di aver riconosciuto queste notizie come false e tra di loro c’è anche chi non riesce a riconoscerle. «L’aspetto più preoccupante sta nel fatto che i giovani in realtà non cercano notizie, non si informano, non lo fanno sui media tradizionali ma neppure su quelli digitali – fa notare Eleonora Benecchi – La loro dieta informativa è molto povera. Questa categoria di giovani soffre di una “deprivazione informativa”. Non hanno un’alfabetizzazione alle notizie e per loro è molto difficile riconoscere una fonte attendibile, proprio perché non hanno metri di riferimento». Ed esiste una statistica anche per questa categoria di giovani, come rileva ogni anno lo studio sulla qualità dei media in Svizzera, pubblicato dall’università di Zurigo. Un’analisi da cui emerge che i «deprivati di notizie» raggiungono il 53% delle persone, nella fascia di età tra i 16 e i 19 anni. Si tratta di giovani che stanno a lungo online ma non per informarsi. Sono connessi con le loro comunità di riferimento ma girano volutamente al largo dalle notizie. «Con l’età e anche con l’istruzione
cresce comunque l’interesse per l’informazione e aumenta la necessità di saper distinguere tra informazione e disinformazione. Va detto però che le notizie vengono perlopiù lette in modo superficiale, ci si limita troppo spesso al titolo e al trafiletto. Un problema che tocca anche gli adulti e che è all’origine di una ricezione molto superficiale della notizia». Sui social media si crea inoltre una sorta di scontro generazionale, visto che, studi alla mano, spesso sono le persone adulte, anche con più di 65 anni di età, che diffondono fake news, e lo fanno con una frequenza più alta rispetto a quanto diffuso dai giovani. «I giovani subiscono queste fake news, e ne vengono influenzati. La disaffezione dei ragazzi nei confronti dell’informazione dipende anche dalla sensazione di non potersi fidare. I ragazzi partono dal presupposto che quello che vedono online non è affidabile. Questa sfiducia nel mondo dell’informazione è così diffusa che non fanno sforzi per creare un loro menù informativo». Di fronte a questa ampia categoria di «deprivati di notizie» quali possono essere gli strumenti su cui far leva per raggiungere i più giovani, per poter arrivare a loro anche attraverso le testate giornalistiche tradizionali? «La pandemia che stiamo vivendo ha riportato le persone, anche i giovani, verso i media tradizionali – sottolinea la professoressa Benecchi – In Svizzera l’informazione televisiva del servizio pubblico è stata in questo ultimo anno la fonte considerata più affidabile dai giovani. Nonostante usino i servizi della SSR poco frequentemente c’è da parte loro una fedeltà alla marca che si è consolidata nella socializzazione famigliare e scolastica». Lo scollamento tra il mondo dell’informazione e quello dei giovani è anche un problema di mezzi, di strumenti. I giovani utilizzano spesso media e piattaforme online diversi da quelli lungo i quali scorre quotidianamente il flusso delle notizie, da qui la
In Svizzera nel 2020 il 56% dei giovani è entrato in contatto con una notizia falsa, ma non tutti sanno riconoscerla. (Shutterstock)
loro scarsa «dieta informativa». «Bisogna ancora lavorare molto a livello di formati, di linguaggi, di modalità che sappiano avvicinare questo settore della popolazione». Una sfida decisamente ostica. «Il nostro studio più recente svolto per l’Ufficio federale della comunicazione ci ha fatto capire che c’è una differenza di fondo. I media tradizionali intendono le notizie come ciò che si dovrebbe sapere, mentre il pubblico giovane vede le notizie anche come ciò che è utile, interessante e divertente sapere per loro. Per i giovani informazione fa rima con intrattenimento. Con tre canali preferenziali su cui muoversi: i social media, i motori di ricerca e i portali video, come Youtube. I giovani usano questi tre strumenti per cercare informazioni e per intrattenersi», ci dice ancora Eleonora Benecchi dell’USI di Lugano. Le redazioni giornalistiche si tro-
vano così confrontate con un dato di fatto: il loro modo di agire non riesce a intercettare i giovani o perlomeno una buona parte di essi. «Gli sforzi fatti finora rivelano che non ci sono risultati significativi, lo dice anche l’annuario sulla qualità dei media nel nostro Paese». La professoressa Benecchi ci fa però notare che a volte il contatto tra questi due mondi funziona. In casa RSI vanno molto bene i filmati di informazione e intrattenimento di «Spam», dedicati proprio ai giovani mentre, ed è un altro esempio, «la BBC sta facendo un lavoro importante su Tiktok per far passare i propri contributi informativi. Anche in Svizzera questo social media è molto importante, visto che il 40% dei ragazzi lo usa regolarmente. Sulla pandemia i giovani hanno individuato la televisione come il mezzo più affidabile, ma si sono informati molto attraverso i social media, confrontandosi poi di-
rettamente con amici e parenti quando sentivano il bisogno di verificare le notizie trovate online». Gli studi in materia ci dicono infatti che i giovani sono consapevoli del fatto che i social media sono meno affidabili rispetto ai media tradizionali, pur passandoci parecchio tempo. Da qui una certa attenzione a non lasciarsi mettere in trappola dalla disinformazione, con la famiglia, la scuola e le stesse redazioni chiamate a tener alta la guardia. E non si tratta solo di media e di giornalismo perché vista l’ampiezza del fenomeno c’è il rischio di ritrovarci un giorno non più in una democrazia ma in una società dominata da incantatori di serpenti, che a suon di algoritmi incanalano a loro piacimento i flussi dell’informazione, non più libera ma controllata. Di questo in fondo si tratta, né più né meno. Per i giovani e per tutti noi.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 maggio 2021 • N. 18
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la voglia di stare vicino ai nonni
Infanzia Secondo Gerald Hüther, autore di molti studi sul cervello, i bambini potrebbero riportare danni permanenti
a causa delle misure anti-coronavirus. Tuttavia vede nella pandemia anche delle opportunità per la nostra società Monica Müller Poffa Il neurobiologo Gerald Hüther è considerato uno dei più importanti ricercatori sul cervello in Germania (www. gerald-huether.de). Da anni dedito alla divulgazione scientifica in molti dei sui libri si occupa di bambini, scuola e apprendimento. Dal 2015 fa parte del comitato dell’Accademia per lo sviluppo del potenziale. Il suo ultimo progetto è l’iniziativa www.liebevoll.jetzt. Il prossimo 18 maggio sarà ospite del convegno nazionale Lapurla organizzato dal Percento culturale Migros, nel suo intervento parlerà del risveglio della creatività infantile repressa. Lo abbiamo intervistato. da un anno le nostre vite sono dominate dal coronavirus. I bambini riescono a superare una crisi del genere meglio degli adulti?
I più piccoli, che perlopiù restano a casa e non indossano la mascherina, non se ne accorgono ancora. I bambini della scuola d’infanzia e delle elementari rispettano meravigliosamente le norme igieniche e di distanziamento. Noi adulti ci rallegriamo di quanto siano bravi, ma non siamo consapevoli del prezzo che stanno pagando. che prezzo stanno pagando?
Ogni bambino cresce con certi bisogni, come ad esempio essere coccolato dai nonni, giocare con gli altri, scoprire il mondo, insomma deve fare qualcosa. Per rispettare le misure anti-coronavirus, il bambino deve reprimere molti di questi bisogni e ciò è estremamente faticoso. Di conseguenza, il cervello umano si organizza in modo tale che sui reticoli che generano un determinato bisogno siano collocati dei freni inibitori. Così, il bisogno poi svanisce. e dopo?
Ad un certo punto, la voglia di star vicino ai nonni semplicemente scompare. Se in seguito il bambino può di nuovo andare dai nonni, si accorgeranno che è insicuro e timido come di fronte un estraneo. Se anche i nonni reagiscono con insicurezza, credendo che il nipotino non li sopporti più, allora potrebbero non trovarsi più bene assieme per il resto della vita. Il bambino si comporta in modo analogo con il bisogno di giocare con gli altri, scoprire il mondo, imparare qualcosa ed esplorare l’ignoto. Ci sono bambini che dopo quasi un anno di lockdown dicono di non aver più voglia di giocare con gli amici. Se i genitori non li aiutano a reintegrarsi, è probabile che da soli non ce la facciano. Supponiamo che non ce la facciano, che ne sarà di questi bambini?
Diventeranno delle persone addestrate all’obbedienza, senza spirito ribelle, che funzionano come i robot e gli automi digitali. Mai prima d’ora nella storia umana era successo che i bambini fossero costretti a reprimere i propri bisogni per far piacere a noi. Se un bambino si oppone a un padre autoritario o a una regola, egli conserva la volontà e continuerà a capire di cosa ha bisogno.
azione
Settimanale edito da migros ticino Fondato nel 1938
redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Romina Borla, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni
Proprio come i giovani che in Svizzera si sono ribellati alle misure contro il coronavirus. a San Gallo, ad esempio, ci sono stati disordini prima delle ultime aperture.
Alcuni giovani non sopportano più queste misure. Hanno già fatto le loro esperienze e si oppongono al fatto che i loro bisogni primari vengano ignorati. Inoltre, gli ormoni sessuali mettono il loro cervello in un tale tumulto che non riescono assolutamente a reprimere i loro bisogni. lei dimostra comprensione per questi giovani.
Credo che non abbia senso lagnarsi per questi sfoghi e comminare sanzioni, perché non fa che peggiorare le cose. Sarebbe bene dimostrare comprensione perché si trovano in una situazione catastrofica e riflettere assieme su cosa si può fare. Esistono più spazi aperti di quanto si creda. Se i locali per poter far festa sono chiusi, ci si potrebbe anche incontrare in una cava di pietre o in riva al lago e tenervi un concerto pop mantenendo la giusta distanza dagli altri. Dobbiamo aiutare i giovani ad appagare i loro bisogni seguendo le regole. Penso che sia normale che reagiscano, non vogliamo seguaci devoti e persone senza opinioni. Vogliamo persone caparbie, specialmente in Svizzera.
Perché dice specialmente in Svizzera?
Gli svizzeri sono di per sé un po’ testardi. Penso che abbia a che fare con la Storia. La Svizzera non ha mai avuto un ordinamento con un re al vertice, dove tutti facevano quello che diceva il sovrano. Ogni cantone ha le proprie caratteristiche regionali e decide in autonomia. Ecco perché gli svizzeri – visti dall’estero – sono più difficili da mettere in riga… ... rispetto ai tedeschi?
In Germania è sempre tutto preordinato e attuato nel modo più uniforme e burocratico possibile. Attualmente litigano perché non tutti i Länder si attengono alle misure decretate dal governo di Berlino. In ogni Land tedesco
lapurla I bambini sono curiosi. È così che si aprono al mondo, ma per farlo hanno bisogno di noi come guide e compagni di meraviglie. Lapurla è un’iniziativa congiunta del Percento culturale Migros e dell’Università delle Arti di Berna (HKB) volta a realizzare spazi di creatività per i più giovani. Lapurla ha sviluppato «Più creativi sin dall’inizio», un opuscolo pieno di idee e suggerimenti, scaricabile gratuitamente dal sito www. lapurla.ch. Il 17 e 18 maggio Lapurla organizza una Conferenza con ospiti internazionali, tra i quali Gerald Hüther il cui intervento può essere seguito online. Le lettrici e i lettori potranno iscriversi gratuitamente sul sito www.lapurla.ch Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni
Il neurobiologo tedesco Gerald Hüther. (M.Liebert)
la situazione è un po’ diversa. Alla luce del numero dei contagi in crescita, si discute continuamente di un lockdown immediato a livello nazionale. In alcune regioni c’è già la chiusura totale, mentre in altre la gente non ce la fa più. In alcuni länder tedeschi non ci sono lezioni in presenza da quasi un anno. come si possono aiutare i bambini che non possono andare a scuola e incontrare i loro coetanei?
I genitori dovrebbero dar loro molte opportunità a casa, affinché si sentano ancora vivi: cantare, ballare, suonare, dipingere. Le idee di Lapurla (v. scheda) offrono tantissimi spunti. Non appena possibile, le famiglie dovrebbero tornare a incontrarsi. È tanto più importante in quanto gli insegnanti e le autorità scolastiche cercheranno di recuperare le lezioni perse. I genitori dovrebbero insistere affinché vengano considerati i bisogni dei bambini.
lei è un fervente critico del nostro sistema scolastico. cosa c’è di tanto sbagliato?
Nelle scuole occidentali, i bambini sono ancora visti troppo spesso come oggetti. Oggetti di aspettative, di insegnamenti e valutazioni. In questo modo si violano due loro esigenze basilari: la comunanza e la creatività personale. Se i bambini non le possono appagare, devono reprimerle oppure compensano con soddisfazioni sostitutive, ad esempio con i consumi o i videogiochi. Paradossalmente, le scuole che abbiamo nelle società consumistiche occidentali sono proprio quello che ci vuole, perché generano consumatori a sufficienza. Per fortuna, non tutti se ne lasciano sedurre e soprattutto fuori dalle città ci sono ancora tanti bambini e adolescenti molto legati alla natura, che si prendono cura di qualcosa che per loro è importante. lei cosa auspica?
La cosa più importante che dovrebbe accadere a scuola è che nessun bambino vi perda mai più la gioia di imparare, che in loro è innata. Se la scuola può editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino Telefono 091 850 81 11 Stampa Centro Stampa Ticino SA Via Industria 6933 Muzzano Telefono 091 960 31 31
garantire che tutti i bambini siano felici di imparare, apprenderanno tutto ciò di cui hanno bisogno. che tipo di sistema scolastico ha in mente?
Uno che non ordina ai bambini cosa devono imparare, ma che domanda loro cosa gli interessa.
ma solo con il piacere funzionerebbe davvero? ad esempio, ai bambini piace imparare una lingua straniera, ma poi provano fastidio a sgobbare sui vocaboli?
Probabilmente ci siamo fatti un’immagine distorta. Costringere i bambini a imparare una lingua straniera, impedisce loro di innamorarsi di questa lingua. Nell’ex Germania dell’Est, dove sono cresciuto, dovetti studiare il russo per almeno dieci anni. Oggi l’ho dimenticato. L’inglese non l’ho studiato a scuola, ma per conto mio perché mi piaceva ed oggi è una lingua che parlo perfettamente.
una volta ha detto che da bambino ha avuto molta fortuna, perché i suoi genitori avevano poco tempo da dedicarle. che cosa intendeva?
Non avevano tempo per mettersi al tavolo con me e discutere su come andavano fatti i calcoli. Non potevano neppure portarmi a qualche manifestazione dove avrei potuto imparare qualcosa. Erano contenti quando il pomeriggio andavamo in giro con gli altri bambini. Tornavamo a casa a mezzogiorno, gettavamo le nostre cartelle in un angolo e andavamo fuori: è allora che iniziava la vita. Giravamo per il paese e in modo scherzoso scoprivamo come andava la vita, come andare d’accordo, le cose belle da fare, come dar prova di coraggio.
Studi svizzeri dimostrano che il tempo completamente libero di cui dispongono i bambini piccoli è diminuito di un terzo negli ultimi 20 anni. È un problema?
È dimostrato scientificamente che i bambini fanno le esperienze di apprendimento più importanti quando scotiratura 101’262 copie Inserzioni: Migros Ticino Reparto pubblicità CH-6592 S. Antonino Tel 091 850 82 91 fax 091 850 84 00 pubblicita@migrosticino.ch
prono le cose in modo ludico. Devono saper risolvere talmente tanti problemi diversi. Non dovremmo sgomberargli la strada dagli ostacoli, ma magari mettergliene ancora qualcuno. Se imparano a risolvere i problemi, acquisiscono sicurezza. Il sistema nervoso, infatti, lavora come il sistema immunitario, che diventa pigro se non deve sviluppare anticorpi contro i germi. Anche la capacità di risolvere i problemi diminuisce se non viene allenata. la sua critica alla scuola è anche una critica alla società.
La scuola è sempre come la società. Affinché possa cambiare, deve cambiare prima la società. È quel che sta accadendo in questo momento, anche a causa della problematica del coronavirus. Quindi la pandemia porta con sé anche qualcosa di buono?
Il coronavirus ci mette di fronte all’evidenza che non possiamo controllare la vita. Poiché adesso molto di quello si è fatto finora non è più possibile, le persone si sono ripiegate su se stesse. Siccome non possono più fare compere, andare a bere un caffè, viaggiare, ora devono affrontare la questione di come vorrebbero dar forma alla loro esistenza. E di cosa è veramente importante per loro. Sempre più gente giunge alla conclusione che c’è anche qualcos’altro oltre a quello che finora ritenevano importante. Qualcosa che forse è molto più denso di significati. lei ha fondato l’iniziativa «liebevoll jetzt!» («ora l’affetto», ndt.). che scopi persegue?
Molte persone sono talmente insicure a causa dell’attuale crisi, che hanno bisogno di una spinta, di idee su come poter fare qualcosa di buono nel loro piccolo. Oppure di essere vicine nonostante le restrizioni o di essere un po’ più amorevoli con se stesse. Informazioni
Si può leggere l’intervista integrale a Gerald Hüther sul sito www.azione.ch abbonamenti e cambio indirizzi Telefono 091 850 82 31 dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@migrosticino.ch costi di abbonamento annuo Svizzera: Fr. 48.– Estero: a partire da Fr. 70.–
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 maggio 2021 • N. 18
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Idee e acquisti per la settimana
cambio di look
Novità Nuovo design e imballaggio per otto tradizionali formaggini freschi della LATI,
mentre la qualità resta quella apprezzata di sempre Che si tratti di uno spuntino, di una cena a base di specialità locali o per concludere un ricco pasto, ogni occasione è buona per gustare i deliziosi formaggini freschi ticinesi. Queste specialità a base dei migliori ingredienti della regione sono elaborate con cura e passione secondo ricette tradizionali a S. Antonino, dalla 1. Formaggini freschi Il gusto delicato e dolce, nonché il profumo che ricorda il buon latte fresco, rendono i tradizionali Formaggini ticinesi semplicemente irresistibili. Preparati con latte pastorizzato, si gustano al naturale oppure conditi con un filo d’olio e una spruzzata di pepe nero. Serviti con pomodoro e basilico, rappresentano un’ottima alternativa alla caprese di mozzarella. Provare per credere. Sono disponibili anche senza lattosio.
LATI SA, la principale azienda casearia del Cantone. Sono un’ottantina i produttori di latte ticinesi che forniscono quotidianamente all’azienda la pregiata materia prima per essere trasformata in molte specialità dagli esperti casari LATI. Tra cui appunto i formaggini, che ora hanno una nuova veste grafica e un nuovo imballaggio
più pratico ed ecologico. Se da un lato il design unico attira subito l’attenzione grazie al disegno del prodotto realizzato a mano e alla nomenclatura in dialetto ticinese, dall’altro la confezione presenta ora una migliore funzionalità: il concetto «monodose» e il sistema di apertura facilitato permettono di preservare al meglio
5. Quadratino Non poteva che chiamarsi Quadratino, vista la sua forma squadrata. Questo formaggio di latte vaccino matura ca. una settimana in ambienti a temperatura e umidità controllate. Sulla superficie presenta una «pelle» sottilissima che gli attribuisce un aspetto elegante. La pasta è fresca, tenera e compatta, che con il prolungarsi della stagionatura tende ad assumere una consistenza più cremosa e un sapore più marcato.
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Quadratino 2 x 100 g, 100 g Fr. 2.35
Formaggini freschi 2 x 100 g, 100 g Fr. 1.60 invece di 2.– azione 20% fino al 10.5
4. robiola matura
Formaggini freschi aha! senza lattosio, 2 x 100 g, 100 g Fr. 2.–
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Flavia Leuenberger Ceppi
2. Büscion di capra La caratteristica forma cilindrica a mo’ di tappo gli attribuisce anche il nome dialettale, «Büscion» appunto. Questi formaggini a pasta molle sono disponibili nella variante a base di latte di capra, tipologia che trova sempre più estimatori grazie al sapore più pronunciato e persistente. Arricchiscono di gusto e profumo qualsiasi tagliere di salumi e formaggi locali.
la qualità e freschezza del prodotto, garantendo al contempo la massima igiene. Inoltre, il materiale utilizzato sia per il packaging che per l’etichetta strizza l’occhio all’ecosostenibilità: si è passati infatti dalle vaschette in PP (polipropilene) a quelle in PE (polietilene), una materia plastica riciclabile più facilmente.
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3. robiolini
Noto anche come Tomino, questo formaggio a pasta molle è una golosità da gustare sia fredda che calda, come aperitivo, antipasto o piatto principale accompagnato da una croccante insalata. Sprigiona tutto il suo aroma preparata brevemente alla griglia, oppure anche sul fornello della raclette o in padella. Possiede una crosta leggermente «fiorita», edibile, e una pasta color bianco-avorio. La maturazione dura ca. sette giorni.
I Robiolini sono parte integrante della ricca tradizione casearia ticinese. Molti li conoscono anche con il nome dialettale «Büscion», per via della loro forma cilindrica che ricorda appunto un tappo o turacciolo. Si caratterizzano per la loro consistenza cremosa, facilmente spalmabile, e il sapore leggero, delicato e dolce. robiolino al naturale 4 x 50 g Fr. 3.45* invece di 4.35 Büscion di capra 4 x 50 g Fr. 7.75
robiolino al naturale aha! senza lattosio, 4 x 50 g Fr. 3.55* invece di 4.45 robiolino alle erbe 4 x 50 g Fr. 3.60* invece di 4.55 * azione 20% dal 4 al 10.5
Succo d’uva merlot del ticino
Novità Una bevanda salutare prodotta con uve provenienti
dal vitigno principe della nostra regione
100% naturale, da spremitura diretta a freddo, senza aggiunta di acqua o zucchero, il succo d’uva di Merlot ticinese è prodotto dalla Valsangiacomo di Mendrisio, storica azienda vinicola famigliare fondata nel 1831 e oggi giunta alla sesta generazione. Il succo viene ottenuto esclusivamente con uve appena raccolte nel vigneto Ronco Grande di Pedrinate, alfine di mantenere intatte le qualità dell’uva Merlot. Il confezionamento in box da 3 litri con
pratico spillatore è invece affidato alla Sicas SA di Chiasso, azienda attiva da oltre 50 anni nella produzione di succhi di frutta. Bevanda preziosa grazie alle sue proprietà energetiche, vitaminiche, disintossicanti e antivirali, il succo d’uva è ottimo da bere al naturale, oppure diluito con acqua, ma si presta bene anche per la preparazione di bevande alla frutta, cocktail analcolici o aromatici sorbetti.
Succo d’uva merlot del ticino 100% naturale, pastorizzato 3 l Fr 13.90 In vendita nelle maggiori filiali Migros fino ad esaurimento dello stock
robiola matura 2 x 100 g Fr. 4.45
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 maggio 2021 • N. 18
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Idee e acquisti per la settimana
coccole per la mamma
attualità Perché non regalare alla mamma una giornata Spa
casalinga in occasione della sua festa?
consulenza compo-Gesal al Serfontana
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1| Accappatoio Louis Fr. 59.90 da Micasa 2| Kneipp Sali da bagno rilassanti, 600 g Fr. 8.90 3| Arad Natural Beauty Salt Butter Peeling, 250 ml Fr. 14.95 4| Zoé Expert Maschera Avocado, 75 ml Fr. 9.95 5| I am Professional Oil Repair Express Treatment, 1 pezzo Fr. 3.50 6| Ciotola «Cuore» Fr. 19.90
Domenica prossima, 9 maggio, è l’occasione perfetta per coccolare la mamma, dedicandole per esempio una giornata di relax a casa. Alla Migros trovate tutto l’occorrente per dei momenti wellness in perfetto stile Spa. Perché non cominciare con un bel bagno di sali Kneipp al patchouli e sandalo per un rilassamento a tutto tondo?
La maschera alla schiuma di avocado di Zoé Expert, dal canto suo, regala alla pelle del viso un nutrimento e una brillantezza senza eguali. Per dei capelli morbidi e lucenti ecco la maschera riparatrice di I am Professional con formula trattante all’olio di argan e mandorla. La pregiata linea di cura naturale Arad a base di sali minerali del Mar
Morto propone un peeling e un burro per il corpo arricchiti con sostanze vegetali. E cosa c’è di più avvolgente ed elegante di un morbido accappatoio di cotone e velluto? Infine, per coronare la giornata non può certo mancare un bell’arrangiamento floreale, come la ciotola «Cuore» composta da rigogliosi fiori assortiti e piante verdi.
