Cooperativa Migros Ticino
Società e Territorio Nell’era dei touch screen c’è chi riscopre l’arte della calligrafia: incontro con Gabriela Hess
Ambiente e Benessere L’ipnosi? Quella da circo non ha nulla a che vedere con quella medica, ce ne parla la dottoressa Nicole Ferrera Espinosa
G.A.A. 6592 Sant’Antonino
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXI 16 aprile 2018
Azione 16 Politica e Economia Dopo gli ultimi fatti in Siria si fa sempre più concreto lo scontro fra le grandi potenze
Cultura e Spettacoli Alla Pinacoteca Züst di Rancate, una mostra dedicata all’artista momò Valeria Pasta Morelli
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di Simona Dalla Valle pagina 16
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Nel cuore indio dell’America
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Social non fa rima con privacy di Peter Schiesser È sincero, Mark Zuckerberg, quando davanti alle commissioni del Congresso si cosparge il capo di cenere, riconosce gli errori in prima persona, promette di ripararli ed evitarli in futuro, si dichiara favorevole ad una maggiore regolamentazione dell’uso dei dati personali degli utenti di internet, quando dichiara di essersi comportato da ingenuo di fronte alle manipolazioni di società come Cambridge Analytica e di «agitatori» russi durante la campagna per le presidenziali negli Stati Uniti? È davvero quell’idealista che vede in Facebook uno straordinario strumento per collegare persone, aziende, associazioni, creando grandi comunità (e Zuckerberg cita le mobilitazioni di massa e le raccolte di fondi sul suo social)? Se è un bluff, ce ne accorgeremo presto: ad un altro scandalo come questo, Facebook potrebbe non sopravvivere. Alla vigilia delle audizioni circolava l’ipotesi che Facebook potesse essere smembrata, invece Zuckerberg è per ora riuscito ad ammansire le decine di parlamentari che lo hanno tartassato, giocando sull’idealismo e sulla vaghezza («il mio team vi fornirà volentieri i dettagli, se me lo chie-
dete» è stato uno dei suoi mantra - vedi anche Rampini a pag. 25). Tuttavia, rende un po’ sospetti che Zuckerberg tenda a dimenticare il fatto che Facebook è – anche? soprattutto? – una macchina per far soldi. Con i suoi oltre due miliardi di utenti, guadagna 35 centesimi per ogni dollaro incassato, 16 miliardi di dollari nel 2017. Con una ricetta molto semplice, ormai condivisa da tutti social: io ti regalo quello che ti serve, poi ti «vendo» a chi interessano i tuoi dati. Da tempo gli esperti mettono in guardia – se il prodotto è gratuito, il vero prodotto siamo noi – ma l’infatuazione con le illimitate possibilità di internet e della tecnologia (applicata alla matematica: pensiamo all’importanza degli algoritmi), ci ha accecati. In fondo, a parte gli inserzionisti pubblicitari, a chi potevano interessare i nostri banali dati personali? Poi sono arrivate le ondate di informazioni false ad opera della Russia, strutturate per influenzare le elezioni di diversi paesi occidentali, e quindi l’utilizzo improprio dei dati di 87 milioni di utenti di Facebook, in gran parte statunitensi, da parte di Cambridge Analytica (società finanziata dai Mercer, famiglia miliardaria ultraconservatrice e sostenitrice di Steve Bannon e Donald Trump) per fare arrivare i messaggi «giusti» agli elettori giusti e ro-
vesciare, come in effetti avvenuto, l’esito del voto popolare grazie alla conquista di un maggiore numero di delegati. Si può essere idealisti e ingenui quanto si vuole, ma a questo punto non basta più. I critici di Facebook affermano che l’azienda di Zuckerberg non è in grado di autoregolarsi, perché è fondamentalmente una macchina programmata per raccogliere costantemente i dati di ognuno e poi rivenderli. Immaginare che voglia e riesca a mantenere segreti i dati che comunque raccoglierà è un’ingenua illusione. Ma quel che vale per Facebook vale per tutti i social media, per Google e tante altre società che applicano il principio del servizio gratuito in cambio dei dati personali. Come garantire allora maggiormente la privacy, se esiste ancora? Si potrebbe rovesciare l’assioma: restituire la sovranità assoluta sui dati agli utenti e far pagare un importo minimo per l’utilizzo dei social e di altri servizi sul web. Lo suggerisce per esempio il reporter del «Magazin» Hannes Grassegger (autore già nel 2016 di un lungo articolo su Cambridge Analytica). Ma questo vorrebbe dire decretare la morte economica di imprese come Facebook, Twitter, Instagram…: come raggiungo la persona giusta con l’inserzione giusta senza sapere chi sei?
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 16 aprile 2018 • N. 16
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Attualità Migros
Sana collaborazione: università, accademia e fitness Incontri Giorgio Piffaretti, responsabile
del Servizio sport di USI e SUPSI, ci illustra i dettagli della partnership con le palestre Activ Fitness di Migros Ticino Giorgio Piffaretti ci accoglie nel suo ufficio dell’USI, e anche durante l’intervista alcuni studenti bussano alla porta per avere informazioni sul servizio sport: un indice d’interesse confermato anche dal numero di iscrizioni alle palestre Activ Fitness che nei primi tre mesi del 2018 ne ha registrate 163 tra annuali e trimestrali. Signor Piffaretti, da quanto tempo esiste l’accordo di collaborazione tra USI/ SUPSI e Activ Fitness?
Esattamente un anno fa in concomitanza con il semestre primaverile 2017 abbiamo stipulato questo accordo di collaborazione per poter portare il maggior numero di studenti a praticare il movimento quindi anche l’attività fisica in palestra, a condizioni finanziarie estremamente favorevoli.
M Una bella giornata, senza motori SlowUp Ticino Mancano pochi giorni all’appuntamento
con la mobilità sostenibile che anima il Piano di Magadino da Bellinzona a Locarno
La scadenza dell’ottava edizione di slowUp Ticino si avvicina. Quest’anno le giornate senz’auto «slowUp» saranno 18 in tutta la Svizzera e lo slowUp Ticino, in programma domenica 22 aprile, sarà il primo della stagione. Il percorso di 50 km tra Bellinzona e Locarno verrà chiuso interamente al traffico motorizzato per dare spazio ad una grande festa del movimento. I partecipanti potranno spostarsi tranquillamente lungo il tracciato in bicicletta, a piedi, coi pattini o qualsiasi altro mezzo rigorosamente senza motore. L’evento è gratuito e accessibile a tutti: lo scorso anno i partecipanti a slowUp sono stati ben 35’000. Lungo il tracciato di 50 km tra Bellinzona e Locarno interamente chiuso al traffico, sono previsti ben 14 punti di animazione (Bellinzona Governo, Bellinzona Stand di tiro, Giubiasco, Camorino, Gudo Campo Sportivo, Gudo Ponte di Gudo, S. Antonino Azienda Ponzio, S.Antonino Centro commerciale Migros, Gerra Piano, Piano di Magadino, Tenero Campo sportivo, Gordola Centro professionale SSIC, Muralto – Minusio, Locarno) 12 dei quali con spazi di ristorazione. L’evento, gratuito ed accessibile a tutti, intende promuovere la mobilità lenta, la salute e il territorio ed è patrocinato da Svizzera Mobile, Promozione Salute Svizzera e Svizzera Turismo e sostenuto dagli sponsor nazionali principali
Migros, SportXX e Rivella. Determinante è pure il ruolo delle associazioni sportive e ricreative della regione, così come degli organizzatori di soste agricole, che proporranno diversi punti di animazione e ristorazione lungo il tracciato. Si ricorda che il percorso slowUp per ragioni di sicurezza è completamente chiuso al traffico motorizzato per l’intera durata della manifestazione ed è proibito l’accesso di qualsiasi veicolo, esclusi i servizi di pronto soccorso (ambulanze, pompieri, ecc.). Sono previsti alcuni punti di attraversamento – ma non di transito – gestiti da polizia o personale di sicurezza privato. Si invitano gli utenti ad attenersi alle indicazioni del personale di sicurezza. Anche quest’anno Migros garantisce intrattenimento e svago mentre tutta la regione si mette in moto senza motori con slowUp: nella zona Famigros ci sono sedie a sdraio per gli adulti che vogliono rilassarsi, uno scivolo gigante e un gioco con il cestino della spesa per i più piccoli. Infine, per tutti ci sono le amate girandole da bicicletta. Chi lo desidera può mettersi in posa in una borsa gigantesca della Migros per una foto ricordo e spedirla eventualmente come cartolina a quanti sono rimasti a casa. I membri del club Famigros oltretutto possono usufruire di facilitazioni per il noleggio delle bi-
ciclette nel villaggio in Piazza Grande a Locarno. Anche la zona Generazione M invita a fare una sosta. Al gioco dei pesci e del Percento culturale si scoprono informazioni interessanti sulle promesse della Migros alla generazione di domani. Oltre alle preziose informazioni e ai posti in sedia a sdraio per fare il pieno di forze ci sono anche fantastici premi immediati. Da non perdere: il concorso Generazione M con in palio una gita in mongolfiera per 4 persone come premio principale. Infine, non mancate di assistere alla coinvolgente esibizione di Kevin Delcò e degli allievi della sua scuola di Parkour. Se lungo il percorso il mezzo usato dovesse richiedere una riparazione non c’è problema: i professionisti delle officine SportXX provvedono a rimettere in pista biciclette, rimorchi e pattini in linea. In più c’è anche una stazione con pompa ad aria per gonfiare le gomme. E non è tutto: nelle officine SportXX si trovano palloncini per giocare e la ruota della fortuna per vincere fantastici premi immediati. Per chi vuole essere attrezzato bene da subito: da SportXX si trovano biciclette, pattini in linea e tutto l’attrezzamento adatto.
Azione
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Editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino Telefono 091 850 81 11
Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni
La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni
Informazioni
www.slowUp.ch/ticino
Stampa Centro Stampa Ticino SA Via Industria 6933 Muzzano Telefono 091 960 31 31
Sono molte le proposte sportive del vostro servizio: ma perché si è scelto di collaborare con i quattro centri Activ Fitness di Migros Ticino?
Prima di tutto perché né il campus di Lugano né quello di Mendrisio con l’Accademia dispongono di una palestra fitness. Eravamo già da anni alla ricerca di un partner per offrire questo tipo di servizio e indubbiamente Activ Fitness è estremamente vantaggioso per noi perché presente in tutte le località dove ci sono le scuole universitarie, sia USI sia SUPSI, a Lugano e Mendrisio, ma anche Bellinzona e Losone per il locarnese. Tra le vostre proposte qual è al momento il vostro fiore all’occhiello?
Indubbiamente in questo momento è Activ Fitness con i suoi centri, con le proposte finanziare e con la possibilità di scegliere anche un abbonamento a tre mesi. Non bisogna dimenticare, infatti, che oltre gli studenti di Master e Bachelor abbiamo molti studenti Erasmus (Exchange e Swiss Mobility, ndr) che sono in campus solamente per due, tre o quattro mesi, e la possibilità di fare un abbonamento limitato a tre mesi è per loro sicuramente una proposta attrattiva. Il fitness è una delle attività principali, ma non bisogna dimenticare che organizziamo anche i campi sportivi con l’obiettivo di praticare sport, ma anche di far incontrare gli studenti provenienti dalle differenti Scuole Universitarie della Svizzera italiana. Qual è la «missione» del servizio?
Si chiama «Servizio Sport», ma potremmo dire che al 50% si promuove lo sport,
poi c’è la promozione della salute e del movimento, e infine, molto importante, la possibilità d’incontrarsi. Una chicca: grazie al nostro servizio sportivo si sono create ben tre coppie convolate a nozze. In che cosa consiste il servizio?
Offriamo quattro prodotti. Il primo sono i corsi di formazione: il nostro compito è di avvicinare a una nuova disciplina chi è interessato e non l’ha mai conosciuta. Per esempio, tanti ragazzi che arrivano dall’estero non hanno mai avuto la possibilità di svolgere delle attività sulla neve, come sci alpino e snowboard che sono le principali discipline svizzere, alcuni in 20-25 anni della loro vita non l’hanno mai vista. Durante il semestre invernale offriamo dei corsi per principianti assoluti, ciò significa insegnare a persone adulte che bisogna letteralmente accompagnare in una nuova dimensione. Il secondo prodotto è offrire, durante la settimana, nelle regioni di Lugano e Mendrisio, attività sportive molto economiche, come giochi di squadra o attività legate al fitness. Con 50 franchi all’anno, tutte le sere, sono proposte tre o addirittura quattro discipline differenti. Poi ci sono le collaborazioni: abbiamo cercato dei partner laddove noi a livello logistico non siamo in grado di offrire alcune discipline e con questi abbiamo stipulato dei contratti affinché studenti, collaboratori o anche professori possano praticare le attività in strutture sportive esterne. Infine, proponiamo dei campi polisportivi oppure specifici, come per esempio sci e snowboard, o quelli estivi di sci nautico con basi in Grecia e Spagna, in cui si pratica sport durante più giorni e si socializza in un ambiente diverso da quello dell’Università. Quali sono le aspettative per il 2018?
Senza dubbio, di mantenere l’interesse per il fitness anche attraverso la collaborazione con Migros Ticino e cercare di offrire anche all’Accademia di Mendrisio, con il nuovo centro Activ Fitness, la possibilità di usufruire, a buone condizioni, di questa opportunità. Inoltre dovremo essere pronti, nel 2019, ad accogliere studenti e professori del nuovo campus SUPSI di Mendrisio interessati alle nostre proposte. I video integrali dell’incontro sono disponibili sul sito di «Azione», con l’intervento di un apprendista impegnato sia al servizio sport di USI/SUPSI sia nella palestra Activ Fitness di Lugano.
Revoca delle elezioni Cari soci, in riferimento all’avviso apparso nel n. 10 di Azione del 5 marzo 2018 concernente l’elezione dell’Ufficio di revisione per un nuovo mandato biennale (2018-2019), vi informiamo che non sono state presentate proposte elettorali entro i termini previsti. Conformemente all’articolo 38 dello Statuto, l’elezione ha dunque avuto
Tiratura 101’766 copie Inserzioni: Migros Ticino Reparto pubblicità CH-6592 S. Antonino Tel 091 850 82 91 fax 091 850 84 00 pubblicita@migrosticino.ch
luogo tacitamente e lo scrutinio annunciato è stato revocato. L’esito della procedura elettorale sarà pubblicato nel numero 25 di Azione del 18 giugno 2018. Sant’Antonino, 16 aprile 2018 Cooperativa Migros Ticino Il Consiglio di amministrazione
Abbonamenti e cambio indirizzi Telefono 091 850 82 31 dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@migrosticino.ch Costi di abbonamento annuo Svizzera: Fr. 48.– Estero: a partire da Fr. 70.–
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 16 aprile 2018 • N. 16
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Società e Territorio Appuntamento con il lavoro La formula dello Speed Date, cioè dell’incontro veloce a rotazione in ambiente informale, dalla sfera sentimentale è approdato a quella professionale
La parità non c’è L’Ufficio cantonale di statistica ha pubblicato un opuscolo sulle cifre delle pari opportunità in Ticino: nella maggior parte degli ambiti le donne continuano a essere discriminate
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Il calcio oltre i Mondiali Lo sport diverte e favorisce la condivisione e l’integrazione: alcuni esempi in Ticino di iniziative legate al calcio pagina 8
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La bellezza è nel dettaglio Incontri Gabriela Hess insegna calligrafia
e nell’era dei touch screen non le mancano allievi interessati alla sua ricerca artistica che coniuga disegno e scrittura
Alessandra Ostini Sutto In un’epoca in cui si scrive sempre meno a mano può sembrare anacronistico parlare di calligrafia. Tuttavia c’è ancora chi è fermamente convinto che la manualità del segno non debba essere persa. Persino Steve Jobs, fondatore di Apple, nel momento in cui abbandonò gli studi universitari cominciò a seguire corsi dell’arte che insegna a tracciare la scrittura secondo canoni di eleganza storicamente definiti. Da essi imparò che la bellezza è nel dettaglio e che qualsiasi oggetto nato per scopi funzionali può avere il proprio punto di forza nella precisione e nell’estetica. Che la forma di una lettera non è secondaria al suo suono e al suo senso l’avevano già capito artisti e matematici del Rinascimento come Leon Battista Alberti o Luca Pacioli, i quali applicarono proporzioni geometriche ed equilibri classici alle lettere del lapidario romano. Oggi, nell’era dei sistemi digitali, si assiste al desiderio di recuperare questa pratica delicata, che scaturisce da un bisogno interiore di espressione sostenuto dal riconoscimento della scrittura come mezzo universale di comunicazione. A conferma di ciò, sono numerose le persone – di ogni provenienza culturale e sociale – che frequentano corsi di calligrafia. «Da anni insegno calligrafia e quello che osservo è il desiderio di un ritorno alla manualità – commenta Gabriela Hess titolare dell’atelier Calligraphic Design di Ponte Tresa – diversamente dalla pittura o dal disegno, la calligrafia comprende la lettera scritta, la comunicazione e questo è un altro degli elementi che suscita interesse». In questa nobile arte i singoli segni recano le impronte delle tante civiltà che si sono susseguite; riscoprirla vuol dire riappropriarsi della nostra storia, oltre a riscoprire un tempo lento e produrre qualcosa di unico e prezioso. La calligrafia non è però da confondere con la grafia: «Essendo calligrafa, insegno soprattutto l’arte antica della scrittura. Ai miei corsi si impara a scrivere col pennino ad inchiostro, a eseguire vari stili di scrittura, come quella medievale, rinascimentale, ecc.
Ciò col tempo contribuirà a migliorare la propria grafia, anche se questo non è lo scopo principale», afferma Gabriela Hess, che da oltre dieci anni insegna calligrafia in Svizzera e all’estero. Per imparare l’arte della calligrafia occorrono esercizio e pazienza, come quando si impara a suonare uno strumento. Servono attrezzature specifiche e modalità applicative che vanno apprese come per le altre tecniche artistiche. Generalmente si parte dallo studio dei modelli storici per poi passare alle scritture espressive. «In genere già durante l’insegnamento della calligrafia classica includo una parte più artistica e sperimentale – commenta la calligrafa – questo perché il mio intento è di coniugare scrittura e disegno affinché anche da noi la calligrafia sia considerata una vera forma artistica e non unicamente un’attività artigianale». Come avviene in alcune culture – in particolare quella araba e giapponese – i cui alfabeti si prestano ad essere tracciati con grande armonia del segno. Già durante gli studi di grafica presso il CSIA di Lugano, Gabriela Hess era interessata alla storia della scrittura e al lettering, cioè a come scrivere e disegnare la lettera: «È allora che ho scoperto di voler imparare a scrivere come una volta e ho cominciato a seguire seminari di calligrafia classica e moderna in Svizzera, Inghilterra, negli Stati Uniti e in Italia con l’Associazione Calligrafica Italiana, per conto della quale oggi propongo dei corsi in Ticino. In giugno sarà la volta di un seminario sulla miniatura, con un calligrafo di Basilea, Klaus Peter Schäffel». Circa una volta al mese, Gabriela propone dei corsi tematici sull’arco di una o due giornate. «Nel nostro Cantone esiste il Gruppo Calligrafia Ticino, di cui fanno parte professionisti della calligrafia e appassionati. Alcuni di loro tengono dei corsi, ma non sono molti», continua Gabriela, che ne è socia attiva, come pure dell’Associazione Calligrafica Svizzera e di quella Italiana. Lezioni di calligrafia sono proposte anche nell’ambito dei Corsi cantonali per gli adulti dal graphic designer Orio Galli. Oltre ad avere un ruolo in ambito estetico, oggi la calligrafia può contri-
Gabriela Hess insegna a riscoprire l’arte antica della scrittura.
buire a rimediare agli eccessi della digitalizzazione. «Negli scorsi giorni ero ad un corso a Zurigo e si parlava di una docente universitaria esperta di tematiche digitali che vieta ai propri allievi di prendere appunti con il tablet o il computer», commenta Gabriela Hess. Il gesto veloce eseguito su una tastiera ha infatti sostituito quello grafico, più lento e meditato perché frutto della coordinazione fra mente e mano, che facilita però la memorizzazione. Ciononostante in alcuni Stati americani e in Finlandia a scuola non si insegna più il corsivo. Scelta riguardo alla quale ha preso posizione l’Associazione Calligrafica Italiana, sottolineando come l’apprendimento della scrittura a mano sia formativo in quanto richiede il rispetto di regole, il riconoscimento dei suoni e il loro abbinamento alle forme grafiche corrispondenti, oltre a stimolare la motricità fine. La calligrafia al giorno d’oggi ha ampliato i propri confini: la pratica tradizionale è affiancata da tecniche sperimentali. «La mia attività di calligrafa
me la sono inventata e dunque faccio un po’ di tutto: dalla grafica ai quadri, agli eventi, sia privati che aziendali», spiega Gabriela Hess. Sue sono, per esempio, le calligrafie per gli eventi di Montblanc, Bally e Louis Vuitton. Gabriela si occupa inoltre di Interior Design, realizzando scritte calligrafiche su pareti di abitazioni, alberghi, gallerie d’arte, ecc. Fin da quando si è avvicinata a quest’arte del bello, Gabriela Hess ha sentito dentro di sé la spinta a cercare la propria espressività, «la mia arte non è solo interpretare, né disegnare il senso delle cose, è invece lasciarsi permeare dal fluire delle percezioni (…). Quando scrivo nel ritmo del silenzio è come se sentissi il bisogno di evolvere, di arrivare a comprendere le sfumature di ogni gesto, abbandonandomi completamente ai movimenti che animano le sensazioni», si legge nel suo sito (calligraphicdesign.ch). In questo senso calligrafia è anche ricerca interiore, preghiera, meditazione. E dal venten-
nale cammino artistico e personale di Gabriela Hess è pure nata una scrittura: «Una mia passione è scrivere con un pennino dalla punta fine in un modo più artistico e veloce rispetto a quanto classicamente si fa in calligrafia. Così ho unito la cinquecentesca scrittura Cancelleresca al Corsivo Inglese dell’Ottocento con l’aggiunta di un tocco di modernità. Al risultato ho dato il nome di “Scrittura Sole” perché i segni vanno in tutte le direzioni, con molta libertà», racconta l’artista-calligrafa, i cui lavori, sono stati pubblicati su libri e riviste. In particolare, Nel segno è il titolo del libro – uscito lo scorso anno – che ne ripercorre il percorso calligraficoartistico. Gabriela ha esposto le sue opere in numerose mostre personali e collettive in Svizzera e all’estero. Dal 7 aprile partecipa come unica artista svizzera a Presi per incantamento, mostra allestita alla fondazione Fabbrica del Cioccolato negli stabili della ex Cima Norma in Val di Blenio.
Stai meglio?
Fanno bene a Lei. Fanno bene a tutti. Generici di Sandoz.
Sandoz – dal 1886 saldamente in mani svizzere
Non c’è nulla di più bello che poter contribuire alla salute dei nostri pazienti. “Mi sento Sandoz”, affermano sempre più persone in Svizzera: infatti, negli ultimi anni l’accettazione dei generici è aumentata notevolmente. Solo Sandoz offre più di 200 principi attivi diversi. E il loro numero è in costante crescita: ogni volta che un farmaco originale perde la tutela brevettuale può essere sostituito da un generico più economico. Per buone ragioni. I generici hanno la stessa efficacia degli originali corrispondenti. Contengono gli stessi principi attivi e anch’essi devono essere approvati dall’autorità di omologazione Swissmedic.
Sandoz Pharmaceuticals S.A., Suurstoffi 14, 6343 Rotkreuz | Aggiornamento: 01/2018
Anche in altre caratteristiche, come ad es. processi di produzione e disposizioni per il confezionamento, i generici rispettano gli stessi elevati requisiti di qualità degli originali – un approccio tipicamente svizzero. I medicamenti di Sandoz sono realizzati secondo gli elevati standard di produzione di Novartis. E naturalmente sono più economici dei prodotti originali, fatto questo che favorisce non solo i pazienti ma anche l’intero sistema sanitario. Chieda al suo medico o farmacista i generici di Sandoz, saranno lieti di fornirle una consulenza.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 16 aprile 2018 • N. 16
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Società e Territorio Conoscere di persona più candidati che, a loro volta, hanno l’opportunità di presentarsi a più aziende: la formula Speed Date ottimizza i tempi e valorizza il fattore umano. (www.randstad.ch)
Noi siamo ciò che pensiamo
Libri L’ultimo saggio di Vito Mancuso indaga
il nostro bisogno primordiale di pensare Laura Di Corcia
Incontro col lavoro
Speed Date Meeting L’appuntamento veloce a rotazione
in ambiente informale ora è proposto in ambito professionale Stefania Hubmann Lo Speed Date non per trovare l’anima gemella ma un lavoro. Dalla sfera sentimentale l’incontro veloce a rotazione in ambiente informale è diventato una realtà anche in ambito professionale. A proporlo per la prima volta nel nostro Cantone la sede ticinese del Gruppo Randstad con un’iniziativa mirata nel settore dell’IT (Information Technology). Il successo dell’evento organizzato a Chiasso all’inizio di febbraio ha già indotto il quartier generale svizzero della multinazionale delle risorse umane a diffonderlo nel resto del Paese. Se le nuove tecnologie rappresentano una straordinaria opportunità per aziende, candidati e mediatori nel facilitare e accelerare i contatti, l’aspetto umano rimane l’essenza di tale processo. Un curriculum vitae, pur interessante e virtuoso che sia, è un documento asettico che può anche rivelarsi fuorviante. Dieci minuti di incontro alla cieca fra potenziali candidati e datori di lavoro, tutti precedentemente selezionati, permettono invece di puntare sull’empatia, l’intuizione e l’istinto. Il Gruppo Randstad, fondato da due studenti olandesi nel 1960 e oggi secondo operatore mondiale nei servizi HR (Human Resources), ha trasformato il tocco umano verso il futuro nel suo slogan: Human Forward. In Italia, dove è presente con 300 uffici, i colloqui di lavoro a colazione o all’ora dell’aperitivo secondo la formula dello Speed Date Meeting si svolgono regolarmente da alcuni anni, con tanto di giornata nazionale che vede protagoniste tutte le filiali. Elisabetta De Antoni, responsabile dell’ufficio aperto a Lugano un anno fa, conosce bene questa realtà dove ha operato per 15 anni, vivendo però gli ultimi cinque in Ticino. L’esperienza nei due Paesi le ha permesso di offrire nuovi stimoli al mercato ticinese. Un mercato considerato dinamico, benché numericamente ridotto rispetto al passato. «Il cambiamento in atto nella ricerca delle competenze in prospet-
tiva futura è generale e all’interno di questa evoluzione è necessario agire in maniera innovativa», spiega la rappresentante di Randstad. «Siamo partiti da un analisi delle esigenze del mercato per poi creare un’offerta di candidati che coprisse gli ambiti richiesti dalle aziende in un settore, quello dell’IT, che rappresenta uno dei nostri punti di forza. Oggi un terzo dei candidati che ha partecipato all’evento è ben posizionato sul percorso che porta all’inserimento in azienda». Considerato il successo di questo primo Speed Date Meeting, che ha riunito una decina di imprese attive sul territorio ticinese e altrettanti candidati, Elisabetta De Antoni intende riproporre il format per altri settori probabilmente con una cadenza trimestrale. «La formula è flessibile a tutti i livelli. L’aperitivo proposto al ristorante Alchimia a Chiasso è solo una possibilità. Luogo e orario possono essere modificati, purché resti intatto l’obiettivo di un ambiente informale e conviviale, così come è variabile il numero delle persone coinvolte e soprattutto l’ambito professionale prescelto. A questo proposito stiamo valutando il settore dell’ingegneria e un ventaglio di attività in quello farmaceutico». L’attenzione è però rivolta anche alle difficoltà che incontrano alcuni profili, in particolare in ragione dell’età. Precisa la nostra interlocutrice: «I lavoratori over 50 partono svantaggiati, ma sono convinta che, malgrado occorra investire più tempo e dedizione nella fase introduttiva, a lungo termine siano una risorsa per l’azienda. Si tratta di trovare imprese disposte a compiere questo sforzo, proponendo un evento generalista con diverse professioni legate ad per esempio al settore finanziario». Dai dipendenti di mezza età alle nuove leve della forza lavoro con i Millennials che muovono i primi passi nel mondo professionale. Essi rappresentano, secondo l’esperienza di Elisabetta De Antoni, il dinamismo e la flessibilità richiesti dal mercato, anche se mancano ancora dell’esperienza di cui le aziende intendono pure beneficiare.
Questa nuova generazione di lavoratori apprezza i servizi di agenzie orientate agli strumenti digitali e imprese dello stesso tipo, meglio se di carattere internazionale con posti di lavoro all’insegna della flessibilità, ad esempio per quanto riguarda gli orari e il lavoro da casa. Essi sono candidati attenti e informati che si comportano in modo diverso anche durante i colloqui. È evidente che la formula dello Speed Date Meeting è loro congeniale e favorevole. Dinamica, informale e veloce, combacia perfettamente con il mondo nel quale vivono. Offre la possibilità non solo di presentarsi in modo alternativo, ma di trasmettere il proprio potenziale e lo spirito d’iniziativa, proponendo nuove idee. A livello svizzero il Gruppo Randstad ha deciso di dar seguito alla positiva esperienza dello Speed Date ticinese con un primo test che entro maggio interesserà oltre a Zurigo, dove si trova la sede centrale, Losanna e Ginevra. Altre cinque delle 50 filiali elvetiche saranno coinvolte in un secondo tempo per poter giungere all’elaborazione di linee guida e all’organizzazione di una giornata nazionale simile a quella italiana. Da rilevare, che pur essendo una multinazionale presente in 39 Paesi e con oltre 30mila dipendenti, Randstad adegua i suoi standard alla realtà del mercato dove opera. «Il legame con il territorio è essenziale – sottolinea la responsabile della rappresentanza ticinese – per cui cerchiamo la collaborazione con le associazioni di categoria come è il caso con AITI Servizi (Associazione Industrie Ticinesi). Il concetto dello Speed Date Meeting è applicabile in ogni regione, ma va adeguato alle esigenze del mercato locale». Potersi presentare sull’arco di un paio d’ore a una decina di aziende e viceversa conoscere personalmente altrettanti candidati è una formula che valorizza il fattore umano, permettendo a tutti di ottimizzare il tempo investito. Lo Speed Date Meeting è quindi un sistema win-win destinato a conoscere notevoli sviluppi.
Abbiamo questa convinzione: che la ragione, quando esercitata autonomamente, con distacco, porti al disincanto, al disamoramento rispetto alle ragioni della vita a favore di una visione dell’esistenza nichilistica quando non cinica. Se potessimo riassumere in un solo punto uno dei motivi per cui vale la pena leggere, quando non addirittura rileggere e meditare, le pagine che compongono l’ultimo e denso saggio del teologo e filosofo Vito Mancuso, Il bisogno di pensare (Garzanti) quel punto starebbe proprio nella capacità delle stesse pagine di persuaderci in direzione contraria a quella che ostinatamente seguiremmo rintracciando lo «Zeitgeist», che associa la bontà alla menzogna e la verità al cinismo. Mancuso, che ha una valigia degli attrezzi particolarmente ricca e che sa spaziare dalla filosofia e dalla teologia alla storia della scienza (leggerlo è un piacere, si scoprono cose nuove e si mettono a fuoco concetti che già si conoscevano), ritiene che il mondo non si divida fra credenti e non credenti, bensì fra pensanti e non. Perché pensare, questa attività misteriosa, che – sottolinea il teologo – ci distinguerebbe dalle altre creature viventi specie quando volta all’autoriflessione, questa lunga contrattazione fra istanze opposte che ha luogo nelle nostre menti e che fonda la nostra identità (e quindi di riflesso anche la nostra idea del mondo e le nostre scelte), per essere esercitata con serietà e pienezza deve in primis liberarsi dalle secche del dogmatismo e dell’ideologia. Pensando, e accogliendo nel flusso del pensiero anche le sensazioni e le percezioni che formano il primo stadio dell’attività riflessiva, ci si può accorgere che l’istinto di sopravvivenza, quel sì alla vita fiducioso e denso di gioia, può essere supportato dai dati della scienza. Il fatto, per esempio, che la probabilità che l’universo accada sia pari – come sottolinea lo scienziato Roger Penrose – a uno diviso dieci elevato alla potenza di dieci e poi alla potenza di 123, una cifra incommensurabilmente e
inspiegabilmente piccola, può confortarci nell’idea che alla base della vita ci sia una tendenza all’organizzazione e che il caso sia un’ipotesi meno convincente di quanto ci aspetteremmo. Questo non significa che la vita sia solo costruzione ed evoluzione, che la teleologia – ovvero l’idea che ogni cosa sia determinata dal suo scopo – sia l’unica matrice dell’esistenza. Quella appena esposta sarebbe una visione ingenua, di parte, in lotta con le ragioni del raziocinio: ma accogliendo tutti gli elementi che compongono la nostra percezione del reale, ci si accorge che esistono elementi a suffragio dell’idea del bene, pur nell’entropia, pur nella tendenza della materia alla distruzione. Secondo Mancuso, il mondo è sorretto da qualcosa di invisibile e misterioso che tende alla realizzazione, allo sviluppo, al miglioramento. La sua fede, lo dichiara lui stesso, è quella di chi aderisce alla vita pur avendone saggiato i lati negativi. Il libro, ricchissimo di spunti e di suggerimenti, si apre con un’esortazione al lettore quasi socratica: conosci te stesso, i tuoi desideri, le tue aspirazioni. Ma per farlo bisogna grattare la superficie, andare oltre, capire veramente qual è la vera voce, quella autentica, da seguire. Trattasi di un esercizio, di una pratica da continuare a mettere in atto, perché non esistono risultati definitivi. Pensare è pesante, come suggerisce l’etimologia stessa della parola, è faticoso, ma è di questa fatica che si compongono le migliori conquiste umane, anche quelle relative alla nostra interiorità. «Ognuno di noi è, e diventa, ciò che guarda, ciò che desidera, ciò che pensa». Mancuso chiude rivolgendosi ancora al lettore, suggerendogli una serie di pratiche che aiutano a plasmare artigianalmente la vita di tutti i giorni in modo che essa diventi la migliore possibile. Fra queste: leggere e studiare, sottolineare le cose più importanti, trascriverle, meditare, provare sensazioni, ridere, fare attenzione al proprio tono di voce. Un libro fuori dal tempo, questo, che entra nel nostro tempo forse perché ne abbiamo bisogno tutti, credenti e non.
