Azione 38 del 14 settembre 2020

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UrrĂ , prezzi in caduta libera! Dal 15.9.2020 ribassiamo permanentemente i prezzi. E accadrĂ sempre di piĂš.


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Limoni

non trattati, Sudafrica/ Spagna, il pezzo


Cooperativa Migros Ticino

Società e Territorio Albergatori e ristoratori che accolgono i viandanti sui passi tra nord e sud delle Alpi, tre di loro ci raccontano il loro lavoro e la passione per la montagna

Ambiente e Benessere La campagna «Diversità forestale» propone itinerari per andare alla scoperta degli abitanti del bosco

G.A.A. 6592 Sant’Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXIII 14 settembre 2020

Azione 38 Politica e Economia I rapporti fra Russia e Occidente messi in discussione da Nord Stream 2

Cultura e Spettacoli Addio a Philippe Daverio, divulgatore eccelso e personaggio originale

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Postauto.ch

Tutti a bordo a parte l’autista

di Stefano Castelanelli pagina 5

Le ambizioni azzurre di Erdogan di Peter Schiesser Un conflitto latente da decenni ai confini dell’Europa torna ad infiammarsi. Grecia e Turchia si confrontano militarmente nel Mare Egeo e nel Mediterraneo orientale, la prima sostenuta dalla Francia. Un conflitto che è territoriale, ma anche economico (10 anni fa sono stati scoperti giacimenti di gas naturale in quell’area) ed infine – visto da Ankara – geopolitico. La situazione è precipitata dopo che la Turchia ha concluso un accordo con il governo nazionale libico sullo sfruttamento dell’area marittima fra i due paesi, estendendo di fatto la propria Zona economica esclusiva fino a comprendere le acque di Creta e di Rodi. Atene non poteva accettare questo atto unilaterale e contrario al diritto marittimo ed ha quindi concluso un accordo con l’Egitto per lo sfruttamento di un’area che, guarda caso, entra in collisione con quella turco-libica (attorno a Creta e Rodi). A seguito di ciò, la Turchia ha spedito navi militari e una nave trivellatrice dapprima vicino all’isoletta greca di Kastellorizo, a due chilometri dalle proprie coste, e poi fra Creta e Cipro, mentre la Grecia ha inviato seicento

militari a Kastellorizo, contravvenendo di fatto all’accordo di Parigi del 1947, in cui l’Italia cedette le isole del Dodecaneso alla Grecia con la clausola che non venissero militarizzate. Di più: il primo ministro ellenico Mitsotakis ha annunciato di voler estendere da 6 a 12 miglia nautiche il limite delle acque territoriali greche, ciò che per Ankara sarebbe un motivo per entrare in guerra. Per ora non è successo nulla, ma la tensione resta alta e mette in allerta sia l’Unione Europea sia la NATO, di cui entrambi i paesi sono membri. La Germania si è proposta di fare da mediatore, Mitsotakis ha risposto che da Berlino vuole appoggio, se voleva un mediatore si rivolgeva alla Svizzera. Di fatto l’UE al momento si muove in ordine sparso, con Francia, Cipro e Italia che sostengono la Grecia, mentre gli altri paesi membri stanno a guardare. Al vertice dei capi Stato e di governo del 24 settembre l’UE affronterà il tema, mentre il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg lancia un appello alla calma. Ma al momento NATO e UE appaiono impotenti. Non sarà facile disinnescare il conflitto, poiché la Turchia non ha alcuna intenzione di rimettersi ad un arbitrato internazionale, siccome il diritto marittimo non è dalla sua parte. A guidare Ankara c’è

una dottrina che si è affermata negli ultimi anni sotto il presidente Erdogan, elaborata dall’ammiraglio Cem Gürdeniz una quindicina di anni fa: si chiama Mavi Vatan (Patria azzurra) e prevede che la Turchia si prenda gli spazi che le spettano di diritto in quanto potenza regionale, neo-ottomana. Erdogan ha dichiarato a fine agosto che la Turchia farà così nel Mar Egeo, nel Mediterraneo e nel Mar Nero. Una dichiarazione in linea con le sue ambizioni da neo-sultano. Ambizioni che non si limitano ai mari: Ankara sta da anni estendendo la sua influenza in diversi paesi di antica influenza ottomana, sfruttando il vuoto geopolitico che si è venuto a creare con il ripiegamento degli Stati Uniti e con l’affermarsi del multipolarismo. È presente da anni in Somalia, in posizione strategica riguardo i flussi di merci mondiali e a due passi da Gibuti, dove Stati Uniti, Cina e Giappone creano basi navali militari; ha legami strettissimi con l’Azerbaigian (si considerano un popolo solo in due Stati); interviene a suo piacimento in Siria e in Iraq contro i curdi; in Afghanistan ha sostenuto le forze governative ma ha buoni rapporti con il Pakistan, attraverso il quale si ingrazia i cinesi. NATO e UE intendono restare a guardare e subire le mosse sempre più aggressive di Erdogan?


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 settembre 2020 • N. 38

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Attualità Migros

Qual è il tuo «elemento»?

Formazione Tanti percorsi tra passione e professione alla Scuola Club di Migros Ticino Alcuni giorni fa il mondo ha perso un grande appassionato di educazione e formazione, Sir Ken Robinson. La sua vita è stata dedicata a ripensare il mondo della scuola per trasformarlo sempre più in uno spazio di libertà, gioia e creatività per tutti. Un libro, in particolare, raccoglie efficacemente il suo pensiero, The Element. La tesi di Robinson è semplice ma dal potenziale rivoluzionario: ognuno di noi nasce con una grande passione, una originale predisposizione talentuosa che, se coltivata, può renderci estremamente felici. Robinson chiama tutto questo l’«elemento», lo spazio in cui ciò che amiamo e ciò che siamo bravi a fare coincidono. Il punto è: abbiamo scoperto qual è il nostro talento e lo stiamo facendo fiorire? Se, invece, ne abbiamo perso il contatto, perché non incominciare a valorizzare quanto di unico abbiamo? Per sostenere chi ha già trovato il suo elemento e desidera farlo crescere, ma anche per dare nuove opportunità a chi il suo elemento lo sta ancora cercando, la Scuola Club di Migros Ticino offre tanti e diversi percorsi formativi che consentono di coltivare la propria passione e trasformarla in una professione capace di regalare gioia e soddisfazione. Pensi che promuovere la salute delle persone sia il lavoro che dà senso alla tua vita? Da quest’anno la Scuola Club propone, oltre all’ormai classico Istruttore Fitness, la formazione Istruttore Pilates per diventare professionisti in una delle discipline più efficaci nella cura e nel mantenimento del nostro corpo. Per chi, invece, è interessato a divulgare un’alimentazione equilibrata, ecco il percorso Coach in nutrizione. Grande attenzione stanno raccogliendo le professioni legate al mondo sanitario, tra queste quella di segretariato medico che vede la Scuola Club proporre, oltre al percorso formativo completo, anche workshop di aggiornamento tenuti da professionisti del settore.

Corsi Un nuovo

laboratorio con Scuola Club Migros Lugano Di ritorno dai nostri viaggi dell’estate, impariamo a raccontarli in forma coinvolgente e curata. Il laboratorio dedicato all’arte di viaggiare – proposto da Scuola Club Migros Lugano in collaborazione con «Azione» – è ormai diventato un appuntamento regolare per i nostri lettori. Come sempre la miglior pubblicità è stata il passaparola dei primi partecipanti, che hanno apprezzato soprattutto la possibilità di mettersi in gioco in una vivace e informale discussione guidata: come progettare un viaggio interessante, come prendere appunti strada facendo, come rielaborare quanto visto dopo il ritorno a casa… L’insegnante è Claudio Visentin, il fondatore della Scuola del Viaggio (www.scuoladelviaggio.it), docente universitario, conduttore radiofonico per Rete Due e curatore della nostra rubrica «Viaggiatori d’Occidente». La scrittura è il filo conduttore del laboratorio (combinata con la fotografia nel reportage) con esercizi divertenti, adatti ai principianti al pari di chi ha già qualche esperienza di scrittura.

In viaggio per scoprire il proprio talento.

Nel mondo delle organizzazioni sta emergendo una nuova centralità della persona. Fondamentale diventa saper valorizzare al meglio i propri collaboratori e gestirne costruttivamente le relazioni e la comunicazione. A ciò risponde il certificato SVF – ASFC di Leadership. Utilissimo nell’impresa come nello sport e nell’associazionismo, il percorso aiuta a sviluppare importanti soft skills quali la conoscenza di sé, la gestione del tempo e dei conflitti, la comunicazione efficace, le tecniche di presentazione. Il tuo elemento sono i numeri? Sempre nel campo del business, ecco i

A scuola di viaggio

percorsi di Impiegato amministrativo e Operatore Office. Se ti appassiona il mondo digitale, perché non acquisire le competenze grafiche necessarie con il percorso di Web Marketing Design oppure qualificandoti come Formatore Digitale con il percorso FSEA di formazione continua? Non mancano, infine, alla Scuola Club i percorsi per potenziare le attitudini linguistiche e certificare competenze che non solo consentano di conoscere persone e culture diverse, ma fanno da trampolino di lancio nel grande mercato del lavoro globale. Esiste una cosa che si chiama «ele-

mento» ma solo se ci viene offerta la possibilità di esplorare noi stessi e le nostre capacità saremo in grado di realizzarlo appieno. La Scuola Club l’ha capito e si fa spazio per coltivare assieme a te i tuoi straordinari talenti. Informazioni

Scopri la nostra offerta sul sito www.scuola-club.ch Oppure contatta le nostre segreterie: ■ Bellinzona 091 821 78 50 ■ Locarno 091 821 77 10 ■ Lugano 091 821 71 50 ■ Mendrisio 091 821 75 60

Informazioni

Il laboratorio si svolgerà sabato 3 ottobre 2020, ore 9.00-12.00 e 13.0016.00, presso la Scuola Club Migros Lugano, via Pretorio 15. Il costo dell’iscrizione è di Fr. 150.– (con uno sconto del 10% a chi porterà o citerà «Azione» al momento dell’iscrizione). Il corso è a numero chiuso (massimo 12 partecipanti, in ordine d’iscrizione sino a esaurimento dei posti). Iscrizioni presso la segreteria della Scuola Club Migros Lugano, tel. 091 821 71 50; email: scuolaclub.lugano@ migrosticino.ch; o direttamente sul sito internet www.scuola-club.ch.

Un incoraggiamento alla ricerca storica Premio Migros Ticino Esce il nuovo bando rivolto agli studiosi Il Premio Migros Ticino per ricerche di storia della Svizzera italiana si prefigge di favorire la pubblicazione di ricerche su argomenti di storia, arte, etnografia, linguistica e storia della letteratura relativi alla Svizzera italiana. Il Premio principale è dotato di 10’000 franchi. La Commissione esaminatrice può inoltre attribuire menzioni speciali da 3000 franchi. Il termine fissato per la consegna dei lavori di ricerca è il 31 maggio 2021. Gli interessati dovranno inoltrare la propria ricerca all’indirizzo: Percento culturale Migros Ticino, via Serrai 1, CH-6592 S. Antonino. Le ricerche dovranno essere inedite e redatte in lingua italiana. Sono ammesse unicamente ricerche su argomenti riguardanti la Svizzera italiana e i seguenti ambiti: storia dell’arte, etnografia, linguistica e storia della letteratura.

La documentazione dovrà essere corredata da una copia cartacea del testo integrale della ricerca, un curriculum personale e l’elenco dei finanziamenti già percepiti, promessi o richiesti ad altri enti, pubblici o privati. Dal 1985 al 2019 il Premio Migros Ticino per ricerche di storia della Svizzera italiana è stato attribuito a 18 ricercatori. Poiché i lavori di qualità sono in aumento, dal 1997 oltre al Premio, vengono attribuite anche delle menzioni speciali: nel corso delle undici passate edizioni sono state attribuite 20 menzioni a lavori di particolare valore scientifico e culturale. Nell’ultima edizione del 2019 sono state assegnati un premio e due menzioni. Il primo è andato a Francesca Chiesi Ermotti per il suo lavoro confluito nella pubblicazione Le Alpi in movimento. Vicende del casato dei mercanti migranti Pedrazzini di Campo

Vallemaggia (XVIII s.), pubblicato da Casagrande. In aggiunta al premio principale, la giuria del Premio Migros Ticino ha pure assegnato due menzioni onorevoli ad altrettante ricerche storiche: La prima menzione è andata a Rapsodia del sapere scolastico. Storia del manuale e dei suoi attori nel Canton Ticino (1830-1914), di Giorgia Masoni (tesi di dottorato discussa all’Università di Losanna, 2019). La seconda a Strumenti per fare un Cantone. Storia dell’amministrazione cantonale ticinese nella prima metà dell’Ottocento dal sistema collegiale ai dipartimenti, di Jessica Beffa (borsa di ricerca cantonale, 2018). Bando e regolamento del Premio Migros Ticino possono essere scaricati dal sito della Cooperativa Migros Ticino: www.migrosticino.ch/percentoculturale/

Azione

Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch

Editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino Telefono 091 850 81 11

Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni

La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni

Stampa Centro Stampa Ticino SA Via Industria 6933 Muzzano Telefono 091 960 31 31

La copertina del volume con la ricerca premiata nell’ultima edizione. Tiratura 101’634 copie Inserzioni: Migros Ticino Reparto pubblicità CH-6592 S. Antonino Tel 091 850 82 91 fax 091 850 84 00 pubblicita@migrosticino.ch

Abbonamenti e cambio indirizzi Telefono 091 850 82 31 dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@migrosticino.ch Costi di abbonamento annuo Svizzera: Fr. 48.– Estero: a partire da Fr. 70.–


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 settembre 2020 • N. 38

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Società e Territorio Le regole del gioco Intervista a Alessandro Bianchi, grafico, creatore di siti web e inventore di giochi da tavolo

«Per caso» ma non semplicemente Siamo abituati a pensare che un fenomeno casuale sia un fenomeno imprevedibile, ma il concetto di casualità è molto più complicato e affascina filosofi, matematici e fisici

A due passi Oliver Scharpf ci accompagna alla scoperta del palazzo Vertemate Franchi a Prosto di Piuro in Valchiavenna pagina 13

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Via le mani dal volante

Strade Le automobili senza pilota hanno

il potenziale di trasformare la mobilità. Ma a che punto siamo in Svizzera?

Stefano Castelanelli Immagina un futuro dove con una semplice app puoi ordinare una vettura. Pochi minuti dopo l’automobile si ferma davanti a te, la portiera si apre, ti siedi sul sedile e la vettura riparte senza che nessuno debba premere il pedale del gas o mettere le mani sul volante. Sì, perché in futuro l’automobile guiderà in modo autonomo, mentre il passeggero durante il tragitto potrà lavorare, leggere un libro, guardare una serie TV, ascoltare la musica, o semplicemente riposare. Uno scenario più da film di fantascienza? No, anzi è già in parte realtà. Da luglio nel distretto di Jiading a Shanghai sono in funzione i primi robotaxi. Le vetture sono equipaggiate con videocamere e sensori che gli permettono di muoversi in modo autonomo nel traffico della città. Per il momento, l’offerta è ancora molto semplice. I robotaxi seguono infatti tutti lo stesso tragitto: un percorso circolare di 6 km dallo Shanghai Automobile Exhibition Center a un hotel nelle vicinanze. Inoltre, nelle vetture è sempre presente un autista pronto ad intervenire in caso di problemi. Anche se ancora molto semplici, i robotaxi di Shanghai sono un ulteriore passo verso la completa automazione. Ma a che punto siamo oggi con la guida autonoma in Svizzera? «Oggi i veicoli in circolazione sono dotati di molti sistemi di assistenza alla guida – spiega Fabienne Perret, consulente di EBP e co-autrice di un recente studio sulla guida autonoma – Le automobili possono, ad esempio, parcheggiare in modo autonomo o tenere la corsia in autostrada. Riescono quindi a gestire la guida in situazioni specifiche, ma è comunque sempre necessaria una persona al volante che possa intervenire in caso di bisogno». Le grandi aziende tecnologiche e le case automobilistiche stanno però investendo somme considerevoli nello sviluppo di veicoli completamente autonomi, cioè in grado di guidare senza conducente e di far fronte a tutte le situazioni di traffico. Elon Musk, il fondatore e proprietario di Tesla, ha dichiarato durante una conferenza in luglio che i modelli Tesla saranno in grado di raggiungere la piena automazione entro la fine dell’anno: essi potranno quindi guidare senza

conducente. Ma siamo davvero così avanti? «Già nel 2015, un bus navetta circolava a Sion in modo completamente autonomo. Era il primo progetto pilota su suolo svizzero – dice Perret. – Da allora sono stati effettuati ulteriori test, che necessitano sempre un’autorizzazione speciale e richiedono un autista che può intervenire in caso di necessità. Tuttavia, si tratta di una guida molto semplice – continua Perret – I veicoli a guida autonoma nei test su strada viaggiano a una velocità ridotta (circa 15 km/h), hanno un atteggiamento molto difensivo, cioè si fermano al primo ostacolo, e hanno problemi quando le condizioni di guida non sono ottimali, ad esempio quando nevica, piove o il traffico è intenso. La completa automazione è quindi tecnicamente possibile – conclude Perret – ma non è ancora né consentita, né praticabile se non in condizioni di guida semplici». Per poter usufruire di tutto il potenziale della guida senza pilota sono ancora necessari molti progressi tecnici e adattamenti delle leggi. Ma l’interesse è grande perché la guida autonoma offre interessanti opportunità. «Le automobili a guida autonoma offrono due grandi vantaggi per la società – dice Perret. – Da un lato, permettono alle persone che attualmente non sono in grado di guidare, come i bambini, gli anziani o le persone con disabilità fisiche, di essere più mobili. D’altro lato – continua Perret – permettono di investire il tempo di viaggio per svolgere altri compiti come ad esempio lavorare. Questo sarebbe un grande vantaggio, soprattutto per i pendolari». Non solo aspetti positivi però, la guida autonoma comporta anche dei rischi. «Entrambi i vantaggi citati causano un aumento del traffico – dice Perret – e ciò significa più ingorghi e maggiori emissioni». Questo scenario negativo si avvererà soprattutto se sarà il mercato stesso a determinare lo sviluppo della guida autonoma. «Se le aziende e i privati cittadini potranno usare le automobili a guida autonoma senza restrizioni, il traffico aumenterà – dice Perret. – Ma se lo Stato ne regolerà l’uso, ad esempio combinando la guida autonoma con il trasporto pubblico o promuovendo nuove forme di trasporto pubblico individuale, allora

Sono diversi i progetti svizzeri di bus navetta autonomi, qui quello della linea XA di Meyrin, Ginevra. (Keystone)

l’aumento del traffico potrà essere contenuto e si potrà godere comunque dei vantaggi della completa automazione». Il tema interessa molto le autorità perché la piena automazione promette maggiore sicurezza sulle strade. «L’aumento di sicurezza è certamente il principale fattore che spinge le autorità a promuovere lo sviluppo della guida autonoma – dice Perret. – Con la completa automazione viene meno l’errore umano e questo dovrebbe portare ad una maggiore sicurezza stradale. Tuttavia, prima di arrivare ad una situazione in cui circoleranno solo automobili a guida autonoma, ci sarà una fase di transizione in cui saranno in circolazione veicoli con diversi livelli di automazione – continua Perret – che dovranno interagire con altri utenti della strada come pedoni e ciclisti. In questa fase di transizione, potremmo assiste-

re a una minor sicurezza, cioè a un aumento degli incidenti». Non solo sviluppi tecnici, per permettere la guida autonoma è necessario chiarire questioni legali. «Molti aspetti legislativi come la licenza di condurre, l’immatricolazione, la responsabilità in caso d’incidente, o il collaudo dei veicoli devono essere ridefiniti» dice Perret. La revisione parziale sul codice della strada, in consultazione fino al 12 dicembre 2020, è un primo passo in questa direzione. Il disegno di legge intende infatti conferire al Consiglio federale la facoltà di emanare in futuro leggi specifiche per regolare i sistemi di guida completamente automatizzati, come i sistemi di parcheggio automatizzato o di guida autonoma sulle autostrade che potrebbero vedere la luce nei prossimi anni. «Oltre alle questioni legali, biso-

gna chiarire anche varie questioni etiche» continua Perret. I giornali spesso discutono della questione etica di fondo: se l’automobile a guida autonoma non può più frenare e sta per investire un’anziana signora o un bambino, chi deve scegliere tra i due? «Questa questione etica di fondo non è nemmeno così importante – dice Perret – Una persona normale reagirebbe in modo casuale in questa situazione. Ed è quindi possibile programmare le automobili a reagire allo stesso modo, casualmente. Altre questioni etiche sono più interessanti – continua Perret – come ad esempio la domanda se vogliamo essere dipendenti dalle macchine, oppure se possiamo costringere i cittadini a usare automobili a guida autonoma». Ancora diversi punti da chiarire quindi prima che le automobili a guida autonoma invadano le strade svizzere.


n ó t n a C l a r a p r i g n I 9-26 settembre

Torna il glorioso camion Migros! Non mancare l’appuntamento con il suo viaggio itinerante in occasione dei festeggiamenti per il 15° anniversario dei Nostrani del Ticino. Il mitico camion vendita Migros ti riaccoglierà a partire dal 9 settembre in diverse località del Cantone, ripercorrendo alcuni dei vecchi tracciati. Durante le diverse soste potrai scoprire e acquistare pregiati prodotti nostrani a km zero. Trovi tutte le informazioni sul sito www.migrosticino.ch Per ogni tappa i primi 50 clienti verranno omaggiati con una borsa della spesa riutilizzabile griffata Nostrani del Ticino.

Il programma delle tappe LUNEDÌ 14 SETTEMBRE Municipio, ore 9.00 – 11.00 Sonogno Brione Verzasca Piazza, ore 14.00 – 16.00

LUNEDÌ 21 SETTEMBRE S. Maria (Calanca) Posteggi zona Casa Comunale, ore 9.00 – 11.00 Roveredo (GR) Posteggi Sótt i Nós, ore 14.00 – 16.00

MARTEDÌ 15 SETTEMBRE Piazzale Chiesa S. Martino, ore 9.00 – 11.00 Bironico Isone Piazza San Luriens, ore 14.00 – 16.00

MARTEDÌ 22 SETTEMBRE Posteggi Via Carena, ore 9.00 – 11.00 Carena Camorino Piazza, ore 14.00 – 16.00

MERCOLEDÌ 16 SETTEMBRE Posteggi Casa Comunale, ore 9.00 – 11.00 Magadino Contone Via delle Scuole, ore 14.00 – 16.00

MERCOLEDÌ 23 SETTEMBRE Piazza, ore 9.00 – 11.00 Osogna Personico ex Latteria, ore 14.00 – 16.00

GIOVEDÌ 17 SETTEMBRE Posteggi Palexpo, ore 9.00 – 11.00 Locarno Losone Posteggi Do it Migros, ore 14.00 – 16.00

GIOVEDÌ 24 SETTEMBRE Piazza, ore 9.00 – 11.00 Cavergno Brontallo Paese, ore 14.00 – 16.00

VENERDÌ 18 SETTEMBRE Zona Cisüra, ore 9.00 – 11.00 Intragna Palagnedra Casa Comunale, ore 14.00 – 16.00

VENERDÌ 25 SETTEMBRE Posteggi fermata Autobus, ore 9.00 – 11.00 Dongio Aquila Posteggi ex Posta, ore 14.00 – 16.00

SABATO 19 SETTEMBRE Posteggi ex Scuole ore 9.00 – 11.00 Chironico Airolo Piazza di Valle, ore 14.00 – 16.00

SABATO 26 SETTEMBRE Centro Migros, ore 10.00 – 17.00 S. Antonino

Attenzione: il programma e l’itinerario potrebbero subire variazioni. Trovate tutti gli aggiornamenti su migrosticino.ch


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 settembre 2020 • N. 38

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Società e Territorio

L’inventore di giochi

La festa della sostenibilità

Incontri Dietro ogni gioco c’è sempre un inventore. Il sogno di un giovane momò

Jonas Marti Quando nel 1580 il granduca di Toscana Ferdinando I De’ Medici regalò «il nuovo e molto dilettevole gioco dell’oca» al re di Spagna Filippo II, non poteva immaginare il successo che stava scatenando. Il monarca spagnolo rimase così affascinato dal curioso gioco, tanto da diffonderlo nelle corti di mezza Europa. Quella dei giochi da tavolo è una storia millenaria che risale agli albori della civiltà. Frammenti sono stati trovati in molti siti archeologici sparsi per il mondo intero, e di alcuni giochi addirittura non conosciamo nemmeno le regole… «Che bella cosa!», ci interrompe scherzando Alessandro. «Non conosciamo le regole perché in passato le regole si trasmettevano solo oralmente. Una gran fortuna per gli inventori di giochi di allora, che si sono risparmiati così la terrificante impresa di scrivere il libretto del regolamento». Non manca certo lo spirito giocoso ad Alessandro Bianchi, inventore di giochi sin dalla scuola elementare («che inventavo giochi sui banchi di scuola me lo dicono i miei vecchi compagni, ma io sinceramente ricordo molto poco…»). Grafico e creatore di siti web, 29 anni, di Riva San Vitale, il suo grande sogno è riuscire a riempire il frigorifero solamente inventando giochi. «Ci sentiamo fra 5 anni e ti potrò dire se ce l’ho fatta».

Nel 2019 in Svizzera le vendite dei giochi da tavolo sono cresciute di oltre il 50% rispetto all’anno precedente In realtà Alessandro non è assolutamente alle prime armi. Il primo gioco, autofinanziato e autoprodotto con il sostegno degli amici, è uscito nel 2018. Barlòtt, si chiama. Un gioco da tavolo ambientato sul territorio e dedicato alle leggende ticinesi. «L’idea è arrivata leggendo un libro: sono rimasto sorpreso che in Ticino ci fossero così tante storie incredibili, con risvolti molto fantasy». Così Alessandro si è messo al lavoro. Mostri, briganti e spiriti maligni hanno rubato i tesori del villaggio, e i giocatori devono recuperare il maltolto. Con la meccanica squisitamente nostrana di lanciare bocce in miniatura, con le dita, su una minuscola pedana. Più tardi, in collaborazione con Infogiovani, ha pubblicato Il villaggio dei diritti, per i 30 anni della Convenzione ONU sui

Alessandro Bianchi ha prodotto Barlòtt il suo primo gioco nel 2018.

diritti del fanciullo. Scopo del gioco è raccogliere punti per costruire, entro il tempo stabilito, case, scuole, parchi e ospedali che favoriscono la messa in pratica dei diritti fondamentali. «Ma per fare un gioco di successo non c’è bisogno di chissà cosa. Basta un foglio quadrettato e una matita», precisa Alessandro, che è pure riuscito ad inventarsi una escape room (un gioco di logica nel quale i concorrenti devono cercare una via d’uscita da una situazione) su un semplice foglio A4. Durante i mesi di lockdown ha invece messo a disposizione, in modalità completamente gratuita sul suo sito lafucinadiefesto.ch, un gioco ambientato nei grotti ticinesi, da giocare con carta, matita e smartphone. «Le regole? Mmm, non me le ricordo più, ne faccio così tanti…» Creare un gioco è un lavoro lungo e faticoso. Si comincia con l’idea. Poi bisogna costruire il prototipo e bisogna testarlo con dei giocatori. «Ho molti amici che uso come cavie. All’inizio ci sono sempre molti nodi da risolvere. Si gioca, si modifica, si gioca ancora e si modifica ancora, e si continua così finché si diventa troppo vecchi per continuare, o finché il gioco non fila via liscio», scherza Alessandro. Poi, però,

bisogna scrivere il regolamento. «È la parte peggiore, un incubo: non ho ancora sentito di un autore contento di scrivere regolamenti». E infine, il grande scoglio: trovare chi crede nel progetto, ed è disposto a finanziare e produrre il gioco. «Ma in Ticino ancora non si vede la potenzialità di questo settore e nessuno vuole investirci.» Eppure negli ultimi anni – le cifre parlano chiaro – i giochi da tavolo stanno vivendo un inaspettato rinascimento. Nel 2019 in Svizzera le vendite sono cresciute di oltre il 50% rispetto all’anno precedente. Una tendenza riconoscibile anche a livello internazionale. Secondo alcune stime, il fatturato mondiale dei giochi da tavolo dovrebbe aumentare dagli attuali 13 miliardi di franchi a oltre 21 nel 2025, con un incremento del 60%. Spiega Alessandro: «Oggi si vedono anche signore di una certa età che giocano con il proprio smartphone mentre sono dal parrucchiere. Le app di gioco che scarichiamo sul telefonino ci stanno portando ad apprezzare nuovamente i vecchi e buoni giochi da tavolo. Del resto il mercato si sta espandendo anche in Asia. Dieci anni fa nelle fiere dedicate non trovavi quasi nessun gioco, oggi ce ne sono sempre di più».

Greenday S abato 26

Eppure, tra tutti i mestieri del mondo, l’insolita professione dell’inventore di giochi continua a essere vista come una curiosità da giardino zoologico. «Il gioco è ancora considerato un’attività legata allo svago, al divertimento frivolo, tutt’altro che un’attività seria». Il problema, secondo Alessandro, è che «si è sempre considerato il gioco un’attività infantile. Nulla di più falso, anzi: storicamente è solo negli ultimi tempi che i giochi sono stati destinati ai bambini. In passato i giochi erano per gli adulti. Servivano per scopi strategici, come gli scacchi, oppure avevano una funzione rituale. Gli animali usano inoltre il gioco per imparare. I giochi da tavolo sono ottimi strumenti per veicolare messaggi». Un illustre esempio è Monopoly. Quando nel 1903 la scrittrice e attrice americana Lizzie Magie inventò il gioco da tavola più venduto di tutti i tempi, in realtà intendeva solamente lottare contro le ingiustizie del sistema economico. Monopoly voleva dimostrare, concretamente e sotto gli occhi di tutti, come la concentrazione di terreno nelle mani di poche persone fosse pericolosa: i ricchi diventavano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Ma purtroppo i sogni non sempre bastano. Bisogna sostenerli con impegno e dedizione. E così una mattina Alessandro si è svegliato e ha deciso di iscriversi a un corso di game design, che ora segue virtualmente, causa virus. «Lo fanno in Italia, dove ci sono molti autori di giochi professionisti. Alcuni di loro producono fino a venti giochi all’anno e riescono a vivere di questo». La scuola offre lezioni di storia dei giochi da tavolo, di meccaniche ed elementi di progettazione, di storytelling, di marketing, dà consigli per pubblicare e distribuire. E insegna come redigere un perfetto regolamento. «In realtà il game design è una professione alla portata di tutti. Non servono competenze specifiche, anche se alcune possono aiutare. Se sei bravo in matematica puoi sviluppare ottimi giochi matematici. Se sei bravo nella psicologia, puoi scavare nell’animo dei giocatori e capire che cosa li fa divertire e che cosa li spinge a prendere decisioni». Alessandro Bianchi sta ora lavorando a nuovi progetti, alcuni anche ibridi tra gioco da tavolo e videogame, ed è arrivato in finale in due concorsi internazionali di game design. Diceva Friedrich Schiller: «l’uomo è veramente uomo soltanto quando gioca». Ma ricordiamoci che ci vuole sempre qualcuno che inventi il gioco per lui.

settembre in Piazza del Sole a Bellinzona

Sabato 26 settembre, Piazza del Sole si tingerà di verde. A Bellinzona, nell’ambito della Settimana europea per lo sviluppo sostenibile, la Società ticinese di scienze naturali (STSN) organizza, infatti, la festa della sostenibilità Greenday 2020, in collaborazione con una cinquantina di enti, istituti e associazioni. L’evento sarà un’occasione per approfondire il tema della sostenibilità e della promozione della biodiversità, grazie anche alla presenza di bancarelle e postazioni con attività interattive proposte da una cinquantina di enti e associazioni attivi in questi ambiti. La giornata è organizzata in collaborazione con la Città, il Mercato, la Società Commercianti di Bellinzona e una cinquantina di enti, associazioni e istituti di ricerca, tra cui anche alcuni della Scuola universitaria professionale della svizzera italiana (SUPSI), del Dipartimento delle finanze e dell’economia (DFE) e del Dipartimento del territorio (DT) del Cantone, che patrocinano l’evento. «Tanti semi, tutti insieme, danno vita a una splendida foresta. Ogni contributo conta e non è mai troppo piccolo, perché non valga la pena di darlo», questo il motto che animerà l’evento il cui programma prevede momenti di intrattenimento teatrale, musicale e tante attività interattive per approfondire in maniera ludica, ma allo stesso tempo scientifica, vari aspetti legati al tema. Lo scopo è quello di avvicinare la popolazione in maniera positiva, divertente e costruttiva a possibili soluzioni per affrontare le grosse problematiche ambientali. Alle 17.00 sono previsti i saluti da parte del Consigliere di Stato Christian Vitta, del Sindaco di Bellinzona, Mario Branda e della Presidente della STSN, Manuela Varini. Seguirà la premiazione del concorso «sostenibile» della giornata e un finale con il cantastorie. La Società ticinese di scienze naturali tiene a precisare che durante lo svolgimento delle attività verranno messe in atto le misure di protezione sanitarie raccomandate dalle autorità. Informazioni: www.stsn.ch/greenday.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 settembre 2020 • N. 38

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Idee e acquisti per la settimana

A caccia di sapori autunnali

Attualità Alla Migros si è aperta la stagione della selvaggina. Lasciatevi ispirare dal nostro ricco assortimento

e approfittate questa settimana dell’offerta speciale sulle fettine di capriolo

Dal salmì di cervo alle fettine di capriolo: è tempo di selvaggina alla Migros.