Sabato 8 maggio, il negozio del fai da te e del giardinaggio Do it + Garden Migros del Centro Shopping Serfontana, ospiterà una giornata informativa tecnico-fitosanitaria da parte della Compo-Gesal, marchio leader nel settore dei prodotti per il giardino e l’agricoltura. Un consulente specializzato sarà a disposizione della clientela per rispondere alle domande relative al giardino e all’orto e consigliare i
trattamenti fitosanitari più adeguati in presenza di malattie delle piante e parassiti. Nel caso di problemi di natura sanitaria con una pianta o una coltura, si consiglia di portare con sé dei campioni di foglie, steli o rami infestati, in modo da poter fare una diagnosi esatta e trovare il rimedio giusto. L’attività si terrà nel pieno rispetto delle norme anti covid. Vi aspettiamo! Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 maggio 2021 • N. 18
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Società e territorio
una guida online
architettura ticinese La ricerca di Nicola Navone ripercorre
il periodo dal 1945 al 2000 ed è liberamente consultabile Alberto Caruso Esiste ancora l’architettura ticinese? Il quesito non è un artificio retorico, è fondato sull’amara consapevolezza che da qualche tempo, nell’ambito di una più generale eclisse della critica, sono scomparse dalla scena pubblica le riflessioni sullo stato attuale dell’architettura ticinese, sulle sue trasformazioni rispetto alla fase epica – dal dopoguerra al 2000 – che ha dato origine ed ha formato una cultura conosciuta in tutto il mondo, salvo qualche accenno in occasione della morte dei suoi protagonisti più anziani. «Esiste ancora l’architettura ticinese» vuole dire chiedersi, per esempio, se la produzione architettonica ticinese è ancora distinguibile da quelle degli altri cantoni e dallo scenario europeo. Fino alla sua scomparsa nel 2019, Paolo Fumagalli ha insistito, anche su queste pagine, sul tema della dimensione etica del mestiere, riportando ogni questione di attualità all’eredità dei maestri, al modo di metabolizzarla e rinnovarla adeguandola ai nuovi bisogni. E già negli ultimi anni la voce di Fumagalli era apprezzata ma isolata. Negli stessi programmi dell’Accademia di Mendrisio – fondata da Botta e Galfetti con l’obiettivo, tra gli altri, di sostenere le ragioni dell’architettura ticinese – la presenza dei docenti ticinesi di progettazione si è ridotta al minimo. In questa condizione preoccupante, tuttavia, il vicedirettore dell’Archivio del Moderno Nicola Navone conduce un
corso di storia intitolato «L’architettura in Ticino 1945-2000», che propone agli allievi architetti la conoscenza dell’esperienza di quegli anni come elemento importante della loro formazione. Il Fondo Nazionale Svizzero per la Ricerca Scientifica ha finanziato la ricerca diretta da Navone, che prevede, oltre allo svolgimento del corso citato, la pubblicazione della Guida storicocritica all’architettura del XX secolo nel Cantone Ticino, il cui primo volume è liberamente consultabile dall’inizio dell’anno all’indirizzo https://www.ticino4580.ch/mappe#/ . Il formato elettronico della Guida, in modalità open access, ha l’obiettivo di rendere accessibile non soltanto agli addetti ai lavori ma anche al grande pubblico la conoscenza degli studi condotti nell’ambito di questa ricerca. L’architettura ticinese, come ha scritto Nicola Navone, «continua a sollecitare la nostra attenzione e a fornire paradigmi validi anche per l’attuale pratica architettonica». Il primo volume è composto da 35 schede, mentre la Guida completa raggiungerà circa 300 schede, di agile lettura, ognuna dedicata ad un’opera. Ogni scheda è formata da un testo storico-critico e da un ricco apparato iconografico, sia d’epoca che attuale. Entro maggio uscirà la versione in inglese ed entro giugno il secondo volume. Consultabile secondo quattro chiavi di ricerca (tipologia, autore, luogo, periodo), la guida illustra non solo opere relative all’edilizia civile ma anche le infrastrutture ferroviarie, stra-
dali e idroelettriche, che hanno svolto un ruolo importante nella costruzione del territorio, nella convinzione che ogni intervento di trasformazione dell’esistente appartenga alla cultura architettonica. È una scelta significativa, tendente ad estendere le competenze spaziali degli architetti, che oggi vedono invece ridursi la rilevanza sociale del mestiere. Molte tra le opere illustrate nel primo volume – di Tami, Ponti, Carloni, Brivio, Snozzi, Finzi, Vacchini, Botta, Camenzind, Brocchi, Ruchat, Galfetti, Trümpy, Jäggli, e altri – sono ancora capaci di provocare emozioni, sono contemporanee, continuano a trasmettere la carica innovativa originaria, fondata sulla capacità dei loro autori di assumere una distanza critica dalla realtà, per migliorarla. Chi scrive è convinto che al quesito «se l’architettura ticinese è ancora distinguibile da altre architetture» si possa ancora rispondere positivamente. La modifica dei linguaggi determinata dalla estensione planetaria delle conoscenze, l’adozione di nuove tecnologie per far fronte ai temi energetici, il confronto con contesti territoriali e sociali profondamente diversi e la stessa trasformazione della condizione professionale, hanno mutato l’aspetto delle opere rispetto a quelle dell’altro secolo. C’è sicuramente un’atmosfera di disorientamento, di ricerca di nuovi riferimenti, e tuttavia permane in molte di queste opere la chiarezza dei concetti e il rigore degli impianti, la coerenza tra le
Peppo Brivio, casa Albairone, Massagno, 1956.
parti e l’economia dei mezzi espressivi. Qualità che rivelano la cultura che ha alimentato la formazione dei loro autori e che mancano con pari evidenza in tante altre produzioni architettoniche contemporanee. Le tendenze internazionali a concepire l’architettura come spettacolo finalizzato a sorprendere e a progettare l’aspetto esteriore dell’involucro separandolo dai temi distributivi, non hanno attecchito fino ad ora in Ticino, ma cominciano ad apparire all’orizzonte. Per questo la ricerca diretta da Nicola Navone è un evento importante, che integra e supera gli studi e le ricerche edite tra gli anni 70 e l’inizio del nuovo secolo. Mediando in modo intelligente tra il rigore della ricerca scientifica e la semplicità della comu-
nicazione, la Guida è un’occasione conoscitiva offerta a tutti coloro che apprezzano l’architettura. La sua lettura rivela quanto in comune avessero quelle opere pur esprimendo approcci diversi, e come quei concetti comuni mantengano la loro forza innovativa. Per esempio, la tensione all’urbanità e la ricerca di relazioni dense per formare spazi socialmente significativi caratterizzano, più di tante opere recenti, gli edifici urbani di Rino Tami o di Peppo Brivio. La loro è ancora una lezione per tutti coloro che con il loro mestiere contribuiscono a determinare le trasformazioni nelle città e nel territorio. L’auspicio è che la Guida, riempiendo un vuoto culturale, costituisca il supporto conoscitivo necessario per sviluppare una nuova stagione critica. Annuncio pubblicitario
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Società e territorio
Pregiudizi e parole
Intervista L’ultimo libro di Michela Murgia è un saggio che analizza
come spesso il linguaggio sostenga e giustifichi la disparità di genere Laura Di Corcia «Sarò soddisfatta quando le ventenni porteranno il libro alle manifestazioni». Così definisce il senso del suo lavoro Michela Murgia, che con il suo Stai zitta e altre nove frasi che non vogliamo sentire più (Einaudi) è riuscita in poco tempo a scalare le classifiche di vendita, segno che il tema della parità non è più una nicchia per poche appassionate. Per fortuna. Abbiamo raggiunto l’autrice per riassumere insieme a lei i temi del saggio, che in modo limpido fotografa una disparità sotto gli occhi di chiunque voglia vedere. Partirei dall’episodio che ha dato origine al libro: lo scontro che lei, michela murgia, ha avuto con lo psichiatra raffaele morelli durante una trasmissione radiofonica in onda su radio capital. messo alle strette, a un certo punto lui sbottò e se ne uscì con un perentorio, oltre che maleducato, «Stai zitta». Volevo ricostruire l’antefatto: perché era stato invitato?
Perché aveva fatto delle affermazioni in cui diceva che se una donna non è guardata dagli uomini quando esce dovrebbe tornare a casa e cambiarsi, in quanto la radice del femminile spingerebbe le donne a catturare l’attenzione dei maschi. In Italia in questo momento siamo in piena discussione sul fenomeno del catcalling, quindi ragioniamo ancora su quanto sia falsa la presunzione che i fischi o i complimenti sguaiati
facciano davvero piacere alle donne. Ma anche prima di questa discussione, l’uscita di Morelli fece fortunatamente molto scalpore. Lo chiamammo da Radio Capital per dargli la possibilità di spiegarsi, di dire «Sono stato frainteso». Ma lui, invece di migliorare la sua posizione, non ha fatto altro che rivendicare le affermazioni, ribadendole in un contesto peggiorativo.
Infatti le ha detto, «Stai zitta». Passando con grande disinvoltura dal lei al tu.
Il messaggio era proprio di questo ordine: la donna ha il compito di compiacere l’uomo. Non abituato a essere contraddetto, Morelli è uscito di testa. Ho preso spunto da quell’episodio per fare un’analisi di episodi analoghi che hanno avuto luogo nelle radio e nelle tv italiane. Ne ho trovati altri tre, fra cui quello che riguarda Bianca Berlinguer e Mauro Corona. In tutti i casi il dialogo parte con il «lei» e finisce con l’uomo che dà del «tu» alla donna, per contestarla e sminuirne l’autorevolezza agli occhi di chi guarda o ascolta. Le parole, questo credo sia chiaro, rivelano i costrutti pregiudiziali nella testa di chi parla. È sempre molto interessante il modo in cui ti chiamano per nome, dandoti del tu, oppure ti chiamano «signora», facendo sentire molto forte che questo signora ha delle virgolette. Le donne devono ancora chiedere di essere chiamate con il loro titolo nei contesti professionali, specie se prestigiosi: se la parola «cameriera» o «infermiera» non creano nessun problema, «avvocata»
fa storcere il naso. L’idea alla base è che una donna che occupa una posizione professionale sia lì prima come donna, che come professionista. Il sesso delle donne conta sempre più della loro competenza.
Su quotidiani anche prestigiosi leggiamo spesso di queste amenità: la scienziata-mamma, la ricercatrice-mamma. come si declina a livello professionale la retorica della mamma?
Il bisogno è quello di ricordare che la prima cosa cui una donna è chiamata è quella di generare e di curarsi dei figli. Se le avanza tempo, può dedicarlo al lavoro, ma deve spiegare come lo concilia con la famiglia. Se ci facciamo caso, questa domanda compare sempre in tutte le interviste alle donne eccellenti. A nessun uomo viene invece chiesto: «Come fai a fare il papà e il professionista?». Quello che le donne in Italia sono riuscite ad ottenere è stato poter portare avanti la propria professione pagando una donna più svantaggiata economicamente perché si occupi dell’economia domestica. Non c’è stata una distribuzione fra i due sessi del carico familiare, c’è stato il trasferimento di classe, da una donna più ricca a una donna più povera. Nel suo libro fa riferimento alla figura dell’eletta. a prima vista sembrerebbe un ruolo vantaggioso: e invece?
E invece è un ruolo maschera. Indubbiamente la vita di quella singola donna cambia, perché lei fa carriera (anche
La scrittrice italiana Michela Murgia. (Keystone)
se per cooptazione: c’è un uomo che decide se e quanto farla salire in alto). Di solito queste donne non creano problemi, non mettono in discussione il sistema. Inoltre, ogni volta che qualcuno farà notare che in un certo entourage mancano donne, l’eletta verrà sfoderata come alibi. Ma la sua presenza non può essere una giustificazione per l’assenza di tutte le altre.
i rapporti. La domanda è: quali spazi esistono per le donne? La risposta è che in un Paese dove il carico familiare è così sbilanciato, le donne hanno molto meno tempo libero e minori opportunità per fare network. Il tuo collega può andare con il capo a guardare la partita, tu devi correre a casa a preparare la cena a un altro uomo, avviare la lavatrice e mettere i bimbi a letto.
In uno studio pubblicato dalla «Harvard Business Review» ho letto un’interessante analisi sul tema del tempo libero, che indicava il modo in cui i maschi fanno rete fra loro in luoghi che non sono contesti professionali. Nei film americani siamo abituati a vedere decisioni prese da giudici, avvocati, imprenditori mentre giocano a golf o nei club pensati per soli uomini. L’organizzazione del tempo libero fra maschi è in realtà un potentissimo strumento di network che ha conseguenze sul luogo di lavoro. Condividere una passione, per esempio per il calcio, cementifica
La mia impressione è che ancora non si capisca che si tratta di una questione di sostanza. I diritti delle donne non sono solo i diritti delle donne, sono i diritti di tutti. Come è possibile che ci sia una categoria di cittadini che considera normale che l’altra metà della popolazione non goda degli stessi diritti rimane per me un mistero. Però il successo di questo libro fa nascere delle speranze. Per me vedere il libro di una femminista dichiarata che tratta esplicitamente questo tema diventare il primo in classifica in una settimana dall’uscita è una vittoria politica, non editoriale.
cosa ne pensa dell’opportunità, da parte delle donne, di fare lobby?
molto spesso queste battaglie sono considerate di settore.
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Società e territorio
la fatica dei docenti
lavoro Il burnout degli insegnanti è una realtà anche nel nostro Paese. Esaurimento e disagio
causati da relazioni difficili: con la classe, con i colleghi o con le famiglie
Fabio Dozio «Bisogna dire la frase “Non ce la faccio più” senza vergogna e gli aiuti, anche se dopo un po’, arrivano. Non è facile ammettere di essere in difficoltà, anche perché ti metti in discussione, dubiti di te stesso, ti dici, sono io che faccio qualcosa di sbagliato e non sono capace di insegnare». È una delle testimonianze contenute nella tesi di bachelor di Georgia Imperiali, che ha concluso la formazione di docente lo scorso anno, trattando il tema del burnout nei docenti di scuola elementare, mettendo in luce con trasparenza un tema che spesso è ancora considerato un tabù nel mondo della scuola. Il burnout è un fenomeno relativamente nuovo, almeno con questa definizione, ed è diffuso fra i docenti di ogni grado di scuola. Fin dagli anni Trenta c’erano studi che mettevano in rilievo come il 17% degli insegnanti fosse abitualmente nervoso e l’11% avesse sofferto di esaurimento nervoso. Luciana Castelli, docente al DFA della Supsi, ha inquadrato il disagio lavorativo dei docenti, citando studi internazionali che rivelano che circa il 70% dei docenti mostra ripetutamente sintomi di stress, sia nei paesi occidentali sia in quelli orientali, e circa il 30% sintomi di burnout. Questo termine, letteralmente bruciato, è stato introdotto dagli anni settanta e l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) lo classifica come una malattia, una sindrome: «sensazione di esaurimento; estraneità o sentimenti cinici o negativi nei confronti del proprio lavoro; prestazioni professionali ridotte». In Ticino il tema è stato affrontato nel 2012 nel rapporto «Sostegno ai/alle docenti in difficoltà», curato dal Dipartimento educazione, cultura e sport. La premessa è che il docente «si trova ad essere, a volte, l’anello debole di un sistema scolastico che riesce a evolvere solo con molta difficoltà e lentezza. Gli insegnanti in difficoltà si trovano, in maggior proporzione, agli estremi della vita professionale, ossia all’inizio e alla fine». Si sa da decenni, ormai, che la figura del docente è cambiata profondamente con il mutamento della società. Una volta, soprattutto nei villaggi, il sciur maestru o la «signorina» erano punti di riferimento per tutta la comunità. Ora non più e questo è uno degli aspetti che ha stravolto l’identità professionale dei docenti. «Per gli insegnanti – sostiene Luciana Castelli – è possibile affermare
Stress e burnout dei docenti è ancora spesso un tema considerato tabù anche se in Ticino da qualche anno è attivo il progetto Linea. (Keystone)
che stress e burnout sono fenomeni generati nell’interazione tra individui e il loro ambiente di lavoro, intendendo per ambiente di lavoro non solo la classe o la scuola, ma anche le politiche educative e i fattori socio-culturali». Secondo l’analisi del progetto «Sostegno ai/alle docenti in difficoltà» il disagio è determinato da tre fattori in particolare. La relazione con gli allievi e quindi la capacità di organizzare l’insegnamento. Il rapporto con i colleghi e con la direzione dell’istituto, che possono influire pesantemente sulla qualità del lavoro. Infine, la relazione con le famiglie. Molto spesso i genitori sono in difficoltà a gestire i figli e chiedono un sostegno alla scuola, che però non può sostituirsi al ruolo genitoriale. La famiglia ha sempre più aspettative nei confronti dei figli che si ripercuotono sulla scuola. Una docente elementare ci diceva, emblematicamente, che le mamme pretendono fin dai primi anni di scuola che il figlio vada al liceo. La ricerca «Lavorare a scuola», curata da tre docenti Supsi nel 2017, ha fotografato lo stato di benessere, o malessere, di 2741 docenti di tutti gli ordini scolastici, che rappresentano circa la metà di tutti gli insegnanti attivi nelle scuole pubbliche del Cantone. Il risultato è piuttosto chiaro: la grande maggioranza degli intervistati, l’80%, non è da ritenere a rischio burnout. Il restante 20% è invece al di sopra della soglia di vigilanza, quindi a rischio, soprattutto, di subire un burnout lavorativo. Sono cifre che, più o meno, si ritrovano in analoghi studi realizzati in Svizzera.
Ciò che fa specie è che le condizioni del lavoro stanno peggiorando in generale, in tutti i settori e in tutto il Paese. La Segreteria di Stato dell’Economia (SECO), in due indagini sullo stress della popolazione attiva in Svizzera, rileva che la percentuale di chi soffre di stress cronico sul posto di lavoro è passata dal 26,6% nel 2000 al 34,4% nel 2010. Le testimonianze raccolte da Georgia Imperiali sono molto interessanti, perché su questi temi non è facile che i docenti in difficoltà si esprimano. Quali sono i fattori che portano al burnout? «Non è il lavoro in sé, ma il contesto. – racconta un docente di 62 anni che è andato in pensione a 60 – L’educazione, il rispetto delle regole e delle persone. Anche i nuovi piani di studio, il cambio è stato molto stressante. I colloqui con i genitori e il numero degli allievi per classe». «Innanzitutto, il cambiamento. – dice una sessantatreenne – Per una docente come me che ha insegnato per tanti anni con una metodologia e poi cambia il sistema, chiaramente è difficile. Oggigiorno ci sono sempre più bambini problematici, con varie situazioni. Situazioni famigliari complicate. E, naturalmente, i bambini difficili da gestire in classi numerose». Una giovane di 26 anni elenca motivi diversi: «Innanzitutto penso a una non buona situazione con i colleghi, quindi non avere un ambiente sano all’interno della scuola, con i propri colleghi. Poi penso alla direzione assente, che non ti possa aiutare. E poi alcuni casi particolari all’interno della classe. Anche i genitori degli allievi, spesso, possono
provocare un certo stress». Per un maestro di 35 anni quali sono i fattori che mettono sotto pressione? «Le situazioni famigliari degli allievi, le loro casistiche e la difficoltà di ottenere degli aiuti in classe. Però durante gli anni precedenti d’insegnamento ho anche visto che sono molto stressanti le classi numerose e le pluriclassi. Anche l’ambiente tra colleghi è fondamentale. Ho sentito spesso storie anche di vero e proprio bullismo tra colleghi. Inaccettabile, se si pensa che stiamo parlando di adulti che stanno esercitando una professione come quella del docente, dove dobbiamo insegnare agli allievi a non fare cose di questo genere». Di che cosa avrebbero bisogno, questi docenti, per far fronte al loro disagio? «Sostegno da parte della direzione e una figura di aiuto in classe, che ho poi ottenuto. Sapere che non ero sola e che non è facile come sembra all’esterno questo mestiere». E ancora: «Penso che la direzione del Dipartimento, e di riflesso le direzioni delle scuole, dovrebbero aiutare di più, essere più vicine ai docenti e non sempre schierarsi contro. Facilitare l’ottenimento di aiuti in classe, classi meno numerose. Poi per il resto, anche se è difficile, controllare e aiutare il corpo docenti a gestire un po’ le famiglie “difficili” e le dinamiche fra i colleghi». I docenti anziani fanno fatica a stare al passo con i cambiamenti anche perché, va detto, negli ultimi anni la scuola dell’obbligo è stata investita da riforme, riuscite o meno: il progetto la scuola che verrà, il nuovo piano di stu-
dio che privilegia le competenze, i poli, il profilo del docente, ecc. Inoltre, ma non da ultimo, va considerata l’eccezionalità di quest’ultimo anno, con due mesi di scuola a distanza con l’uso degli strumenti informatici di comunicazione e la scuola in presenza con le misure anti covid-19. Tutti aspetti che hanno ulteriormente reso fragili chi già si trovava in difficoltà. I più giovani chiedono maggior sostegno, che non sempre i colleghi e le direzioni sono in grado di offrire. «La formazione – precisa Georgia Imperiali – viene più volte definita come lacunosa sotto certi punti di vista. Mancherebbe quindi una formazione più pratica in relazione a quella che è la vita di tutti i giorni del docente che deve gestire casistiche particolari in classe». Per soccorrere i docenti in difficoltà da qualche anno in Ticino è stato creato il progetto Linea, «uno spazio pensato per le insegnanti e gli insegnanti, per chi è attivo nel mondo scolastico e per tutte le persone interessate, dove trovare informazioni e sostegno in relazione a disagi e difficoltà nell’ambito della propria professione». Linea si muove in diverse direzioni, con attività di prevenzione, grazie agli spettacoli di teatro interattivo curati dalla compagnia UHT dei Giullari di Gulliver, che propongono giochi di ruolo dove il docente ha l’occasione di esprimere le sue eventuali difficoltà. Vi è inoltre un servizio di sostegno psicologico che opera in collaborazione con il Laboratorio di psicopatologia del lavoro dell’Organizzazione sociopsichiatrica cantonale. Viene offerto uno spazio di riflessione e sostegno, neutrale e confidenziale, ai docenti che stanno attraversando un momento difficile. In verità molti insegnanti non se la sentono di confidarsi con un ufficio che fa capo, di fatto, al datore di lavoro, temendo di evidenziare la propria inadeguatezza. Perciò chi si trova confrontato con un burnout lavorativo si rivolge più facilmente agli psicoterapeuti privati, che hanno un numero non indifferente di utenti che provengono dal mondo della scuola. Il concetto cruciale della fatica dei docenti è la relazione: con gli allievi, i colleghi, le direzioni, il dipartimento e i genitori. Dalla qualità di queste relazioni dipende la salute dei docenti e, soprattutto, la possibilità di fare una buona scuola. Bibliografia
Georgia Imperiali, Non ce la faccio più, Supsi, 2020.
Viale dei ciliegi di Letizia Bolzani alice James-louie Stowell, Piccola guida al benessere mentale, edizioni usborne. da 12 anni Gli amici, la famiglia, il proprio corpo che cambia, i social media, le pressioni del mondo esterno e il tumulto di quello interno: essere adolescenti non è (mai stato) facile, ma per crescere si deve passare di lì. Ben vengano, comunque, delle guide che possano fungere da supporto, da orientamento e da aiuto nello sciogliere il groviglio di pensieri che a volte appesantiscono la mente. Se queste guide sono, come dire, in carne ed ossa, costituite da adulti responsabili, saggi e capaci di ascoltare, l’aiuto può essere ottimale; ma anche le pagine di carta di una «piccola guida», come si autodichiara questo manuale, possono risultare preziose. Le due autrici, con la consulenza di una psichiatra e di una psicologa, affrontano – con pacatezza ma anche senza censure o infingimenti – le tante questioni che possono diventare pro-
blematiche nell’adolescenza. In certi casi ridimensionandole, o rassicurando su come sia normale a volte sentirsi inadeguati, o avere una famiglia che non corrisponde ai canoni tradizionali; altre volte invece sottolineando con forza la pericolosità di alcuni comportamenti e la necessità di chiedere aiuto. I vari capitoli affrontano ad esempio le emozioni e come gestirle; il rapporto con se stessi e con il proprio corpo; gli amici; la famiglia; le tematiche legate alle prime pulsioni sessuali e all’amo-
re; il mondo di internet. E anche temi più complessi, come depressione, ansia, problemi alimentari. Ogni capitolo è snello e conciso, dopo una breve introduzione esplicativa ci sono alcuni consigli pratici per stare meglio; mentre ovviamente nel caso di problematiche più gravi il consiglio è quello di rivolgersi a un adulto di fiducia. d. Hugues, r. Gaughan, alicemay Bermingham e t. moore, Mamma, ti voglio bene, ape Junior. da 1 anno È uno di quei libri che magari non catalizza l’attenzione delle raffinate giurie critiche, perché è (apparentemente) semplice e non è (particolarmente) innovativo. Però è uno di quei libri che, statene certi, i piccolissimi adoreranno. Magari si sporcherà di pappa, magari si usurerà un po’, ma non si romperà, nonostante sia fatto per venire agguantato infinite volte da manine impetuose. Le sue pagine sono robustissime, e gli effetti da «paper en-
gineering» – finestrelle da trascinare, rotelline da girare, alette da sollevare – creano sorprese ad ogni pagina. Non c’è una vera e propria storia, ma è giusto così, perché da 1 a 3 anni quelle che si propongono ai bambini sono piuttosto delle proto-storie. C’è però un tema, e che tema: il legame tra madre e figlio, declinato simbolicamente nel rapporto tra le mamme animali e i loro cuccioli. Ad ogni pagina un diverso animale, con frasi scandite ogni volta
dallo stesso incipit, che sancisce il legame d’amore: Ti voglio bene mamma. E poi, ogni volta, un’affermazione correlata allo specifico animale ma anche a sentimenti universali di protezione, rassicurazione, cura. E ogni volta l’immagine si anima, e sarà il bambino, con grande divertimento, a farla animare. Si solleva l’aletta e il cucciolo di lontra, che prima si intravvedeva tra le canne, appare placidamente addormentato sulla pancia della mamma: «mi stringi forte così non mi bagno». Si fa scivolare verso l’alto la levetta e la mamma foca spunta dall’acqua per dare un bacio sul naso alla sua fochina accoccolata sul ghiaccio. Si fa scendere una finestrella e siamo sottoterra nella tana dei coniglietti... tante mamme, tanto amore, fino all’ultima pagina, scintillante nella notte, con l’orsetto che dice: «ti voglio bene , mamma. Sei forte davvero e io dormo al sicuro senza un pensiero». Un libro per tutti i momenti della giornata, fino alla nanna.
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Società e territorio Rubriche
l’altropologo di Cesare Poppi la croce e il tam tam La cultura diffusa in un mondo globalizzato identifica l’Africa a Sud del Sahara come la terra di missione per eccellenza. L’ancora incompleta adesione di larghe porzioni di popolazione alle «religioni missionarie» dominanti, Cristianesimo ed Islam, farebbe da controparte «culturale», nell’immaginario collettivo, al cronico sottosviluppo di quelle stesse parti del continente. Si tratta di uno strascico culturale dell’epoca coloniale nella declinazione di quella «missione civilizzatrice» che lo giustificò ieri e continua oggi nella versione aggiornata di quello che alcuni hanno chiamato «accanimento sviluppista». Ma, come al solito, le ironie della Storia sono lì a giocare brutti scherzi. Non solo – come è salutare – la Chiesa Copta africana, coi suoi circa 60 milioni di fedeli, risale al I secolo dopo Cristo essendo fondata sulla predicazione di Marco ai tempi di Nerone, ma è sopravvissuta all’islamizzazione laddove l’intera fascia del Maghreb di
cultura romano-bizantina fu convertita – in un modo o nell’altro – nel giro di poco più di cinquant’anni dopo ben sette secoli di cristianizzazione. Se a questo si aggiunge il fatto che le ultime sacche di resistenza del cosiddetto paganesimo in Europa durarono nella Prussia di lingua baltica fino al XVII secolo (la Lituania essendo divenuta nominalmente cristiana solo nelle prime decadi del XV secolo), allora ci accorgiamo di quanto errata sia la vulgata che vorrebbe un’Europa intrinsecamente «cristiana» contrapposta e pronta a convertire un’Africa per definizione «pagana». Nel 1483 una caravella portoghese al comando di Diego Caõ gettava l’ancora alle foci del fiume Kongo. Qualche tempo dopo, reso omaggio all’Imperatore del Kongo, allora la formazione politica dominante una buona parte di quell’immenso bacino fluviale, se ne sarebbe tornato in Portogallo portando con sé un’importante delegazione diplomatica. Questa fu prontamente
battezzata all’arrivo a Lisbona e passò otto anni ospite di un monastero. Sarebbe poi tornata nel 1491 assieme ad un contingente di artigiani, carpentieri, fabbri, soldati – preti e doni per tutti. Ancorati a Mpinda, i portoghesi si fermarono il tempo necessario a convertire il governatore di Soyo. Era questi il potente zio matrilineare dell’Imperatore, e come tale figurava in termini di autorità e potere, quanto e forse più del padre biologico in un regime nel quale il titolo di capofamiglia spetta non al padre ma al fratello della madre. Fu questa autorità, con ogni probabilità, a facilitare il percorso di avvicinamento fra portoghesi e congolesi e spianare la via verso la capitale Kilukeni. Qui i portoghesi furono ricevuti dal Manikongo (Imperatore) e da cinque dei suoi dignitari. Nzingaa-Nkuwu era nato nel 1470 ed era allora un vigoroso ed intelligente uomo di Stato intento ad allargare i confini dei suoi domini che già coprivano almeno 100’000 chilometri quadrati di
territorio. Attento alle novità, decise di convertirsi – e far convertire con lui la moglie Nzinga-a-Nlaza e i massimi esponenti dell’aristocrazia congolese. Il battesimo si svolse in pompa magna il 3 maggio 1491. I neoconvertiti assunsero i nomi delle controparti della corte portoghese che ne divenne una sorta di «doppio»: così Nkuwu assunse il nome di Joao I, la moglie Nlaza di Leonor mentre il figlio Nzinga-aMvemba, che lo avrebbe succeduto, ricevette il nome di Afonso. Pochi giorni dopo mille operai congolesi costruivano una cattedrale con le maestranze portoghesi. Una favola: il primo incontro fra l’Europa e l’Africa avvenuto all’insegna di una pacifica e mutua «lettura» al termine della quale ci si accorda per una qualche forma di «integrazione culturale» fra le parti. Da un lato l’uso europeo per il quale il Padrino di battesimo diventa «compare» e dunque padre «spirituale» del figlioccio, dall’altro l’ideologia congolese matrilineare secondo la
quale la patria potestas è prerogativa dello zio risiede nello zio materno, pace la paternità biologica. Il tutto condito con la concezione sacrale della regalità africana secondo la quale il Re si manifesta tanto nel corpo fisico tangibile quanto in un corpo mistico legato in varia misura al mondo degli antenati regali, laddove esiste come in una sorta di mondo parallelo. In tutta l’Africa a Sud del Sahara il bianco è il colore della morte, ed i bianchi erano (e sono) visti come i morti che tornano dall’Occidente, dove muore il sole e al di là delle acque, dove sta il mondo dei morti. Da laggiù, sulla linea dell’orizzonte, nel 1483 i congolesi videro emergere gli alberi della caravella di Diego Caõ. Una favola ad amaro fine? Certamente fu il coincidere di aspettative qui-pro-quo e rispecchiamenti culturali reciproci che spetterà alla Storia Storieggiata smentire crudelmente. Ma parve – per un attimo – che la Storia potesse andare Altrimenti. Parola di Altropologo.
