Cooperativa Migros Ticino
G.A.A. 6592 Sant’Antonino
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXI 25 giugno 2018
Azione 26 M sh o alle p pping agine 45-50 / 6367
Società e Territorio Fulmini e temporali sono stati abbondanti nei mesi scorsi: le statistiche di MeteoSvizzera
Ambiente e Benessere Il vice primario di chirurgia all’Ospedale Regionale di Lugano dottor Luca Giovannacci spiega che cosa è il cosiddetto silent killer, ovvero l’aneurisma dell’aorta
Politica e Economia Pubblicato per la prima volta un rapporto Onu sul Kashmir: e l’India insorge
Cultura e Spettacoli Il Louvre celebra l’arte di Delacroix, definito da Baudelaire «creatore di gesti sublimi»
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di Fabio Dozio pagina 5
Keystone
Calanca, rinasce l’idea del parco
La democrazia in veste populista di Peter Schiesser «Mi sa che non dura», vien da dire pensando a Matteo Salvini e al governo italiano. In tre settimane il capo della Lega ha mostrato un approccio di rottura che dietro le quinte mette in imbarazzo anche i suoi compagni di viaggio governativi, i 5Stelle, si muove come se fosse lui il presidente del Consiglio, e poi gli è rimasto il tratto vendicativo dell’autocrate in nuce (ha persino evocato la possibilità di togliere la scorta allo scrittore Roberto Saviano, inviso alla mafia). Ma anche di Trump molti avevano pronosticato che non sarebbe durato nemmeno il primo anno... Potremmo consolarci dicendo che nulla dura per sempre, nemmeno gli imperi millenari, figurarsi l’attuale icona del populismo italiano. Ma dobbiamo anche ricordarci che quando simili fasi storiche si esauriscono sul terreno restano un mucchio di macerie e di vittime. I problemi che favoriscono l’emergere dei populismi non trovano mai una vera e sostenibile soluzione in un’autocrazia. Qualcun altro dovrà gettare le basi per la ricostruzione. La Storia lo insegna, ma solo a chi fa lo sforzo di volerla conoscere. Nella storia moderna i
(ri-)costruttori sono stati le democrazie liberali, è nel loro seno che il capitalismo e il progresso tecnologico hanno toccato apici mai conosciuti prima. Eppure questa macchina, come tutte imperfetta, si è inceppata. Oggi anche in Europa un importante numero di persone crede che la democrazia sia stata tradita dalle élite che hanno occupato la politica, l’economia, i media, e vi oppone il concetto di popolo – il popolo come espressione più alta della democrazia. Fare gli interessi del popolo è un male? No di certo, dovrebbe essere un’ovvietà, parlando di politica. Solo che i populisti lo intendono in modo esclusivo: noi siamo il popolo, voi non siete veri svizzeri italiani ungheresi polacchi americani... (i fanatici religiosi direbbero: non siete veri musulmani, cristiani, induisti...). In un contesto populista il dialogo politico fra diverse forze e correnti di pensiero non è più possibile e chi ottiene la maggioranza la esercita in modo esclusivo, in favore dei propri e contro gli altri. Alle porte dell’Europa ne vediamo esempi perfetti in Putin e nel presidente turco Erdogan, ma nell’Ue abbiamo il governo polacco, il già citato governo italiano, opposizioni consistenti in Francia e Olanda, i «liberali» austriaci e soprattutto il presidente ungherese Viktor Orban, il quale si vanta
di guidare una democrazia illiberale, concetto che rispecchia quanto scritto sopra. La forma può essere nuova, questa della democrazia illiberale, ma la sostanza è la stessa di sempre: un’autocrazia in cui il reggente ha potere su tutto, solo chi è vicino al potente prospera (eccome), gli avversari politici e chi la pensa in modo diverso hanno vita grama (se sopravvivono), mentre la maggioranza silenziosa viene tenuta buona con contentini mirati. E la costruzione di un autocrate segue una strategia chiara: prima di tutto il populista di turno cerca di trarre profitto da una situazione di crisi oggettiva promettendo facili miracoli, poi cerca un nemico su cui deviare la rabbia e le frustrazioni popolari (in questo momento i profughi, senza diritto di voto, sono i più vulnerabili), una volta conquistato democraticamente il potere con le elezioni cerca di scardinare il sistema di controlli e suddivisione del potere portando sotto il suo controllo il sistema giudiziario e poi i media. Siccome però i sistemi illiberali si contraddistinguono per una corruzione ancor più elevata, un’assenza di giustizia e di prospettive, un giorno o l’altro il popolo si stufa e vota qualcun altro. Persino in Malaysia ne sono stati capaci. Ma nel frattempo si soffre.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 25 giugno 2018 • N. 26
