Cooperativa Migros Ticino
G.A.A. 6592 Sant’Antonino
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXI 14 maggio 2018
Azione 20 59 ping M shop ne 41-44 / 57i alle pag
Società e Territorio Dinosauri e animali preistorici: una passione che coinvolge molti bambini
Ambiente e Benessere Il neurochirurgo professor Michael Reinert, primario dell’unità di neurochirurgia all’Ospedale di Lugano, spiega quali sono le nuove tecnologie utili per combattere i tumori cerebrali
Politica e Economia Le Maldive, un’altra perla della collana con cui la Cina costruisce la nuova Via della seta
Cultura e Spettacoli Gli oggetti sono destinati a perdere di valore con il tempo... oppure no, come si vede al MEN
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USA-Cina, non solo guerra commerciale
Gerusalemme, un po’ più capitale della fortezza Israele
di Peter Schiesser
di Marcella Emiliani
I primi colloqui fra i massimi negoziatori americani e cinesi a Pechino la settimana scorsa, cui seguirà questa settimana l’arrivo a Washington di Liu He, il consigliere economico del presidente Xi Jinping, per negoziati ad alto livello, mettono in evidenza la natura del conflitto fra gli Stati Uniti e la Cina: non si tratta solo di una guerra commerciale, si tratta di una lotta per la supremazia mondiale. Il piano di politica industriale di Xi Jinping denominato «Made in China 2025», con cui intende portare il paese ai vertici dello sviluppo tecnologico mondiale, ha spaventato Washington. Non a caso le sanzioni annunciate dal presidente americano Trump puntano a colpire i cinesi, oltre che nelle relazioni commerciali, anche nei settori chiave per conquistare la supremazia tecnologica. Il divieto imposto alle società americane di vendere componenti tecnologiche ai cinesi mette a nudo la forte dipendenza di questi ultimi dall’high tech statunitense; in particolare la metà dei semiconduttori utilizzati in Cina, elemento chiave per smartphone, tablet, computer, viene importata dagli Stati Uniti. A breve termine, questo avrà serie conseguenze economiche per le aziende cinesi più dipendenti dall’America, ma spinge la Cina a perseguire in modo ancora più deciso un’indipendenza tecnologica. Il fondatore di Alibaba, Jack Ma, ad esempio, si è posto l’obiettivo di sviluppare microchip a buon prezzo e più efficienti per tutti e investe da alcuni anni in cinque aziende che producono semiconduttori (NZZ, 28.4.18). Donald Trump è convinto che la bilancia commerciale sia la chiave di volta del successo o meno dell’economia di un paese. Nel quadro della lotta per fermare l’ascesa del rinato Impero di mezzo, i negoziatori americani hanno quindi messo sul tavolo a Pechino la richiesta alla Cina di ridurre di 200 miliardi di dollari entro la fine del 2020 il surplus commerciale, sui 375 stimati da Washington (secondo altri calcoli, sarebbe inferiore di un terzo). Ciò significa che le importazioni di prodotti americani dovrebbero raddoppiare in due anni – abbastanza irrealistico. Inoltre, il presidente americano dimentica la forte relazione fra i disavanzi commerciali degli Stati Uniti con il resto del mondo e la predominanza del dollaro come valuta internazionale: scrive il professore americano di origine cinese Lan Cao (NYT, 28.4.18) che «una volta affermatosi come valuta di riserva globale, il dollaro è stato mantenuto forte da una sostenuta richiesta, e un dollaro forte rende costosi i prodotti americani, per gli altri paesi del mondo. Le esportazioni americane declinano, le importazioni aumentano e il risultato è un disavanzo commerciale». Washington sa che gli Stati Uniti possono frenare l’ascesa della Cina solo se saranno sempre un passo avanti, tecnologicamente ed economicamente. Gli americani vogliono però a tutti i costi evitare di perdere la supremazia a causa di pratiche illecite e di privilegi tariffari ormai sorpassati, concessi a Pechino nel 2001 in virtù dello statuto di economia in via di sviluppo, chiedono quindi alla Cina di aprire alle aziende americane il suo mercato, senza più limitazioni né obblighi di cedere il know how tecnologico. Washington punta ad una lotta dura ma ad armi pari. Tuttavia, finora Pechino non ha mostrato di voler stare al gioco di Washington.
Keystone
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Invito ai soci per la votazione 2018 disposizione dei soci presso la sede di Sant’Antonino. La scheda di voto sarà inviata per posta a tutti gli aventi diritto di voto, in base al registro dei soci, al più tardi dieci giorni prima della scadenza della votazione. Eventuali reclami concernenti schede di voto non ricevute o inesatte relativa all’esercizio 2017 della Cooperativa Migros Ticino, sono da indirizzare all’Ufficio elettorale di Migros Ticino, con l’invito a rispondere alla seguente domanda: 6592 Sant’Antonino, al più presto sei giorni lavorativi e al Approva i conti dell’esercizio 2017, dà scarico al Consiglio più tardi tre giorni lavorativi prima dello scrutinio. di amministrazione e accetta la proposta per l’impiego del La votazione si svolge secondo le disposizioni dello Statuto risultato di bilancio?». La scheda di voto riporta una e del Regolamento per votazioni, elezioni e iniziative. seconda domanda, nella forma di sondaggio, che riguarda Questi documenti, unitamente al rapporto annuo, possono la conoscenza del Percento culturale. essere consultati presso i punti vendita, presentando la A questo numero di Azione è allegato il rapporto annuo quota di partecipazione o la tessera di socio. 2017, che comprende i conti, la relazione dell’Ufficio di Secondo l’art. 30 dello Statuto, il Consiglio di revisione e la proposta del Consiglio di amministrazione per amministrazione ha nominato un Ufficio elettorale che l’utilizzo dell’utile di bilancio, così come la relazione sorveglia lo svolgimento della votazione e che si compone annuale della Cooperativa. Questi documenti sono pure a delle seguenti persone: Avv. Filippo Gianoni (presidente), Gentile socia, egregio socio, riceve in questi giorni il materiale di voto per la
votazione generale 2018
Myrto Fedeli (vicepresidente), Roberto Bozzini, Pasquale Branca e Giovanni Jegen (membri). Vogliate compilare al più presto la scheda di voto e depositarla nelle apposite urne esposte nei nostri punti vendita. Così facendo ci aiutate a risparmiare spese postali permettendoci di offrirvi una tavoletta di cioccolato. Le urne sono a disposizione durante il normale periodo di apertura delle nostre sedi. Ultimo termine per la spedizione o consegna della scheda (giorno di votazione): SABATO 2 GIUGNO 2018 Con la vostra partecipazione non solo fate uso del vostro diritto, ma esprimete anche l’apprezzamento per l’impegno dei collaboratori di Migros Ticino. Vi ringraziamo in anticipo. Sant’Antonino, 14 maggio 2018 Cooperativa Migros Ticino Il Consiglio di amministrazione
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 maggio 2018 • N. 20
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 maggio 2018 • N. 20
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Società e Territorio La Via Francisca del Lucomagno È da poco nata l’associazione «Amici della Via Francisca del Lucomagno» con lo scopo di promuovere il percorso della via storica e la collaborazione attiva anche Oltralpe pagina 5
Videogiochi e lavori manuali Nintendo torna a sorprendere i giocatori con Labo, due kit di costruzioni in cartoncino da abbinare alla console Switch
Un futuro da condividere
Festival del Tempo L’associazione Futuranda si propone di realizzare una rete di conoscenze e rapporti umani
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fra le associazioni che operano nel Mendrisiotto Stefania Hubmann
Ticinosuchus ferox all’entrata del Museo di Meride. (@ Loreta Daulte / Ticino Turismo)
Una giornata per divertirsi, ma anche per riflettere. Un’occasione per condividere piuttosto che sentirsi soli. Un filo conduttore che unisce anche se a volte sembra tiranno. Con il Festival del Tempo, in programma il prossimo 27 maggio a Chiasso, l’associazione Futuranda si fa promotrice di un nuovo approccio di collaborazione culturale per favorire la crescita personale in un contesto collettivo. I numerosi enti attivi nel Mendrisiotto sono stati invitati a unire le forze non tanto per coordinare le proposte, quanto per incontrarsi, conoscersi e potersi quindi confrontare sulle rispettive attività e soprattutto a livello umano.
La prima manifestazione pubblica organizzata da Futuranda si terrà a Chiasso il 27 maggio e avrà come tema il tempo
La passione per gli animali estinti Bambini Secondo gli psicologi, un terzo dei bimbi tra i due e i sei anni è «ossessionato» dalla vita
dei dinosauri e degli esseri preistorici. I paleontologi si interrogano sulle ragioni di questo interesse intenso, che ha molti lati positivi Stefania Prandi In inglese si chiama «dinomania». È la passione per i dinosauri, comune a molte bambine e bambini. Secondo gli psicologi, un terzo dei bimbi tra i due e i sei anni è «ossessionato» dalla vita dei giganti del passato. E i risultati sono sorprendenti: i piccoli, pur non sapendo ancora né leggere né scrivere correttamente, conoscono a memoria nomi, caratteristiche e curiosità di dozzine di diversi animali preistorici. Ma a cosa è dovuta esattamente la fissazione infantile per i dinosauri? Se lo domanda un articolo di «The Cut», sezione del «The New York Magazine», raccontando la storia di una bambina di sei anni, Erin, che per Halloween ha voluto travestirsi da Ozraptor, un teropode vissuto nel Giurassico medio i cui resti sono stati trovati in Australia. Susan, la madre, non sapeva bene come gestire la richiesta perché nei negozi non c’era la possibilità di trovare un costume così specifico. E anche cercando su Google si trovavano pochissime immagini. Erin, che rifiutava l’idea di potere indossare i panni di altri tipi di dinosauri, ha dato indicazioni precise alla madre su come realizzare il vestito che doveva tassativamente avere «un sacco di piume». Il
risultato ha lasciato a desiderare, considerando che nessuno ha capito da cosa fosse mascherata la bimba, ma la felicità di Erin è stata assicurata. Non si sa esattamente cosa faccia nascere questa passione e la maggior parte dei genitori non riesce a identificare il momento o l’evento che hanno dato origine alla fissazione. Non è una questione generazionale. Film e cartoni animati come Jurassic Park, Alla ricerca della valle incantata e i Flintstones hanno avuto sicuramente un’influenza, ma non sembrano essere la causa scatenante. Brian Switek, scrittore scientifico, «fanatico dei fossili», come si definisce lui stesso nel suo blog www.brianswitek.net, autore dei libri My Beloved Brontosaurus (Mio amato Brontosauro) e Written in Stone (Scritto nella pietra), è un rappresentante adulto della «dinomania». La sua passione infantile semplicemente non è mai passata. Per lui i dinosauri piacciono così tanto perché sono grandi, fieri ed estinti: «Rappresentano una connessione con il passato, con i cambiamenti drastici che ci sono stati sulla terra. Ci fanno ricordare che il nostro pianeta ha una storia incredibile, che la vita è cambiata nel corso del tempo e l’estinzione è il destino di tutto».
Secondo uno studio pubblicato nel 2008 sulla rivista scientifica «Cognitive Development» da un team di ricercatrici americane, l’interesse intenso che i bambini provano per certi soggetti, come ad esempio i dinosauri, può aiutarli ad aumentare la conoscenza e la costanza, ad avere una migliore soglia di attenzione e a sviluppare profonde capacità di analisi e memoria. Chi dimostra di avere un interesse intenso da piccolo tende a diventare più intelligente della media, da grande. Come ha spiegato il paleontologo Kenneth Lacovara, direttore del Parco fossili della Rowan University nel New Jersey, nel libro Perché i dinosauri sono importanti (Why do dinosaurs matter?), i bambini hanno tutte le ragioni del mondo di essere entusiasti per gli esseri preistorici. Considerando «le loro incredibili caratteristiche di adattamento, come la grandezza titanica, il potere devastante, il piumaggio stravagante, i denti affilati come le lame di un rasoio», i dinosauri sono davvero degni di ammirazione. Stando a una delle ipotesi più accreditate, sparirono dalla faccia della terra perché furono annientati da un grande asteroide (ma non tutti gli scienziati sono concordi). In ogni caso, nonostante la loro estinzione, sono sta-
ti dei campioni di resistenza. Hanno regnato imbattuti per centosessantacinque milioni di anni, un tempo record considerando che i primati ci sono da circa cinquantasei milioni di anni, mentre gli esseri umani sono apparsi solo duecentomila anni fa. Secondo Luca Zulliger, paleontologo e direttore del Museo dei fossili di Meride, nel quale sono esposti fossili e modelli di animali più antichi dei dinosauri (interessanti le offerte di laboratori didattici e corsi per i più piccoli che si trovano sul sito www.montesangiorgio.org), la passione per gli esseri preistorici è dovuta al fatto che, oltre a essere grandi e imbattibili, non esistono più. «Da bambini si immagina questo mondo di centinaia di milioni di anni fa, scomparso per sempre. Si può fantasticare senza limiti», racconta Zulliger. «Quando vengono qui le scolaresche, ci sono giovani studenti che conoscono a memoria tutti i dinosauri, con il loro nome scientifico. Sanno esattamente come erano fatti, di cosa si nutrivano, dove vivevano. Li conoscono quasi meglio di me che mi occupo degli organismi più antichi. Infatti, il Museo dei fossili di Meride, inserito nella lista del Patrimonio mondiale dell’Unesco, raccoglie i resti fossili trovati nelle rocce
del Monte San Giorgio che, contrariamente a quanto pensano in molti, non sono dinosauri ma esemplari risalenti al Triassico medio, principalmente animali marini. Ci sono pesci e rettili che vivevano in un mare tropicale, come ad esempio lucertole acquatiche che misurano da una decina di centimetri fino a cinque metri di lunghezza. Qui, dove adesso ci sono le montagne, una volta c’era una distesa di acqua». Come per molti altri paleontologi, la passione per gli animali preistorici di Zulliger, che collabora anche con il Museo cantonale di storia naturale di Lugano, è cominciata da bambino. «Ho avuto la fortuna, dopo avere studiato, di trovare un lavoro in quest’ambito, il che non è facile. Comunque, conosco persone adulte che, pur non facendolo di mestiere, continuano a portare avanti il loro interesse profondo. Mi ricordo di un signore anziano, mancato due anni fa, che era tra i migliori preparatori che conoscessi. Il preparatore è quello che in laboratorio libera a mano il fossile dalla roccia. Questo signore aveva una ditta edile, come attività principale, ma si era costruito un laboratorio nel garage. Noi gli facevamo i mandati per preparare i fossili, e lui se ne occupava nel tempo libero».
Per la prima manifestazione pubblica, Futuranda ha scelto un tema attuale e trasversale alle diverse associazioni: il tempo. Ci sarà quindi l’opportunità per tutti, dai più piccoli agli anziani, di scoprire svariati aspetti di questo concetto in maniera ludica come pure attraverso occasioni più ponderate. Basta scorrere i titoli delle attività per capire quanti stimoli offrirà il festival. Le proposte sono una ventina disseminate in diversi punti della città per incoraggiare il movimento e l’esplorazione di luoghi magari poco conosciuti. Dalla mostra sul tempo al laboratorio «Trova il tempo per ridere», dai ritmi del mondo per i bambini alla bacchetta magica del tempo, dall’impiego creativo del tempo al più concreto tempo di degradamento dei materiali nell’ambiente, alle ere geologiche del Parco della Breggia. Ci saranno quindi angoli per i bambini, giochi, ginnastica, mostre, musica, danze, proiezioni e conferenze. Un momento comune conviviale è previsto a mezzogiorno con la maccheronata che si svolgerà nella piazzetta davanti alla Posta nella tendo-struttura già posata per un altro evento. Fulcro della manifestazione, la struttura in serata ospiterà la premiazione del concor-
Il 27 maggio Futuranda in collaborazione con più di venti associazioni locali, propone attività ludiche e di riflessione per adulti, ragazzi e bambini legate al tema del tempo. (Designed by Asierromero / Freepik)
so fotografico abbinato al festival. Da rilevare, all’interno del programma, le pillole di riflessione ispirate ai TED Talks (brevi presentazioni di esperti per condividere idee interessanti). La Maratona TED chiassese si svolgerà all’aperto, attirando l’attenzione con interrogativi come «Ho tempo, come lo posso usare?», «Qual è il prezzo del tuo tempo?» e chinandosi su sfide presenti e future quali la moneta intera e le criptovalute. Questi temi ben riflettono lo spirito con il quale è stata fondata Futuranda, gestita da un ampio comitato di cui è portavoce Manuela Pagani Larghi.
«Con questa associazione, nata formalmente nell’autunno 2017 ma al cui progetto lavoriamo da un paio d’anni, desideriamo promuovere un lavoro collettivo in una nuova direzione che favorisca l’ascolto dell’altro, la condivisione, la riflessione e la co-creazione. Il compito di realizzare una rete fra le associazioni che operano nel distretto non è limitato alla semplice piattaforma organizzativa, ma è inteso piuttosto quale catalizzatore di incontri e rapporti umani fra i diversi attori. Abbiamo maturato la convinzione di voler agire in controtendenza rispetto alle logiche che dominano la società nella
quale viviamo, in particolare l’individualismo e il ruolo del denaro. Per questo motivo desideriamo pure proporre riflessioni su temi universali attraverso un approccio multidisciplinare che permetta di rafforzare lo spirito critico. La tendenza, anche nella promozione culturale, è quella di favorire la specializzazione e di lavorare a compartimenti stagni. Dal nostro punto di vista invece, per comprendere la crescente complessità della realtà, è necessario essere più aperti e sviluppare relazioni autentiche a fini collaborativi». L’applicazione dei principi chiave di Futuranda parte in primo luogo dal-
un domani i pc, le nuvole icloud, le app, ci permetteranno di tenere e contenere tutto in orbite digitali impalpabili e non avremo più bisogno di gigantesche librerie. Ma sarebbe poi questa una soluzione? Cercare tra le cose del nonno è stato un po’ come una caccia al tesoro: faticosa, a tratti incomprensibile, a tratti triste ma sempre viva di quell’adrenalina interiore, spinta da quella vocina «continua a cercare e ti meraviglierai». La meraviglia è il sale della vita. In realtà ho inghiottito un sacco di polvere, versato molte lacrime, setacciato miriadi di foto piccine in bianco e nero testimoni di un tempo lontano e di volti sconosciuti. Per poi trovare le nostre lettere. Sì, io e mio nonno ci scrivevamo lettere, ci mandavamo poesie, biglietti di auguri, una volta per la festa del papà gli scrissi «ci vorrebbe
anche una festa del nonno per festeggiare il nonno migliore del mondo». I nonni sono importanti, non c’è bisogno che sia io a dirvelo, i miei per me lo sono stati, mi hanno sempre spronata a fare ciò in cui credevo: andare a cavallo, studiare letteratura, scrivere, fare la giornalista. Mio nonno era caporedattore di una radio pubblica, nel suo programma si occupava di agricoltura, ambiente, politica agraria e società. È sempre stato l’intellettuale di famiglia ma ciò che più amavo erano la sua umanità, la sua tolleranza, la sua apertura mentale e la sua generosità. Chissà, forse oggi i giovani scrivono ai loro nonni delle email, anche io lo facevo negli ultimi anni. Era più veloce, più diretto. Ma i messaggi erano anche più brevi «ciao come state? Vi voglio bene», poi tanto ci si telefonava, ormai c’erano i cellulari.
lo stesso comitato. Da un lato il lavoro è organizzato secondo un modello orizzontale, facendo tesoro delle esperienze di vita e professionali dei diversi membri, dall’altro i costi sono ridotti al minimo proprio per evitare di accordare al denaro quell’importanza che ha invece acquisito nel funzionamento della nostra società. «La stretta collaborazione fra gli enti che operano sul medesimo territorio – spiega la portavoce di Futuranda – è una necessità condivisa. È infatti sempre più difficile trovare le persone disposte ad impegnarsi nelle associazioni locali, così come diventa arduo reperire i fondi in un contesto economico ancora precario. Notiamo che a mancare all’appello sono soprattutto i giovani. Anche nell’organizzazione del Festival del Tempo non è stato semplice riuscire a coinvolgere gli adolescenti. Speriamo di esserci riusciti con la proposta del parkour (attività atletica basata sul principio di muoversi velocemente e con agilità nell’area urbana superando ostacoli di vario genere) e un laboratorio di ritmi di capoeira. Abbiamo cercato di offrire esperienze per ogni fascia di età, con un’attenzione particolare rivolta all’inclusione, sia essa legata alla disabilità come alla multiculturalità. Sono inoltre stati sollecitati i media e i commercianti locali, invitati questi ultimi a lanciare la manifestazione attraverso le loro vetrine». Il programma è intenso, con momenti leggeri ed altri più impegnativi in modo da soddisfare le aspettative di tutti e da svelare le due direzioni nelle quali intende muoversi Futuranda: la condivisione e la riflessione. Quest’ultima deve interessare in prima battuta le associazioni che partecipano al progetto, chiamate a loro volta a stimolare il pubblico. Per i promotori l’individualismo, la separazione, la gerarchia, il controllo non sono fonti di benessere. Sentono quindi la necessità di agire prima di raggiungere estremi come quello che ha visto alcuni mesi or sono in Gran Bretagna la creazione del Ministero della solitudine con lo scopo di alleviare la sofferenza generata da tale condizione. Informazioni
Pagina Facebook Futuranda. Mail: futuranda@bluewin.ch
La società connessa di Natascha Fioretti L’odore della polvere e il sapore dei ricordi Ci sono luoghi che hanno sapori, ci sono ricordi che hanno odori, ci sono libri coperti di polvere che nelle dediche racchiudono e sprigionano mondi. Lo studio di mio nonno Peter ad esempio, nel sottotetto di una casa di tre piani collegati da lunghe, eleganti scale di legno chiaro, come oggi non se ne fanno più. Scale che da piccola rendevano impossibili i furti notturni di cioccolata nella dispensa in cucina al primo piano: con il più piccolo peso o movimento i gradini scricchiolavano e ruggivano, impossibile colpire inosservati. In quella casa in Germania, dopo due lunghi anni di assenza, mi sono ritrovata a cercare tra i ricordi bandoli di fili di un grande amore per un uomo che per me è sempre stato un amico e un
maestro. Un uomo malato di Alzheimer che un giorno mi disse «Di tutto potrò dimenticarmi, ma di te non mi scorderò mai». Mio nonno era alto e bello, biondo, due occhi azzurri incorniciati in un paio di occhiali scuri, anni settanta, alla Max Frisch. Quando ridevano esprimevano più di mille sorrisi. Ed eccomi, dicevo, seduta a terra nel suo studio impolverato, su una moquette lanosa e vecchia color gianduia, a leggere tra le sue carte e i suoi libri, i suoi diari per decidere che cosa tenere e che cosa buttare. Lo so è una parola terribile, potendo uno terrebbe tutto, anche le carte appiccicose delle caramelle, i post-it stropicciati indecifrabili che però, magari, contengono messaggi importanti. Ma la storia di una persona non si trattiene per sempre se non nel cuore e nella mente. Chissà, forse
Uno dei miei ultimi collegamenti radiofonici in diretta, due settimane fa, l’ho fatto seduta alla sua scrivania. Davanti a me la sua foto in un campo di frumento e un foglietto scritto a mano in cui cita Voltaire «Non condivido ciò che dici, ma sarei disposto a dare la vita affinché tu possa dirlo». Mio nonno è stato per me un grande uomo, un mentore e poterlo rivivere ancora una volta attraverso le sue pagine scritte, gli odori dei suoi libri, i passaggi evidenziati in giallo, la polvere dei suoi diari, tratti di calligrafia scomposta e indecifrabile, è stato come incontrarlo ancora una volta. Il digitale e le nuove tecnologie hanno delle potenzialità incredibili ma qui, nel cuore e sottopelle, negli angoli nascosti del labirinto umano, dove non esistono cartelle, file e collegamenti wi-fi, non arriveranno mai.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 maggio 2018 • N. 20
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Società e Territorio La Via Francisca del Lucomagno È da poco nata l’associazione «Amici della Via Francisca del Lucomagno» con lo scopo di promuovere il percorso della via storica e la collaborazione attiva anche Oltralpe pagina 5
Videogiochi e lavori manuali Nintendo torna a sorprendere i giocatori con Labo, due kit di costruzioni in cartoncino da abbinare alla console Switch
Un futuro da condividere
Festival del Tempo L’associazione Futuranda si propone di realizzare una rete di conoscenze e rapporti umani
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fra le associazioni che operano nel Mendrisiotto Stefania Hubmann
Ticinosuchus ferox all’entrata del Museo di Meride. (@ Loreta Daulte / Ticino Turismo)
Una giornata per divertirsi, ma anche per riflettere. Un’occasione per condividere piuttosto che sentirsi soli. Un filo conduttore che unisce anche se a volte sembra tiranno. Con il Festival del Tempo, in programma il prossimo 27 maggio a Chiasso, l’associazione Futuranda si fa promotrice di un nuovo approccio di collaborazione culturale per favorire la crescita personale in un contesto collettivo. I numerosi enti attivi nel Mendrisiotto sono stati invitati a unire le forze non tanto per coordinare le proposte, quanto per incontrarsi, conoscersi e potersi quindi confrontare sulle rispettive attività e soprattutto a livello umano.
La prima manifestazione pubblica organizzata da Futuranda si terrà a Chiasso il 27 maggio e avrà come tema il tempo
La passione per gli animali estinti Bambini Secondo gli psicologi, un terzo dei bimbi tra i due e i sei anni è «ossessionato» dalla vita
dei dinosauri e degli esseri preistorici. I paleontologi si interrogano sulle ragioni di questo interesse intenso, che ha molti lati positivi Stefania Prandi In inglese si chiama «dinomania». È la passione per i dinosauri, comune a molte bambine e bambini. Secondo gli psicologi, un terzo dei bimbi tra i due e i sei anni è «ossessionato» dalla vita dei giganti del passato. E i risultati sono sorprendenti: i piccoli, pur non sapendo ancora né leggere né scrivere correttamente, conoscono a memoria nomi, caratteristiche e curiosità di dozzine di diversi animali preistorici. Ma a cosa è dovuta esattamente la fissazione infantile per i dinosauri? Se lo domanda un articolo di «The Cut», sezione del «The New York Magazine», raccontando la storia di una bambina di sei anni, Erin, che per Halloween ha voluto travestirsi da Ozraptor, un teropode vissuto nel Giurassico medio i cui resti sono stati trovati in Australia. Susan, la madre, non sapeva bene come gestire la richiesta perché nei negozi non c’era la possibilità di trovare un costume così specifico. E anche cercando su Google si trovavano pochissime immagini. Erin, che rifiutava l’idea di potere indossare i panni di altri tipi di dinosauri, ha dato indicazioni precise alla madre su come realizzare il vestito che doveva tassativamente avere «un sacco di piume». Il
risultato ha lasciato a desiderare, considerando che nessuno ha capito da cosa fosse mascherata la bimba, ma la felicità di Erin è stata assicurata. Non si sa esattamente cosa faccia nascere questa passione e la maggior parte dei genitori non riesce a identificare il momento o l’evento che hanno dato origine alla fissazione. Non è una questione generazionale. Film e cartoni animati come Jurassic Park, Alla ricerca della valle incantata e i Flintstones hanno avuto sicuramente un’influenza, ma non sembrano essere la causa scatenante. Brian Switek, scrittore scientifico, «fanatico dei fossili», come si definisce lui stesso nel suo blog www.brianswitek.net, autore dei libri My Beloved Brontosaurus (Mio amato Brontosauro) e Written in Stone (Scritto nella pietra), è un rappresentante adulto della «dinomania». La sua passione infantile semplicemente non è mai passata. Per lui i dinosauri piacciono così tanto perché sono grandi, fieri ed estinti: «Rappresentano una connessione con il passato, con i cambiamenti drastici che ci sono stati sulla terra. Ci fanno ricordare che il nostro pianeta ha una storia incredibile, che la vita è cambiata nel corso del tempo e l’estinzione è il destino di tutto».
Secondo uno studio pubblicato nel 2008 sulla rivista scientifica «Cognitive Development» da un team di ricercatrici americane, l’interesse intenso che i bambini provano per certi soggetti, come ad esempio i dinosauri, può aiutarli ad aumentare la conoscenza e la costanza, ad avere una migliore soglia di attenzione e a sviluppare profonde capacità di analisi e memoria. Chi dimostra di avere un interesse intenso da piccolo tende a diventare più intelligente della media, da grande. Come ha spiegato il paleontologo Kenneth Lacovara, direttore del Parco fossili della Rowan University nel New Jersey, nel libro Perché i dinosauri sono importanti (Why do dinosaurs matter?), i bambini hanno tutte le ragioni del mondo di essere entusiasti per gli esseri preistorici. Considerando «le loro incredibili caratteristiche di adattamento, come la grandezza titanica, il potere devastante, il piumaggio stravagante, i denti affilati come le lame di un rasoio», i dinosauri sono davvero degni di ammirazione. Stando a una delle ipotesi più accreditate, sparirono dalla faccia della terra perché furono annientati da un grande asteroide (ma non tutti gli scienziati sono concordi). In ogni caso, nonostante la loro estinzione, sono sta-
ti dei campioni di resistenza. Hanno regnato imbattuti per centosessantacinque milioni di anni, un tempo record considerando che i primati ci sono da circa cinquantasei milioni di anni, mentre gli esseri umani sono apparsi solo duecentomila anni fa. Secondo Luca Zulliger, paleontologo e direttore del Museo dei fossili di Meride, nel quale sono esposti fossili e modelli di animali più antichi dei dinosauri (interessanti le offerte di laboratori didattici e corsi per i più piccoli che si trovano sul sito www.montesangiorgio.org), la passione per gli esseri preistorici è dovuta al fatto che, oltre a essere grandi e imbattibili, non esistono più. «Da bambini si immagina questo mondo di centinaia di milioni di anni fa, scomparso per sempre. Si può fantasticare senza limiti», racconta Zulliger. «Quando vengono qui le scolaresche, ci sono giovani studenti che conoscono a memoria tutti i dinosauri, con il loro nome scientifico. Sanno esattamente come erano fatti, di cosa si nutrivano, dove vivevano. Li conoscono quasi meglio di me che mi occupo degli organismi più antichi. Infatti, il Museo dei fossili di Meride, inserito nella lista del Patrimonio mondiale dell’Unesco, raccoglie i resti fossili trovati nelle rocce
del Monte San Giorgio che, contrariamente a quanto pensano in molti, non sono dinosauri ma esemplari risalenti al Triassico medio, principalmente animali marini. Ci sono pesci e rettili che vivevano in un mare tropicale, come ad esempio lucertole acquatiche che misurano da una decina di centimetri fino a cinque metri di lunghezza. Qui, dove adesso ci sono le montagne, una volta c’era una distesa di acqua». Come per molti altri paleontologi, la passione per gli animali preistorici di Zulliger, che collabora anche con il Museo cantonale di storia naturale di Lugano, è cominciata da bambino. «Ho avuto la fortuna, dopo avere studiato, di trovare un lavoro in quest’ambito, il che non è facile. Comunque, conosco persone adulte che, pur non facendolo di mestiere, continuano a portare avanti il loro interesse profondo. Mi ricordo di un signore anziano, mancato due anni fa, che era tra i migliori preparatori che conoscessi. Il preparatore è quello che in laboratorio libera a mano il fossile dalla roccia. Questo signore aveva una ditta edile, come attività principale, ma si era costruito un laboratorio nel garage. Noi gli facevamo i mandati per preparare i fossili, e lui se ne occupava nel tempo libero».
Per la prima manifestazione pubblica, Futuranda ha scelto un tema attuale e trasversale alle diverse associazioni: il tempo. Ci sarà quindi l’opportunità per tutti, dai più piccoli agli anziani, di scoprire svariati aspetti di questo concetto in maniera ludica come pure attraverso occasioni più ponderate. Basta scorrere i titoli delle attività per capire quanti stimoli offrirà il festival. Le proposte sono una ventina disseminate in diversi punti della città per incoraggiare il movimento e l’esplorazione di luoghi magari poco conosciuti. Dalla mostra sul tempo al laboratorio «Trova il tempo per ridere», dai ritmi del mondo per i bambini alla bacchetta magica del tempo, dall’impiego creativo del tempo al più concreto tempo di degradamento dei materiali nell’ambiente, alle ere geologiche del Parco della Breggia. Ci saranno quindi angoli per i bambini, giochi, ginnastica, mostre, musica, danze, proiezioni e conferenze. Un momento comune conviviale è previsto a mezzogiorno con la maccheronata che si svolgerà nella piazzetta davanti alla Posta nella tendo-struttura già posata per un altro evento. Fulcro della manifestazione, la struttura in serata ospiterà la premiazione del concor-
Il 27 maggio Futuranda in collaborazione con più di venti associazioni locali, propone attività ludiche e di riflessione per adulti, ragazzi e bambini legate al tema del tempo. (Designed by Asierromero / Freepik)
so fotografico abbinato al festival. Da rilevare, all’interno del programma, le pillole di riflessione ispirate ai TED Talks (brevi presentazioni di esperti per condividere idee interessanti). La Maratona TED chiassese si svolgerà all’aperto, attirando l’attenzione con interrogativi come «Ho tempo, come lo posso usare?», «Qual è il prezzo del tuo tempo?» e chinandosi su sfide presenti e future quali la moneta intera e le criptovalute. Questi temi ben riflettono lo spirito con il quale è stata fondata Futuranda, gestita da un ampio comitato di cui è portavoce Manuela Pagani Larghi.
