Azione 24 del 11 giugno 2018

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Cooperativa Migros Ticino

G.A.A. 6592 Sant’Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXI 11 giugno 2018

Azione 24 Ms alle hopping pag ine 4 9-56

Società e Territorio La Fondazione Diamante festeggia 40 anni di attività a favore dell’inclusione sociale

Ambiente e Benessere Il dottor Alessandro Santi, primario del Centro cantonale di fertilità e il caposervizio dottor Marco Buttarelli spiegano le caratteristiche della menopausa

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Politica e Economia Il socialista spagnolo Pedro Sánchez giura da primo ministro davanti al re

Cultura e Spettacoli Maria Lassnig, in mostra a Basilea, indaga la propria coscienza anche attraverso il corpo

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di Didier Ruef pagina 6

Didier Ruef

Pronti all’emergenza

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Italia, sarà la svolta buona? di Peter Schiesser Dopo il Ventennio mussoliniano, l’abbondante quarantennio democristiano, il ventennio berlusconiano, con Giuseppe di Maio, Matteo Salvini e Giuseppe Conte l’Italia vara il primo auto-dichiarato governo populista. Gli elettori non si erano in realtà espressi per una simile coalizione, ma con il sistema elettorale che si sono voluti tenere, bocciando il 4 dicembre 2016 la riforma voluta da Renzi, questa alleanza fra la Lega di Salvini e il Movimento 5 stelle incarnato oggi dal 31enne Giuseppe di Maio è l’unica che ha trovato i numeri per cominciare a governare. Governerà? Quanto a lungo? Se oggi vede la luce questo primo governo populista nell’Europa occidentale, lo si deve allo sfascio che nella politica italiana perdura da un trentennio, cioè dal crepuscolo dell’alleanza fra democristiani e socialisti di Bettino Craxi che le inchieste di «Mani Pulite» della procura di Milano hanno infine sbriciolato, passando per la lunga era berlusconiana, contraddistinta da un persistente picconaggio delle istituzioni, una altrettanto diffusa corruzione, una progressiva messa in discussione della legalità e soprattutto un imbarbarimen-

to del dibattito politico. Lega e 5 Stelle sono soltanto una logica conseguenza di una situazione incancrenita, in cui quel che resta dei partiti storici rappresenta il vecchio e improponibile sistema politico. Il già unto-del-signore Silvio Berlusconi e il rottamatore di una sinistra tradizionale Matteo Renzi sono anch’essi ormai percepiti come l’espressione di un sistema fallimentare. Il problema è che il triumvirato Conte-Salvini-Di Maio approda ora a Palazzo Chigi con un programma che è tutto fuorché tranquillizzante, per l’Italia e per l’Europa. Perché fra reddito di cittadinanza e sgravi fiscali prevede di appesantire lo stratosferico debito pubblico di ulteriori 120 miliardi di euro all’anno (di cui i contribuenti italiani dovranno pagare gli interessi, e cara grazia che i tassi sono ancora bassi), perché un giorno sì e un giorno no accarezza l’idea di uscire dall’euro, perché strizza l’occhio alla Russia di Putin, perché Salvini fa la voce grossa minacciando di espellere centinaia di migliaia di immigrati clandestini al motto di «è finita la pacchia». Beninteso: l’Italia ha bisogno di una seria riforma fiscale e di un rilancio del Meridione, poiché il carico fiscale è eccessivo e al sud c’è ancora troppa povertà e sottosviluppo. Ma le misure proposte

da Lega e 5 Stelle non affrontano i problemi alla radice: manca una spinta decisa per una cultura della legalità che spezzi il circolo di una diffusa evasione fiscale e corruzione; come resta assente un piano per investimenti nel Meridione. Finora Lega e 5 Stelle hanno saputo solo cavalcare la rabbia popolare e far leva su conflitti e avversioni. Possono davvero essere loro a stimolare nuovamente le forze creative e costruttive rimaste troppo a lungo sopite? Solitamente, i populismi ricavano il consenso canalizzando le frustrazioni popolari e la voglia di riscatto contro avversari e capri espiatori. Questi oggi sono gli immigrati e l’Unione europea, come pure la «vecchia» politica. In mezzo a tante incognite, l’alleanza di leghisti e pentastellari dovrà ora mostrare sul campo che cosa sa fare per ridare slancio all’Italia. Per ottenere una rinascita del Belpaese, però, oltre a un governo capace, serve una presa di coscienza della società civile intera, per debellare corruzione, mafie, privilegi di pochi, e parallelamente per ricreare uno spirito di ottimismo nelle proprie capacità e soprattutto un’identificazione con il benessere collettivo. Dopo decenni di pessimismo e di contrapposizioni, eredità del berlusconismo, è una sfida epocale, per il governo e per l’Italia tutta.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 11 giugno 2018 • N. 24

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 11 giugno 2018 • N. 24

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Società e Territorio Con le tue mani L’autostima dei bambini nelle proprie capacità manuali è al centro di una tre giorni al Centro professionale di Gordola

Gli adolescenti e il sesso Il «Caffè delle mamme» riflette sulle incertezze dei genitori quando si tratta di parlare della sessualità con i propri figli pagina 5

La Croce Verde Medici, soccorritori professionisti e tanti volontari: il lavoro della sezione di Lugano visto da vicino pagina 6

La felicità di saper fare Scuola I l Centro professionale di Gordola ha ospitato

i bambini della quinta elementare di Minusio nell’ambito del progetto «Con le tue mani»

Storia Esce da Dadò l’ultimo lavoro

di Orazio Martinetti che racconta la Svizzera e il Ticino negli anni della Belle époque

pagina 3

Alessandro Zanoli

noi è impegnata sul fronte dei muretti, è entusiasta. «Un’esperienza positiva, non foss’altro che i bambini nemmeno sapevano che esistessero tante professioni nell’ambito edile. È un progetto educativo davvero unico nel suo genere, non ho mai visto qualcosa di simile e credo che gli allievi si ricorderanno di queste giornate anche a distanza di anni, quando ripenseranno alla scuola. Oggi hanno imparato che per ottenere qualcosa bisogna faticare, hanno simpatizzato con macchinari che sembravano mostri. Insomma, hanno familiarizzato con il mondo degli adulti e capito che il lavoro è fatica e soddisfazione». Fra trapani, morse, lime e attrezzi specifici, gli allievi imparano e sognano la professione futura. «Il mio laboratorio preferito è stato quello di falegnameria – spiega Eliseo – perché il legno è un materiale vivo e libera la creatività. Ma da grande voglio fare il fisico». Un atelier, questo proposto al Centro Professionale di Gordola, che supera gli stereotipi di genere, che spesso attecchiscono solo nella mente degli adulti. Basti come controprova la risposta di Céline, una graziosa bambina intenta a lavorare il metallo, la quale ad una domanda un po’ provocatoria e riguardante i lavori da maschi e quelli da femmine, risponde, candidamente ma perentoriamente, chiudendo la discussione: «Ma perché, esistono lavori da femmine e lavori da maschi?».

Un’annotazione forse un po’ superficiale ma non per questo meno vera: gli studi di Orazio Martinetti ci piacerebbe averli avuti come libri di testo sui banchi del liceo. Agili, scritti con uno stile piano che non disdegna anche piccoli spunti di humor, ci mettono sotto gli occhi una ricca e originale documentazione per offrirci un punto di vista chiaro e largo sugli avvenimenti che caratterizzano la storia del nostro Cantone. Senza perdere in rigore scientifico si leggono con grande piacere e curiosità. Nel caso di questo suo ultimo Sul ciglio del fossato. La Svizzera alla vigilia della grande guerra Martinetti ci offre una ricerca dal taglio estremamente personale sulle vicende di inizio 900, avvenimenti e pensieri così importanti e così fondanti per la storia sociale europea del secolo scorso. Particolare la sua prospettiva di osservazione: per parlare di questo momento, apparentemente circoscritto e relativamente breve, il ricercatore prende le mosse da più lontano, fino ad andare a ricostruire fili che convergono poi nel periodo da lui scelto. La sua analisi, in altre parole, mette in rilevo le grandi questioni che hanno occupato la storia europea e ne segue le articolazioni giù giù fino alla Svizzera e poi al Ticino. Mostrandoci come gli avvenimenti che hanno interessato le nostre regioni fossero mossi da dinamiche complesse e «globali» di cui, forse, non siamo stati abituati a vedere i collegamenti. Per costruire il suo lavoro Martinetti compie una ricognizione ampia nel mondo culturale elvetico: grazie al suo libro scopriamo come le discussioni attorno all’identità ticinese, che hanno occupato tante pagine nei lavori degli storici di casa nostra, avevano corrispettivi importanti nell’opera di alcuni studiosi della Svizzera romanda e di quella tedesca. I quali si interrogavano sull’identità svizzera. Un grande puzzle si combina insomma, inglobando e ordinando le esperienze di Ernest Bovet e della sua rivista «Wissen und Leben»; di Gonzague de Reynold e della sua Nuova Società Elvetica; degli storici Jakob Schöllenberger, Christoph

palmente attribuibili all’essere umano e al suo operato. Con Antropocene si indica l’impatto dell’uomo sul pianeta, un impatto involontario. Nell’Era sintetica, invece, l’uomo non solo riconfigura e trasforma il pianeta ma lo fa intenzionalmente. Facciamo un esempio concreto: due scienziati britannici Jane Hill e Steven Willis hanno spostato un migliaio di farfalle di due diverse specie in una zona più a nord dell’Inghilterra visto che questi lepidotteri nelle loro zone soffrivano dei mutamenti dovuti al cambiamento climatico. In questo caso la natura diventa sintetica, spostiamo e ricomponiamo degli ecosistemi facendo diventare la natura ciò che vogliamo che sia. Altro esempio che fa il bioeticista nel suo libro è quello di un nuovo progetto in grado di ridurre il riscaldamento globale bloccando i raggi

solari che arrivano sul nostro pianeta. Si chiama Solar Radiation System ed è stato elaborato nel campo della Geoingegneria, ramo delle scienze applicate che si occupa dell’attuazione di tecniche artificiali di intervento umano sull’ambiente fisico, dall’atmosfera, agli oceani, alla biosfera. Stiamo dunque andando nella direzione giusta? Difficile dirlo, difficile pensare di sostituire la natura e i suoi meccanismi biologici con qualcosa di sintetico. Non è un processo intuitivo e porta con sé una grande responsabilità (e fino ad oggi, onestamente, non mi sembra ce la siamo giocata bene). In sostanza, a detta del docente dell’Università del Montana, l’umanità, ha in mano una patata bollente: visto il progresso tecnologico e la sua capacità di ridisegnare la natura può decidere

Nel cuore del Diamante

Socialità La Fondazione Diamante festeggia

i 40 anni di attività. Una mostra e un libro ne interpretano e raccontano lo spirito

Tre i laboratori proposti per imparare a lavorare il legno, il metallo e costruire piccole torri.

Laura Di Corcia

Stefania Hubmann Una forte dimensione collettiva per offrire soluzioni che mirano invece a soddisfare il più possibile le necessità di ogni singolo utente affinché l’adulto con handicap possa sentirsi parte integrante della società. La Fondazione Diamante festeggia i 40 anni di attività a favore dell’inclusione sociale seguendo il medesimo principio che ha animato il suo impegno. Una mostra collettiva di sei fotografi, in corso fino a settembre al Canvetto Luganese, offre uno sguardo che va oltre le apparenze delle dimensioni lavorativa e abitativa degli utenti. Un volume a quattro mani, oltre a ripercorrere il percorso compiuto dalla Fondazione, presenta piste di riflessione e possibili risposte per costruire in futuro una società sempre più inclusiva. Infine, un momento celebrativo che riunirà operatori e responsabili il prossimo 20 giugno offrirà loro anche l’opportunità di visitare le strutture dell’organizzazione disseminate sul territorio e le aziende dove lavorano diversi utenti. Una preziosa occasione per chi opera nella Fondazione di conoscere le altre sfaccettature del Diamante. Con quasi 200 operatori sociali e 600 utenti, la Fondazione Diamante è una realtà affermata che quattro decenni or sono ha imboccato la giusta via per garantire alle persone con handicap di essere riconosciute al pari degli altri cittadini. Un percorso non certo scontato, partito da una situazione dove il tema dell’handicap era tutto da affrontare e le risposte sociali da costruire. La scelta di mai erigere edifici si è rivelata vincente e ha garantito quella flessibilità che ha portato l’ente a soluzioni differenziate e decentrate. Non a caso nella presentazione delle iniziative per il 40.esimo il presidente Michele Passardi ha indicato queste caratteristiche fra i cardini dell’ope-

Alla vigilia della grande guerra

rato della Fondazione. Altrettanto importanti, ha rilevato il presidente, sono però stati anche l’innovazione e il cuore. Nel sostegno alle persone con handicap non si può infatti prescindere dall’aspetto umano, motore di numerose iniziative, come ricorda la direttrice Maria Luisa Polli nella presentazione dell’esposizione FD 40. Le persone che hanno contribuito a rendere la Fondazione Diamante l’impresa sociale di oggi «hanno condiviso un progetto, accettato sfide, immaginato, a volte sognato e spesso offerto, risposte concrete volte a sostenere e riconoscere le persone in situazione di handicap quali cittadine e cittadini a pieno titolo nel rispetto delle loro autonomie». Nel volume Le molteplici sfaccettature di un Diamante – scritto da Francesco Vanetta, da oltre vent’anni vicepresidente del Consiglio della Fondazione Diamante, e Roberto Trosi, attivo nell’organizzazione dal 1978 al 2014 con un ruolo chiave nella progettazione e nella gestione delle strutture lavorative – questo dinamismo emerge in tutto il suo vigore. Francesco Vanetta ha ricordato durante la presentazione alla stampa «il decisivo contributo negli anni Settanta di Atgabbes, l’Associazione ticinese di genitori ed amici dei bambini bisognosi di educazione speciale, cui si devono le prime iniziative socio-ricreative e uno studio che sosteneva, in contrasto con le intenzioni del Cantone, soluzioni di integrazione strettamente legate al territorio e al tessuto sociale locale». Un’altra tappa fondamentale di questo percorso di crescita e innovazione è rappresentata dall’impresa sociale che, rispetto al laboratorio protetto, abbina la dimensione economica a quella lavorativa. Promotore di questo concetto in Ticino è stato Mario Ferrari, per 18 anni e fino al 2010 direttore della Fondazione Diamante.

Mani che lavorano, di Piernicola Federici.

Se il presente della Fondazione è caratterizzato da un varietà di strutture lavorative e abitative che comprendono 13 laboratori, 4 unità lavorative (foyer e appartamenti protetti) 6 negozi, 4 servizi di sostegno abitativo, 5 servizi di inserimento lavorativo e un shop online, con quale spirito si guarda al futuro? Quali altre sfaccettature potrà offrire questo Diamante? Innanzitutto va rilevato, come scrivono Vanetta e Trosi, che in questi quattro decenni anche la terminologia ha conosciuto una costante evoluzione. Dal riferimento ai deficit dell’individuo ci si è spostati alle sue difficoltà in relazione all’ambiente con il quale si confronta (da qui persona con handicap), dall’obiettivo di inserire si è evoluti verso quelli di integrare e includere, da strutture che evocano chiusura come asili e ospizi si è passati a concetti più aperti e legati alla comunità d’appartenenza (impresa sociale, collettività). Il partenariato con aziende pubbliche e private, fra le quali figura pure Migros Ticino, costituisce

un altro passo significativo in questa direzione. Per la Fondazione Diamante il lavoro è sempre stato un valore fondamentale al quale è legata la realizzazione della persona, con o senza handicap. È quindi all’evoluzione del contesto professionale che i due autori del volume guardano con attenzione, dove «numerosi sono gli indicatori che evidenziano il progressivo aumento di precari e di categorie «fragilizzate». Il principio guida delle soluzioni trovate per le persone con handicap, ossia «rispondere ai bisogni di ogni singola persona, consentendogli di scegliere ed elaborare il proprio progetto di vita e di partecipare alla vita sociale, lavorativa e culturale», dovranno probabilmente essere estese ad altre fasce della popolazione. Servirà quindi uno sviluppo di quanto già intrapreso, accompagnato da risposte innovative. In particolare, a livello professionale si pensa a diversificare l’attività delle imprese sociali, a potenziare il servizio di inserimento lavorativo e a promuove-

re la creazione di «aziende sociali» in grado di accogliere anche dipendenti ancora competenti ma non più competitivi. Medesimo principio per la questione dell’alloggio, settore nel quale si osserva con interesse l’emergere di nuove figure e servizi (custode sociale, collaborazione con strutture medicalizzate) destinati però per il momento alle persone anziane. La ricchezza dell’attuale vita lavorativa e privata degli utenti della Fondazione Diamante è stata colta con creatività e sensibilità dai sei fotografi invitati a marcare il traguardo del 40.esimo. La Commissione culturale della Fondazione ha scelto tre uomini e tre donne, tre ticinesi e tre confederati: Sabine Cattaneo, Béatrice Devènes, Piernicola Federici, Monica Flückiger, Roberto Pellegrini e Jacek Pulawski. Ognuno, con gli scatti esposti nella collettiva curata da Peter Keller e Katja Snozzi, ha fatto brillare con soggetti, tecniche e formati diversi un prezioso spaccato di vita, una sfaccettatura del Diamante.

«Ma lo faccio da solo?» «Sì, lo fai da solo». In questo botta e risposta c’è tutto il senso del progetto #CON LE TUE MANI sviluppatosi sull’arco di tre giornate presso il Centro Professionale di Gordola. Un atelier creativo rivolto alle classi di quinta elementare volto non solo a spiegare cosa vi sia dietro la costruzione di un oggetto, con le varie tappe, ma anche a rafforzare l’autostima dei bambini verso le loro capacità manuali, che oggi come oggi passano spesso in secondo piano rispetto ad altre priorità. «I bambini seguono tre laboratori e imparano a lavorare il legno e il metallo, realizzando una casa per gli uccellini, e a costruire piccole torri per simulare un villaggio medievale – spiega Barbara Soer, dell’AM Suisse Ticino (Associazione Metalcostruttori), che ha organizzato l’atelier in collaborazione con la SSIC (Società Svizzera Impresari Costruttori Sezione Ticino) e l’ASFMS (Associazioni dei fabbricanti di mobili e serramenti sezione Ticino). «L’idea è nata in modo spontaneo l’anno scorso, grazie all’iniziativa dell’allora Direttore delle Scuole elementari di Gordola, Siro Matasci – aggiunge Soer. Una edizione, la prima, che ha davvero raccolto un grande apprezzamento da parte dei partecipanti, i bambini delle Scuole elementari di Gordola, ciò che ha posto le basi affinché anche quest’anno l’atelier venisse riproposto, coinvolgendo questa volta le

tre classi di quinta della scuola elementare di Minusio, in tre giornate, da venerdì 13 aprile a venerdì 11 maggio. «I bambini, in modo ludico ma professionale, sono spinti a seguire tutte le fasi che stanno dietro la costruzione di un oggetto – aggiunge Soer – utilizzando da soli, ma sotto la supervisione di un istruttore, trapani, avvitatori, lime e vari strumenti». Dopo un momento di teoria («Bisogna aprire la vite, togliere questa parte qui e poi infilarla nel buco. State attenti perché spiego una volta sola, se non seguite passo passo le istruzioni montate la casetta sbagliata», spiega Ronny Tunzi, del Laboratorio di falegnameria), segue quello della pratica, dove gli scolari e le scolare, sempre seguiti, soprattutto quando maneggiano strumenti difficili da usare, devono però darsi da fare da soli, imparando a sviluppare la forza manuale, la concentrazione e la precisione. «I bambini della mia classe sono felici di partecipare a questi laboratori – precisa Gwendolyn Sciolli, insegnante e accompagnatrice della quinta B di Minusio. «Oggigiorno usano poco le mani, ma in questi tre laboratori oltre a quelle devono utilizzare la testa. È molto bello per loro constatare che quello che si impara a scuola, come le unità di misura, i centimetri e i millimetri, abbia anche un’applicazione pratica, possa aiutarli a costruire qualcosa». Anche Alessandra Zambetti, insegnante della quinta A di Minusio, che invece quando arriviamo

Luchsinger e altri. Martinetti ci riassume opere assolutamente interessanti e poco conosciute da noi, come il saggio Le peuple tessinois di Eduard PlatzhoffLejeune, pubblicista che appare sui libri di storia ticinese prevalentemente quale giornalista della «Tessiner Zeitung» e per un breve periodo direttore del «Corriere del Ticino». E per quanto riguarda le vicende del Ticino, la ricerca di Martinetti non trascura di inglobare gli avvenimenti e i movimenti sociali che hanno interessato la società italiana, e che hanno inevitabilmente influenzato idee e persone anche nel nostro cantone. Si tratta quindi di uno studio che, nonostante la sua mole contenuta, compone con spunti originali e documenti poco conosciuti un quadro ampio e ricco di suggerimenti. Secondo l’immagine stessa con cui Martinetti descrive il suo lavoro, l’osservazione ci presenta l’interazione reciproca di tre cerchi concentrici (l’Europa, la Svizzera, il Ticino) in cui i movimenti di idee e le decisioni politiche si riflettono da un piano all’altro creando dinamiche sociali e culturali di cui è importante essere coscienti, anche perché sembrano in qualche modo continuare ad influenzare, ancora oggi, la percezione del mondo in cui viviamo.

La società connessa di Natascha Fioretti L’era sintetica o del non ritorno Da quando ad aprile, in occasione degli Eventi Letterari al Monte Verità, ho avuto la possibilità di ascoltare il messaggio del naturalista tedesco Hans Joachim Schellnhuber sul cambiamento climatico e il riscaldamento globale, devo dire qualche ansia in più mi è venuta. Secondo Schellnhuber ci stiamo autodistruggendo e se non attueremo al più presto un’inversione di tendenza sarà troppo tardi, anzi, è probabile che siamo già fuori tempo massimo. E il suo non è il parere di un esperto qualunque, egli è infatti direttore e fondatore dell’Istituto per la ricerca sull’impatto climatico e professore di fisica teorica all’Università di Potsdam nonché membro di lunga data del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, che nel 2007 ha ricevuto il

premio Nobel per la pace. Dunque tenendo le parole del professore tedesco sempre a mente, tempo fa mi è caduto l’occhio su un articolo del quotidiano italiano «la Repubblica»: La tecnologia salverà la natura. Il tema era l’ultimo libro di Christopher Preston, docente di filosofia ambientale all’Università del Montana, dal titolo L’Era sintetica (titolo originale The synthetic age). Incuriosita, l’ho subito letto e sono andata alla ricerca del libro e di qualche approfondimento. In sostanza, il bioeticista ci dice che stiamo entrando in un nuova era, stiamo abbandonando l’Antropocene per entrare in quella che chiama l’Era sintetica. Qual è la differenza tra le due e che cosa comporta? Per Antropocene si intende l’era geologica attuale nella quale le alterazioni climatiche, territoriali e strutturali sono princi-

in che cosa consisterà l’oro verde del pianeta. Siamo pronti e attrezzati per questo? Vogliamo davvero prendere il controllo della terra e sintetizzarla, ad esempio, grazie alla nanotecnologia? O faremo un passo indietro mantenendo qualche speranza che là fuori vi sia ancora qualcosa di naturale? Il filosofo nel suo saggio opta per l’ultima probabilità: «personalmente sono scettico riguardo all’Era sintetica. Ho nostalgia dell’idea di natura e credo che le persone non vi rinunceranno». A tal proposito varrebbe allora la pena leggere il pensiero di Stefano Mancuso, neurobiologo vegetale, che racconta dell’intelligenza delle piante e di come esse possano essere il modello alternativo di una società ideale sul quale progettare il futuro. Ma questa è un’altra storia sulla quale ci soffermeremo un’altra volta…


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Società e Territorio Con le tue mani L’autostima dei bambini nelle proprie capacità manuali è al centro di una tre giorni al Centro professionale di Gordola

Gli adolescenti e il sesso Il «Caffè delle mamme» riflette sulle incertezze dei genitori quando si tratta di parlare della sessualità con i propri figli pagina 5

La Croce Verde Medici, soccorritori professionisti e tanti volontari: il lavoro della sezione di Lugano visto da vicino pagina 6

La felicità di saper fare Scuola I l Centro professionale di Gordola ha ospitato

i bambini della quinta elementare di Minusio nell’ambito del progetto «Con le tue mani»

Storia Esce da Dadò l’ultimo lavoro

di Orazio Martinetti che racconta la Svizzera e il Ticino negli anni della Belle époque

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Alessandro Zanoli

noi è impegnata sul fronte dei muretti, è entusiasta. «Un’esperienza positiva, non foss’altro che i bambini nemmeno sapevano che esistessero tante professioni nell’ambito edile. È un progetto educativo davvero unico nel suo genere, non ho mai visto qualcosa di simile e credo che gli allievi si ricorderanno di queste giornate anche a distanza di anni, quando ripenseranno alla scuola. Oggi hanno imparato che per ottenere qualcosa bisogna faticare, hanno simpatizzato con macchinari che sembravano mostri. Insomma, hanno familiarizzato con il mondo degli adulti e capito che il lavoro è fatica e soddisfazione». Fra trapani, morse, lime e attrezzi specifici, gli allievi imparano e sognano la professione futura. «Il mio laboratorio preferito è stato quello di falegnameria – spiega Eliseo – perché il legno è un materiale vivo e libera la creatività. Ma da grande voglio fare il fisico». Un atelier, questo proposto al Centro Professionale di Gordola, che supera gli stereotipi di genere, che spesso attecchiscono solo nella mente degli adulti. Basti come controprova la risposta di Céline, una graziosa bambina intenta a lavorare il metallo, la quale ad una domanda un po’ provocatoria e riguardante i lavori da maschi e quelli da femmine, risponde, candidamente ma perentoriamente, chiudendo la discussione: «Ma perché, esistono lavori da femmine e lavori da maschi?».

Un’annotazione forse un po’ superficiale ma non per questo meno vera: gli studi di Orazio Martinetti ci piacerebbe averli avuti come libri di testo sui banchi del liceo. Agili, scritti con uno stile piano che non disdegna anche piccoli spunti di humor, ci mettono sotto gli occhi una ricca e originale documentazione per offrirci un punto di vista chiaro e largo sugli avvenimenti che caratterizzano la storia del nostro Cantone. Senza perdere in rigore scientifico si leggono con grande piacere e curiosità. Nel caso di questo suo ultimo Sul ciglio del fossato. La Svizzera alla vigilia della grande guerra Martinetti ci offre una ricerca dal taglio estremamente personale sulle vicende di inizio 900, avvenimenti e pensieri così importanti e così fondanti per la storia sociale europea del secolo scorso. Particolare la sua prospettiva di osservazione: per parlare di questo momento, apparentemente circoscritto e relativamente breve, il ricercatore prende le mosse da più lontano, fino ad andare a ricostruire fili che convergono poi nel periodo da lui scelto. La sua analisi, in altre parole, mette in rilevo le grandi questioni che hanno occupato la storia europea e ne segue le articolazioni giù giù fino alla Svizzera e poi al Ticino. Mostrandoci come gli avvenimenti che hanno interessato le nostre regioni fossero mossi da dinamiche complesse e «globali» di cui, forse, non siamo stati abituati a vedere i collegamenti. Per costruire il suo lavoro Martinetti compie una ricognizione ampia nel mondo culturale elvetico: grazie al suo libro scopriamo come le discussioni attorno all’identità ticinese, che hanno occupato tante pagine nei lavori degli storici di casa nostra, avevano corrispettivi importanti nell’opera di alcuni studiosi della Svizzera romanda e di quella tedesca. I quali si interrogavano sull’identità svizzera. Un grande puzzle si combina insomma, inglobando e ordinando le esperienze di Ernest Bovet e della sua rivista «Wissen und Leben»; di Gonzague de Reynold e della sua Nuova Società Elvetica; degli storici Jakob Schöllenberger, Christoph

palmente attribuibili all’essere umano e al suo operato. Con Antropocene si indica l’impatto dell’uomo sul pianeta, un impatto involontario. Nell’Era sintetica, invece, l’uomo non solo riconfigura e trasforma il pianeta ma lo fa intenzionalmente. Facciamo un esempio concreto: due scienziati britannici Jane Hill e Steven Willis hanno spostato un migliaio di farfalle di due diverse specie in una zona più a nord dell’Inghilterra visto che questi lepidotteri nelle loro zone soffrivano dei mutamenti dovuti al cambiamento climatico. In questo caso la natura diventa sintetica, spostiamo e ricomponiamo degli ecosistemi facendo diventare la natura ciò che vogliamo che sia. Altro esempio che fa il bioeticista nel suo libro è quello di un nuovo progetto in grado di ridurre il riscaldamento globale bloccando i raggi

solari che arrivano sul nostro pianeta. Si chiama Solar Radiation System ed è stato elaborato nel campo della Geoingegneria, ramo delle scienze applicate che si occupa dell’attuazione di tecniche artificiali di intervento umano sull’ambiente fisico, dall’atmosfera, agli oceani, alla biosfera. Stiamo dunque andando nella direzione giusta? Difficile dirlo, difficile pensare di sostituire la natura e i suoi meccanismi biologici con qualcosa di sintetico. Non è un processo intuitivo e porta con sé una grande responsabilità (e fino ad oggi, onestamente, non mi sembra ce la siamo giocata bene). In sostanza, a detta del docente dell’Università del Montana, l’umanità, ha in mano una patata bollente: visto il progresso tecnologico e la sua capacità di ridisegnare la natura può decidere

Nel cuore del Diamante

Socialità La Fondazione Diamante festeggia

i 40 anni di attività. Una mostra e un libro ne interpretano e raccontano lo spirito

Tre i laboratori proposti per imparare a lavorare il legno, il metallo e costruire piccole torri.

Laura Di Corcia

Stefania Hubmann Una forte dimensione collettiva per offrire soluzioni che mirano invece a soddisfare il più possibile le necessità di ogni singolo utente affinché l’adulto con handicap possa sentirsi parte integrante della società. La Fondazione Diamante festeggia i 40 anni di attività a favore dell’inclusione sociale seguendo il medesimo principio che ha animato il suo impegno. Una mostra collettiva di sei fotografi, in corso fino a settembre al Canvetto Luganese, offre uno sguardo che va oltre le apparenze delle dimensioni lavorativa e abitativa degli utenti. Un volume a quattro mani, oltre a ripercorrere il percorso compiuto dalla Fondazione, presenta piste di riflessione e possibili risposte per costruire in futuro una società sempre più inclusiva. Infine, un momento celebrativo che riunirà operatori e responsabili il prossimo 20 giugno offrirà loro anche l’opportunità di visitare le strutture dell’organizzazione disseminate sul territorio e le aziende dove lavorano diversi utenti. Una preziosa occasione per chi opera nella Fondazione di conoscere le altre sfaccettature del Diamante. Con quasi 200 operatori sociali e 600 utenti, la Fondazione Diamante è una realtà affermata che quattro decenni or sono ha imboccato la giusta via per garantire alle persone con handicap di essere riconosciute al pari degli altri cittadini. Un percorso non certo scontato, partito da una situazione dove il tema dell’handicap era tutto da affrontare e le risposte sociali da costruire. La scelta di mai erigere edifici si è rivelata vincente e ha garantito quella flessibilità che ha portato l’ente a soluzioni differenziate e decentrate. Non a caso nella presentazione delle iniziative per il 40.esimo il presidente Michele Passardi ha indicato queste caratteristiche fra i cardini dell’ope-

Alla vigilia della grande guerra

rato della Fondazione. Altrettanto importanti, ha rilevato il presidente, sono però stati anche l’innovazione e il cuore. Nel sostegno alle persone con handicap non si può infatti prescindere dall’aspetto umano, motore di numerose iniziative, come ricorda la direttrice Maria Luisa Polli nella presentazione dell’esposizione FD 40. Le persone che hanno contribuito a rendere la Fondazione Diamante l’impresa sociale di oggi «hanno condiviso un progetto, accettato sfide, immaginato, a volte sognato e spesso offerto, risposte concrete volte a sostenere e riconoscere le persone in situazione di handicap quali cittadine e cittadini a pieno titolo nel rispetto delle loro autonomie». Nel volume Le molteplici sfaccettature di un Diamante – scritto da Francesco Vanetta, da oltre vent’anni vicepresidente del Consiglio della Fondazione Diamante, e Roberto Trosi, attivo nell’organizzazione dal 1978 al 2014 con un ruolo chiave nella progettazione e nella gestione delle strutture lavorative – questo dinamismo emerge in tutto il suo vigore. Francesco Vanetta ha ricordato durante la presentazione alla stampa «il decisivo contributo negli anni Settanta di Atgabbes, l’Associazione ticinese di genitori ed amici dei bambini bisognosi di educazione speciale, cui si devono le prime iniziative socio-ricreative e uno studio che sosteneva, in contrasto con le intenzioni del Cantone, soluzioni di integrazione strettamente legate al territorio e al tessuto sociale locale». Un’altra tappa fondamentale di questo percorso di crescita e innovazione è rappresentata dall’impresa sociale che, rispetto al laboratorio protetto, abbina la dimensione economica a quella lavorativa. Promotore di questo concetto in Ticino è stato Mario Ferrari, per 18 anni e fino al 2010 direttore della Fondazione Diamante.

Mani che lavorano, di Piernicola Federici.

Se il presente della Fondazione è caratterizzato da un varietà di strutture lavorative e abitative che comprendono 13 laboratori, 4 unità lavorative (foyer e appartamenti protetti) 6 negozi, 4 servizi di sostegno abitativo, 5 servizi di inserimento lavorativo e un shop online, con quale spirito si guarda al futuro? Quali altre sfaccettature potrà offrire questo Diamante? Innanzitutto va rilevato, come scrivono Vanetta e Trosi, che in questi quattro decenni anche la terminologia ha conosciuto una costante evoluzione. Dal riferimento ai deficit dell’individuo ci si è spostati alle sue difficoltà in relazione all’ambiente con il quale si confronta (da qui persona con handicap), dall’obiettivo di inserire si è evoluti verso quelli di integrare e includere, da strutture che evocano chiusura come asili e ospizi si è passati a concetti più aperti e legati alla comunità d’appartenenza (impresa sociale, collettività). Il partenariato con aziende pubbliche e private, fra le quali figura pure Migros Ticino, costituisce

un altro passo significativo in questa direzione. Per la Fondazione Diamante il lavoro è sempre stato un valore fondamentale al quale è legata la realizzazione della persona, con o senza handicap. È quindi all’evoluzione del contesto professionale che i due autori del volume guardano con attenzione, dove «numerosi sono gli indicatori che evidenziano il progressivo aumento di precari e di categorie «fragilizzate». Il principio guida delle soluzioni trovate per le persone con handicap, ossia «rispondere ai bisogni di ogni singola persona, consentendogli di scegliere ed elaborare il proprio progetto di vita e di partecipare alla vita sociale, lavorativa e culturale», dovranno probabilmente essere estese ad altre fasce della popolazione. Servirà quindi uno sviluppo di quanto già intrapreso, accompagnato da risposte innovative. In particolare, a livello professionale si pensa a diversificare l’attività delle imprese sociali, a potenziare il servizio di inserimento lavorativo e a promuove-

re la creazione di «aziende sociali» in grado di accogliere anche dipendenti ancora competenti ma non più competitivi. Medesimo principio per la questione dell’alloggio, settore nel quale si osserva con interesse l’emergere di nuove figure e servizi (custode sociale, collaborazione con strutture medicalizzate) destinati però per il momento alle persone anziane. La ricchezza dell’attuale vita lavorativa e privata degli utenti della Fondazione Diamante è stata colta con creatività e sensibilità dai sei fotografi invitati a marcare il traguardo del 40.esimo. La Commissione culturale della Fondazione ha scelto tre uomini e tre donne, tre ticinesi e tre confederati: Sabine Cattaneo, Béatrice Devènes, Piernicola Federici, Monica Flückiger, Roberto Pellegrini e Jacek Pulawski. Ognuno, con gli scatti esposti nella collettiva curata da Peter Keller e Katja Snozzi, ha fatto brillare con soggetti, tecniche e formati diversi un prezioso spaccato di vita, una sfaccettatura del Diamante.