La copertina dell’ultimo saggio del teologo e filosofo Vito Mancuso. Annuncio pubblicitario
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 16 aprile 2018 • N. 16
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Società e Territorio
Parità mancata
Pari opportunità In Ticino permangono le disparità di genere, è quanto risulta dallo studio «Le cifre della parità»
pubblicato dall’Ufficio cantonale di statistica Fabio Dozio Le donne continuano a essere discriminate rispetto agli uomini, lo confermano i numeri. Nel settore privato i salari femminili sono del 15,8% inferiori a quelli maschili. Le donne settimanalmente dedicano in media 10,8 ore in più degli uomini ai lavori domestici. Il 41% delle donne con figli in età prescolastica non lavora. Nel 2016 la polizia ha effettuato 829 interventi per violenza domestica. La quota di donne nelle istituzioni politiche è del 18,3%. Queste sono alcune cifre indicate dal quadro statistico delle pari opportunità fra i sessi in Ticino. «Il quadro che emerge – ci dice Rachele Santoro, delegata cantonale alle pari opportunità – è dunque a tinte chiare e scure e il cammino verso una maggiore parità è lento. Il raggiungimento della parità di fatto non è un processo passivo in cui si spera che con il tempo le generazioni cambino, si tratta di uno sviluppo attivo che ci coinvolge tutti, politiche e politici, cittadine e cittadini, datrici e datori di lavoro, ragazze e ragazzi, madri e padri di famiglia». Si tratta di un problema universale: anche la 62esima sessione della Commissione delle Nazioni Unite sulla condizione delle donne, aperta a New York il 12 marzo, ha come tema centrale la realizzazione della parità di genere. La Svizzera è stata uno degli ultimi Paesi a concedere il diritto di voto alle donne, nel 1971, tuttavia il principio dell’uguaglianza tra uomo e donna è iscritto nella Costituzione dal 1981. All’art. 8 si legge: «Uomo e donna hanno uguali diritti. La legge ne assicura l’uguaglianza, di diritto e di fatto, in particolare per quanto concerne la famiglia, l’istruzione e il lavoro. Uomo e donna hanno diritto a un salario uguale per un lavoro di uguale valore». La legge sulla parità del 1995 ribadisce i precetti, ma senza riuscire a raggiungere l’obiettivo. Costituzione e legge inapplicate da decenni. Il lavoro è uno dei punti dolenti. Uomini e donne scelgono campi di attività diversi, ciò che crea una «segregazione orizzontale». Vale a dire che gli uomini sono attivi soprattutto nell’industria, tecnica, commercio e trasporti, oltre che agricoltura e allevamento. Le donne sono molto più numerose nelle professioni della salute, della cura, dell’insegnamento, della ristorazione e dei servizi personali. C’è invece equità nell’ambito delle professioni giuridiche o dei servizi, dalle banche alle assicurazioni. La differenza di opportunità di carriera tra i generi rivela una «segregazione verti-
La bilancia non è ancora in equilibrio. (Marka)
cale». I dati della ricerca indicano che solo una donna su cinque esercita una funzione di responsabilità o è membro di direzione, mentre un uomo su tre fa carriera. Il salario rimane un dato doloroso. Le donne guadagnano il 15,8% in meno nel settore privato, ma anche nel pubblico la situazione non è molto diversa: la differenza di stipendi si aggira sul 12,5%. Una parte della differenza salariale si spiega con dati oggettivi, anzianità di servizio, responsabilità, settore professionale, ma il 47% delle donne che sono attive nell’economia privata sono pagate di meno e quindi qui, sottolinea lo studio, «si cela verosimilmente una parte di discriminazione salariale». A fine febbraio, il Consiglio degli Stati ha bocciato la proposta del Governo di costringere le aziende con più di 100 dipendenti a realizzare e pubblicare un monitoraggio annuale sulla parità di salario. «Le donne – ha dichiarato Raphaël Comte, senatore liberale radicale neocastellano – sono condannate alla pazienza quando si tratta dell’uguaglianza dei diritti». Come mai anche nel settore pubblico ci sono discriminazioni? «Da un lato – precisa Rachele Santoro – mancano delle misure vincolanti che implichino una verifica regolare della parità salariale. Dall’altro, spesso le differenze salariali si verificano involontariamente, poiché le donne tendono a sottovalutare le proprie com-
petenze e a negoziare meno il proprio salario al momento dell’assunzione. Purtroppo la questione legata alle disparità salariali tra uomini e donne rimane un fenomeno fortemente presente, ma anche complesso da risolvere poiché è difficile dimostrare che due lavori distinti hanno pari valore. Nonostante ciò il Canton Ticino ha recentemente ratificato la carta per la parità salariale nel settore pubblico, prendendosi l’impegno di verificare regolarmente la parità salariale attraverso degli strumenti riconosciuti e di introdurre dei meccanismi di controllo nell’ambito delle commesse pubbliche e dei sussidi. Questo strumento potrà aiutare il Cantone a fare dei passi avanti in questo ambito». Altro aspetto significativo che riguarda l’attività professionale è il rapporto tra sfera lavorativa e familiare. Le donne lavorano quanto gli uomini fino ai 30 anni, poi, con l’arrivo dei figli un numero importante di neomamme lascia la professione. Quelle che continuano a lavorare lo fanno a tempo ridotto. Nelle coppie senza figli le donne sono attive nella misura dell’85%, mentre si scende al 67% quando ci sono i bambini. La percentuale di uomini attivi non scende mai al di sotto del 90%. Le famiglie hanno sempre più difficoltà a gestire i figli. Nel 2004 il 26% delle coppie con almeno un figlio fino a cinque anni doveva ricorrere a un aiuto esterno, nel 2013 questa percentuale è salita al 44%. Le
donne riducono l’attività professionale per dedicarsi, anche solo in parte, alla cura dei figli, e parallelamente aumenta il carico di lavoro domestico. «Proprio nelle coppie con figli – afferma il documento dell’USTAT – è interessante notare che i lavori domestici restano una prerogativa femminile indipendentemente dal modello occupazionale della coppia». Passano gli anni, ma la donna rimane, in qualche modo, ancora l’angelo del focolare. O meglio, ha un carico in più: oltre a curare i figli, a occuparsi dei lavori domestici e della cucina, assistere i parenti anziani, spesso ha anche un’occupazione fuori casa. La scelta di costituire una famiglia aumenta le differenze all’interno delle coppie: che fare? «In primo luogo – risponde Rachele Santoro – lo Stato e la politica possono rafforzare il loro ruolo di promotori della conciliabilità, riducendo i costi legati alla presa a carico dei bambini, incrementando il numero di posti nei nidi d’infanzia e favorendo lo sviluppo di servizi extrascolastici (mense e doposcuola). Anche lo sviluppo di nuove formule di accoglienza, come ad esempio i micro-nidi, può aiutare le famiglie, soprattutto per chi abita nelle zone rurali. Secondariamente, anche i datori di lavoro possono svolgere un ruolo importante per favorire la conciliazione, permettendo ad esempio il lavoro a tempo parziale a uomini e donne in ugual misura, flessibilizzando mag-
in questi anni di rivoluzione negli usi e consumi dei media la radio se l’è sempre cavata egregiamente a conferma che tra tanti mezzi a disposizione essa sia uno dei più congeniali e vicini a noi; ascoltare una voce spesso risulta molto più semplice e piacevole in tempi di frenetica mobilità e distrazione. Una voce ci può seguire al mattino mentre beviamo il caffè in cucina, mentre siamo in auto o sul metrò, mentre andiamo a correre o al lavoro in bicicletta. «Republik», il giornale digitale zurighese, per alcune sue storie e interviste propone degli audiopocast, il quotidiano italiano «la Repubblica» da qualche mese nella nuova versione digitale a pagamento propone diversi articoli audio letti dalle proprie firme. Così ad esempio Vittorio Zucconi legge il suo articolo Da Sarajevo a Duma, quelle spor-
che dirty war e Lucio Caracciolo il suo commento L’errore americano. Certo le testate internazionali come «the Guardian» ci sono arrivate molto prima, per la precisione nel 2004 quando il quotidiano ha iniziato a proporre una serie di podcast sia per le notizie sia per gli approfondimenti. Anzi, leggendo sul sito scopriamo che è stato proprio il giornalista del «Guardian» Ben Hammersley a coniare la parola podcasting. Poi nel 2012 è arrivata la partnership con Audible.co.uk, il più grande fornitore di libri audio in Inghilterra. L’editorialista Jonathan Freedland legge il meglio delle notizie e degli approfondimenti apparsi durante la settimana. E allora non sorprende l’iniziativa di due giovani dublinesi Gareth Hickey e Shane Hannis, rispettivamente 27 e 26 anni, ideatori dell’app News over Audio (NOA), un
giormente gli orari lavorativi oppure ancora ammettendo il telelavoro. Senza un reale investimento in questo settore, molti genitori saranno costretti a rinunciare ad almeno una parte della propria attività lavorativa per far fronte alle nuove esigenze familiari. La conciliabilità viene tuttora vista e vissuta come una prerogativa femminile. Una società moderna dovrebbe abbandonare questo concetto a favore della genitorialità, quale responsabilità condivisa in tutte le sfere di vita». La povertà è una minaccia soprattutto per le donne. In Svizzera le famiglie monoparentali sono le più esposte al rischio di povertà. Un fenomeno niente affatto marginale. E la netta maggioranza delle monoparentali, 85%, sono madri sole con figli. In Ticino, fra le persone al beneficio dell’AVS che hanno diritto alle prestazioni complementari nel 2016, vi sono 5mila uomini e 10mila donne. La povertà è scandalosa, ma la violenza può anche essere peggio. Il numero degli interventi di polizia per casi di violenza domestica sono circa 800 ogni anno, in Ticino. In tre casi su quattro, le vittime di violenza domestica sono donne, mentre gli autori sono, al contrario, tre maschi su quattro. Il fenomeno ha sicuramente dimensioni maggiori, perché i dati si riferiscono ai casi segnalati alla polizia. L’unico settore in cui possiamo annoverare un miglioramento in tema di parità è quello della formazione. Nella fascia d’età tra i 25 e i 44 anni non ci sono praticamente differenze tra uomini e donne per quanto riguarda il livello di formazione. Da ultimo, a mo’ di consolazione per il genere femminile, va citata la salute. La speranza di vita delle donne è più alta di quella degli uomini, 86 anni contro 81,8. Così, nonostante nascano più bambini che bambine, le donne muoiono più tardi e quindi sono in maggioranza sul totale della popolazione.
Appuntamento Sabato 21 aprile dalle ore 9.00 presso l’Aula Magna delle Scuole Canavée a Mendrisio la Commissione consultiva per le pari opportunità fra i sessi invita a una mattinata di approfondimento sul tema «La parità incompiuta: quanto pesano i modelli culturali e sociali, la formazione e le logiche economiche sulle discriminazioni delle donne?». Info e iscrizioni: pariopportunita@ ti.ch
La società connessa di Natascha Fioretti E se la rivincita del giornalismo fosse audio? Parlavamo la volta scorsa dell’importanza dell’ascolto e ci voglio ritornare ma da un’altra prospettiva, quella di un prossimo futuro in una qualsiasi cucina di chiunque di noi. Mentre siamo davanti ai fornelli in attesa che salga il caffè, i capelli ancora tutti stropicciati alla Mafalda e già in ansia per le prove e i vari spostamenti che ci attendono durante la giornata, conversiamo prima con il nostro frigorifero per sapere cosa manca all’appello per la cena della sera e poi con il nostro assistente virtuale Amazon Alexa per ascoltare le notizie e gli articoli del giorno che ci interessano. Dal punto di vista tecnologico è tutto molto semplice, Amazon Alexa è un’intelligenza artificiale che funziona come Siri di Apple e Cortana di Microsoft sui
nostri cellulari. Solo che in questo caso non ci serve un telefono bensì un dispositivo, Amazon Echo (ci sono anche altre varianti), un dispositivo da tavolo capace di interagire con la nostra voce e di gestire alcune funzioni e accessori smart compatibili. In sostanza Amazon Echo si collega alla rete wi-fi di casa per navigare ed entrare a far parte della nostra Smart Home. Il controllo dell’assistente è esclusivamente vocale e possiamo chiedergli di farci ascoltare Hurricane di Bob Dylan oppure che cosa dice il meteo o, appunto, le notizie del nostro quotidiano preferito. Ed è qui che – tecnologia a parte – volevo arrivare. Forse voi cari lettori già lo fate o già lo sapete che da qualche tempo è possibile mettersi all’ascolto degli articoli dei giornali anziché leggerli. Questo mi porta a fare subito due considerazioni:
servizio che offre la lettura di articoli tratti da diverse testate, per citarne alcune l’«Independent», il «Financial Times», l’«Irish Times» e «Bloomberg» ma, visto il successo ottenuto, molte altre stanno per aggiungersi, assicurano i due giovani. Perché quest’idea? Gareth Hickey, che ha iniziato la sua carriera nel giornalismo a 12 anni come paper boy, in una recente intervista sulla testata digitale «Fora» rivela come tutto sia nato da una considerazione: «come molti millennials ci sentivamo persi nel costante e vertiginoso flusso delle informazioni e ci sembrava di non riuscire mai a trovare il tempo per leggere. Questa ci è sembrata la soluzione giusta per noi giovani di essere sempre informati, una soluzione che in generale i giornali non offrivano».
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 16 aprile 2018 • N. 16
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Società e Territorio
Il calcio che unisce
Integrazione Da Breganzona al campo di via Industria a Pregassona da poco ristrutturato fino all’Antira Cup
Ticino: tanti esempi di come una «partitella» può fare la differenza
Guido Grilli È quasi tempo di mondiali di calcio. Si moltiplicano gli scambi di figurine per completare l’immancabile album Panini in attesa di maggio quando la nazionale svizzera terrà il proprio ritiro a Lugano allo stadio Cornaredo, dove si inizierà a respirare un clima agonistico internazionale che culminerà con l’amichevole contro il Giappone in agenda l’8 giugno, una decina di giorni prima del calcio d’inizio di Russia 2018. Ma il calcio, come altri sport, non è solo agonismo ad alto livello, è anche veicolo di tolleranza, integrazione, rispetto dell’avversario, rifiuto del razzismo. Da qui il nostro breve giro d’orizzonte nelle realtà attorno ai campi di calcio in Ticino, dove queste determinanti premesse universali sembrano trovare un buon terreno di gioco, con, fra l’altro, un evento che intende tirare, e non solo metaforicamente, «Un calcio al razzismo».
Lo sport diverte e favorisce l’integrazione: alcuni esempi in Ticino di iniziative legate al calcio Dice Alessandro, 18 anni, la maglietta gialla del Breganzona degli Allievi A1, che incontriamo al campetto di Breganzona dove non rinuncia al pallone nemmeno nel giorno di Pasquetta: «Qui sul campo in sintetico è molto frequente che gruppi di stranieri, soprattutto afghani e curdi improvvisino bei tornei di tre-quattro squadre. Io mi unisco volentieri perché sono più grandi e più forti e s’impara sempre molto. Non è l’unico esempio di integrazione – assicura il nostro interlocutore: so che al campo del Tassino giocano gli eritrei, mentre a Paradiso ci sono squadre miste di persone provenienti da diversi Paesi». Un’altra situazione interessante si trova in uno dei più popolosi quartieri di Lugano: Pregassona, dove Marco
Rispetto, solidarietà, condivisone: il campo di calcio può diventare spazio di incontro. (TiPress)
Imperadore, membro dell’omonima Commissione di quartiere, ha proposto e ottenuto lo scorso settembre dall’autorità cittadina un restyling del campo di calcio in via Industria, dove vivono e convivono nei diversi palazzi numerosi stranieri, proprio con il preciso fine di creare un importante punto di ritrovo e di integrazione. «A sette mesi dalla sua inaugurazione, posso senz’altro affermare che l’iniziativa ha sortito l’effetto sperato. Prima era uno spazio verde abbandonato, e così, grazie alla sensibilità del Dicastero verde pubblico, l’infrastruttura è stata ristrutturata. Ed è frequentata. Il campo è frequentato da persone di varie nazionalità: somali, eritrei, slavi, russi, italiani, ticinesi. Sia bambini sia adulti». In questo rione sono previsti nuovi palazzi a pigione moderata e dunque l’arrivo di nuovi bambini e giovani. «In tal senso il campo di calcio assumerà ancora maggiore valore» – osserva Imperadore, che abita proprio a pochi metri dal campetto. «Il nostro scopo è quello di favorire l’integrazione fra le diverse etnie, e quando vedi che in molti giocano e si divertono è motivo di soddisfazione per la nostra Commissione di quartiere. Qualche volta c’è un po’
di prevaricazione dei più grandi sui più piccoli per occupare il campo, ma comunque alla fine prevalgono l’intesa e un buon clima. M’immagino che con i Mondiali di calcio la frequentazione del campetto e le partite aumenteranno». A Lumino, invece, il prossimo 21 luglio si svolgerà la settima edizione dell’Antira Cup Ticino (acronimo di Coppa Antirazzista), un evento che prevede un torneo di calcio, bancarelle e concerti e che coinvolge centinaia di partecipanti. Cristina è una delle fondatrici e organizzatrici dell’evento. Come nasce questa iniziativa? «L’idea è sorta da un gruppo di una decina di amici. Avevamo partecipato a qualche torneo oltralpe, ai tempi esistevano infatti l’Antira Cup di Soletta e quella di Lucerna, alle quali nel frattempo si sono aggiunte Berna, Thun, Alto Vallese e altre città ancora. L’ispirazione è venuta inoltre dai Mondiali antirazzisti che si svolgono ogni anno in Italia sull’arco di una settimana e che coinvolgono anche altri sport ed eventi collaterali (concerti, manifestazioni, conferenze). E quindi abbiamo deciso di proporre anche noi qualcosa in Ticino, creando l’associazione “Un calcio al razzismo”».
Il razzismo, l’intolleranza… in Ticino vi sono fenomeni preoccupanti? «Quello che noi abbiamo cercato di fare – evidenzia Cristina – è di dare una risposta a queste problematiche, quella del razzismo, ma non solo, che spesso si ritrovano in maniera più o meno manifesta all’interno del mondo dello sport ma in generale nei diversi ambiti della società, nella politica, nei mass media, sui social network, nell’ambiente di lavoro. Il nostro vuole essere così un momento conviviale di aggregazione, all’insegna della promozione del rispetto, della solidarietà, della condivisione, del fair play. Uno spazio di incontro, apertura e scambio in contrapposizione a tutti i tipi di discriminazione, di oppressione e prevaricazione che appunto si manifestano sotto forma di razzismo ma anche ad esempio di sessismo e di omofobia. Lo scopo è rendere sensibile la popolazione su queste tematiche, in modo coinvolgente ma anche divertente e creativo. Tutte questioni centrali anche per le altre associazioni della Svizzera interna alle quali ci siamo ispirati». Come si svolgerà Antira Cup Ticino 2018? «Le iscrizioni si apriranno ver-
so maggio-giugno sulla pagina Facebook “AntiraCup Ticino”. Una trentina di squadre parteciperanno al torneo di calcetto (5 giocatori più il portiere) che si terrà al campo Vomero di Lumino. La giornata avrà luogo con qualsiasi tempo. La particolarità è che non vi saranno arbitri, ciò che permetterà ai giocatori di autogestirsi in campo. Devo dire che ha sempre funzionato benissimo, le squadre danno prova di fair play e di rispetto dell’avversario. Le compagini sono di tutti i tipi: maschili, femminili, miste, di giovani e meno giovani, di provetti calciatori o dilettanti. Ogni anno sono inoltre presenti cinque o sei squadre composte da migranti, accompagnate da associazioni attive sul territorio, come Soccorso operaio svizzero e Casa Astra. Questo è interessante perché questi ragazzi segnati da un vissuto difficile e spesso guardati con diffidenza, possono vivere una giornata all’insegna della spensieratezza in un contesto inclusivo che favorisce il contatto, lo scambio e il conoscersi. Il senso è il divertimento. Infatti ci sono i premi per la miglior squadra e per quella peggiore, per quella con la divisa più originale e per il miglior tifo: non si premiano dunque solo i risultati sportivi, ma anche altri aspetti. La manifestazione prevede inoltre concerti e dj set, cena popolare, buvette, banchetto dei dolci e bancarelle. Ogni anno organizziamo anche una riffa a scopo benefico. La scorsa edizione il ricavato è stato devoluto al Comitato ticinese per la ricostruzione di Kobane, che si sta occupando di costruire una scuola nella città del Kurdistan siriano distrutta dalla guerra. Coperte le spese, quanto riusciamo a raccogliere viene devoluto per altre iniziative contro la discriminazione e il razzismo organizzate durante l’anno». Come si traduce l’impegno della vostra associazione «Un calcio al razzismo»? «Da gennaio il nostro collettivo si riunisce regolarmente. L’associazione è apartitica e l’attività è completamente basata sul volontariato. Il lavoro più importante avviene certamente intorno alla giornata clou dell’Antira Cup Ticino».
Per approfondire la storia sociale
lanostraStoria.ch La Fondazione Pellegrini Canevascini ha pubblicato nel portale una selezione di documenti tratti
dai suoi ricchi fondi Lorenzo De Carli
La Fondazione Pellegrini Canevascini ha il duplice scopo di documentare la storia del movimento operaio nella Svizzera italiana attraverso la gestione e la conservazione di un centinaio di fondi archivistici, e quello di divulgarne la conoscenza attraverso la pubblicazione di saggi. Il sito web ufficiale permette di avere una conoscenza precisa di come sono articolati gli archivi della Fondazione che, in generale, lascia ad altre
istituzioni il compito di conservare, riservandosi quello di trattare e descrivere. Così, è presso l’Archivio di Stato di Bellinzona, per esempio, che si possono consultare i fondi cartacei e fotografici, mentre è presso la Fonoteca Nazionale Svizzera, che si possono consultare i fondi composti di documenti audio. Avendo come obiettivo ultimo l’attività di formazione, la Fondazione Pellegrini Canevascini venne fondata il 20 febbraio 1965, quando – ricordano in un loro saggio Pasquale Genasci e
Costruzione della strada di Gandria (1934). (Fondo G. Canevascini/ lanostrastoria.ch)
Gabriele Rossi – «fu composto il primo consiglio direttivo: Guglielmo Canevascini, presidente; Dante Ronchetti, tesoriere; Marco Pellegrini, segretario; Eros Bellinelli e Elmo Patocchi, membri». Ad oltre mezzo secolo di distanza, «con la sua attività archivistica, le ricerche e le pubblicazioni di storia sociale e del lavoro, la Fondazione ha contribuito a costruire la storiografia del movimento operaio e socialista nella Svizzera italiana, quasi inesistente fino a mezzo secolo fa» – si legge nel portale «lanostraStoria.ch», dove la Fondazione ha fatto il suo ingresso recentemente con una selezione di documenti iconografici. Dal Fondo Guglielmo Canevascini, per esempio, è stata scelta un’immagine, scattata nel 1934, che mostra alcuni operai impegnati nella costruzione della strada che porta a Gandria. L’opera, realizzata in condizioni talvolta molto impervie, fu realizzata tra il 1933 e il 1935, e fu uno dei cantieri che fece aprire Guglielmo Canevascini, allora alla testa del Dipartimento cantonale delle pubbliche costruzioni. Di questo stesso fondo fa parte una serie estremamente interessante di fotografie scattate nei primi anni Trenta
presso l’Ospedale neuropsichiatrico cantonale di Casvegno. È verosimile pensare che le foto dovessero servire per la riflessione allora in corso a proposito delle caratteristiche che dovevano avere le infrastrutture dedicate alla cura dei pazienti psichiatrici ma, a quasi cent’anni di distanza, più che le infrastrutture, colpiscono i ritratti dei pazienti. Nel sito web dell’Archivio di Stato la collezione è composta di circa centocinquanta immagini; si vedono pazienti in cortile, che parlano coi medici, intenti a svolgere attività di gruppo, al lavoro nei campi, nell’orto, che camminano. La foto scelta per «lanostraStoria.ch», del 1934, ritrae un paziente seduto contro la rete di cinta. «Lo storico – dice il testo di commento – non può andare oltre nell’interpretazione di questa singola immagine, ma il corpus nel suo insieme, accompagnato da fonti scritte, permette di approfondire uno spaccato di storia sociale del Ticino nel Novecento». E, in effetti, questo fondo fotografico, meriterebbe di essere oggetto di una tesi di dottorato sulla storia della psichiatria in Ticino. Per quanto ampio possa essere il ventaglio delle tematiche che la
Fondazione Pellegrini Canevascini ha selezionato per le pagine di «lanostraStoria.ch» allo scopo di far toccar con mano la varietà dei fondi gestiti, è comunque evidente che il filone principale – ricco e sorprendentemente variegato perché tocca non soltanto la vita lavorativa bensì anche le attività sociali svolte nel tempo libero –, è quello della storia del movimento operaio e delle lotte sociali, condotte alcune nell’urna, altre in piazza, altre con l’attività pubblicistica, altre ancora con il mezzo principe dell’antagonismo di classe: lo sciopero. Il documento più vecchio, del 1863, è una fotografia scattata in occasione dell’«inaugurazione della bandiera della Società federale di Ginnastica di Bellinzona», l’ultimo, del 1993, è una vignetta del quindicinale satirico «Diavolo» dedicata alla chiusura di «Libera Stampa» – nel frattempo diventata «Nuova Libera Stampa». Per quanto selettiva, la scelta dei documenti offerti al pubblico del portale ci dice che, nel nostro paese, ci sono stati uomini e donne, per i quali non solo aveva un senso l’espressione «coscienza di classe», ma era la bussola che ne orientava l’azione e il giudizio.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 16 aprile 2018 • N. 16
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Società e Territorio Rubriche
Lo specchio dei tempi di Franco Zambelloni La moda va sempre di moda Ogni epoca ha i suoi idoli, le sue ossessioni, ma c’è un idolo che travalica i secoli e regna incontrastato attraverso i millenni: la moda. Ovviamente, non parlo solo dell’abbigliamento, ma di tutte le forme di decorazione e di ornamento che le diverse culture modificano periodicamente di tempo in tempo. Come nell’architettura mutano gli stili – dal romanico al gotico, dal rinascimentale al barocco e così via, così è anche nell’abbigliamento, nelle acconciature, nella cosmesi. Ciò che è nuovo desta meraviglia, richiama l’attenzione; ma il nuovo ripetuto a lungo diventa obsoleto, e pertanto occorre passare a un cambiamento. Sarebbe dunque senz’altro sbagliato pensare che sia solo il nostro tempo a glorificare la moda: basta considerare quanto scriveva Michel de Montaigne in uno dei suoi Essais pubblicati quasi cinque secoli fa. Il filosofo citava
il caso di una donna di Parigi «che si fece scorticare solo per ottenere così il colorito più fresco di una nuova pelle»; cosa certo non nuova, visto che già duemila anni fa il poeta Tibullo, nei suoi Carmina, parlava di donne che, con l’avanzare dell’età, si davano da fare per strappare dalla radice i capelli bianchi e per sradicare dalla faccia la pelle che tracciava il solco delle rughe. Ma Montaigne si stupiva, soprattutto, del fatto che ci fossero donne disposte a sottoporsi anche a forti sofferenze per abbellire l’aspetto esteriore: «Ne ho viste inghiottir sabbia, cenere, e travagliarsi di proposito fino a rovinarsi lo stomaco, per acquistare un colore pallido. Per ottenere un corpo snello alla spagnola, quali torture non soffrono, sostenute e incinghiate, piene di solchi nei fianchi, fino a intaccare la carne viva? Talvolta, anzi, fino a morirne». Ecco un interessante segno di mutamento della moda: al tempo di
Montaigne la bellezza femminile richiedeva il pallore del volto; oggi, mi pare, è più apprezzata l’abbronzatura, che attesta un fisico sportivo, la pratica del walking, lunghe permanenze sulla spiaggia, in piscina o in montagna. La sofferenza necessaria per l’abbellimento di sé si è poi senz’altro ridotta, ma non necessariamente annullata: diete e digiuni richiedono rinunce poco gradevoli; tatuaggi e piercing comportano pure qualche lieve dolore; ma la bella apparenza va pur sempre conservata. Se mai, ciò che differenzia la moda attuale dei regimi dietetici e delle pratiche salutistiche da quella del passato è che l’obiettivo non è solo la bellezza, ma anche – e forse soprattutto – la salute. Il corpo è diventato l’oggetto primario delle cure e delle ossessioni. Non è sempre stato così: in passato, le pratiche dei digiuni e tante sofferenze fisiche venivano accettate per la salvezza dell’anima, che era la
cosa più importante. Quante frustate si elargivano i santi Padri del deserto per resistere alle tentazioni! Il digiuno fino allo sfinimento, le penitenze e le flagellazioni, erano un tempo pratiche molto diffuse tra i credenti per garantire la salute dell’anima. Ma i tempi sono cambiati: oggi, mi pare, è tenuta in maggior conto la salute del corpo che quella dell’anima. È una nuova moda, ma pur sempre una moda. L’antropologo Dan Sperber paragonava le tradizioni, che si tramandano da una generazione all’altra, alle malattie endemiche; le mode invece, che si diffondono rapidamente in una o in molte culture, sono paragonabili – diceva Sperber – alle epidemie. Il paragone mi sembra calzante oggi più che mai: le malattie endemiche oggi diminuiscono con i progressi della medicina, e le tradizioni si perdono per l’estinzione della memoria e i cambiamenti sociali; al contrario, la velocità con cui si trasmet-
tono le nuove mode, dovuta anche alla formidabile spinta consumistica, evoca bene l’idea di epidemie successivamente dilaganti. Il paragone con le pestilenze epidemiche mi riporta poi alla mente il Dialogo della Moda e della Morte di Giacomo Leopardi – probabilmente il testo più sferzante che sia mai stato scritto sull’argomento. Come molti ricorderanno, in quel dialogo sarcastico e tetro fra le due figure dominanti dell’esistenza umana, la Moda si dichiara sorella della Morte, perché entrambe, anche se per vie diverse, hanno come scopo di rinnovare continuamente il mondo: « tu [Morte] fino da principio ti gittasti alle persone e al sangue; io mi contento per lo più delle barbe, dei capelli, degli abiti, delle masserizie, dei palazzi e di cose tali ». Da brave sorelle, moda e morte impongono entrambe la legge del tempo: un continuo perire e un perenne ricominciare.
lotta: il duca Georg II von SachsenMeiningen (1826-1914). Del resto è nella seconda metà dell’Ottocento che in Europa si scatena silenziosamente la cameliomania. Non passa inosservato il bel rosa sgargiante della varietà Sarah Frost, ibridata in Pennsylvania nel 1841 e battezzata così in onore di una ballerina mormone del Missouri. Un giardiniere mi conferma l’età dei gloriosi esemplari di questo genere chiamato così da Linneo in onore di Georg Joseph Kamel, missionario gesuita e botanico ceco. E mi dice che «dietro la villa ci sono le altre camelie piantate dal duca». Intanto percorro i tunnel di agrumi. Salgo gli ultimi scalini ed entro in casa, chirurgico vado diretto a vedere «Amore e Psiche che si abbracciano: momento di azione cavato dalla fiaba dell’asino d’oro di Apuleio» come scrisse lo stesso Antonio Canova. Grazia infinita, mi siedo su una poltroncina di velluto vinaccia. Pezzo unico in marmo di Carrara – tranne le ali angeliche – sbarcato qui grazie al proprietario dell’epoca,
braccio destro di Napoleone e artefice di quasi tutta la collezione d’arte presente: Giambattista Sommariva (1762-1826). L’autore è Adamo Tadolini (1788-1868), allievo prediletto da Canova al quale è stato regalato il modello in gesso con l’autorizzazione a farne quante copie ne volesse del suo capolavoro esposto al Louvre. Creduta per anni l’originale, questa leggiadra scultura è nata tra il 1818 e il 1820 e poggia ora su un tavolino ovale di vetro. Si potrebbe scrivere un articolo solo sull’attimo catturato con il marmo che precede il bacio che risveglierà Psiche dal mortale sonno. E stare qui almeno mezzora, sospesi e storditi un pomeriggio di metà aprile. Le finestre aperte creano una corrente d’aria rara in altri musei, fuori fa capolino il cremisi di alcune camelie. Le mura sono di un gradevole lattementa. Già che ci sono butto un occhio, nella stanza accanto, al celebre Ultimo bacio di Romeo e Giulietta (1823) di Francesco Hayez. «Ah, der Kuss» sussurra una signora alla sua amica. C’è gente ma
non troppa, e poi gli otto ettari di giardino botanico aiutano a disperdere i visitatori. Non è solo questione di vastità però, più che altro è il modo in cui è congegnato questo giardino ibrido, metà all’inglese metà all’italiana: si trova inattesa, un’intimità con il luogo. Meritevoli inoltre le vecchie panchine sinuose per abbracciare il lago, la penisola di Bellagio, le Grigne innevate alle spalle. Ad ogni modo la folla arriverà tra non molto per le azalee potate appositamente in modo ondivago. Controllo sul taccuino le camelie ottocentesche annotate prima di partire: principessa Clotilde, Oscar Borrini, Contessa Tozzoni. L’immediatezza però supera la preparazione e rimango rapito dai petali della Camellia japonica Maria Bagnasco. Rosa tenue screziato occasionalmente di rosso distratto, tipo sciroppo di lamponi. Variegature delicate derivate, credo, da una mutazione genetica non rara per le camelie e molto apprezzate dagli amatori che le chiamano sport. Passatempo, adesso, di sicuro.
danno d’immagine, grave per un ambito creativo che già stenta a conquistare le simpatie del grande pubblico. Cresce, infatti, il disamore proprio, e persino esclusivamente per l’arte contemporanea. Mentre l’arte classica, l’impressionismo, l’espressionismo, il cubismo, come dire le epoche e le correnti codificate, possono contare su folle di visitatori, disposti ad affrontare, in coda, lunghe attese, ma certi di essere, poi, ricompensati dal contatto con dipinti, sculture, architetture rassicuranti. Qui, niente brutte sorprese. Bensì oggetti che rispettano quelle norme d’ordine estetico e persino morale, inculcate già dagli insegnamenti scolastici, e radicate nel bagaglio culturale del cittadino comune. Insomma, il bello che coincide con l’utile. Con ciò, dal canto loro, i luoghi e le manifestazioni dove va in scena l’arte contemporanea possono contare su un pubblico, se non numerosissimo, comunque fedele e influente, di frequen-
tatori, anche fisicamente riconoscibili. Una sorta di categoria umana a sé stante che, da un lato, incute soggezione, dall’altro alimenta ironie magari scontate. Un paio d’anni fa, in occasione di Art Basel, summit mondiale per collezionisti ed estimatori dell’arte contemporanea, la «Basler Zeitung» aveva pubblicato un decalogo dei comportamenti corretti, destinato al visitatore qualunque: per non perdere la faccia. Effettivamente qui, come alla Biennale di Venezia, alla Documenta di Kassel o alla Manifesta di Zurigo, ci si muove su un terreno insidioso. Dove la risata, lo sberleffo, addirittura l’indignazione sono reazioni primarie, ispirate al buon senso, per definizione virtuoso. Tuttavia, come sostiene Christian Saehrendt, storico dell’arte e docente all’università di Heidelberg, in queste reazioni anche la pigrizia mentale e i pregiudizi hanno la loro parte. Secondo lui, nei confronti del nuovo nell’arte
si applica il metro della comprensione, mentre si accetta di non capire ciò che avviene nelle scienze e nella tecnologia. Certo è, come sostiene anche Saehrendt, che i critici d’arte, i curatori di gallerie, con i loro discorsi fumosi e non rado politicamente tendenziosi, e relativi sprechi del danaro pubblico, non aiutano ad avvicinare a opere che, francamente, giustificano qualche perplessità. Certo bisogna dimostrarsi flessibili e curiosi, ma che fare di fronte a installazioni di calze e scarpe, sparse sul pavimento del Getty Museum di Los Angeles? O le caramelle, avvolte in carte colorate, in cui mi sono imbattuta, visitando il Museo d’arte contemporanea, inaugurato nel 2007 a New York, nella Bowery, quartiere in fase di riabilitazione anche sociale? L’edificio è splendido, firmato da Kazuyo Sejima e Ryue Nishizawa, archistar giapponesi. Ma, come adesso sta accadendo, rischia di diventare fine a se stesso. Un involucro senza contenuti.