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Fettine di capriolo con semi di zucca Ingredienti per 4 persone • 2 cucchiai di semi di zucca • 4 cucchiai d’olio di semi di zucca • sale • pepe • 1 spicchio d’aglio • 8 fettine di capriolo di ca. 80 g • 2 cucchiai di burro per arrostire • fior di sale

Fettine, sella e salmì di capriolo; filetto, entrecôte e racks di cervo; oppure ancora salametti e prosciutto di cinghiale, carne secca e luganighetta di cervo… sono solo alcune delle aromatiche proposte di selvaggina nuovamente ottenibili alla Migros, sia al banco carne che a

libero servizio. Accompagnate dai classici contorni quali castagne caramellate, spätzli, cavolo rosso, cavolini di Bruxelles e funghi, queste specialità culinarie non possono mancare sulla tavola dell’autunno. Rispetto ad altre carni, la selvaggina è relativamente povera

di grassi e facilmente digeribile. Inoltre è ricca di ferro, pertanto indicata per le persone che soffrono di anemia. Si consiglia di condire la carne di selvaggina prima della cottura, per esempio con erbette quali bacche di ginepro, alloro, maggiorana o rosmarino.

Preparazione Tostate i semi di zucca in un tegame antiaderente senza aggiunta di grassi. Unite un paio di gocce d’olio di semi di zucca e insaporite con il sale e il pepe. Toglieteli dal tegame e lasciateli raffreddare. Schiacciate lo spicchio d’aglio nell’olio di semi di zucca rimasto. Battete un poco le fettine di capriolo. Rosolatele nel burro per arrostire a fuoco medio quasi 2 minuti per lato. Accomodatele in piatti caldi e irroratele d’olio di semi di zucca. Cospargete la carne di fior di sale. Servite con i semi di zucca. Accompagnate con gli spätzli.

Buona come in pizzeria

Attualità Spazio alla creatività

Per chi ama mettere le mani in pasta fare le pizza in casa è sempre un gustoso piacere. Grazie alla farina per pizza dei Nostrani del Ticino potete dar libero sfogo alla vostra fantasia creando ricette in grado di accontentare tutti i gusti. Questa miscela professionale è composta da farina di grano tenero e semola rimacinata di grano duro, ottenuti da cereali al 100% coltivati in Ticino. La trasformazione avviene presso il Mulino di Maroggia, azienda a conduzione famigliare attiva sin dal lontano 1888. Il sapiente mix permette non solo di ottenere una pizza che non ha nulla da invidiare a quella della pizzeria, ma anche particolarmente facile da digerire. «L’assemblaggio dei due cereali è un “trucchetto” da pizzaioli, poiché il grano duro conferisce maggiore croccantezza e ruvidità alla crosta», spiega Alessandro Fontana, direttore del Mulino di Maroggia. «I cereali sono coltivati da una trentina di contadini tra Stabio e Biasca, anche se la zona principale di produzione è il Piano di Magadino. Le differenze tra i terreni alluvionali del Piano e quelli più argillosi del Mendrisiotto, insieme al clima,

influenzano anche il raccolto. Per noi del mulino questo implica un’attenzione particolare in fase di miscelazione di tutti i micro lotti, al fine di poter ottenere una qualità costante durante l’anno». Per una pizza soffice e croccante servono 450 g di farina per pizza, 2,5 dl di acqua a temperatura ambiente, 8 g di lievito fresco, 12 g di sale e 2 cl di olio extravergine di oliva. Sciogliere il lievito fresco nell’acqua e aggiungere la farina, tenendone da parte ca. 50 g in caso l’impasto risultasse troppo molle. Aggiungere il sale, l’olio e lavorare la massa con le mani energicamente per una quindicina di minuti finché l’impasto risulti liscio e omogeneo. Coprire con una pellicola da cucina a far riposare per almeno 3 ore in un luogo caldo. Spianare la pasta su una teglia unta di olio ad uno spessore di circa 1 cm e lasciare riposare altri 30 minuti. Farcire a piacere e infornare per una ventina di minuti nel forno preriscaldato a 220°C. Infine, la farina per pizza è indicata anche per la preparazione di pasta fresca. Farina per pizza Nostrana 500 g Fr. 1.40

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con la farina per pizza nostrana


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Idee e acquisti per la settimana

Regala un sorriso con Fisher-Price Attualità In occasione dei 90 anni del noto

marchio di giocattoli, fino a fine ottobre per ogni giocattolo venduto vengono devoluti 90 centesimi alla fondazione Make-A-Wish Switzerland

Fisher-Price quest’anno festeggia il 90° anniversario dalla sua fondazione, avvenuta nel giugno del 1930. In tutti questi anni l’azienda statunitense ha contribuito alla felicità e al divertimento di milioni di bambini, rinnovando costantemente i suoi giocattoli in funzione delle mutate condizioni di vita. Per celebrare l’importante traguardo, Fisher-Price ha voluto esprimere un desiderio speciale: regalare un po’ di gioia, speranza e spensieratezza ai bambini meno fortunati affetti da gravi malattie. A questo proposito, fino alle fine di ottobre, per ogni prodotto Fisher-Price acquistato alla Migros, Fisher-Price devolverà 90 centesimi alla fondazione Make-A-Wish Switzerland. Questa istituzione, nata

nel 2003 a Nyon, esaudisce gli intimi desideri di bambini dai 3 ai 18 anni gravemente malati, trasformandoli in realtà. Che si tratti di incontrare Roger Federer, sorvolare le Alpi in elicottero, diventare modella per un giorno, sostenere la propria squadra preferita o incontrare il premio Nobel per la fisica… Make-A-Wish si impegna affinché ogni bambino malato possa vivere un momento unico e prezioso. Per compiere le proprie missioni, la fondazione dipende però dai contributi economici di aziende e privati o fondi raccolti tramite azioni speciali, come quella promossa da Fisher-Price in collaborazione con Migros. Per saperne di più: makeawish.ch Annuncio pubblicitario

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Società e Territorio L’Ospizio e l’Albergo Ristorante sul San Gottardo. (M. Giacometti)

I guardiani dei passi alpini

Montagna Gli ospizi di San Bernardino, San Gottardo e Lucomagno offrono alloggio e qualche utile consiglio

ai viandanti che cercano percorsi alternativi e panoramici rispetto alle intasate autostrade. Ecco le esperienze di tre gerenti d’alta quota

Mauro Giacometti Guardiani e fidati custodi di passi alpini. Albergatori e ristoratori che accolgono i viandanti a 2000 metri tra nord e sud delle Alpi. Una missione la loro, unita ad una passione per la montagna e la natura: lavorare lassù, a due metri dal cielo, preparando piatti caldi o panini ai turisti di passaggio, per cinque o sei mesi l’anno, più che un lavoro è una scelta di vita. Come quella di Marco Albertini, 70 anni, ex atleta e maestro di sci, che seppure in pensione gestisce l’Ospizio San Bernardino, un casone arroccato sul passo con due secoli di storia addosso e che da qualche decennio è di proprietà della sua famiglia, originaria di Mesocco. «L’ha acquistato nel 1968 mio fratello Giancarlo, quindi da oltre una ventina d’anni lo gestisco io», racconta mentre da un promontorio si alza l’inconfondibile suono del corno delle alpi che saluta una bella giornata di sole d’inizio settembre sul passo grigionese. L’aria è frizzante, 12 gradi, mentre a valle si superano i 30. Dalle 10 del mattino alle 7 di sera l’ospizio offre bevande e piatti tipici agli avventori – e sono tanti anche in periodo di

«La pandemia ha ridotto il flusso turistico sul Gottardo, ma con tedeschi, svizzero tedeschi e romandi abbiamo contenuto la crisi» pandemia – che, rinunciando alla più comoda e veloce galleria autostradale, si inerpicano con auto, camper, moto e biciclette (sempre di più quelle elettriche) sui tornanti del passo che collega la Viamala a nord con il Moesano a sud. Transito lento e panoramico, con l’ospizio – che la famiglia Albertini ha voluto

Stéphanie Scapozza. (M. Giacometti)

Marzio Eusebio. (Ti-Press)

Marco Albertini. (M. Giacometti)

mantenere il più possibile nella sua connotazione originale – che rappresenta un perfetto «pit stop» per chi, giunto in cima, si ferma ad ammirare la parete settentrionale del Pizzo Uccello (la montagna simbolo di San Bernardino) che si riflette sul laghetto Moesola. Un’area di sosta o di ripartenza – a piedi o in mountain bike – per i tanti sentieri che attraversano il passo e che offrono una totale immersione nella selvaggia quanto affascinante natura alpestre. «Non prepariamo piatti caldi o cucinati, a parte una zuppa d’orzo quando il clima è sfavorevole. Qui siamo in alta montagna, non abbiamo elettricità, o meglio produciamo noi l’energia che ci serve con una pompa che attinge acqua da una sorgente o attraverso un generatore. Quindi possiamo offrire una gastronomia limitata con salumi e formaggi tipici, a parte qualche grigliata organizzata con gli amici in tempi di apertura della caccia». Nonostante la denominazione ospizio faccia pensare all’alloggio, salvo rare eccezioni legate alle condizioni atmosferiche, sul San Bernardino non si dorme. «C’è solo una stanza doppia, che serve soprattutto al personale che si ferma la sera. E anch’io qualche volta dormo qui», spiega Albertini.

Si alloggia invece nello storico Ospizio e si mangiano gustosi piatti caldi nell’adiacente Albergo Ristorante sul San Gottardo. Strategicamente posizionati sulla via delle genti, anch’essi a quota 2000 metri i due ritrovi da circa sette anni sono affidati alla gestione di Marzio Eusebio, 66 anni, esperto ristoratore e albergatore leventinese, nonché sindaco per quasi trent’anni di Dalpe («libero villaggio in libera valle», chiosa Eusebio ricordando la sua avversione all’aggregazione dell’Alta Leventina). «L’Ospizio era stato appena ristrutturato, così ho accettato di lanciarmi in questa nuova avventura di gerente d’alta quota. E devo dire che mi ritengo soddisfatto di come stanno andando le cose. Certo, la pandemia ha ridotto il flusso turistico, ma con tedeschi, svizzero tedeschi e romandi che in luglio e agosto non hanno rinunciato a salire sul San Gottardo – che d’altra parte è il passo più transitato d’Europa – abbiamo contenuto la crisi. È vero altresì che sono completamente mancati i gruppi organizzati, che soprattutto per l’ospizio sono fondamentali, considerando che giornalmente nel nostro ritrovo avevamo almeno 20-30 persone che arrivavano sul San Gottardo a

bordo di un pullman». In un prossimo futuro, vale a dire dalla prossima estate, però, ci sarà un motivo in più per valicare la «Via delle genti». «Oltre al Museo nazionale, ai laghetti alpini, ai sentieri e ai bunker fortificati, avremo anche una nuova attrazione turistica: le cinque pale eoliche della centrale elettrica che stanno montando e che già da questo mese di novembre entreranno in funzione», sottolinea Eusebio sorridendo sotto i suoi grandi baffi bianchi. Non servono «effetti speciali» invece per attirare i turisti sul Passo del Lucomagno, bastano le montagne e la natura incontaminata dell’alta Valle di Blenio. Sono stati proprio questi i richiami ai quali non ha saputo resistere Stéphanie Scapozza, 36 anni, originaria di Breganzona, dunque una luganese che ha lasciato la città per immergersi in questo paradiso terrestre a 1700 metri. Da circa sette anni, Scapozza è gerente del Centro Pro Natura di Acquacalda, sulla strada del Lucomagno, appunto, a circa quattro chilometri dal passo, dove peraltro c’è un altro rifugio «tradizionale» per viandanti, l’Ospizio Santa Maria. Il Centro Pro Natura – acquistato nel 2010 da Pro Natura in occasione del 50° della sua fondazione

– invece, è un approdo più culturale del vivere la montagna. «Offriamo ristorazione e alloggio durante il periodo estivo – spiega la gerente – ma è con la proposta di escursioni guidate sui sentieri, convegni, corsi e seminari su temi naturalistici che ci caratterizziamo e siamo apprezzati», dice. Intanto però ai viandanti, grazie alla professionalità di Stéphanie e del suo team, da maggio a metà ottobre oltre all’alloggio (l’albergo può ospitare fino a 30 persone, mentre il campeggio dispone di una ventina di piazzuole) vengono proposti nel menù «à la carte» gustosi piatti cucinati con prodotti locali, salumi e formaggi provenienti da alpeggi e caseifici della regione bleniese e da tutto il Ticino. «Anche in cucina non possiamo tradire la nostra filosofia, che è quella di valorizzare il territorio, sempre nel rispetto della natura e della tradizione locale. Non solo per i turisti, ma anche per la gente del posto. È diventato un rituale, ad esempio, la proposta del pranzo domenicale con polenta e spezzatino o polenta e formaggio. I clienti vengono soprattutto dalla valle, ma anche luganesi o bellinzonesi fanno a gara per prenotare un tavolo in terrazza». Quest’anno, però, il Centro Pro Natura ha dovuto chiudere prima i battenti, già alla fine di agosto. Il Covid-19 non c’entra con la chiusura anticipata, dettata da lavori di ristrutturazione dei servizi igienici che servono il campeggio, struttura molto ben frequentata durante la stagione estiva, anche per soggiorni di una settimana o più. E come non invidiare tendisti e camperisti che arrivano sul Lucomagno e invece di dare un’occhiata furtiva al panorama decidono di fermarsi, tra lo scorrere del Brenno e la cordigliera delle montagne bleniesi, per una vacanza rigeneratrice lontano dalla frenetica pianura. «Io sono una cittadina, ma per niente al mondo oggi cambierei questo vivere in mezzo alla natura», conclude Stéphanie guardandosi intorno. E salutandoci, le brillano gli occhi.


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Società e Territorio

Si fa presto a dire «per caso» Dalla fisica alla filosofia Un fenomeno casuale non è prevedibile,

non è però vero che ogni fenomeno imprevedibile sia casuale Massimo Negrotti Quando usiamo la parola «caso», l’espressione «per caso» o altre simili, ci capiamo benissimo ma, costretti a definire compiutamente il loro senso, corriamo il rischio di cadere in un grosso equivoco. In effetti, la maggior parte di noi pensa che un fenomeno «casuale» sia sostanzialmente un fenomeno imprevedibile. In realtà, se un fenomeno casuale non è sicuramente prevedibile non è vero che ogni fenomeno imprevedibile sia casuale. Trovarci su un ascensore che si blocca è, per noi, un fastidioso evento casuale ma il guasto, imprevedibile, è sicuramente dovuto a qualche difetto o rottura determinata da cause perfettamente ricostruibili nel momento in cui l’ascensore sarà esaminato dai tecnici. Il corsivo con cui ho scritto il termine «determinata» ha un senso preciso perché richiama il determinismo ossia una categoria fisica e filosofica secondo la quale, nel mondo naturale, nulla avviene per caso bensì secondo rigorosi rapporti di causa ed effetto. L’avvento della fisica quantistica ha posto in crisi il determinismo, secondo il quale sarebbe sufficiente conoscere lo stato iniziale di un sistema per prevedere la sua evoluzione in ogni dettaglio, e ha introdotto, a partire da Werner Heisenberg, l’indeterminismo, secondo il quale, sul piano dei fenome-

ni micro-fisici, nulla è possibile stabilire se non in termini probabilistici e, dunque, riservando al caso un ruolo decisivo. Lasciando ai fisici e ai filosofi il dibattito, tuttora aperto, è però importante ricordare che, in fisica, è stato proposto il concetto di «casualità intrinseca» per ipotizzare che il probabilismo possa non dipendere solo dalla nostra incapacità a descrivere compiutamente gli stati iniziali, bensì dall’attitudine intrinsecamente casuale delle particelle nella loro dinamica. Tornando sul piano degli eventi umani, lontano dal mondo microfisico, determinismo e probabilismo si prestano comunque a considerazioni di varia natura, tutte quante curiose e interessanti. Partiamo dal riadattamento di una esemplificazione, dovuta ad Aristotele. Poniamo che, all’insaputa l’uno dell’altro, Mario si diriga al mercato per acquistare il pesce e l’amico Giulio faccia altrettanto per acquistare insalata. Poniamo inoltre che Giulio debba restituire a Mario una piccola cifra avuta in prestito. Al mercato, Mario incontra Giulio che potrà così saldare il debito. Chiunque dirà che l’evento è avvenuto «per caso» e, infatti, né Mario né Giulio l’avevano preordinato. Eppure i due eventi – l’andata al mercato dei due amici – sono eventi deterministici poiché nessuno dei due ha detto a se

stesso «probabilmente andrò al mercato» in quanto la loro decisione è stata perfettamente programmata e attuata. Dunque, siamo di fronte ad un fenomeno che definiamo casuale – l’incontro – originato dall’incrocio di due eventi deterministici. Come si esce da questa contraddizione? Immaginiamo allora che Antonio, un amico di Mario e Giulio e che sapeva del piccolo debito, abbia visto dalla finestra di casa sua il cammino dei due amici verso il mercato, e abbia così potuto prevedere l’incontro e il saldo del debito. In questa circostanza, l’informazione sulle condizioni iniziali avrebbe consentito la previsione senza bisogno di mobilitare il caso. La conclusione è che la vicenda di Mario e Giulio, come qualsiasi altra nella vita quotidiana, può essere analizzata a vari livelli: quello di Mario e Giulio che comprensibilmente citeranno il caso, e quello, reale o potenziale, di chiunque avesse avuto fin dall’inizio informazione precisa su ciò che stava accadendo. La vera casualità, allora, sussisterebbe solo se un fenomeno fosse imprevedibile ad ogni possibile livello di osservazione e dunque di informazione, reale o potenziale. Naturalmente ciò non è fattibile da parte dell’uomo poiché, per farlo, dovremmo avere accesso ad una quantità pressoché illimitata di rilevamenti. Tuttavia qui torna ad essere utile

la casualità intrinseca delle particelle. Come abbiamo detto, si tratta di un fenomeno naturale microscopico ma alcuni si chiedono se esso non implichi qualcosa anche sul piano dei fenomeni macroscopici, dato che il confine fra il micro e il macro non è sicuramente drastico. Si può pensare, insomma, che il caso giochi un ruolo rilevante al livello micro ponendo in essere condizioni iniziali sulla base delle quali, poi, un sistema evolva secondo le regole della fisica classica, ossia deterministiche, come già proposto da Jacques Monod. Quello che accade nel nostro cervello quando ci viene un’idea originale, potrebbe dipendere da eventi casuali al livello più elementare dei nostri neuroni, capaci di innescare una cascata di fenomeni deterministici che alla fine portano ad una manifestazione cosciente e comunicabile. In fondo, si tratterebbe di mutamenti governati da una logica simile a quella descritta persuasivamente dall’evoluzionismo darwiniano. Tutto questo, come si vede, ci porta assai lontano dal riferimento generico con cui ci misuriamo quotidianamente e nel quale l’impiego del termine

«caso» indica semplicemente la nostra impossibilità di seguire passo a passo ciò che accade, come per il gioco del lotto, per eventi inattesi o magari per i moti browniani (moti disordinato di particelle in un fluido, osservabili al microscopio). Il problema affascinante che pone il trattamento del concetto in questione consiste nell’accertare, almeno teoricamente, fino a che punto sia pensabile un modello entro il quale il caso intrinseco e la dinamica deterministica non siano alternativi ma collaborino incessantemente, assegnando al primo il ruolo input e alla seconda quello di output. Se così fosse, avrebbe ragione il matematico Ivar Ekeland quando sostiene che il caso sembra essere «il dato fondamentale, il messaggio ultimo della natura». Se ciò fosse vero, e sembra proprio esserlo, allora almeno una delle espressioni quotidiane che adottiamo acriticamente meriterebbe di essere posta al centro di una seria discussione. In effetti, quando diciamo «il caso ha voluto che…» potremmo alludere ad una entità davvero reale, un motore sempre attivo che vuole, decide e muta le condizioni di qualsiasi sistema di variabili entro cui ci troviamo. Annuncio pubblicitario

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Società e Territorio Rubriche

Approdi e derive di Lina Bertola Il ruolo dell’errore Errare humanum est: suona così un arcinoto aforisma attribuito a sant’Agostino ma con illustri antecedenti nella letteratura latina, da Cicerone a Seneca. Di facile memorizzazione, è un messaggio che piace sempre perché sa accarezzare la fragilità umana con sguardo benevolo nei confronti di sbagli sempre possibili. Ma è anche un messaggio che si conclude con un monito severo, a volte (forse non a caso) trascurato nelle citazioni: perseverare diabolicum. Morale della favola: l’errore ci sta, basta comprenderlo e andare oltre. Questa antica saggezza valorizza l’errore intrinseco alla natura umana come occasione per correggersi e per migliorarsi. Su questa umana accoglienza qualche dubbio tuttavia può nascere quando in gioco ci sono responsabilità che non dovrebbero mai permetterlo. In effetti, l’etica delle responsabilità fonda il giudizio morale non tanto sui

principi ispiratori delle nostre azioni quanto piuttosto sulle loro conseguenze. In questa prospettiva l’errore si tinge necessariamente di luce negativa. È il caso dei recenti errori commessi dalle istituzioni preposte al controllo dell’emergenza sanitaria in corso. L’Ufficio federale della sanità pubblica ha dovuto correggersi: il maggior numero di contagi non avviene in discoteca bensì in famiglia (salvo poi lasciare aperto l’interrogativo su come ci arrivi, il virus, in famiglia). In seguito ha dovuto smentire la notizia della morte per Covid di un trentenne in buona salute. Infine, il Politecnico di Zurigo ha mostrato in uno studio che il cosiddetto contact tracing si basa su impostazioni errate che non gli consentono di funzionare come auspicato. Questi episodi non sono passati inosservati: in un clima di incertezza come quello che stiamo vivendo ormai da diversi mesi la fiducia negli esperti diventa un’esigenza fondamentale che

non andrebbe in nessun modo disattesa. Facile allora che il volto positivo dell’errore venga dimenticato e che l’errore si manifesti solo come una presenza per nulla gradita. Tutto ciò ha profonde radici nella nostra cultura e rimane ben visibile ancora oggi, a prescindere dalle incertezze, dai sentimenti di fragilità e dalle paure che abitano le nostre vite in quest’epoca difficile. Nella nostra cosiddetta società della conoscenza, in cui il sapere esibisce una forte valenza come strumento utile e come merce di scambio, l’errore è rappresentato perlopiù in modo negativo: una mancanza o addirittura un fallimento. Qualcosa di questa atmosfera che circonda l’errore rimane attuale anche nella metafora della matita rossa degli insegnanti. Una lunga tradizione ha pensato l’uomo come un animale razionale per il quale ogni errore è una specie di colpa da attribuire ai cattivi uffici della volontà o della sensibilità. Cartesio

lo dice con chiarezza: la ragione, se guidata dal metodo, non può e non deve sbagliare. Alcuni filosofi relativizzano questo entusiasmo nei confronti di una conoscenza certa e assoluta. Per Locke il sapere è comunque sempre limitato dall’esperienza, mentre Kant trasforma il concetto di oggettività. Una conoscenza oggettiva non ci dice come è il mondo in sé ma come lo è per noi, a partire dal modo in cui alla sensibilità e alla ragione umane è dato di conoscerlo. È una svolta interessante che permette di prendere le distanze dall’idea di una verità assoluta e sempre certa e apre alla riabilitazione del ruolo dell’errore nell’esperienza della conoscenza. D’altra parte, molte scoperte scientifiche sono nate da un errore, riconosciuto ed accolto per quello che voleva dirci, come ci ricorda la nota vicenda della scoperta della penicillina. L’errore bisogna guardarlo in faccia e

saperlo accogliere. È questa la lezione più interessante del filosofo della scienza Karl Popper. Solo affermazioni che in linea di principio permettono l’errore, solo teorie che possono essere falsificate dall’esperienza, hanno un fondamento scientifico. Se affermo «domani pioverà o non pioverà» dico una cosa sempre vera, una certezza che non rischia nulla, che non può essere smentita. Al contrario, dobbiamo avere il coraggio di mettere le nostre idee alla prova dell’errore, che in fin dei conti è la sola certezza. Contro i sogni di onnipotenza di una ragione che demonizza l’errore come sua colpa, questo coraggio aiuta a considerare la conoscenza come un’esperienza sempre aperta. Una morale della favola rivisitata che contrasta non solo i sogni di chi pensa di avere tra le mani certezze inattaccabili ma pure i rischi di una razionalità chiusa in sé stessa che teme l’errore ma che proprio per questa sua chiusura fatica a tenerlo sotto controllo.

gode del privilegio di stare seduta. La gloria maggiore, si sa, è il soffitto in cembro minuziosamente intagliato della sala dello Zodiaco che «a occhio può valere più di una casa» scrive Silvia Andrea in La Bregaglia (1901), Escursioni nel paesaggio e nella sua storia. Era già impacchettato pronto per partire, quando arriva l’antiquario Napoleone Brianzi che compra il palazzo nel 1902 e lo fa rimontare. Un calco del soffitto, eseguito per l’Esposizione nazionale di Roma del 1911, ha lasciato dei segni. Al centro c’è la figura alata della Fama in topless con tromba. Alle pareti, oltre alle personificazioni dei mesi e i relativi segni zodiacali, ancora metamorfosi con Tantalo che fa a pezzi il cadavere del figlio. Non scherzano neanche gli intarsi del soffitto della camera accanto, la stanza del Vescovo – il cui nome ha forse ispirato il titolo di un romanzo di Piero Chiara – dove al centro di un ottagono, da una botola esadecagonale in cui è cesellata una sfera armillare, si racconta, veniva calata una ragazza per il vescovo. Qui Antigone è trasfor-

mata in cicogna da Giunone e Rodope ed Emo sono mutati in monti. In giardino, nella peschiera rinascimentale, nuotano otto trote in sovrappeso. In mezzo al parterre cruciforme, uno stanco Ercole di pietra domina la scena. Intanto, uno stupefacente pozzo in mezzo al castagneto non lo guarda nessuno, gode la gloria segreta della vita in ombra. Su un muro di cinta lungo la peschiera a doppia esedra, si decifrano affreschi scrostati: uno in particolare con una donna nuda a cavallo di un cervo, inondato della luce verso mezzogiorno, è il mio preferito di tutto il palazzo. La verbena, in una aiuola pensile in pietra ollare irrigata mirabilmente da un percorso d’acqua d’altri tempi che contempla anche bacini di raccolta a forma di conchiglia, è rigogliosa. Però non partite da Piuro, soprannominata a sproposito «Pompei delle Alpi», senza prima aver assaggiato, al crotto Quartino, nella frazione Santa Croce, i pizzoccheri chiavennaschi – bianchi, più simili a gnocchetti – serviti in un tegamino di rame. Da far resuscitare i morti.

noi è evidente, nella nostra interazione quotidiana con le macchine è nascosto. Veniamo controllati e non ne siamo consapevoli ma, fatto più grave, nessun regolamento si preoccupa di limitare, contenere questo tipo di controllo e la società non sta valutando adeguatamente gli aspetti etici. Quando si dice che le disgrazie non arrivano mai da sole è necessario comprendere che se da un lato stiamo assistendo ad una crescita del potere algoritmico del controllo e ad una capacità delle macchine di muoversi in autonomia, di impartirsi istruzioni da sole senza la competenza o l’interazione dell’essere umano, dall’altra viviamo una pressante crisi politica, morale ed economica, resa ora più acuta dagli effetti pandemici. Dunque se non vogliamo vivere nel feudalesimo digitale prospettato dal sociologo

e giornalista Evgenij Morozov in cui la diseguaglianza, le asimmetrie di potere e di conoscenza alimentate dalla tecnologia diventano delle voragini incolmabili e al mercato si sostituisce una nuova relazione tra le aziende tecnologiche e la massa di persone basata su un’idea di schiavitù e assoggettamento, dobbiamo muoverci. Non possiamo pensare che prima o poi se ne occuperà un comitato etico, una conferenza informatica, una rivista scientifica o magari la generazione futura. Dobbiamo prendere in mano il nostro futuro, informarci, documentarci, capire in quale mondo viviamo e opporci. Paul Mason ci invita a compiere piccoli, quotidiani atti di sfida per liberarci dallo strapotere tecnologico e una servitù basata sulla manipolazione dei dati che noi produciamo.