«Ma lo faccio da solo?» «Sì, lo fai da solo». In questo botta e risposta c’è tutto il senso del progetto #CON LE TUE MANI sviluppatosi sull’arco di tre giornate presso il Centro Professionale di Gordola. Un atelier creativo rivolto alle classi di quinta elementare volto non solo a spiegare cosa vi sia dietro la costruzione di un oggetto, con le varie tappe, ma anche a rafforzare l’autostima dei bambini verso le loro capacità manuali, che oggi come oggi passano spesso in secondo piano rispetto ad altre priorità. «I bambini seguono tre laboratori e imparano a lavorare il legno e il metallo, realizzando una casa per gli uccellini, e a costruire piccole torri per simulare un villaggio medievale – spiega Barbara Soer, dell’AM Suisse Ticino (Associazione Metalcostruttori), che ha organizzato l’atelier in collaborazione con la SSIC (Società Svizzera Impresari Costruttori Sezione Ticino) e l’ASFMS (Associazioni dei fabbricanti di mobili e serramenti sezione Ticino). «L’idea è nata in modo spontaneo l’anno scorso, grazie all’iniziativa dell’allora Direttore delle Scuole elementari di Gordola, Siro Matasci – aggiunge Soer. Una edizione, la prima, che ha davvero raccolto un grande apprezzamento da parte dei partecipanti, i bambini delle Scuole elementari di Gordola, ciò che ha posto le basi affinché anche quest’anno l’atelier venisse riproposto, coinvolgendo questa volta le

tre classi di quinta della scuola elementare di Minusio, in tre giornate, da venerdì 13 aprile a venerdì 11 maggio. «I bambini, in modo ludico ma professionale, sono spinti a seguire tutte le fasi che stanno dietro la costruzione di un oggetto – aggiunge Soer – utilizzando da soli, ma sotto la supervisione di un istruttore, trapani, avvitatori, lime e vari strumenti». Dopo un momento di teoria («Bisogna aprire la vite, togliere questa parte qui e poi infilarla nel buco. State attenti perché spiego una volta sola, se non seguite passo passo le istruzioni montate la casetta sbagliata», spiega Ronny Tunzi, del Laboratorio di falegnameria), segue quello della pratica, dove gli scolari e le scolare, sempre seguiti, soprattutto quando maneggiano strumenti difficili da usare, devono però darsi da fare da soli, imparando a sviluppare la forza manuale, la concentrazione e la precisione. «I bambini della mia classe sono felici di partecipare a questi laboratori – precisa Gwendolyn Sciolli, insegnante e accompagnatrice della quinta B di Minusio. «Oggigiorno usano poco le mani, ma in questi tre laboratori oltre a quelle devono utilizzare la testa. È molto bello per loro constatare che quello che si impara a scuola, come le unità di misura, i centimetri e i millimetri, abbia anche un’applicazione pratica, possa aiutarli a costruire qualcosa». Anche Alessandra Zambetti, insegnante della quinta A di Minusio, che invece quando arriviamo

Luchsinger e altri. Martinetti ci riassume opere assolutamente interessanti e poco conosciute da noi, come il saggio Le peuple tessinois di Eduard PlatzhoffLejeune, pubblicista che appare sui libri di storia ticinese prevalentemente quale giornalista della «Tessiner Zeitung» e per un breve periodo direttore del «Corriere del Ticino». E per quanto riguarda le vicende del Ticino, la ricerca di Martinetti non trascura di inglobare gli avvenimenti e i movimenti sociali che hanno interessato la società italiana, e che hanno inevitabilmente influenzato idee e persone anche nel nostro cantone. Si tratta quindi di uno studio che, nonostante la sua mole contenuta, compone con spunti originali e documenti poco conosciuti un quadro ampio e ricco di suggerimenti. Secondo l’immagine stessa con cui Martinetti descrive il suo lavoro, l’osservazione ci presenta l’interazione reciproca di tre cerchi concentrici (l’Europa, la Svizzera, il Ticino) in cui i movimenti di idee e le decisioni politiche si riflettono da un piano all’altro creando dinamiche sociali e culturali di cui è importante essere coscienti, anche perché sembrano in qualche modo continuare ad influenzare, ancora oggi, la percezione del mondo in cui viviamo.

La società connessa di Natascha Fioretti L’era sintetica o del non ritorno Da quando ad aprile, in occasione degli Eventi Letterari al Monte Verità, ho avuto la possibilità di ascoltare il messaggio del naturalista tedesco Hans Joachim Schellnhuber sul cambiamento climatico e il riscaldamento globale, devo dire qualche ansia in più mi è venuta. Secondo Schellnhuber ci stiamo autodistruggendo e se non attueremo al più presto un’inversione di tendenza sarà troppo tardi, anzi, è probabile che siamo già fuori tempo massimo. E il suo non è il parere di un esperto qualunque, egli è infatti direttore e fondatore dell’Istituto per la ricerca sull’impatto climatico e professore di fisica teorica all’Università di Potsdam nonché membro di lunga data del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, che nel 2007 ha ricevuto il

premio Nobel per la pace. Dunque tenendo le parole del professore tedesco sempre a mente, tempo fa mi è caduto l’occhio su un articolo del quotidiano italiano «la Repubblica»: La tecnologia salverà la natura. Il tema era l’ultimo libro di Christopher Preston, docente di filosofia ambientale all’Università del Montana, dal titolo L’Era sintetica (titolo originale The synthetic age). Incuriosita, l’ho subito letto e sono andata alla ricerca del libro e di qualche approfondimento. In sostanza, il bioeticista ci dice che stiamo entrando in un nuova era, stiamo abbandonando l’Antropocene per entrare in quella che chiama l’Era sintetica. Qual è la differenza tra le due e che cosa comporta? Per Antropocene si intende l’era geologica attuale nella quale le alterazioni climatiche, territoriali e strutturali sono princi-

in che cosa consisterà l’oro verde del pianeta. Siamo pronti e attrezzati per questo? Vogliamo davvero prendere il controllo della terra e sintetizzarla, ad esempio, grazie alla nanotecnologia? O faremo un passo indietro mantenendo qualche speranza che là fuori vi sia ancora qualcosa di naturale? Il filosofo nel suo saggio opta per l’ultima probabilità: «personalmente sono scettico riguardo all’Era sintetica. Ho nostalgia dell’idea di natura e credo che le persone non vi rinunceranno». A tal proposito varrebbe allora la pena leggere il pensiero di Stefano Mancuso, neurobiologo vegetale, che racconta dell’intelligenza delle piante e di come esse possano essere il modello alternativo di una società ideale sul quale progettare il futuro. Ma questa è un’altra storia sulla quale ci soffermeremo un’altra volta…


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Società e Territorio

Il sesso spiegato ai figli

Il caffè delle mamme Quali sono le parole migliori per accompagnare gli adolescenti alla scoperta della sessualità?

Dubbi e incertezze dei genitori che si destreggiano tra serie televisive e manuali specifici

Il sesso agli adolescenti adesso lo fanno scoprire Maurice, un hormone monster, e Connie, un’hormone monstress. Su Netflix sta spopolando la nuova serie Big Mouth, un cartone animato con protagonisti i 12enni Nick e Andrew, che insieme alla compagna Jessi e ai loro amici sono alle prese con i cambiamenti del proprio corpo durante la pubertà e soprattutto con le proprie pulsioni sessuali, impersonificate da mostri che appaiono nei momenti più improbabili. Il ritornello della sigla è I’m going through changes – «Sto vivendo dei cambiamenti» –, sullo schermo scorrono le immagini di spermatozoi, seni che spuntano, peli che crescono, formazione dei primi ovuli. La scelta del canale streaming Usa di dedicare una serie animata (tradotta anche in italiano) al tema e il successo che sta ottenendo non lasciano dubbi: c’è ancora – e sempre più – bisogno di infrangere un tabù e trovare le parole migliori per accompagnare i propri figli nella scoperta della sessualità.

«L’importante è rispondere nel modo più naturale ed esauriente possibile, senza esagerare con informazioni non richieste» Al Caffè delle mamme l’argomento è introdotto dalle prime lezioni di educazione sessuale a scuola: qual è il modo migliore per parlare di sesso? Innanzitutto bisogna fare cadere una convinzione diffusa: «Molti genitori pensano che se i giovani parlano presto di sesso, avranno anche presto i primi rapporti sessuali. È sbagliato ed è vero esattamente il contrario. Quanto migliore è l’educazione sessuale, tanto più tardi arriva la prima volta, ci sono molti studi che lo provano». Così spiegano la sessuologa Ann-Marlene Henning e la giornalista freelance, Tina BremerOlszewski, entrambe tedesche, nel bestseller Make Love (ed. L’Ippocampo, 2013), un manuale per adolescenti che si avvicinano al sesso per la prima volta: in Germania ha venduto in pochi mesi 200mila copie, diventando non solo un successo di libreria, ma un vero fenomeno di società, fino ad essere adottato dalle scuole (la prefazione dell’edizione italiana è della conduttrice televisiva Camila Raznovich). Prima ancora di trovare le parole giuste è necessario avere ben presente quando i figli non vanno sgridati: «È molto importante, ed è sempre un bene, che i bambini scoprano e conoscano presto i loro genitali. I bambini piccoli dovrebbero potersi toccare liberamente e con disinvoltura. Imparano a conoscere le loro sensazioni e costruiscono un rapporto positivo con gli organi sessuali – si legge in Make Love –. Quando i bambini frugano tra le mutandine o fanno il gioco del dottore con gli amichetti, molti genitori si sentono in imbarazzo. Guardano gesti infantili con occhi da adulti, pensando ai propri atti sessuali. Il bambino non è consapevole del desiderio, fa esperienza e sente che è bello toccare il corpo, solo quando si avvicina l’età adulta il gesto diventa un atto sessuale consapevole». L’obiettivo dev’essere aiutare chi è alle prese con la pubertà a capire perché si sente così strano in questo periodo della vita e perché il suo corpo crea un caos del genere. Quanto più ne sanno – ribadiscono le autrici di Make

Keystone

Simona Ravizza

Love – tanto meglio possono vivere questa fase della vita. In Big Mouth Andrew lotta per tenere sotto controllo il mostro, mentre il suo amico Nick diventa ossessionato dalla mancanza di cambiamenti nel proprio corpo: «Perché – chiede ai genitori che lo devono tranquillizzare – il mio pene non è cresciuto come quello di Andrew?». A Jessi invece arriva a sorpresa il primo ciclo quando è in gita alla Statua della Libertà in short bianchi: «Ma ti sei seduta sul gelato?», le chiedono i compagni. «In realtà, mi sono venute le mestruazioni!», confida al migliore amico Andrew che, tra l’imbarazzo di entrambi, rimedia portandole un asciugamano da spiaggia. Bisogna informarli bene su quel che succede al corpo. A proposito di mestruazioni, la sessuologa Henning e la giornalista Bremer-Olszewski usano queste parole: «Il corpo produce ormoni sessuali in un ciclo che dura circa un mese (in alcune donne di più, in altre meno) seguendo sempre lo stesso schema: ogni 28 giorni le ovaie rilasciano un ovocita. Questa è l’ovulazione. Se l’ovulo non viene fecondato, lo strato superficiale dell’endometrio – che si era preparato a una gravidanza – si sfalda per reazione e viene eliminato attraverso la vagina. Ed è questo che vediamo fuoriuscire e chiamiamo sangue mestruale». E i cambiamenti maschili? «Per i ragazzi la pubertà inizia tra i 10 e i 17 anni. Intorno al tredicesimo anno di vita si verifica un vero e proprio salto che fa crescere braccia, gambe, piedi e pene. Il resto del corpo recupera la distanza circa un anno dopo, e per un bel po’ i ragazzi sono abbastanza goffi. Il testosterone fa alzare la percentuale della massa muscolare magra rispetto al grasso corporeo. I muscoli sono più visibili e riconoscibili. La pelle è più spessa ma anche più grassa, diventando preda dei brufoli». Quanto al sesso, sia chiaro: «Non è stato mai così facile venire a sapere cose sul sesso. In rete, sul cellulare, alla televisione e nelle riviste, il sesso è ovunque – viene sottolineato in Make Love –. È quasi impossibile sfuggirne. Eppure la nostra conoscenza del sesso e della sessualità non è migliorata, anzi». Il manuale è diviso in capitoli: Toccati; La prima volta; La seconda volta; Scopri chi sei; Giù i pantaloni; Da un letto all’altro; Vieni, dai; Attenzione; Senza gravità. Dall’importanza dell’autoerotismo, al ruolo del bacio, le autrici accompagnano per mano gli adolescenti nella scoperta della sessualità, per imparare innanzitutto a riconoscere i propri desideri e a viverli con

libertà. Altrettanto dovremmo fare noi genitori, vincendo timori e imbarazzi. Jutta Rinner, docente di Biologia della Scuola Germanica di Milano ed esperta di educazione sessuale, spiega: «A 11-12 anni è importante che i ragazzini sviluppino una consapevolezza del proprio corpo e del proprio io. In classe analizziamo poi i tipi di relazio-

ne, dall’amicizia, al matrimonio, fino al divorzio; e ci soffermiamo sul ruolo della donna e dell’uomo. Infine, ovviamente, diamo informazioni ben dettagliate sul corpo umano. Per affrontare malattie sessuali e contraccezione è meglio aspettare, invece, i 13-14 anni. Prima si parla del bello, poi delle possibili complicazioni».

E le domande su che cos’è un rapporto sessuale? «L’importante – e vale anche e soprattutto per i genitori – è rispondere nel modo più naturale ed esauriente possibile, senza esagerare però con le informazioni non richieste». D’altronde non possono essere solo Maurice e Connie, gli hormone monster, a spiegare il sesso ai nostri figli. Annuncio pubblicitario

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Società e Territorio

Soccorritori per scelta

Reportage La Croce Verde di Lugano nel 2017 ha effettuato più di 10mila interventi, per il suo lavoro conta oltre

che su medici e collaboratori professionisti anche su 110 volontari, un unicum a livello svizzero Didier Ruef, testo e foto Lugano. Al quarto piano di un palazzo del centro, un uomo di 70 anni è steso privo di sensi sul pavimento del soggiorno. A sirene spiegate l’ambulanza precede di qualche minuto il veicolo della guardia medica. «La 209 è sul posto. Naca 6 confermato», Lorenzo, un soccorritore professionista, comunica via radio la situazione al 144, la centrale di coordinamento di Ticino Soccorso. Due soccorritori professionisti, altrettanti volontari e un medico, tutti della Croce Verde di Lugano, sono indaffarati attorno all’uomo, il cui cuore non dà segni di vita. Non basta un massaggio cardiaco seguito da una compressione con l’Autopulse, un apparecchio portatile automatico per la rianimazione cardio-polmonare. Dopo 25 minuti di tentativi, il medico non può fare a meno di constatare il decesso del paziente. Il miracolo non si è avverato, la vita se n’è andata e la squadra della Croce Verde luganese ritorna mortificata alla base. Una battaglia persa fra tante altre vinte ogni giorno da questi professionisti del soccorso preospedaliero. Con un bacino d’utenza di 150’000 abitanti come quello dell’agglomerazione luganese, che si estende tra Campione d’Italia e il Monte Ceneri e tra Ponte Tresa e la Val Colla, nel 2017 la Croce Verde di Lugano ha effettutato 10’128 interventi con 9432 pazienti soccorsi. Gli interventi avvengono a casa delle vittime, sulla rete stradale, in edifici scolastici o istituti specializzati, così come in diversi enti pubblici. Quattro su cinque sono di natura medica, mentre un intervento su cinque è in relazione a un incidente. Le patologie più frequenti sono i problemi cardiaci, cardiovascolari, respiratori e le turbe psichiche. L’anno scorso questi interventi corrispondevano a 113’000 ore di lavoro, suddivise tra le 85’000 dei soccorritori professionisti e le 28’000 dei volontari. Dal canto loro, le ambulanze hanno percorso 280’000 chilometri. A Pregassona, periferia di Lugano, un edificio degli anni Ottanta ospita il quartier generale della Croce Verde luganese, un’associazione privata senza scopo di lucro riconosciuta d’utilità pubblica, apolitica e aconfessionale. L’associazione gestisce tre settori, molto diversi uno dall’altro. Il primo è il servizio ambulanza, la cui principale vocazione è il trasporto dei feriti e dei malati. Il secondo è il servizio medico dentario, che offre cure di qualità a prezzi modici. Infine, la Croce Verde impartisce anche

Azione

Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni

Le ambulanze della Croce Verde di Lugano servono un bacino di utenza di circa 150’000 abitanti (galleria fotografica su www.azione.ch).

corsi di formazione di primo soccorso a comuni cittadini e aziende. Tutte le attività si concentrano in questa palazzina di due piani, composta di uffici, refettorio, aule di formazione, stanze per i picchetti notturni e studio dentistico. Un ampio garage è utilizzato sia come magazzino per farmaci e svariate apparecchiature mediche, sia come parcheggio per le otto ambulanze e i tre veicoli usati dai medici. Il costo di una missione in ambulanza oscilla tra 800 e 1500 franchi. Il finanziamento della Croce Verde di Lugano è garantito al 70% dalle prestazioni fatturate alle casse malati e per il 17% dai Comuni. Purtroppo, per i pazienti che non hanno un’assicurazione complementare, la fattura delle ambulanze è pagata dalla cassa malati solo a metà. Ragion per cui, per soli 40 franchi a testa o 70 per la famiglia l’associazione offre la possibilità di diventare donatori: in caso d’intervento non ci sono spese a carico del paziente. Una possibilità sottoscritta da 12’000 cittadini. Fondata il 3 marzo 1910, l’asso-

ciazione ha appena festeggiato i 118 anni d’esistenza. Nata come versione laica dell’associazione religiosa italiana «Compagnia della Misericordia» e con lo spirito di solidarietà tipico di un ente assistenziale pubblico, fino al 1989 si appoggiava esclusivamente sul lavoro dei volontari. Quell’anno, dopo aver constatato che cresceva la necessità di professionalizzare i volontari, la Croce Verde decise di istituire una formazione specifica e un diploma di soccorritore sanitario professionale. Nata ai tempi delle lettighe trainate dai cavalli, la Croce Verde di Lugano è riuscita a fare il balzo verso autoambulanze dotate del miglior equipaggiamento dell’ultima generazione, tecniche d’intervento rapido e gli ultimi ritrovati della ricerca medica nel settore del salvataggio. Ciò allo scopo di garantire la miglior assistenza possibile ai pazienti in un contesto extraospedaliero. Oggi l’associazione conta 98 collaboratori più i cinque medici del servizio ambulanza, in maggioranza anestesisti e titolari di una laurea in medicina d’urgenza, oltre a 45 soccorritori professionali diplomati. Può anche contare su un serbatoio di 110 volontari. Questa struttura è unica in Svizzera, dove nessun altro cantone ha integrato dei volontari nei suoi servizi di pronto soccorso, e il Ticino fa la parte del pioniere, anche tenuto conto dei risultati ottenuti. Durante il loro tempo libero i 110 volontari, donne e uomini provenienti dai più disparati ambiti professionali, sono attivi a titolo gratuito nel soccorso e nelle cure preospedaliere e intervengono al fianco dei soccorritori professionisti in caso di emergenza medica. Tendenzialmente, i volontari restano attivi per cinque o sei anni, ma ci sono eccezioni come la volontaria presente nell’associazione da 45 anni! Cosa

li spinge a far parte della Croce Verde? Pongo la domanda a Maruska, Paolo, Debora, Luigi, Scilla, Tavit e ad altri volontari incontrati durante i giorni e le notti trascorsi per realizzare questo reportage. Le loro risposte sono varie, ma spesso si assomigliano: donare se stessi, bisogno di aiutare, le situazioni impreviste, l’adrenalina procurata dalle urgenze, la necessità di rimettersi in discussione, l’empatia, la vocazione, i rapporti che si creano con i pazienti e le loro famiglie, l’imprevedibilità della giornata, l’appartenenza a una squadra, dare un senso alla vita o al tempo libero, ricevere una formazioni sanitaria. Si tratta fondamentalmente di risposte semplici ed essenziali. Partecipare alle attività della Croce Verde è un atto impregnato di valori, che crea legami sociali, che implica un impatto visibile e misurabile. I volontari vi trovano gratificazioni all’altezza dei loro sforzi e del loro impegno. È un atto altruista e al contempo personale. Nel settembre del 2017 una novantina di uomini e donne hanno inviato una candidatura spontanea alla Croce Verde. Dopo l’esame dei dossier, di un corso BLS-AED (rianimazione cardiopolmonare ed uso del defibrillatore automatico), di un test fisico e di un incontro personale, l’associazione ne ha tenuti una quindicina e ha iniziato la loro formazione. Ogni due sabati, per quattro mesi, frequenteranno dei corsi teorici, cui si alterneranno delle lezioni pratiche per altri quattro mesi, durante i quali saranno gradualmente inseriti nelle missioni in ambulanza. Dopo 300 ore di formazione, il candidato passa un esame di teoria scritto e viene valutato durante gli interventi. Una volta superata questa soglia, diventa uno dei tre pilastri di una squadra impegnata nelle urgenze mediche.

L’investimento personale e in termini di tempo dedicato al volontariato è importante e costante nel corso degli anni. Ne va del mantenimento del livello di competenza e di reazione dei volontari. Ognuno deve compiere un minimo di 250 ore di lavoro all’anno, alle quali si aggiungono 20 ore di formazione continua. I volontari sono liberi di dedicare più tempo, in funzione della loro disponibilità individuale. In media si impegnano per 25 ore al mese, generalmente in turni di otto o dodici ore durante il fine settimana o di notte oppure per un’intera settimana di fila con turni serali di quattro ore. Tornata alla base della Croce Verde, la squadra di soccorso ha appena il tempo di bere un caffè che l’allarme torna a risuonare. Due segnali sonori per un’urgenza medica grave implicano un rischio vitale, mentre quattro significano che si tratta di un intervento di urgenza media. Ai due soccorritori sono sufficienti novanta secondi per mettersi in strada. Un anziano di 88 anni è stato colto da un malore e ha perso conoscenza per qualche istante. Arrivata a casa del paziente, la squadra di soccorso controlla una serie di funzioni vitali per mezzo di un monitor: elettrocardiogramma, misurazione della pressione arteriosa, della frequenza respiratoria e dell’ossimetria pulsata. Si predispone una perfusione intravenosa con somministrazione di una soluzione salina. L’uomo ha ripreso conoscenza e parla normalmente. Si è completamente ristabilito, ha solo la pressione bassa. Verrà trasportato all’ospedale Civico di Lugano per controlli più approfonditi. Si alza dal divano con l’aiuto di una volontaria, che gli chiede come si sente. Con aria maliziosa il vecchietto risponde: «Meglio, ma non ancora abbastanza da poterla invitare a ballare stasera».

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 11 giugno 2018 • N. 24

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Società e Territorio Rubriche

Lo specchio dei tempi di Franco Zambelloni Secondo natura (o secondo noi) L’approdo del Gay Pride a Lugano ha suscitato, come è noto, entusiasmi e consensi, ma anche opposizioni e polemiche. Tuttavia, è indubbio che questo recente «orgoglio» declamato pubblicamente è uno dei segni più eloquenti del cambiamento di mentalità e del rovesciamento di princípi morali, concezioni e valori che hanno dominato per secoli e secoli. Nella concezione ecclesiastica l’amore omosessuale era – ed è ancora oggi – considerato un atto «contro natura», anche se il Catechismo della Chiesa cattolica è oggi molto più indulgente che in passato: si limita a dire che «le persone omosessuali sono chiamate alla castità». Per secoli e secoli le stesse persone furono invece chiamate al carcere (e ancora oggi, in certi Paesi islamici, anche alla tortura e alla lapidazione), benché già nell’XI secolo san Pier Damiani, proclamato Dottore della Chiesa nel 1828, scrivesse, nel suo Liber Gomhorrianus, che «la

sozzura sodomitica si insinua come un cancro nell’ordine ecclesiastico». E il santo, che Dante alloggia nel settimo cielo del Paradiso, ribadiva nel suo opuscolo – fortemente critico contro il clero d’allora – la gravità di un peccato «manifestamente contro natura». È qui il nodo cruciale che oggi determina e giustifica il nostro radicale cambiamento di giudizio: la conoscenza scientifica attuale sconfessa clamorosamente l’innaturalità dei rapporti omosessuali. L’etologo Frans de Waal, ad esempio, ha ampiamente documentato la normalità e la consuetudine di rapporti sessuali tra maschi (come anche tra femmine) nelle scimmie bonobo, la specie di scimmie antropoidi che maggiormente condivide il patrimonio genetico dell’uomo, almeno fino al 95% dei geni. Ma non sono solo le scimmie a praticare l’omosessualità, bensì moltissime specie animali: tra i casi documentati, l’accoppiamento tra

elefanti maschi, lo sbaciucchiarsi delle giraffe, le cerimonie di saluto dei cigni, le carezze reciproche delle balene. Il neuroscienziato Swaab scriveva, otto anni fa, che «il comportamento omosessuale è descritto in circa millecinquecento specie animali, dagli insetti ai mammiferi». Ha dunque ancora senso parlare di comportamento «contro natura»? Ma poi, che cos’è la «Natura»? Anche su questo tema, le varie culture ne fanno un’astrazione rivedibile secondo i tempi e le convenienze. Sempre nell’ambito della sessualità, oggi si riconosce che l’identità di genere viene determinata già durante la permanenza nell’utero e rimane impressa nel cervello, anche indipendentemente dall’apparato genitale che compare poi nel neonato. Anche sulla base di queste nuove conoscenze nel maggio scorso il Consiglio federale ha proposto una modifica del Codice civile intesa a

semplificare la pratica burocratica per le persone che intendono cambiare la loro identità sessuale quale figura nel registro dello Stato civile: i transessuali potranno così più agevolmente mutare sesso e nome. In questo caso, dunque, si riconosce un fondamento naturale e lo si asseconda. Però, ad esempio, quando si esegue una fecondazione in vitro e poi si trasferisce l’ovulo fecondato nell’utero della donna si attua un processo naturale, ma con un procedimento del tutto artificiale. Senza contare che questa nuova tecnica di fecondazione consente di diagnosticare eventuali difetti o malattie genetiche delle quali la coppia è portatrice, con tutte le inquietanti possibilità delle quali si dibatte nell’etica d’oggi – dalla possibilità di scegliere espressamente il sesso del nascituro a quella di selezionarne alcune caratteristiche… via via, fino all’eugenetica. Anche il rispetto della Natura – che

oggi sembra assumere nuovo vigore e consenso tra le masse, via via che cresce il timore del degrado ambientale – rimane in una zona di ambiguità e oscilla tra quel che conviene e quel che appare dannoso. È sempre stato così: per alimentare i campi l’uomo ha deviato corsi d’acqua, per debellare le malattie ha escogitato farmaci, per viaggiare più rapidamente ha costruito ponti, strade, macchine che volano, macchine da corsa… Rousseau ha oggi molto più ragione di quando scrisse, nel 1762: «L’uomo costringe una terra a nutrire i prodotti di un’altra, un albero a portare i frutti di un altro albero. Mischia e confonde climi, elementi, stagioni. Mutila il cane, il cavallo, lo schiavo. Capovolge ogni cosa, sfigura tutto, ama i mostri e le difformità. Non vuole nulla secondo natura, nemmeno l’uomo: deve domarlo per sé, come un cavallo da maneggio, formarlo a modo suo come un albero del suo giardino».

giardini delle ville d’epoca abbandonate qui sono giungle. Villa Cleofe non è l’unica, diverse s’intravedono, nascoste tra la vegetazione fuori controllo. Trovo la balaustra di granito in riva al Verbano, proprio alle spalle della prua terrazzata dell’Isola Bella. Decapitati gli orpelli, sopra, apparsi nel film. Già allora dignitosamente decadente con la facciata color prugna scrostata, nel frattempo sembra caduta in rovina. E se l’hanno tirata giù? Sarebbe un mezzo dramma e un minireportage-buco nell’acqua. Mi volto ma niente, qualche passo in più ma la vista è coperta dal verde cresciuto a dismisura forse anche grazie alle ricorrenti piogge. Odore forte del falso gelsomino che riveste tutta la rete metallica. Eccola, si è aperto uno squarcio nella giungla: una finestra sventrata come un urlo in mezzo alla vite vergine del Giappone. Nota anche come vite canadese, la Parthenocissus tricuspidata ha preso possesso di tutta la casa, già requisita dalla Wehrmacht nel 1944. «La mia pazzia del venticinque» come la chiamava

Ariberto Castelli, l’ingegnere milanese che l’ha fatta costruire nel 1925. Invano cerco la scalinata scesa dall’ombrosa Matilde vestita a lutto con décolleté interpretata dalla giovanissima Muti che a fare il muso non teme rivali. Il gazebo-pensatoio di Tognazzi è sparito. M’immagino un collezionista megalomane di cimeli cinematografici che ha ordito un furto in elicottero. La aggiro risalendo un riale estinto, ricoperto dall’uva turca che affianca il chiosco dei biglietti per le isole. Un ponticello sfocia in via Torino dove la vista si apre sul retro di villa Cleofe a Stresa (203 m). Orti curati stupiscono, un frutteto, il tetto è crollato. Il filo spinato lungo via Torino toglie ogni possibilità di saltar dentro, ma anche senza, molti i dubbi a esplorare quel lugubre relitto pericolante. Il mio cimelio lo catturo con gli occhi da qui: riconosco il vecchio cedro il cui ramo spezzato, verso il finale, quando s’indaga sulla morte della moglie annegata nella darsena, ulula nel vento notturno come una iena. Il

cancello tutto arrugginito è degno di nota. Villa Castelli c’è scritto su una targhetta sbeccata in granito rosa di Baveno. Un pezzo di giardino è quasi un vivaio di garofani tristi. Una volta qui non c’era nessuna villa ma era il roseto delle Terme arsenicali di Stresa. L’acqua veniva da Vanzone, in Valle Anzasca, dove sgorga dalla miniera aurifera dei Cani. Il cuore di tutto era il Kursaal esadecagonale. Sparito tutto, morti tutti, tranne Ornella Muti. Di colpo mi travolge, attorcigliato non lontano, il profumo del caprifoglio. Finché rimane in piedi Villa Cleofe, nel punto forse più ammirato del Lago Maggiore, al paesaggio resta ancorata la magia del cinema. «Appena si accorge che c’è la maionese torna» dice acida la moglie Cleofe a proposito del marito Temistocle, alzatosi da tavola dopo una sfuriata perché reduce dall’Abissinia con dieci anni di ritardo. La scena della maionese svolta lì dentro diventa poi immortale, quando Tognazzi se ne serve tutto serio, compunto, una montagna.

di contagio globale che, però, non è un’invenzione del nostro consumismo. I ragazzi che lo praticano compiono inconsapevolmente un gesto antico, oggetto, negli ultimi anni, di ricerche multidisciplinari, che portano lontano e sorprendono. È l’itinerario proposto recentemente in una mostra al Natural History Museum di Los Angeles, capitale del tattoo contemporaneo. Punto di partenza, nientemeno che Oetzi, l’uomo di Similaun, cioè 5000 anni fa: la sua pelle mostrava le tracce di intagli decorativi, ancora da decifrare. Proseguendo il cammino, dalla preistoria alle primordiali forme di vita comunitaria, il tatuaggio doveva assumere il significato di contrassegno: indicava l’appartenenza a una tribù, a un’etnia, a una fede spirituale. Successivamente, in società più evolute, fu un modo per identificarsi e differenziarsi, come gruppo e come persona. Un ruolo che, secondo Gillo Dorfles, anticipò quello dell’abito: «La pittura corporea, addi-

rittura le mutilazioni e deformazioni, perforazioni delle guance (antesignane del piercing) dimostrano la necessità per l’uomo di aggiungere qualcosa al proprio corpo». Lungo questo percorso, si precisa la funzione che è spettata al tatuaggio in situazioni particolari di isolamento o addirittura di reclusione. Succedeva durante le avventurose navigazioni, a bordo di imbarcazioni lente, dove nasceva uno spirito di gruppo, di cui il bicipite istoriato era il simbolo stesso del mestiere di marinaio. Anche, però, del pirata, figura che contribuì alla cattiva fama di una pratica, che si diffuse soprattutto nelle carceri. Quando la parola hobby neppure esisteva, per i detenuti tatuarsi rappresentava uno svago, addirittura un atto liberatorio, per dar sfogo alla fantasia. Ma, nell’immaginario collettivo, quel disegno sulla pelle venne associato alla delinquenza. Qualcosa che riaffiora nei gialli televisivi: agli occhi del poliziotto, è un indizio di colpevolezza.

C’è, infine, un’altra categoria di tatuati: gli involontari che l’hanno subito, come un marchio infamante e irrimediabile: un semplice segno geometrico, un nome, una data di nascita, una provenienza, incisi sul polso dei reclusi nei lager e nei gulag. Mi è capitato, anni fa, di scorgere uno di questi sulla mano di un’anziana signora, ospite di una casa di riposo luganese. Per pudore, o voglia di dimenticare, aveva preferito non parlarne. Del resto, per nostra fortuna, dalle pagine della grande storia il tatuaggio è passato alle cronache quotidiane, animando tutt’al più l’ennesimo dibattito sulle predilezioni dei giovani, sollecitati dall’emulazione che, in ogni tipo di moda, sfugge alla ragionevolezza. Mostrandomi un braccio, sempre più coperto da disegni e iscrizioni, un giovane parrucchiere mi spiega: «Costano, fanno un po’ soffrire, ma se li fanno tutti, e perché io no?». Fine della discussione.

A due passi di Oliver Scharpf Villa Cleofe a Stresa Si vede quasi subito, dal lago, dopo sette minuti e qualcosa dall’inizio. La stanza del vescovo (1977): tratto dal romanzo omonimo di Piero Chiara, regia di Dino Risi, con Ugo Tognazzi in stato di grazia, Ornella Muti mozzafiato, un promettente Patrick Dewaere suicidatosi nel 1982. «Ecco, lo vede quel gazebo laggiù? Quello è il mio pensatoio» dice Temistocle Mario Orimbelli, a bordo della Tinca, al giovane Maffei: playboy perdigiorno di Luino in giro per il lago con la sua barca a vela, appena invitato a cena a casa dell’eccentrico avvocato interpretato da Tognazzi. «Per l’esattezza me l’ha portata in dote mia moglie, infatti la villa si chiama Cleofe, come mia moglie, Villa Cleofe» precisa poi confessandogli che il nome Cleofe gli fa schifo. Da queste prime inquadrature in barca alle ultime in terrazza, passando per le sue stanze tra le quali quella del vescovo, dalla quale prende il titolo questa storia che inizia nel tardo pomeriggio di un giorno d’estate del 1946, Villa Cleofe è protagonista; non solo location in

faccia all’Isola Bella. Localizzata a Oggebbio nel libro di Chiara, per le riprese la prescelta è Villa Castelli a Stresa. Dove arrivo una tarda domenica mattina ai primi di giugno. «Alla crema sono finite» mi dice la signora Anna con un vassoio in mano di «stelline di sfoglia alla crema, ancora tiepide». Sono sceso alla stazione con in mente una missione, oltre a quella di cercare la casa abbandonata del film visto stanotte. Cappuccino e brioche alla crema al Gigi bar. «Le provi»; alla terza le dico di portarle via. Sorseggiando il cappuccino servito in tazza floreale dal barista in giacca bianca, un signore approdato al bancone sostiene che Villa Castelli, a fine anni ottanta, era un covo di pokeristi. Una stanza al secondo piano, dove si riunivano i più strani giocatori nei paraggi, era nota come «La stanza del poker». Sul lungolago non passa inosservato il Grand Hotel des Iles Borromées né le Borromee laggiù, dove quasi tutti oggi sono diretti. Dopo il Bristol, m’infilo in via Gilberto Borromeo. Caldo umido, i

Mode e modi di Luciana Caglio Tatuaggi: oggi soltanto una moda È giocoforza accettarli. I tatuaggi appartengono a una moda in ascesa, che proprio d’estate, conquista visibilità. In forme e dimensioni diverse compaiono, adesso, su braccia, spalle, collo, polpacci e caviglie di giovani, e meno giovani, in prevalenza maschi. Ma, anche le donne, sia pure con interventi più leggeri, tipo farfalline e cuoricini, si

lasciano tentare. Responsabili di questo rilancio, i trendsetter per dirla in gergo, sono evidentemente i calciatori. Negli stadi di tutto il mondo, affidano la loro popolarità anche a pettinature elaborate e a ghirigori sulla pelle. Con successo, tanto da scalare il vertice della mondanità. Come nel caso di David Beckham, invitato alle nozze di Windsor, dove, per l’occasione i suoi famosi tattoo erano nascosti da un completo sartoriale di strepitosa eleganza. Del resto, un altro elegantone doc, Gianni Agnelli, portava un paio di incisioni decorative sulle braccia. Insomma, il tatuaggio è ormai sdoganato, sia dal profilo sociale che morale. Diventando una moda per tutti, si è banalizzato, non scandalizza più, sembra una scelta innocente. Semmai, è questione di gusti. Le perplessità permangono proprio qui: sul piano estetico e igienico e, non da ultimo, su quello delle motivazioni. Perché ci si fa tatuare? È inevitabile chiederselo, di fronte a un fenomeno


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 11 giugno 2018 • N. 24

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Ambiente e Benessere Un turista in Eritrea Dal mare turchese al paesaggio selvaggio tra profonde vallate brulle, pendii e terrazzamenti

Biodiversità L’origine della marcita, risultato di un’ingegnosa tecnica idraulico-agronomica

Uno sfizioso piatto del sud Gli involtini di melanzane ripieni di carne macinata e profumati all’origano cotti nella passata di pomodoro

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Calcioturismo Quando una passione si trasforma in scusa per viaggiare nel mondo

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Menopausa: un abito su misura

Salute Consapevole ma più lungo, il periodo

di passaggio dall’età fertile della donna al climaterio e a ciò che ne consegue

Maria Grazia Buletti Durante la menopausa, il corpo della donna subisce trasformazioni fondamentali: imparare ad ascoltarlo e accettare i cambiamenti è la chiave per stare bene con se stesse e affrontare serenamente una nuova età. Menopausa deriva dal greco mens (mese) e pausis (fine) e indica, per definizione, l’ultima mestruazione della donna. Clinicamente, la menopausa fa parte di un periodo più lungo, chiamato climaterio, che inizia alcuni anni prima della fine del ciclo mestruale; è caratterizzato dai cambiamenti dell’attività delle ovaie e si conclude alcuni anni dopo la menopausa. A proposito della sua evoluzione, l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) afferma che «nei Paesi più avanzati come la Svizzera, la donna si ritrova a dover passare in menopausa una fase della vita equivalente a quella della fertilità (35 anni in media): non era mai accaduto in passato». La donna trascorre dunque un terzo della sua vita in menopausa grazie all’allungamento della durata della vita media (da 56 anni circa a 86 di media, complici il progresso medico e il miglioramento delle condizioni economiche e sociali. «La scomparsa delle mestruazioni è solamente uno dei segni più evidenti della menopausa che potremmo definire tale al momento in cui il ciclo non sarà più presente per un periodo di almeno 12 mesi consecutivi e la donna sia in un’età congrua alla situazione, variabilmente tra i 45 e i 55 anni», esordisce il dottor Alessandro Santi, primario del Centro cantonale di fertilità e del servizio di endocrinologia ginecologica dell’Ente ospedaliero cantonale (Eoc), che incontriamo all’Ospedale regionale di Locarno insieme al suo caposervizio dottor Marco Buttarelli. Quest’ultimo ci parla dell’impatto della menopausa sulla salute della donna: «È variabile e attraversa lo sfondo culturale e socioeconomico della società in cui si vive, le caratteristiche individuali e le abitudini di vita. Non è un caso, ad esempio, che in alcune tribù africane, che attribuiscono una scarsa considerazione sociale alle donne fertili e un importante ruolo sociale a quelle in menopausa, queste ultime non presentano evidenti disturbi della menopausa perché, in un certo senso, ne viene attenuato il peso emotivo invece più marcato nella nostra cultura».