A due passi di Oliver Scharpf Villa Carlotta a Tremezzo Oggi un classico delle gite primaverili, tappa un tempo dei viaggiatori del Grand Tour tra i quali i soliti Stendhal e Flaubert citati fino alla nausea e ora meta forse un po’ tanto turistica, di certo non originalissima. Eppure bando ai pregiudizi e agli snobismi di un avventuriero da divano a volte al limite dell’oblomovismo: non ci sono mai stato e un giro al lago di Como male non fa. Speriamo solo che non ci sia troppa gente. Guarda caso, proprio ora, in un bar di Menaggio, leggo su «La Provincia» che l’anno scorso ci sono stati duecentoventicinquemila visitatori, mentre quest’anno nel solo weekend pasquale, quattromilacinquantuno. Appena sceso dal bus eccola lì dall’altra parte della strada: dimora barocca sobria con facciata color rosacrema pallidissimo, scalinata a tenaglia, fontana in primo piano, cancello nero con su una C dorata. Villa Carlotta a Tremezzo (212 m) – la più famosa tra le ville lariane visitabili, nota soprattutto per la fioritura del mare di azalee e rododendri e per la
copia di Amore e Psiche del Canova – deve il suo nome alla principessa Carlotta di Prussia (1831-1855). È il regalo di nozze dei suoi genitori nel maggio 1850, ma la sua storia inizia intorno al 1690 per desiderio del marchese Giorgio Clerici (1648-1736). Il benvenuto lo dà Arione di Metimna a cavalcioni di un delfino dalla cui bocca zampilla un getto d’acqua. Raffigurato qui come un putto alato, il cantore e citarista greco inventore tra l’altro del ditirambo, minacciato di morte dai marinai durante il viaggio tra Taranto e Corinto, viene infatti salvato in mare da un delfino. Nello specchio d’acqua della fontana settecentesca vivono svogliati dei pesciolini rossi; sul fondo, immobili come nel gioco delle belle statuine, diverse rane. Salgo le scale e alla prima grotta in rocaille, un’ammucchiata di tartarughe sorprende. Becco subito lo stretto viale ghiaioso con le rare camelie ultracentenarie, altissime e potate come siepi. Dovrebbero risalire alla passione botanica del precoce vedovo della principessa Car-
Mode e modi di Luciana Caglio Quel nuovo che disorienta In una sala, dedicata all’arte contemporanea, del museo di San Francisco, uno studente fa cadere, intenzionalmente, un paio di occhiali. Per poi osservare le reazioni dei visitatori, chia-
The New Museum of Contemporary Art a New York. (Wikimedia)
ramente imbarazzati di fronte a quel che poteva essere un semplice oggetto, da raccogliere e consegnare all’ufficio cose smarrite, o, invece, un’opera d’arte, da ammirare e non toccare. L’episodio, riportato recentemente dalle cronache mondiali, ha fatto notizia soltanto fino a un certo punto. Non era, infatti, una primizia. Rientrava, anzi, nella categoria, sempre più affollata, di casi in cui un oggetto in mostra rischia una fine ingloriosa. Come avvenne, una decina d’anni fa, alla Tate Modern di Londra, quando un’opera, prestigiosamente firmata, fu spazzata via da un ignaro addetto alle pulizie. Si può ormai parlare di incidenti all’ordine del giorno, provocati da opere d’arte che si presentano in forme insolite, alle quali bisogna fare l’occhio. O il piede. Collocate per terra, diventano un inciampo. Al di là del danno materiale, del resto coperto da adeguate polizze assicurative, questi incidenti rappresentano un
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Ambiente e Benessere L’essenza della rugiada Sono «solo» goccioline ma anche una fonte idrica preziosa per intere regioni
Da Copacabana al Machu Picchu Perù e Bolivia saranno le mete principali del nuovo viaggio organizzato da Hotelplan per i lettori di «Azione» pagina 18
Turismo sostenibile Il cambiamento climatico costringe i viaggiatori a mostrarsi più responsabili pagina 19
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I colori della nostra Terra 50 scatti fotografici in mostra al Museo di storia naturale di Lugano, fino al 13 maggio
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In viaggio con la mente
Salute L’ipnosi medica permette alla persona
di attingere consapevolmente alle proprie risorse
Maria Grazia Buletti Ipnosi è una parola che ancora oggi fatica a superare le barriere culturali occidentali, al contrario di altre terapie complementari come, ad esempio, l’agopuntura. Complice quella che la dottoressa internista e ipnoterapeuta consulente all’EOC Nicole Ferrera Espinosa definisce come «ipnosi da circo», nell’immaginario comune i pregiudizi si posano anche sull’ipnosi medica. La nostra interlocutrice subito puntualizza: «L’ipnosi medica non è ipnosi da circo. L’ipnosi medica è una terapia breve e orientata alla ricerca del benessere del paziente attraverso il suo controllo totale della situazione, istante dopo istante». L’ipnosi medica è in antitesi con l’anestesia ed è l’esatto contrario della perdita di controllo di sé: «Si tratta di restituire al paziente il controllo totale di certe situazioni che prima lo rendevano ansioso o in difficoltà. Non ci si mette dunque «nelle mani di qualcuno», sebbene la fiducia reciproca fra paziente e terapeuta sia essenziale per poterlo accompagnare in un mondo diverso dal solito». La dottoressa Ferrera considera l’ipnosi medica «la scoperta dell’acqua calda»: «Il mondo medico ha sempre accettato l’ipnosi in modo implicito, in quanto essa corrisponde semplicemente all’effetto placebo dei farmaci: nei pazienti, una molecola inerte ha effetti indesiderabili ed effetti terapeutici, tutti legati a una componente di autoipnosi. Prima di essere immesso sul mercato, qualunque farmaco deve dimostrare la propria efficacia contro il placebo e deve essere perciò più efficace dell’autosuggestione». La nostra mente ha enormi risorse a cui attingere e un grande potere che spesso è sottovalutato o che ignoriamo: «Tutti sono ipnotizzabili perché la trance ipnotica è uno stato fisiologico della mente che ogni 90 minuti permette al nostro cervello di entrare in autoipnosi. Ciò corrisponde, ad esempio, al guidare su un percorso noto pensando ad altro, rendendoci poi conto che arriviamo comunque a destinazione. Il corpo fa qualcosa mentre la mente fa qualcos’altro, ma il risultato è quello che ci siamo prefissati». L’ipnosi medica è oggi praticata sempre più negli ospedali come terapia complementare alla medicina, in una presa a carico del paziente attraverso un modello unicista olistico per il quale
il tutto è più grande della somma delle parti: «La medicina tradizionale si è concentrata a lungo sull’aspetto dualista corpo-mente e ci si è occupati del corpo in modo sempre più iper specialistico. Oggi si legge il funzionamento di una persona in un modello bio-psico-sociale nel quale il corpo e la mente collaborano e si influenzano mutualmente di continuo». Ipnosi medica in aiuto alla medicina, come avviene all’Ente Ospedaliero Cantonale per quanto attiene ai problemi di claustrofobia di alcuni pazienti sottoposti a Risonanza Magnetica, e nella terapia del dolore: «Fino ad ora abbiamo proposto l’ipnosi medica come sostituzione alla sedazione in risonanza magnetica a una cinquantina di pazienti, di cui il 90% ha affrontato con successo la valutazione radiologica». La dottoressa Ferrera sottolinea che «non si tratta di una terapia in alternativa a quelle mediche, ma vi si inserisce in modo armonioso: ogni cosa ha una sua ragione di essere e non si propone l’ipnosi invece di una terapia farmacologica necessaria. La si coadiuva, per contro, assicurandoci di praticarla nei nostri campi di competenza che, per quanto mi riguarda, sono medicina interna e psicosomatica». Le applicazioni di ipnosi medica negli ambiti della nostra interlocutrice, che dice comunque di averla sperimentata su se stessa nell’affrontare il travaglio e il parto, spaziano dal trattamento del dolore cronico, ai disturbi del sonno, malattie infiammatorie, dermatologiche, problemi digestivi, patologie legate all’ansia («dove non vi sia una componente di ulteriore complessità che diventa di competenza dello psichiatra»), fino ai bambini con difficoltà di concentrazione, adulti con dipendenza da tabagismo, difficoltà di adattamento di pazienti con malattie croniche e via dicendo. «Accompagno la persona in un percorso di ricerca delle risorse interiori che già possiede e nella gestione delle sue emozioni: è importante essere consapevoli della normalità delle emozioni che ci attraversano, bisogna sentirle, accettarle senza lasciarsi invadere da esse e trovando gli strumenti per poterle gestire. Ciò avviene per esempio anche con le tecniche di piena coscienza». La dottoressa Ferrera dice di incoraggiare il dubbio e lo spirito critico con cui i pazienti si potrebbero avvicinare all’ipnosi medica: «Propongo consultazioni al termi-
La dottoressa internista e ipnoterapeuta consulente all’EOC Nicole Ferrera Espinosa. (Vincenzo Cammarata)
ne delle quali invito il paziente a dirmi se ritiene oggettivamente utile ciò che facciamo, con lo scopo di effettuare il minor numero di sedute possibile e fissando gli obiettivi nel rispetto della sua autonomia personale». Abbiamo assistito a una seduta durante la quale abbiamo constatato che il paziente resta sveglio e vigile, decidendo in modo autonomo come vuole seguire i suggerimenti del medico che pratica l’ipnosi: «Non importa se mentre parlo il paziente pensa a tutt’altro, ma importa che abbia percezioni gradevoli, perché il suo istinto porterà le immagini giuste al momento opportuno. Incoraggio le persone a ricordare ciò che in consultazione reputano utile per loro, registro la seduta e la consegno loro perché siano autonomi negli esercizi da ripetere a casa ogni volta che vorranno. Più si applica l’ipnosi e meglio funziona; esercitarsi a casa automatizza l’uso delle risorse personali che si scoprono in consultazione».
Negli ultimi anni le neuroscienze hanno sviluppato sofisticate tecnologie per lo studio e la comprensione del funzionamento del cervello: «In questo ambito, l’ipnosi medica e la sua efficacia sono dimostrabili e dimostrate: le neuroscienze ci spiegano infatti come funziona, e che le parti del cervello attivate in ipnosi sono le stesse che si attivano nella vita reale». Dunque, il cervello non fa distinzione fra realtà e ipnosi: «Esso considera reale l’esperienza ipnotica e su ciò costruisce qualcosa di positivo: sono stato in grado di controllare una situazione e ora so che ce la potrò fare di nuovo». Il paziente ideale che beneficerà dell’ipnosi medica è una persona apertamente curiosa verso qualcosa di nuovo, anche se vecchio come il mondo, e una persona critica e allo stesso tempo motivata che si eserciterà. Gli strumenti dati non sono una terapia, né una bacchetta magica che permette di modificare qualcosa: sono tecniche che il paziente sceglierà in funzione della
loro utilità e che straordinariamente gli permetteranno di scoprire la sensazione di aver fatto qualcosa di inaspettato e di grande (ndr: come ad esempio aver superato la claustrofobia da Risonanza). Allora avrà la consapevolezza di poter riuscire a fare chissà cos’altro di inaspettato, rendendosi conto delle proprie risorse e guardando con fiducia al futuro».
Video intervista Sul canale Youtube di «Azione» e su www.azione.ch la videointervista alla dr.essa Nicole Ferrera Espinosa.
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Ambiente e Benessere
Fichi d’India e deserti rugiadosi Ecosistema Sebbene occulta, la rugiada è un’essenziale fonte di rifornimento idrico. Ettolitri di acqua che nessuno
strumento può registrare Alessandro Focarile Ustica, con una superficie di otto chilometri quadrati, è un’isoletta vulcanica a Nord di Palermo, in Sicilia. È il mese di aprile, l’epoca propizia per realizzare un’esplorazione naturalistica dell’isola, che si esprime con il giallo delle cespugliose euforbie, delle esili férule (cugine dei finocchi), e delle sgargianti ginestre. Il tutto circondato da un mare di cobalto. Qui regna il fico d’india (Opuntia ficus-indica), una vistosa e singolare cactacea caratteristica per il suo sviluppo cespuglioso e per le sue grandi «pale» prive di foglie. Con innumerevoli fiori gialli che, durante la prossima estate, si trasformeranno in scialbi frutti dolciastri, con molti semi e pericolosamente spinosi. Originaria del Messico, reminiscenza dei primi conquistatori spagnoli (che credevano di trovarsi nelle «Indie occidentali»), l’opuntia si è rapidamente diffusa e naturalizzata lungo tutte le coste del Mediterraneo fino a divenire emblematica del paesaggio. E spingendosi verso Nord a occupare le aride pendici nel Sud Tirolo (Alto Adige) e in Valtellina, lungo le rotte degli uccelli migratori, veicolatori dei semi dalle coste del Mediterraneo.
Nelle zone desertiche, come il Sahara, è l’unica fonte di alimentazione delle falde freatiche profonde È ottima come frangivento e per delimitare i confini delle proprietà, formando una barriera impenetrabile. Dopo una notte calma e serena, le «pale» condensano notevoli quantitativi di acqua sotto forma di rugiada, e questa è quanto basta per lavarsi al mattino. È «acqua dolce» che ha origine da un mare di «acqua salata». Chi ha montato la tenda nel bosco, in riva al mare, oppure attraversa un prato di prima mattina, conosce la rugiada. «Anche la superficie della mia tenda l’ho trovata bagnata al mattino» scriveva Umberto Mònterin durante la sua spedizione scientifica nel Sahara libico del 1938. Infatti, le regioni desertiche e le montagne oltre una certa altitudine, sottoposte a un brusco ricambio termico della temperatura al suolo tra il giorno e la notte (che può raggiungere i 60°C), presentano tutte le condizioni che favoriscono la condensazione notturna del vapore acqueo, la sua trasformazione in rugiada, il suo deposito sugli affioramenti rocciosi, al suolo e sulla vegetazione sotto forma di goccioline. Si tratta di migliaia di ettolitri
Una ragnatela ricca di gocce di rugiada in un ambiente arido (pxhere.com ); sotto, una fotografia di rugiada vista al microscopio (Alessandro Focarile)
di acqua dolce che nessuno strumento può registrare. Ma, nondimeno, costituiscono un notevole e prezioso apporto al bilancio idrico di una regione. Nelle zone desertiche, come il Sahara, è l’unica fonte di alimentazione delle falde freatiche profonde, come ebbe la possibilità di verificare Mònterin (1938) nel deserto libico. Esperienze condotte in talune regioni caratterizzate da particolari condizioni climatiche e di terreno, hanno dimostrato che la formazione della rugiada può talvolta superare la quantità delle precipitazioni registrate dai pluviometri (strumenti per raccogliere e calcolare la quantità di pioggia e di neve). E questo può verificarsi in modo particolare nel Sahara, deserto che è stato considerato come un tipico bacino collettore di assorbimento del vapore acqueo. Un apporto non indifferente alle riserve idriche nel sottosuolo viene fornito dalle precipitazioni occulte (Mònterin 1938). La grande superficie di condensazione di questo deserto, con la sua area di migliaia di chilometri quadrati, e la
durata pluri-millenaria del fenomeno, possono ben spiegare l’origine delle falde freatiche profonde, senza ricorrere a una ipotetica origine sotterranea delle stesse. Le quantità di rugiada possono variare da uno a tre millimetri (un millimetro è uguale a un litro d’acqua per metro quadrato). Quantità che si aggiungono all’eventuale e aleatoria quantità di pioggia. Con la fondamentale differenza che la rugiada è permanentemente assicurata, mentre le precipitazioni meteoriche sono notevolmente precarie e irregolari. Insetti, ragnatele, e rugiada. Animali e piante, che popolano le zone aride e desertiche presenti sulla Terra, hanno elaborato nel corso della loro evoluzione efficaci meccanismi fisiologici per utilizzare la rugiada. Nell’Africa meridionale esiste una vasta regione desertica che si affaccia sull’oceano Atlantico. È la Namibia, una terra che si estende lungo una fascia di 1500 chilometri e larga fino a 150 chilometri: un deserto immutato da 80 milioni di anni; l’età giurassica dei dinosauri, tuttora uno zoo di arcaici esseri viventi. Il deserto più arido e desolato tuttora esistente, che riceve dieci miseri millimetri di pioggia all’anno. Eppure, anche in situazioni ambientali così estreme, c’è vita vegetale e animale grazie alla rugiada notturna che consente la sopravvivenza in questi luoghi. Un esempio è offerto dalla presenza di 200 specie di coleotteri: i tenebrionidi. Singolari esseri «deserticoli», che sono evoluti attraverso milioni di anni, realizzando sofisticati meccanismi fisiologici di sopravvivenza. La loro unica fonte di alimentazione è costituita dai detriti vegetali trasportati dal vento, e la loro unica fonte di acqua è la rugiada notturna. Essi inclinano il corpo verso il capo, e le goccioline di rugiada condensate sulle elitre raggiungono la bocca! Il più grande pericolo, che le for-
miche incontrano nell’ambiente che le ospita, non è l’eccesso di caldo oppure di freddo, o l’annegamento (la maggior parte può vivere sott’acqua per ore, oppure addirittura per giorni), ma la siccità che provoca la letale disidratazione. Le colonie della maggior parte delle specie hanno bisogno di un’umidità ambientale più elevata di quella presente nell’aria esterna. Possono morire entro poche ore se sono esposte a un’aria molto secca. Per tale motivo, talune specie di formiche realizzano una varietà di tecniche (alcune rasentano la bizzarria) per innalzare e regolare l’umidità dell’aria nel nido. Per esempio: i monticelli sembrano essere costruiti per mantenere non solo la temperatura, ma anche l’umidità entro limiti tollerabili all’interno del formicaio. Inoltre, le operaie nutrici spostano continuamente le uova e le larve attraverso i corridoi verticali per assicurare l’umidità ottimale. Una forma di regolazione molto differente dell’umidità è praticata da una formica cacciatrice gigante dell’America centro-meridionale. Durante la stagione secca, le colonie che vivono in ambienti aridi, sono in costante pericolo di disidratazione. Per tale motivo, squadre di formiche operaie compiono ripetuti viaggi per raccogliere la rugiada dalla vegetazione prossima al nido. Conservano le goccioline tra le mandibole spalancate senza rompere la membrana di tensione superficiale delle stesse, e le trasportano nel nido alle compagne assetate. L’acqua che avanza viene quindi offerta alle larve, cosparsa sui bozzoli che contengono i futuri adulti. Grazie a queste brigate di «addette ai secchi», le foraggiatrici mantengono la parte interna del nido molto più umida del suolo circostante (Hölldobler & Wilson 1997). Il sistema Warka-Water, progettato e realizzato dall’architetto italiano Arturo Vittori in Etiopia, ha la forma
stilizzata di un albero, grazie a speciali reti che richiamano la condensazione della rugiada sulle ragnatele dei ragni. Appositamente ideate per un’alta efficacia di condensazione, queste strutture sono in grado di produrre fino a 100 litri di acqua al giorno ottenuti dall’atmosfera per condensazione notturna del vapore acqueo in ambienti aridi come quelli presenti in Etiopia. (Mancuso 2017). Persino strutture all’apparenza delicate, come sono le ragnatele, possono essere motivo di ispirazione per realizzare strumenti tecnicamente perfetti per ottenere acqua. Per molti secoli, fin dall’epoca dei Sumeri (5mila anni or sono), queste tecniche a lungo dimenticate, hanno fornito l’approvvigionamento di acqua alle popolazioni stanziate in molte aree del Medio Oriente, e hanno consentito la sopravvivenza dell’uomo anche in zone inospitali come il Sahara. Dalle «pale» dei fichi d’India e dall’ispirazione tratta dalle ragnatele, molte sono le opportunità che offre la Natura all’uomo assetato. «Le parti dirette delle loro foglie stanno volte verso il cielo per ricevere il nutrimento della rugiada che cade la notte» (Leonardo da Vinci 1452-1519). Bibliografia
Bert Hölldobler e Edward O. Wilson, Formiche. Storia di un’esplorazione scientifica, Adelphi Edizioni (Milano) 1997, 350 pp. Leonardo da Vinci, Trattato della pittura. Condotto sul Codice urbinate:1270. Ristampa anastatica, Newton Compton Editore (Roma) 2015, 324 pp. Stefano Mancuso, Plants Revolution. Le piante hanno inventato già il nostro futuro, Giunti Editore (Firenze) 2017, 265 pp. Umberto Mònterin, Questioni termiche e idrologiche del deserto libico, Bollettino Società Geologica Italiana (Roma), 1938, 116-150.
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Date di viaggio 2018 20.4., 24.4., 25.4., 28.4., 30.4., 4.5., 27.5., 30.5., 14.6., 28.7., 8.8., 5.9., 26.9., 30.9., 8.10., 16.10., 22.10.18
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 16 aprile 2018 • N. 16
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Ambiente e Benessere
Quattro passi in Chiapas Reportage Alla scoperta del Messico meno noto tra rituali, corsi d’acqua e centri abitati
Simona Dalla Valle, testo e foto «Messico e nuvole, la faccia triste dell’America, il vento insiste con l’armonica, che voglia di piangere ho» così recita la nota canzone Messico e nuvole. Amata meta turistica che da sempre attrae visitatori da tutto il mondo, il Messico offre molto al di là delle rovine Maya e delle spiagge dalle acque cristalline. Oltre ai siti archeologici di Palenque e Teotihuacán e alla sabbia bianca dello Yucatan, all’atmosfera sospesa dei cenotes e al brulicare delle strade di Città del Messico, vi sono zone meno battute ma non per questo meno dense di storia, cultura e bellezze naturalistiche. Un esempio del perfetto connubio di tali aspetti contrastanti è la regione del Chiapas, la quale riunisce graziosi centri urbani e antiche tradizioni incontaminate circondate da foreste rigogliose.
Da San Cristóbal de las Casas alla natura incontaminata di Roberto Barrios passando per la comunità zapatista di Oventik Antico capoluogo del Chiapas e abitata da oltre 180mila persone, San Cristóbal de las Casas (nella foto grande; su www. azione.ch una galleria fotografica più ampia) è una cittadina dall’affascinante architettura coloniale sviluppatasi a 2200 metri di altitudine, in una valle circondata dalle montagne. Quassù le comunità autoctone e occidentali coesistono. La città si sviluppa attorno allo Zócalo, la piazza principale circondata da alberi, negozi di artigianato locale (di tessuti, articoli e gioielli in ambra, e si vendono pure cioccolato e caffè) e cooperative. Qui domina un’imponente cattedrale in stile barocco. La specialità locale, il pox (pronunciato «posh») è una bevanda liquorosa a base di mais e zucchero di canna, e oltre a essere apprezzata dai turisti è utilizzata per suggellare una fratellanza o un rituale. Un breve ma tortuoso tratto di strada tra le colline verdeggianti a bordo di un minibus colectivo conduce al centro del villaggio di San Juan Chamula, dove i colori sgargianti delle maioliche della chiesa e il bianco della facciata contrastano con il grigiore delle case in adobe (mattoni di argilla) e della piazza circostante. Il santuario è noto per i quantomeno inconsueti rituali religiosi che vi si svolgono, ma chi si aspetta di trovarsi in un luogo turistico dovrà ricredersi: all’interno è rigo-
rosamente vietato utilizzare macchine fotografiche e cellulari, pena l’immediata espulsione, e i pochi stranieri osservano in rispettoso silenzio. Il pavimento della semibuia navata centrale è cosparso di aghi di pino e vistose statue di santi; l’aria, densa di incenso. I fedeli sono seduti a gruppi e pregano ad alta voce circondati da migliaia di candele accese, bottiglie di bevande gassose per «ruttare» gli spiriti maligni e sacchetti di plastica che… sembrano muoversi. Già, perché al loro interno vi sono polli e galline che ignari attendono la propria fine, sacrificati da un «curatore» al termine di una lunga preghiera simile a un mantra. Le comunità di maya tzotzil praticano ancora oggi riti e sacrifici di animali in nome di una religione che affianca le tradizioni preispaniche a quelle cattoliche, spesso allo scopo di contrastare una malattia o un malocchio o a portare fertilità. Poco più a ovest di Chamula si trova il paese di San Lorenzo Zinacantán, che in lingua nahuatl significa «pipistrello». Il sangue di pipistrello è utilizzato dagli sciamani del Chiapas per curare gli ammalati, e in molti ne
tengono in tasca le zampe per proteggersi dagli spiriti maligni. I quattromila abitanti del villaggio non hanno dismesso gli abiti tradizionali: gli uomini indossano tuniche rosa a motivi floreali, le donne abbinano bluse finemente ricamate a scialli di colore rosa o viola. Il territorio di San Andrés Larráinzar, alcuni chilometri più a nord, è disseminato di serre: qui si coltivano varietà di frutta, cereali e verdura, e i motivi floreali sono ripresi nell’abbigliamento degli abitanti. La tessitura del paese riproduce le visioni del mondo Maya nei quattro colori principali, i colori del mais, simbolo di (ri)generazione: nero, rosso, bianco, e giallo. Larráinzar è una delle comunità autonome della regione, come il più celebre caracol (in spagnolo, «lumaca» – simbolo di resistenza e immagine di ciò che si può conquistare lentamente e con perseveranza), quello di Oventik. Il rapporto instabile tra le comunità chiapatecas e il governo messicano è riassunto nell’eloquente cartello posto sulla Carretera Federal 307, all’ingresso della comunità: «Está usted en territorio Zapatista en rebeldía. Aquí man-
da el pueblo y el Gobierno obedece» («Vi trovate nel territorio zapatista ribelle. Qui comanda il popolo, e il governo obbedisce») con riferimento al movimento rivoluzionario guidato dal Subcomandante Marcos che dal 1994 lotta per i diritti degli indigeni del Chiapas. Due guardie all’ingresso della comunità, il viso coperto da un passa-
montagna, scortano i rari visitatori attraverso un villaggio ricco di murales inneggianti alle figure di Zapata e Che Guevara. Vi sono due scuole, una clinica, campi da gioco e persino cassonetti per la raccolta differenziata. Un’altra comunità zapatista è quella di Roberto Barrios, non lontano da Palenque, la quale gestisce le meravigliose cascate dallo stesso nome. Meno affollate rispetto a quelle più turistiche e colme di bancarelle di Agua Azul e Misol Ha, le rive del fiume sono ricche di una vegetazione intatta, con grotte sotterranee e pozze nascoste, e popolate da colibrì e scimmie urlatrici. Tra i panorami naturali mozzafiato del Chiapas non si può non citare il Cañón del Sumidero. Dalla capitale chiapateca Tuxla Gutierrez si raggiunge il porticciolo del comune di Chiapa de Corzo; da qui ci si imbarca su una lancia con la quale si può risalire il fiume Grijalva e attraversare il canyon in circa tre ore. La varietà di animali abbonda e la natura è selvaggia e affascinante, anche se tutt’altro che incontaminata: nel centro del fiume galleggiano centinaia di rifiuti in plastica e la visione idilliaca di coccodrilli, aironi, tucani e scimmie stride con l’eccesso di immondizia che dalle aree urbane circostanti viene portata a valle dalle piogge.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 16 aprile 2018 • N. 16
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Ambiente e Benessere
I tesori delle Ande
di CHF 50.– M Carta acquisti Migros del valore ro il 11 maggio 2018 (per camera) per prenotazioni ent
Viaggio Per i lettori di «Azione», Hotelplan organizza 17 giorni
Tagliando d’iscrizione
di esplorazione attraverso Perù e Bolivia, dall’8 al 24 agosto 2018 Le più importanti attrazioni turistiche del Perù e della Bolivia saranno le mete principali del nuovo viaggio organizzato da Hotelplan per i lettori di «Azione». Diciassette giorni che prendono il via dalla capitale peruviana: Lima, proclamata patrimonio dell’umanità dall’UNESCO. Qui si visiterà il centro storico della cosiddetta ciudad de los reyes, perché fu sede dei viceré spagnoli durante il periodo coloniale. Fulcro del centro è la Plaza Mayor (antica Plaza de Armas), dove si visiteranno la cattedrale e il suo museo religioso e si potranno ammirare il Palazzo del Governo ed il Palazzo
Comunale. Si prosegue per il Museo Larco, il più bel museo archeologico del Perù. Risalendo il Perù dalla costa del Pacifico si farà tappa in due città fuori dai circuiti turistici: Trujillo, sede delle rovine archeologiche della città di Chan Chan e le huacas (santuari monumentali) del Sol y de la Luna, e Chiclayo, che ospita lo straordinario museo Tumbas reales de Sipàn. Si proseguirà per Batàn Grande, dove si visiteranno la Huaca de las Ventanas (un santuario monumentale di epoca Moche) e lo spettacolare bosco secco di Pomac, gigantesco polmone verde nel deserto, oasi protetta
dove si annidano innumerevoli specie di uccelli tropicali. Ma non possiamo qui descrivervi tutto per motivo di spazio. Aggiungiamo che il volo su Arequipa porterà poi i viaggiatori alla scoperta del sud del Paese. Visita a Puno e al lago Titicaca. Seguirà l’attraversamento della frontiera con la Bolivia per raggiungere via lago la cittadina di Copacabana e poi via terra la capitale La Paz, una metropoli incredibile caratterizzata da uno sviluppo in verticale con uno scenario naturale arricchito da cime innevate. Si raggiungeranno in seguito le Ande con la visita di
Il programma di viaggio Mercoledì, 8 agosto 2018 Ticino - Milano - Lima Giovedì, 9 agosto 2018 Lima, giornata relax Venerdì, 10 agosto 2018 Lima, visita del centro storico, trasferimento per Trujillo Sabato, 11 agosto 2018 Trujillo, visita delle rovine e della città Domenica, 12 agosto 2018 Trujillo - Chiclayo - Batàn Grande - Pomac
Lunedì, 13 agosto 2018 Volo per Arequipa Martedì, 14 agosto 2018 Arequipa, visita del centro storico Mercoledì, 15 agosto 2018 Arequipa - Sillustani - Puno Giovedì, 16 agosto 2018 Puno - Bolivia - Isola del Sole Venerdì, 17 agosto 2018 Isola del Sole - Huatajata Sabato, 18 agosto 2018
Tiahuanaco - La Paz Domenica, 19 agosto 2018 La Paz - Valle sacra degli Incas Lunedì, 20 agosto 2018 Valle sacra degli Incas - Aguas Calientes Martedì, 21 agosto 2018 Aguas Calientes - Machu Picchu - Cusco Mercoledì, 22 agosto 2018 Cusco, visita dei rioni storici e rovine Incas Giovedì, 23-24 agosto 2018 Cusco - Lima - Milano
Bellinzona
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Viale Stazione 8a 6500 – Bellinzona T +41 91 820 25 25 bellinzona@hotelplan.ch
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Cusco e Machu Picchu, splendide città dove è forte l’influenza dell’architettura degli Incas, in un ambiente circondato dalle vette della catena delle Ande e dai coloratissimi mercati degli indios. Una delle tappe più emozionanti del viaggio. Per avere altre informazioni vi invitiamo a consultare il sito internet www. azione.ch dove sarà possibile scaricare il programma completo.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 16 aprile 2018 • N. 16
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Ambiente e Benessere
Chiediamo troppo?