Tribunale di Milano ha rintracciato la donna, cui ha garantito l’anonimato, ma questa, ormai settantenne e divenuta madre e nonna, ha risposto: no, assolutamente no. Una sentenza di morte per quella che, anche se non è stata legalmente riconosciuta, rimane comunque sua figlia. Ma forse non c’è bisogno di tanto, dovrebbe bastare la possibilità di aiutare un essere umano. C’è dell’odio in questa settantenne, cui il destino ha concesso la possibilità di compiere un gesto generoso che potrebbe riscattare tanta sofferenza. Sì perché la figlia rifiutata è frutto di una violenza sessuale, di un trauma devastante che la vittima ha cercato di rimuovere coprendolo con la lastra di piombo dell’oblio ma là sotto i sentimenti negativi – la rabbia, il risentimento, il rancore – sono rimasti intatti, pronti a emergere, come infatti è accaduto, alla prima occasione. L’odio non elaborato, non compreso, non condiviso, genera odio in una catena infinita di violenza e di pena. Solo perdonando il suo violentatore la vittima avrebbe potuto ritrovare la capacità di
amare. Ora è troppo tardi ma questo terribile episodio ci deve insegnare a stare accanto alle madri, a tutte le madri, perché detengono il bene più grande dell’umanità: la catena della generazione. Purtroppo è venuta meno l’educazione alla maternità, come se mettere al mondo un bambino fosse esclusivamente un compito medico. È anche questo, ma non solo. Dare alla luce è nello stesso tempo un atto personale e relazionale, privato e collettivo, un compito che rivela forza e fragilità, autonomia e dipendenza. Il nuovo nato germina nel grembo di una donna ma la gestante per essere serena deve essere circondata dall’amore della propria madre, del partner, della famiglia e della comunità. Una cattiva maternità rivela che quell’abbraccio è mancato e dopo è inutile la caccia al colpevole. Credo che il rifiuto di quella «non madre» non sia disumano ma che riveli anzi la complessità delle nostre ragioni e la conflittualità delle nostre passioni. Bertolt Brecht conclude una cantata su una povera serva che ha soppres-
so il figlio appena nato, con queste parole: «O voi che partorite comode in un letto / e il vostro grembo gravido chiamate benedetto / non lanciate l’anatema / fu grande il suo peccato / ma pur grande è la sua pena». Una pena, un dolore, che non colpisce solo quella madre «snaturata» ma noi tutti, improvvisamente consapevoli che l’ideale della maternità non è sempre luminoso come crediamo; come tutti gli ideali può essere travolto dal male e dal dolore trasformandosi nel suo contrario. Eppure , cara Claudia, come dimostra la sua storia è possibile rimettere in moto la catena della vita sino a pronunciare la parole che inaugurano la sua lettera: fortuna meraviglia, orgoglio, vita… e la importante: gratitudine.
per le conseguenze sul piano morale, culturale, sentimentale. All’improvviso, ci si deve ricredere: non siamo i più bravi. E, proprio nel momento in cui lo «swissmade» avrebbe potuto confermare la sua superiorità. Invece delude, istaurando un clima da caccia ai colpevoli, come avviene ovunque. Sotto processo, quindi le multinazionali della chimica, i burocrati di Bruxelles, i politici di Berna e Bellinzona, i virologi che si contraddicono, le autorità vallesane che, vietando l’assunzione di nuovi collaboratori, bloccano l’attività della Lonza, impegnata nella produzione di vaccini. Parlando di vaccini, si tocca il punto cruciale della questione. Proprio qui, la patria di famose imprese farmaceutiche avrebbe dovuto ottenere un primato, per così dire annunciato. E invece eccoci al cospetto di un’incomprensibile latitanza.
Dalle sconfitte s’impara. Al di là della retorica, da quest’occasione mancata è giocoforza ricavare una lezione di modestia, il ridimensionamento di un orgoglio nazionale che facilmente sbanda in autocompiacimento o, peggio, in ostilità e disprezzo degli altri. Ed è, del resto, un effetto collaterale della pandemia, a sua volta un virus parallelo che sta offuscando la visione reale delle cose, incentivando la corsa a un primato da raggiungere su percorsi contrastanti: immunità di gregge, lockdown totale, aperture-chiusure alternate, prima la salute o l’economia. L’obiettivo: dimostrarsi i migliori. Non rappresenta, certo, una prerogativa elvetica. Si è manifestato, in forme esasperate, al limite del grottesco, come avviene nella vicina Italia. Ne siamo testimoni noi ticinesi, assidui spettatori dei programmi, diffusi dalla Rai, dalla
7, da Mediaset, dove questo nazionalismo da virus si spreca, in ogni ambito e occasione. Tricolore a iosa, persino sulle mascherine di politici in cerca di consensi. La definizione eccellenza applicata alla sanità pubblica come alla Nutella e alle ferrovie. È persin comodo registrare i vizi altrui, ricavandone la consolazione che c’è chi fa peggio. Ma non è neppure il caso di sfruttare quest’occasione mancata per denigrare un paese che continua ad assicurarci un’esistenza dignitosa. Si tratta, piuttosto, di far ordine fra i nostri sentimenti. Un conto è il patriottismo, quel senso di appartenenza al terroritorio e alla collettività che ci circondano. Un conto il nazionalismo che coltiva il mito di una superiorità discriminatoria e illusoria. È bastata una pandemia per buttarla all’aria.
la stanza del dialogo di Silvia Vegetti Finzi Se la maternità non corrisponde all’ideale Cara Silvia, lei non ci crederà ma mi considero una donna fortunata anche se la mia nascita non è stata un «lieto evento». Sono stata cresciuta da una donna meravigliosa che ho sempre chiamato con orgoglio mamma, anche se non era la mia mamma biologica. Ora è morta ma vive nel mio cuore. Provo per lei una profonda gratitudine. Invece la mamma «vera», come si dice sbagliando, non l’ho mai conosciuta perché mi ha abbandonata alla nascita. So soltanto che era una contadina che viveva in un piccolo paese di montagna e sessant’anni fa era dura per tutti, figurarsi per una ragazza rimasta incinta senza essere sposata! Da bambina avrei voluto tanto conoscere la donna che mi aveva messa al mondo, sognavo che prima o poi l’avrei incontrata. Invece niente, in compenso la mamma adottiva – questa sì vera! – mi ha insegnato ad aver compassione dell’altra, a comprendere che se mi aveva data in adozione era perché voleva il mio bene, perché sperava che trovassi una famiglia in grado di crescermi, di amarmi,
di rendermi felice. Ora le confesso che pochi giorni fa sono rimasta sconvolta dalla notizia di una donna del comasco, madre segreta di una neonata lasciata in adozione, che si rifiuta di donare una goccia di sangue alla figlia naturale che potrebbe aver salva la vita se i medici riuscissero a ricostruire il codice genetico, partendo da quello materno. Da quando ho letto questa storia non posso togliermela dalla testa, mi chiedo: com’ è possibile? Che cosa vuol dire «essere mamma»? / Claudia Cara Claudia, il suo interrogativo riecheggia nel cuore profondo dell’umanità perché la notizia è stata diffusa ovunque e perché tutti si nasce figli. La completo per chi non l’avesse ancora letta: una giovane donna, non riconosciuta dalla mamma naturale e adottata da una coppia di Milano, è affetta da una forma di tumore rara e aggressiva, la sua unica speranza di sopravvivenza risiede nella mappatura del Dna materno per la quale basta una goccia di sangue. Il
Informazioni
Inviate le vostre domande o riflessionia Silvia Vegetti Finzi, scrivendo a: La Stanza del dialogo, Azione, Via Pretorio 11, 6901 Lugano; oppure a lastanzadeldialogo@azione.ch
mode e modi di Luciana Caglio Svizzera: perfezionismo in crisi Ai primati ci eravamo, ormai, abituati, come fosse un automatismo. Il nome della Svizzera, infatti, svetta da decenni in testa alle classifiche mondiali, negli ambiti più svariati. Persino quello, difficilmente quantificabile, della felicità, abbinata, nelle statistiche, alla cosiddetta qualità di vita che città come Ginevra, Zurigo, Basilea sono in grado di garantire. Ai primi posti, compaiono regolarmente, il Politecnico di Zurigo e l’Università di San Gallo e, più in generale, il nostro sistema educativo, con le scuole professionali, modello esportato persino negli USA. Non mancano, infine, nostri concittadini, insigniti del Nobel, per la scienza e la ricerca. Si giustifica, insomma, il diffuso orgoglio elvetico, da cui è derivato un senso di sicurezza, addirittura d’incolumità nei confronti dei guai che affliggono, invece, gran
parte del mondo. Come dire, disordini politici, inadempienze organizzative e conflitti sociali non ci concernono, tutt’al più in forme blande. È, del resto, il motivo che induce privilegiati stranieri a trasferirsi nella Confederazione, dove le cose funzionano puntualmente. Nomen omen, la Svizzera fedele alla sua fama: tutto ciò fino al febbraio 2020, quando un paese, dove ci si assicura anche contro il rischio pioggia-vacanze, ha dovuto arrendersi all’imponderabile: un virus che si affida soltanto alla fatalità. Alle prese con quest’evento astruso, una compagine nazionale, forse idealizzata, è andata in tilt, costretta a rivelare limiti e contraddizioni. Per i suoi cittadini, uno choc sconvolgente. Non tanto per gli effetti d’ordine materiale-disciplinare, bar chiusi, niente viaggi, mascherine, ecc., in fin dei conti accettabili, quanto
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 maggio 2021 • N. 18
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ambiente e Benessere Revenge travel Si registra un impaziente desiderio di tornare a viaggiare dopo la frustrante immobilità
Il cielo nordico dei pastori di renne Non solo aurore boreali, ma anche nuvole di madreperla, colonne di luce e i cosiddetti «pareli»
Strani e affascinanti Si chiamano Nudibranchi e sono molluschi gasteropodi coloratissimi e multiformi
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Ideale per un picnic Delicati crostini con asparagi e fragole per uno stuzzichino che si prepara in un lampo pagina 21
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Ginocchio, lesioni dei tendini e riabilitazione medicina Chirurgia o no, dopo un trauma
la riabilitazione è fondamentale per riprendere la migliore funzionalità
Maria Grazia Buletti La lesione legamentosa del ginocchio è uno dei principali traumi di cui si parla (soprattutto, complice lo sci, durante la stagione invernale). La lesione dei legamenti crociati è pure uno dei traumi primari cui va incontro lo sportivo che pratica attività agonistica. «È una patologia traumatica che interessa in particolar modo il legamento crociato anteriore, responsabile della stabilità dell’articolazione in senso anteriore e rotatorio; mentre il legamento crociato posteriore assicura la stabilità posteriore del ginocchio ed è meno interessato a livello traumatico», afferma il dottor Matteo Denti, specialista in chirurgia ortopedica e traumatologica dell’apparato locomotore alla Clinica Ars Medica di Gravesano. Lesioni queste che, dice: «Si verificano per lo più fra sportivi o professionisti, senza però lasciare indenni i semplici amatori». Nessuno ne è immune, dunque, fa presente il medico che indica l’aumento di questi traumi al ginocchio: «In generale, si osserva una maggiore possibilità di lesione in quegli sport cosiddetti “di contatto” e in quelli praticati su una superficie non uniforme». Più che strumentale, la diagnosi è dettata dall’esperienza clinica dello specialista ortopedico, punto di partenza per una presa a carico multidisciplinare del paziente infortunato: «La diagnosi clinica permette la valutazione della dinamicità del ginocchio, mentre la Risonanza magnetica è un esame strumentale statico che potrebbe trarre in inganno». La multidisciplinarietà della presa a carico del paziente, che l’ortopedico scelga di operare o che si segua una terapia conservativa secondo ciascun caso specifico, è la cifra sulla quale poggia pure la riabilitazione fisioterapica di cui ci parla la responsabile del servizio fisioterapia dello sport di Ars Medica Danja Santini: «Chirurgo ortopedico, fisioterapista e preparatore atletico sono figure che concorrono al programma delle fasi di ripresa e allenamento riabilitativo, a cui ad esempio si affianca il fisiologo dello sport per gli sportivi che necessitano di ulteriori test specifici atti
a valutare l’aspetto aerobico del corretto allenamento di recupero». Di fatto, la riabilitazione post traumatica delle lesioni tendinee del ginocchio è una fase specifica e saliente per riuscire a riprenderne la migliore funzionalità: «Non sono trattati unicamente gli sportivi, ma l’approccio è attivo per ciascun paziente, con l’intento di restituire libertà di movimento a ogni età (anche pediatrica per cui abbiamo fisioterapisti specializzati). Questo fa sì che ne possa beneficiare chiunque: dagli sportivi alle persone che svolgono attività fisica intensa o amatoriale, o semplicemente persone che amano camminare in montagna». La decisione di intervenire o no chirurgicamente, dicevamo, compete al chirurgo ortopedico che può essere pure coadiuvato da test fisioterapici a complemento degli elementi clinici e strumentali da valutare, spiega Santini: «I pazienti inviati dal medico per valutazione all’eventuale intervento chirurgico sono sottoposti a test, pedane, balzi, prove di forza per lesioni del crociato non completa: valutiamo ad esempio la stabilità attiva sottoponendo il ginocchio a un controllato stress di movimento, secondo attività e movimento correnti del paziente». La riabilitazione post traumatica si divide infine in due percorsi dettati dalla decisione di praticare una terapia conservativa o intervenire chirurgicamente. Nel primo caso: «Valutiamo lo stato del ginocchio per il quale si è scelta la terapia conservativa (senza i postumi dell’intervento chirurgico) per avere un punto di partenza nel programma riabilitativo: mobilità, gonfiore, recupero del trauma e valutazione degli eventuali altri danni muscolari. Di norma possiamo iniziare subito, a differenza del paziente operato per il quale bisogna osservare altri criteri che vedremo». La riabilitazione procede per passi attraverso un protocollo personalizzato: «Iniziamo a impostare il programma che è da subito “attivo” (mobilità buona, niente gonfiori permettono di cominciare immediatamente), le cui tempistiche sono individualizzate e la
La responsabile del servizio fisioterapia dello sport di Ars Medica Danja Santini (con la paziente in fisioterapia). (Stefano Spinelli)
cui parte principale riguarda il buon controllo del muscolo quadricipite che perde di tonicità e forza (con il vasto mediale e vasto laterale esso stabilizza il ginocchio che di suo possiede pochi stabilizzatori e molti mobilizzatori: da qui la grande sua instabilità articolare). Con carichi più alti e poche ripetizioni degli esercizi fisioterapici si ricostruisce la forza, per poi passare alla ricostituzione della condizione fisica il cui percorso è pure molto personalizzato secondo il tipo di movimento e sport a cui il paziente è abituato. Infine, ci si occupa di forza, resistenza e stabilità del ginocchio: affrontiamo i grossi step sempre tenendo conto della condizione fisica e attiva del paziente il cui recupero è individuale, anche secondo la sua attività nel quotidiano (lo sportivo riposa dopo la fisioterapia, la persona amatoriale magari deve condurre la
propria vita, magari in ufficio, lavorando o con il ginocchio fermo)». Se l’ortopedico sceglie di operare, i tempi riabilitativi si allungano e la prima fase risulta più complessa: «Secondo il protocollo indicato dal chirurgo che indica la mobilità dei gradi del ginocchio, dobbiamo considerare il gonfiore post operatorio, gli effetti dell’infiammazione dovuta all’intervento e la mobilità incompleta. È pure necessario rispettare la guarigione del tessuto che è individuale e dipende da molteplici fattori come riposo, alimentazione, fumo (rallenta la guarigione tissutale) e alcol. Spesso ci sono lesioni associate (ad esempio il menisco) che possono influire nei tempi perché il ginocchio non può essere caricato a dovere. Passata questa prima fase delicata, il percorso è simile al precedente». Anche l’ortopedico sottolinea più
d’una volta la delicatezza della fase di riavvicinamento all’attività sportiva degli amatori, soprattutto dopo un intervento di ricostruzione dei legamenti crociati del ginocchio (cosa che è da ponderare a maggior ragione negli sportivi), invitando a rispettare i tempi riabilitativi a vantaggio di risultati migliori: «Sbagliare i tempi comporta un rischio maggiore di una recidiva della lesione che necessiterebbe un ulteriore intervento chirurgico». Entrambi sono concordi sulla personalizzazione del programma riabilitativo. «Rinunciando a essere aggressivi come un tempo, tutte le fasi riabilitative seguono la biologia e questo favorisce un recupero senza brutte sorprese» afferma Denti che ricorda come per tutta la vita il paziente dovrà impegnarsi a mantenere un buon tono muscolare: «Condizione essenziale per evitare ri-lesioni e recidive».
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 maggio 2021 • N. 18
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ambiente e Benessere
al via un esercito di agenti
Viaggiatori d’occidente Prepariamoci al «più grande boom di viaggi che il mondo abbia mai visto»,
ma con cautela e senso etico Claudio Visentin Un cauto ottimismo si diffonde tra i viaggiatori, sia pure con alti e bassi. Grazie ai vaccini la diffusione del Covid-19 si ridurrà fortemente, con meno probabilità d’ammalarsi e meno rischi di nuove varianti, spiegano gli esperti. A quel punto, ma solo allora, si potrà viaggiare senza timore d’infettarsi o d’infettare gli altri. Ci sono infatti anche implicazioni etiche: un Paese povero potrebbe aprire troppo presto i suoi confini spinto dal bisogno e sta a noi capire quando è il momento giusto per andarci (risposta: forse non ora, ma probabilmente tra non molto). «Quando buona parte della popolazione mondiale sarà vaccinata, preparatevi ad assistere al più grande boom di viaggi che il mondo abbia mai visto» sostiene Konrad Waliszewski, cofondatore e amministratore delegato dell’app Tripscout, portando a sostegno della sua tesi la domanda compressa da un anno di blocco e l’aumentata flessibilità del lavoro a distanza. Negli Stati Uniti gli agenti di viaggio stanno tornando in servizio in massa, dopo aver toccato il fondo: nel 2020 il giro affari è calato di oltre l’80% e il 60% del personale è stato licenziato. La professione dell’agente di viaggio era da tempo in lento declino, insidiata dalla diffusione delle prenotazioni online, ma ora la vecchia clientela è tornata compatta insieme a molti nuovi clienti. Infatti l’epidemia ha introdotto una moltitudine di regole e restrizioni in costante e rapido cambiamento (protocolli di sicurezza, vaccini, assicurazioni sanitarie, frontiere chiuse, annullamenti,
Il grande castello insulare di Guernsey, il Castle Cornet, noto anche come Cornet Rock o Castle Rock. (TheKaphox)
rimborsi eccetera) che solo un esperto agente di viaggio sempre aggiornato riesce a gestire. Uno di loro, Wendy Burk (La Jolla, California), racconta: «Alcuni clienti ci chiamano un quarto d’ora dopo il secondo vaccino, appena sono sicuri di non avere una reazione allergica, e gridano al telefono: “Prenotami qualsiasi cosa!”». Volete un’ulteriore prova? I biglietti aerei di solito sono acquistati con largo anticipo e quindi il loro prezzo è un buon indicatore degli umori del pubblico. Negli Stati Uniti le tariffe di maggio 2021 sono ancora di poco inferiori a quelle del 2019 ma avanzando nell’estate la differenza quasi si annulla. Un
segnale importante, sia pure tenendo conto della minore offerta (oggi sono disponibili 850 rotte internazionali rispetto alle 1400 dell’aprile 2019). Il «Washington» Post parla di revenge travel, un impaziente desiderio di rivalsa, di tornare a viaggiare dopo mesi di frustrante immobilità. Quasi tutti sono d’accordo ma molti preferiscono sostituire la parola «restauro» a «vendetta». Siamo appena usciti dalle quattro mura delle nostre case, quasi abbagliati dalla luce del giorno, e prima di rifarci delle passate privazioni abbiamo bisogno di ritrovare un equilibrio, di curare le ferite dell’anima. Viaggiare è un movimento d’apertura, offre l’op-
portunità di rompere la routine adottata per sopravvivere alla pandemia e sfuggire ai pensieri ossessivi coltivati durante la quarantena. Abbiamo bisogno di tutta la bellezza e l’umanità del mondo là fuori. Questo slancio però deve fare i conti con la realtà. Nel Regno Unito, il Paese per tradizione più incline ai viaggi, le prime dieci località con il maggior aumento di ricerche in rete sono ancora tutte all’interno dei confini nazionali. In particolare la piccola cittadina gallese di Saint Clears ha avuto il suo momento di celebrità registrando il miglior risultato; e considerate che la principale attrazione sono le poche e
un gemellaggio d’alta quota
incerte rovine di un castello normanno dell’XI secolo. Insomma dall’altra parte dell’Atlantico c’è ancora aria di Staycation: se non proprio vacanze nel giardino di casa, timide esplorazioni delle campagne circostanti. I più avventurosi sperimentano la variante della Seacation (il termine è stato coniato da Princess Cruises), ovvero crociere intorno alle coste inglesi invece dei più esotici Caraibi o del Mediterraneo. L’agente di viaggio Stefan Shillito, specializzato nel segmento del lusso, osserva stupito: «Me le chiedono con entusiasmo anche clienti che sono stati dappertutto, dall’Amazzonia all’Antartide». Il viaggio inaugurale della nave «Iona» di P&O Cruises sarà verso l’isola delle Ebridi (Scozia) dalla quale prende il nome. Qui probabilmente, intorno all’anno Ottocento, fu scritto il celebre Libro di Kells, un meraviglioso manoscritto miniato sfuggito poi alle razzie e ai saccheggi dei vichinghi. Dopo questa immersione nella storia medievale − bellissima, ma di solito non proprio la prima richiesta dei crocieristi − «Iona» cercherà il sole e l’Oriente… sul lato francese del canale della Manica. Un’altra storica compagnia di navigazione, Cunard, propone i «Viaggi del sole», sempre nei mari inglesi però, dove di sole ce n’è pochino e per questo il capitano della maestosa Queen Elizabeth deciderà la rotta giorno per giorno sulla base delle previsioni meteorologiche. In tutte queste proposte la tecnologia aiuta a limitare i rischi con imbarco senza contatto, accesso senza chiave alla cabina eccetera. Perché accanto all’ottimismo e alla voglia di partire c’è ancora tanta, tanta prudenza. Annuncio pubblicitario
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VID-19) e tutelare al massimo la salute e il benessere dei clienti e dei collaboratori. Proseguirà nei prossimi mesi con tutta la serie di iniziative e attività legate alla scoperta del territorio, alla gastronomia e all’arte, per offrire ai visitatori un’esperienza unica e piacevole. La ferrovia del Monte Generoso è una delle più antiche ferrovie a cremagliera della Svizzera e dal 1941 è di proprietà della Migros. Oggi il Percento culturale Migros supporta la ferrovia a cremagliera e la struttura «Fiore di pietra» in vetta al Monte Generoso, progettata dall’architetto Mario Botta. Informazioni sul programma nel sito www.montegeneroso.ch.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 maggio 2021 • N. 18
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ambiente e Benessere
I sami e i pilastri di luce reportage Rari spettacoli luminosi rischiarano la lunga notte artica
Irene Peroni Chi l’ha vista non la dimentica più: è come una tenda che spiove dal cielo e che ondeggia sinuosa; appare e scompare all’improvviso, per poi materializzarsi ancora alle vostre spalle o sopra le vostre teste, se siete fortunati. Nella cultura popolare dei sami, i pastori nomadi di renne del Nord della Scandinavia, l’aurora boreale ha anche uno speciale odore ed emette un suono, quasi un crepitìo, come ci spiega Håkan Rydving, professore di storia delle religioni presso l’Università di Bergen. «Si credeva che fosse pericoloso guardarla, e che in sua presenza non si dovesse mai fischiare o modulare il canto tradizionale, una specie di nenia chiamata joik», spiega. Si pensa spesso a chi abita a Nord del circolo polare artico con un senso di commiserazione per i lunghi mesi di freddo e di buio che è costretto ad affrontare quando il sole rimane sotto l’orizzonte. In realtà nelle ore centrali della giornata si gode di una luce bluastra molto suggestiva, chiamata appunto «l’ora blu», molto amata da pittori e fotografi scandinavi. Inoltre proprio a quelle latitudini si ha la fortuna di assistere, durante la stagione più rigida, a una serie di fenomeni poco conosciuti che in alcuni casi possono gareggiare in bellezza con l’aurora stessa: le nuvole di madreperla, le colonne di luce e i cosiddetti «pareli». «Le nuvole madreperlacee si formano quando c’è un forte vento che soffia sulle montagne. Ciò crea un movimento ondulatorio che si propaga verso l’alto», ci spiega Kristin Seter, meteorologa presso il Meteorologisk Institutt di Oslo. «Nella stratosfera di solito abbiamo aria secca e niente nuvole, ma in questo modo viene spinta fin lì dall’umidità, e si formano queste nubi
Il fenomeno noto in italiano con il nome parelio, in Norvegia è chiamato Bisol; sul sito www. azione.ch si trovano altre immagini, tra le quali foto dei pilastri di luce. (Bjorn Tore Pedersen)
dall’aspetto davvero singolare perché si trovano così incredibilmente in alto». Non si tratta dunque di un’illusione ottica: sono nuvole reali, e al loro interno si svolgono reazioni chimiche che risultano dannose per il famoso strato di ozono. Delle nuvole che vediamo di solito, le più alte sono i cirri: quelle madreperlacee si trovano a venti, trenta chilometri al di sopra della superficie terrestre. Per avere una chance di scorgerle, idealmente bisogna trovarsi almeno a 60˚ Nord o Sud. Il sole da sotto
Così si presenta una cosiddetta nube lenticolare. (Marvin Pope)
l’orizzonte le colpisce all’imbrunire oppure subito prima dell’alba; i cristalli di ghiaccio di cui sono costituite sono di forma e grandezza simile, e così attraverso la rifrazione dei raggi solari si forma un gioco di colori che ricorda l’arcobaleno. «Una sera, all’ora del tramonto, ero seduta in divano di fronte alla finestra più panoramica di casa mia, e ho capito subito di trovarmi di fronte a qualcosa di molto inusuale» racconta Giovanna Trotta, architetto, trasferitasi a Oslo dalla Svizzera quattordici anni or sono. «La forma delle nuvole era affusolata e avevano un aspetto perlaceo. Sono uscita sul balconcino e ho scattato subito alcune foto con il cellulare. Poi ho spedito messaggi a diverse amiche per accertarmi che le vedessero anche loro». Per quanto riguarda gli altri due fenomeni si tratta invece di effetti ottici. Nel primo, chiamato «pilastri di luce» o «colonne di luce», sembra di vedere delle colonne luminose, perfettamente verticali, che spesso si innalzano a partire da fonti di luce artificiale in un centro abitato: insegne colorate, lampioni e simili. Talvolta può invece apparire in cielo una banda luminosa verticale, anche isolata, di forma molto netta. In quel caso si tratta del riflesso dei raggi del sole. Le colonne di luce sono uno
spettacolo talmente inconsueto e surreale, che è già capitato varie volte che qualcuno le scambiasse per fenomeni extraterrestri. Nel secondo fenomeno, conosciuto in italiano come «parelio», si vede chiaramente un alone intorno al sole, e talvolta un secondo o perfino un terzo sole accanto a quello principale. Il parelio si verifica con una certa frequenza, un po’ come l’arcobaleno; uno dei motivi per cui di solito non ce ne accorgiamo è che veniamo abbagliati dal sole stesso. Entrambi questi fenomeni sono dovuti a cristalli di ghiaccio che si trovano nella troposfera, cioè nella parte di atmosfera più vicina alla terra. «Per quanto riguarda le colonne, i cristalli di ghiaccio sono relativamente vicini al suolo; sono interposti tra l’osservatore e la fonti luminose, e riflettono queste ultime verso i suoi occhi in modo tale da farle sembrare pilastri luminosi che si innalzano verso il cielo» spiega Kristin Seter. «I cristalli però devono essere piatti e servono delle condizioni particolari, pertanto si tratta di un fenomeno decisamente raro». I pareli invece presuppongono che i cristalli di ghiaccio esagonali si trovino più in alto, al livello dei cirri, dove fungono da prismi. Se la luce solare viene riflessa in uno strato sottile
di nuvole, l’effetto è quello di un alone circolare. A volte, a seconda della grandezza dei cristalli, questo alone viene compresso ai lati, e allora appaiono delle gore molto luminose che sembrano anch’esse dei soli. Naturalmente dei fenomeni così particolari e suggestivi non potevano non lasciare un’impronta sulla tradizione popolare. Il professor Rydving spiega che, per quanto riguarda la cultura sami, pilastri di luce rossi potevano suggerire che la pesca sarebbe andata male nei giorni successivi; altri invece credevano che annunciassero cielo sereno per un periodo prolungato. Anche i pareli, che in norvegese si chiamano «bisol», ovvero «doppio sole», aiutavano a prevedere il tempo: «Se il parelio era a sinistra del sole, sarebbe rimasto stabile a lungo; se invece era a destra, sarebbe presto cambiato», aggiunge il professore. Come nel caso dell’aurora boreale, neanche i locali possono dare indicazioni su quale sia il momento migliore per ammirare questi spettacoli. Bisogna armarsi di pazienza, essere pronti a uscire di notte anche quando la colonnina di mercurio segna numeri a due cifre sotto lo zero, e soprattutto serve molta, moltissima fortuna. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 maggio 2021 • N. 18
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ambiente e Benessere Un esemplare di Dondice, Dondice banyulensis, Ventimiglia, Italia, Mar Ligure, Mediterraneo. Su www.azione.ch si trova una galleria fotografica più ampia. (Franco Banfi)
le mille forme dei Nudibranchi
mondo sommerso Quando la natura concentra design, arte, horror, chimica e fisica in un’unica specie (parte prima)
Sabrina Belloni Creature striscianti dall’aspetto curioso ed eccentrico, corpi molli, amorfi, con strane forme e colori psichedelici, talvolta fosforescenti, con efflorescenze e antenne. Non stiamo parlando di alieni provenienti da lontane galassie ma di parenti stretti delle lumache. Molluschi gasteropodi strani e affascinanti. Si differenziano in oltre 7000 specie e, allo stadio adulto, sono tutti completamente nudi, privi di gusci protettivi, quasi totalmente ciechi. Vivono strisciando molto lentamente sul loro ventre (il «gastro»), aggrappati ai fondali marini per evitare di rotolare in balìa delle correnti. Come tali, sono chiaramente esposti alla voracità di predatori affamati, in un mondo dove le regole per campare sono ferree: vince il più forte o il più furbo. E anche i nudibranchi hanno adottato strategie per sopravvivere in ambienti a loro così tanto ostili. E in particolare hanno sviluppato vari meccanismi davvero efficaci, quali la colorazione criptica, il camuffamento e le modifiche comportamentali. Alcuni, ad esempio, sono attivi solo di notte. Probabilmente la tattica più singolare è l’uso selettivo di sostanze chimiche (fra le quali l’acido solforico) che li rendono estremamente riconoscibili: per i predatori, essi risultano assolutamente sgradevoli, quando non letali. Per i membri della stessa specie sono facilmente identificabili, talmente tanto che talvolta diventano un lauto pasto, poiché alcuni nudibranchi sono cannibali e non disdegnano un proprio commensale, se l’ambiente circostante non offre di meglio. Quanto a banchetti, il nudibranco Cratena peregrina predilige prede che stanno ancora alimentandosi, non solamente perché in tale frangente esse sono meno attente ai pericoli circostanti pertanto più vulnerabili. Le ricerche effettuate da Trevor J. Willis1 e Luigi Musco2 e altri hanno dimostrato che in tal modo i nudibranchi assumono nutrimento anche dal cibo non digerito dalla propria preda. Cratena peregrina vive in acque superficiali in Mediterraneo e lungo le coste atlantiche dell’Africa, in habitat ricchi di idroidi (che sono, semplificando, colonie di polipi fissati a un substrato). Il nudibranco, oltre a sfruttare gli idroidi come superficie sulla quale spostarsi,
si nutre dei polipi della colonia, preferendo di gran lunga quelli che hanno appena catturato del cibo. Sorprendentemente, gli esperti ritengono che questo comportamento porti beneficio anche agli idroidi, poiché il nudibranco si sazia ingerendo un numero inferiore di polipi ben pasciuti anziché fare razzia di una quantità maggiore ma vuota (e pertanto meno nutriente), il che metterebbe a rischio la riproduzione e la sopravvivenza della colonia. La comprensione delle strategie alimentari e dei risultanti legami tra le specie è fondamentale per l’intuizione delle dinamiche nella comunità marine e nei flussi energetici. L’aspetto dei nudibranchi dà ine-
quivocabilmente nell’occhio. Nell’ambiente marino, i colori vivaci sono spesso utilizzati come messaggio: le livree vistose sono avvertimenti facilmente identificabili e sono scientificamente definite «colorazione aposematica». Dopo qualche tentativo di cibarsene, i predatori (quando sopravvivono) imparano a evitare i nudibranchi e collegano i colori appariscenti al disgusto. Anche nell’ambiente marino c’è però chi copia e se ne approfitta. Alcuni platelminti (vermi piatti), non tossici e quindi appetitosi, sono simili ai nudibranchi: ne imitano la livrea per confondere i propri predatori e vivere un’esistenza più tranquilla. In una famiglia di nudibranchi, i
priccianti, degne da film horror: alcuni nudibranchi Elysia marginata, allevati in laboratorio, si sono auto-decapitati e hanno abbandonato il proprio corpo. Le ferite al collo sono guarite in un giorno e le teste si sono regolarmente alimentate dopo poche ore. L’intero corpo ha impiegato solamente 21 giorni per ricrescere. Si ritiene che tale gesto estremo sia effettuato per liberarsi da copepodi (minuscoli crostacei parassiti), mentre sarebbe del tutto inutile in caso di predazione, poiché il procedimento richiede alcune ore. Quando i ricercatori hanno simulato un attacco di predatori ai danni dei nudibranchi, nessun animale ha frammentato il proprio corpo. Resta un mistero, per ora irrisolto, come questi animali riescano a sopravvivere per circa un mese privi degli organi vitali che restano nella parte di corpo abbandonata.
