edizione
MONDO MIGROS
Pagine 4 – 5
SOCIETÀ
Tra le tante sfide ambientali, anche la messa in sicurezza e il ripristino delle coste marittime europee
Pagina 14
TEMPO LIBERO
La retorica è per la scrittura ciò che la luce è nella fotografia: occorre saper gestire bene quella artificiale
Pagina 17
Il grande ritorno dello zampino del diavolo sul San Gottardo
ATTUALITÀ Pagina 29
La Napoli dei Quartieri Spagnoli
Intervista a Paola Tripoli, direttrice artistica del FIT che parte il 29 settembre con la nuova edizione
CULTURA Pagina 45
Pagine 20-21
Con un occhio buono e un occhio cattivo
Carlo Silini
Latrati d’ogni tipo s’innalzano attorno ai migranti. Latrati, perché c’è qualcosa di animale e di intimamente ferito che urla prima, durante e dopo gli sbarchi a Lampedusa e in ogni terra emersa, su cui – se ci arrivano – arrancano i corpi sfibrati dei cercatori di vita, anche solo qualche boccata di vita, l’illusione di respirarla, braccati dalle bombe e dai coltelli, dagli arruolatori di bimbi guerrieri, dalle mani callose di uno sposo che porta nel talamo una bambina ignara, dalla miseria che incenerisce il futuro, dalla tortura che spezza le ossa ed estorce denaro. Tutti santi perseguitati? Tutti furbetti o criminali? Donne e uomini in fuga. Persone come noi. Punto. È l’urlo asciutto di chi si spegne nel deserto, buttato giù dai furgoni corsari che attraversano l’Africa tra nuvole di polvere puntando ai Paesi costieri da dove s’imbarca la fantomatica nave dei sogni. Salvo che, transitoriamente, non ci scoppino terremoti o non vengano devastati dal-
le alluvioni. L’urlo digrignante dei passatori che premono la lama sul collo perché i soldi non bastano, ma poi, «dài tesoro, che ci si può arrangiare: sei giovane, bella...» (se avete nervi saldi andate a leggervi il reportage di martedì scorso di «Le Monde» sugli stupri delle migranti arrivate a Marsiglia). Sono le grida mute degli annegati, quasi 300 solo i bambini consegnati dalle burrasche ai fondali e alle alghe del Mediterraneo dall’inizio del 2023.
Ci sono anche le urla più gioiose di chi alla fine «ce la fa», sbarca sul serio, scende a uno a uno, in infradito, i gradini arrugginiti della bagnarola sulla quale è rimasto pigiato, impaurito, minacciato, gli si sono anchilosati gli arti per il freddo, o ha addirittura partorito prima di raggiungere la propria personale America. Guardi la tv e te li aspetteresti più felici in un momento del genere, gli sbarcati. Qualcuno è troppo stanco per festeggiare, qualcuno ne ha perso la voglia stra-
da facendo, quasi tutti ignorano che la terra promessa li guarda con un occhio buono e uno cattivo. Quello buono è l’occhio del cuore, quello cattivo li osserva di sbieco, come si fa con gli scarafaggi che spuntano in veranda. E non è colpa di nessuno, soprattutto non delle forze dell’ordine, dei sanitari e dei volontari anche loro ammirevolmente sfiniti, se non sempre c’è qualcosa da mangiare o da bere, se non è avanzata una coperta su cui dormire, un bagno davanti al quale la coda finisca in fretta. Questo era Lampedusa qualche giorno fa. Poi smisteranno corpi e anime in altri centri, l’emergenza verrà diluita qua e là, smarrendosi tra numerosi altri dossier geopolitici. L’urlo dei migranti da silenzioso tornerà assordante più tardi, nelle campagne di voto nazionali e internazionali. Non uscirà dalle loro gole, bensì da quelle di chi li attacca o di chi li difende. Siccome l’idea di aiutarli nei loro Paesi è un’utopia che spesso svanisce tra ipocrite promesse e
pozzi di corruzione in loco, il mondo si divide tra la politica del muro respingente – rimpatriamoli tutti; facciamo il blocco navale; facciamo che i Paesi che non li accolgono paghino una cifra per ogni respinto e creino un fondo per i rimpatri –e la politica delle porte aperte: creiamo i corridoi umanitari e trattiamoli come fratelli. Da umano solidale, preferisco questa scelta, ma senza ingenuità: aggiungi un posto a tavola. Ma solo alla tavola dei primi Paesi di sbarco? E gli altri Paesi europei saranno d’accordo di spartirseli o di pagare il conto in parti proporzionali all’aiuto dato? Penso ai migranti immaginando un sottofondo di onde che vanno e che vengono, ma non trovo risposte. Solo il silenzio dei morti e le grida dei politici che sui destini dei nostri vicini in fuga tengono un occhio buono e uno cattivo. E a seconda di dove guardano si giocano un posto in Parlamento (non solo europeo) e una partita invisibile con la propria coscienza.
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 25 settembre 2023 Cooperativa Migros Ticino
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AMaRMI, un nuovo gruppo di auto-aiuto Si rivolge ai familiari di persone con disturbi del comportamento alimentare, ce ne parlano due mamme di ragazze che soffrono di anoressia
Interpretare il futuro Incontro con Diego Gilardoni, ex giornalista della RSI e oggi consulente internazionale in Strategic Foresight
Dono d’organi, un sì alla vita?
Il lavoro con gli occhi della Gen Z SwissSkills ha promosso uno studio sulle aspettative dei giovani nei confronti della vita professionale
Medicina ◆ Il modello del «consenso presunto» resta ancora in attesa della sua applicazione
Maria Grazia Buletti
«Per qualche mese mi sono disperato, cercando di capire perché questo destino che ho percepito così ingiusto fosse toccato proprio a me». Achille (nome noto alla redazione) non trova risposta nemmeno lungo tutti quei mesi che seguono il suo ricovero d’urgenza in ospedale, dopo che, un giorno di giugno di qualche anno fa «mi fu diagnosticata un’epatopatia che necessitava il prima possibile di un trapianto di fegato. O si trova un organo o muori, l’ho capito all’istante. E i dubbi sul futuro si sono fatti sempre più grandi, mi è parso di perdere il controllo della mia vita, mi è salita l’ansia per la mia famiglia». Achille rivive i momenti difficili prima del trapianto, che ha affrontato con successo un anno dopo essere entrato in lista d’attesa per un fegato nuovo.
Secondo i dati di Swisstransplant, i pazienti in lista di attesa nel 2022 erano 1442, di questi, 570 hanno subito un trapianto
Il 9 settembre, in Svizzera, è stato dedicato alla Giornata nazionale della donazione di organi, per ricordare che ogni settimana da una a due persone muoiono nel nostro Paese mentre aspettano di ricevere un nuovo organo. Secondo i dati di Swisstransplant, nel 2022 erano 1442 i pazienti in lista di attesa, di questi, 570 hanno subito un trapianto (ndr: donando i propri organi una persona deceduta può aiutare da 6 a 9 altre persone), mentre 83 persone sono decedute per la gravità della loro malattia prima di arrivare al trapianto.
Una simile profonda emozione, ma per un evento diametralmente opposto a quello di Achille, è quella vissuta da Giulia e da sua figlia Mara, poco più che adolescente: «Quando capita ciò che è successo a noi, è un fulmine a ciel sereno: tutta l’immagine del mondo come un armonioso mosaico va distrutta, tutto viene stravolto in un attimo»: hanno perso il marito, rispettivamente papà, così, all’improvviso, a causa di un’emorragia cerebrale che lo ha colpito una domenica di maggio di qualche anno fa.
«Ha fatto solo in tempo a dire che stava male, poi è caduto a terra»; la loro esistenza è stata stravolta in un attimo: la corsa dell’ambulanza in ospedale, le cure d’urgenza, la speranza che si spegne, la difficile decisione di donare o no gli organi del loro caro oramai deceduto, per dare una seconda possibilità di vita ad altre persone che si trovano in attesa di trapianto.
«In quel momento soffrivo e pensavo che altre persone sarebbero state meglio di me», racconta Mara spiegando che la forza di quel sì a un dono
così generoso le è venuta dalle stesse parole pronunciate dal padre solo una settimana prima: «Guardando alla tele un servizio che parlava di due genitori che avevano donato gli organi del figlio deceduto, ha detto che era un gesto bellissimo e che lo avrebbe fatto pure lui».
Così, mentre all’improvviso Achille si è trovato a dover ricevere un organo per salvare la propria vita, Giulia e sua figlia Mara, nel loro inatteso lutto, hanno deciso di dare in qualche modo un senso a quell’assurda morte del loro caro marito e padre. Achille, Giulia e Mara non sono direttamente accomunati da quest’esperienza: in Svizzera il dono d’organi deve rimanere nell’anonimato e un dono è sempre un dono, qualcosa di speciale, ancor più prezioso se può salvare una vita. Incontrarli ci ha però permesso di capire l’importanza di riflettere per tempo su questo argomento che potrebbe toccare, un giorno, ciascuno di noi.
Si tratta di due facce di una stessa medaglia che dal 1° luglio 2007 nel nostro Paese è regolata dalla Legge federale sulla donazione di organi da trapianto che determina chiaramente i concetti di morte cerebrale e del consenso informato. Ed è proprio su questo tema che il 22 maggio dello scorso anno la popolazione si è espressa a favore del nuovo modello «del consenso presunto in senso lato», promosso con
l’intento di incentivare alla donazione e aumentare il numero di donatori.
«Non saremo mai in grado di salvare tutti i pazienti, ma dovremo essere in grado di raddoppiare il numero di donatori in Svizzera per raggiungere un livello paragonabile a quello dei nostri vicini, da 19 a circa 25-30 donatori per milione di abitanti come in Spagna». Questa la motivazione dei sostenitori della legge.
Salvarli tutti, purtroppo no, ma si potrebbe essere in grado di raddoppiare il numero di donatori
Il professor Sebastiano Martinoli, pioniere della sensibilizzazione al dono d’organi in Ticino, ci spiega quello che succederà, in pratica, dopo questo sì al consenso presunto: «Con l’avvento della nuova legge, che per questioni di privacy non vedrà l’applicazione prima del 2026, chi alla propria morte non intende donare gli organi dovrà dichiararlo esplicitamente. Laddove non sia stata espressa in vita alcuna volontà si parte dal presupposto che la persona deceduta fosse d’accordo con la donazione di organi. Se i familiari sono a conoscenza del fatto che la persona deceduta non avrebbe voluto donare, possono opporsi alla donazione».
Ci sarebbe da chiedersi se questo nuovo modello, che fa di un dono un
qualcosa di dovuto (fatto salvo che si esprima a priori volontà contraria), riuscirà davvero a soddisfare la carenza di organi da trapianto, oppure se non sia il caso di riflettere su alcuni aspetti etici e di comunicazione. «A mio modo di vedere, la nuova legge fa scadere il criterio di dono, perché non è più un dono. Così come l’ospedale perde un aspetto culturale non trascurabile della sua accezione storica di “ospitale”, invece oggi divenuto una macchina di tecnologia quasi paragonabile a una catena di montaggio. Dinanzi alla magnificenza delle efficienze terapeutiche che si muovono al suo interno, la percezione è di vedere l’ospedale come una macchina che tutto può».
Ma nulla è dovuto, secondo il chirurgo: «Ho visto cosa significa soffrire o morire aspettando un organo, eppure, quel “te lo regalo” fa davvero la differenza». Per la sua lunga esperienza, egli è convinto che il numero di donazioni non dovrebbe subire grandi variazioni: «L’efficacia di tale scelta e l’impatto del consenso sono per lo più legati al lavoro di sensibilizzazione e di preparazione del personale che deve essere formato e adeguatamente preparato, che sa chiedere, con tatto, garbo, ascolto e accoglienza, e non estorcere».
Dal canto suo, l’esperta in comunicazione sanitaria Carmela Fiorini intuisce il tallone d’Achille della
campagna condotta in votazione: «La sensazione è che sia stata promossa come risolutiva rispetto alla carenza di donatori, benché non sufficientemente suffragata da dati che ne dimostrino l’efficacia, andando con ogni probabilità a confondere la popolazione senza fornire gli strumenti di conoscenza adeguati per poter capire fino in fondo di cosa stiamo parlando quando parliamo di dono d’organi».
Sull’essere favorevoli o meno è ovvio che «sul principio tutti vorrebbero salvare altre vite, ma poi è chiaro che se si è investiti in prima persona, o per un proprio caro, tutto assume una dimensione diversa, ma nessuna deve essere giudicata». Di fatto, Martinoli conferma che un sondaggio dimostra come l’80 % della popolazione si dica favorevole al dono d’organi, ma la percentuale scende quando si chiede cosa farebbe con un proprio caro. «Il tema sottostà molto al giudizio e allo spirito del pro o contro, senza una via di mezzo: pensare che chi è contrario alla donazione sia una persona non altruista, non evoluta o altro, può effettivamente essere una censura al dialogo trasparente, perché non siamo abituati a metterci a nudo su questi argomenti spesso permeati di giudizio», conclude Fiorini che relaziona il tema del dono d’organi all’etica, alla morale e all’emotività che lo permeano, «con le quali dobbiamo fare i conti».
SOCIETÀ ● ◆ Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 25 settembre 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino 3
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Un mondo in verde e bianco
Attualità ◆ La marca cult M-Budget della Migros è nata 27 anni fa ed è sinonimo di qualità e convenienza. Oltre a proporre prodotti a prezzi imbattibili, presenta anche un’offerta più ampia. Alcune curiosità su questa linea molto gettonata dalla clientela
1. La linea M-Budget della Migros nasce nel 1996 e oggi conta ben oltre 750 prodotti.
2. Nel 2018 presso il centro commerciale Säntis Park di Abtiwil (SG) viene proposta una camera d’hotel griffata M-Budget, seguita da un’altra un anno dopo.
3. A Losanna dal 2019 al 2020 è stato aperto un pop-up store M-Budget, dove si vendevano quasi esclusivamente prodotti con il marchio verde-bianco.
4. Il prodotto M-Budget meno costoso è l’alimento per gatti Adult Terrine manzo, che costa solo 25 centesimi
5. Il prodotto M-Budget preferito è rappresentato dall’Energy Drink, seguito dall’insalata iceberg, dallo yogurt nature e dalle banane.
6. Dal 2017 M-Budget è lo sponsor principale della famosa Street Parade di Zurigo
7. La gamma M-Budget include anche delle vacanze a partire da 300 franchi, disponibili sul portale Vacanze Migros.
8. Il profilo TikTok M-Budget è stato eletto numero uno tra i profili professionali svizzeri nel 2022.
9. Lo scorso 17 luglio i clienti Migros hanno potuto votare scegliendo quali tra i minicookies M-Budget «Cornflakes» e «Noisettes» dovessero entrare nell’assortimento. I «Cornflakes» hanno ricevuto oltre 192’000 voti e saranno disponibili a breve nei negozi Migros.
10. Sono 800’000 i clienti che dispongono di un abbonamento M-Budget Mobile, molti dei quali anche per internet e TV. L’abbonamento Mini costa solo 19 franchi al mese e include chiamate e sms illimitati e 2 GB Internet in Svizzera.
Gusto e qualità Extra
Attualità ◆ L’uva da tavola rappresenta una gustosa sferzata di energia per iniziare la nuova stagione con il giusto piglio. Per un piacere supplementare, che ne direste di assaggiare l’uva del nostro assortimento recante il marchio Extra?
Il marchio Extra della Migros contrassegna quei prodotti del settore frutta e verdura che si caratterizzano per la qualità selezionata, il grosso calibro e il gusto particolarmente pronunciato. Sotto questo marchio, al momento trovate fra le altre cose due varietà di uva che promettono un piacere davvero unico. I prodotti sono inoltre venduti in un sacchetto di carta riciclata e sono privi di semi. L’uva rosé si distingue per il suo bel colore rosato e la polpa succosa e aromatica; mentre chi ricerca il tipico sapore di moscato sarà accontentato con l’uva bianca Muscat, una bontà che piacerà anche ai più piccoli.
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 25 settembre 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino MONDO MIGROS 4
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Pollo cotto da asporto
Attualità ◆ Questa settimana potete approfittare dell’offerta speciale del venti percento di sconto sull’apprezzata leccornia take away della Migros
TUTTO PER LA CRESCITA MUSCOLARE OTTIMALE!
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Impossibile resistere alla bontà del pollo grigliato della Migros. Cotto e speziato a puntino in filiale, è perfetto per portare in tavola in men che non si dica un gustoso pranzo per tutta la famiglia, oppure una cenetta spontanea, quando per esempio dopo una giornata di lavoro non si ha troppa voglia di spadellare in cucina. Questa delizia viene preparata quotidianamente dagli specialisti della gastronomia Migros con l’aggiunta di un’aromatica miscela di spezie.
Croccante fuori e morbido dentro, il pollo al grill necessita soltanto di essere riscaldato brevemente in forno una volta giunti a casa. Il pollame cotto in negozio è di provenienza svizzera ed è contrassegnato con il marchio di qualità Optigal. Queste specialità provengono da aziende indigene che allevano i propri animali in modo sostenibile secondo severe direttive.
A proposito, oltre al pollo intero, i maggiori supermercati Migros offrono anche altre bontà già cotte, come le cosce e le alette di pollo, il galletto e, dalla settimana prossima per la stagione invernale, anche lo stinco di maiale, la punta di vitello e la pancetta di maiale.
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Senza lattosio e molto ben tollerato, Whey Isolate 94 è il prodotto giusto per tutti coloro che ci tengono ad assumere una proteina quotidiana di qualità.
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Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 25 settembre 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino MONDO MIGROS 5
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Condividere quel sentimento di impotenza
Auto-aiuto ◆ Nasce il gruppo AMaRMI per familiari di persone con disturbi del comportamento alimentare
Alessandra Ostini Sutto
Sofferenza, solitudine, impotenza, ansia, collera, paura. Sono alcuni dei sentimenti che emergono nelle famiglie in cui una figlia o un figlio soffre di un disturbo del comportamento alimentare. «Per noi questa malattia era del tutto sconosciuta e non è stata facile da capire e accettare, anche perché, essendo nostra figlia una ragazza bellissima, intelligente e con tante qualità, ci chiedevamo – senza trovare risposta – perché si distruggesse in questo modo», afferma Marta (nome di fantasia), che si è accorta che qualcosa non andava quando la figlia ha cominciato a rinunciare ai dolci. «Queste rinunce si sono poi estese ad altri alimenti e le porzioni nei piatti si sono ridotte sempre più finché il risultato di ciò ha cominciato a vedersi nel fisico – continua – un genitore che si trova confrontato con questa malattia sente quanto sia impotente, quanto non venga ascoltato; cerca invano di dare consigli, di parlare delle conseguenze, cerca dei modi per arrestare questa discesa, della quale non intravvede la fine». Quelle che rientrano sotto il cappello dei disturbi del comportamento alimentare sono infatti in genere patologie lunghe, che mettono di conseguenza a dura prova, oltre la persona che ne soffre, pure chi le sta vicino.
«Noi ci troviamo in questa situazione ormai da alcuni anni e benché ci sia stato un grande miglioramento, grazie a diversi terapisti e a una dottoressa specializzata, la malattia non è ancora risolta e resta sempre un sentimento di precarietà», commenta Marta. Un altro elemento che può far soffrire un genitore è il fatto che gli possa venir attribuita una responsabilità del malessere del figlio. «In realtà sono tanti i fattori che possono contribuire all’insorgenza di una simile malattia, come l’uso inappropriato dei social media o un’ipersensibilità caratteriale che fatica a filtrare i commenti altrui», aggiunge Marta, che sarà una delle partecipanti
di un nuovo gruppo di auto-aiuto rivolto proprio ai familiari di persone con disturbi del comportamento alimentare. «Ho avuto il piacere di conoscere l’ideatrice di questa iniziativa prima che si creasse il gruppo; mi ha seguita nei momenti più bui e mi ha aiutata a non perdere la speranza; non isolarsi, per trovare la forza di lottare, è infatti molto importante – racconta Marta – in questo senso trovo utile che ora esista un gruppo, dove ci si possa incontrare, discutere e trovare un po’ di conforto». Se un figlio, lungo il percorso terapeutico, è infatti seguito da un team di professionisti, i genitori possono invece sentirsi disarmati e non sufficientemente supportati; altro motivo per cui può essere benefico ritagliarsi uno spazio di dialogo proprio come possono essere i regolari incontri di un gruppo di auto-aiuto.
Un’altra persona che fa già parte del gruppo, prima dell’inizio ufficiale degli incontri, è Anna (anche questo nome è di fantasia), la cui figlia ha cominciato ad avere un disturbo alimentare verso i 16 anni: «Per noi è stato lungo e difficile già arrivare ad avere la certezza che i nostri timori fossero fondati, perché la persona che soffre di questo tipo di disturbo riesce, con vari stratagemmi, a infondere il dubbio sulla sua reale situazione. Quando cercavamo di toccare l’argomento, diceva che andava tutto bene; in quei momenti ti senti veramente impotente perché vedi tua figlia non star bene e non sai come aiutarla. Purtroppo, anche le preoccupazioni da noi espresse a chi allora la seguiva hanno portato a scarsi risultati. Cosa che, probabilmente, non succederebbe più oggi essendo la problematica più conosciuta. Per fortuna, a un certo punto, un’amica ha confermato il disturbo alimentare e il disagio in cui viveva nostra figlia; dopodiché abbiamo intrapreso un percorso terapeutico, anche se nostra figlia non sempre voleva collaborare. Una seconda svolta ha
poi coinciso con l’indicazione di un’altra terapia da seguire, da parte di una mamma e sua figlia che avevano vissuto una situazione simile alla nostra». Ed è proprio dalla necessità di condividere che nasce l’idea di costituire questo gruppo di auto-aiuto per il quale è stato scelto il nome AMaRMI che, se da un lato deriva dalle iniziali dei nomi delle due donne, dall’altro evidenzia un concetto fondamentale per la ricostruzione dell’identità di chi soffre di una di queste malattie. «Lo scopo è dare la possibilità ai partecipanti di depositare i propri pesi e le proprie sofferenze nella discrezione e nel rispetto reciproco, ma anche e soprattutto riuscire a vivere la quotidianità in modo più sereno con un nuovo sguardo di speranza e fiducia verso il futuro – spiega Doris, iniziatrice del gruppo –, con l’auto-aiuto la situazione a volte purtroppo non può cambiare, ma “è il modo in cui si decide di viverla che potrebbe fare la differenza”, ed è questo il mio augurio per tutti coloro che decideranno di partecipare».
A differenza di quello che avviene spesso nei gruppi di auto-aiuto, Doris
non vive in prima persona la situazione: «Nel corso degli anni, nel mio contesto lavorativo ma anche nel privato, ho in più occasioni incontrato dei genitori confrontati con situazioni molto difficili a causa di un figlio toccato da un disturbo del comportamento alimentare – racconta l’assistente di farmacia con alle spalle anni di volontariato nell’accompagnamento in relazione di aiuto – Ciò che li accomuna è una grande sofferenza e il fatto di trovarsi confrontati con una realtà sconosciuta, che porta con sé problematiche ed emozioni nuove che spaventano. Questa loro tribolazione mi ha sempre toccata molto emotivamente, lasciandomi spesso, a mia volta, in una condizione di impotenza nei loro confronti». Desiderosa di essere concretamente di sostegno e conoscendo il valore del confronto, della condivisione e del «sentirsi capiti», Doris pensa allora all’auto-aiuto e decide di frequentare il corso organizzato dal Centro Auto Aiuto Ticino sulla creazione e la gestione di un gruppo «L’impatto che l’anoressia ha sulla vita famigliare è tremendo – conferma Marta – la malattia prende il so-
Un impegno per il benessere in azienda
pravvento e niente è più come prima. I momenti dei pasti diventano un incubo e si vive in un clima d’incertezza e precarietà, dove il proprio benessere non conta più, conta solo quello dei figli. La difficoltà sta nel mantenere delle normali attività per potersi dedicare anche agli altri figli, affinché non percepiscano un trattamento diverso in termini di attenzioni e di tolleranza, anche se lo stress e la sofferenza che si vive nuocciono inevitabilmente anche a loro».
«Fortunatamente noi siamo riusciti a superare questo duro periodo restando uniti e lavorando insieme – aggiunge Anna – anche se devo ammettere che all’esterno del nucleo familiare la sensazione che abbiamo avuto era quella di non sentirci considerati. Per questo vedo sicuramente in modo positivo la costituzione del gruppo. Sono infatti dell’idea che nessuno possa supportarti meglio di chi è parte del problema e, chissà, magari una mia parola, esperienza, terapia o il modo in cui ho vissuto una difficoltà comune potrà aiutare qualcuno a migliorare la propria situazione». Oppure – aggiungiamo –potrà rivelarsi utile per un genitore che magari ha il dubbio, ma non ancora la certezza, che qualcosa stia cambiando nel proprio figlio. «Purtroppo i disturbi del comportamento alimentare sono in aumento, colpendo peraltro ragazzini sempre più giovani; di conseguenza, le esperienze di chi ci è passato possono essere importanti anche per rendere attenti ai primi segnali, alle attitudini che possano far pensare a un eventuale inizio della malattia», conclude Doris.
Informazioni
Il primo incontro è previsto per il 28 settembre, nel Locarnese. Il luogo esatto sarà comunicato agli interessati, che possono annunciarsi al centro Auto Aiuto Ticino, 091 970 20 11 oppure info@autoaiuto.ch
Info Migros ◆ Dal 2015 Migros Ticino si può fregiare del marchio «Friendly Work Space», un label che distingue organizzazioni dove si applicano in modo sistematico condizioni di lavoro ottimali e misure per il benessere del personale
Elia Stampanoni
La Fondazione Promozione Salute Svizzera si prefigge di proporre, coordinare e valutare misure volte al miglioramento della salute e alla prevenzione delle malattie. Su incarico della Confederazione e con il sostegno anche di cantoni e assicuratori, la fondazione informa le persone affinché siano motivate e siano nelle condizioni di gestire la propria vita in modo sano. Tra i diversi settori d’attività c’è anche la gestione della salute in azienda e lo scorso 19 settembre a Rivera la fondazione ha organizzato un incontro, al quale hanno aderito oltre 50 partecipanti provenienti da differenti settori e realtà ticinesi, interessati al tema, alle opportunità e anche per uno scambio di esperienze.
Una gestione accurata e sistematica del benessere sul posto di lavoro si rispecchia d’altronde in vantaggi non indifferenti, sia per i collaboratori, sia per l’azienda stessa. Nell’ambito della gestione della salute in azienda (GSA), sono stati esposti alcuni strumenti per ottimizzare o migliorare il contesto, come «Job-Stress-Analy-
sis», un’analisi dello stress sul lavoro. Lo strumento proposto, disponibile in diverse varianti e a differenti livelli di approfondimento, permette di ottenere una panoramica dettagliata su fattori di stress, risorse, salute e soddisfazione nell’organizzazione, offrendo la possibilità d’intervenire in modo mirato e preventivamente. L’importanza di un ambiente sano e rilassato anche sul posto di lavoro è ormai un tema noto e riconosciuto, che porta benefici per i collaboratori (i quali ricevono un profilo di salute personale e consigli concreti su come ridurre i carichi), ma anche per le organizzazioni, che potranno attuare misure favorevoli in maniera mirata ed efficace.
Durante la mattinata è poi stato presentato il label «Friendly Work Space», un marchio che distingue aziende dove si applicano in modo sistematico condizioni di lavoro ottimali e misure per il benessere del personale. Una certificazione che Migros Ticino ha ottenuto nel 2015 e ha poi successivamente riconfermato (la certificazione dev’essere rinnovata ogni 3
anni), risultando a oggi ancora l’unica azienda nella Svizzera italiana ad aver ottenuto il marchio, dopo aver contribuito al suo sviluppo assieme ad altre aziende leader svizzere. Oggi sono un centinaio le organizzazioni certificate a livello nazionale, dopo aver completato un percorso caratterizzato da tre fasi principali: l’analisi della situazione (per valutare cosa già fa l’azienda per la salute e il benessere dei suoi collaboratori), l’implementazione di progetti e interventi e, infine, la fase di certi-
ficazione. Sono diversi i punti dove si può intervenire e lo strumento si basa su una ventina di criteri che le aziende devono soddisfare, considerando vari aspetti, come discusso nella tavola rotonda, alla quale ha partecipato Rosy Croce, responsabile dipartimento risorse umane di Migros Ticino, assieme a Stevens Crameri, direttore di Casa Anziani Alto Vedeggio. I criteri del marchio aiutano in sostanza a raggiungere il benessere dei collaboratori, che rimane lo scopo principale. La certificazione porta comunque dei vantaggi diretti anche all’azienda stessa (per esempio miglior clima di lavoro, maggior produttività, meno assenze e meno avvicendamenti) e dev’essere un obiettivo globale che coinvolge tutti, dalla dirigenza al personale. Nel caso di Migros Ticino, il processo ha portato a degli evidenti benefici per i dipendenti, grazie anche ad alcuni semplici interventi, come la festa dei collaboratori e dei famigliari, oppure anche l’introduzione della frutta fresca nelle zone di pausa che, pur essendo una misura all’apparenza
forse anche banale, contribuisce a modo suo al benessere aziendale. L’approccio contempla poi altri fattori più delicati, come la gestione di rapporti interpersonali, le situazioni delicate, la conciliazione o l’equilibrio tra vita privata e lavorativa. Aspetti che devono trovare dei responsabili pronti al dialogo, capaci di ascoltare i collaboratori, valorizzandoli ed accogliendoli nel miglior modo possibile.