L’arte di togliere Bussole I nviti
Viaggiatori d’Occidente Tutto il turismo dev’essere sostenibile e responsabile
a letture per viaggiare
Claudio Visentin Luke Dale Roberts, il più famoso chef del Sudafrica, ha cominciato a servire le sue ricette su eleganti fogli di carta monouso con una cornice; in questo modo evita di lavare cinquemila piatti alla settimana e risparmia acqua. Inoltre chiede ai suoi ospiti di usare le stesse posate per le varie portate, una bestemmia in un locale di lusso come il suo. Benvenuti a Città del Capo, la più importante destinazione turistica del Sudafrica grazie alla sua storia coloniale, alle memorie di Nelson Mandela e della lotta all’Apartheid, alla natura, alle spiagge, alla vita notturna. Purtroppo dopo tre anni di siccità, la peggiore di sempre, la città sta finendo le sue scorte idriche. Il Giorno Zero, quando dai rubinetti non uscirà neppure una goccia d’acqua, era stato fissato dapprima al 15 aprile, poi è stato spostato un poco in avanti: prima all’11 maggio, poi al 4 giugno, infine al 9 luglio. Questo primo risultato è stato possibile grazie agli sforzi di tutti per risparmiare acqua, tanto che in pochi mesi i consumi sono più che dimezzati. Come si fa? Docce non più lunghe di tre minuti, meglio ancora trenta secondi, anzi perché non lavarsi in mare? E poi sapete quanta acqua usate ogni volta che azionate lo sciacquone? A Città del Capo tutti conoscono la risposta (tredici litri) per questo lo fanno solo quando… ci siamo capiti. Si dirà: perché i turisti non stanno a casa loro, finché manca l’acqua? La risposta è semplice: garantiscono 320mila preziosi posti di lavoro. Meglio allora considerare Città del Capo come una palestra, un’anticipazione del mondo che verrà, dal momento che la situazione è simile in almeno altre centoventi città del mondo. E non pensate a piccole città di provincia; stiamo parlando di Città del Messico, Tokyo, Delhi. Negli Stati Uniti Los Angeles viene da sei anni di siccità. Tutta l’Europa mediterranea poi, prediletta dai turisti ma semi-arida, ha gli stessi problemi. Anche il turismo ha le sue responsabilità. Nel 2016, secondo «UNWTO Tourism Highlights», gli arrivi internazionali sono stati 1 miliardo e 235 milioni, mai così tanti. Il 55% dei viag-
«Uno dei migliori momenti del cammino è quando, rimesso lo zaino in spalla, ripreso il bastone in mano, volgi un ultimo sguardo al luogo della sosta. Un gesto di commiato prima di riprendere la via. Bisogna voltarsi, e fermarsi ancora un attimo. Per esser certi di non lasciare tracce, perché il viandante è un viaggiatore a impatto zero, dove lui passa tutto resta immutato, dietro di sé solo le sue orme… Così, riponi ogni cosa nello zaino e riparti leggero, la tua ‘casa’ sulle spalle. Hai tutto quello che ti serve, ogni peso l’hai lasciato al principio del tuo viaggio. Perché l’arte di camminare è l’arte di togliere…».
Le compagnie low cost hanno cambiato il nostro modo di viaggiare, ma non sempre in meglio. (Adrian Pingstone)
giatori è giunto a destinazione in aereo, con ovvi impatti sulle emissioni di CO2. Questo vuol dire che un volo su due è riservato ai turisti, mentre i viaggi di lavoro contano solo per il 13%. Nel frattempo in Canada (a Victoria, nella Columbia Britannica) è stata organizzata la prima conferenza nazionale sul turismo sostenibile. Il 2017 è stato il miglior anno di sempre per il turismo canadese, superando di oltre un milione di visitatori il record precedente, anche grazie alla politica di Trump che ha deviato verso nord molti turisti diretti negli Stati Uniti. E se Trump ha ritirato gli USA dagli Accordi di Parigi, in Canada invece nessuno dei presenti ha messo in dubbio il cambiamento climatico in corso, né le responsabilità umane, turisti compresi. Al contrario – si è detto – proprio i periodi positivi consentono decisioni coraggiose per mitigare gli effetti del cambiamento climatico (incendi nei boschi, scioglimento dei ghiacci ecc.) e proteggere la natura selvaggia, anche a costo di ridurre il numero di turisti. Questa consapevolezza purtroppo non è ancora diffusa. E dunque se l’in-
dustria turistica e i governi fanno troppo poco per la sostenibilità, dovremmo alzare la voce come consumatori, prima che sia troppo tardi. Alcune utili indicazioni vengono da una delle maggiori organizzazioni di operatori del settore, il World Travel and Tourism Council. Il WTTC ha recentemente lanciato la campagna «Chiediamo troppo?» (toomuchtoask.org), proponendo ai turisti di impegnarsi in prima persona, anzi di stringere un vero e proprio patto, per esempio chiedendo agli organizzatori dei nostri viaggi cosa fanno per l’ambiente e la società, scegliendo poi chi dà le risposte più convincenti. Altri suggerimenti? Informarsi in modo adeguato prima della partenza, sforzarsi di comprendere e rispettare la cultura dei Paesi visitati; adeguarsi alle consuetudini quotidiane, per esempio riguardo al modo di vestire o alla religione; non visitare luoghi sacri senza aver ricevuto il permesso; acquistare sempre cibo e servizi dai produttori locali. Sul piano della sostenibilità ambientale, dovremmo compensare l’anidride carbonica emessa nel nostro viaggio, ridurre il consumo d’acqua dove è scarsa, utiliz-
zare meno plastica possibile smaltendola in modo adeguato, non partecipare ad attività che causano sofferenza agli animali. Per quanto difficile, il cammino è chiaro. Il turismo sostenibile e responsabile non è più una nicchia di mercato, magari di lusso; ne abbiamo bisogno sempre, anche nelle destinazioni più popolari. La trinità introdotta dalle compagnie low cost – viaggi frequenti, lontano e a poco prezzo – non è sostenibile neppure nel medio termine e va semplicemente ribaltata: viaggiamo meno, ma restiamo più a lungo nei luoghi visitati; alterniamo lunghi viaggi internazionali alla scoperta dei Paesi vicini e al turismo di prossimità, nel proprio cantone e in quelli confinanti; accettiamo che la sostenibilità ha un costo. È un nuovo stile di viaggio imposto dalla situazione, per ora in casi estremi come Città del Capo, ma presto ovunque; al tempo stesso tuttavia è anche un modo di viaggiare lento, profondo, interessante, coinvolgente. È il turismo di domani, se vogliamo che ci sia un domani.
Un turismo sostenibile è per definizione un turismo leggero. E nell’intraprendere un percorso verso la leggerezza, quale miglior esercizio di preparare lo zaino? Anche per un lungo viaggio di un mese, lontani da casa, abbiamo a disposizione meno di dieci chili di peso (ancora meglio fermarsi a sette/otto). Per questo bisogna dare il giusto peso alle cose, lavorare per sottrazione, eliminando l’inutile e imparando a riconoscere l’essenziale; perché, come ha scritto Henry David Thoreau, «Un uomo è ricco in proporzione al numero di cose delle quali può fare a meno». Questo piccolo libro può essere d’aiuto. Racconta storia e curiosità di tanti piccoli oggetti, insignificanti nella vita quotidiana, eppure così preziosi di fronte alle difficoltà del cammino: il bastone, la matita, il taccuino, i cerotti, i tappi per le orecchie, la spilla da balia, un pezzo di sapone di Marsiglia per la doccia e il bucato… L’eroe di questa storia è naturalmente l’immancabile coltellino multiuso, il miglior ambasciatore della Svizzera per le strade del mondo. In conclusione, si getta lo sguardo nello zaino di illustri scrittori e camminatori, da Enrico Brizzi a Paolo Rumiz. Bibliografia
Andrea Mattei, L’arte di fare lo zaino, Ediciclo, 2018, pp.144, € 12,50. Annuncio pubblicitario
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Fare la cosa giusta
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Quando la povertà mostra il suo volto Per saperne di più su Amal e la sua famiglia: www.farelacosagiusta.caritas.ch
Amal Mahmoud (43 anni), Siria, lotta per far sopravvivere i suoi figli.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 16 aprile 2018 • N. 16
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Ambiente e Benessere
Galette alle albicocche e ai lamponi
Migusto La ricetta della settimana
Dessert
migusto.migros.ch/it/ricette Per diventare membro di Migusto non ci sono tasse d’iscrizione. Chiunque può farne parte, a condizione che un membro della sua famiglia possieda una Carta Cumulus.
Ingredienti per circa 6 pezzi: 1 pasta frolla dolce, ottagonale già spianata di 320 g · 450 g di albicocche surgelate · 50 g di lamponi surgelati · 40 g di zucchero greggio · 30 g di mandorle macinate, ad es. spellate · 1 uovo. 1. Scaldate il forno a 200 °C azionando solo la funzione calore inferiore. Accomodate la pasta frolla con la carta da forno in una teglia. Cospargete il fondo con le mandorle, avendo l’accortezza di lasciare un bordo libero di circa 5 cm. 2. Mescolate le albicocche e i lamponi surgelati con lo zucchero. Distribuite la frutta sulle mandorle e ripiegate il bordo su se stesso. Sbattete l’uovo e spennellate la pasta, poi cospargetela con un po’ di zucchero. 3. Cuocete la galette nella parte più bassa del forno per 15 minuti. Azionate la funzione calore superiore e inferiore e continuate la cottura per circa altri 25 minuti finché la torta si dora. Sfornate e servite la galette tiepida. Preparazione: circa 10 minuti + cottura in forno di circa 40 minuti. Per persona: circa 6 g di proteine, 14 g di grassi, 45 g di carboidrati, 340 kcal/1400 kJ.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 16 aprile 2018 • N. 16
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I colori della natura
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Mostra L’esposizione fotografica in corso a Lugano fino al 13 maggio illustra e spiega i variegati colori che la terra 4
può proporre
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«I colori della Terra» è il titolo della mostra che si può vedere ancora fino al 13 maggio esposta al Museo di storia naturale di Lugano, dove una visita è sempre l’occasione per avvicinarsi ai temi della natura e della Terra. A maggior ragione in questo periodo, grazie alla presenza di ben 50 immagini esposte dal tedesco Bernhard Edmaier, un geologo che ha saputo integrare la sua formazione nella passione per la fotografia. Da oltre 25 anni si sbizzarrisce nell’immortalare la superficie terrestre, catturando i colori e le forme che la natura e l’ambiente sanno creare senza l’intervento dell’uomo. Precipitazioni, cambiamenti di stagione, periodi secchi o eventi naturali quali eruzioni vulcaniche, maree o gelate possono infatti modificare sostanzialmente l’aspetto del paesaggio e questo Edmaier ha saputo imprimerlo nelle sue istantanee aeree; fotografie scattate in tutto il mondo: dalla Svizzera all’Alaska, dall’Italia alla Siberia, dalla Scandinavia all’Africa. L’esposizione di Lugano è suddivisa in cinque sale, ognuna con un suo colore o le sue sfaccettature: arancione-rosso, verde-giallo, blu, marrone e grigio-bianco. Ogni immagine è accompagnata da una breve spiegazione che ci fa comprendere i suoi colori. Per esempio l’effetto cromatico che si scatena nel deserto di Namib in Namibia, dove dopo una delle rare piogge i semi di particolari erbe iniziano a germogliare tra le dune sabbiose,
Giochi Cruciverba Lei a lui: «Amore devo dirti una cosa, sono due mesi che aspetto un bambino!» Leggi la risposta di lui risolvendo il cruciverba e leggendo le lettere evidenziate. (Frase: 7, 2, 3, 5, 3)
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no alla base delle variazioni cromatiche che vestono di meravigliosi colori la nostra terra.
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Dove e quando
I colori della Terra. 13.03.18 – 13.05.18. Museo cantonale di storia naturale, Viale Carlo Cattaneo24, 6900 Lugano. Apertura Ma-Sa 09.00-12.00 e 4 5 Chiuso nei giorni 3 festivi, 14.00-17.00. entrata libera. www.ti.ch/mcsn
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Bernhard Edmaier 8 Formatosi come geologo nella sua 7 città natale di9 Monaco in Germania, Bernhard Edmaier lavora da oltre 1 anni con la7fotografia, in partico25 lare con la superficie terrestre e con le forze della natura 3 che formano 1 la Terra. La geologia è rimasta alla base delle sue immagini, con cui si prefigge di visualizzare i molteplici colori, le forme e le strutture che la terra6produce senza l’intervento umano. Per i suoi progetti viaggia diverse volte all’anno in alcune delle aree più remote del mondo, ma non solo quelle. Spesso lavora con la sua 2 compagna, la4giornalista Angelika Jung-Hüttl con cui sviluppa progetti fotografici, scrive i testi per i suoi 7 libri e organizza le mostre. Con le sue riprese aeree 7 nel 1998 ha ricevu3 to il riconoscimento Kodak Photo Book e nel 2001 il prestigioso Has2 6 9 selblad8 Master.
N. 11 DIFFICILE
permettendo a una tinta verde pallido di insinuarsi nell’arancione-rosso del deserto. Nelle Hawaii, il fotografo tedesco è riuscito invece a scattare una spettacolare immagine che risalta nella sala del rosso-arancione: il vulcano Kilauea con un foro nella parte superiore che lascia intravvedere il magma incandescente. Come scrive l’autore sul suo sito internet, «Ogni fotografia è un’istantanea delle forze della natura che hanno formato la Terra per milioni di anni e dove niente è eterno, ma una perpetua interazione tra sorgere e scomparire». In effetti, le immagini, oltre a colpire i
Giochi per “Azione” - Aprile 2018 Stefania Sargentini
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Vinci una delle 3 carte regalo da 50 franchi con il cruciverba 8 4 e una delle 2 carte regalo da 50 franchi con il sudoku 6 AZIONE - MARZO 9 2018 3 (N. 10 -non ... anemoni di marepiù”) dai tentacoli urticanti) SUDOKU PER (N. 13 - “Secondo me viene 1
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N 3 2 19(N. 11 - ... signi ca isola delle colline) 20 8 E N. 10 MEDIO S F I 23 5 F I L7 G 6 R A D 26 O L4LA5 1 N E 9 28 2 IT T 2
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C O N I D I A M 5 2 4 Soluzione: T E O A R A 8 7 5 i3 Scoprire E T corretti U D I R numeri 17 4 9 2 6 A nelle N D E 4 M I daRinserire 2 8 1 caselle I Ccolorate. O N A T A L 3 8 5 2 9 O T R I L I N 3O 4 9 8 R U T R I T I 4 8 3 6 9 4 E A N T R O A
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ORIZZONTALI 1. Recipiente per spazzatura 7. C’è anche quello solare 8. Le iniziali del motociclista Rossi 9. Un codice d’accesso 10. Decametro in breve 11. Astro al tramonto... 12. Hanno un «carattere» esplosivo 13. Regola, precetto 17. La costellazione con Aldebaran 18. Fu abitato per primo 19. Cose come il 15 verticale 21. Avverbio di tempo 22. Piccolo raccoglitore domestico 24. Rampicanti tropicali 26. Indumento femminile
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Mutamenti che caratterizzano anche il fiume Awash in Etiopia che, durante la stagione delle piogge, si trasforma in un intricato reticolo di canali coperto da piante galleggianti, le quali donano 5 alla pianura alluvionale una varietà di colori dal verde, al marrone, all’aran6 cione. Più vicino a noi, dalla sua Germania, Edmaier ha portato a Lugano una foto della bassa marea del mare del nord, dove in certi periodi 1 dell’anno alghe microscopiche in sospensione colorano l’acqua con affascinanti sfu-2 mature di verde. C’è poi anche una vista di Venezia, dove a sud della popolosa laguna ci sono ancora lingue di terra selvatiche con distese di fango e paludi in cui si fanno strada infiniti canali di varie dimensioni. 5 del lago Un’immagine invernale di Silvaplana in Engadina ci fa invece capire ancora una volta 8 che 4l’acqua non sempre è blu: qui, in assenza di vento o neve, lo specchio d’acqua connostri sensi con la semplice osservazio- gelandosi forma un velo di ghiaccio, ne, ci fanno comprendere gli effetti di detto «ghiaccio nero» in quanto lascia alcuni processi naturali, sia forze ester- Giochi scorgere la profonda acqua2018 scura, 5 dove per “Azione” - Marzo ne come acqua, ghiaccio o vento, sia bolle d’aria e altri fenomeni naturali Stefania Sargentini forze interne alla terra come tettonica, regalano macchie e linee bianche. Un 9 6 4 vulcanismo e i processi di formazione dettaglio dello Gneiss, una delle più delle montagne. comuni rocce della Terra, ci riporta poi (N. 9 - ... arabo senza deserto è il Libano) 1 Un esempio sono le acque bruna- in Ticino, in Verzasca. 1 2 3 4 5 6 7 8 stre della tundra paludosa del Delta del A Un’esposizione R A L D che O puòBessere O goS E i11colori cambiano duta con un certo distacco apprezzan9 Lena in Siberia, dove 10 12 I N O i colori Z Ae leRemozioni P D nel corso dell’anno, passando15dal bian- doNsemplicemente 13 14 co che domina in inverno al verde dei che sanno ma che I T leEimmagini S A I donare, E P O 17 muschi16 che colonizzano 18la superficie può R essereI anche R Tvissuta O conSuna UmagR F 19in primavera, mentre20in autunno, con gior consapevolezza soffermandosi ` ` O didascalie, R A L per E cercare C R T iI 3 Edi capire l’appassire della vegetazione, il mar- sulle 21 L I T rone torna a prevalere nel paesaggio. motivi e i fenomeni naturali cheE stan- C 22 23 L I N O B A 24 25 26 A S S P O T 27 1 5 S O R I A N O
Elia Stampanoni, testo e foto
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27. Molte malattie si sviluppano in sua assenza 28. È morto... con i cappotti VERTICALI 1. Con sotto è alla rovescia... 2. Dio 1 greco2del Sole 3 3. Si ripete nel brindisi 4. Due di cuori 9 10 5. Il cantautore Fossati 6. Le tracce del passato 10. Lo treno e un pugno... 12può essere un13 12. Si raccolgono nei boschi 13. Preposizione articolata 15 14. Barbare quelle del Carducci 15. Coppia di regnanti 17 16. Simbolo chimico del magnesio 17. Si mettono in cornice
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Soluzione N. 12SGENI E C C H 5
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A V O L I B 9 7 3 1 6 8 4 9 5 2 7 T I N O N I 1 7 settimana precedente 5 2 9 1 3 7 6 8 4 Soluzione della E C O N O M A IL PROVERBIO NASCOSTO – Proverbio risultante:
19. Frivole, vacue 5 20. C’è anche quello d’accusa 22. Quello di Siena è forte... 8 4 3 1 8 4 7 5 6 2 3 9 1 23.12 Il nome dell’attore Hanks NESSUNA STRADA È LUNGA IN BUONA COMPAGNIA. (N. - Nessuna strada è lunga in buona compagnia) N. 11 DIFFICILE 25. Scritte senza consonanti
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 16 aprile 2018 • N. 16
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Politica e Economia L’audizione di Zuckerberg Il Ceo di Facebook recita il mea culpa davanti al Congresso americano: servirà a riscrivere le nuove regole sulla privacy del social media? pagina 25
Fotoreportage sul Somaliland La terra è arsa, i letti dei fiumi prosciugati, le piante muoiono, le mandrie soccombono – come raccontano le fotografie di Luigi Baldelli – nello stato indipendente dell’Africa orientale che oggi conosce la più grave carestia di sempre
Spiegelgasse mon amour A spasso per una via di Zurigo dove si sono incrociati personaggi e destini del mondo
PPD, il declino prosegue Nelle ultime 15 elezioni cantonali è risultato perdente in 13, e i sondaggi lo danno in calo
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È guerra nella guerra
Siria Dopo l’attacco chimico di Douma si
sta surriscaldando il confronto fra le grandi potenze di Stati Uniti, Russia e Iran
Marcella Emiliani Era solo il 29 marzo scorso quando il presidente Trump annunciava che gli Stati Uniti avrebbero ritirato le proprie truppe stanziate nella regione nord-orientale della Siria. «Il nostro obiettivo principale – spiegava – era annientare l’Isis e l’obiettivo è stato in gran parte raggiunto». I primi a sentirsi traditi erano stati i curdi di Manbij minacciati dall’avanzata dell’esercito turco che si era già impadronito della città di Afrin con l’aiuto dei «ribelli» del Libero esercito di Siria. L’unica loro speranza per fermare l’avanzata dell’armada di Erdoğan erano proprio i 2000 effettivi delle truppe speciali americane con l’aiuto dei quali avevano bloccato e sloggiato i jihadisti del Daesh. Era dunque questo il ringraziamento per aver aiutato l’Occidente e gli Usa in particolare ad annientare la minaccia terroristica islamista? Chi invece gongolava per la decisione annunciata da Trump era la troika composta da Russia, Iran e Turchia in procinto di riunirsi il 4 aprile ad Ankara per decidere le sorti della Siria mentre l’aviazione del regime di Bashar al-Assad, coadiuvata tra le nubi dai jet russi, finiva di liquidare la questione della Ghouta orientale a suon di bombardamenti e colloqui segreti condotti da Mosca con altri «ribelli», quelli del Jaysh al-Islam, Esercito dell’Islam, ormai asserragliati nella sola cittadina di Douma. Tra stop and go angoscianti, la popolazione civile dell’area era stata in parte evacuata ma il problema rimanevano i ribelli medesimi che volevano precise garanzie prima di essere trasferiti armi e bagagli nella provincia nord-occidentale di Idlib, ai confini con la Turchia, ormai diventata una specie di «discarica» ufficiale degli oppositori armati e irriducibili del regime. L’Esercito dell’Islam è una delle coalizioni più numerose di salafiti sunniti che dal 2011 hanno ricevuto armi e finanziamenti soprattutto dall’Arabia Saudita e dagli Emirati arabi uniti. Nell’ottica dei vincitori delle molteplici guerre che si stanno combattendo in Siria, alias Bashar al-Assad, Putin, Erdoğan e il presidente iraniano Rouhani, tutto sembrava dunque andare per il meglio quando il 7 aprile diverse associazioni locali e interna-
zionali hanno denunciato tre ondate di bombardamenti governativi a Douma nel corso delle quali sarebbero state usate armi chimiche. Stando agli operatori umanitari sul terreno, i morti sarebbero stati 42 e 500 gli intossicati dai gas ricoverati negli ospedali con evidenti sintomi di soffocamento. Sui social hanno poi cominciato ad apparire scene di bambini con difficoltà respiratorie attaccati a mascherine dell’ossigeno o annaffiati d’acqua come gli adulti nella speranza di eliminare gli effetti dei veleni piovuti dal cielo. Da quel momento è partita un’escalation inarrestabile di accuse e controaccuse, nonché di preparativi militari che hanno portato al braccio di ferro diretto tra Stati Uniti e Russia. Trump non solo ha dato dell’«animale protetto da Iran e Russia» a Bashar al-Assad, ma ha mobilitato marina e aviazione Usa di stanza nel Mediterraneo ordinando loro di far rotta verso la Siria. Dal canto suo Mosca ha sempre negato che a Douma l’aviazione siriana abbia sganciato armi chimiche parlando di un complotto orchestrato dai «ribelli» ai danni del governo di Damasco. E l’11 aprile, mentre il presidente americano twittava direttamente alla Russia di fare attenzione perché i suoi missili «belli, nuovi e intelligenti» stavano arrivando sulla Siria, dal Libano il locale ambasciatore russo gli rispondeva che Mosca era pronta ad abbatterli uno dopo l’altro e anche a distruggere le loro basi di lancio. In un tragico crescendo giovedì 12 aprile prima la Francia poi gli Stati Uniti hanno annunciato di avere le prove che a Douma il regime di Bashar al-Assad ha usato i gas, non solo cloro ma anche gas nervino, sbugiardando così Damasco e il suo padrino russo che peraltro aveva già inviato la sua polizia militare nella stessa cittadina per tenere la situazione sotto controllo o forse per far sparire prove imbarazzanti. E mentre l’esercito siriano entrava trionfalmente a Douma da cui uscivano gli ultimi 1500 ribelli dell’Esercito dell’Islam, ricompariva in tv anche Bashar al-Assad, dato per scomparso il giorno prima. Era invece vivo e vegeto e riceveva nella propria capitale un altro fido sodale, Ali Akbar Velayati consigliere della Guida suprema Ali Khamenei, venuto a dirgli che l’Iran sarà sempre al fianco della Siria contro le
Un soccorritore della Syria Civil Defence trasporta in ospedale un bambino intossicato dai gas a Douma. (Keystone)
aggressioni degli Stati Uniti o del «nemico sionista», leggi Israele, che verrà presto colpito per aver ucciso 7 pasdaran nel blitz del 9 aprile contro la base aerea siriana T4 in provincia di Homs da cui lo scorso febbraio era partito il drone iraniano poi abbattuto dalla contraerea israeliana. A questo proposito l’11 aprile successivo, Putin si è sentito in dovere di «invitare» il premier israeliano Benjamin Netanyahu a non intervenire più in Siria per non aggravare una situazione già al calor bianco. Anche questo è un sintomo della paura di Bashar& soci che la situazione sul terreno finisca fuori controllo più di quanto già non lo sia. Bashar infatti si è affrettato ad accettare l’arrivo nella Ghouta orientale di osservatori
dell’Organisation for the Prohibition of Chemical Weapons per investigare sull’accaduto. I tecnici dell’Opcw saranno «protetti» o controllati sul terreno, scegliete voi, da militari russi. Russi che – dopo aver ripristinato le comunicazioni tra Mosca e Washington – hanno espressamente chiesto agli Stati Uniti di far loro sapere in anticipo le coordinate degli obiettivi che intendono colpire in Siria, per poterli evacuare. Nel frattempo hanno fatto prendere il largo alle loro 11 navi ancorate nel porto siriano di Tartus perché non vengano distrutte in un sol colpo in stile Pearl Harbour dai Tomahawk americani. Ma qualche timore ce l’ha pure il baldanzoso Trump che il 12 aprile se ne è stato quasi tutto il giorno in riu-
nione coi suoi generali che ci vanno coi piedi di piombo prima di avventurarsi in un’altra guerra mediorientale per di più con la Russia come nemico. Come ha affermato il segretario alla Difesa Usa James Mattis, è meglio «evitare ogni escalation», le stesse parole usate da Putin. Tutti insomma temono la fatidica escalation ma intanto preparano un’altra guerra. Ma quale guerra? Quanto a fondo bisogna colpire la Siria di Assad per non lasciare impunito l’uso di armi chimiche? Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna, consorziati nell’impresa, lo decideranno presto assieme mentre la Germania della Merkel se ne è tirata fuori. Quanto all’Italia garantirà appoggio logistico agli alleati (le basi di Aviano e Sigonella) senza spingersi oltre. As usual.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 16 aprile 2018 • N. 16
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Politica e Economia
Zuckerberg va in scena
Facebook La testimonianza del Ceo davanti al Congresso dopo l’esplosione del caso di Cambridge Analytica è stata
definita Apology Tour, il tour delle scuse. Nasceranno davvero ora nuove regole sulla privacy? Federico Rampini In fondo gli scandali sono una costante nella vita di Mark Zuckerberg. Cominciò nel 2003, quando era ancora uno studente all’università di Harvard: dovette chiudere un sito che si chiamava Facemash: consentiva agli utenti di dare voti all’aspetto fisico dei loro compagni di studio, una trovata esposta all’accusa di sessismo perché molti lo usavano per stilare classifiche delle studentesse più carine. Quell’incidente iniziale, nella preistoria dei social media, è anche un monito che ci riguarda tutti: perché i Padroni della Rete hanno sfruttato spesso un pubblico compiacente, pronto a fare lo spogliarello virtuale per inseguire il miraggio della gratuità. Quando ci dicono che qualcosa è gratis su Internet, il prodotto in vendita siamo noi: quante volte ormai abbiamo sentito questo avvertimento, e abbiamo continuato a ignorarlo? Facebook, la sua creatura fortunata, nacque l’anno successivo, il 4 febbraio 2004, sempre nel campus di Harvard. Da allora e per i 15 anni successivi ogni passo della sua folgorante carriera – trasferitasi nella Silicon valley californiana – è stato segnato dallo slittamento progressivo dei confini della privacy. Fino al ruolo di Facebook nel Russiagate 2016, come strumento della propaganda russa che lavorava per sabotare la candidatura di Hillary Clinton, a colpi di fake news. Infine con la vicenda di Cambridge Analytica, la società di marketing politico ingaggiata dalla campagna elettorale di Donald Trump, che ha saccheggiato i dati di 87 milioni di utenti americani… compreso lo stesso Zuckerberg. «I furti di dati da Facebook sono colpa mia – ha detto Zuckerberg la settimana scorsa quando è stato convocato per un’audizione parlamentare a Washington – e mi prendo tutta la responsabilità. Ma noi restiamo un’azienda idealista e ottimista, un forza positiva nel mondo. Su Facebook si è organizzato il movimento delle donne #MeToo, e la solidarietà con gli alluvionati dell’uragano Harvey». (Abile accostamento: con quei due esempi ha citato un movimento femminista che piace alla sinistra, e una mobilitazione civile della società texana di fronte alla calamità naturale, che lusinga la destra). Dismessa la T-shirt abituale, è arrivato all’appuntamento con il tempio della politica in giacca e cravatta il 33enne più ricco della storia umana; è perfino passato dal barbiere per «l’esame» al Senato di Washington. Test attesissimo, e apparentemente gravido di rischi, quell’audizione al Congresso degli Stati Uniti dopo gli abusi gravi che hanno avuto come protagonista il suo social media e hanno creato sfiducia nei mercati, calo della valutazione di Borsa. «Un evento unico, straordinario», lo ha definito il presidente della Commissione Giustizia, il senatore repubblicano Chuck Grassley, confessando emozione perché «è venu-
«I furti di dati da Facebook sono colpa mia», ha detto Zuckerberg nel corso delle sue audizioni al Congresso. (AFP)
to qui mezzo Senato, un fatto senza precedenti, ci sono 44 colleghi, certo sono numeri piccoli rispetto ai due miliardi di Facebook». C’erano più videocamere quel 10 aprile scorso al Senato che al collocamento multimiliardario in Borsa (febbraio 2012), l’aula traboccava di visitatori e perfino qualche manifestante. Il protocollo si è inchinato al re dei social media esonerandolo dal giuramento di «dire tutta la verità». Ma le regole del rito che si è consumato la scorsa settimana sulla collina del Campidoglio americano erano già scritte e prevedibili, proprio come la deposizione iniziale di Zuckerberg. Era inteso che i senatori avrebbero fatto la voce grossa e la faccia feroce: la nazione li guardava, l’evento veniva videotrasmesso in streaming da tutti i siti del mondo, rara occasione di mostrarsi intransigenti in difesa dei diritti dei cittadini. Il multimiliardario con la faccia da adolescente è stato pronto a genuflettersi simbolicamente, recitare mea culpa, promettere che non lo farà mai più. Che poi cambi qualcosa è più problematico, quasi improbabile malgrado la gravità reale del Russiagate che collega indissolubilmente «la forza positiva» di Facebook alle oscure manovre per favorire l’elezione di Trump. «Avete un pubblico che è cinque volte la popolazione degli Stati Uniti», ha esordito ossequioso il presidente della seduta, ma ricordando subito dopo che «87 milioni di cittadini hanno subito la violazione della loro privacy e questo non è un incidente isolato». Non si può neppure definire un incidente, visto che i ladri di dati «hanno sfruttato strumenti da voi creati per il vostro bu-
siness». Occorrono misure immediate e drastiche, «lo status quo non funziona più». Zuckerberg ascoltava compunto anche l’intervento successivo, dai toni perfino più minacciosi. È toccato al presidente della Commissione Commercio (con supervisione sull’antitrust), il repubblicano John Thune, lanciare questo avvertimento: «In passato abbiamo lasciato che foste voi, le aziende tecnologiche, a regolarvi da sole. Ora non è più sufficiente». Puntando il dito contro l’enfant prodige della Silicon Valley: «La storia che lei ha creato rappresenta il Sogno Americano, ma stia attendo che non si trasformi in un incubo». La senatrice Dianne Feinstein, decana democratica da San Francisco e quindi vicina di casa del golden boy, gli ha ricordato che grazie al suo social media «potenze straniere hanno manipolato la pubblica opinione». Arringhe spettacolari, ma cosa c’è di sostanza? Colpisce che a prendere la parola siano stati spesso senatori di età media molto avanzata: sembravano i nonni di Mark. Visibilmente a disagio con la terminologia tecnologica, inciampavano su alcuni termini, leggevano discorsi preparati dai loro staff, alcuni ammettendo candidamente di non avere mai usato un social media. Zuckerberg, che stipendia con decine di milioni un esercito di lobbisti, sapeva esattamente quel che rischiava: non molto. Ha passato l’esame dando prova di rispetto e umiltà. Il pericolo concreto che da quell’audizione esca in futuro una nuova architettura normativa per i social media è minimo. I democratici sono troppo affezionati ai finanziatori liberal
della Silicon Valley; i repubblicani sono ostili per ideologia ai controlli pubblici sulle aziende private e hanno indebolito l’antitrust. Zuckerberg aveva preparato bene i compiti. Ha annunciato che «presto avremo ben ventimila dipendenti che si occupano a tempo pieno di privacy e sicurezza, questo aumenterà i nostri costi e ridurrà i profitti ma è la cosa giusta da fare». Trasudava buonismo: «Per me conta che possiate rimanere sempre connessi con le persone che amate, darò sempre priorità all’interesse della comunità su quello dei clienti pubblicitari o venditori di app». Si è descritto come un militante per la democrazia e la libertà in un mondo dove «è in atto una corsa agli armamenti, potenze nemiche vogliono interferire con il nostro sistema di valori». Ha descritto un elenco di misure già prese per evitare che si ripeta la porcheria di Cambridge Analytica. Poi gli è sfuggito che queste misure erano state già prese in larga parte… nel 2014. Dalla sceneggiata di Washington è emersa un’ammissione interessante: Zuckerberg riconosce che Facebook ha una responsabilità sui contenuti che circolano sulla sua piattaforma, quindi a rigore dovrebbe essere trattato come come i media tradizionali che sono soggetti a regole e sanzioni ben più pesanti. A rigore dovrebbe essere sanzionato con multe se è lo strumento di diffusione di false notizie, diffamazione, calunnie. Molte voci autorevoli sostengono che il social media dovrebbe essere regolato come una utility: ma è poco probabile che questo accada. Alla fine da questa performance
pubblica Zuckerberg in un certo senso ne è uscito «finalmente adulto». È stato un rito iniziatico, che lui ha affrontato con astuzia, cospargendosi il capo di cenere per limitare i danni. Si è preso il massimo di responsabilità, ha fatto la sua catarsi davanti alla nazione, senza concedere modifiche sostanziali al suo modello di business. Lo spettacolo di calcolata compostezza di questo 33enne che da solo «vale» più dei patrimoni di tutti i parlamentari messi insieme, ha messo in scena anche uno squilibrio immane tra la potenza di Facebook e l’incapacità della politica di elaborare regole per un nuovo mondo che le sfugge e quasi sempre la domina. Se l’è cavata bene sotto il profilo che più conta per un grosso azionista di una società quotata in Borsa: mentre lui parlava al Congresso il titolo di Facebook è risalito del 5%, recuperando una parte delle perdite provocate dagli scandali. Il bilancio finale possiamo affidarlo ad un giornale che non è certo sospetto di tentazioni dirigiste, il quotidiano economico «The Wall Street Journal», l’organo più autorevole del neoliberismo. «La questione adesso – ha scritto il «Wall Street Journal» il 12 aprile al termine delle due audizioni di Zuckerberg a Camera e Senato – è se Washington vorrà creare regole che rispondano alle diffuse preoccupazioni sulla privacy digitale; e come gli eventuali nuovi vincoli penalizzerebbero il modello di business di aziende come Facebook che campano sul libero flusso dei dati». È sostanzialmente una domanda retorica. C’è poca probabilità che questo accada. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 16 aprile 2018 • N. 16
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Politica e Economia
La Nazione che non c’è
Reportage Il Somaliland, una sottile striscia di territorio colpito dalla siccità sulla costa meridionale del golfo
di Aden, soddisfa quasi tutti i requisiti per essere uno Stato. Ma per il resto del mondo è solo una regione autonoma della Somalia Pietro Veronese La fine della Guerra Fredda, al passaggio dagli anni ’80 agli anni ’90 del secolo scorso, segnò il grande ritorno della geopolitica. Per mezzo secolo il mondo aveva vissuto all’ombra della minaccia di un conflitto termonucleare; di fronte alla potenza annientatrice di un missile balistico intercontinentale armato con una testata atomica, i confini degli Stati significavano ben poco. Poi d’un tratto, scomparsa l’Unione Sovietica e venuto meno il «grande gioco» bipolare Usa-Urss, riacquistarono ovunque peso sulla Terra gli interessi particolari, le spinte centrifughe, i rapporti di forza regionali, le sfere d’influenza localistiche. La politica estera dei governi europei parve tornata ai primi del Novecento, agli egoismi e agli attriti tra potenze continentali, e ampie parti del globo si ritrovarono apparentemente padrone del proprio destino, non più irregimentate nella rigida separazione tra i due blocchi. In quel momento di disordine e disorientamento accaddero tante cose, molti equilibri mutarono, anche laddove nessuno se lo aspettava. In Africa il fatto più inatteso fu la frammentazione della Somalia e la nascita, da quella rottura, di un paio di nuovi Stati che nessuno volle riconoscere. Uno di questi Stati era il Somaliland, un territorio grande poco più dell’Italia settentrionale, semidesertico e assai scarsamente abitato, adagiato lungo la costa meridionale del Golfo di Aden, appena ad ovest del Corno d’Africa. Diciamo subito che il contesto nel quale il Somaliland vide la luce oltre un quarto di secolo fa è oggi del tutto inattuale. Nuovi fattori stanno rapidamente mettendo in crisi la logica della geopolitica. Di questi il più
potente e inquietante è senza dubbio il cambiamento climatico in atto nel nostro pianeta. Gli scienziati, e anche il segretario generale delle Nazioni Unite, hanno pochi dubbi che le ricorrenti siccità e carestie che negli ultimi anni hanno colpito il Corno d’Africa e segnatamente il Somaliland siano dovute al riscaldamento globale. Analogamente alla gittata di un missile intercontinentale, il cambiamento climatico colpisce molto lontano dalle regioni dove esso ha origine, facendosi beffe di frontiere, oceani, catene montuose ed altre barriere politiche o geografiche. Gli effetti dell’emissione massiccia di gas serra nell’atmosfera, cui contribuiscono in maniera determinante le società industrializzate e motorizzate del nord del mondo alle quali si sono aggiunte la Cina e in parte l’India, fanno sentire la loro nefasta influenza in lontanissime società pastorali che sopravvivono in ambienti già ostili e la cui «impronta al carbonio» è prossima allo zero. Un recente rapporto della Banca Mondiale, divulgato il mese scorso, disegna uno scenario davvero allarmante. Il rapporto prevede che entro il 2050, per effetto diretto dei cambiamenti climatici, 140 milioni di persone si metteranno in marcia in vari punto del globo spinti dal venir meno delle loro già precarie condizioni di vita. Di queste il più gran numero, 86 milioni, abitano l’Africa a sud del Sahara. È uno scenario apocalittico, che minaccia la governance locale e globale del nostro pianeta. Non esiste Stato, organizzazione, potenza logistica o militare in grado di far fronte a una simile catastrofe. Nel presentare i risultati della ricerca, i responsabili della Banca Mondiale si sono premurati di affermare che non è troppo tardi e c’è
Sul sito www.azione.ch è possibile vedere tutte le fotografie di Luigi Baldelli.