A due passi di Oliver Scharpf Il palazzo Vertemate Franchi a Prosto di Piuro La sera del quattro settembre 1618, all’ora di cena, viene giù una frana che seppellisce tutto il paese di Piuro. Tranne un palazzo, in disparte, nella frazione Prosto, in località Cortinaccio che raggiungo una mattina ai primi di settembre. Il silenzio è rotto solo dall’abbaiare di cani, tra gli orti c’è un’ape cross ricolma di fascine. Lassù, sulla sponda opposta del Mera, verdeggia il Monte Corno decapitato. Il profumo del clerodendro, davanti al cinquecentesco Palazzo Vertemate Franchi (430 m), all’epoca chiamato Cascina per distinguerlo dalle altre più fastose dimore in paese tra le quali un palazzo con pavimenti d’oro, è degno di nota. Nell’atrio-corridoio con volta a botte affrescata, si è subito accolti da una ventata di mitologia a grandezza naturale. Quattro divinità barbute sono dipinte alle pareti: Ercole qui a sinistra, di tre quarti con la clava, affiancato da Nettuno con tridente e pesce-mostro ai suoi piedi. Sulle mura di destra un Saturno annoiato appoggiato alla falce; gli tiene compagnia Vulcano che maneggia

un martello. La loro ombra, sul muro, li avvicina al visitatore. Forse per questo il loro sguardo è stato graffiato dai contadini entrati a rubare dopo l’estinzione, nel 1879, dei Vertemate. Vulcano, secondo la giovane guida con unghie smaltate rosa phlox, è l’unico a cui è stato risparmiato lo sfregio degli occhi perché con gli arnesi da fabbro era più simile a loro. In compenso gli è stata cancellata la bocca per non dire niente e così, zittito, ci guarda. Altri graffi in forma di firme e scritte color sinopia vivacizzano questo quartetto-preludio degli Dei. Entrando nel salone di Giove e Mercurio, la sobrietà esteriore del palazzo desiderato dai fratelli Luigi e Guglielmo Vertemate Franchi – la cui ultima residente vacanziera è stata la signora Maria Eva Sala che l’ha lasciato in eredità al comune di Chiavenna con obbligo di farne un museo – viene spazzata via dal soffitto a volta a padiglione lunettato tutto ricoperto di affreschi ovidiani. In una lunetta, tra le scene tratte dalle Metamorfosi (2-8 d. C.) di Ovidio, ad esempio, Io,

mutata in vacca, è affidata ad Argo. In un’altra Mercurio decapita Argo. Vicino alle finestre che danno sul giardino all’italiana con classico parterre suddiviso dal bosso tosato a regola d’arte, c’è un antico tavolo da gioco, tipo carambola, utilizzato per una ridicola ricostruzione storica in una puntata di Superquark da due donne in costume da sagra del cinghiale. Di sasso, sempre al pianterreno, si rimane appena entrati nella sala di Giunone. Una stüa unica nel suo genere: il soffitto non è di legno come le pareti. Al centro c’è Giunone trainata dai cigni mentre qua e là ancora scenette ovidiane a go go come Callisto trasformata in Orsa. Intarsi vari si ammirano sulle pareti di legno: non solo cembro ma pure rovere, radica di noce, alberi da frutta. In un angolo balza agli occhi il bel verde dello smalto di piombo delle piastrelle a rilievo della stufa. Proseguendo nell’esplorazione del palazzo dei piaceri su nei piani superiori, scopriamo nella sala delle Cariatidi, dipinta nel breve spazio lasciato dalla porta, l’unica cariatide al mondo che

La società connessa di Natascha Fioretti Vivere controllati come in un aeroporto La scorsa volta ci siamo lasciati con la necessità di una teoria della natura umana capace di contrastare le teorie economiche liberiste, il culto delle macchine e l’antiumanesimo dilagante. Paul Mason, uno dei pensatori di riferimento della nuova sinistra radicale e autore del saggio Il futuro migliore. In difesa dell’essere umano. Manifesto per un ottimismo radicale, riflette e ci spinge ad interrogarci su quale tipo di futuro politico, economico e sociale sia possibile in un mondo in cui le condizioni e i termini stessi di quel futuro non sono più stabiliti dagli Stati nazione, bensì dalle multinazionali del settore tecnologico. Attraverso gli schermi dei nostri dispositivi intelligenti le grandi aziende e i governi, grazie agli algoritmi, controllano sempre i nostri movimenti riuscendo così a prevedere le nostre

prossime mosse, ad influenzare i nostri comportamenti e le nostre azioni. In futuro, con lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, c’è il rischio concreto di perdere del tutto il controllo sulle macchine informatiche. Paul Mason ci mette in guardia dallo strapotere, dall’egemonia del controllo algoritmico su di noi e lo fa con un esempio molto semplice, quello dell’aeroporto, delineando quale mondo ci attende se non prendiamo in mano per tempo il nostro futuro. Partendo dalla premessa che una volta messo piede in una struttura aeroportuale le regole cambiano e si fanno più rigide, il giornalista ci descrive l’iter al quale ognuno di noi viene sottoposto «Il banco del check‐in accerta la vostra identità e il controllo sicurezza è un minialgoritmo in sé e per sé: le persone si muovono come gli viene ordina-

to, tirano fuori il portatile dalla borsa come se ne andasse della propria vita, si sottopongono alla subroutine di una perquisizione corporale. Quando il vostro passaporto viene scansionato, tutti i fatti rilevanti che lo Stato conosce su di voi vengono verificati, mentre un sottoprogramma di riconoscimento facciale si accerta che siate la stessa persona che si è presentata al banco del check‐in pochi minuti prima. Alla porta d’imbarco, cominciano gli algoritmi del privilegio economico: i ricchi si imbarcano per primi, i poveri per ultimi». Il giornalista ci dice che lo strapotere della tecnologia informatica sta trasformando le nostre vite quotidiane nell’equivalente di un aeroporto in cui i fattori dominanti sono le esigenze degli Stati e delle grandi aziende. Con la differenza che se negli aeroporti il controllo esercitato su di


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Ambiente e Benessere Luci del Grand Canyon Reportage da uno dei luoghi più suggestivi al mondo e dove la roccia è uno spettacolo unico

La nuova vacanza La pandemia ha costretto turisti e operatori a rivedere le proprie strategie e a inventare altre modalità di viaggio

A colazione da Allan Il nostro gastronomo ci racconta le sue preferenze e cosa mette attorno al suo caffè mattutino

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Telenovela Messi Le ultime notizie dal fronte sportivo, nell’attesa che alcuni interrogativi trovino risposta pagina 27

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La malattia dei re

Medicina Gotta e pseudogotta, le «artriti

microcristalline» non sono più un unico appannaggio dei ricchi

Maria Grazia Buletti Un dolore molto forte che appare improvvisamente, verosimilmente dopo una cena pantagruelica, con gonfiore e arrossamento dell’articolazione colpita. Questa la descrizione della gotta, considerata una delle forme più dolorose di reumatismo, e che nei secoli scorsi si era guadagnata il titolo di malattia dei Re perché la sua insorgenza era il risultato di «diete da ricchi» che erano soliti consumare quotidianamente vino e cibi a base di carne. E in effetti lo stile di vita ha una certa incidenza: «Sovrappeso, vita sedentaria e un consumo di carne superiore ai 50 chili a persona all’anno, nella Svizzera dei giorni nostri rendono la gotta una malattia reumatica molto diffusa». Infatti il reumatologo Numa Masina afferma che oggi sta diventando anche la malattia delle fasce più povere della popolazione, complici i classici cibi da fast food e bevande zuccherate con fruttosio. E sottolinea: «Le immagini satiriche dei secoli scorsi mostrano come tutti i membri le case reali avevano praticamente la gotta». Oggi fra le cause classiche di un attacco notturno di gotta vi sono: «L’eccessivo consumo di alcolici la sera prima e un consumo eccessivo di carne, pesce e frutti di mare: la goccia che fa traboccare il vaso, sebbene il proverbiale vaso era già pieno da molto prima perché la gotta si sviluppa infatti in un periodo prolungato ed è dovuta all’elevata concentrazione di acido urico nella circolazione». Acido urico che viene eliminato dai reni nelle urine, ma che se presente in troppo alta concentrazione, si aggrega come ci ha spiegato il medico, in questi cristalli nelle articolazioni: «Bere tanta acqua, e bere latte, sono due buone abitudini che aiutano i reni a lavorare bene e a tenere lontano gli attacchi di gotta, unitamente a una buona igiene di vita e alimentare». Lo specialista confida la fatica di informare su questa malattia, sulle sue origini e sull’igiene di vita che permetterebbe di arginarla.

Ecco perché la Lega ticinese contro il reumatismo, a inizio anno, ha pianificato di organizzare in tutto il Cantone alcune serate informative aperte al pubblico. Conferenze a cui, ovviamente a causa del Coronavirus, non si è potuto dare vita, almeno per ora: «Si sarebbe trattato di sensibilizzazione e promozione informativa in tutto il cantone su gotta e pseudogotta, diagnosi e trattamento», afferma il nostro interlocutore al quale chiediamo di spiegarne i meccanismi e la differenza fra gotta e pseudogotta. «Sono entrambe artriti dovute alla formazione di cristalli. Nella gotta parliamo di un’aggregazione nelle zone articolari di cristalli di acido urico, sostanza derivata dalla metabolizzazione delle purine che viene eliminata dai reni con le urine. Nella pseudogotta si formano cristalli di calcio piro fosfato. Si assomigliano nei sintomi, ma sono diverse per i cristalli; la gotta ha una componente causale nell’alimentazione, la pseudogotta no». L’80 per cento delle persone colpite da gotta sono maschi: «Di gotta si ammala circa il 3 per cento degli uomini che raggiungono l’età pensionabile, mentre negli uomini dai 40 in su, essa rappresenta la più frequente patologia infiammatoria delle articolazioni e mediamente il primo attacco che colpisce un uomo avviene verso la mezza età». Le donne, per contro, sono relativamente immuni dalla gotta fino alla menopausa: «Gli ormoni sessuali femminili le proteggono dalla patologia e il primo attacco può colpirle mediamente dai 55 ai 60 anni». Abbiamo visto che la sintomatologia della gotta è per lo più chiara: «Gonfiore, arrossamento, dolori acuti e una forte limitazione della funzionalità dell’articolazione colpita». Essa può però essere confusa con la pseudogotta: «Per individuare la patologia corretta si deve effettuare un prelievo del versamento nell’articolazione interessata e analizzare il liquido sinoviale in laboratorio: i cristalli di acido urico indicano la presenza della gotta, quelli di calcio piro fosfato, facili da

Il reumatologo Numa Masina. (Stefano Spinelli)

distinguere dagli altri, sono indicativi della pseudogotta. In caso di gotta cronica, gli esami radiologici riusciranno a rendere visibili i danni delle articolazioni interessate». Ma ancor prima è essenziale l’anamnesi e l’esame fisico del medico curante che deciderà in seguito di approfondire le indagini ed eventualmente inviare il paziente al reumatologo che proporrà un trattamento adeguato alla situazione: «Parliamo di un trattamento farmacologico in caso di attacco acuto di gotta, con l’utilizzo di antinfiammatori, colchicina, cortisone o puntura di cortisone nell’articolazione. Passato l’attacco acuto, bisogna iniziare la prevenzione per evitare nuovi attacchi, basandosi sul valore di acido urico che deve scendere a livelli normali attraverso la somministrazione di farmaci specifici». A questo proposito bisogna sapere

che: «Iniziando ad abbassare i valori di acido urico, nei primi sei mesi si possono manifestare più attacchi (favoriti proprio dal cambiamento assoluto del tasso di acido urico), per cui bisogna proteggere le articolazioni con colchicina e antinfiammatori». Alla terapia farmacologica a lungo termine il reumatologo può coadiuvare soprattutto con misure dietetiche. Altro discorso per la pseudogotta: «Non abbiamo medicamenti specifici, ma con magnesio e colchicina attuiamo una prevenzione, più difficile per chi presenta parecchi attacchi». Da quanto abbiamo compreso, in questo campo la prevenzione ha un’importanza imprescindibile: «La predisposizione della gotta è congenita, la tendenza a un livello maggiore di acido urico può essere ereditata». Allora, l’anamnesi famigliare del medico di famiglia potrebbe essere di vero aiuto per individuare se ci sono

genitori, nonni, zii o zie che sono affetti da gotta, caso in cui bisogna correre ai ripari cominciando a misurare i livelli di acido urico. «Se l’esame del sangue rivela valori di acido urico particolarmente elevati, si raccomanda di ridurre il rischio di contrarre la gotta attraverso la modifica delle proprie abitudini alimentari e limitando il bere alcol: regole valide anche in caso di cambiamento alimentare dopo il primo attacco di gotta». Migliaia di pazienti sono stati sottoposti agli studi delle regole alimentari atte ad evitare nuovi attacchi di gotta e oggi si possono ricevere consulenze alimentari personalizzate con l’obiettivo di accompagnare la persona verso una nuova igiene di vita che limiti o faccia scomparire un disturbo è molto doloroso. Inoltre, non dovrebbe essere la malattia di tutti perché era nata come la malattia dei re.


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Ambiente e Benessere

Alla scoperta degli abitanti del bosco Natura L’importanza di questo habitat e della sua biodiversità: tante passeggiate per conoscerne i protagonisti

Elia Stampanoni Nell’ambito della campagna «Diversità forestale», l’Ufficio federale dell’ambiente (UFAM) propone quest’anno dei percorsi per andare alla scoperta degli «abitanti del bosco». In diverse località della Svizzera, tra cui otto nella Svizzera italiana, sono state disposte delle sagome in legno da cercare durante una piacevole passeggiata. Giunti nei differenti luoghi di partenza distribuiti sul territorio nazionale, un pannello informativo fornisce alcune indicazioni che, laddove necessario, suggeriscono la direzione da imboccare. Da qui vanno poi aguzzati i sensi, e soprattutto la vista, per trovare scoiattoli, querce e gli altri individui di casa nel bosco, riprodotti su delle tavole in legno svizzero. I profili sono collocati ai margini dei sentieri e solitamente solo nei pressi dei bivi importanti altri indicatori mostrano la rotta da seguire. Trovare tutti gli abitanti della foresta diventa quindi subito un gioco divertente, soprattutto per i bambini, ma non solo, con cui andare alla scoperta del ricco e affascinante ambiente forestale. Le località in Ticino e in Mesolcina dove esplorare il bosco e cercare i suoi abitanti sono attualmente sul Lucomagno, a Faido, Cevio, Lodano, Monteceneri, Soazza, San Bernardino e in Capriasca. Quest’ultimo percorso prende per esempio avvio dal parco giochi Melontano di Tesserete e lo si può percorrere comodamente in un’oretta. Il percorso si inoltra nel bosco, distanziandosi anche brevemente dai sentieri solitamente praticati e conduce in poco tempo alla scoperta di angoli particolarmente variegati, con un passaggio tra prati e frutteti. E così, mentre si cercano le sagome di animali, piante o altre specie, si possono ascoltare i rumori veri della foresta, come il picchiettìo di un uccello, percepire gli odori, vedere altri animali o piante e vivere un’esperienza nella natura con tutti i sensi all’erta. Il tragitto di Monteceneri è invece nei pressi della sede di federlegno. ch a Rivera ed è un po’ più breve, con una percorrenza di circa 40 minuti. Le sagome sono forse più facili da indivi-

duare, ma pure qui si può osservare il bosco e approfondirne alcuni aspetti lungo un sentiero appartato, che conduce verso lo stand di tiro. Anche gli altri percorsi sono strutturati similmente, come ci conferma Katia Balemi, aggiunta al direttore della Divisione dell’ambiente, che ha pure aderito all’iniziativa: «Sino a ottobre si potrà accedere agli attuali tragitti, che sono allestiti in modo analogo anche nel resto del Cantone e della Svizzera. A differenziarli sono piuttosto le attività o le animazioni collaterali proposte da chi ha allestito il percorso, con lo scopo di far scoprire il ruolo e l’importanza della ricchezza della biodiversità in bosco». Abbinato alla passeggiata esplorativa, viene inoltre proposto un concorso a livello nazionale, a cui si partecipa compilando un tagliando (o un modulo online), nel quale possono essere identificati i nomi delle specie delle sagome individuate. Si tratta di regola di una dozzina di elementi tra piante, funghi, o animali, ma anche insetti, felci o licheni. Specie note o forse anche sconosciute, ma tutte importanti per il mantenimento di un equilibrio ambientale, che trova il suo miglior alleato nella biodiversità. Per scoprire i nomi delle specie viene in aiuto il sito www. diversità-forestale.ch, dove si possono ricercare le specie che si dovranno poi individuare, oppure, dopo la gita, riscoprirle e trovare pure altri argomenti e informazioni anche sul tema del bosco e della biodiversità. «Prossimamente verranno inoltre aggiunte al sito www.ti.ch/biodiversita-bosco alcune nuove pagine tematiche “scopri il bosco” e la campagna informativa verrà pubblicizzata ulteriormente con altre iniziative e un video promozionale», aggiunge Katia Balemi. Lungo la camminata, piccoli slogan accompagnano ogni abitante del bosco: la quercia è per esempio un «hotel di lusso», mentre un simpatico animale «saluta» dicendo che grazie a lui «crescono nuovi alberi». Un insetto informa che si nutre di zecche, mentre altri abitanti sono ghiotti di moscerini, garanzia di aria pura, oppure troviamo la casa per insetti o funghi. Ci sono inoltre anche creature che stanno bene

Tra gli animali raffigurati anche gli anfibi. (E. Stampanoni)

un po’ ovunque e altre che proteggono il bosco da insetti dannosi. Individuarli durante la passeggiata non è difficile e invoglia a scoprire i motivi e i retroscena di queste simpatiche affermazioni. Il citato sito internet è qui un ottimo strumento, utile anche per fornire informazioni di carattere generale sull’importanza del bosco e della sua biodiversità. Un terzo della Svizzera, come indica il sito dell’UFAM, è infatti ricoperta da foreste, che costituiscono lo spazio vitale per il 40% delle specie vegetali, animali e fungine presenti in Svizzera. Nei boschi svizzeri crescono circa 535 milioni di alberi di 50 specie differenti e anche la fauna è molto diversificata. Oltre a mammiferi noti, come scoiattoli, volpi o cervi, ospitano per esempio diverse specie di pipistrelli e oltre un quarto delle circa 200 specie di uccelli nidificanti presenti in Svizzera. Non mancano rettili o anfibi che convivono nel bosco, seppure abbiano in parte esigenze differenti in quanto al loro habitat. Ci saranno anche loro tra gli abitanti raffigurati e distribuiti lungo i percorsi ideati sul nostro territorio? Forse poco visibili, ma molto numerosi sono gli insetti. A volte alcuni possono essere fastidiosi o problematici, altri innocui, ma pure loro svol-

gono compiti importanti nel complesso sistema forestale, garantendo per esempio l’impollinazione di alberi e cespugli oppure, come le formiche, diffondendo i semi o nutrendosi di zecche. Un altro «lavoro» svolto egregiamente dagli insetti è la decomposizione del legno, del quale sono specialisti i cervi volanti o la vespa del legno che permettono in seguito ad altri organismi e microrganismi del suolo di penetrare nel legno deteriorato e terminare la decomposizione. Le pagine della campagna «Diversità forestale» ricordano pure l’importanza dei funghi che, a lungo spesso invisibili, vivono sovente in simbiosi con gli alberi migliorandone lo sviluppo. Un’altra simbiosi, quella tra una alga e un fungo, dà origine ai licheni, come per esempio il lichene polmonario, uno degli abitanti dei percorsi che, sinonimo di aria pulita, fornisce nutrimento e un rifugio ricco di strutture a diversi microrganismi. Per conservare la presenza di svariate specie nei boschi, che sono la casa per oltre 30mila specie (animali, piante, funghi, licheni e muschi), vengono promosse diverse azioni anche nell’ambito della strategia nazionale per la promozione della biodiversità nel bosco dell’UFAM. Gran parte della

diversità dei boschi, come indica il sito, può essere incentivata creando riserve, favorendo isole di legno vecchio e alberi biotopo, curando e rivalorizzando gli spazi vitali con misure mirate per le specie forestali. L’iniziativa ha come detto trovato il pieno appoggio del Dipartimento del territorio del cantone Ticino che, con la Sezione forestale e il Museo cantonale di storia naturale (Divisione ambiente) e l’Ufficio della natura e del paesaggio, affiancati da numerosi partner (tra cui federlegno.ch, Fondazione Valle Bavona, Centro Natura Vallemaggia, Gruppo di educazione ambientale della svizzera italiana, Pro Natura, l’alberoteca, Comune di Faido), hanno voluto proporre gli otto percorsi ticinesi e nel Grigioni italiano (qui con il supporto dell’Ufficio foreste e pericoli naturali, regione Grigioni centrale e Moesano). La maggior parte dei percorsi della Svizzera italiana resteranno nei luoghi indicati sino a fine novembre, per poi essere dislocati in altre località più vicine agli agglomerati. Una collocazione che avrà anche lo scopo di far conoscere la ricchezza e la funzione della biodiversità in città e scoprire così altri luoghi del nostro territorio grazie a questa simpatica, ludica e istruttiva proposta. Annuncio pubblicitario

Fare la cosa giusta

Quando la povertà mostra il suo volto Per saperne di più su Lilian: caritas.ch/uganda-i

Lilian Ariokot (25 anni), contadina in Uganda, supera la fame


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Ambiente e Benessere

Fra picchi e voragini: Antelope, Bryce e Zion Reportage Un viaggio nei canyon degli Stati Uniti occidentali, fra pinnacoli e solchi

Simona Della Valle «The finest workers in stone are not copper or steel tools, but the gentle touches of air and water working at their leisure with the liberal allowance of time»*. Così sosteneva Thoreau, in un discorso che ben si applica a capolavori della natura come i canyon del west americano. Terremoti, eruzioni vulcaniche, detriti alluvionali, erosione di vento e pioggia sono a prima vista un elenco di calamità da non augurare nemmeno al proprio peggior nemico, ma proprio tali azioni naturali sono ciò che dato vita a paesaggi spettacolari. L’Antelope, il Bryce e lo Zion Canyon sono accomunati da una formazione causata dalla talvolta turbolenta azione di agenti atmosferici, ma eterogenei per aspetto e caratteristiche. La presenza e assenza di materia definisce questi paesaggi scavati dagli agenti atmosferici da un lato, e le mastodontiche formazioni rocciose dall’altro. L’Antelope Canyon è uno slot canyon nel sud-ovest americano, sulla terra dei Navajo a est di Page, Arizona. Il canyon si formò a partire dall’erosione dell’arenaria a causa di inondazioni improvvise; ancora oggi l’acqua piovana scorre nell’ampio bacino al di sopra del canyon, prendendo velocità e raccogliendo sabbia al passaggio negli stretti tunnel. Con il passare del tempo i passaggi si sono erosi, ampliandosi, e le rocce sui bordi si sono levigate fino a formare le iconiche forme sinuose fotografate da milioni di turisti. Il canyon comprende due sezioni separate, Upper e Lower. Il nome Navajo dell’Upper Antelope Canyon è Tsé bighánílíní, che significa «il luogo dove l’acqua scorre tra le rocce». È il più visitato dai turisti perché l’intera superficie è al livello del suolo e non richiede arrampicata; i fasci di luce solare diretta che si irradiano dalle aperture nella parte superiore del canyon sono qui molto più comuni, per lo più in estate quando il sole è alto. Il canyon inferiore, chiamato Hazdistazí, («archi di roccia a spirale») si trova a diverse miglia dal Upper Antelope Canyon e presenta difficoltà di accesso maggiori per via degli spazi angusti e della base non uniforme. L’Antelope Canyon è una fonte di guadagno per i Navajo ed è accessibile in tour solo dal 1997, quando i nativi lo resero un parco tribale. Le visite avvengono mediante tour operator e le visite indipendenti non sono autorizzate, soprattutto a causa dei pericoli dati dall’alto rischio di inondazioni; anche la pioggia che cade a decine di chilometri di distanza può incanalarsi nei tunnel con poco preavviso. Nell’agosto 1997, undici turisti furono uccisi nel Lower Antelope Canyon da un’inon-

In alcuni punti le formazioni rocciose presentano delle «finestre». Altre foto sul sito www.azione.ch. (S. Della Valle)

dazione improvvisa: quel giorno un temporale aveva scaricato una notevole quantità d’acqua nel bacino del canyon circa 11 km più a monte. L’unico sopravvissuto fu la guida turistica Francisco «Pancho» Quintana. Un’alluvione di 36 ore provocò nel 2006 la chiusura del Lower Canyon per cinque mesi. Nel 2010 diversi turisti rimasero bloccati su una sporgenza a causa di due inondazioni improvvise all’Upper Canyon: alcuni di loro furono estratti e altri dovettero aspettare che le acque si ritirassero. Il Bryce Canyon è un esempio della spettacolare geologia del sud dello Utah, una distesa di pinnacoli o hoodoo di roccia rossa scolpiti da vento, acqua e neve. Tecnicamente parlando, quello di Bryce non è un canyon; la sua formazione fu causata a partire da un processo naturale chiamato crioclastismo (o frost wedging) dato dall’oscillazione delle temperature sopra e sotto lo zero più volte nel corso della stessa giornata. Congelando, l’acqua trattenuta nelle fessure si espande e spacca la roccia in un processo ciclico che si verifica circa 200 volte l’anno. In estate, il deflusso delle nubi si infiltra nelle pietre calcaree più morbide e nelle chiuse attraverso i profondi cunicoli.

Il territorio Navajo nei dintorni dell’Antelope Canyon. (S. Della Valle)

L’altopiano, originatosi tra i 10 e i 20 milioni di anni fa, in alcuni punti raggiunge i 2800 metri di altezza. La particolarità della zona è data dall’altitudine estrema del parco, che con un dislivello di circa 650 metri e la presenza di tre fasce climatiche distinte permette ai visitatori di esplorare anche prati alpini e boschi di conifere, habitat naturali di una grande varietà di animali come condor, falchi, antilocapre, salamandre e scoiattoli. Il canyon prende il nome da Ebenezer Bryce, un pioniere mormone che si stabilì nella zona nel 1874. Tuttavia la tribù dei Paiute, che si era stabilita nella zona fin da molto prima dell’arrivo dei pionieri, lo chiamava Angka-ku-wassa-wass-a-wits, o «volti dipinti di rosso». Secondo la leggenda degli indiani Paiute, milioni di anni prima della loro comparsa sulla terra, nella zona viveva un altro popolo chiamato To-when-anun-un-wa, o «Legend People». A quei tempi la natura era lussureggiante, i fiumi ricchi di acqua fresca, gli animali abbondavano. I Legend People mangiarono noci, frutta e bacche senza lasciare nulla alle altre creature e la terra diventò progressivamente meno fertile, mentre le risorse iniziarono a scarseggiare. Gli animali si lamentava-

Il percorso dell’Upper Canyon, con le sue suggestive luci riflesse dalle rocce. (S. Della Valle)

no della situazione e un giorno furono uditi dalla divinità Coyote, che decise di prendere provvedimenti. Coyote vantava una fama di imbroglione, e decise che si sarebbe servito di questa sua dote per ingannare i protagonisti di tale avidità. Li invitò a una grande festa promettendo loro cibo e bevande sopraffine e i Legend accettarono prontamente l’invito, indossando per l’occasione gli abiti più belli e dipingendosi il viso di rosso. All’arrivo degli ospiti, Coyote lanciò un incantesimo proprio mentre prendevano il primo boccone: uno alla volta, tutti iniziarono a trasformarsi in pietra. Quelli non ancora colpiti si diedero alla fuga cercando di scalare il crinale della valle. Si spinsero, strattonarono e calpestarono l’un l’altro, ma ben presto tutti furono trasformati in colonne di pietra, paralizzati nel loro ultimo gesto in piedi, seduti, striscianti, e lì rimasero nel corso dei secoli a testimonianza della loro avidità ed egoismo. Con i loro volti rossi pietrificati nelle colonne di roccia, gli hoodoo furono scoperti dai Paiute al loro arrivo nella zona. Per questo motivo la tribù diede al luogo il nome Angka-ku-wass-a-wass-a-wits, che significa «facce dipinte di rosso». Il Bryce Canyon, istituito come

parco nazionale nel 1928, si trova a meno di 65 km in linea d’aria da un altro gioiello naturale, lo Zion National Park. Circondato su tre lati dalla pittoresca comunità di Springdale e a sole due ore e mezza da Las Vegas, il parco racchiude un ambiente unico con imponenti formazioni rocciose e gole scavate dalle acque del Virgin River e dei suoi affluenti. L’azione erosiva dell’acqua ha svelato l’antica storia geologica della regione, che si osserva sulle pareti del canyon, e la varietà di ambienti naturali fornisce un gran numero di specie animali: sugli altipiani boschivi vagano cervi, muli e tacchini; pecore bighorn e coyote prosperano nei canyon. Il nome Zion fu attribuito dal pioniere mormone Isaac Behunin, che in queste montagne trovò una «città di Dio» analoga alla Sion descritta dal profeta Isaia nella Bibbia. Alla zona del parco è legata la leggenda di Hog Allen: Albert «Hog Allen» Smith era un contadino con sete di vendetta. I possedimenti terrieri erano per lui più importanti dei soldi. Un giorno, trovandosi nell’area tra North Fork e Deep Creek, si alzò in sella al suo cavallo e con un gesto della mano dichiarò sue quelle terre, che da allora presero il nome di Hog’s Heaven. L’uomo giurò solennemente di cacciare tutti i contadini che osassero mettervi piede e, anche se morì prima di concretizzare le minacce, nell’anniversario della sua morte i rancher vicini e le loro famiglie furono oggetto di misteriosi incidenti che li incoraggiarono ad abbandonare la zona. Alcuni giurano di avere visto una nebbia misteriosa formarsi sulla tomba di Hog Allen: che sia lo spirito dell’uomo tornato a volteggiare sopra queste terre? Nota

* (Traduzione dell’autrice) «Non gli utensili in rame o metallo, ma il tocco delicato di aria e acqua, insieme a una generosa concessione di tempo, lavorano la pietra al meglio».


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Idee e acquisti per la settimana

Dolce tentazione – sottile e croccante Blévita, gli amati cracker ai cereali, offrono ora ancora più varietà. Particolarità dei nuovi aromatici mini cracker Blévita Mini Sweet & Thin è la loro sottigliezza. Sono disponibili in due invitanti gusti. La variante Miele-Rosmarino è addolcita con miele, mentre quella Pan di pere è vegana. In aggiunta entrambi sono senza lattosio e ricchi di fibre alimentari.

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Ambiente e Benessere

Aria di novità

Viaggiatori d’Occidente Alcuni cambiamenti nel turismo sembrano irreversibili Claudio Visentin Qualche mese fa, proprio su queste pagine, scrissi che la durata della crisi sarebbe stata un fattore decisivo per valutare il suo impatto sul mondo dei viaggi. Una crisi anche intensa ma di breve durata avrebbe permesso di tornare rapidamente alla normalità, sia pure con qualche danno; una crisi più lunga avrebbe invece cambiato alcune regole del gioco. Quest’ultimo scenario è il nostro presente. Inutile negare l’evidenza, come troppi hanno fatto vivendo l’estate 2020 come se nulla fosse successo (e ne vediamo già le conseguenze nel numero di contagi). Dobbiamo invece accettare che una nuova idea di turismo sta prendendo forma e provare a comprenderla meglio, in una prospettiva di cambiamento e adattamento. Alcune novità del viaggio 2020 sono ormai evidenti: più vicino e meno lontano, più lento e meno veloce, più cammini e meno città d’arte, più auto (o camper) e meno aerei, più case in affitto e meno alberghi ecc. Soprattutto più turismo nazionale. Abituati all’idea che la Svizzera fosse sicura ma un po’ noiosa, abbiamo invece scoperto infinite possibilità: chi l’avrebbe detto. Alla Svizzera manca solo il mare (e non abbiamo soluzioni in vista per questo…) ma, sin dal secolo scorso, il Ticino col suo clima e i suoi laghi offre un accettabile surrogato. E così è stato, ancora una volta: la buona, vecchia Sonnenstube è tra i protagonisti di questa estate, come nuova nonostante gli anni.