«Con questa associazione, nata formalmente nell’autunno 2017 ma al cui progetto lavoriamo da un paio d’anni, desideriamo promuovere un lavoro collettivo in una nuova direzione che favorisca l’ascolto dell’altro, la condivisione, la riflessione e la co-creazione. Il compito di realizzare una rete fra le associazioni che operano nel distretto non è limitato alla semplice piattaforma organizzativa, ma è inteso piuttosto quale catalizzatore di incontri e rapporti umani fra i diversi attori. Abbiamo maturato la convinzione di voler agire in controtendenza rispetto alle logiche che dominano la società nella
quale viviamo, in particolare l’individualismo e il ruolo del denaro. Per questo motivo desideriamo pure proporre riflessioni su temi universali attraverso un approccio multidisciplinare che permetta di rafforzare lo spirito critico. La tendenza, anche nella promozione culturale, è quella di favorire la specializzazione e di lavorare a compartimenti stagni. Dal nostro punto di vista invece, per comprendere la crescente complessità della realtà, è necessario essere più aperti e sviluppare relazioni autentiche a fini collaborativi». L’applicazione dei principi chiave di Futuranda parte in primo luogo dal-
un domani i pc, le nuvole icloud, le app, ci permetteranno di tenere e contenere tutto in orbite digitali impalpabili e non avremo più bisogno di gigantesche librerie. Ma sarebbe poi questa una soluzione? Cercare tra le cose del nonno è stato un po’ come una caccia al tesoro: faticosa, a tratti incomprensibile, a tratti triste ma sempre viva di quell’adrenalina interiore, spinta da quella vocina «continua a cercare e ti meraviglierai». La meraviglia è il sale della vita. In realtà ho inghiottito un sacco di polvere, versato molte lacrime, setacciato miriadi di foto piccine in bianco e nero testimoni di un tempo lontano e di volti sconosciuti. Per poi trovare le nostre lettere. Sì, io e mio nonno ci scrivevamo lettere, ci mandavamo poesie, biglietti di auguri, una volta per la festa del papà gli scrissi «ci vorrebbe
anche una festa del nonno per festeggiare il nonno migliore del mondo». I nonni sono importanti, non c’è bisogno che sia io a dirvelo, i miei per me lo sono stati, mi hanno sempre spronata a fare ciò in cui credevo: andare a cavallo, studiare letteratura, scrivere, fare la giornalista. Mio nonno era caporedattore di una radio pubblica, nel suo programma si occupava di agricoltura, ambiente, politica agraria e società. È sempre stato l’intellettuale di famiglia ma ciò che più amavo erano la sua umanità, la sua tolleranza, la sua apertura mentale e la sua generosità. Chissà, forse oggi i giovani scrivono ai loro nonni delle email, anche io lo facevo negli ultimi anni. Era più veloce, più diretto. Ma i messaggi erano anche più brevi «ciao come state? Vi voglio bene», poi tanto ci si telefonava, ormai c’erano i cellulari.
lo stesso comitato. Da un lato il lavoro è organizzato secondo un modello orizzontale, facendo tesoro delle esperienze di vita e professionali dei diversi membri, dall’altro i costi sono ridotti al minimo proprio per evitare di accordare al denaro quell’importanza che ha invece acquisito nel funzionamento della nostra società. «La stretta collaborazione fra gli enti che operano sul medesimo territorio – spiega la portavoce di Futuranda – è una necessità condivisa. È infatti sempre più difficile trovare le persone disposte ad impegnarsi nelle associazioni locali, così come diventa arduo reperire i fondi in un contesto economico ancora precario. Notiamo che a mancare all’appello sono soprattutto i giovani. Anche nell’organizzazione del Festival del Tempo non è stato semplice riuscire a coinvolgere gli adolescenti. Speriamo di esserci riusciti con la proposta del parkour (attività atletica basata sul principio di muoversi velocemente e con agilità nell’area urbana superando ostacoli di vario genere) e un laboratorio di ritmi di capoeira. Abbiamo cercato di offrire esperienze per ogni fascia di età, con un’attenzione particolare rivolta all’inclusione, sia essa legata alla disabilità come alla multiculturalità. Sono inoltre stati sollecitati i media e i commercianti locali, invitati questi ultimi a lanciare la manifestazione attraverso le loro vetrine». Il programma è intenso, con momenti leggeri ed altri più impegnativi in modo da soddisfare le aspettative di tutti e da svelare le due direzioni nelle quali intende muoversi Futuranda: la condivisione e la riflessione. Quest’ultima deve interessare in prima battuta le associazioni che partecipano al progetto, chiamate a loro volta a stimolare il pubblico. Per i promotori l’individualismo, la separazione, la gerarchia, il controllo non sono fonti di benessere. Sentono quindi la necessità di agire prima di raggiungere estremi come quello che ha visto alcuni mesi or sono in Gran Bretagna la creazione del Ministero della solitudine con lo scopo di alleviare la sofferenza generata da tale condizione. Informazioni
Pagina Facebook Futuranda. Mail: futuranda@bluewin.ch
La società connessa di Natascha Fioretti L’odore della polvere e il sapore dei ricordi Ci sono luoghi che hanno sapori, ci sono ricordi che hanno odori, ci sono libri coperti di polvere che nelle dediche racchiudono e sprigionano mondi. Lo studio di mio nonno Peter ad esempio, nel sottotetto di una casa di tre piani collegati da lunghe, eleganti scale di legno chiaro, come oggi non se ne fanno più. Scale che da piccola rendevano impossibili i furti notturni di cioccolata nella dispensa in cucina al primo piano: con il più piccolo peso o movimento i gradini scricchiolavano e ruggivano, impossibile colpire inosservati. In quella casa in Germania, dopo due lunghi anni di assenza, mi sono ritrovata a cercare tra i ricordi bandoli di fili di un grande amore per un uomo che per me è sempre stato un amico e un
maestro. Un uomo malato di Alzheimer che un giorno mi disse «Di tutto potrò dimenticarmi, ma di te non mi scorderò mai». Mio nonno era alto e bello, biondo, due occhi azzurri incorniciati in un paio di occhiali scuri, anni settanta, alla Max Frisch. Quando ridevano esprimevano più di mille sorrisi. Ed eccomi, dicevo, seduta a terra nel suo studio impolverato, su una moquette lanosa e vecchia color gianduia, a leggere tra le sue carte e i suoi libri, i suoi diari per decidere che cosa tenere e che cosa buttare. Lo so è una parola terribile, potendo uno terrebbe tutto, anche le carte appiccicose delle caramelle, i post-it stropicciati indecifrabili che però, magari, contengono messaggi importanti. Ma la storia di una persona non si trattiene per sempre se non nel cuore e nella mente. Chissà, forse
Uno dei miei ultimi collegamenti radiofonici in diretta, due settimane fa, l’ho fatto seduta alla sua scrivania. Davanti a me la sua foto in un campo di frumento e un foglietto scritto a mano in cui cita Voltaire «Non condivido ciò che dici, ma sarei disposto a dare la vita affinché tu possa dirlo». Mio nonno è stato per me un grande uomo, un mentore e poterlo rivivere ancora una volta attraverso le sue pagine scritte, gli odori dei suoi libri, i passaggi evidenziati in giallo, la polvere dei suoi diari, tratti di calligrafia scomposta e indecifrabile, è stato come incontrarlo ancora una volta. Il digitale e le nuove tecnologie hanno delle potenzialità incredibili ma qui, nel cuore e sottopelle, negli angoli nascosti del labirinto umano, dove non esistono cartelle, file e collegamenti wi-fi, non arriveranno mai.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 maggio 2018 • N. 20
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Società e Territorio
La via Francigena del Lucomagno
Vie storiche È stata da poco fondata l’associazione «Amici della Via
Francisca del Lucomagno» per facilitare la promozione del percorso verso Roma e una collaborazione attiva anche Oltralpe Elia Stampanoni È nata ufficialmente lo scorso 6 aprile con lo scopo di ripristinare e promuovere l’antica via di comunicazione (e pellegrinaggio) verso Roma: è l’associazione «Amici della Via Francisca del Lucomagno» la cui costituzione rappresenta un tassello importante per proporsi quale entità giuridica verso le istituzioni, come racconta Adelaide Trezzini, promotrice dell’iniziativa nonché presidente della già esistente «Associazione internazionale Via Francigena» con sede a Blonay e fondata a Martigny nel 1997. «Sono 15 anni che c’impegniamo ad individuare e far rinascere le Vie Francigene storiche, valorizzandole culturalmente e turisticamente. Tra i nostri obiettivi rientra quello di aiutare in tutti i modi possibili i pellegrini di ogni parte del mondo e concretizzare il progetto Via Francisca del Lucomagno». La neonata associazione italo/elvetica, che ha in Alfonso Passera il nuovo presidente, è pure un valido supporto storico-scientifico, fornendo risposte a domande del tipo: «dove hanno fatto tappa in Ticino gli imperatori germanici sulla via del ritorno a Nord?». Come ci conferma la nostra interlocutrice, l’imperatore Enrico II passò per Cadempino nel 1004 e soggiornò nel castello di Grumo a Gravesano, mentre l’imperatore Federico Barbarossa pare abbia trascorso in questo medesimo luogo le feste di Pasqua del 1162, mentre scendeva verso l’Italia. Notizie che sottolineano l’importanza della via quale passaggio tra nord e sud, come ribadisce Adelaide Trezzini che nel 2006 scoprì nella chiesa di San Pellegrino a Giornico la statua lignea del Santo con, sulla pellegrina, i simboli specifici dei pellegrinaggi a Compostela e a Roma. Un incontro che fece nascere in lei tutto quest’interesse per la via del Lucomagno; l’itinerario più diretto tra Basilea o Costanza che, transitando dal Ticino, oltrepassava la Tresa per innestarsi poi a Pavia sulla Via Francigena ormai consolidata. «La mia passione – ci racconta Adelaide Trezzini – inizia per puro caso nel 1995, in occasione di una mostra didattica a Castel Sant’Angelo, dove figurava un tracciato sommario da Canterbury a Roma, il percorso della Via Francigena». Da quell’incontro è nata l’idea di promuovere la via, non solo in Italia, ma anche in Svizzera, Francia e Inghilterra, dove risultava completamente sconosciuta. In pochi anni, la Via Francigena ha raggiunto ottimi livelli d’interesse e fruibilità. I dati parlano di circa 40mila persone che nel 2016 hanno percorso e pernottato almeno una volta sulla via storica. In Ticino la via è tornata protagonista lo scorso anno quando, in occasione del ventesimo anniversario
Una via di pellegrinaggio. (francigena-international.org)
dell’associazione, è stata percorsa da Costanza sin quasi fino a Pavia, grazie a una collaborazione lombardo-ticinese. La quinta tappa, da Disentis a Biasca si è svolta dal 22 al 24 luglio ed è stata una bell’occasione per promuovere l’itinerario, a sud e a nord delle Alpi. «Con la nascita dell’associazione “Amici della via Francisca del Lucomagno” – conclude Trezzini – si spera di creare nuovi tasselli per una collaborazione attiva anche Oltralpe». La Via Francigena divenne la spina dorsale del sistema viario europeo (occidentale) quando Giulio Cesare aprì una «Via del Sole» nel 58 a.C., il più breve collegamento tra il mare del Nord e Roma. Il tracciato fu un’importante via verso Roma, la principale meta dei pellegrinaggi cristiani fino all’inizio del culto di San Giacomo di Compostela in Galizia nel X secolo. La via venne chiamata dal 725 «Iter Francorum» e per la prima volta «Via Francigena» nell’876. Il pellegrinaggio a Roma lungo la Via Francigena cadde in disuso attorno al XVII secolo e solo nel 1985 Giovanni Caselli, specialista di archeologia viaria, riportò sulla mappa l’itinerario dell’arcivescovo Sigerico di Canterbury, giunto a Roma nel 990 per ricevere il palio da papa Giovanni XV. Le 80 tappe elencate nel suo succinto diario di viaggio, dette submansiones, costituiscono i punti cardine della Via Francigena, una rete di strade costituitasi nei secoli con numerose varianti. In Italia, in Svizzera, in Francia e in Inghilterra oggi rimangono notevoli tratti della Via Francigena, con lastrici e selciati romani che il progetto intende collegare «quali filo conduttore della storia, dell’arte e dell’economia europea». La Via Francisca del Lucomagno è considerata più antica della Via Francigena e quindi non come una variante, ma a pieno titolo un itinerario distinto che portava gli imperatori germanici da e per Roma. Prima di sconfinare in Italia, il tragitto ticinese scende dalla Valle
di Blenio per poi raggiungere Ponte Tresa, luogo scelto per l’assemblea costitutiva dell’omonima associazione. La Via Francisca è spesso citata fra il XIII e il XV secolo nel Canton Ticino dove in qualche tratto si sovrappone alla Strada Regina. Transitando dal Lucomagno, con i suoi 1915 metri d’altitudine, la via è percorribile quasi tutto l’anno, mentre il Gran San Bernardo valico sulla via Francigena, è oltre i 2400 m. ed è aperto solo d’estate. Il primo tentativo di ripristinare la Via Francisca del Lucomagno risale al 2014 e ora, con la nascita dell’associazione i passi dovrebbero diventare più concreti. L’associazione internazionale Via Francigena (AIVF) conta attualmente oltre 2550 membri in 27 nazioni e ha fatto rivivere la Via Francigena europea, un tragitto storico rimasto sconosciuto in Francia e Svizzera fin verso l’anno 2000. Un successo dovuto anche a numerose pubblicazioni specifiche e, da tre anni, grazie alle applicazioni per smartphone e tablet realizzate da AIVF per la copertura dei 900 km. Le tre applicazioni, o guide, rappresentano una fondamentale fonte di notizie per i pellegrini, o semplici escursionisti, che volessero incamminarsi lungo questa via storica. Oltre al percorso ufficiale della Via Francigena contengono preziose varianti studiate e verificate nel 2015 e 2016 dai collaboratori dell’AIVF e oggetto di continui aggiornamenti, illustrando nel contempo anche le strutture selezionate, quali alberghi, pensioni, ostelli, parrocchie, privati o altre strutture che offrono ospitalità lungo il percorso.
Sorprendente Labo Giochi I kit di costruzioni di Nintendo
che uniscono videogiochi e lavori manuali Davide Canavesi Non c’è alcun dubbio sul fatto che la giapponese Nintendo sia una delle aziende d’intrattenimento tecnologico più innovative sul mercato. Al contrario di altri brand, che si accontentano di presentare una novità per poi proporre aggiornamenti a malapena incrementali di anno in anno, l’azienda di Kyoto negli anni ha saputo proporre idee sempre nuove e sorprendenti. È il caso di Nintendo Labo, una linea di kit di costruzioni come non ne avevamo ancora viste di simili. Labo è un kit di costruzioni basato sull’unione di modelli assemblabili in cartoncino e dei sensori della console Switch. Due i kit di lancio: Variety Kit e Robo Kit. Il primo è una collezione di diversi modelli: la macchinina radiocomandata, la canna da pesca, la casetta, la moto e il piano. Il Robo Kit invece contiene solo il robot: un sistema molto sofisticato di sensori e pulegge che trasformano il giocatore in un robot in grado di muoversi fisicamente per interagire col gioco. Ogni modello di Labo va assemblato dal giocatore seguendo le dettagliatissime istruzioni di montaggio mostrate sullo schermo della console. I vari elementi di cartoncino da assemblare vanno dapprima estratti da forme pretagliate ed in seguito piegati su linee ben visibili seguendo un ordine preciso. Non è necessaria colla o nastro adesivo, i giochi di Labo si fissano semplicemente ad incastro. I tempi di costruzione variano in base alla complessità del modello: dai 10 minuti della macchinina fino ad oltre quattro ore per il Robo Kit e, in base alla nostra esperienza, i tempi possono allungarsi notevolmente se decidiamo di decorare i kit con pennarelli e autocollanti. Durante la fase di montaggio il software di Labo spiega anche a grandi linee il funzionamento meccanico del modello, spiegazioni che sono poi fornite in dettaglio all’interno di una speciale sezione del gioco chiamata «Scopri». In Scopri il sistema illustra in dettaglio come i sensori della console, quali giroscopi
Informazioni
Association Internationale Via Francigena (AIVF). http://francigenainternational.org – info@francigenainternational.org – viafranciscadellucomagno@gmail.com
Robo Kit di Nintendo. (Altre immagini dei diversi Kit su www.azione.ch)
e telecamere infrarossi, interagiscono con le parti di cartone per far funzionare il gioco. C’è anche la possibilità di sbizzarrirsi con la funzione Garage che mette a disposizione dei giocatori un ambiente di programmazione semplificato. Questo permette di creare interazioni complesse tra oggetti nel mondo virtuale e in quello fisico. Giocare coi modellini è un’esperienza davvero divertente. Il pianoforte è assemblato interamente in cartone ma i suoi tasti producono suoni come se stessimo suonando un piano vero. Inserendo manopole nel corpo del piano possiamo modificare il riverbero o il sustain e anche fare una scansione di onde sonore che possiamo ritagliare su un pezzo di carta. Il kit della canna da pesca ci vedrà impegnati nella pesca d’altura, interagendo con un mulinello di cartoncino nel gioco. La moto ci mette a disposizione un volante e la macchinina sfrutta la vibrazione dei controller Joycon della console Switch per muoversi su superfici lisce. Per finire, il Robo Kit è un piccolo miracolo di ingegneria: il giocatore dovrà indossare dei tiranti su mani e piedi in modo da trasporre i movimenti fisici in movimenti di gioco. La complessità di quest’ultimo kit è davvero impressionante, specialmente perché si tratta pur sempre di semplice cartoncino. Ogni esperienza è divertente perché riesce sempre a sorprendere il giocatore. Inizialmente c’è il fascino della costruzione in sé, una cosa che i fan della Lego comprenderanno benissimo. In seguito c’è il gioco associato al modellino e, per finire, le varianti e i segreti che quasi tutti i modelli posseggono. Labo invita il giocatore non solo ad essere creativo nella decorazione ma anche e soprattutto nello sperimentare coi vari modelli e con la fantasia. Non è tutto perfetto in Labo però. La maggiore preoccupazione riguarda la robustezza e la durabilità dei kit. Nessun problema se ad assemblare e giocare c’è un adulto, il cartoncino è sufficientemente resistente da resistere anche a periodi prolungati d’utilizzo. Tuttavia l’assemblaggio richiede spesso una certa precisione e, cosa più importante, calma e metodo. I giovanissimi, pubblico al quale Labo strizza l’occhio, andranno accompagnati nelle fasi critiche onde evitare rotture o piegamenti errati. Il motivo principale è che per ogni componente abbiamo solo un pezzo e non è possibile acquistarli singolarmente. Nintendo ha messo a disposizione gratuitamente dei modelli da stampare su cartone ma ricreare le stesse forme, che si piegano senza problemi come gli originali, ci sembra un’impresa quasi impossibile. Nintendo Labo ha un enorme potenziale videoludico, creativo e didattico. Un passatempo intelligente che richiede ben più di un semplice atteggiamento passivo. Ogni modello è un vero piccolo miracolo di ingegno e, al netto della fragilità intrinseca del cartoncino, funziona in modo splendido. Nintendo l’ha fatto di nuovo: è riuscita a sorprenderci. Annuncio pubblicitario
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Società e Territorio Rubriche
Lo specchio dei tempi di Franco Zambelloni Sessantotto in famiglia Riprendo tra le mani un libro che ebbe molta risonanza negli anni Settanta del secolo scorso: La morte della famiglia, di David Cooper. Cooper era, a quel tempo, un paladino della cosiddetta «antipsichiatria»: dilagava, allora, l’onda lunga del ’68, e la moda d’essere «anti» – in opposizione a qualsiasi forma di tradizione – fomentava ribellioni, abbatteva le figure d’autorità e i modelli convenzionali, suggeriva utopie destinate a dileguare presto tra le nuvole dei sogni. Il Sessantotto e gli anni che ne seguirono furono uno scossone che, a mio avviso, non fu determinante per i cambiamenti storici successivi; piuttosto, costituì la presa di coscienza di grandi rivolgimenti in atto, dovuti all’evoluzione economica, sociale e culturale del secondo dopoguerra. Un mondo finiva, un altro ne nasceva. La contestazione sessantottina avvertì il cambiamento e contribuì a realizzarlo.
Tra le cose che tramontavano c’era anche la famiglia tradizionale: la «liberazione sessuale» sbandierata dai sessantottini ne sanciva in qualche modo la fine. Ma la tradizionale famiglia patriarcale in realtà era già in gran parte svanita: il marito e padre era ancora un po’ «padrone», ma certo non più come nell’antica Roma o nella Grecia di Omero: «ciascuno regna sui figli e sulle mogli», si legge nell’Odissea. Ad evidenziare la crisi della famiglia tradizionale oggi si addita il dilagante numero di divorzi. Certo, è un cambiamento considerevole rispetto al tempo – non lontano – in cui vigeva quell’indissolubilità del legame coniugale che la Chiesa aveva sancito dodici secoli circa dopo Cristo; ma va detto che anche la pratica attuale del divorzio è comunque più complicata di quanto fosse a Roma, quando al marito bastava pronunciare la formula «uxor, vade foras» – moglie, vattene
fuori – per legalizzare il ripudio. La moglie, allora, rientrava in possesso della sua dote; e se il ripudio veniva giudicato ingiusto dai giudici, alla donna spettava parte del patrimonio del marito. Ma oggi, per il marito, spesso le cose si mettono anche peggio: al momento della separazione deve provvedere comunque a moglie e figli e in più cercarsi un nuovo alloggio, finendo spesso sotto la soglia di povertà. Probabilmente, se non ci fossero queste complicazioni finanziarie, il numero dei divorzi sarebbe ancora maggiore. Ci sono poi le unioni di coppie gay (fenomeno, anche questo, non nuovo; nuova è la liceità di queste unioni al giorno d’oggi); ma anche in questo settore le separazioni si moltiplicano. Cresce, invece, il numero delle famiglie monoparentali. Poi ci sono i casi di violenza domestica, a quanto pare in aumento: mariti violenti contro la moglie (o anche vi-
ceversa), padri violenti contro i figli (o viceversa). Anche qui, non si può dire che il fenomeno sia nuovo – tutt’altro: un aspetto che rimane coerente con la tradizione è che la violenza fisica avviene soprattutto ad opera del marito sulla moglie; la violenza verbale, invece, sembra essere equamente distribuita. Insomma, la convivenza matrimoniale si fa sempre più difficile. Viene da pensare che magari c’è del vero nel velenoso aforisma del comico britannico Rowan Atkinson: «La bigamia significa che c’è una donna di troppo. La monogamia anche». Però è strano: i matrimoni d’oggi non nascono più – come nei millenni passati – da contratti stipulati tra le famiglie, bensì dalla passione d’amore, e dunque dovrebbero avere una solidità ben maggiore che in passato; ma così non è. Questo mi riporta ad un altro libro, uscito di recente: l’autore, Pascal Bruckner, sostiene che proprio il
trionfo della libera scelta individuale e dell’amore, eletto a ideale assoluto, ha compromesso la stabilità della coppia. Fino alla prima metà del Novecento ciò che più contava erano gli interessi familiari e per salvaguardarli s’imponeva l’unità coniugale; poi gli affetti si sono emancipati e hanno preso il sopravvento su ogni altro fattore. La libertà conquistata non ha però aumentato l’armonia familiare, che era forse più facile (anche se non certo più giusta) quando la differenza dei ruoli sanciva rigide regole di comportamento; quando, per dirla con San Paolo, le mogli dovevano essere «sottomesse ai mariti come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della Chiesa». Le regole, così, erano chiare, anche se ingiuste; oggi sono giuste, ma confuse o evanescenti. Si può dire, pur sempre, che la libertà non ha prezzo; in realtà un prezzo ce l’ha, e a pagarlo di solito sono i figli.
è la parte che vale la pena, si intravede già l’eccentrica apertura del grandioso portico. Più in alto, i guizzi inconfondibili del maestro indiscusso del ferro battuto: Alessandro Mazzucotelli (1865-1938). La speleologa dilettante conosce un varco e mi accompagna. «Mio nonno ha fatto l’imbianchino qui» mi confessa fiera. Dice anche che Sasanca si terrorizza facilmente. Un giorno che era scesa giù nella grotta con un gruppo, sentendo dei rumori, ha chiamato i carabinieri. A bocca aperta lascia questa parte spregiudicata del Grand Hotel del Sommaruga. Il portico, ricavato sotto il corpo centrale proiettato verso il panorama, sembra una misteriosa grotta artificiale. Il bugnato della grande arcata incontra e si appoggia su capitelli di calcestruzzo floreale. Altri ghiribizzi decorativi sono ai piedi nel punto di partenza dell’arco, dando una parvenza quasi ovoidale di traverso, all’apertura. Dentro, tripudio di laterizi a volta. Guardando fuori, la prima arcata inquadra le conifere, la
seconda la sala-ristorante a bovindo. Uscendo dalla terza arcata al centro – dove avrebbe dovuto approdare la funicolare nel progetto originario – naso all’insù ed ecco la movimentata balconata protesa che sembra aver ispirato certi disegni futuristi mai realizzati di Sant’Elia. Il movimento è accentuato dagli slanci magistralmente intrecciati da Mazzucotelli, del quale dovrebbero esserci anche dei doccioni a forma di drago. Mica depredato solo dentro dunque; del resto lì ci sono dei ganci per dei lampadari spariti. Ritorno sui miei passi e sul letto del bosco noto i petali a elica delle pervinche minori. Altrove trovo i resti della funicolare liberty, sorprendono i pisciatoi anch’essi liberty, lì a fianco. Di nuovo davanti al grande albergo, mi chiedo come faccia il custode srilankese e famiglia a vivere con tutte quelle antenne ronzanti sopra la testa. Un incubo è stato girare qui per l’attrice Dakota Johnson: secondo le sue dichiarazioni al mensile «Elle» è finita perfino in analisi.
tema della parità divide e unisce, anche all’interno dei partiti. I detrattori sono, ovviamente, più numerosi nelle schiere degli «Agrari, artigiani e borghesi» (oggi UDC), ma si ritrovano anche fra liberali, conservatori e, tacitamente, fra i socialisti. La suffragetta è un’immagine negativa, addirittura il simbolo della «distruzione della famiglia». Del resto, neppure tutte le donne sostengono l’esigenza. Nel 1966, si costituisce in Ticino un «Comitato d’azione della lega femminile contro il voto alla donna», che diffonde un bollettino anonimo. Come anonimi sono i messaggi e le telefonate che arrivano anche alla redazione di questo settimanale. Schierato da sempre a favore del suffragio femminile, di cui Gottlieb Duttweiler era stato un efficiente promotore a Palazzo federale. Tutto ciò per ribadire che, sia pure a rilento e fra contraddizioni, il femminismo rappresenta un classico del re-
pertorio delle nostre vicende politiche e sociali. Con un happy end, maturato secondo le regole del sistema. Senza dubbio, a sua volta, il 68 ha giocato un ruolo, attraverso esibizioni spettacolari, tipo lancio del reggiseno, che comunque non potevano incidere sulle sorti delle donne nella quotidianità. Del resto, a occupare la scena internazionale erano tutti personaggi maschili: sulle barricate Daniel Cohn-Bendit, Rudi Dutschke, Mario Capanna, Adriano Sofri, Franco Piperno, e dietro le quinte intellettuali come Asor Rosa, Giangiacomo Feltrinelli, Toni Negri, ecc. L’elenco sarebbe lungo e dovrebbe includere i fiancheggiatori che, nel Ticino, animarono una stagione suggestiva nel tran tran locale. Erano giovani, magari di buona famiglia, ma, sempre di sesso maschile, insomma i protagonisti, mentre le ragazze seguivano, come obbedienti compagne. Alla faccia del femminismo.
A due passi di Oliver Scharpf Ex Grand Hotel Campo dei Fiori di Varese Negli ultimi tempi se ne era parlato un po’ perché è finito all’asta, cambiando proprietario. Ma soprattutto, questo Grand Hotel liberty abbandonato nel bosco, è tornato agli onori della cronaca perché è diventato il set cinematografico per il remake di Suspiria (1977). Film d’orrore di Dario Argento adorato dagli intenditori del genere. Dopo le riprese, quello che oggi viene considerato uno dei capolavori di Giuseppe Sommaruga (1867-1917) ha riaperto eccezionalmente le sue porte, in parte, per delle visite guidate organizzate dal FAI in concomitanza con una mostra su Sommaruga per il centenario della sua morte. L’aria prealpina si sente subito appena sceso dal minibus, mescolandosi al buon odore dei boschi dopo i temporali. Per decenni invece, il Grand Hotel Campo dei Fiori chiuso nel 1968, è stato dimenticato e lasciato al suo degrado. Gli capita perfino in sorte, a partire dagli anni ottanta, vista la sua posizione privilegiata quasi in cima al Monte Tre Croci, di diventare nido per atroci
antenne di emittenti radiotelevisive private. Da lontano, quando sono venuto da queste parti per il pezzo sul biscione di Breno e sul Borducan, vederlo lassù sfregiato così, mi dispiaceva non poco. A molti varesini che salgono su al Sacro Monte, guardando in direzione del massiccio Campo dei Fiori che dà anche il nome al parco regionale istituito nel 1984, piange di certo il cuore da quasi quarant’anni. Da vicino però, le vituperate antenne sul tetto non si notano poi molto, sono così in alto che sfuggono dal campo visivo. Si sente però un ronzio perturbante. La facciata a monte dell’Ex Grand Hotel Campo dei Fiori di Varese (1033 m), un primo pomeriggio piovoso di metà maggio, non meraviglia più di tanto. Ci sono due macchine posteggiate davanti. Una deve essere di Sasanca, il custode dello Sri Lanka che da diciassette anni abita qui. In alcune delle duecento stanze vuote. Sopra l’entrata, attraverso i contorni di quattro lettere in stampatello, si può decifrare a malapena la parola
Tanz. È un rimasuglio, impercettibile se andate di fretta, delle riprese terminate nel gennaio dell’anno scorso. Quando è stato scenograficamente trasformato nella prestigiosa e fittizia accademia di danza a Friburgo in Brisgovia. Dove nel film originale di Dario Argento – il cui titolo tra l’altro è ispirato a Suspiria De Profundis (1845) di Thomas De Quincey – avvengono i delitti delle giovani ballerine. Cerco di aggirare il «Grande Albergo» com’è segnalato sulle cartine topografiche e sui cartelli dei sentieri, ma una rete metallica ne vieta l’accesso. La vista è pazzesca anche in una giornata capricciosa. Provo dall’altra ala. La facciata a valle mostra già un cambio di passo: finestre ovali come enormi oblò, pietra viva. Una donna è seduta nel bosco. Sopra l’entrata di una grotta scoperta durante i lavori del Grand Hotel inaugurato nel 1912. Sta facendo «delle misurazioni per il GPS», il sistema di posizionamento globale la cui sola idea mi disorienta. Anche qui non si passa. Eppure questa
Mode e modi di Luciana Caglio Il Femminismo: una Conquista del 68? Abbattere le barriere dell’autoritarismo nelle scuole, in famiglia, sul posto di lavoro. Svecchiare la cultura aprendola ad altre forme creative. Abolire i codici che impongono regole di comportamento, dal vestiario al linguaggio. Allargare lo spazio di libertà a disposizione del cittadino. Meno ufficialità, più spontaneità. Sono gli obiettivi, effettivamente raggiunti da quel chiacchierato 68, di cui, in questi giorni, si sta celebrando il cinquantesimo, con un risalto, anche nei nostri media, che supera l’attenzione, solitamente concessa a una rievocazione storica. È che, questa volta, la ricorrenza ci tocca da vicino, concerne un’esperienza di vita, condivisa anche in Ticino. L’episodio è risaputo: nell’aula 20 delle Magistrali a Locarno, un gruppo di studenti osò sfidare «il sistema» presentando una lista di 10 richieste, a prima vista sovversive, poi in parte accolte. Allora, per l’opinione pubblica, furono
fatti sconcertanti, se non addirittura pericolosi. Adesso, si presentano nella versione lusinghiera che caratterizza le rivisitazioni del passato, improntate alla nostalgia, sentimento vago, che, non di rado, deforma la realtà storica. Tanto che a questo 68 si attribuiscono, ormai, meriti sproporzionati e persino false conquiste, cioè appropriazioni indebite. Il caso più flagrante, oggetto di malintesi ancora da smentire, riguarda appunto, il femminismo che, sia chiaro, con la rivolta studentesca, nata nel campus universitario di Berkeley, cresciuta alla Sorbona e dilagata nelle piazze delle metropoli occidentali, ebbe ben poco da spartire. In quei mitici anni 60, la parità dei diritti politici era un fatto acquisito, in quasi tutti i paesi democratici. In alcuni, come in Nuova Zelanda, in USA (Wyoming, Utah, Colorado), in Finlandia, aveva addirittura alle spalle più di un secolo
di vita. Fu, poi, sotto l’urto della prima e della seconda guerra mondiale che il suffragio femminile si diffuse praticamente in tutte le democrazie. Ed era, ovunque, il frutto di scontri e di concertazioni fra partiti, associazioni, gruppi di potere. Come dire nel rispetto delle regole istituzionali. Ora, in questo panorama spicca proprio la Svizzera, che, lungo il percorso verso la parità, accumulò un ritardo imperdonabile e assurdo, vittima, si fa per dire, della democrazia diretta. Con ciò, la causa femminista riuscì a imporsi sul piano politico e culturale, innescando un interminabile dibattito, sin dagli inizi del XX secolo. Il 28 gennaio 1909, nasce a Ginevra l’Associazione nazionale per il suffragio femminile, presieduta da Auguste De Morsier, giurista, animato «dal sentimento cristiano delle responsabilità verso la donna che sarà schiava o libera e autonoma come l’uomo grazie a leggi uguali». Il
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COOPERATIVA MIGROS TICINO | CONTI 2017
2017 BILANCIO prima dell'impiego del risultato
(in 1'000 CHF)
ATTIVI
relazione annuale
situazione finanziaria
Il Cash Flow generato (17,8 milioni di franchi) ha permesso di finanziare interamente gli investimenti (8,4 milioni di franchi contro i 17,9 milioni di franchi del andamento generale Anche nel 2017 il mercato del commercio al dettaglio ticinese ha registra- 2016). La Somma di bilancio è leggermente diminuita passando da 168,4 to un calo rispetto al 2016, quantificabile tra l’1,5 e il 2%. Una flessione a 165,7 milioni; grazie al Risultato aziendale di 2,1 milioni di franchi la quota intervenuta malgrado una propensione al consumo a livelli relativamente di Capitale proprio è salita, raggiungendo i 62 milioni, dal 35,6 al 37,4%. alti, dovuta alla competitività del mercato (pressione sui prezzi) oltre che stato delle ordinazioni e dei mandati e attività di ricerca e sviluppo al turismo degli acquisti e alla digitalizzazione del commercio (in particola- In qualità di commercio al dettaglio, la Cooperativa non ha né ordinazioni né re nel settore non alimentare), che hanno dirottano una parte del mercato mandati rilevanti da commentare e non svolge particolari attività di ricerca fuori dai canali di vendita stazionari presenti sul territorio. In questa difficile o sviluppo. situazione Migros Ticino ha ridotto i prezzi mediamente dello 0,2% e mal- eventi straordinari grado un leggero aumento delle parti di mercato ha realizzato un fatturato Nel corso dell’esercizio 2017 non si sono verificati eventi straordinari complessivo di 470,9 milioni di franchi, in calo dell’1,2% rispetto al 2016. particolari da segnalare. Grazie alla costante ricerca di ottimizzazioni a livello di efficienza e costi, valutazione dei rischi la Cooperativa è tuttavia riuscita a realizzare un EBIT (Risultato prima de- Migros Ticino dispone di un processo di gestione dei rischi. Il Comitagli interessi e imposte) di 4,2 milioni di franchi e un Risultato aziendale to di direzione (CD) informa regolarmente il Consiglio di amministrazione di 2,1 milioni di franchi rispetto ai 6,4 e 4,4 milioni di franchi del 2016. (CdA) sulla prima situazione di rischio dell’impresa. Quest’ultimo assicura che BILANCIO dell'impiego del risultato (in 1'000 CHF)
conto economico (in 1’000 chf) CONTO ECONOMICO
(in 1'000 CHF)
Annotazione
Ricavi netti Commercio al dettaglio Ristorazione
2017
431'017
437'360
19'062
17'949
Scuola Club
Prestazioni di Servizio
Ricavi netti da forniture e prestazioni (senza IVA)
4'571
4'782
12'130
12'884
466'780
472'974
4'092
1
470'872
Costi d'esercizio Costo delle merci Costi del personale
2
Pigioni
3'853 476'828
-319'019
-320'583
-87'300
-88'828
-13'267
-11'993
Manutenzioni / Riparazioni
-4'959
-5'226
Energia / Materiali di consumo
-8'097
-9'210
Pubblicità
-2'468
-2'658
-4'443
-4'625
Altri costi d'esercizio
Spese amministrative 3
-12'575
-11'727
Ammortamenti d'esercizio
4
-14'498
-15'625
-466'626
-470'474
4'246
6'353
-433
-233
Totale costi d'esercizio
Risultato prima degli interessi e imposte (EBIT) Risultato finanziario (ricavi + / costi -) Risultato operazioni straordinarie, uniche e fuori periodo (ricavi + / costi -)
Annotazioni
31.12.2017
7
7'208
6'723
- verso imprese del gruppo
8'981
6'923
5 6
Risultato prima delle imposte
-
171
3'813
6'291
Imposte dirette
-1'737
-1'905
Utile
2'076
4'387
- verso terzi
1'139
1'252
- verso terzi
665
905
Scorte merci
19'076
17'937
TOTALE ATTIVI CIRCOLANTI
37'069
33'740
ATTIVI FISSI Investimenti Finanziari - verso imprese del gruppo
1'000
-
774
674
- terreni ed immobili
89'919
88'777
- installazioni tecniche e macchinari
32'564
39'313
4'213
5'791
Partecipazioni - a imprese del gruppo Impianti materiali
- altri impianti materiali - costruzioni in corso
53
140
Investimenti immateriali
59
7
TOTALE ATTIVI FISSI
128'582
134'702
TOTALE DI BILANCIO
165'651
168'442
Annotazioni
31.12.2017
31.12.2016
228 17’131
180 23'453
Debiti per forniture e prestazioni - verso imprese del gruppo - verso terzi Debiti finanziari a breve termine
TOTALE DI BILANCIO
Annotazioni
CAPITALE DI TERZI A BREVE TERMINE
2017 Utile Ammortamenti e correzione di valori di attivi fissi Utile dall'alienazine di attivi fissi d'esercizio Variazioni d'accantonamenti
2016
2'076
4'387
14'498
15'625
-
-171
1'258
-811
17'832
19'030
Variazioni crediti a breve termine
-1'705
-3'435
Variazioni scorte merce
-1'139
-850
Cash Flow
Variazioni ratei e riscontri attivi
-
2
Variazioni debiti a breve termine
-7'274
3'514
Variazioni ratei e risconti passivi
134
344
7'848
18'605
-1'000
-
Totale flusso di tesoreria dall'esercizio dell'attività
8'470
- Finanziari - Partecipazioni - Impianti materiali - Immateriali Disinvestimenti
Totale flusso di tesoreria da attività di investimenti
-100
-
-7'006
-18'024
-273
-
-
171
-8'379
-17'853
Flusso di tesoreria da attività finanziarie 1'000
-
Variazione debiti finanziari a breve termine
Variazione altri debiti a lungo termine
-6
-194
Variazioni capitale sociale
22
19
1'016
-175
485
577
Totale flusso di tesoreria da attività finanziarie Variazione mezzi liquidi e attivi quotati in borsa detenuti a corto termine Verifica della variazione del fondo Mezzi liquidi e attivi quotati in borsa detenuti a corto termine al 1.1.