Ciò significa che, comunque, questa delicata fase della vita di una donna non passa inosservata e può presentare disturbi fisici e psicologici mutevoli, alcuni dei quali sono estremamente specifici e soggettivi nella loro manifestazione, come spiega il dottor Santi: «Le vampate sono disturbi neurovegetativi e sono accompagnate da sudorazione e tachicardia, talvolta da sensazione di debolezza, vertigini e nausea». Egli afferma che circa il 70 percento delle donne ha le vampate che possono fare capolino già negli anni che precedono la menopausa. Altri disturbi caratteristici si instaurano progressivamente: «La carenza di estrogeni causa una distrofia della vagina e della vulva, un assottigliamento della mucosa vaginale e la conseguente riduzione dell’elasticità, mentre anche la mucosa della vescica va incontro a processi di indebolimento che si possono manifestare con cistiti e disturbi della minzione. Infine bisogna fare i conti con la pelle e la riduzione del collagene che ne causa secchezza, riduzione dell’elasticità, diradazione dei peli e diminuzione delle funzioni ghiandolari». E veniamo a quei disturbi cosiddetti psicologici: «Ansia, irritabilità, modificazione dell’umore, insonnia, disturbi della sessualità (diminuzione del desiderio)». Di fronte a questi problemi è bene ricostruire con attenzione la storia della paziente, spiega il dottor Buttarelli ricordando come ogni donna sia un piccolo mondo a sé: «Se è appurato che questi sintomi si possono manifestare con la mancanza di estrogeni (ndr: ormoni femminili), è pure dimostrato che la menopausa di per sé non è causa diretta di depressione e che eventuali disturbi affettivi possono essere motivati dallo stress più o meno marcato del periodo delicato e dalla presa di coscienza del cambiamento che sopravviene in ciascuna donna». I due specialisti chiudono il cerchio parlando delle malattie per le quali la donna diviene «più a rischio» a causa della carenza di estrogeni che, oltre alla loro funzione sessuale svolgono un’azione protettiva cardiaca, intervengono sul metabolismo osseo, nella tonicità cutanea e altro ancora: «Maggiore attenzione dunque alle malattie cardiovascolari, osteoporosi, malattie infiammatorie reumatiche». È importante che la donna riceva dal medico a cui si rivolge informazioni

Il dottor Alessandro Santi, primario del Centro di fertilità e il caposervizio dottor Marco Buttarelli. (Vincenzo Cammarata)

che vanno in due direzioni: «Possibile trattamento farmacologico e di prevenzione dei disturbi, insieme ai comportamenti consigliati per uno stile di vita “sano”, privo di quelle abitudini che rappresentano un rischio come il fumo e l’obesità, per esempio. L’esercizio fisico ha per contro un ottimo impatto. Un aiuto, nella donna con anamnesi favorevole, può venire dalla terapia ormonale sostitutiva che ha migliore effetto terapeutico se avviata subito dopo l’inizio della menopausa e proseguita fino ai 60 anni circa». Il dottor Santi ricorda che la terapia con estrogeni, iniziata negli anni 60 in America, ha subito una messa al bando nel 2002 in seguito a uno studio nell’ambito del Women’s Health Initiative Trial che pareva dimostrare un aumento del tumore mammario e rischi cardiovascolari, poi rivelatosi infondato. Studi successivi ed evoluzione dei preparati hanno difatti ridimensionato quei risul-

tati. «Questa terapia ha senso, è efficace, va assolutamente personalizzata e contestualizzata alla storia di ciascuna paziente che, poi, va monitorata per tutto il tempo dell’assunzione», afferma il dottor Buttarelli che pone l’accento sui disturbi della menopausa cui la donna va incontro e sulla sua utilità, quando la storia della paziente ne consente l’assunzione: «La terapia ormonale è insindacabile se la donna entra in una menopausa precoce, per riuscire ad assicurare il livello degli ormoni femminili (effetto protettivo) fino al momento opportuno». Parecchi gli effetti benefici sulla qualità di vita: «Una migliore percezione generale di salute e benessere, capacità fisica, vitalità, energia, migliore stato emotivo-affettivo, sessualità, attività quotidiana, sonno e interazione sociale superiori». La terapia ormonale sostitutiva consiste nella somministrazione di estrogeni e progestinici (dosi personalizzate) in diversi modi: «Per via orale,

transdermica, vaginale. Non si trattano donne anziane, obese, ipertese, con precedenti rischi cardiovascolari e senza sintomi menopausali. E ricordiamo che pare diminuisca il rischio d’insorgenza del tumore dell’endometrio». Il vestito di ogni donna in menopausa va «cucito su misura».

Video intervista Sul canale Youtube di «Azione» e su www.azione.ch la videointervista ai dr. Santi e Buttarelli.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 11 giugno 2018 • N. 24

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Ambiente e Benessere

Fascino e dubbi

Reportage Eritrea: la gente del posto cerca di fuggire, gli europei, anche se per ora sono pochi, potrebbero

sognare di andarci in vacanza, forse

Fredy Franzoni, testo e fotografie Perché andare in vacanza in Eritrea? «Perché non ci va nessuno…». Così risponde un giovane valtellinese incontrato per caso sulla Harnet Avenue, la via principale di Asmara. Alto magro, camicione che gli scende fin quasi alle ginocchia. Lo rivedo alcuni giorni dopo mentre con il suo compagno di viaggio aveva appena organizzato un’escursione a Massawa. Uscire dalla capitale richiede un permesso speciale. Formalità burocratiche il mattino e nel tardo pomeriggio si può ritirare l’autorizzazione per spostarsi. Non tutte le regioni sono comunque raggiungibili dal turismo. Meta più ambita è certamente Massawa sul Mar Rosso. Dalla capitale sono 115 chilometri di curve, ma soprattutto un dislivello di oltre 2400 metri. Asmara è la quinta capitale del mondo per altitudine. Una discesa da smaltire in gran parte nella prima metà del percorso. Una strada fortemente voluta dagli italiani che nel 1885 conquistarono Massawa, importante porto dopo l’apertura del Canale di Suez, ma anche punto di passaggio obbligato per le carovane dei cammellieri. Lasciamo la capitale avvolta in un clima ancora fresco, soprattutto la notte. È appena iniziata la stagione della fioritura degli alberi di jacaranda, con i loro fiori viola. Tra non molto, ci dicono, cadendo i petali formeranno lungo le strade e nei giardini un soffice tappeto coloratissimo. Man mano che si perde quota, l’aria si fa più tiepida. Il paesaggio è selvaggio: profonde vallate che in questa stagione nella prima parte del viaggio sono ancora quasi completamente brulle. Dominano il color marrone e ocra, da cui spunta l’azzurro di molte case disseminate sui pendii. Tanti terrazzamenti costruiti con muri a secco. Qua e là già arati i primi campetti sospesi. Altrove, frane e abbandono hanno quasi cancellato il lavoro di coloro che avevano strappato alla montagna di che vivere. Pare di percorrere certe vallate del Ticino. Greggi di capre e pecore che attraversano la strada rallentano a volte il cammino. Tra le acacie si intravvedono dei dromedari, tanti con i neonati a poppare. «Spesso lungo questa strada si incontrano degli improvvisi banchi di nebbia» ci dicono. Capita anche a noi. Breve fermata a Ghinda, cittadina posta su un vasto pianoro al termine della parte più impervia della discesa verso il mare. Tappa probabilmente tradizio-

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nale per molti, visti i numerosi ristoranti disseminati lungo la strada. Ghinda è famosa per il suo capretto. Viene servito, come tradizione vuole in tutta l’Eritrea, su l’injera, una specie di grande omelette spugnosa e dal sapore leggermente acido prodotta in particolare con il teff, il più piccolo cereale al mondo che si dice essere estremamente benefico per la salute. A tavola non ci sono posate: usando la sola mano destra si strappano dei lembi di injera con cui portare alla bocca carne, salsa, verdure o legumi. Vedere il mare dopo tre ore di macchina rappresenta un sollievo. Poi finalmente fa caldo per davvero. Massawa si presenta con le sue gru del porto e le rovine del palazzo di Hailé Selassié, l’ex sovrano etiope nemico acerrimo degli eritrei, fatto bombardare dalle sue stesse truppe quando oramai la guerra contro Asmara era persa - correva l’anno 1991. Arabi, turchi, egiziani, italiani, inglesi: tutti hanno lasciato la propria impronta edilizia nella città. Bombe,

maltempo e soprattutto l’incuria stanno erodendo secoli di storia. Camminare per le vie, in gran parte sterrate, è un continuo alternarsi tra stupore per la ricchezza dell’offerta architettonica e lo sconforto di fronte ai cumuli di macerie e le case sventrate. Unica struttura rinnovata: la moschea, che svetta in mezzo a tanta decadenza con il suo colore bianco. Dà su quella che verosimilmente è la piazza principale, anche lei sterrata e che sotto il sole di mezzogiorno è quasi deserta. Essere straniero stuzzica subito la curiosità. Bastano pochi minuti per iniziare a chiacchierare. L’eritreo di sua natura è molto riservato e schivo. Con molto garbo un giovane si avvicina. Sguardo vivace, parla un inglese approssimativo, ma si fa capire. Sogna di poter fuggire in Europa, oppure in Canada, dove alcuni suoi amici hanno trovato rifugio. Interviene anche un altro giovane che fino a quel momento giocherellava con il suo cellulare. Hanno chiaro il percorso da affrontare: dappri-

ma il Sudan, poi la traversata del deserto fino in Libia nella speranza di trovare un barcone per attraversare il Mediterraneo. «E una volta giunti in Italia senza documenti che farete?», chiedo. Tutti hanno parenti, amici, compaesani che si sono sistemati da qualche parte e che sono disposti a dare un colpo di mano. Il loro viaggio, ammesso che si realizzi, non sarà certo un salto nel vuoto. Il vero problema, dicono, sta nel racimolare i soldi per poter partire. «Ci vogliono almeno 10mila dollari. Sei per farsi accompagnare in Sudan. Millecinquecento per arrivare a Tripoli e altrettanti per la traversata». E si tratta di una cifra minima, aggiungono. Sono consapevoli, eccome, dei pericoli che dovranno affrontare «ma vale la pena rischiare, pur di avere una prospettiva di vita migliore», mentre lo dicono dallo sguardo trapela amarezza, ma anche speranza. Si avvicina un anziano. Viso scavato dalle rughe. Indossa una giacca lisa, sotto, una camicia una volta bianca. Parla italiano. Una gran

voglia di raccontare della Massawa degli anni in cui la città era abitata soprattutto da italiani: «Bei tempi», ricorda. Ma cosa pensa dei giovani che oggi fuggono dal paese. «È triste vederli partire» commenta, «ma saremo sempre grati al nostro presidente che ci ha dato una patria tutta nostra». Sorridendo mette in evidenza la bocca in cui sono rimasti pochi denti. Due facce della stessa medaglia. Difficile capire per noi. Per i pochi turisti che vi si avventurano, l’Eritrea comunque riserva delle inaspettate sorprese. Prima fra tutte, l’arcipelago delle Dahlak: oltre 350 isole, in gran parte disabitate. Le acque cristalline e tiepide sono quelle del Mar Rosso: ricche di barriere coralline e di pesci variopinti. Un vero paradiso. Una traversata di poco più di un’ora e sbarchiamo sull’isola di Madote, una macchia bianca attorniata da acque turchesi. Durante il viaggio per un tratto siamo accompagnati da un gruppo di delfini. L’isola è completamente piatta, poco più di un metro dal filo d’acqua. Una distesa di sabbia bianca lunga alcune centinaia di metri e larga meno di duecento. Nessuna infrastruttura. Solo sabbia, macchiata qua e là dalle alghe oramai secche, trascinate a riva dalle onde. Una sensazione di smarrimento al momento dell’arrivo: «Ma che ci faremo qui per tre giorni?» l’inevitabile domanda del naufrago neofita. Un telo come tettoia per ripararsi dal sole, un’abbondante scorta di viveri e la frescura del vento che soffia costantemente cancellano ogni incertezza e dubbio. Inutili le tende previste per la notte: sarebbe imperdonabile perdere l’emozione di addormentarsi sotto un cielo così generoso di stelle. Esperienza emozionante, ma per certi versi anche inquietante per chi solitamente vive in mezzo alle montagne, avere nelle orecchie il suono del costante dondolio delle onde del mare e un orizzonte che sembra non avere mai fine. E poi l’assillante interrogativo sull’opportunità di visitare nelle vesti di turista un paese da cui le forze migliori sognano solo di fuggire. Pensieri, dubbi, interrogativi che la quiete dell’isoletta di Madote non ha fatto che accrescere.


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Ambiente e Benessere

Prati verdeggianti anche d’inverno Biodiversità Sono molti i vantaggi del lento scorrimento dell’acqua nelle marcite – Seconda parte

Alessandro Focarile «Da Milano a Gallarate, il viaggiatore non tarderà di incontrare un di que’ cavi che noi diciamo fontanili ove sorgono polle d’acqua, la quale per un declivio quasi insensibile tanto si fa percorrere, che trovasi a livello dei prati, che va ad irrigare. Farà questa osservazione il Viaggiatore agronomo che, mirando i prati irrigatori, ne vedrà alcuni disposti in quel modo che noi diciamo di marcita, e se viaggerà anche nel fitto inverno vedrà con meraviglia verdeggiarvi l’erba lussureggiante. Un’irrigazione incessante copre sempre il prato tutto ben livellato di un sottil velo d’acqua corrente» (Amoretti, 1806). Marcita, o prato marcitoio, deriva dal Latino, con il significato anche di scorrimento lento, qual è quello che ha l’acqua delle marcite. Si tratta di un prato artificiale composto da più specie di erbe, che costituiscono un pregiato foraggio per il bestiame bovino allevato. Prato tipico della pianura lombarda, principalmente a Nord di Milano, secondariamente tra il fiume Ticino e l’Adda, e alimentato durante la stagione invernale con l’acqua tiepida che sgorga dalle risorgive, dette fontanili (foto). Al piede dei terreni morenici, ultime vestigia verso Sud delle colate del ghiacciaio dell’Adda e del Ticino, sono depositate coltri di terreni permeabili e filtranti, che incontrano in profondità i sottostanti terreni argillo-limosi, impermeabili. Al contatto dei due tipi di sedimenti avviene l’affioramento in

superficie dell’acqua sotterranea (falda freatica), creando le risorgive (fontanili). La caratteristica peculiare della marcita consiste nell’utilizzo dell’irrigazione artificiale, ottenuta dalle risorgive grazie a ingegnose canalizzazioni, risultato di una pluri-secolare esperienza, che permette di ottenere fino a 4-5 tagli di fieno, quando la campagna circostante è stretta nella morsa del gelo padano e tutto intorno biancheggia di brina, oppure è coperta di neve. E un’esitante nebbiolina aleggia su un mare di erba di un verde quasi sfacciato, considerando quanto e come lo circonda. Viene a crearsi così in pieno inverno un paesaggio insolito e verdeggiante. «L’impiego dell’acqua nell’Italia settentrionale, specie in Lombardia, è nello stesso tempo un’arte e una scienza» (Heuzé, in Giacomini 1958). Le marcite sono governate in modo che vi scorra lentamente e in permanenza durante cinque mesi, dall’autunno alla primavera, un sottile velo d’acqua, come fece osservare l’Abate Amoretti oltre duecento anni or sono. Le acque dei fontanili che le alimentano sono popolate da una lussureggiante flora acquatica e da un’altrettanto significativa fauna di gamberi e di insetti. Queste acque, indicatrici di un ricco contenuto di ossigeno, non inquinate e scorrenti in permanenza, hanno una temperatura abbastanza costante: intorno ai 6°C / 8°C, essendo alimentate da profonde falde freatiche. L’esistenza delle marcite (o prati marcitoi) ha origini lontane nel tempo. Da quanto ci è stato tramanda-

Pecore al pascolo in… Paradiso. (Elena Tartaglione)

to attraverso documenti di archivio, pare siano stati i monaci benedettini cistercensi, provenienti dalla Francia verso il 1400 (e la cui regola monastica era «pregare e lavorare, ora et labora») ad avere per primi concepito e organizzato, con perspicace capacità di attenzione e di attuazione, le tecniche di irrigazione giunte fino ai nostri giorni, sottraendo in tal modo i terreni al bosco e alle paludi originariamente esistenti. Questa ingegnosa tecnica idraulico-agronomica formava così i presupposti per un proficuo allevamento di bestiame bovino, motivando lo sviluppo di una fiorente industria casearia originata grazie all’ottimo foraggio ottenuto nelle marcite.

L’arrivo dei monaci benedettini nell’Italia settentrionale verso il 1400 coincise con l’inizio in Europa del climaticamente nefasto periodo della «piccola era glaciale» (1400-1860 circa), all’origine di profondi sconvolgimenti sociali e politico-economici: guerre, pestilenze e carestie. Nel relativamente breve periodo di un secolo, tra il 1784 e il 1883, si ebbero tre catastrofiche eruzioni vulcaniche in Islanda (Laki, 1784), e in Indonesia (Tambora, 1826 e Krakatoa, 1883). Queste causarono parecchie decine di migliaia di vittime, a seguito anche della formazione di giganteschi «tsunami». Durante parecchi mesi, il cielo fu oscurato dalle ceneri vulcaniche che giunsero fino in Europa. A

seguito di questi eventi, la radiazione solare sulla Terra fu schermata in larga misura, con una conseguente diminuzione della temperatura al suolo. Si ebbero anni senza estati, chiamate «inverni vulcanici». I raccolti furono ovunque disastrosi, originando carestie su larga scala, perdite di raccolti e conseguenti disordini sociali, male gestiti da autorità impreparate. Anche i pascoli alpini ebbero a soffrirne, fin oltre la metà dell’Ottocento, poiché a estati durante le quali era impossibile utilizzarli per il rigore delle temperature e il conseguente tardivo sviluppo dell’erba, si alternavano estati siccitose: «1870. In memoria dei più vecchi, una simile sterilità e siccità non si ricordano. Il fieno è nullo e sopra quel poco è quasi tutto coperto di sajotri (nda: cavallette) e bruchi» (Fransioli 1992, dall’Archivio Patriziale di Airolo). Il fatto è che le vicende e la memoria umane non sono calibrate sui tempi e i ritmi della Natura, e si ha la deleteria tendenza a dimenticare. Bibliografia

Carlo Amoretti, 1806, Viaggio da Milano ai Tre Laghi Maggiore, di Lugano e di Como e ne’ monti che li circondano, Dalla Tipografia Scorza e Compagno (Milano), 288 pp. Mario Fransioli, 1992, Momenti di storia airolese, pp. 77-129. In: autori vari, Airolo. Il borgo ai piedi del San Gottardo, da secoli luogo di passaggio tra il Nord e il Sud delle Alpi, Arti Grafiche Salvioni & Co. (Bellinzona), 296 pp. Annuncio pubblicitario

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Ambiente e Benessere

Abelie in collezione

Mondoverde Un tipo di cespugli da giardino particolarmente belli e che richiedono poca cura Anita Negretti Ognuno ha le proprie preferenze, io ad esempio amo i giardini con aiuole ricche, contenenti un bel mix di fioriture, ben accostate tra loro, stile aiuole all’inglese per intenderci. Non sono una grande fan dei giardini formali, quelli troppo strutturati, dove la mano del giardiniere detta forme spesso troppo rigide, con pochi fiori e tutti molto simili tra loro, quasi collezioni monotematiche della stessa specie.

Fanno tuttavia eccezione quelle collezioni di arbusti composte dalle abelie, che reputo siano cespugli meravigliosi: compatti e belli carichi di fiori, hanno esigenze minime, colorano il giardino per tutto l’anno e non richiedono quasi nessuna cura se piantate in piena terra. Così qualche anno fa ho incominciato a collezionare piccoli esemplari di abelie, per l’esattezza scegliendo le cultivars delle A. X grandiflora, un ibrido originario della Cina e risultante dall’incrocio tra Abelia chinensis e Abelia uniflora, due varietà anch’esse cinesi. La prima abelia da me acquistata è stato un vero colpo di fulmine: in un

Krzysztof Ziarnek

I lunghi rami delle abelie sono arcuati e si riempiono di fiori da fine giugno, per tutta l’estate e tutto l’autunno piccolo vivaio ho comprato A. grandiflora «Kaleidoscope», con foglie color verde e crema durante la primavera e l’estate, ma che in autunno virano sul rosso, l’arancio ed un giallo dorato molto vivo, regalando una bella fioritura con fiori bianchi e profumati. Qualche mese dopo, individuata la posizione ideale, che è in pieno sole e con sufficiente spazio intorno per potersi sviluppare (raggiungono i 150 cm di altezza e di chioma quando sono esemplari adulti di almeno 10 anni), ho piantumato una «Edward Goucher», che ha fiori dalla tipica forma di trombetta e dal colore rosa-lilla, con foglie color bronzo da giovani che poi diventano verde scuro, ed una bella pianta di

«Compacta». Quest’ultima raggiunge gli 80 centimetri, ha un portamento molto denso, quasi prostrato ed infatti l’ho posizionata davanti agli altri ibridi che si sviluppano maggiormente in altezza. Ben resistendo ai geli invernali, le abelie si comportano da arbusti semi caduchi, nel senso che perdono tutte le foglie solo nel caso si verifichino temperature sotto i –5 °C. I lunghi rami arcuati si riempiono di fiori da fine giugno e per tutto l’autunno, rimanendo però molto decorativi anche dopo la sfioritura, quando i calici dei fiori si tingono di rosso e sembrano anch’essi dei petali. Da catalogo ho invece prenotato e ricevuto altre due piante, difficilmente

reperibili nei vivai: «Panachée» dal fogliame verde scuro molto lucido e bordato di bianco e «Golden Panachée», chiamata anche «Minpan», con foglie screziate di giallo. Felice della mia collezione, che cresce in completa autonomia per tutto l’anno e necessita solo di qualche secchio d’acqua durante l’estate e di una leggera potatura invernale, ho ricevuto in regalo, nel mese di luglio, alcuni rametti di abelia da moltiplicare. La mia amica giardiniera li aveva raccolti nel giardino di un suo cliente, rimanendo colpita dai fiori molto più grossi e larghi delle altre abelie in commercio e di un rosa lavanda molto appariscente.

Incuriosita dalla novità, ho messo in vasetti con torba e sabbia le varie talee lunghe dai 5 ai 10 cm, le ho tenute bagnate e queste hanno incominciato a radicare in una quindicina di giorni. A fine settembre sono comparsi i primi fiori, notevolmente più grandi di quelli degli altri ibridi presenti nel mio giardino e di un color lavanda molto sgargiante. Questa caratteristica mi ha permesso di classificarla come «Pinky Bells» e di acquistare altre tre piante uguali per creare un’aiuola tutta sui toni del rosa e del bianco, avendole abbinate a quattro «Sherwood» dai fiori bianchi e dal portamento quasi strisciante. Annuncio pubblicitario

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Ambiente e Benessere

Involtini di melanzane

Migusto La ricetta della settimana

Piatto unico Ingredienti per 6 persone: 2 melanzane di circa 350 g . sale . 1 mazzetto d’origano

. 1 cipolla . 2 spicchi d’aglio . 600 g di carne macinata mista (manzo e maiale) . pepe dal macinapepe . 6 cucchiai d’olio d’oliva . 5 dl di sugo di pomodoro

migusto.migros.ch/it/ricette

1. Tagliate le melanzane per il lungo a fette sottili circa 2 mm. Salatele e fatele riposare per circa 1 ora. Mettete da parte alcune foglioline d’origano per guarnire.

Per diventare membro di Migusto non ci sono tasse d’iscrizione. Chiunque può farne parte, a condizione che un membro della sua famiglia possieda una Carta Cumulus.

2. Nel frattempo, tritate la cipolla, l’aglio e l’origano rimasto e mescolate il tutto con la carne. Salate e pepate. Sciacquate le melanzane con acqua fredda e asciugatele tamponandole. Distribuite la carne sulle fette di melanzana e arrotolatele. Fissate gli involtini con uno stuzzicadenti. Scaldate l’olio in una padella e rosolate poco per volta gli involtini di melanzana per circa 5 minuti. Scaldate il forno a 180 °C. 3. Mettete la passata di pomodoro e gli involtini di melanzana in una pirofila o in una padella di ghisa. Cuocete al centro del forno per circa 35 minuti. Guarnite con le foglie d’origano messo da parte e servite. Preparazione: circa 30 minuti + riposo circa 1 ora + cottura circa 35 minuti. Per persona: circa 22 g di proteine, 23 g di grassi, 15 g di carboidrati, 370

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 11 giugno 2018 • N. 24

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2 Tutto cominciò con mariti che sparivano improvvisamente per qualche ora durante viaggi all’estero per ammirare, almeno dall’esterno, uno stadio dove si erano giocate partite leggendarie. Poi pian piano il calcioturismo (vogliamo chiamarlo così?) è uscito dalla clandestinità. Come spesso accade nel campo dei viaggi, è stato un movimento spontaneo, al quale solo da qualche anno si cerca di dare una risposta organizzata. L’esempio migliore potrebbe essere il Camp Nou di Barcellona, dove il Barça gioca dal 1957. Con quasi centomila posti è lo stadio più grande d’Europa. Si trova nel quartiere di Les Corts ed è forse quello che prima e meglio di ogni altro ha saputo intercettare questa nuova domanda turistica. Quando non ci sono partite, è possibile, infatti, calpestare il tappeto erboso entrando dal tunnel dei giocatori, sedere in panchina e trattenersi nello spogliatoio della squadra ospite. La visita si conclude al museo storico, dove sono raccolti numerosi cimeli e le coppe vinte dal club, con installazioni multimediali e video delle partite storiche. Qui potreste scoprire per esempio che la squadra più famosa del mondo fu fondata nel 1899 da uno svizzero, Joan Gamper, tanto che i colori sociali blu e granata (blaugrana) si crede vengano da quelli del Basilea, la squadra dove Gamper aveva giocato prima di trasferirsi in Catalogna. In poco tempo il museo del Barcellona è diventato il più visitato della regione. Il biglietto costa venticinque euro e un negozio di souvenir a tema capitalizza l’interesse dei visitatori. Naturalmente il Real Madrid, rivale storico del Barcellona, non è rimasto

a guardare e allo Stadio Santiago Bernabeu propone un’esperienza simile, registrando un milione e trecentomila visitatori nel 2017 (terzo museo più visitato di Madrid). Nei giorni scorsi poi si è verificato un piacevole imprevisto. Battendo a Kiev il Liverpool per 3-1 il Real Madrid – che – si definisce senza falsa modestia «il miglior club del XX secolo» – ha conquistato la tredicesima Coppa dei Campioni/Champions League della sua storia, la terza consecutiva e la quarta negli ultimi cinque anni. Purtroppo però nel settore del museo dedicato a questi trofei è finito lo spazio e la Decimotercera per il momento è stata posizionata in una vetrinetta a parte. Nonostante i recenti successi delle squadre spagnole, la Gran Bretagna resta il Paese dove il calcio fu inventato e quindi una sosta obbligata per i calcioturisti nazionali e internazionali, questi ultimi particolarmente numerosi perché gli incontri della Premier League sono trasmessi in tutto il mondo. In un modernissimo palazzo nel centro di Manchester è stato creato il National Football Museum, con i suoi sei piani colmi di cimeli (i sedili originali dello Stadio di Wembley, il pallone usato nella finale dei Campionati del mondo del 1966 vinta dall’Inghilterra contro la Germania, la maglia del Manchester United con la quale George Best segnò 6 reti nel 1970…) oltre a giochi e postazioni interattive. E senza muoversi da Londra si possono visitare tre diversi stadi storici (oltre naturalmente a Wembley): nella parte orientale della città lo Stamford Bridge, dove gioca il Chelsea; a nord il modernissimo e tecnologico super stadio Emirates dell’Arsenal e, nella stessa zona, lo stadio White Hart

Giochi Cruciverba «Sono preoccupata, ho mandato mio marito cinque ore fa a comprare due cotolette e dell’insalata per pranzo e non è più tornato, cosa faccio?» Trova la risposta dell’amica a cruciverba ultimato leggendo le lettere evidenziate. (Frase: 5, 6, 3, 2, 6)

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Glorie e declini del calcio7 Bussole 9 I nviti 2

a letture per viaggiare

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questo piccolo libro affronteremo un 7«In viaggio nel tempo, 5 in sedici tappe, attraverso i principali stadi d’Italia, templi moderni di un culto pagano: un itinerario insolito, percorrendo il quale potremo scoprire come gli italiani hanno vis5 suto il loro rapporto con il calcio…».

N. 18 MEDIO 2

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9 Ogni stadio italiano ha una storia da raccontare. Ci sono le prime amichevo-

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7 6 della2Prima li tra nazionali alla vigilia 1

8 Al museo del Real Madrid dedicato ai trofei è finito lo spazio. (Efeborn)

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guerra mondiale nel gigantesco Sta-

dium di Torino; 3 9 la sfida per il predomi6

nio nazionale tra Genoa e Pro Vercelli (vinta dai vercellesi) allo Stadio9 Marassi di Genova nel 1922; la vittoria degli azzurri nel mondiale del 1934, 7 nello stadio romano del Partito nazionale fascista; il derby tra il Milan di Rocco e l’Inter di 3 7 Herrera a San Siro, nel 1961, vinto dai rossoneri per 3-1 (grazie a questo Giu1 5 siciliano di seppe 4 Marano, un ferroviere 53 anni, padre di 5 figli, fu l’unico a fare 1 vincendo 156 milioni 13 al Totocalcio con una schedina da 100 lire). Cominciò poi il declino e la fuga dagli stadi, con gli scontri tra tifosi, il calcioscommesse, gli 5 sprechi e i ritardi di Italia ‘90. Mentre all’estero gli impianti sono sempre più comodi, in Italia sono vecchi, scomodi, insicuri. 3 Certo 1 la Juventus ha ora un suo stadio moderno, 4 9a Udine e Reggio Emilia sono mentre state realizzate piccole strutture accoglienti; 2 ma molti stadi (Bari, 6 San Siro) sono ancora come ai tempi di Italia ’90.

Lane, il campo del Tottenham. Fuori Ci sono poi i ritiri. La presenza di Londra possiamo ricordare almeno Old nazionali e club titolati in una desti3 Trafford, «il Teatro dei sogni», con il nazione turistica attrae sempre molti Manchester United. visitatori desiderosi di vedere da vicino Anche qui l’evoluzione è evidente: il i loro campioni; per questo si organizzaturismo di nicchia di un tempo – appas- no allenamenti a porte aperte, amichesionati di british culture, di sottoculture voli ecc. Nel nostro caso, dalla fine di giovanili e di movimento hooligan – è maggio sino al trasferimento in Russia, stato sommerso da un turismo di massa la nazionale svizzera si prepara9 a Luga8 con grandi numeri e conseguente indot- no, come già nel 2016 per gli Europei in to: milioni di turisti e centinaia di milio- Francia. ni di sterline di spesa. La stessa dinamica, in forme più Giochisiper “Azione” Gli stadi sono solo l’ultimo tassello leggere, ripete anche- Maggio per altri2018 sport. Stefania Sargentini del turismo legato al calcio. Da sempre Si visitano gli impianti di5 famosi Giochi ci sono le trasfertefamosi) per seguire la squa- olimpici, la cattedrale del tennis a Wim(N. 17 - Personaggi 1 2 3 5 6 dra del cuore, specie in4 occasione di bledon, Twickenham per il rugby, 7 PaM O L E S T E partite decisive. E se questi tifosi fini- ris-Vincennes per l’ippica ecc. Se però 7 8 O P oElo sport N B e scono sui giornali soprattutto quando detestate il calcio inAgenere 9 9 10 si abbandonano all’alcol o al vandali- quindi questa T nuova R E tendenza U R diEviag- Bibliografia smo, altri – e11sono i più12– approfittano gio proprio non T Avi piace, E potete T A sempre T 6 Pierluigi 5 Allotti, Andare 8 per stadi, 13della 14 15 16passione 17 loro predominante per visitare il Colosseo. Ah no, a modo suo Il Mulino, 2018, pp. 160, € 12. T A C C O C U O R E era uno stadio anche quello… 18visitare nuove città. 19 O C H E S E R P E 7 2 20 21 22 Z I I D I P O I A 23 24 25 26 4 1 Z N S T O P C O3 D 27 28 I O N I N I C O L A 6 PER 1 AZIONE - MAGGIO3 20187 SUDOKU

N. 19 DIFFICILE

Giochi per “Azione” - Giugno 2018 Stefania Sargentini Vinci una delle 3 carte regalo da 50 franchi con il cruciverba

e una delle 2 carte regalo da 50 franchi con il sudoku (N. 21 - “Delle patate con il salame”) (N. 18 - Per saperne di più)

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I NGENI O C A N. N8VI 20 D E L7 E O V 2 1 6 5 4 8 9 3 8 A R I 8 6 9 12 7 4 5 3 2 A L 41 6C AO L R E 35 A 9 4 3 8 2 1 6 7 6 4 9 V E N E 2 3 7 8 6 5 9 4 1 P A S7 T A4 5 9 2 3 1 6 7 8 7 4 8 5 1 6 8 4 7 9 3 2 5 2 O T I 8T E C 6 1 21 5 4 3 7 8 9 1 9 6 2 3 4 D3 7 I9 T5 O 2 N 89 774I 538C O L 7 2 8 5 1 6 9 C N.E 18 N MEDIO O M S I A T AN O T O I C A5 O 6 9 O L N I D I 2 I O 8 S 5 O 2 1 8 5 6 4 7 9 3 V S T O L E S A I D R 7N 9C C 4 A 7 6 9 2 O 3 8 R 1 5 4 9 E T T 7 E S S E6 2 A 3 3 5 9 7 1 8 4 6 2 R U PN I E3 U T9 O I R R I6 1 A L1 A E6 3 7 4 3 5 S 9 28 8 O R T E L9 A 8 8 3 2 1 7 6 5 4 9 I NM O 7 E A S 6 3 6O 5 L R C 9 2A T 87 E 6 5 4 2 3 N 7 1

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N. 17 FACILE Schema T A M A R A A G I O S 4A Soluzione: TScoprire R 8E i 3 9S 1O 7M Anumeri D A 8L I corretti 5I inserire nelle Nda G 2 7A R A caselle colorate. G I A D A C E R T O V U 6 9 L T B O B 2 5 3 O D I E R N A

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31. Ti seguono sulla sabbia 32. Hanno tanti anelli ma nessun dito VERTICALI 1. Si festeggia con gran fragore 1 2 2. Lo erano Pegaso e l’Ippogrifo 3. Le iniziali dell’attore Abatantuono 6 4. Ripide, scoscese 5. Una figlia di Labano 6. Le iniziali dell’imitatrice Aureli 9 10. Posto, collocato 13. Anagramma di rosate 14. Canta d’estate 11 16. Targa del Nicaragua 17. Le iniziali della cantante Aguilera 13 14 15 16 18. Famosa attrice italiana 19. Arredo del camino

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Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch

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ORIZZONTALI 1. Rette dalle bugie 7. Preposizione articolata 8. Lotto di terreno 9. Avverbio di negazione francese 11. Posta alla fine 12. Infiammazione auricolare 15. Un goccetto nel bicchiere 16. Nome maschile 20. Situazione difficile 22. Poco oltre 23. Iniziali di Copernico 25. Il primo natante 26. C’è anche quella di finirla! 27. Una parente 29. Emette una luce intensissima

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Viaggiatori d’Occidente Gli stadi più famosi sono diventati popolari destinazioni turistiche 6

Claudio Visentin

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Ambiente e Benessere

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Il mondo è una palla

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I T O A3 R7 S 1 2 4 8 9 5 6 3 7 E I T R I O 3 della4settimana 1 5precedente Soluzione 6 9 3 2 4 7 1 5 8 RISATE A DENTI STRETTI – «Ho centrato con l’auto un’edicola e...» 1 5 8 7 6 3 1 9 2 4 Resto della frase: ...SONO FINITO SU TUTTI I GIORNALI! N. 19 DIFFICILE

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A L A R E

21. In posizione intermedia (N. 22 - Nome proprio di latino luogo geogra co) 24. Perché

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I premi, cinque carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sor20 teggiati tra i partecipanti che21avranno fatto pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente 23 24 la pubblicazione del gioco.