Ancora più importanti sono state le conseguenze del telelavoro. Liberati dall’obbligo di timbrare il cartellino, molti si sono spostati in luoghi più gradevoli, per esempio la casa di famiglia in montagna o qualche piacevole località di mare, purché ci fosse una buona connessione. Ma una volta insediati in un posto dove l’ora in treno da pendolari si trasforma magicamente in un bagno al mare, l’impulso ad andare in vacanza scema. Le vacanze sono sempre state l’antidoto al lavoro d’ufficio nelle grandi città, ma se cambiano queste variabili si trasforma (e si riduce) anche la motivazione al viaggio. Ecco perché se in un primo tempo abbiamo fatto soprattutto la conta dei danni, e disposto aiuti d’emergenza, ora si tratta piuttosto di cambiare abitudini consolidate, di governare e assecondare questo cambiamento con provvedimenti intelligenti. Un esempio? Un grande esperto di turismo come Antonio Preiti ha proposto di riservare solo agli alberghi i soggiorni brevi di pochi giorni. Chi invece affitta camere attraverso piattaforme come Airbnb dovrebbe rivolgersi ai nuovi nomadi digitali o remote worker (o come preferite chiamarli) offrendo loro solo soggiorni di media e lunga durata, comunque non inferiori a una settimana. Preiti conclude lucidamente: «In sostanza, avremmo due mercati, quello alberghiero, che non subirebbe così una concorrenza asimmetrica (di chi offre lo stesso tipo di servizio, ma senza gli obblighi di legge e le garanzie per il consumatore) e quello degli affitti brevi, che sarebbero

Il Giraffe Manor di Nairobi propone esperienze molto originali. (Youtube)

davvero tali, in quanto presuppongano una permanenza non di un solo giorno. In questo modo avremmo città più ordinate, i dati statistici rispecchierebbero la realtà e, soprattutto, aiuterebbero a far crescere un nuovo tipo di turismo che vive la città come residente». Non è un’utopia, alcune grandi città hanno già cominciato a dettare regole di questo tipo anche prima della pandemia. Per esempio a New York è vietato affittare un intero appartamento tramite Airbnb per meno di un mese (mentre è sempre possibile affittare una stanza della propria casa); anche Parigi e Amsterdam hanno messo dei paletti. Nel frattempo alcune procedure di emergenza introdotte per ragioni sanitarie sembrano aver trovato un loro

senso. In questo momento gli aeroporti, nel loro insieme, mi sembrano più puliti, più sicuri ed efficienti. Per esempio le nuove regole d’imbarco e sbarco dagli aerei senza contatto, fila per fila, hanno eliminato situazioni caotiche alle quali le compagnie low cost ci avevano abituato (male). E anche le nuove disposizioni sul bagaglio a mano (per evitare affollamenti alle cappelliere) hanno mostrato che imbarcare il proprio bagaglio nella stiva potrebbe essere una buona idea per evitare perdite di tempo al momento di salire o scendere dall’aereo. Aspettare poi qualche minuto al nastro dei bagagli è davvero un così gran male? Un ultimo esempio, decisamente più esotico? Il safari è il prodotto più caratteristico del turismo in Africa ma

da sempre, forse per un’inconsapevole eredità coloniale, è stato offerto solo ai turisti internazionali. Giraffe Manor, un albergo di Nairobi famoso per le giraffe libere che si affacciano alle finestre delle camere, ha proposto su Instagram un’offerta speciale per i kenioti. Questi ovviamente si sono offesi, a cominciare dalla scrittrice di viaggio Harriet Akinyi: «Ho strabuzzato gli occhi quando ho visto l’offerta. Che ipocrisia rivolgersi al mercato nazionale solo perché c’è la pandemia!». Harriet ha qualche ragione: proprio perché le crisi sono sempre possibili, l’albergo delle giraffe avrebbe dovuto aprire alla clientela nazionale già qualche anno fa, in tempi non sospetti. Certo non è così semplice: il costo di un safari di lusso è normalmente fuori dalla portata del turista africano: spesso un mese di stipendio in Kenya non basta a pagare un giorno di safari. Ma è importante trovare proposte, magari diverse, per coinvolgere anche la comunità che vive intorno all’albergo e qualcuno a dire il vero lo ha già fatto; per esempio Asilia Africa, una società che gestisce venti campi tendati in Africa orientale, ha sempre proposto tariffe ridotte per i locali e dopo aver perso la sua clientela internazionale si è limitata a promuoverle più attivamente, in questo caso senza rimostranze. In realtà il cambiamento nel turismo è sempre stato la regola. Basti pensare che un secolo fa non si sciava né si faceva vita di spiaggia. Il virus ha solo accelerato il ritmo della trasformazione e forse non è neppure un male. Annuncio pubblicitario

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Ambiente e Benessere

Scenografici papiri Mondoverde Un vegetale che ci arriva dall’antichità con un carico di storia come pochi altri Anita Negretti Tutti noi conosciamo l’ingegnoso uso degli antichi Egizi nel trasformare il midollo degli steli delle piante di papiro in fibre da adoperare come carta. Oltre ad essere utili, queste suggestive piante amanti dell’acqua risultano essere molto decorative sia coltivate in vasi sia immerse nei laghetti dei giardini. Con più di 550 specie, questo vasto genere di erbacee dai tanti steli appartiene alla famiglia delle Cyperaceae. Dal caldo Egitto si sono diffuse sia in Africa centrale, sia lungo tutte le coste del Mediterraneo, arrivando a latitudini più nordiche grazie al riparo invernale in casa o in serre riscaldate. Con steli verdi, triangolari e alto fino a 2 metri, il più noto tra i papiri è senz’altro Cyperus papyrus, forma un ammasso di radici fittissime ed è ornato all’apice dei lunghi fusti da lunghe foglie (in realtà sono brattee fogliari), a volte taglienti, sottili e riunite ad ombrello. Coltivati in vaso bisogna prendersene cura lasciando sempre il sottovaso colmo d’acqua , meglio ancora se tenuti all’interno di un recipiente alto 20-30 cm e non bucato, con acqua fino al bordo tutto l’anno. Lasciate all’aperto da fine aprile ad ottobre, assumono un colore verde intenso, regalandoci un’atmosfera tropicale sul terrazzo, riuscendo a mascherare molto bene visuali sgradite grazie ai suoi steli fittissimi e larghi 1-2 cm. Tra luglio e settembre avviene la

I celebri papiri nella fontana di Aretusa a Siracusa. (Marka)

fioritura, che consiste in piccole corolle con capolini bianco–nocciola in grado di formare infiorescenze piumose. Molto facile da coltivare è altrettanto semplice ottenere nuove piante a costo zero: si può decidere di dividere la radice in più porzioni durante la primavera e l’estate oppure affidarsi al metodo della talea di foglia da eseguirsi durante tutto l’anno. In questo ultimo caso basterà tagliare alcuni steli mantenendo solo gli

ultimi 20-30 cm di lunghezza dal ciuffo di foglie, capovolgerle all’interno di un bicchiere alto e colmo di acqua ed aspettare qualche settimana per veder comparire al centro della rosetta fogliare delle radici bianche. Interrate in vasi con terra di campo argillosa e pesante, le nuove piantine andranno sempre tenute bagnate e si svilupperanno rapidamente nuovi steli. Nei mesi più freddi, quindi da fine settembre a metà aprile, per garantire la

sopravvivenza ai papiri bisogna ritirarli in locali luminosi, con temperatura minima sopra ai 5 °C per evitare l’ingiallimento delle foglie, senza dimenticare di mantenere il sottovaso colmo d’acqua anche in inverno. Per avere piante sane e sempre rigogliose, non mettetele in pieno sole, ma prediligete la mezz’ombra e regalate loro concimazioni liquide con prodotti ben bilanciati di macro e micro elementi.

Da qualche anno sono presenti in commercio specie e varietà nane, che non superano il metro d’altezza, ideali per chi deve ritirarle in casa durante l’inverno e non vuole ritrovarsi metà salotto invaso dal papiro. C. papyrus «Perkamentus» ha ombrelli di foglie ampi e verde chiaro, alti solo 70 cm, mentre C. p. «Haspanviviparus» raggiunge solo i 50 cm con foglie cilindriche a ciuffi verdi brillanti. Annuncio pubblicitario

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Idee e acquisti per la settimana

Preparare un piatto veloce con il formaggio Le fette di formaggio Leerdammer hanno un delicato aroma di nocciola e sono così un ottimo ingrediente per preparare un panino o semplicemente come spuntino tra un pasto e l’altro. Ora Leerdammer è disponibile anche come formaggio da cuocere. Lo si può preparare al forno, in padella o al grill: in tutti i casi la sua crosta con semi di zucca ed erbette diventa croccante e dal colore dorato, mentre al suo interno il formaggio cremoso si scioglie. Perfetto per accompagnare una bella insalata o delle verdure miste, così come ingrediente per le fajitas

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Un nuovo Cantadou «Le Marché du Maroc» vi trasporta nel mondo esotico del Marocco. Con un po’ di hummus e scorza di limone, in un attimo si possono insaporire molte pietanze: come ingrediente per la salsa dell’insalata, da spalmare su una focaccia araba fresca o per condire delle verdure croccanti.

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Ambiente e Benessere Migusto La ricetta della settimana

Scampi con olio all’aglio Antipasto Ingredienti per 4 persone: 1 spicchio d’aglio · 1 dl d’olio d’oliva · 2 cucchiai di

migusto.migros.ch/it/ricette Per diventare membro di Migusto non ci sono tasse d’iscrizione. Chiunque può farne parte, a condizione che un membro della sua famiglia possieda una Carta Cumulus.

miele liquido · 3 peperoncini · sale · 1 kg di scampi o di gamberi, nei negozi di specialità · 400 g di pomodori cherry ramati · ca. 4 grosse foglie d’insalata, ad es. lattuga romana.

1. Scaldate il grill a 200 °C. Tagliate l’aglio a fettine sottili e mescolatele con l’olio e il miele. Tagliate ⅓ dei peperoncini ad anelli sottili e uniteli all’olio con un po’ di sale. Dimezzate i peperoncini restanti per il lungo. Spennellate gli scampi, i pomodori e i peperoncini con l’olio all’aglio. 2. Grigliate gli scampi per circa 5 minuti. Disponete sulla griglia i pomodori cherry e i mezzi peperoncini e continuate la cottura per 3 minuti circa. 3. Accomodate gli scampi sulle foglie di lattuga romana e servite con l’olio all’aglio rimasto. Consigli utili: al posto degli scampi potete usare i gamberoni. Il grill può essere sostituito con una bistecchiera o una padella. Preparazione: circa 25 minuti. Per persona: circa 24 g di proteine, 25 g di grassi, 12 g di carboidrati, 370 kcal/

1650 kJ.

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Ambiente e Benessere

La miglior prima colazione Allan Bay Uno dei più usuali luoghi comuni sulla cucina dice che se è relativamente possibile far evolvere i gusti per quanto riguarda i due pasti principali, la colazione (non si chiama pranzo!) e la cena, per quel che riguarda la prima colazione è difficilissimo cambiarli (relativamente, sia chiaro: perché far evolvere le proprie tradizioni culinarie è sempre e comunque faticosissimo). Onestamente non so quanto ciò sia vero: non ho mai trovato vere statistiche in proposito… Comunque ecco la mia prima colazione di oggi: che ovviamente è un po’ cambiata, nel corso del tempo, ma non tantissimo.

Lo standard prevede caffè, yogurt, carboidrati e magari uova: ma il nostro gastronomo ne ha adattato le ricette nel corso degli anni La costante è un caffè. Caffè per modo di dire. Lo chiamo brodo nero come il mitico piatto degli spartani: consta di mezzo litro di acqua calda colorato con il caffè di una caffettiera da due. Aggiungo solo un nonnulla di dolce: lungo gli anni zucchero bianco, zucchero di canna e oggi panela, un preparato ottenuto dal succo della canna da zucchero. Serve sostanzialmente per reidratarmi. Un medico amico mi disse una volta che era perfetto per riattivare i reni. Credo di aver iniziato a berlo così più o meno a 20 anni; oggi, 50 anni dopo, continuo; e l’ho bevuto per tutti i giorni della mia vita. Oggi, e non «da sempre» ma da una ventina di anni almeno, in tavola c’è uno yogurt, anche se negli anni è comparso ed è scomparso: cicli storici. Yogurt bianco, intero: odio gli yogurt light. Freddo non mi piace, lo tiro fuori dal frigorifero la sera prima, lo metto in una tazza e lo emulsiono con un

cucchiaino di «confettura» a piacere, fatta da me, quindi poco dolce, ma abbastanza dolce per smorzarne l’acidità. Confettura è fra virgolette, perché in effetti è frutta cotta addolcita con pochissimo zucchero: in frigo dura poco ma tanto finisce in pochi giorni. Per i carboidrati, nebbia assoluta. Le ho provate di tutte senza mai esserne del tutto soddisfatto. Di fatto, 9 volte su 10 mi accontento di un una fetta di buon pancarrè tostato e spalmato con poca «confettura» oppure con poco burro e zucchero, un ricordo infantile. D’inverno, quando il panettone non manca, lo sostituisco con una fetta di panettone leggermente tostata. E poi le uova. Per me sono e restano l’emblema del cibo giusto per aprire la giornata. Quindi lungo gli anni ho mangiato uova cotte in tutte le 12 tecniche di base: al piatto, all’ostrica, alla coque, bazzotte, sode, in cocotte, in camicia o affogate, fritte, filate, strapazzate, frittate e omelette. Da pochi anni, uova strapazzate dolci. Fatte così. Sgusciate un uovo (ma dipende da cosa mangiate a colazione, se volete anche 2 uova) in una larga ciotola, unite un cucchiaino di zucchero e sbattetelo delicatamente con una forchetta: il tuorlo si deve rompere ma non amalgamare troppo con gli albumi. Fate sciogliere poco burro in una padellina pesante antiaderente a fuoco dolcissimo, io ne uso uno teflonato in bianco da 14 cm. Quando il burro incomincia a sfrigolare, versate l’uovo sbattuto, delicatamente, e subito dopo unite una cucchiaiata di «confettura». Mescolate con un cucchiaino fino a che il composto si rapprende appena, raggiungendo la consistenza di una crema. Togliete dal fuoco e fermatene la cottura unendo, senza smettere di mescolare, qualche fiocchetto di burro freddo. Certo, poi dipende dal pranzo. Ma in linea di massima brodo nero + yogurt + 1 fetta di pane + 1 uovo strapazzato restano il mio standard.

Marka

Gastronomia Il menu più semplice e anche più importante per iniziare piacevolmente la giornata

CSF (come si fa)

Le tortillas sono focaccine piatte non lievitate, tipiche della cucina messicana, nella quale rappresentano un elemento immancabile in ogni pasto. Sono sfoglie di farina di mais o grano tenero e acqua, ottenute pressando una piccola parte dell’impasto con un particolare utensile, chiamato tortilladora. Di forma circolare, spesse pochi millimetri, sono cotte su una piastra

arroventata. Erano diffuse in America già prima dell’arrivo degli europei e furono chiamate così dagli spagnoli per la somiglianza con la loro omonima frittata a base di patate e cipolle: uno dei caposaldi della cucina popolare spagnola. Sono usate, in sostituzione del pane, per accompagnare il cibo, oppure tagliate a pezzi e fritte, nachos, o ancora ripiene: in quest’ultimo caso, prendono nomi diversi a seconda degli ingredienti che contengono. I burritos sono tortillas arrotolate, ripiene di un composto di carne di manzo, cotta in un soffritto di cipolla con spezie, odori, e salsa di pomodoro, eventualmente servite anche con riso e fagioli; i tacos contengono un ripieno simile ai burritos, ma sono tortillas ripiegate semplicemente in due; le quesadillas contengono un ripieno di formaggio,

le enchiladas (il cui nome deriva dalla parola spagnola enchilar, che significa «aggiungere chili», cioè peperoncino) hanno un ripieno a base di peperoni e pollo. Vediamo come si fanno le tortillas messicane. Per 4 persone. In una ciotola mescolate 250 g di farina di mais a grana grossa con 250 g di farina di mais a grana fine, acqua quanto basta, pochissimo sale e 1 cucchiaio di olio, fino a ottenere una pastella piuttosto densa. Lasciatela riposare per 1 ora, quindi scaldate 1 cucchiaio di strutto (meglio, altrimenti burro o olio di semi o di oliva non extravergine) in una padella antiaderente e cuocetevi l’impasto versandolo a grosse cucchiaiate per volta, livellandolo con una spatola e girandolo, come fosse una frittata.

Ballando coi gusti Come due settimane fa, piatti di pesce. Più semplici da preparare di così proprio non si può.

Rossetti al limone

Branzino al finocchietto

· sale e pepe.

Ingredienti per 4 persone: rossetti g 600 · 1 piccolo cipollotto · limone · olio di oliva

Ingredienti per 4 persone: 4 filetti di branzino da 200 g l’uno con la pelle · finocchietto · aglio · vino bianco secco · olio di oliva · sale e pepe.

Nota bene: i rossetti non sono i bianchetti, cioè i pesci giovanissimi, la cui pesca è vietata o molto contingentata; ma un tipo di pesce, aphia minuta, che non cresce oltre i 4 cm di lunghezza, non a rischio di estinzione, di cui si mangia tutto. Tritate finemente il cipollotto, solo la parte bianca. Sciacquate delicatamente i rossetti e asciugateli tamponandoli con un canovaccio pulito. Metteteli in una ciotola, conditeli con il cipollotto, succo del limone, olio, sale e pepe e suddivideteli in 4 porzioni. Chiudete ogni porzione in un foglio di alluminio per alimenti e cuoceteli per 5 minuti in forno a 180°. Sfornate, aprite i cartocci e servite.

Spinate i filetti di branzino e cospargeteli con poco sale e con finocchietto tritato. Trasferiteli in un contenitore, irrorateli con dell’olio e lasciateli marinare in frigorifero per circa 30 minuti. Poi scolateli dalla marinata e tamponateli con carta da cucina. In una padella rosolate uno spicchio di aglio con un giro di olio, adagiate i filetti dalla parte della pelle, rosolateli a fiamma vivace per un minuto, girateli, rosolateli dall’altro lato per un minuto. Sfumate con un bicchiere di vino e cuocete per due minuti. Unite finocchietto a piacere e cuocete ancora per un minuto. Regolate di sale e di pepe. Serviteli nappando col fondo di cottura.


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Idee e acquisti per la settimana

Da dove arriva olio d’argan

L’albero di argan cresce solo in Marocco. Essendo sia la raccolta che la produzione dell’olio particolarmente elaborata, esso risulta molto caro. L’olio viene anche chiamato l’oro del Marocco. Grazie a una lavorazione delicata e a una spremitura a freddo le preziose sostanze vengono preservate.

Cosa nasconde

Siccome al suo interno si nasconde della vitamina E e molte altre pregiate sostanze, l’olio di argan è un vero toccasana per i capelli.

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Ma dove finirà Leo Messi?

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16 17 18 Cruciverba A causa della pesante armatura Federico 19 20 Barbarossa, scampato a mille pericoli… trova il21resto della frase leggendo, a soluzione ultimata, 22 le lettere nelle caselle evidenziate. (Frase: 6, 2, 2, 7, 5) 23 24

(N. 35 - ... annegò in un piccolo ume) 1

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di, ad offrire un gioco al tempo stesso divertente e redditizio. Unica eccezione: Cristiano Ronaldo. Lui, la Star, il più coccolato, il più pagato, ha lottato con intelligenza e disperazione per evitare il naufragio. CR7 non si discute. Anzi lo si asseconda. Vuole una prima punta formato-ariete? Uno che oltre a segnare,

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1 2 3 7 8 5 4 A N I C E N E R V I 7 6 1 3 9 4 2 4 4 3 2 6 5 8 7 G E L O’ C A R I N A VERTICALI 8 85 9 2 1 7 6 1. Lo è l’atleta 3 9 8 4 2 1 5 I P è laO U N T O R 2. Katmandu sua capitale P 2 1 6 5 7 9 8 3. Infossatura del polmone 4 2 5 per: 7 INTAGLIARE 4 8 6 3 9 chiama: 4. Due di cuori LI sonni Adei più- piccoli P il legno) I O MA NCOS’É? E– L’attrezzo9 siC DSGORBIA. Serve IL LEGNO. (N.5.34 - Sgorbia Intagliare N.31 6. Ripide, scoscese 7.E Un Bravo 9 2 8 7 4 5 1 5 S 1 E I R BA I A Lmessicano... U D E R 9S EU G O C 8. Due lettere in vena 5 3 1 9 6 8 4 6T A L 7E 2A I N O G 9. Misura lineare inglese 8 6 4 7 3 1 2 8 T E O L A E O S A L M I R A 11. Si stringe per la commozione 4B 1 A 3 S 9 S I 8 7 4 1 3 9 6 13. Benevolo, caritatevole R C A T 15. Le iniziali dell’indimenticabile O 3O FM E 2IR T A LE LU I A 3 5 6 2 7 4 9 cantante Daniele 7L 1 9 2 8 5 6 7 A 2L T O 16. Biscotti da gelato S I S E D I 9 4 2 5 7 1 9 4 2 3 5 Z E C I A O 18. Simbolo chimico del cloro 20. Dipartimento e fiume francese 4I 3 R 5 8G I N 4 6 3 5 8 1 2 23. Unione Italiana del Lavoro O R M E E L 1 2 8 5 6 9 7 3 O P E R A7I A 25. Le iniziali dell’attrice Rossellini

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C O N D O R A L E 5A 2A 9 2 I6 M O T R 1 G U 5A N O 1 3 4 V I T T9 O 2 L A T 3 I R I6 S 8 D E S T R L5 A C P7 E S C O 9 3 T T8 P2 R A T O N 6 9 8 4 A I Udella T settimana A R E precedente M I Soluzione

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Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch

N. 32 35 - ... annegò inonline: un piccolo ume) I premi, cinque carte regalo Migros (N.Partecipazione inserire la luzione, corredata da nome, cogno- concorsi. Le vie legali sono escluse. 1 7 un 6 pagamento 3 8 9 in2con5 2 3 4del cruciverba 5 6o del 7 sudoku 8 9 9 partecipan- Non è4possibile del valore di 50 franchi, saranno sor- 1 soluzione me, indirizzo,3email del A N I C E N E R V I teggiati tra i partecipanti che avranno 10 nell’apposito formulario pubblicato te deve essere spedita a «Redazione tanti dei premi. I vincitori saranno 6 9 8 5 2 4 1 3 7 11 8 5 ’2 7 G E LConcorsi, O C R I6901 N Aavvertiti per iscritto. Partecipazione fatto pervenire la soluzione corretta sulla pagina’ del sito. Azione, C.P.A 6315, 2 5 3 1 7 9 8 6 4 13 5 entro il venerdì seguente la pubblica- 12 Partecipazione postale: la lettera o Lugano». I P O P U N T O Rriservata esclusivamente a lettori che 6 zione del gioco. 7 8 9 14 la10 15 postale che riporti la 16 so9 7in Svizzera. 4 3 6 5 2 1 8 cartolina intratterrà corrispondenza 9Non 7 si 4 8 sui risiedono

(N. 36 - “Cara è uscito sei, che faccio?”) 1

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crei degli spazi? Che offra maggiori ga4 ranzie rispetto a Higuain? Bene! Foglio di via al Pipita, mentre Nedved e Paratici si sguinzagliano alla 3 ricerca dell’oggetto del desiderio. Edin Dzeko? Perché no?! Il bomber romanista potrebbe ap2 prodare a Torino, se Milik lasciasse il Napoli per raggiungere la capitale.

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Ma lo stesso attaccante partenopeo potrebbe l’ipotenusa, e6passa8 prendere 5 1 re direttamente in bianconero. Nel momento in cui scrivo, i giochi sembrerebbero fatti: il bosniaco a Torino, il polacco a Roma. Attenzione tuttavia agli uruguaiani. Cavani 9 2 scalpita. A Parigi,5Thomas Tuchel lo confina spesso in panchina o in tribuna. La Juventus sarebbe 6 una ghiotta opportunità per tornare nel campionato che lo aveva lanciato su scala intenzionale. Dal4canto suo Suarez sembra smanioso di ritrovare la carne 2 ad ottobre inoltenera 9 di Chiellini. Solo trato sapremo come sarà il nuovo assetto 6dei grandi club. 8 In trepidante attesa ci sono i mega tifosi, così come i giocatori di Fantacalcio, 7ansiosi di spendere i loro Fanta milioni per acquistare il bomber che si suppone più prolifico, il centro2 campista-rigorista, il difensore offensivo più redditizio, o il portiere protetto 9granitica. 8 4 dalla difesa più Nell’attesa godiamoci gli ultimi 9 scampoli di calciomercato, con2le sue ipotesi, le dichiarazioni, le smentite, le interviste di rito, il più delle volte prevedibili e stucchevoli: «Sono approdato in una società storica. Il Mister è un mito. Il 5 gruppo 1 è straordinario. Sono qui per vincere». Immaginiamolo come6uno sceneggiato televisivo, 7 2 in cui i cambi di scena si accavallano con ritmo e rapidità impressionanti. Poi, a 8 ad ammirare bocce ferme, torneremo il calcio giocato. Chissà se senza o con 1 pubblico, 3 9sarà tanto emozionante poco quanto il frenetico valzer estivo di partenze 2 e arrivi? Pardon, dimenticavo: Slatan Ibrahimovic, 38 anni, è riuscito a rinegoziare al rialzo 7 il suo contratto col Milan. Forza giovani virgulti, c’è ancora speranza!

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19. Pronome personale 1 2 3 4 20. Chi lo sente si volta 6 21. Le iniziali dell’attore Insinna 10 22. Si ripete in9un nome di donna 24. Operetta di11Mascagni 12 26. Luoghi di residenza 13 16 17 27.14Le 15tracce del passato 18 28. Articolo spagnolo 19

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S U G O S E R B I A 5 I N O T A L E A G 9 4 2 5 il 8cruciverba Vinci una delle 3 carte regalo da 50 4franchi3con E O S A L M I R A e una delle 2 carte regalo da 50 franchi con il sudoku7 1 R B A S S I C A T SUDOKU PER AZIONE - AGOSTO 2020 N. 29 N. 32 ORIZZONTALI E R T A Sudoku E 5 L4 9 I A 1.O PiantaM aromatica 2 1 6 8 5 4 9 3 7 2 5. Possono saltare o essere saldi Soluzione: 43 3 9 2 9 6 7 5 8 1 4 9 2 6 8 1 10. Risultato di un… rigore Scoprire i3 A L T O L 11. Gradevole, graziosa numeri 7 5 8 1 3 9 6 4 2 5 8corretti3 12. Prefisso che vuol dire al di sotto da inserire nelle9 3 8 5 52 7 2 6 9 3 8 1 7 4 CSegnoIgeometrico A fondamentale O Z caselle E colorate. 13. 8 9 3 4 2 1 7 6 5 8 9 3 1 14. Le iniziali dell’Ariosto 5 1 6 4 5 7 8 2 9 3 5 2 9 15.IIn fisica nucleare R tipo di mesone G I 1 N Giochi per “Azione” - Settembre 2020 16. Si introduce nel computer 9 2 5 3 1 6 4 7 8 9 5 1Stefania Sargentini 7 8 9 7 4 8 17. Sfuggire, sottrarsi 6 8 1 7 4 2 3 5 9 6A 3 9 O P E R A I (N.18. 33Noto - ... con la lingua viola Cina) servizio segreto

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C O N D O R A L E A A L I M O T R5 A N O G U 3 A I8 6 V I T T O L A T C 4 I R I S D E S T R I N.31 L A C P E S C O S 9 T T P R A T O N M Adi corridoio I parlano U diTun trasferimento A Ral Manchester: E M (Keystone) I O Voci chissà...

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Sport Riflessioni semiserie sul calciomercato. Dedicate agli ipergolosi di pallone

Nella scintillante Parigi dove lo attenderebbe una problematica conMi sento un po’ frustrato. In redazione vivenza con Neymar? Oppure nella mi avevano insegnato che una notizia, industriosa Manchester, sponda City, prima di essere pubblicata, va verifica- dove l’asso argentino potrebbe ritrota. E se possibile riverificata, cercan- vare il catalano Pep Guardiola, che lo do altre fonti. Alfine di evitare errori, aveva già guidato alla conquista di due scivoloni, storture, e per non suscitare edizioni della Champions League? malumori, querele o «querelles». Quin- Comunque, a Milano, non disperano. di, perché frustrato? Qual è il cruccio? Zhang Kangyang sarebbe disposto L’aver sprecato l’occasione per fare del a sacrificare Lautaro Martinez, altri giornalismo «d’assalto». Basato denaro pur 1 sulle2 uomini 3 e molto 4 5 di avere la ipotesi, sui se, sui ma, e sui forse. Capi- Pulce in neroazzurro! Soprattutto ora tava sovente che qualcuno, in redazio- che Antonio Conte ha sciolto le riser6 7 8 sua ne, riuscisse a sapere, per vie traverse, ve ed ha accettato di proseguire la che Mattia Bottani sarebbe stato ceduto avventura con il Biscione. C’è tuttavia al Wil. Oppure che Gregory Hoffmann una variabile impazzita. E se Leo re9 10 avrebbe lasciato l’Hockey Club Lugano stasse all’ombra della Sagrada Familia? per trasferirsi a Zugo. Non vi stupite che da questo volteggia11 l’ufTuttavia si doveva attendere re, degno di12 un danzatore derviscio, sia ficializzazione da parte delle società esclusa la Vecchia Signora? Non preocinteressate, prima di cominciare a ri- cupatevi, la Juve c’è. 13 14 15 16 17 camare. Che peccato, che tristezza! La conquista del nono scudetto Immaginate come sarebbe stata più consecutivo non è bastato per salvare vivace 18 e movimentata la vostra estate,19 la testa di Maurizio Sarri. La Fidanzata al Lido, su una spiaggia, o spaparanzati d’Italia ha fallito, per l’ennesima volta, su un alpeggio, se anche i nostri media l’assalto al traguardo più importante: la 20 21 tradizionali si fossero abbandonati a coppa dalle grandi orecchie. Nel recenquesto vorticoso ed entusiasmante val- te passato, sotto la guida di Massimilazer un breve no Allegri, la Juventus aveva 22dei trasferimenti. Durante 23 24 in più ocsoggiorno al mare me lo sono goduto. casioni flirtato con la Champions: due Ma ad offrirmelo sono state le testate sconfitte in finale, ed una eliminazione 25 26 del Real Madrid, sportive italiane. Oltre al calcio giocato in semifinale da parte – la finale di Europa League, vinta dal dopo aver raggelato il Santiago BernaSiviglia, e quella di Champions League, beu con una prestazione, per definire andata al Bayern Monaco – a tenere la quale si stanno ancora cercando gli banco erano due thriller: Antonio Con- adeguati neologismi. te smetterà di fare i capricci e riuscirà a Quest’anno, i bianconeri hanno trovare un’intesa con la dirigenza cine- mestamente lasciato il palcoscenico euse dell’Inter? E Leo Messi lascerà vera- ropeo, sconfitti dal Lione, già agli otta1 3 dopo un ventenna4 5 finale. 6 E soprattutto, 7 mente il 2 Barcellona, vi di quasi 8mai in le soggiorno in Catalogna? E nel caso, stagione hanno dato l’impressione di dove poter crescere, di riuscire, presto o tar9 approderà? 10

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Politica e Economia Riscoprire l’Africa Il recente studio di FrançoisXavier Fauvelle offre una nuova prospettiva per conoscerla

L’America e il razzismo Una componente della società americana che l’ha marcata sin dalle sue origini e che non è abbastanza tenuta in considerazione pagina 31

In Ticino salari più bassi? Rispetto ad Oltralpe, il divario è del 18%, ma in realtà sono i frontalieri e gli stranieri residenti a guadagnare di meno, non gli svizzeri

Finanza sostenibile Investire in aziende e prodotti sostenibili è possibile e sempre più in voga. Intervista a un esperto della Banca Migros

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Geopolitica sottomarina

Nord Stream 2 Il caso Navalny potrebbe avere ripercussioni sulla costruzione del gasdotto che serve

a trasportare gas russo in Europa e soprattutto in Germania Lucio Caracciolo La temperatura dei rapporti fra Germania e Russia, e più in generale fra Russia e Occidente, si prende oggi nei fondali del Mar Baltico, presso la costa tedesca, nel Land del MeclemburgoPomerania Anteriore. Qui si stanno posando gli ultimi chilometri di tubo di un gasdotto sottomarino deputato a trasportare direttamente dal produttore russo al consumatore tedesco – e poi di altri paesi europei – enormi quantitativi di gas siberiano. Il tubo è denominato Nord Stream 2, a significare che si tratta del raddoppio in parallelo di una conduttura già funzionante, che parte dall’area di San Pietroburgo e sbuca a Greifswald, dopo aver percorso sott’acqua 1.230 chilometri. Contro il primo Nord Stream, senza successo, e contro il suo attuale raddoppio, forse con esito migliore, si battono americani e loro alleati baltici, in specie polacchi.