6'723
6'146
Mezzi liquidi e attivi quotati in borsa detenuti a corto termine al 31.12
7'208
6'723
485
577
Variazione mezzi liquidi e attivi quotati in borsa detenuti a corto termine
31.12.2016
-6'724 -10'077
Altri costi per il personale
-2'761
-2'762
-87'300
-88'828
-10'182
-10'778
Altri costi d'esercizio -2'393
-948
-12'575
-11'726
Ammortamenti d'esercizio Terreni ed immobili
-2'395
-2'533
Installazioni tecniche e macchinari
-8'974
-7'517
Altri impianti materiali
-2'908
-5'568
-221
-6
-14'498
-15'625
Ricavi da interessi su capitali
33
33
Ricavi da partecipazioni
23
23
Costi per interessi su capitali
-339
-284
Altri costi finanziari
-150
-5
-433
-233
-
171
-
171
6'720
6'224
Risultato finanziario
Risultato operazioni straordinarie, uniche e fuori periodo Utile dall'alienazione di attivi fissi d'esercizio Mezzi liquidi Mezzi liquidi terzi Mezzi liquidi Banca Migros
488
499 6'723
708
858
291
265
17
12
Altre delimitazioni
7'460
7'207
228 180 17'1319 Accantonamenti 23'453
8'476
8'342
2'803
2'792
8
31.12.2017
Ratei e risconti passivi Ricavi Scuola Club
31.12.2016 Interessi Affitti
8'470
8'469
8'470
86
93
86
93
6'788 8'342
5'787
6'788
8
5'787 8'476
8'476
8'342
TOTALE CAPITALE DI TERZI A BREVE TERMINE
40'178
47'324
40'178
47'324
9
46'000 17'478
45'000 16'220
TOTALE CAPITALE DI TERZI A LUNGO TERMINE
63'478
61'220
103'656
108'545
Rendita transitoria AVS
Debiti finanziari a breve termine - conti giubilei del personale - verso terzi
Altri accantonamenti a lungo termine
8'469
Altri debiti a breve termine - verso terzi Ratei e risconti passivi
La cooperativa Migros Ticino non allestisce un conto di gruppo in quanto i suoi conti sono inclusi in quelli della Federazione delle cooperative Migros, che pubblica un conto consolidato in base a una norma contabile riconosciuta (Swiss GAAP FER). La presentazione dei conti esige dall'Amministrazione delle stime e delle valutazioni che possono avere un incidenza sul valore degli attivi e dei debiti, come pure degli impegni eventuali alla data del bilancio, ma anche dei ricavi e dei costi del periodo di riferimento. Se del caso, l'Amministrazione decide, a propria discrezione, l'utilizzo dei margini di manovra legali esistenti in materia di valutazione e iscrizione a bilancio. Per il bene dell'azienda e nel rispetto del principio della prudenza, è possibile procedere ad ammortamenti, correzioni di valore, nonché la costituzione di accantonamenti superiori a quanto il contesto economico richieda. Informazioni, strutture dettagliate e commenti riguardanti alcune poste del conto economico e del bilancio. Le informazioni di singole posizioni del conto economico e del bilancio sono contenute nelle "annotazioni". Impegni eventuali: Nell'ambito delle normali attività commerciali, la Cooperativa Migros Ticino è parte in causa di diverse controversie legali. Sebbene l'esisto di queste controversie non possa essere stimato con un grado di certezza assoluto, la Cooperativa Migros Ticino non ritiene che tali controversie possano avere un impatto significativo sulla sua attività commerciale o sulla sua situazione finanziaria. Per i deflussi finanziari previsti sono stati costituiti degli accantonamenti.
Partecipazioni rilevanti
31.12.2017
31.12.2016
Quota di capitale
3.83%
3.83%
Quota dei diritti di voto
7.21%
7.21%
Quota di capitale
100.00%
100.00%
Quota del diritto di voto
100.00%
100.00%
Federazione delle Cooperative Migros, Zurigo, capitale sociale CHF 15'000'000 Scopo: procacciamento di merci e servizi, nonché attività culturali
ACTIV FITNESS Ticino SA, S. Antonino, capitale sociale CHF 100'000 Scopo: gestione centri fitness
Mitico Ticino SA, S. Antonino, capitale sociale CHF 100'000 Scopo: gestione esercizi pubblici Quota di capitale
100.00%
Quota del diritto di voto
100.00%
Altre informazioni Leasing non iscritti a bilancio
Scadenza degli impegni finanziari a lungo termine esigibili da 1 a 5 anni esigibili fra più di 5 anni
14'675
13'428 16'220
-
160
272
127'309
125'806
26'000 20'000
45'000
Effettivi Collaboratori fissi
1'045
1'048
Apprendisti
41
39
Collaboratori a tempo parziale con retribuzione oraria
79
74
1'165
1'161
22 *
22 *
Totale posizioni a tempo pieno Onorari pagati all'organo di revisione Onorari di revisione
17'478
-
Le partecipazioni indirette sono contenute nel rapporto annuo della Federazione delle Cooperative Migros
Impegni per contratti d'affitto superiori ai 12 mesi
7'208
180 23'453
* Una parte importante della revisione viene effettuata dalla revisione interna Eventi successivi alla data di bilancio Non vi sono stati eventi successivi importanti tra la data di chiusura del bilancio e l'approvazione del conto annuale da parte dell'Amministrazione della Cooperativa Migros Ticino. Non risultano altri fatti che devono essere citati secondo l'art. 959c del Codice delle obbligazioni
CAPITALE DI TERZI A LUNGO TERMINE Debiti finanziari a lungo termine - verso imprese del gruppo Accantonamenti
TOTALE CAPITALE DI TERZI CAPITALE PROPRIO Capitale sociale
980
958
Riserve legali da utile
500
500
Riserve libere da utile
55'294
45'294
Riporto dall'esercizio precedente
3'145
8'758
Utile d'esercizio
2'076
4'387
61'995
59'897
165'651
168'442
31.12.2017 31.12.2016 TOTALE DI BILANCIO
2 0 1 7
relazione dell’ufficio di revisione 17'131 23'453 228
8'469
giudizio di revisione
180
A nostro giudizio, il conto annuale per l’esercizio chiuso al 31 dicembre 2017 è conforme alla legge svizzera e allo statuto.
Flusso di tesoreria da attività di investimenti Investimenti
31.12.2017
-69'265
-8'184
228 17’131
- verso terzi
utilizzo dell’utile di bilancio (in 1’000 chf)
conto flussi tesoreria (in 1’000 chf)
168'442
Debiti per forniture e prestazioni
- verso terzi
CONTO DEI FLUSSI DI TESORERIA
165'651
7
-68'641
Istituti di previdenza professionali
Investimenti immateriali
6
3'853
-7'714
Altri costi d'esercizio
5
4'092
Oneri sociali
Tasse e tributi 4
3'853
Costi del personale Stipendi e salari
3
4' 092
Informazioni relative ai principi utilizzati per l'allestimento dei conti annuali Questi conti annuali sono stati allestiti conformemente alle prescrizioni della legislazione svizzera, in particolare in base agli articoli del Codice delle obbligazioni relativi alla tenuta della contabilità commerciale e alla presentazione dei conti (art.957-962).
In qualità di Ufficio di revisione abbiamo svolto la revisione dell’annesso conto annua8'470 8'469 le della Società Cooperativa Migros Ticino, costituito da bilancio, conto economico, 86 93 86 93 conto dei flussi di tesoreria e allegato, per l’esercizio chiuso al 31 dicembre 2017. Altri debiti a breve termine responsabilità dell’amministrazione - verso terzi 5'787 6'788 5'787 6'788 L’Amministrazione è responsabile dell’allestimento del conto annuale in conformità alle Ratei e risconti passivi 8 8'476 8'342 8'476 8'342 disposizioni statuto. Questa responsabilità comprende la concezione, l’imTOTALE CAPITALE DI TERZI A BREVE TERMINE 40'178legali e allo 47'324 40'178 47'324 plementazione e il mantenimento di un sistema di controllo interno relativamente all’allestimento di un conto annuale che sia esente da anomalie significative imputabili a CAPITALE DI TERZI A LUNGO TERMINE Debiti finanziari a lungo termine frodi o errori. L’Amministrazione è inoltre responsabile della scelta e dell’applicazione di - verso imprese del gruppo 46'000 45'000 appropriate norme contabili, nonché dell’esecuzione di stime adeguate. Accantonamenti 9 17'478 16'220 responsabilità dell’ufficio di revisione TOTALE CAPITALE DI TERZI A LUNGO TERMINE 63'478 61'220 La nostra responsabilità consiste nell’esprimere un giudizio sul conto annuale sulla base della nostra revisione. Abbiamo svolto la nostra revisione conformemente alla legge svizTOTALE CAPITALE DI TERZI 103'656 CONTO ANNUALE DELLA COOPERATIVA MIGROS TICINO, 108'545 S.ANTONINO zera e agli Standard svizzeri di revisione. Tali standard richiedono di pianificare e svolgere la revisione in maniera tale da ottenere una ragionevole sicurezza che il conto annuale non CAPITALE PROPRIO contenga anomalie significative. Una revisione comprende lo svolgimento di procedure UTILIZZO Capitale sociale DELL'UTILE DI BILANCIO 980 958 (in 1'000 CHF) di revisione volte ad ottenere elementi probativi per i valori e le informazioni contenuti nel Riserve legali da utile 500 500 conto annuale. La scelta delle procedure di revisione compete al giudizio professionaRiserve libere da utile 55'294 45'294 le del revisore, inclusa la valutazione dei rischi che il conto annuale contenga anomalie Riporto dall'esercizio precedente 3'145 8'758 2017 2016 Utile d'esercizio 2'076 4'387 significative imputabili a frodi o errori. Nella valutazione di questi rischi il revisore tiene conto TOTALE CAPITALE PROPRIO 61'995 59'897 del sistema di controllo interno, nella misura in cui esso è rilevante per l’allestimento del Riporto dall'esercizio precedente 3'145 8'758 conto annuale, allo scopo di definire le procedure di revisione appropriate alle circostanze, TOTALE DI corrente BILANCIO 168'442 Utile anno 2'076165'651 4'387 e non per esprimere un giudizio sull’efficacia del sistema di controllo interno. La revisione Utile a disposizione dei soci 5'221 13'145 comprende inoltre la valuta-zione dell’adeguatezza delle norme contabili adottate, della Dotazione alla riserva speciale -10'000 plausibilità delle stime contabili effettuate, nonché un apprezzamento della presentazioRiporto all'esercizio nuovo 5'221 3'145 ne del conto annuale nel suo complesso. Riteniamo che gli elementi probativi da noi ottenuti costituiscano una base sufficiente e appropriata su cui fondare il nostro giudizio. - conti giubilei del personale
(in 1'000 CHF)
Altri ricavi d'esercizio 2
2016
Altri ricavi d'esercizio Prestazioni proprie attivate
-
A Partecipazioni livello di condizioni quadro, per il medio termine si prevede un influsso -positivo crescita della popolazione, dalla congiuntura e per674fia imprese dalla del gruppo 774 materiali nireImpianti dall’indebolimento del franco svizzero, che dovrebbe rimanere for- terreni ed immobili 88'777 te ma meno degli ultimi anni. D’altra parte ci si attende89'919 un rafforzamento - installazioni tecniche e macchinari 32'564 39'313 della- altriconcorrenzialità online. In questa impianti materiali sul mercato sia stazionario sia 4'213 5'791 - costruzioni in corso 140 e situazione Migros Ticino prevede una moderata crescita 53del fatturato Investimenti immateriali 59 7 il mantenimento di una redditività positiva anche grazie allo sfruttamenTOTALE ATTIVI FISSI 128'582 134'702 to del potenziale a livello di innovazione, qualità dell’offerta ed efficienza.
TOTALE CAPITALE PROPRIO
PASSIVI CAPITALE DI TERZI A BREVE TERMINE
1'000
- verso imprese del gruppo
Crediti per forniture e prestazioni
2017 1
allegato (in 1’000 chf)
(in 1'000 CHF)
(in 1'000 CHF)
Investimenti Finanziari prospettive
- verso imprese del gruppo
ALLEGATO
ANNOTAZIONI
31.12.2016
bilancio passivi (in 1’000 chf)
ATTIVI CIRCOLANTI Mezzi liquidi
31.12.2017
PASSIVI
31.12.2016
Altri crediti a breve termine
Altri ricavi d'esercizio Altri ricavi d'esercizio Totale ricavi netti
bilancio attivi (in 1’000 chf)
ATTIVI
2016
la valutazione dei rischi abbia luogo nei termini opportuni e adeguati. In base ATTIVI CIRCOLANTI a un’analisi sistematica della situazione, CdA7e CD hanno7'208 identificato i 6'723 rischi Mezzi liquidi potenziali, probabilità che si avverino così come le possibili conCrediti pervalutato forniture eleprestazioni - verso imprese del gruppo seguenze finanziarie. Appropriate misure adottate dal CdA 8'981 permettono di6'923 evi- verso terzi 1'139 1'252 tare, diminuire o arginare questi rischi. I rischi potenziali che devono essere Altri crediti a breve termine sopportati dalla Cooperativa vengono costantemente sorvegliati. Durante - verso terzi 665 905la Scorteannuale merci 17'937 verifica della strategia aziendale il CdA li considera19'076 e li valuta adeguaTOTALE ATTIVI CIRCOLANTI 37'069 tamente. Il CdA ha valutato la situazione il 6.12.2017 e appurato che 33'740 in linea di ATTIVI principio essi sono ben coperti dalle strategie, dai processi e dai sistemi. FISSI Annotazioni
annotazioni (in 1’000 chf)
CONTO ANNUALE DELLA COOPERATIVA MIGROS TICINO, S.ANTONINO
Spese del percento culturale
relazione in base ad altre disposizioni legali
(in 1'000 CHF)
Cultura, sociale ed economia
559
744
Formazione (Scuola Club)
1'692
1'534
Totale
2'251
2'278
0.5 % della cifra d'affari determinante
2'250
2'277
Confermiamo di adempiere i requisiti legali relativi all’abilitazione professionale secondo la Legge sui revisori (LSR) e all’indipendenza (art. 906 CO congiuntamente all’art. 728 CO), come pure che non sussiste alcuna fattispecie incompatibile con la nostra indipendenza. Conformemente all’art. 906 CO, congiuntamente all’art. 728a cpv. 1 cifra 3 CO e allo Standard svizzero di revisione 890, confermiamo l’esistenza di un sistema di controllo interno per l’allestimento del conto annuale, concepito secondo le direttive dell’Amministrazione. Confermiamo inoltre che la proposta d’impiego dell’utile di bilancio sono conformi alla legge svizzera e allo statuto e raccomandiamo di approvare il presente conto annuale. PricewaterhouseCoopers SA | Roberto Caccia - Perito revisore, Revisore responsabile | Roberto Buonomo - Perito revisore Lugano, 27 febbraio 2018
Cooperativa Migros Ticino Via Serrai 1 | Casella postale 468 | CH- 6592 S. Antonino Tel. +41 (0)91 850 81 11 | Fax +41 (0)91 850 84 00 www.migrosticino.ch | info@migrosticino.ch | @MigrosTicino
COOPERATIVA MIGROS TICINO | CONTI 2017
2017 BILANCIO prima dell'impiego del risultato
(in 1'000 CHF)
situazione finanziaria
Il Cash Flow generato (17,8 milioni di franchi) ha permesso di finanziare interamente gli investimenti (8,4 milioni di franchi contro i 17,9 milioni di franchi del andamento generale Anche nel 2017 il mercato del commercio al dettaglio ticinese ha registra- 2016). La Somma di bilancio è leggermente diminuita passando da 168,4 to un calo rispetto al 2016, quantificabile tra l’1,5 e il 2%. Una flessione a 165,7 milioni; grazie al Risultato aziendale di 2,1 milioni di franchi la quota intervenuta malgrado una propensione al consumo a livelli relativamente di Capitale proprio è salita, raggiungendo i 62 milioni, dal 35,6 al 37,4%. alti, dovuta alla competitività del mercato (pressione sui prezzi) oltre che stato delle ordinazioni e dei mandati e attività di ricerca e sviluppo al turismo degli acquisti e alla digitalizzazione del commercio (in particola- In qualità di commercio al dettaglio, la Cooperativa non ha né ordinazioni né re nel settore non alimentare), che hanno dirottano una parte del mercato mandati rilevanti da commentare e non svolge particolari attività di ricerca fuori dai canali di vendita stazionari presenti sul territorio. In questa difficile o sviluppo. situazione Migros Ticino ha ridotto i prezzi mediamente dello 0,2% e mal- eventi straordinari grado un leggero aumento delle parti di mercato ha realizzato un fatturato Nel corso dell’esercizio 2017 non si sono verificati eventi straordinari complessivo di 470,9 milioni di franchi, in calo dell’1,2% rispetto al 2016. particolari da segnalare. Grazie alla costante ricerca di ottimizzazioni a livello di efficienza e costi, valutazione dei rischi la Cooperativa è tuttavia riuscita a realizzare un EBIT (Risultato prima de- Migros Ticino dispone di un processo di gestione dei rischi. Il Comitagli interessi e imposte) di 4,2 milioni di franchi e un Risultato aziendale to di direzione (CD) informa regolarmente il Consiglio di amministrazione di 2,1 milioni di franchi rispetto ai 6,4 e 4,4 milioni di franchi del 2016. (CdA) sulla prima situazione di rischio dell’impresa. Quest’ultimo assicura che BILANCIO dell'impiego del risultato (in 1'000 CHF)
conto economico (in 1’000 chf) CONTO ECONOMICO
(in 1'000 CHF)
Ricavi netti Commercio al dettaglio Ristorazione
2017
Prestazioni di Servizio
Ricavi netti da forniture e prestazioni (senza IVA)
437'360
19'062
17'949
4'571
4'782
12'130
12'884
466'780
472'974
4'092
1
470'872
Costi d'esercizio Costo delle merci Costi del personale
2
Pigioni
3'853 476'828
-319'019
-320'583
-87'300
-88'828
-13'267
-11'993
Manutenzioni / Riparazioni
-4'959
-5'226
Energia / Materiali di consumo
-8'097
-9'210
Pubblicità
-2'468
-2'658
-4'443
-4'625
Altri costi d'esercizio
Spese amministrative 3
-12'575
-11'727
Ammortamenti d'esercizio
4
-14'498
-15'625
-466'626
-470'474
4'246
6'353
-433
-233
Totale costi d'esercizio
Risultato prima degli interessi e imposte (EBIT) Risultato finanziario (ricavi + / costi -) Risultato operazioni straordinarie, uniche e fuori periodo (ricavi + / costi -)
Annotazioni
31.12.2017
5 6
Risultato prima delle imposte
-
171
3'813
6'291
Imposte dirette
-1'737
-1'905
Utile
2'076
4'387
7
A Partecipazioni livello di condizioni quadro, per il medio termine si prevede un influsso -positivo crescita della popolazione, dalla congiuntura e per674fia imprese dalla del gruppo 774 materiali nireImpianti dall’indebolimento del franco svizzero, che dovrebbe rimanere for- terreni ed immobili 88'777 te ma meno degli ultimi anni. D’altra parte ci si attende89'919 un rafforzamento - installazioni tecniche e macchinari 32'564 39'313 della- altriconcorrenzialità online. In questa impianti materiali sul mercato sia stazionario sia 4'213 5'791 - costruzioni in corso 140 e situazione Migros Ticino prevede una moderata crescita 53del fatturato Investimenti immateriali 59 7 il mantenimento di una redditività positiva anche grazie allo sfruttamenTOTALE ATTIVI FISSI 128'582 134'702 to del potenziale a livello di innovazione, qualità dell’offerta ed efficienza. - verso imprese del gruppo
7'208
6'723
- verso imprese del gruppo
8'981
6'923
TOTALE DI BILANCIO
- verso terzi
1'139
1'252
Annotazioni
- verso terzi
665
905
Scorte merci
19'076
17'937
TOTALE ATTIVI CIRCOLANTI
37'069
33'740
- verso imprese del gruppo
1'000
-
774
674
- terreni ed immobili
89'919
88'777
- installazioni tecniche e macchinari
32'564
39'313
4'213
5'791
Partecipazioni - a imprese del gruppo Impianti materiali
- altri impianti materiali - costruzioni in corso
53
140
Investimenti immateriali
59
7
TOTALE ATTIVI FISSI
128'582
134'702
TOTALE DI BILANCIO
165'651
168'442
31.12.2017
228 17’131
180 23'453
Utile dall'alienazine di attivi fissi d'esercizio Variazioni d'accantonamenti
-
-171
1'258
-811
17'832
19'030
Variazioni crediti a breve termine
-1'705
-3'435
Variazioni scorte merce
-1'139
-850
Cash Flow
Variazioni ratei e riscontri attivi
-
2
Variazioni debiti a breve termine
-7'274
3'514
Variazioni ratei e risconti passivi
134
344
7'848
18'605
-1'000
-
Totale flusso di tesoreria dall'esercizio dell'attività
8'470
- Partecipazioni - Immateriali Disinvestimenti
Totale flusso di tesoreria da attività di investimenti
-100
-
-7'006
-18'024
-273
-
-
171
-8'379
-17'853
Flusso di tesoreria da attività finanziarie 1'000
-
Variazione debiti finanziari a breve termine
Variazione altri debiti a lungo termine
-6
-194
Variazioni capitale sociale
22
19
1'016
-175
485
577
Totale flusso di tesoreria da attività finanziarie Variazione mezzi liquidi e attivi quotati in borsa detenuti a corto termine Verifica della variazione del fondo Mezzi liquidi e attivi quotati in borsa detenuti a corto termine al 1.1.
6'723
6'146
Mezzi liquidi e attivi quotati in borsa detenuti a corto termine al 31.12
7'208
6'723
485
577
Variazione mezzi liquidi e attivi quotati in borsa detenuti a corto termine
-2'762
-87'300
-88'828
-10'182
-10'778
Altri costi d'esercizio -2'393
-948
-12'575
-11'726
Ammortamenti d'esercizio Terreni ed immobili
-2'395
-2'533
Installazioni tecniche e macchinari
-8'974
-7'517
Altri impianti materiali
-2'908
-5'568
-221
-6
-14'498
-15'625
Ricavi da interessi su capitali
33
33
Ricavi da partecipazioni
23
23
Costi per interessi su capitali
-339
-284
Altri costi finanziari
-150
-5
-433
-233
-
171
-
171
6'720
6'224
Risultato finanziario
Risultato operazioni straordinarie, uniche e fuori periodo Utile dall'alienazione di attivi fissi d'esercizio Mezzi liquidi Mezzi liquidi terzi Mezzi liquidi Banca Migros
8
31.12.2017
Partecipazioni rilevanti 31.12.2017
31.12.2016
Quota di capitale
3.83%
3.83%
Quota dei diritti di voto
7.21%
7.21%
Quota di capitale
100.00%
100.00%
Quota del diritto di voto
100.00%
100.00%
Scopo: procacciamento di merci e servizi, nonché attività culturali
ACTIV FITNESS Ticino SA, S. Antonino, capitale sociale CHF 100'000 Scopo: gestione centri fitness
Mitico Ticino SA, S. Antonino, capitale sociale CHF 100'000 Scopo: gestione esercizi pubblici Quota di capitale
100.00%
-
Quota del diritto di voto
100.00%
-
Le partecipazioni indirette sono contenute nel rapporto annuo della Federazione delle Cooperative Migros Altre informazioni Leasing non iscritti a bilancio
Scadenza degli impegni finanziari a lungo termine esigibili da 1 a 5 anni esigibili fra più di 5 anni
160
272
127'309
125'806
26'000 20'000
45'000
488
499 6'723
Ricavi Scuola Club
708
858
31.12.2016 Interessi
Collaboratori fissi
1'045
1'048
291
265
Apprendisti
41
39
17
12
Collaboratori a tempo parziale con retribuzione oraria
79
74
1'165
1'161
22 *
22 *
Ratei e risconti passivi
Effettivi
2'803
2'792
Altri accantonamenti a lungo termine
8'470
8'469
8'470
86
93
86
93
6'788 8'342
5'787
6'788
8
5'787 8'476
8'476
8'342
TOTALE CAPITALE DI TERZI A BREVE TERMINE
40'178
47'324
40'178
47'324
9
46'000 17'478
45'000 16'220
TOTALE CAPITALE DI TERZI A LUNGO TERMINE
63'478
61'220
103'656
108'545
- verso terzi
Impegni eventuali: Nell'ambito delle normali attività commerciali, la Cooperativa Migros Ticino è parte in causa di diverse controversie legali. Sebbene l'esisto di queste controversie non possa essere stimato con un grado di certezza assoluto, la Cooperativa Migros Ticino non ritiene che tali controversie possano avere un impatto significativo sulla sua attività commerciale o sulla sua situazione finanziaria. Per i deflussi finanziari previsti sono stati costituiti degli accantonamenti.
7'208
Rendita transitoria AVS
Debiti finanziari a breve termine
Informazioni, strutture dettagliate e commenti riguardanti alcune poste del conto economico e del bilancio. Le informazioni di singole posizioni del conto economico e del bilancio sono contenute nelle "annotazioni".
Impegni per contratti d'affitto superiori ai 12 mesi
8'342
180 23'453
La presentazione dei conti esige dall'Amministrazione delle stime e delle valutazioni che possono avere un incidenza sul valore degli attivi e dei debiti, come pure degli impegni eventuali alla data del bilancio, ma anche dei ricavi e dei costi del periodo di riferimento. Se del caso, l'Amministrazione decide, a propria discrezione, l'utilizzo dei margini di manovra legali esistenti in materia di valutazione e iscrizione a bilancio. Per il bene dell'azienda e nel rispetto del principio della prudenza, è possibile procedere ad ammortamenti, correzioni di valore, nonché la costituzione di accantonamenti superiori a quanto il contesto economico richieda.
Federazione delle Cooperative Migros, Zurigo, capitale sociale CHF 15'000'000
8'476
8'469
Altri debiti a breve termine
Totale posizioni a tempo pieno Onorari pagati all'organo di revisione Onorari di revisione
14'675
13'428
17'478
16'220
* Una parte importante della revisione viene effettuata dalla revisione interna Eventi successivi alla data di bilancio Non vi sono stati eventi successivi importanti tra la data di chiusura del bilancio e l'approvazione del conto annuale da parte dell'Amministrazione della Cooperativa Migros Ticino. Non risultano altri fatti che devono essere citati secondo l'art. 959c del Codice delle obbligazioni
- verso terzi
CAPITALE DI TERZI A LUNGO TERMINE Debiti finanziari a lungo termine - verso imprese del gruppo Accantonamenti
TOTALE CAPITALE DI TERZI CAPITALE PROPRIO Capitale sociale
980
958
Riserve legali da utile
500
500
Riserve libere da utile
55'294
45'294
Riporto dall'esercizio precedente
3'145
8'758
Utile d'esercizio
2'076
4'387
61'995
59'897
165'651
168'442
31.12.2017 31.12.2016 TOTALE DI BILANCIO
2 0 1 7
relazione dell’ufficio di revisione 17'131 23'453 228
giudizio di revisione
180
A nostro giudizio, il conto annuale per l’esercizio chiuso al 31 dicembre 2017 è conforme alla legge svizzera e allo statuto.
Investimenti
- Impianti materiali
-2'761
228 180 17'1319 Accantonamenti 23'453
228 17’131
- verso terzi
8'469
Flusso di tesoreria da attività di investimenti - Finanziari
Altri costi per il personale
7'207
utilizzo dell’utile di bilancio (in 1’000 chf) 4'387
-10'077
7'460
- verso terzi
15'625
168'442
31.12.2016
-6'724
-8'184
La cooperativa Migros Ticino non allestisce un conto di gruppo in quanto i suoi conti sono inclusi in quelli della Federazione delle cooperative Migros, che pubblica un conto consolidato in base a una norma contabile riconosciuta (Swiss GAAP FER).
In qualità di Ufficio di revisione abbiamo svolto la revisione dell’annesso conto annua8'470 8'469 le della Società Cooperativa Migros Ticino, costituito da bilancio, conto economico, 86 93 86 93 conto dei flussi di tesoreria e allegato, per l’esercizio chiuso al 31 dicembre 2017. Altri debiti a breve termine responsabilità dell’amministrazione - verso terzi 5'787 6'788 5'787 6'788 L’Amministrazione è responsabile dell’allestimento del conto annuale in conformità alle Ratei e risconti passivi 8 8'476 8'342 8'476 8'342 disposizioni statuto. Questa responsabilità comprende la concezione, l’imTOTALE CAPITALE DI TERZI A BREVE TERMINE 40'178legali e allo 47'324 40'178 47'324 plementazione e il mantenimento di un sistema di controllo interno relativamente all’allestimento di un conto annuale che sia esente da anomalie significative imputabili a CAPITALE DI TERZI A LUNGO TERMINE Debiti finanziari a lungo termine frodi o errori. L’Amministrazione è inoltre responsabile della scelta e dell’applicazione di - verso imprese del gruppo 46'000 45'000 appropriate norme contabili, nonché dell’esecuzione di stime adeguate. Accantonamenti 9 17'478 16'220 responsabilità dell’ufficio di revisione TOTALE CAPITALE DI TERZI A LUNGO TERMINE 63'478 61'220 La nostra responsabilità consiste nell’esprimere un giudizio sul conto annuale sulla base della nostra revisione. Abbiamo svolto la nostra revisione conformemente alla legge svizTOTALE CAPITALE DI TERZI 103'656 CONTO ANNUALE DELLA COOPERATIVA MIGROS TICINO, 108'545 S.ANTONINO zera e agli Standard svizzeri di revisione. Tali standard richiedono di pianificare e svolgere la revisione in maniera tale da ottenere una ragionevole sicurezza che il conto annuale non CAPITALE PROPRIO contenga anomalie significative. Una revisione comprende lo svolgimento di procedure UTILIZZO Capitale sociale DELL'UTILE DI BILANCIO 980 958 (in 1'000 CHF) di revisione volte ad ottenere elementi probativi per i valori e le informazioni contenuti nel Riserve legali da utile 500 500 conto annuale. La scelta delle procedure di revisione compete al giudizio professionaRiserve libere da utile 55'294 45'294 le del revisore, inclusa la valutazione dei rischi che il conto annuale contenga anomalie Riporto dall'esercizio precedente 3'145 8'758 2017 2016 Utile d'esercizio 2'076 4'387 significative imputabili a frodi o errori. Nella valutazione di questi rischi il revisore tiene conto TOTALE CAPITALE PROPRIO 61'995 59'897 del sistema di controllo interno, nella misura in cui esso è rilevante per l’allestimento del Riporto dall'esercizio precedente 3'145 8'758 conto annuale, allo scopo di definire le procedure di revisione appropriate alle circostanze, TOTALE DI corrente BILANCIO 168'442 Utile anno 2'076165'651 4'387 e non per esprimere un giudizio sull’efficacia del sistema di controllo interno. La revisione Utile a disposizione dei soci 5'221 13'145 comprende inoltre la valuta-zione dell’adeguatezza delle norme contabili adottate, della Dotazione alla riserva speciale -10'000 plausibilità delle stime contabili effettuate, nonché un apprezzamento della presentazioRiporto all'esercizio nuovo 5'221 3'145 ne del conto annuale nel suo complesso. Riteniamo che gli elementi probativi da noi ottenuti costituiscano una base sufficiente e appropriata su cui fondare il nostro giudizio. - conti giubilei del personale
14'498
7
-69'265
Altre delimitazioni
Debiti finanziari a breve termine
2016
31.12.2017
6
-68'641
Istituti di previdenza professionali
Investimenti immateriali 5
3'853
-7'714
Altri costi d'esercizio
-
4'092
Oneri sociali
Tasse e tributi 4
3'853
Costi del personale Stipendi e salari
3
4' 092
Debiti per forniture e prestazioni
TOTALE CAPITALE PROPRIO
31.12.2016
- verso terzi
2'076
Altri ricavi d'esercizio
Investimenti Finanziari
- verso imprese del gruppo
2017
Prestazioni proprie attivate
2
Informazioni relative ai principi utilizzati per l'allestimento dei conti annuali Questi conti annuali sono stati allestiti conformemente alle prescrizioni della legislazione svizzera, in particolare in base agli articoli del Codice delle obbligazioni relativi alla tenuta della contabilità commerciale e alla presentazione dei conti (art.957-962).