26. Audace (N. 20 - Risate a denti stretti) 28. Fiume russo 1 3 2 3 44 5 6 5 7 30. Malati senza mali!

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Vincitori26 del27 concorso Cruciverba 28 29 su «Azione 22», del 28.05.2018 30

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P. Hinder, 12 M. Jud, S. Panizzolo 37 40

33 35 Vincitori del concorso34Sudoku 39 su «Azione 22», del3828.05.2018

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17 L. Cattomio e M. 41 Berguglia

Partecipazione online: inserire la

soluzione del cruciverba o del sudoku 22 pubblicato nell’apposito formulario sulla pagina del sito. Partecipazione postale: la 26 lettera o 25 la cartolina postale che riporti la so-

N A P P G 3 G I 6 A1L B A U R A N. 20 GENI luzione, nome,E cognome, Ocorredata R daG 8 2 3 deve indirizzo, email del partecipante essere spedita a «Redazione Azione, 9 6 4 L7 C.P.E6315, O G Concorsi, 6901 Lugano». 4 8 5 sui Non si intratterrà corrispondenza concorsi. ALe vieNlegali1sono escluse. F Non A S A T5 U R N O

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 11 giugno 2018 • N. 24

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Politica e Economia Governo Conte Il 65.mo esecutivo della repubblica italiana impensierisce non poco stampa e politici esteri

Vertice del 12 giugno Gli storici colloqui di Singapore fra Donald Trump e il nordcoreano Kim Jong-un avranno luogo sull’isola di Sentosa, in un resort di lusso

Due piccioni con una fava Più soldi per l’AVS e sgravi fiscali alle aziende: grazie a Konrad Graber gli Stati approvano una riforma bifronte

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La Svizzera del futuro In una nuova pubblicazione, il think tank liberale Avenir Suisse si interroga sugli scenari possibili e desiderabili nei prossimi decenni pagina 34

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Pedro Sánchez giura al palazzo della Zarzuela di Madrid alla presenza del re Filippo VI. (Keystone)

Sánchez, un uomo solo al comando

Spagna Il nuovo primo ministro socialista è riuscito a mettere fine a sette anni di governo Rajoy ma i problemi

che dovrà affrontare sono molteplici, a cominciare dalla gestione dei rapporti con Barcellona Gabriele Lurati «Ascolto, ricerca del consenso e dialogo». Queste sono state le prime parole del neo premier Pedro Sánchez, riferendosi alla crisi catalana e pronunciate al termine della vittoriosa mozione di sfiducia che ha sancito la fine politica di Rajoy. Quello di Sánchez è stato un manifesto programmatico ambizioso e apparentemente conciliante, con l’obiettivo di smarcarsi dalla politica autoritaria e repressiva messa in atto dall’ex premier conservatore Rajoy nei rapporti con la Catalogna. Alla prova dei fatti però, con la sua prima decisione politica, coincisa con la scelta di mettere una figura dichiaratamente anti-indipendentista come l’ex presidente del Parlamento europeo Josep Borrell al Ministero degli esteri, Sánchez ha già sollevato dei dubbi sulle sue reali volontà di apertura e ha provocato malcontento a Barcellona. Il nuovo capo del governo dovrà quindi compiere equilibrismi politici per dimostrare una discontinuità con il passato, senza però concedere troppo agli indipendentisti catalani. Così facendo, usando la tattica del bastone e della carota, rischia però anche di scontentare tutti e di bruciarsi presto.

Arrivato alla Moncloa grazie al sostegno della sinistra radicale di Podemos e con il decisivo voto dei nazionalisti baschi e catalani, nonché a seguito della sentenza dello scandalo giudiziario che ha condannato per corruzione il Partito popolare e mandato in carcere alcune persone molto vicine a Rajoy, Sánchez dovrà fare i conti innanzitutto con un’aritmetica parlamentare che lo obbliga a governare con un fragile esecutivo di minoranza. Il Partito socialista dispone infatti di soli 84 deputati in Parlamento (alle Cortes la maggioranza è fissata a 176) e dovrà giocoforza dialogare con Podemos (67 parlamentari) e, soprattutto, con i nazionalisti baschi e gli indipendentisti catalani. Questi ultimi hanno appoggiato Sánchez solo con l’obiettivo di defenestrare Rajoy, considerandolo una delle cause della crisi catalana e dell’incarceramento di molti loro leader nonché della fuga all’estero di molti esponenti indipendentisti di spicco (tra cui l’ex presidente della Generalitat Carles Puigdemont). La gestione della «questione catalana» sarà quindi di vitale importanza per la sopravvivenza del governo Sánchez. Il premier cercherà di affrontare

il problema dal punto di vista politico, a differenza del Partito popolare che ha sempre preferito la via giudiziaria e si è sempre negato al confronto con gli indipendentisti. D’altronde non può essere considerato un fatto casuale la contemporaneità della nascita del governo Sánchez, avvenuta a Madrid proprio nelle stesse ore in cui a Barcellona veniva investito Quim Torra quale nuovo presidente della Generalitat, e che ha messo fine a otto mesi di commissariamento del governo catalano. Lo stesso Torra, pur ribadendo le velleità secessioniste del nuovo esecutivo catalano, si è detto sin da subito disponibile ad un incontro con Sánchez. Gli obiettivi minimi che si prefigge il nuovo premier sono essenzialmente due. Il primo sarà quello di abrogare alcune leggi liberticide promulgate dal governo Rajoy (come la famigerata «legge bavaglio» che limita fortemente le libertà di espressione) e approvare nuove misure di tipo sociale al fine di accontentare i desiderata dell’elettorato progressista che lo sostiene in Parlamento (Psoe e Podemos). Il secondo obiettivo, ben più difficile, sarà come detto quello di smorzare la tensione nei rapporti con la Catalogna. Que-

sto compito sarà estremamente arduo perché Sánchez avrà di fronte parecchi nemici che lo stanno aspettando al varco. I primi saranno ovviamente i partiti dell’opposizione (il Partito popolare ormai orfano di Rajoy e Ciudadanos, partito che viene dato attualmente come prima forza politica nei sondaggi e che sta erodendo consensi al Pp) che faranno una battaglia feroce puntando sulla messa in discussione dell’unità della Spagna alla minima concessione fatta da Sánchez ai secessionisti catalani, considerati dei «golpisti» agli occhi del Partito popolare e Ciudadanos. Sánchez dovrà però stare attento anche al «fuoco amico». Infatti all’interno del Psoe sono presenti parecchi esponenti di spicco, soprattutto leader territoriali nonché figure storiche del partito come l’ex premier socialista Felipe González, che ne hanno ostacolato il suo ritorno in sella al partito un anno fa e che sono dichiaratamente contrari ad una Spagna plurinazionale e favorevoli alla linea dura con i catalani. Non da ultimo Sánchez dovrà difendersi dagli attacchi della stampa e della maggioranza dei media, tutti ostili alla linea morbida con Barcellona. Si pensi che Sánchez non gode neanche dell’ap-

poggio di «El País», il più diffuso quotidiano nazionale, storicamente vicino ai socialisti. Questo giornale l’ha osteggiato in passato con durissimi editoriali per la sua apertura all’idea di una Spagna più federale, vista come «una nazione di nazioni», e non più tardi di due settimane fa l’aveva addirittura messo in guardia dal presentare la mozione di censura contro Rajoy, consigliandogli di andare subito a nuove elezioni. In questo clima da «Sánchez contro tutti» si giocherà la partita politica nei prossimi mesi. La maggior parte degli analisti crede che questo governo avrà vita breve e che non porterà a termine la legislatura, prevista fra due anni. Altri opinionisti invece ritengono che Sánchez potrà godere almeno inizialmente di un effetto «luna di miele» con un elettorato stanco di anni di austerità economica e ferrea gestione conservatrice di Rajoy; ciò gli consentirebbe di avere un margine di tempo sufficiente per ottenere maggiore consenso tra vari strati della popolazione. In ogni caso Sánchez ha di fronte a sé un’occasione unica. Se saprà giocarsi bene le sue carte, potrà essere ricordato come il politico che avrà messo fine alla crisi catalana.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 11 giugno 2018 • N. 24

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Politica e Economia

A Conte fatti

Notizie dal mondo

Italia All’esterno del Belpaese è percepibile l’apprensione per le imperscrutabili prospettive

del governo rappresentato da Salvini-Di Maio Alfredo Venturi Ho accettato l’incarico «con umiltà e determinazione». Il presidente del consiglio Giuseppe Conte presenta il suo governo ma soprattutto se stesso al Senato della repubblica. Al suo debutto sulla scena politica chiede che il «governo del cambiamento» sia sorretto dalla fiducia parlamentare. La fiducia è scontata, ma il suo obiettivo personale non è dei più facili. Il presidente scaturito dallo psicodramma che ha occupato i tre mesi successivi al voto del 4 marzo vuole dimostrare all’Italia e al mondo che il governo Salvini-Di Maio di cui si parla è in realtà il governo Conte. Eppure la topografia protocollare sembra stringerlo in una morsa, mentre parla i due vicepresidenti, il leghista e il cinquestelle, gli siedono accanto, uno da una parte e uno dall’altra. Il capo dell’esecutivo sembra Pinocchio fra i due carabinieri. Con un discorso un po’ più grillino che leghista, Conte argomenta la sua fedeltà al «contratto» negoziato fra i due partiti della maggioranza e ne riprende sommariamente i punti chiave.

A Bruxelles si invoca continuità ma come si può pretenderla dal governo del cambiamento? Ironizza sull’accusa ricorrente: populisti? Se questo vuol dire ascoltare i bisogni della gente, allora lo siamo. Ma razzisti no, non lo siamo e non lo saremo mai. E rafforza il concetto esprimendo il suo cordoglio per la morte di Sacko Soumayla, un bracciante africano ucciso a fucilate in Calabria, per il quale finora nessuno del nuovo regime ha speso una parola. A proposito di profughi, «metteremo fine al business dell’immigrazione» cresciuto sotto «il mantello della finta solidarietà». Accarezza un altro tema caro a Salvini: potenzieremo la legittima difesa. Al tempo stesso prova a rassicurare alleati e soci: l’Europa «è la nostra casa», e come fondatori la vogliamo più forte «ma anche più equa». Inoltre non sono in discussione l’appartenenza all’alleanza atlantica né lo stretto rapporto con gli Stati Uniti. Al tempo stesso, aggiunge toccando un sensibilissimo nervo internazionale, «siamo fautori di un’apertura verso la Russia e di una revisione delle sanzioni». La Nato ovviamente reagisce e avverte: le sanzioni restano fino a quando Mosca non avrà cambiato le sue politiche. Conte insiste su un’immagine che già aveva proposto al momento di assumere l’incarico: sarò l’avvocato che tutela gli interessi del popolo italiano. Per esempio assicurando ai più bisognosi reddito o pensione di cittadinanza, introducendo la flat tax a due aliquote fisse, combattendo le mafie, riducendo i costi della politica, snellendo le procedure giudiziarie, mandando in galera i grandi evasori, sanando le ferite dei terremoti, abbassando l’età pensionabile e tagliando le pensioni più alte. Sono le misure elencate nel contratto che sta alla base della strana alleanza fra i leghisti, votatissimi nel Nord produttivo che invoca riduzioni fiscali, e i cinquestelle, che hanno fatto incetta di consensi nel Sud della disoccupazione di massa dove si attendono generose sovvenzioni di denaro pubblico. Salta agli occhi il contrasto fra l’impronta liberista della Lega e le tentazioni stataliste dei grillini, per questo qualcuno parla di alleanza contro natura. Il calendario politico rende particolarmente nervose queste diverse aspettative: Conte presenta il suo governo pochi

Basi Usa in Polonia? Per far fronte a una potenziale minaccia di attacco da parte della Russia, il governo di estrema destra polacco ha proposto recentemente agli Stati Uniti di installare una base militare permanente sul proprio territorio e al di fuori del quadro Nato. Oltre a rappresentare un onere finanziario gravoso, visto che Varsavia intende farsi carico interamente delle spese, l’eventuale progetto potrebbe però ottenere l’effetto contrario a quello desiderato dalla Polonia, contribuendo a far salire ancora di più le tensioni nell’ambito dello scontro in atto con Mosca. L’offerta fatta a Washington è contenuta in un documento del Ministero della difesa polacco, ottenuto e pubblicato qualche giorno fa dal portale di news Onet. Lo stazionamento di una divisione armata americana in Polonia comporterebbe un costo stimato di due miliardi di dollari, pari circa al 20% delle spese militari totali sostenute da Varsavia nell’anno 2017. Il Ministero della difesa della Russia ha reagito alla notizia dicendosi pronto ad intervenire nel caso venga dislocata la base militare statunitense in Polonia e ha inoltre rilevato che l’espansione della Nato ed il consolidamento delle sue forze verso i confini russi sono «indesiderabili e illegali». I leader degli Stati baltici hanno invece accolto favorevolmente l’idea della base militare. Migranti: centri di accoglienza fuori da Ue ma in Europa

giorni prima dell’ennesimo appuntamento con le urne: più di sette milioni e mezzo di cittadini chiamati a votare in 761 comuni, con i vincitori del 4 marzo in cerca di conferme e gli sconfitti ansiosi di battere un colpo e risalire la china. Risente di questo clima da campagna elettorale permanente anche il fervore con cui Salvini ha salutato la «nostra vittoria» a Lussemburgo, dove erano riuniti i ministri dell’interno dell’Unione Europea. Lui non c’era a causa dell’impegno parlamentare ma è rimasto in stretto contatto. Si discuteva la riforma delle regole di Dublino sull’accoglienza e l’asilo. La proposta della presidenza bulgara è stata bloccata da un assortito fronte del no: da una parte Italia e Spagna, dall’altra il gruppo di Visegrad: Ungheria, Polonia, Cechia e Slovacchia. Diverse le motivazioni: i primi contestavano i vincoli che la bozza lasciava a carico dei paesi di primo approdo, i secondi ribadivano la loro contrarietà a ospitare quote di migranti. Contraria anche la Germania nel timore di conseguenze insostenibili per i paesi mediterranei. Dunque la proposta bulgara è caduta e per quanto diversamente motivati gli anti-sistema hanno festeggiato. Con Viktor Orban, aveva annunciato Salvini dopo essersi consultato con il campione ungherese del fronte anti-migranti, cambieremo le regole europee. Non è la prima dichiarazione sopra le righe del neo-vicepresidente. Confermando la volontà di combattere il fenomeno migratorio, Salvini se la prende

con la Tunisia, dove s’imbarca una buona parte dei migranti, lamentando che «spesso ci manda galeotti». La Tunisia, che è uno dei paesi con i quali l’Italia ha concluso accordi per il controllo dei flussi, e sulla base di questi accordi riceve un’ottantina di rimpatriati alla settimana, reagisce con durezza, chiedendo chiarimenti e convocando l’ambasciatore italiano. Soltanto più tardi Salvini corregge il tiro parlando di citazione fuori contesto e dicendosi pronto a incontrare l’omologo tunisino. La gaffe suscita vivaci polemiche da parte delle molte opposizioni, dal Partito Democratico fino a Forza Italia, che dopo avere affrontato il voto del 4 marzo alleata con la Lega rifiuta la fiducia al governo di cui la Lega è uno dei pilastri. Sulle mosse di Salvini pesa la promessa con cui aveva affascinato le platee leghiste: rimanderò a casa cinquecentomila clandestini! I primi passi del nuovo governo confermano alcune facili previsioni. Da una parte l’irruente Salvini, uomo di comizi e di slogan, fatica a calarsi nei panni istituzionali di ministro. Per poter gestire personalmente lo scottante tema degli immigrati ha voluto la nomina all’interno, ma ha subito dimostrato di non essere a suo agio con l’impegnativa necessità della mediazione. Dall’altra parte Di Maio, che ai suoi elettori soprattutto del Sud ha promesso drastici provvedimenti in materia di welfare e di occupazione e per questo ha voluto la poltrona di ministro del lavoro e del-

lo sviluppo, deve cercare le risorse che dovranno finanziare i suoi costosissimi propositi. Già la flat tax, cara soprattutto ai leghisti, è stata parzialmente rinviata: l’anno prossimo riguarderà soltanto le imprese (ma per le imprese già esiste!, fanno notare i critici, si chiama Ires...), quanto alle famiglie se ne riparlerà nel 2020. In ogni caso costerà una fortuna: dove trovare i fondi? Dall’Unione Europea e da molte capitali arrivano a Conte messaggi di augurio e offerte di collaborazione, ma è chiaramente percepibile l’apprensione internazionale per le imperscrutabili prospettive dell’Italia e del suo governo. Il debito alle stelle, i programmi privi di copertura, la propensione a guardare verso Est, al gruppo di Visegrad con il suo esplosivo potenziale anti-europeo, alla Russia di Vladimir Putin che si vorrebbe partner privilegiato, all’Austria guidata da una maggioranza accesamente conservatrice e anti-migranti che parla di asse Roma-Vienna: tutto questo apre scenari confusi e fa temere che molte questioni irrisolte saranno sempre meno facilmente risolubili. Intanto Steve Bannon, l’ex consigliere politico di Donald Trump travolto dal vorticoso turnover alla Casa Bianca, parla di Roma come «centro della politica mondiale», mentre il «New York Times» definisce spaventoso (awful) il nuovo governo italiano e a Bruxelles si fanno scongiuri e si raccomanda continuità. Ma come si può pretendere continuità dal governo del cambiamento?

Vari stati dell’Ue sono al lavoro per l’apertura di un campo per richiedenti asilo in un Paese europeo, ma fuori dall’Ue. Ne ha parlato il primo ministro danese, il liberale Lars Lokke Rasmussen, auspicando che l’avvio di un progetto pilota apra la strada ad un migliore sistema comune di asilo. «Sono ottimista - ha detto Rasmussen - Sulla base dei miei colloqui con altri leader Ue ed il dialogo a livello ufficiale, mi aspetto che saremo in grado di muovere il primo passo quest’anno». Il premier danese non ha voluto spiegare in quale Paese europeo potrebbe essere aperto il campo, limitandosi a dire che si tratta di un luogo «non particolarmente attraente» per migranti e trafficanti di esseri umani. Rasmussen, come già il cancelliere austriaco Sebastian Kurz, ha chiarito che il progetto del campo non rientra in un quadro Ue, ma parte dall’iniziativa di alcuni Stati membri dell’Unione. Nella discussione sarebbero coinvolte anche Germania e Olanda. Sulla migrazione abbiamo messo in campo «un’iniziativa nazionale austriaca, quindi non un’iniziativa della presidenza di turno dell’Ue. «Si tratta di un lavoro in coordinamento con un gruppo di altri Paesi dell’Ue, tra cui Danimarca, affinché i migranti trovino protezione fuori dall’Ue. Così potranno avere protezione se necessario, ma non avranno possibilità di scegliere il Paese a loro più congeniale, per presentare la loro richiesta d’asilo», ha spiegato Kurz in una conferenza stampa congiunta col presidente della commissione europea JeanClaude Juncker, in vista dell’avvio della presidenza di turno, dal primo luglio.


Oggi non è meglio dare amore invece di farcire ravioli? Cucina per te.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 11 giugno 2018 • N. 24

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Politica e Economia

Trump-Kim, «turisti» a Sentosa

12 giugno Gli storici colloqui sul nucleare tra il presidente Donald Trump e il leader nordcoreano Kim Jong-un

avranno luogo in un resort di lusso su un’isola della città-stato di Singapore

Giulia Pompili Qualche giorno fa Kim Chang-son, il de facto capo dello staff del leader nordcoreano Kim Jong-un, era stato avvistato a Sentosa, una piccola isola artificiale di poco più di sei chilometri quadrati che fa parte della città-stato di Singapore. Kim Chang-son, circondato dai suoi protettori e attendenti, stava facendo in gran segreto uno degli ultimi sopralluoghi strategici al Capella Hotel, il luogo dello storico incontro tra il leader nordcoreano e il presidente americano Donald Trump. Subito dopo l’avvistamento, la Casa Bianca era stata costretta a confermare: da settimane i giornalisti erano alla ricerca di notizie sulla location della stretta di mano tra i due leader che per l’intero 2017 si sono fatti la guerra a suon di insulti e minacce, e ora compiono il più importante passo della storia contemporanea in Asia orientale. Ma non è tutto rose e fiori.

Nel giro di mezzo secolo il governo di Singapore è riuscito a trasformare la città in un modello di utopia neoconfuciana A parte il prestigio e l’indotto economico, va da sé soprattutto mediatico, un vertice del genere è anche una grande responsabilità per il paese ospitante. Non è un caso se nelle ultime settimane, e a ogni occasione, i funzionari della Casa Bianca abbiano ringraziato Singapore e il suo governo. Il quale, probabilmente, sarà costretto perfino a sostenere le spese di alloggio della delegazione nordcoreana, che non può permettersi un budget così extra-lusso. Il Capella Hotel è uno dei resort più esclusivi e costosi del sud est asiatico. Centododici tra stanze, suite e villette, più un maniero presidenziale, immersi in quasi tredici ettari di vegetazione

tropicale. Una rigidissima policy sulla privacy degli ospiti impedisce, anche in circostanze normali, addirittura di fotografare gli interni senza l’autorizzazione della direzione. L’intero resort è stato progettato dall’archistar inglese Norman Foster, e i lavori per la sua costruzione sono iniziati nel 2003 e sono stati completati soltanto sei anni dopo. Due edifici militari storici, risalenti alla fine dell’Ottocento, sono stati riqualificati e sono l’ossatura, il corpo centrale dell’edificio che visto dall’alto forma una specie di 8 in color terracotta – particolarità che gli è valsa pure il premio per miglior design ai South East Asia Property Awards. Tutta l’area è di proprietà della Pontiac Land Group della famiglia Kwee, una delle più famose e più ricche di Singapore. Cinque fratelli che gestiscono 5,3 miliardi di dollari di patrimonio, investiti perlopiù in attività di hotel extralusso. La loro storia è un po’ il simbolo del riscatto sociale di Singapore: il padre, l’indonesiano Henry Kwee Hian Liong, nel 1958 aveva lasciato il Paese d’origine, si era trasferito nella città-stato ed era entrato nel settore immobiliare, fino alla fondazione della Pontiac Land a metà degli anni Sessanta. Se il Capella Hotel non è un alloggio accessibile a tutti – dovete considerare almeno 500 euro per notte per una stanza normale, ma si arriva a duemila euro per una villetta con giardino – l’isoletta di Sentosa, che dista 500 metri dalla costa sud di Singapore, è invece una destinazione molto popolare non solo tra i turisti ma pure per i locali. C’è una funivia panoramica e il Sentosa express, una monorotaia inaugurata negli anni Ottanta per incentivare il traffico verso l’isoletta e che in un quarto d’ora raggiunge l’isola. Una media di venti milioni di visitatori l’anno arrivano qui, dove il fondatore della patria e leggendario primo ministro Lee Kwan Yew, all’inizio degli anni Settanta, decise di trasferire i malay e cinesi che abitavano la piccola isola per farne un parco di divertimenti a cielo aperto e puntare sul

Il Capella Hotel, luogo del summit, è immerso nel verde dell’isola di Sentosa. (AFP)

business del turismo. Nello stesso periodo, il suo nome fu cambiato dal malay Pulau Blakang Mati, che vuol dire più o meno l’isola della morte, a Sentosa, che significa pace e serenità. Durante l’occupazione giapponese, subito dopo la Seconda guerra mondiale, quei sei chilometri quadrati erano stati usati dalle truppe nipponiche come campo di prigionia, teatro delle peggiori nefandezze dell’armata imperiale. «Aumentare le misure di sicurezza è praticamente impossibile, se parliamo di Singapore. Ogni cittadino è talmente controllato che quando chiami un taxi non hai nemmeno bisogno di dirgli dove sei», ci dice un frequentatore della cittàstato sin dai tempi di Lee Kwan Yew. Sotto la guida del leggendario politico, morto nel 2015, e poi di suo figlio Lee Hsien Loong, il governo di Singapore è riuscito nel giro di mezzo secolo a trasformare la città in una utopia neo-confuciana. Perché il modello Singapore è questo: economia di mercato e innovazione, cultura della ricchezza rappresentata dalle larghe strade pulite maniacalmente: per

un solo mozzicone di sigaretta buttato a terra si rischiano multe da migliaia di euro, e si fuma soltanto in rarissime aree delimitate, anche all’aperto. E poi enormi grattacieli e resort tra i più belli del mondo, un sistema sanitario che è tra i cinque più efficienti secondo l’Organizzazione mondiale della sanità. Ma c’è un prezzo, ed è il condizionamento e il controllo sociale. Le manifestazioni di piazza qui sono illegali, e l’unico luogo dove si può protestare liberamente è il famoso Speaker’s corner all’interno del parco Hong Lim. Altrove, un semplice assembramento di persone può far scattare i controlli. Quando, come possibile sede per il vertice tra Donald Trump e Kim Jong-un, è iniziata a circolare l’ipotesi di Ulan Bator, la capitale della Mongolia, molti analisti di affari asiatici sostenevano che lo sconfinato Paese dell’Asia centrale non sarebbe stato in grado di organizzare un summit di tale importanza nemmeno con un anno di preavviso. Singapore invece ha facilmente messo in piedi il sistema di sicurezza adatto: l’isola non è stata nemmeno chiusa al

pubblico, e anzi ai giornalisti accreditati, qualche migliaio, è stato chiesto di mantenere un profilo basso e di non disturbare gli ospiti e i cittadini della citta-stato. Uniche due forme di rafforzamento del controllo sono la chiusura dello spazio aereo sopra all’isola di Sentosa e il dispiegamento degli uomini della brigata Gurkha. Si tratta dell’élite della polizia singaporeana, un corpo d’armata che è un lascito del periodo coloniale inglese: all’inizio dell’Ottocento, Londra reclutava i cittadini del Nepal e li arruolava nell’Esercito della Compagnia Britannica delle Indie orientali. Ancora oggi i nepalesi possono entrare nell’esercito britannico oppure nei corpi speciali della polizia di Singapore. Considerati tra i reparti più efficaci del mondo, i Gurkha arrivano quando a Singapore succede qualcosa che necessita la massima sicurezza, per esempio durante l’annuale forum Shangri La Dialogue, o quando la città-stato, tradizionalmente neutrale, viene scelta per ospitare grandi eventi politici. Per esempio il 7 novembre del 2015, quando l’allora presidente di Taiwan, Ma Ying-jeou, e il presidente cinese Xi Jinping, si incontrarono all’hotel Shangri La. Era la prima volta che i leader delle due nazioni si sedevano a un tavolo di colloqui sin dal 1945. Gli chef del più famoso tra i cinque stelle della città-stato prepararono per i due leader una cena a base di gamberi, asparagi fritti e noodles, serviti nella sala più grande, con un tavolo adatto ad accogliere entrambe le delegazioni. Alla fine delle due ore di banchetto, Ma e Xi divisero a metà il conto. Nonostante l’incredibile confusione generata dai giornalisti e dalle telecamere di mezzo mondo arrivate a Singapore, la macchina della sicurezza funzionò alla perfezione e anche in quel caso non ci fu nemmeno bisogno di chiudere l’hotel agli ospiti. Un ottimo precedente, quanto a organizzazione, ma non proprio di buon auspicio visto come sono andate poi a finire le cose tra Cina e Taiwan.

Colombia, due populisti al ballottaggio

Presidenziali Domenica si sfideranno Ivan Duque, che ha vinto al primo turno, e l’ex sindaco di Bogotà

Gustavo Petro. Per la prima volta dopo lo storico accordo di pace votano anche esponenti delle Farc

Due populismi a confronto nel ballottaggio del 17 giugno per le presidenziali colombiane. Il candidato favorito è Ivan Duque (a destra nella foto), della destra uribista, il delfino dell’ex presidente Alvaro Uribe che rimane l’eterno capo della estrema destra colombiana anche se non si presenta personalmente. Duque ha avuto il 39% delle preferenze al primo turno. Lo sfidante è Gustavo Preto, ex sindaco di sinistra di Bogotà, ex senatore, con un passato (remoto) nel grup-

po guerrigliero M19 poi trasformatosi in partito col quale Preto approdò prima in Parlamento e poi al governo della capitale. Preto si è fermato al 25%. Entrambi promettono diretto rapporto con gli elettori saltando le forme di mediazione politica tradizionali, entrambi promettono di spendere soldi che non hanno a disposizione. Fondamentali per la vittoria dell’uno o dell’altro saranno i quattro milioni e mezzo di voti andati al primo turno al terzo incomodo, l’unico candidato non populista della contesa, il verde Sergio Fajardo. A lui è andata la maggior par-

AFPAC

Angela Nocioni

te dei voti degli abitanti di Bogotà che, a sorpresa, non hanno votato in massa Preto nonostante il gran successo da lui riscosso come sindaco. Nelle regioni più ricche e nelle grandi città Medellin e Cali, la preferenza è andata a Duque. Nelle regioni periferiche ha vinto Petro. Al primo turno ha partecipato il 53,3% dell’elettorato, un dato alto per un paese dove di solito l’astensione supera il 50%. Questione centrale della campagna elettorale è stata la traduzione in pratica dei singoli punti previsti dall’accordo di pace con la guerriglia delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc). Questo è e resta il nodo centrale della discussione politica colombiana. Per la prima volta gli ex guerriglieri hanno preso parte ufficialmente alla contesa politica e si sono presentati con un loro partito: Forza alternativa rivoluzionaria comune, così da mantenere l’acronimo Farc e farlo comparire sulla scheda elettorale. Se lo sono giocato come un brand, scommettendo sulla efficacia del marchio, senza temere l’effetto boomerang di un nome che evoca ribellione in armi contro l’oppressione di latifondo e paramilitari di estrema destra, ma anche decenni di massacri. La firma dell’accordo di pace del governo con le Farc, nel 2016, ha chiu-

so mezzo secolo di conflitto armato interno e ha reso possibile il disarmo di circa settemila guerriglieri, ma la pace è ancora lontana, soprattutto in alcune regioni rurali del Paese. Almeno mille dissidenti delle Farc non hanno accettato gli accordi. Altre organizzazioni armate legate alla criminalità organizzata li ignorano. Le trattative di pace con l’Esercito di liberazione nazionale (Eln), altro grande gruppo armato colombiano, sono in corso all’Avana dove è stato da pochi giorni riavviato il quinto ciclo di incontri al tavolo di mediazione tra guerriglieri e governo. La Colombia sull’accordo resta spaccata a metà. Da una parte c’è una frazione dell’opinione pubblica formata dall’ex presidente Alvaro Uribe, acerrimo nemico della trattativa con le Farc, che ritiene ideologicamente sbagliato aver trattato con loro e che comunque contesta nel merito i singoli punti del testo firmato. Dall’altra ci sono tutti quelli schierati in difesa della posizione tenuta in merito dal governo Santos, anche quando si tratta di persone militanti nell’opposizione, che ritengono folle e suicida, nonché inefficace, perpetuare all’infinito la guerra militare contro la guerriglia, sostengono che «duecentomila morti possono bastare a capire che la via militare non funziona» e difendono l’accordo raggiunto e le me-

diazioni inevitabili lì contenute come unica soluzione possibile. Petro scommette sulla possibilità di una difficilissima rimonta. Molto difficile per lui farcela. Conta sul miracolo dell’ultimo minuto. D’altra parte è un esperto di resurrezioni politiche. Dopo il 2014 ha astutamente capitalizzato la simpatia creata nei suoi confronti dalla battaglia legale condotta allora contro di lui dal presidente Santos, quando Petro era sindaco di Bogotà. Accusandolo di illiberalità per il modo in cui aveva sostituito l’azienda incaricata della raccolta della spazzatura, Santos aveva avallato al decisione di un giudice che consentiva la sua rimozione d’ufficio. Non aveva valutato, però, la reazione di quella parte di Bogotà che aveva votato per lui sindaco e si sentì ovviamente defraudata del voto. Un cittadino, Oscar Augusto Verano, ricorse alla giustizia lamentando la lesione del suo personale diritto a scegliere un candidato da votare e a veder rispettata la sua scelta, il Tribunale Superiore di Cundinamarca gli diede ragione e Santos si ritrovò Preto di nuovo sindaco e con un appoggio popolare accresciuto dalla disavventura. Su questo fortunatissimo precendente e sull’appoggio dei votanti di Fajardo, il candidato svantaggiato punta per una rimonta.


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Politica e Economia

Le radici storiche del PSA

Il Maggio 68 ticinese Oltre all’occupazione della Magistrale a Locarno, quell’anno vide anche la nascita di un nuovo

soggetto politico: il Movimento di opposizione politica, in cui affondò le radici il Partito socialista autonomo Enrico Morresi L’eccessiva importanza data al breve episodio dell’occupazione di un’aula alla Scuola magistrale cantonale di Locarno – come qualche media ha fatto nella ricorrenza del cinquantesimo del Maggio 68 appena trascorsa – mi impegna a scavare più a fondo nei dati e nella memoria per riconoscere altri segni dell’eco che ebbe nella Svizzera italiana una crisi così estesa e profonda da coinvolgere tutta la meglio gioventù del mondo occidentale. (Chi ha tempo e voglia di conoscere da vicino il mondo di allora legga il volume dello storico francese Jean-Pierre Le Goff: La France d’hier. Récit d’un monde adolescent. Des années 1950 à Mai 68, Stock, Paris, 2018). Allora, anche in Ticino, gli anni della guerra, dell’emigrazione e della povertà potevano dirsi finalmente alle spalle. Il benessere, nella forma della casa moderna: bagno, frigo e lavatrice, aveva raggiunto il mondo degli operai e degli impiegati. La politica gestiva grandi cambiamenti strutturali: gli impianti idroelettrici, le autostrade, la sanità ospedaliera, lo stato sociale, gli assegni di studio... Le mentalità, invece, soffrivano un ritardo che solo i più attenti, tra cui i filosofi letti dalle giovani generazioni, osavano denunciare. Le divisioni politiche del passato si riproducevano ad ogni scadenza. Un raggio di sole fu l’unione delle forze che il consigliere di Stato Franco Zorzi riuscì a formare attorno a progetti importanti come la galleria autostradale del San Gottardo e, in prospettiva, la legge urbanistica. Ma il nuovo faticava a farsi largo, tra interessi di parte e malavoglia di mettere in dubbio le solite certezze. Il Partito socialista aveva «sacrificato» il suo leader storico, Guglielmo Canevascini, ma l’attesa era durata così a lungo che i suoi figli spirituali si vedevano già incalzati dai nipoti, e reagivano male. Tra i conservatori era sempre meno sopportato il pigro riferirsi, nonché ai valori, ai torti subiti nel passato e tra i liberali cresceva il disagio per il modo spiccio – verticistico e clientelare – di gestire il potere. Acuirono la disaffezione alcuni «scandali» di cui la stampa di partito si era fatta eco senza risparmio di colpi bassi e di falsità, il più importante quello che costò nel 1967 il seggio e la salute al consigliere di Stato Angelo Pellegrini (ma alla Magistrale aveva lasciato il segno una polemica sul comportamento del direttore Speziali in una vacanza invernale). Maturarono così alleanze trasversali, come l’inatteso sostegno al «cappello ideologico» che la commissione speciale del Gran Consiglio aveva inserito (ma fu una brutta idea...) nel suo rapporto sulla legge urbanistica. Una prima alleanza trasversale si era realizzata in occasione della sfortunata votazione cantonale sul voto alle donne del 24 aprile 1966. Altri moti,

Lo spirito del 68 scosse anche il Ticino, dando vita a nuove forme e soggetti politici. Immagine tratta da fotogramma. (RSI)

più o meno spontanei, si erano manifestati con riunioni e cortei, per il disarmo atomico o contro la guerra nel Vietnam. Ricca di frequentazioni e di amicizie personali, l’ARUSI – un ponte creato alla fine del 1966 per unire gli studenti universitari ticinesi oltre San Gottardo – aveva cercato di scavalcare le appartenenze ereditate e di unirli ai molti che non si riconoscevano nei partiti, respingendo il paternalismo dei «vecchi» che condizionavano in particolare «Lepontia» e «Goliardia». Ricordandosi dell’ARUSI, Martino Rossi, di famiglia conservatrice, presidente di «Lepontia», scriveva l’11 dicembre 1967 una lettera a Paolo Bernasconi, principale attore di matrice liberale della creazione dell’ARUSI (con copia a Giorgio Canonica, militante socialista), in cui, ricordato il proposito di «incidere sul costume politico ticinese», proponeva di «prolungare e di estendere in qualche modo» quell’esperienza unitaria «al di fuori dell’ambito universitario» con la fondazione di un «club politico» che fosse in grado di «giungere a una unione della sinistra democratica». L’invito di Rossi fu raccolto e la prima riunione ebbe luogo al Morandi di Via Trevano il 29 giugno 1968, con la partecipazione di quasi cento persone. Quale nome dare al movimento? Nella lettera di Rossi si facevano diverse proposte: «socialismo e democrazia», «nuova sinistra», «nuovo

Studentesse della Magistrale di Locarno. (Archivio storico ticinese)

socialismo», «nuova democrazia», «democrazia e solidarietà», «socialismo 70», «democrazia 70», «sinistra democratica». Fu scelto: «MOP, Movimento di opposizione politica». Opposizione a che cosa: sarebbe stato il primo compito da affrontare, ma la passione induceva a semplificare: opposizione a tutto. Come?