Chromodoris dianae, North Sulawesi, Indonesia, Oceano Pacifico. (Franco Banfi)
Chromodorididae, i colori sono spettacolari e molto evidenti. Recentemente i ricercatori hanno dimostrato che nel loro mantello ci sono ghiandole specializzate a conservare sostanze chimiche velenose (i metaboliti) che loro estraggono dalle spugne di cui si cibano. I ricercatori Karen L. Cheney e Andrew White3 hanno dimostrato che i nudibranchi Chromodoris non solo estraggono le sostanze tossiche dalle spugne, ma sono in grado di selezionarle: conservano nel mantello quelle a loro più utili a fini difensivi (ad esempio Iatrunculina A, che impedisce la polimerizzazione dell’actina – una proteina – all’interno dei processi cellulari), mentre ne ingeriscono altre come cibo (queste ultime sono state ritrovate nelle viscere). La ricerca ha dimostrato che i Chromodoris si sono specializzati sia nel proteggere sé stessi dalla tossicità del Iatrunculina A (immagazzinandola nel mantello, ben lontano dagli organi essenziali per sopravvivere), sia nell’utilizzo della sostanza a scopo difensivo. Non è stato ancora scoperto come essi riescano a disinnescare il processo chimico di polimerizzazione che li porterebbe a morte certa; la ricerca è molto interessante per i possibili sviluppi in campo farmaceutico, ad esempio per l’effetto citotossico selettivo ai danni delle cellule cancerogene. Un altro sorprendente comportamento è l’auto-mutilazione: così come le lucertole e i lombrichi, i nudibranchi sono in grado di segmentarsi e di separare parti del corpo. Sayaka Mitoh4 ha recentemente assistito ad azioni racca-
Due Glossodoris atromarginata, Lembeh Strait, Nord Sulawesi. (Franco Banfi)
La lumaca della verruca di Rüppell, Sha’ab Rumi, Sudan, Mar Rosso. (Franco Banfi)
Note
1. Istituto di Scienze Marine, Università di Portsmouth. 2. Stazione Zoologica Anton Dohrn, CNR-IAMC. 3. Università del Queensland, Australia, Istituto di Chimica Biologia e Bioscienze Molecolari. 4. Nara Women’s University in Giappone. Informazioni
https://www.sciencemag.org/ news/2021/03/sea-slug-cut-its-ownhead-and-lived-tell-tale
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 maggio 2021 • N. 18
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1. Tostate Conditelelafette carne di pane con sale in una e pepe padella, e rosolatela senza aggiungere bene nell’olio grassi,incirca una2padella. minuti Dimezzate per lato, finché l’aglio, siano tritate dorate, grossolanamente poi toglietele dalla le cipolle. padella Aggiungete e lasciateleaglio, raffreddare. cipolle e pomodori 2. Pelate glialla asparagi carne, nel spolverizzate terzo inferiore con la delfarina gambo e bagnate e spuntateli. con ilDimezzateli brodo. Mettete per il coperchio lungo e tagliateli e stufate a tocchetti a fuoco medio-basso di 4 cm. Scaldate per circa l’olio50e minuti. rosolateli Lasciate a fuocoilmedio, coperchio finché leggermente risultano morbidi aperto per ma permettere ancora croccanti. al vapore di fuoriuscire dalla padella, in modo 3. Tagliate che illeliquido fragolesiariduca. metà. Spalmate il formaggio sulle fette di pane tostate. 2. Distribuite Tagliate le le olive fragole e iecipollotti gli asparagi a rondelle sul formaggio. sottili, ilIrrorate prosciutto conal’aceto dadini. e ilRicavate miele e delle condite listarelle con fleur dalla descorza sel e pepe. del limone. Mescolate tutto. 3. Spremete la metà del limone. Condite lo spezzatino con il succo di limone, sale circala40 minuti. sulla carne. ePreparazione: pepe e distribuite gramolata Per persona: circa 2 g di proteine, 4 g di grassi, 9 g di carboidrati, 90 kcal/ Un 350 piatto kJ. gustoso che può essere accompagnato con pasta o semplicemente con fette di pane. Preparazione: circa 20 minuti; brasatura: circa 50 minuti. Per porzione: circa 47 g di proteine, 27 g di grassi, 13 g di carboidrati,
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 maggio 2021 • N. 18
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ambiente e Benessere
a un passo dal baratro
Sport Se si fosse concretizzato il progetto di una Super League
Giancarlo Dionisio Avrebbe potuto essere un film horror, invece, giorno dopo giorno, si sta trasformando in una favoletta a lieto fine, ammesso che il connubio calcio-finanza possa proporre una parvenza di letizia. Negli scorsi giorni, dodici fra le società calcistiche più ricche e prestigiose d’Europa, hanno tentato di perpetrare un golpe, creando una Lega chiusa, sorretta da finanziamenti spaventosi, a detta loro, lucrativa all’inverosimile. (v. articolo di Lucio Caracciolo, a pagina 27 di «Azione» del 26 aprile 2021) Secondo il boss del Real Madrid, Florentino Pérez, sarebbe stata l’unica via per salvare i grandi club dalla bancarotta. I mancati introiti dovuti all’esclusione del pubblico dagli stadi per parecchi mesi, non sono neppure lontanamente stati compensati dalla maggior presenza sugli schermi televisivi. Non ho dubbi sul fatto che la situazione finanziaria del pianeta calcio sia tragica. Le cifre parlano chiaro: i club della Premier League inglese sono indebitati complessivamente per 4,6 miliardi di euro. Il Tottenham è largamente al comando della speciale classifica con oltre un miliardo di deficit, ma anche Barcellona, Manchester United e Atletico Madrid non se la possono ridere. Sarà forse un caso, che l’allenatore dei Colchoneros, l’argentino Diego Simeone, sia il più pagato d’Europa, con il suo pingue salario di 22 milioni netti di euro. Taccio sui compensi
dei fenomeni che scendono in campo. Sarà forse un caso che abbiano aderito al farneticante progetto della Super League, sei club inglesi (Manchester United, City, Liverpool, Chelsea, Arsenal e Tottenham), tre spagnoli (Real e Atletico Madrid, Barcellona) e tre italiani (Juventus, Milan, Inter). Sarà forse un caso che le società calcistiche di questi tre paesi occupino i primi quindici posti nella triste classifica dei debiti, unica eccezione il Lione che è al nono posto. Sarà forse un caso che non ci siano club tedeschi in questa graduatoria. Sarà forse un caso che il Bayern Monaco sia stato il primo sodalizio a opporsi con veemenza alla trama ordita da Florentino Pérez (Real Madrid), Andrea Agnelli (Juventus), e Joan Laporta (Barcellona). No, sia chiaro, non è un caso. La Super League è figlia del delirio e della disperazione di chi ha utilizzato il pianeta calcio per farsi gli affari suoi. Di chi ha fatto male i suoi calcoli. Di chi ha gonfiato a dismisura il sistema fino a portarlo sull’orlo del crac. Che senso ha vedere Cristiano Ronaldo e Leo Messi inseriti nella cinquina di sportivi che in carriera hanno già guadagnato oltre un miliardo di dollari? Se è vero che solo a pronunciare il loro nome, entrano valanghe di quattrini nelle casse delle loro società, come si spiega il fatto che queste siano così pesantemente indebitate? La nuova lega professionistica chiusa, che sarebbe stata finanziata dalla banca americana d’affari J.P.Morgan
e da fondi arabi, il sistema calcio lo avrebbe frantumato. A dirla tutta, cifre alla mano, sia la nuova Champions League (prevista per il 2024), sia la Super League (calcio d’inizio ipotizzato per il 2022) avrebbero un fatturato di circa quattro miliardi. La prima verserebbe ai club 3,2 miliardi di premi; la seconda, 3,1. Dove starebbe quindi l’affare? La Champions continuerà a reggersi sulla meritocrazia, il sale dello sport, sia pure falsata dal suo stesso meccanismo che va a ingrassare chi è già robusto, anche se già a partire dalle qualificazioni qualche spicciolo lo si guadagna. La seconda sarebbe una lega chiusa, con un minor numero di squadre sicure di dividersi la torta. Per fortuna ci sono state delle reazioni durissime da più fronti. Ha reagito l’UEFA, per bocca del suo presidente Aleksander Čeferin, oramai ex amico di Agnelli, della cui figliola è il padrino. Gli ha fatto eco Gianni Infantino, numero 1 della FIFA. Si sono accodate alla protesta anche le Leghe e le Federazioni dei paesi che sarebbero stati coinvolti in questa operazione. Nei giorni scorsi si parlava di minaccia di estromissione dal calcio ufficiale per tutti i giocatori coinvolti nella SL. Se, ad esempio, il progetto fosse decollato, Ronaldo non avrebbe potuto difendere i colori del Portogallo ai prossimi europei. Addirittura, in Italia, si ventilava l’esclusione immediata di Juventus, Inter e Milan dalla Serie A. Inoltre un pool di legali stava già stu-
Pixabay.com
europea, il sistema calcio avrebbe rischiato l’asfissia
diando una causa di risarcimento per la modica cifra di 50-60 miliardi di euro. Si è mosso il mondo della politica, Boris Johnson e Mario Draghi, in testa. Buon ultimo, ma non certo per tempismo e importanza, è sceso in piazza anche il popolo dei tifosi, che ha gridato a pieni polmoni il suo no. Per malato che sia, il calcio non può passare bruscamente da una clinica riabilitativa a una camera di cure intensive, col rischio di concludere la sua avventura in quella ardente. Il vastissimo fronte di oppositori ha contribuito a far inabissare il bastimento SL. I sei club inglesi hanno fatto un passo indietro. Altri rimangono alla finestra, a scrutare l’orizzonte cupo. JP Morgan si fa da parte asserendo di aver fatto male i suoi calcoli. In Italia gran parte delle società di Serie A reclamano sanzioni contro le tre «dissidenti». Morale: la Super League viene messa nel congelatore, in attesa di tempi migliori, in attesa di una revisione.
C’è da auspicare che nel freezer ci rimanga in eterno poiché il calcio, come del resto tutta la società, ha bisogno di condivisione e di ridistribuzione delle risorse, non certo di stratagemmi che amplifichino la voragine fra ricchi e poveri. Gran parte degli esperti di economia e di finanza ha decretato il decesso del neoliberismo. Finita l’era della deregulation. Servono regole e limiti etici. Soprattutto urgono rigore finanziario e ridimensionamento dei costi. In apertura si parlava di Happy End. Non so se il marchio Super League sia stato depositato da parte della Swiss Football League. Se così fosse, perché non richiedere a Florentino Pérez e colleghi un cospicuo risarcimento multimilionario? Ovviamente sto scherzando. Che senso avrebbe un calcio svizzero ricchissimo a fronte del resto dell’Europa che sta precipitando nell’indigenza più nera?
Giochi
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cruciverba Sapresti dire quali sono, in ordine cronologico, le due metropolitane più antiche d’Europa? Se non lo sai, scoprilo a cruciverba ultimato, leggendo le lettere nelle caselle evidenziate. (Frase: 6, 1, 8)
orIZZoNtalI 1.Dietroalproscenio 5.Relativoallabocca 10.Sonoanchedivestiario 12.FuamatadaVascodeGama 13.LeinizialidelfisicoPapin 15.UnFrancoattore 17. IsoladelleBahamas 18.Responsabilipunite 20.Abituale 22.Unpuntodelricamo 23.Così...pregando 24.LeinizialidelromanziereSalgari 25.Uomosenzacuore! 26.Leinizialidell’attoreDalton 28.Catastedilegnapercondannati 30.Genereletterario 32.Relativoallapelle
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I premi, cinque carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno 5 pervenire la soluzione corretta fatto entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco.
P A L C VertIcalI 1. Quello si chiamava A di AchilleC A Peleo 2. Le iniziali di Jovanotti Pun famoso ballo N 3. SiD ripete in 4. Aperto a Londra 6. Prefisso R replicativo E E 7. Parte del corpo umano 8. Sincero E vasta R B A 9. Ampia,
11. Si spazientisce facilmente 14. Si scrive tra due fattori 16. Si contano a scopa 19. Le iniziali della Bonino 21. Ha una zona temperata... 25. Articolo 27. Suono di campanello 28. Adatto a Londra 29. Capitoli della geologia 30. Lo dice chi esorta 31. Due vocali
Sudoku Soluzione:
Scoprire i 3 numeri corretti da inserire nelle caselle colorate.
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O O R A L E 7 3 P I I N E S 9 4 E R O C A T Soluzione della settimana precedente chiesto N OHo R allaMmia vicina A separata L seEle andava di uscire questa sera, mi ha detto di sì… Resto della frase: «…E ORA LE STO GUARDANDO IL FIGLIO». SE S IO DAO R A EN A S L 3 6 7 1 2 9 5 8 4 R E S T R O T E G U 5 1 8 4 6 3 2 7 9 R A U OT I Z TA I DN I A A 4 2 9 5 7 8 3 1 6 O F A R A D F L A N 8 5 3 6 9 1 7 4 2 N C ODPOR NT IEI I RA RA ERI NA ON A 9 7 2 8 3 4 1 6 5 1 4 6 2 5 7 9 3 8 L SAI NNAET E TC CA ION OS RMA O A 6 3 1 9 4 2 8 5 7 F A 7 9 5 3 8 6 4 2 1 A G C UON ATL OPARA OR NE OI EV GI O 2 8 4 7 1 5 6 9 3 N O
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Politica e economia trumpismo alla madrilena Isabel Díaz Ayuso è la favorita alle elezioni regionali che hanno rilevanza politica nazionale
Il nuovo medioevo del Pakistan Nel Paese cresce il fondamentalismo islamico in combutta con il primo ministro Imran Khan pagina 29
Intesa impossibile Posizioni fra Svizzera e Ue sempre più distanti sull’accordo istituzionale, la visita di Parmelin a von der Leyen ha reso evidente la spaccatura pagina 33
pagina 27 Dipendenti pubblici ricoprono un murale raffigurante Alexei Navalny a San Pietroburgo. Lo slogan recita «Eroe del nostro tempo». (Keystone)
russia, la calma prima della tempesta? Il punto Vladimir Putin sembra avere accettato di chiudere «zero a uno» il braccio di ferro con l’oppositore
Alexei Navalny e il resto del mondo. Ma l’impressione è che si stia preparando a un nuovo giro di vite
Anna Zafesova Alexei Navalny ha ripreso a mangiare, dopo più di tre settimane di sciopero della fame nel carcere di Pokrov. Prigione che ha messo a rischio la sua salute, secondo i suoi medici. Decine di migliaia di persone in tutta la Russia sono scese in piazza, sfidando il divieto del Governo, per sostenere la richiesta del leader dell’opposizione di essere curato da specialisti e protestare contro la repressione sempre più pesante di dissidenti e giornalisti indipendenti. Mosca ha accettato di far visitare Navalny e contemporaneamente ha ceduto anche sul fronte internazionale, annunciando il ritiro delle truppe dal confine ucraino. Un sollievo per Kiev, Bruxelles e Washington che cominciavano a temere un’escalation militare nel Donbass. Intanto l’Amministrazione di Joe Biden ha annunciato nuove sanzioni contro Mosca, mentre da diverse capitali europee sono stati espulsi diplomatici russi, dopo una serie di scandali riguardanti spie russe infiltrate. Nel braccio di ferro con Navalny e il resto del mondo, Vladimir Putin sembra aver accettato di chiudere «zero a uno». Dopo nemmeno due mesi dal-
la sua reclusione nel carcere dove dovrebbe scontare una condanna a 2 anni e mezzo, l’avversario più celebre del Cremlino non solo è riuscito a rimanere al centro del dibattito politico e dei notiziari, ma ha costretto il presidente russo a piegarsi alle sue pressioni. Navalny era pronto a spingersi molto lontano, sostenuto anche da una campagna di solidarietà internazionale che non si era vista dai tempi di Andrei Sakharov (fisico sovietico nato nel 1921 e attivista per i diritti umani perseguitato dal regime perché considerato un pericolo per la stabilità dell’Urss). Più di un centinaio di star del cinema – come Pedro Almodóvar, Benedict Cumberbatch, Jude Law – e scrittori del calibro di Orhan Pamuk e Joanne Rowling hanno chiesto a Putin di autorizzare le cure mediche in prigione, sostenute da un coro di capi di Stato e di Governo occidentali. Un’attenzione mediatica che rendeva difficile anche reprimere le manifestazioni che i collaboratori di Navalny avevano convocato in decine di città, nonostante il divieto, e dimenticare le migliaia di attivisti arrestati, picchiati e licenziati dopo i cortei del gennaio scorso. I seguaci di Navalny non sono riu-
sciti a raggiungere le 500 mila adesioni promesse ma la mobilitazione è stata comunque massiccia, con la visibile eccezione di San Pietroburgo, la città del presidente. Stavolta gli attivisti hanno potuto sfilare relativamente indisturbati, soprattutto a Mosca, dove il centro è stato invaso da persone che hanno urlato «Putin ladro!» e «Abbasso lo zar!» sotto le finestre del Cremlino. La polizia sembrava guardare altrove e anche questo è un segnale da interpretare: sono stati gli stessi agenti a rifiutare l’uso della violenza? Oppure sono stati sindaci e governatori, tra cui il potentissimo primo cittadino di Mosca Sergei Sobyanin, a decidere di non inimicarsi la popolazione? Se resta poco chiaro il ruolo che possono aver avuto le componenti meno aggressive del regime, i «falchi» sembrano aver subito per ora un arretramento. Alla vigilia del discorso annuale del presidente alle Camere riunite, giravano voci sull’annuncio di un’offensiva contro l’Ucraina o di un’unificazione con la Bielorussia di Aleksandr Lukashenko. Nelle settimane precedenti i capi della propaganda russa erano andati nel Donbass a ridare fiato a una campagna di separati-
smo a danno di Kiev e a favore di Mosca, mentre c’è chi sosteneva che, con un’annessione di fatto della Bielorussia, il Cremlino avrebbe cercato di resuscitare il proprio elettorato nostalgico e revanscista. Ma il miracolo della Crimea del 2014 appare difficile da replicare dopo sette anni di impoverimento, sanzioni e isolamento. La fazione pragmatica ha prevalso: il discorso presidenziale è stato tra i più blandi dell’ultimo decennio, con soltanto qualche frase minacciosa di rito indirizzata a non meglio precisati «provocatori» e «ingerenze». Il Cremlino si rende dunque conto di avere spazi e potenziale di manovra sempre più ristretti, come la comunità internazionale ha mostrato anche nel mobilitarsi a fianco dell’Ucraina. Il presidente Volodymyr Zelensky, forte dell’appoggio dichiarato di Joe Biden, ha rilanciato invitando Putin a negoziare direttamente nel Donbass ucraino, offerta che la Russia ha respinto. Per la diplomazia russa è complicato anche giocare sulle divisioni tra i diversi Paesi europei. Lo scandalo nella Repubblica ceca, che ha espulso mezza ambasciata russa come ritorsione per l’esplosione di un deposito di armi per
mano di 007 russi, ha allontanato anche governi non ostili a Mosca. E se i giochi di guerra al confine ucraino erano stati per Putin un modo di mostrare all’Occidente le linee rosse, la promessa di nuove sanzioni fatta da Washington a sua volta avverte Mosca di non sconfinare. Il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov profetizza un periodo che sarà «peggio della guerra fredda», un’ostilità che va ben oltre il verbale – Praga ha definito l’esplosione del deposito, nel quale erano morte due persone un «atto terroristico» – e mantiene il dialogo appena sopra la soglia dello zero. Sul fronte interno invece l’impressione è che il Cremlino si prepari a un nuovo giro di vite: alle manifestazioni è seguita una nuova retata di arresti e la magistratura ha di fatto messo fuori legge la Fondazione anticorruzione di Navalny e le sue cellule nelle regioni. In altre parole, l’intera rete dell’opposizione è ora clandestina, vietata per «estremismo», nella stessa lista con Isis, Al Qaeda e i talebani. Un passo senza precedenti verso la dittatura repressiva che potrebbe riportare la partita tra Putin e la protesta a un pareggio, «uno a uno», in attesa del prossimo scontro.
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Politica e economia
tigray, le atrocità non sono finite
Il punto La crisi in atto nella regione all’estremo nord dell’Etiopia potrebbe mettere a repentaglio la stabilità
dell’intero Corno d’Africa. Gli errori del primo ministro Abiy Ahmed e il ruolo della grande diga sul Nilo azzurro
Pietro Veronese Ben poche persone al mondo saprebbero localizzare sulla carta l’abitato di Mahbere Dego. È una povera contrada del Tigray, arida e montuosa regione all’estremo nord dell’Etiopia. Ma nelle prime settimane di quest’anno il suo nome ha preso a circolare furiosamente sui social media, accompagnato a dei brevi filmati che sembravano attestare un massacro di civili compiuto da uomini in uniforme. Vi si vedevano i soldati trascinare i loro prigionieri inermi verso il bordo di una scarpata e lì abbatterli a colpi d’arma da fuoco. La Bbc ha analizzato quegli spezzoni di immagini, ne ha decrittato il confuso vocio, gli ordini secchi gridati in amarico, ne ha confrontato il paesaggio con quello archiviato dai satelliti, ha ingrandito i dettagli delle divise militari ed è giunta alla conclusione che sì, le immagini sono autentiche e un orrendo crimine di guerra è stato compiuto a Mahbere Dego ai primi di gennaio.