Altri ricavi d'esercizio
Affitti
Ratei e risconti passivi
ATTIVI FISSI
Debiti per forniture e prestazioni
Utile Ammortamenti e correzione di valori di attivi fissi
1
2016
CAPITALE DI TERZI A BREVE TERMINE
- conti giubilei del personale
Annotazioni
conto flussi tesoreria (in 1’000 chf)
165'651
- verso imprese del gruppo
Crediti per forniture e prestazioni
CAPITALE DI TERZI A BREVE TERMINE
CONTO DEI FLUSSI DI TESORERIA
1'000
bilancio passivi (in 1’000 chf)
PASSIVI
(in 1'000 CHF)
2017
31.12.2016
PASSIVI
ATTIVI CIRCOLANTI Mezzi liquidi
31.12.2017
allegato (in 1’000 chf)
(in 1'000 CHF)
(in 1'000 CHF)
Investimenti Finanziari prospettive
31.12.2016
Altri crediti a breve termine
Altri ricavi d'esercizio Altri ricavi d'esercizio Totale ricavi netti
bilancio attivi (in 1’000 chf)
ATTIVI
2016
431'017
Scuola Club
la valutazione dei rischi abbia luogo nei termini opportuni e adeguati. In base ATTIVI CIRCOLANTI a un’analisi sistematica della situazione, CdA7e CD hanno7'208 identificato i 6'723 rischi Mezzi liquidi potenziali, probabilità che si avverino così come le possibili conCrediti pervalutato forniture eleprestazioni - verso imprese del gruppo seguenze finanziarie. Appropriate misure adottate dal CdA 8'981 permettono di6'923 evi- verso terzi 1'139 1'252 tare, diminuire o arginare questi rischi. I rischi potenziali che devono essere Altri crediti a breve termine sopportati dalla Cooperativa vengono costantemente sorvegliati. Durante - verso terzi 665 905la Scorteannuale merci 17'937 verifica della strategia aziendale il CdA li considera19'076 e li valuta adeguaTOTALE ATTIVI CIRCOLANTI 37'069 tamente. Il CdA ha valutato la situazione il 6.12.2017 e appurato che 33'740 in linea di ATTIVI principio essi sono ben coperti dalle strategie, dai processi e dai sistemi. FISSI Annotazioni
ALLEGATO
ANNOTAZIONI
ATTIVI
relazione annuale
Annotazione
annotazioni (in 1’000 chf)
CONTO ANNUALE DELLA COOPERATIVA MIGROS TICINO, S.ANTONINO
Spese del percento culturale
relazione in base ad altre disposizioni legali
(in 1'000 CHF)
Cultura, sociale ed economia
559
744
Formazione (Scuola Club)
1'692
1'534
Totale
2'251
2'278
0.5 % della cifra d'affari determinante
2'250
2'277
Confermiamo di adempiere i requisiti legali relativi all’abilitazione professionale secondo la Legge sui revisori (LSR) e all’indipendenza (art. 906 CO congiuntamente all’art. 728 CO), come pure che non sussiste alcuna fattispecie incompatibile con la nostra indipendenza. Conformemente all’art. 906 CO, congiuntamente all’art. 728a cpv. 1 cifra 3 CO e allo Standard svizzero di revisione 890, confermiamo l’esistenza di un sistema di controllo interno per l’allestimento del conto annuale, concepito secondo le direttive dell’Amministrazione. Confermiamo inoltre che la proposta d’impiego dell’utile di bilancio sono conformi alla legge svizzera e allo statuto e raccomandiamo di approvare il presente conto annuale. PricewaterhouseCoopers SA | Roberto Caccia - Perito revisore, Revisore responsabile | Roberto Buonomo - Perito revisore Lugano, 27 febbraio 2018
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 maggio 2018 • N. 20
11
Ambiente e Benessere «Mistero» geografico Giorno dopo giorno la Nuova Zelanda sta davvero scomparendo dalle mappe?
Un viaggio che inizia sottoterra Da diverso tempo si parla di turismo spaziale, ma prima occorre allenarsi: l’astronauta Parmitano ha iniziato a mettersi alla prova, scendendo nelle grotte sarde in condizioni estreme
Biodiversità alpina Le profonde trasformazioni subite negli ultimi secoli dalla pastorizia in montagna pagina 18
I pericoli della flora tossica Non ci sono solo piante protette e minacciate ma anche diverse velenose e irriconoscibili
pagina 15
pagina 13
pagina 19
Quando la neurochirurgia si reinventa Medicina In sala operatoria le nuove
tecnologie conducono a una rivoluzione della chirurgia dei tumori cerebrali
Maria Grazia Buletti Le «armi» contro i tumori sono tre: la prevenzione primaria (evitare i comportamenti che aumentano il rischio di sviluppare un cancro), la prevenzione secondaria (diagnosi precoce) e le terapie mediche. Proprio queste ultime divengono sempre più efficaci, pur nella consapevolezza del fatto che la «cura standard per il cancro» non esisterà mai, perché ciascun tipo di tumore è una patologia diversa, e questo spiega anche le differenti percentuali di sopravvivenza fra l’uno e l’altro. Certamente, sappiamo che oggi la cura di una persona con un tumore passa per la sua presa a carico multidisciplinare. L’obiettivo è quello di giungere a una prognosi sempre migliore, e a una qualità di vita ottimale. «L’applicazione di nuove tecnologie alla diagnosi e al trattamento chirurgico delle patologie cerebrali, e nello specifico dei gliomi (ndr: tumori cerebrali di differente grado, ciò che ne determina la prognosi), ha portato a un avanzamento significativo nella conoscenza delle strutture e della fisiologia del sistema nervoso», esordisce il neurochirurgo professor Michael Reinert, primario dell’unità di neurochirurgia all’Ospedale Regionale di Lugano (ORL). Il professor Reinert ha al suo attivo più di 4mila interventi intracranici e applica le tecniche mini invasive più moderne nell’asportazione dei tumori intracerebrali, a base cranica e sulle patologie neurovascolari. Con lui ci concentriamo proprio sui gliomi: «Possiamo dire che sono tumori cerebrali di differente grado, ciò che ne determina il decorso». Prognosi che – ci spiega lo specialista – «beneficia oggi delle nuove tecniche di visualizzazione del tumore cerebrale, in un’ottica che ci permette di conseguire e sperimentare nuovi trattamenti mini-invasivi neuro-oncologici, attraverso una presa a carico multidisciplinare con lo IOSI per quanto attiene alla chemio-radiooncologia». L’applicazione di queste nuove tecnologie al servizio della chirurgia intracranica risponde ai nuovi bisogni della salute, ma non prescinde dall’obiettivo principe di salvaguardia della sicurezza e della salute stessa del paziente, come sottolinea il professor Reinert: «Il risultato principale dell’appli-
cazione di questa evoluzione risiede nel fatto che la moderna neurochirurgia permette di proporre una diagnosi più precisa che porta a un’indicazione alla terapia con un approccio personalizzato al paziente». E questo si ripercuote sul cambiamento dell’approccio terapeutico degli specialisti coinvolti. Ecco perché la tecnologia è ormai un’arma insostituibile in tutti i campi della medicina e della chirurgia, in particolare nell’inquadramento diagnostico e terapeutico delle patologie neurochirurgiche. Con il professor Reinert entriamo nell’ambito della grande sfida del tumore al cervello, per il quale comprenderemo che, proprio attraverso queste nuove tecnologie applicate in sala operatoria, la neurochirurgia ha reinventato se stessa: «In Ticino ogni anno si manifestano circa 30-40 nuovi casi di glioma per i quali è necessario un trattamento chirurgico di asportazione che precede la terapia chemioradio-oncologica a carico dello IOSI con cui collaboriamo a stretto contatto», spiega il professore che puntualizza quindi come l’intervento chirurgico di asportazione del tumore stia all’inizio del percorso terapeutico, e che talvolta bisogna ripetere dopo la radio-chemioterapia. «Un tempo i glioblastomi o i gliomi di alto grado erano altamente infausti. La diagnosi posta con TAC, angiografia e RMI risultava essere piuttosto approssimativa e spesso portava all’abbandono terapeutico. Oggi, le nuove tecnologie ci permettono di dare al paziente, secondo il grado del suo tumore e la sua storia personale, una sopravvivenza superiore con una migliore qualità della sua vita». Per meglio comprendere ciò che andremo a scoprire è bene conoscere i sintomi coi quali si manifesta un glioma o un glioblastoma: «La persona può presentare differenti disturbi neurologici come afasia, disorientamento, paresi, crisi epilettica, deficit focali». Quella che il professor Reinert definisce la ri-evoluzione della chirurgia comincia attraverso la cosiddetta chirurgia da sveglio (ndr: il paziente non avverte comunque nessun dolore): «Essa ci permette di operare con paziente vigile che perciò risponde agli stimoli nervosi; in questo modo possiamo operare nel miglior modo possi-
Il neurochirurgo professor Michael Reinert, primario dell’unità di neurochirurgia all’Ospedale di Lugano. (Vincenzo Cammarata)
bile il tumore senza il pericolo di intaccare le strutture cerebrali sane durante la sua resezione». Ma veniamo alle tecnologie più avanzate di cui abbiamo anticipato scopi e benefici: parliamo di Ultrasonografia e di Fluorescenza qualitativa e quantitativa. Quest’ultima, ancora in fase altamente sperimentale, darà spazio a una sottotipizzazione del tumore, in modo da poterlo definire con maggiore precisione. Il neurochirurgo ci illustra i benefici dell’ultrasonografia che mostra immagini intraoperatorie in tempo reale e può essere applicata alla stimolazione elettrica intraoperatoria continua: «In tal modo possiamo asportare il tumore il più possibile, senza però intaccare le cellule o le strutture cerebrali sane». Per quanto attiene alla fluorescenza intraoperatoria: «Prima dell’intervento, il paziente beve una sostanza
che va a rendere fluorescenti le cellule tumorali, con maggiore o minore intensità secondo la loro natura tumorale, in modo da permettere al neurochirurgo di asportare il glioma con il massimo successo operatorio». Entriamo pure nel mondo ancora più specifico dei fattori enzimatici, delle molecole monoclonali e altre scoperte che concorrono, con la neruochirurgia intracranica, al miglioramento della prognosi di questi tumori cerebrali. È chiaro il concetto della correlazione positiva fra grado di resezione e sopravvivenza, senza dimenticare che: «La vera rivoluzione sta pure nelle nuove tecnologie che permettono un’ottimizzazione della massima sicurezza, oltre al grado di resezione». Le nuove tecnologie neurochirurgiche, unite allo sforzo multidisciplinare (fra centro di competenza in neurooncologia CCNO, NSI e IOSI)
nella presa a carico del paziente e nella personalizzazione delle terapie, rappresentano presente e futuro dell’ottimizzazione della prognosi di alcuni tumori cerebrali, decretando soprattutto un significativo miglioramento della qualità di vita residua dei pazienti.
Video intervista Sul canale Youtube di «Azione» e su www.azione.ch la videointervista al neurochirurgo Michael Reinert.
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Ambiente e Benessere
Un paese dimenticato
Turismo dietro le quinte
è diventato lo spunto per un’intelligente campagna di promozione
Bussole I nviti
Viaggiatori d’Occidente L’assenza della Nuova Zelanda da molte mappe
a letture per viaggiare
Claudio Visentin Allarme! Giorno dopo giorno la Nuova Zelanda sta scomparendo dalle mappe! Non ci credete? Invece è proprio così: la cerchereste invano in alcune carte geografiche utilizzate da Starbucks o Ikea, nel Museo di arte contemporanea di Shanghai, nella rivista di bordo Iberia, nella serie televisiva dei Simpsons, nel film Star Trek: primo contatto o in alcuni popolari videogiochi; persino il sito del governo neozelandese una volta mise in rete una mappa senza… se stesso.
«Quando uno non sa fare proprio nulla nella vita, allora... diventa accompagnatore turistico. Sono giunto a questa conclusione dopo anni ed essermi confrontato con varie decine di colleghi. Ovviamente, da ragazzo, non si può ancora prendere coscienza delle proprie capacità e scoprire che non si sarà neppure in grado di piantare un chiodo nel muro per appendere un quadro. Ma più tardi subentra la consapevolezza...».
I neozelandesi scherzano sull’assenza dalle mappe, ma nel fondo hanno da sempre un complesso d’isolamento La situazione non è piacevole: dopo tutto, le carte geografiche riportano regolarmente piccole isole come Malta, mentre la Nuova Zelanda ha pur sempre dimensioni simili al Giappone o alla Gran Bretagna. Comunque, invece di prendersela, i kiwi hanno prodotto e diffuso in rete un divertente video (https://bit.ly/2rmdmu7) dove l’attore comico Rhys Darby propone diverse surreali spiegazioni del mistero: gli australiani cercano di rubare turisti? Gli inglesi vogliono liberarsi una volta per tutte degli All Blacks, temibili rivali nel rugby? O sarà forse colpa dei francesi, intimoriti dalla concorrenza dei vini neozelandesi? Nel video l’attore si fa aiutare dal primo ministro Jacinda Arden, che sta al gioco con molto spirito e se la cava decisamente bene. Del resto la leader dei laburisti neozelandesi è un personaggio davvero interessante, al governo dal 2017, quando aveva solo trentasette anni (il più giovane capo di governo donna di sempre), dopo aver risollevato il suo partito da una dura sconfitta elettorale. A giugno darà alla luce il suo primo figlio senza abbandonare la carica; niente di strano per il primo Paese al mondo ad aver concesso il voto alle donne, già nel 1893. Rhys e Jacinda hanno chiesto l’aiuto di tutti i navigatori della rete per segnalare sempre nuove carte geografiche senza la Nuova Zelanda nel sito http://worldmapswithout.nz o attraverso i social, con l’hashtag #getnzonthemap. Le segnalazioni sono state mi-
Una delle tante mappe dove la Nuova Zelanda è rimasta tagliata fuori. (Ikea)
gliaia, dai tatuaggi a puzzle… ai quali manca un pezzo. Nessun complotto tuttavia; la spiegazione di questa assenza è decisamente più semplice. Nei planisferi abitualmente utilizzati la Nuova Zelanda finisce regolarmente nell’angolo in basso a destra. È solo una convenzione naturalmente; si potrebbe benissimo immaginare una carta del mondo dove la Nuova Zelanda è al centro del pianeta. Questa settimana da Sotheby’s, la prestigiosa casa d’aste londinese, sarà messa all’incanto una collezione di antiche mappe utilizzate da quegli esploratori che ridisegnarono la geografia; le valutazioni sono alle stelle, decine di migliaia di sterline per ciascun pezzo. Ebbene uno dei cimeli più affascinanti è la carta geografica creata nella seconda metà del Cinquecento da Cornelius De Jode, di Anversa, nella quale si guarda al globo dai due poli: la Nuova Zelanda vi avrebbe fatto la parte del leone… se solo fosse stata già scoperta. Ma così come sono costruite le nostre carte, la tentazione di lasciarla fuori è sempre presente, per la sua natura così eccentrica (in ogni senso).
I neozelandesi ci scherzano, ma nel fondo hanno da sempre un complesso d’isolamento. Se gli australiani sostengono di vivere «da qualche parte laggiù in basso» (down under), considerate che da Sydney ci vogliono ancora più di tre ore di volo per arrivare a Auckland, la principale città neozelandese (Wellington è invece la capitale più meridionale del mondo). Non a caso la Nuova Zelanda fu popolata tardivamente dai Maori e riscoperta solo verso la metà del Seicento dagli olandesi di Abel Tasman. E sulle mappe del mondo ci finì solamente nella seconda metà del Settecento, quando le sue coste furono rilevate dal grande esploratore inglese James Cook durante il suo primo, celebre viaggio (1768-71). Negli ultimi anni la Nuova Zelanda ha saputo catturare l’attenzione dei viaggiatori. Di posto ce n’è d’altronde per accogliere ospiti: con quasi cinque milioni di abitanti, è uno dei Paesi meno popolati del mondo. Ma soprattutto ha saputo giocare bene le sue carte, proponendo un ambiente naturale largamente intatto e ben protetto: spiagge lunghissime, città vivaci, la passione per lo sport e l’avventura
(Skydiving, Bungee Jumping, Rafting), la cultura maori ecc. Il successo dell’adattamento per il cinema del Signore degli anelli, interamente girato qui, così come la trilogia Lo Hobbit, è stato il punto più alto di questa ascesa. Ma nel mondo spietato del turismo internazionale niente dura per sempre e anche questa nuova, divertente campagna serve soprattutto a non farsi dimenticare troppo presto. Idee creative e divertenti sono molto più efficaci della tradizionale promozione turistica. Il modello sono i vicini australiani, sempre pronti a inventarsi qualche trovata. Per esempio fece scuola nel 2009 la ricerca di un guardiano per un’isola tropicale del Queensland: si offrivano vitto e alloggio in una splendida villa, settantamila euro per sei mesi, dodici ore di lavoro… al mese. Non a caso si parlava del «Miglior lavoro al mondo». Giunsero trentacinquemila domande da duecento Paesi, naturalmente, ma il vincitore, Ben Southall, si lamentò poi dell’esperienza: troppe interviste, collegamenti video, chat, invece di surf, bagni, abbronzatura e silenzio. Almeno lui, avrebbe preferito essere dimenticato.
Quando siamo in una famosa località turistica, tutti gli sguardi sono rivolti in avanti, verso un quadro celebre, un monumento, un panorama. Ma cosa succederebbe se ci voltassimo improvvisamente all’indietro? Vedremmo gli altri turisti naturalmente, impegnati a scattare l’ennesima foto sempre uguale; poi, mescolati ai turisti, le guide e gli accompagnatori; un poco più distante sostano invece gli autisti coi loro pullman. Vedremmo insomma tutto quel mondo dietro le quinte senza il quale non sarebbe possibile mettere in scena l’esperienza turistica. Indietro si è voltata Manuela Camponovo, responsabile dell’inserto culturale settimanale del «Giornale del Popolo», che ha dato voce a un accompagnatore turistico di lungo corso. Senza troppe mediazioni, ascoltiamo storie sempre diverse, curiose, imprevedibili. E intanto, con il passare del tempo, cambia continuamente la prospettiva: l’orizzonte delle destinazioni si estende sempre più, il fatturato si moltiplica così come gli occupati, si succedono nuove generazioni di turisti, cambiano i luoghi coi loro abitanti, anche per effetto del turismo stesso. Ma quasi non c’è tempo per pensare perché lo spettacolo non si ferma mai e subito inizia un altro giro di giostra. Fino a quando si trova un attimo di respiro e si comincia a raccontare… Bibliografia
Gianluca Niero (a cura di Manuela Camponovo), Un uomo in partenza. Memorie di un accompagnatore turistico, Linea Edizioni, 2018, pp. 104, € 12. Annuncio pubblicitario
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Ambiente e Benessere L’astronauta Luca Parmitano e il geologo Francesco Sauro nella grotta Cucchiara, a Sciacca, Sicilia. (ESA / Natalino Russo)
Viaggi spaziali sottoterra Reportage Gli astronauti si addestrano spesso nelle caverne
Natalino Russo Siamo a un passo dal turismo spaziale? A leggere i giornali sembra che da un giorno all’altro tutti o quasi avremo la possibilità di fare un giro lassù, magari persino un viaggio di nozze sulla stazione spaziale internazionale, con vista sul più spettacolare dei panorami. Aziende come Virgin Galactic e Blue Origin sperimentano veicoli in grado di raggiungere gli strati più elevati dell’atmosfera e assicurano che presto saranno in grado di portare nello spazio i primi turisti (e pazienza se ogni anno questi annunci si ripetono uguali, senza tradursi per ora in realtà). Evoluzione tecnologica e concorrenza potrebbero far scendere i prezzi dagli attuali milioni di dollari alle centinaia di migliaia: cifre non alla portata di tutti, ma che comunque strizzano l’occhio ai ricchi del pianeta. L’ingresso dei privati nell’industria aerospaziale sembra aver trasformato la fantasia in realtà. Già a metà
dell’Ottocento Jules Verne aveva immaginato i viaggi spaziali, ma l’idea del turismo fece capolino nella letteratura col racconto Minaccia dalla Terra, pubblicato nel 1957 dallo scrittore statunitense Robert Anson Heinlein. Lo spazio diventò una frenesia di proporzioni globali dopo il 1968, con l’uscita del film 2001 Odissea nello spazio, di Stanley Kubrick. Erano gli anni d’oro della corsa alla Luna, di lì a poco Neil Armstrong avrebbe posato il suo primo passo sulla polvere lunare. Il film di Kubrik produsse un effetto inatteso: in alcune scene gli astronauti viaggiavano a bordo di un veicolo col logo PanAm. Boom! La compagnia aerea ricevette decine di migliaia di telefonate di curiosi, molti erano convinti che si potesse davvero prenotare un viaggio spaziale. Cinquant’anni dopo il turismo orbitale è una prospettiva decisamente più concreta, ma per il momento l’esperienza dello spazio è ancora riservata agli astronauti professionisti. Per fortuna, potremmo aggiungere. Una missione spaziale richiede capacità e competenze fuori dal comune, dalla guida dei vettori di andata e ritorno alla manutenzione delle apparecchiature, dalla conduzione di esperimenti fino allo svolgimento delle normali attività quotidiane, che in assenza di gravità sono molto più complesse di quanto si potrebbe immaginare. Non a caso la maggior parte degli astronauti è selezionata tra piloti con alle spalle migliaia di ore di volo anche in situazioni critiche. Certo, a un turista spaziale sarebbe richiesta una preparazione infinitamente minore, ma per il momento l’addestramento è un processo estremamente complesso e richiede molti anni di duro lavoro. Questa intensa preparazione si svolge per esempio allo European Astronaut Centre di Colonia, in Germania, dove sono stato di recente. Inoltre si svolge in luoghi del nostro
pianeta difficili da immaginare, come le grotte. Che paradosso, scendere sottoterra per andare nello spazio! Eppure da alcuni anni l’Agenzia Spaziale Europea ha avviato un programma chiamato Cooperative Adventure for Valuing and Exercising human behaviour
and performance Skills (CAVES). Gli astronauti trascorrono periodi dentro grotte simili ad ambienti spaziali. Qui si esercitano all’isolamento totale, ma anche a lavorare in gruppo in situazioni articolate e poco prevedibili. In questi ambienti non devono soltanto muover-
si, esplorare e documentare come fanno gli speleologi, ma anche effettuare campionamenti geologici e condurre esperimenti di fisica e biologia. Da speleologo, io le grotte le frequento da quasi trent’anni. Ma stavolta l’ho fatto con un compagno speciale: l’astronauta Luca Parmitano, il primo italiano ad aver effettuato un’attività extra-veicolare nello spazio. Come fotografo l’ho seguito durante la missione chiamata CAVES-X1 nella grotta Cucchiara: un abisso che si apre nelle viscere del monte Kronio, a Sciacca, in Sicilia. Per via di risalite di fluidi termali, le condizioni climatiche di questa grotta sono proibitive, con temperature prossime ai 38 °C e un’umidità del cento per cento. Qui Parmitano ha sperimentato la permanenza in luoghi estremi e ha persino provato a esplorare zone della grotta ancora più calde, con temperature fino a 40 °C. Ci è riuscito grazie all’uso di un drone con sensori termici e speciali videocamere, progettato dalla società svizzera Flyability, dotato di un’innovativa gabbia protettiva rotante che gli consente di rimbalzare contro le pareti. Strumenti di questo tipo permetteranno un giorno di esplorare luoghi apparentemente irraggiungibili come i tunnel lavici della Luna o di Marte, prima che gli astronauti ci arrivino di persona. Viaggi indiretti, quindi, per preparare viaggi fatti da persone in carne e ossa. E così, a modo mio, ho fatto anch’io il mio piccolo viaggio spaziale. L’anno prossimo, Luca Parmitano tornerà sulla stazione spaziale e porterà con sé il bagaglio di esperienze accumulate nelle grotte. Lui ci andrà davvero. Io per il momento la mia Odissea nello spazio mi accontento di sognarla. Ma non si può mai sapere: dopo tutto Dalla Terra alla Luna, il romanzo di Verne pubblicato nel 1865, fu preceduto di un anno soltanto dal suo celebre Viaggio al centro della Terra.
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Ambiente e Benessere
Panna cotta al caffè
Migusto La ricetta della settimana
Dessert Ingredienti per 8 formine di ca. 1,2 dl: 5 fogli di gelatina · 6 dl di panna · 2 dl di
migusto.migros.ch/it/ricette Per diventare membro di Migusto non ci sono tasse d’iscrizione. Chiunque può farne parte, a condizione che un membro della sua famiglia possieda una Carta Cumulus.
latte · 2 cucchiaini di pasta di vaniglia · 180 g di zucchero · 1 cucchiaino di caffè istantaneo in polvere · 1 dl di panna per la salsa al caramello · 5 chicchi di caffè · 1 cucchiaio di zucchero di canna.
1. Ammorbidite i fogli di gelatina in abbondante acqua fredda. Sciacquate le formine con acqua fredda. Portate a ebollizione la panna con il latte, la pasta di vaniglia e metà dello zucchero. Togliete la pentola dal fuoco e lasciate intiepidire il liquido. 2. Estraete la gelatina dall’acqua, strizzatela e aggiungetela alla panna, poi mescolate finché si scioglie. Distribuite la crema nelle formine e mettete in frigo per circa 4 ore. 3. Nel frattempo, per la salsa al caramello, versate in un pentolino lo zucchero rimasto con 3 cucchiai d’acqua e scaldate finché inizia a caramellare. Unite la panna e il caffè. Fate sobbollire rimestando di continuo, finché il caramello non si è sciolto del tutto. Lasciate raffreddare la salsa. 4. Pestate nel mortaio i chicchi di caffè con lo zucchero di canna. Capovolgete le formine e irrorate la panna cotta con la salsa al caramello. Spolverizzate di zucchero al caffè e servite. Preparazione: circa 20 minuti + refrigerazione circa 4 ore. Per persona: circa 4 g di proteine, 32 g di grassi, 29 g di carboidrati,
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Ambiente e Benessere
Il mondo degli alpeggi Biodiversità Dai pascoli alpini alle marcite della Lombardia – Prima parte
Alessandro Focarile «Usciamo dall’ombra della foresta e della tormentata vegetazione degli arbusti contorti verso paesaggi più aperti, luminosi e pacificamente distesi: le praterie» (Giacomini, 1958). E possiamo aggiungere: dove ci attende un concerto di campanacci delle vacche e il latrare dei cani. Riflettendo, è opportuno fare qualche considerazione. Siamo di fronte a un ambiente d’alta quota che è stato modificato e gestito attraverso i secoli grazie alle fatiche umane. Come ebbe a scrivere Carlo Cattaneo (1801-1869): «La terra è una immensa miniera di fatiche». Spesso l’acqua dei pascoli non scorre disordinatamente lungo i pendii, ma è razionalmente incanalata. La superficie dei pascoli è stata privata dai sassi, in virtù di una faticosa opera di spietramento per aumentare le superfici erbose, e i mucchi di pietrame di tutte le dimensioni lo testimoniano tutt’oggi ai nostri occhi, ricordandoci che in passato non esistevano mezzi meccanici che potessero alleviare le fatiche.
È plurisecolare la storia dei popolamenti alpini, resi possibili dalla pastorizia Qualche annosa ceppaia superstite testimonia una passata presenza del bosco fino ad alte quote, rispetto a oggi. Il latrare dei cani ci dice che, senza questi preziosi ausiliari – addomesticati da oltre 12mila anni (Riser, 1999) – la pastorizia non sarebbe possibile. L’incombenza altrettanto faticosa di ragazzini e fanciullette consisteva invece nell’eliminazione dei cespugli e delle male erbe non appetite dal bestiame, e che ricrescevano inesorabili ogni anno. Un’incessante bonifica e cura dei pascoli stanziali si sono succedute attraverso i secoli sulle Alpi. A 2913 metri nell’alta Valpelline (Valle d’Aosta) e ai confini con il Cantone Vallese, sono tuttora visibili i ruderi del più elevato insediamento di pastori di pecore conosciuto sulle Alpi. Si tratta dell’Alpe (tza) di Tzan. Nel patois valdostano: l’alpe di Tzan = Tzuan, Giovanni. Più in basso si trova Prarayé (2000 metri), ovvero il prato solcato dai canaletti di irrigazione dove si coltivava un tempo la segale e l’orzo. Più in basso ancora, è collocato il villaggio di Oyace (1370 metri). Un toponimo di chiara derivazione araba, significando «luogo dove si radunano le pecore». Ayace è ripetuto anche nel Canton Vaud e in Corsica (Ajaccio). La Cima «Jazzi» (3804 metri) domina i pascoli dell’alta Valle Anzasca (Monte Rosa). Altri numerosi toponimi della stessa origine, conservati e tramandati dopo più di mille anni, documentano la presenza araba sulle Alpi occidentali. Ricordiamo che intorno all’anno Mille, popolazioni saracene provenienti dai paesi del Maghreb, pastori e nel contempo briganti, sbarcati con le loro pecore sulle coste del Midi francese, risalirono le vallate del Rodano e della Durance, stanziandosi in tutte le Alpi occidentali, dalla Provenza alla Valle d’Aosta fino al Vallese, riuscendo ad assediare persino l’Abbazia di San Gallo! Durante questa epoca storica, caratterizzata dall’optimum termico medievale (con temperature superiori alle attuali, ma con precipitazioni minori, e quindi con vistosi deficit idrici, che giustificavano la costruzione delle «bisses» nel Vallese, dei «rus» in Valle d’Aosta), i saraceni erano presenti con le loro greggi al Colle del Gran San Bernardo (2478 metri), ingaggiati dall’allora Duca d’Aosta, padrone e signore di quelle alte terre, per riscuotere tributi
Uno stambecco in un alpeggio abbandonato. (Thomas Then)
e gabelle (da spartire). E, all’occasione, per vessare e depredare viandanti e pastori. Ecco come i toponimi possano documentare la storia plurisecolare – in massima parte non scritta – dei popolamenti alpini tributari e resi possibili grazie alla pastorizia. Nel corso dei secoli la pastorizia in montagna ha conosciuto, fino a un recente passato, profonde trasformazioni: dal nomadismo generato dalle pecore, alla sedentarietà degli insediamenti
obbligati dalle vacche. La sedentarietà era mascherata attraverso una forma di transumanza locale e stagionale: dal villaggio in fondovalle ai monti (maggenghi) e agli alpi più elevati. Con una conseguente e obbligatoria gestione dei pascoli montani, in quanto il manto erboso andava curato per ottenere da esso la migliore resa economica. Uomo, animali, suolo, vegetazione sono stati (e sono tuttora) tributari del clima stagionale che, in epoca storica ha subito
La pastorizia in montagna ha conosciuto profonde trasformazioni. (Richard Bartz)
mutamenti ostili o favorevoli per la presenza umana. I cambiamenti climatici che subiamo attualmente (e in particolare l’aumento della temperatura) hanno come risultato, tra i differenti fattori, un precoce invecchiamento stagionale della flora erbacea, con conseguenze negative sulla crescita del bestiame, che vede depauperarsi precocemente le sue fonti di alimentazione. Nel territorio del Parco Nazionale del Gran Paradiso (Valle d’Aosta), dove è proibito il pascolo ovino e caprino, sono state controllate conseguenze negative sui ritmi di accrescimento dei giovani ungulati: stambecchi e camosci, e una decrescita delle popolazioni di marmotte. Gli erbivori, vertebrati domestici e selvatici, e le cavallette, attraverso la loro alimentazione, provocano una selezione della biodiversità vegetale. In quanto non consumano le specie tossiche (come i ranuncoli, i veratri, gli aconiti, le ginestre), aromatiche (come il timo e i ginepri), spinose (come i cardi). Infine, quelle eccessivamente ricche di cellulosa (come l’erba cervina, Nardus stricta). Interi territori alpini possono trasformarsi in pascoli inappetibili per il bestiame, a causa della dominante presenza di queste erbe, alle quali si aggiungono a quote più basse, infestanti narcisi, botton d’oro, crochi. Con il conseguente deprezzamento economico dei territori stessi. È un eloquente esempio di come la copertura vegetale possa avere una determinante preminenza nell’utilizzo, o meno, dei pascoli di montagna. Altro fattore negativo, in merito all’utilizzo, è costituito dall’eccessivo apporto di azoto, attraverso l’accumulo del letame, vera barriera chimica per la possibilità di impianto di una flora che non sia quella «nitrofila, ammoniacale». Sul piano umano, le mutate situazioni ambientali e socio-economiche sulla montagna europea hanno avuto
come conseguenza una profonda trasformazione delle pratiche pastorali, e la radicale e irreversibile dinamica dei suoi attori: animali e uomini. Per secoli la pastorizia in montagna è stata parte preponderante della vita umana, attraverso una complicata codificazione di regole che ne consentivano la gestione. Regole, calendari, diritti di proprietà e/o di usufrutto per l’uso dei pascoli. Attualmente, ferme restando molte di queste consuetudini, la conduzione materiale della pastorizia alpina in vasti territori è possibile unicamente grazie alla presenza e all’attività di personale non locale, o addirittura straniero. Macedoni, montenegrini, rumeni negli Appennini, portoghesi e serbi in Ticino, marocchini in Valle d’Aosta. Senza la preziosa e spesso misconosciuta attività di questi «ospiti per lavoro» non potremmo gustare il pecorino, le tome, i formaggi dell’alpe, compresa la fontina. La preziosa e decisiva presenza di questa manovalanza silenziosa (ancora per quanto tempo?) assicura l’attività agricola e pastorale sulla montagna. È un fenomeno sociale nuovo, ma anche politico ed economico, con vaste e impensabili implicazioni: argomento che, finora, non è stato oggetto di una doverosa, accurata e quantificata analisi. Bibliografia
Valerio Giacomini e Luigi Fenaroli, 1958, La Flora. Conosci l’Italia, Vol. II, Touring Club Italiano (Milano), 272 pp. Senza autore, 1999, La faune et les hommes: reflets des glaciations et des interglaciaires, pp. 165-191. In Jean Riser (coordinateur), Le Quaternaire. Géologie et milieux naturels, Dunod Editeur (Parigi), 320 pp. Elias Landolt et al., 2015, Notre flore alpine, Editions du Club Alpin Suisse (Berna), 359 pp. + 136 tavole a colori.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 maggio 2018 • N. 20
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Sono molte le piante tossiche di casa nostra
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Laura Di Corcia Primavera: il sole, le temperature miti (quest’anno più che mai), il risveglio della natura spingono a uscire di casa, a fondersi con il verde, a raccogliere fiori e odori per arricchire insalate e piatti. Ma attenzione: le scampagnate possono diventare anche pericolose se non conosciamo la materia. Così come i funghi, anche le piante vanno selezionate con cura e attenzione, perché alcune di esse sono tossiche. E se una volta le conoscenze venivano passate di generazione in generazione, oggi quel filo si è spezzato: il rischio è quello di accostarsi alle erbe spontanee in modo un po’ approssimativo e ingenuo, rischiando nel migliore dei casi qualche mal di stomaco. «Anche dalle nostre parti crescono in abbondanza le piante tossiche» spiega Antonella Borsari, fitoterapista e botanica. «Ce ne sono di alta montagna, di collina, alcune non tipicamente primaverili ma presenti tutto l’anno, come può essere il tasso. Altre, invece, sono tipiche della stagione primaverile». L’insidia risulta accentuata in quelle piante all’apparenza innocua, che si confondono facilmente con piante commestibili, soprattutto quando stanno per spuntare e non hanno ancora raggiunto la loro forma finale. «Alcune piante nella prima fase di sviluppo imitano le foglie di piante commestibili. È molto importante conoscere le loro caratteristiche per evitare
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N. 14 MEDIO di mettere nei nostri piatti qualcosa di tossico». Veniamo ai nomi e partiamo dal bellissimo maggiociondolo, un arbusto ornamentale che si nota nel mese di maggio: i suoi semi sono molto velenosi per la presenza di un alcaloide tossico, la citisina. I frutti, che ricordano i baccelli del fagiolo, sono insidiosi perché possono parere innocui ed essere ingeriti anche dai bambini. In letteratura è riportato un caso di avvelenamento collettivo di un gruppo di persone che preparò una frittata con i fiori della pianta, confusi con quelli della robinia. «Nausea, vomito e alterazione dei centri vasomotori e respiratori: questi sono i sintomi più frequenti. Solo in rari casi può avere esiti mortali». Il maggiociondolo non è la pianta più insidiosa: più facile farsi attrarre dal colchico e dal mughetto, che un occhio inesperto può scambiare facilmente per l’odorosissimo aglio orsino. Capitano spesso casi di avvelenamento? «Devo dire di sì – precisa Antonella Borsari – anche perché negli ultimi tempi c’è stato un ritorno alla raccolta spontanea delle piante. Il mughetto, oltre a creare problemi al tratto gastrointestinale (nausea, vomito e diarrea), è una pianta che contiene delle sostanze cardioattive, che hanno un’azione diretta sul cuore. Rallentano il battito cardiaco e possono provocare anche dei collassi. Non è una pianta mortale, a differenza del colchico». In effetti la pianta alla quale biso-
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tivi e sono utilizzati dagli erboristi da sempre. Ma quindi come fare 5 per evitare che l’immersione nella natura abbia spiacevoli 7 effetti 6 collaterali, talvolta anche gravi? «È importante conoscere le piante nostrane, prima di farne 2 spontanea. 1 Circa un 6 una raccolta terzo della nostra flora è costituito da piante 9 tossiche – precisa2Anpotenzialmente tonella Borsari. «Aggiungo un altro elemento che magari sfugge ai lettori: 6 da un punto di vista legale è permesso raccogliere piante spontanee in una 7 8 quantità tale da starci nel palmo di una mano». Esiste una lista rossa delle pian1 e minacciate, che2si trova4fate protette cilmente sul sito www.infoflora.ch. «Ci sono tante 8 piante che una 3volta venivano raccolte e oggi sono a rischio estinzione, come per esempio l’asparago selvatico. Oggi, essendo poco presente in Ticino, se ne sconsiglia la raccolta. Vorrei fare un appello: non andare a raccogliere di tutto e di più, ma con una certa moderazione e nel rispetto dell’ambiente». Fra le varie attività proposte da Antonella Borsari, che collabora con il Museo cantonale di storia O naturale di Lugano e con Pro Natura, ci R sono delle uscite in natura per conoscere le piante indigene. La prossima riguarda M le piante tossiche e si svolge alle isole di E Brissago; sarà effettuata in collaborazione con Daniela Soldati, giardiniera del giardino botanico. C’è ancora posto per C l’uscita del 31 maggio, per informazioni A scrivere a info@isolebrissago.ch. P O
N. 15 DIFFICILE
Un esemplare di Colchicum arenarium. (Pipi 69)
Giochi per “Azione” - Aprile 2018 Stefania Sargentini 2 gna stare più attenti è proprio il col- un alcaloide, che si chiama colchicina, chico, il finto zafferano che lo scorso un veleno anti-mitotico che in pratica (N. 13 - “Secondo me non viene più”) 1«A pic9 autunno ha ucciso due coniugi nel blocca la divisione delle cellule. 1 2 3 4 5 6 S forma E C di C estratto H I Veneto, i quali, ignari degli effetti mor- colissime dosi, sotto 7 8 tali di ciò che avevano generosamente standardizzato, eOsempre L I solo O sotto V inserito nel piatto, ci avevano10fatto un stretto controllo medico, viene usato 9 I N i processi D A risotto. Il colchico ha un 12bulbo simile in fitoterapia, perPrallentare 11 R O alla formazioM I N all’aglio, un fiore simile allo zaffera- metabolici che portano 13 14 15 16 17 no che fiorisce tra agosto e settembre; ne N dell’acido O R urico, M A rappresentando T O R un O 18 cresce spontaneo19nei prati grassi 20e buon rimedio contro la gotta», aggiunE D E N V E R E umidi delle valli di montagna, per lo ge la botanica, ricordando che alcuni 21 22 23 G I A P A L E Tcurapiù ai margini dei boschi. Contiene veleni, in piccole dosi, 9 risultano 4T 24 25 26 L L I A N E T O 27 28 I G I E N E6 U8 O M
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Giochi per “Azione” - Maggio 2018 Vinci una delle 3 carte regalo da 50 Stefania franchi con il cruciverba Sargentini e(N.una delle 2 carte regalo da 50SUDOKU franchi sudoku 5 il 3 2 2018 8 PERcon AZIONE - APRILE 14 - Bahamas, settecento
(N. 17 - Personaggi famosi) 1
Cruciverba Forse non tutti sanno che Alessandro Manzoni aveva...? Trova il resto della frase a cruciverba ultimato, leggendo le lettere evidenziate! (Frase: 5, 5, 1, 8, 2, 6)
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1 Botanica Per rischiare di procedere con una raccolta, serve una buona conoscenza, moderazione
e rispetto dell’ambiente
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27. Particelle cariche di elettricità 28. Nome maschile
Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch
I premi, cinque carte regalo Migros 23 di 50 franchi, saranno sordel valore teggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta 25 entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco.