Mentre il label è indirizzato maggiormente a «grandi aziende», altri strumenti sono adatti anche alle realtà più piccole. Accanto al citato «Job-Stress-Analysis» ci sono per esempio il «Leadership-Kit», per i responsabili o dirigenti nelle Piccole medie imprese, «Apprentice», per formatrici e formatori professionali, o anche i Forum regionali che si concentrano sullo scambio di conoscenze e sulla sensibilizzazione nel campo della gestione della salute in azienda.
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 25 settembre 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino 7 SOCIETÀ
utili https://promozionesalute.ch/
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L’INTESTINO, CHE PORTENTO!
8
metri circa misura tutto l’intestino di un adulto.
Una dieta poco sana, la mancanza di esercizio fisico o uno stile di vita stressante possono mettere a dura prova il nostro organo interno più grande. Ma tutti noi possiamo sostenerlo e fare qualcosa per la salute dell’intestino.
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 25 settembre 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino 8
Il75%
delle feci è costituito da acqua. Il restante 25% è un mix di batteri, residui alimentari non digeriti e fibre alimentari.
tonnellate di cibo vengono elaborate dall'intestino nel corso di una vita della durata media, cui si aggiungono più di 50’000 litri di liquidi.
L’80%
di tutte le cellule immunitarie umane si trovano nell’intestino, che è quindi il centro del sistema immunitario.
L’intestino digerisce il cibo e quindi ha una grande influenza sul nostro benessere. I seguenti consigli possono essere d’aiuto affinché il pasto non rimanga come un sasso nello stomaco diffondendo una sgradevole sensazione di pienezza:
• mangia lentamente e mastica bene;
• evita le verdure flatulente come i porri e le cipolle nonché le verdure crude (quali cetrioli o peperoni);
• utilizza erbe e spezie per favorire la digestione: il finocchio, il cumino e lo zenzero, in particolare, rendono il cibo pesante più digeribile;
• bevi regolarmente: almeno 1,5-2 litri, preferibilmente acqua; consuma caffè, alcol e bevande zuccherate solo in piccole quantità;
• in generale, è importante bere molto, fare esercizio fisico e rilassarsi a sufficienza, perché fa bene all'intestino.
Fibre alimentari? Yes please! Le fibre alimentari sono i componenti delle piante che l'uomo non può digerire, cioè scomporre e utilizzare. La Società Svizzera di Nutrizione raccomanda almeno 30 grammi di fibre alimentari al giorno per gli adulti. Esistono molti alimenti ricchi di fibre alimentari. Si trovano soprattutto nei prodotti a base di cereali integrali e nei legumi, ma anche nelle noci, nei semi, nella frutta (mele, pere, bacche) e nella verdura (cavoletti di Bruxelles, patate, mais).
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Diego e l’esplorazione del futuro
Incontri – 11 ◆ Nato e cresciuto a Lugano, Diego Gilardoni ora vive a Lisbona, ma la sua attività di consulente internazionale in Strategic Foresight lo porta a essere cittadino del mondo
Matilde Casasopra
Lo vedi arrivare col trolley e ti dici che sì, è lui. Non è cambiato molto da quando, trent’anni fa, ancora liceale, apparve nella redazione di un quotidiano per proporre un graffiante articolo su alcuni giovani rampanti della politica ticinese di quel tempo poi rapidamente finiti nell’oblio. Stesso sorriso, medesimo modo di fare, sense of humor allenatissimo.
A novembre compirà 50 anni. Lui, adesso, è cittadino del mondo e, come tale, vive. Un mondo senza confini (per lo meno mentali), nel quale le culture si mescolano e, a volte, si fondono originando nuove dinamiche e prospettive. Diego Gilardoni, dopo una lunga esperienza nel giornalismo per la SSR (culminata con il posto di corrispondente dagli Stati Uniti per il Telegiornale della RSI, un’esperienza che considera fra le più formative), si è spostato in Cina, dove ha intrapreso nuove vie nell’ambito della consulenza aziendale.
Questo cambiamento lo ha quindi portato, nel corso degli anni, a misurarsi con la complessità del mondo a cavallo di contesti e ruoli diversi: consigliere in comunicazione strategica per dirigenti, esperto di management interculturale per aziende multinazionali, conferenziere, saggista e consulente in Strategic Foresight, una metodologia di elaborazione strategica prospettica con cui aiuta organizzazioni e aziende a sviluppare visioni e strategie per il futuro.
Un profilo eclettico, il suo, che riflette il desiderio di esplorare il mondo al di là di griglie predefinite, categorie consumate e silos intellettuali nella convinzione che le scoperte più affascinanti non si realizzino all’interno di singole discipline, ma all’intersezione fra discipline diverse; un desiderio che si riflette anche nel suo percorso di studi accademici e formazione continua: laurea in Storia contemporanea a Friborgo e specializzazioni in Global Business a Oxford e in comunicazione strategica internazionale a Ginevra,
Scheda
Nome: Diego Gilardoni
Nato a: Lugano
Età: 49
Abito a: Lisbona
Lavoro: Consulente internazionale
Hobby: Lettura, viaggi, flânerie e, da qualche tempo, per combattere un metabolismo impietoso, boxe.
Rimpianto: «Regrets, I’ve had a few, but then again too few to mention…» (da My way di F. Sinatra)
Sogno nel cassetto: Nulla di iperbolico. Tornare in Asia non per una semplice vacanza ma per un viaggio vero, lungo e lento.
Amo: Quel senso, allo stesso tempo, di smarrimento e di libertà di quando arrivi per la prima volta in un Paese culturalmente lontano. Non sopporto: La combinazione, oggi molto in voga, di ignoranza, arroganza, mediocrità e fanatismo.
L a mia foto preferita: Una foto dei miei genitori a Central Park quando vennero a trovarmi negli Stati Uniti 15 anni fa, un momento molto felice della mia vita.
arricchite da un mosaico di certificazioni professionali a cavallo di leadership, neuroscienze, cultura, strategia e futuro. Speaker internazionale, negli anni Diego è intervenuto a eventi aziendali e conferenze internazionali dall’Europa all’Asia, passando per Africa e Medio Oriente. È pure stato invitato a tenere lezioni in diverse istituzioni accademiche, fra cui la Judge Business School dell’Università di Cambridge e la University of International Business and Economics di Pechino.
Diego, nel suo mondo c’è ancora spazio per la Svizzera e… il Ticino? Certo, sempre. E non solo perché lì ci sono la famiglia, buone amicizie e luoghi e sapori che rimangono cari. Ci sono anche nuove relazioni a livello professionale che, per quanto riguarda in particolare il Ticino, mi hanno fatto scoprire realtà dinamiche a me prima ignote che ho potuto conoscere solo prendendo le distanze e riavvicinandomi da una prospettiva diversa. Realtà in cui ho l’opportunità di confrontarmi con persone molto interessanti che guardano al mondo con curiosità e non con paura, che si interrogano rifiutando le risposte facili e banali e che, soprattutto, non si prendono troppo sul serio.
Fra le sue attività di consulenza, lei lavora con aziende per aiutarle ad anticipare rischi e opportunità sviluppando una visione per il futuro. Ma lei ha una sfera di cristallo?
Ovviamente no. Il futuro non si può prevedere, ma ci si può preparare in modo strutturato e strategico al cambiamento. Lo Strategic Foresight è uno strumento che permette di semplificare la complessità, facendo chiarezza sul contesto che ci circonda e immaginando possibili sviluppi futuri e le loro implicazioni per le strategie aziendali. Per poterlo fare con successo è indispensabile essere pronti a mettere in discussione le
proprie certezze e ad abbandonare vecchie mappe mentali inadeguate a leggere la realtà di oggi. Doti rare, ma che faranno sempre più la differenza fra chi avrà un futuro e chi diventerà irrilevante.
Da sempre, chi ha saputo vedere oltre il presente, immaginando orizzonti nuovi prima mai pensati (e quindi inevitabilmente scontrandosi con le mediocrità, le ottusità e i conformismi del loro tempo), da Leonardo Da Vinci a Steve Jobs, ha in comune la capacità di abbracciare l’incertezza e l’ambiguità del mondo. Soprattutto, ha in comune la consapevolezza che le domande sono molto più importanti delle risposte, perché le risposte tendono a chiudere un discorso, mentre le domande aprono nuovi orizzonti.
Lei ha anche vissuto in Cina, sulla quale ha pure scritto un libro. Com’è cambiata la Cina in questi anni?
È cambiata moltissimo, ma non mi chieda dove porterà questo cambiamento. A parte il fatto che non vi sono più tornato dal 2019, e quindi è da tanto che non ne sento direttamente il polso, una cosa che ho imparato è che, molto socraticamente, più sai di questo Paese straordinario e complesso meno ne capisci; per
questo sono particolarmente allergico a chi cerca di spiegare la Cina con formule riduttive e semplicistiche. L’unica cosa di cui sono sicuro è che pure io, come tanti altri, presi un abbaglio al momento dell’arrivo al potere di Xi Jinping, bevendomi la narrazione secondo cui, essendo stato vittima lui stesso dei deliri della rivoluzione culturale di Mao, Xi avrebbe portato il Paese verso nuovi orizzonti di apertura. Un proverbio cinese dice che quando soffia il vento del cambiamento, alcuni costruiscono muri, altri mulini a vento. Il progresso è sempre stato possibile solo grazie ai secondi, in Cina come altrove. Se quindi la Cina si chiude, questo non fa bene a nessuno, Cina per prima.
Si parla spesso di cervelli in fuga. Lei si sente un cervello in fuga? Per carità! Di sicuro non sono un cervello. Al massimo ne ho uno, che cerco nel limite del possibile di usare, non sempre con successo, a fini costruttivi e non di rimbambimento.
Ciò detto, l’espressione stessa è assurda, perché parte dal presupposto che il destino di una persona debba per forza essere legato indissolubilmente al luogo in cui è nata. Che partano i nostri cervelli, che vadano a scoprire il mondo. C’è solo da im-
Tre momenti chiave di una vita
Diego, ha a disposizione 666 battute per illustrare tre momenti topici della sua vita:
1) La morte di mio padre, certamente, che mi ha messo per la prima volta a confronto con il dolore, quello vero, e con la precarietà della vita. Come vorrei potermi abbeverare alla sua intelligenza ironica in questi tempi bui e confusi.
2) Racchiuderei in un momento unico le due esperienze di vita fuori
dall’Europa, prima negli Stati Uniti e poi in Cina. Entrambe, in modi diversi, mi hanno segnato in modo importante. Soprattutto, mi hanno fatto capire che, davvero, al di là di quelle che potevano essere astratte ambizioni intellettuali di gioventù, sono di natura mosso dalla ricerca di nuovi orizzonti che, inevitabilmente, passa attraverso nuove sfide e spinge a rimettersi in gioco.
3) Spero sia quello che sto vivendo
parare, e tanto. Invece di lamentarci dei cervelli che se ne vanno, impegniamoci per attirarne di nuovi da fuori affinché vengano portando con sé nuove prospettive e nuove visioni.
Considerato ciò che ha appena detto, che cosa significano le radici per lei?
Le radici sono il punto di partenza, ma non necessariamente e per forza anche il punto di arrivo. Siamo troppo complessi per ridurci a farci definire solo dal luogo in cui – senza alcun merito – siamo nati. Per dirla con Walt Whitman, «io sono vasto, contengo moltitudini». La nostra identità di individui è lo specchio delle nostre esperienze, delle nostre scelte, dei nostri incontri, dei nostri successi e dei nostri fallimenti; è lo specchio di quell’avventura straordinaria che è la vita. Se quindi l’unico modo che hai per esprimere la tua identità di individuo è brandire il tuo passaporto vuol dire che non hai molto altro da dire e da dare.
In ogni caso, almeno per quanto mi concerne, le radici più importanti e solide non sono necessariamente legate a un luogo particolare, ma piuttosto a persone, affetti e valori che ti hanno dato e continuano a dare la linfa necessaria per crescere e continuare a crescere.
ora. Un momento di passaggio fortemente simbolico visto il numero in questione, e quindi un contesto non sempre facile di bilanci, che implica una non ovvia ridefinizione di sé e dei propri orizzonti; ma anche, e soprattutto, un momento di nuove sfide, di nuovi incontri, di nuovi luoghi, di nuove prospettive e di nuove dinamiche che spero di riuscire a trasformare in altrettante opportunità di crescita.
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 25 settembre 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino 11 SOCIETÀ
Diego Gilardoni in passato è stato corrispondente dagli Stati Uniti per il Telegiornale della RSI, oggi si occupa di consulenza strategica per aziende ed è esperto di management interculturale
Lavoro, le aspettative dei giovani
Generazione Z ◆ SwissSkills ha promosso uno studio sui valori e le attese che i ragazzi hanno nei confronti del mondo professionale. Ne risulta che sono seri, motivati e prediligono le aziende che offrono l’accesso a formazioni qualificanti
Stefania Hubmann
Comprenderli, apprezzarli, offrire loro una buona atmosfera di lavoro e la possibilità di continuare a formarsi. Sono queste le strategie che le aziende dovrebbero mettere in atto per attrarre, sviluppare e trattenere a lungo termine i giovani talenti delle professioni della generazione Z. A suggerirlo sono le attese delle 600 persone intervistate nell’ambito dello studio rappresentativo Le aspettative della Gen Z nei confronti del mondo del lavoro, promosso da SwissSkills in tutta la Svizzera la scorsa primavera. Nell’indagine è stato coinvolto chi ha fra i 17 e i 27 anni ed è quindi al termine della formazione professionale o nei primi anni del percorso lavorativo. SwissSkills, che promuove con successo i giovani lavoratori nel contesto dei campionati professionali, ha interpellato i partecipanti ai suoi eventi e chi è diventato in questo ambito ambasciatore della propria professione. Per Sara Rossini, rappresentante di SwissSkills per la Svizzera latina, la Gen Z è seria e coerente, pronta a offrire il massimo impegno se coinvolta e valorizzata. Ha però aspettative diverse rispetto a chi è chiamato ad assumerla e a formarla, per cui la chiave di un rapporto winwin è la comprensione.
I giovani ritengono fondamentali i buoni rapporti con i colleghi e il riconoscimento da parte dei superiori
Condotto in collaborazione con Kitoko People, consulente specializzato nelle generazioni Y e Z, lo studio ha visto coinvolti 460 giovani della Svizzera tedesca, 100 della Svizzera francese e 40 della Svizzera italiana, di cui complessivamente circa un terzo (28%) ancora in formazione. «Il campione – si legge nello studio – copre un’ampia gamma di settori come l’edilizia, l’industria, il settore alimentare, l’informatica, l’ospitalità, l’arte, la ven-
dita, il settore commerciale, la sanità e i servizi sociali».
I risultati sono significativi con conferme e alcune sorprese. Conferme sui valori e le motivazioni di questa generazione per la quale «la buona atmosfera di lavoro, il team e i colleghi sono la ragione più importante per la scelta di un datore di lavoro sia per le donne (94%) che per gli uomini (87%)». Il salario non è il criterio principale per questo tipo di decisione. Per quanto riguarda le possibilità di sviluppo dei giovani talenti, questi ultimi identificano in apprezzamento, fiducia e rispetto le principali aspettative nei confronti dei superiori/formatori (78% delle donne, 77% degli uomini). In seconda posizione vengono l’onestà e la comunicazione aperta. È auspicabile che il classico capo diventi piuttosto un coach e un mentore, fornendo ai subordinati un feedback regolare e costruttivo. Al fine di trattenere i giovani talenti – terza area di indagine dopo l’attrarre e lo sviluppare – è necessario evitare la pessima atmosfera lavorativa, la mancanza di apprezzamento e l’insoddisfazione nei confronti dei superiori. Sono infatti queste le ragioni indicate dai partecipanti allo studio quali motivi principali per cui lasciano un’azienda.
La grande maggioranza degli intervistati (76%) al momento non è però interessata a cambiare posto di lavoro. Altra rivelazione sorprendente dello studio, la modalità con la quale avviene la ricerca di un impiego. Si legge al riguardo: «Contrariamente all’ipotesi che i social media siano oggi una piattaforma importante per la ricerca di lavoro, solo LinkedIn, con poco meno del 30%, risulta essere uno strumento rilevante per le persone intervistate», siano esse donne o uomini. A prevalere sono infatti strumenti quali gli annunci di lavoro (86% per le donne, 75% per gli uomini), i contatti personali (71% per le donne, 78% per gli uomini) e, per circa la metà degli interpellati, il sito web dell’azienda. Così valu-
ta questi ultimi dati Sara Rossini: «La Generazione Z sa scindere molto bene il lavoro, aspetto serio della vita da gestire in un determinato modo, dai momenti di evasione per i quali ricorre ampiamente ai social media. I giovani talenti sono lungimiranti, puntano sul contatto personale utilizzando la propria rete. Il giudizio di chi ha già lavorato in un’azienda è pertanto un fattore rilevante nella loro ponderazione». Quali considerazioni ispira invece la propensione a conservare per più anni il medesimo posto di lavoro? Risponde la rappresentante di SwissSkills: «Per la Gen Z già attiva professionalmente l’obiettivo è acquisire competenze. Se l’azienda offre questa opportunità, i giovani talenti restano. Va rilevato che le formazioni sono costose (diverse migliaia di franchi) e chi è inserito a pieno titolo nel mondo del lavoro non beneficia più di alcun sussidio. Inoltre, per poterle seguire, è magari necessario diminuire il tempo dedicato all’attività professionale con conseguente riduzione del salario. Quest’ultimo non è più il fattore determinante nella scelta di un posto di lavoro, superato appunto dalla possibilità di avere accesso a formazioni qualificanti».
Nelle testimonianze riprese nella presentazione dello studio un partecipante della Svizzera italiana afferma che «se intravedo una prospettiva professionale all’interno dell’azienda posso rimanere di più, ma solo se c’è la possibilità di crescere». Medesimo tenore per una considerazione proveniente dalla Svizzera francese: «È importante offrire opportunità di promozione e formazione continua che motivino i collaboratori a rimanere e a impegnarsi nell’azienda».
Questa generazione di lavoratori è quindi motivata e attenta a soddisfare le attese del datore di lavoro. Sara Rossini lo constata regolarmente nelle prove di SwissSkills. Altra caratteristica emersa in modo chiaro durante i focus group è che la Gen Z privilegia l’aspetto collettivo a quello individuale. «Alla domanda sui benefit – spiega la nostra interlocutrice – le risposte indicano come di fronte a risultati raggiunti in team prevalga l’idea di un bonus collettivo destinato all’intero gruppo piuttosto che un riconoscimento personale. Il lavoro di squadra implica che i meriti siano condivisi».
Un ulteriore esempio significativo dell’approccio al lavoro riguarda gli
eventi ricreativi organizzati dall’azienda nel tempo libero. Sono considerati momenti preziosi per incontrare colleghi e superiori in un contesto diverso, conoscendoli e rispettivamente facendosi conoscere attraverso aspetti della personalità non strettamente legati alla professione. È però necessario tenere in considerazione gli interessi di questa fascia d’età e non proporre eventi corrispondenti alle inclinazioni delle generazioni mature. Per Sara Rossini, che conosce bene la realtà di tutta la Svizzera, vi sono differenze culturali nelle aspettative di svago per cui il miglior consiglio alle aziende è quello di essere attente alla propria realtà interna ed esterna. In ogni caso gli eventi cool non sono affatto da sottovalutare, poiché efficaci per rafforzare la cultura e i rapporti in azienda, contribuendo a trattenere i giovani talenti.
L’affinità digitale, la diversità culturale, la consapevolezza dei valori e l’istinto di autodeterminazione sono le principali caratteristiche della Generazione Z. Grazie allo studio promosso da SwissSkills le aziende dispongono di uno strumento mirato e aggiornato per intercettarne al meglio i bisogni in ambito professionale. Il potenziale è elevato con risultati eccellenti, come ha dimostrato la squadra svizzera agli EuroSkills svoltisi due settimane fa a Danzica. Squadra classificatasi al primo posto per numeri di titoli fra i quali la medaglia d’oro del ticinese Giorgio Besomi. Per l’azienda aprirsi a un nuovo approccio del lavoro può inoltre costituire un vantaggio anche nei confronti delle generazioni più anziane che magari faticano, dopo tanti anni, a trovare nuove motivazioni. Non va infine dimenticato che la Gen Z non rappresenta il futuro solo rispetto alla professione, ma pure in quanto clientela. Impegnarsi con convinzione per comprenderla è insomma un vantaggio reciproco a lungo termine.
Informazioni: www.swiss-skills.ch
Fare la cosa giusta
Quando la povertà mostra il suo volto
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La vulnerabilità degli habitat costieri
Mondo sommerso – 1 ◆ Mari e oceani subiscono sempre più pressione antropica sulle loro fasce litoranee
Circa il 70 % della superficie terrestre è ricoperto da mari e oceani. Essi sono talmente estesi da far apparire blu il pianeta visto dallo spazio. Lungo questa superficie sferica, dalle mille sfumature di colore che arriva fino al verde, sono circa 620mila i chilometri lineari di coste che delimitano le terre emerse – come se percorressimo 15,5 volte la circonferenza equatoriale massima della Terra.
Poiché la maggior parte delle aree costiere sono inospitali, è ancora più sorprendente constatare che circa 3,5 miliardi di persone – oltre il 44 % della popolazione mondiale attuale – si addensino nei rimanenti territori litoranei che lambiscono i mari e gli oceani, entro i 150 km dalle coste. Il trend di crescita della popolazione lascia adito a pochi dubbi sull’incremento della densità degli abitanti per due chilometri in questi spazi, considerato che negli ultimi cento anni essa è aumentata del 400%, soprattutto per l’incremento demografico in Asia e Africa (fonte ONU).
La Strategia Europea per la Biodiversità chiede di proteggere, entro il 2030, almeno il 30% dei mari europei
Le disuguaglianze sociali ed economiche spesso pongono i membri più vulnerabili della società in alcuni dei territori più sensibili ed esposti. Se le tendenze demografiche e socioeconomiche attuali non cambieranno, la perdita di vite umane e di beni in tali aree è destinata ad aumentare in modo significativo nei prossimi decenni.
Vivere nella fascia costiera
I benefici derivanti dall’accesso alla navigazione oceanica, ai combustibili fossili, al commercio via mare, alla pesca, al turismo, alle attività ricreative e al benessere (fisico, psicologico, economico e sociale) di vivere in prossimità delle coste sono elementi innegabili che favoriscono una maggiore pressione antropica sulle fasce litoranee. E poiché ovunque gli esseri umani vadano nel mondo, lasciano il segno, a farne le spese maggiori sono gli ecosistemi naturali complessi,
messi severamente a rischio dall’urbanizzazione e da attività come l’agricoltura, la pesca, l’acquacoltura, la navigazione, il turismo, quando esse sono svolte in modo inadeguato e non sistemico. La crescita della popolazione, dello sviluppo e dell’economia determina un incremento della quantità delle attività svolte e del valore delle zone vulnerabili, caratterizzate da diversità ecologiche elevate e complessità biofisiche eccezionali rispetto sia all’entroterra, sia alle profondità marine (anche poco distanti dalle coste). Spesso a discapito della qualità di tali attività, svolte di solito in modo individuale e raramente in modo coordinato.
Sfide ambientali
L’adattamento ai cambiamenti (anche climatici e ambientali) è una delle maggiori sfide che tutti gli esseri viventi (animali e vegetali) affrontano fin dal concepimento e fin dalla notte dei tempi. L’adattabilità (la capacità di mutare) è un elemento fondamentale, tanto quanto la resilienza (la capacità di resistere e riorganizzarsi). È ormai ben noto che le mutazioni ambientali (anche violente) vivono una accelerazione inattesa, nonostante ci siano reazioni (rivelatesi finora inadeguate) agli allarmi (e allarmismi) che si sono succeduti e che vengono diramati regolarmente in ogni continente e da ogni dove (in ambito politico, sociologico, ambientale, eccetera).
Tuttavia, raramente i cambiamenti vengono contestualizzati. Va da sé che gli impatti ambientali e sociologici dei cataclismi in una tundra inospitale sono diversi di quelli che si manifestano in fasce costiere densamente popolate, in Paesi economicamente poveri e sovraffollati, oppure in nazioni ricche o scarsamente popolate.
Nelle zone tropicali e temperate (cioè laddove le condizioni climatico/ ambientali favoriscono una maggiore densità abitativa), le barriere coralline (delle quali parleremo nella seconda parte di questa serie), le paludi costiere e le mangrovie (che saranno oggetto di approfondimento nella terza e ultima parte) proteggono i territori litoranei e ne aumentano la resilienza verso eventi climatici estremi come piogge torrenziali, allagamenti,
mareggiate che sono causati da tifoni, tempeste e uragani, i quali occorrono più frequentemente in conseguenza del cambiamento climatico (innalzamento delle temperature, incremento della salinità degli oceani, deviazione delle correnti marine eccetera).
Ricercatori di Nature Conservancy hanno rilevato che i mangrovieti sono le barriere più efficaci in ogni condizione meteo-marina, sia durante le tempeste, sia in fasi di quiete, seguiti appresso dalle barriere coralline e dalle paludi costiere, per mitigare l’impatto delle onde e delle correnti, riducendo la vulnerabilità delle coste. Però, soprattutto, hanno constatato (senza sorprese) che i tre diversi habitat si completano a vicenda, essendo eccezionalmente funzionali laddove presenti contemporaneamente.
Degrado e ripristino
Il crescente degrado degli ecosistemi costieri di tutto il mondo evidenzia il loro ruolo cruciale nella regolazione del clima, nel fornire risorse alimentari e contribuire al benessere sociale. La maggior parte di questi ecosistemi sono stati significativamente alterati dalla complessa interazione tra pressioni antropiche (ad esempio: lo sfruttamento eccessivo della pesca, l’inquinamento terrestre e marino, l’acquacoltura) e quelle legate al clima (solamente per ricordare gli esempi più comuni: l’aumento delle temperature del mare che talvolta provocano ondate di calore, gli estremi meteorologici, l’acidificazione degli oceani) compromettendo la loro resilienza alle perturbazioni consecutive e la loro capacità di fornire servizi ecosistemici.
La Strategia Europea per la Biodiversità richiede di proteggere, entro il 2030, il 30% dei mari europei e il 10% in modo rigoroso in ciascun Paese dell’Unione. Il progetto va oltre gli obiettivi di tutela e protezione: propone infatti di invertire il degrado degli ecosistemi mediante interventi di ripristino che fanno uso di protocolli consolidati, su una scala spaziale molto vasta mai tentata prima. Il progetto Rest-Coast, finanziato dall’Ue per 17,8 milioni di euro erogati in un periodo di 4,5 anni (dall’ottobre 2021 al marzo 2026), riunisce 37 part-
ner di 11 nazioni per valutare i servizi ecosistemici delle paludi costiere, delle praterie marine e delle dune costiere, per ridurre i rischi di erosione e di inondazioni, migliorando la biodiversità.
Rest-Coast intende dimostrare come un’attività di ripristino diffuso dell’ambiente costiero e di ecosistemi costieri vulnerabili, come zone umide o fanerogame marine, possa portare a un abbattimento delle emissioni di carbonio, a una riduzione dei rischi che minacciano tali ambienti e a un incremento in termini di biodiversità. Per raggiungere questo ambizioso scopo, Rest-Coast sta promuovendo una serie di servizi ecosistemici volti a contrastare problemi costieri urgenti come l’erosione, le inondazioni e l’accelerazione del degrado degli habitat
costieri in nove casi pilota rappresentativi di Mar Baltico, Mar Nero, Mare del Nord, Oceano Atlantico e Mar Mediterraneo.
I risultati ottenuti sostenendo i progetti pilota consentiranno di provare l’importanza di una attività di ripristino capillare dell’ambiente costiero ai fini del raggiungimento degli obiettivi del Green Deal Europeo (riduzione delle emissioni del 50-55% e favorire la biodiversità entro il 2030), supportando e guidando un processo di trasformazione della governance e delle strutture finanziarie che, ci si auspica, porterà da un lato al mantenimento a lungo termine delle politiche di ripristino ambientale costiero, dall’altro a considerare i servizi ecosistemici costieri nelle politiche nazionali e internazionali.
14 Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 25 settembre 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino SOCIETÀ
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TEMPO LIBERO
Un modo di giocare costruito dal basso Nell’autobiografia La bellezza non ha prezzo, l’allenatore Zdeněk Zeman racconta la propria vita e spiega la vera essenza del suo far calcio
Tra gli abitanti dei vasci Nei vicoli dei Quartieri Spagnoli di Napoli ci si passa ancora il caffè dalla finestra e dai balconcini si cala il secchio per il pane
Da Palena al Pacifico, a colpi di pagaia Un’avventura in canoa, attraverso l’illusione tropicale prodotta da un’Amazzonia al contrario, fredda e umida, la «tierra incognita»
L’enfasi inutile può essere una forzatura disonesta
Un visibile narrare ◆ La consuetudine all’esaltazione delle banalità porta a una desensibilizzazione, tanto che per rendere speciale un’immagine occorrono figure retoriche sempre più spinte
«Tutto il mondo diventa “ugualmente bello”, senza distinzioni, se ammantato da quella luce lì». Così scrivevamo nel primo pezzo apparso su «Azione» del 17 gennaio 2022, per la rubrica «Un visibile narrare», serie che, sovrapponendo la fotografia e la scrittura come arti che condividono codici espressivi, suggerisce approcci diversi, per generare riflessioni circa il modo in cui fruiamo di immagini e testi.