ancora tempo per impedire il verificarsi di questa cupa profezia. Ma è evidente che al cospetto della possibilità di simili cataclismi, la questione del riconoscimento internazionale di un Paese che conta tre milioni e mezzo di abitanti è una vana quisquilia. Ma torniamo al Somaliland e al momento della sua nascita nel 1991, che sarà solo il primo dei molti paradossi che contraddistinguono questo «non Paese», del tutto assente dalle cartine politiche del continente africano. La fine della Guerra fredda significò per l’Africa alcuni sommovimenti epocali. Il crollo dell’apartheid in Sudafrica; l’indipendenza dell’Eritrea (e anni dopo, al termine di un lungo processo che però ebbe inizio allora, del Sud Sudan); in buona misura anche la guerra civile ruandese e il genoci-
dio dei Tutsi che ne scaturì: sono tutti grandi eventi storici, alcuni felici altri tragici, resi possibili dalla fine del condominio Usa-Urss sul continente. La dottrina dell’epoca era fortemente contraria alla concessione di sovranità a nuovi Stati africani, perché si temeva che avrebbe dato luogo a un effetto a catena, dissolvendo le arbitrarie frontiere disegnate in epoca coloniale. Ma qualunque cosa fosse accaduta, tutti erano convinti che non avrebbe coinvolto la Somalia. Rarissimo esempio in tutta l’Africa, la Somalia era un perfetto Stato nazionale: stessa nazione, stessa lingua, stessa religione… Come sappiamo le cose andarono diversamente, il legame clanico si dimostrò più forte di ogni altro vincolo e identità collettiva e la Somalia finì in mille pezzi.
Silenziosamente e senza colpo ferire, ricalcando i confini ed il nome dell’antico Somaliland britannico, il territorio del nord somalo si staccò. C’era negli annali un brevissimo precedente, anche se di soli cinque giorni, in cui il Somaliland era stato in effetti uno Stato sovrano. Finito il protettorato del Regno Unito il 26 giugno 1960, il neonato Paese si era unito volontariamente all’ex Somalia italiana il primo luglio di quello stesso anno. Ora se ne separava altrettanto volontariamente e i fautori dell’indipendenza ritenevano perciò che non avrebbero avuto problemi ad ottenere il riconoscimento internazionale. Ma così non fu. Le diplomazie mondiali ritennero che acconsentendo alla secessione avrebbero allontanato, anziché facilitarla, una soluzione della crisi somala. Il paradosso più clamoroso di questa storia è che mentre l’ex Somalia italiana, dopo decenni di devastante guerra civile, è ancor oggi un Paese altamente instabile, teatro di ricorrente attentati ad opera delle formazioni islamiste degli al-Shebab, il Somaliland – praticamente senza alcun aiuto internazionale – ha vissuto in pace e serenità per tutto questo tempo. Ha tutti gli attributi di uno Stato degno di questo nome: una bandiera, una moneta, un governo stabile e democraticamente eletto, perfino una certa fioritura economica, dovuta non alla pastorizia o alla pesca, bensì alle capacità imprenditoriali e commerciali del suo ceto mercantile. Ma nessuna ambasciata. Adesso però questo quarto di secolo di quieto vivere ignorato da tutti sta finendo. La terra è riarsa, i letti dei fiumi prosciugati, le piante muoiono, le mandrie soccombono. Come raccontano le foto di Luigi Baldelli, comincia una vicenda nuova e molto triste, nella quale le frontiere non servono più a niente.
Il #MeToo non fa per i russi
Molestie sessuali Nel Paese che ha organizzato manifestazioni in difesa di Harry Weinstein il deputato Leonid
Sluzky è stato prosciolto dalle accuse di harassment Anna Zafesova Da qualche giorno i lettori e spettatori di alcuni giornali e tv russi, non sanno più nulla della Duma. I cronisti parlamentari di numerose testate hanno deciso di boicottare la camera bassa, dopo che la commissione etica parlamentare ha deciso di non punire il presidente del Comitato per gli affari internazionali Leonid Sluzky (foto) per le molestie sessuali. È il primo scandalo del genere nella storia russa, ma a Mosca il #MeToo si evolve in maniera molto diversa dai casi analoghi in Occidente: il deputato accusato ha dichiarato di essere
«lusingato» dal paragone con Harvey Weinstein, e le più critiche verso le due croniste sue vittime sono state le parlamentari donne. Farida Rustamova, corrispondente parlamentare della Bbc Russia, un anno fa aveva chiesto a Sluzky un commento sulla visita a Mosca di Marine Le Pen. Il deputato l’ha ricevuta nel suo ufficio alla Duma, l’ha chiamata «coniglietta» e le ha proposto di lasciare il suo fidanzato e di mettersi con lui («Oppure sposi lui e diventi la mia amante»), promettendo «aiuto» alla carriera e toccandola. La conversazione è stata registrata da Rustamova, che è fuggita in lacrime
nella sala stampa, dove altre colleghe le hanno raccontato che tutte loro preferiscono intervistare Sluzky per telefono o via mail. Rustamova non ha denunciato subito le molestie dopo essersi consultata con i responsabili dell’ufficio stampa parlamentare, anche perché in Russia non esiste una legge contro le molestie sessuali. Ha fatto outing solo dopo che la tv Dozhd ha iniziato una campagna contro Sluzky, che aveva molestato la producer Daria Zhuk. Anche un’altra collega di Dozhd era stata molestata, ma preferì tacere dopo che i funzionari della Duma minacciarono di toglierle l’accredito per «calunnia». Il parlamentare ha negato ogni accusa, e il verdetto della commissione etica della Duma è stato unanime: non ci sono motivi per sanzionare l’onorevole Sluzky, e le due giornaliste sono colpevoli di un’azione «premeditata e pianificata», finalizzata a danneggiare la campagna elettorale di Vladimir Putin. Il presidente della Duma Viacheslav Volodin ha consigliato alle due ragazze di dimettersi, «se pensano che lavorare in parlamento sia troppo pericoloso». La portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova ha espresso dubbi sulla morale delle giornaliste: «Una donna o respinge subito avances del genere, o non le respinge mai». In un Paese dove si sono tenute le manifestazioni di solidarietà con
Weinstein, e il presidente ha complimentato il collega israeliano accusato di stupro – «ci ha stupiti, chi l’avrebbe mai detto che sarebbe stato capace di farlo con 10 donne» – il dibattito sui diritti delle donne è quasi sconosciuto, al punto da usare spesso il termine inglese «harassment» per definire le molestie. Paradossalmente, in un Paese dove la maggioranza delle donne lavora, e le università, gli ospedali, le magistrature e le redazioni sono a prevalenza femminile, i posti di comando sono quasi tutti in mano ai maschi, e un atteggiamento sprezzante viene spesso condiviso (o perlomeno subito) anche dalle dirette interessate. Una studentessa dell’università di San Pietroburgo ha affisso alla vigilia dell’8 marzo manifesti con frasi sessiste dei professori – «Questa monografia è scritta da una donna, eppure è ottima», «Le donne non devono fare politica», «Le dottorande pensano solo a trovare marito» – ma il rettore, una donna, non ha voluto aprire un’indagine. Nella società russa questo tipo di battute sono considerate innocenti, e coloro che non le gradiscono vengono bollate come «femministe» (in Russia è quasi un insulto). La promozione dei «valori tradizionali» lanciata dal Cremlino per contrastare l’Europa «degradata» ha però fornito una base ideologica al pregiudizio, e infatti i deputati hanno
subito intravisto nella denuncia contro Sluzky un aspetto politico. Il parlamentare è peraltro uno strenuo difensore dei «valori tradizionali», amico del patriarca Kirill, instancabile restauratore di chiese e collezionista di icone. È stato promosso alla presidenza del Comitato per gli affari internazionali, pur non parlando nemmeno lingue straniere, da Putin in persona, dopo aver organizzato le visite degli «osservatori» europei in Crimea, selezionati tra i partiti e i politici di estrema destra che hanno applaudito l’annessione russa. Un personaggio importante a Mosca, con una dacia che dista 200 metri da quella di Putin. Il leader dell’opposizione Alexey Navalny ha prontamente tirato fuori un dossier su Sluzky, dal quale risulta proprietario di due Bentley (che per comprarle avrebbe dovuto investire lo stipendio degli ultimi sei anni) e di una Mercedes Maybach, con la quale ha commesso in meno di un anno 835 infrazioni, andando contromano come un bolide per le strade di Mosca, senza pagare le multe. Un personaggio tipico della nomenklatura russa, per la quale l’impunità è il privilegio più importante, insieme all’accesso a fondi statali: la cantante pop Zara, dopo essere diventata amante di Sluzky, ha cominciato a venire ingaggiata per concerti di Stato come quello per il giorno dei servizi segreti, con onorari raddoppiati.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 16 aprile 2018 • N. 16
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Politica e Economia
C’è una strada a Zurigo...
Due passi nella Storia L a Spiegelgasse, nel cuore della città vecchia, accolse personaggi che hanno fatto la storia,
oltre ad ospitare il Cabaret Voltaire, dove nacque il Dadaismo Franco Facchini C’è una strada a Zurigo che, a percorrerla, sembra dentro un interminabile ricordo, un lungo ascolto di voci che sembrano sostare nell’aria. È una stradina stretta e lunga poche decine di metri nel cuore della vecchia città. Antiche case la accompagnano nel suo breve tragitto, chiudendola ai suoi lati quasi a preservarla da intrusioni che le possano far dimenticare il suo passato, la sua intimità.
Lenin arrivò a Zurigo in concomitanza con l’apertura del Cabaret Voltaire; c’è chi sostiene che fu proprio lui a dare il nome Dada al movimento artistico Sale su da Münstergasse e sfocia, dopo una piccola discesa, in Neumarkt. Tra le mura di alcune delle sue abitazioni hanno vissuto personalità che hanno contribuito a cambiare la storia della politica, dell’arte, della letteratura degli ultimi duecento anni. Ed è curioso come possa essere accaduto in uno spazio così piccolo, in una stradina che quasi non si vede. La imbocco, quando c’è un cielo grigio sopra di me, e, all’angolo sinistro, al numero 1, posso vedere il Cabaret Voltaire, che ora è tuttaltro da quello che era un secolo fa. È, diciamo, una sorta di monumento che ha conservato solo l’antico nome, perdendo tutta la vivacità che lo aveva caratterizzato. Credo che, molto probabilmente, la neutralità della Svizzera durante la prima guerra mondiale abbia molto contribuito alla sua fondazione. Arrivarono, in quel periodo, molti artisti e intelletuali da tutta Europa. E questo brulichio di nuove idee, di nuove energie, fu certamente una delle ragioni che spinsero il pittore Hugo Ball e la poetessa Emy Hennings a prendere accordi col proprietario del Meitrei bar, per avere in uso la sala sul retro del locale e lì allestirvi manifestazioni culturali. Così, il 5 febbraio 1916 venne inaugurato il Cabaret Voltaire, che servì al poeta Tristan Tzara come luogo di aggregazione ed elaborazione teorica del movimento Dada da lui fondato. La sua apertura sarà resa pubblica il 28 luglio
In un’immagine del 1977, la casa (la prima da sinistra) in cui Lenin visse un anno in un appartamento al secondo piano, prima del suo rientro a Mosca nel 1917. (Keystone)
di quello stesso anno. Tra i suoi membri figuravano alcuni dei più importanti, eversivi e innovativi artisti e scrittori dell’epoca. Guillaume Apollinaire, Hans Arp, Marcel Duchamp, Francis Picabia, Max Ernst, Kandinskij, De Chirico e altri ancora animarono questo piccolo angolo di strada, irradiando nel mondo nuovi e, qualche volta, eccentrici modi espressivi, che avranno importanti ripercussioni su tutto il novecento artistico e letterario. Riprendo a camminare lungo quel angusto tratto di strada. Faccio pochi passi e arrivo lì dove c’è un po’ più di
luce, nel piccolo slargo dove si staglia, di fronte a me, sulla destra della via, la Brunnenturm (chiamata così per via della fontana lì accanto) detta anche Gawerschenturm (Torre degli usurai) o Lamparterturm (Torre dei Lombardi) o Escherturm (dal nome del politico e pioniere della ferrovia svizzero), che riporta, lungo tutto il muro, una antica scritta in caratteri gotici a testimoniare la presenza, nel medioevo, di banchieri lombardi, che la abitarono dal 1357 al 1429 e, in seguito, di rappresentanti della classe dei Gawerschen, che, come dice la parola tedesca, erano usurai.
Lì vicino, al numero 11, abitò, dal 1741 al 1778, il teologo zurighese Johann Caspar Lavater, teologo e scrittore divenuto famoso per i suoi studi di fisiognomica. Tentò di capire la personalità umana attraverso l’osservazione di ogni parte del corpo, associando le peculiarità fisiche a quelle psicologiche e comportamentali. Le sue ricerche, forse, non hanno dato i risultati voluti, ma attraverso di esse è stato creato un mondo, un sogno, una nuova possibile via. E mentre riprendo il cammino, penso a Wolfgang Goethe che fu suo ospite nel 1775, in una delle sue visite
a Zurigo. E penso a cosa avrà potuto pensare veramente di questa disciplina non propriamente scientifica. L’avrà considerata una ricerca seria e fondata o, invece, una visione poetica dell’esistenza? Faccio ancora qualche passo e, sulla mia destra, al numero 12, vedo una targa a ricordare che lì il 19 febbraio 1837, in quello stabile morì Georg Büchner. Era arrivato dalla Germania circa quattro mesi prima, il 14 ottobre 1836, per sfuggire alla polizia che lo ricercava a causa della sua attività politica, che si era esplicata con la pubblicazione di alcuni scritti rivoluzionari sull’opuscolo Hessischer Landbote. Pace alle capanne, guerra ai palazzi: questo era il suo motto. In quel breve periodo insegnò anatomia comparata all’università e in una qualche stanza di questo edificio scrisse il dramma Woyzeck, opera che ha contribuito enormemente allo sviluppo del teatro europeo. Allungo l’occhio, e noto che, al numero 14, proprio sulla porta accanto, sul muro della facciata, un’altra targa è lì a raccontare del soggiorno, tra il 1916 e il 1917, di un uomo che di lì a poco avrebbe condotto un intero popolo a impossessarsi del potere. Wladimir Ilic Uljanov, meglio conosciuto come Lenin, con la sua compagna Nadiejda Kroupskaia, visse in questo palazzo e qui elaborò la sua concezione marxiana della società. Arrivò a Zurigo lo stesso anno in cui il Cabaret Voltaire venne inaugurato, e c’è chi sostiene che questa concomitanza e alcuni indizi abbastanza concreti indichino in Lenin un simpatizzante del movimento Dada e che, anzi, probabilmente fu lui a chiamarlo così. Mi pare di vederlo, quello che, di lì a poco, sarebbe diventato il capo di tutta la Russia, tornarsene in patria su quel treno che collegava la Svizzera a Pietrogrado, con lo sguardo un po’ rivolto ai futuri e severi impegni rivoluzionari e un po’ a quella stradina stretta che non avrebbe più rivisto. Ora la strada scende, e io la seguo, lasciandomi alle spalle il numero 23, dove Robert Walser trascorse un breve tratto della sua esistenza e dove forse scrisse o abbozzò qualcuno dei suoi racconti. Quando arrivo alla fine di Spiegelgasse, mi sembra di aver fatto un lunghissimo viaggio, di aver vissuto molte vite, visto il tempo scorrere dentro di me. Un timido raggio di sole illumina la fontana di Neumarkt, e io mi trovo sperduto in altri pensieri.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 16 aprile 2018 • N. 16
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Politica e Economia
Il PPD scivola verso il baratro
Barometro elettorale Nelle 15 elezioni cantonali degli ultimi due anni e mezzo, il partito è risultato perdente in 13.
Anche i sondaggi in vista delle elezioni federali del 2019 danno il PPD in ulteriore calo
Marzio Rigonalli La perdita di un seggio nel governo di Obvaldo, dopo il secondo turno elettorale svoltosi l’8 aprile, è stato l’ultimo boccone amaro che il partito popolare democratico ha dovuto ingoiare nelle elezioni cantonali avvenute tra la fine del 2015 ed oggi. Il suo candidato, Michael Siegrist, è stato battuto, anche se soltanto di 29 voti, dal candidato dell’UDC, Daniel Wyler, che ha così consentito al suo partito di entrare per la prima volta nell’esecutivo cantonale. Nei due anni e mezzo che ci separano dall’ultima consultazione nazionale, ci sono stati 15 appuntamenti elettorali cantonali. In ben 13 cantoni, il PPD ha perso terreno. Soltanto in due occasioni si è difeso bene: nel canton Neuchâtel, dove è riuscito a guadagnare un seggio in Gran consiglio, e nel canton Soletta, dove ha potuto difendere il terzo posto, sempre nel parlamento cantonale, dopo il partito liberale radicale ed il partito socialista. La lista nera comprende un buon numero di cantoni che in passato apparivano come una fortezza elettorale del PPD. A San Gallo, per esempio, il cantone sul quale per tanti anni si è riflessa l’aureola di un suo celebre cittadino, il consigliere federale Kurt Furgler. Nel 1980, il PPD raggiungeva ancora il 47,7% dei votanti: nel 2016, alle ultime elezioni cantonali, si è fermato al 20,4%. Due suoi rappresentanti soltanto fanno parte dell’esecutivo di sette membri. E nella città di San Gallo la situazione è ancora peggiore: il PPD non ha più nessun rappresentante in municipio e nell’elezione al consiglio comunale non è andato oltre il 14,6%. Nel 1980 aveva raggiunto il 34,7%. Nel canton Friburgo, alle elezioni del novembre 2016, ha perso quasi il 3% dei voti ed in Gran Consiglio si è fatto superare dal parti-
to socialista per il numero di seggi. In Vallese, infine, alle elezioni dell’anno scorso, i popolari democratici, pur restando il partito più importante, hanno perso 6 seggi in Gran Consiglio e sono scesi da 61 a 55 rappresentanti in un collegio che ne comprende 130. All’inizio del 2017, i dirigenti del partito sperarono di poter assistere ad un’inversione di tendenza in due cantoni della Svizzera centrale, un contesto storicamente favorevole al PPD. La svolta, però, non c’è stata. Il 4 marzo, nel Nidvaldo, il PPD si è ritrovato tra i partiti perdenti. Lasciò sul campo il 2,4% delle preferenze rispetto al 2013. Perse un seggio nel parlamento ed abbandonò il primo posto al PLR. Lo stesso giorno, nel canton Obvaldo, il risultato che scaturì dall’elezione cantonale si rivelò pure inferiore alle aspettative. Il PPD perse il 3.4% dei votanti e dovette rinunciare a 3 seggi in Gran Consiglio. Per di più si ritrovò in una posizione difficile che lo portò, una settimana fa, a perdere il ballottaggio per il governo ed il secondo seggio che aveva occupato nelle ultime legislature. Il quadro emerso dai due piccoli cantoni della Svizzera centrale, fu poi ulteriormente annerito, lo stesso giorno, dalla sconfitta subita alle elezioni comunali di Zurigo. Nella città sulla Limmat, in un’elezione caratterizzata dalla vittoria della sinistra, che detiene ora la maggioranza assoluta sia nell’esecutivo che nel legislativo, il PPD è praticamente scomparso. Ha perso l’unico seggio che aveva in municipio ed i 6 seggi che deteneva nel consiglio comunale durante l’ultima legislatura. Non è riuscito a raggiungere la soglia del 5% in nessuno dei nove circoli elettorali della città. I risultati negativi emersi in molti cantoni si ripercuotono, ovviamente, sulle tendenze che emergono dai sondaggi realizzati a livello nazionale. Il barometro elettorale SSR di metà
Il presidente Gerhard Pfister non ha motivo di sorridere. (Keystone)
legislatura, realizzato alla fine di settembre ed all’inizio di ottobre dell’anno scorso, colloca il PPD tra i partiti perdenti, con un 10,9% di consensi ed un calo dello 0,7% rispetto al risultato ottenuto alle elezioni nazionali del 2015. Più impietoso ancora si rivela un secondo sondaggio, realizzato dalla società editoriale Tamedia all’inizio di gennaio. Secondo questo rilevamento, il PPD scenderebbe addirittura al 9,1%, con una perdita del 2,5% rispetto al 2015. Infrangerebbe la linea rossa del 10%, mettendo in pericolo il quarto posto che occupa tra i partiti politici nazionali e riducendo in misura consistente il suo margine di manovra. Molte, probabilmente, sono le ragioni di questa continua erosione di consensi. Poche, però, sono facilmente individuabili. Vi è sicuramente l’incapacità del PPD di profilarsi in modo convincente sui temi che interessano maggiormente la popolazione, come l’immigrazione, il diritto d’asilo, i costi della salute, o il futuro delle pensioni. È una lacuna che si riscontra
facilmente nei partiti che cercano uno spazio al centro, nell’area non occupata dalle posizioni estreme, e alla quale sono confrontati anche il Partito borghese democratico ed i Verdi liberali. Vi è anche, e forse soprattutto, la linea politica voluta dal presidente Gerhard Pfister. Una linea conservatrice che ha caratterizzato il PPD negli ultimi due anni, da quando Pfister, il 23 aprile 2016, assunse la presidenza del partito, subentrando al vallesano Christophe Darbellay. Il nuovo corso detto «social-borghese» ha avvicinato il PPD all’UDC, perlomeno su alcuni temi, e non ha frenato l’erosione degli elettori in corso ormai da anni. Per di più, la solidarietà tra i principali partiti borghesi, UDC, PLR e PPD, suggerita anche dal risultato delle elezioni nazionali del 2015, è rimasta nel regno delle intenzioni e non si è rivelata determinante in alcuni importanti appuntamenti elettorali. Infine, oltre alle ragioni politiche interne al PPD, possono essere menzionati anche due fatti di cronaca che hanno danneggia-
to l’immagine del partito. Il primo è la relazione extraconiugale dell’ex presidente Darbellay, dalla quale è nato un figlio. Il secondo è il comportamento dell’allora vicepresidente nazionale del PPD, Yannick Buttet, al centro di un’inchiesta per presunte molestie sessuali. Sono modi di agire che mal si conciliano con un partito che nel suo programma prevede la difesa d’importanti valori, tra i quali anche quello della famiglia. Una settimana fa, è stato fatto un primo tentativo per far fronte alla crisi di consensi. Ad Aarau è stata creata la «Christlichsoziale Vereinigung» (CSV), un’associazione interna al PPD, voluta soprattutto da chi non è d’accordo con la linea politica conservatrice seguita dal presidente Pfister. Lo scopo della nuova organizzazione è di rafforzare l’ala sinistra del PPD, ponendo l’accento su temi sociali significativi, come la sicurezza del posto di lavoro o la conciliabilità tra la vita familiare e quella professionale. Con un maggiore spazio dato alle problematiche caratteristiche della corrente cristiano sociale, il PPD spera di poter recuperare almeno una parte dell’elettorato che l’ ha abbandonato. Il futuro dirà se la scelta della CSV porterà qualche frutto. Il prossimo importante test è previsto il 7 ottobre, con le elezioni cantonali di Zugo, il cantone del presidente Pfister. Una nuova sconfitta potrebbe aggravare ulteriormente la crisi interna del partito. Intanto, molti già guardano alle prossime elezioni nazionali, previste fra un anno e mezzo. Il lasso di tempo a disposizione per preparare questo appuntamento è tutto sommato breve. Probabilmente, è troppo breve per poter invertire una tendenza negativa con radici profonde e costringerà il PPD a limitare i suoi obiettivi ed a mirare soprattutto al contenimento dell’erosione dei consensi.
Le ricette del FMI per la Svizzera
Analisi Il rapporto del Fondo monetario internazionale suggerisce di allentare il freno all’indebitamento
e di aumentare l’età di pensionamento nell’ambito della previdenza per la vecchiaia Ignazio Bonoli Solitamente la Svizzera, tanto da parte di altri paesi, quanto dalle organizzazioni internazionali, viene lodata per la sua organizzazione statale. A volte non manca però qualche punto critico che viene messo in evidenza nei rapporti di singole analisi della situazione. Questa volta è il rapporto allestito dal Fondo monetario internazionale, a scadenze regolari per tutti i membri,
che pone l’accento su due aspetti: la previdenza sociale e il freno all’indebitamento. Il rapporto del FMI analizza essenzialmente gli aspetti della politica monetaria e di quella finanziaria. Ovviamente però l’esame viene esteso ad altri fattori, che influiscono, direttamente o indirettamente, su queste due componenti della gestione dello Stato, in particolare sulla politica. Come detto, di solito vengono indicati buoni
Per far fronte all’invecchiamento della popolazione, il Fondo monetario propone l’innalzamento dell’età di pensionamento e la riduzione del tasso di conversione del capitale di vecchiaia. (Keystone)
risultati nei rapporti su questi aspetti principali. Negli ultimi mesi, tuttavia, si sono messi in evidenza aspetti preoccupanti come il segreto bancario o la trasparenza fiscale. Anche nel rapporto di quest’anno, presentato a fine marzo a Berna, si mettono comunque in evidenza aspetti positivi, come l’andamento della congiuntura o la capacità della Svizzera di adeguarsi senza troppi traumi al periodo di forza del franco sui mercati valutari, ma anche la solidità delle finanze pubbliche, nonché la ritrovata stabilità del settore bancario. Non mancano comunque alcuni aspetti preoccupanti. Tra questi il FMI ricorda la possibilità di una bolla speculativa nel settore immobiliare, nel caso di una forte ripresa dei tassi di interesse. In questo settore vengono raccomandate regole più severe per la concessione di prestiti ipotecari, nonché per la possibilità di dedurre dal reddito fiscalmente imponibile gli interessi sul debito ipotecario. Cosa che deve però tener conto di alcune particolarità del sistema svizzero, come il valore locativo e la tassazione della sostanza. Su due punti principali – come detto – il FMI attira l’attenzione delle autorità politiche svizzere: il sistema pensionistico e il freno all’indebita-
mento. Due temi che sono diventati di stretta attualità: il primo a causa del voto popolare negativo sul progetto di riforma dell’AVS e della previdenza professionale; il secondo a causa delle discussioni sorte attorno all’avanzo eccezionale dei bilanci 2017 della Confederazione. Come già notato in nostri precedenti commenti, il freno all’indebitamento sta attirando l’attenzione della politica a causa della regola che impone di utilizzare gli avanzi degli esercizi annuali per ridurre il debito pubblico. Il FMI suggerisce di utilizzare l’utile d’esercizio per aumentare le spese dell’anno seguente. Idea già discussa in Consiglio federale, ma abbandonata anche a causa di un rapporto di esperti che consiglia invece di ridurre le imposte. Secondo il Dipartimento federale delle finanze, il problema si presenterebbe se si constatassero investimenti insufficienti, il che non è certamente il caso. Al limite, si potrebbe pensare a finanziare le spese sociali. Ma anche in questo campo si constata che dall’introduzione del freno nel 2003, la spesa sociale è cresciuta a ritmi più elevati di quelli dell’economia, e questo nonostante il freno all’indebitamento. Perciò il consiglio del gruppo svizzero di esperti è stato piuttosto quello di ridurre il carico fiscale.