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ORIZZONTALI 1. Fastidiose 7. È «in funzione» a Londra... 8. Le iniziali del cantante Britti 9. Il perfetto tra i primi 10. Orario in Slovenia 11. Posta alla fine 12. Stato francese 13. Parte della scarpa 17. È avvolto dal pericardio 18. Uccelli dalle zampe palmate 19. Nome generico di rettile 20. Sono di famiglia 21. In seguito 23. Simbolo chimico dello zinco 24. Anagramma di spot 25. Abbreviazione di codice
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19. Altro nome di Gerusalemme 35 21. Il presidente USA (iniz.) 22. La Negri scrittrice 24.16 Iniziali della moglie di Riky Tognazzi (N. - Cercare di compiacere tutti) 526. Al centro del 6 tavolino 7 8 1 2 3 4 5 6 7 8 9 34
(N. 18 - Per saperne di più)
VERTICALI 1. Frase1 breve e2concettuale 3 4 2. Lavoro in poesia 3. L’attore Bruce 9 4. Preposizione francese 5. Regolare, calibrare 12 idiota 6. Ottuso, 10. Illusorio 12. Ha15 sostituito la lira 16 13. Un Umberto cantante 14. Attaccato al raspo 18 15. Pronome 16. Se è apostrofato… esiste 17. Basi20dei fusti 21degli alberi
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H I E O V 5 2 T E S E N 1 E S T 1R T8 O 5 E O 1 6 N T 9 A S 8I
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N. 13 FACILE B O A Schema S C A L C A I 8 9 C A M E R A Soluzione: 6 4 Scoprire i 3I T A I 2 corretti 8 3 7 numeri O T T O P da inserire nelle 2 C E caselle7colorate. 1 I L 8 5 3 N O 4 7 6 A
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E6 4 S8 1T9 8 1 3 5 2 6 4 O P E 9 N2 8 3 75A5 10 T R5E E 35 79 167U19 48R26 D L 12 8 4 2 5 38 7 T OAM E T A 4 8 7 6 2 3 17 N O 9 4 T A3 C C4 6O8 C 2 U5 3O7 9R1 5 8 2 19 (N. 15 - Balia Nera - Dai cinque ai novemila) 1 3 6 61 9 4 5 8 C H E S E R P E N.O 14 MEDIO B A L S A M O 22 2 3 47 9 1 5 4 I R A N E L ZS 4 E IR A I D E 5D I P 1 O4 6 I8 9 2 8 4 2 7 25 26 7R 6 I O 5 8 2 3 7 6 A V O Z 9 N 2 S1 T6 O P 8 9 5 C4 2O7 R E R A S C7 E S I 5 1 28 3 9 2 6 1 3 5 8 9 R O I IO 2 EO 6 TNI I3A N T N C O L 4 2 7 6 3 1 9
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A. Storni, J. Olsson, C. Bertocco
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Partecipazione online: inserire la
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nell’apposito formulario pubblicato sulla pagina del sito. Partecipazione postale: la lettera o la cartolina postale che riporti la so-
3A5 7 4 1 9 D 1 3 6 8 7 4 2 A 98 9 5
S Q U A M E A I N 2 5 4 7 6 3 9 8 1 P 5U S 7 O V E 8 C M I 7 I O 8 Ldella 2 L 4O R O 7 3 8 9 1 5 6 2 4 Soluzione E 1settimana A L precedente SAGGIA VERITÀ – La formula sicura per il fallimento: 1 8 3 9 6 1 2 4 8 5 7 3 CERCARE DI COMPIACERE TUTTI. N. 15 DIFFICILE
O R R I C O 3S 7T A 7 9 O 5 2 TA R AE 1 M A 4 6V8 1I 3 N R A M O R 4 O P E N 2 5 7 6 8 9 4 3 1 M I 5C O O R O AD1 9G I IO S A3 1 I 9 O 2 5 4 7 V 8 6 S T A R U D A R I O 5 7 8 9 1 4 6 3 5 2 7 A I R U T E O A I S E E T O M 8 1 3 7 4A2 8 1 R 5 3 I6 9 M P R O S T E S I 9 2 8 5 3 6 7 9 2 1 4 8 UA R I IA C A D R R A I S L I I C O L 9 4 1 9 2 4 5 7 8 6 1 3 V A R I O E T T E N 6 8 3 9 4 1 2 7 5 U6 N8 T O S T O O R E N G A R A V E N E 1 7 5 3 2 6 8 9 4 A D I 5 R 3 A 2T O 8 I P E R I A D A C N.G 16 GENI luzione, corredata da nome, cognome, è possibile un pagamento in contanti indirizzo, email del partecipante deve dei premi. 5 9 3 I vincitori 8 4 1saranno 2 5 avvertiti 6 7 E spedita R a T«Redazione O essere Azione,V perU iscritto. 1 5 7 1 4 Il5 nome 6 8dei7vincitori 9 2 sarà 3 Concorsi, C.P. 6315, 6901 Lugano». pubblicato su «Azione». Partecipazione 8 1 7 6esclusivamente 2 5 9 3a 8 1 che 4 NonLsi intratterràTcorrispondenza suiO riservata lettori B B 8 Le vie legali9sono 4 escluse. 1 Non 6 8in Svizzera. 3 2 5 9 4 7 1 concorsi. risiedono C A2 O S
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 maggio 2018 • N. 20
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Politica e Economia Il filo di perle cinese Seconda puntata sulla marcia di Pechino, incubo di americani e indiani
La marcia dei pashtun Dall’inizio di febbraio un nuovo movimento di massa sta mettendo in discussione alla radice lo status quo in Pakistan
Appaltopoli grigionese Un accordo cartellare nell’edilizia in Engadina scuote la politica cantonale
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La Svizzera e il 68 Un’analisi del contesto storico, culturale ed economico in cui 50 anni fa maturò la protesta giovanile e studentesca
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Un’indicazione stradale per l’ambasciata Usa Gerusalemme. (Keystone)
Un 14 maggio speciale per Israele Eventi Oggi, lunedì, l’attuale sede del consolato Usa a Gerusalemme nel quartiere di Arnona – giorno
della dichiarazione d’indipendenza israeliana – assume le funzioni di ambasciata Usa in Israele Marcella Emiliani «Israele è stato creato perché il popolo ebreo, che non si è mai sentito sicuro in nessuna parte del mondo, avesse una casa. Oggi, dopo 70 anni di successi clamorosi in tutti i campi, Israele con tutta la sua forza forse è diventato una fortezza. Ma non è ancora una casa. Gli israeliani non avranno una casa finché i palestinesi non avranno la loro». Era il 17 aprile scorso e così si esprimeva David Grossman, scrittore israeliano di fama internazionale, nel corso di una cerimonia che commemorava a Tel Aviv il 70.mo compleanno dello Stato di Israele che sarebbe stato ufficialmente festeggiato il giorno dopo. Secondo il calendario ebraico, infatti, quello che per il nostro calendario gregoriano è il 14 maggio quest’anno è caduto il 18 aprile, ma lo sfasamento temporale poco importa. L’importante è la ricorrenza di una sorta di miracolo quale è stata il 14 maggio 1948 la Dichiarazione di indipendenza di Israele proclamata dal padre della patria, David ben Gurion nel Museo dell’Arte di Tel Aviv. Nel corso della notte, truppe di otto paesi arabi attaccarono il nuovo Stato che pur tra mille difficoltà riuscì ad avere la meglio
in quella che gli israeliani chiamano la guerra di indipendenza, gli arabi e i palestinesi – invece – la nakba, la catastrofe. Se infatti gli ebrei credettero di aver ritrovato la propria casa, i palestinesi persero la loro e i «fratelli» arabi accorsi nel 1948 per distruggere «l’entità sionista», in 70 anni per risolvere il contenzioso israelo-palestinese non seppero far altro che guerre, regolarmente perse contro le Israeli Defense Forces (Idf). In contemporanea chiudevano i palestinesi in miseri campi profughi, impedendo loro di ottenere lavori stabili e regolari sul proprio territorio e men che mai concedendo loro la cittadinanza. L’unica ad averlo fatto è stata la Giordania. Oggi la distanza tra israeliani e palestinesi è abissale. Dal 1948 Israele è diventato un paese all’avanguardia nella ricerca scientifica e tecnologica (la start-up nation), viaggia a tassi di crescita che nell’ultimo decennio hanno oscillato dal 4 al 9% del Pil e vanta 11 premi Nobel. I palestinesi invece non solo vivono in maggioranza sotto la soglia della povertà nei campi profughi arabi ma anche in Cisgiordania terra-limbo dell’Autorità Nazionale palestinese (Anp) ormai zeppa di colonie ebraiche, e decisamente in miseria nella
Striscia di Gaza, ovvero l’Hamasland, attorno alla quale Israele ha istituito un blocco totale dal 2007. Ed è proprio Hamas a voler rovinare la festa del 70.mo compleanno di Israele. Per il 14 maggio ha promesso che la Marcia del Ritorno proclamata il 30 marzo scorso si estenderà a Gerusalemme non solo per reclamare la terra perduta, ma anche per protestare contro il trasferimento dell’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme, forse alla presenza dello stesso Trump. E qui arriviamo al cuore del discorso di Grossman del 17 aprile, ma soprattutto alle chiavi del futuro di Israele. Se è vero che i palestinesi ancor oggi non hanno uno Stato, è altrettanto vero che dal 1948 Israele non ha mai avuto confini certi e accettati a livello internazionale. I confini tracciati per lo Stato ebraico dalla risoluzione Onu 181 del 29 novembre 1947 al momento della spartizione della Palestina storica sono stati modificati ad ogni episodio del conflitto arabo-israeliano ma soprattutto nel 1967 quando, con la guerra dei Sei giorni, Israele conquistò la Striscia di Gaza e la penisola del Sinai strappandole all’Egitto, la Cisgiordania con Gerusalemme Est sottraendola alla Giordania e le Alture del Golan alla Siria. La penisola del
Sinai venne poi restituita all’Egitto col Trattato di pace di Camp David del 1979, Gerusalemme Est fu annessa nel 1980 e le Alture del Golan nel 1981. Quanto alla Striscia di Gaza, è stata riconsegnata unilateralmente ai palestinesi nel 2005 dall’allora primo ministro Ariel Sharon. Fino al 6 dicembre 2017 quando il presidente americano Trump annunciò lo spostamento dell’ambasciata Usa in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme, i palestinesi, parte dell’opinione pubblica israeliana e la maggioranza della comunità internazionale ritenevano che il principio Terra-in-cambio-dipace avrebbe consentito, prima o poi, la nascita di uno Stato palestinese in Cisgiordania e a Gaza. Ma spostando l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme Trump in pratica ha legittimato l’annessione di Gerusalemme Est allo Stato ebraico andando contro il dettato della legge internazionale che non consente l’annessione di terre conquistate con le armi. Questo ha sbilanciato gli Stati Uniti sulle posizioni israeliane portando il presidente dell’Anp, Abu Mazen, nonché Hamas a ripudiare qualsiasi futuro negoziato con Israele che sia mediato dagli Usa, secondo loro broker non più «onesti e affidabili». Detto in parole povere Trump ha spo-
sato la prassi dei «fatti compiuti» tipica di Israele e ha accelerato la creazione di un nuovo asse di alleanze ispirate alla realpolitik tra Stati Uniti-Israele-Arabia Saudita – Emirati del Golfo in funzione anti-iraniana, relegando la causa palestinese al fondo dell’agenda araba e di quella internazionale e lasciandola in balia di manifestazioni come la Marcia del Ritorno che – come era prevedibile – per ora ha registrato solo un massacro di palestinesi senza alcun risultato politico. Lo stesso Mohammed bin Salman, erede al trono dell’Arabia Saudita, il 3 maggio scorso parlando ad organizzazioni ebraiche a New York ha affermato che «negli ultimi decenni la leadership palestinese ha perso un’opportunità dopo l’altra e ha respinto tutte le proposte di pace che le sono state fatte... È ora che i palestinesi accettino di sedersi al tavolo dei negoziati, oppure stiano zitti e smettano di lamentarsi». Il premier israeliano Netanyahu ovviamente ne ha goduto ma l’ombra minacciosa di Teheran (ultima arrivata nella strumentalizzazione della causa palestinese) e la massa dei palestinesi infuriati che continuano a farsi uccidere inseguendo l’utopia del ritorno sono le due bombe ad orologeria più pericolose che minacciano lo Stato ebraico.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 maggio 2018 • N. 20
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Politica e Economia
Un filo di perle per strangolare l’India Strategia marittima cinese – 2. L’arcipelago delle Maldive rappresenta un punto chiave della cosiddetta Via
della Seta che ha come scopo quello di contenere l’influenza dell’India, l’unica in grado di contrastare la marcia di Xi Beniamino Natale L’arcipelago delle Maldive, che conta più di mille isole coralline e meno di 500mila abitanti, è stato improvvisamente prioiettato al centro della scena geopolitica internazionale dalla rivalità tra India e Cina. Le due potenze, a dispetto delle ricorrenti ipotesi di un’alleanza «asiatica» contro la supremazia occidentale care a intellettuali e a titolisti di tutto il mondo, sono infatti impegnate in un’aspra contesa per la supremazia regionale. L’arcipelago, noto soprattutto come una delle destinazioni preferite del turismo internazionale, è governato dal 2013 da Abdullah Yameen, un politico di professione che dopo aver vinto in elezioni dalla regolarità molto dubbia si è messo in rotta di collisione con l’opposizione e con la magistratura cancellando i passi in avanti verso la democrazia che erano stati fatti negli anni precedenti, dopo l’estromissione dal potere del «presidentissimo» Maumoom Abdul Gayoom, che ha governato il Paese per 30 anni e che, guarda caso, è un fratellastro del nuovo leader. Tra le novità introdotte da Yameen c’è l’uscita delle Maldive dall’orbita del
Grande Fratello indiano per passare in quella della Cina. La posizione geografica dell’arcipelago, che si trova nell’Oceano Indiano ed è relativamente vicino alle coste dello Sri Lanka e dell’India meridionale, ne fa infatti un punto chiave della cosiddetta Via della Seta Marittima, una delle articolazioni fondamentali dell’ambizioso progetto del presidente cinese Xi Jinping per estendere in tutta l’Asia e successivamente in Europa e in Africa l’influenza di Pechino. Numerosi analisti, soprattutto indiani, hanno denunciato il progetto come un tentativo di imporre la supremazia cinese e di contenere l’eventuale crescita dell’India, unico Paese che potrebbe essere in grado di contrastare la marcia di Xi Jinping verso l’egemonia regionale, accusando Pechino di voler costruire una «collana di perle» per strangolare lo scomodo vicino. Non per niente New Delhi ha sempre prestato una grande attenzione alla «stabilità» delle Maldive, tanto da mandare nel 1988 un corpo di spedizione di 1600 soldati a sventare un colpo di Stato tentato dagli oppositori di Gayoom che avevano ingaggiato per l’operazione alcune decine di guerriglieri
Il presidente delle Maldive Abdullah Yameen ospite di Xi a Bejing. (AFP)
del People’s Liberation Organization of Tamil Eelam o PLOTE, un gruppo secessionista della minoranza etnica dei tamil del vicino Sri Lanka. Un analogo intervento era nell’aria nel marzo di quest’anno, quando New Delhi è stata ad un passo da un’azione di forza volta a ristabilire la democrazia mettendo fuori combattimento Yameen. Il presidente aveva infatti dichiarato lo stato d’emergenza dopo essersi rifiutato di obbedire alla Corte Suprema, che gli aveva ordinato di rilasciare le decine di oppositori che aveva sbattuto in galera. Secondo un dispaccio dell’agenzia Reuters del 7 marzo scorso, reparti di truppe speciali indiane erano pronti a partire per l’arcipelago quando il primo ministro Narendra Modi ha deciso di sospendere le operazioni dopo una minacciosa presa di posizione di Pechino. La Cina – ha scritto l’agenzia – «ha indicato che non gradirebbe alcun intervento straniero nelle Maldive, dove ha investito milioni di dollari nel quadro della sua One Belt One Road Initiative (BRI)», nome ufficiale di quella che è stata chiamata Nuova Via della Seta. Negli ultimi anni, Pechino ha investito milioni anche nel rafforzamento della sua marina militare che, negli ambiziosi progetti dei dirigenti cinesi, dovrebbe essere in grado nei prossimi decenni di sfidare la flotta americana nel Pacifico. La BRI prevede infatti una strada – la «road» – che attraverso l’Asia centrale colleghi la Cina all’Europa – e una «belt», una cintura fatta di porti che dalle coste meridionali della Cina dovrebbe arrivare fino al Golfo Persico, all’Europa meridionale e all’Africa. La «cintura» o «collana» dovrebbe partire dall’isola cinese di Hainan, passare dallo Stretto di Malacca grazie al controllo della rafforzata marina cinese, poi risalire dalla porzione orientale dell’Oceano Indiano dove già Pechino si è assicurata il controllo dei porti di Kyaukpyu nel Myanmar e di quello di Chittagong nel Bangladesh per poi scendere verso lo Sri Lanka – dove im-
prese cinesi controllano il nuovo porto di Hambantota, strategicamente situato nel sud-est dell’isola. Poi, dalle Maldive dovrebbe raggiungere Gwadar in Pakistan, un altro porto sotto il completo controllo dei tecnici cinesi che nei decenni passati hanno dato un contribuito alla sua costruzione. Fondamentale per il progetto è il controllo sullo Stretto della Malacca, dal quale passano circa l’80% delle importazioni di petrolio della Cina e che in un punto chiamato Philips Channel si restringe fino ad essere di 2,8 chilometri ed è estremamente vulnerabile in caso di guerra. Uno dei punti chiave della «collana» o «filo di perle», come abbiamo visto, è il porto di Kyaukpyu nel Myanmar – uno dei paesi nei quali Cina e India si contendono ferocemente il ruolo di «alleato strategico». Il porto è vicino alla città di Sittwe, che dovrebbe essere collegata a quella cinese di Kunming, capitale della provincia dello Yunnan, da un’autostrada e da un oleodotto. I rifornimenti di petrolio dal Golfo Persico alla Cina potrebbero dunque seguire la strada marittima fino a Kyaukpyu e da qui proseguire via terra, evitando il «collo di gallina» dello Stretto della Malacca. Oltre a garantire una maggiore sicurezza questo percorso renderebbe più veloce – almeno una settimana in meno rispetto al passaggio dallo Stretto – il trasporto dell’«oro nero» mediorientale. Un’operazione analoga, e ancora più conveniente dal punto di vista del tempo necessario ai trasporti, sarebbe quella di usare la strada che da Gwadar, in Pakistan, porterà portare fino a Kashgar, nella regione cinese del Xinjiang, che è in costruzione e che fa parte del cosiddetto China Pakistan Economic Corridor (CPEC). Si tratta però di una strada poco consigliabile perché passa dalle instabili regioni di confine tra Pakistan e Afghanistan, oltre che per un territorio – il Kashmir sotto controllo pakistano – rivendicato dall’India. Il porto di Gwadar ha il notevole vantaggio di essere più vicino al Golfo
Persico e più lontano dall’India rispetto a quello di Karachi, che fu bloccato durante la guerra tra i due paesi del 1971 e che ha rischiato di esserlo per una seconda volta nel 1999 durante il cosiddetto «conflitto di Kargil», in realtà una vera e propria guerra tra India e Pakistan. Da Gwadar l’Oman, lo Yemen e Gibuti, sulla costa orientale dell’Africa, sono relativamente vicini come del resto, attraverso il Canale di Suez, la Grecia e il Mediterraneo. Le Maldive non sono l’unico paese della tradizionale sfera d’influenza dell’India nel quale Pechino sta cercando, spesso con successo, di scalzare il vicino. Nello Sri Lanka il porto di Hambantota è stato di fatto completamente consegnato in mani cinesi dopo una lunga altalena: la costruzione del porto – nel quale sono stati visti sottomarini militari cinesi – era cominciata quando al governo era Mahinda Rajapaksa, il «duro» che grazie anche all’aiuto economico e militare della Cina era riuscito a sconfiggere la sanguinosa ribellione della Tigri per la Liberazione della Patria Tamil (LTTE nella sigla inglese). Con l’avvento al potere di Maithripala Sirisena la costruzione del porto venne sospesa. Riprese solo quando Sirisena si rese conto che il Paese era indebitato fino al collo con la Cina, che aveva finanziato la costruzione con una spesa di quasi 400 milioni di dollari. Per sfuggire alla «trappola del debito», Colombo decise di cedere in affitto alla Cina il porto per un periodo di 99 anni. Mentre il Pakistan è da tempo un «alleato di ferro» della Cina, Pechino si è assicurata un rapporto privilegiato col governo del Nepal, guidato dal «maoista» Pushpa Kamal Dahal detto Prachanda (il terribile). New Delhi ha reagito all’accerchiamento intensificando la battaglia per l’egemonia nei paesi ancora in bilico come il Bangladesh e, in misura minore, il Myanmar e stringendo forti legami con le altre potenze regionali ostili all’egemonia cinese, in primo luogo Giappone e Vietnam.
Una battaglia non solo contro le molestie Giulia Pompili Conciliare la tradizione e le sue regole con la contemporaneità è un esercizio difficile. Soprattutto in Giappone, dove la sacralità di alcuni momenti, in epoca di #MeToo ed empowerment femminile, è sistematicamente messa in discussione dall’opinione pubblica globale. È successo pure qualche tempo fa nella città di Maizuru, nella prefettura di Kyoto. All’interno della palestra comunale era in corso un torneo di sumo, e il sindaco, Ryozo Tatami, era entrato nell’arena per aprire la manifestazione con un discorso. Poco dopo aver iniziato a parlare, Tatami è caduto in terra, colpito da un malore. Nel video diffuso su internet si vede una donna, seduta tra il pubblico, raggiungere l’uomo e iniziare un massaggio cardiaco. La donna spiega di essere un’infermiera e chiede ai presenti di chiamare i soccorsi. Ma l’arbitro del torneo si avvicina e la caccia insistentemente dall’arena: «Donna, vai fuori dal ring», si sente dire nel video. Secondo la tradizione, l’arena di sumo è uno dei luoghi più sacri della vita quotidiana giapponese, e in quan-
to tale l’accesso per le donne è vietato – neanche se stanno cercando di salvare la vita di un uomo. Una regola che rischia di trasformarsi «nella metafora di come le donne sono considerate in Giappone», ha scritto Motoko Rich sul «New York Times». Ma nella società nipponica le cose sono ben più complicate, e la sacralità del sumo fuori discussione. Non è un caso se sospeso a mezz’aria, proprio sopra a quel cerchio di sabbia dove combattono i lottatori (si chiamano rikishi), ci sia la riproduzione del tetto di un tempio shintoista, la religione ufficiale del Giappone. Prima dell’inizio di ogni torneo, gli arbitri – che somigliano a dei sacerdoti – purificano l’area offrendo agli dèi sake e riso. In caso di vittoria, ai lottatori viene offerto del denaro (dopotutto, è pur sempre un mestiere), e i rikishi fanno il gesto del kokoro, del cuore, come a dire: non lo faccio per il vil denaro. Questo tipo di «formalità, che nella cultura occidentale può essere considerata fredda e impersonale, quindi poco adatta a esprimere sentimenti profondi nei rapporti sociali, in Giappone ha invece un valore diverso ed è espressione di considerazione verso l’altro», scrive Aldo
Tollini ne La cultura del Tè in Giappone. La tendenza al «formalismo» ha la sua espressione più elevata e perfetta nella ritualità. Il video della donna allontanata dall’arena di sumo ha fatto il giro dei social network, e il comportamento dell’arbitro è stato criticato da più parti, perfino in Giappone. Hakkaku, capo della Federazione giapponese di sumo, è stato costretto a chiedere scusa a nome dell’antica istituzione: «Non è stata una risposta appropriata in una circostanza di vita o di morte», ha detto. Secondo vari esperti dell’arte marziale giapponese, la regola delle donne bandite dal sumo sarebbe in realtà un’invenzione moderna: «Prima di tutto dobbiamo domandarci qual è lo scopo di questa regola. Le donne non sono completamente escluse dallo sport. Partecipano ai tornei amatoriali e svolgono un ruolo importante nella gestione delle scuderie di sumo professionali. La proscrizione è esclusivamente relativa allo shintoismo», ha scritto John Gunning, famoso commentatore di sumo, sul «Japan Times». «Bene o male, il sumo rappresenta il Giappone in un modo in cui altri sport popolarissimi,
come il baseball e il calcio, non potranno mai. Quindi che cosa dice del nostro Paese uno sport nazionale che non dà eguale valore alle donne?». Il problema è che il sumo, come l’insieme dei riti tradizionali nipponici, ormai si scontra sempre più spesso con la cultura contemporanea e occidentalizzata della società giapponese, creando diverse contraddizioni. Il governo conservatore di Shinzo Abe, per esempio, sin dal 2012 ha lanciato la «Womenomics», una campagna «per permettere alle donne di splendere» nel tentativo di trasformare la cultura maschilista e patriarcale giapponese, e lasciare le donne libere di lavorare, fare figli, e non essere costrette a occuparsi in modo esclusivo della famiglia. Nello stesso tempo, però, lo stesso Abe appoggia da sempre il sistema di valori tradizionali nipponico. È il caso della promozione di alcuni metodi scolastici che erano stati abbandonati nel Dopoguerra perché «pericolosamente nazionalisti» – come gli istituti Moritomo dove i bambini, prima delle lezioni, cantano l’inno nazionale e imparano a memoria il rescritto imperiale del 1890 sull’educazione, in cui si giura fedeltà
AFP
#Metoo Il ruolo della donna nella tradizione giapponese e il sessismo nel sumo
al Giappone imperiale. E ha fatto scandalo, qualche settimana fa, la decisione da parte del governo di Tokyo di escludere le donne dal Kenji to Shokei no Gi, la cerimonia chiave del passaggio tra l’èra imperiale di Akihito a quella di suo figlio Naruhito sul Trono del Crisantemo che si terrà il primo maggio del prossimo anno. Il giorno prima, il 30 aprile del 2019, l’imperatore Akihito abdicherà ufficialmente, e l’esecutivo sta lavorando insieme con l’Agenzia della casa imperiale per organizzare la successione – un evento che non avviene sin dal 1990, un anno dopo la morte di Hirohito. Per evitare le critiche il governo ha detto di voler rispettare le tradizioni, e ha citato un regolamento che vieta alle donne della famiglia imperiale di assistere alla cerimonia. Un regolamento del 1889.
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Politica e Economia Manzoor Ahmad Pashteen, leader dei pasthun. (AFP)
Cuba senza Castro, all’ombra di Castro La nuova guardia I l nuovo presidente non è
della famiglia, ma è un fedelissimo di Raùl Angela Nocioni
I pashtun in piazza per i loro diritti
Pakistan Il movimento di questa minoranza si ribella alla violenza
dei militari, dei talebani e degli islamisti Francesca Marino «Le uniformi stanno dietro ai terroristi! L’esercito detiene il vero potere in questo Paese, e non ammetterà mai gli abusi e l’oppressione di cui si è reso colpevole. Ma noi non siamo più disposti a subire in silenzio». E ancora: «Vogliamo giustizia per i crimini commessi nella terra dei pashtun negli ultimi quindici anni. Noi siamo stati per tutti questi anni vittima del conflitto in corso, e lo Stato è colpevole di aver creato e sostenuto un vero e proprio stato di guerra. Vogliamo giustizia per i crimini e le ingiustizie commesse». A parlare, il 21 aprile a Lahore, davanti a una folla festante di ottomila persone, è Manzoor Ahmad Pashteen, leader del Pashtun Tahafuz Movement. Il movimento, nato da pochi mesi soltanto, è cresciuto e cresce a vista d’occhio portando in piazza, a ogni raduno, sempre più persone. Gente di etnia pashtun ma non solo, che da mesi scende in piazza per protestare contro il governo di Islamabad ma, soprattutto, contro il vero governo del Paese: l’esercito. Colpevoli entrambi di avere adottato nei confronti dei cittadini di etnia pashtun le stesse strategie adottate nel corso degli anni nei confronti di altri gruppi etnici e culturali che compongono il Pakistan: sfruttamento delle risorse locali a vantaggio della dominante regione del Punjab, colonizzazione culturale, radicalizzazione delle istituzioni religiose e sociali. Questa ricetta ha portato alla nascita del Bangladesh nel 1971, dopo una guerra tra l’attuale Pakistan e l’allora East Pakistan di lingua e cultura prevalentemente bengali, e alla quinta insurrezione di stampo separatista tuttora in corso nella provincia del Balochistan. In Sindh, una delle quattro province del Pakistan, ha portato alla nascita di partiti politici e di movimenti di stampo etnico-nazionalista. La storia dei pashtun è più complessa e strettamente intrecciata alla vicenda delle occupazioni e dei regimi che si sono succeduti in Afghanistan. Le regioni di frontiera sono state usate di volta in volta come centri di addestramento e vivai per jihadi, come campo di battaglia per azioni dimostrative ai danni dei talebani «cattivi», come nascondiglio privilegiato per i talebani «buoni»al soldo di Islamabad, come fabbrica di documenti falsi per spedire spie dell’Isi in Afghanistan. La popolazione ha subito per anni in
silenzio o quasi, ha visto le proprie strutture sociali e culturali sgretolarsi, così come si sgretolavano case e mercati e villaggi sotto i colpi di artiglieria dell’esercito pakistano che cercava di convincere l’occidente della sua buona fede mettendo a ferro e fuoco la regione dopo avere, ovviamente, rilocato altrove i propri «assetti strategici», vale a dire jihadi e talebani fedeli ai servizi segreti e al governo. Inoltre, negli ultimi anni, la popolazione locale, oltre a subire devastazioni e saccheggi, ha cominciato a subire una sistematica schedatura etnica in tutto il resto del Paese, e a essere discriminata di conseguenza. Non solo: nella regione è stata applicata la medesima ricetta applicata da anni in Balochistan. La gente, oppositori politici, semplici cittadini che protestavano, attivisti e intellettuali ha cominciato a sparire o a essere uccisa in pretestuosi scontri a fuoco pur non avendo mai posseduto un’arma. In febbraio Naqeebullah Mehsud, un aspirante modello con vaghe aspirazioni da attivista per i diritti umani, è stato ucciso in un falso scontro a fuoco con la polizia. È stata la classica goccia: per tre giorni centinaia di persone hanno inscenato un sit in di protesta a Islamabad per chiedere giustizia, ed è nato così il Pashtun Tahafuz Movement che adesso si sta espandendo anche dall’altra parte del confine, in Afghanistan. Il PTM accusa l’esercito di servirsi delle aree tribali per nascondere gli Haqqani e la pletora di jihadi «buoni» al soldo dei servizi segreti e di far vivere la popolazione locale in un clima di puro terrore. E l’8 aprile, tramite una pagina Facebook chiamata «Justice for Pashtun» ha portato in piazza a Peshawar decine di migliaia di persone per protestare appunto contro l’esercito, il governo, la dominazione punjabi. Perfino a Lahore, per l’appunto terra a maggioranza punjabi, si sono riunite ben ottomila persone. Arringate per l’appunto da Manzoor Ahmad Pashteen entusiaticamente paragonato da molti a Che Guevara. Un Che locale, che porta invece del basco un cappello nero con ricami rossi. Che come il Che, è giovanissimo e studia medicina ma che, a differenza del mitico Comandante, non crede nella lotta armata. Pashteen è un convinto pacifista, e crede nella protesta democratica. «Noi chiediamo soltanto di sapere dove sono finite le migliaia di persone scomparse senza lasciare traccia. Vogliamo sape-
re che fine ha fatto la nostra gente e, se tra quelli prelevati dai servizi o dalla polizia ci sono dei criminali, vogliamo che siano processati in un Tribunale. Vogliamo una Commissione che investighi sugli omicidi extra-giudiziali commessi dallo Stato: dai servizi segreti, dall’esercito e da tutti gli altri organismi che hanno torturato e ammazzato civili di etnia pashtun». Per il momento, lo Stato ha risposto a modo suo, come succede da anni in Balochistan. Ha proibito le manifestazioni, sta arrestando o usando violenza a chiunque sostenga il PTM e nei giorni scorsi nove attivisti del movimento sono scomparsi. Pochi giorni fa alcuni «sostenitori» dell’esercito, a Swat, sono piombati con armi e bastoni su una folla pacifica e disarmata di venticinquemila persone. Perfino i negozi che vendevano cappelli simili a quello di Pashteen sono stati chiusi, e i venditori arrestati. Tutto questo succede ormai da mesi, nell’assordante silenzio della stampa locale che, a parte pochi stentati resoconti su un paio di giornali di lingua inglese per definizione «intoccabili», ha avuto ordine di non passare gli articoli dei giornalisti o dei commentatori che si occupavano dell’argomento. Perché criticare l’esercito, in Pakistan, è un esercizio pericoloso. Non si può fare in base a una ineffabile legge varata lo scorso anno, e chi ci prova a dispetto della legge lo fa a suo rischio e pericolo: di venire malmenato, torturato o ucciso. Specialmente quando, come fa il PTM, si accusa lo Stato di fare il doppio gioco nella cosiddetta lotta al terrorismo. Le stesse accuse, cioè, che l’Occidente fa da anni a Islamabad. Accuse a cui, come da manuale, Islamabad ha prima risposto accusando i pashtun di essere manovrati da «agitatori stranieri» e in seguito rilasciando una manciata di attivisti. Il PTM non si è fermato, e non si fermerà, dicono i suoi capi, fino a quando giustizia non sarà fatta. Alcuni certo moriranno, sostiene Pashteen, probabilmente anch’io morirò, ma non possono ammazzarci tutti. Anche perché i Pashtun ammontano a circa il venti per cento della popolazione pakistana. E con le elezioni alle porte c’è il rischio concreto che il movimento venga cavalcato dal politico di turno. O, se le istanze della popolazione cadranno come sempre nel vuoto, di cambiare di segno e di diventare, come è successo in Balochistan, un’altra guerriglia separatista.