A questi ultimi si deve il battesimo polemico del progetto Nord Stream quale «gasdotto MolotovRibbentrop». Visto da Varsavia, è la riedizione energetica dell’intesa antipolacca fra Germania e Unione Sovietica, che nel 1939 fu premessa dell’aggressione di Hitler, poi seguito da Stalin, alla Polonia. Enfasi volutamente eccessiva, a significare il grado di opposizione del maggiore fra i paesi baltici intermedi a una iniziativa considerata assai poco motivata sotto il profilo energetico e invece carica di dinamite geopolitica: nientemeno che infilare un cuneo lungo l’Oder-Neisse fra mercato comunitario del gas e mercato dell’Est, condizionato dai russi. Di più, fra Occidente e Russia imperialista. Su questa linea è da tempo schierata l’America, anche se Trump in una prima fase aveva evitato di insistere nella critica al gasdotto. In gioco, dal

punto di vista americano, oltre alle considerazioni di carattere strategicogeopolitico, la commercializzazione del gas naturale liquido (gnl) prodotto da aziende di casa, in competizione con il gas russo trasportato via tubo. Quando russi e americani si scontrano sul fronte energetico, in ballo c’è molto di più. Finora la Germania ha sostenuto il progetto, affermando che si tratta di un gasdotto fondamentale per il suo approvvigionamento. Ad Angela Merkel è anche scappato, un paio d’anni fa, che Nordstream 2 ha un segno «politico» – si legga: «geopolitico», termine ancora non del tutto sdoganato nel mainstream comunicativo tedesco. Oggi quello che sembrava un dato sta virando in oggetto di scontro (geo)politico. Anche interno alla Bundesrepublik, dove i partiti si dividono e sono divisi in casa propria sulla opportunità o meno di completare

l’opera. Chi propone di bloccarla, chi sostiene sia meglio finirla, chi suggerisce una moratoria di due anni. Merkel si è riservata una pausa di riflessione, dopo aver difeso ripetutamente il nuovo tubo, che dovrebbe raddoppiare la capacità massima di Nordstream, portandola da 55 a 110 miliardi di metri cubi annui. La crisi bielorussa e l’avvelenamento di Alexej Navalny hanno gettato benzina sul fuoco della disputa su Nordstream 2, al quale lavorano insieme a Gazprom colossi energetici tedeschi, francesi e olandesi. Il fuoco di sbarramento degli europei centro-orientali sta trascinando il resto dell’Ue su posizioni sempre più critiche rispetto al gasdotto. L’idea è che non si possa lasciare impunito il tentato omicidio di Navalny – attribuito sottovoce a Putin, anche in assenza di prove – e si debba lanciare un avvertimento a Mosca: non osi invadere la

Bielorussia per sedare la rivolta. Gli Stati Uniti stanno cercando di compattare il fronte Nato su questa linea. Non sarà facile bloccare del tutto Nordstream 2. Anche perché la Germania ne ha davvero bisogno. Sanzionare la Russia in questo caso equivale a sanzionare la Germania. Come già accaduto nel caso ucraino, gli Stati Uniti, che non hanno vincoli energetici e commerciali con la Russia, colpendo Mosca intendono punire anche la Germania e altri europei, di cui non si fidano affatto. Dall’esito di questa partita, apparentemente energetica di fatto geopolitica, dipenderà molto del futuro non solo delle relazioni intercorrenti fra Germania, Russia e Stati Uniti, ma degli assetti geopolitici continentali. Il richiamo di Washington è chiaro: tutti siamo invitati a stare da una parte (America) o dall’altra (Russia e naturalmente anche Cina).


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Politica e Economia

Riscopriamo l’Africa autentica Approfondimenti I l libro di François-Xavier Fauvelle, fondamentale e innovatore, smonta molti luoghi comuni

sul Continente attraverso una serie di contributi di autori vari Pietro Veronese Chi si occupa di Africa, qualunque ne sia il motivo, non perde occasione per ricordare che l’Africa, una Africa, non esiste, se non come entità geografica. È una pretesa assurda ridurre ad unità un simile «festival della diversità», per usare l’espressione che figura nella prima pagina del libro di cui stiamo per parlare. Un insieme così variegato, abitato oggi da oltre un miliardo e 200 milioni di persone, diverso per lingua, clima, fede, cultura, sviluppo economico e, come vedremo, anche per storia.

In quest’opera si sgretolano una montagna di pregiudizi nei confronti dell’Africa, più o meno consapevoli, argomentati e diffusi, che noi europei ci portiamo dentro Possiamo tuttavia trovare un aspetto capace di accomunare, di unificare questa realtà tanto difforme: è la forza del pregiudizio con cui l’Europa ha guardato ad essa. Questo pregiudizio ha anch’esso una storia, non affonda nella notte dei tempi. Prende probabilmente forma a cavallo tra Sette e Ottocento, quando l’ideologia europea acquisisce la definitiva convinzione del proprio primato; in qualche misura dura ancor oggi, con i lenti, deteriori strascichi di questo complesso di superiorità, ravvivati dall’imponenza del fenomeno migratorio. È in quell’epoca – in cui la tratta degli schiavi è ancora all’opera e i principi rivoluzionari che soffiano attraverso l’Europa escludono senza esitazione chi ha la pelle di colore diverso – che gli africani, fino ad allora guardati tutto sommato con curiosità, cominciano ad esserlo soltanto con disprezzo. Questo punto di vista trovò la sua formulazione somma e catastrofica nei celebri passi delle Lezioni di filosofia della storia di Hegel, pubblicate nel 1837 ma scritte nel decennio precedente. Parole tristemente famose, che condannano gli africani in quanto esseri nel cui carattere «non si può trovare nulla che abbia il tono dell’umano», e definiscono l’Africa «un continente senza storia». Lo spirito del mondo, il Weltgeist – il grande filosofo ne era convinto – non soffiava a sud del Mediterraneo. Noi, che siamo figli del Novecento, non abbiamo pazienza per un’affermazione così palesemente falsa. Figuriamoci uno come me, che nella sua vita di giornalista ha visto con i suoi occhi Nelson Mandela uscire di prigione domenica 11 febbraio 1990, gli eritrei conquistare armi in pugno la propria indipendenza e i ruandesi rialzarsi da uno dei più feroci genocidi del seco-

Il re del Dahomey Agoliagbo, poi esiliato in Martinica nel 1894. (AFP)

lo. L’Africa delle indipendenze, delle guerre e delle grandi carestie si fa beffe di Hegel. Ma il discorso diventa più scivoloso se proviamo ad andare indietro nel tempo, alla vita di quel continente prima che l’uomo bianco vi posasse il suo sguardo e si mettesse a raccontarlo. Prima che i navigatori lo scoprissero, i missionari lo convertissero, gli schiavisti lo saccheggiassero e gli imperialisti lo conquistassero. Cosa sappiamo dell’Africa quando era l’Africa e se ne stava per suo conto, indisturbata dalle influenze esterne: quali erano le dinamiche, le gerarchie sociali, le pulsioni artistiche, le forme di organizzazione statale? Bruscamente scopriamo di saperne così poco, da immaginare che Hegel possa perfino aver avuto ragione. Non è forse l’Africa il continente della tra-

dizione orale, che ha ignorato la scrittura e per secoli ha perduto la propria memoria, il proprio passato, la propria storia, se mai ne ha avuta una? No, non lo è. Da molto tempo la storiografia sull’Africa si è avventurata nel lontano passato e ci è andata narrando di antichi imperi, conflitti feroci, raffinate civiltà artistiche che hanno lasciato testimonianze di bellezza assoluta. Adesso un libro memorabile aggiorna e tira le somme di queste conoscenze, tanto nel contenuto quanto nel metodo. Uscito in Francia nel 2019, è stato tradotto di recente in italiano da Einaudi con il titolo L’Africa antica (624 pagine, 85 euro). Sulla sovraccoperta figura un solo nome, quello del curatore François-Xavier Fauvelle. In realtà gli autori sono 25: si tratta di una vasta opera collettiva che attinge a una

eccezionale ricchezza disciplinare – dall’archeologia alla storia dell’arte, alla linguistica, alla botanica, alla genetica – e in qualche modo sancisce il primato dell’odierna scuola francese in questo ambito di ricerca. Quanto a Fauvelle, professore al Collège de France, è da considerarsi un’autorità mondiale in materia. L’effetto generale di quest’opera, molteplice come gli argomenti che tratta, è lo sgretolamento di una montagna di pregiudizi nei confronti dell’Africa, più o meno consapevoli, argomentati e diffusi, che noi europei ci portiamo dentro. È rimasta celebre la battaglia condotta dallo studioso senegalese Cheikh Anta Diop a partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso, per affermare l’africanità degli antichi Egizi (si veda a questo proposito il primo capito-

lo del libro, di Damien Agut). All’epoca, gli storiografi europei consideravano quella civiltà troppo straordinaria per essere davvero africana; Diop ricorse a ogni metodo scientifico disponibile a quel tempo per dimostrare che gli egizi avevano avuto la pelle nera. Oggi, qualunque fosse la pigmentazione della loro cute, nessuno dubita più che i faraoni fossero africani. Ecco: le ricerche coordinate da Fauvelle, in un progetto durato tre anni, si spera abbiano l’analogo effetto di restituire l’antichità dell’intera Africa alla storia umana, riconoscendone una volta per tutte l’originalità, la diversità, la specificità ma anche l’appartenenza alla vicende universali della nostra specie. Teatro non solo di storia ricchissima, ma di civiltà molteplici, variate nel tempo, nello spazio, nei modi, in relazione ed eventualmente in conflitto tra di loro. Seppellendo infine le ultime scorie della visione del mondo ereditata dall’idealismo ottocentesco. Prendiamo ad esempio la questione della scrittura, alla quale è dedicata un capitolo specifico, firmato da Bertrand Hirsch. Fin dalle prime pagine, Fauvelle cancella l’immagine residua dell’Africa come il continente dell’oralità. «Scopriamo», scrive, «che ci sono numerosi antichi sistemi di scrittura in Africa. E possiamo persino rimanere colpiti dalla loro varietà e dalla loro diffusione geografica». Certo, della parola scritta gli africani hanno fatto nei secoli un uso diverso rispetto agli europei: riservato a pochi, episodico e non sistematico, consegnato a oggetti protettori o divinatori anziché agli archivi. «Troppo consapevoli, forse, del suo potere, non hanno concesso agli storici di avere accesso alla loro storia, attraverso di lei». Ma forse il pregiudizio più subdolo è quello che Fauvelle chiama «l’orpello delle origini». Oggi tutti accettiamo volentieri, anzi diamo ampiamente per scontato che l’umanità abbia avuto inizio nelle savane a sud-est del Sahara. Lungi dall’accusare gli africani di non avere «nulla dell’umano», come affermava Hegel, riconosciamo loro il ruolo di progenitori. Ma l’insistenza su questo antecedente fondamentale, ci avverte Fauvelle, è «una fede falsamente benigna». Distorce la nostra visuale, inducendoci a pensare che solo una volta lasciato il continente africano, e compiuta la millenaria prima migrazione verso l’Europa, il destino dell’Homo sapiens si sia veramente realizzato. Questo punto di vista è subdolo perché apparentemente rinnega Hegel e afferma il ruolo storico dell’Africa, ma in realtà lo circoscrive agli inizi; quanto alla pienezza dei tempi, essa apparterrebbe solo a noi. Per questo Fauvelle ci incita a «rinunciare all’orpello delle origini». Ecco dunque un libro che ha l’intento di farci cambiare idea, e ci prova con uno scintillio di informazioni, narrazioni, evidenze, documentazioni grafiche (bellissime le oltre 30 cartine) e iconografiche. Un libro fondamentale. Annuncio pubblicitario

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Politica e Economia

Via con il vento (del razzismo) Storie di rinascita – 2. parte L’America della ricostruzione dopo le ferite della guerra civile

Un murale dedicato a George Floyd a Houston, Texas. (AFP)

Federico Rampini L’America riuscirà mai a curare le ferite della guerra civile? La questione razziale – di nuovo in primo piano nello scontro fra Donald Trump e Joe Biden – impone di studiare eventi accaduti un secolo e mezzo fa. Di tutti i conflitti che ha combattuto, quello che ha fatto più morti oppose gli americani ad altri americani. È una storia di cui non esiste una narrazione unica. Nella versione dei «vincitori», quella guerra ebbe al centro lo schiavismo. Nella versione sudista fu una colonizzazione da parte del capitalismo di New York e Chicago. Lo schiavismo aggiunge una dimensione unica alla vicenda americana.

Non basta definire lo schiavismo come il peccato originale degli Stati Uniti, ma andrebbe considerato come l’origine stessa della nazione La città di Asheville in North Carolina è la prima in America a varare reparations (risarcimenti) ai discendenti degli schiavi. Il consiglio comunale ha votato una risoluzione in cui «chiede scusa per la sua partecipazione allo schiavismo e approva risarcimenti per i residenti afroamericani» (12% della popolazione locale). Dalla California a Rhode Island, iniziative simili sono in cantiere altrove. Il tema dei risarcimenti è tornato in primo piano dopo le manifestazioni di protesta per l’uccisione di George Floyd. La sinistra del partito democratico ne fa un obiettivo della campagna contro il razzismo. Nelle sue forme più radicali un piano nazionale di risarcimenti è stato stimato a 13’000 miliardi di dollari. Barack Obama si dichiarò contrario, anche per il timore che questo ecciti l’invidia dei bianchi poveri e altre minoranze sfavorite, spingendole a destra. Uno dei best-seller di questa estate è Caste di Isabel Wilkerson: la saggista

afro-americana, vincitrice del Premio Pulitzer, traccia un parallelo fra l’antichissimo sistema della caste in India e la stratificazione razziale della società americana. Coincidenza: questo libro è uscito proprio quando il partito democratico ha scelto come candidata vicepresidente Kamala Harris, che unisce nel suo Dna le due storie: sua madre è indiana, suo padre un nero giamaicano, come tale discendente da schiavi. Il «New York Times» ha lanciato il «1619 Project», una lunga serie di reportage che vogliono «mettere lo schiavismo al centro della nostra storia». Il 1619 è l’anno in cui tutto ebbe inizio, con l’arrivo al porto di Point Comfort in Virginia (allora colonia britannica) della prima nave con un carico di venti o trenta schiavi trasportati dalle coste dell’Africa. Raccontando quel sistema durato 250 anni, il «New York Times» proclama che non basta definirlo «il peccato originale» degli Stati Uniti: lo schiavismo andrebbe considerato come «l’origine stessa della nazione». Anche il dibattito sui risarcimenti ha una storia antica: nel 1865, subito dopo la prima proclamazione della fine dello schiavismo, i vincitori della guerra civile promisero ad ogni schiavo liberato «16 ettari di terra da coltivare e un mulo». Le ragioni per cui quella promessa non venne mai realmente mantenuta, sono una vicenda-chiave per capire la storia degli Stati Uniti, e la rilevanza della questione razziale oggi. È una storia di grandi ideali e speranze, ma anche di soprusi e risentimenti, non tutti e non solo a danno degli afroamericani. Il «rancore sudista», motore di un consenso a favore della destra di cui Trump è solo l’ultimo beneficiario, è una storia poco raccontata fuori dagli Stati Uniti. Nel 1860 gli Stati del Sud erano abitati da 8,1 milioni di bianchi e 4,2 milioni di neri. Tra i bianchi solo 385’000 possedevano schiavi. Di questi solo 46’000 ne possedevano più di venti ed erano chiamati planters, cioè latifondisti proprietari di piantagioni. Le classi agiate nelle economie affacciate sull’Atlantico durante l’Ottocento si mantenevano sfruttando tutte

le altre. Per i latifondisti-schiavisti la vita era bella, ma non per la stragrande maggioranza degli altri bianchi del Sud. Moralmente erano dalla parte del torto: avevano partecipato alla cacciata degli indiani, ed erano indifferenti alle sofferenze dei neri. Ma erano danneggiati dallo schiavismo. I profitti di quel sistema economico erano così alti che i proprietari di schiavi potevano sempre comprare le terre migliori, togliendole ai piccoli agricoltori bianchi. Uno dei più autorevoli testi di storia degli Stati Uniti, la Penguin History di Hugh Brogan sottolinea che nell’abolizionismo, emerso come movimento nel 1831, era evidente l’ispirazione religiosa: si trattava di purificare l’anima americana, di espiare un peccato collettivo. L’idea di una missione divina era fortissima in Abraham Lincoln. L’altra componente essenziale erano le donne, fondamentali dai due lati della contesa. Non è un caso se i due romanzi più celebri sullo schiavismo sono di due scrittrici (bianche). La capanna dello zio Tom di Harriet Beecher Stowe fu poi oggetto di un revisionismo feroce, accusato di una visione paternalista dei neri, ma quando Lincoln ricevette alla Casa Bianca l’autrice, la definì «la piccola donna che ha scatenato questa grande guerra». In quanto a Via col Vento, scritto da Margaret Mitchell nel 1936 cioè nel mezzo della Grande Depressione, oggi è censurato perché accusato di razzismo. Rimane uno squarcio aperto sulla visione sudista, in particolare quella delle donne. Tra le sudiste alcune odiavano lo schiavismo ma anche l’anti-schiavismo del Nord. Il diario di Mary Chestnut (1823-86) della North Carolina descrive l’impegno caritatevole di sua madre e sua nonna, che dedicarono la vita a prendersi cura dei neri in mezzo ai quali vivevano, «come delle missionarie in Africa», per migliorarne la condizione, mentre le donne del New England come Harriet Beecher Stowe (autrice della Capanna dello zio Tom), «vivono in belle case, pulite e profumate, passano le giornate nelle loro biblioteche, a scrivere libri pieni di acidità contro di noi, incitano gli afroamericani a tagliarci la gola nel nome di Cristo;

chissà come reagirebbero se un intero villaggio di neri si accampasse attorno alle loro case». (In realtà nella Capanna dello Zio Tom non c’è un’incitazione alla violenza). Era privilegiata ma non idilliaca la condizione della donna bianca nel mondo delle piantagioni. L’eroina di Via col vento, Scarlett O’Hara, è in rivolta contro le norme di comportamento imposte a una «signora» dell’Old South. Le donne non avevano diritti politici né istruzione. Gli abolizionisti del Nord erano accusati, fra le altre cose, di ipocrisia: a metà dell’Ottocento la condizione della classe operaia nelle fabbriche di New York, Chicago, Philadelphia e Pittsburgh, non era molto migliore di quella degli schiavi. La guerra civile fu il primo conflitto su scala industriale. Era diventato tecnicamente possibile armare, rifornire e rafforzare di continuo enormi eserciti, e spostarli con velocità verso i teatri di battaglia. L’esistenza di 22’000 miglia di ferrovie nel Nord significava che i soldati e i loro rifornimenti potevano essere spostati facilmente da un capo all’altro della nazione. Il Sud era sottosviluppato rispetto al Nord, ma ambedue le parti operavano su una scala mai vista prima di allora. L’esercito nordista di occupazione applicò una politica della terra bruciata, nelle zone conquistate operò distruzioni sistematiche: per esempio nel dicembre 1864 il generale Sherman seminò devastazione in Georgia bruciando case e raccolti, distruggendo le ferrovie, sequestrando le scorte alimentari, riducendo in miseria la popolazione civile. Alla fine della guerra erano morti 359’000 soldati dell’Unione e 258’000 Confederati. Fu la più sanguinosa di tutte le guerre combattute dagli americani, in percentuale sulla popolazione. Lasciò tracce indelebili sulla coscienza della nazione. Altrettanto importante è quel che accade subito dopo. Le leggi della Ricostruzione mettono al bando gran parte della classe dirigente locale. Il principio basilare della democrazia americana, quello per cui il Nord era sceso in guerra, cioè il diritto della maggioranza a governare, ora veniva negato agli

abitanti degli Stati sconfitti. Perfino un grande storico progressista come Charles Austin Beard, scrivendo un secolo fa un manuale di storia nazionale usò parole dure contro le umiliazioni inflitte dal Nord al Sud: «I poteri legislativo, esecutivo, giudiziario, passano sotto il controllo di ex-schiavi, guidati da avventurieri del Nord o da dilettanti e collaborazionisti del Sud. Il risultato è un Carnevale di sprechi, follie e corruzione. Per comprare terre da distribuire agli schiavi liberati vengono stanziati 800’000 dollari: paludi vengono rivendute allo Stato al quintuplo del loro valore. Ovunque si girassero gli uomini del Sud vedevano solo macerie. Atlanta era un cumulo di cenere, per l’incendio appiccato dal generale nordista Sherman». Il Sud bianco si compatta nel trentennio della resistenza contro gli speculatori scesi dal Nord (carpetbaggers): «Uomini che erano stati profondamente divisi si uniscono contro il malgoverno repubblicano e il dominio dei neri». L’alleanza tra ex-latifondisti e proletariato bianco è la chiave della rivincita: finita l’occupazione militare, dal 1877 in poi i sudisti ex-secessionisti tornano al potere locale e cominciano a cancellare molti diritti dei neri. Se finisse qui, sembra la storia di un fallimento. Ma il movimento abolizionista ha seminato per il futuro, e non solo sul terreno dei diritti civili. C’è un nesso diretto che porta dalle battaglie per la liberazione dei neri al Progressive Movement della fine Ottocento. Questo conquisterà l’anti-trust per contenere lo strapotere dei grandi capitalisti (banche, petrolio, ferrovie); le prime leggi a tutela della salute dei consumatori; la creazione dei parchi nazionali e l’alba dell’ambientalismo. Riforme politiche per aumentare il controllo dei cittadini sulla politica: elezione diretta dei senatori, referendum popolari, «recall», primarie. Le prime riforme locali per il voto alle donne, la giornata lavorativa di otto ore, il divieto del lavoro minorile, la difesa dei sindacati. Tutto nasce dal cantiere dell’abolizionismo: la vicenda dei progressisti americani è come un fiume carsico, che riaffiora alla superficie dove e quando meno te lo aspetti.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 settembre 2020 • N. 38

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 settembre 2020 • N. 38

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Politica e Economia

I ticinesi guadagnano di meno? Analisi Le statistiche indicano che in Ticino i salari sono in media del 18% inferiori a quelli del resto della Svizzera,

ma da un’analisi approfondita risulta che a guadagnare meno sono gli stranieri residenti in Ticino e i frontalieri; gli svizzeri residenti in Ticino invece guadagnano come nel resto della Svizzera, anche tenendo conto del minore costo della vita nel nostro cantone svizzeri, dei residenti stranieri e dei frontalieri, occorre scomporla per aver un’idea di quanto siano effettivamente svantaggiati i Ticinesi, rispettivamente i residenti svizzeri in Ticino. Considerando la seconda colonna si osserva che sono i lavoratori frontalieri nella Svizzera italiana a guadagnare il 36% in meno rispetto ai frontalieri della Svizzera tedesca – un divario enorme che rispecchia soprattutto il livello salariale diverso nei rispettivi Stati confinanti, e in misura minore, qualifiche richieste diverse. Sempre nella media, e senza distinguere per qualifiche richieste, i residenti stranieri guadagnano in Ticino il 12% in meno di quelli in Svizzera tedesca. Diventa chiaro che il grande divario tra salari in Ticino e nella Svizzera tedesca è causato in gran parte dei salari più bassi pagati agli stranieri, soprattutto quelli frontalieri. In effetti, se si guarda l’ultima colonna nel grafico 1 si nota che la differenza risulta essere del 7% per i lavoratori svizzeri, cioè i Ticinesi, un valore decisamente inferiore al di solito citato 18%. Però, prima di concludere sulla differenza effettiva, bisogna considerare la differenza strutturale nei salari così come il costo della vita in Ticino e oltralpe. Mettendo in relazione le regioni svizzere, occorre relativizzare ed evidenziare alcuni punti importanti. In effetti, nelle diverse regioni ci sono differenti condizioni strutturali che derivano ad esempio da una diversa distribuzione dei settori economici, da una diversa presenza di aziende grandi o piccole e in generale da diverse qualifiche e competenze. Per scorporare l’effetto di tali fattori si può utilizzare un’equazione che utilizzi le caratteristiche sopracitate come variabili esplicative del valore dei salari. In tal modo le stime dei salari possono essere filtrate di questi fattori di influenza e si può identificare la semplice differenza di salario dovuto a fattori geografici. Studi precedenti hanno dimostrato che il

Fig. 2a – Distribuzione salariale dei lavoratori svizzeri in Ticino tra gli anni 20082018. Fonte: RSS 2008-2018.

differenziale salariale effettivo tra il Ticino e il resto della Svizzera, cioè quello non dovuto a fattori non strutturali e identificabili, dimezza il valore di partenza, arrivando ad una differenza sotto il 4%. Inoltre, uno studio dell’IRE risalente al 2016 ha dimostrato che il potere d’acquisto per i consumatori Ticinesi è superiore rispetto alla Svizzera tedesca. Gli autori dello studio hanno calcolato un indice dei prezzi regionale basandosi sui prezzi disponibili per la metà del paniere di merci, mentre per il resto hanno dovuto ricorrere a tre scenari, variando progressivamente i prezzi proporzionalmente al costo delle categorie direttamente osservabili dei prezzi, del costo dell’elettricità, e di quello degli affitti. I risultati hanno trovato per il Ticino prezzi inferiori con una differenza rispetto alla Svizzera tedesca che va da un valore superiore al 10% fino al 5%. Risulta quindi che in termini di salario reale, gli svizzeri in Ticino non si distinguono da quelli di oltralpe, visto che la differenza del 4% del differenziale salariale viene compensato dal maggiore potere d’acquisto. Dunque, i Ticinesi guadagnavano nel 2018 in media e in termini reali lo stesso stipendio degli svizzeri tedeschi. Un altro fattore che incide positivamente sul potere d’acquisto dei residenti in Ticino è la possibilità di fare acquisti oltre confine, una spesa che secondo uno studio della Credit Suisse ammontava a 532 milioni di franchi nel 2017. Per descrivere in modo più dettagliato il divario salariale rilevato per l’anno 2018 in Ticino, occorre considerare l’evoluzione temporale delle distribuzioni salariali distintamente per le varie categorie di permessi di soggiorno. In effetti, le distribuzioni salariali si sviluppano in maniera diversa per gli svizzeri (figura 2a), gli stranieri residenti (figura 2b) e i frontalieri (figura 2c). I lavoratori ticinesi, che nel 2018 erano 118’600, si sono visti aumentare il loro salario mensile nel lungo periodo. I più avvantaggiati erano i lavoratori indigeni con i salari maggiori, infatti i loro stipendi sono cresciuti del 12-15%, da confrontare con l’aumento dell’810% per gli svizzeri con i salari più bassi in Ticino nel decennio illustrato. Questa crescita non omogenea delle varie fasce di salariati ticinesi (le più basse hanno riscontrato addirittura un calo negli scorsi due anni) ha portato ad un divario salariale maggiore. Il quarto dei ticinesi con gli stipendi più alti ha avuto un aumento salariale in percentuale che è stato maggiore di quello dei lavoratori con gli stipendi più alti del resto della Svizzera. Riassumendo quindi si può affermare che gli svizzeri in Ticino hanno vissuto un’evoluzione economica positiva, con segnali di stagnazione

Fig. 2b. – Distribuzione salariale dei lavoratori stranieri in Ticino tra gli anni 20082018. Fonte: RSS 2008-2018.

Fig. 2c. – Distribuzione salariale dei lavoratori frontalieri in Ticino tra gli anni 20082018. Fonte: RSS 2008-2018.

Rico Maggi, Moreno Baruffini e Luzius Stricker – IRE Nel 2018 in Ticino si guadagnava in media il 18% in meno rispetto al resto della Svizzera – un fatto riportato da tutti i media. Da questo segue, secondo la narrativa dominante in Ticino, che i Ticinesi guadagnano per lavori uguali così tanto di meno e sono svantaggiati rispetto ai confederati oltre Gottardo. Di conseguenza gli altamente qualificati, giovani e non, emigrano e vengono sostituiti da lavoratori frontalieri con bassa qualifica in settori a forte impronta manifatturiera. Conclusione di questa mitologia: bisogna privilegiare la mano d’opera indigena, alzare gli stipendi e attirare attività economiche ad alto valore aggiunto. Vogliamo dimostrare, in tre momenti, che i fatti dicono tutt’altro, ovvero che a) in attività paragonabili e in termini reali i Ticinesi (in realtà i residenti svizzeri in Ticino) non guadagnano di meno degli Svizzero tedeschi; che b) la grande differenza statistica viene dai salari molto bassi pagati ai frontalieri e in modo minore ai residenti stranieri; e che c) in una prospettiva dinamica lo sviluppo della struttura salariale con salari alti crescenti sopra la media, e quelli bassi stagnanti, muovono l’economia verso una struttura tipica per economie competitive, contraddistinta da una polarizzazione del mercato del lavoro con lavori altamente qualificati e lavori a bassa qualifica, che prevalgono sulle qualifiche intermedie professionali. Un dato soggetto a molte discussioni in Ticino è la forte differenza salariale rilevata dalla statistica pubblica rispetto alla Svizzera tedesca. In effetti, la differenza in termini medi assoluti risulta del 18% (colonna 1 in figura 1) considerando tutta la forza di lavoro in aggregato, ovvero CHF 7680 in media in Svizzera tedesca e CHF 6306 in media in Ticino. Dato che questa media è composta dai salari dei residenti

Fig. 1 – Medie salariali in Svizzera secondo la categoria di permesso. Fonte: 16esimo rapporto dell’osservatorio della libera circolazione Svizzera – UE. (Elaborazione SECO 2020 – con i dati della RSS 2018)

nello scorso biennio ed un’apertura della forchetta salariale negli ultimi anni considerati della serie storica. Considerando in dettaglio l’evoluzione dei salari per gli stranieri con residenza nel Canton Ticino (figura 2b), si nota, diversamente dai ticinesi, che tutte le fasce salariali sono cresciute meno fortemente nel lungo periodo e hanno registrato un calo maggiore dei salari negli ultimi due anni, rispetto ai ticinesi. Il livello salariale più basso degli stranieri residenti e la maggiore competizione di loro con la manodopera frontaliera (in termini di livello formativo e mansioni svolte) porta a questa controtendenza – che si notava anche per le fasce salariali basse dei ticinesi. Sono quindi loro, anche se molto meno fortemente dei frontalieri, a contribuire al divario salariale tra Svizzera tedesca e Ticino. Per quanto riguarda i lavoratori frontalieri (che nel 2018 in Ticino erano 67’300) invece non si notano cambiamenti sostanziali né del livello, né della distribuzione delle fasce salariali in termini nominali (figura 2c). Tuttavia, a causa dell’apprezzamento del Franco svizzero negli anni considerati, i frontalieri hanno beneficiato di una crescita in termini reali dei salari di qualche punto percentuale per anno. I lavoratori frontalieri poi, a loro volta, hanno in Italia, dove risiedono, un costo della vita minore rispetto al Ticino, e dunque il loro potere d’acquisto è superiore. Per il confronto con la Svizzera tedesca, dove gli stessi frontalieri si sono visti aumentare lo stipendio anche a livello nominale, analogamente alla forza di lavoro indigena, questa stagnazione nel lungo periodo ed il calo più forte degli stipendi di tutte le fasce salariali dei frontalieri sono stati i maggiori responsabili del differenziale tra il Ticino e la

Svizzera tedesca riportato nelle statistiche. A dare ulteriore peso a questo effetto è il numero relativamente importante di frontalieri sulla forza di lavoro intera in Ticino, sempre in confronto alla Svizzera tedesca. In conclusione, si può dire che i lavoratori Ticinesi, al netto delle variabili considerate, ottengono una remunerazione di lavoro al passo con la Svizzera tedesca. I lavoratori frontalieri in Ticino invece guadagnano molto di meno che in tutte le altre regioni della Svizzera e ottengono salari bassi anche in confronto dell’intera forza di lavoro ticinese, infatti nel 2018, il 75% di loro guadagnava salari al disotto della mediana del Ticino. Anche per i lavoratori stranieri vale in parte la stessa dinamica, in particolare per quanto riguarda i lavoratori delle fasce salariali più basse. Il mercato del lavoro ticinese, dunque, attira stranieri e frontalieri, anche con qualifiche alte, che sono pagati meno dei corrispettivi lavoratori ticinesi, e che garantiscono una crescita per le fasce salariali più alte di questi ultimi. Esiste una spiegazione? Quali sono gli effetti strutturali di questa dinamica? In genere si è sempre data una interpretazione legata alla stagnazione della produttività, cioè al rapporto tra il prodotto e l’insieme dei fattori di produzione che hanno concorso a produrlo. Non aumentando, non potevano aumentare i salari, che dovrebbero remunerare il fattore della produzione lavoro. L’andamento notato nondimeno nelle fasce alte dei lavoratori ticinesi fa emergere anche un’altra spiegazione. Come riscontrato da numerose ricerche, negli ultimi anni l’aumento della complessità dei fattori produttivi nelle economie avanzate ha portato a cambiamenti nella domanda di lavoro, che a loro volta hanno comportato una marcata «polarizzazione» delle opportunità di lavoro tra le professioni. Ciò ha portato ad una crescita occupazionale concentrata in lavori relativamente ad alta qualifica, con salari elevati e in lavori poco qualificati e con salario basso – a spese di lavori di «abilità media». Questa polarizzazione è stata rilevata anche in Ticino, dove negli ultimi dieci anni si è riscontrato un aumento dei lavori ad alta e bassa qualifica (rispettivamente +8,7 e +1,6%) e un declino dei lavori a media qualifica (–10,3%). Questo concorre a spiegare l’andamento differenziato dei salari dei lavoratori ticinesi nelle fasce più alte e più basse della distribuzione, e sono fattori che contraddistinguono un’economia competitiva e aperta.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 settembre 2020 • N. 38

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Politica e Economia

I papà in congedo per due settimane?