Vale la pena tornare ancora una volta sull’alba, o sul tramonto, che a livello di immagini non portano il senso attribuito a loro dalle parole che li definiscono.
Per tradurre la luce in narrazione letterale disponiamo della retorica di cui si può fare buono o cattivo uso
Per essere più chiari: è noto il portato di senso che va ad aggiungersi a queste due parole (un’evocazione non meno cliché dell’uso che se ne fa): banalmente l’alba ci rimanda alla nascita, il tramonto alla morte, tanto per rimanere sul semplice. Un portato che non può essere presente però nella fotografia. È infatti complicato capire a che ora sia stata scattata un’immagine (se di sera o di mattina) davanti a un paesaggio sospeso nel tempo, come lo sono tutti gli scatti che immortalano un pezzo di terra o di mare scuro e un pezzo di cielo giallo-arancio con al centro magari un cerchio «bruciato» (così nella fotografia si definisce l’eccesso di luce che rende alcune porzioni dell’immagine completamente bianche).
L’impossibilità di stabilire se è mattina o sera ci impedisce di attribuire alla fotografia il portato di senso extra che hanno le parole «alba» e «tramonto», a meno che non si giochi con la luce (molto chiara o molto scura, al di là dell’ora in cui scattiamo davvero la foto). Proprio per questa ragione, il bianco e nero potrebbe persino tornare di fondamentale aiuto. L’annullamento derivante da una forma che si esprime senza il colore, se da una parte rinuncia all’emozione facile, dall’altra si fa strumento più adatto per conferire all’immagine un senso altro, ad esempio drammatizzando, oppure enfatizzando il chiarore.
Comporre un’opera ci porta a interrogarci sulla resa che vogliamo per la stessa. Qualcuno a questo punto sarà rimasto inorridito dall’affermazione e starà stigmatizzando l’arte fatta a tavolino. Si potrebbe aprire una parentesi circa la consapevolezza dell’artista in contrapposizione al-
la spontaneità del gesto artistico. Ma anche in questo caso non ce la sentiamo di porli in competizione perché ci sembrano, di nuovo, due approcci diversi in quanto diversi sono i loro obiettivi. E contestualmente, ciò pur scivolando nel perimetro delle cosiddette opere letterarie: in un caso si agisce plasmando ad arte parole e forme, nell’altro si agisce per mezzo della propria espressione liberando parole e forme; chi offre maestria e il proprio sguardo sul mondo, chi invece offre sé stesso o l’espressione di sé come opera su cui appoggiare lo sguardo. Entrambi sono approcci onesti che producono, se lavorati senza artifici, opere altrettanto oneste.
La luce, si diceva, ha un fondamentale ruolo in una qualsiasi narrazione. È in particolare ciò che aumenta o diminuisce il carico di «emozioni» e, nella fotografia, senza di essa non esisterebbe alcuna immagine (letteralmente fotografia significa «scrivere con la luce»). Per tradurre la luce in una narrazione composta da parole, abbiamo a disposizione la retorica. Della quale si può fare buono o cattivo uso. Con la quale si crea tutto, bene o male. Grazie alla quale possiamo affinare la nostra voce, e se scrivessimo con un pennino, guiderebbe persino la nostra mano facendole fare gesta più calcate, con colate di inchiostro, o permettendole di svolazzare in leggeri ghirigori.
La retorica è per la scrittura ciò che la luce è nella fotografia, e dunque – per prendere di nuovo in prestito le parole di Cartier-Bresson (L’immaginario dal vero): «Niente baccano, e non intorbidare l’acqua prima di pescare. Mai fotoflash, per rispetto alla luce, anche quando non c’è, altrimenti un fotografo diventa insopportabilmente aggressivo». Così, l’eccesso di cattiva retorica: la luce artificiale, non adatta, invadente, che vuole forzare quella naturale è una manipolazione che rischia di compromettere il valore dello scatto. Così vale per la scrittura, anche se le enfatizzazioni, la drammatizzazione, la metafora azzardata, i colori accesi, i calci negli stinchi sembrino divenuti di moda, come se si giocasse a chi tira le sberle più forti.
Per fare un esempio concreto di quello che intendiamo, e rimanendo sempre sul tema dei tramonti, riportiamo questa descrizione tratta dal romanzo La straniera di Claudia Durastanti (La Nave di Teseo, 2019 – è, al di là di questa estrapolazione, un libro che abbiamo letto con piacere e che consigliamo): «Quando il sole tramonta in Basilicata, il cielo si tramuta in un polmone che espettora sangue, la luce fa tossire più che commuovere». Il romanzo, per chi
non lo conoscesse, non è un giallo, non è manco un noir, non ha al suo interno nulla che possa rendere funzionale questa descrizione, che resta per l’appunto solo una descrizione (la protagonista sta rientrando a casa, nella sua terra, dopo un girovagare per il mondo).
Ebbene, oggi che si nota una sorta di assuefazione all’enfasi applicata anche alle banalità, pochi resteranno infastiditi da quella che a noi pare essere invece una forzatura, uno schiaffo, una drammatizzazione gratuita perché non utile ai fini della storia, che è come avere davanti agli occhi un’immagine ritoccata al computer dove i colori sono stati caricati di in-
tensità e di contrasto fino a cancellarne qualsiasi sfumatura; e invece di far fare «oh!» – ai più sensibili – per un bel tramonto, fa venir su uno schifato «bleah!» perché negli occhi resta il volto di un morto di tisi dalla cui bocca cola sangue.
Ci siamo interrogati sulla ragione di questa scelta e la nostra ipotesi è che, proprio per fuggire al cliché del «bel tramonto», l’autrice abbia cercato di trasformarlo in altro, ottenendo tuttavia un effetto paradosso, non meno di quello che capita all’aspirante che cerchi di scrivere narrativa di genere «con la bella scrittura».
C’è modo, ma occorre o rinunciare al tramonto, oppure trovare solu-
zioni diverse, la migliore delle quali, si sarà capito forse a questo punto, potrebbe essere la semplicità, che di più onesta non se ne trova.
Partendo non dalle immagini ma definendo o manipolando queste ultime attraverso la scelta delle parole, delle forme di scrittura, del ritmo delle frasi, possiamo migliorare anche i nostri registri linguistici pur applicando in modo proficuo le tante figure retoriche che abbiamo a disposizione.
Informazioni
I primi due articoli sono usciti su «Azione» del 17 gennaio e del 9 maggio del 2022.
● ◆ Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 25 settembre 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino 17
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Manuela Mazzi
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«Ora le tue gambe sono imballate, ma dopo balleranno»
Sport ◆ Nella sua autobiografia La bellezza non ha prezzo, l’ex tecnico del Lugano Zdeněk Zeman si racconta
Alessandro Cristallo
Fumatore seriale, bocca molto larga, capace di far subire valanghe di goal alle sue squadre, Zdeněk Zeman ha anche dei… difetti. Il suo nome è stato onorato persino dalle nostre parti, avendo tenuto, pur solo per un anno, le redini del Lugano. Un nome, il suo, che si appoggia sul latino Sidonius, da cui provengono le radici della parola ceca zidati, che significa «costruire» e «creare»: Zdeněk Zeman può essere fiero di far parte della rosa degli allenatori di spessore, pur non avendo mai vinto titoli di livello assoluto.
«Il boemo», così chiamato per la sua provenienza, è il portavoce dello sport autentico, quello formato da tre tasselli fondamentali: lavoro, riposo e sana alimentazione. È pure considerato uomo di poche parole, tant’è che a Palermo lo chiamavano «U mutu» (il muto). In verità, Zeman parlava, ma al momento giusto e ponderando ogni frase.
Pubblicata alla fine del 2022 da Rizzoli, la sua autobiografia La bellezza non ha prezzo (scritta a due mani con il giornalista Andrea Di Caro) contiene un percorso diviso in più capitoli che, da una parte donano al lettore l’idea di progredire cronologicamente nella carriera dell’allenatore oltre che nella sua vita privata, e dall’altra si fanno portavoce di un tipo di bellezza ogni volta diversa.
Zdeněk nasce nel 1947 a Praga e vive i suoi primi anni di giovinezza nella capitale della Repubblica Ceca assieme alla famiglia e in una casa troppo piccola per tutti i suoi componenti: lui e la sorella Jamila, infatti, dormono in cucina su un letto e una branda, «come quelle da campo per i soldati», mentre i genitori, Karel Zeman e Květuše Vycpálková, dormono in salotto.
Il clima non facile di quegli anni è anche condizionato dalle tensioni politiche: «Soffiava il vento della Guerra Fredda». Ciononostante il giovane boemo riesce ad alimentare la sua passione per gli sport, evadendo da casa e invadendo qualsiasi campetto sportivo.
Il piccolo Zeman cresce con un padre medico spesso assente da casa per lavoro, oppure immerso nella stesura di lunghe relazioni. Dai pochi momenti che trascorrono insieme, tuttavia, impara valori fondamentali che lo accompagneranno per l’intera vita: «La cultura del lavoro, svolto con passione, onestà, abnegazione; la voglia perenne di approfondire e applicarsi; la convinzione che i risultati si ottengono solo quando alle qualità si aggiunge il sacrificio».
È al nonno Přemysl, invece, che Zeman deve tutta la riconoscenza per la scoperta del mondo del pallone, perché lo porta ogni domenica pomeriggio allo stadio a vedere le partite delle squadre della città: Slavia, Sparta, Dukla, Bohemians.
Proprio nello Slavia, Zeman muove i suoi primi passi da calciatore professionista nel settore «primavera»: è, sì, considerato un centrocampista «bravino», ma non sembra essere in grado di
poter seguire le orme dello zio Čestmír Vycpálekci che, proprio in quella squadra, si era messo in mostra nel 1938 come fuoriclasse. La carriera dello zio sarà poi interrotta per otto mesi nel 1944 a causa dell’imprigionamento nei campi di concentramento di Dachau. Ritornato in gioco, lo zio riprenderà a mietere successi nello Slavia Praga e nella Juventus, come narrato nel capitolo La bellezza delle radici.
«Tutto ciò che ho fatto è stato mosso dal concetto di bellezza e dal sentirmi appagato nel trovarla o nel cercarla»
Dopo il trasferimento dello zio in serie B al Palermo, Zeman lo raggiunge nel 1966. Un espatrio non facile, sotto regime, che avviene solo grazie ad alcuni contatti del padre che gli procurano un permesso speciale. Prevede di restare all’estero per tre estati, ma finisce per stabilirsi definitamente in Italia dove frequenta «l’università dello sport». Nello stesso periodo matura le prime esperienze da allenatore in forza a squadre come la Cinisi o la Bacigalupo, anche se all’epoca si sente più preparatore atletico. La svolta avrà luogo con le giovanili della squadra rosanero, per le quali arruola «picciriddi» direttamente dalla strada.
Il percorso è tortuoso, non solo per l’ambiente del calcio, ma anche da un punto di vista emotivo, dato che nella sua Praga non potrà tornare ancora a lungo a causa del regime comunista.
Ma sarà a Licata, categoria C2, che nascerà la vera essenza del gioco «zemaniano», anche meglio conosciuto come «Zemanlandia»: costruzione dal basso (non un caso, vista l’etimologia del suo nome), inserimenti, sovrapposizioni, triangolazioni, fuorigioco altissi-
mo, squadra corta e un marchio di fabbrica come il 4-3-3. Una trama di gioco così complessa ma allo stesso tempo efficace non è cosa di tutti i giorni, anzi, il canovaccio di quei tempi è spesso e volentieri «catenaccio e contropiede».
Nasce a Foggia, invece, qualcosa di unico, un legame forte e reciproco tra Zeman e i fan rossoneri, indimenticato fino a oggi. La scintilla scaturisce dal successo, che gli sarà per sempre riconosciuto, ma anche dal calore della gente, da una terra baciata dal sole, dal mare e, forse, dalla sintonia col presidente Casillo. Zeman tornerà quattro volte in Puglia come allenatore, ma solo dopo le esperienze al Parma e al Messina. Sarà tre anni più tardi a Foggia che otterrà una delle sue più grandi soddisfazioni grazie a uno straripante «Beppe» Signori (autore di 14 goal) e a una squadra che gioca a memoria, velocemente, creando azioni corali, in maniera spregiudicata, lasciando il compito di difendere unicamente all’avversario. È l’anno (stagione 19911992) della promozione in serie A, che farà la fortuna di società e di tifosi.
Una conquista ottenuta grazie alla dedizione, ai suoi allenamenti sfiancanti e a una squadra che ormai ha acquisito tutti i meccanismi e che Zeman sente sua. I giocatori non temono nessuno, nemmeno le formazioni che schierano Gullit, Del Piero, Batistuta, Baggio e altri campioni: la loro forza risiede nel collettivo e nell’approccio alla partita, con un pressing sfiancante che porta gli avversari a sragionare. La stagione si chiude a 35 punti e al nono posto in classifica, ma per il Mister, la più bella soddisfazione dell’anno è la convocazione in Nazionale di Baiano e Signori.
«Sdengo» – così è chiamato il boemo dal patròn rossonero – sceglie Roma per il salto di qualità. Le offerte non mancano dopo le stagioni sontuose tra
serie B e serie A, ma si accaserà là dove i colori delle sciarpe sono biancocelesti. Per l’allenatore ceco la culla della Lazio è la più bella del mondo, assieme a Praga e Palermo, poiché la città eterna rimane sempre magica, seppur «zavorrata dai problemi, caotica, poco organizzata, piena di traffico, un po’ sporca…». Alla Lazio ritroverà anche il suo pupillo, Giuseppe Signori, insieme al suo ex compagno, acquistato dall’Atalanta in balia della retrocessione in serie B, Roberto Rambaudi. Insieme a Pierluigi Casiraghi, la coppia chiuderà la stagione con il miglior attacco, caratteristica comune di tutte le squadre allenate da Zeman.
Tra derby accesi, giovani sulla rampa di lancio come Alessandro Nesta, e colpi di mercato degni del Pallone d’oro alla Pavel Nedvěd, ecco che nel 1997 accade l’inimmaginabile. Quattro sconfitte nelle prime otto partite, e a susseguirsi un’alternanza di vittorie e pareggi. Il problema cardine sono l’identità e l’ideologia di gioco della squadra, non più così chiare come agli inizi. Zeman viene esonerato. Per i tifosi laziali, ora, inizia la parte peggiore: il club che lo aveva desiderato – quello sull’altra sponda del Tevere, dove prima di ogni partita risuonano le note dell’inno di Antonello Venditti che fanno cantare a squarciagola ottantamila tifosi – lo assume. Ebbene sì, Zdeněk Zeman diventa l’allenatore della Roma. Alcuni tifosi laziali vivono con rancore il trasferimento, altri supportano la scelta e rimangono così affezionati al Mister da essergli grati per tutto quello che ha portato sul campo.
Sarebbe banale riassumere quegli anni ai piedi della Lupa con la parola «Totti», ma a dire il vero, Francesco, è stato l’icona della squadra capitolina, il così definito «Ottavo Re di Roma»: non menzionare la sua importanza sa-
rebbe dunque un torto a tutto il mondo del calcio. I «nuovi» tifosi si trovano perfettamente in simbiosi con l’ideologia calcistica: lo spavaldo 4-3-3 zemaniano si sposa perfettamente con l’ambiente.
Nella regione Lazio il derby tra le due squadre capitoline è più che una partita, è una «lotta» per l’onore e per la gloria, qualcosa che si vive visceralmente già due settimane prima. Per le strade, nei bar, tra i campetti di periferia, il derby è un misto di emozioni e sentimenti che non possono essere raccontati, perché vanno vissuti.
«Il derby è una partita come tutte le altre» afferma Zeman pubblicamente, non solo per il livello spettatoriale, ma anche e soprattutto per i punti in classifica; se si vince si ottengono tre punti, se si pareggia uno, e se si perde zero, come in tutti gli altri scontri. Ovviamente questo fa scalpore, ma come già accennato, il boemo non ha problemi nel condividere ciò che pensa. Questa è una delle sue peculiarità, ma sarà anche ciò che non gli permetterà di «spiccare il volo» e conquistare panchine di livello massimo, e trofei. Come quando alla fine degli anni Novanta condanna il sistema calcio che sta prendendo forma in una veste che lui non riesce ad accettare: «Io vorrei che il calcio uscisse dalle farmacie e dagli uffici finanziari e rimanesse soltanto sport e divertimento… ma il calcio è sempre più un’industria e sempre meno un gioco».
Tra qualificazioni in Champions League conquistate, risultati altalenanti, e rivoluzioni societarie, Zeman viene accompagnato alla porta e costretto a continuare la sua carriera altrove. Da lì si profilano altre opportunità tra estero e Italia, esperienze però non indimenticabili.
Dopo un ritorno nella capitale e una parentesi a Cagliari, il boemo arriva a Lugano, dove a dire il vero, oltre alla permanenza in Raiffeisen Super League (ndr: massima competizione a livello nazionale) e a una finale di Coppa svizzera conquistata, non lascia il segno. Forse qui, Mister, ci si aspettava qualche disamina ulteriore.
Ovunque Zeman sia stato, non ha mancato di creare delle divisioni per motivi di natura diversa, ma non è un caso se chiunque abbia avuto il piacere di rapportarsi con lui, lo apprezzi profondamente; da Totti fino a Pep Guardiola, passando per Massimo Moratti, tutti hanno elogiato la sua idea di calcio e speso parole al miele per lui. Ultimo, ma non per importanza, anche un certo Arrigo Sacchi, che disse di lui: «Zeman è un grande maestro di calcio. Le sue squadre hanno uno stile in un Paese dove poche cose hanno stile. Lui ha cercato di vincere attraverso il merito e la bellezza, in un Paese che non sempre riconosce il merito e la bellezza».
Bibliografia
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 25 settembre 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino TEMPO LIBERO 19 azione Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Abbonamenti e cambio indirizzi tel +41 91 850 82 31 lu–ve 9.00 –11.00 / 14.00 –16.00 registro.soci@migrosticino.ch
Barbara Manzoni Manuela Mazzi Romina Borla Natascha Fioretti Ivan Leoni Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Telefono tel + 41 91 922 77 40 fax + 41 91 923 18 89 Indirizzo postale Redazione Azione CP 1055 CH-6901 Lugano Posta elettronica info@azione.ch societa@azione.ch tempolibero@azione.ch attualita@azione.ch cultura@azione.ch Pubblicità Migros Ticino Reparto pubblicità CH-6592 S. Antonino tel +41 91 850 82 91 fax +41 91 850 84 00 pubblicita@migrosticino.ch Editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino tel +41 91 850 81 11 Stampa Centro Stampa Ticino SA Via Industria – 6933 Muzzano Tiratura 101’177 copie ●
Redazione Carlo Silini (redattore responsabile)
Simona Sala
Zdenek Zeman (Autore) e Andrea Di Caro, La bellezza non ha prezzo L’autobiografia, Rizzoli (2022)
Foto di copertina del libro La bellezza non ha prezzo che ritrae Zdenˇek Zeman.
I Quartieri Spagnoli e tutto l’oro
Reportage ◆ Una giornata in un vicolo di Napoli, città che è da sempre fonte di ispirazione delle migliori penne della letteratura italiana
Tarantina dal suo basso, o vascio, (spazio abitativo con accesso diretto in strada) guarda la via che l’ha adottata, quel vicolo in ombra da cui si vede solo uno spicchio di cielo e che fino a qualche anno fa era percorso unicamente da motorini e faceva da sfondo a storiacce di quartiere, a traffici e lotte di potere. E che oggi invece è battuto – per lo più – da turisti dalle gambe arrossate con la cartina in mano, che confusi dai festoni bianco-azzurri che penzolano dal cielo come un’infinita escrescenza verticale, non riescono a trovare il murales-santuario di Diego Armando Maradona, con i suoi ceri, le sue bandiere, la sua commozione, battuto e fotografato come e più della madonna di Pompei. Nella sua vita, Tarantina, origini pugliesi (e un’infanzia da abusata e scappata di casa, ma nel vero senso della parola) il cui basso, salotto-camera da letto con trapunta rigorosamente leopardata, è alla mercé di passanti e amici, prima di stabilirsi nei napoletani Quartieri Spagnoli, ha fatto da musa a Federico Fellini, ha conosciuto Pasolini e accendeva le promiscue notti romane, quando ancora «femminiello» aveva un significato altro, in un’accettazione del diverso che forse era più grande della nostra.
«Luogo di dolore e ultima speranza: ero obbligato a interpretare Napoli all’interno di queste polarità. Luogo di sangue e di cenere, di vino e di fiori: una città che ti tende una mano mentre nell’altra nasconde il coltello, ecco la dolorosa dialettica della vita di questo popolo»
(Thomas Belmonte)
Al bar Ex Voto dei Quartieri – indicato oltre che dal cuore trafitto per grazia ricevuta tanto caro ai napoletani, anche da un murales dedicato a Bud Spencer – Vittorio ritira i bicchieri di un gruppo di ragazze che ha festeggiato l’addio al nubilato, mentre lo sguardo si posa su due vu cumprà che, risaliti di corsa da Via Toledo (grazie al muto tam tam che di solito annuncia l’arrivo della finanza), si sono rifugiati nel dedalo di vicoli e hanno posato a terra il fagotto fatto di un lenzuolo annodato ai quattro angoli contenente borsette falsificate. Vittorio li guarda con le braccia lungo i fianchi, «Poveretti, peccato che Napoli non possa offrire loro di più». Gli fa onore, questa sensibilità, ma espressa da uno emigrato nel Nord dell’Europa e che ora sta qui solamente perché ha la madre all’ospedale, fa strano. Vittorio fa spallucce, «e perché dovrebbe fare strano? Loro sono come noi, devono emigrare. E anche noi siamo africani, in fondo».
«Dio creò insomma i “Quartieri” per sentirvisi lodato e offeso il maggior numero di volte nel minor spazio possibile»
(Giuseppe Marotta)
La consapevolezza di appartenenza, eterno ritorno di un destino che si riverbera praticamente immutato di generazione in generazione è marchio distintivo di molti abitanti dei Quartieri Spagnoli, il fittissimo grumo di
case ammassate che sovrasta via Toledo voluto da Pedro de Toledo nel 1500, dove a volte il sole non ce la fa a penetrare mentre altre prende di mira un gradino con insistenza, scottandolo, dove ancora si canta mentre si «fa servizio», ossia le pulizie giornaliere (ovviamente canzoni del repertorio neomelodico come Ce appartenimmo di Nando Mariano, Jamme facimme pace di Natale Galletta, o un evergreen di Nino D’Angelo), dove ci si passa il caffè dalla finestra, e dai balconcini si cala il secchio per il pane o le sigarette. Dove quando si compiono i diciott’anni, o, meglio ancora, ci si sposa, ci si affaccia dal balcone, scintillanti regine per una notte, si liberano colombi e magari si riceve persino una serenata da parte di una celebrità napoletana. Ma anche dove il controllo sociale è praticamente tut-
to, dove basta passare più di una volta per essere riconosciuti, scandagliati, forse incasellati.
I bassi, un tempo umidi tuguri scuriti da muffa e umidità, raccontati magistralmente da penne eccellenti, tra cui quella permeata di pietas di Curzio Malaparte ne La pelle, ancora resistono, ancora offrono, nella loro immutabilità sopravvissuta alle invasioni e ai bombardamenti, spaccati di vite (sbirciate e rubate, si intende: passando si rallenta giusto il tempo di mangiarsi tutto ciò che si prospetta alla vista) dal sapore eterno, come racconta attraverso i suoi intensi scatti il giovane fotografo Ciro Pipoli – che ci ha gentilmente messo a disposizione alcune delle fotografie di questo servizio, e che ha fatto degli abitanti dei vasci la sua, allargatissima, densissima famiglia.
«Sotto molti aspetti, Fontana del re si incastra nel modello di “quartiere protetto” che il sociologo Gerarld Suttles ha descritto come una forma di collettività (…), l’organico di questi piccoli quartieri è composto da donne, bambini e adolescenti che passano la maggior parte del loro tempo in loco».
(Thomas Belmonte)
Ogni tanto riapre anche il basso di fronte al Bar Ex Voto (a due passi dalla Pizzeria Ciro 7 Soldi, dove i turisti si mettono in fila ordinatamente, scansando gli scooter di passaggio a pochi passi dal salone di Roberto, che vende magliette il cui ricava-
Alcuni frammenti di vita napoletana immortalati dal giovane fotografo Ciro Pipoli (ciropipoli. com)
to permette ai ragazzi dei Quartieri l’abbigliamento per l’allenamento di calcio), definito centro culturale da parte di un gruppo di donne che hanno cercato di mantenerne lo spirito originario, ossia (senza scomodare un passato troppo antico) quello della liberazione di Napoli da parte di americani e inglesi – sebbene qui si dica, e probabilmente non a torto, «ma noi, già liberi stavamo». Sì, perché come sottolinea l’ufficiale inglese Norman Lewis in Napoli ’44, Napoli è una «città (…) che ha sempre ignorato, e alla fine sconfitto, i suoi conquistatori».
Un tempo questo basso era l’accesso a un bordello, anzi, alla premiata casa di piacere Gelso, che ai «giovanotti di primo pelo» offriva «agevolazioni» non meglio specificate. Alle pareti Maria indica tariffari antichi,
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 25 settembre 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino 20
Simona Sala, foto di Ciro Pipoli
del mondo
ricordi e testimonianze di quella calata dei barbari – perché seppur non come i nazisti, per certi versi, anche inglesi e americani barbari furono – che contrappuntò l’insostenibile tirannia tedesca, continuata anche dopo la liberazione. La partenza dei tedeschi non mancò di lasciare i suoi strascichi, come racconta in modo squisito sempre l’ufficiale Lewis: molti furono i palazzi minati nelle fondamenta che esplosero quando ormai il pericolo maggiore pareva scampato, ma i Quartieri sono ancora in piedi. E oggi, quando riescono, le donne del «centro culturale» si incontrano, lo mostrano ai turisti, cui offrono un caffè, e magari anche un’interpretazione anima e core di Come facette mammeta, composta nel 1906 da Salvatore Gambardella, e rilanciata qualche decennio più tardi da Renzo Arbore e dalla sua Orchestra Italiana. E il sottofondo al belcanto di Maria lo fanno i motorini, che passano giorno e notte, carichi di giovani spericolati, che a volte si fanno male, ma anche da intere famiglie, papà al volante, piccolini incastrati tra gli adulti, e mamma a chiudere il gruppo, dirette ammare, o chissà dove.
Intanto, davanti al bar le amiche trans offrono un aperitivo a Tarantina, che dall’alto della sua età e di una vita che ne vale due o tre, non ha più
voglia né interesse a parlare dei tempi che furono, e dunque per la sua biografia rimanda a quelli dell’Ex Voto, che più di un bar è un microcosmo, fatto di famiglie intricatissime e iperimparentate, le cui figlie portano i capelli corvini lisci e le labbra ritoccate già a vent’anni («se interessa ce sta Oksana, che per 140 euro te le fa»), la cui vita è scandita da una struttura sociale che non mette necessariamente la realizzazione del sé al primo posto.
«Nessuno dei componenti la rappresenta, né la famiglia rappresenta singolarmente nessuno di loro. Qui il totale è più della somma delle parti e ogni parte è più del totale».
(Thomas Belmonte)
E dunque subentra quel quasi paradosso che potremmo definire del bilico, che ritroviamo nello studio di Belmonte, che si incaponì, negli anni Settanta, a capirla, questa forma di società uguale solamente a sé stessa, dove i paradigmi di lealtà e convivenza, di amore e odio, sono leggermente spostati rispetto a tutto quanto ci ha insegnato al più tardi la globalizzazione degli ultimi decenni. La famiglia, ad esempio, oltre a essere forse gabbia, agli occhi nostri, emancipati, è anche sicurezza, una capsula protettiva verso ciò che sta fuori, per noi difficile da comprendere. Ci hanno dunque provato l’antropologia di Belmonte, i racconti di guerra di Malaparte e Lewis, ma anche gli affilati e struggenti ritratti di Marotta, nel suo L’oro di Napoli o di Anna Maria Ortese in Il mare non bagna Napoli, dove ogni singola vita, perfino nella sua miseria più nera, pare permeata di un pulviscolo, appunto, dorato, e si fa archetipo di umana speranza, all’insegna dell’«è possibile» (non scordiamo che siamo comunque nel regno di San Gennaro e cartomanti).