Il problema dell’Etiopia, quantomeno da settant’anni a questa parte, è la sua irrisolta questione nazionale Nel novembre 2020 il Tigray era stato teatro di un feroce conflitto tra l’esercito etiopico e il locale gruppo dirigente, che aveva rotto tutti i rapporti col Governo federale dando luogo a quella che aveva tutte le apparenze di una secessione. Poco tempo dopo il premier Abiy Ahmed aveva annunciato davanti al Parlamento di Addis Abeba la fine vittoriosa delle ostilità, commettendo però tre errori. In primo luogo era stato troppo frettoloso. Il Tigray rimane chiuso al resto del mondo, un’implicita ammissione che la situazione non si
è affatto normalizzata. Le formazioni armate locali hanno ripiegato sulle montagne, molti leader regionali sono sfuggiti alla cattura, promettendo guerriglia. A decine di migliaia gli abitanti restano attendati nei campi profughi oltre confine, in territorio sudanese. Il secondo errore di Abiy Ahmed è stato quello di elogiare pubblicamente le forze armate federali, dichiarando che si erano comportate con piena professionalità e che la popolazione civile era stata risparmiata. Salvo poi, incalzato dalle evidenze raccolte dai media e dai Governi internazionali, promettere un’inchiesta sui possibili crimini ed abusi compiuti dai suoi soldati. Amaro voltafaccia per un leader che appena l’anno prima, nel 2019, era stato insignito del Premio Nobel per la pace. Quel premio Abiy Ahmed se l’era meritato per aver posto fine al conflitto con la vicina Eritrea, che i suoi predecessori avevano lasciato trascinarsi irrisolto per un buon ventennio. Ma proprio all’Eritrea è legato il terzo errore del quarantacinquenne premier etiopico. Costretto anche in questo caso dalle denunce internazionali a tardive ammissioni, egli ha dovuto riconoscere che le forze armate eritree sono intervenute in Tigray accanto a quelle etiopiche, rendendosi con ogni probabilità anch’esse responsabili di crimini di guerra. Ha subito aggiunto che gli eritrei si sono adesso ritirati, ma le sue parole hanno fatto immediatamente cambiare natura al conflitto tigrino: da operazione di polizia interna a questione regionale, con il coinvolgimento di un altro Stato. Nelle ultime settimane la questione del Tigray sembra non attirare più tanto l’attenzione dei media, interessati piuttosto all’evolversi della pandemia attraverso l’Africa. Ma questo silenzio non deve trarre in inganno. La crisi non è affatto risolta e se non verrà ricomposta potrebbe mettere a repentaglio la stabilità dell’Etiopia e con essa dell’in-
Un bambino che fugge dalla guerra e riposa a Macallè, capoluogo del Tigray. (Ap)
tero Corno d’Africa. Parliamo di uno dei maggiori Paesi del Continente, con oltre 110 milioni di abitanti stimati, con un prestigio che gli viene dalla sua storia e un’economia in forte crescita. Indiscussa potenza regionale e dunque decisivo fattore di equilibrio o, per converso, di potenziale disgregazione. Il problema dell’Etiopia, quantomeno da 70 anni a questa parte, è la sua irrisolta questione nazionale. Malgrado il rafforzarsi del potere imperiale prima, e il successivo avvento dello statalismo militar-comunista, essa resta una somma di diverse nazionalità piuttosto che un’unica grande Nazione. I regimi che si sono susseguiti al potere hanno cercato di affrontare il problema negandolo, cioè rafforzando al massimo la centralizzazione, oppure riconoscendolo, ristrutturando di conseguenza lo Stato in senso federale. Entrambi gli orientamenti hanno
dato risultati insoddisfacenti. Ad Abiy Ahmed si attribuisce l’intenzione di introdurre riforme in senso nuovamente unitario. Ma la sua ascesa al potere ha coinciso con il riaccendersi delle spinte centrifughe, in particolare quella degli Oromo, la nazionalità più numerosa del Paese – un terzo dei cittadini etiopici appartiene a questa etnia – e storicamente quella più oppressa e marginalizzata (ulteriore paradosso è che lo stesso Abiy Ahmed sia un oromo, il primo ad occupare una posizione di potere così elevata, anche se esponente di un partito vicino al Governo centrale). Per tutto il 2020, e ancora nei primi mesi del nuovo anno, le tensioni con la vasta comunità oromo hanno continuato a riaccendersi, talora con scontri di piazza, violenze e numerose vittime. Per questo molti osservatori temono che, se lasciato incancrenirsi, il conflitto in Tigray – geograficamente agli
antipodi del territorio oromo – possa finire per fare divampare altri focolai. Un altro fattore infine, potenzialmente il più inquietante di tutti, minaccia il futuro dell’Etiopia. È la grande diga sul Nilo azzurro, la Grand ethiopian renaissance Dam o Gerd, la cui costruzione è ormai ultimata e il cui enorme invaso si sta lentamente riempiendo. I Paesi che si trovano a valle lungo il corso del fiume, Sudan ed Egitto, mal tollerano la presenza della diga, che considerano una minaccia alla propria sopravvivenza. I negoziati multilaterali, in corso da anni, sono fin qui falliti. Il tentativo di mediazione dell’Unione africana è anch’esso fallito. Ora il dossier è sul tavolo dell’Onu. Un ulteriore fallimento finirebbe per lasciare la parola soltanto alle armi, dando luogo a una deflagrazione dalle conseguenze incalcolabili.
Il trumpismo alla madrilena di ayuso
Spagna La presidente uscente della Comunità autonoma di Madrid è la netta favorita alle elezioni regionali
che hanno una rilevanza politica nazionale. Il suo successo è cresciuto grazie ai continui attacchi al premier Sánchez Gabriele Lurati «Libertà o comunismo». Questo è lo slogan usato da Isabel Díaz Ayuso per le elezioni regionali in programma domani a Madrid. La presidente della Comunità autonoma di Madrid, rampante esponente del Partito popolare (Pp), si è contraddistinta durante la campagna elettorale per aver usato frasi a effetto come «bisogna scegliere tra Madrid o Caracas». Tali espressioni sono state ripetute allo scopo di allarmare i cittadini madrileni sul presunto pericolo in caso di vittoria nella regione di Madrid di un Governo di coalizione progressista, come quello nazionale formato dai socialisti di Pedro Sánchez con la sinistra massimalista di Unidas podemos come partner. Grazie a queste iperboli e ad altre provocazioni, Ayuso è riuscita a farsi conoscere anche al di fuori della capitale, diventando una delle figure più controverse e divisive del panorama politico spagnolo. Da due anni alla presidenza del Governo regionale, questa ex giornalista 43.enne ha dapprima sciolto il 10 marzo scorso l’Assemblea regionale per dissapori con i centristi di Ciudadanos, ex soci di Governo, poi ha cominciato una campagna elettorale volutamente incentrata sul concetto di libertà. Il suo
obiettivo è stato quello di mettere questo diritto in contrapposizione alle restrizioni imposte dal Governo Sánchez per combattere il Coronavirus. Ayuso è una fautrice delle ricette neoliberiste del Pp, partito che governa la regione di Madrid da 25 anni a suon di privatizzazioni, tagli al settore pubblico e agevolazioni fiscali per i più ricchi. Così l’idea che gli interessi dell’economia debbano prevalere su tutto (anche sulla salute) è stata applicata pure in questo periodo di pandemia. Bar e ristoranti sono rimasti quasi sempre aperti, tanto che Madrid è diventata meta di molti turisti stranieri che si recano nella capitale spagnola per evadere dai vari lockdown nazionali. Molti gerenti di bar della città hanno persino messo la foto della presidente Ayuso all’ingresso dei propri esercizi commerciali, come segno di ringraziamento per aver consentito loro di non chiudere la propria attività. Ayuso ha coniato uno slogan anche per questo settore e cioè quello di «vivere alla madrilena», sottintendendo la libertà di uscire a «tomar cañas» (bere delle birre) e a mangiare con gli amici, attività predilette e irrinunciabili per il madrileno medio. Naturalmente questo atteggiamento ha avuto i suoi risvolti negativi, dato che la regione di Madrid è
quella con il maggior numero di morti per Covid-19 di tutta Spagna. Questo aspetto non sembra però preoccupare l’elettorato madrileno, dato che Ayuso risulta ampiamente in testa nei sondaggi (raccoglierebbe circa il 40 per cento dei voti). Probabilmente l’elevato consenso in favore di Ayuso trova una sua spiegazione nel fatto che «il discorso emozionale positivo è
Isabel Díaz Ayuso è contraria alle restrizioni anti-Covid. (Keystone)
quello di cui i cittadini hanno bisogno in questo momento, dopo la stanchezza da Covid presente in tutta la società», sostiene José Verón, professore di Comunicazione politica all’università di Saragozza. Inoltre i discorsi di Ayuso sono basati sulla semplificazione e sulla denigrazione dell’avversario. Tutti fenomeni caratteristici di ogni populismo che fanno breccia quindi anche a Madrid, tanto che gli analisti hanno coniato il termine di «trumpismo alla madrilena». Per Ayuso il capro espiatorio è Pedro Sánchez, il presunto responsabile di tutti i mali del Paese, mentre la «minaccia rossa bolivariana» è rappresentata da Pablo Iglesias. Il leader di Podemos, dal canto suo, ha lasciato l’incarico di vicepresidente del Governo per scendere nell’agone politico di Madrid e combattere la sua battaglia più importante e che definirà anche il suo futuro. Iglesias ha colto l’occasione al balzo per cercare di rilanciare la sua immagine, da tempo in declino, e contrastare il suo nemico ideologico naturale: il fascismo. Le dichiarazioni di Ayuso («un fascista è uno che è stato dal lato giusto della storia») sono in effetti tutto fuorché quelle di un partito di una destra moderata e si sovrappongono pericolosamente per contenuti e ideologia a quelle neo-
franchiste di Vox (dato all’11 per cento nei sondaggi). Questo movimento di estrema destra ha portato a un imbarbarimento dei toni e a una volgarizzazione della contesa, al punto che i tre candidati dei partiti progressisti (Psoe, Unidas podemos e Más Madrid) hanno abbandonato uno studio Tv durante un dibattito elettorale, quando la candidata di Vox non ha voluto condannare le minacce di morte ricevute da Pablo Iglesias. «I discorsi di Vox mettono in pericolo le basi della democrazia», ha tuonato il premier Pedro Sánchez, facendo riferimento anche al fatto che in altri Paesi come Francia o Germania la destra conservatrice ha sempre preso le distanze dai movimenti di estrema destra e tutto l’arco politico mette un «cordone sanitario» attorno a partiti come il Front national o l’Alternative für Deutschland. Cosa che però non avviene in Spagna, dove il Pp governa in alcune ragioni con l’appoggio esterno di Vox, le cui posizioni xenofobe e razziste sono accettate da Ayuso con indifferenza e complicità, tanto che lei si è detta disposta anche a includerli in un futuro Governo. In questo clima di scontro totale, domani non c’è in gioco solo la presidenza della regione più ricca del Paese ma anche il futuro della politica spagnola.
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tempi bui per il Pakistan
Politica e economia
l’analisi Nel Paese cresce il fondamentalismo islamico mentre il premier Khan mostra il suo volto anti-democratico.
Le leggi sulla blasfemia sono un’arma contro chi osa criticare il Governo, gli integralisti oppure l’esercito Francesca Marino «Vi assicuro che gli obiettivi del Tehreek-e-Labaik Pakistan (o Tlp, un partito fondamentalista religioso) sono anche quelli del mio Governo. Soltanto i nostri mezzi differiscono». Così ha detto Imran Khan, primo ministro del Pakistan, ex-campione di cricket, ex-membro del «jet set» londinese per aver sposato una Goldsmith (che lo ha in seguito mollato per Hugh Grant) ed ex-playboy internazionale. Le precisazioni al limite del gossip sono in questo caso assolutamente pertinenti perché inquadrano Khan il quale, in un discorso televisivo a reti unificate, giustificava ideologicamente le violente proteste di piazza degli integralisti islamici che hanno causato un buon numero di morti, hanno visto una trentina di poliziotti presi in ostaggio dai dimostranti e in seguito rilasciati dopo trattative e hanno bloccato l’accesso alle maggiori città del Paese mettendo a ferro e fuoco proprietà private e tutto ciò che capitava sotto tiro ai dimostranti.
All’Occidente e ai suoi costumi corrotti viene attribuita la responsabilità di tutto quello che non va Materia del contendere il mancato mantenimento delle promesse fatte dal Governo dello stesso Khan qualche mese fa dopo analoghi episodi di violenza, doverosamente conditi da falò alimentati da bandiere francesi e da fantocci con l’effige del presidente Emmanuel Macron. Il Tehreek-e-Labaik Pakistan chiedeva l’interruzione di ogni rapporto diplomatico con la Francia, l’espulsione dell’ambasciatore francese in Pakistan e la cessazione dei rapporti commerciali con il Paese «colpevole» di aver consentito la pubblicazione e la ri-pubblicazione delle famose vignette su Maometto apparse sul giornale satirico «Charlie Hebdo». I membri e l’allora presidente del partito Khadim Hussain Rizvi, morto qualche tempo dopo, chiedevano anche via social media la decapitazione di Macron e di tutti gli occidentali blasfemi, ma queste, per il Governo pakistano, sono bazzecole. Così come sono quisquilie le centinaia di poliziotti feriti, quelli uccisi o quelli praticamente torturati dai dimostranti. Tanto è vero che, dopo aver
Imran Khan, al centro, era un campione di cricket e membro del «jet set» londinese. (AP)
ufficialmente dichiarato fuorilegge il partito, Khan e i suoi si sono affrettati ad aprire una trattativa con coloro che avevano appena dichiarato fuorilegge, accogliendo le richieste dei manifestanti. Il Parlamento, che si era impegnato a discutere l’espulsione dell’ambasciatore francese e le altre richieste degli ormai fuorilegge membri del Tlp, non ha dato uno spettacolo migliore: la seduta è stata sciolta e rimandata a data da destinarsi perché tra i banchi dei legislatori si è scatenato un altro putiferio a base di slogan anti-francesi e cartelli di protesta. Parigi intanto, dopo aver mesi fa sospeso al Pakistan l’upgrade dei Mirage da combattimento che gli aveva venduto qualche anno fa, esorta tutti i suoi cittadini a lasciare il Paese. Perché la storia non è certo finita qui. Il Tlp è l’ennesimo mostro, difatti, creato e nutrito dall’esercito e dai governanti pakistani, Imran Khan in testa, che si rivolta a mordere la mano che lo ha nutrito, forte dell’influenza che esercita sulla popolazione. Un’influenza ampliata dal silenziamento dei media liberali e dalla sempre crescente islamizzazione del Paese, in cui ormai la situazione delle mi-
noranze religiose ed etniche preoccupa anche i più indifferenti. Il Tlp, tanto per capirci, è il partito che anni fa difese, facendo piovere petali di rosa a ogni sua uscita pubblica dalla galera al Tribunale, l’assassino dell’exgovernatore del Punjab Salman Taseer, ammazzato per aver parlato contro le leggi anti-blasfemia. Che sono ormai adoperate, è bene ricordarlo, come pistola puntata alla tempia di chiunque provi anche soltanto lontanamente a criticare il Governo, gli integralisti o l’esercito. E le cose sono destinate a peggiorare. Quei pochi sprovveduti che vedevano nell’ex-campione di cricket educato a Oxford (per meriti sportivi, è bene precisare) una figura destinata a cambiare l’immagine del Paese a livello internazionale, si sono dovuti ricredere. Khan, il premier scelto dall’esercito e dagli integralisti, sta facendo fare passi da gigante al Paese, è vero: nel riportarlo al Medioevo però. All’Occidente e ai suoi costumi corrotti viene attribuita la responsabilità di tutto ciò che non va, incluso l’impressionante numero di stupri e di violenze contro le donne. Che l’ineffabile Khan, in un altro discorso pubbli-
co, ha attribuito all’adozione di modi, abbigliamento e stile di vita occidentali. Come dire: se andate in giro di notte o all’università guidando da sole e senza nemmeno coprirvi la faccia, ve la siete andata a cercare. Bambini e bambine di pochi anni stuprati nei convitti islamici ringraziano, mentre il Paese continua nella sua deriva illiberale, non democratica e antisemita. Perché l’ultima trovata di Khan (o meglio dei suoi accoliti) è accusare l’Occidente di usare due pesi e due misure con gli ebrei e con i musulmani. In pratica, vorrebbe cercare di costringere le Nazioni europee ad adottare nei confronti della blasfemia verso Maometto gli stessi provvedimenti presi contro chi nega l’Olocausto. A nulla vale cercare di spiegare la differenza tra politica e religione. D’altronde, se per Imran Khan la Germania confina con il Giappone (altra perla tratta da un suo discorso in Iran), l’Olocausto e i crimini nazisti sono per forza uguali a una vignetta satirica. Pubblicata, peraltro, in un Paese in cui la laicità è uno dei pilastri dello Stato e in una entità politica, l’Europa, in cui la libertà di espressione è un diritto irrinunciabile.
Il Khan-pensiero segue delle linee guida ben precise: l’Occidente è «islamofobico», visto che si rifiuta di vivere seguendo le leggi pakistane sulla blasfemia. E chi insulta il profeta, così come le signore che guidano da sole per le vie pakistane, non può lamentarsi per essere stato assassinato o assalito: se l’è andata a cercare. La cosa non vale, ovviamente, per i fratelli uiguri: musulmani di serie B o C, a quanto pare, visto che nessuno ha mai sentito una parola da Islamabad che protesti o chieda conto alla Cina per il trattamento riservato alla popolazione musulmana dello Xinjiang. Alla domanda di una giornalista, Imran Khan ha testualmente risposto: «Non ne so molto, non se ne legge sui giornali». Su quelli pakistani, strangolati dalle minacce dell’esercito, certo che no. E gli altri non contano. Conta soltanto tenere il Paese sotto il Terrore (anche quello francese) mentre la Cina si appropria, con la connivenza di generali e politici, di porti, isole, strade e città. Se la gente è impegnata a difendere l’onore del profeta e a biasimare l’Occidente, non troverà il tempo per protestare contro l’occupazione cinese. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 maggio 2021 • N. 18
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Politica e economia
Nebbia fitta tra Berna e Bruxelles accordo istituzionale Il vertice fra il presidente della Confederazione Guy Parmelin e la presidente
della Commissione europea Ursula von der Leyen ha reso evidenti le profonde divergenze in un negoziato che resta poco trasparente Marzio Rigonalli Che cosa farà il Consiglio federale nella trattativa con l’Unione europea sull’accordo istituzionale? Continuerà a negoziare o preferirà rinunciare visto che le posizioni delle due parti sono molto divergenti su più punti e che un compromesso appare molto lontano? È la questione centrale alla quale bisognerà dare una risposta in tempi brevi, dopo il fallito vertice di Bruxelles tra il presidente della Confederazione, Guy Parmelin, e la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. Lo spazio lasciato all’ottimismo è ridotto ai minimi termini. Certo, subito dopo il vertice le due parti hanno dichiarato che la porta rimane aperta e che le due negoziatrici, la segretaria di stato Livia Leu e la vice capo di gabinetto della presidente della Commissione Stéphanie Riso rimangono in contatto, ma non è stata fissata nessuna data per un loro incontro. E le accuse, soprattutto da parte della Commissione europea, non sono mancate. Ursula von der Leyen ha accusato il Consiglio federale di non aver presentato nessuna proposta concreta per risolvere le tre principali divergenze, ossia la questione degli aiuti di Stato, che interessa in primo luogo i Cantoni, la protezione dei salari e la direttiva dell’UE sulla cittadinanza, che implicherebbe l’accesso di tutti i cittadini dell’UE al sistema di protezione sociale elvetico. La presidente della Commissione UE, attraverso i suoi collaboratori, ha lasciato trapelare anche l’informazione, secondo la quale la Svizzera vorrebbe escludere dall’accordo istituzionale i tre punti contestati. Grazie ad un documento riservato, preparato dal Dipartimento degli affari esteri all’attenzione dei membri delle commissioni di politica estera delle Camere federali e giunto nella redazione del «Tages Anzeiger», si sa che queste critiche non sono fondate. Durante i sei incontri bilaterali che Livia Leu ha avuto con Stéphanie Riso, la Svizzera ha presentato una serie di proposte concrete, ma l’UE le ha accolte soltanto su un punto,
23 aprile 2021, Bruxelles: un vertice il cui unico risultato è che i negoziati non vengono (ancora) abbandonati. (Keystone)
gli aiuti di Stato, ed ha chiesto che si rinunciasse alle richieste formulate sugli altri due punti. Queste informazioni dimostrano in primo luogo che il clima tra le due parti non è certo dei migliori. E un’ulteriore prova la si è avuta già tre giorni dopo il vertice. A Bruxelles, una funzionaria dell’Unione ha dichiarato che il negoziato con la Svizzera per una partecipazione elvetica a «Horizon Europe», il programma quadro europeo per la ricerca e l’innovazione per il periodo 2021-2027, potrà iniziare soltanto quando Berna avrà versato il secondo miliardo di franchi di coesione, destinato a finanziare progetti nei paesi più poveri dell’Unione. L’importo è stato concesso ma le Camere federali l’hanno bloccato in risposta al non riconoscimento da parte dell’UE della regolamentazione della Borsa svizzera. E al clima si aggiunge ovviamente la sostanza. L’Unione europea convive senza entusiasmo con gli accordi bilaterali con la Svizzera, una soluzione unica, che non viene applicata ad altri paesi. All’inizio, questa soluzione è sta-
ta accettata, perché veniva vista come una soluzione transitoria in vista di una probabile adesione della Svizzera all’UE. Oggi vien assimilata in primo luogo al libero accesso al grande mercato unico europeo. Un accesso che per gli Stati membri è libero, ma che prevede anche il rispetto di una serie di regole. L’UE vorrebbe che queste norme fossero applicate a tutti i paesi che vogliono accedere al mercato unico, e quindi anche alla Svizzera. Per esempio le regole che riguardano la libera circolazione delle aziende e dei lavoratori, la possibilità di stabilirsi in un paese di propria scelta ed eventualmente anche di poter accedere alla protezione sociale prevista. Oppure le regole che garantiscono la libera concorrenza. L’UE, dunque, cerca di far rispettare la sua legislazione anche ai paesi che non sono membri dell’Unione, ma che hanno libero accesso al mercato unico, e non accetta volentieri soluzioni particolari, diverse, soprattutto quando queste possono entrare in conflitto con i principi fondatori dell’Unione. La Svizzera pone come principale
obiettivo la difesa degli Accordi bilaterali, nonché la possibilità di negoziarne e di sottoscriverne altri. Lo fa per più ragioni. Essenzialmente per motivi economici, poiché l’Unione europea è il nostro principale partner economico e più della metà delle nostre esportazioni finiscono nei paesi dell’Unione. Ma anche perché la geografia e la storia ci insegnano che siamo un piccolo paese sito nel centro delle Alpi, circondato da paesi più grandi che sono membri dell’Unione e con i quali è nostro interesse mantenere buoni rapporti e un buon livello di scambi umani ed economici. Per raggiungere questo obiettivo, la Svizzera non è però pronta ad accettare regole esterne che l’Unione europea vorrebbe imporre e che non sono in sintonia con quanto vien applicato sul territorio elvetico. Norme che, per esempio, potrebbero rendere più difficile la protezione del livello dei salari o mettere sotto pressione il sistema sociale. Non vuol rinunciare, insomma, ad una parte del suo potere decisionale in importanti settori economici e sociali. Per poter definire i prossimi pas-
si, il Consiglio federale ha intrapreso una procedura di consultazione che ha coinvolto le commissioni della politica estera del parlamento, i governi cantonali ed i partner sociali. La commissione del Nazionale l’ha invitato a proseguire le discussioni con Bruxelles, al fine di raggiungere un compromesso. La commissione degli Stati, invece, si è limitata a lasciare al governo la possibilità di scegliere il modo di procedere. Nessuna delle due commissioni ha chiesto al Consiglio federale di abbandonare il tavolo della trattativa. Dopo le commissioni è toccato ai Cantoni ed ai partner sociali. La conferenza dei governi cantonali ha chiesto un po’ di tempo per poter esaminare tutto il dossier dei rapporti della Svizzera con l’UE, nonché per poter raccogliere ulteriori informazioni, prima di emettere un giudizio politico. Il governo ha promesso di decidere quando la procedura di consultazione sarà terminata. Sono già passati due anni e mezzo da quando l’accordo istituzionale è stato redatto nella sua forma attuale. Con un po’ più di buona volontà e con una maggiore determinazione si sarebbe potuto e dovuto procedere più rapidamente per ottenere le correzioni volute. Non è stato così. Oggi, la situazione appare ardua, difficile da affrontare ed eventuali concessioni, in particolare da parte dell’UE, risulterebbero probabilmente non sufficienti per far approvare l’accordo con un voto popolare e quindi per sconfiggere l’opposizione che si riscontra nell’UDC, in parte anche in altri partiti, in alcuni ambienti economici ed in piccoli gruppi d’interesse come «Autonomie Suisse» e «Kompass Europe». L’ipotesi di un possibile compromesso rischia di svanire, mentre si avvicina la minaccia di una progressiva erosione degli accordi bilaterali e di un peggioramento dei rapporti con l’Unione europea. Soltanto un sussulto, una vera presa di coscienza dell’importanza della posta in gioco da parte delle personalità che hanno la responsabilità di questo dossier possono, forse, tener ancora lontana questa minaccia. Annuncio pubblicitario
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Politica e economia Rubriche
Il mercato e la Piazza di Angelo Rossi alla ricerca di nuove fonti fiscali Il problema è noto: lo abbiamo già evocato anche in questa rubrica. All’uscita della pandemia del Coronavirus ci attenderà, con grande probabilità, una nuova stretta fiscale. Per poter far fronte all’enorme aumento del debito pubblico degli ultimi mesi, i governi dovranno poter disporre di molti più mezzi di quanti non ne abbiamo attualmente. Semplicemente perché il problema del finanziamento è così imponente che per risolverlo non sarà sufficiente operare con tagli della spesa e piani di risparmio. E per fortuna i tassi di interesse continuano a stagnare attorno allo zero per cento. Comunque l’impresa di trovare nuove entrate fiscali non sarà certamente da poco. Da quasi 50 anni, ormai, gli sforzi dei governi dei paesi avanzati sono stati infatti fatti nella direzione
contraria, ossia quella di ridurre il carico fiscale sulle spalle dei contribuenti, delle persone fisiche come delle persone morali (le aziende insomma). L’aumento delle imposte non è quindi una rivendicazione con la quale oggi si possano conquistare voti. È quindi evidente che i responsabili delle finanze pubbliche dei diversi paesi saluteranno in modo positivo, se non addirittura con entusiasmo, non importa da che parte venga, ogni proposta che consenta loro di ottenere un aumento delle entrate senza troppo agitare gli animi. La classica misura, in casi come questi, è di fare appello alla solidarietà dei ricchi. Che paghino più imposte sui loro redditi e sulle loro sostanze. Aumentare la tassazione dei ricchi è quanto ha promesso di fare il nuovo presidente degli Stati Uniti. Per lui, chi
intende chiedere un tasso superiore al 20%. I prossimi mesi chiariranno in che direzione potrebbe evolvere questo dibattito sulla tassazione minima delle multinazionali. Nella discussione in corso si inserisce anche una terza proposta portata avanti, questa volta, da due economisti di sinistra francesi, Gabriel Zucman e Emanuel Saez. Se ne parliamo qui è a causa della sua originalità. I due economisti francesi vorrebbero imporre non più il risultato finanziario delle aziende, ma il loro valore di capitalizzazione in borsa, con un tasso annuale dello 0,2%. Supponiamo che una banca abbia un valore capitalizzato di 972 miliardi di dollari. Questa banca dovrebbe dunque pagare annualmente un’imposta pari a praticamente 2 miliardi di dollari. Non chiedetemi il nome di questa banca ma
sappiate che i 2 miliardi di nuove imposte sarebbero più o meno uguali a un terzo, se non addirittura alla metà, del suo profitto annuale. Una bella somma sia per chi dovrebbe riceverla – ossia il fisco – sia per chi dovrebbe pagarla, ovverossia le multinazionali. Il vantaggio di una misura come questa sta nella facilità della percezione. I valori di capitalizzazione sono noti. L’imposta sarebbe percepita direttamente dalle autorità della borsa e riversata ai governi di pertinenza. Non è la prima volta, in questi ultimi anni – che nuovi progetti di imposizione fiscale a livello internazionale vengono promossi per cercare di evitare l’evasione fiscale delle multinazionali. Finora però, in termini di applicazione pratica nessuno è ancora riuscito a cavare un ragno dal buco.
il consenso bipartisan che va cercando, Biden si muove in autonomia, piaccia o no al Congresso. Tra questi c’è l’abolizione delle cosiddette «ghost guns», le armi che vengono assemblate e non hanno un numero di riconoscimento: è il primo passo verso una legge sul controllo delle armi, grande ambizione di Biden che già fu frustrata quando era vicepresidente dell’Amministrazione Obama. Il presidente ha anche ribaltato 62 ordini esecutivi voluti dal suo predecessore. Tanto per fare un confronto, Trump ne ribaltò «soltanto» 12 di Obama. In particolare tra questi 62 c’è il reintegro degli Stati uniti nel Trattato di Parigi sul clima, lo stop all’uscita degli Usa dall’Organizzazione mondiale per la sanità e lo stop al muro con il Messico al confine sud. Biden ha anche fatto in modo che fossero vaccinati 200 milioni di americani. Il suo obiettivo era 100 milioni in 100 giorni e l’ha raggiunto al cinquantottesimo. Biden, o meglio il suo account Twitter @POTUS, ha twittato in media 6 volte al giorno. La media di Trump era tre volte superiore, 18 tweet al giorno. Oltre ai numeri c’è la politica. Biden
ha adottato il suo «New deal», un pacchetto di stimoli per il valore di millenovecento miliardi che è destinato, per espressa volontà del presidente, a cambiare i connotati sociali dell’America. L’approvazione non è stata tutta rose e fiori, ma Biden il debole, Biden quello pronto a qualsiasi compromesso, ha detto ai repubblicani che proponevano dei cambiamenti (i quali avrebbero reso il «Recovery plan» americano di un terzo più piccolo): no, si fa come dico io. Ed erano i repubblicani con cui Biden vuole parlare, i cosiddetti moderati, l’asse su cui si fonda il dialogo dell’unità a lui tanto caro. Ma per il presidente quello stimolo non era negoziabile: soltanto così, e con un piano per le infrastrutture anche questo gigantesco (ma ancora in discussione), si potrà avviare quel processo di ridistribuzione della ricchezza che sta alla base del pensiero di Joe Biden. Il mercato non cura le diseguaglianze, lo deve fare lo Stato, ancora di più durante una crisi come questa. Celebrando i suoi cento giorni davanti al Congresso riunito in plenaria, Biden ha annunciato un nuovo piano di sostegni per le famiglie da finanziare con le
tasse ai redditi più elevati e ha dichiarato: «L’America si è messa di nuovo in moto». Poi c’è il piano per la transizione ecologica che per la prima volta vuole unire progresso e sostenibilità ambientale. Infine c’è la politica internazionale, quella che riguarda anche noi. Biden ha restaurato i rapporti con l’Europa, ha definito Vladimir Putin «un assassino», ha riconosciuto il genocidio armeno ignorando l’ira della Turchia, ha annunciato il ritiro dall’Afghanistan. Chi celebra la «bontà» del presidente americano si sbaglia: non ha tolto i dazi all’Unione europea, non ha esportato vaccini finché non ha soddisfatto la domanda interna, non ha cambiato strategia nei confronti della Cina. Ha modificato i toni, questo sì, ha puntato sulla collaborazione invece che sulla competizione, e al Congresso riunito in plenaria ha detto di voler combattere contro quelli che pensano che l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio scorso sia «la prova che il sole sta tramontando sulla democrazia degli Stati uniti». E ancora oggi Joe Biden esercita l’arte dei sottovalutati: la nostra sorpresa è la sua forza.