Votazioni federali La nuova legge voluta da Consiglio federale e parlamento è un controprogetto indiretto

all’iniziativa popolare per un congedo retribuito di 4 settimane – Oggi la Svizzera è l’unico paese in Europa a non prevedere un congedo parentale o di paternità di almeno 10 giorni Alessandro Carli Un giorno o dieci giorni? Gli Svizzeri dovranno pronunciarsi il 27 settembre sull’introduzione di un congedo paternità pagato di due settimane. Se questa richiesta dovesse essere approvata (come lasciano presagire i sondaggi), il nostro paese non sarà più l’unico in Europa a non disporre né di un congedo paternità, né di un congedo parentale. Il tema in votazione è un controprogetto indiretto all’iniziativa popolare «Per un congedo di paternità ragionevole – a favore di tutta la famiglia» che chiedeva l’introduzione di un congedo retribuito di quattro settimane. Seguendo il Consiglio federale, il parlamento ha respinto l’iniziativa, optando per un controprogetto che prevede un congedo di due settimane da prendere nei sei mesi successivi alla nascita del figlio, in blocco o sotto forma di giornate singole. L’iniziativa popolare per un congedo di 20 giorni è stata ritirata dal comitato a condizione che il progetto del parlamento sia approvato dal popolo. Nel caso in cui fosse respinto, il Sovrano dovrà pronunciarsi sulla citata iniziativa, evidentemente più costosa. Il referendum contro il congedo di due settimane è stato lanciato dall’UDC e da alcuni giovani del PLR e del PPD. La nascita di un figlio è un evento importante che cambia in modo duraturo la vita di coppia. Alla nascita, molti padri beneficiano soltanto di uno o due giorni di congedo che possono richiedere a titolo di «congedo usuale», ossia come per un trasloco o un matrimonio. Una situazione anacronistica, che non è più al passo con i tempi, sottolineano governo, parlamento e fautori del progetto. L’introduzione di un congedo paternità costituisce un segnale forte per la famiglia. Consentirà al neopapà di essere più presente accanto al neonato,

Il congedo dà ai neo-papà la possibilità di condividere maggiormente quel periodo speciale che è la prima infanzia di un bimbo. (Keystone)

di partecipare più attivamente alla nuova dinamica familiare e di alleviare la mamma in certe mansioni. Inoltre – sottolineano ancora i fautori – il congedo paternità favorisce l’equilibrio della coppia e ne beneficerà tutta la famiglia, ma anche l’economia, che non sarà privata di persone qualificate. Le aziende potranno organizzarsi assai facilmente per far fronte a un’assenza di dieci giorni. La perdita di guadagno legata al congedo di paternità è indennizzata secondo gli stessi principi applicabili al congedo maternità. Hanno diritto all’indennità i padri che al momento della nascita del figlio esercitano un’attività lucrativa dipendente o indipendente. Devono essere stati assicurati

obbligatoriamente ai sensi della Legge federale sull’assicurazione per la vecchiaia e per i superstiti (LAVS) durante i nove mesi che precedono la nascita. Il congedo è finanziato attraverso le indennità di perdita di guadagno (IPG), ossia prevalentemente con i contributi versati da lavoratori e datori di lavoro. Garantisce l’80% del reddito, ma al massimo 196 franchi al giorno, pari a 2744 franchi per 14 indennità giornaliere. L’attuale contributo alle IPG (0,45%) dovrà aumentare di 0,05 punti, ossia 50 centesimi in più per 1000 franchi di salario, metà dei quali sopportati dal datore di lavoro. Il costo annuo stimato dall’Ufficio federale delle assicurazioni sociali è di 230 milioni

di franchi, contro i 420 milioni per l’iniziativa, nel caso in cui il controprogetto fosse respinto. Gli oppositori fanno sostanzialmente leva sui costi, eccessivi per impiegati e datori di lavoro. Per loro, tutti i salariati vedranno il loro stipendio diminuire per permettere a «qualche persona» di prendere vacanze pagate. Un comitato composto di parlamentari UDC, PLR e PPD, sostenuto da GastroSuisse e dall’Unione svizzera delle arti e mestieri (USAM), ha messo in guardia contro nuovi oneri per le aziende. In una conferenza stampa a Berna, il comitato ha spiegato che la Svizzera non ha i mezzi per offrire giorni supplementari di congedo a un numero ridotto

Cantoni. Secondo l’Amministrazione federale delle contribuzioni (AFC), a causa della crisi dovuta al Coronavirus, le perdite per l’anno fiscale 2021 dovrebbero essere temporaneamente inferiori di 50-100 milioni di franchi rispetto a quanto previsto. Solo chi ha un reddito minimo imponibile – 17’800 franchi per una persona sola e 53’400 franchi nel caso di una famiglia con un figlio – paga l’IFD. In generale, più alto è il reddito e più alto è lo sgravio fiscale. Per esempio, per beneficiare della riduzione massima di 910 franchi, le famiglie con due figli dovrebbero avere un reddito imponibile di almeno 160’000 franchi. Quelle con un reddito molto elevato, invece, otterrebbero un po’ meno. Ma anche le famiglie con un solo figlio e un reddito imponibile di appena 53’400 franchi beneficerebbero degli sgravi previsti dalla nuova legge; per le famiglie con due figli la soglia minima di reddito è di 63’400 franchi. I promotori del referendum sono dunque convinti che «ciò che viene spacciato come se fosse un sostegno familiare non è in realtà che un regalo fiscale concesso alle persone con redditi più alti». Gli oppositori sostengono pure che la perdita di introiti fiscali per 370 milioni si farà sentire quando

si tratterà di rendere gli asili nido finanziariamente accessibili. Ma è veramente solo un «regalo per i più ricchi»? Secondo gli oppositori, oltre il 70% dei 370 milioni di franchi necessari per coprire gli sgravi fiscali andrebbe alle economie domestiche con un reddito imponibile annuo di oltre 100’000 franchi, che insieme rappresentano circa il 6% di tutte le economie domestiche svizzere. L’AFC conferma che più del 70% andrebbe effettivamente a chi guadagna più di 100’000 franchi. Ma questa affermazione – sottolinea – è anche fuorviante, dato che non fornisce un quadro completo di chi otterrebbe uno sgravio. Infatti, come le famiglie più ricche, anche quelle con redditi più modesti beneficerebbero della deduzione di 10’000 franchi per figlio per sgravarle ulteriormente a prescindere dalle modalità di cura dei figli. Comunque, il dato più rilevante rimane il fatto che il 60% di tutti i contribuenti con figli – sottolinea l’AFC – beneficerebbe dell’aumento della deduzione. È vero che le deduzioni potrebbero essere calibrate meglio e che i redditi bassi e medi sono meno favoriti, ma si può cominciare a fare un primo passo, per modesto che possa sembrare. / AC

Più deduzioni per i figli Come la revisione della legge sulle indennità per perdita di guadagno intesa a introdurre un congedo di paternità retribuito di due settimane, anche la modifica della legge federale sull’imposta federale diretta (IFD), in votazione il 27 settembre, è un gesto voluto dal governo e dalla maggioranza parlamentare in favore dei genitori, che consiste in un aumento delle deduzioni fiscali per i figli. Il referendum all’origine di questa consultazione popolare, è stato lanciato da un’alleanza di partiti per lo più di sinistra, secondo cui l’aumento delle deduzioni per figli è un «imbroglio fiscale»: ne beneficerebbero unicamente le famiglie ricche. Ma di che si tratta? Nell’ambito dell’IFD, i genitori dovranno poter dedurre fino a 25’000 franchi per figlio, al posto dei 10’100 attuali, per la cura prestata da terzi. Nelle intenzioni del legislatore, questa misura contribuisce a migliorare la conciliabilità tra famiglia e lavoro e a contrastare la carenza di personale qualificato in Svizzera. Una maggiore deduzione incoraggia entrambi i genitori a essere attivi professionalmente. L’aumento della deduzione comporta minori entrate fiscali annue stimate a 10 milioni di franchi all’anno. Inoltre, durante l’esame parlamentare,

una maggioranza di politici borghesi ha voluto aumentare anche la deduzione forfettaria per figli, ciò che ha dato origine a dibattiti lunghi e accesi tra destra e sinistra. Quest’ultima ha cercato invano di opporsi all’aumento della deduzione generale per ogni figlio minorenne o in formazione. Ha dunque lanciato il referendum, ritenendo che quanto proposto dalla maggioranza andrebbe a beneficio solo delle famiglie ad alto reddito e non rientrerebbe nella logica della revisione. La deduzione generale per i figli dovrà aumentare dagli attuali 6500 a 10’000 franchi per ogni figlio. Questa deduzione sgrava le famiglie indipendentemente dalla forma scelta di accudimento dei figli. Ne beneficerebbe quasi il 60% delle famiglie che oggi paga l’IFD, calcolata sulla base del reddito. Il restante 40% a reddito modesto continuerà a non pagarla e non è dunque interessata da questa misura. Secondo i fautori di questa revisione, l’aumento della deduzione generale per i figli consente di dare un adeguato riconoscimento al lavoro familiare. Questa deduzione aggiuntiva provoca perdite fiscali stimate a 370 milioni di franchi all’anno. Delle perdite fiscali complessive di 380 milioni di franchi, circa 80 milioni sono a carico dei

di yxpersone. Inoltre, questo congedo non risponde a un’esigenza di politica familiare. Le assicurazioni sociali sono state istituite per prevenire la povertà e le situazioni di emergenza. Secondo il comitato contrario, la nascita di un bambino non provoca situazioni del genere per il padre. Per il direttore dell’USAM Hans-Ulrich Bigler, oltre ai costi diretti di 230 milioni di franchi, il congedo paternità impone alle aziende costi indiretti tra 500 e 900 milioni. Durante il congedo, molte aziende pagherebbero l’intero stipendio, mentre le IPG coprirebbero solo l’80%. Le PMI non possono permetterselo né dal punto di vista finanziario, né da quello manageriale. Lo Stato non deve immischiarsi negli affari di famiglia. Bigler ricorda pure che le assenze aggiuntive sono problematiche: esse riducono la produttività in un contesto già aggravato dalla pandemia di Covid-19. L’UDC, contraria, non è tuttavia unita su questo tema. Le sezioni romande sono in disaccordo e si sono pronunciate tutte in favore di un congedo paternità. Per Céline Amaudruz (UDC/ GE), il testo presenta solo vantaggi. Per tutti i fautori, si tratta di un compromesso finanziariamente sostenibile e che gode di vasto consenso. Secondo loro è deplorevole il fatto di non voler riconoscere che la condivisione delle emozioni per la nascita di un figlio e l’apprendistato di madre e di padre siano un importante valore sociale, ma anche economico, per tutti. Orbene, questa idea dei sostenitori sembra imporsi in una maggioranza dell’elettorato. Infatti, secondo un sondaggio dell’istituto gfs.bern, effettuato tra il 3 e il 17 agosto per conto della SSR, il congedo paternità verrebbe accettato a larga maggioranza (63%). Nella Svizzera italiana la quota di favorevoli si attesta al 72%, i contrari al 25% e gli indecisi al 3%. Dunque, la Svizzera dovrebbe unirsi ai paesi europei che, in un modo o nell’altro, riconoscono il congedo paternità. Entro l’agosto del 2022, tutti gli Stati membri dovranno introdurre un congedo paternità di almeno 10 giorni lavorativi, ben remunerato. E la Svizzera non dovrebbe rimanere fuori da questo coro.


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Idee e acquisti per la settimana

Doppie leccornie

Azione 20X Punti Cumulus sui nuovi Petit Beurre della Frey dal 15 al 28.09

Foto e Styling Veronika Studer

Il tradizionale cioccolato della Frey e i Petit Beurre li amiamo fin dall’infanzia. Adesso entrambi i classici si sono uniti: ecco allora tre nuove deliziose combinazioni di Petit Beurre composte da biscotto, cioccolato al latte, nocciole o cioccolato fondente con il 55 percento di cacao, tutte di produzione svizzera. Se gli amanti delle tavolette di cioccolato ottengono più piacere da sgranocchiare, i fan dei Petit Beurre ricevono invece una porzione extra di buon cioccolato. Due classici e una nuova esperienza gustativa – o due o tre.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 settembre 2020 • N. 38

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Politica e Economia

Investire in sostenibilità: come funziona

Intervista Investire con la coscienza pulita: è quanto vogliono sempre più persone. L’offerta è ampia,

le differenze anche. In questa intervista Beat Zaugg, esperto di sostenibilità della Banca Migros, spiega come si trova la strategia giusta

Benita Vogel Signor Zaugg, tutti parlano di «sustainable investments», ovvero di investimenti sostenibili. Ma di cosa si tratta?

Gli investitori responsabili investono in aziende che apportano un contributo per un mondo migliore. Per individuarle si attengono alla sigla inglese ESG, dove E sta per «environment», ossia ambiente, mentre S è l’iniziale di socialità e G di «governance», indice di buona gestione aziendale. Sono quindi esclusi i prodotti che, oltre ad essere dannosi per l’ambiente e la comunità, sono anche riprovevoli dal punto di vista sociale.

Gli investitori possono aspettarsi le stesse rendite degli investimenti convenzionali Quali sono i settori «tabù» dal punto di vista sociale?

Senz’altro da escludere sono settori e prodotti quali l’industria delle armi, quella legata al carbone o gli investimenti nell’energia nucleare. Dipende anche molto dai valori personali dell’investitore stesso. Ad esempio, intende davvero investire in un’impresa che produce bevande alcoliche? È una domanda cui ognuno deve rispondere secondo coscienza. Perché questo tipo di investimenti sono così in voga?

Gli investimenti sostenibili esistono da molto tempo. I dibattiti sui cambiamenti climatici e le manifestazioni giovanili sul clima hanno dato una

Beat Zaugg, senior analist sustainable research.

spinta all’argomento. Tuttavia, solo un terzo del patrimonio gestito in Svizzera viene investito all’insegna della sostenibilità. L’economia globale è lungi dal funzionare in modo sostenibile. 200 delle 3000 maggiori società mondiali quotate in borsa sono attive nell’industria delle energie fossili e trattano, fra l’altro, prodotti petroliferi. Il passaggio verso un’economia sostenibile durerà parecchi anni. Ma c’è da aspettarsi che le prossime generazioni vorranno investire i loro soldi in modo responsabile, rafforzando così la tendenza alla sostenibilità. Già ora la crescita dei patrimoni investiti in modo sostenibile si attesta attorno al 30% annuo.

Gli investimenti sostenibili sono diventati un tema di portata globale: nella foto il discorso inaugurale di Alain Berset al World Investment Forum 2018, nella sede delle Nazioni Unite a Ginevra. (Keystone) Come devo procedere per investire in modo sostenibile?

Esistono diversi approcci. Un tempo dominava la regola dell’«approccio per esclusione», secondo il quale alcuni settori erano esclusi in blocco dagli investimenti. Oggi è molto diffuso l’approccio «Best in Class» (migliore della classe): si scelgono le aziende che nel loro settore primeggiano in fatto di riduzione di CO2, diversità o altri temi. La più diffusa è la cosiddetta «integrazione ESG»: in questo caso le banche analizzano vari criteri e opportunità di sostenibilità (ecologia, standard sociali e gestione aziendale) e in base ad essi scelgono dove investire. Un’altra possibilità è «l’investimento tematico»: si sceglie se si vogliono mettere soldi, ad esempio, nei fondi idrici, nella mobilità elettrica e nelle energie rinnovabili. Questi fondi a tema stanno affermandosi con decisione. Nei suoi fondi sostenibili, la Banca Migros segue l’approccio combinato dell’esclusione e del «Best in Class». Come faccio ad individuare la strategia giusta per me?

Prima di tutto bisogna chiedersi quali temi sono importanti per me. Vale anche la pena dare un’occhiata agli approcci di sostenibilità della banca, che di solito si trovano nel suo sito Internet. Riflettete se questo approccio è giustificato e se potete identificarvici. Domandatevi anche se ritenete la banca credibile nel suo complesso. Come per gli investimenti convenzionali, sono importanti anche la predisposizione al rischio e la rendita attesa. Posso fare investimenti sostenibili anche come piccolo risparmiatore?

Sì. Adatti a loro sono, ad esempio, i piani di risparmio in fondi, in cui ogni mese si versa un determinato importo.

In Svizzera ci sono 600 fondi d’investimento sostenibili, tramite i quali si può investire in centinaia di imprese, distribuendo così il rischio. I fondi sono regolamentati e sorvegliati. Per esempio, alla Banca Migros ci sono piani di risparmio in fondi sostenibili, cui si può aderire già a partire da 50 franchi al mese.

Si parla continuamente di crescita selvaggia. Ci sono troppo pochi standard di sostenibilità. Come ci si può tutelare?

Ci sono molte offerte e tante differenze circa l’effettiva sostenibilità. Dunque: confrontate bene! Per esempio, vale la pena gettare uno sguardo all’elenco dei titoli del fondo. Lo si trova sempre nel rapporto di gestione annuale. Se un fondo climatico contiene delle società di armamento, significa che qualcosa non funziona. Questo non dovrebbe accadere. Sembra complicato. Si può rendere più semplice?

Attualmente è ancora un processo difficoltoso. A differenza della spesa al supermercato, non esiste un’etichetta conosciuta che distingue i prodotti sostenibili. Ma cambierà sicuramente nei prossimi anni. La UE sta lavorando ad un’etichetta ecologica per i prodotti finanziari. Dovrebbe essere stabilita entro la fine del 2021. È probabile che la Svizzera ne seguirà l’esempio o che il settore privato sviluppi delle etichette. Almeno per quel che riguarda il clima, alcuni standard cui attenersi esistono già. Oggi si può già misurare l’impronta CO2 di una società quotata in borsa. Ci sono anche investitori che si orientano sull’Accordo di Parigi sul clima e investono solo in aziende che adottano misure per raggiungere l’obiettivo di

limitare l’aumento delle temperature a 1,5 gradi.

Un tempo si diceva che investire in modo sostenibile, equivaleva a rinunciare ai rendimenti. È corretto?

No. Un meta-studio condotto su 2200 analisi dimostra che nella maggior parte dei casi esiste una correlazione positiva tra i fattori legati alla sostenibilità e il rendimento. Di conseguenza, gli investitori possono aspettarsi almeno il rendimento degli investimenti convenzionali. Finora i fondi sostenibili si sono comportati bene anche durante la pandemia da coronavirus. Gli investimenti sostenibili sono più cari di quelli convenzionali, perché?

Questo argomento viene spesso citato contro gli investimenti sostenibili. Tuttavia, la differenza della commissione prelevata per la gestione patrimoniale rispetto ai fondi convenzionali è generalmente minima. Si attesta attorno allo 0,2%. Le banche devono ottenere, elaborare e valutare informazioni di

buona qualità sulla sostenibilità delle aziende. In cambio, l’investitore ha la certezza che i rischi legati alla sostenibilità sono gestiti al meglio e che le opportunità di mercato, ad esempio per i prodotti che rispettano il clima, abbiano maggiori probabilità di essere considerate negli investimenti azionari.

Gli investimenti sostenibili stanno davvero rendendo l’economia più verde?

Sì, se le imprese sostenibili sono preferite dagli investitori, possono finanziarsi in modo più economico. L’interesse degli investitori, inoltre, contribuisce a sensibilizzare la dirigenza aziendale su temi quali la protezione dell’ambiente, la biodiversità o la buona gestione dell’impresa. Ciò può portare a un cambio di atteggiamento e a modelli sociali migliori, che si ripercuotono positivamente sul corso delle azioni. Oggi i rapporti sulla sostenibilità sono molto più pregnanti e mostrano i miglioramenti quantitativi di un’azienda.

Attenta alla sostenibilità Entro la fine del prossimo anno, la Banca Migros focalizzerà la sua gamma di investimenti sulla sostenibilità. Allineerà di conseguenza tutti i fondi che propone, così come i mandati di gestione patrimoniale e la consulenza personale sugli investimenti. Già oggi persegue un approccio alla sostenibilità rigoroso rispetto al resto del settore, basato sul noto indice «MSCI SRI Index», che investe nel 25% delle migliori aziende di ogni settore. MSCI è il nome di uno dei

principali fornitori mondiali di indici e «SRI», è l’acronimo inglese di «investimenti socialmente responsabili». Attualmente, l’offerta di Banca Migros comprende cinque fondi strategici, tre fondi previdenziali e un piano di risparmio in fondi. Maggiori informazioni

https://www.migrosbank.ch/it/ sostenibilita/previdenza-e-investimenti-sostenibili.html


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 settembre 2020 • N. 38

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Politica e Economia

Quanto spendere per un’auto e come risparmiare sui costi Mobilità Il leasing costa di regola più del semplice acquisto. Da valutare anche le nuove forme di motorizzazione: diesel,

ibrida o elettrica. I due terzi sono costi fissi. È opportuno considerare anche la svalutazione per l’eventuale ripresa Ignazio Bonoli Tra gli effetti indesiderati della pandemia virale sembra esserci anche quello di un aumento del traffico privato, ovviamente anch’esso condizionato dal periodo di «lockdown». Anche senza basarsi ancora su precisi dati statistici, si possono vedere gli effetti di questa tendenza su un traffico di auto private in piena ripresa. Ciò è dovuto anche alle nuove regole che condizionano lo spostarsi per lavoro o per diporto in vari modi. Per esempio, il rispetto delle distanze sociali e, più tardi, l’uso della mascherina, hanno reso più fastidioso il viaggio su mezzi pubblici. Ciò che non avviene con l’uso dell’auto privata, soprattutto se occupata da una sola persona. Il fenomeno – che a sua volta è condizionato dal lavoro ridotto o dalla diminuzione del personale occupato o dal lavoro a domicilio – si è intensificato molto dopo l’allentamento delle misure anti-covid. Non è ancora tale da indurre un aumento delle vendite di automobili, il cui mercato è tuttora caratterizzato da molta prudenza. La tendenza ha però risollevato il problema dei costi dell’auto privata e della sua incidenza sui budget familiari, che a loro volta sono spesso confrontati con ristrettezze. Ecco allora sorgere la domanda di quanto viene a costare l’uso dell’auto privata.

Il Touring Club Svizzero fornisce regolarmente una valutazione di questi costi, che spesso vengono ignorati quando si valuta l’acquisto o il leasing di un’automobile. Di regola, circa i due terzi del totale è costituito da costi fissi e un terzo da costi variabili. Per costi fissi si intendono l’ammortamento, i costi di parcheggio, le assicurazioni obbligatorie di responsabilità civile e il cosiddetto «casco». I premi variano a seconda dell’assicuratore, del tipo di auto, del grado di «bonus/malus» o della scelta fra casco totale o parziale. Il casco totale (più caro) è obbligatorio in caso di leasing dell’auto. Altri costi spesso dimenticati al momento dell’acquisto o leasing sono quelli per imposte e assicurazioni particolari, nonché degli interessi sul capitale impegnato e le spese di manutenzione. Per costi variabili si intendono i servizi e le riparazioni, le gomme, il carburante, nonché la perdita di valore del mezzo. Quest’ultimo è particolarmente importante all’acquisto di un’auto nuova. Di regola, il valore dell’auto nuova si riduce della metà durante tre anni. Sommando costi fissi e variabili, in media, il TCS constata che un’auto di media categoria, dal costo di 35’000 franchi, con un utilizzo di 15’000 km all’anno, provoca costi fissi per 6531 franchi e costi variabili per 3904 fran-

chi, per un totale di 10’435 franchi, che corrisponde a 70 cts al km, quindi 870 franchi al mese. Il parametro di settanta cts al chilometro è spesso una base adeguata per valutare il costo di un’automobile privata media. A questi livelli, anche per un’auto di classe media, per molte famiglie si pone il problema del risparmio, tanto più che l’automobile fa ormai parte della dotazione di ogni famiglia, in particolare in zone poco urbanizzate, come il Ticino. Per ridurre i costi di questo strumento è necessario un attento esame di ogni singolo caso, partendo dalle varie componenti. Per i consumi e i costi d’esercizio si trovano interessanti confronti nelle tabelle pubblicate su internet a cura del TCS e dell’Ufficio federale per l’energia, dove si trovano anche le etichette energetiche. Le classi A e B in genere hanno un rapporto consumi / prestazioni migliore. Per l’assicurazione, per un veicolo nuovo, è consigliabile il casco totale per almeno tre anni, per poi passare al casco parziale. Le tariffe dei premi variano molto da una compagnia all’altra. Oltre al premio si devono considerare bene le prestazioni. In genere vengono concessi ribassi per auto elettriche, ibride o anche in base ai consumi. Per le imposte il tipo di tassa e il modo di calcolare variano da cantone

Secondo il TCS, un’auto di media cilindrata utilizzata 15mila km all’anno provoca costi fissi per 6531 franchi e costi variabili per 3904 franchi. (Keystone)

a cantone. In genere conta la cilindrata, le prestazioni (CV), il peso totale e a vuoto o una combinazione di vari elementi. Sulla base di questi dati si può avere l’ammontare delle tasse presso il competente ufficio della circolazione. Per la perdita di valore è bene tener conto di marche e modelli che si svalutano meno di altri. Il TCS, ma anche Eurotax forniscono abbondanti dati di confronto. Alla cosiddetta «ripresa» in caso di cambio dell’auto contano anche i colori: i più diffusi sono sempre bian-

co, nero e grigio e, quindi, più facilmente vendibili. Comprare o leasing: anche con i ribassi attuali sulle quote leasing, di solito comprare costa meno che affittare. L’acquisto in contanti può beneficiare di ulteriori ribassi. Come visto il leasing comporta una costosa assicurazione casco totale e l’obbligo di servirsi del garage della marca, con tariffe talvolta più alte. Anche in questo caso, piattaforme come Auto Scout e Finance Scout offrono interessanti possibilità di confronti. Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 settembre 2020 • N. 38

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Politica e Economia Rubriche

Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Largo alle donne Il 19 giugno di quest’anno il parlamento svizzero ha approvato, dopo anni di deliberazioni, la revisione del diritto azionario. Una delle novità di questa complessa revisione è l’introduzione di quote per assicurare un’equa rappresentanza femminile nei consigli di amministrazione e negli organi direttivi delle aziende quotate in borsa. Le quote femminili dovrebbero essere del 30% nei consigli di amministrazione e del 20% nelle direzioni. L’introduzione delle quote femminili interesserà circa 200 aziende che sono naturalmente tra le più importanti del paese. È chiaro che il legislatore conta che l’introduzione delle quote femminili nelle aziende più importanti agisca da detonatore per aprire alle donne la possibilità di accedere alle carriere manageriali in tutte le aziende. Ricordiamo che, per il momento, nelle aziende più importanti del nostro pa-

ese, la quota delle donne in posizioni di grande responsabilità è pari al 10%. Lo provano i risultati di due recenti inchieste che hanno preso in considerazione due campioni di 100, rispettivamente di 270 aziende. Di strada da fare ne resta quindi ancora molta per assicurare che le disposizioni di legge appena approvate siano soddisfatte. Prima di proseguire osserveremo però che l’importanza della quota femminile nelle posizioni direttive delle grandi aziende sembra dipendere anche dai criteri con i quali si definiscono e l’importanza delle aziende e la natura delle carriere direttive o dei posti di responsabilità che vengono affidati alle donne. Una piccola ricerca in Internet ci ha infatti permesso di stabilire che, nel caso delle aziende più importanti della Germania, per esempio, la quota femminile nelle posizioni di direzione varierebbe tra il 7 e il 32%, a seconda delle inchieste.