In Ticino, mentre la politica gestiva grandi cambiamenti strutturali, le mentalità soffrivano un ritardo che pochi osavano denunciare Pompeo Macaluso dedica al MOP cinque pagine della sua Storia del Partito Socialista Autonomo (ed. Dadò, Locarno, 1997, 165-169), dando tutti i nomi dei destinatari della convocazione (nota 55, p. 174): nomi di persone già impegnate in politica, come Pietro Martinelli, Flavio Cotti, Mario Guglielmoni (tutti già membri del Gran Consiglio), autori conosciuti come Plinio Martini, architetti come Tita Carloni, e poi molti docenti, non molti sindacalisti: la maggioranza tra i venti e i trentacinque anni – che in quella occasione si ripartirono in gruppi di lavoro. Già l’idea di partire non con una qualche «occupazione» ma con un approfondimento di analisi dice molto circa la composizione sociale del gruppo. I punti di riferimento culturali erano tuttavia poco definiti, la lettera di Martino Rossi a Paolo Bernasconi parlava di superamento della società divisa in classi, di uguaglianza culturale, economica, politica e giuridica. La strategia avrebbe dovuto essere «riformista e interclassista», accettando «gli strumenti del sistema e la sua riforma, essendo utopistica ogni altra via». Il maître à penser era André Gorz, fautore di riforme che modificassero i rapporti di potere e il funzionamento del capitalismo. Si sarebbe dovuto «sfociare su una organizzazione politica, su un nuovo partito», con un «lavoro con

la base», questa da raggiungere all’interno soprattutto dei partiti socialista e conservatore e in particolare dei loro movimenti giovanili, anche con azioni pubbliche con cui si potesse raggiungere «anche i senza partito». Macaluso riassume parlando di «un generico e impetuoso anticapitalismo dalle più diverse ascendenze: marcusiana, gobettiana, marxista, cristiana». Nel sunto (più che un verbale) redatto dopo la riunione costitutiva si constata infatti che «l’assemblea riunisce quasi esclusivamente intellettuali: una carenza cui si dovrà rimediare al più presto». Parve subito pacifico che «un nuovo partito non [avesse] alcun senso». I gruppi di lavoro erano incaricati di fornire analisi della situazione per la seconda riunione plenaria, il 1. dicembre 1968. Rapporti furono redatti sulla scuola, la pianificazione territoriale, quella economica, i mass media, il servizio militare, sui tre partiti politici principali del Cantone, sui sindacati e sull’impostazione generale del movimento. Ma la discussione prevista non decollò perché un intervenuto aveva subito proposto che si dibattesse «dei fatti della Magistrale» (era appena scoppiato il «caso Calame», l’assistente licenziato per avere incendiato la statua del Franscini). Chi avrebbe osato rispondere: siamo qui per le analisi? L’assemblea decise di pubblicare una presa di posizione ma anche di formare un comitato «che abbia la facoltà di intervenire». Come, dove? Più concretamente, una nuova assemblea, il 22 dicembre, decise di creare comitati d’azione settoriali, un gruppo di coordinamento, una segreteria tecnica. «Per molti militanti della sinistra socialista – scrive ancora Macaluso (p. 185) – il rapporto con il MOP fu segnato da una permanente indeterminatezza». E cita Martinelli che scriveva: «Il MOP per il momento contiene molta zavorra: aderenti dei partiti borghesi tradizionali e del PST che lo frequentano solo per comperare indulgenze senza dover abbandonare il vizio». Perciò quando, l’8 e 9 febbraio 1969, la Direzione del Partito Socialista Ticinese decise di espellere i leader della sinistra, l’alternativa che gli espulsi scelsero non fu il MOP (o qualcosa di simile

a un movimento di opinione) ma la fondazione di un nuovo partito. Il 20 aprile cadde in votazione la legge urbanistica (8948 sì, 19’285 no); sette giorni dopo fu costituito il PSA, Partito Socialista Autonomo. L’abbandono degli aderenti al PSA non solo privò il MOP degli elementi di maggiore esperienza ma creò uno spazio d’influenza maggiore ai più giovani, meno acculturati e più vicini ai movimenti operaisti d’oltre frontiera – come i militanti del MGP (Movimento giovanile progressista). Alcuni partiti «borghesi», d’altra parte, parevano aver capito la lezione della crisi. Giovani provenienti dal movimento giovanile conservatore accettarono il ruolo di riformisti dall’interno, preludio al cambiamento del nome del partito (da «conservatore» a «democratico»). Altri cattolici, non iscritti al partito, avevano fondato un «Centro studi e ricerche» animato da un giovane sacerdote, Mauro De Grazia. Erano nati la rivista «Dialoghi» e l’Associazione Biblioteca «Salita dei frati», in cui i fermenti del Sessantotto si declinavano in forma esclusivamente culturale. Al MOP, le forze che non vollero aggregarsi al PSA né ritornare in braccio ai vecchi partiti, ma rimanere fedeli alle motivazioni di partenza, erano ormai insufficienti a tirare avanti. Vi fu una certa attività per alcuni mesi ancora, preparando nuovi rapporti sulla scuola e mostrando finalmente interesse per gli operai (una distribuzione di volantini il Primo Maggio) e per gli apprendisti (con una serie di interviste individuali, molto interessanti lette oggi). Vi fu anche la contestazione di una sfilata militare, il sostegno dato ad alcuni obiettori di coscienza... Finì così, senza che nessuno veramente se ne accorgesse o ne organizzasse i funerali di Stato, un’esperienza generosa e coraggiosa. Se si facessero monumenti agli ideali, il MOP ne meriterebbe uno, anche piccolo, magari sul Monte Ceneri. Ringraziamenti

L’autore ringrazia Martino Rossi per la messa a disposizione della documentazione originale.


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Politica e Economia

Uovo di Colombo o soluzione azzardata? Politica federale Il Consiglio degli Stati unisce la riforma dell’AVS a quella della tassazione delle imprese.

Contributi da un lato, contro sgravi dall’altro. Non è molto ortodosso, ma forse permetterà di superare due grossi scogli in Parlamento e nel popolo Ignazio Bonoli Nel lungo dibattito parlamentare sulle nuove proposte per salvare l’AVS, dopo il voto popolare negativo sulla riforma delle pensioni, con 34 voti favorevoli, 5 contrari e 5 astenuti il Consiglio degli Stati ha deciso il 7 giugno di accoppiare questa riforma con quella della tassazione delle imprese. Non è formalmente molto corretto, poiché si tratta di due temi molto diversi, di due diversi dipartimenti e anche molto lontani l’uno dall’altro sul piano formale e anche sostanziale. L’aggancio è quello del finanziamento, che sarà garantito dai contributi degli assicurati e – in misura sempre maggiore – dai sussidi della Confederazione. È altresì vero che l’obiettivo primario della riforma dell’AVS è oggi quello di ottenere una maggioranza in Parlamento e poi un consenso popolare, in caso di referendum. Il recente esempio ticinese non promette bene: la riforma fiscale e sociale, in votazione popolare, è passata proprio per il rotto della cuffia. A livello federale le condizioni sono però molto diverse e l’AVS sta a cuore a molte persone, per cui il congiungimento dei due temi potrebbe servire di più alla causa fiscale che a quella sociale. In Parlamento l’accordo sembra possibile (il Nazionale ne dibatte in settembre), perché la sinistra si è vista garantire un aumento di contributi di

Konrad Graber, PPD di Lucerna, è l’artefice dell’accordo trovato agli Stati. (Keystone)

circa 2,1 miliardi di franchi all’AVS, proveniente da tre fonti: aumento del 3% dei contributi sui salari (1,2 miliardi), l’intera percentuale demografica sull’IVA (520 milioni) e l’aumento dei contributi della Confederazione (385 milioni). L’eventuale incapacità dell’AVS di far fronte agli impegni verrebbe così posticipata al 2032, invece del 2023. I 2,1 miliardi di franchi all’anno corrispondono anche agli sgravi fiscali che verrebbero concessi alle aziende,

sempre nell’ambito della concorrenza fiscale internazionale e in risposta alle pesanti richieste dell’UE di porre fine all’attuale giungla di sconti fiscali concessi dai Cantoni. Ma qui il problema si complica. Già in commissione sono nate divergenze su alcuni punti, tra cui la tassazione cantonale dei dividendi da partecipazioni qualificate. Il Consiglio federale propone il 70%, tasso al quale la Commissione oppone il 50%, ma con una minoranza che vorrebbe invece restare al 70%. Divergenze anche sul con-

troverso problema degli interessi calcolatori sul capitale proprio in eccedenza. La commissione propone che i Cantoni con elevata imposizione fiscale possano introdurre una deduzione per l’autofinanziamento. Secondo i parametri proposti, solo il canton Zurigo potrebbe aderire alla proposta. In parecchi altri punti saranno necessari alcuni approfondimenti. Il punto centrale della proposta è riassunto in questo concetto: per ogni franco di minori entrate fiscali prevedibili, l’AVS deve ricevere un franco in più. Da qui derivano i due miliardi in più all’anno per l’AVS. La crescita dell’economia dovrebbe poi fare in modo che questa cifra aumenti, fino a raggiungere i 3 miliardi nel 2045. Un concetto che di per sé evidenzia una contrapposizione fra sgravi fiscali e aumento di spese sociali. La proposta degli Stati si distanzia da quelle del governo allo scopo di trovare entrate sufficienti a finanziare la riforma dell’AVS. Abbandonata l’idea di un aumento degli assegni per figli, si provvede con sostanziosi aumenti delle entrate per l’AVS. La proposta ha ottenuto il sostegno dei maggiori gruppi parlamentari: a sinistra poiché i finanziamenti per l’AVS sono almeno cinque volte superiori alle spese per assegni per figli previsti dal Consiglio federale. A destra si può essere soddisfatti del progetto di riforma fiscale delle imprese che può andare in porto.

E L A S steady

Resta il terzo incomodo dei cantoni. Per questo si propone una riduzione nella tassazione minima dei dividendi da partecipazioni qualificate. Si tiene meglio conto del fatto che i dividendi sono spesso tassati due volte: una presso la società e l’altra presso l’azionista. Infine, viene regolata meglio la questione della restituzione (esente da imposta) di parti del capitale agli azionisti, possibile dal 2011. La commissione limita questa possibilità al versamento di dividendi imponibili. Molte critiche sono state subito sollevate nei media. Qualcuno ha perfino usato il politichese «mercato delle vacche», emettendo dubbi circa la possibilità che due brutti progetti, unendosi, possano fare un bel pacchetto. Circa le possibili conseguenze, il giudizio è troppo prematuro. Sicuro è che l’AVS riceverà soldi in più. Su chi pagherà, a parte l’aumento dei contributi, non si è del tutto in chiaro. Ma la parte fiscale del pacchetto potrebbe soddisfare: migliora il progetto del Consiglio federale su due punti: la tassazione dei dividendi e la deduzione degli interessi sul capitale proprio. Una conseguenza individuata potrebbe essere quella di allontanare riforme dell’AVS dal lato delle uscite (per esempio età di pensionamento). Ma anche sul piano giuridico-politico non mancano le critiche per un accostamento perlomeno insolito, che non è proprio conforme ai principi della democrazia diretta.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 11 giugno 2018 • N. 24

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Politica e Economia

La borsa nel segno del mondiale di calcio La consulenza della Banca Migros

Thomas Pentsy

Thomas Pentsy è analista di mercato e dei prodotti presso la Banca Migros

Gli anni in cui si è svolto il Campionato mondiale di calcio e la Nazionale svizzera ha partecipato alla fase finale sono stati sempre positivi sotto il profilo azionario. A partire dal 1994, in tre dei quattro anni in questione, lo Swiss Performance Index (SPI) ha concluso l’anno borsistico in positivo con un rialzo medio del 7%. Solo nel 1994 lo SPI ha terminato l’anno in perdita. Un caso? Probabilmente sì. Però l’effetto del Mondiale è ben visibile sulle borse. Chi osserva l’andamento dei mercati azionari alla luce del Mondiale di calcio, noterà che a partire dall’edizione del 1966, disputatasi in Inghilterra, la borsa del Paese ospitante ha generalmente registrato una buona performance nel primo semestre dell’anno della competizione. Anche il 2018 sembra confermare questa regola: prima che gli Stati Uniti imponessero sanzioni contro la Russia e i suoi oligarchi, il mercato azionario russo presentava un andamento positivo. Finora la borsa del Paese ospitante ha subito solo due volte una «sconfitta» nel primo semestre: nel 1974 in Germania e nel 1982 in Spagna. Nella seconda parte dell’anno, però, la fortuna prende un’altra direzione e gli investitori dovrebbero decisamente concentrare le proprie difese contro la nazione ospitante. Infatti, a partire da metà anno, i grafici di borsa del Paese di turno tendono nettamente verso il basso, sia in termini assoluti che a

Per il Campionato mondiale in Russia la Banca Migros augura buona fortuna alla Nazionale svizzera e buon divertimento a tutti gli appassionati di calcio. (Keystone)

confronto con il mercato azionario globale. La borsa dei campioni del mondo subisce invece un’impennata nei primi trenta giorni di negoziazione dopo la finale e, in questo periodo, ottiene

quasi sempre una performance di gran lunga migliore rispetto al mercato azionario globale. È però un effetto di brevissima durata che svanisce normalmente dopo tre mesi. Come se una sconfitta in finale non fosse

già abbastanza amara, la borsa della seconda classificata attraversa una fase depressiva e in genere, nei tre mesi successivi, finisce decisamente per arrancare dietro il mercato azionario globale. Annuncio pubblicitario

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Politica e Economia

Immaginando la Svizzera del futuro

Pubblicazioni Con Il libro bianco Svizzera, Avenir Suisse delinea sei scenari possibili di posizionamento del nostro

paese in Europa, dalla via solitaria alla piena integrazione nell’Unione europea Marzio Rigonalli Come sarà la Svizzera nel 2030? Quale sarà il nostro futuro economico e politico? Praticamente nessuno può dare una risposta sicura, perché molto dipenderà dall’evoluzione che avverrà all’interno delle nostre frontiere nazionali e dai mutamenti che interverranno sul piano internazionale. Quindi, da fattori interni sui quali abbiamo un certo controllo e da fattori esterni sui quali abbiamo pochissime possibilità d’intervento. Con la sua ultima pubblicazione, Il Libro bianco Svizzera, Avenir Suisse delinea sei futuri scenari, che appaiono come altrettanti possibili sbocchi. Sono scenari che dovrebbero stimolare la riflessione, alimentare il dibattito pubblico ed aiutare a prendere le decisioni che si riterranno più opportune. Avenir Suisse parte da un’immagine della Svizzera centrata prevalentemente sulla sua situazione economica. Descrive un piccolo paese molto prospero, grazie ad una serie di condizioni che lo pongono ai primi posti nelle varie graduatorie mondiali. Condizioni come una forte capacità innovativa, un sistema educativo efficace, un mercato del lavoro flessibile, una solida etica del lavoro, la concorrenza che deriva dal federalismo e la stabilità politica. L’immagine, però, comprende anche alcune macchie. Prime fra tutte, un forte attaccamento allo statu quo ed una propensione all’immobilismo. Secondo Avenir Suisse, la Svizzera non riesce a varare le riforme di cui ha urgentemente bisogno e cita l’imposizione delle aziende, bocciata in votazione popolare l’anno scorso, la riforma delle pensioni, pure bocciata in votazione popolare nel 2017, ed il blocco della trattativa con l’Unione europea su un accordo istituzionale. A questi freni si aggiunge poi il crescente numero di voci che chiedono un muro di protezione contro la globalizzazione e contro tutto quello

Il nostro futuro dipenderà dalle nostre scelte ma anche dai mutamenti che interverranno sul piano internazionale. (Keystone)

che viene dall’estero. Un orientamento protezionistico che sarebbe dannoso per un piccolo paese aperto sul mondo e che trae consistenti vantaggi dalle sue esportazioni. Queste situazioni possono nuocere alla produttività dei nostri prodotti e dei nostri servizi e, a lungo termine, mettere in pericolo la prosperità di cui godono gli svizzeri. Per uscirne, Avenir Suisse propone di guardare al futuro e traccia sei possibili scenari, con caratteristiche ben distinte. 1. «Ripiegamento autonomo»: la Svizzera sceglie una strada solitaria, denuncia gli accordi bilaterali con l’UE e l’accordo di Schengen, torna all’Accordo di libero scambio del 1972 e cerca di concludere con molti paesi il maggior numero possibile di trattati bilaterali di libero scambio. Preserva la sua sovranità e può gestire l’immigrazione. Si ritrova

però isolata sul piano internazionale, il suo sviluppo economico ne risente e diventa meno attrattiva per gli investitori esteri. 2. «Oasi globale»: la Svizzera diventa un’oasi di libertà. Denuncia gli accordi bilaterali con l’UE e procede a numerose liberalizzazioni interne. Privatizza i servizi pubblici, apre interamente il mercato del lavoro e riduce al livello europeo i sussidi all’agricoltura. La transizione verso questo modello implica numerosi conflitti sia nell’ambito della distribuzione dei redditi che tra le città e le altre parti del paese 3. «Club Suisse»: la Svizzera rinuncia all’accordo istituzionale con l’UE, denuncia la libera circolazione delle persone e si ritrova senza gli accordi bilaterali. Perde così il libero accesso al mercato unico europeo. Cerca di reagire alle conseguenze di questa perdita

con varie riforme interne che privilegiano l’economia di mercato. La sua sovranità si rafforza, ma la sua crescita economica e, quindi, la prosperità, incontreranno molti ostacoli e problemi. 4. «Partenariato sostenibile»: la Svizzera conclude un accordo globale con l’UE, che copre tutti gli accordi bilaterali, esistenti e futuri, su una base dinamica. Mantiene la sua sovranità e può concludere accordi bilaterali di libero scambio. La situazione attuale viene rafforzata ed il settore finanziario ricaverà molti vantaggi dal mercato europeo. Si restringe, però, il margine di manovra per condurre una politica economica propria ed il mercato del lavoro manterrà una certa rigidità. 5. «Normalità europea»: la Svizzera aderisce all’Unione europea e sceglie l’euro al posto del franco. Il mercato europeo dei beni e dei servizi si apre inte-

ramente a vantaggio dei consumatori. Le esportazioni verso l’UE aumentano in modo considerevole. Vien però perso un buon margine di sovranità e si mette in gioco una parte dell’identità nazionale. Tenuto conto dei problemi che caratterizzano l’eurozona, la scelta dell’euro espone il paese a rischi non facilmente calcolabili. 6. «La via scandinava»: la Svizzera adotta il modello scandinavo. Aderisce all’Unione europea, ma conserva la propria moneta. Adotta una legislazione sociale molto avanzata e protegge l’ambiente senza compromessi. Il carico fiscale aumenta, l’innovazione ne risente ed il mercato del lavoro non si libera della sua rigidità. La disoccupazione aumenta e molti scelgono di emigrare. La prosperità, il benessere individuale degli svizzeri dipenderà molto dalla scelta di uno o l’altro di questi sei scenari. Avenir Suisse considera meno appropriati i primi tre scenari, perché porterebbero il paese a un’impasse economica: la nostra economia è aperta sul mondo ed è centrata sulle esportazioni. Il think tank elvetico opta per gli scenari 4,5 e 6. Implicano una maggiore integrazione in Europa, possono garantire la prosperità e riconoscono i legami storici, geografici, economici e culturali che la Svizzera intrattiene da tempo con l’Europa. Il libro si conclude con una postfazione di Kaspar Villiger. L’ex consigliere federale riconosce che gli scenari proposti aiutano a riflettere sul nostro futuro e, per arricchire il dibattito, aggiunge alcune domande che possono essere integrate negli scenari. Qual è il nostro bisogno d’apertura? Quale senso dare alla sovranità? Di quanta immigrazione abbiamo bisogno? Domande che richiedono risposte e che completano le premesse elaborate nel libro bianco per cercare un’appropriata gestione del nostro futuro.

Canone di locazione massimo: quali (s)vantaggi? Mercato immobiliare Analisi della convenienza (o meno) individuale e sociale di calmierare gli affitti Edoardo Beretta Non c’è dubbio che ci siano Nazioni quali l’Italia dove la tematica legata agli affitti sia residuale, essendo stato nel 2016 circa l’80% degli italiani proprietario di prima casa1 così come nel 2015 circa il 15% detentore di un immobile secondario2. Se su tale (davvero unica) peculiarità che rende la penisola italiana un caso particolarmente avvincente si potrebbero spendere «fiumi d’inchiostro», altrettanto netto è il risultato, qualora si prendano in considerazione alcuni dei Paesi limitrofi dove la

locazione di un immobile – che sia per vacanza o quale abitazione principale – costituisce la prassi. Alcuni Governi quali quello tedesco rosso-nero (2015) si sono, quindi, fatti paladini della cosiddetta Mietpreisbremse, cioè di quel «limite massimo sui canoni di locazione» esigibili negli agglomerati urbani, allo scopo di evitare che l’elevata domanda di appartamenti ne facesse lievitare il prezzi. Pertanto, chiunque «mastichi» di Germania sa bene quanto poco infrequenti siano visite di case «di massa» con affollamenti sul marciapiede antistante l’immobile. Del

Elaborazione propria. (http://stats.oecd.org/Index.aspx?DataSetCode=HOUSE_PRICES#)

resto, comunque, il concetto di «equo canone» è stato nella vicina penisola italiana introdotto con grande dettaglio già nel 1978. Fra i Paesi OCSE che presentano una combinazione fra canone di locazione libero e regolamentato spiccano anche Austria, Danimarca, Francia, Messico, Paesi Bassi, Svezia e Stati Uniti d’America3. Se è vero che in molte Nazioni mitteleuropee i loro abitanti stiano scoprendo l’immobile di proprietà (magari finanziato per mezzo di un prestito ipotecario), è altrettanto vero che l’eventuale rincaro del canone d’affitto medio costituisca ancora una «minaccia» concreta sul risparmio netto a fine mese. Del resto, come si può osservare dal grafico, la voce «immobile» è divenuta sempre più onerosa, complici, sicuramente, anche i costi di manutenzione oltre che di tassazione in capo alla stessa proprietà, che possono in certi casi persino rendere poco attrattivo metterla sul mercato delle locazioni. Infatti, non si dimentichi che ciascuna «messa a reddito» di un immobile debba comunque sempre essere scontata di (spesso elevate) addizionali da versarsi su tale reddito. Il «caro affitti» è visto, pertanto, da molti legislatori come una variabile, su cui intervenire per mantenere quella «pax sociale» anche tanto necessaria al loro consenso elettorale. Ma quale potrebbe essere l’impatto di tali misure rispettivamente nel bre-

ve e medio-lungo periodo? È evidente che l’affittuario ne tragga un risparmio rispetto al canone di locazione in certi casi (a dipendenza di zona, metratura ecc.) potenzialmente esigibile. Nel contempo, fanno letteratura quei casi menzionati in certi libri microeconomici – ma, comunque, reali ‒, per cui il «tetto sugli affitti» introdotto in passato a New York avrebbe permesso anche a certe star hollywoodiane in affitto (certamente, non bisognose) di esserne avvantaggiate. Un classico esempio di overshooting o – per dirla in termini gergali – di «Troppa grazia, Sant’Antonio». Al di là di tali casi borderline, la teoria economica ci insegna che simili limiti massimi possano indurre i proprietari degli immobili migliori ad abbandonare il mercato (in quanto sempre meno remunerativo), lasciando spazio a quelli di qualità inferiore che potranno invece vedere salire il loro prezzo a fronte di una minore concorrenza. Per quanto le tematiche immobiliari debbano sì essere sempre più osservate con la «lente della sostenibilità», che individua nell’eventuale vigorosa ripresa del settore delle costruzioni un possibile rischio ambientale, ciò non toglie che l’interesse di potenziali locatari così come acquirenti possa essere «convogliato» verso l’usato. Per quest’ultima casistica è da ricordare che un immobile è da sempre un asset, cioè un’attività immobi-

liare monetizzabile in caso di necessità (ammesso che il legislatore pubblico non introduca scoraggianti tassazioni come oggigiorno sulla base di certe linee guida OCSE tende ad avvenire e, nel contempo, sappia garantire vitalità del mercato della compravendita). In realtà, il rischio è che ipermobilità lavorativa e di studio oltre che precarietà in generale possano contribuire ad un’impennata della domanda di locazioni da parte di giovani, precari, divorziati ed altre categorie potenzialmente in difficoltà, mentre redditi sempre più spesso insufficienti (al netto di altre uscite) rendano il «mattone» inaccessibile ai più. Quest’ultimo (se ben ponderato in termini di prezzo e collocazione geografica) tenderà comunque a riflettere quel tasso d’inflazione, tanto nemico di altre forme di detenzione dei propri averi. Note

1. http://www.ilsole24ore.com/art/ casa/2017-01-03/istat-l-80percentoitaliani-vive-una-casa-proprietama-spesso-piccola-e-ristrutturare--152812.shtml?uuid=ADzmTJPC 2. http://www.finanzaoperativa.com/ seconde-case-proprietari-il-15-degliitaliani 3. Elaborazione propria di: http:// www.oecd.org/els/family/PH6-1-Rental-regulation.pdf.


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Politica e Economia Rubriche

Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi E se chiedessimo di entrare nell’UE? Per ragioni professionali ho vissuto, negli anni Ottanta dello scorso secolo, a Losanna. In quei tempi, la Svizzera romanda chiedeva, a viva voce, l’adesione della Svizzera a quella che in quel tempo si chiamava la «Comunità europea». Partigiani dell’adesione erano in particolare i giornali, la radio e la televisione che non cessavano di tessere gli elogi delle istituzioni europee e di descrivere i vantaggi di

cui avrebbero profittato i Cantoni di lingua francese se la Svizzera si fosse decisa ad entrare a far parte di questa Comunità. In quell’epoca, in Svizzera romanda non era possibile esprimere un parere che fosse contrario, o anche solo timidamente interlocutorio, su questa questione. Mi ricordo quante critiche dovetti sopportare, dai delegati romandi, a un congresso nazionale del mio partito nel quale la direzione mi aveva chiesto di portare il mio apprezzamento sulla questione dell’adesione. Da buon economista, avevo raccomandato di fare, prima di prendere una decisione, una stima dei vantaggi e degli svantaggi, dei costi e dei benefici insomma, che avrebbero potuto derivare da un’eventuale adesione insistendo nel dire che c’era chi ci guadagnava e c’era chi ci perdeva. Oggi in Svizzera romanda, come nel resto della Svizzera, si è affermata la posizione contraria all’integrazione nell’Unione Europea. Si può anzi dire che prevale l’idea che non si debba neanche negoziare con l’UE. Come

si vede in politica i tabù si creano e si distruggono. Ma si distruggono, purtroppo, solo per ricrearne altri. Ben vengano quindi le analisi e gli apprezzamenti razionali anche in relazione a questioni complesse come quella per l’appunto della posizione della Svizzera rispetto all’UE. Come per esempio il libro bianco che ha pubblicato di recente Avenir suisse nel quale si cerca appunto di valutare il da farsi, formulando sei scenari che dovrebbero aiutare nella scelta (vedi anche Marzio Rigonalli a pagina 34, ndr). Gli esperti di Avenir Suisse pensano che, nel definire i suoi rapporti con l’UE la Svizzera debba scegliere tra due coppie contrapposte di concetti. La prima è quella che mette in antitesi il concetto dell’integrazione con quello dell’autonomia. Insomma non si può essere integrati e autonomi. La seconda antitesi è formata dai concetti «mercati aperti» e «protezionismo» dove per protezionismo penso si voglia intendere una situazione nella quale la libera circolazione non esiste.

I concetti delle due coppie possono essere, in parte combinati. Si può così avere una situazione di mercati liberi e integrazione e una di mercati liberi e autonomia. Alla stessa stregua si può pensare a situazioni di protezionismo e autonomia e protezionismo e integrazione. Sono quindi quattro le combinazioni di concetti che stanno alla base degli scenari. Siccome però ogni combinazione consente un certo numero di varianti ecco che, oltre a questi quattro scenari di base, Avenir suisse ne ha definiti due altri non fosse altro che per allargare lo spettro delle possibilità di scelta. Così da diverse combinazioni dei concetti mercati aperti e integrazione sono stati derivati i due scenari «Normalità europea» e lo scenario «Partecipazione accettabile». Dalla combinazione dei concetti «mercati aperti e autonomia» sono usciti pure due scenari: lo scenario «Club Svizzera» e lo scenario «Oasi globale». Dalla combinazione del concetto di integrazione con il concetto di protezionismo è nato lo scenario «Via

scandinava» e dalla combinazione del protezionismo con l’autonomia si è costruito lo scenario «Ritirata autodecisa». Le possibilità di scelta vanno dunque da una posizione di autonomia accompagnata da protezionismo a una di adesione senza remore all’UE. Nello studio di Avenir Suisse questi concetti ricevono naturalmente dei contenuti che sarebbe vano voler riassumere in questo articolo. Gli scenari sono comunque utili perché non presentano una sola alternativa, ma un ventaglio di possibilità. Ciascuna possiede una probabilità piccola o grande di poter venir accettata. Come ricorda l’ex-consigliere federale Kaspar Villiger, nell’epilogo a questo studio, anche quello della «Normalità europea», ossia dell’adesione pura e semplice può quindi essere preso in considerazione. A decidere della scelta saranno gli elettori, ovviamente, e, come ricorda Villiger, la situazione, economica, politica e sociale che potrebbe prevalere al momento in cui dovrà essere presa questa decisione.

Il contagio è evidente: anche la Formula Uno ha deciso di non mandare più le «grid girls» a farsi riempire di champagne dai vincitori delle gare di corsa, così come in altre manifestazioni sportive sono scompare le belle ragazze che accompagnavano i giocatori nelle varie competizioni. Ma Miss America ha una storia a sé, una storia che parla proprio di affermazione delle donne, perché quando nacque – nel 1926 – c’era il divieto a girare in costume, e ad Atlantic City, la città in cui anche quest’anno si terrà la finale tutta talento e niente girovita, si dovette chiedere un permesso speciale per far sfilare queste (poche) ragazze che, raccontavano, si sentivano forti all’idea di sostenere quella passeggiata, gli occhi degli altri, il tabù violato: sono bella, guardami. Negli anni la questione del costume da bagno è stata sollevata parecchie volte: la candidata che si oppose e non sfilò (ma poi disse che il rifiuto era dovuto al fatto che non avesse belle gambe), il

direttore che ammise che «il tallone d’Achille del concorso è il costume», perché la cultura della donna che non è un oggetto si stava imponendo, ma nel 1995, quando l’organizzazione del concorso chiese di telefonare per dire se si voleva eliminare la sfilata, due su tre risposero: no. Il costume era popolare, e il punto è proprio qui: che cos’è un concorso di bellezza se non mostri la bellezza? Ora che si stanno tenendo le gare per selezionare le finaliste ci sono ancora le sfilate in costume, anche perché i criteri di selezione sono già stati definiti e la guida per i giudici del 2017 definisce l’identikit ideale: «Bella, che parla bene, intelligente, talentuosa, in grado di parlare ai giovani, che rifletta la propria età (non deve essere una trentacinquenne intrappolata in un corpo da ventenne), carismatica, dinamica/ energica – quel fattore “it” che è così difficile da definire, matura abbastanza da gestire tutte le responsabilità, a suo agio “nella sua pelle”, gestibile, puntua-

le, flessibile». L’aspettativa del pubblico è che la donna del concorso di bellezza sia, per l’appunto, «bella e in forma», perché per quanto una donna possa essere talentuosa, in questi concorsi vieni valutata per l’unica cosa che non è sotto il tuo controllo: la bellezza. La Carlson dice che bisogna cambiare la filosofia del gioco, non è un concorso ma è una competizione, e le tante donne che negli anni hanno guardato questo tipo di concorso come un ostacolo alla liberazione femminile festeggiano. Gli uomini tendono a non esprimersi, ma alcuni dicono: se vuoi combattere il sessismo, forse ti conviene abolirlo del tutto, il concorso di Miss America. La modifica – non sarete giudicate per la bellezza fisica – mostra la debolezza stessa del format di questo tipo di competizioni, e anche la via intrapresa dalla rivoluzione culturale del «Me too»: in nome della libertà delle donne stiamo diventando tutti più puritani, belli dentro forse no.

l’ennesimo giro di boa, ovvero la galassia digitale in cui siamo tuttora immersi, un mondo tanto scintillante quanto dispersivo, gremito di fogli gratuiti, informazione spiccia online e di una matassa di reti sociali in cui ciascun internauta crede di poter rinunciare a concettosi editoriali e a puntigliosi approfondimenti. Osservate una carrozza ferroviaria: chi ancora sfoglia un quotidiano? E ancora: lo squagliamento delle appartenenze politiche. Il giornale è stato a lungo una spilla da esibire che i genitori trasmettevano ai figli; formava le opinioni, orientava e fomentava polemiche, insegnava a distinguere tra amici e nemici, e forniva, nei momenti topici, le necessarie indicazioni di voto. Rappresentava il filo diretto tra il partito e le famiglie, veicolo e specchio degli ideali politici. Dall’analisi della distribuzione delle testate sul territorio era possibile ricostruire

il policromo ventaglio delle appartenenze partitiche. Nello specifico dire «Giornale del Popolo» era dire in primo luogo curia e vescovo. Ma anche, in seconda battuta, Partito cattolico conservatore. Il quale, specie durante le campagne elettorali, poteva contare sul collateralismo del foglio diocesano, diretto per oltre mezzo secolo da un sacerdote, don Alfredo Leber. Ora anche questa costellazione è mutata. Le valli, per decenni serbatoio di abbonamenti al «GdP», si sono svuotate. Lo stesso universo cattolico si è diviso al suo interno, tra integralisti e progressisti. Il processo di secolarizzazione della società (ovvero il graduale allontanamento dei credenti dalla Chiesa e dai suoi precetti, dai sagrati e dagli oratori) ha fatto il resto. Il punto di vista cattolico si è ristretto (un processo analogo è avvenuto a sinistra: anche qui i militanti si sono via via dati alla fuga per gettarsi nella

grande rete, il regno delle anime liquide). Sull’ultima stagione di vita del «GdP» si possono nutrire giudizi divergenti. Luci ed ombre; aperture e chiusure. Ma senza dubbio la sua morte costituisce un impoverimento, non tanto politico quanto morale e culturale. In questi ultimi anni abbiamo assistito al restringimento del campo visivo, ad una progressiva scomparsa delle tribune dalle quali gli intellettuali impegnati, o semplicemente mossi da urgenze etiche, potevano diffondere il loro verbo. Ora siamo al duopolio, e domani chissà. La democrazia ha bisogno di pluralismo come il pesce dell’acqua in cui nuota. Non è un buon segno quando le voci dissonanti tacciono. Qualcuno, segretamente, gioisce (un concorrente in meno), ma alla lunga si pentirà. Perché un brutto giorno la campana suonerà anche per lui.