Sull’altro grande tema, e cioè il risanamento del sistema di assicurazione sociale, compromesso essenzialmente dall’invecchiamento della popolazione, le conclusioni del FMI sembrano sostenere la necessità di un aumento dell’età di pensionamento per l’AVS e di una riduzione del tasso di conversione del capitale di vecchiaia in rendita per la previdenza professionale. Facile a dirsi sul piano teorico, ma difficile da realizzare in un sistema democratico come quello svizzero, in cui l’ultima parola spetta al popolo. Infine, si è affrontato anche il tema dell’iniziativa «Moneta intera». Adeguata al sistema svizzero, l’iniziativa vorrebbe togliere alle banche la possibilità di creare moneta, attraverso il credito, e affidare unicamente alla Banca nazionale questa funzione. L’iniziativa si basa proprio su uno studio del 2012 di due economisti del FMI. A Berna si è però confermato che il FMI stesso non condivide l’idea (tra l’altro poiché creerebbe problemi in materia di crediti sufficienti all’economia)dell’iniziativa che sarà posta in votazione popolare il prossimo 10 giugno. Lo studio del 2012 era un lavoro teorico, che nella pratica quotidiana creerebbe alcune difficoltà. In Svizzera questo vale spesso anche sul piano politico, proprio per il necessario consenso popolare sulle grandi riforme.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 16 aprile 2018 • N. 16
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Politica e Economia
L’altra faccia dell’invecchiamento La consulenza della Banca Migros
Thomas Pentsy
Aspettativa di vita media alla nascita
Fonte: UST
Thomas Pentsy è analista di mercato e dei prodotti presso la Banca Migros
Parliamo prima degli aspetti positivi: grazie ai progressi della medicina, a uno stile di vita più responsabile e a un’assistenza sociale migliore, le persone raggiungono un’età sempre più elevata. I più anziani sono gli abitanti dei paesi industrializzati benestanti come la Svizzera. Qui l’aspettativa di vita continua ad aumentare. In base allo scenario di riferimento dell’Ufficio federale di statistica, nel 2015 l’aspettativa di vita alla nascita per gli uomini corrispondeva a 81,2 anni. Entro il 2030 sarà di 84,2 anni ed entro il 2045 passerà a 86,2 anni. Per le donne si innalza da 85,1 anni a 87,6 anni rispettivamente 89,4 anni. Nel 1991 invece l’aspettativa di vita per gli uomini era di 74,1 anni e per le donne di 81,2. L’altro lato della medaglia è che a causa dell’aumento dell’invecchiamento nei prossimi anni la Svizzera dovrà confrontarsi con alcune sfide sul mercato del lavoro, nel sistema sanitario o nei nostri sistemi di previdenza di vecchiaia. Senza riforme questi problemi si acuiranno, perché nei prossimi decenni il numero di sessantacinquenni e di anziani aumenterà considerevolmente. Di conseguenza lo scenario di riferimento passa da 1,5 milioni nel 2015 a 2,17 (2030) rispettivamente 2,69 milioni (2045). Con queste premesse si deduce che l’AVS in seguito all’aumento della durata di vita dei pensionati e della du-
rata della pensione non sarà finanziata in modo duraturo. Infatti lo sviluppo demografico porta tra l’altro a un peggioramento del rapporto tra il numero dei lavoratori e quello dei pensionati. Se attualmente ancora 3,5 persone in età lavorativa finanziano un anziano, nel 2045 saranno solo ancora due.
Per disinnescare la bomba a orologeria demografica, dopo il fallimento della riforma del sistema previdenziale 2020, la politica deve elaborare il più rapidamente possibile nuove soluzioni. Indipendentemente da quali riforme attueremo, alla fine ognuno di noi è invitato a estendere il proprio
contributo alla previdenza di vecchiaia, ad esempio con risparmi aggiuntivi nel conto del pilastro 3a o con contributi di entrata nella cassa pensione. Leggete di più sulla pianificazione pensionistica sul blog della Banca Migros. Vi auguriamo una vecchiaia ricca di vitalità. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 16 aprile 2018 • N. 16
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Politica e Economia Rubriche
Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Le criptovalute salveranno le regioni periferiche? profani, ossia a chi scrive e a una buona parte dei miei lettori, basterà sapere che un’azienda blockchain è come un enorme reparto di contabilità, nel quale vengono registrate miliardi di operazioni che vengono condotte in tutto il mondo con la criptovaluta. Questo è possibile naturalmente solo grazie alla rapidità con la quale oggi i computer possono eseguire queste operazioni di registrazione. E adesso vien il bello
Keystone
Da qualche anno hanno cominciato a circolare le criptovalute. Il bitcoin rappresenta forse l’esempio più conosciuto delle stesse. Su che cosa siano, come funzionino, quali vantaggi e, soprattutto, quali possibili rischi nascondino queste valute si sa poco. Di base si sa che sono valute elettroniche e che funzionano grazie all’attività di cosiddette «aziende blockchain» che intervengono a convalidarne le transazioni . Ai
per le economie delle nostre regioni periferiche: le aziende blockchain sono enormi divoratori di energia elettrica. La disponibilità di energia elettrica a buon mercato costituisce per queste aziende il fattore di localizzazione più importante. In altre parole, le aziende blockchain, senza le quali la criptovaluta non può circolare, sono alla ricerca di localizzazioni nelle quali il costo dell’energia elettrica è a buon mercato. Da noi, queste localizzazioni si trovano di solito nelle regioni di montagna. Attualmente sta destando molto interesse – ne hanno parlato anche i media ticinesi e italiani – il caso di Gondo, il villaggio vallesano alla frontiera con l’Italia, sulla strada del Sempione che, nell’ottobre del 2000, fu travolto da una frana che causò la morte di 13 persone. Da allora, Gondo ha faticato ad andare avanti, perdendo popolazione e attività economiche fino a che, qualche mese fa, venne ad installarsi la Alpine Mining SA, un’azienda che promuove la criptovaluta Ethereum. Per questa azienda la ragione prepon-
derante per la scelta di Gondo come nuova localizzazione è data dal prezzo dell’energia elettrica che è certamente più che concorrenziale. Sembra che già oggi l’azienda blockchain consumi un quantitativo di energia elettrica pari a quello consumato in precedenza dall’intero villaggio. Ovviamente la scelta localizzativa di Alpine Mining ha suscitato molto interesse. Sembra che le autorità comunali di Gondo siano, al momento, molto sollecitate da altri imprenditori di questo settore che vorrebbero portare le loro aziende nel villaggio di frontiera. Purtroppo l’installazione di nuove aziende blockchain o lo sviluppo ulteriore di quella che già si è localizzata nel comune potrebbero essere ostacolate da problemi non facilmente risolvibili. Il primo è quello di trovare le superfici adatte. L’azienda blockchain produce molto rumore e non può quindi essere installata al centro del villaggio o nelle vicinanze di case di abitazione. Questo problema potrebbe venir superato se al comune di Gondo fosse concesso
di aprire nuove zone di costruzione fuori dal perimetro già costruito. E qui casca l’asino perché, con la nuova legge federale sulla pianificazione del territorio che domanda di ridurre le superfici delle zone di costruzione, il comune di Gondo si trova confrontato con un bel rompicapo. Da un lato viene sollecitato, come mai è avvenuto nel corso dell’ultimo secolo, da imprenditori che vorrebbero creare nuove aziende blockchain sul suo territorio, dall’altro deve battersi con le autorità cantonali e, possibilmente, anche con quelle federali, per poter ottenere, a titolo eccezionale, la possibilità di creare una nuova zona artigianale per far posto a queste iniziative. La soluzione del rompicapo uscirà probabilmente da una lunga negoziazione tra le autorità dei diversi livelli nel corso della quale, ovviamente, si farà anche un’analisi approfondita dei vantaggi effettivi che la creazione di queste nuove aziende nel campo della criptovaluta potrebbero arrecare a un villaggio periferico e di montagna come è Gondo.
lo costringiamo a una riunificazione politica del popolo siriano: molti hanno tentato di dire che è molto difficile che chi è stato privato di tutto a causa di Assad abbia voglia di tentare una riappacificazione. Semmai il percorso sarebbe stato inverso: il rais elimina tutti gli oppositori, centimetro per centimetro, che è quello che voleva fare fin dall’inizio, quando la piazza siriana fu repressa nel sangue e nelle cancellerie europee si pensava che Assad fosse stato circuito dai suoi militari, dai suoi familiari, dal suo entourage, dagli alieni. Ma queste riflessioni sul futuro della Siria erano marginali: Assad resta lì, impariamo a farci i conti. L’unico a non distrarsi è stato Israele. I raid dell’esercito israeliano vanno avanti da tempo: quando la minaccia è esistenziale, non hai tempo di guardare altrove. In Siria si sono ammassati generali e mezzi iraniani, il confine nord di Israele è tornato a
essere pericolosissimo, e con pazienza strategica Israele ha cercato di eliminare i rischi più imminenti. Senza troppe domande e senza troppo clamore, ma cercando di negoziare con gli alleati stranieri la propria libertà di intervento: ancora in questi giorni, che la Russia ha denunciato con toni minacciosi l’ultimo blitz israeliano in Siria (sono morti soldati iraniani), gli esperti continuano a dire che c’è un patto di collaborazione stretta tra Mosca e Gerusalemme, o almeno c’è il patto di non scontrarsi direttamente, perché questo sì, sarebbe un disastro. I toni di Israele nei confronti di Damasco però sono notevolmente cambiati e ora che anche il presidente americano, Donald Trump, ha tolto il velo dalle alleanze sciagurate – «non potete stare con un Animale che Uccide con il Gas il suo popolo e si diverte a farlo!», ha twittato Trump: parlava ai russi, ma anche a tutti gli assadisti – è facile intuire perché Assad non
si sente più tanto al sicuro: «angelo della morte», lo hanno definito alcuni ministri israeliani. L’obiettivo in questa prima fase di uno scontro che sta prendendo una nuova forma è per tutti di evitare lo scontro tra grandi potenze: americani, russi, israeliani. Gli esperti dicono che nessuno di questi ha motivo di volere un confronto diretto, e le conseguenze sarebbero catastrofiche. Ma Assad? Lui è il dittatore simbolo dell’impunità, della distrazione collettiva, della possibilità di utilizzare armi chimiche (che non dovrebbero neppure esserci in Siria, erano state formalmente consegnate) senza grandi effetti sulla tenuta del proprio regime. E ora invece potremmo scoprire che, a parte l’Iran che combatte, attraverso Damasco, una battaglia ideologica di espansione dell’influenza sciita in tutta la regione mediorientale, nessuno davvero se la sente di morire per Assad.
grafici e dai suggeritori. Si ha insomma l’impressione che la formazione dell’opinione pubblica non dipenda più (o dipenda sempre meno) dalla penna di raffinati editorialisti, ma da una raffica di commenti sgorganti da incontrollabili travasi di bile. Tra qualche mese sapremo come reagiranno i partiti a queste nuove frontiere della comunicazione, già protagoniste altrove di gravi sconquassi per la democrazia. I partiti dovranno poi armare i loro carri da battaglia con temi di sicura presa. Negli ultimi appuntamenti hanno occupato l’agenda questioni come l’afflusso dei frontalieri, la gestione dei profughi, la sicurezza e i rapporti con Berna: argomenti che pur rimanendo sul tappeto come oggetto di continua negoziazione non sembrano più in grado di suscitare ondate emotive traducibili in voti. Maggior incidenza avranno invece argomenti
come l’incremento vertiginoso della spesa sanitaria, con i relativi costi per gli assicurati; la paralisi del traffico nei centri urbani e sull’asse autostradale Chiasso-Lugano; la cementificazione del territorio; le famiglie del ceto medio sospinte verso il basso dalla soma di tasse e balzelli. Infine bisognerà tener d’occhio le tendenze di lungo periodo, com’è ormai il caso in tutte le «decadenti» società occidentali: l’invecchiamento della popolazione, fenomeno dalle molteplici implicazioni, dalle case di riposo alla qualità delle cure infermieristiche; la formazione scolastica e professionale delle giovani generazioni, alle prese con un universo produttivo sempre più mobile e imprevedibile; l’urgenza di salvaguardare le risorse naturali e ciò che rimane in piedi del passato. «Vaste programme», con tanti auguri ai candidati vecchi e nuovi in procinto di scendere nell’arena.
Affari Esteri di Paola Peduzzi La lunga impunità di Assad Il conflitto in Siria è iniziato sette anni fa, nel 2011, anno di primavere arabe che, viste con gli occhi di oggi, sembrano lontane anni luce: piazze piene che chiedono la libertà, chi se le ricorda più? Da allora ci sono stati 465 mila morti, secondo i dati dell’Onu, un milione di feriti (feriti da bombe, feriti per sempre), e dodici milioni di siriani, metà della popolazione del paese prima dell’inizio della crisi, sono scappati dalle loro case: per circa la metà sono usciti dalla Siria, per lo più accolti nei campi profughi nei paesi confinanti; gli altri vivono in altre parti del paese. Bashar el Assad è riuscito a sopravvivere a Damasco per tutto questo tempo, nonostante in Siria sia accaduto, nel frattempo, di tutto: l’ascesa dello Stato islamico, l’intervento di russi, iraniani, americani, alleati della regione, turchi, israeliani. Ognuno in forma diversa, in termini di soldati e continuità e obiettivi, ma tutti com-
battenti. L’esercito di Assad, dicono gli esperti, non sarebbe mai riuscito a resistere, per mancanza di mezzi e di uomini, senza l’appoggio di russi e iraniani, così come Assad stesso non sarebbe riuscito a rimanere a Damasco se tutto il resto del mondo non si fosse votato alla distrazione premeditata. Linee rosse tracciate e violate, Parlamenti inviperiti contro un’altra missione di guerra, quel grande bluff assadista-russo del combattere insieme «il terrorismo», per cui a un certo punto ci è parso anche plausibile – per molti necessario – scambiare informazioni sensibili con la Russia. Ora, dopo l’ultimo attacco chimico a Douma, è ripartita l’offensiva dei custodi delle linee rosse: gli americani, i francesi, gli inglesi (invero recalcitranti): come andrà a finire con Assad non si sa, nella grande distrazione collettiva ci eravamo abituati a considerare il rais siriano come una variabile ineliminabile. Ce lo teniamo,
Cantoni e spigoli di Orazio Martinetti Un’agenda per le elezioni del 2019 Tra meno di un anno si vota per le cantonali (7 aprile 2019). Si prevede che l’esecutivo – ovvero il Consiglio di Stato – rimarrà immutato, salvo sorprese dell’ultima ora (scandali, sgambetti, sconfessioni). Tutti gli uscenti puntano alla riconferma. Più vivace sarà invece la contesa per i seggi del Gran Consiglio. Dopo i trabalzoni delle ultime tornate elettorali, determinati dall’avanzata della Lega, il Ticino non esprime più ansie di cambiamenti radicali. Il quadrante dei fronti appare stabile, così come il principio della collegialità governativa su base proporzionale. Questo non significa che sotto il pelo dell’acqua regni una quiete fangosa. Finita l’estate, gli stati maggiori si rimetteranno al lavoro per studiare piattaforme programmatiche e perfezionare strategie. Solo allora si capirà se gli iscritti (la «base») manifesteranno insofferenza verso i loro rappresen-
tanti in governo (qualche segno in tal senso è già emerso nel corso dei recenti «affaires»). Se il cantone sta fermo o quasi, oltre frontiera tutto è agitazione. Difficile pensare che le convulsioni italiane non rimbalzino nel microcosmo ticinese, sotto forma di tic linguistici e retorici, comportamenti, concetti, suggestioni di varia natura. L’appartenenza ad un’altra cultura politica (quella confederata) non ha mai impedito di recepire ed assorbire pregi e difetti maturati nelle sempre ubertose terre italiche. Nonostante il crescente distacco intervenuto negli ultimi anni verso l’Italia per le ragioni a tutti note, l’elettorato ticinese rimane sensibile agli umori che fanno vibrare la penisola. Una rete farcita di politica come La7 di Enrico Mentana conta un buon numero di telespettatori anche nell’Insubria elvetica. D’altronde è impossibile scrivere la storia del nostro cantone prescinden-
do dalle influenze esercitate dall’Italia politica sui partiti e la stampa al di qua del confine. Si pensi solo ai numerosi pubblicisti d’origine lombarda che fin dall’Ottocento trovarono un’occupazione nelle redazioni della piccola repubblica ticinese. E già che siamo in tema (la stampa), quale sarà questa volta il ruolo dei quotidiani e dei settimanali nell’orientare le scelte dell’elettore? Ovunque l’eclisse delle testate tradizionali, nate tra Otto e Novecento, sta trascinando con sé anche le figure del giornalistaopinionista e dell’intellettuale che contribuiva a guidare/indirizzare la platea dei lettori-elettori. Negli ultimi anni questo legame si è andato sfilacciando. Il lettore-elettore si è via via sganciato dai canali cartacei per buttarsi nella rete, in particolare nei media sociali o «social», uno spazio non più presidiato dai cultori delle belle lettere ma dai pubblicitari, dai
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 16 aprile 2018 • N. 16
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Cultura e Spettacoli Pregiudizi duri a morire Nel libro Donne e potere, Mary Beard indaga l’idea che parlare in pubblico debba essere prerogativa dei maschi
The Prisoner a Verscio Una delle opere più intense e poetiche di Peter Brook ha richiamato un folto pubblico al Teatro Dimitri
Copenaghen al Piccolo A distanza di 18 anni, Michael Frayn ripropone il suo più famoso lavoro teatrale
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L’ultima volta di Joan Baez La celebre cantautrice statunitense prende commiato dalla scena musicale con un ultimo disco, Whistle Down the Wind pagina 41
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Il piacere della pittura
Mostre La Pinacoteca Züst di Rancate
dedica un ricordo a Valeria Pasta Morelli
Alessia Brughera C’è un dipinto di Valeria Pasta Morelli, pittrice nata a Mendrisio nel 1858, che racchiude in un’emblematica immagine di serena intimità quelli che sono stati per l’artista ticinese i due poli attorno a cui è ruotata la sua intera esistenza: la famiglia e la pittura. In quest’opera, dal titolo Autoritratto con il figlio Valerio, datata 1890, la donna appare seduta al cavalletto, tavolozza e pennello alla mano, mentre tiene in grembo il suo bimbo di pochi mesi: lo sguardo scruta il quadro in esecuzione, il braccio destro, disteso in un momento di pausa, sembra pronto ad avvicinarsi alla tela per delineare nuovi tratti, quello sinistro cinge teneramente il figlioletto. Se il ruolo di moglie e di madre relega l’attività pittorica della Pasta Morelli all’ambito domestico, è pur vero che dopo il matrimonio la donna riesce a dedicarsi liberamente alla sua passione per l’arte, realizzando lavori di pregevole fattura che testimoniano un talento alimentato con entusiasmo e sorretto da studi specifici, cosa piuttosto rara per le signore del tempo. Il dipinto descritto appartiene al nucleo di opere che la nipote della Pasta Morelli ha donato di recente alla Pinacoteca Züst di Rancate con la speranza che la figura della pittrice ticinese, oggi ancora poco nota, potesse essere apprezzata da un pubblico più vasto. E così è stato. La rassegna allestita negli spazi del museo rancatese, che espone gli oltre trenta dipinti del lascito (tutti restaurati per l’occasione) corredati da numerosi altri oggetti, ha il merito di far emergere dall’oblio una personalità del nostro cantone che non ha beneficiato sinora del meritato riconoscimento. Essendo un’artista per i più tuttora da scoprire, occorre dapprima introdurre l’ambiente famigliare in cui si è mossa, contesto da cui prende avvio anche il percorso della mostra alla Züst, con due sale dedicate al padre e allo zio della pittrice. Il primo, Carlo Pasta, medico chirurgo, è stato uomo ambizioso, caratteristica ereditata dai suoi avi, imprenditori arrivati a Mendrisio nel 1776 dalla non lontana Gallarate e abili nell’intessere sin da subito strette relazioni con il territorio. La rassegna ricorda il lungimirante dottore soprattutto per quello che è stato il suo progetto più grande, la costruzione dell’albergo sul Monte Generoso nel 1867 e la ferrovia a cremagliera che conduce alla vetta. Nello spazio che descrive l’impresa troviamo alcune opere di Valeria Pasta Morelli che hanno per soggetto la montagna
tanto cara a lei e alla sua famiglia, di cui la pittrice sa restituire scorci e panorami con vivido sentimento. A creare una sorta di contraddittorio, è stato esposto anche un quadro di Spartaco Vela, artista ticinese ostile alla modernizzazione del Generoso, in cui una fanciulla, alla vecchia maniera, ascende alla cima sul dorso di un asino. Lo zio della pittrice, Bernardino, dedito all’arte fino a che, nel 1869, decide come il fratello di cimentarsi nel settore alberghiero, è protagonista con alcuni suoi lavori della sala successiva. Formatosi a Brera, ha rivolto la sua attenzione perlopiù alla scena di genere e al ritratto, senza però disdegnare le vedute paesaggistiche. In questi dipinti emerge come l’artista amasse rappresentare brani della quotidianità popolare e borghese con una narrazione semplice in sintonia da una parte con la pittura di Domenico e Gerolamo Induno, dall’altra con i modi dei Macchiaioli. È probabilmente per seguire le orme dello zio che Valeria Pasta Morelli si avvicina all’arte, appoggiata senza remore dalla famiglia nella sua scelta di studiare all’accademia braidense, rientrando così nell’esiguo novero di ragazze che a quell’epoca frequentava l’ateneo milanese. La mostra racconta gli esordi artistici della pittrice attraverso alcuni nudi femminili risalenti alla metà degli anni Ottanta dell’Ottocento, per poi testimoniare il suo interesse per la ritrattistica, genere a cui si applica guardando l’esempio di Giuseppe Bertini, e per le scene domestiche teneramente patetiche, vicine, come già era stato per lo zio, allo stile pregno di pathos dei fratelli Induno. Dopo il matrimonio con Enrico Morelli, alto funzionario dell’esercito italiano, e la nascita del figlio, l’artista fa della famiglia una delle iconografie predilette della sua produzione: in una bella tela del 1898 (qui a lato) si ritrae accanto al marito, intento a leggere il giornale mentre fuma un sigaro, e al loro bambino, che stuzzica scherzosamente l’orecchio del padre con una pagliuzza, immortalando un delicato episodio di gioiosa armonia quotidiana. Nei dipinti dal tema arcadico-pastorale affiora invece quanto sia stata fondamentale per la Pasta Morelli la lezione di Bartolomeo Giuliano, nel cui studio aveva perfezionato la tecnica a olio subito dopo Brera. Proprio le raffigurazioni agresti e marittime del maestro lombardo influenzano molte delle composizioni della pittrice. Ne è un esempio Donna che sfoglia la margherita, del 1895-98, opera che ritrae una
La famiglia Morelli (Enrico, Valerio e la pittrice), 1898 circa. (Pinacoteca Züst)
contadina seduta sull’uscio di casa e assorta nei suoi pensieri amorosi, esplicito richiamo, nella posa della fanciulla e nel delicato senso di poesia elegiaca che pervade la scena, al dipinto Alla fonte di Giuliano, pure presente in mostra. Nei lavori esposti si nota come la Pasta Morelli non abbia mai affrontato la natura morta, cosa piuttosto insolita se si pensa che questo era il genere che al tempo impegnava in maniera quasi esclusiva le donne artiste. Quanto tale soggetto fosse in voga nell’universo femminile viene documentato nella parte finale della rassegna, che raccoglie alcune opere realizzate da pittrici
ticinesi attive tra Ottocento e Novecento. Erano signore appartenenti alla classe agiata che spesso coltivavano l’arte per hobby frequentando l’atelier di Gioachino Galbusera, uno dei maestri più richiesti dalla borghesia luganese, per trarre ispirazione proprio dai suoi raffinati quadri di fiori e frutta. Tra i nomi che compaiono in questa sezione ci sono quelli di Marie-Louise Audemars Manzoni e di Giovanna BéhaCastagnola, che come la Pasta Morelli hanno studiato a Brera, quelli di Elisa Rusca, di Adele Andreazzi, di Olga Clericetti, di Lina Grazioli, di Antonietta Solari, di Clara Lendi e di Regina Con-
ti: quasi tutte artiste per diletto, donne che hanno coltivato privatamente l’amore per la pittura ma che, nonostante ciò, hanno saputo arricchire con la loro sensibilità l’arte del nostro territorio. Dove e quando
Arte e diletto. Valeria Pasta Morelli (1858-1909) e le pittrici del suo tempo. Pinacoteca cantonale Giovanni Züst, Rancate. Fino al 26 agosto 2018. Orari: da marzo a giugno 9.00-12.00 / 14.00-17.00; luglio e agosto 14.0018.00. Festivi aperto, chiuso il lunedì. www.ti.ch/zuest.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 16 aprile 2018 • N. 16
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Cultura e Spettacoli
La parola spetta agli uomini Libri Mary Beard in Donne e potere mostra quanto sia radicata, anche nella cultura
occidentale, l’idea che parlare in pubblico sia «cosa da maschi»
L’origine è nell’Odissea con Telemaco che zittisce la madre Penelope e la rimanda al telaio Per constatare una vitalità che va molto oltre il luogo comune «attualità dei classici» (se sono interessanti, è perché aprono prospettive diverse), Einaudi ha appena pubblicato Un’Odissea di Daniel Mendelsohn, anche lui classicista – ma di quelli che sanno scrivere cose sensate su Kill Bill di Quentin Tarantino. Teneva un corso su Omero, quando
Giorgio Thoeni
Anche Margaret Thatcher, qui alle elezioni di Dartford nel 1950, fece un corso di dizione per rendere la voce più profonda e quindi più maschile. (Keystone)
il padre più che ottantenne gli chiese di frequentare le sue lezioni. Il professore disse sì, il vecchio genitore si presentò il primo giorno assieme agli allievi diciottenni. E cominciò a far domande da matematico, per nulla affascinato dall’eroe mentitore. «Sarà un incubo», pensò il professore già pentito – e siccome l’Odissea parla (anche) di padri e di figli, di figli adulti e di vecchi genitori, di viaggi e del diventare adulti, molte ancora saranno le sorprese. Ritroviamo Telemaco al centro dell’episodio additato ai posteri da Mary Beard in Donne e potere (Mondadori). Siamo a Itaca, Penelope scende nel salone della reggia dove un aedo sta intrattenendo i corteggiatori che ambiscono alla sua mano (Ulisse è via da tanto tempo, tanto vale darlo per morto). L’aedo canta storie tristi, di eroi greci che incontrano ostacoli sulla via del ritorno a casa. Penelope non gradisce, chiede al cantore di intonare qualcosa di meno deprimente, e soprattutto qualcosa che non faccia l’effetto «corda in casa dell’impiccato».
Arriva Telemaco giovinetto, e ordina perentorio: «Madre mia, va’ nella stanza tua, accudisci ai lavori tuoi, il telaio, la conocchia, e comanda alle ancelle/ di badare al lavoro: la parola spetterà qui agli uomini / a tutti e a me soprattutto, che ho il potere qui in casa». Penelope incassa, non reagisce, si ritira in buon ordine, mentre immaginiamo che nel salone della reggia continui a risuonare la lagna triste. Con un precedente come questo, la parola pubblica delle donne nasce già morta. O ridicolizzata, come fa Aristofane in Le donne al parlamento: le femmine prendono il potere ma continuano a non saper parlare in pubblico, hanno sempre il tono del pettegolezzo (a sfondo sessuale, perlopiù). Sulla stessa linea vedremo schierato Jonathan Swift, nei Viaggi di Gulliver: i saggi propongono una riforma del linguaggio, dove le cose sostituiscono le parole. Le donne fieramente si oppongono, perché è nella loro natura chiacchierare sul nulla. Qualche donna soltanto infrange il divieto di parlare in pubblico, nel
primo secolo un compilatore di antologie fa l’elenchino dei mostri. Una sembra una donna, ma ha un animo virile. Una ha l’impudenza di arringare in tribunale, ma le escono di bocca solo «latrati e guaiti». Una parla a nome di tutte le donne, per difendere interessi di categoria (quanto a parlare «anche» per i maschi, giammai). L’unica libertà di parola pubblica è accordata alle vittime, meglio se in punto di morte (ammesso che il cattivo di turno non tagli la lingua alla stuprata Filomela). Mary Beard insegna a Cambridge, e cura gli articoli sull’antichità classica del «Times Litteram Supplement», è attiva su twitter dove ogni tanto viene minacciata di morte o orribili torture. Studia gli antichi e non dimentica i moderni: l’attacco di misoginia che contribuì a far vincere le elezioni a Donald Trump è ancora tutto da studiare, altro che Cambridge Analytica. E Margaret Thatcher fece un corso di dizione, per rendere la voce più profonda, e quindi maschile.
Tram, lampioni e compassione
Pubblicazioni Da che cosa salgono i riflessi della strada che angosciano Gregor Samsa
ormai trasformato «in un enorme insetto immondo?
Stefano Vassere «Kafka aveva lamentato che la sua Verwandlung avesse caratteri “troppo scuri e fitti”. In effetti le interlinee, il materiale cieco che si inserisce tra i corpi delle lettere nella composizione e regola quindi lo spazio fra le righe, era inferiore a quello del Napoléon di Sternheim». Attenti: questo è un libro fuori dall’ordinario. E i motivi sono almeno due: uno, perché ci fa un po’ innamorare di quella scienza che merita di essere amata che è la filologia; due, perché ci spiega che la Metamorfosi di Franz Kafka ha, come hanno tutte le grandi opere, qualche aspetto marginale, qualche passo minore e trascurato, che (lo dice Roland Barthes), se individuato svela essenze dislocate ma centrali. Qui per esempio c’è quel finale della gita in tram della famiglia, che, smaltita la carcassa del fratello insetto, si mette a ragionare sulle prospettive favorevoli della vita, a cominciare da quelle della figlia Grete. «E, quasi a confermare quei nuovi sogni e buoni propositi, al termine del percorso la ragazza si alzò per prima, stirando le giovani membra». Anche lo spunto di questo libro risulta da un particolare: un’edizione Rizzoli del 2001 del capolavoro di K nella traduzione storica con testo a fronte,
Teatro I n scena a
Verscio The Prisoner, una delle più intense opere di Peter Brook
Mariarosa Mancuso Serviva una storica per fissare il momento esatto. L’inizio della censura, l’origine di tutte le donne zittite o sbeffeggiate dall’antica Grecia fino all’altro ieri (chi scrive ha sentito con le proprie orecchie apostrofare di «galline» due femmine che con voce più alta del normale discutevano sul posto di lavoro: quando lo fanno i maschi, trattasi di virile e appassionata discussione). Serviva Mary Beard per mostrare quanto profonda sia, anche nella cultura occidentale, l’idea che la parola pubblica spetti ai maschi. L’episodio sta in un testo cardine come l’Odissea. A dire testo, qualche brividino filologico corre giù per la schiena, i poemi omerici nascono come versi da recitare ai banchetti: un’altra brillante storica come Florence Dupont ha scritto un libro per dimostrare che hanno molte cose in comune con Dallas e altre soap opera. È il bello dei classici, indistruttibili e pronti a farsi riciclare ogni volta che se ne presenta l’occasione. Hanno sempre qualcosa da dire, anche nelle situazioni più bizzarre: chi mai avrebbe scommesso, qualche anno fa, sul successo strepitoso di Wonder Woman, supereroina ispirata alle amazzoni guerriere?