Tuttavia i lettori non si spaventino: ci penseranno i burocrati, che stenderanno le ordinanze e i regolamenti, a precisare come vanno definite le quote femminili stabilite dalla revisione del diritto azionario. Ci si può chiedere piuttosto se una norma di legge basterà a cambiare una situazione di discriminazione acquisita da secoli. Risposte a questa questione si possono trovare nelle ricerche sugli ostacoli che si pongono alla donna che vuol far carriera. Dalle stesse si deduce in generale che, in Svizzera, le maggiori resistenze alla carriera professionale di una donna sembrano siano due. La prima è l’ostilità che la società manifesta in generale contro l’idea che una donna possa dedicarsi alla carriera professionale. Secondo me questa ostilità è forte nelle regioni di lingua tedesca e in Ticino mentre è sicuramente molto meno pronunciata in Romandia. Le cose stanno però

cambiando, almeno nella Svizzera tedesca. Lo dimostra il fatto che oggi, per fare un solo esempio, il Politecnico di Zurigo è diretto da una donna: Sarah Springmann. È comunque vero che l’idea che le donne possano fare carriere importanti stenta però ancora a farsi largo nella società elvetica. L’altra resistenza sembra risiedere nel fatto che le donne sono meno decise degli uomini a voler fare carriera e a concentrarsi, se del caso, unicamente sull’attività lavorativa. Il problema è che per le donne, in particolare per quelle che hanno bambini, la carriera, con tutto quello che comporta, ha, anche in termini di qualità di vita, un costo superiore a quello che di solito devono sopportare gli uomini. Da questo profilo l’introduzione delle quote potrebbe però portare miglioramenti importanti, nella misura in cui si tradurrà anche in interventi e progetti, finanziati dal settore pubblico

come dai privati, intesi ad eliminare gli ostacoli che impediscono oggi alle donne di far carriera. Per quel che riguarda le aziende, ci sono segni che le cose si stanno muovendo nella giusta direzione. Così la Mobiliare, la più vecchia ditta di assicurazioni della Svizzera, oggi al nono posto nella classifica nazionale, ha scelto di recente una donna come suo nuovo capo. Per di più si tratta di una ticinese: Michèle Rodoni, laureata in scienze attuariali dell’Università di Losanna. C’è dunque un futuro anche per le donne ticinesi nelle carriere manageriali? Sì, per il momento, però, sembra che ci sia solo fuori Cantone. L’esempio della Rodoni, però, potrebbe presto far scuola anche nella piccola patria! Ricordiamoci, a questo proposito, che, a breve, ci sarebbe una direttrice di Radio e Televisione da nominare.

giornalista del Watergate) per il libro Rage, il presidente ha rivelato l’esistenza di un nuovo sistema nucleare del quale nessuno ha mai sentito parlare: «Ho costruito un sistema nucleare... un’arma che nessuno ha mai avuto prima in questo Paese. Abbiamo qualcosa che non si è mai visto e sentito. Abbiamo qualcosa di cui Putin e Xi non hanno mai saputo. Non c’è nessuno... quello che abbiamo è incredibile» ha detto Trump, scatenando la ricerca a questa nuova arma misteriosa. Vanterie? Millanterie? È possibile. Ma già in passato il presidente ha usato allusioni e messaggi in codice: ad esempio postando le foto che documentavano il fallimento di un test nucleare iraniano, senza smentire le voci che collegavano il flop al boicottaggio elettronico degli Stati Uniti. Va aggiunto però che i rapporti tra la Casa Bianca e i militari sono ai minimi termini: troppi generali licenziati, troppe pressioni sull’esercito perché intervenisse nella repressione delle rivolte e quindi di

fatto nella guerra civile strisciante tra le opposte fazioni, da cui i militari vogliono tenersi ben lontani. Anche la linea in politica estera dell’amministrazione Trump resta da definire. Ritiro dall’Afghanistan, sostanziale disimpegno dalla Siria e dalla Libia, pace tra Israele ed Emirati arabi, situazione sotto controllo in Corea del Nord: il bilancio di Trump si può senz’altro discutere, l’avanzata in Medio Oriente di Russia e Turchia preoccupa, la freddezza dei rapporti con gli alleati europei non fa bene a nessuno; ma i temuti disastri onestamente non si sono visti. Anche se non si è ancora capito come siano davvero i rapporti con Putin, che Trump attacca ma dando sempre l’impressione di strizzargli l’occhio. Mentre l’abbandono dei curdi resterà come una macchia indelebile nella storia di questi quattro anni. Preoccupa di più, però, il fronte interno, con una disoccupazione drammatica. Un’economia estremamente liberalizzata come quella ame-

ricana crolla con la stessa facilità con cui di solito cresce. L’insoddisfazione per il modo in cui Trump ha gestito la pandemia resta alta. Lui stesso ha confessato a Woodward che conosceva già a gennaio le dimensioni del disastro, ma non ha detto nulla per non gettare gli americani nel panico. Il problema è che non si è limitato a non dire; non ha neanche fatto nulla, se non lanciare messaggi contraddittori e piegarsi all’uso della mascherina solo quando era troppo tardi. Fare oggi un pronostico sull’esito delle presidenziali è molto difficile. Le congiunzioni astrali non si ripetono mai due volte; e l’8 novembre 2016 si verificò una vera congiunzione astrale, con Trump che prendeva oltre tre milioni di voti meno di Hillary ma vinceva per poche migliaia di schede tutti ma proprio tutti gli Stati in bilico. Questo si può dire oggi con certezza: Trump è competitivo. Con buona pace di coloro che continuano a considerarlo un personaggio improbabile.

dini dei Paesi Bassi e della Francia. A partire dalla crisi del 2007/2008 gli ostacoli iniziarono a moltiplicarsi, per diventare materia di quotidiano conflitto, dalla distribuzione delle risorse all’imposizione di norme unitarie, promulgate dai detestati «eurocrati». Da ultimo, ad invelenire gli animi, si aggiunse la gestione dei profughi e dei migranti nel continente. Ma il 1992 è stato un anno-spartiacque anche per la Svizzera e per la politica timidamente filo-europea perseguita fino a quel momento dal Consiglio federale: il 6 dicembre Popolo e Cantoni dissero no all’adesione allo Spazio economico europeo, un voto che spaccò il paese in due e che fece scricchiolare la coesione nazionale. Tornava a galla il secolare isolazionismo della Confederazione, l’antica diffidenza nei confronti delle istituzioni europee. Era come se nell’urna fosse ricomparso lo spettro

della Società delle Nazioni voluta all’indomani della prima guerra mondiale e tristemente sfasciatasi negli anni Trenta sotto le picconate dei regimi totalitari. Quel passaggio fu decisivo anche nel ribaltare gli equilibri politico-elettorali interni, perché mise le ali all’Unione democratica di centro, partito che da una posizione minoritaria raggiunse risultati prima inimmaginabili, fino a diventare la maggiore formazione del paese. Sotto la direzione del magnate Christoph Blocher, l’Udc riuscì a raccogliere consensi sia nelle periferie delle grandi città, sia nelle aree rurali, specie nei Cantoni germanofoni. Benché guidato da un miliardario – o forse proprio per questo – l’Udc seppe far breccia nelle file del ceto medio alle prese coi timori del declassamento sociale e persino tra gli operai che avevano sempre appoggiato l’indirizzo keynesiano della socialdemocrazia. In Ticino il

testimone dell’anti-europeismo fu raccolto dalla Lega, permettendole di vincere tutte le consultazioni popolari che avessero per tema i rapporti con Bruxelles e ogni iniziativa che riguardasse la figura dello straniero, dai rifugiati ai frontalieri «topi nel formaggio». Il prossimo 27 settembre sapremo se questa curva elettorale proseguirà la sua ascesa, riconfermando il primato stabilito il 9 febbraio 2014 (votazione sull’immigrazione di massa). Sappiamo già come andrà a finire in Ticino; aperto invece l’esito nel resto della Svizzera. Ma non sarà soltanto una partita di ritorno, per alcuni una rivincita. In gioco ci sarà anche una certa idea di Svizzera, un’idea culturale e morale nel solco della tradizione umanitaria del paese. Un orizzonte che i sovranisti tendono ad oscurare, ma che fa parte del nostro corredo storico fin dai tempi di Henri Dunant.

In&outlet di Aldo Cazzullo La rimonta di Trump La notizia di questi giorni è la rimonta di Donald Trump. Joe Biden resta in vantaggio nei sondaggi; ma è un vantaggio meno netto di quello che aveva, nello stesso periodo del 2016, la povera Hillary Clinton. Che cosa può essere accaduto? Che cosa ha spinto verso l’alto un presidente che resta largamente impopolare? Le convention al tempo dei Covid – più asciutte ed essenziali, meno spettacolari ed emotivamente coinvolgenti – hanno all’evidenza giovato più ai messaggi secchi al limite della rozzezza di Trump, che non al discorso più morbido, ampio, avvolgente di Biden. Il candidato democratico non ha messo in campo una piattaforma radicalmente diversa da quella del suo avversario: contro la depressione post-Covid, del resto, non c’è da fare molto di diverso da quello che stanno già facendo la Casa Bianca e la Federal Reserve, gettando sul piatto quantità di denaro mai viste neppure durante la crisi finanziaria del 2008. Biden ha

offerto se stesso come pacificatore. Trump – è l’essenza del suo messaggio – non ha solo diviso l’America; l’ha polarizzata. Ha trascinato il sentimento popolare verso le ali estreme: o con lui o contro di lui. Biden tenta di rivolgersi all’America di mezzo, spaventata dalla radicalizzazione del confronto pubblico e dalle violenze dei manifestanti: sia le frange più dure del movimento nero di protesta contro gli omicidi della polizia, sia i suprematisti bianchi e gli altri «miliziani» scesi in campo in queste settimane con armi automatiche e colpo in canna. Ma ecco il punto: Trump appare più adatto di Biden a tranquillizzare l’America bianca, moderata, impaurita. Dopo aver soffiato sul fuoco delle divisioni etniche, il presidente si pone come garante della legge e dell’ordine. E una parte dell’elettorato torna ad ascoltarlo. Trump ha adottato la stessa attitudine anche in politica estera. Nei colloqui con il mitico Bob Woodward (il

Cantoni e spigoli di Orazio Martinetti Una certa idea della Svizzera Viviamo nell’epoca del sovranismo, parola che ha guadagnato terreno solo negli ultimi anni. Prima, come sostantivo armato del suffisso -ismo, nemmeno figurava nei dizionari della lingua italiana. Esistevano il sovrano (la sovrana) e la sovranità, ma non il sovranismo, inteso come ideologia che pone al centro, e sopra ogni altra considerazione, gli interessi del proprio Stato. La parola funziona. Fa presa e mobilita. Permette di coagulare consensi e spesso di vincere tornate elettorali. E se i sovranisti non sempre la spuntano, riescono comunque a condizionare le scelte dei rispettivi governi. Alle ultime Europee si è persino temuto che sfondassero il fronte popolar-democratico e socialdemocratico che sinora ha retto, in alleanza, il timone dell’Unione. Ogni movimento politico nasce per contrastare un «nemico» (lo possiamo anche chiamare in modo meno bellicoso «avversario», ma la sostan-

za non cambia) e per colmare un vuoto. In Occidente il nemico storico è stato per oltre settant’anni il comunismo di marca sovietica; il collasso dell’URSS nel 1991, benché vissuto da buona parte della sinistra come una liberazione, generò un perdurante smarrimento, come se le porte dell’utopia si fossero improvvisamente chiuse. Moriva l’alternativa al sistema capitalistico, lasciando campo libero agli «spiriti animali», ai sostenitori del libero mercato privo di vincoli, in concreto ai «lupi di Wall Street», i filibustieri della finanza speculativa. L’anno successivo nasceva nella città olandese di Maastricht l’Unione europea, con l’intento di rassodare i legami interni, progetto poi sfociato nel varo della moneta unica. Tuttavia il cammino non fu agevole, né per l’euro (osteggiato soprattutto dal Regno Unito, che mai lo ha introdotto), né per la Costituzione di cui l’Ue intendeva dotarsi, bocciata dai citta-


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 settembre 2020 • N. 38

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Cultura e Spettacoli Una Berna musicale Musica contemporanea in spazi insoliti: l’apprezzata proposta di Berna pagina 46

La maturità dei The Killers Il rock è morto? Non si direbbe, ascoltando il nuovo lavoro della formazione di Las Vegas

Una nuova vita per Banco Grazie all’entusiasmo di Ivano Torre ha riaperto i battenti lo storico Teatro di Banco

Il cinema torna a Venezia Un timido ritorno alla normalità grazie alla Mostra del cinema della Laguna

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Philippe Daverio: l’arte con il papillon In memoriam Divulgatore appassionato,

ha saputo fare cultura con semplicità e anticonformismo

Alessia Brughera Gli occhialetti tondi e il farfallino appariscente erano gli immancabili accessori del suo look da dandy. A questi si accompagnavano uno sguardo sagace e un sorriso bonario che lasciavano chiaramente trapelare la sua intelligenza, la sua curiosità e la sua ironia. Così si presentava Philippe Daverio: davanti a una telecamera o a passeggio per la città, il suo modo di mostrarsi alla gente era la perfetta miscela di uno stile ricercato d’altri tempi e di una condotta cordiale e comunicativa. Storico dell’arte, gallerista e scrittore, nonché politico, Daverio era nato a Mulhouse, in Alsazia, nel 1949, da padre italiano e da madre francese. Quarto di sei figli aveva ricevuto una rigida educazione presso un collegio episcopale per poi proseguire gli studi alla Scuola Europea di Varese, città a cui è sempre rimasto molto legato. La sua formazione è poi proseguita a Milano, come studente alla Facoltà di Economia e Commercio della Bocconi. Non si era però mai laureato, Daverio. Pur avendo dato tutti gli esami, aveva deciso di non discutere la tesi, perché, come più volte aveva avuto modo di affermare, «in quegli anni si andava all’università per studiare e non per laurearsi». Convinto che ad attestare il sapere di una persona non fosse un pezzo di carta ma l’inesausto desiderio di conoscere, con la sua laurea accantonata in dirittura d’arrivo Daverio sfoderava già quel gusto per la provocazione che lo ha reso unico, quella voglia di trasgredire, sempre con garbo, che è stato uno dei tratti distintivi della sua esistenza. Entrato nel mondo dell’arte, da cui fin da piccolo era stato affascinato, lui, che storico dell’arte non era, aveva subito dimostrato di saperne più di tanti suoi colleghi accademici, e la sua grande cultura non era messa in dubbio da nessuno. Ciò che lo rendeva diverso dagli altri studiosi era proprio il suo piglio affabile e coinvolgente, quello di chi non si mette in cattedra per insegnare ma di chi ha piacere a raccontare con semplicità le tante espressioni del bello. Agli occhi della gente questo approccio gli era valso il ruolo dell’amico

colto piuttosto che quello dell’erudito. Ed è stata la sua forza. Non per niente Daverio veniva fermato per strada dalle persone di ogni classe sociale che chiacchieravano con lui senza sentirsi in soggezione. Quel tono amichevole, quasi confidenziale, era il suo marchio di fabbrica e caratterizzava tanto le sue trasmissioni televisive quanto le sue pubblicazioni. Era la chiave per far comprendere e apprezzare l’arte soprattutto a chi a essa era poco avvezzo, a chi storceva il naso solo a sentire la parola museo. Alla ricerca dei dettagli più nascosti, Daverio considerava l’Italia un immenso tesoro mai abbastanza conosciuto, per questo il suo lavoro è sempre stato volto a scoprirne e mostrarne tutte le bellezze, diventando per il suo pubblico un piacevole e brioso Cicerone. A Milano, in via Monte Napoleone, aveva inaugurato nel 1975 la sua prima galleria d’arte, occupandosi perlopiù di correnti avanguardistiche di inizio Novecento. Una decina di anni dopo era stata la volta di New York, dove una sua nuova sede espositiva trattava artisti del XX secolo. Ancora nella città meneghina Daverio apriva nel 1989, in Corso Italia, un’altra galleria d’arte contemporanea. Eclettico animatore della vita intellettuale del capoluogo lombardo, qui, nel 1993, aveva ricoperto anche l’incarico di assessore all’Educazione e alla Cultura, non senza suscitare, in varie occasioni, grandi polemiche (molte mamme milanesi, ad esempio, lo ricorderanno per la famigerata querelle sugli asili nido, in cui Daverio le tacciava provocatoriamente di non volersi occupare dei propri figli a causa delle loro proteste per le lunghe liste d’attesa). Numerosi, poi, i cataloghi pubblicati, tra cui si possono menzionare quelli ragionati dell’opera di Giorgio de Chirico e di Gino Severini, le collaborazioni con riviste e quotidiani (da «Panorama» a «Il Sole 24 Ore», dal «Touring Club» al «National Geographic», solo per citarne alcuni), e i libri, usciti soprattutto per i tipi della casa editrice Rizzoli, tutti scritti con uno stile fresco e graffiante e con un punto di vista originale. A lui si devono inoltre la ricostru-

Philippe Daverio in un’immagine degli Anni Novanta. (Leonardo Cendamo)

zione del Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano, danneggiato nel luglio del 1993 dall’esplosione della bomba di via Palestro, la riapertura di Palazzo Reale e l’ampliamento del Teatro alla Scala. A dimostrazione di quanto fosse un instancabile paladino del patrimonio artistico italiano non soltanto con le sue avvolgenti affabulazioni, nel 2011 Daverio aveva fondato il movimento d’opinione «Save Italy», il cui obiettivo era proprio quello di salvaguardare la smisurata eredità culturale del Belpaese formulando proposte concrete. Attraverso questa organizzazione era riuscito, con una grande manifestazione, a bloccare il progetto di una discarica nelle immediate vicinanze di Villa Adriana a Tivoli. L’esperienza che più di ogni altra lo ha fatto apprezzare dalla gente

è stata però la trasmissione televisiva Passepartout andata in onda dal 2001 al 2011, un programma seguitissimo (non di rado superava il milione di ascoltatori) in cui Daverio entrava nelle case degli italiani catturandoli con i suoi insoliti percorsi nelle vie dell’arte. Con quello che ormai veniva definito «il metodo Daverio», signorilità unita a leggerezza e sarcasmo, sapeva narrare le meraviglie artistiche in maniera tutt’altro che banale. Divulgatore era l’appellativo che gli calzava a pennello, poiché con il suo eloquio frizzante instaurava un contatto quasi ipnotico con lo spettatore, soprattutto quando, per fare il punto della situazione, appariva seduto alla scrivania con una delle pagine cancellate di Emilio Isgrò sullo sfondo. Daverio affidava così con complicità al pubblico le sue considerazioni penetranti, abilissimo nel tessere il

racconto artistico incrociandolo con la storia politica e sociale. Con ancora molti progetti da realizzare, Philippe Daverio è morto all’età di settant’anni lo scorso 2 settembre presso l’Istituto dei Tumori di Milano, dove lottava da tempo contro un cancro. Tra le sue tante riflessioni sull’esistenza ci piace citare questa, forse perché più di altre racchiude la sua capacità di esprimersi su concetti profondi in maniera chiara ed elegante: «La vita è come un quadro, pieno di pennellate che vanno nel verso giusto, ma ce n’è sempre una che, nonostante l’attenzione del pittore, esce dai confini, macchia il pavimento: ecco, quella è la morte, ineluttabile, fatale, uno strascico blu nell’infinito magniloquente e fantasmagorico, un’esplosione oltre la cornice che tutti vivremo, polvere barbaramente bistrattata quantunque paventasse un volo pindarico».


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Cultura e Spettacoli

Suonare oggi Musica A Berna il primo Festival svizzero di musica contemporanea durante la pandemia

Cinema Bombshell

racconta gli abusi di Roger Ailes, CEO di FOX News

Francesco Hoch Questa volta, i bernesi sono riusciti ad essere i primi nell’organizzare il loro quarto Festival di musica a Berna, che ha potuto mantenere quasi interamente il programma promesso e dedicato alla musica contemporanea. Gli sforzi sono stati naturalmente immensi sia perché molti musicisti provenivano dall’estero, sia per la presenza di un’orchestra, la Sinfonietta di Basilea. Sforzo supplementare, quello delle recenti regole, tra mascherine, distanze, disinfettanti e la registrazione dei nominativi delle persone del pubblico. Come altrove, anche qui si è sentito il grande entusiasmo degli interpreti per la loro possibilità di tornare a suonare in pubblico e in una manifestazione tanto importante che riunisce numerose organizzazioni della Città che prima operavano separatamente. Nella sua cinquantina di manifestazioni, tra concerti, installazioni e performances, è stato affrontato l’affascinante tema della Tettonica – Tektonik – che ha permesso implicazioni straordinarie sia dal punto vista scientifico sia culturale, artistico e naturalmente soprattutto musicale. Questo ramo della geologia tocca la formazione della crosta terrestre, il suo movimento, comprese le manifestazioni di terremoti o di vulcani, e coinvolge anche il cambiamento climatico. Tutto quindi attualissimo. Ecco perché la scelta del compositore in residence (l’inglese è d’obbligo), il giapponese Toshio Hosokawa, che tocca nelle sue opere le catastrofi del suo paese, in particolare lo tsunami e il terremoto di Fukushima del 2011. Il critico Thomas Meyer, che ha curato tutti i testi e gran parte del programma, è riuscito a parlare con Hosokawa in diretta Zoom, vista l’impossibilità dell’artista di viaggiare. Il suo stile, tra la nuova musica occidentale e quella antica orientale, può passare da soffi provenienti dalla natura a momenti di forte protesta, sebbene

Tre donne, tre destini e tre ribellioni

Nicola Mazzi

Tong Tana, Collettivo Mycelium. (© Hannah Walter)

quest’ultima sia ritenuta impotente di fronte agli immensi interessi delle grandi industrie responsabili. La Tettonica permette di affrontare anche la propulsione nascosta di fenomeni percepiti. Misteriosa è stata così la performance in un tunnel sotto il ponte Monbijou dove si registravano i movimenti terrestri sotterranei, restituiti in diretta con luci, suoni di percussione ed elettronici. Molto visibile, invece, era il rapporto con la geologia nella chiesa Nydegg, dove il gruppo di percussionisti di Peter Streiff ha eseguito il famoso Stones dell’avanguardista americano Christian Wolff, con le tipiche pietre della regione di Berna, dal colore verdino definito «svizzero militare», con cui è stata costruita anche parte della città di Berna, Palazzo federale compreso. Strumenti di percussione costruiti in pietra hanno fatto da base per lavori intrecciati con strumenti tradizio-

nali, firmati da Edu Haubensack o da Mathias Steinauer (che vive in Ticino) in un concerto al capannone di una ditta specializzata nella lavorazione di pietre. Per i concerti sono state scelte sedi di vario tipo: una torre definita stregata lungo il fiume Aar con un continuum della famosa compositrice finlandese Kaija Saariar, il Museo degli strumenti per il concerto con gli strumenti inventati dal sempre creativo clarinettista Ernesto Molinari o la Kunsthalle con un gruppo di oboi che ha eseguito le interessanti prime di Daniel Glauser e Matthias Arter. Anche la grande cattedrale, il Münster di Berna, è stata teatro di una serata di tre importanti concerti di musica contemporanea; è stata eseguita anche una Messa del rinascimentale Antoine Brumel, cantata in modo forse troppo levigato e unitario, mentre è risultato straordinario il brano dello sconosciuto Mickheil Shugliashvili per tre pia-

noforti. Deboli sono risultati musicalmente i lavori commissionati a giovani che dovevano affrontare temi quali la disuguaglianza o il cambiamento climatico, oggi ritenuti assolutamente urgenti. L’Ensemble in residence, rappresentato dall’intramontabile Quartetto Arditti di Londra è stato invitato a riproporre anche i grandi e storici quartetti di Xenakis, Ferneyhough e Clarke, che gli strumentisti, dall’impeccabile virtuosismo, hanno interpretato a un livello insuperabile. C’era molta attesa per la violinista Patricia Kopatchinskaia con il suo Dies irae, un intersecato programma di composizioni di varie epoche che ha lasciato però una certa freddezza, non tanto per il livello esecutivo che era ottimo, ma per la mancanza di una vera regia. Di molte altre proposte non abbiamo potuto parlare. Anticipiamo solo che il tema dell’anno prossimo è Schwärme («Sciami»).

Tre donne di età diversa. Tre attrici conosciute e apprezzate (Nicole Kidman, Charlize Theron e Margot Robbie) che le interpretano. Tre storie diverse, ma che hanno in comune una vicenda di abusi e molestie subìta dallo stesso uomo: il CEO di FOX News: Roger Ailes. Bombshell, nelle sale della Svizzera italiana, è questo e altro ancora. La vicenda a cui si ispira il film di Jay Roach è basata su quanto accaduto nel periodo della campagna elettorale americana del 2016 – quando Trump divenne presidente – e parte dalle accuse di molestie di una storica giornalista (Gretchen Carlson – Kidman) al patron della rete. Accuse alle quali se ne aggiunsero altre ventidue. Il film poggia su una struttura narrativa semplice ma efficace. Infatti segue le tre storie in modo parallelo e lineare, senza quasi mai sovrapporle. Sebbene vi siano momenti in cui le tre protagoniste vengono a contatto, l’unica immagine dove le vediamo insieme è quando sono in ascensore per salire dal boss. Scena significativa che simboleggia il destino comune delle tre donne. Convincenti anche le tre interpretazioni. C’è l’esperta e scafata Carlson che si vendica degli abusi; la giovanissima e

Le ventotto pietre di Salisburgo Commemorazioni Sul Festival di Salisburgo, giunto quest’anno alla sua Centesima edizione,

piovono pietre. Non quelle di una biblica lapidazione, ma al contrario, quelle sacrosante della memoria Giovanni Gavazzeni Dal 17 agosto sulla Max-Reinhardt Platz (intitolata al grande regista ebreo, padre fondatore del Festival), sono state incastonate 28 pietre commemorative in suffragio di musicisti, registi e attori che presero la via dell’esilio dopo l’Annessione dell’Austria nel 1938 o che furono assassinati nei campi di sterminio nazisti. Sono quasi 500 le pietre della memoria che nella città di Salisburgo ricordano anche altre categorie di sterminati: omosessuali, rom e sinti, testimoni di Geova, oppositori politici, reduci della guerra di Spagna, lavoratori

forzati, vittime dell’eutanasia e dell’odio, due monaci benedettini. I Ventotto di Piazza Reinhardt sono figure che hanno segnato la nascita e i primi vent’anni di vita del Festival. Fra questi compaiono nomi celeberrimi come quelli del direttore d’orchestra italiano Arturo Toscanini e del suo collega tedesco Erich Kleiber, entrambi non ebrei ma oppositori del totalitarismo nazista, fermi nella condanna della persecuzione che già umiliava con aggressioni, confische, allontanamenti chiunque appartenesse alle razze inferiori. Toscanini e Kleiber non cedettero di un passo alle blandizie del regime,

Alexander Moissi e Camilla Horn in The Royal Box, diretto da Bryan Foy, USA, 1929. (Keystone)

solidali con un altro loro collega, non meno famoso e amato a Salisburgo, Bruno Walter, «emigrato» forzato in America. Tanti celebri cantanti ebrei (Lotte Lehmann, Elizabeth Schumann, Alexander Kipnis) rimasero al Festival fino all’ultimo, poi fuggirono. Come molti membri della compagnia teatrale di Reinhardt, come l’attore Alexander Moissi, popolare fra le due guerre come Caruso e Rodolfo Valentino e ammirato da Kafka, Zweig e Werfel, primo Jedermann di Hugo von Hofmannstahl, la «moralità» teatrale che da sempre apre il Festival sulla piazza davanti al Duomo di Salisburgo. Fu vittima di una campagna denigratoria brutale: bastò cominciare a definirlo «ebreo», nonostante fosse di origine italo-albanese, nato nella Trieste austroungarica, per defenestrarlo da Salisburgo. Moissi morì nel ’35, a Vienna – alle esequie non ufficiali suonarono un Adagio beethoveniano il primo violino della Filarmonica di Vienna, Arnold Rosé e Walter. L’Italia fascista e il re Zog d’Albania offrirono una cittadinanza che arrivò tardi: le sue ceneri trovarono accoglienza nel cimitero di Morcote, secondo indicazione di Moissi che vi aveva soggiornato nelle ultime estati. Fra i nomi da non dimenticare, c’è

quello soprannominato della «spalla» della Filarmonica di Vienna, Arnold Rosé, cognato di Gustav Mahler, la cui figlia Alma violinista già affermata e coraggiosa, catturata in Francia dove suonava per sostenere il padre esule a Londra, venne assegnata dalla famigerata «Bestia» di Auschwitz, Maria Mandel, all’orchestra femminile. Morì nel ’44. Sul suo cadavere il Dr. Mengele ordinò un prelievo spinale, tanto che una compagna sopravvissuta sintetizzò la sua vita: «Gustav Mahler alla sua culla; Josef Mengele alla sua tomba». Destino che toccò a un altro membro del celeberrimo Quartetto Rosé, il secondo violino Julius Stewka, ucciso con tutta la famiglia a Theresienstadt. Il vecchio Rosé, vedovo e senza figlia, continuò a suonare durante la battaglia d’Inghilterra alla National Gallery e alla Wigmore Hall insieme al compagno di quartetto, il violoncellista Friedrich Buxbaum, anch’egli espulso a suo tempo dalla Filarmonica, dall’Opera e dal Conservatorio di Vienna. Quando Buxbaum andò sentire la Filarmonica in tournée a Londra dopo la guerra, lasciò un amaro messaggio agli ex-colleghi: «Cari amici, sono molto contento di essere stato con voi. Il suono era puro – completamente purificato dagli ebrei».

Theron, Kidman e Robbie, protagoniste di Bombshell.

ingenua Kayla Pospisil (il personaggio di Margot Robbie è l’unico inventato, ma rappresenta in modo verosimile una certa categoria di ragazze) e la star del momento Megyn Kelly (Charlize Theron), che dopo le avances subite dieci anni prima prende il coraggio di ribellarsi a un sistema dominato dal potere di un uomo forte e dove tutti sanno ma tacciono. Ci sono altri tre aspetti da evidenziare. In primis l’azzeccata descrizione del mondo televisivo americano. Un ambiente che si tiene in piedi grazie a una rigida struttura verticale dove vigono omertà e sudditanza. In secondo luogo, il gran lavoro sui costumi. Il tema dell’abbigliamento delle anchorwoman è parte fondamentale della diegesi. La lunghezza delle gonne, le gambe in vista e i tavolini di vetro sono stati centrali per far carriera alla FOX e il regista insiste su questo aspetto anche a livello estetico con una serie di tailleur da far invidia a Il diavolo veste Prada. Il terzo aspetto interessante è il ruolo, apparentemente marginale, della famiglia Murdoch, proprietaria del network televisivo, che entra in scena in modo discreto. Prima i figli che apprendono con rabbia delle accuse ad Ailes e poi l’editore Rupert. Sarà lui a dare la notizia del licenziamento all’interessato, in una discussione drammatica e coinvolgente. Infine, lo abbandoniamo, in ascensore (il luogo centrale del film), mentre riceve una telefonata da un tizio che chiama Donald…



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Cultura e Spettacoli

Coraggiosi e sinceri, come il rock Musica L a formazione dei The Killers si ripresenta piĂš in forma che mai, con un album incentrato sul tema

del grande coraggio necessario per concedersi una seconda possibilitĂ Benedicta Froelich Forse è vero, come molti sostengono, che basterebbe un’occhiata casuale alle classifiche internazionali per confermare come il buon vecchio rock americano di un tempo – quello piĂš verace e radiofonico, che tanto impazzava lungo tutto l’emisfero occidentale negli anni 80 e 90 – non rivesta piĂš lo stesso peso di un tempo, almeno per quanto riguarda le giovani generazioni. Eppure, a volte capita che il territorio statunitense riesca ancora a donare al pubblico una formazione in grado di distinguersi dalle altre, un nome capace di riportare in voga i fasti del classic rock: come i The Killers, originari di Las Vegas e sulla breccia fin dal 2003, che, da sempre veri artisti delle cosiddette ÂŤoperazioni nostalgiaÂť, si confermano abilissimi nel rispolverare sonoritĂ smaccatamente anni 90. Lo dimostra anche questo nuovo Imploding the Mirage, il quale, oltre al sound vintage, ripropone lo stratagemma dell’evidente ÂŤfilo rossoÂť narrativo a legare le storyline di piĂš canzoni (giĂ impiegato fin dagli esordi della band, iniziando con la hit Jenny Was a Friend of Mine). E se entrambi i singoli di lancio – Caution, glorioso inno rock che manderĂ senz’altro in visibilio i fan di vecchia data, e l’altrettanto ritmato ed epico My Own Soul’s Warning – sono legati dai temi e personaggi ricorrenti presentati nei due criptici videoclip, lungo l’intero album ritroviamo anche

Sono in attivitĂ da quasi vent’anni, ma questo è forse il loro album migliore.

l’immaginario tipicamente americano del frontman Brandon Flowers, sospeso tra personaggi disperati che si vergognano di appartenere alla cosiddetta white trash a stelle e strisce, e ragazze disilluse costrette a trascinare un’esisten-

za avvilente nel bel mezzo del deserto. Allo stesso tempo, rivive qui anche il tema chiave da sempre caro ai The Killers: l’antico anelito verso qualcosa di migliore – la giovanile e istintiva irrequietezza che, alimentata dalla disul-

lusione, porta a insistere nel disperato tentativo di recuperare il filo smarrito di una vita ormai in bilico. E se i due singoli prescelti come ÂŤbiglietto da visitaÂť di Imploding the Mirage poco si discostano dai martellanti e irresistibili pezzi rock tipici della band, in realtĂ il CD offre ben piĂš di questo; vi sono infatti anche ballatone esistenzialiste di ampio respiro e dalle atmosfere quasi cinematografiche, come le trascinanti When the Dreams Run Dry e Lightning Fields, senz’altro tra i pezzi migliori del disco. Ăˆ vero, forse non vi sono grandi sorprese in quest’album: i Killers ripropongono la formula che li ha resi celebri e amati, senza avventurarsi in terreni troppo inesplorati – e se da un lato gli appassionati saranno senz’altro felici di un album dal sapore cosĂŹ autentico e inadulteratamente rock, altri potrebbero rimanere delusi dall’apparente mancanza di audacia di Brandon e colleghi. Eppure, nel caso di Imploding the Mirage la fedeltĂ a una formula nota quanto efficace ha risvolti perlopiĂš positivi: vi è infatti qualcosa di rinvigorente, e perfino toccante, nell’energia quasi adolescenziale dei The Killers – i cui membri, ormai raggiunti i quarant’anni di etĂ anagrafica, rimangono assoluti maestri nell’arte di tratteggiare non solo l’inquietudine giovanile, ma anche la ben piĂš subdola sensazione di smarrimento che s’impadronisce dell’anima nel momento in cui ci si rende conto di come i propri sogni non si siano mai avverati, e della velocitĂ con cui l’impietoso

scorrere del tempo rischia di condurre verso la totale disillusione. La paura del fallimento, e la sua lotta costante con la spinta a compiere il ÂŤsalto nel vuotoÂť e tentare il tutto per tutto, divengono cosĂŹ il fulcro tematico dell’intero album: e l’elemento del rischio volontario, e della sua rilevanza in chiave esistenziale, è dipinto con ammirabile sintesi attraverso metafore spesso toccanti – come accade nel giĂ citato Caution e, soprattutto, nei fenomenali Fire in Bone e My God, inni alla piena liberazione che solo il coraggio dell’amore piĂš profondo può infondere in un uomo. Lo stesso sentimento si ritrova, del resto, anche nella vibrante Running Towards a Place e nella scanzonata title track del CD; facendo sĂŹ che perfino i brani dalla personalitĂ meno spiccata (come Dying Breed e Blowback) riescano a catturare l’attenzione dell’ascoltatore, e permettendo al disco di vantare il raro privilegio dell’assenza di reali riempitivi – in parte anche grazie alle comparsate eccellenti di guest artists quali Lindsey Buckingham e k.d. lang. Soprattutto, però, i The Killers si confermano una volta di piĂš come una delle rare perle preziose nel panorama a tratti scialbo dell’attuale scena rock targata USA: di fatto, Imploding the Mirage non è soltanto l’album forse piĂš uniforme e riuscito mai inciso dalla formazione, ma anche uno dei dischi maggiormente sinceri e onesti di questa ricca stagione discografica 2020. E non è cosa da poco. Annuncio pubblicitario