A distanza di anni, la rivista edita da Ringier conferma che il giornalismo moderno premia ancora chi nei contenuti e nella presentazione grafica è attento del passato e al tempo stesso vigile a non subire certi modelli digitali che finiscono per affossare quotidiani e riviste. C’è una frase di Albert Einstein che si addice all’impegno presente nelle pagine della «Schweizer LandLiebe»: «La modernità ha fallito. Bisogna costruire un nuovo umanesimo altrimenti il pianeta non si salva». È quanto con modestia e perseveranza continuano a fare André Frensch (caporedattore sin dall’avvio delle pubblicazioni) e una redazione preparata, sempre ispirata e dinamicissima. Alcune ricerche sul web mi recano conferme: «Schweizer LandLiebe» oggi ha oltre 100 mila abbonati e una tiratura che con le vendite in edicole e librerie va oltre le 177’000 copie. Ciò significa che la formula funziona come esempio di giornalismo «trendy», impegnato in questo caso per andare incontro a chi è rimasto o si sen-
te legato a certi valori del passato, come pure a coloro che vogliono condurre uno stile di vita moderno, sostenibile e rispettoso della natura. Come già accennato, la particolare attrazione di questa rivista è il continuo e attento «richiamo della natura» che redattori e responsabili della parte grafica della rivista riescono a interpretare in modo intrigante e innovativo. Niente a che vedere però con una rivista «di nicchia», legata solo alla natura (giardinaggio, enogastronomia, escursionismo, turismo ecc.) oppure votata a uno dei tanti filoni suggeriti dalle millanta sfumature di verde. Molti lettori apprezzano e lodano soprattutto la «swissness» della rivista, una «svizzeritudine» non patriottarda ma impegnata a far rivivere e conoscere meglio (talvolta aggiornandoli) certi valori e certe passioni del passato. Come tutte le riviste anche «Schweizer LandLiebe» in ogni sua edizione ha un tema dominante che varia con le stagioni. Per la primavera che stiamo vivendo, ad esempio, la
scelta è caduta sulle varie vie del picnic, descritto e illustrato con tanti esempi e suggerimenti. Ma gli argomenti trattati e i personaggi ospitati dal team redazionale sono numerosissimi (meritano citazione visita e presentazioni delle colline moreniche della vallata della Sihl illustrate da straordinarie fotografie). Per capire i segreti del successo editoriale di «Schweizer LandLiebe» basta un’operazione molto semplice: sfogliare la rivista e curiosare tra i numerosi e variatissimi contenuti redazionali. Certo, occorre conoscere il tedesco (impensabile una traduzione in italiano, oppure un prodotto che proponga temi analoghi riferiti solo alla Svizzera italiana, presente comunque di tanto in tanto nei servizi dedicati ai richiami turistici di casa nostra). Questo per dire che è sufficiente anche solo ciò che gli occhi captano per capire che sono soprattutto le emozioni della «svizzeritudine», disseminate con superba maestria grafica, a catturare e convincere i lettori dello «Schweizer LandLiebe».
guadagna più di un milione di dollari all’anno di redditi dal capitale dovrebbe pagare un’imposta federale pari al 43,4% degli stessi. Non sarà facile per Biden introdurre questa riforma nel Congresso, ragione per cui assume una certa importanza anche la proposta della segretaria del tesoro americana, Janet Yellen che intende far applicare, a livello mondiale, una tassazione minima per le aziende, in modo da evitare la trasmigrazione delle multinazionali nei paradisi fiscali. L’idea non è nuova. L’OCSE sta negoziando misure di questo tipo da diverso tempo tra 140 paesi e spera di raggiungere un accordo ancora quest’anno. Fra la proposta Yellen e la proposta OCSE vi è comunque una grossa differenza nel tasso di imposizione. L’OCSE domanderebbe il 12,5% dei profitti e dividendi, Yellen
affari esteri di Paola Peduzzi «uncle Joe» e l’arte dei sottovalutati Chissà se Donald Trump l’ha capito che con quel suo ripetere «Sleepy Joe» parlando di Joe Biden ha costruito uno dei più grandi punti di forza del suo successore alla Casa bianca: l’arte dei sottostimati. Biden è noioso, lento, inciampa con le parole e con le gambe, non sa reagire, non sa attaccare, quindi non sa nemmeno difendere né se stesso né il popolo americano: Trump ha definito così il perimetro del suo avversario, e non è stato il solo. Molti, durante la campagna elettorale dello
Se le aspettative sono basse puoi fare qualunque cosa. (Shutterstock)
scorso anno, hanno pensato e temuto che Biden fosse troppo fragile, per l’età e per i suoi toni pacati, per vincere e poi eventualmente imporsi. L’uomo forte e l’uomo debole, insomma. Poi Biden ha vinto ma non ha fatto nulla per riabilitare la sua immagine dal punto di vista della comunicazione. Continua a fare discorsi abbastanza noiosi, annuncia poche conferenze stampa e solitamente non dice mai nulla di nuovo, inciampa sui gradini dell’Air force one, persino il suo ritratto ufficiale non ha nulla di iconico. Viene da pensare, dopo cento giorni di Amministrazione Biden in cui il presidente ha preso decisioni radicali e «transformational», come dicono loro, che la noia per Biden sia una strategia, anzi un’arte. Se le aspettative sono basse, se la gente pensa che sarai un nonno compassionevole (o uno zio, lo chiamano «Uncle Joe») che traghetta negli anni Venti il pensiero obamiano, puoi fare qualunque cosa. Ed è quello che ha fatto Biden: qualunque cosa. Qualche numero. Ben 42 ordini esecutivi, cioè iniziative del Governo, più di qualsiasi altro presidente dai tempi di Truman. Laddove non riesce a ottenere
Zig-Zag di Ovidio Biffi «Svizzeritudine» che emoziona Mi spiace: sia pure a distanza di anni devo riproporre lo stesso argomento. La scorsa settimana ho ricevuto l’invito di una rivista svizzero-tedesca a sottoscrivere l’abbonamento, ovviamente accompagnato da una copia omaggio dell’ultima edizione della stessa rivista. A motivare la mia trasgressione di sicuro contribuiscono anche i ricordi legati alla professione e alle tipografie: alimentano una sempre viva nostalgia per le produzioni editoriali più curate e l’ammirazione per le belle riviste tedesche (come dimenticare la modernità dei «Du» di 30 o 40 anni fa?). «Schweizer LandLiebe» il nome, con l’aggettivo graficamente posizionato in modo discreto, in modo da dare risalto e forza a «Landliebe», cioè all’Amore per la terra, intesa come paese con le sue tradizioni e le sue radici culturali. Ho subito ricordato di aver avuto in mano e recensito uno dei primi numeri della rivista svizzero-tedesca una decina di anni fa; ma quanto ripropone ora mi suggerisce di parlarne di nuovo in que-
sto spazio. Come avevo scritto allora, per spiegare titolo e contenuti, «Schweizer LandLiebe» persegue nell’informazione linee e principi che ricordano un po’ quelli che hanno suggerito a Migros di creare la linea di prodotti «In Ticino per il Ticino». Anche la rivista ha scelto di proporre ai lettori uno stretto e coinvolgente contatto con il territorio, e lo fa con storie, interviste e approfondite analisi su tematiche direttamente o indirettamente legate alle tradizioni o mirate alla salvaguardia della natura. A distanza di un decennio il prodotto editoriale è praticamente immutato: «Schweizer LandLiebe», prima precorrendo e ora seguendo una tendenza in atto da tempo e diffusa un po’ ovunque, quindi anche in Svizzera, sostiene un ritorno alla natura esteso e applicato a tutto quanto alimenta in generale le spinte contro il degrado e i mutamenti ambientali, ma anche uno stile di vita che consenta una riscoperta della vita semplice e di tanti valori che la società ha sacrificato a modernità e tecnologie.
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Idee e acquisti per la settimana
luNGHI e BellI Spazzolare prima dello shampoo Chi ha capelli folti dovrebbe utilizzare una spazzola con setole arrotondate e di diverse lunghezze. Pettinare o spazzolare i capelli prima dello shampoo permette di eliminare i residui dei prodotti utilizzati per lo styling. In più i capelli caduti rimangono nella spazzola anziché finire nello scarico della doccia.
Più capelli, più shampoo? No, anche per i capelli lunghi è sufficiente una normale porzione, con la quale massaggiare il cuoio capelluto. Durante il risciacquo la schiuma scorre comunque sull’intera lunghezza dei capelli. Il massaggio al cuoio capelluto contribuisce pure a stimolare il flusso di sangue alla radice dei capelli. Al termine sciacquare abbondantemente e applicare il balsamo.
Dal basso verso l’alto I capelli bagnati vanno tamponati delicatamente, quindi districati attentamente e a piccole ciocche, iniziando dalle punte e poi via via salendo fino alla radice. Se si pettinano dall’alto verso il basso, si arrischia di spingere i nodi verso le punte.
Cosa bisogna fare per avere capelli lunghi e ben curati? Prima di tutto aver pazienza. Alcuni suggerimenti per mantenerli sani e belli in ogni momento Testo: Petra Koci
Caldo, caldissimo, con protezione dal calore Chiaramente il modo più delicato è quello di lasciar asciugare i capelli all’aria. Quando si utilizza il phon, bisognerebbe regolarlo su una temperatura media. Piastre e arricciacapelli vanno utilizzati solo sui capelli completamente asciutti, senza dimenticare lo spray che protegge dal calore. Per praticità tali prodotti offrono spesso protezione anche dai raggi UV.
Capelli raccolti Svolgendo alcune attività i capelli sciolti disturbano? Bene, allora è sufficiente raccoglierli, ma l’importante è non legarli troppo stretti ed evitare gli elastici molto sottili. Con un elastico che comprime, nel tempo i capelli possono spezzarsi. Per raccogliere i capelli sono da preferire elastici e nastri morbidi e con un certo spessore.
le regole da seguire Il balsamo andrebbe applicato dopo ogni shampoo. Forma una pellicola protettiva attorno al capello e può trattenere l’umidità al suo interno. Si raccomanda inoltre un trattamento intensivo settimanale, per esempio una maschera. Oltre a preservare i capelli, li può riparare in profondità. I trattamenti sono disponibili sia con risciacquo che leave-in.
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Zac zac e via le punte Per avere capelli sani è importante tagliare regolarmente le punte, ogni pochi mesi: se non vengono eliminate, le doppie punte possono infatti diventare più grandi risalendo lungo il capello. Ciò potrebbe comportare la necessità di tagliare in un secondo momento una lunghezza maggiore. Con le punte tagliate dritte anziché sfoltite, i capelli hanno un aspetto più folto.
Un look pratico per lo sport Chignon, coda di cavallo o treccia permettono di evitare colpi di sole al collo sudato. Con la nuca libera si suda infatti meno che non con i capelli sciolti. Dopo il nuoto sarebbe opportuno sciacquare anche i capelli: sale, sole e cloro li mettono infatti a dura prova.
La notte evitare che si creino nodi Se prima di andare a dormine i capelli lunghi vengono raccolti in una treccia morbida, le probabilità che si aggroviglino durante la notte sono minori. Anche la fodera del cuscino può fare la differenza: seta e raso hanno una superficie più liscia, che riduce l’attrito sui capelli.
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cultura e Spettacoli Scritture d’arte Al Museo Villa dei Cedri di Bellinzona le opere dell’artista Irma Blank intorno al segno
le peripezie di Bayreuth È stato un anno molto difficile per la scena culturale di tutto il mondo, Bayreuth non fa eccezione
Isabelle eberhardt, l’araba svizzera La straordinaria vita di Isabelle Eberhardt, antesignana viaggiatrice con la passione per il mondo arabo
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Nel mondo dei beati
Incontri David Streiff ci racconta l’importante
restauro dell’opera il Chiaro mondo dei beati di Elisàr von Kupffer al MonteVerità
Ada Cattaneo Inesauribile fonte di sorprese, il Monte Verità annovera oggi un nuovo tassello nel percorso di riscoperta e presentazione delle proprie vicende. Se ci eravamo lasciati nel maggio 2017 con la riapertura di Casa Anatta, dallo scorso primo aprile è visitabile un’altra sezione del complesso museale: si tratta dell’allestimento, a seguito del restauro, del dipinto di Elisàr von Kupffer Il chiaro mondo dei beati. Un vero e proprio panorama, ovvero quel tipo di veduta circolare, molto in voga nell’Ottocento, che offre all’osservatore l’illusione di entrare d’un tratto nel mezzo di un paesaggio dipinto, che si sviluppa a trecentosessanta gradi. In questo caso, ci ritroviamo in un ambiente idilliaco, abitato da figure efebiche ritratte attraverso le quattro stagioni. Quando Harald Szeemann venne a conoscenza di quest’opera nel contesto delle sue ricerche sulla Lebensreform, ne rimase affascinato, rilevando anche lo sforzo dell’autore per creare un ambiente suggestivo, determinato da luci, colori e concatenazione delle opere, quasi alla stregua dei moderni environment. Szeemann volle quindi includere Il chiaro mondo dei beati nella sua mostra Le mammelle della verità, che dal 1978 viaggiò da Ascona a Zurigo, Berlino, Vienna e Monaco di Baviera. Fu proprio l’interesse del curatore bernese ad attivare il meccanismo di salvaguardia di quest’opera – e della storia che porta con sé – che con ogni probabilità sarebbe altrimenti andata dimenticata. È David Streiff, già direttore dell’Ufficio federale della cultura e oggi membro dell’Associazione Pro Elisarion, a raccontarne in questa intervista. elisàr von Kupffer è un personaggio affascinante: potrebbe dirci qualcosa su di lui, anche per capire la sua presenza in ticino?
Elisàr nasce nel 1872 da una famiglia della piccola nobiltà tedesca del Baltico. A San Pietroburgo studia lingue e giurisprudenza, decidendo poi di diventare scrittore. Qui incontra anche Eduard von Mayer, figlio di un medico. I due diventano amici inseparabili e compagni di vita. La loro formazione prosegue a Berlino e Monaco di Baviera. Elisàr pubblica nel 1900 Lieblingsminne und Freundesliebe in der Weltliteratur, la prima antologia di testi omoerotici. Seguono viaggi in Grecia e Italia e un lungo soggiorno fiorentino dal 1902 al 1915. Viste le tensioni politiche antitedesche
dovute alla Prima guerra mondiale, i due si spostano in Ticino. Vivono a Muralto, finché – nel 1925 – acquistano un terreno a Minusio. È in questo periodo che Elisàr comincia a dipingere. Sulla base di un progetto architettonico che combina casa e tempio, viene eretto il «Sanctuarium Artis Elisarion», che apre al pubblico nel 1927. Von Kupffer muore nel 1942, mentre von Mayer nel 1960. Non si realizza il desiderio che sia il Cantone a occuparsi dell’edificio: erede diventa il Comune di Minusio. Von Kupffer arrivò a fondare una religione, il clarismo, un culto definito «antipatriarcale». che cosa auspicava questa dottrina?
Già durante gli anni in Italia Mayer e Kupffer sognano di creare una nuova religione, che chiameranno «Clarismo». Non sono gli unici a farlo in questo periodo: molto più successo, per esempio, ebbero Rudolf Steiner e la sua antroposofia. È un tentativo di superare le differenze fra generi, verso una fusione di caratteristiche maschili e femminili. A questo sottende senza dubbio un’apologia dell’omosessualità. Questo è ciò che si intendeva con «religione antipatriarcale». Per un certo tempo riscosse successo e in Germania furono perfino aperti dei centri claristi. Oggi, il loro programma può essere considerato come un’anticipazione delle attuali discussioni sulla diversità di gender e sulla questione LGBTQ.
Qual è il valore storico del dipinto appena restaurato Chiaro mondo dei Beati e del Santuario, che tanto suscitarono l’interesse di Szeemann? egli gli dedicò ampio spazio nel suo progetto sul monte Verità.
Il Chiaro mondo dei Beati è l’opera centrale di Elisàr, l’apoteosi della religione che ideò, insieme a von Mayer, e della sua opera pittorica. Per esso, al secondo piano, fu costruita nel 1939 un’apposita sala circolare, fulcro del santuario Elisarion. Il «Chiaro mondo» conclude un percorso spirituale all’interno dell’edificio, lungo il quale si passava dal caos del mondo reale a una sorta di eden. Anche al pianterreno i visitatori potevano ammirare un gran numero di dipinti di Elisàr, che completavano questo pellegrinaggio. Il valore storico sta nella singolarità di questo grande dipinto che rappresenta il peculiare paradiso clarista nella forma di un dipinto circolare. Lo stile si inserisce nel concetto di «Arte ossessiva» e di sogno di una vita alternativa che affascinava tanto Harald Szeemann e che tanto lo interessava al Monte Verità.
Un dettaglio del dipinto di Elisàr von Kupffer Il chiaro mondo dei beati. (elisarion.ch) le esperienze del monte Verità e il santuario di minusio non ebbero una relazione diretta, ma secondo Szeemann il secondo fu quasi una continuazione ideale del primo. come si inserisce oggi il dipinto nel contesto museale?
Gli interni originali dell’Elisarion di Minusio furono distrutti alla fine degli anni Settanta per trasformare l’edificio in un centro culturale. Szeemann, che aveva salvato in extremis il Chiaro mondo e tante altre opere, trovò una soluzione sistemandolo al Monte Verità. Fece costruire una sorta di capanna per esporre il Chiaro mondo e alcuni altri quadri. Come segnala lei, Mayer e von Kupffer non erano in contatto con la comunità del Monte Verità, ma Szeemann aveva ragione: sono movimenti riformatori paralleli, sorti all’insegna della ricerca di un mondo migliore. Oggi il padiglione Elisarion restaurato è diventato uno dei luoghi emblematici del complesso museale Monte Verità, accanto all’albergo in stile Bauhaus e a Casa Anatta.
come è stato svolto il lavoro di sensibilizzazione sul valore storico e culturale dell’elisarion?
Dopo la morte di Szeemann nel 2005 e la pubblicazione di un primo studio scientifico sull’arte di Elisàr, nel 2008 alcuni amici si sono riuniti per fondare la «Pro Elisarion». Lo scopo era «la salvaguardia del lascito di Elisàr von Kupffer», «il restauro del dipinto circolare attualmente al Monte Verità» e «la sistemazione del lascito fotografico ed epistolare di Elisàr von Kupffer ed Eduard von Mayer». Proprio come Harald Szeemann, anche noi ci siamo molto appassionati a questo lascito che per tanto tempo fu in pericolo. Grazie a Joel Morgantini, già membro del Consiglio comunale, nel 2011 il Comune di Minusio ci concesse la possibilità di realizzare nella casa stessa una mostra dedicata ai fondatori dell’Elisarion. Per la prima volta le fotografie diedero un’idea di ciò che rappresentava l’Elisarion in termini di «Gesamtkunstwerk»: diventava comprensibile il programma iconografico
della casa e la funzione del Chiaro Mondo nella rotonda del secondo piano.
la Pro elisarion rappresenta un esempio emblematico di sostegno attivo alla cultura da parte della cittadinanza. Vuole raccontarci come siete arrivati fino ai risultati attuali?
La mostra del 2011 ha dato il via a un percorso di raccolta fondi e di lavori che, dieci anni più tardi, hanno permesso l’apertura del padiglione con una nuova mise-en-scène del dipinto circolare restaurato. Il contributo finanziario iniziale è stato dato dal Comune di Minusio, al quale hanno fatto seguito i contributi del Cantone, ma anche la «Pro Elisarion» è riuscita a trovare finanziamenti decisivi, anche grazie alla «Pro Patria». Così, il Chiaro Mondo dei Beati, che oggi è conservato nelle corrette condizioni di temperatura e umidità, ha trovato di nuovo la sua forma originale di «panorama», una tipologia di opera davvero rara in Svizzera e senz’altro questo ne è l’unico esemplare in Ticino.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 maggio 2021 • N. 18
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cultura e Spettacoli Irma Blank, Eigenschriften Page I, 1968 pastello su carta. (Courtesy the artist and P420, Bologna © Photo Carlo Favero)
amma, Waris e tutte loro
Narrativa Affascinanti e tragiche storie
di donne nel libro di Bernardine Evaristo Laura Marzi Ragazza, donna, altro è il titolo dell’ultimo romanzo di Bernardine Evaristo, la prima autrice afroamericana a vincere il Booker Prize, il più prestigioso premio letterario britannico. Il testo, tradotto in italiano dalla grandiosa Martina Testa (già traduttrice di David Foster Wallace), pubblicato da Sur, è uno di quei romanzi rari, come le cose davvero belle, quei libri a cui si torna appena c’è un momento libero, felici che siano ad aspettarti sul comodino, la sera.
la scrittura dell’essere mostre Il Museo Villa dei Cedri a Bellinzona dedica una mostra
all’artista tedesca Irma Blank
Alessia Brughera Quando a metà degli anni Cinquanta Irma Blank, poco più che ventenne, lascia la Germania e si trasferisce in Sicilia per seguire il marito, vive un profondo strappo geografico, culturale e linguistico: abissale è la distanza tra il suo paese di origine, Celle, località della Bassa Sassonia dal fascino aristocratico, e Siracusa, solare cittadina abbracciata dal mare, dove la giovane artista arriva senza conoscere minimamente l’italiano. Proprio l’esperienza di questo sradicamento rende la Blank consapevole dell’inadeguatezza delle parole per esprimere ciò che sente e la conduce a riflettere su come i mezzi di comunicazione, il lessico e la scrittura, possano diventare un linguaggio universale capace di manifestare appieno l’intimità dell’esistenza.
L’artista Irma Blank è riuscita a legare la scrittura alla dimensione dell’essere «Pur essendomi servita di strumenti che storicamente fanno parte della pittura, non ho mai pensato di dipingere. I miei gesti appartengono sempre alle procedure scrittorie. Ho indagato gli abissi dell’Io, l’archivio individuale e collettivo del passato e del presente, ho interrogato il mondo, il rumore del mondo, scrivendo», così l’artista stessa spiega il proprio operato. E difatti la poetica che non solo distingue gli esordi della Blank ma che sottende anche tutta la sua ricerca nasce dallo stretto rapporto con la scrittura, una scrittura che la sua arte è riuscita a svincolare dall’ambito del sapere e a legare alla dimensione dell’essere. Oggi, quasi novantenne, la Blank, che vive a Milano dagli anni Settanta, prosegue quel percorso di esplorazione delle diverse possibilità con cui il segno può rappresentare l’animo umano iniziato più di mezzo secolo fa e diventato con il tempo, prima ancora che un’attività artistica, un esercizio per il proprio spirito. Non è un caso che la Blank lavori sempre per serie, realizzando cicli di opere che la impegnano anche per molti anni. Un emblematico modo di procedere, questo, che rivela come l’artista affronti un concetto alla volta, soffermandosi su di esso per trattarlo a
fondo e per assecondare il suo bisogno di rapportare l’arte alla vita. Il contesto in cui la Blank sviluppa la propria cifra stilistica è quello della grande sperimentazione della seconda metà degli anni Sessanta, periodo in cui l’arte concettuale si pone come corrente trainante. Sebbene la critica abbia cercato di ricondurre la produzione dell’artista tedesca alla poesia visiva, con cui di certo le sue opere hanno elementi in comune, la Blank, anche per sua stessa ammissione, si è sempre tenuta in una posizione piuttosto appartata, maturando con riservatezza un linguaggio autonomo che parte dalla sua storia personale per assumere una valenza collegiale. Da questa ascetica dedizione al proprio mestiere nascono opere in cui l’artista riesce a coniugare la scrupolosa disciplina delle sue origini teutoniche e la profonda considerazione dell’individuo tipica della tradizione artistica italiana. Animati da una quieta solennità i lavori della Blank sono disegni, acquarelli, dipinti e inchiostri, ma anche performance e libri d’artista (questi ultimi sono forse le creazioni più note, ospitate tra l’altro nelle sale del Museum of Modern Art di New York), in cui la scrittura viene trasformata in segno autonomo privo di significato. L’artista va così oltre il contenuto semantico delle parole per recuperare i simboli primordiali della comunicazione. Le tracce lasciate sul supporto di carta e di tela o sulla pagina di libro sono linee, pennellate e arabeschi che imitano nella composizione e nel ritmo visivo il testo scritto, ma, emulandolo nella sua ordinata distribuzione, è come se lo negassero, diventando impronte grafiche prive di valenza linguistica, una sorta di idioma del silenzio. Quinta tappa di un progetto itinerante dedicato all’artista che si dispiega in sette rassegne organizzate in altrettante sedi espositive (tra cui il Culturgest di Lisbona, il MAMCO di Ginevra e il Bombas Gens Centre d’Art di Valencia), la mostra allestita al Museo Villa dei Cedri a Bellinzona costituisce un tassello importante per comprendere il cammino di Irma Blank in una visione d’insieme. Il lavoro di ricerca da cui sono scaturite questa e le altre mostre, ognuna delle quali si focalizza su un aspetto peculiare dell’indagine espressiva dell’artista, è stato fondamentale anche per la pubblicazione della sua prima grande monografia. Nelle sale dall’atmosfera raccolta di Villa dei Cedri sono state radunate numerose opere di piccolo e medio
formato privilegiando, per la prima volta, la tematica del colore, elemento di estrema importanza all’interno della produzione della Blank. Quello che a Bellinzona attende il visitatore non è dunque un itinerario allestito secondo un criterio cronologico bensì un percorso che procede per nuclei di lavori dall’affinità cromatica appartenenti a periodi e cicli diversi. Il colore rappresenta per la Blank il frangente emozionale della propria arte e a ogni tonalità viene affidato un preciso significato. Troviamo così il viola e il rosa, le tinte dell’introspezione e dell’analisi interiore; il nero, quella più vicina al mondo della scrittura; il blu, quella dell’inchiostro, dell’infinito e dell’utopia. Quest’ultima, in particolare, riveste un ruolo rilevante, come emerge dalla mostra, nelle Radical Writings, opere realizzate dal 1983 al 1996 in cui l’artista utilizza una «grafia pittorica» dove ogni segno viene prodotto in simultanea con il respiro, a creare una stretta corrispondenza tra fare ed esistere. Il blu irrompe anche negli Avant-testo, ciclo che celebra i primordi della scrittura. Qui la Blank ricopre in maniera omogenea un supporto in poliestere tramite il movimento rotatorio di un fascio di biro tenuto in mano: il tratto si fonde nuovamente con il corpo in azione, facendosi prosecuzione dello spazio interiore. Il rosso e il bianco, cromie ancora legate al mondo tipografico, appaiono in rassegna in lavori appartenenti ora alle Global Writings, fondate su un alfabeto ridotto a poche consonanti che funge da punto di partenza per un lessico universale, ora alla serie Hyper Text, eseguita sovrapponendo con la tecnica serigrafica tre testi scritti in lingue diverse con lo scopo di annullarne la leggibilità. Altri colori, come il verde e l’oro, si presentano invece per la prima e unica volta nei due cicli intitolati Germinazioni e Annotazioni, risalenti ai primi anni Ottanta, in cui le stesure dorate regalano riflessi luminosi di grande intensità. Nel silenzio ieratico delle sue opere la Blank è riuscita così a far coincidere arte e vita, attuando una profonda riflessione sull’esistenza attraverso il paradosso di una scrittura senza parole.