È infatti possibile vivere anche così, tutti insieme, quasi a ridosso,
senza vedere il mare o il Vesuvio dalla finestra, è possibile amarsi e odiarsi a questa stregua, certamente spesso tirare a campà, forse con qualche excursus nell’illegalità (fintanto che non si trasforma in piaghe criminali e organizzate come quelle che l’Italia combatte da decenni, poiché espressione della sconfitta dello Stato), anche in virtù di una battuta, di un briciolo di compassione o cura per l’altro, do sole («Ce sta ’o sole…, ’o sole», ecco come apre il racconto Un paio di occhiali della Ortese) infine, per il batter d’ali di un sapore come quello di un caffè ristretto, democraticamente accessibile a tutti, e da tutti amato, (già lo cantava l’indimenticato Pino Daniele, «Na’ tazzulella ’e cafè e mai niente ce fanno sapè», con un chiaro riferimento alla divisione tra il popolo e chi comanda), come dimostrano i giovani camerieri che volteggiano per le strade reggendo un vassoio coperto pieno di tazzine fumanti da recapitare nei negozi e negli uffici.
I vasci chiudono le imposte, dentro si fa buio, qua e là alzando lo sguardo, il baluginio azzurrino di qualche televisore ancora acceso che si riverbera sulle pareti di un salotto. Domani è un altro giorno, ai Quartieri, uguale a quello precedente, eppure nuovo e pieno di sole.
«È
detto, e popolaresco, a Napoli, che gli uomini sono eguali non solo di fronte alla morte, ma di fronte alla vita».
(Curzio Malaparte)
Bibliografia
Thomas Belmonte, La fontana rotta, Einaudi (1979), 2021 Norman Lewis, Napoli ’44, Adelphi (1978), 2015, 2023 Curzio Malaparte, La pelle, Mondadori (1978), 2015 Giuseppe Marotta, L’oro di Napoli, Bur, Grandi classici (1947), 2006 Anna Maria Ortese, Il mare non bagna Napoli, Adelphi (1953), 1994.
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 25 settembre 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino TEMPO LIBERO 21
antico
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Río Palena, la via d’acqua dalle Ande al Pacifico
Reportage ◆ Una discesa in canoa nella Patagonia cilena sulle orme dell’esploratore Hans Steffen Hoffman
«Il Palena? Vi sbagliate, questo è il Carrenleufú». Ci guardiamo perplessi. Dove si nasconde il nostro fiume? Bisogna trovarlo, è l’unico modo di arrivare fino al Pacifico. Da una settimana ormai girovaghiamo nel nord della Patagonia nell’area del confine tra Cile e Argentina, tra vulcani ancora innevati a primavera inoltrata. Inseguire la misteriosa via liquida che serpeggia attraverso le Ande è una chimera. Il corso d’acqua è diviso tra le due nazioni e cambia più nomi: in Cile assume il termine definitivo e diventa un grande fiume la cui energia incessante è in grado di tagliare le montagne. Tra le difficoltà da affrontare: vulcani corazzati di ghiaccio, rapide continue, vento freddo, ondate di pioggia che rendono difficile accendere un fuoco
Solo alla fine dell’Ottocento il suo corso fu compreso grazie a un tenace geografo tedesco, Hans Steffen Hoffman, che dimostrò che le acque cristalline che nascono dai verdi altopiani dissodati da coloni partiti dalla costa atlantica a metà dell’Ottocento (oggi in territorio argentino) alimentano il possente fiume che sfocia nell’altro Oceano dopo trecento chilometri. In mezzo, una serie di gole inaccessibili, fuori portata per un viaggiatore comune.
La missione di Steffen – cartografare e descrivere un’immensa regione patagonica dove pochi europei s’inoltravano – faceva parte di un’impresa più grande, definire il confine tra i due Stati, allora in discussione, con grandi ripercussioni geopolitiche future. Steffen partì da Santiago del Cile nel dicembre del 1893. Non aveva neanche trent’anni. Il viaggio sarebbe durato quattro mesi, gli esploratori si scontrarono subito con il clima inclemente e le rapide potenti di questi luoghi. La quantità di provviste da trasportare protette in barattoli metallici era ingente, soprattutto char-
quì (carne essiccata e salata) e harina tostada (grano arrostito) oltre a zucchero e cacao. L’avanzata era lenta e si verificarono vari rovesciamenti nelle acque turbinose e fredde.
Nel novembre del 2022, 130 anni dopo, il nostro gruppetto di cinque appassionati di fiumi (tutti abituati ai viaggi fuori rotta, tutti over 60) è partito da Milano per ripercorrere l’epico viaggio ottocentesco con canoe gonfiabili. Ci spostiamo con mezzi pubblici, a volte improvvisati, senza veicoli di appoggio. Quando raggiungiamo il punto d’imbarco è già passata una settimana. Il villaggio di Palena, con qualche bar e minuscoli negozi, è tutto di legno: ovvio, questa è una terra di boscaioli orgogliosi. Ci aspetta una dozzina di giorni di paga-
ia, ancora non abbiamo idea precisa di quanto ci impegnerà la navigazione. Alla partenza veniamo subito afferrati dalla corrente. Il livello è alto e dobbiamo stare sempre in guardia, rovesciarsi significa una lunga nuotata, ed è difficile prender terra, le sponde sono sott’acqua. Al primo campo, un luogo fiabesco, arriva un buon segno: una lontra affiora dalle acque in movimento. Ci rilassiamo, cuciniamo sulla brace le trote catturate direttamente dalla canoa. Nei giorni successivi ci troveremo di fronte le stesse visuali straordinarie e gli stessi ostacoli dei pionieri: vulcani corazzati di ghiaccio, rapide continue, vento freddo, ondate di pioggia che rendono difficile accendere un fuoco.
Dopo qualche giorno ci trovia-
mo avvolti da una fitta vegetazione in un’illusione tropicale. Un’Amazzonia al contrario, fredda e umida: è la Valdivian Forest, una formazione vegetale unica al mondo, rimasta immutata negli ultimi 13mila anni, ricca di vita e di specie rare. Così densa che è impossibile attraversarla via terra. Territorio che un tempo era «tierra incognita», dicitura delle mappe antiche che significava: hic sunt leones (ecco i leoni). Nel nostro caso un’espressione reale perché sulle rive non è raro vedere orme di puma, l’elusivo felino australe. A testimoniarne la presenza, toponimi come Río Tigre e Isla Los Leones. Non vedremo dal vivo il gattone, ma l’isolamento è garantito
Il fiume ha un solo ponte, quello della Carretera Austral, la strada impossibile voluta da Augusto Pinochet negli anni Settanta per raggiungere il Grande Sud del Paese e terminata solo nel 2000, ancor oggi una pista sterrata per lunghi tratti. In viaggio c’è un solo centro abitato per fare provviste, La Junta. A parte questa unica sosta dopo cento chilometri, gli incontri sono con un pastore timido che fa vita semi eremitica in una casetta di legno, subito soprannominato Eta-Beta, e una famigliola intenta alla pesca. Nessuno naviga sul fiume.
Quando la corrente inizia a frenare la sua corsa sappiamo che l’acqua salata si avvicina. Abbiamo ancora davanti una cinquantina di chilometri dove il Palena si fa estuario sem-
pre più ampio e lento; qui avvertiamo forti escursioni di marea: una notte, l’acqua arriva a pochi centimetri dalle tende, stiamo di vedetta, pronti a smontar tutto e ripartire. In una giornata di nebbia piovosa che crea atmosfere scozzesi raggiungiamo infine il nostro arrivo sul Pacifico, il villaggio di Raul Marin Balmaceda, un insediamento di casette di assi e lamiere che occupa parte di una grande isola sabbiosa. Da lì ripartiremo via nave per iniziare un tortuoso viaggio di rientro in Europa, passando da Chiloé e Valparaíso: alla fine abbiamo percorso oltre tremila chilometri in autobus sulle infinite strade patagoniche e a bordo di fuoristrada, battelli e camion.
Torniamo a Hans Steffen. Per l’esploratore-cartografo il Palena fu una folgorazione. Stregato dai misteriosi corsi d’acqua patagonici, negli anni successivi avrebbe percorso vari Ríos: Cisnes, Manso, Baker e Puelo, senza arrendersi davanti alle gigantesche difficoltà fluviali e logistiche. Il risultato fu concreto. Dai suoi viaggi prese forma un monumentale studio geografico della Patagonica occidentale, corredato di mappe dettagliate. Rientrato in Europa, visse in Svizzera fino alla sua morte, nel 1936. La sua tomba è a Davos.
Informazioni Su www.azione.ch, si trova una più ampia galleria fotografica.
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 25 settembre 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino TEMPO LIBERO 23
Valentina Scaglia, testo e foto
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L’allegro campo di girasoli
Crea con noi ◆ Semi di zucca, tappi di sughero, filati colorati: per realizzare questi fiori del buonumore non c’è limite alla fantasia
Giovanna Grimaldi Leoni
Un campo di girasoli, ognuno diverso dall’altro, per questo esercizio creativo che permetterà ai bambini di sperimentare accostamenti con materiali diversi e inusuali e al contempo di allenare la manualità e la motricità fine. Girasoli fatti di pasta modellabile e semi, girasoli tessuti, ricamati, oppure rivestiti. Quanti modi ci sono per decorare questi fiori? Provate a scoprirlo lasciandovi ispirare da questo tutorial.
Procedimento
Stampate il cartamodello e riportatelo sul cartone. Per ogni quadretto A3
tagliate 3 sagome. Con un pennello largo e piatto dipingete le sagome di giallo. Lasciate asciugare.
Girasole tessuto: Dal cartoncino marrone ritagliate un tondo e incollatelo al centro del girasole. Ora con un filato giallo create la base del vostro telaio facendo passare il filato tra i raggi. Una volta preparata questa base, cominciate a tessere il centro del girasole utilizzando i filati che preferite e mischiandoli tra loro. Partendo dal centro dovrete solo far passare il filato sopra e sotto i raggi così da formare un tessuto compatto.
Giochi e passatempi
Cruciverba
Quali sono i vertebrati più longevi del mondo? E fino a quanti anni possono vivere? Scoprilo leggendo, a cruciverba ultimato, le lettere evidenziate.
(Frase: 3, 6, 5, 11 – 12 )
Onori funebri
10. Il dei tali...
11. Aspetto, sembianza
12. Preposizione articolata
13. Trasformano una sala in una stalla
14. Precede la morte
16. Prefisso replicativo
17. Nome maschile
19. Pallini a Parigi
21. Due di voi
22. Uomo senza cuore!
23. In coppia con Barbie
25. Articolo spagnolo
27. Un avverbio
28. Si introduce nel computer
30. Il fiume di Monaco
32. Nell’eventualità...
35. Scrisse «Gerusalemme liberata» (Iniz.)
36. Tipica costruzione pugliese
38. Antica lingua provenzale
39. La memoria del PC
Girasole di semi: Ritagliate un cerchio di feltro marrone e incollatelo al centro del girasole. Prendete un coperchio metallico, dipingetene i bordi di marrone e incollatelo al centro del tondo in feltro.
Riempite ora il tappo con una pasta modellabile gialla. (Qui è stata utilizzata pasta di sale colorata con colorante alimentare, ma potete utilizzare qualsiasi pasta).
Sulla pasta infilate i semi di zucca, partendo dal perimetro esterno verso l’interno.
Girasole ricamato:
Ritagliate un tondo di feltro marrone e con ago e filato ricamate tanti piccoli punti sparsi. Fermate il filo sul retro e incollatelo al centro del girasole. Divertitevi ora a decorare i restanti girasoli utilizzando materiali che già avete in casa. Qualche esempio?
Tritate dei tappi di sughero nel mixer e applicateli con la colla, tagliate a pezzettini la carta velina e applicatela con colla bianca diluita, oppure ancora, intagliate tutta la circonferenza di un cartoncino marrone e fateci passare dello spago creando una raggiera. Le possibilità sono molteplici e solo la vostra fantasia vi potrà dire quanti girasoli diversi potrete creare.
Buon divertimento!
Materiale
• Cartoncini A3 blu, verde e verde chiaro
• C artone di riciclo
• Acrilico giallo e marrone e pennello largo
• Forbici/taglierino
• Tappi di sughero
• Semi di zucca
• Resti di feltro marrone
• Filati in cotone di diverso tipo, beige, marrone, giallo e ago da ricamo
• C artone e carta velina marrone
• Colla a caldo
• Stampante per cartamodello
(I materiali li potete trovare presso la vostra filiale Migros con reparto Bricolage o Migros do-it)
Tutorial completo azione.ch/tempo-libero/passatempi
Vinci una delle 2 carte regalo da 50 franchi con il cruciverba e una carta regalo da 50 franchi con il sudoku
9 4 27 5 2 8
41. Un frutto
42. Fiume del Tirolo
43. Provincia del Canada con capitale Toronto
44. Fastidi, seccature
VERTICALI
1. Idonea, capace
2. È il primo a cantare
3. Le iniziali del cantautore Ligabue
4. Consumato
5. Variante di «fino»
6. Tre di cinque
7. Si alternano nella guida
8. Un dì... scorso
9. Nome femminile
11. L’agnello latino
14. In mezzo al caos
15. Bombisce
18. Indiana è per uno
20. Prefisso di parole che significa tumore
23. Marsupiale australiano
24. Uno in bottiglia...
26. Arte francese
27. Non valido
29. Piccoli velivoli radiocomandati
31. In coppia con Oliver
32. Pronome dimostrativo
33. Un articolo
34. Colpisce gli adolescenti
37. Si alternano nel rumore
40. Le iniziali della tennista Trevisan
42. Con altri diventa noi
Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch
Soluzione della settimana precedente
La suocera di Carlo si presenta alla sua porta con la valigia in mano: «Sono venuta a stare da voi finché non vi stuferete di me!»
Risposta risultante: «CREDO CI SIA TEMPO PER UN CAFFÈ»
I premi, tre carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco. Partecipazione online: inserire la soluzione del cruciverba o del sudoku nell ’apposito formulario pubblicato sulla pagina del sito. Partecipazione postale: la lettera o la cartolina postale che riporti la soluzione, corredata da nome, cognome, indirizzo del partecipante deve essere spedita a «Redazione Azione, Concorsi, C.P. 1055, 6901 Lugano». Non si intratterrà corrispondenza sui concorsi. Le vie legali sono escluse. Non è possibile un pagamento in contanti dei premi. I vincitori saranno avvertiti per iscritto. Partecipazione riservata esclusivamente a lettori che risiedono in Svizzera.
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 25 settembre 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino TEMPO LIBERO 25
ORIZZONTALI 1. Bulbi commestibili 4.
CREDERE EAOLEG CISIAL ITESTI MUSEOPOPE SORSOLUNGA CIAOCANEG ISTFOOTFL AINCISIONE 6349 572 18 7216 384 59 9582 147 63 8 6 2 4 9 3 5 7 1 4735 816 92 1957 623 84 2 1 9 3 7 6 8 4 5 3871 459 26 5468 291 37
Sudoku Scoprite i 3 numeri corretti da inserire nelle caselle colorate. 3
19 6 85 7 38 5 94 2 681
1 2 3 4 56 789 10 11 12 13 14 15 16 17 18 1920 21 22 23 24 25 26 27 28 29 3031 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44
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Viaggiatori d’Occidente
Trema il Marocco, si salva Marrakech
La valigia sul letto è pronta, attende solo di essere chiusa. Davanti a me l’ultima notte di sonno poi partirò per il Marocco: Marrakech, come ogni anno. I luoghi, al pari delle relazioni, sono messi alla prova dalla ripetizione, dall’abitudine e dal tempo. Ma la città costruita sulla soglia tra il deserto e le terre degli uomini sa proporre sempre nuovi motivi d’interesse. Invece poche ore prima della partenza la terra trema. Trema tanto, settimo grado, e trema a lungo, per trenta secondi; in quei momenti devono sembrare infiniti. Non c’è molto da fare: tutto sospeso, non parto. Resto invece incollato alla televisione cercando di decifrare parole e numeri. Penso. La fortuna, per cominciare. Si progetta, si studia, ci si prepara, ma poi un giorno soltanto sul calendario o anche meno, una manciata di ore, bastano per fare la differenza. Un leggero scarto temporale e la ruota del nostro destino gira in un’altra direzione, evita
il pericolo (o meglio lo lascia ad altri). Gli altri. Domando delle decine di amici expat che hanno messo radici a Marrakech, la città più internazionale del Marocco, ma gli stranieri stanno tutti bene. Chiedo allora notizie dei conoscenti marocchini. Abbiamo condiviso tanti momenti insieme negli anni passati e si è stabilita tra noi una certa vicinanza, che però ora si rivela in larga parte illusoria. Quando soggiorniamo in Paesi stranieri cerchiamo di distinguerci, di sfuggire alle gabbie e ai ruoli del turismo: vogliamo mescolarci ai locali, condi-
Passeggiate svizzere
Cammino tra campi di granoturco quasi pronti per la raccolta e campi di girasoli al tramonto. Azzurrino vago del Salève da una parte, il Giura dall’altra, nuvole fiamminghe all’orizzonte. Antichi muriccioli stile campagna inglese corrono attraverso questo paesaggio straniante fuori Ginevra, al confine con la Francia. Stamattina alle dieci ho un appuntamento con un ah-ah: l’unico in Svizzera. Il termine ah-ah appare per la prima volta nel 1709 in La théorie e la pratique du jardinage (1709) di Antoine-Joseph Dezallier d’Argenville: esclamazione di divertimento nello scoprire questa elegante separazione invisibile da lontano. Un canale, come in questo caso – o spesso anche solo un muro nascosto – che separa il giardino dal paesaggio e si vede solo all’ultimo momento. «Un canale visibile solo quando ci si avvicina, molto apprezzato nel giardino pae-
saggistico inglese» trovo scritto da Anette Freytag in Les jardins de La Gara (2018): trecentottanta pagine per ritrarre, a regola d’arte, questa particolarissima tenuta menzionata già nel 1555. Dove, alla pagina centocinquantaquattro, scopro, oltre al piacere estetico provocato da questa separazione dissimulata in modo da non disturbare la vista sul paesaggio, il punto di vista funzionale: serve a non far entrare in giardino pecore, volpi, vacche, caprioli, eccetera. «Invalicabile» mi dice Rémy Best come seconda regola di un vero ah-ah. Camicia bianca, pantaloncini corti di velluto verde peter pan e mocassino color sabbia, dal 2000 abita in questa storica ferme ornée restaurata dalla moglie Verena Best-Mast. E mi accompagna a vederlo in compagnia di Sam-Sam, un cocker spaniel inglese che ci trotterella a fianco, l’ah-ah restaurato nel 2012 grazie
Sport in Azione
videre la loro vita quotidiana, il cibo, i vestiti. Ma è poco più di una finzione, di una buona intenzione. Come ha scritto Claudio Magris «Chi viaggia è spettatore, non è coinvolto a fondo nella realtà che attraversa, non è colpevole delle brutture, delle infamie e delle tragedie del paese in cui s’inoltra. Non ha fatto lui quelle leggi inique e non ha da rimproverarsi di non averle combattute; se il tetto di una notte crolla ed egli non ha proprio la disgrazia di restare sotto le macerie, non ha altro da fare che prendere la sua valigia e spostarsi un po’ più in là» (L’infinito viaggiare, IIIED edizione, 2005). Non ho avuto la disgrazia di restare sotto le macerie, come scrive Magris quasi profeticamente, e quindi con tutta la buona volontà del mondo resto uno spettatore. Nel frattempo a poco a poco ristabilisco i contatti e capisco meglio la situazione. I danni e le vittime si concentrano quasi per intero nei villaggi di montagna, più vi-
di Claudio Visentin
cini all’epicentro del terremoto e costruiti alla buona. I poveri pagano il prezzo più alto. Alla nostra mente di occidentali, ossessionati da multiple e fluide identità, declinate in sottili distinzioni (e rivendicazioni), s’impone la cruda realtà dell’abisso che separa i poveri dai ricchi nella maggior parte del mondo e di quanto conti questa elementare dicotomia. Marx fa lezione tra le macerie.
A Marrakech invece i danni sono stati minori di quanto si era temuto. Certo, alcuni edifici abbandonati sono franati e i cumuli di macerie fanno impressione ma hanno superato la prova la maggior parte delle case e dei riad, costruiti o ristrutturati coi nostri criteri (anche perché spesso sono proprietà di stranieri). Questa è probabilmente la miglior approssimazione alla verità, nascosta dal sensazionalismo dei media, e al tempo stesso anche la versione che gli amici marocchini preferiscono sottolineare, credere e raccontare.
Intanto tutti si sono subito rimboccati le maniche per tornare rapidamente alla normalità: si sgombrano i detriti, si riparano le crepe, si riaprono i negozi. Perché la città che dà il nome all’intero Paese vive quasi esclusivamente di turismo e dopo due anni di un severissimo isolamento per contenere l’epidemia, l’idea di trovarsi di nuovo senza lavoro e senza guadagni a causa della fuga dei turisti e del moltiplicarsi delle disdette getta i suoi abitanti nella disperazione. È una preoccupazione fondata.
Dopo una tragedia di queste dimensioni il turismo tende a fermarsi, sia per il timore irrazionale di nuovi episodi, sia per un più delicato senso di rispetto per le vittime. Ma un lutto lungo ed elaborato è un lusso per chi lotta con i bisogni quotidiani. E finché le cose stanno così, tornare presto in Marocco da turisti è il miglior modo di aiutare questa terra. Un’altra lezione di questo viaggio mancato.
al Fondo svizzero per il paesaggio. Risalente al 1750, quando qui abitava la famiglia Thellusson, dal prato davanti alla casa, il confine-gioco tra arte dei giardini e vita rurale, non si vede ancora. Incontriamo, intanto, sul tragitto, il viola scapigliato della verbena di Buenos Aires. Dopo una ventina di passi nell’erba, eccolo nella luce di un mattino di settembre, l’ah-ah (426 m), magnifico, della Gara a Jussy. Alimentato da una sorgente, lungo ventisei metri e largo tre metri virgola due, alle estremità ci sono due belvedere che accentuano l’eccezionalità ornamentale di questa demarcazione acquea illusionistica. Il prato, lì, s’impenna in due rampe, sostenute da mura a secco coronate da quattro vasi-urne a motivo chiave greca. Al centro, un bacino circolare ricorda, per un attimo, qualcosa di una serratura antica. Cinto da un lato da un parapetto a semicerchio,
Micro o macro, questo è il dilemma
I calciofili di Chiasso pare abbiano fatto la loro scelta: piccolo è bello! In barba alla tendenza miliardaria e filoaraba del calcio mondiale, nella cittadina di confine si riparte dalle radici. Intendiamoci, si tratta di una scelta imposta dal fallimento della vecchia gestione, che ha costretto il club rossoblù a ripartire dai piedi della scala.
Si sarebbe potuto immaginare uno scenario da The Day After, con le macerie di una storia ultracentenaria abbandonate all’oblio. Invece la gente si è raccolta attorno al nuovo progetto. Un progetto «a chilometro zero». Venerdì 1. settembre, a salutare il debutto ufficiale del Chiasso contro l’Arzo in 4a lega, c’erano 1051 spettatori. Una piacevole e sorprendente follia. Sono convinto che in Svizzera si tratti di un record, per una sfida giocata nella 8a categoria in ordi-
ne di importanza e di prestigio. Da giorni, Chiasso si era vestita a festa. Ha mobilitato gli anziani sostenitori. Si sentivano persino i sussurri di coloro che avrebbero voluto esserci, ma riposavano nel vicino camposanto. Ha saputo convogliare al Riva IV anche moltissimi giovani, ragazze e ragazzi. Sugli spalti opposti alla tribuna c’era pure una trentina di ultrà. Hanno dipinto il cielo con fumogeni rossoblù all’entrata in campo delle squadre. Lo hanno illuminato di fuochi d’artificio ancora prima che l’arbitro decretasse la fine della partita. Ma soprattutto non hanno smesso un solo istante di cantare e di incitare i ragazzi. C’era il risotto. La birra scorreva a fiumi. C’era un clima da festa popolare. Sono tuttavia convinto che, oltre alla voglia di portarsi fuori – non dimentichiamo che si era alla fine di
un’estate in cui le occasioni non sono mancate – la gente fosse sospinta anche da un atto di amore e di fiducia nei confronti del nuovo progetto allestito dal presidente Marco Armati e affidato alla guida tecnica di Damiano Meroni. Sentire lo speaker annunciare nella formazione cognomi come Martinelli, Arnaboldi, Righetti, Ragazzoni, ha probabilmente fatto scendere qualche lacrima sul volto di chi, parecchi decenni fa, seguiva il Chiasso dei Riva, Nessi, Albisetti, Lurati, Sulmoni, eccetera. Era un calcio casereccio, ruspante. Ha tentato, col passare degli anni, di trasformarsi in calcio business. Ha fallito. Nonostante la dimensione «local», l’approccio dell’FC Chiasso al calcio regionale ha voluto mantenere alcuni elementi di «glamour». Dal calcio d’inizio, affidato ad Aldo Allio, cresciuto nelle giovanili dell’Arzo per
interrotto all’altezza delle scale che scendono teatrali nell’acqua del favoloso fossato. Sam-Sam entra nell’ah-ah: «È la sua piscina» mi dice il signor Best. «Una volta è caduto dentro un cavallo» mi racconta. Mentre una sera, a una festa con tutta la compagnia di balletto del Grand Théâtre di Ginevra, è partita una sfida. Chi supera l’ah-ha riceverà una quantità di vino pari al suo peso. In un balzo da lago dei cigni, due ballerini vincono la gara. Del resto, per uno neanche bravo la metà di Carl Lewis, è un salto da ridere. Agguanto, con lo sguardo, le ninfee. Querce centenarie punteggiano il paesaggio distensivo di queste parti, ancora campi di granoturco, un cavallo bruca. Mentre nel giardino, si è rapiti dall’arte topiaria asimmetrica di una armata di Taxus baccata simili a giganti verdi potati come diamanti, opera dell’architetto
paesaggista belga Erik Dhont, autore anche, in parte, del labirinto. L’entrata è in asse con quattro gradini che scendono in un altro canale sudest. Sul ciglio del labirinto, ideato nel 2015 dall’artista bernese Markus Raetz (1941-2020) partendo dal famoso palindromo latino In girum imus nocte et consumimur igni, è inciso eye. Giro nel labirinto-palindromo, le cui serpeggianti siepi disorientanti sono un mélange di undici specie, tra le quali ligustro, bosso, agrifoglio giapponese. E mi perdo. Trovo il tavolino rotondo al centro, le cui siepi attorno, a volo d’uccello, formano una serratura; poi, subito dopo, lo specchio. Ma non la chiave mentale per uscire da qui, senza consultare la mappa. Uscendo, sul gradino, le tre lettere-occhio, diventano, per via dei caratteri utilizzati, aha. Mi viene in mente un gruppo norvegese anni Ottanta sparito: gli a-ha.
poi approdare al Chiasso che, negli anni Settanta, era inquilino stabile della LNA. Alla corsa dei calciatori a fine partita verso il settore ultrà, per ricevere il meritato abbraccio per la vittoria. C’è stato spazio anche per gli immancabili fischi al pur ottimo arbitro, reo di non avere assegnato un calcio di rigore ai rossoblù. Non c’era il VAR. Insomma, ingredienti da football «macro», ma con la consapevolezza che il futuro sarà «micro». Da Chiasso è partito un segnale importante. Ci racconta una storia il cui inizio ci riporta indietro di parecchi decenni. Una storia che, nel gioco delle «Sliding Doors», vorrebbe evitare di ripetere gli errori del passato. Per lo meno questi erano gli umori che si respiravano al Riva IV. «Cerchiamo di scalare in fretta la piramide fino alla 2a lega, poi fermiamoci un atti-
mo. Per capire chi siamo e dove vogliamo andare». Il susseguirsi di gestioni torbide e garibaldine, aveva umiliato il passato. Aveva infangato la storia. Questo Rinascimento non dovrà fare altrettanto. Gli spetta il compito di riportare il football alla sua classicità. Così pare desideri la gente. Gli appassionati sono disposti a chiudere anche due occhi di fronte a formazioni in cui non figura nessun giocatore proveniente dai nostri vivai. A condizione però che questa squadra veleggi sicura nel mare burrascoso del grande calcio nazionale, e perché no, internazionale. Ma se ciò non avvenisse, meglio offrire fiducia e spazio ai ragazzi del vivaio. Magari nelle leghe inferiori, ma avvalorando l’idea che il calcio, oltre a essere un gioco, è uno straordinario fenomeno formativo e aggregativo.
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 25 settembre 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino 27 TEMPO LIBERO / RUBRICHE ◆ ●
di Giancarlo Dionisio
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di Oliver Scharpf
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Il San Gottardo e lo zampino del diavolo
Mobilità ◆ I due incidenti di questa estate hanno riportato l’attraversamento delle Alpi alla situazione degli anni Settanta
«Siamo campioni del mondo». Doris Leuthard quel giorno non stava proprio più nella pelle. E non solo per il suo vestito bianco forato, un abito confezionato per l’occasione e decisamente originale, tanto da essere rimasto nella memoria collettiva del nostro Paese. Quel giorno, e non è esagerato dirlo, si era fatta la storia. Era il primo giugno del 2016 e l’allora ministra dei trasporti aveva appena inaugurato la galleria di base del San Gottardo, il più lungo traforo ferroviario del mondo, con i suoi 57 chilometri di binari sotterranei.