Affari Esteri di Paola Peduzzi Belle fuori ma meglio dentro Dimentichiamoci i costumi di bagno, i tacchi alti, i vestiti da sera: ora quel che conta è essere belli dentro, anche se vuoi vincere Miss America, il concorso riservato alle belle fuori. Gretchen Carlson, un’ex Miss America ora conduttrice di un programma su Fox News e presidente del concorso di bellezza, ha annunciato la rivoluzione: «Non giudicheremo più le nostre candidate sulla base della loro apparenza fisica», e la nuova èra ha già il suo hashtag: #byebyebikini. La Carlson è diventata direttrice del concorso all’inizio di quest’anno dopo che tutto il top management si era dimesso: erano circolate email in cui gli organizzatori – molti uomini – prendevano in giro le candidate per le loro caratteristiche fisiche, la loro (poca) cultura e le loro preferenze sessuali. Il «Me Too» in formato bellezza ha fatto sì che oggi anche il gruppo di comando di Miss America sia formato da sette donne e due uomini, donne che giudicano le donne e che non

vogliono essere soltanto dei bei corpi: belle dentro, appunto. La Carlson è anche famosa perché nel luglio del 2016, quando ancora il «Me Too» non era scoppiato, aveva denunciato Roger Ailes, ex padre-padrone di Fox News (è morto nel frattempo), per molestie sessuali: Ailes si era dovuto dimettere. «Siamo in mezzo a una rivoluzione culturale – ha detto la Carlson – Le donne hanno preso coraggio e vogliono far sentire la loro voce. Miss America è orgogliosa di evolversi e di impegnarsi per l’affermazione delle donne». Ecco allora che al posto del girovita contano «i talenti», e il portamento deve essere bilanciato con «i sogni e con le ambizioni»: sono le ragazze che lo chiedono, dice la Carlson, citando molti messaggi ricevuti da possibili candidate che avrebbero tanto voluto partecipare ma si sentivano umiliate a passeggiare in costume e tacchi alti davanti agli sguardi degli uomini e poi tornare a casa con un voto.

Cantoni e spigoli di Orazio Martinetti Rintocchi funebri per la stampa Pian piano la strada si restringe, diventa una viuzza e infine un sentiero accidentato che ad un certo punto s’interrompe. Sparisce nel bosco, come gli Holzwege di Heidegger. Il cammino del giornalismo ticinese (quello storico, legato alla stampa) è stato plurisecolare, accompagnando lo sviluppo del dibattito politico, i partiti e le istituzioni di questo cantone. Ma poi, intorno agli anni ’90 del secolo scorso si è dovuto arrendere all’evidenza: costi in aumento, calo dei lettori, crollo delle inserzioni pubblicitarie. Il «miracolo editoriale» (sette testate) non poteva durare. E infatti non durò. Gli organi di partito quotidiani («Il Dovere», «Popolo e Libertà») sono diventati settimanali; altri sono scomparsi senza lasciare eredi diretti («Il Quotidiano», «Gazzetta Ticinese», «Libera Stampa»). Sulla piazza rimanevano «Il Corriere del Ticino» (tradizionalmente il più

solido anche sul piano gestionale), «la Regione» (nata da una precedente fusione tra «Il Dovere» e il trisettimanale «L’Eco di Locarno») e «Il Giornale del Popolo». Quest’ultimo, non è un mistero, caracollava sempre sull’orlo del burrone, con la Curia nelle vesti di provvidenziale samaritano. Le ragioni di questo progressivo declino sono note. Innanzitutto i costi, elevatissimi. Ben quattro quotidiani («CdT», «Gdp», «Dovere», «Libera Stampa») disponevano di una catena produttiva propria, vale a dire di un reparto tipografico e di una rotativa, impianti che per rendere dovevano girare a pieno regime. Stampare senza sosta. Il che non avveniva. A complicare la faccenda concorreva il progresso tecnologico, vertiginoso e incessante, da inseguire affannosamente anno dopo anno con crescenti investimenti: rincorsa insostenibile, mentre dietro l’angolo si profilava


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Cultura e Spettacoli Il ritorno dei Toto Per festeggiare i propri 40 anni di attività la formazione di LA propone un nuovo album pagina 39

Rapportarsi con Dio In Generare Dio il filosofo italiano Massimo Cacciari si occupa del nostro rapporto con la trascendenza e il divino

Emozioni altre Silvia Calderoni è la protagonista del discusso e premiato spettacolo MDLSX

Rupert il tenebroso A colloquio con il grande attore inglese Rupert Everett, alle prese con Oscar Wilde

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Double autoportrait sans pitié, Maria Lassnig, 1999. (© Maria Lassnig Stiftung)

Un’enciclopedia dell’autocoscienza Mostre Maria Lassnig al Kunstmuseum di Basilea Gianluigi Bellei Maria Lassnig è morta nel 2014 a 94 anni. Proprio nel mezzo della grande retrospettiva che la celebrava al MoMA di New York come una delle maggiori artiste del secolo. Una figura epica, si è scritto. Forse non tutti la conoscono. Quale migliore introduzione al suo lavoro mi permetto di riportare la motivazione ufficiale con la quale le è stato attribuito il Leone d’Oro alla carriera alla 55esima Biennale di Venezia nel 2013. Per oltre sessant’anni Maria Lassnig ha indagato la rappresentazione del corpo e dell’individuo in una serie di dipinti che ritraggono l’artista spesso in uno stato di irrequietezza, eccitazione e disperazione. Con i suoi autoritratti Lassnig ha composto una personale enciclopedia dell’autorappresentazione e – attraverso quelli che chiama i «bodyawareness paintings», ovvero i dipinti dell’autocoscienza corporea – ha trasformato la pittura in strumento di autoanalisi e di conoscenza del sé. A novantatré anni Lassnig rappresenta un esempio unico di ostinazione e indipendenza che merita di essere celebrato con il riconoscimento del Leone d’Oro alla carriera.

Nasce l’8 settembre 1919 a Garzern in Austria. Nel 1925 si trasferisce a Klagenfurt dove la madre sposa il fornaio Jakob Lassnig. Nel 1937 si forma come istitutrice di scuola elementare. Dal 1940 al 1945 studia all’Accademia di arti plastiche a Vienna. Dopo il diploma ritorna a Klagenfurt. Nel 1951 si stabilisce a Vienna, poi soggiorna a Parigi con Arnulf Rainer. Si confronta con il Surrealismo e l’Informale. Dal 1960 al 1968 vive a Parigi. Nel 1964 la morte della madre le provoca una crisi profonda. Dal 1968 al 1980 vive a New York dove partecipa a un corso di serigrafia e film d’animazione. È cofondatrice del Women/Artist/Film-makers. Dal 1980 al 1989 insegna all’Università di arti applicate a Vienna. Dal 2000 inizia il suo riconoscimento artistico ed espone alla Serpentine Galleries di Londra, al Museum Ludwig di Vienna, alla Neue Galerie di Graz. Nel 2013 riceve il Leone d’Oro alla Carriera alla Biennale di Venezia e, infine, espone al MoMA nel 2014. Muore a Vienna lo stesso anno. Il Kunstmuseum di Basilea le dedica una retrospettiva, organizzata assieme all’Albertina di Vienna, aperta fino al 26 agosto. Sono esposti un’ottantina fra acquarelli e disegni in rigoroso ordine cronologico. Manca l’emblematico

Du oder ich del 2005: un autoritratto nel quale con la mano destra impugna una pistola puntata alla sua testa e con la sinistra un’altra rivolta verso di noi. Ma tutte le opere esposte provengono dalla Maria Lassnig Stiftung e dall’Albertina di Vienna e Du oder ich appartiene a un ricco collezionista. La mostra inizia con un accademico autoritratto del 1942 realizzato durante gli studi e, teniamolo presente, nel periodo nazista. Subito dopo la guerra i disegni risentono dell’ambiente Surrealista e dagli anni Cinquanta hanno un’impronta tachista. Inizia una sorta di autoispezione nel corpo e nella psiche. I colori sono accesi, le forme indistinte. A New York, dove si stabilisce dal 1968, i suoi lavori intimisti e introspettivi non vengono capiti. Ritorna a una sorta di realismo adeguandosi, per così dire, all’ambiente circostante dove imperversa la Pop Art. Splendida la serie del 1973 Die Ermordung der ML. Una sequenza impressionante di immagini che raccontano il viaggio dalla vita alla morte attraverso uno specchio rotto, posizionato sopra una sedia, che riflette il suo corpo nudo. Più tranquilli gli autoritratti con degli animali, anche se il mistero e la fragilità si associano all’in-

credulità e all’assenza in quello del 1975 con due farfalle. Nel 1978, grazie a uno scambio accademico, si trasferisce a Berlino. Qui conosce lo scrittore austriaco Oswald Wiener che si occupa di psicologia cognitiva. Lassnig ha così modo di confrontarsi con altri, indagare meglio l’osservazione del sé e la percezione del corpo. Nel 1980 la svolta. L’insegnamento all’università di Vienna le permette la sicurezza finanziaria. Inizia così a viaggiare sempre di più e i suoi lavori acquistano colore e determinazione. L’urlo del 1981 – con quelle mani provenienti da dietro che coprono gli occhi – è un condensato di drammaticità, solipsismo, violenza e surrealismo. Negli ultimi anni l’artista inserisce nei disegni uno sfondo ad acrilico, generalmente di colore giallo. Se all’inizio della carriera Lassnig indaga la propria coscienza attraverso l’uso del corpo alla fine, sopraggiunta la vecchiaia, questa è rivolta verso i propri sentimenti e la loro percezione. In Teddymama del 1998 appare spaventata e mostruosa con in braccio un orsacchiotto. In Das Erinnern – das ist Liebe dell’anno precedente appare con in braccio un bambino e il viso ci osserva con stupore. In Visionen del 2002 lo sguardo appare allucinato con quei tre occhi che sembrano scrutare l’inson-

dabile. Lassnig lavora sin quasi alla fine della sua esistenza con segni sempre più indecifrabili e dolenti nei quali le figure sono deformate e tragicamente oscure. Bella mostra, limpida e pulita, con un allestimento razionale e una luce diffusa non invadente. Un’altra esposizione di Maria Lassnig si può visitare fino al 23 settembre al Kunstmuseum di San Gallo. In questi stessi mesi il Kunstmuseum di Basilea propone alcune altre mostre fra le quali segnaliamo Kunst. Geld. Museum. 50 Jahre Picasso-Story aperta fino al 12 agosto. Il 2018 è il 50esimo anniversario della presentazione al pubblico delle opere di Picasso acquistate l’anno precedente tramite un credito pubblico di 6 milioni di franchi svizzeri ai quali si sono aggiunti 2 milioni raccolti fra i cittadini. Un’occasione per interrogarsi su quale tipo di arte entra in un museo e sui criteri di acquisizione delle opere. Dove e quando

Maria Lassnig. Dialoghi, a cura di Anita Haldemann, Basilea Kunstmuseum, Neubau. Fino al 26 agosto, catalogo Hirmer, Fr. 39.–. www.kunstmuseumbasel.ch


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Cultura e Spettacoli

Toto, spunti originali

Musica Per celebrare il proprio 40esimo anno di attività, la band

di Los Angeles propone la raccolta 40 Trips Around the Sun

L’OSI si prepara a nuove sfide

Concerti Dieci imperdibili appuntamenti

aprono un nuovo capitolo per l’orchestra

Benedicta Froelich Quando si parla di musica pop degli anni ’80, capita spesso di trovarsi davanti a quello che si potrebbe tranquillamente definire come una sorta di paradosso, e che coinvolge il celeberrimo «effetto nostalgia» davanti al quale ormai ben pochi ascoltatori odierni sono in grado di rimanere impassibili. Ecco quindi che, tutto d’un tratto, perfino canzoni davanti alle quali, all’epoca, la maggior parte degli appassionati di «rock duro e puro» storceva enfaticamente il naso, vengono oggi sistematicamente rivalutate – al punto da far passare per capolavori anche sforzi artistici allora perlopiù compassionevolmente ignorati, o perfino dileggiati. Tra tutte le band del decennio, la formazione americana dei Toto (fondata a Los Angeles nel lontano 1976 e a tutt’oggi ancora attiva, seppure con una differente line-up), occupa però un posto particolare nel cuore e nei ricordi dei «discomani», e non solo grazie al fatto che il suo particolare misto di rock easy listening e pop di alto livello le abbia permesso di rappresentare lo spirito dei tempi forse meglio di qualunque altro gruppo dell’epoca. Se il privilegio di essere capitanata da tre musicisti di raro talento e competenza – i fratelli Jeff, Steve e (dal 1982) Mike Porcaro, rispettivamente batterista, tastierista e bassista – le ha permesso virtuosismi tecnici ignoti alla maggior parte delle band da classifica del periodo, è altrettanto innegabile come l’appeal di brani irresistibili e orecchiabili quali, tra i tanti, Hold the Line, Stop Loving You e Rosanna, sia ancora così forte da far sì che, a tutt’oggi, chiunque sia cresciuto in quegli anni riesca a riconoscerne il sound fin dai primi accordi. Lungi dal potersi definire come semplici «one hit wonders», i Toto hanno così superato (quasi) indenni passaggi cruciali come i diversi cambi di vocalist (da Bobby Kimball fino ad arrivare a Joseph Williams) e la morte di due dei membri storici (Jeff e Mike), per inanellare una impressionante serie di hit da classifica, guadagnandosi il rispetto eterno non soltanto dei nostalgici degli eighties, ma di chiunque ami la buona musica pop. Hit che vengono diligentemente riproposte, una per una, in questa raccolta celebrativa concepita per il quarantesimo anniversario della band (il cui debutto

Enrico Parola

La cover di 40 Trips Around the Sun dei Toto.

discografico, l’eponimo Toto, è datato 1978): 40 Trips Around the Sun, da poco giunto nei negozi e alla pubblicazione del quale farà seguito una lunga tournée celebrativa, sembra a prima vista poco dissimile dai vari «greatest hits» già dedicati al gruppo, ma si distingue per la presenza di ben tre brani inediti – i primi dal 2015 a questa parte, visto che l’ultimo capitolo nella discografia del complesso, Toto XIV, risale proprio a quell’anno. Così, la compilation si dipana tra classici assoluti come i ballabili Georgy Porgy, 99 e il già citato Rosanna, ma anche ballate romantiche (e ormai un po’ datate) quali Lea, I’ll Be Over You e I Won’t Hold You Back; garantendo quindi, all’ascoltatore che si prenda il tempo di indugiare in questa sorta di «viaggio nel passato», un intimo afflato di nostalgia. È infatti pressoché impossibile, anche per i più duri di cuore, non ritrovare nella produzione artistica dei Toto – dai singoli brani fino ai pionieristici videoclip – tutta la struggente semplicità (per non dire ingenuità) di tempi apparentemente più semplici e innocenti: dall’iconica, e ormai imprescindibile, hit Africa (1982), fino ad arrivare a Stranger in Town (il cui video può, ancor oggi, definirsi un piccolo capolavoro della cinematografia musicale), la band ha saputo sfruttare al meglio la cosiddetta «pop culture» del proprio decennio, producendosi in

un repertorio che, seppur accattivante, non è mai degenerato in sonorità eccessivamente commerciali – tanto che perfino improbabili esperimenti a cavallo tra rock e discomusic quali I’ll Supply the Love vengono comunque riscattati dal virtuosismo tecnico dei fratelli Porcaro, e dalla loro abnegazione nei confronti della forma canzone. Perciò, poco importa se, delle tracce inedite presenti in 40 Trips Around the Sun, soltanto Alone sembra eguagliare davvero l’energia dei tempi andati, mentre Spanish Sea – che pure è, in parte, una outtake risalente al 1984, anno dell’album Isolation – e Struck by Lightning appaiono come scialbi tentativi di adeguare l’inconfondibile sound dei tempi d’oro alle esigenze del poprock radiofonico di oggi; ciò non intacca in alcun modo l’eccellenza di questa compilation, o l’attuale reputazione della band – né, tantomeno, il suo gradimento agli occhi dell’ampio pubblico che certo affollerà i palazzetti in occasione dell’imminente tournée mondiale. Dopotutto, per un gruppo in grado di vantare il curriculum e l’anzianità dei Toto, quello di saper ancora offrire all’ascoltatore spunti e suggestioni originali è un lusso non più obbligato, e comunque destinato a passare in secondo piano rispetto all’efficacia del coinvolgimento emotivo che il proprio repertorio è ancora in grado di suscitare nel grande pubblico.

L’Orchestra della Svizzera Italiana è viva e vuol dimostrare al suo pubblico di essere anche in ottima salute dopo le note vicissitudini che hanno portato la formazione ticinese verso un nuovo status organizzativo e soprattutto finanziario, radicalmente diverso da quello avuto per ottant’anni alla diretta dipendenza dal servizio radiofonico nazionale. Questo il messaggio che comunica la stagione dei concerti 2018-2019: 10 appuntamenti sinfonici al LAC tra ottobre e aprile, inframmezzati da una mini rassegna invernale di quattro serate all’Auditorio Stelio Molo, «dove abbiamo invitato artisti eclettici nella doppia veste di solisti e di direttori» spiega Denise Fedeli, direttore artistico dell’OSI: il mito della viola Yuri Bashmet col Concerto di Bruch, il clarinettista e compositore Jörg Widmann con Weber e il violinista Sergej Krylov con Mendelssohn. Allargando la riflessione all’intero cartellone Fedeli rivela un obiettivo peculiare della stagione 2018-2019: «Stiamo cercando di rendere speciale ogni serata introducendo qualche breve pagina fuori programma e chiedendo ai diversi solisti di offrirci momenti di performance esclusivi, magari suonando a sorpresa con singoli musicisti dell’OSI o addirittura improvvisando». La ragione di questo esperimento si basa su una constatazione: «Non è facile uscire dagli schemi delle formule concertistiche odierne, ormai cristallizzate dalla tradizione», ma proprio per superare cliché inveterati che magari possono sì risultare accomodanti per gli avventori, ma non invitanti per chi, soprattutto giovane, si accosti per la prima volta all’universo classico e ai concerti, Fedeli rimarca come «nei prossimi anni vogliamo lavorare in questa direzione e arrivare a proporre al nostro pubblico modalità nuove per avvicinarsi alla musica seria». L’inaugurazione sarà il 4 ottobre con Markus Poschner, direttore musicale dell’OSI: tra l’ouverture Die Fledermaus di Strauss e la prima sinfonia di Bruckner campeggia il raro e spettacolare Frozen in time di Avner Dorman, concerto per percussioni e orchestra che metterà in mostra il funambolico virtuosismo del 35enne salisburghese Martin Grubinger, forse l’unica vera star di livello mondiale tra il non sparuto ma

poco mediatico novero dei percussionisti. Altra stella nascente del firmamento concertistico è il 23enne canadese Jan Lisiecki, specialista del repertorio romantico che due settimane dopo affronterà il Concerto per pianoforte di Grieg, pagina tanto popolare, amata e incisa quanto raramente proposta nelle principali stagioni; sul podio Krzysztof Urbański, appena applaudito al LAC con la Royal Philharmonic nell’Uccello di fuoco di Stravinskij; in autunno si cimenterà invece con la sinfonia Dal nuovo mondo di Dvorak. A novembre Valentin Uryupin dirigerà una delle sinfonie meno eseguite di Ciajkovskij, la seconda Piccola Russia, e l’impervio e lirico Concerto per violino (solista di Sibelius sarà Sergey Khachatryan), mentre Vladimir Ashkenazy tornerà al LAC per Pelléas et Mélisande di Sibelius e per accompagnare Piotr Anderszewsky nel Concerto per pianoforte K 491 di Mozart. Quello del 6 dicembre sarà uno dei programmi più attesi: la Patetica di Ciajkovskij e il primo Concerto per violino di Shostakovich con Poschner e un mito dell’archetto quale Viktoria Mullova. In due sole serate, a febbraio e aprile, Francesco Piemontesi firmerà l’integrale dei 5 Concerti di Beethoven: una vera e propria maratona, il primo atto con i Concerti n. 1, 2 e 4, il secondo col 3° e il 5° Imperatore, coronati anche dal Quintetto per piano e fiati del genio di Bonn. Un cimento ambizioso per il pianista locarnese già pupillo di Martha Argerich e ora alla guida delle Settimane Musicali di Ascona. Poschner accompagnerà Emmanuel Tjeknavorian nel Concerto per violino di Brahms, accostandolo alla Renana di Schumann, e va menzionata anche la violinista Carolin Widmann nel Concerto di Berg che Michael Sanderling accosterà alla Pastorale beethoveniana.

L’OSI al completo. (orchestradellasvizzeraitaliana.ch)

Carmen e l’amore per la libertà

Opera Fino al 21 giugno al Konzert Theater di Berna andrà in scena la Carmen anticonvenzionale e stupefacente

di Stephan Märki - Dirige l’orchestra Mario Venzago Marinella Polli È una rilettura assai vitale della Carmen, quella che sta mietendo enorme successo di pubblico e di critica al Konzert Theater di Berna. Una produzione per la quale c’era molta attesa in Svizzera, e non solo perché la partitura di Bizet è davvero una gioia per le orecchie dalla prima all’ultima nota. Per dir tutto con poco, e subito, a Berna Mario Venzago eccelle nella conduzione della Berner Symphonieorchester, il padrone di casa Stephan Märki firma una regia rutilante e coinvolgente, Claude Eichenberger nel ruolo in titolo è davvero superba per voce e capacità di immedesimazione, e il Chor Konzert Theater Bern preparato da Zsolt Czetner offre una prestazione smagliante. Che non si assisterà a una Carmen tradizionale, ma a una messinscena ac-

curatamente meditata e giocata più sui conflitti di genere che sul noto dramma di amore e gelosia, lo si capisce subito, vuoi dagli sfondi (scene e costumi di Philipp Fürhofer), dai video (Fabian Chiquet), da colore e atmosfera (luci di Bernd Purkrabek) e, soprattutto, dal Choeur des gamins, con bimbe in tutù a marciare al posto dei monelli. Inoltre, più che una gitana proterva, ribelle e provocante dalla sensualità lasciva e violenta, Carmen è qui prima di tutto una donna perfettamente consapevole di se stessa e del suo diritto a vivere una vita di sua scelta. Una donna anticonvenzionale che ammalia Don José proprio per la sua forza e indipendenza, e perché alla ricerca ossessiva di una sua dimensione interiore di libertà che la porti alla realizzazione di se stessa senza bisogno di alcun rapporto amoroso. Oltre che con un luogo mentale fuori del tempo, si è qui certamente

confrontati con un esplicito omaggio all’emancipazione femminile. Una novità inaspettata è inoltre l’onnipresenza di un joker accanto a Carmen: la morte che l’accompagna sin dalle prime scene. Il ballerino Winston Ricardo Arnon, agile, possente, intrigante, erotico (chiara allusione alla dicotomia eros-thanatos) con il teschio o con l’altrettanto macabra testa di toro, supera se stesso. La mezzosoprano svizzera Claude Eichenberger interpreta con tocco finissimo questa Carmen di Märki, rendendo appieno la donna in grado di dire no anche al cospetto di una morte sicura, fino a diventare vittima sacrificale non tanto di Don José quanto del sogno di libertà assoluta. Le è accanto un Xavier Moreno all’inizio un tantino sbiadito nei panni di Don José, in seguito fin troppo passionale e vibrante. Come non del tutto a proprio agio è Jordan Shanahan nei

panni di Escamillo. Pari a Claude Eichenberger, vocalmente e teatralmente, è invece Elissa Huber nella parte di Michaela, per Märki, giustamente,

Claude Eichenberger nel ruolo di Carmen. (Tanja Forendorf / T+T Fotografie)

non più dolce, sommessa, introversa e angelica, ma forte e determinata nella sua volontà di riprendersi l’uomo amato. Brave, per voce e capacità sceniche, Eleonora Vacchi e Marielle Murphy, nei panni rispettivamente di Mercedes e Frasquita. Sempre assecondato dall’orchestra, Mario Venzago dà prova di un notevole virtuosismo direttoriale, lungo tutta la partitura dell’opera (qui senza i dialoghi originali) ricca di significativi momenti e non solo riducibile ai celebri preludi e intermezzo o all’arcinota Habanera. Venzago fa emergere con fine penetrazione il lato drammatico e quello giocoso, quello malinconico e quello euforico: l’intera eloquente narrazione, dunque, della folle tragicità con cui si consuma il destino dei protagonisti. Resta da dire delle coreografie di Tabea Martin e delle repliche fino al 21 giugno.


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Cultura e Spettacoli

L’ineffabile Sua immagine

Incontri A colloquio con il filosofo Massimo Cacciari che in Generare Dio, si occupa dell’immagine

della Vergine Maria, che in qualche modo attraversa tutta la nostra storia Eliana Bernasconi Iniziata con lo studio del pensiero negativo di Schopenhauer e Nietzsche l’ormai sterminata opera di Massimo Cacciari si estende ad ambiti teologici, letterari, politici e artistici in un sistematico pensiero sorretto da inarrestabile logica, fondamentalmente critico nell’interrogarsi appassionatamente sul senso ultimo delle cose. In Generare Dio che inaugura la collana «Icone. Pensare per immagini», piccolo e-book edito da il Mulino, Cacciari parla dell’enigma di una donna la cui dolcissima immagine è ancora presente e attraversa da sempre la nostra storia, quella Vergine con il figlio delle icone orientali e di tutta l’arte medioevale e rinascimentale dell’Occidente. Scopriamo i significati segreti che solo gli artisti hanno messo in luce rappresentandola, la grandezza e il mistero di quella «Vergine madre, figlia del tuo figlio», per usare le parole di Dante, che evangelisti, teologi, filosofi non hanno compreso parlando di lei. Questa dimensione Massimo Cacciari la legge e la indica nelle riproduzioni che ha scelto per noi, dall’icona orientale ad Andrea Mantegna e Simone Martini, da Piero della Francesca al Beato Angelico, da Giovanni Bellini e Rogier van der Weyden al Masaccio. Se le immagini bizantine ci guardano lontanissime e impersonali nell’assoluta astrazione della loro frontalità, quelle del Mantegna, come la Madonna col bambino dormiente, (1490-1500) del

Museo Poldi Pezzoli di Milano, per usare le parole di Silvia Vegetti Finzi, «sono persone umane, ogni donna sente che in qualche modo le corrispondono immagini che contengono il sapere della fertilità delle emozioni che abbiamo perduto». Nell’Annunciazione di Simone Martini Maria è l’oscura fanciulla che dubita di essere stata scelta e si ritrae dall’incontro con l’angelo, in Piero della Francesca e nel Beato Angelico accetta il terribile compito che l’attende, la ritroveremo con il figlio morto nella Pietà di Giovanni Bellini, nella Deposizione dalla croce di Rogier van der Weyden. Nelle intense pagine di Generare Dio, dense di riferimenti, purtroppo di non immediata lettura, il rapporto con la trascendenza e il divino lotta con il relativismo contemporaneo, si respira il dubbio di chi non parla il linguaggio della fede ma avverte il richiamo della trascendenza. Prof. Cacciari, la collana «Icone. Pensare per immagini» da lei curata inaugura un filone nuovo dell’editoria, riflettendo sulle immagini della storia dell’arte da un punto di vista che non è estetico o iconografico Come considera queste immagini?

L’immagine non è illustrazione (come in certi frontespizi), la vera immagine dà da pensare, produce interrogazione. E il pensiero stesso «si immagina». Mai ci capita di pensare qualcosa senza in qualche modo «figurarlo». Il nesso pensiero-immagine-simbolo è il problema

che una civiltà «fondata» su tali immagini-pensieri di amore, di misericordia, di cosciente obbedienza al «mandatum novum» si sia svolta in realtà nel segno della appropriazione, della conquista, della violenza?

Nella storia della nostra civiltà occidentale troviamo ovunque, numerose e fondamentali le raffigurazioni di colei che genera il mistero di Dio, della vergine madre e del figlio, tali visioni non corrispondono alla realtà storica, non hanno mai esercitato alcuna influenza. Che dire di questa contraddizione?

Sarebbe sciocco tentare qui una risposta in due righe, ma è intorno a tale enigma che oggi come non mai sarebbe necessario interrogarsi. Per alcuni anni Cacciari, classe 1944, è stato anche sindaco di Venezia. (Keystone)

filosofico che si vorrebbe mostrare in concreto nella collana.

«Lo sol sen va, soggiunse, e vien la sera: / Non v’arrestate, ma studiate ’l passo, / Mentre che l’Occidente non s’annera». (Purg. XXVll, 61-63) Lei pone all’inizio del libro queste parole che Dante fa pronunciare all’angelo. Ci parla del rapporto che corre tra questi versi e il suo libro?

La citazione di Dante allude al problema: è ormai al definitivo tramonto la luce che proviene da queste immagini? Se ne sta andando il Sole che attraverso queste immagini illuminava il pensare? Le immagini di Maria e del figlio prese in esame partono dalle Madonne

bizantine e giungono al Rinascimento. Cosa separa le prime da quelle della storia dell’Occidente?

Tra il XII e XIII secolo le culture figurative bizantine e occidentali assumono strade sempre più incomparabili. Ciò vale per tutte le loro immagini-simbolo, tra cui quelle di Maria e il Bimbo, ma altrettanto per la Croce, la Risurrezione ecc. In Occidente è la figura, la realtà sofferente della figura che si impone. Qui il libretto su Maria riprende il mio Doppio ritratto. San Francesco in Dante e in Giotto. Da un punto di vista storico, filosofico e teologico ciò cosa comporta?

Lo «scandalo» è questo: com’è possibile

Sono invece assenti, lei ci fa notare, le rappresentazioni del padre, o di Dio.

Apparentemente sì. Ma per la coscienza cristiana il Padre si rivela pienamente e in realtà nel Figlio, e in questo incarnarsi è il contenuto essenziale e profondo della fede. Questo non ci accomuna all’islam e all’ebraismo dove questa immagine è considerata impossibile da rappresentare?

La domanda finale del mio libretto è appunto questa: non finisce questa fede di proiettare la figura del Padre in una infinita lontananza? L’invisibilità e ineffabilità del Padre è essenziale per l’islam e, seppure diversamente, anche per il giudaismo. Possiamo dirlo per la cristianità? Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 11 giugno 2018 • N. 24

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Cultura e Spettacoli

Happening emotivo

Barthes è morto

Editoria Un romanzo un po’ poliziesco, un po’ semiotico e un po’

anche ingenuo dedicato alla morte del grande semiologo francese

Incontri A colloquio con Silvia Calderoni,

dal 2015 in tournée con lo spettacolo MDLSX Laura Marzi MDLSX è uno spettacolo della compagnia riminese Motus, da oltre trent’anni attiva nell’avanguardia teatrale, diventato ormai un cult per la sua capacità di raccontare con la musica e la danza più che con le parole la dissolvenza del binarismo sessuale. Sulla scena unica protagonista l’artista Silvia Calderoni, interprete del personaggio principale di Calliope/Cal e di se stessa, essendo lo spettacolo costruito in parte su un intreccio tra il racconto autobiografico e il romanzo Middlesex con cui Jeffrey Eugenides ha vinto il premio Pulitzer nel 2003. L’anteprima risale a luglio del 2015, da allora MDLSX continua a essere rappresentato in tutto il mondo. Come è nata l’idea di creare un intreccio tra il tuo materiale autobiografico e il racconto di Calliope?

ci hanno fatto capire che questo lavoro oltre ad avere una forza estetica è portatore di una rivendicazione sulla libertà non solo rispetto all’identità sessuale, ma anche relativamente alle pratiche artistiche. Che cosa hai amato di più del personaggio di Cal?

La selvatichezza e il silenzioso «sguardo da uccello» che ha sul mondo che la circonda e sulla sua vita, il suo sentirsi sempre aliena, in ogni situazione, senza tregua. Credo che questa sia la cosa che ci accomuna di più: un’adolescenza un po’ fuori da sé e un po’ troppo dentro di sé. MDLSX è in scena dal 2015 ed è già stato definito uno spettacolo cult. Qual è stata la reazione da parte del pubblico che ti ha colpito di più, la prova più evidente per te delle conseguenze nella vita del tuo gesto scenico?

È arrivata da Daniela Nicolò che insieme ad Enrico Casagrande firma la regia di MDLSX. Dopo più di dieci anni di lavoro insieme in diversi progetti (con Motus ho interpretato Ariel in Nella Tempesta e Antigone nel progetto Syrma Antigone) abbiamo sentito l’esigenza di lavorare su un «solo» che indagasse il rapporto tra me, il mio corpo e la mia identità. Daniela ha proposto di utilizzare come materiale da cui partire il romanzo Middlesex che mi aveva regalato qualche anno prima. Ovviamente ne sono stata entusiasta.

Forse una delle date più emozionanti di MDLSX è stata l’inverno scorso a Wroclaw in Polonia. È un paese in cui il clima politico è molto teso e dove le comunità LGBTIQ e femministe lottano per la libertà di espressione. Portare lo spettacolo lì è stato molto forte e durante l’applauso finale una parte del pubblico si è alzato in piedi ed è venuto nello spazio scenico ad abbracciarmi. Una restituzione immediata corpo a corpo.

Nelle definizioni di genere mi sono sempre sentita stretta, anche in quello teatrale. Mi piace dunque pensare MDLSX come un dispositivo lisergico in grado di adattarsi ai luoghi che lo ospitano. Quando viene fatto in un grande teatro diventa spettacolo (o solo teatrale) invece quando viene fatto in spazi meno convenzionali diventa performance o happening emotivo. Io lo vivo ogni sera come un «viaggio» dentro e fuori me stessa, in compagnia del pubblico e dei colleghi che sono sopra in regia.

Con Motus frequentiamo l’Angelo Mai dal 2008, lì abbiamo fatto prove, spettacoli, laboratori, feste, assemblee, abbiamo stretto amori e amicizie, ci siamo frequentati con pubblici diversi e a nostra volta siamo state e stati pubblico. L’Angelo Mai è uno spazio di immaginazione artistica dove ancora è possibile sperimentare, dove la prestazione non è la priorità, dove si può prendersi il tempo per fare e per emozionarci. Ed è questo che lo rende uno spazio politico, il suo essere fuori dalle regole del mercato e dai giochetti di questo arido presente.

Qual è il genere teatrale in cui inscriveresti il tuo lavoro, oltre alla performance art?

Qual è il ruolo nel tuo spettacolo delle arti figurative e della danza?

Abbiamo avuto la fortuna di presentare MDLSX davanti a pubblici di paesi diversi e in contesti non solo teatrali avendo confronti con diversi tipi di comunità o singoli spettatori. In molti

Stefano Vassere «Alla Sorbona, il commissario Bayard chiede dove si trova il dipartimento di semiologia. La persona dell’accoglienza gli risponde con l’aria altezzosa che non c’è. La maggior parte degli studenti non sa cosa sia o ne ha sentito parlare solo molto vagamente». Voilà. Dovendo scrivere un romanzo sulla morte, già di per sé non aliena all’artificio narrativo, di Roland Barthes (uno tra i tre-quattro maggiori pensatori nel Novecento nell’ambito della comunicazione umana), probabilmente le opzioni non sarebbero infinite e si finirebbe per scriverlo come questo La settima funzione del linguaggio di Laurent Binet, libro fortunatissimo che arriva ora in edizione italiana forse non a caso per «la nave di Teseo», casa editrice che accolse qualche anno fa Umberto Eco e tutta una serie di reduci ribelli della Bompiani. Prendete un fatto vero, la morte di Barthes (o, come direbbero i francesi con vezzo stucchevole, RB) e ipotizzate un contesto non casuale che abbia a che fare con i suoi lavori e il milieu accademico dell’epoca; il fatto vero è la morte nel febbraio del 1980 dopo essere stato urtato da un furgone all’uscita da un pranzo con François Mitterand; la mistificazione narrativa e manipolatoria riguarda il vero motivo dell’incidente, rinviato qui a un possibile omicidio. La posta in palio non può che essere di natura scientifica. A un modello della comunicazione tuttora insuperato (lo conoscono i linguisti fin dal primo

A Roma siete andati in scena al teatro Angelo Mai, attualmente sotto minaccia di chiusura da parte del comune. Puoi raccontarci perché è così importante che questo spazio resti aperto?

proseminario) elaborato dal linguista strutturalista Roman Jakobson e che comprende sei ormai mitiche funzioni della comunicazione umana, Barthes ne avrebbe aggiunta in quei giorni una, utilissima ai politici e ai padroni del mondo. Ed è appunto per impossessarsi di questa arma letale che «qualcuno» avrebbe in questo libro deciso di ucciderlo. Il commissario Jacques Bayard è spiccio e astuto ma ha bisogno, vista la materia, dell’aiuto di un giovane semiologo, Simon Herzog, che conosce il mondo della disciplina ma anche la disciplina stessa, il che aiuterà l’inusuale coppia a procedere nella delicata indagine. Ora, se uno conosce un po’ quegli studi e quell’epoca (straordinaria per quegli studi), coglierà forse i riferimenti scientifici (e potrà magari anche essere infastidito dall’uso che se ne fa); se uno

non lo conosce ha però anche altri contorni in fin della fiera non male: l’ambiente delle università parigine degli anni Ottanta, l’ambiente di quegli anni in generale, gli intellettuali ancora parigini, Foucault, Deleuze, il giovane Bérnard-Henri Lévy (BHL, il vezzo è quello di prima), i loro cafés, le automobili del tempo, il calcio del tempo e così via. La morte di Roland Barthes, quella vera, la versione ufficiale per dirla con i protagonisti del libro di Laurent Binet sta in una famosa biografia del linguista Louis-Jean Calvet, dove il lettore riconoscerà passione nelle ampie pagine sulla famiglia Barthes, sulla madre e la sua morte, su tratti del carattere di RB. Fino ai giorni, appunto, della morte: al cospetto dell’amico morto il collega Algirdas Greimas dirà tra l’altro: «le petit Roland, tout petit, come ratatiné», come raggrinzito. Ecco, si può leggere la non meno avvincente cronaca biografica di Calvet, magari qualche pagina wiki sulle teorie semiotiche più diffuse, le tenere e struggenti pagine del diario del Maestro scritto nei giorni della perdita della madre e alla fine il romanzo di Binet. Se l’operazione non è troppo onerosa sarà certamente profittevole e gratificante. L’epilogo non si svela: questo è prima di tutto un romanzo poliziesco. Bibliografia

Laurent Binet, La settima funzione del linguaggio, Milano, la nave di Teseo, 2018.