Un uomo di fiducia di Raúl Castro, un fedelissimo, uno che finora ha fatto di tutto per ingraziarsi la famiglia Castro, ma comunque una persona che di cognome non fa Castro. È tutta qui la piccola e al contempo gigantesca novità della storia politica di Cuba: formalmente è finito il perpetuarsi della dinastia Castro al potere. Conquistato il governo con una leggendaria rivoluzione che trionfò sul regime di Fulgencio Batista nel 1959, per la prima volta i Castro lasciano la presidenza a un non esponente della famiglia. Miguel Díaz-Canel, ingegnere elettronico di 58 anni, è il nuovo presidente di Cuba: formalmente eletto dall’Assemblea Nazionale cubana, in realtà è stato nominato dopo attento studio dall’ex presidente Raúl Castro, 86 anni, che aveva annunciato il ritiro dalla vita pubblica il giorno dopo la sua nomina per un secondo mandato presidenziale, cinque anni fa. Raúl Castro non uscirà di scena, terrà ancora la guida del partito comunista, l’unico partito legale a Cuba, fino al 2021. E rimane il capo delle forze armate. Por si a caso, si dice all’Avana. Nel caso in cui Raúl si fosse sbagliato nella nomina, si tiene in mano per sicurezza le due cabine di comando del paese. Resta il fatto, straordinario per la portata della novità dettata da esigenze anagrafiche, che il potere, finora concentrato in una sola persona, è ora formalmente almeno in parte in mano a un’altra. Fedelissimo di Raúl, il neo presidente è tenuto sotto osservazione da parecchio tempo da Raúl. Dopo alcuni incarichi amministrativi, nel 2009 fu scelto come ministro dell’Istruzione e tre anni dopo come vicepresidente del Consiglio dei ministri. Ciò dà la misura della disponibilità da lui dimostrata a comportarsi da segretario affidabile di fronte ai Castro, che mai avrebbero tollerato un vicepresidente politicamente autonomo. Fa parte della generazione postrivoluzionaria: non era ancora nato quando ci fu la rivoluzione. Díaz-Canel è stato descritto come uno della vecchia guardia, ma su posizioni molto cautamente aperte rispetto a Fidel e Raúl: si è detto sostenitore dei diritti degli omosessuali e di una maggior accessibilità dei cubani a Internet. Eppure in un discorso tenuto a una riunione a porte chiuse del Partito comunista, ossia quei discorsi che impegnano di fronte al regime, Díaz-Canel ha promesso di chiudere i media critici con il governo (ce ne sono alcuni, pochissimi, e consultabili solo via inter-
net, fonte di informazione che rimane inaccessibile alla stragrande maggioranza dei cubani a causa dei costi della connessione) e ha definito l’allentamento dell’embargo statunitense su Cuba un tentativo di distruggere la rivoluzione, vecchio cavallo di battaglia dei Castro. L’impressione è che Díaz-Canel abbia voluto rassicurare le forze armate, che continueranno ad avere in mano le leve economiche di Cuba. Non c’è fonte di valuta pregiata sull’isola che non sia controllata dalle forze armate: turismo, joint ventures, qualsiasi investimento anche minimo in euro o in dollari passa sotto il controllo (e nelle casse) delle forze armate, che sono i veri proprietari dell’isola del sogno rivoluzionario. Gli osservatori internazionali riflettono: non è chiaro quanto le parole di Díaz-Canel siano state solo dirette a rassicurare la vecchia generazione di rivoluzionari o quanto invece siano state l’espressione effettiva della sua visione politica, dicono. In ogni caso senza la mistica rivoluzionaria dei Castro l’azione di Díaz-Canel sarà giudicata per quel che è, si augura l’«Economist». Non è escluso che il nuovo presidente possa pianificare una serie di cambiamenti costituzionali per dare cittadinanza formale all’introduzione della possibilità del lavoro autonomo, esistente sull’isola da tempo, tollerato dal regime a tempi alterni e infine introdotto nella legislazione con timidi e vaghi cenni da Raúl. I cubani potrebbero votare le modifiche attraverso un referendum, che potrebbe dare a DíazCanel una sorta di incoronamento popolare. Dal 2013 Díaz-Canel è stato il braccio destro di Raùl Castro. Aveva preso il posto di José Ramón Machado Ventura, della generazione dei «barbudos» e già allora Castro aveva spiegato la scelta di Díaz-Canel asserendo che veniva fatta «per favorire la promozione di una nuova generazione». Aveva definito il suo delfino un uomo «sobrio e leale» da «sempre fedele al partito». Cuba ha sempre più bisogno di investimenti stranieri perché il Venezuela non è in condizione di continuare a mantenere economicamente l’isola. Dovrà affrontare il problema della doppia valuta: il peso cubano (Cup), con il quale lo Stato paga i salari, e il peso convertibile (Cuc) usato per il turismo e l’acquisto di immobili. Al cambio servono 24 Cup per un Cuc. Un altro capitolo molto complesso è quello del riordinamento del settore privato, che chiede nuove leggi e maggiore flessibilità. Rimane poi il problema dei rapporti con gli Stati Uniti, dopo lo stop al riavvicinamento diplomatico imposto dalla presidenza di Donald Trump.
Miguel Dìaz-Canel, accanto al suo mentore, Raùl Castro. (Keystone)
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Politica e Economia
Appalti truccati: il PBD trema
Grigioni La Commissione federale della concorrenza scopre un cartello nell’edizilia e nel genio civile attivo per anni
nella Bassa Engadina e multa sette imprese. Un affare che scuote anche la politica cantonale a un mese dalle elezioni Marzio Rigonalli Uno scandalo di ampie dimensioni sta agitando le acque, tradizionalmente quiete, della politica grigionese. La Comco, la Commissione federale della concorrenza, ha inflitto multe per 7,5 milioni di franchi a sette imprese attive nella Bassa Engadina nel campo del genio civile e dell’edilizia. Le imprese sono accusate di aver manipolato tra il 2004 ed il 2012 circa 400 appalti, sottraendo ad enti pubblici e ad aziende private una somma che supererebbe i 100 milioni di franchi. Le informazioni diffuse fin ora consentono di ricostruire il modo di agire di queste imprese. Alla fine di ogni anno, all’interno del Dipartimento cantonale delle costruzioni, dei trasporti e delle foreste, veniva approntata la lista dei progetti che si intendeva realizzare l’anno successivo. Seguendo canali che l’inchiesta dovrà stabilire, le ditte dell’Engadina Bassa entravano in possesso di questa lista e a gennaio, prima dell’ufficializzazione dei lavori, si mettevano d’accordo sull’assegnazione degli appalti nella regione. Decidevano a chi sarebbe stato aggiudicato il mandato e adattavano le offerte fino a percentuali del 45 per cento superiori a quelle del mercato. Il criterio dominante nella suddivisione degli appalti era la grandezza delle imprese. Secondo la Comco, le imprese dell’Engadina Bassa coinvolte nell’inchiesta, hanno creato il cartello più grande e importante mai scoperto in Svizzera nel settore dell’edilizia e del genio civile. Le indagini della Comco sono iniziate nell’autunno del 2012, su segnalazione di un impresario e quando gli indizi sulla possibile esistenza di un cartello nel settore cominciarono a diventare concreti. Nell’aprile del 2013 l’inchiesta venne estesa ad altre ditte ed a tutto il territorio cantonale ed infine, nel 2015, il cerchio si chiuse con il coinvolgimento di altre imprese. L’ultima indagine importante concerne la costruzione di strade in tutto il cantone. Data l’estensione del fenomeno, la
procedura è stata suddivisa in dieci inchieste. Alcune sono già state ultimate, con sentenze meno rilevanti di quella che ha colpito il cartello operante nella Bassa Engadina, altre potrebbero concludersi entro la fine dell’anno. Le imprese colpite dalle decisioni della Comco possono far ricorso al Tribunale amministrativo federale. Molti sono gli aspetti di questa manipolazione degli appalti che destano stupore e che fanno sorgere vari interrogativi. Innanzitutto, l’importanza delle somme in gioco. Sono centinaia di milioni di franchi. Il cartello ha causato spese più elevate per lo Stato, con possibili ripercussioni sul carico fiscale della popolazione e delle imprese. Il governo cantonale ha subito ordinato un’inchiesta esterna sul modo in cui gli appalti venivano assegnati e, con ogni probabilità, adirà le vie legali per ottenere un risarcimento per il danno subito. Poi, la lunga durata di questo modo illegale di agire. Qualche segnale c’era pur stato, ma nessuno ebbe il coraggio di far avviare un’inchiesta. Non è esagerato parlare di una forma di omertà che è prevalsa sulla difesa dell’interesse pubblico. Infine, appare evidente che questi impresari hanno potuto usufruire di complicità, o per lo meno di passività, da parte di alcuni politici e funzionari cantonali. Politici che talvolta erano attivi negli uffici tecnici regionali. Toccherà all’inchiesta stabilirne la gravità. L’inchiesta sugli appalti pilotati rischia di contraddistinguere la vita pubblica grigionese per molti anni. Le responsabilità e le complicità non possono essere definite e punite in poco tempo. Intanto, si sono già avvertite prime ripercussioni sulla vita politica. Il cantone è vicino alle elezioni che, il prossimo 10 giugno, prevedono il rinnovo del governo e del parlamento cantonali. Vive dunque un periodo di intensa campagna elettorale Per ora, il partito che risulta maggiormente colpito e che rischia di ritrovarsi fortemente penalizzato sul piano elettorale, è il PBD. Proprio quel partito che dai suoi elettori attende una conferma
Andreas Felix, presidente del PBD grigionese e presidente degli impresari, è il primo politico a pagare per «appaltopoli» (al centro un corrucciato Martin Landolt, presidente del PBD). (Keystone)
che possa contribuire alla sua sopravvivenza nazionale. Il partito borghese democratico ha due seggi su cinque in governo. Quello occupato dalla signora Barbara Janom Steiner, direttrice del Dipartimento delle finanze e dei comuni, e quello detenuto da Jon Domenic Parolini, direttore del Dipartimento dell’economia pubblica e socialità. Dopo dodici anni di attività governativa, la signora Janom Steiner non può più ricandidarsi. Il partito ha scelto come suo possibile successore Andreas Feliz, presidente del PBD cantonale e direttore della Società retica degli impresari dal 2008. L’appaltopoli però l’ha travolto, anche se lui afferma di non essere stato al corrente delle manipolazioni, e l’ha costretto a rinunciare alla sua candidatura in governo, nonché a dimettersi dalla presidenza cantonale del suo partito. Di fronte a questa improvvisa rinuncia, il PBD ha preferito accantonare l’idea di presentare un altro candidato, invocando il troppo breve lasso di tempo ancora a disposizione. Ha ritenuto che quaranta giorni non fossero sufficienti per preparare una candidatura seria
Panorama in mutamento Carta stampata Riflessioni attorno alla vendita della
«Basler Zeitung», alla fine di Publicitas e al processo vinto dal «Caffè» Enrico Morresi Exit Basel. La notizia dell’acquisto della «Basler Zeitung» da parte del Gruppo zurighese Tamedia segna la fine di una grande tradizione: quella del giornalismo basilese di fede liberale. Come testata, la «BZ» non è antica: risale al 1976, all’atto della fusione della «National-Zeitung» e delle «Basler Nachrichten». Le testate precedenti erano figlie dell’Ottocento liberale: fondate nel 1856 le «BN» e nel 1860 la «N-Z», svolsero nella prima metà del Novecento un ruolo essenziale nella difesa della tradizione umanitaria
della Svizzera. Ricordato è, in particolare, Albert Oeri (1875-1950), consigliere nazionale del piccolo partito liberale tra il 1931 e il 1949, direttore delle «BN», tenace oppositore della censura di Stato e strenuo difensore dell’accoglienza dei rifugiati durante la guerra. La «Basler Zeitung» vantava una tiratura di 95’500 copie nel 1979. Passata di proprietà attraverso varie mani, tra cui quelle del finanziere ticinese Tito Tettamanti, era caduta nel 2016 a 48’000. Ultimo proprietario risultava il leader dell’UDC Christoph Blocher. I commenti prevalenti dopo la cessione della proprietà lasciano per-
Christoph Blocher e Pietro Supino, CEO di Tamedia: Blocher ha ottenuto in cambio della BAZ una serie di giornali gratuiti nell’area di Zurigo. (Keystone)
plessi. Si avverte come un sospiro di sollievo: Blocher perde un quotidiano, pare... una buona notizia. Secondo me invece più importante è il consolidarsi del processo di concentrazione della proprietà. Tamedia è già proprietaria di quasi tutta la stampa romanda («Le Matin», «Tribune de Genève», «24Heures»), del più diffuso giornale di Zurigo: il «Tages-Anzeiger», dei bernesi «Der Bund» e «Berner Zeitung», del domenicale «Sonntags-Zeitung» e delle tre edizioni di «20 Minuti». Una situazione sana? No, anche prescindendo dalla durezza con la quale l’editore zurighese riduce gli effettivi dei giornali che assorbe. Se si aggiunge che un altro gruppo zurighese, quello della «Neue Zürcher Zeitung», ha assunto ed esercita con mezzi discutibili una posizione dominante in giornali della Svizzera centrale e orientale, lo scenario è quello di una prevalenza malsana degli interessi di Zurigo sopra la storica configurazione decentrata del nostro Paese. Anche la SSR «razionalizza», concentrando a Zurigo gli studi di produzione radiofonica: di pericoli perciò se ne delineano anche più gravi (perché più sottili) del populismo di cui Blocher è il capofila.
che potesse avere buone probabilità di successo. Ha così abbandonato, senza combattere, la maggioranza relativa che deteneva in governo durante questa legislatura e adesso spera di conservare il seggio occupato da Jon Domenic Parolini, se gli elettori lo riconfermeranno il 10 giugno. Per il governo restano in gara sei candidati, tutti uomini. Tre sono uscenti: Mario Cavigelli del PPD, Christian Rathgeb del PLR e Jon Domenic Parolini del PBD. Tre tentano di farsi eleggere per la prima volta: Walter Schlegel dell’UDC, Peter Peyer del PS e Markus Caduff del PPD. Uno dei sei candidati resterà fuori. Anche se è sempre difficile fare previsioni, una delle ipotesi più probabili è che il nuovo esecutivo comprenderà rappresentanti di ben cinque partiti. L’appaltopoli, però, potrebbe ripercuotersi anche sull’elezione del Gran Consiglio. Il PBD vi detiene 27 membri, dei quali ben 14 non si ripresentano. Quattro anni fa c’erano state soltanto tre rinunce. La difesa degli attuali seggi non è facile, tenuto conto del rinnovo di molti candidati e delle difficoltà che il
PBD ha incontrato un po’ ovunque, in tutti i cantoni dove ha cercato di essere presente. I recenti fatti legati agli appalti potrebbero rendere questa difesa ancora più problematica e sancire una caduta di consensi, che si aggiungerebbe alla perdita di un seggio in governo. Il 10 giugno è una data cui i dirigenti del PBD guardano con una certa apprensione. Come è noto, la presenza nazionale di questo partito dipende in gran parte dalla sua forza elettorale nei tre cantoni dove è sorto, staccandosi dall’UDC, e dove ha avuto subito una buona presenza: Berna, Glarona e Grigioni. Nel canton Berna, lo scorso mese di marzo, il PBD ha difeso il suo seggio in governo ed ha perso un solo rappresentante in Gran Consiglio. Nel canton Glarona è riuscito pure a difendere il suo seggio in governo ed il 10 giugno affronterà l’elezione del parlamento cantonale. L’appuntamento elettorale nei Grigioni costituirà un’ultima prova, probabilmente non ancora decisiva, ma senz’altro suscettibile di fornire serie indicazioni sulla futura consistenza elettorale del Partito borghese democratico e sul suo divenire.
Ticinesi in calo. La crisi della pubblicità ha colpito anche in Ticino. Per uno dei tre quotidiani sopravvissuti alla crisi degli anni Novanta – il «Giornale del Popolo» – si tratta anche una crisi di fiducia: non si spiegherebbe altrimenti il forte calo delle copie vendute: da 15’729 ancora nel 2013 a 9’918 nel 2017. Il giornale diretto da Don Alfredo Leber tirava più copie nel 1952: 10’160! Gli altri due fogli conoscono pure un calo, ma abbastanza contenuto: il «Corriere del Ticino» da 33’447 nel 2013 a 29’791 nel 2017, «laRegione» da 29’638 a 24’516. Regge bene «20 Minuti» (gratuito): da 33’823 a 32’173 nello stesso periodo. La REMP, l’agenzia nazionale che fa questi calcoli, tiene ovviamente conto che un giornale può essere letto da più di una persona: ma anche questa statistica, a partire dal 2000, per il «Corriere» e «laRegione» registra dapprima una crescita, fino a 126’000 e 109’000 lettori nel 2009, poi un calo, fino a 102’000 e 92’000 dell’ultimo rilevamento (primo semestre 2018). Un nuovo elemento di incertezza si delinea per «laRegione» e il GdP dopo l’annuncio che Publicitas ha chiesto la moratoria concordataria. I due quotidiani, infatti, ne dipendono per la raccolta della pubblicità, mentre il «Corriere» è da alcuni anni autonomo (se ne occupa la «MediaTI Marketing»). Inoltre il CdT si appresta a costituire, in collaborazione con altre testate di oltre San Gottardo, una nuova società che si propone di facilitare la pianificazione di campagne pubblicitarie, semplificando le procedure. Miti superati. Le Camere federali
dovranno pronunciarsi a breve su una mozione che chiede la devoluzione di una piccola parte del canone radiotelevisivo a finanziare l’Agenzia telegrafica svizzera. Voci contrarie si sono levate, non tanto dalla SSR, quanto da quegli editori e partiti politici che ancora credono al mito della lotta del privato contro il pubblico. Di fatto, una fornitura a prezzi politici di un servizio-base di notizie offerta dall’ATS sarebbe un aiuto benvenuto dalle testate più deboli, che da esso dipendono fortemente. Vince Strasburgo. Buttata in politica, la sentenza con cui, il 4 maggio, il giudice della Pretura penale Siro Quadri ha mandato assolti quattro giornalisti del «Caffè» dall’accusa di diffamazione e concorrenza sleale nei confronti della Clinica S. Anna di Lugano è una vittoria dei «fremde Richter»: i giudici stranieri presi di mira dall’iniziativa popolare dell’UDC. Il giudice ha insistito sulla funzione di «cane da guardia» che la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo assegna alla stampa. La definizione risale a una sentenza del 1992 e riconosce ai media il diritto di suonare le campane a morto ogni volta si profili una seria minaccia per la cittadinanza. Difficile sostenere che – allo stato delle informazioni in possesso della redazione al momento della pubblicazione degli articoli – il giornale non avesse il dovere, e non solo il diritto, di porre seri interrogativi circa il comportamento della clinica, dopo il «caso» del medico che per errore amputò entrambi i seni alla paziente sbagliata.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 maggio 2018 • N. 20
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Politica e Economia
I lunghi anni Sessanta Il ’68 in Svizzera – 1. In quale contesto storico matura nel nostro
paese la protesta giovanile e studentesca? Un’analisi in due tappe
Orazio Martinetti Sul ’68 – sulla sua importanza, sul suo significato, sulle sue conseguenze –, i giudizi non sono mai stati concordi. Chi cinquant’anni fa lo condannava, lo condanna tuttora come capriccio di giovani viziati; chi allora lo esaltava, continua ad esaltarlo come una stagione formidabile. Non fu una rivoluzione nel senso classico del termine. Fu una ribellione, un colpo di maglio che rompeva con un certo passato, nelle famiglie, nei partiti, nelle scuole (dalle medie superiori agli atenei), nella Chiesa, nei costumi, nella stampa e nella cultura. Meno nell’universo del lavoro, giacché i protagonisti furono innanzitutto studenti, in particolare gli universitari. La saldatura con gli operai non avvenne nella misura auspicata, salvo che in Francia (in Italia fu determinante l’«autunno caldo» dell’anno successivo).
La Svizzera non aveva mai conosciuto tanta prosperità prima di allora, ma al suo interno cresceva il dissenso Anche sull’interpretazione del ’68 come cesura del corso storico, i pareri divergono. Oggi la storiografia tende a collocare quella densa stagione nell’alveo degli anni ’60, decennio a sua volta da inserire nel «trentennio glorioso» del secondo dopoguerra: sviluppo economico, ripresa demografica, incremento dei consumi, progressiva democratizzazione degli studi. Il ’68 fu un fenomeno globale, dagli Stati Uniti all’Europa; globale e urbano, ma con ricadute anche sul piano locale, in piccoli centri come Locarno, dove suscitò scalpore e aspre discussioni l’occupazione dell’aula 20 della magistrale. Segno che l’elettricità che sprigionava, amplificata dalla televisione, seduceva tutti, anche i giovani che vivevano nella provincia. Improvvisamente, nei salotti delle case irrompevano le terribili immagini della guerra del Vietnam, le rivendicazioni del Terzo Mondo, le
proteste dei neri americani e, all’est della cortina di ferro, la repressione della Primavera di Praga. I giovani divennero protagonisti e, insieme, una categoria sociologica a sé, in grado di ritagliarsi un relativo spazio autonomo nella società, sia come forza di contestazione, sia come potenziale acquirente dei prodotti dell’industria culturale (musica, cinema, moda). La Svizzera non fu certamente l’epicentro del movimento. Paese ancora retto da strutture arcaiche, marcatamente patriarcali, ancora nel 1959 aveva rifiutato il suffragio femminile, con una percentuale del 67 per cento (solo i cantoni di Ginevra, Neuchâtel e Vaud l’avevano approvato). Il paese, in quel torno di tempo, preferiva non aderire alle istituzioni e agli accordi che si andavano profilando nel continente, come la Comunità europea, le Nazioni Unite, il Consiglio d’Europa. La Svizzera era e voleva rimanere un’isola neutrale, ma le sue scelte apparivano, soprattutto nei cantoni romandi, miopi e impermeabili alle sollecitazioni esterne. Era un clima, favorito dalla guerra fredda, che rinchiudeva ancora il dibattito politico nel recinto angusto della «difesa spirituale» congegnata negli anni 30 per contrastare l’infiltrazione nazifascista. La ripresa economica, fondata su un apparato produttivo rimasto intatto, bastava a tacitare le voci critiche. In fondo la Confederazione non aveva mai conosciuto una prosperità simile. Tessili, alimentari, chimica, metalmeccanica, orologeria erano branche che anno dopo anno registravano tassi di crescita invidiabili, sorrette da un efficiente settore bancario. L’altro settore trainante era l’edilizia, il genio civile incaricato di colmare i ritardi in campo infrastrutturale: strade e autostrade, ponti e gallerie, e poi mastodontici impianti idroelettrici nel cuore delle Alpi, con le relative condotte forzate. Un’altra fonte promettente era l’energia d’origine nucleare, che però richiedeva notevoli investimenti e un elevato capitale di conoscenze. La prima pietra fu posta nel 1953 con l’inaugurazione del CERN (Centro europeo di ricerca nucleare). Il cammino fu tuttavia lungo: solo nel 1968 entrò in funzione il
reattore sperimentale di Lucens (peraltro subito chiuso l’anno successivo per guasto). La rapida crescita economica del dopoguerra genera anche inquietudini e interrogativi sul senso del progresso e sui fini ultimi della tecnica. La diffusione su larga scala della catena di montaggio, con la segmentazione delle mansioni che comporta, riporta all’ordine del giorno la questione dell’alienazione del lavoro umano, ormai ridotto a semplice rotella della grande macchina. Sarà uno dei temi più discussi dalla sociologia, sulle orme delle ricerche del francese Georges Friedmann, autore, nel 1956, del volume Le travail en miettes [Il lavoro in frantumi]. L’altro argomento che più turba l’opinione pubblica è l’energia atomica, il suo impiego sia in campo militare che civile. Il proposito di dotare l’esercito svizzero di un armamento atomico innesca un acceso dibattito, che nel biennio 1962-1963 sfocia nel voto su due iniziative popolari. La prima esigeva un divieto totale; la seconda, più blanda, chiedeva di demandare al popolo l’ultima parola. L’esito delle due consultazioni fu favorevole all’esercito, ma ugualmente non se ne fece nulla, dato che nel frattempo si era preferito puntare su altri sistemi d’arma, meno costosi e meno tecnologicamente impegnativi. Inoltre, nel 1964, era scoppiato lo scandalo dei Mirages, l’acquisto di cento velivoli da guerra dalla Francia. La deliberata sottostima dei costi indusse il parlamento a ritirare la cambiale in bianco che fino a quel momento aveva concesso ai vertici militari. Diverso fu invece il destino del nucleare civile, che poté proseguire il suo cammino fino all’incidente di Lucens; da quell’anno le marce antinucleari si intensificarono, per toccare il culmine nel 1975 con l’occupazione dei terreni di Kaiseraugst, località prescelta per edificare una centrale atomica. Sul piano politico, regnava la concordia, o meglio la «Konkordanzdemokratie» fondata sulla formula magica varata nel 1959, ovvero due liberali-radicali, due conservatori, due socialisti ed un esponente del partito dei contadini e degli artigiani. Con la formula 2+2+2+1
L’occupazione, nel 1975, del sedime a Kaiseraugst in cui avrebbe dovuto sorgere una nuova centrale nucleare – progetto poi abbandonato. (Keystone)
terminava ufficialmente la lunga stagione dell’opposizione socialdemocratica al dominio liberale; si concludeva insomma un cammino i cui primi passi risalivano al 1935 (con l’adesione del partito alla difesa nazionale), al 1937 (pace del lavoro tra sindacati e padronato), al 1943 (ingresso del primo socialista – Ernst Nobs – nella compagine governativa). L’integrazione del PSS nell’esecutivo federale, e in molti esecutivi cantonali, equivaleva ad includere nel consesso governativo tutti i principali partiti, che assieme raccoglievano l’8085 per cento dei consensi. All’opposizione rimanevano soltanto le frange estreme di destra e di sinistra. L’anticomunismo provvedeva inoltre a cementare l’unità nazionale. Crescita, aumento dei salari e dei consumi, tempo libero e voglia di divertirsi. Dal mondo anglosassone giungevano mode e stili musicali che rompevano gli schemi e che inacidivano il dialogo tra le generazioni. Erano i segni del «progresso». Che però non si presentava sotto le fattezze di una figura piana e liscia, ma come un poliedro le cui facce potevano anche nascondere lati oscuri e potenzialmente
autodistruttivi, come si capirà con la diffusione delle droghe naturali e sintetiche. Ma progresso significava anche urbanizzazione, declino delle tradizioni legate alla civiltà rurale, rimescolamento della struttura sociale. L’arrivo di migliaia di operai stranieri, soprattutto italiani, ridestò l’antico spettro dell’«Überfremdung». Ai bordi delle città, nel frattempo diventate agglomerati, spuntarono palazzi e casermoni, eretti per ospitare le nuove maestranze chiamate ad alimentare il miracolo economico svizzero. Agli occhi delle cerchie conservatrici tutto questo finiva per intaccare le antiche usanze popolari e per minare lo spirito patriottico («Volk und Heimat»). Paure, insicurezza e diffidenza verso il pianeta «Gastarbeiter» portarono nell’area zurighese alla fondazione, nel 1961, della «Nationale Aktion gegen Überfremdung von Volk und Heimat», passo iniziale di una campagna antistranieri che avrebbe segnato i decenni successivi. Nel 1965 fu lanciata la prima iniziativa antistranieri (poi ritirata); nel 1968 la seconda, detta «di Schwarzenbach», che invece giunse alle urne del 1970 (respinta, sia pure di misura). Annuncio pubblicitario
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Yohannes Berhane (22 anni), rifugiato Si integra grazie alla sua formazione
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 maggio 2018 • N. 20
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Politica e Economia
Stipulare adesso un’ipoteca fissa? La consulenza della Banca Migros
Thomas Pentsy
Andamento dei tassi ipotecari (valori medi in Svizzera) 5%
Tasso per ipoteche fisse a 5 anni
4%
Tasso per ipoteche Libor (fissazione del tasso a 3 mesi, durata 5 anni)
3%
2%
1%
La Banca Nazionale Svizzera (BNS) al momento non vede alcuna ragione per un allontanamento repentino dalla sua politica monetaria e continua a mantenere il tasso di riferimento invariato. La BNS aumenterà il suo tasso di riferimento solo dopo la BCE e ciò avverrà non prima di inizio 2019. Nei lunghi periodi, al contrario, i tassi sono già cresciuti; nella prospettiva
annuale dovrebbero essere acquisiti ulteriori 0,25 punti percentuali. Analogamente, anche i tassi d’interesse per le ipoteche fisse registreranno un ulteriore rialzo. Pertanto i beneficiari dei crediti poco propensi al rischio ritengono che sia il momento giusto per stipulare un’ipoteca fissa. Attualmente l’aumento dei tassi delle ipoteche fisse rispetto alle ipo-
2018
2017
2016
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2014
2013
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2010
2009
0%
2008
Thomas Pentsy è analista di mercato e dei prodotti presso la Banca Migros
L’aumento dei tassi è iniziato. Negli Stati Uniti così come in Europa i tassi a lungo termine quest’anno sono aumentati e, dopo anni in territorio negativo, anche gli stessi titoli decennali della Confederazione negoziano nuovamente al di sopra della soglia dello zero per cento. La forza motrice dell’aumento dei rendimenti sono soprattutto le ottime prospettive congiunturali. Con il suo nuovo presidente Jerome Powell, la banca centrale degli Stati Uniti a marzo ha aumentato il suo tasso di riferimento di 0,25 punti percentuali passando dall’1,5 all’1,75 percento. Inoltre la Fed ha segnalato ulteriori aumenti dei tassi. Per il 2018 prevediamo tre ulteriori rialzi del tasso di riferimento. Con ulteriori incrementi dei tassi la Fed ha la possibilità di contrastare un surriscaldamento della congiuntura. In Europa la Banca Centrale Europea (BCE) non ha ancora intrapreso interventi sui tassi, ma solo leggere modifiche ai suoi acquisti di obbligazioni. Tuttavia, l’avvicinarsi del termine del programma di allentamento quantitativo della politica monetaria (programma QE) darà una leggera spinta al rialzo agli interessi in Euro a lungo termine. Inoltre, riteniamo sia molto improbabile che vengano innalzati i tassi di riferimento prima della conclusione del programma di allentamento quantitativo.
teche Libor è ancora ridotto. Ma nel contesto di interessi a lungo termine in aumento si prevede un incremento. I beneficiari dei crediti propensi al rischio non hanno ancora esigenze di intervento. Naturalmente anche per le ipoteche Libor si devono considerare costi elevati degli interessi, ma nel prossimo futuro l’aumento dei tassi dovrebbe rimanere contenuto. Annuncio pubblicitario
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Politica e Economia Rubriche
Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Pianificazione del territorio, sempre d’attualità Tra i tanti anniversari che si celebreranno quest’anno, in Ticino, è possibile che uno passi inosservato: quello dei cinquant’anni dall’approvazione da parte del nostro Gran Consiglio del primo progetto di legge urbanistica cantonale. Come si sa questo progetto, per molti aspetti molto in avanti rispetto alla legislazione in materia allora esistente nei Cantoni svizzeri, fu respinto dall’elettorato nella votazione sul referendum, svoltasi nell’aprile del 1969. E questa potrebbe essere la ragione per la quale non si celebreranno i 50 anni dalla sua approvazione in parlamento: le leggi non approvate dal popolo passano nel dimenticatoio. Non così i problemi che le stesse si proponevano di risolvere come, nella fattispecie, i problemi legati allo sviluppo edilizio molto rapido negli agglomerati urbani del Ticino. Dopo che il primo progetto di legge urbanistica cantonale venne respinto si dovettero attendere altri venti anni prima che
una legge cantonale sulla pianificazione del territorio vedesse la luce. Quest’ultima venne concepita come strumento per facilitare l’applicazione della legge federale del 1979, introdotta nel frattempo, dopo che l’elettorato svizzero e quello del Ticino ebbero accettato di attribuire alla Confederazione, nell’autunno del 1969, le necessarie competenze in materia. Se parliamo oggi di pianificazione del territorio (termine utilizzato solamente dalle nostre parti) o di urbanistica (termine più consono alla lingua italiana) non è però per celebrare l’anniversario del primo progetto di legge urbanistica cantonale, quanto per accennare all’evoluzione più recente in questo campo. Nel marzo del 2013, come qualche lettore ricorderà, l’elettorato svizzero aveva accettato la revisione della legge federale che gli era stata sottoposta come controprogetto all’iniziativa popolare sul paesaggio, la quale, invece, venne respinta. Una delle maggiori
novità della revisione consisteva nella volontà di ridurre l’estensione delle zone edificabili per contenere la frammentazione del territorio. Con questo termine, in tedesco Zersiedlung, i pianificatori intendono designare sia il continuo aumento della superficie edificabile, in particolare alla periferia degli agglomerati urbani, sia anche la costruzione di edifici isolati, fuori dalle zone edificabili stabilite. Impedire un’ulteriore frammentazione del territorio è uno dei principali obiettivi della pianificazione del territorio. Ed è anche l’obiettivo che, nel corso degli ultimi cinquant’anni, non si è riusciti a soddisfare. Ora, però, vuoi per effetto del nuovo indirizzo in materia di politica di pianificazione, vuoi anche per effetto di un mutato apprezzamento da parte di tutti i professionisti dell’edilizia di quanto importante sia questo obiettivo (mai come in questi ultimi dieci anni si è densificato, costruendo per esempio grattacieli nelle
città svizzere e anche nelle corone dei loro agglomerati), sembra che si sia riusciti a frenare un’ulteriore frammentazione. E questo anche se il nuovo indirizzo pianificatorio, che insiste sulla riduzione delle zone edificabili, non ha ancora trovato dappertutto applicazione. La nuova legge federale è entrata in vigore nel maggio del 2014. Entro il 2019 toccherà ai Cantoni rivedere i loro piani direttori per dare attuazione al principio del contenimento delle aree edificabili. Finora il Consiglio federale ha approvato i piani direttori rivisti di undici Cantoni. Gli altri, tra i quali il Ticino, stanno lavorando per terminare la revisione entro il 2019. Intanto l’Ufficio federale di statistica ci fa sapere che, nel quinquennio 2012-2017, pensiamo per la prima volta da quando esiste la pianificazione, la superficie delle zone edificabili in Svizzera non è cresciuta anche se la popolazione è significativamente aumentata. La superficie
edificabile per persona è addirittura diminuita da 309 a 291 metri quadrati. È un’inversione di tendenza che deve essere salutata positivamente. Non è però di portata tale da contentare chi si batte per difendere il paesaggio. I giovani del partito dei verdi hanno così raccolto le firme per un’iniziativa che intende impedire che, anche in futuro, le zone edificabili possano crescere. Essi vorrebbero introdurre nella Costituzione – in analogia con la legge forestale – il principio stando al quale nuove zone edificabili possano essere create solo se, parallelamente, si eliminano zone edificabili non utilizzate per una superficie equivalente. Il Consiglio federale e, nella recente sessione primaverile, anche il Consiglio degli Stati propongono di respingere questa iniziativa. A sostenerla, per il momento, ci sono solo i giovani verdi, il loro partito e i giovani socialisti. La decisione finale spetterà però all’elettorato.
nella quiete d’alta quota. Di silenzio e di solitudini parlano pure molti testi di autori nordici (norvegesi, finlandesi, svedesi), alle prese con i lunghi inverni che ritmano le giornate dell’emisfero settentrionale. Da questi testi si ricavano molte lezioni. Il distacco dalla frenesia quotidiana favorisce il raccoglimento e la meditazione; offre sollievo, abbassa il battito cardiaco, rigenera il fisico e lo spirito. Ma nel contempo invita a «leggere» il territorio con occhi diversi. L’ultimo quaderno che Gea pubblica (n. 37) riporta un denso saggio di Ruggero Crivelli, docente all’Università di Ginevra sul tema «cosa insegnano le Alpi ad un geografo». Insegnano molte cose, sostiene l’autore, ma a patto di aguzzare la vista, pre-condizione assoluta per scavare sotto la crosta delle apparenze. Occorre insomma saper cogliere i segni nello spazio e
nel tempo: impronte e sedimentazioni lasciate dalle popolazioni che nel corso dei secoli hanno «occupato» le montagne, piegandole alle esigenze del momento. Le Alpi come «insieme di segni» distribuiti in modo difforme, poco visibili perché frutto di stratificazioni secolari. Uno dei rivelatori di questa indefessa attività, oggi in parte abrasa dalla modernità galoppante che tutto spiana e livella, è rappresentata dalla ragnatela dei toponimi. Nominare un luogo vuol dire renderlo riconoscibile per inserirlo nel ciclo dei lavori stagionali e delle transumanze. Uno spazio innominato finisce nel buco nero dei non-luoghi invasi dal bosco e dalle sterpaglie. Eugenio Turri – uno dei numi tutelari di Gea accanto a Claude Raffestin – parlava in proposito di «semiologia del paesaggio»: una trama di orme impresse nella terra dai frequentatori degli spazi montani:
agricoltori, allevatori, viandanti, pellegrini, eserciti, letterati. Solo questo sguardo attiva l’empatia e quindi il rispetto dei luoghi; solo questo approccio è in grado di alimentare politiche e programmi di sviluppo che non riducano la catena alpina ad una miniera a cielo aperto, sfruttabile a piacimento (acqua, neve, vento, legna). Le riflessioni che Crivelli espone in questo suo saggio sono ampiamente condivisibili. Trascura però un aspetto vitale, ineludibile: l’aspetto demografico. Concretamente l’esodo dei giovani, l’invecchiamento che svuota le case dei villaggi, il calo degli agricoltoriallevatori. Nessuna rinascita delle valli sarà mai possibile in assenza della risorsa-uomo (donna), nessun rilancio, nessuna iniziativa culturale destinata a durare. Le Alpi disabitate non potranno che finire nelle mani della speculazione e degli interessi esterni.