Un primato planetario che spinse la consigliera federale argoviese a quell’esclamazione da stadio, con cui esprimeva tutto il suo orgoglio per quell’opera che aveva davvero portato la Svizzera sul tetto del mondo. Avevamo già vissuto un simile momento di tripudio nazionale nel 1980, quando venne inaugurata la galleria autostradale del San Gottardo. Anche in quell’occasione l’ingegno umano riuscì a vincere la montagna e a costruire la galleria autostradale allora più lunga del mondo.
Opere infrastrutturali, a cui va aggiunto il primo traforo ferroviario del San Gottardo, inaugurato nel 1882. Tre gallerie, tre pagine di storia del nostro Paese e tre assi che hanno permesso di avvicinare sempre più il nord e il sud dell’Europa. Con il massiccio del San Gottardo che da barriera insormontabile – fu così fino al 1300 a causa delle gole della Schöllenen, dove oggi c’è il Ponte del Diavolo – si è trasformato negli anni in un punto di passaggio sempre più comodo e pianeggiante, a tal punto che la galleria di base del San Gottardo permette ai convogli ferroviari di attraversare le Alpi lungo un tragitto di pianura e ad alta velocità.
La profezia di Leuenberger
L’estate del 2023 ci ha però fatto capire quanto tutto questo possa essere fragile. Nel giro di pochi giorni, due incidenti hanno reso più complicato l’attraversamento delle Alpi, riportandoci di fatto agli anni 70 del secolo scorso, quando il San Gottardo poteva essere superato solo attraverso la prima galleria ferroviaria o percorrendo, ma solo in estate, la strada del passo. Visto quanto è capitato aveva forse ragione Moritz Leuenberger, un altro ex consigliere federale, anche lui ministro dei trasporti, che in un suo discorso del 2003 aveva voluto ricordare i tanti incidenti capitati attorno e dentro questo massiccio. «Il diavolo ci ha sempre messo lo zampino quando noi esseri umani ci siamo dati da fare sul San Gottardo – queste le sue parole – Lo ha fatto per ogni strada e per ogni galleria. Si è sempre ritaglia-
to uno spazio per sé». Non per nulla tutto era iniziato con quel ponte medievale, che si chiama appunto «del diavolo». Tornando ai nostri giorni, lo scorso 10 agosto la cattiva sorte questa volta si è abbattuta sulla ruota di un vagone merci che, spezzandosi, ha provocato il deragliamento di un convoglio composto da due locomotive e ben trenta vagoni. Un’inchiesta è tuttora in corso per stabilire le cause esatte di quanto capitato. Il servizio d’inchiesta svizzero sulla sicurezza sta analizzando, oltre alla rottura di quella ruota, anche il sistema degli scambi lungo i binari all’altezza della stazione multifunzionale di Faido, all’interno della galleria. Il 23 agosto è stata riaperta la canna est, ma unicamente per il traffico merci. Per tornare alla normalità occorrerà aspettare fino all’inizio del 2024 quando anche i treni passeggeri potranno di nuovo percorrere i due tubi della galleria di base.
I viaggiatori che scelgono il treno per attraversare il San Gottardo dispongono solo della vecchia linea ferroviaria. Un ritorno al passato, con una constatazione amara: costato una ventina di miliardi, il gioiello tecnologico di Alptransit Gottardo è stato messo in ginocchio dalla rottura di
una ruota. Per quanto riguarda le responsabilità, probabilmente toccherà a FFS Cargo mettere mano al portafoglio per pagare i danni. Lo stabiliscono le norme in vigore, difficilmente ci si potrà rifare sulla società privata proprietaria del vagone difettoso. Per il futuro occorrerà riflettere anche sul tipo di controllo a cui sottoporre i treni merci. Basti dire che oggi i vagoni passeggeri sono muniti di sensori che segnalano subito un deragliamento, strumenti che invece non ci sono sui vagoni merci per motivi legati essenzialmente ai costi di un’istallazione di questo tipo, considerati troppo elevati.
Una crepa e tante domande
Proprio per questo motivo, lo scorso 10 agosto, il macchinista del treno merci non ha potuto accorgersi subito di quanto stava accadendo. La gravità dei danni all’interno della galleria di base è dovuta anche a questo motivo. Dalla ferrovia passiamo ora alla strada, perché il 10 settembre scorso c’è stato un incidente anche dentro il tunnel autostradale del San Gottardo. Quel giorno, al portale nord, si è aperta una crepa di 25 metri nella
soletta in calcestruzzo della galleria, una fessura che ha provocato anche la caduta di detriti lungo la carreggiata. In questo caso il traforo è stato riaperto dopo pochi giorni, lo scorso 15 di settembre, anche se restano ancora da chiarire le cause esatte di quanto capitato. Per l’Ustra, l’Ufficio federale delle strade, all’origine di quanto capitato ci sono state delle cosiddette «ridistribuzioni tensionali», e cioè dei movimenti nella roccia della montagna. Materia per geologi che devono ora capire se questi movimenti siano dovuti a leggere scosse sismiche oppure ai lavori che si stanno facendo nelle vicinanze per realizzare la seconda galleria autostradale del San Gottardo. La sicurezza comunque è garantita, anche se la soletta in questione, costruita ormai più di 40 anni fa, soffre a causa dei gas di scarico e della corrosione che tutto ciò comporta. Fino al 4 di ottobre la galleria rimarrà chiusa di notte, anche per poter intervenire nella zona danneggiata, con riparazioni che l’Ustra definisce «minori». I due incidenti hanno sollevato un dibattito politico sulla fragilità dei collegamenti tra Nord e Sud. A Berna è in corso l’ultima sessione parlamentare della legislatura e di San Gottardo si è discusso anche
in relazione alla possibile introduzione di un pedaggio autostradale per il transito alpino.
Un rapporto in primavera
Una mozione del Consigliere agli Stati Marco Chiesa, che chiedeva una tassa a carico dei cittadini stranieri in transito, è stata bocciata dalla Camera dei Cantoni. A Palazzo federale però gli atti parlamentari su questo tema non mancano, e se ne tornerà a parlare, anche perché il Consiglio federale ha promesso di presentare un rapporto sul tema entro la primavera del 2024. Nel frattempo le Camere federali si apprestano a varare un piano di investimenti di quasi 14 miliardi per il periodo 2024-2027 a favore delle strade nazionali, per lavori di ampiamento e di manutenzione. La maggioranza borghese ha i numeri per ottenere questi fondi, la sinistra ha invano fatto notare che occorrerebbe invece investire di più sulla ferrovia. Da risolvere c’è un problema di fondo: in Svizzera sono ben 40mila le ore che trascorriamo in colonna ogni anno, soprattutto attorno ai grandi agglomerati urbani. Cifra che non ci permette di sentirci i «campioni del mondo» della viabilità.
● ◆ Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 25 settembre 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino 29 Un’antica stampa del Ponte del Diavolo. (Wikimedia)
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Il premier strizza l’occhio alla Polonia rurale
Varsavia ◆ Il clamoroso annuncio della sospensione del trasferimento di armi all’Ucraina in vista delle imminenti elezioni
Lucio Caracciolo
Il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki ha annunciato che dal 21 settembre la Polonia ha cessato il trasferimento di nuove armi all’Ucraina aggredita dalla Russia. Una notizia in sé clamorosa che merita di essere approfondita per le sue origini sia interne che esterne.
Quanto alle prime. Siamo quasi alla vigilia del voto che rinnoverà il Parlamento polacco, previsto per il 15 ottobre. Il partito Diritto e Giustizia (PiS) al governo da due legislature conta di ottenere un terzo mandato e sembra averne la possibilità. I più recenti sondaggi lo vedono in testa, sia pure con qualche flessione, rispetto all’opposizione di centrosinistra guidata da Piattaforma civica, la formazione dell’ex premier Donald Tusk. Si segnala anche una forte crescita dell’estrema destra, vicina al 14% dei voti.
Storicamente i contadini sostengono le politiche nazional-conservatrici
In vista di questo appuntamento decisivo il partito di governo intende metter davanti a ogni altra considerazione il consenso interno. Il quale poggia in buona parte sulla Polonia rurale, sui contadini che storicamente sostengono le politiche nazional-conservatrici tipiche del PiS. Un primo evidente segnale di questa necessità di coagulare il consenso interno, considerando il valore del voto contadino, è stata negli ultimi tempi la decisione di vietare le importazioni di grano dall’Ucraina. Un decreto in tal senso è entrato in vigore il 16 settembre, così prolungando il blocco dei cereali ucraini diretti in Polonia già da tempo fissato. Sulla stessa linea,
peraltro, anche Ungheria e Slovacchia. La misura è stata presa sotto la pressione della lobby contadina, inquietata dal crollo del prezzo del proprio grano sul mercato polacco causa l’effetto dumping prodotto dalle cospicue importazioni provenienti dal vicino meridionale.
La barca è piena?
Ma la scelta di non mandare più armi a Kiev, salvo quelle già contrattualizzate, ha ben altro peso geopolitico. Anche qui, vellicare i riflessi anti-ucraini fortemente presenti nella popolazione rurale (e non solo) polacca può avere un significato. Così come se-
gnalare che «la barca è piena» e Varsavia non può accogliere altri profughi. Probabilmente però altri fattori hanno avuto un peso in questa scelta. Ed eccoci alla dimensione internazionale del problema. La Polonia è da subito il Paese più impegnato nella difesa dell’Ucraina aggredita da Mosca e nell’accoglienza di milioni di profughi ucraini. Una scelta di campo in senso anti-ucraino sembra quindi clamorosa. Fra le altre ragioni, la sensazione che l’appoggio americano all’Ucraina, se non proprio azzerato, è seriamente in questione. Da molti mesi Biden alterna promesse di supporto a Kiev «fino a quando serve» ad atti e parole che contraddicono tanta generosità. Fino a culminare
Il presidenze ucraino Zelens’kyj col primo ministro polacco Mateusz Morawiecki. (Keystone)
nella firma americana del documento varato dal G20, nel quale a proposito dell’Ucraina non si parla affatto di invasione russa, anzi non si nomina nemmeno la Russia.
L’approssimarsi delle elezioni presidenziali americane, nel novembre 2024, gioca un ruolo. Ma nelle strutture dello Stato profondo e anche nell’opinione pubblica americana si avverte da tempo una certa stanchezza di guerra, dovuta anche alla priorità assegnata da Washington alla sfida con la Cina. Questo ha provocato un effetto di relativa demoralizzazione tra gli ucraini, visibile anche da alcuni sfoghi pubblici di Zelens’kyj e dei suoi più stretti collaboratori, oltre a convincere molti degli alleati più fer-
Due Paesi e l’orgoglio della democrazia
mi di Kiev a rivedere il loro impegno. Con qualche punta di scetticismo sulla credibilità americana. La Polonia è considerata a ragione come la punta di diamante dello schieramento occidentale contro la Federazione Russa. Le sue scelte nella guerra tra Ucraina e Russia sono quindi fondamentali. Non è forse un caso che questa virata anti-ucraina sia stata accompagnata da un altro documento di sapore chiaramente elettorale ma di significato geopolitico più profondo reso noto dal ministro della Difesa Mariusz Błaszczak. Secondo tale rivelazione, il governo di Piattaforma civica e del Partito popolare polacco aveva fissato 12 anni fa un piano che prevedeva di abbandonare metà della Polonia nelle mani della Russia nell’eventualità di un’invasione. Additando in tal modo gli avversari politici come amici di Putin.
Il consiglio americano
Un’indicazione singolarmente simile a quella consigliata dagli americani agli ucraini alla vigilia dell’invasione del febbraio 2022, ovvero di arroccarsi su Leopoli e sul Nord-Ovest lasciando il resto del Paese ai russi, considerati inarrestabili. Insomma, non si tratterebbe di pura improvvisazione ma di una linea «suggerita» dagli americani a Paesi amici in caso di aggressione. Sarà interessante vedere, scontate le proteste ucraine, se altri Paesi seguiranno la Polonia sulla linea del congelamento delle forniture di armi oppure no. Nel primo caso, il campanello d’allarme per Zelens’kyj suonerebbe forte. Ad ogni modo, la compattezza del fronte anti-russo, mai davvero tale, appare oggi in evidente crisi.
Prospettive ◆ Le serie tv Wave Makers e Queenmaker raccontano anche all’Occidente l’essenza di Taiwan e della Corea del Sud
Giulia Pompili
Se vuoi costruire l’identità di un Paese, far conoscere al mondo la sua normalità, nonostante le tensioni geopolitiche, se vuoi che il mondo sia solidale e coinvolto, hai bisogno di una serie tv. Wave Makers, uscita quest’anno sulla piattaforma di streaming più famosa del mondo, ha accorciato le distanze tra l’Occidente e un Paese particolare, non riconosciuto dalla maggior parte della comunità internazionale, rivendicato dalla Cina come un’ossessione: Taiwan. L’isola che Pechino minaccia sempre anche a livello militare al fine di raggiungere, prima o poi, quella che definisce «l’inevitabile riunificazione», ha costruito la sua identità sulle differenze con la Repubblica Popolare Cinese. Oggi Taiwan è considerata una delle democrazie più vibranti dell’Asia orientale, democratica e con uno stato di diritto solido. E Wave Makers, consigliata perfino dalla presidente taiwanese Tsai Ing-wen, descrive la democrazia taiwanese meglio di qualsiasi articolo di giornale. Scritte da Chien Li-ying e Yan Shi-ji e dirette da Lin Chun-yang, le otto puntate della serie raccontano le vite di un gruppo di persone impegnate in una campagna elettorale presidenziale. C’è la capa delle pubbliche relazioni
ambiziosa e che vorrebbe candidarsi, c’è il team dei social network, gli stagisti, gli intrighi e le strategie tipici di una fiction politica. Ma a rendere Wave Makers importante anche per l’immagine di Taiwan nel mondo, c’è il fatto che ogni puntata affronta un tema fondamentale per la società, e il modo in cui certe priorità diventano materia di dibattito politico: dalla pena di morte all’immigrazione, dall’ecologia all’omosessualità, fino al tema caldo delle molestie.
Wave Makers è servita a far scoprire, anche ai Paesi occidentali, che la democrazia di Taipei è molto più simile alla nostra di quanto si credesse. A essere davvero distante è invece il paludato mondo autoritario della leadership di Pechino guidata da un partito unico, il Partito comunista cinese. Ma c’è di più. In una delle storie parallele a quella principale, cioè la campagna elettorale, una ragazza che lavora nel team del partito racconta alla sua superiore di essere stata molestata da un uomo del suo staff. Nonostante la notizia potrebbe danneggiare l’immagine pubblica del partito, la donna insiste con la sua collaboratrice per andare avanti con la denuncia. Il grande successo della serie tv, anche nel pubblico taiwanese, ha dato il via
a una serie di riflessioni sulle molestie contro le donne, che ha portato a decine di denunce e a quello che è stato definito il «momento #MeToo» di Taiwan.
Grazie a serie tv come Wave Makers l’America e l’Europa hanno realizzato che le campagne elettorali nei Paesi democratici asiatici sono una festa, una forza vitale e trasformatrice nella vita delle persone, che influenza il loro impegno per il bene comune. C’è mobilitazione, coordinamento, canzoni create ad hoc, allegria. Ed è soprattutto in Paesi come Taiwan e Corea del Sud che il momento più importante del processo democratico non viene accompagnato da rabbia e recriminazioni – non solo, almeno –e il motivo va forse ricercato nel processo collettivo che ha portato quei Paesi alla democrazia. Sia Taiwan sia la Corea del Sud hanno dovuto attraversare lunghissimi periodi di buio, governi autoritari e leggi marziali prima che le sollevazioni popolari aprissero lentamente alla democrazia. Era il 1987 quando il Governo nazionalista taiwanese guidato dal partito Kuomintang tolse la legge marziale nell’isola. Quella legge, inizialmente imposta per paura delle infiltrazioni comuniste dopo la Guerra civile cine-
se, era durata quasi 40 anni e vietava la costituzione di nuovi partiti politici, dava libertà assoluta ai militari di censurare, arrestare, perquisire, limitava ogni pubblica espressione critica. Qualche anno prima, nel 1980, a un migliaio di chilometri a nord della capitale taiwanese Taipei, nella città sudcoreana di Gwangju le proteste di centinaia di universitari, impiegati, cittadini contro il Governo militare e la legge marziale erano state represse nel sangue. Oggi anche in Corea del
Sud il processo democratico è seguito dalla popolazione con grande attenzione, ed è tema di numerose serie tv – quelle coreane si sono imposte già da qualche anno anche a livello internazionale. Queenmaker, diretta dal regista sudcoreano Oh Jin-seok, è una serie uscita più o meno nello stesso periodo di Wave Makers. Racconta la storia di due donne diverse: una è quella che insabbia i problemi di un grande e potente conglomerato industriale, l’altra un’avvocata per i diritti umani che svela le pericolose relazioni tra business e politica. Le due alla fine si alleeranno per vincere la corsa a sindaca di Seul, ma soprattutto per strapparla a un contendente senza scrupoli. Con i suoi intrighi machiavellici, anche Queenmaker è una perfetta rappresentazione del processo democratico sudcoreano e dei suoi protagonisti, spudorati quando si tratta di manipolare l’opinione pubblica e gli elettori. Meglio di un romanzo, la serie è in grado di denunciare certe pratiche scorrette –la corruzione prima di tutto – ma al fondo di ogni puntata c’è una vera ossessione per le regole della democrazia, un punto d’orgoglio per un Paese che ha dovuto versare del sangue per raggiungerla.
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 25 settembre 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino ATTUALITÀ 31
Anche la presidente taiwanese Tsai Ing-wen cosiglia la visione di Wave Makers. (Keystone)
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Previsioni ◆ Un simile ritmo di crescita potrebbe creare problemi sul mercato immobiliare, sulle infrastrutture e sul traffico
Ignazio Bonoli
Secondo i dati pubblicati lo scorso mese da Wüest Partner di Zurigo, la popolazione residente in Svizzera dovrebbe crescere quest’anno di 148’000 unità. Secondo l’economista di questa società, specializzata nelle analisi del mercato immobiliare, si tratta di un record che va ad aggiungersi ad altri primati di questi ultimi anni in campo demografico. Già lo scorso anno si è potuto costatare un aumento di 74’000 persone, corrispondenti a 55’000 economie domestiche. Questi ritmi di crescita hanno già portato la popolazione residente a quota 8,8 milioni, senza tener conto dei profughi e dei richiedenti l’asilo. Questo significa anche che il traguardo dei 10 milioni di abitanti è più vicino di quanto facevano supporre le precedenti previsioni. Lo scenario di riferimento dell’Ufficio federale di statistica (Ust) prevedeva per quest’anno una crescita di popolazione ma limitata a 70’000 unità. In realtà l’aumento potrebbe essere più del doppio, mentre l’Ust giustifica le sue previsioni più prudenti tenuto conto di situazioni particolari, come la pandemia o le condizioni politiche dei Paesi dell’Europa dell’est.
Deboli invece le previsioni per il Ticino, con i distretti di Locarno e Vallemaggia con tassi di crescita addirittura negativi
Indubbiamente in Svizzera uno dei maggiori fattori di attrazione di immigranti è il mercato del lavoro, come dimostra anche il netto aumento di forze lavoro. Il numero di lavoratori occupati dovrebbe crescere, secondo Wüest Partner, del 2%. Il modello usato indica, infatti, un aumento netto di 91’000 occupati, dovuto soprattutto a un mercato del lavoro interno prosciugato e alla cronica mancanza di personale specializzato. Da un punto di vista statistico, quest’anno influiscono anche gli immigrati provenienti dall’Ucraina che, dopo 12 mesi di soggiorno in Svizzera, vengo-
Un’affollata Bahnhofstrasse, Zurigo. (Keystone)
no considerati dall’Ust parte della popolazione residente. Questi immigrati sono accolti in modo differenziato.
Parte nei centri di asilo della Confederazione e dei Cantoni, parte in appartamenti messi a disposizione dai Comuni e parte presso famiglie ospitanti. Ne tiene conto l’analisi di Wüest Partner che ne conta per quest’anno 48’000. Infine un piccolo contributo alla crescita demografica viene dato anche dall’eccedenza delle nascite, in numero 8’000.
Per la Svizzera un simile ritmo di crescita potrebbe creare problemi già sul mercato immobiliare, poi sulle infrastrutture e sul traffico. Per quanto concerne il mercato immobiliare, l’indagine prevede un aumento del numero di abitazioni dell’ordine di 90/100’000 appartamenti. Una cifra che potrebbe anche modificare l’aspetto di alcuni fra i maggiori agglomerati in Svizzera. Ma questo proprio in un momento in cui le costruzioni stanno rallentando nel settore dell’abitazione. Gli esperti valutano per quest’anno un aumento di
42’000 nuovi appartamenti. Si tiene però conto del fatto che i profughi dall’Ucraina cominciano a tornare in patria e anche la situazione economica potrebbe rallentare l’afflusso di mano d’opera dall’estero. Entrambe le ten-
All’Ust sono stati rivolti rimproveri per aver sottovalutato la crescita della popolazione in Svizzera, a causa di una sottovalutazione delle immigrazioni. In particolare non si è valutato correttamente l’effetto avuto dall’allargamento dell’Ue e dall’applicazione delle norme sulla libera circolazione delle persone. Lo scenario di riferimento dell’Ust prevedeva, nel 2005, un saldo migratorio (entrate meno uscite) di 10'000 persone all’anno, per cui la popolazione residente in Svizzera, nel 2050, sarebbe stata di circa 8 milioni di abitanti. Nel frattempo le proiezioni sono state corrette e nel 2020 si pro -
denze potrebbero avere effetto anche nel 2024, ma anche la guerra e la recessione mondiale potrebbero avere conseguenze imprevedibili.
Secondo gli esperti citati, la Svizzera si trova molto impreparata ad af-
spettava, per il 2050, una popolazione di 10,4 milioni. In altri termini, la soglia dei 10 milioni d’abitanti potrebbe essere raggiunta già nel 2040. Per i prossimi 15 anni la previsione media (scenario di riferimento) è stata, quindi, corretta di 2,3 milioni di persone e, per i prossimi 20 anni, di 3,3 milioni. Gli scenari pubblicati nel 2015 e nel 2020 hanno quindi leggermente sovrastimato e non sottostimato la crescita demografica. Queste precisazioni sono state fornite dall’Ust a seguito della pubblicazione nella «NZZ am Sonntag» del citato studio della Wüest Partner.
frontare l’aumento di popolazione stimato. Le stesse previsioni di crescita demografica sono sempre state troppo prudenti e hanno rinviato di parecchi anni il traguardo dei 10 milioni di abitanti, di cui si parla con una certa insistenza in questi ultimi tempi. Così, se il primato storico di quest’anno dovesse confermarsi anche nei prossimi anni, il limite dei 10 milioni di abitanti potrebbe essere raggiunto molto prima del previsto. Ma ora si stanno applicando regole urbanistiche riduttive che impediscono una futura espansione del territorio edificabile e favoriscono quindi le concentrazioni e le edificazioni in altezza, soprattutto negli agglomerati urbani. Per questo le previsioni di sviluppo si basano sulla crescita di agglomerati urbani, generalmente vicini al maggior numero di posti di lavoro.
La crescita di popolazione, fino al 2030, prevede entità molto differenziate, con i maggiori tassi di incremento nelle regioni del nord-est della Svizzera o anche nella Svizzera romanda, con Ginevra e Losanna in testa, ma anche con Sion e il basso Vallese. Vi sono però singole regioni con tassi di crescita più forti per motivi e situazioni particolari, come Bulle e Estavayer-le-Lac nel Canton Friburgo, o Aarau e dintorni, e anche nello spazio fra Zurigo e Winterthur. Deboli invece le previsioni per il Ticino, con i distretti di Locarno e Vallemaggia con tassi di crescita addirittura negativi, come del resto quelli del sud montagnoso dei Grigioni. In parte ciò è dovuto anche al metodo usato da Wüest Partner che si basa sui più recenti dati sull’immigrazione, sul tasso di natalità e di mortalità e sulle naturalizzazioni. Il tutto completato con dati regionali, come le riserve di terreni edificabili e il grado di attrattività dei comuni. Si affaccia comunque l’idea che la Svizzera potrebbe non essere in grado di far fronte a ritmi di crescita demografica intensi, come quella della previsione citata. Il dibattito politico e anche economico è, quindi, aperto su più fronti.
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Il gentleman trovato cadavere nel Mare del Nord
Ma lei chi era, sir, anzi chi è? L’hanno trovato ma ancora lo cercano, e intanto son trascorsi 29 anni da quell’11 luglio 1994 quando il personale di una nave della polizia marittima avvistò in acqua un corpo nei pressi di Helgoland, nel Mare del Nord. Operazioni di recupero, constatazione di decesso e prime indagini, prime ipotesi. E dunque, non un suicidio, per l’elementare presenza sia alla testa sia al torace di plurime, reiterate ferite cagionate da un oggetto, forse un bastone. Di conseguenza un omicidio, sì, ma datato nel tempo poiché quelle ferite risalivano almeno a sette mesi prima, si pronunciò sicuro il medico legale. E un delitto che non riguardava il personale di qualche nave mercantile avendo la vittima, di sesso maschile, un abbigliamento non certo da cambusa; e nel processo di osservazione di quegli abiti, rimasti quasi intonsi per motivi parimenti rari e misteriosi, la geografia conduceva all’Inghilterra in quanto le scarpe erano state realizzate a mano da un calzolaio di Bristol, ma in realtà conduceva anche alla Francia dove sorgeva la sartoria che aveva confezionato i pantaloni di colore blu navy, e invece no, passo indietro verso la prima opzione per via del logo d’un club britannico sulla cravatta…
Permane inspiegabile il silenzio assoluto: nessuno ha mai cercato il cadavere, nessuno ha denunciato la sparizione dell’uomo
Helgoland è un’isola della Germania in alto sulla mappa europea, nel Mare del Nord, in una centrale posizione geopolitica. Mille abitanti, condizioni di vita dure, di pieno isolamento che pertanto, a seconda dei punti di vista, può regalare anche protezione. Di più, e non per una mera questione di rima: illuminazione. Difatti lì si ritirò Werner Heisenberg, fra i padri della meccanica quantistica ben narrato nel libro, dal titolo pragmatico (Helgoland ) essendoci di mezzo degli scienziati, scritto dal fisico Carlo Rovelli. Ma a maggior ragione, in concomitanza e in raffronto con i grandi progressi del genere umano su argomenti d’infinita complessità, e beninteso col profondo rispetto verso la polizia germanica titolare del caso, possibile mai che nessuno sia venuto a capo dell’uccisione di quel sir così ben vestito? Ci soccorra un dato consolatorio: ovvero che forse mai come in altri cold case al mondo, insieme agli investigatori tedeschi lavorino psicologi, docenti, ricercatori, e che una stazione di polizia, nella fattispecie quella di Wilhelmshaven, sulla terraferma e con giurisdizione su Helgoland, mantenga un contatto diretto con le università inglesi di Staffordshire e Plymouth affinché ogni possibile conoscenza, ogni mezzo tecnologico della criminologia e della criminalistica sia impiegato per estrarre da quel cadavere il massimo dei dettagli. Insomma, l’inseguimento della verità, o quantomeno una sua parte dirimente, risulta perfino un’ossessione. Ma lei chi era, sir, anzi chi è?
Una seconda autopsia aveva escluso collegamenti con la Francia quale area di nascita e aveva mantenuto quelli con l’Inghilterra aggiungendo una terza nazione, l’Australia. I ripetuti appelli attraverso i canali social ai cittadini per agganciare eventuali familiari, conoscenti, colleghi, salvo
le risposte di sparuti e prevedibili mitomani avevano e hanno determinato il seguente risultato: zero. Abbiamo domandato ai titolari del fascicolo le prossime mosse tecnologiche, che tanto ci saranno per forza, e siamo stati invitati ad attendere, a conferma per appunto che ulteriori invenzioni verranno generate. Già è considerevole la progressiva stesura di un identikit che ci permette di osservare un uomo dal viso allungato – in linea col resto del corpo, alto non meno di un metro e novanta – una fisionomia regolare, se vogliamo comune, priva di evidenti caratteri distintivi, una sorta di eleganza diffusa dai lineamenti, i capelli trattati da un barbiere, il mento fresco di rasatura come le guance, una persona che parrebbe tenesse molto alla cura di sé. Una persona che qualcuno aggredì con insistita violenza in preda alla rabbia feroce, magari mosso dagli istinti primitivi di una vendetta impossibile da rimandare, con l’incipit della scena del crimine ambientata su di una nave di lusso carica di prestigiosi passeggeri.
L’isola di Helgoland, da sempre, è rifugio di disparati personaggi che non vogliono essere trovati e disturbati
A meno che il delitto non sia avvenuto a bordo di niente e che il mare sia stato soltanto il luogo scelto per liberarsi del cadavere. Ma allora, ritenendo oltre la lucida follia la volontà
di percorrere miglia e miglia e ancora miglia garantendosi un punto appartato per buttare in acqua il sir, e dovendo per forza battezzare Helgoland, nelle vicinanze, come ipotetico scenario dell’omicidio, si sappia che,
nell’arcipelago, le esplorazioni degli agenti non produssero nemmeno un flebile sospettato. Sicché, punto a capo. Ma in ogni modo, concesso tutto, permane inspiegabile il silenzio assoluto su mancate denunce di sparizio-
ne, cioè un uomo, il quale dagli abbigliamenti lasciò capire d’avere una posizione sociale, un impiego, una rete, che d’improvviso se ne andò e fu come se non fosse esistito. A meno che costui non fosse una spia, di quelle che davvero scompaiono non lasciandosi dietro alcun legame. Relativamente a quel periodo storico, dall’inizio del 1994 al successivo luglio – ricordate, il delitto risaliva a sette mesi prima – in Europa non risultarono morti ignote correlate con le coordinate del sir, e se è per questo neanche in Australia.