Incanto, poesia e redenzione
all’inizio della seconda parte, quando si racconta come a Gregor arrivino giù dalla strada frammenti di vita normale, la rispettata germanista Anita Rho traduce un apparentemente innocuo Strassenlampen «lampioni elettrici» con tranvia elettrica, che in tedesco fa «Strassenbahn». Una variante che si insinua nelle prime traduzioni, che sembra dapprima un errore dei traduttori, poi uno sbaglio del proto e infine, magari, un’opzione d’autore. La ricerca della
svolta originaria ci porta un po’ in giro per il mondo: in Spagna, in Argentina, in Brasile, in Francia, in Turchia, in Iran. Ci fa ipotizzare un «fiammeggiante» e archetipico Borges, che nasconderebbe il particolare del tram al posto dei lampioni in una specie di traduzioneesercizio di stile (Buenos Aires non era, appunto, la città dei tram?). Ci invita a seguire l’avventura esistenziale della traduttrice oltre che pasionaria, comunista e molte altre cose Margarita Nelken. A mettere a posto tutto è infine la scoperta quasi casuale di una seconda edizione precoce (si gioca tutto su due anni, tra il 1915 e il 1917) che ripiomba indietro nel tempo la variante lampioni/tram, assolve l’errore di traduzione originale e tutti i traduttori a seguire. E però apre un nuovo enigma: di chi è l’intervento? O meglio, è una variante introdotta da Kafka (conosciuto come un Cavalier Precisetti) o ancora dobbiamo tornare a interpellare le tipografie? Non c’è verso di saperlo, nessuna fonte ci aiuta; ed è qui che, abbandonate le armi della critica testuale, possiamo imbracciare quelle dell’interpretazione. Certo è che «se siete un grosso insetto rintanato, ferito e recluso e sentite e vedete il riflesso del tram che passa, il cuore vi si stringerà, ben più che alla percezione dell’illuminazione stradale». O forse no, in capo
al sorprendente testo di Adriano Sofri non se ne esce e tra le ipotesi interpretative e nella sterminata esegesi del testo (uno degli studi più monumentali sul raccontino di Kafka è quello di Hartmut Binder, seicento pagine in quarto a fronte della qualche decina del raccontino) brilla per originalità il tema della compassione. Per le ragazze e per la sorella di Gregor Samsa: entrano in forma di luci di tram nella camera del poveretto tutte le tristezze del mondo e triste a suo modo è anche l’ingresso, in tram, alla fine della terribile vicenda, della sbocciata Grete nell’insidioso mondo dei grandi. È bello pensare, con Sofri, che quella sostituzione all’inizio del racconto sia come un segnale dell’autore; che ci dice: attenti ai tram, perché è lì e non al centro della scena che questo capolavoro, come tutti i capolavori, risolve la sua visione della vita. «Io ho compassione di tutte le ragazze, è l’unico mio incontestabile sentimento sociale. Non ho ancora chiarito donde venga questa pietà. Forse ho pietà di loro per la trasformazione in donne alla quale devono soggiacere». Bibliografia
Adriano Sofri, Una variazione di Kafka, Palermo, Sellerio, 2018.
Non c’era di che dubitarne. Con l’arrivo a Verscio di uno spettacolo firmato da Peter Brook con Marie-Hélène Estienne, storica collaboratrice del maestro inglese, la sala centovallina avrebbe faticato a soddisfare l’affluenza del pubblico accorso per assistere a quello che ha avuto tutti i crismi di un evento eccezionale nella storia recente di quel piccolo-grande teatro. E così è stato, nonostante il prezzo esuberante del biglietto, il Teatro Dimitri ha accolto The Prisoner con totale attenzione e raccoglimento. Uno spettacolo da antologia per la filosofia e la spiritualità che accompagnano le opere del grande regista oggi novantatreenne e ancora straordinariamente giovane The Prisoner è il risultato di un lungo e accurato processo di ricerca, scrittura e composizione con l’obiettivo di creare una parabola in cui il leggendario «spazio vuoto» diventa il compromesso ideale, una scena perfetta dove si consuma la relazione teatrale tra attore, spettatore e testo, magica triade che agisce in uno spazio sgombro da orpelli, dove la scenografia è nella forza evocativa dell’attore, nei suoi silenzi e nei suoi sguardi, accanto a pochi semplici elementi funzionali alla storia che viene raccontata. Ma anche in questo caso Brook non spiega ma indica una via dove la narrazione può ritagliarsi una vita propria, accanto allo spettatore, dentro o distante da lui in un movimento interiore straordinariamente intimo e con un respiro dall’inestimabile valore sociale. Un rituale che rende visibile l’invisibile, senza effetti illusori, senza meccanismi di abusata finzione. The Prisoner è tutto ciò ma anche di più, fra le dimensioni che Brook ha amato distinguere fra «teatro sacro» e «teatro ruvido», con una storia umana e scabrosa. Una storia scaturita da un’esperienza vera. Cinquant’anni fa il regista inglese incontra in Afghanistan un maestro sufi che lo invita a conoscere uno dei suoi vecchi allievi diventato un criminale e che aveva scelto di espiare la pena che gli era stata inflitta rimanendo solo e davanti alle mura della prigione fino al momento in cui avrebbe capito quando la colpa sarebbe stata assorbita dal pentimento. Solo allora avrebbe potuto raggiungere gli altri. Il racconto ricamato da Brook va ben oltre alla definizione del fatto criminoso ma si supera nel suo atroce antefatto: l’uomo ha ucciso il padre dopo averlo scoperto a letto con sua sorella di cui è innamorato. Ne nasce una favola per adulti sulla nozione di Redenzione utilizzando un soggetto tabù come l’incesto dove cercare risposte sul senso di Colpa e di Giustizia in un clima di compassione, uscendo dall’insegnamento della vita per entrare nelle storie più profonde e nascoste di ognuno di noi. The Prisoner è uno spettacolo ipnotico, i suoi 75 minuti scuotono la coscienza e stravolgono la dimensione stessa del tempo, è uno spettacolo che accompagna lo spettatore a occupare lo spazio scenico interpretando i segni di una storia universale che esplora il tema della violenza con un approccio sublimato dall’immensa e generosa intelligenza teatrale di Peter Brook in cui emergono i valori indiscutibili della scrittura, delle parole e dei gesti, delle luci (Philippe Vialatte) e dell’accurato lavoro sugli attori provenienti da diverse parti del mondo, come il giovane protagonista, l’iraniano Hiran Abeysekera, straordinario nella sua innocenza quasi animalesca, il rwandese Ery Nzaramba, l’indiana Kalieaswari Srinivasan, il brasiliano Omar Silva e l’inglese Donald Sumpter.
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Cultura e Spettacoli
Cosa si dissero Heisenberg e Bohr? Teatro Copenaghen di Michael Frayn, di nuovo in scena 18 anni dopo con gli stessi interpreti
Giovanni Fattorini L’opera teatrale più nota di Michael Frayn (Londra, 1933) è quasi certamente Noises Off (Rumori fuori scena, 1982), virtuosistico saggio di teatro nel teatro, che in Italia fu rappresentato per la prima volta nel 1983 – con esito memorabile e ineguagliato – dalla Cooperativa Attori e Tecnici diretta da Attilio Corsini, a giudizio del quale la commedia di Frayn si poteva definire «una terapia in tre atti per compagnia teatrale». Perché terapia? Perché metterla in scena significava confrontarsi con «la nevrosi a circuito chiuso del fare teatro, con i vizi e i vezzi dei teatranti». Lo spettacolo ebbe un tale successo di pubblico e di critica che rimase nel repertorio della Cooperativa per 15 anni. Michael Frayn, da parte sua, ne diede un giudizio così positivo che allorché Peter Bogdanovich (il regista di Paper Moon e The Last Picture Show) si accinse a girare una trasposizione cinematografica dell’esilarante commedia, gli consigliò di volare in Italia per vedere lo messinscena di Corsini (il film uscì nel ’92, e per varie ragioni deluse non poco chi aveva apprezzato fino all’entusiasmo la versione scenica degli Attori e Tecnici). Quasi altrettanto nota è Copenaghen, commedia di ben diverso carattere, rappresentata per la prima volta a Londra nel 1998, e in Italia nel ’99, con la regia di Mauro Avogadro. Diciotto anni dopo il suo applauditissimo debutto, lo spettacolo è stato ripreso con
I tre attori, da sinistra Massimo Popolizio, Giuliana Lojodice e Umberto Orsini. (Teatro.it)
gli stessi interpreti, ed è attualmente in scena a Milano, al Piccolo Teatro Grassi, dove era approdato nel 2001. Copenaghen prende spunto da un fatto realmente accaduto. La sera del 17 settembre 1941, nella capitale danese occupata dai nazisti, il fisico Werner Heisenberg (che era alla testa del programma nucleare tedesco) si recò a cena in casa del suo ex maestro Niels Bohr e della di lui moglie Margrethe. Che cosa si dissero in quell’occasione i due scienziati (entrambi ebrei e premi Nobel per la fisica), ai quali si deve la formulazione, rispettivamente, del principio di indeterminazione e del principio di complementarità? Le te-
stimonianze al riguardo – anche quelle fornite dai due interlocutori – sono ambigue e reticenti. Al punto da tentare Michael Frayn a proporre alcune ipotesi. Spostandosi avanti e indietro nel tempo, prima e dopo la sera del 17 settembre 1941, nell’incontro immaginato dal commediografo inglese i due fisici parlano sia di fissione nucleare e scelte morali dello scienziato, sia di fatti personali (tra cui la morte per annegamento di un figlioletto dei Bohr), trapassando dal più o meno forte coinvolgimento emotivo al distanziamento ironico al tono impersonale della narrazione oggettiva e dell’esposizione didattica. Al colloquio (quello che
si svolge tra le pareti domestiche, non quello avvenuto all’esterno, nel giardino) assiste e partecipa la moglie di Bohr, Margrethe, che si oppone a ogni ipotesi di collaborazione tra il marito e il suo ex allievo. I rapidi spostamenti cronologici sono giustificati da ciò che viene chiarito fin dall’inizio: i tre personaggi, ormai morti, propongono versioni in parte divergenti del loro lontano incontro in quanto abitanti non pacificati di un imprecisato oltremondo, che nella bella scenografia di Giacomo Andrico ha le apparenze di un’aula di fisica, i cui arredi sono tre sedie metalliche e alcune lavagne, disposte a varia
altezza e coperte fin dal principio di formule, alle quali Bohr e Heisenberg ne aggiungeranno di quando in quando delle altre, fino a quella immediatamente seguita da una luce intensissima e da un fragore che fa tremare la scena: emozionante evocazione della «sfera di fuoco» e dell’onda d’urto prodotte dall’atomica sganciata su Hiroshima. L’evidenziazione degli scarti temporali e dell’alternanza dei momenti di partecipazione e straniamento dei personaggi - perseguita anche attraverso la rigorosa concertazione dei movimenti e dei mutevoli rapporti di prossimità e distanza degli interpreti – contribuisce in misura notevole a variare il ritmo della rappresentazione. L’intelligenza e la sensibilità del regista Mauro Avogadro sono grandi. Ma il coinvolgimento profondo e costante dello spettatore lo si deve anzitutto alla recitazione dei magnifici attori, che sono, come nel 1999, Umberto Orsini (Bohr), Giuliana Lojodice (Margrethe), Massimo Popolizio (Heisenberg). Alla fine, applausi prolungati e acclamazioni, anche per l’autore venuto da oltre Manica: un signore alto e magro, che molto elegantemente si è fatto vedere per non più di un minuto sotto il boccascena, ed è tornato subito al suo posto, in platea, con passo svelto e un’espressione soddisfatta. Dove e quando
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Cultura e Spettacoli
La magica Joan di sempre
CD L’album d’addio della «pasionaria» Joan Baez è, ancora una volta, una carrellata moderna ed elegante
delle suggestioni più amate dall’artista durante la sua intera carriera Benedicta Froelich Certo non dev’essere facile, in un’epoca come quella attuale – contraddistinta dallo spiccato ritorno al più superficiale materialismo e dalla globale regressione sociale e politica – continuare a ricoprire il ruolo di ex leggenda della musica «impegnata», con tutta la consapevolezza e nostalgia che inevitabilmente ne derivano. E c’è da credere che per la 77enne Joan Baez, vero mito del folk americano, possa trattarsi di un’impresa particolarmente dura: a differenza del compagno di un tempo, il coetaneo Bob Dylan, Joan non è infatti riuscita del tutto a «esportare» la propria arte oltre i confini della magica stagione di protesta a cavallo tra gli anni 60 e 70, finendo per rimanere legata a quell’irrepetibile periodo di speranze e lotte sociali – come una vera e propria icona, la quale, tuttavia, non ha mai smesso di combattere le proprie battaglie attraverso dischi che, seppur non più influenti come un tempo, hanno sempre confermato la grande professionalità di una tra le voci più interessanti della scena angloamericana.
Al disco hanno collaborato alcuni colleghi cantautori come Tom Waits e Josh Ritterf
Concorso
Almeno fino ad ora, poiché, prima ancora della sua pubblicazione, questo nuovo Whistle Down the Wind è stato annunciato come l’ultimo album che l’artista inciderà nella sua vita – un definitivo addio alle scene e agli ammiratori di una carriera ormai sessantennale. Nonostante ciò, il disco segue comunque l’abituale schema favorito dalla Baez nell’arco degli ultimi anni: non essendo mai stata una compositrice particolarmente assidua, recentemente Joan si è proposta soprattutto come interprete di brani altrui, che infonde della sua
La cantautrice americana in una foto del 2016. (Wikimedia)
peculiare vocalità e dello spessore e intensità che il proprio stile canoro inevitabilmente conferisce loro. Ecco quindi che la tracklist mostra la classica gamma da sempre cara all’artista, a cominciare dalla title track – esempio «da copione» di ballata malinconica e riflessiva, intrisa di un dolore struggente e quasi palpabile – e dallo splendido lento The Things that We are Made Of, uno dei brani più toccanti dell’ultimo, omonimo album di Mary Chapin Carpenter, il quale in questa versione beneficia di un travolgente accompagnamento al pianoforte. Forse più interessanti risultano, tuttavia, pezzi dallo stile meno tradizionalmente melodico, come il commovente e cadenzato Another World o l’intrigante Civil War, il cui cantato quasi soul richiama il repertorio della migliore Nina Simone; e se, per contrasto, The Great Correction mostra invece uno spirito
quasi country, non manca nemmeno una proposta «socialmente rilevante» quale The President Sang Amazing Grace, in cui un evento di cronaca (la nota strage di Charlestown del 2015) funge da spunto per un affresco ad alto voltaggio emotivo della solidarietà tra comuni cittadini. Peccato, però, che l’ingenuità implicita nel tessere gli sperticati elogi di un qualsivoglia presidente degli Stati Uniti e la retorica di cui le liriche traboccano precludano al brano la forza delle vecchie «topical songs» con cui Joan si è sempre dilettata. Come sempre, meglio tornare ai suggestivi modelli di un tempo – si veda Silver Blade, che, pur essendo un brano contemporaneo, composto dal giovane Josh Ritter (uno degli esponenti più interessanti del moderno folk statunitense), segue per filo e per segno i dettami dei traditional americani, e, nello
Tra jazz e nuove musiche Rassegna di Rete Due Casa Cav. Pellanda, Biasca Venerdì 27 aprile, ore 21.00
Un trio eccezionale per il giovane Robin Verheyen
Verheyen-Copland-Gress-Hart Robin Verheyen sassofoni, Marc Copland piano, Drew Gress contrabbasso, Billy Hart batteria. www.rsi.ch/jazz Chi è di scena Rassegna Teatrale Teatro Sociale, Bellinzona Venerdì 27 aprile, ore 20.45 Il segreto della vita di Anna Ziegler. Con Lucia Mascino, Filippo Dini, Giulio Della Monica, Dario Iubatti, Alessandro Tedeschi e Paolo Zuccari. www.teatrosociale.ch
www.azione.ch/concorsi Regolamento Migros Ticino offre ai lettori biglietti gratuiti per le manifestazioni sopra menzionate. Massimo due biglietti per economia domestica. La partecipazione è riservata a chi non ha beneficiato di vincite in occasione di analoghe promozioni nel corso degli scorsi mesi.
Per aggiudicarsi i biglietti basta seguire le istruzioni contenute nella pagina www.azione.ch/concorsi. Buona fortuna!
Biglietti in palio per gli eventi sostenuti dal Percento culturale di Migros Ticino
specifico, delle «murder ballad» di un tempo; lo stesso si può dire di I Wish the Wars Were All Over, ballatona firmata da Tim Eriksen, la quale, per struttura melodica e testo, potrebbe provenire direttamente da un album anni 40 della Folkways Records. L’interesse di Joan per le «giovani leve» è, del resto, dimostrato dal fatto che Ritter è presente in questo disco anche con un’altra traccia, la più delicata Be of Good Heart – un onore condiviso con Tom Waits, di cui, oltre alla già citata Whistle Down the Wind, Joan canta anche The Last Leaf, pezzo composto in coppia con la moglie Kathleen Brennan e definibile come l’arguta quanto amara rilettura di un vero «inno per sopravvissuti» («sono l’ultima foglia sull’albero»). Ecco quindi che l’unico limite di quest’album risiede, forse, proprio nella rinnovata determinazione di Joan
a concentrarsi esclusivamente sulle tipologie stilistiche di sempre, e, nello specifico, su ballate molto «soft» e brani folk dal sapore quasi integralista – i quali, alla lunga, potrebbero risultare un po’ ripetitivi per l’ascoltatore non particolarmente affezionato al genere. Del resto, la particolare vocalità e stile interpretativo di Joan l’hanno sempre, in qualche modo, «relegata» a brani lenti e riflessivi, o comunque dal gusto spiccatamente cantautorale, rendendole difficile riciclarsi su altri fronti, o anche solo avventurarsi in territori più rock. Tuttavia, l’estrema competenza della Baez rimane innegabile, così come la magia ancora palpabile di una voce che gli anni non hanno indebolito; e nonostante l’inevitabile malinconia per il ritiro dalle scene di un’altra icona, non si può quindi che esserle sinceramente grati per tutto ciò che ha dato.
Jazz A Biasca il prossimo 27 aprile la nuova serata della rassegna
di Rete Due propone un concerto di grande interesse Uno dei pregi indubbi della serie jazz organizzata da Rete Due (e di cui quest’anno si festeggia il trentennale) è quello di proporre agli appassionati molti nuovi stimoli d’ascolto e altrettante consolidate certezze. Se da un lato Paolo Keller, costruendo il cartellone della manifestazione, non trascura mai di invitare giovani interpreti, magari non molto conosciuti alle nostre latitudini, d’altro canto è sempre offerta la possibilità di seguire la carriera dei grandi maestri, quelli che la storia del jazz l’hanno fatta davvero e che difficilmente arriverebbero in Ticino per le vie delle normali programmazioni artistiche. Situazione ancora più favorevole è quella che troviamo rispecchiata nel concerto che viene proposto il 27 aprile alle 21.00, nella Casa del Cavalier Pellanda di Biasca. Si esibirà qui un quartetto eccezionale in cui a fianco di un giovane sassofonista si esibiranno alcuni fuoriclasse assoluti del jazz. Di Robin Verheyen, in effetti, non sono in molti a conoscere i momenti salienti della carriera. È nato in Belgio
È nato nel 1983 a Turnhout. (R.Bergeron)
nel 1983 e suona il sassofono dall’età di 12 anni. Il primo salto geografico e qualitativo la sua vita musicale l’ha avuto all’inizio degli anni 2000: trasferendosi a Parigi, Verheyen entra in contatto con i solisti che in quegli anni animavano la capitale francese, tra cui il trombettista italiano Giovanni Falzone, il bassista Remi Vignolo e altri. La notorietà del giovane sassofonista si diffonde e non passa molto tempo
prima che Verheyen scelga di trasferirsi sull’altra sponda dell’Oceano. Qui iniziano per lui gli incontri musicali più importanti, che impongono una svolta fondamentale alla sua carriera. Il suo curriculum da questo momento si trasforma in un vortice di collaborazioni stratosferiche con alcuni dei grandi come Joey Baron, Gary Peacock, e altri ancora. A Biasca arriverà accompagnato da una ritmica «colossale», in grado da sola di riassumere alcuni dei momenti fondamentali del jazz contemporaneo: al pianoforte ci sarà Marc Copland, al contrabbasso l’eccezionale Drew Gress e alla batteria una figura monumentale come quella di Billy Hart. Il concerto si iscrive nel programma della manifestazione Jazz a Primavera e rappresenta una ulteriore tappa nel programma di collaborazioni con realtà musicali del cantone che Rete Due persegue da tempo. Il concerto sarà poi trasmesso dall’emittente RSI in differita domenica 29 aprile, nell’ambito delle trasmissioni «Concerto Jazz»./AZ
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 16 aprile 2018 • N. 16
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Cultura e Spettacoli Rubriche
In fin della fiera di Bruno Gambarotta Un Casanova torinese Nella rubrica «In fin della fiera» del 19 febbraio, raccontavo che fra le tante incarnazioni letterarie e teatrali della figura di don Giovanni, mancava quella torinese. Per completare il quadro ne avevo scovato uno e l’avevo intervistato. Un cortese lettore, nato e vissuto a Torino fino all’età di trent’anni e che chiede di restare anonimo mi invia il suo «diario di un seduttore», con il catalogo delle conquiste giovanili, dal ’49 al ’56, dai 17 ai 23 anni di età. È la lieve e sorridente cronaca di una marcia di avvicinamento che si conclude con l’incontro con la donna della vita che sposerà. In quegli anni il luogo propizio per conoscere una ragazza era la sala da ballo. Il nostro apprendista inizia di lì: ballerino alle prime armi e poco ciarliero «potevo solo chiedere di ballare a quelle più scarse, quelle che facevano sedia». Inizia il ballo scusandosi della sua imperizia e poi parla del più e del meno: «Avrei dovuto essere prodigo di complimenti ma come avrei potuto dirle che fra le cento ragazze in sala lei era la più bella quando anche lei si rendeva
conto di non esserlo?». Qui affiora il rigore dei torinesi di un tempo, in quello che Piero Gobetti definiva lo spirito protestante della città: «Per il mio carattere sono sempre stato contrario a fingere o a raccontare bugie». Se durante la serata l’orchestra annunciava che il prossimo gruppo di balli sarebbe stato dama a scegliere (toccava alle ragazze prendere l’iniziativa e scegliere il cavaliere) «nessuna veniva a invitarmi». Margherita è la prima ragazza che accetta la corte del nostro amico: «era alta, imponente, ma di bello aveva ben poco». Passeggiando in un parco incrociano un fotografo ambulante: «Ci siamo fatti riprendere abbracciati davanti al monumento ai caduti e guardando il risultato mi resi conto che come compagna avrei dovuto aspirare a qualcosa di meglio». È il turno di Fanny che lavorando al Calzificio Torinese faceva i turni, una settimana sì e l’altra no usciva alle 22. Per ritornare a casa con i mezzi pubblici impiegava un’ora. Il nostro amico l’accompagnava in motocicletta e poiché i genitori l’aspettavano
solo per le 23, si ritagliavano quasi un’ora per scambiarsi delle affettuosità. Aveva la moto ma non il telefono perciò andava ad aspettarla al buio. «È capitato che un paio di volte eravamo in due ad aspettarla, c’era concorrenza e bisognava darsi da fare per avere l’esclusiva», ma non era il caso di essere gelosi, «ci si accontentava di ciò che si riusciva ad ottenere». Il nostro don Giovanni entra a far parte di un gruppo di amici che organizzano festicciole nelle case: «c’erano ragazze belle e meno belle ed io mi trovai sempre appiccicata una Margherita che del fiore aveva solo il nome». Quando tocca a lui offrire la casa per ospitare la festa, si procura «un abbondante vassoio di pasticcini e tre bottiglie di aranciata» e chiede ai genitori non solo di andare a letto alle 8 e 30 (con le galline!) ma «di non far caso se ci sentivano parlare, cantare, ridere, evitando di intervenire e assicurandoli che non avremmo fatto nulla di inconveniente». Le ragazze avevano l’obbligo di rientrare a casa entro la mezzanotte, faceva eccezione il veglione di Capodanno, con
l’aggravante di portare anche la mamma della ragazza. Lui non solo accetta la regola ma dimostra anche di avere uno spirito caritatevole: «Due o tre volte ho danzato anche con la madre per farle sgranchire un poco le gambe». Come alternativa al ballo c’era il cinema: «Ci sistemavamo nelle ultime file e malgrado i braccioli che di dividevano riuscivamo a stare abbracciati ed a baciarci, trascurando un po’ la visione del film. Ma solo un po’, dal momento che abbiamo pagato il biglietto d’ingresso sarebbe uno spreco ignorare del tutto il film». Con il tempo il nostro don Giovanni acquista sicurezza, l’avvenenza delle sue conquiste aumenta di livello fino ad arrivare a Cristina, bellissima commessa in un grande magazzino. La relazione fila a meraviglia ma un tarlo lo convince a interrompere la relazione: «Come avrei potuto nel corso degli anni difendermi dagli ammiratori che lei avrebbe avuto? Sarebbe stata capace di resistere alle loro lusinghe?». Per un torinese somma virtù è la prudenza. In vacanza a Finale Ligure, scopre che la
stessa pensione ospita quattro ragazze di Bergamo e ne convince una a stare in sua compagnia per i quattro giorni che mancano al rientro «pur sapendo che finita la vacanza sarebbe finito tutto», come se muoversi fra Bergamo e Torino fosse un’impresa troppo onerosa, che non ne valesse la pena. La giovane bergamasca però ha lasciato un segno: «non ricordo il suo nome ma il suo aspetto è impresso nella mia memoria, saprei riconoscerla ancora oggi, sempre che in questi sessantacinque anni non sia cambiata». (Complimenti al chirurgo plastico). Lui è giovane ma già pieno di torinese saggezza: «Se l’occasionale ragazza non era particolarmente avvenente si poteva sempre considerare che baciandola si chiudono gli occhi e si può immaginare che quella che abbracci sia la donna dei tuoi sogni». Sia per lui che per lei si trattava di un rodaggio in attesa di trovare la persona giusta: «I rapporti che iniziavo erano precari, come adesso il lavoro a tempo determinato, scaduti i due mesi ognuno per la sua strada».
Trasimaco, non pensi tu che ci sia più felicità nel subire ingiustizia piuttosto che nel farla?», quanto piuttosto: «Trasi, (faccetta felice) è (faccetta sottomessa), non (faccetta infuriata), capito raga?». Solo così i ragazzi ti ascolteranno e capiranno. Mentre Socrate valuta il possibile successo di una nuova versione della Repubblica, in cui dialoga appunto sulla giustizia, noi ci rendiamo conto di non aver ancora ricevuto insegnamenti sull’uso dei social, quindi lo lasciamo riflettere e ci volgiamo a qualcuno di più concreto. Non i Cinici, se devono tenere su la botte con cui si vestono, come Diogene, non hanno più mani per un computer o uno smartphone. Nemmeno Stoici ed Epicurei, così attenti a non farsi turbare da eventi esterni che verrebbero presi da crisi isteriche al veloce succedersi degli avvisi di arrivo messaggi. In fondo i Greci tutti, a ben vedere, avrebbero grandi problemi ad essere social: e se mi chiede l’amicizia uno schiavo? O una donna, o uno straniero, che magari cela-
no la propria identità? Troppo rischioso, l’amicizia è per pochi e per pari, quindi è possibile solo tra uomini liberi e nati nella stessa città. Molto poco social. Bisognerà cercare tra i filosofi già abituati a vivere in società un po’ più variegate, per esempio i cosiddetti «clerici vaganti», gli studenti che nei primi decenni di vita delle università si spostavano di città in città per seguire le lezioni più interessanti. A Bologna per la giurisprudenza, a Salerno per la medicina, a Parigi per la filosofia, con i testi tranquillamente in latino, in greco, in arabo, oppure in una delle lingue volgari. Questi ragazzi sì, che avrebbero saputo trarre profitto dai social. Oggi Tommaso d’Aquino interroga? Sì, sulla Summa contro i Gentili. Ah ma non preoccuparti, chiede sempre la parte sulle virtù e i vizi, basta ripassare quella. Le chat tra Parigi e Bologna avrebbero avuto questo tenore, magari con l’uso di lettere greche o arabe al posto degli emoticon, quasi un codice segreto. E vogliamo che non avesse co-
dici segreti nel Seicento un diplomatico come Gottfried Wilhelm von Leibniz? Incaricato dagli Hannover di scrivere la loro storia e di rappresentarli come diplomatico in giro per l’Europa, Leibniz fu un grande filosofo e matematico, fu lui che tra le altre cose trasse dall’antico libro cinese Sui mutamenti, o I Ching, l’idea del sistema numerico binario, poi «riscoperto» nell’Ottocento da George Boole e oggi alla base di ogni linguaggio dei computer. Un I-pad o uno smartphone saranno stati giocattolini per Leibniz, che avrà inventato codici segreti di codici segreti. Suggerendoci però una preziosa idea: può giocare con questi piccoli arnesi chi ne conosca il funzionamento. Chi sa come e dove arriverà il suo messaggio, come verrà decrittato, e a chi rischia di arrivare per sbaglio. Gli altri, è meglio che siano molto prudenti, ricordando l’ammonimento di Ludwig Wittgenstein, su quello di cui non si può parlare, è meglio tacere, per voce o per scritto o per sistema binario.
può provocare tragedie. «Sbagliando si spara», diceva Marchesi. Il futuro signore di mezza età era nato nel 1912 in via della Spiga a Milano, da ragazzo scrisse poesie burlesche in romanesco, negli anni 30 cominciò a collaborare per settimanali umoristici, tra cui «Il Bertoldo» diretto da Cesare Zavattini, «Il Marc’Aurelio» e «Omnibus». A proposito di Vittorio De Sica, scrisse: «Dai a Cesare quel che è di Cesare», aggiungendo un asterisco su Cesare* e un richiamo a fondo pagina: *Zavattini (autore di Miracolo a Milano). Non resistette all’attrazione del cinema (sceneggiando anche film di Totò), ma soprattutto al fascino della tv, scrivendo per Bramieri, per Vianello, per Tognazzi, per Sordi, per «Canzonissima», e vivendo in simbiosi con Walter Chiari al quale fornì sketch irresistibili. Umberto Eco, che lavorava come editor alla Bompiani, nel 1972 diede il visto si stampi al suo capolavoro, Il malloppo, una sorta di romanzo-monologo deli-
rante che combinava i ricordi di una vita con le battute. Era un maestro del gioco di parole. Aveva in serbo calembour per tutti. Definì Aldo Moro il «Dottor Divago» per la sua retorica, Giulio Andreotti «Chi non muore si risiede» per l’attaccamento alla poltrona, Marcello Mastroianni «Marlon Blando», Gina Lollobrigida il «Petto Atlantico», Mike Bongiorno «Tutto è perduto fuorché l’ospite d’onore», l’avvocato Gianni Agnelli «Fiat Dux!», Claudio Villa «l’acuto ottuso», Alberto Moravia «autore di pubico interesse», Dacia Maraini la «Penna montata», Renato Guttuso una «picassata alla siciliana» e si potrebbe continuare (lascio al lettore il piacere di dare i voti). Anche le formiche nel loro piccolo s’incazzano, che nei primi anni 90 diede il titolo a un best seller di Gino & Michele, è una sua battuta. Diceva che «una (battuta) al giorno leva lo psicanalista di torno». E dopo il clamoroso errore giudiziario del caso Tortora postillò: «Quiz pro quo».
Chissà quante Penne montate e quanti Marlon Blandi vedrebbe in giro oggi. «Oggi tutto non basta più», diceva, anticipando di molto l’età dei consumi sfrenati e dei social network. Nel 2018, guardando i candidati premier italiani, potrebbe parodiare se stesso e commentare: «Il signore sì che non se ne intende». Intuì il pensiero di tanti produttori cinematografici simili all’americano Weinstein con due versi folgoranti: «Senza sesso / non c’è successo». Parlando di Franco Franchi e Ciccio Ingrassia anticipò il ritratto della coppia FazioLittizzetto ma anche Renzi-Boschi: «Uno è poco, due son troppi». Prefigurò la malattia della società dello spreco: «la nuova fede è il Buttismo, saremo tutti buttisti, seguaci del dio Butta…». Tra le promesse assurde che si sono sentite durante l’ultima campagna elettorale italiana, visti i risultati ci sarebbe stata bene una proposta demenziale avanzata dal signore di mezza età: «Se lei viene al mio funerale, io verrò al suo».
Postille filosofiche di Maria Bettetini I social ai tempi dei greci E come fai a sopravvivere? È la domanda, spero anche ironica, di un amico alla notizia che non mi avrebbe trovato su Facebook. Da qui si deducono alcuni fatti incontrovertibili: la nostra età avanzata, la dipendenza degli anziani dai social, la difficoltà degli stessi a cambiare, a passare da un media obsoleto ai più recenti Telegram e compagni. In questi giorni poi è facile parlare di Facebook per tutte quelle identità digitali vendute. Come se non fosse strana tutta questa gratuità, anche quella di ottenere un proprio profilo digitale, una sorta di carta d’identità. Gratis, sì, ma a che scopo? E ora si è capito, il fine era quello di suddividere l’umanità secondo classi di elettori e compratori. Ma i discorsi su privacy, diritto al segreto e intimità rischiano di essere ormai triti, ormai un po’ inutili, ora che con i buoi sono scappati anche i contenuti di milioni di vite. A meno che non siano i grandi filosofi a intrattenerci sull’argomento. Non partendo dalla teoria, ma dalla loro stessa vita social.