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 25 giugno 2018 • N. 26
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Società e Territorio Calanca, bella e selvaggia In Val Calanca si progetta un parco naturale regionale, sarebbe il più piccolo della Svizzera
Il buon senso a volte non basta Quali sono le funzioni e i limiti del buon senso? Che rapporto ha con il senso comune? pagina 6
Il lago di Cauma Oliver Scharpf con le sue passeggiate ci porta a Flims per godere il suggestivo turchese del Caumasee
Il rischio povertà nella prima infanzia
pagina 8
Famiglia Un seminario a Bellinzona ha analizzato il ruolo e i progetti dei Comuni per lottare
contro la povertà dei bambini in età prescolare Stefania Hubmann pagina 5
Fulmine sulla città di Zurigo nel luglio 2017. (Keystone)
La collaborazione fra Comuni, servizi e famiglie, la diffusione e lo scambio di informazioni, la disponibilità di spazi per attività di aggregazione. Sono queste le principali indicazioni per lottare contro la povertà nella prima infanzia, povertà che trascende l’aspetto economico per interessare l’accoglienza, il processo di apprendimento e quello di crescita dentro e fuori la famiglia. I Comuni sono chiamati a giocare un ruolo strategico con il supporto dei rispettivi Cantoni soprattutto per inserire le misure di sostegno a favore delle famiglie in una strategia coordinata. Con il Programma nazionale contro la povertà che si conclude proprio nel 2018 – ma con un rinnovato impegno già espresso dal Consiglio federale lo scorso 18 aprile – si è cercato negli ultimi cinque anni di rafforzare l’efficacia e il coordinamento delle misure esistenti. In Ticino la Legge per le famiglie del 2003 e le iniziative seguite alla presentazione nel 2013 del «Quadro d’orientamento per la formazione, l’educazione e l’accoglienza della prima infanzia in Svizzera» hanno favorito lo sviluppo di una strategia cantonale e di una rete di collaborazione che si distingue a livello nazionale.
Il sostegno ai bambini piccoli è garantito dalla collaborazione fra Comuni, servizi e famiglie Non a caso lo scorso anno la mostra nazionale dedicata a come i bambini scoprono il mondo è partita con successo proprio da Bellinzona. Oltre
L’energia del cielo
Fulmini MeteoSvizzera li registra: nel Sottoceneri la frequenza degli ultimi mesi è stata davvero elevata Roberto Porta Dai fulmini, sì, anche dai fulmini si può capire quanto e come stia cambiando il clima del nostro tempo storico. E c’è di che rimaner sbalorditi nell’osservare la statistica nazionale dei fulmini registrati da MeteoSvizzera nei primi cinque mesi di quest’anno. La sorpresa si manifesta già con i dati di gennaio, visto che nel primo mese del 2018 i fulmini registrati sono stati ben 304, un valore di dieci volte superiore a quello relativo alla media degli ultimi 18 anni, dal 2000 al 2017. «Questo significa che a gennaio c’erano già condizioni climatiche simili a quelle che normalmente riscontriamo in primavera, con temporali e forti precipitazioni. Una situazione che fino a pochi anni fa non si riscontrava in modo così netto», fa notare il meteorologo e glaciologo Kappenberger. E la stessa cosa si può dire per lo scorso mese di marzo, con 340 fulmini, e di maggio, con oltre 6600 saette. Per questi due mesi si tratta di valori che hanno superato di molto – della metà per marzo e di un terzo per maggio – il valore medio rilevato a partire dal 2000. «Anche questi dati ci dicono di come le stagioni non corrispondano più a quanto abbiamo finora pensato