L’isola di Helgoland, da sempre, pure prima dei pernottamenti del genio Werner Heisenberg, coincide con il soggiorno di disparati personaggi che si sistemano in una casetta ivi trincerandosi certi che attorno nessuno li disturberà: arrivano, sostano, ripartono. Il nostro uomo possedeva dei segreti? Ma quali? Finanche con i massimi ricercati per antonomasia, i latitanti della criminalità organizzata, vale il principio secondo cui non esistono gli introvabili ovunque essi siano, ché l’importante è avviare le (vere) ricerche. E però, il sir dagli abiti sartoriali supera questa legge. Egli è imperscrutabile. Fermatevi sul suo primo piano. Ebbene forse sta per concedere un sorriso, forse lo reprime, o forse ci sfida, con quella sua bocca piccola che sembra, davvero, sul serio, sigillata manco fosse lui il killer.
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Delitti irrisolti – 2 ◆ Chi era l’uomo ripescato senza vita nel 1994 al largo dell’isola tedesca di Helgoland?
Andrea Galli
Vista dall’isola di Helgoland (Keystone) e, in basso, l’identikit dell’uomo ucciso.
MACCHERONI E FORMAGGIO IN STILE HAWAIANO
ingredienti
• 80g di burro
• 70g farina
• 700ml di latte
• 100ml di succo d'ananas in lattina
• 6 anelli di ananas, tritati
• 250-300g di formaggio Cheddar Cathedral City maturo o extra maturo, grattugiato
Ricetta
Azione su Rivella
• 1 cucchiaino di senape di Digione
• 1 cucchiaino di senape integrale
• 1 cucchiaino di pepe nero e sale
• 150 g di prosciutto o prosciutto cotto, tritato
• 300g Pasta Di Maccheroni Cotti
• 50 g di pangrattato (panko o normale)
1. In una padella larga, sciogliere il burro e aggiungere la farina. Cuocere per 2 minuti. Scaldare il forno a 200 gradi in forno/180 gradi ventilato
2. Sbattere il succo d'ananas messo da parte e il latte e continuare a sbattere a fuoco medio finché non inizia ad addensarsi
3. Togliere la salsa dal fuoco e incorporarvi ¾ del formaggio, la senape, sale e pepe Mescolare finché il formaggio non sarà sciolto
4. Mescolare il prosciutto tritato, l'ananas e i maccheroni cotti
5. Ricoprire con pangrattato panko e il formaggio rimanente
6. Cuocere in forno per 20 minuti o fino a quando saranno dorati e gorgoglianti!
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Il Mercato e la Piazza
Il contributo della cultura all’economia
Non tutte le attività umane sono attività economiche. Per esserlo devono, nel contesto dell’economia tradizionale, avere un prezzo ed essere negoziate su un mercato. Le attività religiose, per esempio, non vengono considerate come attività economiche. E non sono economiche molte altre attività che non perseguono fini di lucro. Questo non significa che non abbiano nessun valore. Pensate al valore aggiunto che, in una nazione ricca come la Svizzera creano le associazioni benefiche. Esse raccolgono, ogni anno, centinaia di milioni per destinarli a fini, sicuramente non di lucro, e, contemporaneamente, devono spendere sino a un terzo di quanto raccolto per coprire le loro spese, ossia gli stipendi dei loro dipendenti e gli altri costi.
E la cultura? Intendiamoci: quando il vostro vicino vi invita a seguire il concerto della sua corale, avvisandovi che,
In&Outlet
all’uscita, si aspetta da voi un modesto obolo, non state per essere implicati in un’attività di tipo economico. Tuttavia con il vostro obolo sosterrete l’attività della corale che ha scopi ideali: diffondere la musica e il canto e offrire un interessante passatempo ai suoi membri. Quando poi venite a sapere che in Svizzera ci sono più di 600 gruppi che praticano lo jodel con più di 40’000 membri, comincerete forse a dare al canto corale un altro peso. Tutti coloro che hanno avuto modo di seguire, a Bellinzona, la festa federale della musica popolare si saranno accorti che questa manifestazione è stata non solo un grande avvenimento culturale, ma anche un evento che ha creato un notevole valore aggiunto per l’economia della capitale. Ma continuerà a essere un’attività che non si vende su nessun mercato e raramente deve affrontare la concorrenza.
Il sole, il mare e le promesse
Un anno fa, in questi stessi giorni, Giorgia Meloni vinceva le elezioni politiche e poco dopo formava il prima governo guidato da un’esponente dell’estrema destra nella storia della Repubblica italiana. Un fatto storico, in un Paese fondatore dell’Unione europea. Gli italiani non percepiscono Fratelli d’Italia come un partito di estrema destra, qual è considerato all’estero, con una certa ragione considerando le sue origini. La maggioranza degli italiani non ha votato Fratelli d’Italia – o un altro partito della coalizione guidata dalla Meloni – perché è diventata missina o di estrema destra; ma perché ha visto in Giorgia, come viene chiamata, la leader più accreditata per battere la sinistra. La maggioranza degli italiani ha cioè votato la Meloni con lo stesso spirito e obiettivo con cui nei decenni ha votato la Dc, la Lega, Berlusconi, Fini, Salvini, financo Grillo: non avere i comunisti e i suoi eredi al Governo, nel timore di un aumento delle tasse.
Poi certo Giorgia Meloni ha una storia particolare. Nella sede del partito sedeva alla scrivania di Giorgio Almirante, e ne esponeva il ritratto; e Almirante è stato un dirigente della Repubblica collaborazionista di Salò, il segretario di redazione della rivista antisemita «La difesa della razza», un fascista che si era dato come motto «non rinnegare, non restaurare». Ma con il fascismo la Meloni non c’entra. Se è passata dal 3 al 26 per cento, è perché ha intercettato il vento antisistema, anti-establishment, anti-élites che spazza non solo l’Italia, ma l’Europa. Altrove si trovano i Macron, i Sanchez, gli Scholz che quel vento riescono a domare; in Italia no. La Meloni ha governato in modo ragionevole. Non ha commesso gravi errori. Ha cercato di dialogare con l’Europa. Ma non ha costruito un buon rapporto con il presidente francese Macron; e anche il cancelliere socialdemocratico Scholz guarda all’Italia con una certa diffidenza. Tutto bene
Il presente come storia
Confrontato con queste difficoltà, il nostro Ufficio federale di statistica è uscito dall’inghippo creando una statistica dell’«economia culturale» che quantifica l’apporto delle attività culturali all’economia nazionale, sintetizzandolo in tre indicatori: il numero delle aziende, il numero delle persone occupate e la percentuale di prodotto interno lordo da loro generate. Nel 2020, ultimo anno per il quale i tre indicatori sono stati rilevati, il suddetto settore era formato da 63’000 aziende, occupava 229’000 persone e generava il 2.1% del prodotto interno lordo. Il 2.1% potrà sembrare una percentuale poco importante: si trattava tuttavia, nel primo anno della pandemia Covid, di un valore aggiunto di ben 15.5 miliardi. Più importante è la percentuale nell’occupazione. Nel 2020 raggiungeva quasi il 6%. Gli statistici dell’Ufs fanno poi nota-
di Angelo Rossi
re che esistono altre migliaia di persone occupate che lavorano per attività culturali ma non appartengono al settore dell’economia culturale. Infine, nel 2020, le aziende del settore culturale rappresentavano il 10.5% delle aziende dell’economia svizzera. Il Covid non ha risparmiato questo settore ed è probabile che più d’una azienda abbia dovuto chiudere le porte durante il lockdown provocato dalla pandemia che ha fatto perdere al settore culturale almeno 10’000 posti di lavoro a livello nazionale. La quota delle aziende culturali, nell’effettivo delle aziende dell’economia svizzera, continua però a essere importante. Quali le altre caratteristiche economiche del settore? In primo luogo quella di occupare una proporzione di donne più elevata della media. Anche la proporzione di lavoratori e lavoratrici a tempo parziale è, in que-
sto settore, superiore alla media. Infine, il valore aggiunto per lavoratore o lavoratrice, equivalente, nel 2020, a quasi 68’000 franchi, è largamente inferiore alla media nazionale. Osserviamo da ultimo che, nel 2020, due dipartimenti del Governo ticinese hanno pubblicato i risultati di uno studio sull’impatto economico delle attività culturali in Ticino. Confrontando le stime di quel documento con i totali a livello del Cantone risulterebbe che, per occupazione e valore aggiunto, il settore culturale in Ticino, pur facendo spendere a Cantone e comuni molti soldi, non conta praticamente niente. La statistica nazionale sembrerebbe suggerire però qualcosa di molto diverso. Non sarà che, al contrario di quanto di solito si pensa, certe volte le cose possono apparire ingrandite solo al guardarle dal di fuori?
invece, all’apparenza, con il presidente Usa Joe Biden: la Meloni ha fatto professione di fede atlantista, e ha schierato il Governo dalla parte dell’Ucraina, al di là dei mal di pancia di Berlusconi e di Salvini. Nel dare un giudizio sul Governo, occorre separare le considerazioni sulla persona da quelle sui risultati che ha ottenuto. A molti italiani Giorgia Meloni piace ancora. Apprezzano la sua franchezza, lo stile diretto. Le hanno perdonato uscite intollerabili, come quando ha definito le tasse «pizzo di Stato» in un comizio a Catania, una città dove commercianti e imprenditori sono stati assassinati per essersi rifiutati di pagare il pizzo alla mafia. Tra i ceti popolari la Meloni è considerata «una di noi», in antitesi al linguaggio ricercato e alle battaglie di principio di Elly Schlein (la cui scelta si sta rivelando un mezzo disastro per il Partito democratico; ma questo è un altro discorso). Tuttavia, se la popolarità della Meloni
I partiti e la campagna sul trattore
Scorrendo nomi e numeri delle imminenti elezioni federali, viene da parafrasare il Leopardi del venditore di almanacchi: «Liste, liste nuove; candidati nuovi. Bisognano, signore, liste?». In vista dell’appuntamento gli elenchi nel solo Ticino si sono allungati come un lenzuolo elasticizzato (256 nomi) per dieci posti disponibili (otto al Nazionale e due agli Stati). Lo scorso aprile, per le Cantonali, i partiti avevano presentato 49 candidati distribuiti su 10 liste per il Governo (cinque posti in palio) e 924 per il Gran Consiglio (90 seggi). L’affollamento ha generato reazioni opposte: per gli ottimisti, è un indice di vitalità di un sistema non ancora sconfitto dai profeti dell’astensionismo; per i pessimisti, l’ennesimo segno dell’inguaribile inclinazione alla megalomania. A fare chiarezza, ovvero a far opera di selezione, ci penserà il voto. Non è detto che trionferà, in una logica
darwiniana, il migliore, il più preparato, il più competente. Ma questo esula dal perimetro della democrazia. Si spera solo che il tasso di partecipazione non scenda al di sotto del 50% (nel 2019, la media nazionale si era attestata intorno al 48%).
Ogni formazione esibisce una piattaforma programmatica, con un occhio rivolto ai sondaggi e all’«immagine» veicolata nei media e nei canali sociali. Da quando la politica si è fatta spettacolo (l’analisi di Gianni Statera, La politica spettacolo, è del 1986), tutte le segreterie partitiche si disputano le migliori agenzie di marketing politico, pubblicitari, comunicatori, suggeritori, scenografi, celebrità del mondo della televisione e del cinema. Il modello di riferimento rimane lo «show» americano, la sfilata dei candidati nel catino di uno stadio sotto luci stroboscopiche, gli spalti gremiti da sostenitori festanti e assordati da ondate di
decibel. Tanti slogan, ragionamenti pochi (non è la sede).
Gli spettacoli non sono però tutti uguali. La differenza la fanno gli adattamenti e le declinazioni regionali, soprattutto nei partiti di centro-destra. Il richiamo al passato rurale del Paese è costante, benché il settore primario raccolga una frazione minima della popolazione attiva (suppergiù il 4%). Il presidente dei liberali Thierry Burkart, presenziando alla festa di lotta svizzera il 13 agosto a Deitingen (Soletta), ha tenuto il suo fervorino dall’alto del rimorchietto di un trattore; il 20 agosto Il Centro guidato da Fiorenzo Dadò ha scelto l’azienda agricola Pedrini di Airolo come sede del congresso cantonale, abbinando il raduno alla festa dell’alpe; il 26 agosto, l’UDC nazionale (SVP) ha riunito i suoi nella cornice della Swiss Life Arena di Zurigo-Altstetten, tra baite di montagna, camiciole da mun-
è ancora alta, il consenso per il suo Governo sta scendendo. Il motivo è presto detto: la situazione economica non è affatto buona. I prezzi continuano a salire; gli stipendi no. Il debito pubblico è fuori controllo, non a caso lo spread – il differenziale tra quello che paga l’Italia per finanziarsi sui mercati e quello che pagano la Germania e gli altri Paesi europei – sta cominciando a risalire. I mercati iniziano a scommettere contro il Governo italiano. L’ha fatto notare al «Corriere della Sera» Fedele Confalonieri, il miglior amico di Berlusconi: sta succedendo di nuovo quello che accadde nel 2011, quando appunto Berlusconi dovette lasciare il Governo sotto la spinta degli investitori internazionali e dell’Europa. Non siamo ancora a quel punto. E la Meloni si è mostrata consapevole che l’ancoraggio all’Europa è nell’interesse di un Paese che veleggia verso i tremila miliardi di euro di debito pubblico, e senza la garanzia della Banca centrale europea – quindi dei
tedeschi – dovrebbe pagare cifre ancora più alte per finanziare il proprio debito pubblico. Al momento le opposizioni restano deboli e divise: i voti del Pd e dei Cinque Stelle non si possono sommare; tanto meno quelli di Carlo Calenda e Matteo Renzi, i due litigiosi campioni del centro. Tuttavia le prospettive economiche e quindi politiche sono molto difficili. Anche perché il Governo non riesce a frenare gli sbarchi dei migranti, punto centrale nella propaganda del centrodestra. Sullo sfondo resta il personaggio di Mario Draghi. La presidente della Commissione europea Ursula von der Layen l’ha coinvolto nel rilancio dell’Unione. Se non avrà un ruolo a Bruxelles dopo le elezioni europee, Draghi resta il nome più spendibile per una soluzione di larghe intese che rafforzi la posizione dell’Italia nei confronti del partner. Certo sarebbe l’ennesimo fallimento della politica, o almeno dei partiti.
gitore, campanacci, sbandieratori e spruzzi di segatura. L’ingresso nell’arena dei miliardari Blocher (padre e figlia) seduti sulle balle di un carro da fieno non lasciava dubbi: ecco le nostre vere radici, il sangue contadino che scorre nelle vene dei patrioti autentici, legati alla terra e alle usanze avite, semplici e frugali. Per altro l’aveva già notato nel 1744 Rousseau osservando il comportamento dei vallesani: villici laboriosi, amanti della libertà, sdegnosi del lusso. Sottotesto: non come quei burocrati che pasteggiano nei locali chic di Bruxelles, dediti al vizio, al ladrocinio e a ridicole discussioni sulle identità di genere…
A prima vista, è curiosa e paradossale questa esaltazione dei costumi rurali in un Paese ampiamente urbanizzato e terziarizzato come la Svizzera odierna. Non lo è se consideriamo incidenza e significato delle tradizioni – enogastronomiche, culturali, lin-
guistiche, ludiche – che scandiscono la vita quotidiana dei cantoni extraurbani. Chi mette in scena lo spettacolo patriottico sa quanto contano gli archetipi nell’immaginario collettivo: noi siamo diversi, siamo un Sonderfall, le corti delle vecchie monarchie europee ci deridevano, per loro eravamo solo dei vaccari («Kuhschweizer»). E invece dall’alto delle nostre sublimi montagne abbiamo saputo autogovernarci attraverso un’architettura repubblicana e federalistica. Le urne diranno se siffatta «ideologia rurale» dà ancora copiosi frutti sul piano elettorale. Gli strateghi sono convinti di sì, che lo stratagemma della ruralità spacciata come anima autentica di un popolo fiero e indomito offre garanzie di successo come nessun’altra. Se poi alla retorica aggiungiamo lo smarrimento, la confusione dei valori, il disgusto per la «classe politique», il gioco è fatto.
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Cornetto con verdure grigliate
Ingredienti per 4 pezzi
• 1 melanzana di ca. 200 g
• 1 zucchina di ca. 150 g
• 1 peperone giallo
• 1 peperone rosso
• 3 cucchiai d’olio d’oliva
• sale
• 40 g di parmigiano
• 4 cornetti di Sils
• 40 g di rucola
Preparazione Taglia la melanzana e la zucchina a fettine sottili. Dimezza i peperoni, privali dei semi e tagliali a listarelle. Trasferisci le verdure in una scodella e aggiungi l’olio, il sale e mescola. Scalda una bistecchiera. Griglia le verdure poche alla volta da entrambi i lati e toglile dalla padella ancora croccanti. Lasciale intiepidire in un piatto e guarniscile con scaglie di parmigiano. Dividi i cornetti a metà in senso orizzontale. Farcisci le basi con la rucola, le verdure grigliate e il parmigiano. Copri con le altre metà dei cornetti e servi subito.
Incontro di cornetti
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 25 settembre 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino 40
Tutte le ricette su migusto.ch
Cornetto con salmone e uovo al tegamino
Ingredienti per 4 pezzi
• 1 cucchiaino di burro per arrostire
• 4 uova piccole
• 4 cornetti, ad es. Rustica
• 200 g di salmone affumicato, ad es. all’arancia e al coriandolo
• 1 avocado maturo
• 1 limetta
• 10 g di crescione
• fleur de sel
• pepe
Preparazione
Scalda il burro in una padella ampia. Rompi le uova in padella e cuocile per ca. 4 minuti fino a ottenere delle uova al tegamino. Taglia i cornetti a metà in senso orizzontale. Accomoda il salmone sulle basi dei cornetti. Dimezza l’avocado e snocciolalo. Taglialo a fette sottili all’interno della buccia, poi con un cucchiaio stacca la polpa dalla buccia e disponi le fette di avocado a ventaglio sul salmone. Spruzza con il succo di limetta. Accomoda l’uovo e il crescione sul resto degli ingredienti e condisci con fleur de sel e pepe. Copri con il resto dei cornetti e servi subito.
Verso il vertice del gusto
21’600
è il numero di singoli cornetti prodotti ogni ora da Migros Industrie.
16
sono le tonnellate massime di farina che vengono lavorate ogni giorno.
6
sono le tonnellate di burro necessarie al massimo per la produzione quotidiana.
I portichetti (al centro della foto) danno la forma finale ai cornetti già arrotolati.
Come un croissant francese «Grazie al miglioramento della produzione, l’impasto viene trattato con maggiore delicatezza. Il cornetto lievita molto meglio. Inoltre, siamo riusciti a ridurre la quantità di lievito. Alla fine otteniamo la struttura di un croissant francese, ma con meno zucchero», spiega Urs Kalberer, sviluppatore tecnologico di Migros Industrie. Dopo il raffreddamento, l’impasto viene tagliato a strisce, arrotolato e modellato: ecco pronta una schiera di cornetti dalla geometria perfetta. Dopo essere stati congelati, i cornetti vengono consegnati alle filiali e precotti sul posto. Il risultato: croissant voluminosi, lucidi e dorati, con un interno leggero e una sfoglia croccante.
Mai senza il mio cornetto Chi vuole iniziare la giornata con un cornetto quasi come «fatto in casa» troverà sicuramente il suo croissant preferito tra i prodotti da forno precotti della Migros. Questi vengono cotti per un tempo più breve e confezionati subito dopo il raffreddamento.
A proposito: i cornetti precotti refrigerati sono prodotti completamente privi di conservanti e possono essere conservati per diversi giorni. I cornetti M-Classic non refrigerati hanno una durata superiore e sono quindi perfetti per fare scorta.
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 25 settembre 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino MONDO MIGROS 41
Cornetti al burro di Sils M-Classic, IP-Suisse, senza conservanti, precotti, refrigerati 180 g Fr. 3.30
Cornetti al burro bio, precotti 180 g Fr. 3.40
Cornetti al burro M-Classic, senza conservanti, precotti, refrigerati 200 g Fr. 3.30
Cornetti al burro M-Classic, IP-Suisse, precotti 200 g Fr. 3.30 * 30% su tutti i cornetti precotti a partire dall’acquisto di 2 pezzi; dal 26.9 al 2.10
30%*
di nocciole e, a piacere, tostale. Spalma con della crema di nocciole le metà inferiori dei cornetti e quelle superiori. Cospargi le metà superiori di nocciole e farcisci il resto con la frutta. Copri e servi subito.
Il tipico cornetto svizzero è leggermente curvo, dorato, croccante e ancora umido all’interno, il che lo rende un piccolo «capolavoro» della pasticceria. Dopo due anni di sviluppo e costruzione, a Ecublens VD è ora in funzione la nuova macchina per cornetti completamente automatizzata di Migros Industrie. Qui vengono lavorate ogni giorno fino a 16 tonnellate di farina e 6 tonnellate di burro. A tale scopo sono disponibili due enormi impastatrici che combinano uniformemente tutti gli ingredienti alla temperatura ideale.
Il nuovo ID. Buzz sarà perfetto anche per voi?
«Per noi è la scelta giusta»
La famiglia Schuler ha già trovato il van perfetto per tutte le esigenze e per un futuro rispettoso del clima e si gode appieno le nuove libertà e le incredibili soluzioni che l’ID. Buzz completamente elettrico di Volkswagen offre loro nella vita di tutti i giorni.
Staccare la spina, chiudere il coperchio della presa e si parte: ecco come può essere semplice la mobilità elettrica. La famiglia Schuler è composta da quattro persone e parte per un altro fine settimana senza pensieri con il suo nuovo compagno di viaggio, il van Volkswagen ID. Buzz. «Da quando viaggiamo con il van elettrico siamo molto più rilassati» ammette Paul Schuler, il papà. «Apprezziamo soprattutto il silenzio» afferma
Melanie, la mamma. Poi
aggiunge: «Grazie al motore elettrico, il van scivola via silenzioso e si può chiacchierare decisamente meglio.
Anche se i nostri figli amano soprattutto le funzioni digitali e la connessione completa dell’ID. Buzz». La figlia Ela si limita a sorridere e fa subito la DJ. Tramite App-Connect ha già trasferito la sua musica preferita dallo smartphone al sistema di infotainment con display touch a colori da dodici pollici. «Sulla strada del ritorno, però, ascoltiamo in
streaming il mio podcast preferito», ribadisce Paul e parte diretto alla torre panoramica e al campo di minigolf.
La famiglia non solo si gode la vista che offre la torre panoramica di Homberg sullo splendido paesaggio con le verdi colline dell’Argovia e il lago di Hallwil, ma dimostra la sua lungimiranza anche per quanto riguarda la mobilità.
È già passata a un van completamente elettrico. «Lo trovo fantastico», osserva Patrick, il figlio diciassettenne. «A scuola discutiamo spesso del cambiamento climatico. Con l’ID. Buzz anche noi possiamo fare la nostra parte» afferma. «Nel nostro van i rivestimenti dei sedili e il cielo dell’abitacolo sono realizzati con materiali riciclati e sostenibili. Già non vedo l’ora di poter provare anche io la guida elettrica fra qualche mese, subito dopo l’esame di guida».
Suo padre dice sorridendo: «L’esame di guida, ci siamo messi in un bel pasticcio». Per il momento alla guida del
van elettrico da 204 CV e dalla linea aerodinamica ci sono solo lui e la moglie Melanie. «Questo van mi ricorda il primo Bulli. Trovo molto ben riuscito il design espressivo, soprattutto con la verniciatura bicolore opzionale» aggiunge Paul, che lavora come sviluppatore di prodotto. «L’ID. Buzz ha carattere, ma mi convincono anche la posizione rialzata
dei sedili e la sua manovrabilità, ideale per la città o in parcheggi particolarmente stretti, e naturalmente la grande praticità quotidiana» ribatte Melanie che fa l’insegnante.
Infatti, sia per gli affari, sia per la famiglia o per le attività nel tempo libero, l’omologo completamente elettrico del popolare Multivan è un veicolo
Pubbliredazionale
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tuttofare estremamente versatile e perfetto per l’uso quotidiano. La seconda fila di sedili non solo è ribaltabile, ma può anche essere spostata longitudinalmente. In questo modo il van cinque posti arriva fino a 1121 litri di volume nel vano bagagli. Con la panca posteriore reclinata questo volume può essere persino raddoppiato. «Sono tutti aspetti che apprezzo molto quando vado a fare la spesa o vado agli allenamenti dei miei figli adolescenti, così come apprezzo l’elevato comfort di guida e soprattutto le geniali luci a LED» aggiunge Melanie.
Il sistema opzionale IQ. Light con i suoi fari a LED Matrix non
solo accoglie i proprietari quando si avvicinano al van con le chiavi dell’auto, ma, di notte, in abbinamento al Dynamic Light Assist, illumina tutto perfettamente e accende e spegne automaticamente le luci abbaglianti. «Questo è solo uno degli oltre 30 sistemi di assistenza alla guida che ci fanno stare sereni e ci garantiscono una sicurezza ottimale» afferma Paul Schuler, mentre parcheggia davanti al campo di minigolf. Dopo una partita sulle 18 piste del campo di Hämikerberg terminata con la vittoria di Melanie, la famiglia ritorna soddisfatta al suo van Volkswagen.
«Se si viaggia in modo sostenibile, anche una tappa fuori programma non è un problema; soprattutto nel fine settimana è davvero fantastico» ammette Melanie. Perciò, invece di dirigersi direttamente verso casa, gli Schuler fanno una breve sosta al loro negozio di fattoria preferito. «Lo abbiamo scoperto durante un’altra gita. La selezione è eccezionale e tutti i prodotti sono freschi» spiega la figlia Ela. Paul, il padre, ride e dice: «L’unico problema è che non hanno ancora la corrente per il nostro ID. Buzz, però con un’autonomia di oltre 400 chilometri si può arrivare ovunque in ogni caso».
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2123
litri è il volume disponibile nel van elettrico per i bagagli con la panca posteriore ribaltata. Anche con cinque passeggeri offre un volume di carico di 1121 litri: gigantesco!
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14.09.23 16:03
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Essere Thomas Mann
Il premio Nobel per la letteratura raccontato dallo scrittore irlandese Colm Tóibín e dal critico letterario tedesco Volker Weidermann
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Foudre in arrivo nelle nostre sale Intervista a Carmen Jacquier, regista che ha presentato il suo lungometraggio alla scorsa edizione del Film Festival di Locarno
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Genesi di un musical
Al debutto tra qualche giorno abbiamo seguito le prove di Acqua, il musical al Teatro Dimitri che racconta le nostre fragilità umane
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FIT, il respiro della scena contemporanea
Incontro ◆ Paola Tripoli, direttrice artistica, ci racconta la nuova stagione che prende il via il 29 settembre
Giorgio Thoeni, testo e foto
Originale, eclettico e provocatorio, talvolta spiazzante e mai banale, dal 29 settembre all’8 ottobre torna con la sua 32esima edizione il Festival Internazionale del Teatro e della scena contemporanea. Per tutti ormai rimane il FIT, il suo acronimo, anche se pochi ricordano un’avventura che agli albori era la Giostra del Teatro. Fra i suoi creatori, Vania Luraschi nel 1977 già intuiva la potenzialità di un’offerta fuori dal comune che altrimenti sarebbe stato difficile incontrare sulla scena tradizionale. Spettacoli audaci, un respiro internazionale, l’offerta svizzera con le produzioni delle compagnie indipendenti locali. Un festival glorioso che nel 2005 rinasce come FIT anche grazie alla presenza di Paola Tripoli (nella foto) che nel 2016 ne assume la direzione artistica dando al festival un profilo marcato, con progetti mirati su tematiche della scena contemporanea.
Da dove arriva la passione teatrale?
Ho iniziato giovanissima a Lecce, dove sono nata. C’era un piccolo teatro che si chiamava Scenastudio. Una sala piccolina. Avevo 16 anni, erano gli anni ’80 e all’epoca il teatro si faceva in piccole case. Sono entrata. Non ricordo il nome dell’artista, un attore romano che usciva dalla generazione degli anni 70, mi era piaciuto moltissimo. Così ho cominciato ad andare a teatro, mi sono appassionata e da allora tutte le mie vacanze le ho fatte d’estate girando tutti i festival in Europa, soprattutto a Parigi. Poi mi sono laureata in Lettere e Filosofia con specializzazione in Storia del Teatro con Fabrizio Cruciani. Erano gli anni anche di pensatori come Ferdinando Taviani, Nicola Savarese, Eugenio Barba… lo zoccolo duro del Terzo Teatro. Sono stata fortunata a poter studiare all’Università della mia città dove c’era molto fermento e una delle migliori biblioteche teatrali.