L’autrice afroamericana riesce a raccontare la contemporaneità partendo da una prospettiva storica Per descrivere l’esperienza di questa lettura potrebbe essere utile l’immagine di una foresta: molti alberi, interconnessi fra di loro. Lo stesso, infatti, avviene con le personagge che popolano il romanzo di Evaristo. Il testo è diviso in cinque parti e ognuna di esse contiene la storia di una donna, lesbica o eterosessuale, transgender, bianca, nera, meticcia… Ognuna di loro è legata alle altre attraverso fili sottili, ma mai deboli, come le radici, appunto. Il romanzo si apre e si chiude con la storia di Amma, regista teatrale afroamericana, lesbica, che vive a Londra: la incontriamo il giorno della prima del suo spettacolo al National Theatre. Dopo decenni di avanguardia e di lotta contro l’establishment culturale razzista e sessista londinese, Amma è riuscita a conquistare la possibilità di mettere in scena un suo spettacolo in un importante spazio artistico della capitale britannica. Alla prima di questo evento partecipano amiche, amanti, la figlia… Proprio a partire dal pubblico dello spettacolo di Amma, l’autrice inizia a costruire il suo libro, attraverso una staffetta perfetta di storie. Dopo Amma infatti leggiamo di Yazz, sua figlia: Amma l’ha concepita con Roland, un suo carissimo amico omosessuale, nonché intellettuale di riferimento e accademico di spicco. Nelle pagine dedicate a Yazz incontriamo anche le sue amiche, Waris, somala che «dice sì all’hijab e al sesso fuori dal matrimonio, no all’alcol e alla carne di maiale» e Courtney «cresciuta in una fattoria nel Suffolk dove produ-
dove e quando
Irma Blank. BLANK. Museo Villa dei Cedri, Bellinzona. Fino al 1° agosto 2021. Orari: me-gio 14.00-18.00; ve-do e festivi 10.00-18.00; lu e ma chiuso. www.villacedri.ch
Bernardine Evaristo è nata a Londra nel 1959. (Wikipedia)
cono frumento e orzo, e loro ci hanno scherzato su, dicendo che allora si spiegava l’aria da ragazza di campagna il luccichio negli occhi, ha detto Nenet la pelle semitrasparente, ha detto Yazz, le tette da lattaia, ha aggiunto Waris». Sempre nella prima parte leggiamo di Dominique, la migliore amica di Amma, con cui avevano gestito insieme una compagnia teatrale per anni, prima che Dominique si innamorasse di Nzinga e si trasferisse negli Stati Uniti, per la precisione in una comune di donne. Nzinga gestiva una piccola impresa di costruzione, ma soprattutto controllava la vita di Dominique, fino ad arrivare a impedirle di uscire di casa. È solo grazie al sostegno delle amiche che Dominique riesce a scappare dalla vita di semiprigionia a cui la sua compagna l’aveva relegata. Attraverso un sistema di cerchi concentrici che piano piano si allarga, è il turno di Carole che grazie al proprio talento e alla propria determinazione si garantisce una carriera di successo, attraversando in completa solitudine il lutto per la morte del padre, la povertà e uno stupro di gruppo, subito a tredici anni, di cui non ha mai fatto parola con nessuno. Poi, leggiamo di sua madre, Bummi, approdata in Inghilterra col suo amato marito Augustine, morto di infarto giovanissimo. In ognuna di queste storie si bilanciano la tragedia e la sorpresa, la meraviglia e la disperazione: la grande abilità dell’autrice è quella di non voler intrappolare lettrici e lettori in nessuna di queste emozioni. Evaristo non vuole fare proseliti di nessun tipo, non crea allora un romanzo antirazzista o per la difesa dei diritti delle donne lesbiche o delle persone transgender. Si tratta di un’opera letteraria, che come tale supera le etichette socio-politiche. Ciò non toglie che Ragazza, donna, altro riesce a raccontarci il mondo contemporaneo occidentale, a partire da una prospettiva storica: scrivendo delle antenate delle donne presenti alla prima di Amma conosciamo le lotte, le vittorie del femminismo, le resistenze del patriarcato, le ingiustizie del razzismo e del mondo post-coloniale. Queste scoperte avvengono però solo attraverso le storie delle tante protagoniste di questo romanzo che è davvero un universo, navigabile dalla poltrona di casa. Bibliografia
Bernardine Evaristo, Ragazza, donna, altro, SUR, pp. 520.
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cultura e Spettacoli
auf Wiedersehen, Bayreuth
musica Tutto ciò che ruota intorno a uno dei più importanti festival del mondo ha un unico comune
denominatore che si chiama incertezza
Sabrina Faller Se il 2020 è stato un anno difficile per Bayreuth e il suo festival, come del resto per altri eventi, anche il 2021 fino a questo momento è meno rasserenante di quanto speravamo. Ma il festival in qualche modo si dovrebbe fare, e questa è la buona notizia. Quello passato è stato davvero un annus horribilis, non soltanto a causa della pandemia che ha costretto a bloccare la produzione del nuovo allestimento del Ring, che avrebbe dovuto debuttare nel luglio 2020 e che sarà probabilmente nel cartellone del 2022. Il 2019 si è chiuso infatti con la morte repentina del portavoce e responsabile dell’ufficio stampa Peter Emmerich, 61 anni, figura storica del festival e punto di riferimento per i giornalisti. Il 2020 ha visto ammalarsi la direttrice artistica Katharina Wagner e lasciare l’incarico per alcuni mesi, il tempo necessario per curarsi e guarire. La vicenda era circondata da un alone di mistero e ha tenuto molti di noi con il fiato sospeso, mentre si andava speculando chi della famiglia Wagner avrebbe potuto sostituirla in quel ruolo ambito e difficile. Ma alla fine dell’estate tutto appariva placato, in settembre la città ha potuto ospitare in presenza il Festival Barocco al Teatro dell’Opera dei Margravi – l’altro teatro bellissimo di Bayreuth, un edificio del 1745 con gli interni curati da Giuseppe Galli Bibiena, oggi patrimonio Unesco – davanti a un
pubblico limitato a 200 spettatori per ogni rappresentazione, ma felice della riapertura. Un’altra buona notizia è arrivata verso la fine dell’anno, con la conferma del credito di 85 milioni di euro accordati dal governo centrale per il restauro dell’intero teatro. Poi, come tutti sanno, la gioia di riaprire i teatri ha avuto vita breve: pochi mesi o settimane dopo, l’Europa era di nuovo in emergenza Covid, e la Germania, che era stata colpita non troppo duramente nella prima ondata, si è confrontata questa volta con numeri davvero raggelanti che hanno imposto al governo un ripensamento totale della politica anticovid fino a sfociare nell’approvazione, da parte del parlamento, della legge proposta dalla cancelliera Merkel che impone direttive e decisioni del governo federale per tutto il territorio nazionale, togliendo dunque ai Länder questa prerogativa. Per quanto riguarda l’acquisto dei biglietti per il festival, la decisione definitiva – così almeno parrebbe – è che ci sarà una vendita online il 6 giugno e per quest’anno è tutto. Al momento non è stata presa alcuna decisione rispetto al numero delle persone che potranno accedere alla sala di quasi 2000 posti, ma gli scenari prospettati sono tre: 200, 450 o 900 persone per ogni rappresentazione. Il primo scenario, è stato detto da più parti, metterebbe la città in imbarazzo perché gli omaggi per le autorità sarebbero davvero pochi. Inoltre i
Il Teatro dell’Opera dei Margravi a Bayreuth. (Shutterstock)
costi del festival sono in aumento dallo scorso anno e le prospettive sull’arrivo dei 60’000 ospiti che solitamente accorrono in estate dando un contributo determinante all’economia della città sono anche per quest’anno impensabili. La città ha aumentato i sussidi al festival per compensare la perdita di introiti dalla mancata vendita dei biglietti e tutto questo porta a nuove discussioni in consiglio comunale. Il programma
del festival è stato comunque varato a fine gennaio e successivamente confermato, con l’aggiunta di sempre nuovi eventi e dettagli. Assisteremo (ovvero, qualche fortunato assisterà) alla nuova produzione di Der Fliegende Holländer, che segnerà la prima volta di una direttrice d’orchestra sul podio di Bayreuth, la lituana Oksana Lyniv, che ha già diretto quest’opera al Teatro del Liceu Barcelona. La regia è affidata a Dmitri
Tcherniakov, regista e scenografo di consolidata esperienza, anche con Wagner, di cui ha diretto più volte Tristan und Isolde. In scena l’acclamato Georg Zeppenfeld – da anni presente in ruoli diversi nelle produzioni del festival – nel ruolo di Daland, e un debutto molto atteso sul palcoscenico di Bayreuth: nel ruolo di Senta, un’altra lituana, Asmik Grigorian, interprete meravigliosa di una indimenticabile Salome salisburghese per la regia di Romeo Castellucci, e di una perturbante Marietta in Die Tote Stadt per la regia di Graham Wick alla Scala, qualche anno fa. Sono previste inoltre repliche di produzioni recenti, il fortunato allestimento di Die Meistersinger von Nürnberg e il bel Tannhäuser di Tobias Kratzer. Sono previsti anche due concerti, sotto la bacchetta di Andris Nelson e Christian Thielemann, eventi multimediali ed eventi all’aperto, questi ultimi nel parco del Festspielhaus, tra cui un nuovo lavoro musicale dal titolo Das Rheingold – Immer noch Loge, del compositore Gordon Kampe. Nel frattempo la Germania sperimenta per la prima volta, come altri paesi, il cosiddetto «coprifuoco» notturno previsto fino al 30 giugno. A Bayreuth sono già arrivati i tecnici delle luci, mentre le prove musicali cominceranno a giugno. Tutti speriamo nell’avanzata della campagna di vaccinazione e nell’estate, ma la strada per arrivare sulla collina verde è ancora irta di difficoltà e imprevisti. Annuncio pubblicitario
una zattera di simpatici disperati In scena In alto mare, atto unico diretto
dalla regista cilena Pilar Koller
Giorgio Thoeni Fuori di metafora, non si può dire che sia stata proprio come una ventata d’aria fresca, se consideriamo certi spazi ridotti e l’onnipresente mascherina, ma almeno siamo tornati a teatro e, questo sì, è stato come respirare dopo una forzata apnea. Un primo timoroso passo verso una normalità controllata che, salvo ulteriori sorprese, può permettere di assistere a qualche modesto ma coraggioso allestimento regionale. Come quello della compagnia Teatro Thalìa che ha portato al debutto In alto mare, un atto unico del drammaturgo polacco Slamovir Mrozek (1930-2013) visto recentemente al Teatro Cambusa nello Spazio Elle di Locarno. Il testo fa parte di una trilogia e, sebbene scritto negli anni 60, in un certo senso, rispecchia alcuni temi che ritroviamo anche in questo periodo: la malattia, l’isolamento, il potere fra la dittatura e la de-
La locandina dello spettacolo diretto da Pilar Koller.
mocrazia, l’egoismo, la condivisione. Il soggetto di In alto mare richiama alla lontana anche il mito romantico del naufragio (dalla ballata di Coleridge alla zattera della Medusa di Géricault) dove vediamo tre personaggi su una zattera in balìa del mare. Senza viveri, i malcapitati devono decidere chi di loro dovrà sacrificarsi per sfamare i suoi compagni. Prende così avvio, in un impianto estremamente semplice ma raffinato, una sorta di farsa democratica fra imbrogli e stratagemmi attorno alla fatale decisione antropofaga che, sebbene in un contesto molto particolare, mette in luce i temi cari alla vena ironica e satirico-sociale di Mrozek sui temi della libertà e dell’alienazione. La regista cilena Pilar Koller, punta su una recitazione ironica, satirica, al limite di una parodia messa a nudo anche grazie a una scenografia minimalista (Alessandro Di Blasi), semplice e ingegnosa come per l’idea di rappresentare il mare che circonda la zattera con una grande striscia di plastica agitata da un ventilatore sotto la quale un messaggero nuota a pancia in giù su uno skateboard per attraversarla… gustosa trovata. Con qualche essenziale effetto di luce ma, soprattutto, con il divertimento dei giovani attori sulla zattera che porta il pubblico ad apprezzare il contrasto tra i personaggi in un allestimento povero ma al contempo ricco di talento per la personalità ferma e altezzosa di Simone Ganser, la leggiadra figura di Camila Koller, l’esotica efficacia di Polina Tallone con uno spassoso Ettore Chiummo (messaggero e rumorista).
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 maggio 2021 • N. 18
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cultura e Spettacoli
libera sempre
Personaggi L’incredibile storia della breve ma intensa vita di Isabelle Eberhardt, amante ed esploratrice dell’Islam
e «precursore» della tolleranza culturale Benedicta Froelich Sebbene i cosiddetti «studi di genere» dell’ultimo decennio si siano rivelati cruciali nel dimostrare come i primi anni del Ventesimo secolo abbiano visto figurare diverse donne tra gli esploratori occidentali avventuratisi in terre più o meno ignote, molte di queste hanno conservato un’aura ben più misteriosa delle loro controparti maschili. Basti pensare a una figura che, più di ogni altra, meriterebbe l’appellativo di «pioniera» dell’interculturalità: la ginevrina Isabelle Eberhardt, la quale avrebbe spinto la propria passione per il mondo arabo fino al punto di abbandonare completamente la propria reale identità in favore di una nuova vita in Algeria.
Isabelle Eberhardt, innamorata della cultura araba sin dall’adolescenza, arrivò a cambiare identità Del resto, non sarebbe un’esagerazione affermare che la storia di Isabelle sia stata quantomeno anticonvenzionale fin dagli inizi come figlia illegittima di due «liberi pensatori»: la madre, Nathalie, aveva infatti abbandonato un tranquillo matrimonio aristocratico per scappare con il tutore dei figli, Alexander Trophimowsky, ex prete ortodosso convertitosi in anarchico e ateo convinto. Fuggiti in Svizzera, da sempre rifugio degli «irregolari» di ogni dove, si erano stabiliti a Ginevra, dove ai tre figli di primo letto di Nathalie si sarebbero aggiunti Augustin e, infine, Isabelle, nata nel 1877. Cresciuta nell’eccentrico caos di casa, l’ultimogenita ebbe in dono dal padre una cultura pressoché enciclopedica: tra le altre lingue, imparò anche l’arabo classico, che accese in lei la curiosità per le terre nordafricane. Fu così che, appena adolescente, Isabelle, già innamorata della letteratura, s’imbatté nel punto di svolta della propria vita – la corrispondenza con Eugène Letord, ufficiale francese di stanza nel Sahara: un «amico di penna» che l’avrebbe fortemente incoraggiata ad abbandonare la patria a favore dell’Africa. Il fatto che la giovanissima rampolla di casa Trophimowsky riuscisse a farsi una cultura enciclopedica sul mondo islamico semplicemente attraverso le lettere di Letord la dice lunga sulle sue intenzioni: lungi dal voler essere una semplice turista, Isabelle prese infatti a scrivere racconti e romanzi ambientati nelle terre nordafricane, le cui trame erano ben lontane da quanto ci si sarebbe potuti aspettare da una ragazza ginevrina di buona famiglia. Lavori come il racconto Infernalia (su un caso di necrofilia) e Visioni del Maghreb (l’impossibile storia d’amore tra una donna russa e un mistico algerino) mostrano come il suo amore istintivo e assoluto per quei luoghi esotici permettesse all’immaginazione della Eberhardt di vincere sull’esperienza – il tutto ben prima che, nel 1897, si trasferisse infine in Algeria, nel dipartimento francese di Bône, dove lei e la madre si sarebbero immerse completamente nella cultura araba, convertendosi alla religione islamica. Ma fu nel 1900, dopo la morte di ambo i genitori, che, una volta ritrovatasi sola (e assolutamente refrattaria a una vita in Svizzera), Isabelle decise di abbracciare del tutto la propria nuova vita, con la completa trasformazione da donna occidentale della buona borghesia in viaggiatrice androgina. La testa rasata sotto il fez, la Eberhardt di-
Isabelle Eberhardt in un’immagine del 1900. (Wikipedia)
venne per tutti «Si Mahmoud Saadi», il suo nuovo alias maschile – e sotto queste spoglie s’imbarcò in un’esplorazione dell’Algeria che, all’epoca, le intellettuali della sua generazione potevano solo sognare. Benché animata da una sorta d’autoimposto ascetismo, basato sulla rinuncia della propria femminilità in favore del ritorno a uno stato d’istintuale libertà (e al distacco dalle rigide regole imposte dalla società europea), la Eberhardt non era certo il primo rappresentante dell’intellighenzia europea a rifiutare la cosiddetta «civiltà» in favore delle esotiche terre d’Africa; eppure, la sua identità di donna rendeva l’impresa particolarmente ardua, almeno agli occhi dei contemporanei. Forse per questo, ella risolse il problema tramutandosi in una figura misteriosa e dall’aura indefinibile – dedita all’esaltazione delle privazioni fisiche, eppure, allo stesso tempo, mossa da una prorompente sensualità. La vita priva di compromessi di Isabelle non avrebbe subìto grandi cambiamenti neppure dopo l’incontro con Slimane Ehnni, soldato algerino che sposò nel 1901: presto disillusa dalle ambizioni borghesi del consorte, si buttò di nuovo nel lavoro, scrivendo per il giornale Al-Akhbar e pubblicando il suo romanzo giovanile Trimardeur («vagabondo»). Nel frattempo, oltre a essere ammessa nell’antico ordine Sufi della Qadriya, svolse lavoro diplomatico come intermediaria tra l’amministrazione coloniale del generale francese Lyautey e i locali (dandosi da fare anche in qualità di spia). Tuttavia, la conversione all’Islam e le palesi tendenze anticolonialiste portavano molti europei a scansarla, e presto la Eberhardt si ritrovò in povertà, la salute minata da frequenti attacchi di malaria (oltreché dalla grave ferita riportata nel 1901, in un attentato alla sua vita per mano di un fanatico). Fino al 21 ottobre del 1904, quando un’improvvisa inondazione colpì il villaggio di Aïn Séfra, dove lei e Ehnni alloggiavano; data per dispersa, l’appena ventisettenne autrice venne poi ritrovata senza vita tra le macerie, circondata dalle proprie, preziose carte – le quali avrebbero costituito la base delle pubblicazioni postume, inaugurate dall’editore Barrucand con i primi due di una lunga serie di volumi destinati a costituire l’opera omnia della Eberhardt (Dans l’ombre chaude de
l’Islam e Notes de route: Maroc-AlgérieTunisie, pubblicati rispettivamente nel 1906 e 1908). Tuttavia, il lascito di Isabelle va ben oltre la sua vita pittoresca e vagamente
convulsa: l’assoluta modernità dei suoi scritti, caratterizzati da posizioni apertamente tolleranti e femministe, resta a imperitura testimonianza di uno spirito libero e precursore – lo spirito di una
donna indomita che, al pari del ribelle Dimitri, protagonista di Trimardeur, è stata disposta a qualsiasi sacrificio pur di preservare fino all’ultimo la propria libertà interiore. Annuncio pubblicitario
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cultura e Spettacoli Rubriche
In fin della fiera di Bruno Gambarotta l’evoluzione della truffa «Pronto, parlo con la signora Rossi? Sì. Signora Rossi, lei abita a Torino? Sì. Complimenti signora, con quei due sì, che ho provveduto a registrare, lei ha firmato il contratto per il cambio di gestore. Ma veramente io mi trovo bene col mio. Una curiosità: lei quanto spende con l’attuale gestore? Due euro e 40 centesimi ogni bimestre. Scherza? La derubano. Con il nuovo contratto che ha appena firmato lei potrà una volta alla settimana fare una telefonata gratis in Australia. Io non conosco nessuno in Australia. Niente paura, le offriamo noi un contatto. Ma io non ho nessuna voglia di parlare a uno sconosciuto. Rinuncia? Bene, per ogni telefonata in Australia non fatta, noi le rimborsiamo 5 euro. Deve solo darmi gli estremi del suo conto corrente e il codice di accessione. Vedrà che bella sorpresa». «Pronto, parlo con il signor Bianchi? Sì, con chi parlo? Qui è il capo delle squadre del comune per la disinfezione delle case per via della pandemia. Non ho
mai sentito parlare di questa pratica. Ha ragione, è una procedura tenuta riservata per non suscitare il panico fra le persone che vivono sole come lei. Nessun timore, i nostri addetti sono provvisti di regolare codice di identificazione. La preghiamo solo di non parlarne ai suoi condomini, per non metterli in allarme. Va bene, ma cosa devo fare? Niente di speciale. I virologi dei telegiornali non svelano che il Coronavirus si attacca con particolare virulenza alle banconote e agli oggetti d’oro e d’argento. Per sveltire le operazioni le chiediamo solo di estrarre il tutto dai loro ripostigli e sistemarli su un tavolo ricoperto da un asciugamano bianco. Quei pochi ori sono in banca, in una cassetta di sicurezza. Cosa aspetta? Vada a prenderli mentre noi arriviamo. Avvenuta la disinfestazione potrà riportarli subito in banca. Una volta fatto il suo dovere di cittadino, si metterà la coscienza in pace. E anche noi». «Pronto, parlo con la signora Maria?
Sì, dica, con chi parlo? Suo nipote mi ha dato il suo numero, mi ha chiesto il favore di telefonarle. Quale nipote? Ne ho otto di nipoti. Scommetto che si tratta di Federico. Brava, ha indovinato. Perché non mi chiama lui? Cos’ha combinato questa volta? Niente di male, non si preoccupi. Federico ha il telefono scarico e ha urgenza di avere una risposta da lei prima di procedere. Che genere di risposta? Come lei sa, a causa della pandemia gli alberghi delle località di villeggiatura sono rimasti vuoti. La famiglia proprietaria di un cinque stelle di Camogli, in difficoltà finanziaria, ha deciso di trasferirsi all’estero e lo vende a un prezzo stracciato, ma ha necessità di fare subito l’atto di vendita. Suo nipote Federico vuole comprarlo ma ha bisogno di fare società con qualcuno. Prima di proporlo a qualche amico ha pensato a lei, per sapere se per caso le interessa. Non si faccia problemi a dire di no, si raccomanda suo nipote. Se dico di sì quale sarebbe la mia quota? Per
diventare proprietaria di una quota, è sufficiente la sottoscrizione di 200 mila euro ma subito, per la voltura, basta un decimo, cioè 20 mila. Come faccio per farglieli avere? È semplice, basta fare il versamento sull’iban di suo nipote. Non ce l’ho. Suo nipote aveva previsto anche questo, me l’ha dato e io glielo posso dettare subito. Come faccio a essere sicura che non è una truffa? Semplice, le do il numero dell’attuale proprietario, gli telefoni. Va bene, farò cosi». «Pronto, parlo con il signor Pietro? Sì, mi dica. La chiamo dall’ufficio dell’amministratore di condominio. Buongiorno Giovanna, ha cambiato voce? Giovanna dalla scorsa settimana è in maternità, io sono Livia, la sostituisco per qualche mese, ma se preferisce parlare con Giovanna... No, no, va bene così, la sua è la prima telefonata che ricevo dall’altro ieri. Perché mi ha chiamato? Per avvisarla, c’è una perdita nella conduttura dell’acqua, dobbiamo correre ai ripari subito, il guasto si è
verificato sulla volta della sua cantina che rischia di finire allagata, deve subito scendere a svuotarla. L’amministratore sa benissimo che non posso muovermi per via delle gambe malferme, inoltre sono in quarantena fiduciaria dopo che mia nipote Valentina è risultata positiva al tampone... Mi dispiace per lei ma non possiamo aspettare neanche un minuto. Non ha qualcuno di fiducia per affidargli le chiavi della cantina? No, vivo solo e in questo momento non saprei a chi rivolgermi. L’unica è che lei lasci le chiavi della sua cantina sullo zerbino davanti alla porta d’ingresso. Passiamo noi a prenderle. Ma in cantina tengo cose preziose, almeno per me, le bottiglie di barolo, i fiaschi d’olio, me li porta un amico che coltiva olive in Liguria. Dalla casa in campagna mi sono arrivati i barattoli ripieni di funghi, peperoni, melanzane.... Non si preoccupi, rimetteremo tutto in ordine, quando rivedrà la sua cantina non la riconoscerà più per quanto la troverà pulita...».
piaciuto interpretare un film tratto dal quel breve fantastico romanzo di J.D. Salinger. Poi pensò che Franny aveva circa diciotto anni e lei ne aveva compiuti 40 tre settimane prima: semmai a teatro, dove non esistono i primi piani, ma il cinema scordatelo, bella mia, al cinema o la madre di Franny o niente. Si alzò. Constatò che non aveva nemmeno una linea di febbre (36 e 8), che Sara aveva mangiato tutto quello che c’era in frigo (due uova, un pezzo di parmigiano duro come un sasso, tre pacchetti di crackers) e che il languore in cui si era accoccolata da ore stava diventando fame. Dopo aver frugato nelle tasche del giaccone di Tom e nel fondo di tutte le sue borsette, trovò una banconota da 5 euro. La strinse nel pugno, come una bambina cui qualche adulto ha regalato una mancia per le caramelle. Si infilò in una tuta sportiva non troppo pulita e uscì, decisa a trasformare quella miseria in un trancio di pizza. Avrebbe mangiato in fretta, seduta su
un gradino, sporcando la strada e dopo aver colmato quella voragine si sarebbe rimessa nel letto. Avrebbe continuato a fingere d’aver perso la voce. E si sarebbe, finalmente, concessa un silenzio da martire, una quota tutta sua di depressione, non avrebbe più reagito, non avrebbe rilanciato. La vita poteva anche essere scansata, con un minuscolo movimento del piede, come una deiezione di cane, senza enfasi, senza pasticche o altri complicati progetti autolesionisti. Come aveva tentato a 22 anni, quando si era separata da Paolo, lasciandolo un attimo prima che lui lasciasse lei. Anche se Tom continuava a sostenere che le cose non erano andate così. Una boccetta di calmanti leggeri che non avrebbero ucciso un bambino. Il gas acceso e le finestre sigillate con il nastro isolante fino a quando il nastro isolante non era terminato, lasciando ampi spiragli scoperti. L’appuntamento delle quattro di
pomeriggio, con quel mezzo agente che stava gestendo gli esordi della sua carriera dimenticato... (ma se l’era poi davvero dimenticato?). L’odore del gas, il mezzo agente che picchia contro la porta (ma s’era davvero dimenticata di chiuderla?), la porta che si spalanca, la corsa in ospedale. Una flebo, una serie di ramanzine che finivano tutte con la stessa frase: una ragazza così bella. Come se la bellezza dovesse mettere ogni essere di sesso femminile al riparo dalla disperazione. No, non avrebbe inscenato altri gesti estremi. Non era da lei. Avrebbe mangiato, avrebbe taciuto e avrebbe aspettato che la miseria facesse il suo corso. Scese le scale lentamente. Nella buca delle lettere c’era una busta. Per dimostrare a se stessa che non si aspettava più niente dalla vita la prese e se la infilò nella tasca della tuta. Senza aprirla. (Continua)
ora: lunga, interminabile, espansa. In questa nuova ora, le strade si riempivano di rumori assordanti, la tv offriva i suoi appuntamenti più tonici, la vita si risvegliava e tirar mattina era diventato una sorta di obbligo sociale, una della tante trasgressioni programmate del nostro tempo. Pier Paolo Pasolini lamentava la sparizione delle lucciole, niente in confronto alla sparizione della notte. Dobbiamo rallegrarci di questa nostra capacità di estromettere il buio? Bisognerà imparare a dormire in piedi come i cavalli? È saggio eliminare la notte, umiliarla con luci, frastuoni, giornate lavorative che non finiscono mai? Potremo ancora, col profeta Isaia, chiederci a che punto è la notte? «Guardia! Quando avrà fine la notte?». «La Guardia dice: Sta venendo il mattino. Ma la notte durerà ancora. Tornate e ridomandate. Venite ancora, insistete». La notte dura perché ogni cammino, profetico o meno, è un viaggio notturno verso una luce: è la luce ha senso solo se intorno c’è buio.