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Cultura e Spettacoli

Everett meets Wilde

Incontri A colloquio con l’attore inglese Rupert Everett, di nuovo sulla scena

Blanche Greco Antica famiglia inglese, antenati scozzesi da parte di madre, educazione militaresca, scuole prestigiose e un collegio cattolico dove scopre il cinema italiano (con Fratello Sole e sorella Luna di Franco Zeffirelli) e la vocazione cinematografica; è questo il prologo dell’adolescenza turbolenta e della carriera folgorante e tempestosa, stile «montagne russe», di Rupert Everett, che abbiamo intervistato a Roma dove, nelle vesti dell’Inquisitore, sta girando il serial Il Nome della Rosa. Barba lunga e i folti capelli brizzolati cortissimi, per esigenze cinematografiche, Rupert Everett deve questo ennesimo felice ritorno al suo talento di attore e a un personaggio inseguito a lungo: Oscar Wilde, quello dell’esilio e della morte, dal 1897 al 1900, al centro del film The Happy Prince. La pellicola, applaudita al Sundance e al Festival di Berlino, amata dalla critica e dal pubblico in sala, è stato anche il suo esordio come sceneggiatore e regista: «Oscar Wilde è stato una costante della mia vita: da bambino, la sua favola del Principe Felice, era la preferita di mia madre», ci ha raccontato Everett, «ma ho imparato a conoscerlo interpretando le sue commedie piene di humour e d’intelligenza; ora, al traguardo dei miei sessant’anni e, credo, alla fine della mia carriera, volevo dire la mia in quanto uomo di spettacolo gay, da sempre alle prese con l’industria dello show business. E la storia di Oscar Wilde mi ha ispirato, perché è emblematica e affascinante». Il film The Happy Prince, è il sentimento di una somiglianza, un brillante, toccante e cinico omaggio a Oscar Wilde che placa i fantasmi personali del regista, anche se, ha affermato Everett: «a indurmi a lottare per questo film è stata la voglia di tornare al cinema con un personaggio magnifico, che sapevo avrei reso al meglio». Infatti ci ha messo dieci anni per scriverlo, sceneggiarlo, e trovare il budget per realizzarlo, e si è arreso a curarne la regia, pur di non farsi scippare il ruolo del protagonista. Alto e atletico, il bel viso aristocratico invecchiato con fascino, e quell’espressione riottosa e malinconica dello sguardo che gli valse un alter ego come Dylan Dog, «l’indagatore dell’incubo» dei fumetti, icona di successo degli anni ‘90, Rupert Everett nel nostro in-

Rupert Everett (classe 1959) in una recente foto scattata a Roma. (Keystone)

contro, ha giocato a nascondino con se stesso e la figura di Oscar Wilde: «L’ho amato perché, come il principe della favola, mentre gli portavano via tutte le scaglie d’oro e le cose preziose, mentre cadeva in pezzi, Wilde, in quegli anni, è stato anche felice, e fedele a se stesso sino alla fine, e lo vedo non come una vittima, piuttosto come una sorta di Cristo, per metà dio e per metà umano». Il film inizia in una modesta pensione di Parigi, ma Oscar Wilde disteso

sul letto non vede ciò che lo circonda, la mente sospesa tra il sogno e il delirio: i ricordi di quando era un autore di successo, adorato dalla buona società londinese si alternano con quelli degli incontri con l’amato Bosie, il superficiale Lord Alfred Douglas; con quelli dolorosi del processo, con il marchese di Queensberry, padre del suo amante, che, grazie al tradimento di Bosie, può umiliarlo e trascinarlo in prigione. Nelle immagini, gli applausi si mescolano agli sputi e agli insulti del popolino che

lo vede in catene; lo tortura il pensiero di sua moglie Constance e dei suoi figli, che, a causa dello scandalo vivono nascosti; lo perseguita la certezza del talento perduto, quella sua celebrata vena poetica che sembra essersi disciolta nell’assenzio; fatta a brandelli dalla sifilide. «Ho voluto girare tutta la storia intorno al letto di Wilde, seguendo le divagazioni del suo cervello», ci ha spiegato Everett, «che negli ultimi sprazzi di vita vaga tra i luoghi della

sua esistenza portando gli spettatori con sé, come se fossero cari amici al pari di Reggie Turner, o Robbie Ross che al suo capezzale affettuosamente lo vegliano con conversazioni sentimentali, piene di humour, di pathos e di recriminazioni. Sono situazioni che conosco, dell’epoca in cui l’Aids non dava scampo, vissute al capezzale dei troppi amici perduti. I terribili anni ’80 della mia gioventù, in cui non si aveva modo di sapere il proprio destino. La sifilide fu altrettanto devastante in epoca vittoriana». E poi c’è il capitolo del successo, afferrato e perduto, penoso per Wilde, come lo è stato varie volte per Rupert Everett: «Quando Wilde era una star e Londra era ai suoi piedi, lo vediamo orgoglioso, vanesio, egocentrico; non gl’importava di nient’altro. So per esperienza quanto sia disorientante quando tutto finisce, accorgersi che il riflettore che era acceso su di te, si è spento. Nel film quest’uomo imponente, quasi elefantiaco, si è trasformato in un beone trasandato e puzzolente, che porta con sé solo tracce della gloria passata», ha continuato Everett accalorandosi, «e, in una bettola, cerca di raccontare al tizio seduto accanto a lui un episodio della sua gloria passata: quando in America, acclamato da un gruppo di minatori, aveva accettato di farsi calare in miniera, in un secchio, per pranzare con loro in galleria. Sembrano vanterie di un alcolizzato e invece era accaduto davvero, durante il trionfale viaggio di Oscar Wilde in America. Devi avere i nervi saldi nello show business, ora come allora». Everett ha mostrato di averli, passando dal cinema, al teatro, alla letteratura, dando prova di un talento brillante e multiforme, grazie al quale, nei momenti difficili, si è più volte ripreso la scena: a Londra e a New York, anche con libri come: Bucce di Banana del 2007, raccolta di episodi di vita vissuta e riflessioni sui suoi amici illustri; o Anni svaniti del 2013, quasi un’autobiografia di eventi curiosi e avventure esistenziali. E adesso, dopo la riuscita di The Happy Prince, si gode a Roma l’ennesima rinascita «Poi taglierò questa barba, per realizzare un film sulla Seconda Guerra Mondiale». Ci ha detto un entusiasta Rupert Everett salutandoci sorridente e impettito, svelando quella tempra militaresca, quella caparbietà guerriera ancestrale che gli ha salvato più volte la vita.

Il cerchio perfetto di Maynard James Keenan

CD Dopo numerose esperienze individuali, Maynard propone un disco raffinato con la band A Perfect Circle

Alessandro Panelli A quattordici anni dall’uscita del loro ultimo album eMOTIVe, A Perfect Circle, il gruppo capitanato dal celebre cantante di band di culto come Tool e Puscifer Maynard James Keenan, sforna un nuovo lavoro intrinseco e studiato, che spazia da tonalità cupe e drammatiche a suoni più vivaci e allegri, ma che nell’insieme mantiene uno sfondo di critica alla società del XXI secolo grazie ai testi provocatori ed espliciti ma anche introspettivi e riflessivi, che lasciano spazio alla libera interpretazione. Una titletrack apre l’album con note di pianoforte dolorose e lente, una batteria articolata che copre ogni buco di melodia e una voce soave che pone le basi per le tematiche principali del volume attraverso la metafora di mangiare un elefante: non importa come lo mangi, l’importante è che inizi, morso dopo morso. Esattamente come bisogna ascoltare questo album, traccia dopo traccia.

Rispetto ai lavori precedenti della band questa ultima loro fatica a livello melodico è molto più pulita, le distorsioni delle chitarre sono contenute e il pianoforte, le percussioni e i sintetizzatori, assieme a una voce meno graffiata, seppur in certi momenti (Talktalk) ancora urlata e ruggente, rivestono un ruolo più da protagonisti rispetto al passato. Tramite queste sonorità moderne, variate e mature, ogni traccia ritaglia un proprio posto all’interno del cuore di chi le ascolta, anche se sicuramente non la prima volta: stiamo parlando di un album ambizioso e complicato ma che, una volta capite le meccaniche, non stancherà mai. Nelle prime canzoni si fa un riassunto negativo di quello che l’uomo sta compiendo negli ultimi anni: da chi ci governa, i grandi potenti, a chi non fa nulla per contrastarli. Molto spesso anche stando attenti al testo non riusciremo a venire a capo facilmente di quello che Keenan vuole dirci, mentre in altri

(Talktalk, The Contrarian, The Doomed) la via interpretativa è più ristretta e Keenan ci dà un avviso, ci sta allarmando su ciò che sta succedendo e vuole indirizzarci con lo scopo di farci reagire. E se al primo ascolto di questo album si rischia di rimanere scettici, non riuscendo a sentire alcuna vibrazione o emozione, non è il caso di arrendersi: basta cercare un momento giusto. Eat the Elephant va infatti assaporato con orecchio, attenzione e dedizione, poiché a quel punto si avrà la possibilità di entrare in un turbine di emozioni e brividi. La band riesce a catturare l’ascoltatore, facendolo sorridere e rattristare al tempo stesso. Eat the Elephant fa sognare, provoca immagini forti. Porta alla consapevolezza della realtà contemporanea senza esagerare e senza indottrinare, lasciando lo spazio necessario a generare un’idea personale all’interno del mondo espresso dalla band tramite la musica.

Eat the Elephant è il nuovo lavoro dei Perfect Circle.


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Cultura e Spettacoli Rubriche

In fin della fiera di Bruno Gambarotta Ai miei (cari) figli Vi prego di scusarmi, sono ancora emozionata e commossa. Vincere l’ambito riconoscimento di «Mamma dell’anno» è stato come tagliare il traguardo di una vita spesa nella dedizione totale ai figli, dopo la prematura scomparsa del mio povero marito. La Presidente del Club «Mamme d’Italia» mi chiede, amiche care, di spiegare a voi i segreti del mio successo. Io ho tre figli, due bambine di 35 e 33 anni, e un maschietto, il più giovane, che ne ha solo 29; tutti e tre ancora saldamente ancorati alla casa dove sono nati e dove trovano l’affetto vero, quello che non chiede nulla in cambio. Per la verità Gloria, la più grandicella, ha manifestato di recente qualche timida velleità di spiccare il volo, naturalmente senza dirmi niente, pensando forse, nella sua testolina, di farmi trovare di fronte al fatto compiuto. Come ho fatto ad accorgermene? Semplice, quando i miei figli escono – le ragazze per andare al lavoro e il maschio all’università – entro nelle loro camerette e mi dedico a un accurato controllo. Così un brutto

giorno ho trovato sul tavolino da notte della mia Gloria la copia di un settimanale di annunci economici. Sfogliandolo ho trovato offerte di appartamenti in affitto segnate con l’evidenziatore. La mia Gloria cercava casa! Nella sua ingenuità faceva persino tenerezza, non ho dovuto fare altro che telefonare a quei numeri dicendo che se fossero stati contattati da una ragazza che avesse dato come recapito il nostro numero di casa o il suo cellulare, dovevano fare molta attenzione: si trattava di una poverina con un forte esaurimento e un comportamento bipolare, che quando era contrariata prendeva un bastone e iniziava a spaccare tutto, vedessero un po’ loro se gli conveniva o meno affittare l’appartamento. Ho poi sentito, orecchiando (cosa non è disposta a fare una mamma per il bene dei suoi figli!) Gloria raccontare a sua sorella che quando andava a visitare un appartamento la guardavano in modo strano e pretendevano che lasciasse l’ombrello sul pianerottolo. La bambina più piccola, Roberta, per ora non ha

manifestato l’intenzione di andare via, però smania per trovarsi un fidanzato. Vorrebbe tanto andare in discoteca ma io finora sono riuscita a impedirglielo. Come ho fatto, chiederete voi. Non certo con la forza, perché purtroppo nella nostra società edonista una ragazza di trent’anni è già considerata maggiorenne. Né con la persuasione, in certi casi le parole di noi adulti sono non solo inutili ma controproducenti. Semplicemente ho telefonato alla titolare della ditta dove mia figlia lavora come impiegata e le ho chiesto un colloquio riservato: anche lei è una mamma e tra mamme bisogna essere solidali. Si tratta di una piccola ditta di trasporti, gli impiegati sono insufficienti e c’è sempre una bella mole di lavoro arretrato da sbrigare. Ho detto alla padrona che se tratteneva la mia Roberta a fare straordinari la sera io ero disposta a rimborsarle quelle ore in più. Così la mia bambina torna a casa così stanca da aver solo la voglia di buttarsi a letto a dormire, altro che andare in discoteca! Si lamenta: sempre a me

chiedono di fermarmi! Si vede che sei la più brava, le rispondo, le tue colleghe hanno un marito e dei figli e non possono fermarsi. Tu trovi tutto pronto, hai una mamma che si sacrifica, ti lava e ti stira. Anch’io vorrei un marito e dei figli, risponde piangendo, ma come faccio a trovarmeli se passo tutta la vita in ufficio! Eh, per il bene dei figli bisogna resistere alle loro lacrime, un giorno mi ringrazierà. Visto che durante la settimana non ce la fa ad uscire, Roberta s’è iscritta a un club alpino che organizza gite nei rifugi durante il week end; non le importa della montagna, lo fa perché spera di trovarsi un fidanzato, approfittando del cameratismo che si crea durante i viaggi in pullman e le soste nei rifugi, dove dormono in camerata, maschi e femmine insieme. Per impedirle di andare in gita mi faccio venire la febbre il sabato mattina quando lei sta per uscire con lo zaino in spalla. Se, facendosi forza, parte lo stesso, poi si sente in dovere di telefonare per sapere come sto e lì è un gioco da ragazzi fare la voce roca e flebile di una che sta per

morire. Tante volte interrompe la gita a metà e corre a casa dalla sua mamma. Per ora il fidanzato non l’ha trovato, per fortuna a quei club si iscrivono solo maschi timidi. Il ragazzo invece da quel lato non mi dà nessuna preoccupazione, io non gli faccio mancare niente perché possa studiare in tutta tranquillità e senza fretta, l’auto sportiva, l’abbonamento alla palestra, i soggiorni a Riccione e in un’isoletta greca con i suoi amichetti; gli ho promesso che l’estate prossima gli regalo un viaggio negli Stati Uniti, sogna di andare a San Francisco. Lui mi abbraccia forte forte e dice che l’unica donna della sua vita sono io. Nella sua cameretta con le pareti tappezzate di poster con atleti muscolosi l’unica immagine femminile è la mia foto nella cornice d’argento che gli ho regalato quando ha superato l’esame di maturità al terzo tentativo. Scusate se mi commuovo, succede sempre quando parlo dei miei ragazzi. Ecco, se la presidente me lo permette, è ai miei figli e alla loro felicità che vorrei dedicare questo trofeo. Grazie. (Applausi)

Ma non di quelli che ogni anno si modificano e le montagne ora sono qui ora lì, e il fabbro è vicino alla capanna e invece l’anno successivo è lontano, dietro alle case. No no, di quelli fissi, che si tolgono dall’armadio, una spolverata e ritornano al loro posto immutati. Anche su questa spiaggia è tutto uguale a se stesso, le novità dell’anno sono state rapidamente archiviate con il primo rivedersi: morti, nascite, matrimoni e divorzi, e poi si torna al cocco bello e a rosolare la pelle al sole. È così che ci piace, perché almeno in vacanza riusciamo nell’impresa sovrumana di fermare il tempo. I filosofi lo sanno, l’uomo è l’unico animale che sa di dover morire (sì, anche mucche e maiali condotti al macello piangono, ma piangono davanti alla morte, non ci avevano mai pensato prima). Per questo da secoli si è ingegnato, o ipotecando luoghi meravigliosi dove ogni lacrima sarà consolata, o dichiarando che lo scorrere del tempo è solo un’illusione. A noi sembra che le cose passino, ma in verità ritorna-

no. Lo sostiene oggi Emanuele Severino, prima di lui lo hanno detto – in base a differenti visioni del mondo – Parmenide, Spinoza, Nietzsche. In una fissità eterna, qualcosa appare all’esistenza, emerge e poi torna nel mare dell’essere – da cui comunque non ha mai preso congedo, tanto che questo apparire è scandito dall’essere uguale a se stesso, perché tale ritorna e ritornerà sempre. Il mutamento, quindi, è solo apparente, tutto ciò che accade è già accaduto e in eterno accadrà. Un incubo? No, una gioia, risponderebbe Severino. La storia infatti non si fa di attimo in attimo sorprendendo gli umani, la storia è già scritta. Il singolo non ha responsabilità per quanto viene all’apparire, non deve avere aspettative, non può permettersi speranza o contrarietà. Con la saggezza del sapiente stoico, se l’uomo accetta di essere inserito nell’illusione del divenire, sarà anche consapevole per questo di far parte dell’eterno essere. Non avrà paura di nulla, la sua vita sarà rallegrata dalla

gioia di chi non può volere niente di meglio, un sentire razionalmente inattaccabile. Ora, poi, che i sapienti siano gioiosi è tutto da dimostrare, trovandosi tra i filosofi gli uomini più tristi e depressi ch’io abbia mai conosciuto. Amleto, per esempio, che ha una simile visione del mondo, non si può dire né allegro né spiritoso. Sa bene, il principe di Danimarca, che solo la paura di «qualcosa dopo la morte» ci trattiene dal raggiungere la pace, dal liberarci di questo «groviglio mortale» (lui dovrebbe avere qualcosa di più di una vaga paura, perché ha ben visto e ascoltato lo spettro di suo padre). Mentre sembra così desiderabile «morire, dormire… nient’altro, e con un sonno dire fine alla stretta del cuore e ai mille tumulti naturali che eredita la carne». Gesto che tra l’altro non riesce per nulla difficile ai miei bagnini, che nel primo pomeriggio meritano quel sonno all’ombra degli ombrelloni, i piedi sul tavolino, il cappello scivolato in avanti, «dormire, forse sognare».

fezionamento di New York non risultava sui registri universitari e il mio nome figurava solo come fruitore occasionale della biblioteca; idem per la Sorbona e per Cambridge; il perfezionamento giuridico di Vienna era in realtà un corso estivo di lingua tedesca, non all’International Kulturinstitut (che non esisterebbe), ma all’Internationales Kulturinstitut; l’insegnamento a Malta non era testimoniato nei registri; non era documentata la mia presenza presso la Duquesne di Pittsburgh; il Social Justice Group europeo non risultava mai costituito; non risultava neanche una mia consulenza alla Camera di Commercio; lo studio legale Alpa non aveva associati ma solo collaboratori esterni. Il mega boss della multinazionale mi ha urlato al telefono che l’assunzione come capo del Personale me la potevo sognare, che ho causato un notevole danno morale alla sua azienda e che aveva intenzione di intentare un’azione penale contro di me per dichiarazioni mendaci sulle qualità, competenze ed

esperienze scientifiche. Ho risposto lì per lì qualcosa che per la verità suonava incomprensibile a me stesso, ho detto che si trattava di leggerezze in totale buona fede, che il curriculum si prestava certo ad alcuni equivoci, ma che era evidente che facendo quella ricerca il sindacalista voleva attentare alla mia rispettabilità. Il mega boss non mi ha lasciato finire e, sempre urlando, ha minacciato che se avesse potuto firmare su un autorevole settimanale una rubrica intitolata «Voti d’aria» o qualcosa di simile non ci avrebbe pensato due volte a dare un bell’1 (voto svizzero) alla mia condotta etica. Senza stare più ad ascoltare le sue farneticazioni, gli ho ribattuto: lei non sa chi sarò io!». Fine del racconto. Naturalmente non sono io l’io narrante fittizio del breve racconto fantastico scritto sopra, ma potrebbe tranquillamente essere il nuovo premier italiano. Le informazioni riguardanti il suo percorso scientifico coincidono con quanto ricostruito nei giorni precedenti la sua

nomina. La quale nomina, appunto, diversamente dal caso del protagonista del racconto, non è stata per nulla ostacolata dalle dichiarazioni mendaci elencate nel curriculum. È vero che è esploso uno scandalo sui giornali, enfatizzato dal fatto che la prima rivelazione delle «leggerezze» è stata pubblicata dal «New York Times», poi però nulla. La rispettabilità del professore è rimasta intatta: l’interessato non ha avvertito l’esigenza di andare oltre le prime vaghe giustificazioni né ha mostrato il minimo disagio, semmai ha fatto trapelare una sorta di arcigno risentimento per l’ostinazione delle ricerche sul suo conto. Come se nulla fosse, una settimana dopo ha pronunciato un alato discorso alla Nazione, ha chiesto la fiducia del Parlamento e l’ha ottenuta. Poco importa che sia mitomane, bugiardo o solo (solo?) sciatto nella stesura di un documento ufficiale. Fra tot anni, il curriculum avrà una nuova voce: dal giugno 2018 a Palazzo Chigi o Cighi (Roma) in qualità di presidente degli Stati Uniti…

Postille filosofiche di Maria Bettetini Un presepe in spiaggia Approfittando di compiti famigliari, ho trascorso la prima giornata dell’anno al mare. Erano già tutti abbronzati. E tutti nelle abituali postazioni, forse una ruga, un capello bianco in più. La vedova del giudice in prima fila, legge Montalbano e intercetta le donne di passaggio, per una piacevole e obbligatoria sosta a rinfrescar loro e a farsi raccontare i casi della vita. Insomma, gossip. Sull’altro lato della passerella di cemento (salvezza dai bollori della sabbia), le ragazze con costumi ridotti, le dannate del sole. Immobili, impietrite, rosolano un lato dopo l’altro. Ad alleviare la pena solo qualche goccia d’acqua da spruzzini come quelli che si usano per stirare, forse sono proprio quelli. I bagnini non sono più ragazzi, ma sono sempre scanzonati. Lavorano alacremente, come sempre: uno toglie la ruggine dalle giunture delle porte delle cabine, maledicendo i clienti che pretendono di avere tutto pronto, «e siamo solo a giugno». Forse pensa di dover accogliere i bagnanti non prima

di Ferragosto, comunque è infuriato, e per questo a sera avrà pulito un paio di giunture. Gli altri due si alternano, a turno accompagnano i nuovi venuti al loro ombrellone e poi si riposano alla sua ombra, sonnecchiano e accompagnano. I più attivi sono i venditori di cocco, bigiotteria, gelati. Saranno abusivi, ma dovendo guadagnarsi la giornata esercitano le arti del commercio con smaccata abilità, sento un senegalese spiegare alla famigliola di un medico di Bologna che a Milano, «che è un po’ come Dubai», si portano parei in tutto simili a quelli che sta vendendo lui. Non posso che approvare, chi non usa parei colorati come quelli nei sotterranei del metrò rosso o per le vie trafficate del centro, all’ombra del Duomo, in galleria Vittorio Emanuele? Mentre immagino consiglieri d’amministrazione in infradito, avvocate con i fiori tra i capelli, commesse che solo per un attimo hanno appoggiato il canotto, rifletto su quanto mi sta accadendo intorno. È un presepe.

Voti d’aria di Paolo Di Stefano Lei non sa chi sarò io «Sono nato in una cittadina in provincia di Foggia, figlio di un segretario comunale e di una maestra elementare, ho appena superato i cinquanta, per anni ho amministrato un’azienda enologica ma volevo cambiare pensando di meritare un posto più prestigioso, una qualifica migliore e uno stipendio più alto. A questo scopo ho inoltrato il mio curriculum vitae di 28 pagine (ovviamente in inglese) a diverse ditte del settore. Sono stato convocato un paio di settimane fa da una multinazionale della Bassa Bergamasca che si è detta molto interessata al mio profilo professionale, dove comparivano, tra l’altro, alcune tappe importanti: • Laurea in giurisprudenza all’Università Sapienza di Roma, • Attività di ricerca alla Duquesne University di Pittsburgh, • Perfezionamento giuridico all’International Kulturinstitut di Vienna nel 1993, • Insegnamento presso l’University of Malta nell’ambito di un corso internazionale nell’estate 1997,

• Attività di ricerca scientifica all’Università Sorbona di Parigi nel 2000, • Attività di ricerca al Girton College di Cambridge nello stesso anno, • Attività di ricerca alla New York University dal 2008 al 2012, • Membro del Social Justice Group presso l’Unione europea, • Nomina a consulente legale della Camera di Commercio, dell’Industria e dell’Artigianato di Roma, • Fondato un nuovo studio legale con il prof. Avv. Guido Alpa. Sulla base di queste indiscutibili credenziali, dopo il colloquio con il patron in persona e i suoi più stretti collaboratori ho ricevuto una lettera di assunzione come capo del Personale delle filiali italiane con la garanzia di uno stipendio nettamente superiore. Passati diversi giorni, una telefonata del proprietario stesso mi informa che un occhiuto sindacalista dell’azienda si è intignato a verificare le informazioni elencate nel curriculum facendo presente che: il per-


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I adorano organizzare grigliate e a tal proposito non può man care una rinfrescante boule estiva. Per la bevanda fruttata bast a tagliare le fragole in quattro e le arance in dischi sotti li e unire il tutto in una vasca con i mirtilli. Aggiungere acqua minerale fredda e un po’ di sciroppo di ibisco. Riempire con del moscato analcolico o con del Prosecco ghiacciato, aggi ungere la menta e servire immediatamente. Buon divertime nto.


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Idee e acquisti per la settimana

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shopping Ogni giorno freschissimo

Novità Migros Daily è la nuova variegata linea di prodotti freschi e pronti al consumo ispirata alle tendenze

alimentari di tutto il mondo. Carlo Mondada, responsabile marketing del settore convenience per Migros Ticino, ci spiega di cosa si tratta Signor Mondada, cos’è Migros Daily?

Migros Daily contrassegna un’eterogenea e ampia selezione di piatti stagionali pronti da mangiare, sia caldi, sia freddi, che si rifanno ai trend alimentari più attuali e internazionali. Tutti i prodotti vengono preparati freschissimi ogni giorno e sono pratici da portare con sé: al lavoro, in viaggio, a casa, a scuola, durante il tempo libero... Dove si possono trovare i prodotti Migros Daily?

Al momento l ’assortimento è disponibile nelle filiali Migros di S. Antonino, Lugano, Giubiasco, Biasca, Taverne, Pregassona, Arbedo e Bellinzona. Quali sono le proposte?

Con un assortimento di oltre sessanta articoli, ne abbiamo veramente per ogni gusto e per qualsiasi momento della giornata, senza dimenticare coloro che prediligono un’alimentazione vegetariana o vegana. Insomma, che si tratti di succhi, müesli, insalate, macedonie, panini, canapè, torte salate, pizze, wrap o menu caldi, tra queste freschissime delizie, c’è solo l’imbarazzo della scelta! La scelta gastronomica cambierà regolarmente?

L’offerta cambierà in parte a seconda della stagione, infatti, se durante la primavera e l’estate essa verte maggiormente su piatti freddi e veloci, con l’arrivo dell’autunno alcune pietanze saranno sostituite da menù caldi e corroboranti. Ovviamente, saranno sempre disponibili alcune gustose proposte tra le più classiche. Il suo prodotto preferito?

Sicuramente il panino Twister rustico con arrosto di manzo. Una vera delizia!

Carlo Mondada, responsabile marketing convenience Migros Ticino.


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Idee e acquisti per la settimana

Il frutto dell’estate

Azione 40%

Attualità Dolce, rinfrescante e salutare: il melone Charentais protagonista

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della stagione calda

dal 12 al 18 giugno

Tra le diverse varietà di melone attualmente disponibili alla Migros, il Charentais è tra i più pregiati e apprezzati dai consumatori. La sua polpa di un bel colore arancione nasconde una gradevole dolcezza e un sapore molto delicato. Originario della Francia, dov’è conosciuto anche con il nome di Cavaillon, fa parte della famiglia delle Cucurbitacee (come zucca, cetriolo, zucchina e anguria). Essendo costituito perlopiù d’acqua, è povero di calorie, ma in compenso contiene diversi sali minerali, vitamine e beta-carotene. Il melone Charentais è protagonista di molti piatti della cucina estiva e si presta bene non solo per preparazioni dolci, ma regala una delicata armonia di sapori anche accostato a cibi salati come per esempio formaggi stagionati o freschi, prosciutti, pesce affumicato, pollame e insalate miste. Ecco qui la ricetta di una minestra fredda a base di melone per un’estate all’insegna del buongusto: tostare qualche pinolo in una padella antiaderente senza aggiungere grassi e poi tritarli. Sbriciolare della feta e mescolarla ai pinoli e ad alcune alcune foglie di menta. Dimezzare un melone Charentais, privarlo dei semi, sbucciarlo e tagliarlo a pezzetti. Frullarlo con cubetti di ghiaccio, succo di limetta e due foglioline di menta. Aromatizzare con sale e pepe e servire in ciotoline guarnito con la gremolata di pinoli e feta.

Stop alle zanzare! Attualità Al centro OBI S. Antonino trovate alcuni efficaci prodotti

L’estate è sinonimo di belle giornate assolate e voglia di stare all’aperto, ma purtroppo anche di… zanzare. A questo proposito è importante proteggersi in modo efficace. Alcuni prodotti specifici possono essere d’aiuto per godersi a pieno la calda stagione senza punture. Le compresse Solbac-Tabs Bio e Biorga agiscono in modo biologico e duraturo contro le larve di sciaridi che vivono nella terra delle nostre piante. Il marchio Gesal invece, comprende un diffusore elettrico per proteggersi da zanzare e zanzare tigre (agisce per 30 m3 anche con le finestre aperte) e uno spray antizanzare e antimosche ultrapotente grazie a sostanze attive ad azione rapida. Per proteggere la pelle da diversi tipi di insetti fino a 10 ore, sono indicati spray e gel Bushman resistenti all’acqua e al sudore. Basta un’applicazione giornaliera. Infine, segnaliamo ancora Maag Antizanzare per acqua stagnante e serbatoi d’acqua per una lotta mirata contro le larve nel rispetto dell’ambiente e VectoBac G larvicida biologico e specifico per i tombini. Non esitate a rivolgervi agli specialisti OBI per una consulenza competente e funzionale alle vostre esigenze.

Keystone

contro gli insetti fastidiosi


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Idee e acquisti per la settimana

«Aperò di Gustando il risciò» venerdì al Centro S. Antonino

Richiamo prodotto

Attualità Evento con degustazione di prodotti Nostrani del Ticino

Migros per la tappa finale del noto programma di Rete Uno

Venerdì 15 giugno, dopo due settimane in giro per il Ticino, il risciò di «Gustando» firmato Rete Uno farà la sua tappa finale al Centro Migros S. Antonino a partire dalle ore 17.00. Per l’occasione sono previste delle attività di animazione alla presenza dei due protagonisti di questa simpatica avventura: il «pedalatore» Julien Carton e il «mattatore» Fabrizio Casati (nella foto). Sarà presente anche un food truck dove i visitatori potranno gustare alcune delizie nostrane preparate direttamente sul posto dallo chef Christian Frapolli, cuoco di diverse trasmissioni della RSI. Trasmesso dal 4 giugno scorso sulle frequenze di Rete Uno dal lunedì al venerdì tra le 14.00 e le 17.00, «Gustando… il risciò» ogni giorno si sposta a ritmo lento alla scoperta del Ticino e dei suoi prodotti gastronomici, incontrando persone che raccontano le loro storie e le loro esperienze legate al nostro magnifico territorio.

L’azienda di essiccazione della carne Churwalden AG ha comunicato alla Migros che in una partita di produzione dello snack a base di carne «minipic» sono finiti pezzi di plastica dura blu di un utensile di lavoro. I clienti sono pregati di non consumare i prodotti «minipic» in questione. Non è possibile escludere pericoli per la salute qualora si ingoino tali pezzi (pericolo di soffocamento). I pezzi di plastica blu possono essere di lunghezza fino a 2 cm. I clienti che hanno in casa questo prodotto possono riportarlo nella loro filiale Migros e ricevere il rimborso del prezzo di vendita pagato. Per ulteriori informazioni chiamare l’hotline al nr. 081 307 87 77. È interessato dal provvedimento di richiamo il seguente articolo: Nome: «minipic» Numero di articolo: 2321.030.005.00 Numero di lotto: L 501201181 Da consumare preferibilmente entro il: tra il 25 giugno 2018 e il 6 luglio 2018 Prezzo di vendita: 3.30 franchi. Annuncio pubblicitario

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Idee e acquisti per la settimana

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Vanessa Glässel (44) è Reponsabile progetto Famigros e tre volte mamma.

Vanessa Glässel

«Ci sono giochi meravigliosi da fare in acqua» Ci sono bambini che in acqua di annoiano? Di sicuro non i miei. Possono trascorrere ore a saltare dentro e fuori dall’acqua. Ci sono però bambini che hanno paura dell’acqua. In questo caso andrebbero avvicinati all’elemento acqua lentamente e in modo giocoso. Che giochi consiglia per chi ha paura? Ci sono tanti giochi meravigliosi, che motivano i bambini ad avvicinarsi all’acqua. Si possono per esempio mettere degli anelli nell’acqua bassa e chiedere al bambino di raccoglierli. Anche i salvagente o i braccioli possono essere uno stimolo. Se si è in spiaggia, ovviamente anche costruire castelli di sabbia. Di tanto in tanto i bambini necessitano di un secchiello d’acqua, e hanno così un motivo per misurarsi con la riva del mare. Non devono essere due valigie piene, ma alcuni giochi vale la pena metterli nella borsa da spiaggia.

Famigros

Attenti, pronti, in acqua! L’estate è la stagione dei bagni. Cosa mettere nella borsa quando si va con i bambini in piscina o in spiaggia? Il club per famiglie Famigros ha molte idee per il divertimento e il gioco in acqua

A volte basta una pozzanghera: molti bambini sono attratti come per magia dall’acqua e possono passare ore a giocarci. Con dei giochi adatti all’acqua, il divertimento è ancora più grande: con un paio di occhialini da immersione, per esempio, è possibile scoprire il mondo subacqueo, con le pinne si può nuotare come un pesce, mentre con accessori galleggianti si può combinare ogni genere di marachella. Un genitore deve decidere quali giochi portare a dipendenza dell’età dei bambini e dal luogo in cui si va a fare il bagno. In spiaggia non andrebbero

dimenticati secchiello e paletta. In generale già da piccoli i bambini amano giocare con la sabbia e molti adulti riscoprono il piacere di costruire castelli assieme ai figli. Anche i giochi gonfiabili e galleggianti, come unicorni, dinosauri o simili, piacciono a grandi e piccini. Ma attenzione: chi non sa nuotare non va mai lasciato solo. Idee per giochi in acqua

Se stare dentro o fuori dall’acqua dovesse diventare noioso, il club per famiglie Famigros offre ai genitori idee per giochi semplici e divertenti. Il sito

internet offre per esempio istruzioni per preparare bombe d’acqua, per giocare a palla prigioniera con palloncini pieni d’acqua o per uno slalom con un bicchiere d’acqua sulla testa. Malgrado tutto il gioco e il divertimento, non bisogna dimenticare la protezione solare: tanto più sono piccoli i bambini e più la loro pelle è chiara, maggiore deve essere il fattore di protezione della crema solare. Cappelli da sole e magliette a maniche lunghe UV offrono una buona protezione – oltre che naturalmente l’ombra. Tipps: famigros.ch/mondo-balneare

L’acqua può essere veramente pericolosa. A cosa si deve prestare attenzione? I bambini che non sanno nuotare devono sempre essere sorvegliati, in particolare i più piccoli. Possono annegare anche in acqua poco profonda, poiché non sono in grado di rialzarsi con le proprie forze.


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Idee e acquisti per la settimana

Farm Chips

I vincitori sono i più croccanti Chi sfrutterà al meglio le proprie possibilità di andare in rete durante la Coppa del Mondo? Svizzera, Messico, Brasile o Germania? O un’altra squadra? È ancora tutto da decidere. Un vincitore è però già stato rivelato: le Farm Chips. Senza di loro un incontro è solo una banale partita di calcio. I nostri tifosi apprezzano le chips preparate con patate svizzere e – in edizione limitata – barbabietole. Anche le Farm Chips Swiss BBQ sono disponibili solo per un breve periodo. Vengono preparate con cipolle, paprica e chili delle alpi di provenienza svizzera. Le patate per le Chips non sono sbucciate e sono tagliate più spesse rispetto a quelle tradizionali.