– continua Kappenberger – un numero così elevato di fulmini in marzo, ad esempio, significa una cosa sola e cioè che fenomeni meteorologici tipici della primavera inoltrata o dell’estate si sono manifestati con largo anticipo, già alla fine dell’inverno». Si tratta, va precisato, di dati nazionali pubblicati da MeteoSvizzera che riguardano i cosiddetti fulmini principali. Non rientrano in questa statistica i fulmini secondari, di portata minore. Non esistono dati specifici relativi al solo Ticino, anche se gli esperti di MeteoSvizzera ci hanno fatto sapere che, in particolare il Sottoceneri, è stato in questi mesi colpito con una frequenza davvero elevata da fulmini e temporali. La tendenza registrata in questi ultimi mesi e anni non è però regolare. «Prendiamo l’esempio del mese di maggio di quest’anno – ci dice Stephan Bader, climatologo presso MeteoSvizzera – Ebbene in maggio abbiamo avuto valori ben superiori alla media ma ci sono stati mesi di maggio con un’attività molto più intesa. Nel 2009 sono stati contati 12’600 fulmini principali e nel 2001 quasi 11’000. Se guardiamo a gennaio invece notiamo che ci sono stati anni con un numero di fulmini ben superiore alla media – che lo ricordo è di 30 fulmini – e altri
con valori molto inferiori. Nel gennaio del 2011 c’era stato ad esempio un solo fulmine principale». Seppur altalenante e non regolare la tendenza indica comunque che le attività temporalesche nel nostro Paese sono in aumento, anche al di fuori delle stagioni classiche. «Penso che questo sia legato ai cambiamenti climatici in corso e al surriscaldamento del pianeta», sottolinea Giovanni Kappenberger. Il meteorologo ci invita a fare due calcoli. Se l’aria si riscalda di un grado, essa può contenere 7% più umidità. Aumentando l’evaporazione, questo comporta un incremento dell’umidità che in meteorologia significa energia, quella che poi in alta quota porterà allo sviluppo dei temporali e di conseguenza anche dei fulmini. E se nel corso di una giornata, le temperature aumentano di diversi gradi in una massa d’aria abbastanza instabile, è facile immaginare quali possano essere le conseguenze. «Quanto sta capitando in questi mesi è dovuto essenzialmente a due ragioni principali – fa notare Stephan Bader, di MeteoSvizzera – Da una parte l’afflusso verso la Svizzera di aria calda e umida, dall’altra una costante instabilità atmosferica. In queste condizioni la probabilità di un temporale è molto elevata. Un “meccanismo” che inizia
già poche ore dopo l’alba. L’aria calda e umida comincia già di buon mattino a ribollire e questo porta alla formazione di temporali, grazie all’incontro-scontro con l’aria più fredda che si trova in alta quota. Se temperature e umidità fossero inferiori avremmo un numero più basso di temporali o addirittura non ne avremmo nemmeno uno». In altri termini con una situazione di caldo e secco non ci sarebbero temporali. «Dobbiamo abituarci a questa situazione relativamente nuova – ci dice Giovanni Kappenberger – una situazione che si può definire di “estate mediterranea” con il clima che da noi, nelle regioni alpine, assomiglierà sempre più a quello della Puglia o della Grecia. E dobbiamo abituarci anche a dividere gli anni in sole tre stagioni, con un inverno davvero ridotto». Tutto questo possiamo capire analizzando la statistica dei fulmini pubblicata da MeteoSvizzera. Ma cosa dobbiamo dunque attenderci dai prossimi mesi, se la media sul medio-lungo termine indica un aumento costante delle attività temporalesche? «A questo proposito disponiamo di modelli di calcolo che riguardano essenzialmente le temperature estive, da giugno e agosto – sottolinea Stephan Bader, climatologo presso MeteoSvizzera – E questi
dati ci dicono che quest’anno in tutta la Svizzera avremo un’estate con temperature superiori alla media. Per quanto riguarda i temporali non abbiamo previsioni a disposizione. Val la pena ricordare che di anno in anno si riscontrano forti differenze per quanto riguarda il numero di fulmini. Nel 2016 ad esempio ne abbiamo registrati 29mila in tutta la Svizzera. Nel 2011 ben 85mila. E non possiamo dire cosa succederà nei prossimi anni». Possiamo però ricordare che dei fulmini è meglio diffidare, la prudenza in questo ambito non è mai troppa. E qui Giovanni Kappenberger ha un consiglio da dare legato alla cosiddetta «corrente di passo» che si verifica quando una persona o un animale viene colpito da un fulmine. Il consiglio è quello di rimanere fermi, unendo il più possibile i piedi così da avere un solo punto di contatto con il suolo. In questo modo la corrente da sopportare è minima, se i punti di contatto sono due – o quattro per un buon numero di animali – il fulmine diventa invece molto pericoloso. Ma al di là di questi consigli c’è in fondo parecchio da scoprire, attraverso i fulmini. Anche e soprattutto per capire quanto e con quale velocità stia effettivamente cambiando il nostro clima.