Quell’oceano che ci unisce Festival Babel, appuntamento letterario

bellinzonese, torna per la 15esima volta Simona Sala Avrebbe dovuto chiamarsi Americana e avrebbe dovuto ospitare scrittrici da tutte le Americhe. Ma poi, come è capitato ovunque, è arrivata la pandemia, e il mondo si è fermato. Fra gli operatori culturali vi è chi, al cospetto di incertezze e misure draconiane, ha deciso di semplicemente rinviare tutto all’anno prossimo, e chi invece ha raccolto la sfida, decidendo di provarci ugualmente. Di quest’ultima categoria fa parte anche il comitato organizzativo del festival di letteratura e traduzione Babel, giunto alla quindicesima edizione, che ha scelto di reinventarsi completamente, pur di ossequiare il proprio primario mandato divulgativo. Americana è dunque diventato Atlantica, in onore dello specchio d’acqua (quello che gli americani, con un certo sarcasmo,

chiamano anche ÂŤThe PondÂť), che separa le Americhe dalla vecchia Europa. Una sorta di No Man’s Land che bagna due storie e due culture molto piĂš intrinsecamente vicine di quanto si possa (o voglia) pensare. Il Festival bellinzonese Babel ha dunque mutato in risorsa quella che per mesi è stata una limitazione, trasformando l’Atlantico in una sorta di terra di scoperta, restando cosĂŹ nel solco di una tradizione che ha abituato il fedele pubblico a un programma variegato e stimolante. GiovedĂŹ 17 settembre si comincia con la fumettista francese Emilie Plateau, che non avrebbe potuto scegliere un momento storico piĂš propizio per pubblicare il suo Nera, storia dell’attivista afroamericana dimenticata Claudette Colvin (v. ÂŤAzioneÂť 6 gennaio 2020); con lei dialogherĂ Juliane Roncoroni. Nei giorni successivi fino a domenica le giornate saranno scandite da preziosi omaggi alle lettere, attraverso incontri e riflessioni con scrittori, attrici, traduttrici e poeti. Si parlerĂ di razzismo intorno a una tavola rotonda la domenica mattina, e di quanto la scrittura di Peter Stamm sia vicina a Hemingway sabato pomeriggio, si ricorderĂ la ticineseargentina Alfonsina Storni (che condivide la propria nazionalitĂ con AnahĂŹ Traversi, presente con una performance) e si parlerĂ di Messico con Juan Pablos Villalobos, che vive ÂŤda questa parteÂť, in Spagna. Insomma, un oceano di stimoli. Dove e quando

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 settembre 2020 • N. 38

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Cultura e Spettacoli

Uno spazio sonoro

L’impareggiabile emozione di esserci

Teatro di Banco Il percussionista ticinese Ivano Torre inaugura

un nuovo momento della sua carriera musicale, rilevando la gestione di una sala storica del Malcantone. L’abbiamo intervistato

Festival L a Bâtie si è chiusa il 13 settembre

Alessandro Zanoli

Giorgia e Muriel Del Don

Chi segue la scena musicale del nostro cantone non può non attribuire a Ivano Torre, idealmente, la Palma d’oro dell’impegno creativo. La sua è da decenni un’attività a 360 gradi, che spazia dalla performance alla didattica, dall’elaborata attività di composizione all’improvvisazione pura, dall’arte figurativa alla gastronomia e all’enologia. Un ventaglio di modi di esprimere le proprie passioni e convinzioni artistiche (ma anche psicologiche e filosofiche), nel fulcro del quale c’è la sua personalità generosa, caparbia e senza compromessi. Tutto questo che, riprendendo il suo amore per i giochi di parole chiameremo giocosamente «Mondo di URT», si arricchisce ora di una nuova esperienza. Con il suo consueto entusiasmo e la sua voglia di mettersi in gioco, Torre ha deciso recentemente di prendere in mano il vecchio Teatro di Banco, luogo storico della creatività del Malcantone, passato attraverso varie esperienze e fisionomie nel corso degli anni, a seconda dei suoi vari gestori, e ora approdato a una nuova rinascita. «Conoscevo il Teatro per esserci stato anni fa, due o tre volte come musicista» ci racconta. E arrivarci invece come gestore? «Quando ho deciso di prenderne la gestione, la prima cosa che ho fatto è stata una ricerca storica per vedere come era stato costruito. L’ho studiato insieme a un amico architetto di Zurigo E ripercorrendo i passi della sua costruzione abbiamo notato varie cose interessanti». La nuova fisionomia del Teatro quindi cerca di rispettarne la vocazione originaria: «Ad esempio il palco: è stata un’aggiunta fatta in anni relativamente recenti. È la prima cosa che ho tolto. L’ho sostituito semplicemente con una predella. È il palco che ho ricavato dai segnali che mi ha dato il teatro». Le ricerche di Torre hanno prodotto risultati che considera significativi: «Alla fine dell’800, quando è stato costruito, lo stesso Malcantone era una regione piena di teatri. Ogni comune aveva il suo. Addirittura a Banco ce n’erano due, quello dei conservatori e quello dei liberali; la cosa divertente è che si trovavano a 20 m di distanza l’uno dall’altro. Con il passare del tempo molti sono stati chiusi e quello di Banco è uno dei pochi sopravvissuti. Trovo tutto questo il segno di un’esigenza di espressione artistica molto sentita, molto importante per la storia del Malcantone». Non va dimenticato che Torre è reduce dall’attività di gestore di un altro

Decostruire per ricostruire, questo è il mantra pronunciato più volte da Claude Ratzé, direttore del sempre accattivante festival pluridisciplinare di Ginevra La Bâtie. Una presa di posizione necessaria per permetterci ancora di sognare malgrado l’imperativo del distanziamento sociale. Coniugare, in un contesto distopico come quello che stiamo vivendo, caratteristiche proprie a un festival delle dimensioni di La Bâtie (un’affluenza massiccia di pubblico, artisti internazionali, e spostamenti intercomunali e transfrontalieri) e imperativi sanitari sono le sfide che attendono ogni operatore/rice culturale. Quello che è certo è che, sebbene stravolta, adattata e ricostruita, la versione 2020 e Covid-compatibile del festival ginevrino non ha perso nulla del suo carattere sperimentale, audace ed emozionante; un’emozione che si è letta sui volti degli artisti che l’hanno animata. Mai come quest’anno gli occhi hanno brillato e le mani hanno tremato dalla gioia di ritrovare la scena, il solo luogo che molti artisti possono chiamare casa. È lì infatti che le vere barriere cadono per dare spazio a quella parte oscura di noi stessi che abbiamo tremendamente bisogno di lasciar esprimere. Se per tanti le pressioni sociali erano già numerose prima della pandemia, oggi queste diventano davvero insopportabili, come se le crepe che già esistevano si fossero allargate pericolosamente, lasciando scoperta la parte più vulnerabile di noi. È proprio affinché queste crepe possano schiudersi in modo costruttivo che festival come La Bâtie devono esistere. Durante diciassette giorni scanditi dal ritmo di cinquanta avvenimenti (teatro, danza e performance, visto l’annullamento, all’ultimo minuto, della quasi totali-

reinventandosi in modo emozionante

L’artista e il suo strumento. (Stefano Spinelli)

spazio artistico assai originale, lo «Spazio culturale temporaneo» di Bellinzona. «La sua storia si è chiusa in modo abbastanza brusco con l’inizio del Covid. Per me era impossibile continuare le lezioni con gli allievi e non potevo continuare a pagare l’affitto di quel po-

sto. È stata comunque un’esperienza incredibile, durata vent’anni esatti, in cui ho organizzato 360 eventi. In parte da solo e in parte, per qualche anno, con Amit». La differenza tra le due esperienze? «Direi proprio che riguarderà l’aspetto acustico. L’acustica del Teatro di Banco è veramente particolare e ci ho lavorato molto. Ho arredato la sala con delle tende fonorifrangenti, il palco stesso usa delle soluzioni particolari. La programmazione della sala poi, darà risalto a situazioni acustiche. Il genere sarà naturalmente di tipo jazz, con poca amplificazione. Anch’io mi metterò a improvvisare, ascoltando che cosa esce dalla batteria. Evidentemente l’improvvisazione risente del luogo in cui è effettuata. È quello che succede normalmente quando ci si presenta in un luogo nuovo, il quale ti trasmette delle emozioni che poi ritrovi in musica». Ora per gestire tutto questo, Ivano Torre ha creato un’associazione. «Si chiama Associazione Teatro di Banco; chi fosse interessato può per ora fare riferimento al mio sito web Ivanotorre.ch che ha una sezione dedicata. Come per altre iniziative di questo genere ci sono varie modalità di sostegno in quanto soci, con varie quote di partecipazione possibili». L’attività del nuovo Teatro di Banco è iniziata proprio lo scorso weekend e continuerà nei prossimi mesi concentrandosi in vari finesettimana: la programmazione musicale sarà affiancata da mostre, performance, degustazioni, proiezioni, letture. Un cartellone ricchissimo che manterrà la tradizione creativa della sala, ma ancora di più il dinamismo e la volontà di ricerca artistica di Ivano Torre.

Il programma Ottobre

3 – 19.00 Cena tesserati: Ferloni, Fanzaga, Torre; 9 – 23.00 Suoni nel silenzio: Gong con Ivano Torre; 17 – 19.00 Cena Documentario: Paolo Lehner, Elena Weber; 18 – 11.00 Jazz matinée: Soul Jazz feat. Ivano Torre; 23 – 21.00 Concerto Dessert: Duo Moccia Pagano. Novembre

1 – 11.00 Aperitivo e letture: Margherita Coldesina; 7 – 21.00 Concerto: Ivano Torre e ospite danzante; 21 – 21.00 Improvvisazioni: Duo Nartoni Torre; 29 – 11.00 Jam Session: Giglio Trio. Dicembre

5 – 21.00 Don Giovanni: Achille Giglio e Andrea Raffo; 12 – 21.00 Virulenta: Mariangela Martino; 19 – 19.00 Cena tesserati: Quartetto Erra; 26 – 10.00 Colazione e conferenza: Mathieu Mancarella; 31 – 19.00 La Nicchia: Giulia Fonti.

L’artista giapponese Michikazu Matsune. (M. Pramatarov)

tà dei golosi concerti previsti), artisti e pubblico hanno potuto esprimere la propria fragilità che si è trasformata nel leitmotiv dell’edizione 2020. Ad aprire le danze è stato il magnetico coreografo statunitense Trajal Harrell con un assolo: Dancer of the Year, estremamente personale ed emozionante. Libero dalla provocazione che marca a fuoco i suoi lavori, Dancer of the Year si concentra sull’essenziale: le sensazioni che attraversano il corpo mentre danza, mentre si appropria dei gesti, dei costumi e delle mimiche dei propri personaggi, estranei eppure parte di noi. Dopo aver ricevuto, nel 2018, il titolo di ballerino dell’anno dal prestigioso magazine «Tanz», il coreografo è stato assalito da una valanga di interrogativi che hanno dato vita a una danza intima e maestosa, personale e impregnata di un’eredità antica. Con Dancer of the Year, Trajal Harrell rimescola le carte della propria carriera, confonde le piste facendoci allontanare da ogni forma di dualità: di genere, razziale, sociale. Un assolo attorniato dai decori barocchi del magnifico Grand Théâtre di Ginevra. Solo su una scena che occupa interamente, ritroviamo anche il maestro del flamenco contemporaneo Israel Galván. Con il suo Solo, ma soprattutto attraverso il suo intrigante El amor brujo, capolavoro (stravolto) del patrimonio culturale iberico, il ballerino spagnolo ci propone una danza lontana anni luce dai clichés che la imprigionano. Vestendo i panni della gitana Candela, Israel Galván ci regala l’essenza stessa del flamenco: universalmente forte e fiera. Terzo rappresentante d’una mascolinità finalmente libera dai vincoli di una sterile virilità, il giapponese Michikazu Matsune con un one man show (Goodbye) squisito e violento, durante il quale legge una serie di lettere d’addio: da quella di Kurt Cobain fino ad arrivare alle diciotto pagine di consigli che l’imperatrice Maria Teresa d’Austria dà a sua figlia Maria Antonietta sul punto di sposarsi e dalle quali, ironicamente, il performer ci preserva. Ciliegina sulla torta di un’edizione all’insegna dell’emozione, le immancabili passeggiate nel cuore del verdeggiante bosco della Bâtie hanno permesso a cinque gruppi di spettatori di gustare cinque mini concerti (di quindici minuti) di gruppi folk svizzeri: gli zurighesi Alas The Sun e Kush K, i ginevrini Prune e Quiet Island e la losannese Billie Bird. Un momento davvero magico di comunione con la natura che ci fa sperare in un futuro pieno di eccitanti e catartici momenti condivisi. Annuncio pubblicitario

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Cultura e Spettacoli

Frammenti di sogni

In scena Il giro di giostra di Daniele Finzi Pasca, come un incantesimo Giorgio Thoeni

È stato come intingere una madeleinette nel tè di tiglio e ritrovare il sapore del tempo perduto. L’allusione a uno dei passaggi della Recherche di Marcel Proust, entrato di diritto nei luoghi comuni letterari più celebri, ci sembra pertinente. Anche se non sappiamo se Daniele Finzi Pasca si sia ispirato alle pagine di Dalla parte di Swann… Certo è che l’effetto provocato dal celebre dolcetto francese possiamo paragonarlo ai venti minuti che trascorrono in un battibaleno con Luna Park – Come un giro di giostra, la produzione-madeleinette che da pochi giorni ha visto il debutto fra le quinte e sul palco del LAC, quasi come un segnale di rinascita teatrale dopo il buio forzato degli scorsi mesi. Luna Park è uno spettacolo nato in residenza questa estate, circondato dai protocolli del confinamento che hanno obbligato la compagnia a dover rinunciare a mettere in scena un nuovo progetto e a cancellare prestigiosi appuntamenti in agenda come le tournées mondiali previste per spettacoli molto attesi e già consolidati. Una situazione di emergenza che non ha però messo a tacere la creatività del nucleo fondatore della compagnia. Anzi, l’ha spronata a trovare nuove risposte artistiche adatte alla situazione che stiamo vivendo e che sta ancora in gran parte mettendo in ginocchio il mondo dello spettacolo. E, come sempre, basta un’idea, una semplice idea. In questo caso nata

facendo di necessità virtù e realizzando uno spettacolo-installazione che potesse mantenere e preservare le caratteristiche e lo stile delle proposte riflettendo su come avvicinare quando bisognerebbe allontanare… Fortemente suggestivo, Luna Park è come un viaggio fra i ricordi e le emozioni di spettacoli a cui la compagnia diretta dall’artista luganese ci ha abituati nel corso di questi anni con una poetica dal grande impatto suggestivo e simbolico. È uno spettacolo immersivo e narrativo, da vivere direttamente sul palco a pochi passi dagli attori. Gli spettatori, a turni di venticinque per volta, entrano guidati da un cicerone che introduce il viaggio, un breve itinerario che dalle coulisse del teatro si avventura sul grande palco lungo un percorso dietro il sipario. È la storia di una famiglia degli anni Cinquanta che parte in vacanza su una berlina d’epoca. L’atmosfera allusiva è quella della rinascita, come di chi ha vissuto il dopoguerra, con un dichiarato senso di leggerezza, di spensieratezza e di svago, la stessa linfa che alimenta la filosofia di Finzi Pasca e il suo teatro della carezza in cui aleggia sempre un principio di intimità. Quella dei primordi, quella che trent’anni fa riuniva il nucleo originario della Compagnia attorno a un Rituale che avrebbe dettato la cadenza di un vortice creativo senza precedenti. Il percorso di questo Giro di giostra è delimitato ai lati da oggetti: dai grandi bauli da viaggio, a una fila di luci al neon, a costumi di scena, citazioni scenografiche tratte da spettacoli passati, tracce d’emozioni vissute, immagini sospese,

Nostalgia ed emozione con il Luna Park di Daniele Finzi Pasca.

qualche effetto fumogeno, piccoli dischi che piovono dall’alto come fiocchi di neve luccicante e un pulsante rosso, da pigiare come per violare un passaggio proibito. Il tutto avvolto dall’atmosfera sonora onirica di Maria Bonzanigo e immagini proiettate in bianco e nero su un grande schermo. Come una sorta di nostalgico omaggio al neorealismo ma anche al magico mondo di Fellini, ai suoi fantastici sogni. Come per la macchina al centro del palco, immobile vettore del cuore di questa avventura, a cui il pubblico

può avvicinarsi per seguire un racconto (Melissa Vettore) o assistere a evoluzioni acrobatiche (Jess Gardolin) sbirciando la figura di un impassibile conducente (Marco Finzi). Gli odori sono potenti. Io potrei innamorarmi ad occhi chiusi…, e se il profumo fosse buono, resterei innamorata anche aprendo gli occhi. Ecco la nostra madeleinette spuntare dal testo recitato, un assemblaggio poetico di immagini, di ricordi e evocazioni a cui risalire per ritrovare il senso e l’anima di spettacoli passati.

Il programma di sala sottolinea che lo spettacolo è destinato a un pubblico a partire dai tre anni. Forse è anche per questo che quando finisce il nostro turno e usciamo ci sentiamo come bambini e abbiamo voglia di rivederlo perché, come al Luna Park, un solo giro di giostra non è mai bastato. In effetti, abbiamo la sensazione di aver perso qualcosa, come usciti da un incantesimo avvertiamo di aver trascurato qualche momento prezioso. O di aver lasciato per strada qualche frammento di sogno. Annuncio pubblicitario

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Cultura e Spettacoli

Raccontare il mondo anche senza glamour

PRO SENECTUTE

informa

Venezia/1 Grande voglia di ripartire nel settore del cinema,

ma i film più interessanti si trovano nelle sezioni parallele

Novità Ripresa corsi e sport per «over 60» Dal fine settembre/inizio ottobre riprenderanno, con le limitazioni necessarie, i corsi del Creativ center. Sarà possibile iscriversi alle attività di movimento varie (ginnastica, ginnastica dolce, nordic walking, acqua-fitness, danza popolare) oppure ai corsi legati alle nuove tecnologie, ai corsi di lingua e a tanto altro ancora. Il programma, sarà adattato alle disposizioni legate alla situazione sanitaria. È già possibile chiedere informazioni telefonando al Creativ Center: 091 912 17 17

Nicola Falcinella Red carpet e assalti alle star rinviati, possibilmente, all’anno prossimo: è stata una 77° Mostra del cinema di Venezia rigorosamente all’insegna di mascherine e distanziamento. Un festival, il primo grande a livello internazionale dopo l’interruzione per il coronavirus, all’insegna della ripartenza del settore, nonostante l’atmosfera strana e diversa dall’abituale: niente folle, poco glamour, meno ospiti e presenze. Una manifestazione ridotta all’essenziale ma viva e ben organizzata. Il bilancio di quanto visto non è entusiasmante, soprattutto per le pellicole in corsa per il Leone d’oro, mentre fuori competizione sono state presentate opere molto significative. Tra i migliori della gara il russo Dear Comrades! di Andrei Konchalovski e il giapponese Wife of a Spy di Kurosawa Kiyoshi. Il primo ricostruisce una vicenda tenuta segreta in epoca sovietica avvenuta nel 1962: l’aumento dei prezzi e l’abbassamento del salario provocano lo sciopero dei lavoratori di una fabbrica di locomotive, un fatto inconcepibile in una società comunista, tanto che Mosca invia dirigenti di primo piano, il Kgb e l’esercito per riportare la normalità. Qualcuno sparerà sulla folla provocando morti e feriti e le autorità cercheranno di nascondere. Una bella ricostruzione storica e un efficace ritratto dell’epoca di Chruscev e delle contraddizioni della destalinizzazione. Tra dramma storico e spionaggio, con una spolverata di melodramma, si muove Kurosawa, che nel 1940 segue un commerciante di seta che scopre i crimini di guerra operati dall’impero nipponico e cerca di denunciarli. Dapprima la moglie fatica a credergli, poi ne sposa la causa in un intrigo dove anche il cinema ha un ruolo importante. Sempre dall’Oriente viene Love After Love della cinese Ann Hui, che ha ritirato il Leone alla carriera (un altro è andato all’attrice Tilda Swinton) per un’attività quarantennale non abbastanza conosciuta in Occidente, premiata a Venezia nel 2011 per A Simple Life. Il nuovo lavoro è un sontuoso melodramma nella Hong Kong di fine

Sondaggio sulla mobilità delle persone anziane Senior-lab Si tratta di un sondaggio su scala nazionale permetterà di meglio comprendere le esperienze e le attese delle persone anziane in merito ai loro spostamenti fuori domicilio. Una buona partecipazione da parte della popolazione ticinese over 65 potrà fornire indicazioni interessanti per questo importante tema. Per partecipare trovate il link sul nostro sito www.prosenectute.org

Still da Love After Love della cinese Ann Hui.

anni 30. La studentessa Weilong è ospitata dalla ricca zia vedova, che conduce un’esistenza equivoca, e si innamora del playboy George. Una pellicola venata di nostalgia (anche per la libertà di cui si godeva nell’allora colonia inglese, e anche per questo molto attuale), che esplora l’amore in diverse declinazioni e si interroga sul ruolo delle donne. Ancora un’ambientazione del passato per One Night in Miami dell’attrice Regina King. La notte del titolo è quella che, nel 1964, segue la conquista del titolo di campione del mondo dei pesi massimi da parte di Cassius Clay. Anziché festeggiare, il pugile si ritrova in un motel con Malcom X, il giocatore di football (e futuro attore) Jim Brown e il cantante Sam Cooke. Per tutta la notte si confronteranno su diritti civili, impegno politico, religione (Clay si è appena convertito all’islam) e musica. Il film decolla quando i quattro sono insieme, lasciando uscire le personalità dei protagonisti, la complessità dei temi e il fascino di un’epoca di cambiamento. Grande nome fuori gara il novantenne documentarista statunitense Frederick Wiseman, che in City Hall mostra il funzionamento del municipio della città di Boston, dal lavoro del sindaco democratico, Marty Walsh, a tutti i dipendenti e i settori, nella scuola, la polizia o

le opere pubbliche. Quattro ore e mezzo ben spese per entrare dentro l’istituzione, dargli volti e rendersi conto che la buona politica può ancora cambiare le cose, migliorare le condizioni di vita dei cittadini e ridurre le diseguaglianze. Nella sezione parallela Orizzonti spicca Nowhere Special dell’italo-inglese Uberto Pasolini, già noto per Still Life, il film più commovente della Mostra. John è un trentenne lavavetri, che cresce da solo un bambino di quattro anni. L’uomo è malato terminale e, con i servizi sociali, cerca una famiglia cui affidare il piccolo Michael e garantirgli un buon futuro. Un’opera senza fronzoli e delicata, profondamente umana, con un bambino meraviglioso che guarda il mondo intorno a lui in modo perplesso e già disincantato. Infine coproduzione Italia – Svizzera il documentario Guerra e pace di Massimo D’Anolfi e Martina Parenti, che riflettono in quattro capitoli sul rapporto tra immagini e guerra, filmando dentro le Cineteche di Roma e Losanna, l’unità di crisi del ministero degli Esteri italiano e i centri di addestramento della Legione straniera in Francia. Un lavoro stimolante sul senso del filmare e il significato delle immagini, oltre all’affermazione del loro ruolo di testimoni del passato.

Attività e prestazioni – Docupass Con questo documento mettete per iscritto i vostri desideri, le vostre esigenze e le vostre aspettative per i casi di emergenza. Offriamo consulenza per compilare il dossier previdenziale e durante l’anno scolastico anche incontri informativi. Corsi strutturati in un incontro di 2 ore a livello regionale. Le date dell’autunno sono già disponibili. Telefonare al centralino per informazioni. – Mangiare sano Pasti a domicilio in tutto il cantone: per un’alimentazione sana ed equilibrata a casa propria. Il nostro centro di produzione pasti di Lugano-Besso è disponibile per organizzare catering a enti, scuole e privati, con servizio regolare oppure per eventi particolari – Smartphone e Tablet offriamo corsi adatti alle persone «over 60» per avvicinarsi a questo tipo di dispositivi. Utilizzare questi mezzi permette di scoprire interessanti opportunità, sia per comunicare che per ricercare informazioni. Con i nostri insegnanti qualificati si impara in maniera graduale e in sicurezza.

Omaggio a Ferragamo Venezia/2 Presentato fuori concorso il documentario

di Luca Guadagnino su Salvatore Ferragamo

Shoemaker of Dreams sembra una calzatura fatta su misura dallo stesso Ferragamo. È piacevole e delicato, con un pizzico di fantasia data dalle interviste ai membri della famiglia Ferragamo e a un Martin Scorsese divertente e divertito che snocciola interessanti aneddoti sulla storia americana. Un documentario sul quale il regista di Chiamami col tuo nome stava lavorando da diversi anni e al quale tiene parecchio. Guadagnino ripercorre la storia affascinante e avventurosa di un genio italiano di un’altra epoca, in cui qualità, cura dei dettagli e grande lavoro venivano ancora premiati. Siamo all’inizio del secolo scorso e il giovanissimo Salvatore, dopo essere partito da un piccolo paese, Bonito (in provincia di Avellino), va a lavorare prima a Napoli e quindi a New York, dove si farà un nome. Tanto che fabbricherà le scarpe di molte star hollywoodiane. Diversi gli aspetti che la mano si-

Ferragamo in uno still del documentario Shoemaker of Dreams.

cura di Guadagnino fa emergere. In particolare il lato imprenditoriale e quello scientifico di Ferragamo. Come ricordano anche i figli e la moglie, Ferragamo non aveva paura di rischiare per quello in cui credeva. Anche quando finì in bancarotta, a causa del crollo della Borsa nel 1929, grazie alla sua

tenacia ricostruì un impero che resiste ancora oggi. Il lato scientifico viene invece messo in luce dai diversi studi sul piede e dai brevetti che depositò. Dopo la sua morte, nel 1960, fu la moglie Wanda a prendere in mano le redini dell’azienda, trasformando Ferragamo in una maison di moda conosciuta in tutto il mondo. Un’azienda che si è sviluppata nel tempo grazie anche ai sei figli e ai ventitré nipoti. Un’ultima curiosità. Il legame di Guadagnino con la moda è un fatto conosciuto nell’ambiente. E come ha detto in conferenza stampa «ho imparato ad amarla osservando il guardaroba di mia madre e quello di mia zia. Per me la moda ha sempre avuto la capacità incredibile di anticipare i desideri, persino di crearli». Un connubio, quello tra il cinema e la moda, nato nella notte dei tempi e che negli anni si è sviluppato e al quale hanno partecipato in modo importante Ferragamo e Guadagnino. Il primo con le scarpe, il secondo con le immagini.

Contatto: Pro Senectute Ticino e Moesano Via Vanoni 8/10, 6904 Lugano Tel. 091 912 17 17 – info@prosenectute.org Le nostre sedi regionali si trovano anche a: Balerna, Bellinzona, Biasca e Muralto Informazioni su tutti i servizi su: www.prosenectute.org Seguiteci anche su Facebook! Annuncio pubblicitario

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Decorazioni da spargere Patissier, assortite disponibili in rosa o blu, per es. rosa, 115 g, offerta valida fino al 28.9.2020

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Triple Choco Chunks Patissier 160 g, offerta valida fino al 28.9.2020

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Articoli vegetariani e vegani

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Tutte le bevande Migros Bio non refrigerate (prodotti Alnatura, Alnavit, Biotta e Aproz esclusi), per es. succo d'arancia, 1 l, 2.80 invece di 3.50

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Red Bull Energy Drink o Sugarfree, 24 x 250 ml, per es. Energy Drink

scaloppina di Quorn con mozzarella e pesto o Vegetable Burger Viva, per es. scaloppina di Quorn con mozzarella e pesto, 2 x 240 g, 9.70 invece di 13.–

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09.09.2020 19:39:28


Dolce

Per veri golosoni

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Popcorn al caramello M-Classic in conf. speciale, 240 g

Petit Beurre Frey al latte, alle nocciole o Crémant, per es. al latte, 133 g, 3.10, offerta valida fino al 28.9.2020

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Zampe d'orso Choco 250 g, offerta valida fino al 28.9.2020

Tutti i praliné in scatola Frey e i praliné Adoro Frey, UTZ (confezioni multiple escluse), per es. praliné Prestige, 132 g, 7.80 invece di 9.80, offerta valida fino al 28.9.2020

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Saure Glühwürmchen Trolli in conf. speciale, 1 kg

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09.09.2020 16:12:56


Fiori e giardino

L e t a nt oa tav ole t mat e di c iocc t e c on i c r o l at o Pe t it B occ ant i e ur r e s

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Biscotti Choc Midor Rondo o Rocher, per es. Rocher, 3 x 100Â g, 6.70 invece di 10.05

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Frittelle autunnali alla spelta con zucchero vanigliato 80 g, offerta valida fino al 28.9.2020

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Mini rose M-Classic, Fairtrade mazzo da 20 pezzi, disponibili in diversi colori, lunghezza dello stelo 40 cm, il mazzo, per es. rosa

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Varie

Fantastiche offerte per te e per i tuoi amici a quattro zampe

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Tutto l'assortimento di biancheria da uomo DIM Maglia a maniche lunghe Keep Warm Ellen Amber disponibile in nero, bianco o antracite e in diverse misure, per es. nero, tg. S/M, il pezzo, offerta valida fino al 28.9.2020

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Tutti i detersivi Total per es. Color, 2,475 kg, 7.95 invece di 15.90, offerta valida fino al 28.9.2020

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Ferro da stiro a vapore Braun TexStyle 3 SI3041 GR SuperCeramic, serbatoio dell'acqua da 270 ml, potenza 2350 W, getto di vapore 150 g/min., pronto per l'uso in 35 secondi, il pezzo, in vendita solo nelle maggiori filiali

Detersivi per i piatti Handy

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Maglietta o tight da uomo John Adams Keep Warm disponibili in diversi colori e misure, per es. maglietta, nera, tg. S/M, il pezzo, offerta valida fino al 28.9.2020, in vendita solo nelle maggiori filiali

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per es. reggiseno Sublim beige, taglia 75 B, il pezzo, 23.95 invece di 39.95, in vendita solo nelle maggiori filiali

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Impermeabilizzante per tessuti Total 250 ml, offerta valida fino al 28.9.2020

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Bellezza e cura del corpo

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Schiuma da barba o gel da rasatura Gilette e Satin Care Borsette da donna disponibili in diversi colori e modelli, il pezzo, offerta valida fino al 5.10.2020

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Lame di ricambio Gillette Fusion5 5 pezzi, con rasoio gratuito, il set, offerta valida fino al 28.9.2020

Rasoio usa e getta Gillette Simply Venus 2 8 pezzi, offerta valida fino al 28.9.2020

Tutto l’assortimento di lettiere per gatti Fatto per es. Plus, 10 l, 5.65 invece di 7.10

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Assorbenti o salvaslip Molfina

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Novità You.

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Tutte le mele, sfuse per es. Gala, dolci, Svizzera, al kg, offerta valida dal 17.9 al 20.9.2020

Pancetta da grigliare affettata TerraSuisse in conf. speciale, in selfservice, per 100 g, offerta valida dal 17.9 al 20.9.2020

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Proteinballs Cranberry You 120 g, offerta valida fino al 21.9.2020

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