Farm Chips Nature 150 g* Fr. 2.70

Farm Chips Rosmarino 150 g* Fr. 2.80

Farm Chips Erbe svizzere 150 g* Fr. 2.80

Farm Chips Basilico 150 g* Fr. 2.90

Farm Chips Swiss BBQ 150 g* Fr. 2.90

e per i Tutto l’occorrent

Farm Chips Barbabietole & Nature 150 g* Fr. 2.90

Vegetariani, pescetariani, flexitariani o amanti della carne: in estate si risveglia in noi il griglietariano. Mangiamo solo ciò che è passato dalla griglia. Anche con le salse siamo pignoli. Informazioni: www.griglietariani.ch

Farm Chips Origano 150 g* Fr. 2.90 *Nelle maggiori fililali


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Idee e acquisti per la settimana

Farm Chips

I vincitori sono i più croccanti Chi sfrutterà al meglio le proprie possibilità di andare in rete durante la Coppa del Mondo? Svizzera, Messico, Brasile o Germania? O un’altra squadra? È ancora tutto da decidere. Un vincitore è però già stato rivelato: le Farm Chips. Senza di loro un incontro è solo una banale partita di calcio. I nostri tifosi apprezzano le chips preparate con patate svizzere e – in edizione limitata – barbabietole. Anche le Farm Chips Swiss BBQ sono disponibili solo per un breve periodo. Vengono preparate con cipolle, paprica e chili delle alpi di provenienza svizzera. Le patate per le Chips non sono sbucciate e sono tagliate più spesse rispetto a quelle tradizionali.

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PUBLIREPORTAGE

Per arrivare a tagliare il traguardo Si passa vicino alla Colonna della vittoria, al Parlamento, alla Torre della televisione in Alexanderplatz, lungo l’elegante Kurfürstendamm e la lussuosa Potsdamerstrasse: chi partecipa alla Maratona di Berlino non finisce solo per sudare ma anche per ammirare molte delle attrazioni della capitale tedesca. Considerata la bellezza del luogo stupisce il fatto che gli ultimi tre record mondiali degli uomini siano stati battuti a Berlino: nel 2014 il detentore del titolo, il keniota Dennis Kimetto, tagliò il traguardo dopo meno di due ore e tre minuti! Oggi come allora, alla partenza è presente anche ERDINGER Senza alcol in veste di sponsor della Maratona di Berlino.

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Il fatto che la birra analcolica non solo piaccia agli sportivi ma li tenga anche in forma è stato dimostrato nel 2011 da uno studio del Politecnico di Monaco: ERDINGER Senza alcol, consumata prima e dopo una maratona, migliorava la forma fisica dei corridori e li preparava al meglio per la gara. Tra le altre cose, la birra di frumento fabbricata a Erding nel rispetto dell’editto di purezza bavarese contiene le vitamine B9 e B12 che contribuiscono al mantenimento delle normali capacità fisiche e mentali. Inoltre è isotonica e meno calorica dell’apfelschorle. ERDINGER Senza alcol ti fa correre e mette in palio 5 pettorali per la maratona di Berlino (vedi box). ERDINGER Senza alcol 6 x 330 ml Fr. 7.50

Maratona di Berlino: partecipa anche tu! ERDINGER Senza alcol mette in palio cinque ambiti pettorali. Aggiudicati una delle 5 iscrizioni per la Maratona di Berlino 2018 che ha già fatto il tutto esaurito o per l’edizione del 2019, incluso viaggio e hotel. Oltre 40’000 corridori si sfidano ogni anno per le vie della città passando accanto alle sue stupende attrazioni. Il premio comprende un’iscrizione per la Maratona di Berlino, il viaggio di andata e il pernottamento in un hotel a 4 stelle.

Requisito indispensabile: devi avere già portato a termine una (mezza) maratona o un evento podistico paragonabile. Tutte le informazioni sul concorso sono disponibili alla pagina www.erdinger-alkoholfrei.ch. Termine ultimo di partecipazione: 13.8.2018. I vincitori verranno informati personalmente. In bocca al lupo!


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CONSIGLIO SALSICCIA A SORPRESA

Cotta alla griglia è sempre squisita, ma la salsiccia si presta anche ad abbinamenti inconsueti. Insieme a fagiolini verdi e pomodori cherry, per esempio, dà vita a un gustoso piatto estivo. Trovate la ricetta su migusto.ch/ consigli

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HIT DELLA SETTIMANA PER IL GRILL.

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Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 12.6 AL 18.6.2018, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

20%

2.20 invece di 2.80 Coniglio Svizzera, al banco a servizio, per 100 g

50% Bistecca di manzo e entrecôte M-Classic in conf. speciale per es. Entrecôte, Paraguay/Australia, per 100 g, 3.90 invece di 7.80


. a z z e h c s e fr a ll e d o p m li Benvenuti nell’o conf. da 2

30%

8.40 invece di 12.– Bratwurst di vitello Olma Svizzera, in conf. da 4 x 160 g / 640 g

33%

30%

6.95 invece di 10.40 Prosciutto crudo dei Grigioni affettato finemente in conf. da 2 Svizzera, 2 x 103 g

2.80 invece di 4.– Saltimbocca di maiale Svizzera, imballati, per 100 g

CONSIGLIO SALSICCIA A SORPRESA

Cotta alla griglia è sempre squisita, ma la salsiccia si presta anche ad abbinamenti inconsueti. Insieme a fagiolini verdi e pomodori cherry, per esempio, dà vita a un gustoso piatto estivo. Trovate la ricetta su migusto.ch/ consigli

conf. da 3

40%

6.95 invece di 11.60 Salsiccia ticinese per il grill Rapelli in conf. da 3 Svizzera, 3 x 180 g

30%

6.60 invece di 9.50 Pollo intero Optigal, 2 pezzi Svizzera, al kg

20%

25%

1.90 invece di 2.40

2.60 invece di 3.50 Fettine di pollo «alla minute» Optigal Svizzera, imballate, per 100 g

Costine carré di maiale (spare ribs) Svizzera, imballate, per 100 g

25%

4.20 invece di 5.60 Filetto di tonno (pinne gialle) Oceano Pacifico / Maldive, al banco a servizio, per 100 g, fino al 16.6

HIT DELLA SETTIMANA PER IL GRILL.

20% Tutti i sushi e tutte le specialità giapponesi per es. Maki Mix, tonno: pesca, Pacifico, salmone: d’allevamento, Norvegia, 200 g, 7.10 invece di 8.90

Hit

4.95

Racks d’agnello Nuova Zelanda / Australia, imballati, per 100 g

Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 12.6 AL 18.6.2018, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

20%

2.20 invece di 2.80 Coniglio Svizzera, al banco a servizio, per 100 g

50% Bistecca di manzo e entrecôte M-Classic in conf. speciale per es. Entrecôte, Paraguay/Australia, per 100 g, 3.90 invece di 7.80


45%

1.– invece di 1.90 Lattuga verde Ticino, il pezzo

20%

2.70 invece di 3.40 Rapanelli bio Svizzera, al mazzo

a par tire da 2 pe z zi

20%

33%

4.70 invece di 5.90

Mirtilli bio Spagna, vaschetta da 250 g, per es. a partire da 2 pezzi, 6.60 invece di 9.80, a partire da 2 pezzi, 33% di riduzione

Albicocche bio Spagna, in conf. da 500 g

conf. da 2

25%

5.85 invece di 7.80 Pannocchie di mais Anna’s Best in conf. da 2 con 4 porta pannocchie, al kg

conf. da 2

20% Anna’s Best Asia in conf. da 2 per es. Dim Sum Sea Treasure, 2 x 250 g, 11.– invece di 13.80

20%

25%

3.95 invece di 5.50

1.35 invece di 1.70

Cetrioli nostrani Ticino, sciolti, al kg

25%

2.25 invece di 3.05 Gnocchi Di Lella in conf. da 500 g

Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 12.6 AL 18.6.2018, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

Le Gruyère dolce in self-service, in conf. da ca. 250 g, per 100 g

a par tire da 2 pe z zi

30%

Tutti i gazpacho Anna’s Best a partire da 2 pezzi, 30% di riduzione

20%

1.40 invece di 1.80 Tomme à la crème Jean-Louis in conf. da 100 g

30%

2.– invece di 2.90 Parmigiano Reggiano DOP in conf. da 700 g / 800 g, in self-service, per 100 g

a par tire da 2 pe z zi

30%

Tutti i succhi freschi Anna’s Best da 75 cl e 2 l a partire da 2 pezzi, 30% di riduzione

conf. da 2

conf. da 12

20%

20%

4.95 invece di 6.20 Formaggio fresco Cantadou in conf. da 2 per es. alle erbe , 2 x 150 g

12.45 invece di 15.60 Latte intero Valflora in conf. da 12 12 x 1 l


45%

1.– invece di 1.90 Lattuga verde Ticino, il pezzo

20%

2.70 invece di 3.40 Rapanelli bio Svizzera, al mazzo

a par tire da 2 pe z zi

20%

33%

4.70 invece di 5.90

Mirtilli bio Spagna, vaschetta da 250 g, per es. a partire da 2 pezzi, 6.60 invece di 9.80, a partire da 2 pezzi, 33% di riduzione

Albicocche bio Spagna, in conf. da 500 g

conf. da 2

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5.85 invece di 7.80 Pannocchie di mais Anna’s Best in conf. da 2 con 4 porta pannocchie, al kg

conf. da 2

20% Anna’s Best Asia in conf. da 2 per es. Dim Sum Sea Treasure, 2 x 250 g, 11.– invece di 13.80

20%

25%

3.95 invece di 5.50

1.35 invece di 1.70

Cetrioli nostrani Ticino, sciolti, al kg

25%

2.25 invece di 3.05 Gnocchi Di Lella in conf. da 500 g

Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 12.6 AL 18.6.2018, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

Le Gruyère dolce in self-service, in conf. da ca. 250 g, per 100 g

a par tire da 2 pe z zi

30%

Tutti i gazpacho Anna’s Best a partire da 2 pezzi, 30% di riduzione

20%

1.40 invece di 1.80 Tomme à la crème Jean-Louis in conf. da 100 g

30%

2.– invece di 2.90 Parmigiano Reggiano DOP in conf. da 700 g / 800 g, in self-service, per 100 g

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30%

Tutti i succhi freschi Anna’s Best da 75 cl e 2 l a partire da 2 pezzi, 30% di riduzione

conf. da 2

conf. da 12

20%

20%

4.95 invece di 6.20 Formaggio fresco Cantadou in conf. da 2 per es. alle erbe , 2 x 150 g

12.45 invece di 15.60 Latte intero Valflora in conf. da 12 12 x 1 l


. a z n ie n e v n o c a ll e d o ll e Il b – .2 0

di riduzione Tutti gli snack al latte e tutte le fette al latte Kinder in confezioni multiple prodotti refrigerati, per es. Kinder Pinguì in conf. da 4, 4 x 30 g, 1.60 invece di 1.80, offerta valida fino al 18.6.2018

conf. da 8 conf. da 3

33% Ravioli Anna’s Best in conf. da 3 per es. al pomodoro e alla mozzarella, 3 x 250 g, 9.80 invece di 14.70

25%

11.40 invece di 15.20 Tonno M-Classic in conf. da 8, MSC sott’olio o in acqua, 8 x 155 g, per es. in olio di soia

conf. da 8

– .5 0

conf. da 4

20%

di riduzione Tutti i tipi di pane Pain Création per es. pane croccante TerraSuisse, 400 g, 3.30 invece di 3.80

45% Tutte le orchidee Phalaenopsis, 2 steli, vaso, Ø 12 cm disponibili in diversi colori, per es. lilla, il pezzo, 9.25 invece di 16.90

Tutte le millefoglie per es. M-Classic, 220 g , 2.30 invece di 2.90

15% Tutte le minirose Fairtrade, mazzo da 20 disponibili in diversi colori, lunghezza dello stelo 40 cm, per es. arancione, il mazzo, 10.95 invece di 12.90

Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 12.6 AL 18.6.2018, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

Hit

12.30

Leckerli finissimi 1,5 kg

25% Tortine in conf. da 4 per es. tortine all’albicocca, 4 x 75 g, 3.75 invece di 5.–

a par tire da i 2 confezion

30%

Tutti i gamberetti surgelati (Alnatura esclusi), a partire da 2 confezioni, l’una 30% di riduzione

50%

4.– invece di 8.–

Chicchi di mais M-Classic in conf. da 8 8 x 285 g

conf. da 2

25% Olio d’oliva Classico o Delicato Monini in conf. da 2 per es. Classico, 2 x 1 l, 20.40 invece di 27.20

conf. da 2

20% Maionese, Thomynaise e senape dolce Thomy in conf. da 2 per es. maionese à la française, 2 x 265 g, 4.– invece di 5.–


. a z n ie n e v n o c a ll e d o ll e Il b – .2 0

di riduzione Tutti gli snack al latte e tutte le fette al latte Kinder in confezioni multiple prodotti refrigerati, per es. Kinder Pinguì in conf. da 4, 4 x 30 g, 1.60 invece di 1.80, offerta valida fino al 18.6.2018

conf. da 8 conf. da 3

33% Ravioli Anna’s Best in conf. da 3 per es. al pomodoro e alla mozzarella, 3 x 250 g, 9.80 invece di 14.70

25%

11.40 invece di 15.20 Tonno M-Classic in conf. da 8, MSC sott’olio o in acqua, 8 x 155 g, per es. in olio di soia

conf. da 8

– .5 0

conf. da 4

20%

di riduzione Tutti i tipi di pane Pain Création per es. pane croccante TerraSuisse, 400 g, 3.30 invece di 3.80

45% Tutte le orchidee Phalaenopsis, 2 steli, vaso, Ø 12 cm disponibili in diversi colori, per es. lilla, il pezzo, 9.25 invece di 16.90

Tutte le millefoglie per es. M-Classic, 220 g , 2.30 invece di 2.90

15% Tutte le minirose Fairtrade, mazzo da 20 disponibili in diversi colori, lunghezza dello stelo 40 cm, per es. arancione, il mazzo, 10.95 invece di 12.90

Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 12.6 AL 18.6.2018, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

Hit

12.30

Leckerli finissimi 1,5 kg

25% Tortine in conf. da 4 per es. tortine all’albicocca, 4 x 75 g, 3.75 invece di 5.–

a par tire da i 2 confezion

30%

Tutti i gamberetti surgelati (Alnatura esclusi), a partire da 2 confezioni, l’una 30% di riduzione

50%

4.– invece di 8.–

Chicchi di mais M-Classic in conf. da 8 8 x 285 g

conf. da 2

25% Olio d’oliva Classico o Delicato Monini in conf. da 2 per es. Classico, 2 x 1 l, 20.40 invece di 27.20

conf. da 2

20% Maionese, Thomynaise e senape dolce Thomy in conf. da 2 per es. maionese à la française, 2 x 265 g, 4.– invece di 5.–


conf. da 3

33%

3.30 invece di 4.95 Gallette al granoturco Lilibiggs, gallette di riso allo yogurt e gallette di riso al cioccolato in conf. da 3 per es. gallette al granoturco Lilibiggs, 3 x 130 g

50% Chips al naturale o alla paprica M-Classic in conf. speciale 400 g, per es. alla paprica, 3.– invece di 6.–, offerta valida fino al 18.6.2018

20% Tutti i succhi Gold da 1 l e in conf. da 3 x 25 cl per es. multivitaminico, Fairtrade, 1 l, 1.55 invece di 1.95, offerta valida fino al 18.6.2018

conf. da 6

30% Tavolette di cioccolato Frey da 100 g in confezioni multiple, UTZ disponibili in diversi gusti, per es. al latte finissimo in conf. da 6, 6 x 100 g, 8.40 invece di 12.–

20% Tutto il caffè, in chicchi e macinato, da 500 g e da 1 kg, UTZ per es. Exquisito macinato, 500 g , 5.90 invece di 7.70

2. –

di riduzione

10.– invece di 12.– Tutte le capsule Café Royal in conf. da 33, UTZ disponibili in diverse varietà e indicate per il sistema Nespresso®*, per es. Espresso, * Questa marca appartiene a terzi che non sono in alcun modo legati alla Delica AG.

conf. da 3

Hit

12.–

Branches Bicolore Frey, UTZ 30 x 27 g

a par tire da 2 pe z zi

20%

Tutto l’assortimento di müesli e fiocchi Farmer a partire da 2 pezzi, 20% di riduzione

OFFERTE VALIDE SOLO DAL 12.6 AL 18.6.2018, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

33%

40%

6.40 invece di 9.60 Cialde finissime ChocMidor in conf. da 3 Classico, Noir o Diplomat, 3 x 165 g, per es. Classico

Tutti i gelati M-Classic in vaschetta 2 l, per es. vaniglia, 3.50 invece di 5.90

20% Tutto lo zucchero gelificante e tutti i gelificanti per es. Gelvite, 1 kg, 2.– invece di 2.50, offerta valida fino al 25.6.2018

Hit

7.45

Pasta M-Classic, in busta assortita, 3,5 kg

30%

8.75 invece di 12.50 Ghiaccioli Ice Party in conf. speciale 980 ml

20% Tutto l’assortimento di alimenti per gatti Vital Balance per es. Adult con pesce, 4 x 85 g, 3.10 invece di 3.90


conf. da 3

33%

3.30 invece di 4.95 Gallette al granoturco Lilibiggs, gallette di riso allo yogurt e gallette di riso al cioccolato in conf. da 3 per es. gallette al granoturco Lilibiggs, 3 x 130 g

50% Chips al naturale o alla paprica M-Classic in conf. speciale 400 g, per es. alla paprica, 3.– invece di 6.–, offerta valida fino al 18.6.2018

20% Tutti i succhi Gold da 1 l e in conf. da 3 x 25 cl per es. multivitaminico, Fairtrade, 1 l, 1.55 invece di 1.95, offerta valida fino al 18.6.2018

conf. da 6

30% Tavolette di cioccolato Frey da 100 g in confezioni multiple, UTZ disponibili in diversi gusti, per es. al latte finissimo in conf. da 6, 6 x 100 g, 8.40 invece di 12.–

20% Tutto il caffè, in chicchi e macinato, da 500 g e da 1 kg, UTZ per es. Exquisito macinato, 500 g , 5.90 invece di 7.70

2. –

di riduzione

10.– invece di 12.– Tutte le capsule Café Royal in conf. da 33, UTZ disponibili in diverse varietà e indicate per il sistema Nespresso®*, per es. Espresso, * Questa marca appartiene a terzi che non sono in alcun modo legati alla Delica AG.

conf. da 3

Hit

12.–

Branches Bicolore Frey, UTZ 30 x 27 g

a par tire da 2 pe z zi

20%

Tutto l’assortimento di müesli e fiocchi Farmer a partire da 2 pezzi, 20% di riduzione

OFFERTE VALIDE SOLO DAL 12.6 AL 18.6.2018, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

33%

40%

6.40 invece di 9.60 Cialde finissime ChocMidor in conf. da 3 Classico, Noir o Diplomat, 3 x 165 g, per es. Classico

Tutti i gelati M-Classic in vaschetta 2 l, per es. vaniglia, 3.50 invece di 5.90

20% Tutto lo zucchero gelificante e tutti i gelificanti per es. Gelvite, 1 kg, 2.– invece di 2.50, offerta valida fino al 25.6.2018

Hit

7.45

Pasta M-Classic, in busta assortita, 3,5 kg

30%

8.75 invece di 12.50 Ghiaccioli Ice Party in conf. speciale 980 ml

20% Tutto l’assortimento di alimenti per gatti Vital Balance per es. Adult con pesce, 4 x 85 g, 3.10 invece di 3.90


conf. da 4

20%

9.30 invece di 11.80 Salviettine umide per bebè Milette in conf. da 4 per es. Ultra Soft & Care, 4 x 72 pezzi, offerta valida fino al 25.6.2018

conf. da 2

20% Shampoo e balsami Elseve in conf. da 2 per es. shampoo Color-Vive, 2 x 250 ml , 6.20 invece di 7.80, offerta valida fino al 25.6.2018

conf. da 10

Hit

14.90

Fantasmini John Adams in conf. da 10, Bio Cotton disponibili in nero o antracite, numeri 39–42 o 43–46, per es. neri, numeri 43–46, offerta valida fino al 25.6.2018

conf. da 3

30% Tutto l’assortimento Sun Look (confezioni multiple escluse), per es. latte solare Basic, IP 30, 200 ml, 7.10 invece di 10.20, offerta valida fino al 25.6.2018

20% Fazzoletti e salviettine cosmetiche Kleenex e Tempo in confezioni multiple per es. salviettine cosmetiche Kleenex in scatola quadrata, conf. da 3, 5.– invece di 6.30, offerta valida fino al 25.6.2018

a par tire da 2 pe z zi

50%

Tutto l’assortimento di bicchieri Cucina & Tavola a partire da 2 pezzi, 50% di riduzione, offerta valida fino al 25.6.2018, in vendita solo nelle maggiori filiali

conf. da 3 a par tire da 2 pe z zi

conf. da 8

30%

20%

Tutto l'assortimento di prodotti igienici Molfina e Gynofit (sacchetti igienici esclusi), a partire da 2 pezzi, 20% di riduzione, offerta valida fino al 25.6.2018

Carta per uso domestico Twist in confezione multipla per es. Style, con motivi calcistici, in conf. da 8, 6.15 invece di 8.80, offerta valida fino al 25.6.2018

conf. da 10

Hit

29.90

Boxer aderenti da uomo John Adams in conf. da 10 disponibili in blu marino o nero, taglie S–XL, per es. blu marino, tg. M, offerta valida fino al 25.6.2018

OFFERTE VALIDE SOLO DAL 12.6 AL 18.6.2018, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

25% Tutto l’assortimento Candida (confezioni multiple escluse), per es. dentifricio Fresh Gel, 125 ml, 2.05 invece di 2.75, offerta valida fino al 25.6.2018

a par tire da 2 pe z zi

50%

Detersivi Elan a partire da 2 pezzi, 50% di riduzione, offerta valida fino al 18.6.2018

s e t da 3

Hit

24.90

Frontbox Rotho in set da 3 offerta valida fino al 2.7.2018

50%

11.85 invece di 23.70 Carta per fotocopie Papeteria in conf. da 3, FSC bianca, 80 g/m², 3 x 500 pezzi, offerta valida fino al 25.6.2018

50%

299.– invece di 599.– Notebook HP 15-bs016nz RAM da 4 GB, disco rigido da 500 GB, processore Intel®, WiFi AC, HDMI, 2 prese USB 2.0, fino a 9,5 ore di autonomia, il pezzo


conf. da 4

20%

9.30 invece di 11.80 Salviettine umide per bebè Milette in conf. da 4 per es. Ultra Soft & Care, 4 x 72 pezzi, offerta valida fino al 25.6.2018

conf. da 2

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conf. da 10

Hit

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conf. da 3 a par tire da 2 pe z zi

conf. da 8

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a par tire da 2 pe z zi

50%

Detersivi Elan a partire da 2 pezzi, 50% di riduzione, offerta valida fino al 18.6.2018

s e t da 3

Hit

24.90

Frontbox Rotho in set da 3 offerta valida fino al 2.7.2018

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. e n io z u id r i d % 0 5

50%

3.25 invece di 6.50 Pesche tabacchiera Spagna, al kg

OFFERTA VALIDA SOLO DAL 12.6 AL 18.6.2018, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 11 giugno 2018 • N. 24

69

Idee e acquisti per la settimana

Vegetariani, pescetariani, flexitariani o amanti della carne: in estate si risveglia in noi il griglietariano. Mangiamo solo ciò che è passato dalla griglia. Anche con le salse siamo pignoli. Informazioni: www.griglietariani.ch M-Classic

Bontà e versatilità

e Tutto l’occorrent

per i

Patate al cartoccio con quark alle erbe – un classico delle grigliate.

Per l’inizio delle stagione delle grigliate arriva sugli scaffali di Migros un nuovo delizioso quark M-Classic alle erbe. Una saporita specialità semigrassa arricchita con rosmarino, timo, prezzemolo, basilico e origano, erbette aromatiche che ben si sposano con cipolle, aglio e limone, che completano il bouquet. Il quark alle erbe è delizioso per farcire patate al cartoccio o al vapore, oppure come leggero dip per croccanti bastoncini di verdura cruda o verdure grigliate.

M-Classic Quark alle erbe 200 g Fr. 1.30


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 11 giugno 2018 • N. 24

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 11 giugno 2018 • N. 24

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Idee e acquisti per la settimana

aha!

Un colpaccio per tutti

aha! Pasta per torta senza lattosio, senza glutine, senza frumento, surgelata 230 g* Fr. 4.95

Migros ha ampliato il suo assortimento di prodotti senza glutine e senza lattosio. Ora sono disponibili anche le paste per pizza, per torta e sfoglia già spianate e in qualità «aha!», con le quali abbiamo preparato tre stuzzichini croccanti per i mondiali di calcio

Tartellette alle fragole Scaldare il forno a 180° C. Spennellare d’olio degli stampi per tartellette, profondi 3-4 cm. Srotolare la pasta per torta «aha!» da 230 g e ritagliare delle rondelle leggermente più grandi degli stampi. Accomodare la pasta negli stampi e bucherellare il fondo. Cuocere a vuoto al centro del forno per ca. 20 minuti. Lasciar raffreddare. Frullare 200 g di fragole con 1,5 dl di panna intera «aha!» senza lattosio e 30 g di zucchero. Aggiungere 4 g di agar agar e far sobbollire dolcemente per ca. 2 minuti. Lasciare intiepidire la purea di fragole, poi versarla nelle tartellette. Raffreddare in frigorifero per un’ora prima di servire.

aha! Pasta sfoglia senza lattosio, senza glutine, senza frumento, surgelata 280 g* Fr. 4.95

Daniela Stämpfli, 30, ha la celiachia «Migros si adopera in favore delle persone con intolleranze alimentari. Sviluppa costantemente nuovi prodotti, come per esempio il pane di quinoa «aha!» disponibile negli scaffali del pane fresco. Lo posso gustare senza doverlo tostare o mettere in forno. Proverò presto le nuove paste».

Azione 20X Punti Cumulus sulle paste «aha!» surgelate dal 12 al 25 giugno

Il marchio aha! contraddistingue i prodotti particolarmente indicati per chi soffre di allergie o intolleranze.

Strudel al pesto e spinaci Scaldare il forno a 180° C. Sbollentare 250 g di spinaci, passarli sotto l’acqua fredda e strizzarli bene. Sfogliare 2 mazzetti di basilico e frullare con 2 teste d’aglio, 80 g di pinoli e 5 cucchiai di olio di oliva. Salare. Srotolare una pasta sfoglia «aha!» da 280 g e spennellarla con il pesto. Distribuire gli spinaci sulla pasta. Arrotolare la pasta e chiudere le estremità. Sbattere un uovo e spennellarlo sulla pasta. Cospargere con 2 cucchiai di semi di zucca. Cuocere lo strudel al centro del forno per ca. 30 minuti.

Consiglio iMpuls

Domande su allergie o intolleranze? È facile: • apri Discover nell’app Migros • scansiona questa pagina • poni la tua domande

Foto e Styling Claudia Linsi; zVg

Pizza bianca con salmone affumicato Scaldare il forno a 220° C. Srotolare la pasta per pizza «aha!» da 260 g. Tagliare 300 g di mozzarella «aha!» a fette e distribuire sulla pasta. Condire con una macinata di pepe. Tagliare 2 cipollotti a rondelle sottili e distribuire sulla pizza. Cuocere al centro del forno per ca. 25 minuti. Sfornare, guarnire con 100 g di salmone affumicato e l’aneto di 2 rametti e servire.

*Nelle maggiori filiali

migros-impuls.ch/esperto

aha! Pasta per pizza senza lattosio, senza glutine, senza frumento, surgelata 260 g* Fr. 4.95

iMpuls è l’iniziativa della Migros in favore della salute.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 11 giugno 2018 • N. 24

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Idee e acquisti per la settimana

aha!

Un colpaccio per tutti

aha! Pasta per torta senza lattosio, senza glutine, senza frumento, surgelata 230 g* Fr. 4.95

Migros ha ampliato il suo assortimento di prodotti senza glutine e senza lattosio. Ora sono disponibili anche le paste per pizza, per torta e sfoglia già spianate e in qualità «aha!», con le quali abbiamo preparato tre stuzzichini croccanti per i mondiali di calcio

Tartellette alle fragole Scaldare il forno a 180° C. Spennellare d’olio degli stampi per tartellette, profondi 3-4 cm. Srotolare la pasta per torta «aha!» da 230 g e ritagliare delle rondelle leggermente più grandi degli stampi. Accomodare la pasta negli stampi e bucherellare il fondo. Cuocere a vuoto al centro del forno per ca. 20 minuti. Lasciar raffreddare. Frullare 200 g di fragole con 1,5 dl di panna intera «aha!» senza lattosio e 30 g di zucchero. Aggiungere 4 g di agar agar e far sobbollire dolcemente per ca. 2 minuti. Lasciare intiepidire la purea di fragole, poi versarla nelle tartellette. Raffreddare in frigorifero per un’ora prima di servire.

aha! Pasta sfoglia senza lattosio, senza glutine, senza frumento, surgelata 280 g* Fr. 4.95

Daniela Stämpfli, 30, ha la celiachia «Migros si adopera in favore delle persone con intolleranze alimentari. Sviluppa costantemente nuovi prodotti, come per esempio il pane di quinoa «aha!» disponibile negli scaffali del pane fresco. Lo posso gustare senza doverlo tostare o mettere in forno. Proverò presto le nuove paste».

Azione 20X Punti Cumulus sulle paste «aha!» surgelate dal 12 al 25 giugno

Il marchio aha! contraddistingue i prodotti particolarmente indicati per chi soffre di allergie o intolleranze.

Strudel al pesto e spinaci Scaldare il forno a 180° C. Sbollentare 250 g di spinaci, passarli sotto l’acqua fredda e strizzarli bene. Sfogliare 2 mazzetti di basilico e frullare con 2 teste d’aglio, 80 g di pinoli e 5 cucchiai di olio di oliva. Salare. Srotolare una pasta sfoglia «aha!» da 280 g e spennellarla con il pesto. Distribuire gli spinaci sulla pasta. Arrotolare la pasta e chiudere le estremità. Sbattere un uovo e spennellarlo sulla pasta. Cospargere con 2 cucchiai di semi di zucca. Cuocere lo strudel al centro del forno per ca. 30 minuti.

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Foto e Styling Claudia Linsi; zVg

Pizza bianca con salmone affumicato Scaldare il forno a 220° C. Srotolare la pasta per pizza «aha!» da 260 g. Tagliare 300 g di mozzarella «aha!» a fette e distribuire sulla pasta. Condire con una macinata di pepe. Tagliare 2 cipollotti a rondelle sottili e distribuire sulla pizza. Cuocere al centro del forno per ca. 25 minuti. Sfornare, guarnire con 100 g di salmone affumicato e l’aneto di 2 rametti e servire.

*Nelle maggiori filiali

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aha! Pasta per pizza senza lattosio, senza glutine, senza frumento, surgelata 260 g* Fr. 4.95

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Idee e acquisti per la settimana

Gelato

Rinfrescarsi in modo cool Mangiare il gelato senza sporcarsi? Nessun problema grazie alla confezione squeeze, che permette di spremere il gelato e mangiarlo senza macchie! Le nuove varietà di Soft-Ice vaniglia, cioccolato e fragola sono disponibili nella confezione multipla. Nuovo è anche il sorbetto l’M-Budget Energy Ice, ideale per tutti coloro che cercano una sferzata di energia. «Dulcis in fundo», il gelato Grande Caffè, una delicata e fresca delizia dedicata a tutti gli amanti del caffè.

Grande Caffé Soft Ice Latte Macchiato 140 ml Fr. 2.60

Squice Soft Ice Strawberry 5 x 110 ml Fr. 8.–

Squice Soft Ice Vanilla 5 x 110 ml Fr. 8.–

M-Budget Energy Ice 140 ml Fr. 1.95


I migliori nella loro categoria.

VINCITORE

DEL TEST

Kassensturz

Kassensturz del 29.5.2018: nota 5,2

2.30

M-Classic tortilla chips barbecue 200 g, in vendita solo nelle maggiori filiali

La trasmissione «Kassensturz» e la rivista per consumatori «Saldo» hanno testato 20 alternative alle patatine classiche. Tra le varianti a base di mais, verdure, lenticchie o hummus, le patatine M-Classic Tortilla al gusto barbecue si sono aggiudicate il primo posto. Le chips a base di mais hanno guadagnato punti grazie al basso tenore di zuccheri e sale. Le chips al primo posto sono risultate in assoluto le più convenienti.


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Idee e acquisti per la settimana

Sun Look

Protezione completa

*Azione 30% sull’intero assortimento Sun Look dal 12 al 25 giugno

Durante l’estate la compagnia di una buona protezione solare non deve mai mancare. Denise Läubli, che sviluppa nuovi prodotti presso Mibelle Group, sa esattamente di cosa sono fatte le creme da sole Testo Gerda Portner

Sun Look Sun Spray Sport Protect SF 50 200 ml Fr. 11.80* invece di 16.90

Sun Look Sun Spray Light & Invisible SF 30 200 ml Fr. 9.85* invece di 14.10

Denise Läubli nel laboratorio di Mibelle Group. La biker utilizza Sun Look Sport Protect Spray con SF 50.

Quante creme del sole ha già prodotto Mibelle Group?

porli a Migros testiamo personalmente i nostri prodotti fino a raggiungere la perfezione. Per essere al 100 percento convinti, oltre alla qualità e alla prestazione dei prodotti, siamo attenti anche alle loro specificità sensoriali, come le impressioni al contatto con la pelle o un buon profumo.

In che modo Mibelle Group sviluppa i suoi prodotti solari?

Come si garantisce la qualità?

Mibelle Group sviluppa prodotti per la protezione solare da oltre 50 anni. Stimo siano circa 1000 le ricette approdate sul mercato. Sommando anche tutti gli esperimenti fatti arriviamo a dieci volte tanto.

Verifichiamo con il marketing nuove idee, che nascono dall’osservazione del mercato, da rapporti sulle tendenze, da pubblicazioni scientifiche o da segnalazioni dei clienti. In seguito i prodotti Sun Look e Zoé Sun vengono sviluppati nel laboratorio Mibelle Group a Buchs, AG. Quanto tempo ci vuole?

Prima di concretizzare un’idea, ci prefiguriamo le sensazioni che ogni singola materia prima esercita sulla pelle, così come l’odore, l’aspetto e la consistenza che deve avere il prodotto. Scegliamo un sistema ottimale di filtro per il fattore di protezione solare (SF), ne calcoliamo il valore e ne valutiamo la resistenza in acqua. In laboratorio realizziamo la ricetta. In genere dall’idea al prodotto finito trascorre un anno. Cosa contraddistingue le creme solari Sun Look?

Siamo un team con una grande esperienza e ci occupiamo di sviluppo con passione. Ecco perché prima di pro-

Lavoriamo a stretto contatto con laboratori indipendenti e dermatologi. Le formule sono rigorosamente testate: si misurano il fattore di protezione solare e la resistenza all’acqua, mentre un’analisi dermatologica ne determina la tolleranza cutanea. Di quale nuovo prodotto è particolarmente fiera?

Al contatto con la pelle il nuovo Sun Look Sport Protect Spray è fantastico e leggero, cosa che non è così scontata con un fattore di protezione 50. Sono per così dire una heavy user di questo prodotto, dal momento che faccio spesso gite in montagna con la bicicletta. La crema del sole protegge dal tumore della pelle?

Le radiazioni solari UV sono il fattore di rischio più significativo per l’insorgere dei tumori della pelle. I filtri contenuti nelle creme solari hanno la capacità di assorbire, riflettere e disperdere le radiazioni UV. Ecco perché è tanto importante anche la corretta applicazione.

Quali sono le regole per l’applicazione della crema?

È importante applicare con generosità e tempestività. Per l’intero corpo una persona adulta dovrebbe usare 36 g, che equivalgono a sei cucchiaini da tè. Per il viso una quantità della dimensione di una nocciola. Tempestivamente significa 15 minuti prima di fare il bagno, con un prodotto resistente all’acqua.

Sun Look Sun Milk Protect SF 30 200 ml Fr. 7.10* invece di 10.20

E quanto dura la protezione in acqua?

I prodotti solari resistenti all’acqua contengono materie prime che aiutano a far sì che la crema rimanga sulla pelle anche quando si fa il bagno. Nel caso di una crema del sole «resistente all’acqua» è necessario spalmare nuovamente il prodotto dopo un totale di 40 minuti in acqua, nel caso di un prodotto «extra resistente all’acqua» dopo 80 minuti.

Sun Look Sun Milk Kids SF 50 Extra resistente all’acqua 200 ml Fr. 9.70* invece di 13.90

Cosa è meglio: crema o spray?

Il migliore da applicare è quello che piace di più. Perché è così importante proteggere la pelle?

La pelle è esposta alle radiazioni solari anche in caso di cielo nuvoloso. Qualsiasi scottatura solare, anche leggera, è di troppo. Oltre a ciò i raggi UV causano l’invecchiamento precoce della pelle. Per questo motivo la protezione dal sole non deve essere trascurata nemmeno nella quotidianità.

M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche le creme solari Sun Look.


n a g lo s lo e h c o c s re f ì s Co no n è an co ra pronto …

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