Sembrava invece che la nostra società avesse deciso di cancellare la notte: luci sfavillanti, negozi aperti 24 ore su 24, discoteche che spalancano le porte solo dopo mezzanotte, strade intasate d’auto, tamburi lontani in un’oscurità che non c’è più. Si dicono «amanti della notte», e sono la lobby del divertimento notturno, i sodomizzatori del silenzio, i trafficanti di umanità. Si dice «notte brava», per dire che la notte è stata particolarmente cattiva. Si dice «notturna» ed è stata solo un’esibizione di kilowatt. Dove sono finite le tenebre che ancora negli anni Sessanta straziavano il cuore del cantante Adamo? «Se il giorno posso non pensarti, la notte maledico te, e quando infine spunta l’alba c’è solo vuoto intorno a me. La notte tu mi appari immensa, invano tento di afferrarti, ma ti diverti a tormentarmi, la notte tu mi fai impazzir, la notte… mi fai impazzir». La notte è finita nell’antro di un rigattiere, ingiallito ricordo scolastico, usurata materia poetica,
anzi patetica. «Let’s spend the night together», cantavano i Rolling Stones. E avevano capito tutto, con quel loro martellante invito: ci divertiremo un sacco solo andando in giro a fare i matti, in giro, in giro. Esiodo, per primo, aveva individuato la duplice natura della notte: offre in dono pace e riposo ma genera anche fenomeni terrificanti. Nella sua Teogonia, la Notte è figlia di Gea e del Caos. Unitasi incestuosamente al fratello Erebo genera, in un prodigioso gioco metamorfico: Etere, Thanatos, il Sonno (Hypnos), il Sarcasmo (Momo), le Moire, i Sogni, Nemesi e le Esperidi. In molte culture, la notte è vissuta come dispensatrice del sonno e liberatrice degli affanni: è una grande pausa necessaria al divenire, nel suo grembo si germina il giorno, emerge la luce della vita. La notte è il deposito di tutte le virtualità dell’esistenza. La pandemia ha causato danni irreparabili, ma forse, chissà, ci ha restituito il senso della notte.
Quaderno a quadretti di Lidia Ravera le nuove povertà/18 Betta decise, con freddezza, con determinazione, di ammalarsi. Non era difficile: bastava restare coricate sul divano letto, senza aprirlo perché si sarebbe mangiato tutto lo spazio, e smettere di mangiare. Quando Tom era tornato a casa, brillo e innamorato di sé stesso, dopo aver pranzato con Livia, non si era alzata. Non aveva detto una parola, né offerto alcuna spiegazione, non si era asciugata i capelli, fradici dopo il temporale, godendosi ogni brivido, sperando nella febbre. A Sara aveva allungato un biglietto su cui era scritto, in stampatello: mal di gola, non posso parlare. Aveva sentito padre e figlia confabulare in camera della figlia, l’unico vano con una porta. Aveva pensato che quella era una casa in cui non era possibile starsene al calduccio, malati. Il cosiddetto angolo cottura distava dal divano letto meno di due metri. Il divano letto di giorno era chiuso. La malattia non poteva consentire alla notte di irrompere nel salotto. Tre
persone potevano diventare una folla. A disagio, perché quando a stare male non era lui provava un inspiegabile imbarazzo, Tom chiese a Betta ulteriori informazioni sul suo stato di salute. Betta scrisse: tracheite, credo. Rifiutò «una bottarella di cortisone». «Ti fa tornare la voce», disse Tom. Betta non reagì. «Così puoi mandarmi al diavolo», aggiunse Tom, conciliante. Betta non sorrise. «Con la vecchia signora è andata bene, abbiamo appuntamento domani in banca». Betta chiuse gli occhi. E finalmente Tom aiutò Sara a prepararsi una borsa e, con calcolato vittimismo, annunciò: porto la bambina da mia madre, così ti lasciamo tranquilla. Per alcune ore, Betta gustò la solitudine. Dormì mezz’ora. Rilesse certe parti di Franny and Zooey, tentando, come altre volte, la carta dell’estasi buddista, quell’elevazione verso il distacco che consente di trasformare le giornate peggiori in altrettante prove di resistenza all’urto della realtà. Pensò che le sarebbe
a video spento di Aldo Grasso la notte ha di nuovo senso «Era una notte meravigliosa, una di quelle notti che possono esistere solo quando siamo giovani, caro lettore. Il cielo era così pieno di stelle, così luminoso, che a guardarlo veniva da chiedersi: è mai possibile che vi sia sotto questo cielo gente collerica e capricciosa?» (Fëdor Dostoevskij, Notti bianche). La notte era il dissolvimento del giorno, la notte era tenera, la notte era certe notti. Poi è arrivata la pandemia e ha mescolato il giorno con la notte. Scrive Gianluigi Ricuperati su «Rivista studio»: «La notte ci è stata sottratta, è scomparsa dall’orizzonte delle idee, della pratica, della vita: basta fare un giro alle 21.30 nelle grandi città italiane, ma non solo, per rendersene conto. Esistere è diventato un verbo concavo, rivolto all’interno: i quartieri sono ormai sussidiari illustrati di finestre e lumi accesi. Gruppi sparuti di adolescenti attraversano le zone meno battute, scivolando via dallo sguardo del tutore dell’ordine pubblico, ma anche dai mille occhi malevoli che pro-
prio dietro a quelle finestre, nell’aura di quei lumi, fotografano e denunciano, chiamano vigili e si scandalizzano». E se invece che sottratta ci fosse stata restituita? Nella letteratura di tutti i tempi, la notte ha sempre rappresentato una visione topica: è il momento in cui l’uomo si immerge nel mistero che lo avvicina all’Essere o in cui è più facile conoscere le zone d’ombra della psiche umana; la notte è il ricordo della paura ancestrale; la notte è la porta d’ingresso nel mondo dei sogni. Le tenebre allontanano il reale ed evocano da lontano le immagini della memoria; questa dilatazione dello spazio e del tempo operata dalla notte, che fa uscire l’uomo dal limite del presente, crea l’effetto poetico. Da quanto tempo abbiamo perso la notte? Traumatizzare la notte, svestire di buio fisico e metafisico le strade, inondare di luce l’oscurità sembrava una grande conquista. Era come se l’orologio si fosse arricchito di una venticinquesima
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Salmone affumicato scozzese
Salsicce di pollo arrotolate alla paprica Grill mi Svizzera, 2 x 2 pezzi, 400 g
50% 9.55 invece di 19.15
Cosce di pollo M-Classic surgelate, in conf. speciale, busta da 2,5 kg
50% 8.90 invece di 17.85
Filetti di pangasio Pelican, ASC surgelati, in conf. speciale, 1,5 kg
Offerte valide solo dal 4.5 al 10.5.2021, fino a esaurimento dello stock
Carne e salumi
Novità per gustose grigliate
20x PUNTI
Novità
5.45
20x PUNTI
Novità
3.95
Mix di mini salsicce Grill mi Svizzera, Cipollata, mini cervelas, cipollata di maiale e cipollata al curry, 8 pezzi, 160 g, in self-service
20x
20x
5.95
Novità
8.95
Novità
Spiedini di salsicce al formaggio con pancetta Grill mi
6.95
Novità
Novità
6.95
Spiedini misti di salsicce di manzo e merguez Grill mi Svizzera/Gran Bretagna/ Irlanda, 8 pezzi, 160 g, in self-service, in vendita solo nelle maggiori filiali
Svizzera, per 100 g
Svizzera, 3 pezzi, 210 g, in self-service, in vendita solo nelle maggiori filiali
Prec ott o pe r div erse ore ne l proprio sug o
PUNTI
Novità
Novità
2.65
Luganighetta di vitello Grill mi Toscana
20x
20x PUNTI
Costine Grill mi
Svizzera, 3 pezzi, 210 g, in self-service, in vendita solo nelle maggiori filiali
20x
20x
3.60
Bratwurst di manzo Grill mi
PUNTI
PUNTI
Novità
Spagna, 4 pezzi, 280 g, in self-service, in vendita solo nelle maggiori filiali
PUNTI
Svizzera, 6 pezzi, 180 g, in self-service, in vendita solo nelle maggiori filiali
20x
Chorizo per grill Rioja dulce Grill mi
20x
Novità
PUNTI
Svizzera, per 100 g, in self-service
PUNTI
PUNTI
4.95
Spiedino di manzo Grill mi con pancetta e cipollata
Costolette di manzo Asado Grill mi Svizzera, per 100 g
3.50
Beef Brisket Grill mi Svizzera, per 100 g
Pe r gli amanti de l pe sc e grig liato
20x PUNTI
Novità
20x PUNTI
1.70
Novità
4.95
Mini salsicce arrotolate Grill mi Svizzera, al naturale, di manzo, al curry e alla paprica, 2 spiedini, 4 mini salsicce, 160 g, in self-service
20x PUNTI
Steak di coscia di pollo Fruity Chili Grill mi Svizzera, per 100 g, in self-service
Novità
3.50
20x PUNTI
Novità
6.95
20x PUNTI
Novità
5.95
merluzzo: pesca, Atlantico nordorientale, salmone: d'allevamento, Norvegia, gamberetti: d'allevamento, Vietnam, per 100 g, in self-service, in vendita solo nelle maggiori filiali
Svizzera, 2 pezzi, 240 g, in self-service
20x PUNTI
Salsicce merguez Grill mi Svizzera/Gran Bretagna/ Irlanda, 2 pezzi, 220 g, in self-service, in vendita solo nelle maggiori filiali
re Prec ot ta a basse te mpe ratuta e pronta pe r esse re grig lia
20x
Novità
PUNTI
Novità
2.35
Petto di maiale marinato Grill mi TerraSuisse
PUNTI
PUNTI
Spiedini di speck marinati con sciroppo all'acero Grill mi
2.65
Svizzera, 2 pezzi, 160 g, in self-service
Trancio di salmone, ASC o merluzzo, MSC Grill mi per es. trancio di salmone, d'allevamento, Norvegia, in vaschetta di alluminio, per 100 g, in self-service, in vendita solo nelle maggiori filiali
20x PUNTI
Novità
Novità
3.20
per 100 g, in self-service
20x
20x
6.50
Pure Beef Burger Grill mi
Mix di pesce Grill mi
Novità
Secreto di maiale speziato Grill mi Svizzera, per 100 g, in self-service
4.90
Burger di salmone Grill mi, ASC d'allevamento, Norvegia, 200 g, in self-service, in vendita solo nelle maggiori filiali
20x PUNTI
20x
20x
PUNTI
Novità
3.40
Novità
PUNTI
Novità
Pulled Beef Grill mi Svizzera, per 100 g
2.65
2.80
Pulled Pork Grill mi Svizzera, per 100 g
Trota Grill mi con sale marino al rosmarino Svizzera, in vaschetta per grill, per 100 g, in self-service, in vendita solo nelle maggiori filiali
Offerte valide solo dal 4.5 al 10.5.2021, fino a esaurimento dello stock
Bevande
Per grigliare rinfrescandosi
ione Pe r la pre paraz lc ol di cocktail se nz'a
Prodotto a base di aromi naturali
20x PUNTI
Novità
1.90 20x PUNTI
Amazonian Energy Drink Yula Lemon & Ginger o Berries & Spice, 250 ml, per es. Lemon & Ginger
Novità
23.95
20x PUNTI
Mix per cocktail Lyre's senza alcol, Dry London Spirit, Apéritif rosso o Italian Spritz, 700 ml, per es. Dry London Spirit
25% Tutto l'assortimento El Tony, Nocco e Moloko
Novità
6.30
Sciroppi Morand all’anguria, alla ciliegia o al frutto della passione, 1 l, per es. all’anguria
per es. El Tony Mate, 330 ml, 1.35 invece di 1.80
20x PUNTI
conf. da 6
33% Ice Tea in PET Lemon, Peach o White, 6 x 1,5 l, per es. Lemon, 3.– invece di 4.50
33% Tutto l'assortimento Perrier e Contrex per es. Perrier, 6 x 500 ml, 4.– invece di 6.–
Novità
1.05
Acqua minerale Valais naturale, PET disponibile in diversi formati, per es. 750 ml
20x
20x
20x
PUNTI
PUNTI
PUNTI
Novità
Novità
Novità
Feldschlösschen mela 0.0%
Feldschlösschen limone 0.0%
Heineken 0.0%
senza alcol, 500 ml e 6 x 500 ml, per es. 500 ml, 1.80
senza alcol, 6 x 500 ml e 500 ml, per es. 6 x 500 ml, 10.50
senza alcol, 500 ml e 6 x 500 ml, per es. 500 ml, 2.–
Con un fresco se nt or agrumato e una dol e ce nota di mang o
20x
20x
20x
PUNTI
PUNTI
PUNTI
Novità
Novità
Novità
Eve Litchi 0.0%
Birra Lowlander
Birra Brooklyn Special Effects
senza alcol, 275 ml e 4 x 275 ml, per es. 275 ml, 2.60
senza alcol, IPA Mango & Citrus e WIT Orange & Lemon, 330 ml, per es. IPA Mango & Citrus, 2.80
senza alcol, 330 ml e 6 x 330 ml, per es. 330 ml, 2.50
Il gin tonic se nz'alc ol con ve ro gin sv izze ro ar tig ianale
20x PUNTI
Novità
Ginoni Gin & Tonic e Berry, 200 ml e 4 x 200 ml, per es. Gin & Tonic, 200 ml, 2.25
Con meno zucc he ro e più caffeina
20x
20x
PUNTI
PUNTI
Novità
2.20
Novità
Superfood drink al matcha 250 ml
–.95
Orangina lattina, 330 ml
Offerte valide solo dal 4.5 al 10.5.2021, fino a esaurimento dello stock
Dolce e salato
Snack per grigliare tutto il giorno
20%
1.–
di riduzione
Popcorn, Corn Chips e Corn Strips M-Classic nonché popcorn Léger
Chips Zweifel 175 g o 280 g, disponibili in diverse varietà, per es. alla paprica, 280 g, 4.70 invece di 5.70
disponibili in diverse varietà, per es. Microwave Popcorn salati M-Classic, 10 x 100 g, 3.85 invece di 4.85
Tutta la bontà Lotus so
20x
20x PUNTI
PUNTI
Novità
2.50
tt o forma di ge lato
Me i l e n , Pr o d o t t o a i Z u r i g o s ul l a g o d
conf. da 4
23%
Novità
Ice Cream Biscoff Lotus prodotto surgelato, 80 ml
7.90
Ice Cream Mini Sticks Lotus prodotto surgelato, 6 x 60 ml
Gelati in barattolini monoporzione surgelati, Ice Coffee, Vacherin o Bananasplit, per es. Ice Coffee, 4 x 165 ml, 5.95 invece di 7.80
20x PUNTI
Novità
4.95
Chips Burt Sea Salt, Sea Salt & Malt Vinegar o Sweet Chilli, per es. Sea Salt, 150 g
15% 9.95 invece di 11.80
Têtes au Choco Villars in conf. speciale, 4 x 4 pezzi, 480 g
conf. da 2
25% 4.95
Kägi Fret
conf. da 3
2 x 150 g
invece di 6.60
Co
i na sv izze r n a p e e t t n la
a partire da 2 pezzi
20% Tutti i gelati Crème d’or in vaschette da 750 ml e 1000 ml prodotto surgelato, per es. Vanille Bourbon, 1000 ml, 8.– invece di 9.95
25% Biscotti Walkers disponibili in diverse varietà, per es. Chocolate Chip Shortbread, 3 x 175 g, 11.– invece di 14.85
conf. da 12
50% Tavolette di cioccolato Frey, UTZ al latte finissimo o al latte con nocciole, per es. al latte finissimo, 12 x 100 g, 11.70 invece di 23.40
Offerte valide solo dal 4.5 al 10.5.2021, fino a esaurimento dello stock
Scorta
Grande scelta, piccoli prezzi 25% Tutto l’assortimento i Raviöö prodotti in Ticino, per es. al brasato, 250 g, 5.10 invece di 6.80
20x PUNTI
conf. da 3
33%
Novità
Ravioli Anna's Best ricotta e spinaci o mozzarella e pomodoro, per es. ricotta e spinaci, 3 x 250 g, 9.95 invece di 14.85
4.50
Gnocchi rigati bio 500 g
20% Olive Migros e Polli non refrigerate per es. olive nere spagnole snocciolate Migros, 150 g, 1.90 invece di 2.40
20x PUNTI
20%
Novità
Tutto l'assortimento Mister Rice bio
Salse Thomy
per es. Basmati, 4 x 125 g, 3.80 invece di 4.80
al curry e Stroganoff, per es. al curry, 250 ml, 3.50
conf. da 3
33% Funghi misti o funghi prataioli M-Classic per es. funghi misti, 3 x 200 g, 7.80 invece di 11.70
20x PUNTI
conf. da 2
31%
Novità
1.80 Migros Ticino
Asia Noodles Knorr Tandoori e Thai, per es. Tandoori, 71 g, in vendita solo nelle maggiori filiali
Crocchette di rösti o pommes noisettes M-Classic surgelate, per es. pommes noisettes, 2 x 600 g, 6.– invece di 8.70
20x PUNTI
Zuppe e brodi Alnatura zuppa carote-cocco, zuppa di lenticchie rosse e brodo vegetale senza lievito, per es. carote-cocco, barattolo in vetro da 375 g, 2.70, in vendita solo nelle maggiori filiali
conf. da 2
24% Dado da brodo Knorr verdura, pollo o manzo, per es. verdura, 2 x 109 g, 6.– invece di 7.90
30%
20%
Tutti i tipi di caffè Boncampo, in chicchi e macinato, UTZ
Tutte le confetture e le gelatine Extra in vasetto e in bustina
per es. Classico in chicchi, 500 g, 3.25 invece di 4.70
per es. confettura alle fragole, 500 g, 1.90 invece di 2.40
C o n t a nt e
p r o t e i ne
20x
20x
PUNTI
conf. da 2
20% Noci miste, mandorle sgusciate o albicocche Sun Queen per es. noci miste, 2 x 200 g, 6.85 invece di 8.60
PUNTI
Novità
4.90
Novità
Protein Bars You cranberry-mandorle o mirtilli-noci, per es. cranberrymandorle, 6 x 26 g
4.60
Farmer Around the World Cappuccino o Strawberry-Cheesecake, per es. Cappuccino, 156 g
Per gustare al meglio le tortillas
20x PUNTI
20x PUNTI
Pancho Villa
Tortilla Chips Fajita e salsa Mild Mex, per es. Tortilla Chips Fajita, 200 g, 3.80, in vendita solo nelle maggiori filiali
Migros Ticino
20x PUNTI
Novità
5.95
Tortillas Pancho Villa Easy Hold 8 pezzi, 223 g
El Sombrero
Salsa Verde, Creamy White Fajita Sauce e Blue Corn Chips, per es. Salsa Verde Hot, 280 g, 2.90, in vendita solo nelle maggiori filiali
Offerte valide solo dal 4.5 al 10.5.2021, fino a esaurimento dello stock
Bellezza e cura del corpo
L’ideale per il corpo e il portafoglio
conf. da 2
30%
a partire da 2 pezzi
a partire da 2 pezzi
30%
30%
Deodoranti Axe o Rexona
Tutti i deodoranti Rexona
in confezioni multiple, per es. Deodorante spray Rexona Cotton Dry, 2 x 150 ml, 3.90 invece di 5.60
(confezioni multiple e confezioni da viaggio escluse), per es. spray Men Cobalt, 150 ml, 2.– invece di 2.80
Tutti i prodotti per la doccia e i deodoranti Axe (confezioni multiple e confezioni da viaggio escluse), per es. Gel doccia Ice Chill, 250 ml, 2.45 invece di 3.50
Ora anc he in confezione di ricarica
20x PUNTI
conf. da 3
conf. da 2
30% Shampoo o balsami Fructis in confezioni multiple, per es. shampoo Fresh, 3 x 250 ml, 7.45 invece di 10.65
25% 5.90 invece di 7.90
Novità
Shampoo e balsami Ultra Doux per es. shampoo al miele, 2 x 300 ml
7.50
Shampoo pH Balance in confezione di ricarica, 500 ml
Per mani perfet tamente igienizzate
20x
20x
PUNTI
PUNTI
Novità
4.50
20%
Novità
Ricarica No-Touch sapone Dettol Aloe Vera, Garden Berries o Sheabutter, per es. Aloe Vera, 250 ml
14.95
Starter set Dettol Soap No Touch
Tutto l'assortimento di disinfettanti per le mani
con ricarica Garden Berries, dispenser e batterie, il set
per es. Sterillium in boccetta, 100 ml, 5.50 invece di 6.90
Bebè e bambini
Cura inte nsa con olio di arg an bio io e olio di cocc o b
20x
20x
PUNTI
PUNTI
Novità
1.95
a partire da 3 pezzi
33%
Novità
5.40
Maschera per capelli Repair I am Natural Cosmetics
Collutorio I am Natural Cosmetics 400 ml
Tutti i pannolini Pampers per es. Baby Dry 4, 46 pezzi, 12.70 invece di 18.90
20 ml
Con vitamine C e D
Formula ve gana a partire da 2 pezzi
20x
20%
PUNTI
a partire da 2 pezzi
20%
Novità
7.95
Gel detergente micellare Nivea Naturally Good vegano, 140 ml
Tutto l'assortimento Aptamil e Milupa (latte Pre, latte di tipo 1 e Confort, pappe e bustine morbide esclusi), per es. Aptamil Junior 12+, 800 g, 16.– invece di 19.95
Tutto l'assortimento Nivea Sun (confezioni multiple escluse), per es. Protect & Moisture IP 30, 250 ml, 8.80 invece di 11.–
ri Pr ot ezione de lle ge ng iv e pe rziali e pa portatori di de nt ie re totali
20x
20x
PUNTI
PUNTI
Novità
6.90
Hit
Novità
Crema adesiva per la protezione delle gengive Kukident Professional
4.50
Struccante per occhi pH Balance 125 ml
19.95
Poncho per bambini disponibile in verde o in rosa, taglia unica, per es. rosa, il pezzo
40 g Offerte valide solo dal 4.5 al 10.5.2021, fino a esaurimento dello stock
Varie
Comodità e praticità
A ltamente biodeg radabile
IL TRUCCHETTO È iniziata la stagione dei picnic! I rotoli di carta igienica vuoti sono l'ideale per trasportare coltelli affilati. Basta infilarci dentro il coltello e chiudere entrambi i lati con del nastro adesivo.
40% Carta per uso domestico Twist, FSC Deluxe e Recycling, in confezioni speciali, per es. Deluxe, 12 rotoli, 9.70 invece di 16.20
a partire da 2 pezzi
20% Tutto l'assortimento Handymatic (sale rigeneratore escluso), per es. Classic, 44 pastiglie, 8.– invece di 9.95
conf. da 3
20% 7.40 invece di 9.30
Flac one prodot to con plastic a ric iclata Mig ros
conf. da 2
20% Manella
Detergenti Potz o M-Classic
per es. White Orchid & Aloe Vera, 3 x 500 ml
per es. Potz Calc, 2 x 1 l, 8.80 invece di 11.–
Validi gio.– dom. Prezzi
imbattibili del
weekend
36% 6.95 invece di 10.95
Asparagi bianchi Spagna/Italia/Ungheria, mazzo da 1 kg, offerta valida dal 6.5 al 9.5.2021
a partire da 2 pezzi
50% Tutti i detersivi Total per es. 1 for all in conf. di ricarica, 2 l, 8.45 invece di 16.90
40% 1.50 invece di 2.50
30%
30%
Tutto l'assortimento di tovagliette, tovaglie e runner Cucina & Tavola per es. tovaglietta effetto legno grigia, 29,5 x 43 cm, il pezzo, 2.75 invece di 3.95
Hit 9.95
disponibile in diversi colori, per es. grigio scuro, il pezzo
Svizzera, per 100 g, offerta valida dal 6.5 al 9.5.2021, in self-service
Tutto l'assortimento di portafogli per es. borsellino da uomo color cognac, il pezzo, 20.90 invece di 29.90
20% Tappetino da bagno
Striscioline di pollo M-Classic
Tutto l'assortimento di alimenti per gatti Gourmet per es. Gold Mousse, 4 x 85 g, 3.20 invece di 4.–
Offerte valide solo dal 4.5 al 10.5.2021, fino a esaurimento dello stock
a partire da 2 pezzi
50% Olio di girasole M-Classic 1 l, 1.95 invece di 3.90, offerta valida dal 6.5 al 9.5.2021
«Grazie mamma» può essere detto in tanti modi. Hit 13.95
Rose M-Classic, Fairtrade mazzo da 10, disponibili in diversi colori, lunghezza dello stelo 50 cm, per es. rosso-rosa, il mazzo
Hit 4.95
Tulipani mazzo da 15, disponibili in diversi colori, per es. gialli e rossi, il mazzo
r ti regali pe Scopri i tan lla mamma la Fe sta de Migros. alla tua
11.80
Praliné Prestige Frey in scatola a forma di cuore, UTZ 162 g
11.95
Hit 24.95
Phalaenopsis Cascade, 2 steli in vaso di ceramica, Ø 12 cm, il vaso
Offerte valide solo dal 4.5 al 10.5.2021, fino a esaurimento dello stock
Mini Pralinés Lindt 36 pezzi, 180 g
Hit 9.95
Composizione floreale con Cymbidium la composizione Migros Ticino