Nei sette anni di direzione artistica del FIT è cambiata l’urgenza teatrale degli artisti?
Non particolarmente. Lasciamo perdere gli anni 70 in cui il teatro era necessario. C’è stato un cambiamento negli anni 80-90 quando intellettuali e artisti dovevano dire delle cose: un processo proseguito lento e radicale. Oggi avverto questa urgenza perlopiù da parte di artisti provenienti da aree geografiche «povere» come l’America Latina. Forse l’esigenza è cambiata se la si vede nel senso del nuovo contrapposto al vecchio, senza dare un giudizio di valore. È come se ci fossimo cristallizzati in un tempo che abbiamo già superato. Quindi dobbiamo distinguere tra un’urgenza di carattere sociale e quella legata a forma e contenuto di un teatro alla ricerca del nuovo.
Nell’editoriale di questa edizione ci sono interrogativi legati al rapporto fra spettatori e scena, fra corpo e rappresentazione, fra dispositivo scenico e drammaturgico: perché ancora queste domande? Sono domande molto vecchie. I miei colleghi europei non se le fanno più. Per loro sono un tempo già passato. Adesso i filoni sono la questione di genere, la fluidità, il politically correct, qualche anno fa era il problema migratorio. È come se la cronaca entrasse come necessità nelle curatele artistiche, soprattutto nel teatro contemporaneo. Certe domande sono una mosca bianca eppure continuo a pormele perché sono interessanti e perché ancora non ci sono state delle risposte. Ho sentito la necessità di tornare a capire qual è il rapporto fra chi sta di là, che sia un teatro o una piazza, e l’artista che in qualche modo vuole comunicare.
È il problema di sempre. E poi chi ha detto che sono domande necessarie?
Appunto. Sono un po’ smarrita. Sto cercando di tornare indietro insieme al pubblico. La cosa bella che noto e di cui ringrazio questa città, è che a Lugano abbiamo un pubblico vero, sia per il teatro contemporaneo sia per quello più tradizionale. Ci sono tutti. I trentenni (i ventenni un po’ meno), i cinquantenni, la signora borghese, l’artista… Se vai in altri contesti quel pubblico non c’è: ci sono soprattutto gli addetti ai lavori.
Quindi il FIT è un festival dove gli addetti ai lavori sono assenti?
Non del tutto. Però è faticoso portarceli, pur avendo il teatro in qualche modo una funzione sociale. Qui la provincia ha una curiosità e una capacità che non ho mai visto altrove. Ecco perché continuo scegliere direzioni non percorse dalle stagioni teatrali. Ho visto spettacoli che mi sono piaciuti moltissimo ma che non ho scelto per rispetto del pubblico.
Senza il FIT certi artisti rimarrebbero «invisibili»…
Sì, faccio un esempio. Alessandra Garcia (in scena con lo spettacolo d’apertura, ndr) l’ho incontrata leggendo un articolo su un suo testo che aveva vinto un premio. Che è già una cosa strana: chi si occupa più degli autori? Ogni tanto ci ricordiamo anche di loro. Così ho provato a scriverle per farmelo mandare. L’ho letto e mi ha incuriosito. La Garcia è molto conosciuta specialmente a Malaga dove ha preso molti premi. Ma altrove, in Spagna, lo spettacolo non l’ha visto nessuno. È da tre anni fermo lì. Nei festival girano altre necessità e molte produzioni contemporanee rimangono sconosciute. A
meno che non siano dei grandi nomi. Allora diventa un altro discorso. In quel caso non ci sono tematiche, cioè un Romeo Castellucci può fare quello che vuole e andare ovunque…
In quale misura la programmazione riflette i temi della società con le sue problematiche più sensibili come l’ambiente, l’inclusione, la parità di genere… c’è una coerenza?
La coerenza la trovo negli anni, cioè da quando ho preso la direzione unica. Quello che ho sempre detto è che la mia curatela non è solo quella di ogni edizione, bensì di un periodo dove ogni anno aggiungo il capitolo di un libro che mi piacerebbe comporre: dalla violenza e potere alla scena della perdita, al teatro autobiografico, ecc. La passata edizione mi sono voluta spostare al genere
femminile che andrà avanti fino alla prossima. Spero di farcela perché è molto difficile, non ci sono abbastanza artiste donne e quando ci sono non vengono distribuite.
Non c’è il rischio che il tema alla lunga generi stanchezza o indifferenza?
Leggevo della mostra che Marina Abramovich sta facendo alla Royal Academy di Londra dove lei si pone la domanda: ma sapete che sono la prima donna artista che si esibisce da sola alla Royal Academy da 225 anni? Questa cosa mi spaventa. Non in quanto donna, ma perché non è possibile… il mondo è fatto di visioni diverse ed è abbastanza evidente che è il nostro genere che ci fa vedere le cose in maniera diversa. Quindi perché privarci di quello sguardo?
L’indifferenza? A Lugano no, è una
città curiosa. Ho imparato a conoscere e apprezzare il suo pubblico. Che cosa dovremo attenderci l’anno prossimo?
Non credo che mi farò altre domande. Voglio continuare a chiudere delle cose. Poi passerò la mano a qualcuno di più giovane. Il mio desiderio è che piano piano qualcuno mi affianchi.
Dispiaciuta che non abbiamo chiesto niente sugli spettacoli? No, affatto. Sarebbe stato inutile, banale.
Dove e quando FIT Festival, dal 29.8 all’8.10 2023 a Lugano. www.fitfestival.ch
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Il mago che temeva per la fine del
Feuilleton ◆ Un Colm Tóibín ironico e in splendida forma al Festivaletteratura di Mantova ha raccontato il suo nuovo romanzo – che
Natascha Fioretti
«Mi interessava disegnare il ritratto di un uomo che paragonato al resto della famiglia non fa rumore. Un uomo che attraversa la vita rendendosi invisibile mentre ogni membro della famiglia sembra essere più attraente, più chiassoso e più interessante». L’uomo in questione è Thomas Mann, massimo esponente della letteratura tedesca della prima metà del Novecento, premio Nobel per la letteratura nel 1929, autore de I Buddenbrook. Decadenza di una famiglia (1901), Tonio Kröger, (1903), Morte a Venezia (1912), La montagna incantata (1924) e tanti altri. A tratteggiarlo, a raccontarlo portandoci nei suoi pensieri più intimi, nel suo mondo interiore invece è Colm Tóibín, giornalista, saggista e romanziere irlandese, classe 1955, critico letterario per «The Dublin Review», «The New York Review of Books» e «The London Review of Books», professore di letteratura in diverse università inglesi e statunitensi. Il Mago è il suo più recente lavoro di cui ha raccontato al Festival di letteratura di Mantova qualche settimana fa in un incontro con lo scrittore Peter Florence.
Il mago (Einaudi, 2023) è un romanzo avvincente e profondo, a tratti sentimentale, anche cupo, che indaga l’uomo dietro la scrittura. «Thomas Mann ha usato la sua famiglia per i suoi romanzi – dice Colm Tóibín – la forza della sua narrazione ha dominato tutte le persone che si muovevano attorno a lui». E lui, il mago – come lo soprannominavano in famiglia sin da quella volta che Klaus bambino lo chiamò così perché Mann aveva alleviato i suoi incubi notturni dicendo, appunto, di essere un «famoso mago» – dall’alto della sua scrivania, dall’alto e dal profondo della sua scrittura osserva la vita sua e degli altri e ne tira le fila. È come se nella veste di scrittore, nella sua figura del perfetto tedesco borghese, lui riesca a filtrare tutto ciò che lo interessa, lo tocca da vicino per poi trasformarlo in una filigrana perfetta per i suoi romanzi. È come se da dentro le mura del suo studio (nella foto lo vediamo alla sua scrivania a Erlenbach nel Canton Zurigo in uno scatto del 1953) circondato dai suoi figli e dalla moglie Katia Pringsheim, Thomas Mann si schermasse dal mondo, seguendo e al contempo filtrando gli eventi, protetto da tutto, distante da tutto. Non a caso il so-
prannome con il quale usavano chiamarlo i suoi figli non è solo espressione di una consuetudine famigliare ma anche di una distanza che Mann mantiene con le persone a lui vicine, anche con i suoi figli. Di questa sua distanza, del rapporto difficile tra Mann e i figli Klaus, Erika, Elisabeth, Monika, Golo, Michael ben racconta Tilmann Lahme nella sua biografia I Mann. Storia di una famiglia (EDT, 2017). Se all’apparenza i Mann rappresentano la famiglia tedesca perfetta del Novecento, ciò che – per intenderci – i Windsor sono per i britannici, scrive Lahme – storico della letteratura, giornalista e critico letterario – la realtà è tutt’altra.
In tutto il romanzo di Tóibín attraverso le diverse epoche e le diverse residenze – da Lubecca, a Monaco, a Küsnacht e poi a Pacific Palisades, Los Angeles la vita di Thomas Mann ha alcune costanti: la scrittura nel
suo studio tutte le mattine, le passeggiate con Katia e i momenti a tavola con la famiglia. «Come romanziere ciò che mi interessa, che ricerco sono l’intimità, l’ironia, i silenzi, le ombre. Il romanzo avviene nella sua testa, nella sua sfera intima e domestica» spiega l’autore.
Con la madre Julia Thomas Mann condividerà per tutta la vita la passione per l’acqua, per il mare, porterà sempre con sé per poi amplificarli nelle sue esperienze gli echi del mare di Paraty
Colm Tóibín la vita di Mann e della sua amazing family – come la definì Harold Nicolson sul «Daily Telegraph» la ripercorre tutta e con estrema chiarezza sin dagli albori brasi-
Mantova, che bellezza!
Evento ◆ Impressioni dal Festivaletteratura che ha segnato un altro successo
Si sente dire spesso oggi che la cultura è in crisi, che non interessi, soprattutto che le persone rifuggano la complessità. Un po’ come se le nostre vite nel XXI secolo dovessero essere all’insegna dello spettacolo e della leggerezza, perché tutto il resto è noia, o meglio, per tutto il resto – nell’era della competizione per la nostra attenzione da parte di varie piattaforme e attori digitali – non abbiamo tempo.
Fortunatamente e con grande gioia abbiamo fatto un’esperienza
che ha dimostrato il contrario, e cioè che la cultura tira, interessa ancora e non solo quelli della nostra generazione e oltre, ma anche i più giovani. Al Festivaletteratura di Mantova, che quest’anno si è tenuto dal 6 al 10 settembre – non riempivano le sale soltanto Zerocalcare o il giallista e sceneggiatore inglese Anthony Horowitz, ma anche Maurizio Pirro e Luca Zenobi o, appunto, Colm Tóibín con il suo ritratto di Thomas Mann. Per non parlare della folla del weekend che ha assistito all’incontro
con Olga Tokarczuk fresca, in italiano, del suo romanzo capolavoro: I libri di Jakub (Bompiani, 2023). Come ha scritto «laRepubblica» «è stata un’ora e mezza di letteratura pura, traghettata da Wlodek Goldkorn, durante la quale la scrittrice polacca premio Nobel ha incantato mille persone con la lunga gestazione di un lavoro durato otto anni». Alla faccia dunque della complessità che spaventa e farebbe fuggire il pubblico. Non stupiscono allora le oltre 65mila presenze che hanno segna-
liani a Paraty della madre Julia che amava raccontare ai figli Heinrich e Thomas delle sue origini – così come loro adoravano ascoltare. «Raccontaci delle stelle, – diceva Heinrich. A Paraty, casa nostra era sull’acqua – rispondeva Julia. Era quasi un tutt’uno con l’acqua, come una barca. E quando scendeva la sera e spuntavano le stelle, erano luminose e basse nel cielo. Qui al Nord le stelle sono alte e lontane. In Brasile si vedono come si vede il sole di giorno. Sono piccoli soli anche loro, scintillanti e vicini, specie a chi di noi abitava a un passo dall’acqua. (…) La prima notte a Lubecca mi è preso un colpo quando non ho visto le stelle. Erano coperte dalle nuvole».
Con la madre Julia Thomas Mann condividerà per tutta la vita la passione per l’acqua, per il mare, porterà sempre con sé – per poi amplificarli nelle sue esperienze – gli echi del
mare di Paraty. A Lubecca si diceva che le debolezze dei figli del Senatore e facoltoso commerciante Johann Heinrich Mann e di Julia da Silva Bruhns fossero da attribuire al ramo femminile brasiliano: «Alcuni a Lubecca si erano fatti l’idea che i fratelli, in realtà fossero non soltanto l’esempio del declino del loro casato bensì il presagio di una nuova debolezza che si insinuava nel mondo, specie in quella Germania settentrionale che un tempo andava fiera della propria mascolinità». Sia Heinrich che Thomas non erano interessati a portare avanti l’azienda di famiglia, avevano altre inclinazioni e progetti, entrambi erano dei creativi, dei poeti, dei sognatori – soprattutto Thomas – ma il casato dei Mann a Lubecca aveva il suo peso e la sua notorietà. Rende l’idea il bel ritratto che lo scrittore irlandese fa del Senatore: «Era famoso per il taglio per-
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 25 settembre 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino 46
Keystone
suo incantesimo
come fu per quello su Henry James – ci porta nella mente di Thomas Mann
fetto degli abiti confezionati dal suo sarto di Amburgo e per l’aspetto impeccabile. Il senatore cambiava una camicia al giorno, a volte due, e aveva un ampio guardaroba. Portava i baffi alla francese. Se la sua pignoleria simboleggiava in tutto e per tutto l’azienda di famiglia, un secolo di eccellenza civica, il lusso del guardaroba esprimeva invece la sua personalissima opinione di come essere un Mann a Lubecca fosse più importante dei soldi e del commercio, e implicasse non solo sobrietà ma anche un accorto senso di stile».
Nel 1933 l’autore voleva farsi spedire dal figlio a Lugano, dove si trovava con la moglie Katia, i suoi diari che contenevano il segreto impronunciabile della sua omosessualità
Lo stile non mancherà mai a Thomas Mann che per tutta l’esistenza lotterà con l’idea – e non soltanto quella –della sua immagine divisa tra figura pubblica e privata. La sua omosessualità in casa non era un segreto, trasudava dalle sue opere, si evince con chiarezza nei suoi diari e, dice
Tóibín, «la sua famiglia ha fatto di tutto per evitare che la verità sulla sua sessualità venisse a galla e si diffondesse nel mondo».
Resta il fatto che grazie ai diari di Thomas Mann pubblicati un ventennio dopo la sua morte sappiamo che il premio Nobel per la letteratura «provava un grande disagio nello stare al mondo mentre la società lo vedeva autorevole e pieno di sé» racconta Tóibín.
Dice bene Dwight Garner nella sua recensione sul «New York Times» quando spiega le origini della grande sensibilità e attenzione dell’autore irlandese: «La narrativa di Tóibín è animata dall’attenzione sempre vigile che presta alle sotterranee correnti sessuali. Tóibín, anche lui gay, ha sempre esteso la sua simpatia storica agli outsider sessuali».
In questo dilemma tra figura pubblica e privata nel romanzo giocano un ruolo fondamentale i diari di Thomas Mann. Quando si trova in esilio in Svizzera con la famiglia teme che possano cadere in mano ai nazisti. Per lui sarebbe la fine e per come vanno le cose il racconto prende quasi una piega ironica.
L’uomo del mare
Feuilleton – 2 ◆ Il saggio di Volker Weidermann ci racconta il legame di Thomas Mann con il mare
Corre l’anno 1933, Thomas Mann e la moglie Katia sono a Lugano, a Berlino i libri bruciano, i nazisti danno alle fiamme le opere di Hesse, Brecht, Heinrich, Klaus ma non quelle di Thomas Mann. La situazione in Germania si fa sempre più critica e lo scrittore chiede a suo figlio Golo – che ha già portato via mobili, quadri e libri dalla casa di Monaco –di prendere ciò che più gli sta a cuore: «Pur essendoci manoscritti e lettere, incluse le lettere di Katia da Davos, che avrebbe voluto far uscire dalla Germania, Thomas sapeva che le carte più importanti erano i suoi diari. Li teneva nella cassaforte in uno studio di Poschingerstrasse. Nessuno li aveva mai visti». Chiede allora a Golo di prenderli, gli invia la chiave della cassaforte senza specificare di cosa si tratta. «Thomas gli chiese di prelevare i quaderni con la copertina di tela cerata senza leggerli, metterli in una valigia e spedirglieli a Lugano con un treno merci, convinto che Golo avrebbe eseguito le istruzioni alla lettera», ma non fu cosi. Golo teme di essere controllato, d’altra parte i nazisti hanno già confiscato le auto di famiglia, così ritiene più sicuro affidare i quaderni a Hans, l’autista. Peccato però che Hans si è venduto ai nazisti. Una volta giunto a Lugano, Golo racconta a Thomas cosa è successo e che la valigia con i suoi diari molto probabilmente ora è in mano ai nazisti. Il mago non dorme per diverse notti divorato dal pensiero che la verità potrebbe venire a galla, che potrebbe perdere il privilegio di essere ancora uno dei pochi autori pubblicati e non bruciati e mettere a repentaglio la sua famiglia. In quelle note l’autorevole, elegante e compunto scrittore borghese in cui la gente vedeva il rappresentante della nuova Germania, getta la maschera: «I suoi sogni si erano insinuati nei racconti e nei romanzi, ma in ambito narrativo era facile interpretarli come giochi letterari. Essendo padre di sei figli nessuno lo aveva mai accusato apertamente di perversioni private. I diari però, se pubblicati, avrebbero messo in chiaro chi era e che cosa sognava. Avrebbero mostrato che il suo tono distaccato, aulico, il rigore personale, l’interesse per gli onori e le attenzioni erano maschere concepite per dissimulare ignobili desideri sessuali. Mentre altri scrittore, inclusi, Ernst Bertram e il poeta Stefan George, avevano dichiarato al mon-
to un più 16% di pubblico rispetto all’anno scorso. E, va sottolineato, molti degli eventi erano a pagamento.
Ci avevano detto che il Festival ci sarebbe piaciuto, ma mai avremmo pensato di trovare un’organizzazione, una cortesia e un’efficienza simili. A colpire era soprattutto l’entusiasmo dei giovani volontari sparsi per la città con le magliette blu del Festival che a bordo delle loro bici schizzavano da una piazza o da una sala all’altra della città per accogliere e aiutare ospiti e pubblico, facendo in modo che tutto filasse liscio.
Il Festival di Mantova ha trovato – e sicuramente non da oggi, dal momento che vide la luce nel 1997, e negli anni ha fatto da apripista a numerose manifestazioni simili, anche alle nostre latitudini – la formula giusta per proporre un programma di qualità in un contesto favorevole,
do la loro omosessualità, Thomas aveva chiuso i suoi desideri sessuali dentro un diario chiuso, dentro una cassaforte».
In particolare a preoccuparlo è il resoconto di quella volta che entrò in camera da letto e vide suo figlio Klaus nudo. «Quell’immagine gli era rimasta impressa, tanto da spingerlo a riportare sul diario lo strano fascino che il figlio aveva esercitato su di lui. Era abbastanza convinto di aver scritto altre volte, sul diario, quanto lo attirasse il corpo di Klaus o quanto lo avesse eccitato vedere Klaus in costume da bagno. Quelli, immaginava, erano pensieri che non tanti altri padri dovevano aver covato».
Thomas Mann si è chiesto se era giusto scrivere quanto aveva visto, le strane sensazioni vissute. Nel dubbio ha prevalso lo scrittore che prende nota delle cose importanti e «per fortuna – dice Tóibín. E poi – considerando che viviamo nell’epoca della cancel culture – si chiede: cosa e quanto dovremmo tollerare? Cosa dovremmo disprezzare? Qualunque sia la risposta, non possiamo far finta di niente, con questa realtà dobbiamo convivere e fare i conti».
Da qui lo scrittore irlandese che aveva già fatto lo stesso esercizio – riuscitissimo – con la biografia romanzata di Henry James dal titolo The Master (Fazi editore, 2004) ci rivela metodo e essenza del suo lavoro. Entrambe sono opere che ama da sempre, sin dai tempi di gioventù ma che ancora oggi per lui sono importanti «It is all about the books!» esclama nel suo dialogo con Peter Florence. Precisa anche che il romanzo si sviluppa attorno a quelli che sono i fatti certi della vita di Thomas Mann. E poi racconta la sua idea di scrittore che è colui che « abbraccia la complessità e con essa si confronta ».
Nel costruire e delineare i suoi personaggi Tóibín va oltre le apparenze, oltre quei tratti e quei caratteri riconosciuti e sdoganati. Egli si immerge nelle profondità della mente e della natura umana alla ricerca dell’essenza spogliata di qualsiasi orpello o ricamo. Ne Il mago i dialoghi sono quasi totalmente assenti e se anche i personaggi, le vicende, i luoghi, sono tanti, affastellati, noi lettori viviamo tutto con estrema chiarezza perché siamo dentro la testa di Thomas Mann. Ed è la scrittura sensibile, acuta e asciutta di Tóibín a far accadere la magia.
esteticamente perfetto, grazie a una scenografia rinascimentale impressionante per la sua opulenza e con l’energia tipica che potrebbe connotare un concerto pop. L’atmosfera per ogni incontro letterario è quella della festa, il pubblico non vede l’ora di entrare a incontrare l’autore o l’autrice con attenzione, ci sono grande rispetto e ascolto, e anche le domande sono interessanti. Il pubblico del Festival non è casuale, ma è preparato, costituito come è da una comunità attenta e fedele che cresce con il tempo.
Grazie a Mantova siamo ritornati un po’ più fiduciosi nel futuro che ci attende, un futuro che non sarà senza la bellezza della letteratura e della condivisione dal vivo di esperienze e scambi umani, i quali a loro volta sono, e saranno sempre, la sostanza della nostra esistenza.
Il mare per Thomas Mann è stato un compagno di vita costante. Lo ha accompagnato sin dalla sua infanzia, sin da quei racconti esotici di Paraty della madre Júlia – di cui racconta anche Tóibín – sin dalle sue spensierate estati con la famiglia sul mar Baltico a Travemünde.
A raccontarci di questa intima e speciale relazione dello scrittore tedesco con il mare è Volker Weidermann, responsabile delle pagine culturali del settimanale tedesco «Die Zeit», critico letterario autorevole cresciuto sotto l’ala di Marcel Reich-Ranicki, al quale, tra gli altri, dedica il suo libro uscito in tedesco per Kiepenheuer & Witsch dal titolo Mann vom Meer. Thomas Mann und die Liebe seines Lebens (Uomo di mare. Thomas Mann e l’amore della sua vita). In questa biografia letteraria Weidermann ripercorre passioni e amori del grande scrittore tedesco mettendo in luce alcuni punti chiave della vita e dell’opera. Intanto la sua rivalità con il fratello Heinrich, il suo amore, sin dal primo momento, per Katia Pringsheim che sa della sua omosessualità ma sarà al suo fianco per tutta la vita, la sua attrazione per gli uomini, spesso più giovani di lui e poi la sua preferenza per la figlia Elisabeth con la quale sente una profonda e intima connessione. Soprannominata più tardi, in età adulta, «la signora degli oceani», è l’unica figlia con la quale Thomas Mann instaura un rapporto personale. Come scrive anche nei suoi diari, «l’ho amata sin dal primo momento che l’ho vista». Elisabeth diventerà una scienziata e biologa marina e si impegnerà per la salvaguardia degli oceani.
Non solo per il mare, Thomas Mann nutriva un amore incondizionato anche per il paesaggio di casa, la sua Lubecca, e gli piaceva dormire, per lui il sonno era importante e gli riusciva bene soprattutto quando era assillato dalle preoccupazioni, racconta Weidermann che sottolinea nel libro come per Thomas il letto rappresentasse «il luogo della felicità perfetta», una sorta di barca magica che ogni sera lo accoglieva per trasportarlo nel mare del subconscio e dell’infinito: «Il mare!
L’infinito! Il mio amore per il mare, di cui ho preferito l’immensa semplicità all’impegnativa diversità delle montagne, è antico quanto il mio amore per il sonno» dice Thomas Mann che vide il mare per la prima volta a sette anni, nel 1882, nella baia di Lubecca.
La sua esperienza e il suo amore per il mare riecheggiano in molte sue opere e se una che facilmente corre alla mente è Morte a Venezia, Weidermann ci dice che il personaggio dei suoi romanzi che più di altri vive e sente l’esperienza del mare è Hanno Bud-
denbrook, «il principe sventurato», figura fragile che proprio come Thomas ama la musica. Da bambino lo scrittore prendeva lezioni di violino stabilendo per sempre nel suo cuore «una ideale connessione emotiva».
Se estendiamo la metafora del mare all’esistenza dell’autore, il vascello che l’ha salvato dagli abissi è la moglie
Katia Pringsheim
E se Hanno è la figura che più si avvicina al mare, Tonio Kröger è l’opera che più ci svela del suo autore, il personaggio che maggiormente lo rispecchia ed esprime la sua idea di arte e di letteratura. Forte sono in Tonio il sentimento della nostalgia e l’amore per la vita «Ich liebe das Leben» dice a Lisaweta, e poi, ancora «un artista nel suo intimo è sempre un avventuriero. Almeno esteriormente, diavolo, bisogna che vesta bene e si comporti come una persona ammodo …». Travolgente è il suo amore per Hans Hansen che nella sua diversità e nella sua bellezza ammira così tanto. Mentre passeggiano insieme – strabordante di passione – Tonio consiglia al compagno la lettura del Don Carlos di Schiller che lo ha folgorato. Tiepida però è la risposta di Hans che preferisce restare sui libri dei cavalli. E poi c’è il mare, il mar Baltico che per Tonio Kröger è un essere vivo e pensante, libero di esprimersi e, soprattutto, libero da qualsiasi convenzione o imposizione sociale. Il mare alla fine, sarà «il suo selvaggio amico della giovinezza» con il quale alla fine si sente riunito.
E se estendiamo la metafora del mare all’esistenza completa di Thomas Mann, il vascello che l’ha aiutato a non affondare negli abissi personali e della guerra è sicuramente la moglie Katia Pringsheim. Per lei – come si evince anche dalle opere – lo scrittore nutriva profonda stima. Donna intelligente, proveniente da una ricca famiglia di commercianti slesiani, il padre Alfred Pringsheim era un matematico, la nonna Hedwig Schleh una nota scrittrice e femminista, Katia Pringsheim fu la prima donna, nel 1901, a ottenere un diploma di maturità nella città di Monaco. Il suo intuito, il suo saper trattare con le persone, soprattutto di altro rango, il suo senso pratico e il suo talento – negli Stati Uniti imparò a parlare bene l’inglese molto prima del marito – furono proverbiali e decisivi nella vita di Thomas Mann che una volta quando suonarono a casa per riportargli le sue camice stirate disse «dovete tornare in un altro momento, mia moglie non è a casa».
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«La religione è una mia esperienza intima»
Intervista ◆ La regista Carmen Jacquier ci racconta Foudre, il suo film che tra pochi giorni sarà nelle nostre sale
Nicola Mazzi
La Svizzera, per la corsa agli Oscar, sta puntando su Foudre, in arrivo nelle nostre sale il 28 di settembre.
È solo al suo primo lungometraggio ma grazie a una grande forza visiva e a una buona struttura narrativa, Carmen Jacquier, classe 1985 (ritratta nella foto), si dimostra «un grande talento da coltivare e far maturare.
Il film è ambientato durante l’estate del 1900 nella Valle di Binn, nell’alto Vallese. La vicenda raccontata è quella della 17enne Elisabeth (una convincente Lilith Grasmug) in procinto di prendere i voti quando sua sorella, improvvisamente, muore. Un fatto che la sconvolge e che cambia il modo di vivere la fede e vedere la famiglia, i suoi compaesani e la società agreste nella quale vive.
La pellicola è stata proiettata al Film Festival di Locarno con la presenza della regista. Un’occasione che abbiamo colto per incontrarla.
Come è arrivata a pensare a questo film?
All’inizio volevo fare un film sull’amore e l’amicizia tra quattro giovani. Ma poi mi sono imbattuta in alcuni quaderni di mia nonna nei quali raccontava la sua infanzia e la sua vita da ragazza. Pagine molto interessanti che mi hanno spinto a effettuare alcune ricerche e ad approfondire la vita contadina in quel particolare periodo storico.
Come è stata la vita sul set e la collaborazione tra i membri della troupe?
L’atmosfera era davvero ottima, anzi oserei dire che c’era anche una certa euforia. È stato il primo film girato dopo la pandemia e tutti avevamo voglia di collaborare e soprattutto di lavorare all’aria aperta. Un lavoro anche molto fisico, perché abbiamo girato in montagna, in situazioni non sempre facili e lontani dalle comodità. Ho avuto la fortuna di po-
ter preparare il set con gli attori per un’intera settimana e di poter creare un bell’ambiente – attraverso giochi, canti e passeggiate – tra i giovani che non si conoscevano. Tutti aspetti che hanno contribuito a rendere più realistiche le relazioni tra di loro.
La religione è un aspetto centrale del film. Lei come si pone su questo tema?