Cantoni e spigoli di Orazio Martinetti Diamo merito ai geografi Quella della geografia, nei programmi scolastici, è una presenza discreta. C’è ma non fa rumore come altre materie ritenute politicamente sensibili, e non suscita polemiche. Nel campo delle scienze umane è rimasta sempre un po’ ai bordi, intimidita e silente. A parole tutti riconoscono allo studio del territorio un ruolo formativo e civile. Fondamentale, certo, ma non come la letteratura, la storia, la filosofia, l’educazione civica, l’economia. Nella mente delle generazioni meno giovani è rimasta conficcata come un chiodo l’immagine di una materia arida, zeppa di bandiere, nozioni, fiumi valli montagne città da mandare a memoria. E questa nomea l’ha rovinata. Da tempo non è più così, come sa bene chi la coltiva, tra cui la nostra benemerita «Gea-Paesaggi territori geografie», società che raduna docenti e cultori della disciplina. Alla geografia fisica si
è via via aggiunta nel corso dei decenni la geografia umana, la geostoria, la geopolitica, contaminazioni che hanno arricchito il suo statuto originario, dilatandone gli orizzonti. Spazio e tempo, uomini e risorse, migrazioni e sviluppo urbano, trasporti e vie di comunicazione. I libri che oggi vanno per la maggiore, e che narrano di viaggi, di mappe, di frontiere vecchie e nuove, poggiano tutti su questo modo di osservare l’ambiente circostante, uno spazio sollecitato, trasformato, e spesso reso irriconoscibile da interventi scriteriati. Più il paesaggio sprofonda nel cemento e nell’asfalto, più gli abitanti cercano riparo e conforto nelle aree non ancora corrose dalla civiltà delle macchine, negli angoli remoti, nella natura allo stato selvaggio. Il successo dei racconti di Paolo Cognetti si spiega anche così, come desiderio di fuggire da un mondo vissuto come estraneo per rifugiarsi
Affari Esteri di Paola Peduzzi Trump rompe l’accordo: l’Iran finanzia il terrorismo L’America è uscita dall’accordo sul nucleare iraniano negoziato nel 2015 con Francia, Regno Unito, Germania, Russia, Cina e Unione europea. Donald Trump (foto) aveva già detto più volte che l’accordo – che sospende le sanzioni internazionali alla Repubblica islamica d’Iran in cambio della sospensione del programma atomico da parte degli iraniani – non era favorevole agli interessi americani e soprattutto a quelli di Israele, e che andava rivisto. Dopo anni di negoziati, gli europei non volevano rimettere mani al patto, ma hanno tentato di convincere il presidente americano a restare, e di avviare nuove trattative per un «potenziamento» dello stesso. La charm offensive europea è fallita, Trump, allineato con il governo israeliano di Benjamin Netanyahu, ha detto che l’accordo così com’è è inutile e pericoloso, perché serve soltanto a ritardare, nel migliore dei casi, la costruzione dell’arma atomica da parte dell’Iran. Gli ispettori internazionali non hanno accesso ai siti militari («voi americani vi porterete nella tomba il sogno di avere accesso ai nostri segreti
militari», ha detto uno dei consiglieri della Guida Suprema, Ali Khamenei) e Teheran continua i test e lo sviluppo di missili – alcuni dei quali possono trasportare anche testate atomiche. Quando nel 2015 fu negoziato l’accordo, molti sostennero che era stato concesso troppo credito all’Iran e che le capacità di controllo erano ridotte.
Barack Obama, che è stato il regista del negoziato e considera il ritiro di Trump un grave errore, disse allora che c’erano soltanto due alternative: fare l’accordo o fare la guerra. Il deal si limitava così a contenere la minaccia nucleare: no a nuove centrifughe, tetti alle riserve di uranio, processo di arricchimento tenuto nei limiti prefissati. In cambio sono state tolte le sanzioni, cioè per la prima volta da tre decenni l’Iran si è riaffacciato sul mondo. Con che faccia? Quella di chi vuole cogliere l’occasione: il presidente Hassan Rohani, considerato un moderato, ha fatto dell’accordo un’arma per blandire gli iraniani e per tenere sotto controllo i falchi del regime di Teheran, che non tolleravano il dialogo con il Grande Satana americano ma allo stesso tempo sapevano che il sistema era arrivato a un punto di saturazione, e che il rischio implosione era alto. L’Iran non ha violato l’accordo nucleare: gli ispettori sono entrati undici volte e soltanto in un caso hanno rilevato l’utilizzo di una centrifuga che avrebbe dovuto essere smantellata. Una volta
fatto notare, la centrifuga è stata dismessa. Tecnicamente è stata l’America a violare il deal, uscendone in modo unilaterale, in contrasto con il resto degli alleati. Ma con motivazioni forti: l’intelligence israeliana ha rivelato che l’ambizione nucleare di Teheran non è mai sopita – «Iran lied», l’Iran ha mentito è lo slogan del governo israeliano – e l’impossibilità di controllare i siti militari fa temere che sia lì la sede delle eventuali violazioni. Al di là del nucleare, sono le altre promesse implicite a essere state violate: i test missilistici e soprattutto il riscatto del popolo iraniano. Il mercato iraniano si è aperto al mondo, soprattutto nel business del gas e del petrolio in cui l’Iran ha un peso enorme, e inizialmente la crescita del Paese è stata sostenuta: 12, 5 per cento. A oggi le previsioni del Fondo monetario sono del 4 per cento per il 2018, la metà di quanto ha previsto Rohani nel suo piano a cinque anni dopo l’accordo. I proventi da petrolio che ci sono stati, e tanti, sono finiti a finanziare la guerra di espansione in Medio Oriente, in particolare in quel conflitto drena-risorse
che è la Siria. In questo modo anche la speranza insita nel dialogo con Teheran – un nuovo interlocutore per risolvere le crisi, non per accelerarle – è sfumata: era in realtà una speranza azzardata, l’Iran ha smesso di arricchire uranio ma non di sponsorizzare gruppi e regimi alleati, e non c’è mai stato il sentore – nonostante le tante dichiarazioni europee – di un eventuale approccio in questo senso. Ora l’Iran vuole verificare con gli altri firmatari se resistono certe «garanzie» e andare avanti con l’accordo. Donald Trump invece ha reintrodotto tutte le sanzioni che esistevano prima dell’accordo, e in questo modo condiziona anche il business degli altri firmatari. Nell’Amministrazione molti sono convinti che il regime arriverà presto al punto di rottura: è troppo esposto in Siria, la valuta è crollata, gli scioperi non si fermano. Gli idealisti del regime change dicono che questo è il momento buono, di prepararsi, ma intanto chiedono coerenza a Trump: ora che hai rotto con l’Iran, non ritirare le truppe dalla Siria.
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Cultura e Spettacoli Fare (grande) musica Abbiamo incontrato Ezio Bosso, grande musicista e comunicatore... nonostante pagina 33
Fantascienza cavalleresca Esce per La nave di Teseo il nuovo romanzo di Ermanno Cavazzoni, La galassia dei dementi: ce ne parla il suo autore
Sulla scena ticinese Il nostro cantone offre un cartellone teatrale ricco di proposte di carattere regionale
Il Festival delle donne A Cannes il glamour del tappeto rosso invita a vedere il meglio del cinema contemporaneo
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Immagini sacre attorno alla mummia di Nakht-taNetjeret. (Alain Germond / Musée d’ethnographie de Neuchâtel)
Il (non) valore degli oggetti Mostre Il Museo di etnografia di Neuchâtel invita lo spettatore a soffermarsi sull’impermanenza delle cose Marco Horat Esporre significa turbare l’armonia, disturbare la coscienza del visitatore, mettere in discussione le sue convinzioni; ma vuol dire anche suscitare emozioni e aprire la mente alla curiosità. Questa è la filosofia del MEN di Neuchâtel, un museo di etnografia da sempre all’avanguardia. Quale luogo è più adatto dunque per una riflessione sul tema dell’acquisizione, conservazione e presentazione al pubblico di reperti che aiutino l’uomo a capire la realtà mondana? Il Museo di etnografia di Neuchâtel propone una mostra intitolata L’impermanenza delle cose, sull’onda di antichi princìpi filosofici che vanno dal Buddha al Panta rei di Eraclito. Curiosa e ricca di spunti a partire dal manifesto che la illustra: un collage, in forma di mosaico, con le immagini rimpicciolite di 4700 oggetti scelti tra quelli presenti nelle collezioni dell’istituto neocastellano; e dove il logo del museo al centro, appare formato dai reperti esposti. Un gioco grafico e un trompe-l’oeil accattivanti, che fanno capire subito come un oggetto non debba essere considerato un’entità che esaurisce il suo messaggio in sé stesso, ma sia multifunzionale, uno
strumento che suona in un’orchestra. E infatti se la mostra sarà permanente non lo saranno gli oggetti che la illustrano. Come si è arrivati a concretizzare questa filosofia museografica? Il direttore Marc-Olivier Gonseth e il conservatore Grégoire Mayor (da maggio nuovo direttore), hanno fatto di necessità virtù. Infatti il vecchio edificio che ospitava le collezioni stabili del museo, la Villa de Pury situata in un magnifico parco collinare che domina la città con vista lago, doveva essere riparato e ristrutturato secondo criteri museografici moderni e servire da nuovo spazio espositivo; andavano spostati ben 50mila oggetti del fondo principale del museo. Reperti di interesse etnografico della più varia natura, dalla lunga o breve storia, provenienti da culture «altre» come dalla nostra. Allora perché, già che ci siamo – hanno pensato Gonseth e compagni nel 2006 – non approfittare dell’occasione per riprenderli in mano e catalogarli, visto che bisognava trovar loro una nuova sistemazione? E qui una prima considerazione: sembravano dover rimanere per sempre al loro posto... e invece rieccoli in ballo come fantasmi, poiché il tempo è trascorso e le tecniche museografiche sono cambiate. L’impermanenza delle cose, appunto.
Oggetti: perché sono arrivati al museo, in quale contesto culturale, come e a quale scopo conservarli? E ancora: come sceglierli dal mucchio e come presentarli al pubblico? Una riflessione quindi sulle collezioni, sui compiti del museo e di conseguenza anche sul lavoro dell’etnologo che ne sta a monte. Un lavoro durato una decina d’anni che si cerca ora di illustrare in un’esposizione che dia al visitatore almeno un’idea delle complesse problematiche che il museo deve affrontare quotidianamente. Una serie di sale da visitare senza un fil rouge particolare, ma con spazi autonomi che presentano i molti aspetti della storia del MEN. Come esporre ad esempio il nostro corpo o quelli degli altri, soggetto tipico per un museo di etnografia? La mummia egizia di Nakht-ta-Netjeret, ricevuta nel 1838, è un must; ma in mostra non viene presentata, troppo scontato. Al suo posto ci sono invece le scansioni effettuate nel 2015 con una Tac dall’Istituto di medicina legale dell’Università di Zurigo, con le quali la mummia è stata esplorata in tutti i suoi aspetti più nascosti, scoprendo segreti come gli amuleti dissimulati al suo interno. A fare da cornice al corpo virtuale, ci sono immagini di corpi reali di indiani Cree, di un cacicco Guayaki,
di ragazzi creoli o di un esploratore-geologo in Angola; potere evocatore della fotografia che si sotituisce alla realtà. Suggestivo un altro spazio riservato al tema della seduzione e del potere. Una straordinaria raccolta di una sessantina di diademi di piume della Papua Nuova Guinea indossati dagli uomini nel corso di cerimonie tribali, donata al museo di Neuchâtel dalla figlia di una indigena sposata con un missionario laico vallesano, giunta in Svizzera dopo essere rimasta orfana. Belli... ma ingombranti e delicati. Dove e come conservarli? Un problema da risolvere ogni volta che il MEN riceve una donazione: si devono creare competenze specifiche, trovare spazi e soprattutto soldi per la gestione. In questo caso è stato necessario smontare i preziosi diademi e mantenerli in luogo asettico perché non si deteriorassero. Nella nostra realtà invece (ecco il confronto tra noi e gli altri) le piume sono spesso un attributo femminile, che ha più a che fare con la seduzione e il divertimento che non con lo status sociale. In mostra è stato allora ricostruito un improbabile cabaret che ci ricorda il Moulin Rouge più del museo nel quale ci troviamo. Un altro tema di indagine è la diplomazia culturale e museografica, am-
bientata in una ipotetica ambasciata. In una sala dalle luci soffuse vengono esposti i regali culturali ricevuti dal MEN nel corso degli anni da parte di governi stranieri e partner di mostre del passato: bambole russe dei tempi della guerra fredda, raffinate ceramiche imperiali giapponesi, oggetti religiosi dal Re del Bhutan e altro ancora. Ma dal fondo della sala, dietro una rete metallica e un cancello col lucchetto, si affacciano una serie di bauli in fibra vegetale provenienti dall’Afghanistan, acquistati da un antiquario e salvati così dalla distruzione di una guerra infinita. Viene in questo modo evocata, aldilà dell’ufficialità dei rapporti diplomatici, la presenza inquietante di quelli che non hanno voce, dei profughi e delle vittime dimenticate di tutte le guerre. La mostra è come sempre accompagnata da manifestazioni didattiche e ricreative per giovani e adulti; una buona abitudine per far vivere il museo a 360 gradi. Dove e quando
L’impermanence des choses, Neuchâtel, MEN. Orari: ma-do 10.0017.00. Mostra permanente. Info: www.men.ch
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Cultura e Spettacoli
Bosso, nonostante tutto
Incontri A colloquio con il grande musicista italiano Ezio Bosso la cui malattia, invece di inibirne la carriera,
gli ha semmai permesso di essere ancora più vicino a pubblico e musica
Enrico Parola Fino a quarant’anni Ezio Bosso era semplicemente un grande musicista; un virtuoso del pianoforte applaudito alla Carnegie Hall di New York e alla Scala e un promettente direttore. Poi nel 2011, in seguito a un’operazione al cervello per un melanoma, gli scoprirono una grave malattia autoimmune che lo costrinse al ritiro dalle scene; quattro anni di silenzio, la dura rieducazione per imparare di nuovo a parlare e camminare e poi anche a muovere le dita su un pianoforte costruito apposta per lui con tasti più leggeri. Il suo ritorno ha fatto ovviamente scalpore, la sua storia ha scosso e commosso, rendendo il musicista torinese un personaggio ben più globale rispetto al pure pianista-direttore. Lo conferma l’attenzione mediatica che si è scatenata all’inizio della sua nuova tournée italiana: sabato ha suonato a Milano con la Stradivari Chamber Orchestra, ora lo attendono i teatri delle maggiori città con orchestre e programmi diversi, dove accanto ai capolavori di Dvorak e Ciajkovskij compaiono suoi brani; perché nel frattempo, oltre a suonare e dirigere, Bosso si sta proponendo anche come compositore. Maestro, come vive questo momento?
Sono felice! Ho appena diretto la Serenata di Ciajkovskij, autore che adoro e di cui tra qualche giorno eseguirò la Patetica; stavo notando che in questa tournée mi hanno chiesto le sinfonie che di solito vengono affidate a un direttore quando è a fine carriera: la Nona di Dvorak, la Quinta di Mahler, appunto la Sesta di Ciajkovskij; non è che mi stanno gufando? Lo dica lei.
No dai, vedo anzi una grande attenzione e una viva partecipazione del pubblico; sto facendo delle lezioni-concerto per neofiti, con la mia orchestra e il mio coro abbiamo spiegato settimana scorso l’Ave verum di Mozart e le gente si è commossa. Lasciamo che a gufare siano i tifosi. A proposito: lei è di Torino quindi?
Famiglia granata e quindi non posso
che tenere al Toro; però – sarà la pena dantesca del contrappasso – ai miei concerti non ho mai visto un granata ma solo juventini; Trezeguet ad esempio mi segue spesso. Qualcuno potrebbe malignare che grazie alla malattia le si sono aperte tante porte, su di lei si sono accesi tanti riflettori.
Beh, non è che prima non avessi fatto nulla. Quando sono stato operato suonavo da 35 anni, mi ero esibito nei templi della musica mondiale, lavoravo con direttori come Claudio Abbado. Digressione: come ha iniziato?
Non sono nato in una famiglia di musicisti: papà era tranviere, mamma lavorava alla Fiat. Mi mandarono a lezione da mio zio quando avevo quattro anni, fecero anche dei sacrifici per farmi studiare. A dieci anni iniziai a suonare in un’orchestra: fagotto perché era uno strumento che non voleva nessuno. Mi venne l’asma e il direttore, pur di non mandarmi via, mi fece passare al contrabbasso perché anche lì non c’erano strumentisti. Adoravo la musica, fin da subito mi faceva sentire compreso e amato. Torniamo all’oggi e a un altro possibile sospetto: grazie alla malattia la sua notorietà è cresciuta notevolmente, valicando i confini della classica.
Questo credo sia vero,però se c’è una cosa che non sopporto è che la gente non venga a concerto per ascoltare la musica ma per vedere me; vorrei far dimenticare il personaggio che sono diventato e far sì che la gente sia attenta solo a ciò che ascolterà, altrimenti è come quando si indica la luna e uno fissa il dito invece che guardare in cielo. Però con un personaggio come lei…
Lo so, e non solo per la malattia, attiro anche per il look: amo indossare sul palco stivali, cinturoni di pelle e skinny jeans; però il mio obiettivo è che chi viene attratto da me al termine del concerto si porti a casa soprattutto la musica. Capita per fortuna; settimana scorsa abbiamo eseguito la Serenata per archi di Ciajkovskij, una signora e sua
Il carismatico musicista italiano Ezio Bosso. (Keystone)
figlia sono venute alla fine nel camerino per dirmi che non avevano mai ascoltato una musica più bella in vita loro; è questo il risultato che cerco.
esiste a prescindere da noi, l’uomo è andato a cercarla, tentando di imitare i suoni della natura, cantando e creando gli strumenti musicali.
L’ho capito bene lavorando con Abbado, mi ha chiarito un’intuizione che avevo avuto fin da quando avevo ascoltato le prime note a tre anni: la musica è essenziale per l’uomo perché permette di instaurare un legame con qualcosa di meravigliosamente ineffabile; non ci fa star bene perché ci fa sentire emotivamente bene, non è qualcosa di umorale, di epidermico. La musica è qualcosa di intimamente connaturato col nostro essere e con la realtà: il frinire degli alberi agitati dal vento, la pioggia sul mare, lo stesso scorrere del sangue nelle vene crea un suono di fondo. La musica
Gioia, felicità, conoscenza; ma la domanda per un musicista andrebbe ribaltata: non che cosa mi può dare la musica, ma che cosa posso fare io per la musica. Io mi sto spendendo completamente per la musica, per me suonare è un sacrificio nel senso etimologico, di rendere sacro, per avvicinare chi ascolta alla Bellezza che si manifesta attraverso le note.
Che cos’è la musica per lei?
Che cosa le ha dato la musica?
Pensando alla sua condizione sarà un sacrificio anche fisico.
Certo, inutile nasconderlo. Per me suonare è molto faticoso, mi stanco e devo stare attento ai tempi di recupero. Ma ne vale la pena.
In un’intervista diceva che grazie alla malattia ha visto la musica in modo nuovo, più bello; non è stato frustrante passare dall’eseguire i brani più virtuosistici e poetici a re-imparare le basi della tecnica, a faticare sui brani più semplici come un principiante?
Inutile nasconderlo, sono passato attraverso la rabbia e la nostalgia, i momenti duri ci sono stati; ma proprio rifacendo tutti i passi, dovendo imparare di nuovo ciò che pensavo di conoscere perfettamente, mi ha permesso di capirlo meglio. I compositori prediletti?
Ciajkovskij, Beethoven e Mozart, anche se non lo dirigerò mai: dopo aver ascoltato come lo faceva Abbado il mio mi sembrerebbe troppo brutto.
Ancora una volta, con sentimento Documentari Il film relativo all’ultimo album di Nick Cave ritrae da vicino il coraggio dimostrato dal musicista
nell’affrontare un immane dolore personale tramite la forza della propria arte Benedicta Froelich Chiunque ami la musica rock a tal punto da trascorrere buona parte del proprio tempo libero visionando e ascoltando ogni tipo di nuovo prodotto proveniente dalle terre anglofone, sa bene che quello del film-documentario è un ambito particolarmente rischioso per qualsiasi artista appartenente a tale cerchia – a meno che, naturalmente, non si tratti di nomi la cui raffinatissima visione stilistica tuttora garantisca un livello qualitativo elevato quanto costante. Ecco quindi che, nel bel mezzo della lunga tournée internazionale intrapresa da Nick Cave e dalla sua band di sempre, gli storici Bad Seeds, per promuovere Skeleton Tree – ultimo, acclamato lavoro dell’artista, uscito nel settembre 2016 – vale la pena «rivisitare» lo splendido DVD dell’apprezzatissimo film che costituisce l’ideale complemento cinematografico dell’album. Diretto da Andrew Dominik, One More Time With Feeling – il cui titolo riprende la classica esortazione («ancora una volta, con sentimento!») impiegata dai direttori d’orchestra per
Il nuovo film di Nick Cave.
incitare i propri ensemble durante le prove – segue la tradizione già inaugurata in passato da Cave con altri lavori, pur proponendo un approccio completamente diverso rispetto al romanzato 20’000 Days on Earth (2014). Qui Dominik offre infatti uno sguardo privilegiato e «dall’interno» sulla lavorazione di Skeleton Tree, permettendoci di assistere a parte delle sessioni di registrazione, di osservare Cave al lavoro con i musicisti e perfino ascoltare dalla sua viva voce
molteplici frammenti di improvvisazioni poetiche. Rispetto al passato, l’uscita di One More Time With Feeling ha, però, suscitato un senso di aspettativa quasi morboso, dovuto al tragico contesto in cui Skeleton Tree è stato inciso e dato alle stampe – ovvero, nel pieno del trauma per l’improvvisa e insensata morte del quindicenne Arthur, uno dei due figli gemelli di Nick, scomparso nel luglio 2015 in seguito a un banale incidente avvenuto a poca distanza dalla casa di famiglia a Brighton. E chi dovesse chiedersi come mai Cave abbia lasciato passare quasi due anni tra la pubblicazione dell’album e l’attuale tournée, ne troverà la spiegazione proprio nel lento ma determinato processo di elaborazione del lutto documentato da One More Time With Feeling – le cui riprese impietose mostrano come anche la voce e la presenza scenica di Cave siano cambiate, facendosi infinitamente più struggenti, a tratti perfino strazianti, e tradendo un’intensità ancor maggiore del solito; intensità peraltro favorita ed enfatizzata dalle riprese quasi espressioniste di questo documentario, interamente girato in bianco e nero
all’interno dei suggestivi Air Studios di Londra, le cui architetture circolari e la scenografia volutamente scarna e geometrica ammantano di ulteriore, inquietante solennità l’intero film, proprio come la musica che lo anima. Del resto, sulla qualità strettamente musicale del prodotto non c’è molto da aggiungere a quanto già detto all’uscita del disco – ovvero, che i brani di Skeleton Tree mostrano un carattere ancor più solenne, crudo e opprimente rispetto alle note abitudini di Cave; ciò, naturalmente, fa sì che ogni pezzo costituisca, in sé, un piccolo capolavoro, collocabile all’altissimo livello lirico e musicale tipico dell’artista australiano. E se il mezzo filmico contribuisce ad accentuare ancor più tali caratteristiche, al contempo tradisce, in ogni momento, la sotterranea ma palpabile angoscia e rinnovata, quasi estrema intensità di ogni gesto, espressione o frase di Nick – il cui viso, seppur non ancora visibilmente scavato dal recente dolore, reca tuttavia in sé le inconfondibili tracce di una soverchiante rassegnazione. Tuttavia, il finale del film – che, seguendo l’ordine prescritto dall’album, si conclude con la title track Skeleton
Tree – sembra offrire, infine, un momento di respiro e sollievo dal dolore e dal senso di sopraffazione emotiva tangibili lungo l’intera opera: al punto che lo spettatore riemerge dai 112 minuti di One More Time With Feeling pervaso da un senso di liberazione e di «risoluzione finale», quasi qualcosa di opprimente e intollerabile si sia infine sollevato dalla sua anima. Il che era, probabilmente, l’intenzione non dichiarata di Nick nel realizzare la pellicola; così, quelle che, in termini cinematografici, si possono definire come l’eleganza e bellezza formali di One More Time With Feeling non fanno che valorizzare e arricchire ulteriormente la perfezione di un’opera musicale di rara potenza. Confermando la grandezza dell’intimo e innato coraggio che ha permesso a Cave, pur nel mezzo di un’incommensurabile tragedia di riuscire a conservare in sé una caratteristica innata quanto fondamentale: quell’aura di dolente, eppure luminoso e poetico misticismo che, ancor oggi, continua a brillare, pur nei toni da sempre disperati e inquietanti della sua opera – infondendola, nonostante tutto, di soffusa speranza.
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Cultura e Spettacoli
Un Orlando Furioso del 6177
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Editoria È uscito da poco il nuovo libro
dello scrittore emiliano Ermanno Cavazzoni, un’originale storia fantascientifica raccontata come un poema epico Alessandro Zanoli Un romanzo di fantascienza, concepito come una lunga e intricata vicenda cavalleresca. Oppure un romanzo picaresco ambientato in un’EmiliaRomagna distopica. Ermanno Cavazzoni riesce a stupire i suoi lettori con un’impresa letteraria apparentemente lontana dai suoi moduli narrativi conosciuti. È vero in effetti che la sua bellissima Storia naturale dei Giganti si chiudeva con un’escursione nel mondo dei dischi volanti. Ma in quel caso pareva una parentesi «folle» che ben si adattava alla stranezza dei suoi personaggi. Questo recentissimo La galassia dei dementi è invece un romanzo compatto e solidissimo che mette in movimento robot dai sentimenti umani e strani uomini dai comportamenti un po’ robotici. Ne abbiamo parlato con l’autore. Professor Cavazzoni, La Galassia dei dementi è un libro molto diverso da quelli che ha scritto fino ad oggi. L’abbiamo lasciata con gli Eremiti del deserto e la ritroviamo con una trama di fantascienza...
Beh, la fantascienza mi è sempre piaciuta moltissimo, sia quella narrativa americana, sia il cinema di fantascienza, e ho sempre avuto voglia di contribuire anch’io al genere, ma da un punto di vista della lingua italiana.
L’ultima parte della sua Storia naturale dei giganti, a voler vedere, andava un poco in quella direzione, con le fantasie di un’invasione aliena del suo protagonista.
La storia naturale dei giganti viene pari pari dai poemi cavallereschi, è una specie di racconto delle mie avventure leggendo gli antichi poemi; mentre la fantascienza, secondo me, e questo l’ho sempre pensato, è il nuovo genere cavalleresco; è come se occupasse lo stesso spazio che nel Rinascimento occupava il poema cavalleresco. Solo che invece che al passato, è rivolto al futuro. Ma al pari del genere cavalleresco permette di immaginare mondi e personaggi assolutamente fantastici.
In fondo anche quei libri disegnavano un mondo distopico...
Certo, solo che era riferito al passato, era volto all’indietro, perché il concetto di futuro allora non esisteva. Il futuro era nelle mani della divinità. Oggi la nostra cultura è invece orientata tutta sulla previsione, sia nelle scienze che nelle attività umane.
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Provi solo a pensare all’economia, tutta previsionale. Nel mio romanzo procedo in modo analogo ai poemi che immaginavano il passato, solo che invece guardo al futuro, spostandomi in avanti di circa 400 anni. Scrivere di fantascienza comporta una preparazione scientifica: nel suo libro sono molto divertenti i dettagli precisi con cui vengono descritti meccanismi tecnologici e fisiologici, processi chimici, elementi anatomici e dettagli dell’entomologia con una lingua che sembra documentatissima...
DIMENTICATEVI PERCHÉ SENTITE MEGLIO.
Non è che sembri: io sono un appassionato dilettante di scienze, leggo con passione le enciclopedie; le piccole enciclopedie Garzanti, ad esempio, di chimica, di astronomia, di scienze; e mi piacciono anche le enciclopedie più grosse. Mi piace molto direi la forma enciclopedica, e inoltre leggo e prendo appunti da tanti libri divulgativi e manuali universitari.
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Ma quanto tempo c’è voluto per lei nell’imbastire questa enorme trama di 660 pagine?
Poco prima che uscisse il libro ho controllato: i primi appunti che mi son preso risalgono al 2011. E poi ho interrotto la scrittura. L’ho ripresa in pratica negli ultimi cinque anni, e ho dedicato al romanzo questi quattro o cinque anni, e gli ultimi due anni in particolare, perché poi le cose scritte all’inizio, dopo non mi sembravano più giuste e coerenti con il seguito. Le ho cambiate, e ho rifatto anche le prime cose scritte. Insomma ci ho lavorato un sacco di tempo, e mi è spiaciuto molto quando ho terminato, perché è bellissimo lavorare a qualcosa che ti aspetta a casa e a cui restare fedele.
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Mi sembra di cogliere un grande divertimento da parte sua nella scrittura, come il piacere di scatenare la fantasia.
Penso che abbia colto una cosa vera: lei pensi che in Italia i romanzi sono spesso basati sul racconto di che cosa m’è successo ieri. Sono sempre un po’ autobiografici, dicono il quotidiano, e il quotidiano è quanto di più depressivo e povero, a meno che non ci siano grandi autori capaci di far diventare magistrale qualunque cosa. Invece la fantascienza permette di andare ovunque, di metterci gli individui più inusitati, di inventare tutto di nuovo, di svincolarsi dal mondo conosciuto, ha una potenzialità senza limiti, pur restando realisti. Non si tratta tanto di una storia legata al futuro della scienza, come sembra dire la parola «fanta-scienza», nata agli albori del genere: oggi, almeno per me, rimanda piuttosto all’avvenire con tutti i suoi dubbi, le incognite e le più imprevedibili possibilità.
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In forte collegamento con il presente comunque rimane: una cosa che colpisce sono i toponimi che ha scelto.
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È nato a Reggio Emilia ma vive a Bologna, dove è stato docente universitario.