Il primo grande interrogativo riguarda Socrate: per «spogliare le anime», come scrive Platone nel Carmide, è sufficiente discutere sui social? Per togliere all’interlocutore tutte le certezze, per fargli capire quanto è ignorante, per fargli «sapere di non sapere» basterà uno scambio di opinioni? Forse sì, perché Socrate aborriva le parole scritte, che «orfane del padre» rotolano in giro per il mondo e possono essere interpretate anche malamente, certo in mille modi diversi. Però le parole scritte sui social non saranno mica da annoverare tra le scritture vere e proprie: si cancellano anche subito, cadono in un mare di immagini e sillabe, sono alla portata di tutti… anche se è vero che se siete attenti spettatori di serie poliziesche saprete che quando un cattivo scrive qualcosa o posta un’immagine, anche a distanza di tempo e spazio si ritrova tutto. Un dilemma. Potremmo incoraggiare Socrate: se vuoi parlare ai giovani, e certo lo vuoi, devi usare il loro linguaggio. Quindi non dirai «ma dimmi,
Voti d’aria di Paolo Di Stefano Tweet, Twist e penne montate Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha mandato un tweet al presidente russo Vladimir Putin per avvertirlo: «Russia stai pronta perché i missili arrivano, belli nuovi e intelligenti». Affidare a un tweet un messaggio così drammatico è il segno di un infantilismo comunicativo che diventa aberrazione morale. Come se un missile, che sicuramente provocherà disastri e morti, equivalesse a un TVB o a un emoticon spiritoso. Chissà se Trump (-1 di scoraggiamento) conosce questa frase: «Si nasce per far guerra alla morte ed esserne sconfitti», autore il grande umorista (spesso amaro) Marcello Marchesi (5½++). Che puntualizzava: «Si vis pacem para bellum, si vis bellum para culum». Marchesi, chiamato il «Signore di mezza età» (titolo di un varietà televisivo di cui era autore), è morto quarant’anni fa schiantandosi contro uno scoglio nel mare di Sardegna per uno scherzo finito male: voleva far ridere, con un tuffo, il
figlioletto Massimo. Fra pochi mesi avrà un Meridiano, cioè entrerà nella collana dei classici Mondadori che è il Pantheon della letteratura italiana. Leggere il presente attraverso le parole di Marchesi, l’uomo che ha inventato moltissimi geniali slogan pubblicitari di «Carosello», può essere sorprendente. «Il signore sì che se ne intende» (brandy Stock 84), «Come se niente fudesse» (Cera Liù), «Basta la parola» (confetto Falqui), «Con quella bocca può dire ciò che vuole» (dentifricio Chlorodont) sono sue creazioni verbali. «Non è vero che tutto fa brodo» era la pubblicità del dado Lombardi e mai frase fu più adatta al nostro tempo privo di discrimine e di distinguo. Non è vero che tutto fa tweet, caro (per niente caro) presidente Trump. «Il twist», scriveva Marchesi negli anni 60, «accomuna tutta la gioventù d’oggi» («chi va con lo zoppo impara il twist», aggiunse). Il tweet invece accomuna la gioventù, la mezza età e l’età avanzata del nostro tempo: in mano a un demente
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Idee e acquisti per la settimana
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Attualità La carne di coniglio svizzera è perfetta per questa stagione: è sostenibile, facilmente digeribile e dà vita
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Idee e acquisti per la settimana
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Attualità Assieme alla primavera arrivano anche i «fiori della strada»: i gerani. Li trovate ora prodotti in Ticino
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Chi non ha mai ammirato o avuto sul proprio balcone dei gerani? Apprezzati per la loro bellezza, la semplicità di mantenimento e la resistenza, ma anche per la loro utilità contro le fastidiosissime zanzare e per i preziosi oli essenziali, i gerani hanno un fascino intramontabile. Un fascino ora indiscusso che tuttavia ha impiegato secoli per sedurre le masse. Le prime notizie storiche sui gerani risalgono al 1600, quando i naturalisti presenti sulle navi mercantili, mentre sostavano a Capo di Buona Speranza per rifornirsi d’acqua e cibo, li notarono. Attratti dal loro profumo decisero di portarli in Europa, dove però non vennero purtroppo apprezzati e la coltivazione del geranio fu limitata ai giardini botanici in cui fu perfezionato. Nel 1802, quando Città del Capo divenne colonia inglese, in Gran Bretagna iniziarono ad arrivare numerosi gerani che poco a poco divennero così di moda da meritarsi il nome di «fiore della strada» diffondendosi in buona parte dell’Europa. Numerose le tipologie oggi facilmente reperibili: lo zonale, il geranio imperiale, il parigino e l’odoroso. Vanno coltivati preferibilmente in vasi di terracotta via via più ampi, innaffiati e concimati con la frequenza dettata dal terriccio utilizzato, avendo cura che non si crei ristagno d’acqua. Per aiutare la pianta a emettere nuovi boccioli durante i mesi caldi, è bene togliere i fiori vecchi recidendo il peduncolo che li porta fino al ramo principale. Se verso la fine di luglio avrete intenzione di incrementare la vostra famiglia di Pelargonium (nome botanico dei gerani), ricordatevi che potrete farlo semplicemente potandoli e piantando le talee. Il geranio infatti si radica molto velocemente e nel giro di circa 30 giorni sarà possibile avere una nuova e sana piantina. Vivono in pieno sole e, se protetti dal freddo e mantenuti alla luce, sopravvivono tranquillamente alla stagione invernale. Isolateli da terra collocandoli in supporti in grado di favorire il drenaggio, annaffiateli ma solo per impedire al terreno di diventare arido. Non abbiate fretta di riportarli all’esterno e attendete che la temperatura notturna superi i 10 °C. Se volete dare un tocco di colore ai vostri balconi durante la bella stagione non vi resta che recarvi nei negozi Do it + Garden Migros dove troverete i gerani coltivati dall’azienda ticinese Rutishauser Fiori SA di Gordola. / Elisa Zuin, blogger
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detevi la nostra interessantissima promozione: in tutti i Do it + Garden del cantone è prevista un’azione speciale di invasatura gratuita delle vostre piante primaverili. Recatevi presso lo stand appositamente allestito per l’occasione con le piante e i vasi acquistati sul posto, e i nostri specialisti ve le invaseranno senza nessun costo aggiuntivo mettendo pure a disposizione gratuitamente il terriccio.
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Idee e acquisti per la settimana
Chi ha rubato l’alborella?
Novità Un appassionante gioco di società per scoprire la fauna dei
nostri laghi e fiumi
Due spuntini senza lattosio e glutine Novità Due yogurt di soia per una colazione
equilibrata o una pausa gustosa Divertimento per grandi e piccini assicurato con il nuovo gioco di carte intergenerazionale «Chi ha rubato l’alborella?», disponibile da qualche giorno sugli scaffali dei reparti giocattoli delle maggiori filiali Migros Ticino. Semplice nelle regole e didattico nei contenuti, questo passatempo è stato ideato per coinvolgere tutta la famiglia alla scoperta di 17 pesci lacustri e fluviali e di molte altre curiosità che ruotano attorno a questo affascinante mondo a noi così vicino. Il titolo del gioco si rifà ad una problematica comune ai laghi e ai fiumi prealpini: l’importante riduzione nelle loro acque della presenza delle alborelle. Per conoscerne le possibili cause ci si potrà collegare ad un sito internet sviluppato appositamente per il gioco in cui vengono elencate le ipotesi più verosimili studiate dalla comunità scientifica. Infine, per chi perde al gioco, è prevista una piccola penitenza a scelta, un modo simpatico e allegro per creare più suspense e capovolgere i ruoli tra figli e genitori.
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Idee e acquisti per la settimana
Carne
Carne da professionista Ai banchi carne della Migros la consulenza ha una grande importanza. I collaboratori non vendono unicamente la merce esposta, ma soddisfano anche le piccole e grandi richieste individuali Testo Claudia Schmidt; Foto Lucian Hunziker
Concorso
U
n pezzo di carne, cipollata con speck e ancora carne – Marco Scherer (27) prepara gli spiedini per il banco della carne della filiale Migros Mall of Switzerland a Ebikon, LU. È un cuoco qualificato, con diploma di esercente e una ulteriore formazione commerciale. In qualità di sostituto responsabile del reparto carne non si occupa solo di presentare in modo appetitoso l’offerta dei tagli di carne, grandi e piccoli, ma offre anche consulenza ai clienti e soddisfa i loro desideri, qualsiasi specialità intendano cucinare. Se qualcuno vuole preparare un polpettone, Marco Scherer non dà solo suggerimenti sul giusto taglio da scegliere, ma si occupa anche di macinare la carne. «Tritiamo solo su richiesta del cliente. Al banco non abbiamo carne macinata. In tal modo ci assicuriamo che il cliente acquisti sempre macinata fresca e che riceva esattamente la carne che desidera. Nel caso della carne marinata, il cliente può scegliere il taglio e noi lo mariniamo davanti ai suoi occhi». Particolare attenzione la richiede la carne Dry Aged, che è frollata all‘osso. I maestosi tagli di carne si trovano nell’apposito frigorifero per la frollatura, in vetro, collocato vicino al banco della macelleria. Per il Dry Aged Beef, Scherer ha seguito una formazione supplementare, poiché i collaboratori del banco macelleria sono responsabili della cura dei tagli di carne. Nel frigorifero per la frollatura, temperatura e umidità sono costanti. Oltre a ciò, i pezzi di carne vengono tagliati, rispettivamente disossati. Al banco ci sono solo singoli tagli di carne Dry Aged. Vengono imballati nella pellicola alimentare. Ciò non danneggia la carne, ma fa in modo che i pregiati tagli rimangano freschi. Per lo più al banco lavorano un responsabile macelleria qualificato con altri macellai o con cuochi preparati. Il vantaggio è che così possono consigliare con competenza i clienti anche al banco del pesce.
Marco Scherer è sostituto del responsabile del reparto macelleria presso Migros Ebikon.
Marco Scherer
«La fidelizzazione del cliente deriva da una buona consulenza» 1
Crea un cordon bleu Partecipare e vincere su macelleria-migros.ch
Con quali desideri arrivano da lei i clienti? Alcuni clienti desiderano sapere quale taglio di carne devono prendere per una determinata pietanza. Una volta una giovane mamma voleva preparare un arrosto di manzo, ma aveva timore poiché non lo aveva mai cucinato. Ho scelto un taglio per lei e le ho spiegato come prepararlo. Da allora cucina regolarmente l’arrosto. Questo dimostra che la fidelizzazione del cliente deriva da una buona consulenza. Sono soprattutto i più giovani a farsi consigliare? Sono la maggioranza. Le giovani coppie hanno poca esperienza ma vogliono cucinare bene. Quando hanno ospiti domandano quanta carne è necessaria. Le persone più mature si informano sui piatti di tendenza, come il Pulled Pork, magari per sapere qual è il taglio adatto.
2
A proposito di Pulled Pork: cosa consiglia per l’imminente stagione della griglia? I grandi arrosti sono fantastici, per esempio il collo di maiale. Ciò presuppone di avere un grill sferico, con il quale si può fare la cottura indiretta. Quali piatti prepara volentieri? Cucino volentieri lo spezzatino. Ma mi piace anche la costa schiena, poiché contiene un po’ di grasso, che per me è molto importante nelle cotture brevi.
Con erbtte o aglio orsino? Marco Scherer mostra alla cliente le costolette da lei scelte.
1 Marco Scherer marina la carne che ha scelto la cliente. 2 Al banco della carne ci sono tagli aromatizzati pronti per la cottura, grandi come l’arrosto e anche filetti e Dry Aged Beef, che viene conservato nello speciale frigorifero di frollatura. 3 Marco Scherer prepara gli spiedini freschi.
3
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 16 aprile 2018 • N. 16
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 16 aprile 2018 • N. 16
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Idee e acquisti per la settimana
Carne
Carne da professionista Ai banchi carne della Migros la consulenza ha una grande importanza. I collaboratori non vendono unicamente la merce esposta, ma soddisfano anche le piccole e grandi richieste individuali Testo Claudia Schmidt; Foto Lucian Hunziker
Concorso
U
n pezzo di carne, cipollata con speck e ancora carne – Marco Scherer (27) prepara gli spiedini per il banco della carne della filiale Migros Mall of Switzerland a Ebikon, LU. È un cuoco qualificato, con diploma di esercente e una ulteriore formazione commerciale. In qualità di sostituto responsabile del reparto carne non si occupa solo di presentare in modo appetitoso l’offerta dei tagli di carne, grandi e piccoli, ma offre anche consulenza ai clienti e soddisfa i loro desideri, qualsiasi specialità intendano cucinare. Se qualcuno vuole preparare un polpettone, Marco Scherer non dà solo suggerimenti sul giusto taglio da scegliere, ma si occupa anche di macinare la carne. «Tritiamo solo su richiesta del cliente. Al banco non abbiamo carne macinata. In tal modo ci assicuriamo che il cliente acquisti sempre macinata fresca e che riceva esattamente la carne che desidera. Nel caso della carne marinata, il cliente può scegliere il taglio e noi lo mariniamo davanti ai suoi occhi». Particolare attenzione la richiede la carne Dry Aged, che è frollata all‘osso. I maestosi tagli di carne si trovano nell’apposito frigorifero per la frollatura, in vetro, collocato vicino al banco della macelleria. Per il Dry Aged Beef, Scherer ha seguito una formazione supplementare, poiché i collaboratori del banco macelleria sono responsabili della cura dei tagli di carne. Nel frigorifero per la frollatura, temperatura e umidità sono costanti. Oltre a ciò, i pezzi di carne vengono tagliati, rispettivamente disossati. Al banco ci sono solo singoli tagli di carne Dry Aged. Vengono imballati nella pellicola alimentare. Ciò non danneggia la carne, ma fa in modo che i pregiati tagli rimangano freschi. Per lo più al banco lavorano un responsabile macelleria qualificato con altri macellai o con cuochi preparati. Il vantaggio è che così possono consigliare con competenza i clienti anche al banco del pesce.
Marco Scherer è sostituto del responsabile del reparto macelleria presso Migros Ebikon.
Marco Scherer
«La fidelizzazione del cliente deriva da una buona consulenza» 1
Crea un cordon bleu Partecipare e vincere su macelleria-migros.ch
Con quali desideri arrivano da lei i clienti? Alcuni clienti desiderano sapere quale taglio di carne devono prendere per una determinata pietanza. Una volta una giovane mamma voleva preparare un arrosto di manzo, ma aveva timore poiché non lo aveva mai cucinato. Ho scelto un taglio per lei e le ho spiegato come prepararlo. Da allora cucina regolarmente l’arrosto. Questo dimostra che la fidelizzazione del cliente deriva da una buona consulenza. Sono soprattutto i più giovani a farsi consigliare? Sono la maggioranza. Le giovani coppie hanno poca esperienza ma vogliono cucinare bene. Quando hanno ospiti domandano quanta carne è necessaria. Le persone più mature si informano sui piatti di tendenza, come il Pulled Pork, magari per sapere qual è il taglio adatto.
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A proposito di Pulled Pork: cosa consiglia per l’imminente stagione della griglia? I grandi arrosti sono fantastici, per esempio il collo di maiale. Ciò presuppone di avere un grill sferico, con il quale si può fare la cottura indiretta. Quali piatti prepara volentieri? Cucino volentieri lo spezzatino. Ma mi piace anche la costa schiena, poiché contiene un po’ di grasso, che per me è molto importante nelle cotture brevi.
Con erbtte o aglio orsino? Marco Scherer mostra alla cliente le costolette da lei scelte.
1 Marco Scherer marina la carne che ha scelto la cliente. 2 Al banco della carne ci sono tagli aromatizzati pronti per la cottura, grandi come l’arrosto e anche filetti e Dry Aged Beef, che viene conservato nello speciale frigorifero di frollatura. 3 Marco Scherer prepara gli spiedini freschi.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 16 aprile 2018 • N. 16
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Idee e acquisti per la settimana
Frey
Armonia in duetto Cosa c’è di meglio di una tavoletta di cioccolato? Due tavolette, naturalmente! Duett, la nuova linea di Frey, combina due strati di cioccolato per creare un insieme armonioso. E questo in tre combinazioni di gusto: il cioccolato al latte incontra il blond con il biscotto Japonais, il cioccolato nero si sposa con quello al latte con caffè croccante (finora conosciuto sotto Sogni di Caffè) e il cioccolato al latte si accosta a quello nero con scaglie di nocciola. Gli amanti del cioccolato ora non devono più scegliere tra due gusti: in un unico morso possono regalarsi una nuova, golosa esperienza cioccolatosa.
Frey Duett Noir & Lait Café 100 g* Fr. 2.20
Frey Duett Lait & Blond Japonais 100 g* Fr. 2.20
Frey Duett Lait & Noir Noisettes 100 g Fr. 2.20
Grazie a sapienti combinazioni di sapori, le tavolette Duett di Frey assicurano indimenticabili momenti di piacere.
Foto Christine Benz; Styling Vera Guala
*Nelle maggiori filiali
M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche le tavolette Duett della Frey.
Azione 30%
20%
2.45 invece di 3.55
1.50 invece di 1.90
Prosciutto cotto Puccini prodotto in Ticino, affettato fine in vaschetta, per 100 g
Le Gruyère piccante ca 450 g, per 100 g, offerta valida fino al 23.4.2018
a par tire da 2 pe z zi
–.60
di riduzione Tutto l’assortimento Blévita a partire da 2 pezzi, –.60 di riduzione l’uno, per es. al sesamo, 295 g, 2.70 invece di 3.30
25%
4.40 invece di 5.90 Fragole extra Italia, in conf. da 450 g
50% Batteria di pentole Prima e Gastro della marca Cucina & Tavola per es. casseruola a un manico Prima, Ø 20 cm, il pezzo, 12.95 invece di 25.95, offerta valida fino al 30.4.2018
a par tire da 2 pe z zi a par tire da 2 pe z zi
40%
50%
Tutti i tovaglioli, le tovagliette e le tovaglie Tutti i mitici Ice Tea in brik in conf. da 10, 10 x 1 l, di carta Cucina & Tavola e Duni UTZ (prodotti Hit esclusi), a partire da 2 pezzi, per es. al limone, 4.50 invece di 7.50 50% di riduzione, offerta valida fino al 30.4.2018 Migros Ticino Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli M-Budget e quelli già ridotti. OFFERTE VALIDE SOLO DAL 17.4 AL 23.4.2018, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
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Tutto l’assortimento Handymatic Supreme (sale rigeneratore escluso), a partire da 2 pezzi, 50% di riduzione, offerta valida fino al 23.4.2018
. o c s e r f te n e m il ib d e r c In 25%
2.90 invece di 3.90 Spezzatino di vitello TerraSuisse Svizzera, imballato, per 100 g
30%
5.35 invece di 7.70 Entrecôte di manzo TerraSuisse Svizzera, imballato, per 100 g
50% Salametti Rapelli in conf. da 4 e salame Classico Rapelli affettato in conf. speciale per es. salametti, 4 x 70 g, 5.40 invece di 10.80
CONSIGLIO
SNACK IN STILE ASIATICO
Stanchi del solito aperitivo con chips e olive? Stupite gli ospiti con questi involtini primavera vegetariani subito pronti e dei croccanti edamame. Trovate la ricetta degli edamame con dip al wasabi su migusto.ch/consigli
20% Snack vegetariani Asia Anna’s Best in conf. da 2 per es. spring rolls, 2 x 210 g, 6.80 invece di 8.60
30%
6.40 invece di 9.25 Luganighetta Svizzera, in conf. da 2 x 250 g / 500 g
50%
3.70 invece di 7.40 Succo d’arancia Anna’s Best 2l
30%
30%
2.55 invece di 3.65
6.60 invece di 9.50 Pollo intero Optigal, 2 pezzi Svizzera, al kg
Fettine di tacchino La Belle Escalope Francia, imballate, per 100 g
conf. da 2
20%
5.10 invece di 6.40 Filetto di sogliola limanda pesca, Atlantico nordorientale, per 100 g
Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 17.4 AL 23.4.2018, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
20% Pesce fresco e frutti di mare in vaschetta per la cottura in forno per es. filetto di salmone al limone e coriandolo, d’allevamento, Norvegia, 400 g, 12.60 invece di 15.80
20%
2.20 invece di 2.80 Coniglio Svizzera, al banco a servizio, per 100 g
25%
1.– invece di 1.35 Puntine di maiale Svizzera, imballate, per 100 g
30%
4.90 invece di 7.– Petto di tacchino affettato finemente Don Pollo in conf. da 2 Francia / Brasile, 2 x 144 g
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CONSIGLIO
SNACK IN STILE ASIATICO
Stanchi del solito aperitivo con chips e olive? Stupite gli ospiti con questi involtini primavera vegetariani subito pronti e dei croccanti edamame. Trovate la ricetta degli edamame con dip al wasabi su migusto.ch/consigli
20% Snack vegetariani Asia Anna’s Best in conf. da 2 per es. spring rolls, 2 x 210 g, 6.80 invece di 8.60
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Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 17.4 AL 23.4.2018, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
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20%
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30%
2.– invece di 2.90 Parmigiano Reggiano DOP in conf. da 700 g / 800 g, in self-service, per 100 g
– .5 0
di riduzione Tutti i tipi di pane alle noci (panini esclusi), per es. Happy Bread con noci, TerraSuisse, 350 g, 2.40 invece di 2.90
20%
2.– invece di 2.50 Furmagèla (formaggella della Leventina) prodotta in Ticino, in self-sevice, per 100 g
20%
1.85 invece di 2.35 Grana Padano grattugiato in conf. da 120 g
20%
3.35 invece di 4.20 Gorgonzola dolce DOP Selezione Reale in conf. da 200 g
Vitamine a solo 1 franco.
25%
2.90 invece di 3.90 Kiwi bio Italia, in conf. da 500 g
Hit
3.50
Pomodori cherry a grappolo Italia, in conf. da 500 g
1.– Banane Colombia/Ecuador, al kg, in quantità per una normale economia domestica
Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 17.4 AL 23.4.2018, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
20% Tutto l’assortimento di pasta fresca Garofalo per es. sfoglia fresca per lasagne, 250 g, 2.60 invece di 3.30
20%
1.95 invece di 2.50 Lattuga verde o rossa Ticino, al pezzo
1.– Carote Svizzera, in busta da 1 kg
30% Tulipani M-Classic, mazzo da 20 disponibili in diversi colori, per es. rossi e gialli, 9.45 invece di 13.50
25%
6.90 invece di 9.30 Asparagi verdi Spagna/Stati Uniti, il mazzo, 1 kg
1.– Cipollotti Spagna/Italia/Svizzera, il pezzo
30%
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Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 17.4 AL 23.4.2018, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
20% Tutto l’assortimento di pasta fresca Garofalo per es. sfoglia fresca per lasagne, 250 g, 2.60 invece di 3.30
20%
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1.– Carote Svizzera, in busta da 1 kg
30% Tulipani M-Classic, mazzo da 20 disponibili in diversi colori, per es. rossi e gialli, 9.45 invece di 13.50
25%
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1.– Cipollotti Spagna/Italia/Svizzera, il pezzo
! o z z re p l e n li o c ic p , tà li a u q a Grandi nell
30% Tutti i Cottage Cheese M-Classic, 200 g, e Cottage Cheese bio, 250 g per es. al naturale M-Classic, –.95 invece di 1.40
Duo-Pack
40% M-Classic Tortellini im Duo-Pack z.B. Tre Colori Basilico, 2 x 500 g, 7.– statt 11.80
20% Tutto l’assortimento Mifloc per es. purea di patate, in bustina, 4 x 95 g, 3.60 invece di 4.55
CONSIGLIO FRESCHEZZA CROCCANTE
Servite i nuggets Cornatur con un’insalata variopinta di sedano rapa, carote, barbabietole e lattuga batavia. L’aglio orsino fresco dona alla salsa un tocco primaverile. Trovate la ricetta dell’insalata su migusto.ch/consigli
Hit
3.90 Berliner 6 x 70 g
conf. da 2
20% Nuggets o scaloppine bio Cornatur in conf. da 2 per es. Nuggets Cornatur, 2 x 225 g, 6.20 invece di 7.80
conf. da 4
25% Tutte le tortine in conf. da 4 per es. di Linz, 4 x 75 g, 3.90 invece di 5.20
OFFERTE VALIDE SOLO DAL 17.4 AL 23.4.2018, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
20% Tutti gli yogurt Farmer da 225 g per es. Crunchy ai frutti di bosco, 1.60 invece di 2.–
20%
2.85 invece di 3.60 Tutti gli Jogurtpur in conf. da 4 per es. alla fragola, 4 x 150 g
30% Tutti i tipi di pasta M-Classic per es. pipe, 500 g, 1.05 invece di 1.50
20% Tutte le gallette di riso e di mais (Alnatura escluse), per es. gallette di riso integrale allo yogurt, 100 g, 1.30 invece di 1.65
30% Tortine agli spinaci e strudel con prosciutto M-Classic in conf. speciale surgelati, per es. strudel con prosciutto, 2 x 420 g, 7.55 invece di 10.80, offerta valida fino al 23.4.2018
50%
7.05 invece di 14.10 Chicken nuggets Don Pollo, 1 kg surgelati
a par tire da 2 pe z zi
30%
Tutte le pizze Finizza e M-Classic surgelate, a partire da 2 pezzi, 30% di riduzione
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30% Tutti i Cottage Cheese M-Classic, 200 g, e Cottage Cheese bio, 250 g per es. al naturale M-Classic, –.95 invece di 1.40
Duo-Pack
40% M-Classic Tortellini im Duo-Pack z.B. Tre Colori Basilico, 2 x 500 g, 7.– statt 11.80
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CONSIGLIO FRESCHEZZA CROCCANTE
Servite i nuggets Cornatur con un’insalata variopinta di sedano rapa, carote, barbabietole e lattuga batavia. L’aglio orsino fresco dona alla salsa un tocco primaverile. Trovate la ricetta dell’insalata su migusto.ch/consigli
Hit
3.90 Berliner 6 x 70 g
conf. da 2
20% Nuggets o scaloppine bio Cornatur in conf. da 2 per es. Nuggets Cornatur, 2 x 225 g, 6.20 invece di 7.80
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a par tire da 2 pe z zi
30%
Tutte le pizze Finizza e M-Classic surgelate, a partire da 2 pezzi, 30% di riduzione
conf. da 3
33% Caffè Caruso Oro, in chicchi e macinato in conf. da 3, UTZ 3 x 500 g, per es. in chicchi, 18.85 invece di 28.20
a par tire da 2 pe z zi
20%
Tutti i gelati in monoporzioni e in bustine morbide prodotti surgelati, a partire da 2 pezzi, 20% di riduzione
conf. da 6
30% Tavolette di cioccolato Frey da 100 g in confezioni multiple, UTZ disponibili in diverse varietà, per es. al latte finissimo in conf. da 6, 6 x 100 g, 8.40 invece di 12.–
30% Tutti i Risoletto o Mahony in confezioni speciali e multiple, UTZ per es. Risoletto Classic, 10 x 42 g, 6.40 invece di 9.20, offerta valida fino al 23.4.2018
conf. da 6
20% Tutto l’assortimento Salsa all’italiana per es. alla napoletana, 250 ml, 1.25 invece di 1.60
20% Tonno M-Classic in conf. da 6 o da 8, MSC sott’olio o in acqua, per es. in olio di soia, 6 x 155 g, 9.10 invece di 11.40
conf. da 3
33%
6.40 invece di 9.60 Cialde finissime ChocMidor in conf. da 3 Classico, Noir o Diplomat, 3 x 165 g, per es. Classico
20% Zampe d’orso da 760 g, bastoncini alle nocciole da 1 kg e sablé al burro da 560 g per es. bastoncini alle nocciole, 1 kg, 6.70 invece di 8.40
a par tire da 2 pe z zi
–.60
di riduzione Tutto l’assortimento di confetture Favorit a partire da 2 pezzi, –.60 di riduzione l’uno, per es. albicocche del Vallese, 350 g, 3.35 invece di 3.95
OFFERTE VALIDE SOLO DAL 17.4 AL 23.4.2018, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
20% Nissin in confezioni multiple per es. minestra di tagliatelle istantanea al gusto di pollo, in conf. da 5, 5 x 85 g, 4.40 invece di 5.50
20% Tutta l’acqua Evian in confezioni multiple per es. 6 x 1,5 l, 4.55 invece di 5.70
20% Noci miste, cranberries o spicchi di cocco secchi Sun Queen in conf. da 2 per es. noci miste, 2 x 200 g, 6.95 invece di 8.70
20%
3.10 invece di 3.90 Snacketti Zweifel in conf. da 2 2 x 75 g, per es. Paprika Shells, offerta valida fino al 23.4.2018
20% Tutti i succhi Gold da 1 l e in conf. da 3, 3 x 25 cl per es. multivitaminico, Fairtrade, 1 l, 1.55 invece di 1.95
conf. da 3
33% Caffè Caruso Oro, in chicchi e macinato in conf. da 3, UTZ 3 x 500 g, per es. in chicchi, 18.85 invece di 28.20
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Tutti i gelati in monoporzioni e in bustine morbide prodotti surgelati, a partire da 2 pezzi, 20% di riduzione
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino â&#x20AC;˘ 16 aprile 2018 â&#x20AC;˘ N. 16
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Idee e acquisti per la settimana
M-Classic
Fonti di preziose proteine
Suggerimento di presentazione Mescolare le lenticchie cotte e ancora tiepide con una fine vinaigrette. Servire con portulaca, carote, ravanelli e cipollotti.
Versatili e veloci da preparare: legumi abbinati alle verdure.
I legumi sono la scelta perfetta per la frenetica vita quotidiana in famiglia: si preparano velocemente e rappresentano una componente preziosa di una dieta equilibrata. Grazie al loro alto contenuto proteico, lenticchie, fagioli e piselli sono una gustosa alternativa alla carne e ad altri alimenti di origine animale. I piselli verdi e le lenticchie non devono essere messi in ammollo prima della cottura. Cuocere le lenticchie in acqua non salata.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 16 aprile 2018 • N. 16
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Idee e acquisti per la settimana
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Anti-aging completamente naturali Mantenere giovane la pelle è un desiderio molto diffuso. I prodotti anti-aging della linea Natural Cosmetics di I am ammorbidiscono le linee e le rughe esistenti e provvedono a rendere più liscia e soda la pelle del viso. Rendono inoltre la pelle più elastica. L’estratto di rododendro svizzero e l’olio di argan, ottenuto dalle bacche dell’albero di argania, contrastano l’invecchiamento precoce della pelle. Tutti i prodotti della linea naturale di I am certificati «Natrue» sono esenti da profumi, coloranti e conservanti sintetici e vengono prodotti senza silicone e ingredienti a base di olio minerale.
La crema da notte attenua le rughe e promuove l’autorigenerazione della pelle.
La maschera per il viso idrata intensamente e migliora l’elasticità della pelle.
I am Natural Cosmetics Crema da notte Anti-Aging 50 ml Fr. 13.80
I am Natural Cosmetics Maschera rigenerante per il viso Anti-Aging 2 x 7,5 ml Fr. 2.90
L’olio per la cura del viso con l’aggiunta di preziosi oli di semi d’uva, mandorle, avocado e jojoiba contrasta l’invecchiamento della pelle. I am Natural Cosmetics Olio per la cura del viso Anti-Aging 30 ml Fr. 8.90
La crema da giorno rassodante combatte il rilassamento della pelle e idrata. I am Natural Cosmetics Crema da giorno Anti-Aging 50 ml Fr. 12.80
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 16 aprile 2018 • N. 16
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Idee e acquisti per la settimana
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Basta con l’ingrigimento
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I vestiti preferiti vengono indossati più spesso e di conseguenza lavati con maggiore frequenza, finché i colori non sbiadiscono. I detersivi per tessuti delicati Yvette sono il rimedio. Uno speciale enzima impedisce la formazione dei nodi di fibre, responsabili dell’ingrigimento dei capi. Yvette Color, Black e White non prevengono però solo la formazione dei nodi, ma rimuovono anche quelli esistenti. La brillantezza dei colori dei tessuti si mantiene così più a lungo.
Yvette Black 2 l Fr. 11.50*
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Con i detersivi per tessuti delicati Yvette la formazione dei nodi, responsabili della perdita di colore dei capi di abbigliamento, si riduce fino all’80 percento (anti-pilling).
M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche i detersivi per tessuti delicati Yvette.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 16 aprile 2018 • N. 16
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Idee e acquisti per la settimana
Suggerimenti e consulenza
L’aiuto in caso di debolezza della vescica
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Ben protetti
Oltre che un allenamento mirato, anche andare in bicicletta, fare ginnastica, yoga, walking e nuoto aiutano a rafforzare il pavimento pelvico.
In Svizzera una persona su cinque soffre di problemi alla vescica. Ciò non deve costituire un ostacolo nel condurre una vita attiva. I morbidi pantaloncini per l’incontinenza Secure offrono sicurezza. Sono stati sviluppati da specialisti che sanno esattamente quanto sia importante che la superficie di un assorbente a tre strati con un pH di 5,5 assimili velocemente liquidi e odori. In tal modo si preserva il pH naturale della pelle e non si verificano irritazioni. Un indicatore dell’umidità rivela quando è il momento del cambio. Una protezione discreta e garantita per una giornata senza preoccupazioni.
Bere almeno 1,5 litri di liquidi al giorno per evitare infezioni della vescica. Lasciare agli altri i carichi pesanti, il pavimento pelvico e la schiena ringraziano. Dopo le 15.00 evitare la caffeina e le bevande gassate.
I problemi alla vescica non devono costituire un ostacolo ad una quotidianità senza preoccupazioni.
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Idee e acquisti per la settimana
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