La religione è una mia esperienza intima e il film è una parte della mia personale ricerca. In particolare, del mio desiderio di capire l’ambiente in cui sono cresciuta visto che ho vissuto in una città protestante come Ginevra, ma provengo da una famiglia cattolica. Attraverso le azioni della protagonista volevo approfondire il sistema sociale vigente in quegli anni
e come le autorità religiose e sociali si ponessero di fronte ad alcune questioni come la libertà delle donne.
Come ha scelto la protagonista?
Ho effettuato diversi casting perché per me era necessario trovare qualcuno somigliante al personaggio della fine del film e quindi libera, con una grande forza interiore e provocante. Ho invece incontrato Lilith –ragazza riflessiva, docile e tranquilla – che, al contrario, somigliava molto alla protagonista dell’inizio del film. Ed è stato interessante perché durante le riprese abbiamo visto un’evoluzione del personaggio parallelo a quello dell’attrice.
La musica e i luoghi sono strettamente connessi. Ci spiega que-
sto legame? Prima di scoprire i luoghi e prima di iniziare il film avevo abbozzato degli schizzi sulle distanze e sui percorsi che dovevano fare i personaggi. In altre parole, avevo disegnato i territori nei quali volevo ambientare la storia. A essi abbiamo poi abbinato alcuni dettagli e alcune sensazioni che volevamo far emergere. E, infine, grazie al grande lavoro del compositore, è stato costruito un tappeto sonoro che si abbinasse a quegli spazi e a quei sentimenti.
Qual è la sua sensazione quando rivede il film oggi e quindi a qualche mese dalla sua realizzazione? Sicuramente ci sono alcuni momenti del film che mi emozionano come
alla prima visione e mi accorgo anche di una certa tenerezza. Ma oggi lo guardo con altri occhi, come se fosse un figlio cresciuto, e lo lascio camminare con le proprie gambe.
A proposito di viaggio, di recente Foudre è stato scelto per rappresentare la Svizzera nella corsa agli Oscar. Come ha preso la notizia? Sono contentissima e fiera del lavoro fatto insieme a tutta l’équipe che ha collaborato davvero con tanta energia. Probabilmente non tutti l’hanno amato o l’ameranno, ma credo che il film – malgrado sia ambientato in un’epoca che risale a più di un secolo fa – ponga delle problematiche e faccia emergere questioni di grande attualità.
Quali sono i registi ai quali si è ispirata?
Sicuramente ci sono dei modelli come Pier Paolo Pasolini e Jane Campion. E, sebbene sia un cinema molto diverso dal mio, mi ha influenzata anche il lavoro che ha fatto Harmony Korine sugli adolescenti.
Sta già pensando al prossimo lavoro?
Sto terminando un film co-realizzato con Jan Gassmann (autore di 99 Moons) che si intitola Les paradis de Diane e che esce nel 2024. Parla di una donna che, dopo aver dato alla luce il suo primo figlio e sofferente di una depressione post partum, si dà alla fuga.
Come in Foudre e nei cortometraggi precedenti anche nel nuovo lavoro Carmen Jacquier continua dunque la sua particolare esplorazione della femminilità. Vedremo se anche l’Academy saprà apprezzare questa indagine. La prima scrematura delle opere in concorso per il miglior film straniero avverrà il 21 dicembre. Mentre la cinquina delle nominations si conoscerà il 23 gennaio.
Il ritorno alle radici con il Musikfestival di Berna
Musica
◆
Francesco Hoch
L’edizione di quest’anno svoltasi dal 6 al 10 settembre, tra musica e scienza, ha indagato il tema della Radice
In oltre trenta manifestazioni, tra concerti, performance, conferenze, istallazioni, corsi, prove aperte al pubblico e guide introduttive, che si sono tenuti in vari luoghi classici per la musica o non usuali , come giardini e altro, in varie parti della città di Berna, gli organizzatori del Musikfestival Bern hanno seguito due linee che, probabilmente in modo inconscio, hanno attinto ad esperienze della storia musicale delle avanguardie del secolo scorso. Da una parte, il tema Radice è stato proposto nel senso della sperimentalità all'interno della musica stessa che era stata affrontata già negli anni Sessanta dal musicologo italiano nella sua famosa Fenomenologia della musica radicale e, dall'altra, ci si è avventurati nella «musica in fuga da sé stessa» come era stata presentata da Ulrich Dibelius nella Rivista di «Reihe» del 1969.
Nel concerto del sempre assolutamente magnifico Quartetto Arditti abbiamo potuto apprezzare la raffinatezza delle ricerche timbriche nei lavori in prima assoluta del composi-
tore e organista Daniel Glaus, e della compositrice Katharina Rosenberger, classe 1971, vincitrice di uno dei Premi Svizzeri per la musica di quest’anno.
Allo stesso Quartetto è stata affidata un’altra visione della radicalità musicale, quella dei compositori bernesi che sono stati all’origine di profonde tracce lasciate nella musi-
ca contemporanea in Svizzera, e sono Jürg Wyttenbach con i presenti in sala, Roland Moser e Heinz Holliger, quest’ultimo conosciuto per le sue frequenti presenze in Ticino anche come oboista e direttore d’orchestra.
Invitata come compositrice in residence è stata Eliane Radigue, francese di nascita, trasferitasi negli Stati Uniti dove ha sperimentato, dapprima come
pioniera della musica elettronica e poi di quella strumentale.
Nella cripta della Chiesa di San Pietro e Paolo, a lume di candela, abbiamo seguito della sua Trilogia della morte, la parte riguardante un accattivante lungo cluster che si modificava lentamente nei suoi colori, influenzata dalla sua vicinanza all’esperienza buddista, trasferita poi anche nel meditativo e statico brano per violino solo nella Sala Yehudi Menuhin.
Le scelte, tutte significative, sono state dedicate, nel concerto d’apertura, a capolavori di compositori quali Guillaume de Machaut, assieme al Canto della terra di Gustav Mahler, trascritto per un ensemble cameristico e interpretato, accanto al tenore Michael Schade, anche dallo straordinario mezzosoprano Christina Daletska (nella foto), visibilmente emozionata alla fine, per le sue origini ucraine che le hanno dato la forza per rivolgersi al pubblico, ricordando che «la sua terra invece non respira più e che senza aiuti è destinata a morire».
Due serate nella cattedrale, il
Münster di Berna, hanno visto, con un quasi tutto esaurito, mirabili esecuzioni dei grandi Vespri della Beata Vergine di Claudio Monteverdi e di Tenebrae di Gesualdo da Venosa, entrambi fondamenti monumentali per la storia della musica sacra occidentale. Interessanti sono risultati tutti i rapporti tra le composizioni musicali commissionate appositamente per l’argomento e gli interventi degli scienziati stessi dei vari settori: Jessica Pehlke-Milde, direttrice dell’Università per il nuovo Settore delle levatrici, con le delicate improvvisazioni della pianista Katharina Weber; la geografa Susan Thieme con la compositrice all’elettronica, Anda Kryeziu; l’astronomo Rudolf von Steiger con Bettina Skrzypczak che ha presentato un bel lavoro ispirato alle nuove leggi e alle stesse poesie del grande matematico Keplero; infine, l’ecologa Gemma Rutten, con le sue spiegazioni sul mondo reticolare sotterraneo ha ispirato Gaudenz Badrutt per una particolare metaforica musica elettronico-concreta di rumori.
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Nella foto una decisa Carmen Jacquier. (San Sebastian)
Annette Boutellier
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Acqua, un musical che parla di noi
Spettacoli ◆ Al debutto tra qualche giorno abbiamo seguito le prove del musical e il suo racconto delle fragilità umane al Teatro Dimitri di Verscio
Sara Rossi Guidicelli; testo e foto
Un musical è una grande macchina. Tutto è partito da una poesia di poche parole e ora ci sono più di venti persone in scena che cantano, danzano, recitano; ci sono una costumista e due compositori, una scenografa, tre tecnici luci, due drammaturghi, una regista, un’assistente legale, tutto uno staff per la comunicazione e persino una psicologa artistica.
Radwan è un ragazzo somalo. Sette anni fa è arrivato in Svizzera e da quel giorno, da quella nuova nascita, è nato un poeta. Il viaggio che ha percorso, lo sappiamo, è indicibile. Non sarà raccontato. Ma Radwan, dal giorno in cui è arrivato ha iniziato a scrivere poesie, in italiano. Con la manciata di parole che aveva, e se hai pochi ingredienti devi darti da fare ancora di più: arrivare al nocciolo, scavare per dire quello che vuoi dire.
Sono mesi che provano, non tutti sono professionisti: Melanie
Haener e il co-regista
Ruben Moroni, raccontano, amano molto lavorare anche con persone in formazione
Ora il suo vocabolario è molto più ricco, e Radwan non ha smesso di raccontare il suo sogno, in un quaderno, in forma di poesia. È durante un laboratorio teatrale, in collaborazione con i ragazzi di E-Voliamo progetto di SOS Ticino, che è nata l’incredibile storia Radwan non ha paura. «Da quella storia», spiega Melanie Haener, regista e autrice dei testi, «abbiamo creato il Musical Acqua. Uno spettacolo che dà voce agli incompresi che provengono da lontano, a coloro che non vogliamo comprendere finché non avranno imparato la nostra lingua, i nostri costumi e soprattutto le nostre regole. Uno spettacolo di mattoni leggeri ma ben incollati, che si vuole ponte. Il ponte traballa, ma noi ci camminiamo sopra e ogni anima che lo attraversa lo rende più solido. Ogni presenza in più nel pubblico renderà il ponte più resistente e sicuro».
Durante le prove Melanie chiede di camminare, respirare, come un gruppo, senza toccarsi, incontran-
dosi. «Sguardo chiaro, più vita, state raccontando una camminata difficile. Siate musica». Melanie li prende uno a uno, gli fa chiudere gli occhi, li abbraccia camminando accompagnandoli, guidando il passo e facendoli rallentare, cercando l’intensità. Poi scaldano la voce e si parte, si fa una filata, per ricordarsi le canzoni, le posizioni, le coreografie. Melanie ha studiato corpo, movimento, voce. Nel musical tutto si mescola, si somma e si fonde.
Sono mesi che provano, non tutti sono professionisti: Melanie Haener e il co-regista Ruben Moroni, raccontano, amano molto lavorare anche con persone in formazione. «Non sono plasmati da una scuola, non assomigliano a nessun altro, sono solo sé stessi. E se vengono è perché hanno voglia di mettersi in gioco, di portare un’umanità che gli appartiene. Diventano parte della creazione, perché il mio modo di lavorare è molto libero: il copione è uno spunto da cui partire, sono storie mie di cui loro devono appropriarsi, farle loro, masticarle, e risputarle come meglio gli viene in quel momento. Tutto può cambiare da un momento all’altro, sempre».
Si comincia, fanno una filata, come si dice in gergo.
Buio. Un coro a bocca chiusa, come nella Madame Butterfly di Puccini.
Luce. Un parco. Una vagabonda trova un quaderno, abbandonato su una panchina. È il diario di Radwan, il principio della storia. Quel quaderno cambierà la vita di molte persone, persone come noi, che corrono al lavoro, sotterrano i sogni, vacillano di paura, si chiudono nella durezza, stanno sull’orlo di una decisione. Persone che quel giorno, per un motivo o per un altro, attraversano il parco, specchio della nostra società.
«Sono uno di voi/che sta correndo per inseguire il suo sogno/sono uno di voi/che sta combattendo per sé stesso/sono uno di voi/che ha lasciato tante cose indietro/come voi./Sono uno di voi/che sta scappando dalle sue debolezze/come voi».
Tra i personaggi, una ragazza che aspetta il suo amore marinaio da un anno, come Madame Butterfly, e la pescivendola che non aspetta più niente, c’è anche una vecchietta. È un personaggio che Radwan ama più di ogni altro. «Perché nella mia cultu-
ra, gli anziani sono quelli da cui parte tutto». «Ogni giorno la vecchietta viene qui, si siede su quella panchina, e guarda il mare. Avrà dei rimpianti lei? O magari ha dei ricordi di un passato meraviglioso. La verità è che non si sa mai niente delle persone che arrivano qua, però se guardiamo attentamente qualcosa possiamo intuire».
La vecchietta fa una carezza alla vagabonda. Una carezza che da sola vale tutto lo spettacolo, che anche se è in una fase ancora di preparazione, sembra già molto bello, intenso, intelligente, lontano dalle smancerie in cui sarebbe facile finire trattando temi del genere. La colonna sonora è particolarmente curata e interessante: nasce dal connubio musicale di Max Pizio, compositore, arrangiatore e polistrumentista, e Melanie, cantautrice e regista del Musical Acqua. Pizio ha compiuto una ricerca etnomusicologica attraverso viaggi e collaborazioni, portando nelle sue composizioni sonorità del nord Africa ma anche della Somalia, dell’Etiopia e del Camerun, del Giappone, di Haiti e di differenti Paesi dell’Europa dell’Est. Il compositore rievoca il percorso storico dell’Oud, strumento principe nella vita sonora del Medio Oriente, e non manca di viaggiare ancora, con fusioni tra klezmer e ambientazioni tzigane.
Sorprendente, ma solo fino a un certo punto, perché si sente subito che questo racconto porta a galla un universo globale, con tutte le sue ricchezze e diversità, dalla percussione africana agli archi tipici della cultura europea, passando dallo swing del marinaio e da note sognanti, quasi fuoriuscite da quell’armadio dove viveva e creava Eric Satie.
«Una relazione è come l’acqua, se provi a catturarla, tutto l’amore scivola via. Ho capito che il coraggio lo avrei trovato cammin facendo. Ho trovato questo coraggio nel preciso istante in cui mi sono trovato nel pericolo. Forse, forse dovrei partire anch’io».
Dove e quando
Il Musical Acqua debutterà il 30 settembre al Teatro Dimitri di Verscio, con replica il 1. ottobre. Sarà riproposto il 25 novembre al CinemaTeatro Blenio di Acquarossa. www.teatrodimitri.ch
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spadellare Carne e salumi 4 Migros Ticino 14.75 invece di 24.80 Nuggets di pollo Don Pollo prodotto surgelato, in conf. speciale, 1,5 kg 40% Ali di pollo Optigal al naturale e speziate, Svizzera, per es. al naturale, al kg, 9.– invece di 12.–, in self-service 25% 3.05 invece di 3.60 Mini filetti di pollo Optigal Svizzera, in conf. speciale, per 100 g 15% IDEALE CON Tutti i tipi di sugo Agnesi per es. pesto alla genovese, 185 g, 2.75 invece di 3.90 a partire da 2 pezzi 30% 4.95 Purea di patate Mifloc M-Classic 4 x 95 g 3.95 Spezzatino di pollo Migros Bio Svizzera, per 100 g, in self-service 20x CUMULUS Novità
per
e teneri tagli da
5 Offerte valide dal 26.9 al 2.10.2023, fino a esaurimento dello stock. Migros Ticino A grana fine e dal gusto pieno Da agricoltura in armonia con la natura 7.95 invece di 11.40 Carne secca dei Grigioni, IP-SUISSE, IGP in conf. speciale, 115 g 30% Salametti o salame classico Rapelli affettato Svizzera, in conf. multipla o speciale, per es. salametti, 2 x 2 pezzi, 280 g, 6.70 invece di 9.60 conf. da 2 30% 7.90 invece di 9.90 Prosciutto contadino Tradition Svizzera, 2 x 150 g conf. da 2 20% 2.95 invece di 4.60 Salsiccia di Lione Don Pollo Svizzera, 2 x 150 g conf. da 2 35% 4.75 invece di 5.95 Prosciutto affumicato Migros Bio Svizzera, 120 g, in self-service 20% 9.35 invece di 18.75 Hamburger M-Classic prodotto surgelato, in conf. speciale, 12 pezzi, 1,08 kg 50% 3.10 invece di 3.90 Ossibuchi di vitello IP-SUISSE per 100 g, in self-service 20% 7.50 invece di 11.–Luganighetta Svizzera, 2 x 250 g conf. da 2 31% 5.25 invece di 6.60 Hamburger di manzo classici Svizzera, 2 x 120 g conf. da 2 20% 1.90 invece di 2.25 Cordon-bleu di pollo Don Pollo prodotti in Svizzera con carne di pollo dal Brasile, per 100 g, in self-service 15% 8.80 invece di 13.90 Prosciutto crudo di Parma Italia, 2 x 100 g conf. da 2 36%
Formaggi e latticini
La stagione della raclette è aperta
20%
Raccard al naturale, a fette e in blocco maxi, IP-SUISSE in conf. speciali, per es. in blocco, per 100 g, 1.80 invece di 2.25, prodotto confezionato
20%
2.35 invece di 2.95
20x CUMULUS Novità
8.65 Raclette al pepe M-Classic a fette 400 g, prodotto confezionato, in vendita nelle maggiori filiali
20x CUMULUS Novità
14.95
Fondue Le Gruyère Gerber, AOP 800 g, in vendita nelle maggiori filiali
Canaria Caseificio per 100 g, confezionato
Gusto aromaticodelicato, e abboccato
20x CUMULUS
Novità
2.25 Appenzellerin Elegant circa 250 g, per 100 g, prodotto confezionato, in vendita nelle maggiori filiali
conf. da 2 20%
4.30 invece di 5.40
Migros Ticino
15%
Emmentaler e Le Gruyère grattugiati, AOP 2 x 120 g
1.70 invece di 2.–
15%
Asiago pressato, DOP per 100 g, confezionato
1.90 invece di 2.25
Formaggella Ticinese 1/2 grassa per 100 g, confezionata
6
LO SAPEVI?
Fatta con delizioso latte di cocco, questa speciale bontà naturalmente cremosa è un'alternativa vegetale allo yogurt greco. Ricetta delicata, utilizzabile per preparazioni dolci e salate (per es. il tsatsiki). Grazie all'aggiunta di calcio, il prodotto è anche un'ottima fonte di questo minerale.
7 Offerte valide dal 26.9 al 2.10.2023, fino a esaurimento dello stock. Migros Ticino Senza zuccheri aggiunti e naturalmente senza lattosio 2.20 Drink all'avena bio Alnatura, vaniglia prodotto vegano, 1 litro, in vendita nelle maggiori filiali 20x CUMULUS Novità 3.–invece di 3.80 Yogurt Elsa, IP-SUISSE disponibili in diverse varietà, per es. stracciatella, 4 x 180 g conf. da 4 21% 4.30 invece di 5.40 Mezza panna UHT Valflora, IP-SUISSE 2 x 500 ml conf. da 2 20% 15.10 invece di 15.80 Il Burro panetto, 4 x 250 g conf. da 4 –.70 di riduzione 6.–invece di 7.50 Caffè Starbucks Cappuccino, Caramel Macchiato o Caffè Latte, 3 x 220 ml conf. da 3 20%
Gourmand & Végétal Greek Style Nature Andros 400 g 20x CUMULUS
Philadelphia Original, Balance o alle erbe aromatiche, p. es. Original, 2 x 200 g, 4.40 invece di 5.50 conf. da 2 20%
3.50
Novità
Pane
Bocconcini convenienti e prelibati
Il nostro pane della settimana: sono le noci a dare a questo pane semibianco leggermente dolce con segale e fiocchi di patate il suo inconfondibile carattere.
2.90 Pane di patate chiaro con noci, IP-SUISSE 350 g, prodotto confezionato
4.40
con ripieno ai lamponi
6.75
20x CUMULUS
Novità
1.35 Panino yogurt e cranberry 80 g, in vendita sfuso
20x
Novità
3.50 Panini arabi precotti 250 g, in vendita nelle maggiori filiali
e
8
prodotti da forno
invece di 9.–Biberli d'Appenzello 6 x 75 g conf. da 6
25%
invece di 6.30
in conf.
6 pezzi, 420 g 30%
Berliner
speciale,
CUMULUS
Tentazioni in arrivo
Ricette svizzere con i migliori ingredienti naturali
20%
Tutto l'assortimento Frey (confezioni multiple escluse), per es. tavolette di cioccolato al latte finissimo, 100 g, 1.60 invece di 2.–
22%
Flûtes al sale o mini al formaggio, per es. al sale, 2 x 130 g, 4.95 invece di 6.40
conf. da 3 20%
10.–invece di 12.60
Biscotti Ovomaltine Crunchy o Petit Beurre, per es. Crunchy, 3 x 250 g
28%
Tortine di spinaci o strudel al prosciutto M-Classic prodotti surgelati, in conf. speciali, per es. tortine di spinaci, 2 x 280 g, 5.30 invece di 7.40
conf. da 3 33%
6.80 invece di 10.20
Choc Midor Carré o Rocher, 3 x 100 g
–.50 di riduzione
Tutti i biscotti in rotolo M-Classic e Migros Bio per es. biscotti Rädli M-Classic, 210 g, 1.45 invece di 1.95
20%
Tutto l’assortimento Pancho Villa per es. Tortillas flour, 8 pezzi, 326 g, 3.60 invece di 4.55
Snack e aperitivi
Dolci e cioccolato 9 Offerte valide dal 26.9 al 2.10.2023, fino a esaurimento dello stock.
conf. da 2
Grande scelta, piccoli prezzi
conf. da 3
20%
Pasta refrigerata Migros Bio spätzli all'uovo o fiori ricotta e spinaci, per es. spätzli all'uovo, 3 x 500 g, 8.85 invece di 11.10
conf. da 2 28%
Pizze dal forno a legna Anna's Best prosciutto & mascarpone o mini prosciutto, in confezioni multiple, per es. prosciutto & mascarpone, 2 x 420 g, 9.95 invece di 13.90
20%
Tutti i ketchup, le maionesi e le salse BBQ Heinz nonché le salse per grigliate Bull's Eye per es. salsa cocktail Heinz, 220 ml, 2.50 invece di 3.15
Facile da preparare in padella o al forno
da 2
20%
Falafel o Vegetable Burger V-Love per es. Falafel, 2 x 180 g, 7.80 invece di 9.80
conf. da 6 25%
Ravioli M-Classic
alla napoletana o alla bolognese, in confezioni multiple, per es. alla napoletana, 6 x 870 g, 15.75 invece di 21.–
20%
Tutti gli antipasti Polli, Conserve della Nonna, Da Emilio e Dittmann per es. pomodori secchi alla siciliana Polli, 285 g, 3.30 invece di 4.10
Con ingredienti svizzeri certificati Gemma Bio
a partire da 2 pezzi 29%
Capsule di caffè M-Classic compatibili con il sistema Nespresso®, per es. il Lungo, 30 pezzi, 5.35 invece di 7.50
20x CUMULUS Novità
5.95
Lasagne alla bolognese Migros Bio 350 g, in vendita nelle maggiori filiali
a partire da 2 pezzi
20%
Tutte le minestre Bon Chef per es. zuppa di vermicelli con pollo, in busta da 65 g, 1.30 invece di 1.60
20x CUMULUS Novità
3.90
Malloreddus Da Emilio 500 g
Scorta 10
conf.
partire
a
da 2 pezzi
Dissetanti e rinfrescanti Bevande 11 Offerte valide dal 26.9 al 2.10.2023, fino a esaurimento dello stock. Bontà secondo le più rigorose direttive sugli alimenti naturali 2.80 Passata Demeter 360 g 20x CUMULUS Novità 4.90 Datterino Rosso Da Emilio 350 g 20x CUMULUS Novità Orangina e Oasis disponibili in diverse varietà, per es. Orangina Original, 6 x 1,5 l, 7.95 invece di 13.50 conf. da 6 40% 3.25 invece di 6.50 Vittel 6 x 1,5 l conf. da 6 50% 4.90 Datterino Giallo Da Emilio 350 g 20x CUMULUS Novità 9.30 invece di 12.40 Rivella rossa, blu o refresh, 6 + 2 gratis, 8 x 500 ml conf. da 8 25% 3.10 Pomodori tritati Demeter 400 g 20x CUMULUS Novità 15.60 invece di 23.40 Feldschlösschen bevande analcoliche, 18 x 330 ml conf. da 18 33% 8.75 invece di 12.50 Succo di mela M-Classic 10 x 1 l conf. da 10 30% 8.95 invece di 12.–Coca-Cola Classic o Zero, 12 x 330 ml conf. da 12 25%
Per sentirsi perfettamente a proprio agio
conf.
Prodotti per la doccia pH Balance per es. gel doccia, 2 x 250 ml, 5.60 invece di 7.–
Bellezza e cura del corpo 12
3.80 Dentifricio Candida Pineapple
Limited Edition,
ml 20x CUMULUS Novità
Con un dolce gusto d'ananas e menta fresca
Mint
75
Prodotti per la doccia I am in conf. multiple, per es. Milk & Honey, 3 x 250 ml, 3.90 invece di 5.85 33%
conf. da 3
40%
Fazzoletti Tempo, FSC® Classic o Soft & Sensitive, in confezioni speciali, per es. Classic, 56 x 10 pezzi, 10.05 invece di 16.80
Igiene orale Candida in conf. multiple, per es. collutorio Parodin, 2 x 400 ml, 6.75 invece di 9.–
conf. da 2
25%
40%
Fazzoletti o salviettine cosmetiche Kleenex in conf. multiple o speciali, per es. balsam, 48 x 9 pezzi, 8.50 invece di 14.20
CONSIGLIO SUI PRODOTTI
20%
I prodotti pH balance sono stati appositamente sviluppati per le pelli sensibili e aiutano a prevenire le irritazioni cutanee. La linea blu è pensata per le persone con pelle secca, quella rossa per chi ha invece la pelle molto secca. Nella formulazione si è completamente rinunciato a coloranti e parabeni.
da 2
9.95 Spazzolini soft Candida Multicare
5.95 Salviettine con olio trattante Ultra Soft & Care Milette, FSC® 2 x 72 pezzi
Assorbenti o salvaslip Molfina in conf. multiple, per es. salvaslip Light Long, FSC®, 2 x 50 pezzi, 4.75 invece di 5.60
20x CUMULUS Novità
Bitterliebe gocce, complesso base o capsule, per es. gocce, 50 ml, 19.95
20x
Novità
19.80 Toffee Multivit Junior Axamine arancia-olivello spinoso, 48 pezzi
20x
8.90
Bomba da bagno Rainbow Craze disponibile con design a unicorno o a nuvola, il pezzo
piccini Bebè e bambini 13 Offerte valide dal 26.9 al 2.10.2023, fino a esaurimento dello stock.
vitamine
minerali Senza microplastiche
Una cosa fantastica per i più
Con 13
e 3 sali
CUMULUS
CUMULUS Novità
conf.
da 2 15%
conf.
2 Hit
per es. Soft & Care Sensitive,
72 pezzi, 9.95 invece di 13.–conf. da 4
da
Salviettine umide per bebè Milette, FSC®
4 x
23%
conf. da 6 Hit
Eccellenza per uomini, animali e bucato
30%
Assortimento di stoviglie Kitchen & Co. per es. tazza verde, 485 ml, al pezzo, 3.50 invece di 4.95
Cucina & Tavola diventa Kitchen & Co.
50%
Tutti gli ammorbidenti e i profumi per il bucato Exelia (confezioni multiple e speciali escluse), per es. profumo per il bucato Purple Dream, 210 g, 3.95 invece di 7.90
20%
Tutto l'assortimento di borse e valigie nonché di accessori da viaggio (prodotti Hit esclusi), per es. trolley Voyager rosa, tg. S, al pezzo, 55.95 invece di 69.95
20%
Tutti i detersivi per capi delicati Yvette (confezioni multiple e speciali escluse), per es. Wool & Silk in sacchetto di ricarica, 2 litri, 9.60 invece di 11.95
30%
Tutto l'assortimento di alimenti per gatti Vital Balance per es. Sensitive al tacchino, 450 g, 2.90 invece di 4.55
20%
17.95 invece di 22.95
Rose romantiche, Fairtrade disponibili in diversi colori, mazzo da 10, lunghezza dello stelo 60 cm, per es. bianche-gialle-rosa, il mazzo
Varie 14
a partire da 2 pezzi
a partire da 2 pezzi
a partire da 2 pezzi
15 Offerte valide dal 26.9 al 2.10.2023, fino a esaurimento dello stock.
qualità affidabilitàe 1.50 invece di 2.20 Bistecche di collo di maiale marinate, IP-SUISSE in conf. speciale, 4 pezzi, per 100 g, offerta valida dal 28.9 all'1.10.2023 31% 4.85 invece di 8.10 Chips Zweifel alla paprica o al naturale, in conf. XXL Big Pack, 380 g, offerta valida dal 28.9 all'1.10.2023 40% 7.95 invece di 9.95 Phalaenopsis, 2 steli disponibile in diversi colori, in vaso, Ø 12 cm, per es. fucsia, il vaso 20% Carta igienica o salviettine igieniche umide Hakle in conf. multiple o speciali, per es. pulizia trattante, FSC, 24 rotoli, 17.– invece di 28.65 40% 24.95 invece di 29.95 Cartucce d'inchiostro in confezione multipla HP 305 compatibile con stampanti HP selezionate, al pezzo 16% Tutte le barrette ai cereali Farmer (barrette singole Farmer Nuts escluse), per es. crunchy al miele, 240 g, 2.30 invece di 3.80, offerta valida dal 28.9 all'1.10.2023 a partire da 3 pezzi 40% Prezzi imbattibili del weekend Solo da questo giovedì a domenica
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Offerta valida dal 19.9 al 2.10.2023, fino a esaurimento dello stock.
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