Beh, quelli sono tutti veri. Mi sono preso delle carte geografiche militari, delle zone Emilia e Veneto, dove il tutto si svolge, che sono stupende. Le carte militari sono dettagliatissime, anche con i quadratini delle singole case, e ci sono i toponimi dei luoghi più trascurabili, ci sono nomi (Po Morto, Fossa Benvignante, Alberino, Valli Bianchine, Papozze, Boara Polesine, Fossone dei Ferri, Cavo napoleonico, Fienil del Turco, ecc.) che io trovo straordinari, se li avessi inventati non sarebbero stati così crudi e fantastici.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 maggio 2018 • N. 20
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Cultura e Spettacoli
Una scena che continua a riservare sorprese
Teatro Quattro appuntamenti sui palcoscenici ticinesi, testimonianze di grande vitalità e creatività
Giorgio Thoeni Recentemente e nel giro di pochi giorni abbiamo fatto tappa teatrale su quattro proposte che meritano di essere ricordate. A partire dall’annuale appuntamento organizzato da LAC edu con l’Orchestra della Svizzera italiana (OSI) schierata sul palco luganese di fronte a centinaia di allievi delle scuole elementari di tutto il Cantone: una vicace ma ordinata invasione di bambini richiamati dalla grande musica che, per l’occasione, accompagnava pagine scelte dal Peer Gynt di Edvard Grieg eseguite sotto la direzione di Philipe Béran e accompagnate dalle coreografie degli studenti dell’Accademia di Verscio con danze, acrobazie, ritmi e canto ideati e diretti da Andrea Herdeg, Natalia Ivanova e Oliviero Giovannoni: una festosa presenza teatrale che ha trascinato l’entusiasmo dei mini spettatori in una giostra di scene tessute con materna complicità da Carla Norghauer. L’evento era parte di un progetto di mediazione culturale che una volta giunto al suo termine avrà coinvolto quasi diecimila bambini. Il nostro territorio, poi, è stato teatro della 13esima edizione della Festa danzante in Ticino. La manifestazione coordinata da Tiziana Conte con Pier Giorgio De Pinto ha visto una bella partecipazione di pubblico e il coinvol-
gimento di spazi pubblici come musei e teatri. Lanciata a Zurigo nel 2006, l’iniziativa oggi tocca una trentina fra città e comuni con l’obiettivo di celebrare la danza in tutte le sue forme ma anche chiamando sul palco artisti di caratura elevata. Come Tamara Bacci che lo scorso anno l’Ufficio federale della cultura ha premiato come Danzatrice Eccezionale e che la festa danzante ha voluto sul palco del Teatro Foce di Lugano. Valeva la pena di esserci. Non solo per ammirare la sua straordinaria bravura e presenza scenica ma anche per onorare una carriera straordinaria che la ginevrina Bacci ha voluto sottolineare con il suo assolo Sull’ultimo movimento, il compendio di un percorso artistico che ripercorre le sue tracce scenografiche: dal balletto classico (Giselle) al neoclassico di Béjart (Sacre du printemps), dagli opus di Gilles Jobin alla compagnia Linga fino alla lunga collaborazione con la belga Cindy Van Acker. Tamara inventa una sorta di documentario coreografico minimalista, dove il gesto assume una dimensione totale nello spazio e nei volumi fra luci e suoni continuati. Una performance misurata, intensa e molto applaudita. Parliamo ancora di Verscio dove siamo tornati per assistere a La coeurdonnière, il rientro solista di Masha Dimitri. Un ritorno dunque dopo più di quindici anni in cui la sua carriera
Tamara Bacci, premiata dall’Ufficio federale della cultura. (Igor Grbesic)
teatrale ha alternato circo, regie, «Famiglia Dimitri», direzione teatrale e organizzazione del festival degli artisti di strada di Ascona. Per La coeurdonnière Masha abbandona l’equilibrismo e si affida alla regia di Yves Dagenais, con musiche di Oliviero Giovannoni, scenografia di Urs Mösch e Roberta Campana e costumi di Anna Manz. Masha non ha bisogno di particolari artifici per conquistare l’attenzione del pubblico. Gesti, espressioni del viso, sguardi e movimenti del corpo fanno già parte del suo DNA. Eppure lo spettacolo
non sembra riuscire ancora a spiccare il volo. Siamo nell’atelier di un’artigiana che opera riparazioni di cuori: gliene capitano di ogni tipo. Clownerie distribuita lungo una serie di numeri, è un’antologia che pensiamo richieda un’ulteriore revisione registica a favore di una sostanza poetica maggiore e tempi teatrali più snelli. Il nostro ultimo sguardo si è rivolto a Rhin, un progetto di Flavio Stroppini che abbiamo visto – ma soprattutto ascoltato – in chiusura di Chiasso Letteraria. Narratore, poeta, regista e
sceneggiatore, Stroppini si è da tempo conquistata una certa fiducia sul piano narrativo. Spicca soprattutto la sua vena di viaggiatore, di reporter alla scoperta di realtà anche fra le più insolite e da cui far nascere poesia. Come nel caso di Rhin, un cargo della marina mercantile svizzera di cui, per sbaglio dieci anni fa, Flavio riceve le planimetrie. Fogli rimasti sul suo tavolo per anni finché il Nostro non decide di ricostruire la storia della nave. Parte così per conoscere i porti che ha toccato: dai cantieri navali di Danzica al porto di Tunisi, da Istanbul alla Thailandia, dai Paesi baschi all’Irlanda… fino alle spiagge di Alang, in India, il più grande cantiere al mondo di smantellamento di navi. Stroppini registra suoni, prende appunti, la scrittura prende forma e la narrazione assume la dimensione di uno straordinario viaggio fra suoni, musica e parole per 14 appunti sonorizzati e un brano musicale. Il tutto ora è inciso su vinile ma diventerà un romanzo. Il racconto di quel viaggio affascinante in prosa evocativa ci è stato offerto in anteprima dal palco del Teatro di Chiasso con la lettura di Matteo Carassini, le musiche originali di Andrea Manzoni e le tracce dei suoni amministrate dall’autore. La produzione è di Monica De Benedictis e tutto il progetto sarà disponibile in streaming gratuito sul sito di nucleomeccanico.com. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 maggio 2018 • N. 20
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Cultura e Spettacoli
Di matrimoni e altri meandri
Festival di Cannes Forse si è cercata l’inaugurazione a colpo sicuro, ma il film di apertura
non riesce a convincere fino in fondo
Fabio Fumagalli L’impressione nei primissimi giorni dell’onnipotente Festival di Cannes (200’000 visitatori, 30’000 accreditati, 5000 giornalisti; un richiamo mediatico superato dai soli Giochi Olimpici) sembra curiosamente accomunarsi con l’accoglienza riservata a uno dei suoi momenti apparentemente più attesi e inappellabili, l’inaugurazione affidata a Todos lo saben e firmata da un cineasta che non ha mai sbagliato un colpo, l’iraniano Asghar Farhadi.
Nonostante un cast d’eccellenza e la presenza di un grande regista, Todos lo saben si rivela un film con dei limiti Quattordici anni dopo La mala educacion di Pedro Almodovar, Cannes si è aperta con un film parlato in spagnolo. Ma è il film di un iraniano, e fra i più celebri: tanto da essere ormai considerato l’erede di un grande scomparso come Abbas Kiarostami. L’ascesa del cineasta è stata folgorante. Orso d’argento a Berlino nel 2009 con About Nelly; solo due anni più tardi, Oscar per il Miglior film straniero a Una separazione, fresco della conquista, questa volta dell’oro, a Berlino. Il passato sarà in seguito il primo film girato da
Farhadi all’estero, in Francia. Per Il cliente Farhadi ritorna in Iran nel 2016 e vince due premi a Cannes, Migliore Sceneggiatura e Interpretazione maschile. Come se non bastasse, per la seconda volta l’Oscar per il film straniero. Cosa succede in Todos lo saben, girato nuovamente lontano dalle significative atmosfere dell’Iran contemporaneo (siamo infatti in un piccolo villaggio spagnolo)? Farhadi deve averci pensato, se ha lavorato così a lungo sul film, entrando quasi in simbiosi con due emblemi iberici del cinema come Penelope Cruz e Xavier Bardem. E questo poiché nessuno – così ama ripetere da mesi il regista – dovrà dubitare del fatto che il film sia stato concepito interamente in Spagna. Cannes 2018, da parte sua, non ci ha pensato un attimo, tanto da concedere – per la prima volta dal 2005 – l’onore del film d’apertura a un’opera che partecipa al Concorso per la Palma d’Oro. L’inizio del film promette questo e altro. Mentre l’assolata campagna spagnola s’intravvede appena attraverso gli squarci nelle mura antiche, all’interno del campanile polveroso le colombe si arruffano sotto le tegole. L’enorme ingranaggio dedicato al vetusto orologio occupa gran parte dello spazio, il rintocco assordante delle campane copre eventuali dialoghi, la coppia di adolescenti che vedremo amoreggiare incide laboriosamente nel muro le proprie iniziali. Ma lo spettatore è ormai in un altro campanile
Cannes 2018: photocall del film d’apertura in presenza di Cruz, Bardem e Farhadi. (Keystone)
mitico, quello di Vertigo (La donna che visse due volte), uno dei capolavori di Hitchcock: dove Kim Novak incontrerà la morte, «forse» sotto gli occhi di James Stewart. Nella sequenza, altrettanto muta e magnifica che segue, il clima di Todos lo saben non sarà più onirico o romantico: dalle mani che frugano fra i ritagli di giornali capiremo di trovarci nelle atmosfere più destabilizzanti del crimine. E Farhadi le affronta con relativa preoccupazione, poiché il suo universo è più vicino al melodramma, quello delle coppie in dissoluzione, dei rancori mai sopiti, delle sopraffazioni culturali, della famiglia e della società tutta come crogiolo di un sistema solo
in apparenza equilibrato. Un avvenimento inatteso e traumatico servirà allora al regista iraniano per rivelare le crepe di quel sistema basato sul non– detto, sul denaro e sui sensi di colpa. Tutti hanno le loro ragioni, ma quant’è difficile decidere chi abbia torto. A reggere tutto il cinema di Farhadi è la meccanica che però, lontana dall’ambiguità di certe urgenze di casa, non sembra funzionare alla perfezione. Gli interpreti sono immersi impeccabilmente nella vicenda. Ancora più convincente di Penelope Cruz (un po’ troppo sommersa dalla sua lacrimosa tragedia), Javier Bardem sfrutta in modo mirabile le contraddizioni
psicologiche dettate dal proprio fisico. Sicuramente il film mostra parte dei propri limiti nella sua progressione di storia di terre, antichi amori e sentimenti nascosti, nell’improvviso dramma di Laura, sposata in Argentina, di ritorno per il matrimonio della sorella. Lo spettatore si immerge dunque in un matrimonio scatenato, seguito da una resa dei conti non solo con la giustizia ma piuttosto con sé stessi, tanto che alla fine si ha quasi l’impressione di essere di fronte a una dilatazione eccessiva e inutile per la narrazione. Quasi un paradosso, per uno straordinario cesellatore di storie come Asghar Farhadi. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 maggio 2018 • N. 20
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Cultura e Spettacoli Rubriche
In fin della fiera di Bruno Gambarotta Nocino e cellulari dimenticati Leggo troppi gialli. E poi vado in paranoia. Due giorni fa, nel corso di un bel tramonto luminoso, pedalando sulla pista ciclabile lungo un viale che fiancheggia un parco adagiato sulla sponda del Po, ho intravisto una giovane coppia, un uomo e una donna alzarsi dalla panchina dov’erano stati seduti e abbracciati per salire su un taxi che si era accostato. Scorrendo di fianco alla panchina ho scoperto, quando già il taxi si era allontanato, che avevano dimenticato un cellulare ultimo modello. Ne posseggo uno vecchio che serve solo per telefonare, non m’intendo di quelli nuovi. Ho pensato di prenderlo e, rispondendo alla prima telefonata, farmi dire il nome del proprietario per organizzare la restituzione. Mi sono però ricordato di un fatto analogo, successo anni fa, a ruoli invertiti. Mentre tornavo a casa, sempre in bicicletta, dalla tasca del giaccone invernale mi era caduto il mazzo con tutte le chiavi di casa, quando me ne sono accorto non ho avuto il tempo di
disperarmi perché un anziano signore che stava portando a spasso un cagnolino, le aveva viste cadere e, conoscendo il mio indirizzo me le aveva riportate. Volendo dargli un segno della mia riconoscenza gli ho regalato una magnum di grappa stravecchia che avevo in casa da tanti anni, nella sua artistica cassetta di legno con il coperchio scorrevole. Gli ho fatto notare che sarebbe stata una perfetta bara per il suo cagnolino, quando sarebbe giunto il momento e lui mi ha guardato storto. La gente è strana. Mi sono affrettato a raccontare l’episodio a mia moglie, credendo di essermi meritato i suoi elogi per due ragioni: avevo compiuto un gesto altruistico e avevo trovato il modo di disfarmi di quella grappa e della tentazione di berla. Lei invece mi ha dato dell’incosciente e dell’irresponsabile: «E se per quel vecchio la grappa fosse un veleno mortale?» «Be’», ho replicato, «può sempre imitare il mio gesto, riciclarla a qualcuno che gli ha fatto un favore». Non è bastato
a convincerla: «Un vecchio solitario che di notte porta a spasso un cane al novanta per cento è un vedovo. Avesse ancora la moglie lei potrebbe metterlo in guardia, ma ora lui si lascia andare, pensando che un bicchierino non potrà fargli del male. Invece no, ci resta secco. I vicini di casa, allarmati dall’abbaiare del cane, chiamano la polizia. Iniziano le indagini e tu passi i tuoi guai. Non dirmi che non ti avevo avvertito». E qui, da lettore di romanzi polizieschi, mi sono ribellato: «Gli investigatori per risalire al colpevole vanno in cerca di un movente. Non arriveranno mai a me». Infatti non ci sono mai arrivati. Ritornando al cellulare che ho rinvenuto sulla panchina, ho pensato: se rintraccio il suo titolare, lui è capace che mi regala una bottiglia di liquore fatto in casa. Come sapete, è in atto una raccolta di firme perché le Nazioni Unite mettano al bando i liquori fatti in casa. Facciamo l’ipotesi che si tratti di un nocino, sono solo in casa e nessuno può
salvarmi dalla tentazione di assaggiarlo, incurante del fatto che una volta, al terzo bicchierino, ho avuto la visione di San Secondo, il patrono della mia città natale, che mi rimproverava. Il nocino fatto in casa è un’arma micidiale; lo fabbricano mettendo a macerare nell’alcol le noci ancora verdi, con tutto il mallo e le tengono lì per mesi, finché non si disfano completamente. Viene fuori un liquore nero, per versarne un piccolo quantitativo è necessario tenere la bottiglia capovolta per un quarto d’ora. Se lo bevi ti tappa lo stomaco che d’ora in poi dividerà gli anni in «prima del nocino» e «dopo il nocino». Per farla breve il primo che rientra in casa mi trova in stato di morte apparente, crollato sulla scrivania del mio studio. Mia moglie chiama l’autoambulanza, mi ricoverano in rianimazione e, mentre ancora non ho ripreso conoscenza, iniziano le indagini. Che sono serrate, incalzanti, sappiamo tutti, noi lettori di cronaca nera, che il tempo lavora a favore degli
assassini, trascorse ventiquattrore diventa arduo trovare un colpevole. La domanda centrale è sempre la stessa: cui prodest? Qual è il movente che ha ispirato il gesto criminale? Si scava nel mio passato, si fruga nei cassetti della scrivania, nel rendiconto delle carte di credito, si leggono i messaggi sul cellulare e sulla posta elettronica, soprattutto negli articoli che ho scritto per «Azione», per analizzarli al fine di scoprire se qualcuno potesse essersi risentito al punto da architettare la vendetta. Quell’avanzo di nocino rimasto in fondo alla bottiglia viene inviato per le analisi al Ris di Parma, già oberato di lavoro. Tutti coloro che hanno l’hobby di fabbricarsi il nocino in casa vengono passati al setaccio mentre i più timorosi, prima che arrivi la polizia, vanno di notte a seppellire in un prato le bottiglie già pronte. Mi ribello all’idea che il frutto di tanta fatica veda perduto. Ecco perché ho lasciato che fosse un altro a trovare il cellulare dimenticato sulla panchina.
che il padrone del materassificio abbia preso una foglia della miracolosa pianta e l’abbia agitata sui manufatti della sua azienda, lasciandone cadere un infinitesimo frammento su ciascuno dei giacigli, come in un rito vudù. Perché non voglio pensare che stia mentendo, quando vende i materassi all’aloe: un’espressione piena di promesse, che fa sognare di materassi che guariscono mali di schiena, cervicali, persino irritazioni dell’animo, l’aloe cura tutto. E gli altri ingredienti «naturali», che escludono naturalmente la lana? Qualcosa ci sarà, un po’ di filo di cotone, una molla in acciaio, lega composta da ferro e carbonio, che sono – chi può negarlo? – naturali, naturalissimi. Ecco, tutta la nostra nostalgia per la vita naturale si risolve nell’assunzione di questi placebo, senza olio di palma, contiene fibre, con aloe e ingredienti naturali, e andiamo via contenti, convinti inoltre di aver reso omaggio alla vita «di una volta». Proprio l’altra sera, il giorno
della morte di Ermanno Olmi, la televisione ha mandato in onda L’albero degli zoccoli. Su un canale secondario, per non disturbare gli spettatori di fiction e reality. Ambientato nel 1898, il film racconta la vita di una cascina nella bergamasca. È un racconto, certo, quindi una finzione. Ma questo finto racconto non toglie né aggiunge nulla a quello che mostra, con l’ineluttabilità che allora doveva avere la vita quotidiana dei contadini poveri. Nascono bambini, si festeggia dando un pezzo di pane bianco alla puerpera; tutti lavorano tutto il giorno; c’è affetto famigliare, ma nessuna solidarietà tra poveri; il padrone è crudele, senza cuore, come il suo fattore, ma è così. Il titolo del film viene da un albero – un piccolo pioppo, uguale a tanti altri lungo la roggia – che un padre di famiglia taglia di nascosto, per fare al figlio un altro paio di zoccoli, perché, nel cammino per andare a scuola, al bambino uno zoccolo si era rotto, aperto in due. Con l’arrivo della
primavera spariscono neve e brina, il ceppo dell’alberello mostra la sua nudità, il fattore indaga e trova subito il figlio dei vicini disposto a fare la spia. Quello stesso giorno, Batistì, la moglie e i tre bambini devono lasciare la cascina e il lavoro. Raccolgono sul carretto le loro quattro cose e partono verso una vita ancora più povera, ancora più sola. Però, tutto è molto naturale. Non solo i cibi sono senza pesticidi, non solo è il fuoco l’unica naturalissima fonte di riscaldamento, ma addirittura si vedono le donne che raccolgono il prezioso tarassaco, le cui foglie hanno proprietà depurative per fegato e cistifellea. Oggi le insalate al tarassaco sono una squisitezza per palati fini, la polvere di foglie di tarassaco si compra in erboristeria, dove tutto è a peso d’oro. E invece, beate loro e beata ignoranza, le contadine di fine Ottocento lo raccoglievano a mazzi. Tutti ingredienti naturali, che vita meravigliosa, altro che l’aloe nel materasso.
un numero maggiore di membri». Voto d’aria 2 all’uso della parola «membro», che se in svedese ha le stesse sfumature semantiche italiane sarebbe sconsigliabile utilizzare in un tale contesto. A parte ciò, «ricreare la fiducia» non sarà facile, anche perché il Nobel l’aveva già compromessa negli ultimi anni premiando scrittori di secondo livello e ostinandosi a ignorare i migliori. È questa la prima ignobiltà del Nobel della Letteratura. Nel 2016 ha persino fatto ricorso all’escamotage adolescenzial-senile di premiare un cantautore, Bob Dylan, per una sorta di grottesco lifting giovanilista con cinquant’anni di ritardo. E questo pur vantando, tra i premiati storici, poeti come T.S. Eliot, Eugenio Montale, Iosif Brodskij. Da Montale a Bob Dylan, da Beckett a Le Clézio, con tutto il rispetto... Chiuso per palpeggiamenti? No, chiuso per ignobiltà: al fotografo arrapato si dovevano, tra l’altro, anche le fughe di notizie con cui, in cambio di denaro,
anticipava i nomi (segretissimi!) dei vincitori. Ebbene, verrebbe voglia di congratularsi con lui: Arnault è riuscito ad abbattere con una manata (anzi, con almeno diciotto colpi di mano) un’Accademia bolsa che in questi anni, esponendosi al ridicolo, ha promosso a Poesia la sublime chitarra del maleducato Bob Dylan (che neanche si era degnato di ringraziare) e bocciato i romanzi di: Philip Roth, David Grossman, Abraham Yehoshua, Haruki Murakami, Annie Ernaux, Salman Rushdie, Cormac McCarthy, Don DeLillo, Margaret Atwood, Javier Marias, Richard Ford, Claudio Magris, Amos Oz, Ian McEwan, per dire solo i primi nomi che vengono in mente (tra il 5½ e il 6 collettivo a prescindere). Mai dimenticare, tra l’alto, che l’albo d’oro del Nobel ha dei buchi spaventosi che gridano vendetta al Dio della Letteratura. Fior di scrittori chissà perché mai considerati: Tolstoj, Proust, Joyce, Musil, Nabokov, Borges... «Non ci si può fidare neanche più degli
stereotipi», ha scritto ironicamente Stefano Bartezzaghi (5), chiedendosi: ma quelli non erano svedesi? E sì che sono svedesi, ma non bisogna mai credere troppo ai cliché: una pochade degna della Roma di Monicelli (6) e Sorrentino (4½), trasferita interamente nella Stoccolma di Bergman (6)! Nomi che somigliano pericolosamente a quelli degli armadi Ikea (Lotta, Klas, Kerstin eccetera) sono diventati, in questi anni, i detentori del Verbo letterario, spacciandosi per Grandi Lettori, Critici, Studiosi, Giudici inappuntabili. Ora una scrittrice che in anni passati aveva fatto parte della Svenska Akademien liquida tutti come un «manipolo di disperati». Ma già nel 1925, il grande drammaturgo George Bernard Shaw (6 alla franchezza) rifiutò il prestigioso riconoscimento con una dichiarazione memorabile: «Posso perdonare Alfred Nobel per aver inventato la dinamite, ma solo un demone con sembianze umane può aver inventato il Premio Nobel».
Postille filosofiche di Maria Bettetini Vivere come una volta «Materassi con aloe e ingredienti naturali». Tra telegiornale e partita, appare un signore elegante che mostra la novità del momento (del mondo dei materassi, che – non ci crederete – è in continua evoluzione): basta con i giacigli chimici o, peggio, OGM! Torniamo alla natura. Non si dormirà più sul polistirolo. Nel timore però che qualche anziano possa ricordare i materassi di lana, che ogni estate bisognava cardare per motivi di igiene, insomma per evitare le pulci, si lasciano perdere gli «ingredienti» animali, che sono anche costosi, e si propinano materassi con aloe e «ingredienti naturali». I problemi non sono pochi: in che forma e dove si inserirà l’aloe nel supporto per dormire? Quali altri ingredienti naturali accompagneranno il magico fogliame dell’aloe, panacea pari solo allo zenzero? E, poi, che cosa significa «cardare», chiederanno i miei piccoli lettori. Cominciando dal fondo: cardare significa aprire con le
mani i fiocchi di lana che una volta riempivano i cuscini e i materassi. Era un’attività estiva delle donne: si scucivano uno o due lati, si tirava fuori la lana schiacciata dalle schiene e dalle teste che nell’anno lì avevano riposato, e poi si «aprivano» le pallette di lana che sembrava infeltrita, ma tornava invece soffice nuvola tra le sapienti mani di tutte le donne della casa. Il sole e l’aria cacciavano disturbanti animaletti, una lavata a federe e fodere e via, il materasso era meglio che nuovo. Dopo la lana ci furono più asettici materiali sintetici, ora l’aloe. Certo le foglie non potranno essere, hanno le spine. Nemmeno se triturate, sono piene di gelatina, quella che possiede appunto le proprietà antinfiammatorie per cui l’aloe è famosa. Ricordo la moglie di un filosofo che incautamente aveva pensato di prendere dal forno una pirofila a mani nude. Poi infilò le estremità bruciacchiate dentro una grande foglia di una grande pianta di aloe e disse di stare benone. Io credo
Voti d’aria di Paolo Di Stefano L’Ignobel di Stoccolma Nobel o Ignobel? Dopo il deprimente scandalo delle molestie all’interno dell’Accademia di Svezia (voto d’aria –4 quanti sono gli accademici dimissionari), decisamente Ignobel. Ciò che solo le guerre mondiali erano riuscite a fare, è stato realizzato da una volgare vicenda sessual-economica. Il marito di una giurata, il fotografo Jean-Claude Arnault, è stato accusato di aver allungato le mani su 18 donne (scrittrici, artiste, aspiranti scrittrici e aspiranti artiste, impiegate e aspiranti impiegate, segretarie e aspiranti segretarie, studentesse nonché, la principessa Vittoria). Ma Arnault è anche sospettato di aver ricevuto da parte dell’Accademia finanziamenti oscuri destinati al suo (prestigioso?) club culturale nel centro di Stoccolma. Lo stesso Arnault, che qualcuno considerava fino alla settimana scorsa un maître à penser della cultura francese, avrebbe anche orientato le scommesse internazionali sul premio sfruttando la posizione di sua moglie, la non
indimenticabile poetessa nazionale Katarina Frostenson, all’interno dell’Accademia. I pettegolezzi sugli intrallazzi della coppia circolavano da anni, ma nessuno dei moralisti e censori di oggi si è mai preoccupato di sollevare il coperchio né ha fatto una piega quando una delle vittime di Arnault, nel 2007, aveva inviato agli accademici una lettera di denuncia. Un copione brillante, tra il boccaccesco, la commedia high society e la congiura da conclave (i giurati svedesi sono nominati a vita). Con un paradosso quasi parodistico. Il premio più ambito che fonda la propria esistenza sugli «ideali umanitari e morali» prima ancora che sulla qualità letteraria chiude per presunta immoralità, truffa, corruzione in attesa di chiarire esattamente che cosa sia accaduto. Il comunicato ufficiale ha annunciato che l’edizione 2018 verrà rimandata al 2019 perché l’Accademia, decimata dalle dimissioni, abbia il tempo di «ritrovare forza e impegnare
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 maggio 2018 • N. 20
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Alla salute! Gli amanti delle bevande nostrane potranno gustare i prodotti della Sicas SA da giovedì a sabato di questa settimana nelle filiali Migros di Locarno, S. Antonino, Agno, Lugano, Grancia e Serfontana. Inoltre, il direttore dell’azienda, Renzo Nespoli, sarà presente al centro Serfontana sabato 19 maggio per rispondere alle vostre domande. Renzo Nespoli, direttore dell’azienda famigliare Sicas SA di Chiasso. (Flavia Leuenberger Ceppi)
Il caldo comincia a farsi sentire e la voglia di placare la sete con bibite rinfrescanti si fa sempre più decisa. È però importante trovare un equilibrio tra gusto, qualità e genuinità. L’azienda famigliare Sicas SA di Chiasso, storico fornitore di Migros Ticino, riesce in questa ardua impresa utilizzando per le proprie bevande solo ingredienti naturali. Per esempio, partendo da una combinazione di estratti di erbe officinali come melissa, lippia citriodora o citronella, salvia, menta citrata e piperita, viene preparata la Tisana Nustrana biologica. Calmante, digestiva e dolcificata con zucchero bio, è una tisana adatta anche ai bambini. Da oltre cinquant’anni l’azienda Sicas SA produce succhi di frutta e bevande con un solo imperativo: l’eccellenza. Renzo Nespoli, nipote dello storico fondatore, sintetizza così il proprio carattere distintivo: «Ci vantiamo di essere l’unica azienda svizzera nella produzione di succhi preparati con frutta fresca». E parlando di succhi, tisane e bibite a base di frutta questo aspetto fa davvero la differenza! La freschezza, la genuinità e l’attenzione riposta nella selezione delle materie prime e nel processo di trasformazione fanno di queste bevande un prodotto sicuro. Quest’azienda ticinese non poteva certo esimersi dal produrre anche la bevanda locale per eccellenza: la gazosa nostrana. Nata molto probabilmente nella prima metà del 1800, la produzione in Ticino di questa famosa bibita è iniziata nel 1883 ed era presentata in una bottiglia di vetro verde, panciuta, chiusa con tappo di sughero e fissato con filo di ferro come accadeva per lo champagne. La gazosa è la bevanda ideale per placare la sete di grandi e piccini. Alla Migros, assieme alla Tisana, trovate anche la Gazosa nei più svariati aromi, dal limone al mandarino, dall’uva americana al lampone, fino al mirtillo. / Elisa Zuin, blogger
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 maggio 2018 • N. 20
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Idee e acquisti per la settimana
Irresistibili sapori del Brasile Attualità Idea gourmet per gli amanti delle grigliate
Il churrasco, la tipica grigliata mista della cucina brasiliana, non sarebbe tale senza una succulenta Picanha cotta sugli spiedoni e tagliata direttamente a tavola ancora calda. La particolarità di questo taglio di manzo che ricopre lo scamone, conosciuto dalle nostre parti con il termine di «Cappello del prete» o «Codone di manzo», è la sua forma triangolare con uno strato di grasso ben visibile in superficie. Quest’ultimo, sciogliendosi durante la cottura, conferisce tenerezza, succosità e aromi unici, tanto da permettere di utilizzare pochi condimenti nella preparazione di questa carne dal sapore genuino. Ecco qualche consiglio per preparare un’irresistibile Picanha al grill: per 4-6 persone servono 1 kg di Picanha di manzo, poca acqua, 1-2 cucchiai di sale grosso o fleur de sel e pepe macinato fresco. Accomodare la carne non condita sul grill ben caldo con il grasso rivolto verso il basso. Cuocere per 5 minuti a fuoco diretto. Ridurre la temperatura a 200°C (o alzare la griglia in caso di grill a carbonella), girare la carne e spennellare il grasso con un po’ d’acqua. Salare, pepare e continuare la cottura a fuoco medio per una trentina di minuti girando la carne di tanto in tanto e spennellandola regolarmente con l’acqua. La cottura ideale della Picanha dovrebbe essere di ca. 55°C al cuore. Togliere la carne dalla griglia, avvolgerla nella carta alu e lasciarla riposare per 10 minuti. Affettare e servire con delle verdure grigliate e una salsa a piacere. Volendo la Picanha può essere anche cotta sullo spiedo, infilzandovi delle fette di 3-4 cm con la parte grassa rivolta verso l’esterno, o ancora, dopo averla affettata, semplicemente arrostita in padella come fosse una bistecca.
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Festa del Magg S. Antonino Attualità Dal 18 al 20 maggio si terrà la 23esima edizione di questa festa popolare sostenuta da Migros Ticino
Alcuni scatti di passate edizioni della Festa del Magg.
Degustazioni di prodotti locali, concerti, esibizioni, mercatini artigianali, animazioni per bambini, giochi campestri e, dulcis in fundo, domenica 20 maggio, una bella passeggiata enogastronomica di 9 km sul Piano di Magadino. Anche quest’anno, per la 23esima volta consecutiva, la Festa del Magg tornerà ad allietare il nucleo di S. Antonino. Con il suo ricco programma di attività, si trascorreranno tre giorni di coinvolgente festa popolare per adulti e bambini. Come consuetudine, per l’occasione verranno riaperti al pubblico «El Bunzaga», «El Cantinin di Besögn», «La
Tinera», «El Torc», «La Cùrt dal Ripa», «La Vigna 118» e «La Tana del luppolo», ossia i grotti e le antiche cantine private del nucleo, luoghi dai nomi pittoreschi, dove ci si potrà ritrovare per gustare deliziosi piatti e bere un buon bicchiere in compagnia. Infine, una curiosità: il nome dialettale «Magg» non si riferisce al mese di maggio, come si potrebbe pensare, bensì a un palo che nel passato veniva trafugato dal bosco dai giovani del paese e, una volta scorticato, veniva portato sulla piazza del paese per essere trasformato in palo della cuccagna. www.festadelmagg.ch
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 maggio 2018 • N. 20
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Idee e acquisti per la settimana
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Evviva la primavera! L’inizio della tanto desiderata bella stagione per alcuni può purtroppo anche rappresentare motivo di disagio: i pollini sono infatti in agguato. Ma non disperate: grazie ad alcuni prodotti mirati si possono contrastare efficacemente le allergie ai pollini. A tal proposito la linea medicale Sanactiv della Migros offre alcuni utili rimedi. Lo spray nasale antiallergico aiuta a ridurre i disturbi causati dai pollini o altri allergeni (come p.es. polvere o peli di animali) quali respirazione nasale difficoltosa, forte secrezione nasale o starnuti violenti. Si possono somministrare 1-2 spruzzi più volte al giorno. Le gocce oculari, utilizzate quotidianamente, riducono con efficacia le manifestazioni allergiche agli occhi come arrossamenti, pruriti e lacrime. Infine, ricordiamo che la linea Sanactiv, oltre ai due rimedi citati, propone diversi altri prodotti utili in caso di tosse, raffreddori, problemi muscolari e digestivi, ma anche articoli per la cura del corpo e cosmetici.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 maggio 2018 • N. 20
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6.95 invece di 8.90 Ciliegie Italia, in conf. da 500 g
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3.90 invece di 5.90 Melone retato Italia, al pezzo
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Piatto misto ticinese prodotto in Ticino, affettato in conf. da 140 g
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3.80 invece di 4.80 Insalata mista Anna’s Best in conf. da 2 2 x 260 g
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1.60 invece di 2.05 Le Gruyère Surchoix AOP in self-service, per 100 g
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2.– invece di 2.50 Furmagèla (formaggella della Leventina) prodotta in Ticino, in self-service, per 100 g
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1.50 invece di 2.20 Ambri Caseificio prodotto in Ticino, in self-service, per 100 g
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33% Croccantini alle mandorle, kipferl alla vaniglia o snack al burro Créa d’Or in conf. da 3 per es. croccantini alle mandorle, 3 x 103 g, 7.60 invece di 11.40
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 maggio 2018 • N. 20
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Idee e acquisti per la settimana
Mitici drink
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I gelati da passeggio della Migros, con il loro inconfondibile design, hanno ormai un carattere quasi nostalgico: da oltre 40 anni rendono felici grandi e piccini che li assaporano. Ora la foca e l’orso sono disponibili anche come bevanda al latte alla vaniglia e alla cioccolata. I nuovi drink, che nel gusto rammentano i gelati alla panna, vengono prodotti dall’azienda friborghese Estavayer Lait SA con latte svizzero. Le bottigliette da 250 ml sono disponibili nei supermercati Migros. Altri mitici accessori con il look della foca & Co possono essere ordinati su M-Fanshop (www.m-fanshop.ch)
sui mitici Drink al latte dal 15 al 28 maggio
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 maggio 2018 • N. 20
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 maggio 2018 • N. 20
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Idee e acquisti per la settimana
aha!
La mozzarella vegana
Insalata di Cashewella e pomodori
Tagliare a fette i pomodori e la Cashewella. Condire con olio di oliva e aceto balsamico. Insaporire con Fleur de sel e pepe. Decorare con del basilico fresco e servire.
Intolleranti al lattosio, vegani e flexiteriani possono rallegrarsi, perché ora possono gustare anche loro un’insalata caprese o una pizza: con Cashewella Migros propone una nuova alternativa vegetale senza lattosio alla mozzarella. A base di noci di acagiù, è prodotta in Svizzera
aha! Cashewella senza lattosio, senza latte 200 g Fr. 4.95 Nelle maggiori filiali
Il marchio aha! contraddistingue i prodotti particolarmente indicati per chi soffre di allergie o intolleranze.
Pizza alle cime di rapa con Cashewella
Asparagi e Cashewella gratinati con ravanelli
Stendere la pasta della pizza e cospargerla con salsa di pomodoro. Tagliare le cime di rapa a pezzi di 1 cm. Affettare i pomodori in quarti o a spicchi. Dimezzare la Cashewella per il lungo e affettarla. Disporre il tutto sulla salsa di pomodoro. Condire con sale e pepe. Cuocere la pizza nel forno a 220°C per ca. 20 minuti e servire.
Condire gli asparagi con olio di oliva. Salare. Gratinarli nel forno a 200°C per ca. 20 minuti. A metà cottura grattugiarvi sopra la Cashwella. Tagliare i ravanelli a bastoncino e mescolarli con olio di oliva e aceto alle erbe. Salare e pepare e servire con gli asparagi.
Il V-Label dell’Unione vegetariana europea (EVU) certifica prodotti adatti a un’alimentazione vegetariana o vegana. Tutti gli ingredienti e gli additivi sono vegetariani o vegani.
M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche Cashewella.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 maggio 2018 • N. 20
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Idee e acquisti per la settimana
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La mozzarella vegana
Insalata di Cashewella e pomodori
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APERTURA STRAORDINARIA! LunedĂŹ 21 maggio dalle ore 10 alle 18, saranno aperte le filiali Migros Lugano-Centro, Cassarate, Locarno, Solduno, Tenero e Do it + Garden Losone. (Festa di Pentecoste)
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