9000 visitatori a Castelgrande e più di 5000 partecipanti a un centinaio di eventi organizzati in tutto il Ticino hanno lanciato l’esposizione su un percorso ancora in corso nel resto del Paese. A Bellinzona il recente seminario (uno dei sei organizzati in Svizzera) «Prima infanzia: oltre la povertà economica. Quale ruolo e quali progetti per i Comuni» ha permesso di ribadire l’importanza del ruolo svolto dai Comuni in questo ambito, presentando anche nel nostro Cantone i risultati di un sondaggio tra i Comuni commissionato dall’ACS, Associazione dei Comuni Svizzeri (vedi intervista in basso) e una guida per i Comuni di piccole e medie dimensioni promossa dall’Ufficio federale delle Assicurazioni Sociali nell’ambito del Programma nazionale contro la povertà. «Il sostegno ai bambini in età prescolastica affinché possano crescere in un ambiente sano, ricco di stimoli e con adeguati legami affettivi passa in primo luogo dalle loro famiglie», spiega Paolo Bernasconi, segretario generale dei Cemea Ticino (Centri d’esercitazione ai metodi dell’educazione attiva), organizzatore del seminario. La collaborazione con le famiglie è quindi essenziale. «In Ticino – prosegue Bernasconi – un forte impulso è stato dato dalla presentazione nel 2013 del Quadro d’orientamento edito dalla Commissione svizzera per l’UNESCO e dalla Rete svizzera per la custodia dei bambini. Si tratta del primo documento che in Svizzera fa riferimento alle esigenze e ai diritti del bambino piccolo. Ne è coautore il ticinese Dieter Schürch, membro della Commissione UNESCO e fra i promotori delle successive iniziative ticinesi: la Piattaforma della prima infanzia dedicata ai professionisti del settore (seguita dal Ticino Progetto Infanzia) e il Forum
Il Programma nazionale contro la povertà ha cercato di rafforzare il coordinamento delle misure esistenti. (Keystone)
Genitorialità che riunisce le associazioni che lavorano per le famiglie». Nella recente giornata di studio, seguita da una settantina di partecipanti di cui circa la metà rappresentanti dei Comuni e il restante suddiviso fra professionisti del settore e associazioni dei genitori, è stata ribadita la volontà di continuare a lavorare insieme. Precisa il nostro interlocutore: «Il bisogno di occasioni di scambio è emerso in modo chiaro. Si tratta, nella relazione fra Comuni, servizi e famiglie, di intensificare il passaggio di informazioni per giun-
gere ad una mappatura delle offerte di custodia e consulenza». La questione finanziaria ha pure il suo peso. Il supporto del Cantone a questo livello è un’esigenza manifestata durante il seminario che traspare anche dall’indagine nei Comuni svolta dalla Scuola universitaria professionale di Lucerna per conto dell’ACS. Per il Ticino nuovi finanziamenti dovrebbero giungere con il prossimo pacchetto di misure sociali. Se per strutture come i nidi d’infanzia i costi costituiscono una voce importante, è pur vero che
in fretta. È meglio procedere a piccoli passi, attuando processi partecipativi che puntino all’inclusione delle famiglie con bambini in età prescolare e dei principali fornitori di prestazioni a loro destinate.
(«bottom-up»), che tenga conto dei bisogni dei Comuni e della loro popolazione.
Intervista a Claudia Hametner Sullo studio dedicato al sostegno alla prima infanzia nei Comuni svizzeri piccoli e medi si esprime Claudia Hametner, direttrice supplente dell’ACS (Associazione dei Comuni Svizzeri), relatrice del seminario svoltosi a Bellinzona. Qual è a suo parere il risultato più significativo del sondaggio?
I risultati mostrano che i Comuni stanno implementando diverse misure per fornire e sviluppare offerte di servizi e consulenze per i bambini e le loro famiglie. Queste iniziative sono però solo parzialmente o per nulla incorporate in un approccio globale. Mancano inoltre i collegamenti con gli operatori locali dei servizi e anche all’interno del Comune le offerte sono spesso ripartite fra diversi dicasteri. I Cantoni che hanno già elaborato una strategia sono almeno una decina. I Comuni tuttavia
Azione
Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni
non ricorrono ancora abbastanza a questi strumenti di orientamento. Lo sviluppo di un simile approccio svolge un ruolo determinante per affrontare l’argomento in modo sostenibile, identificare gli attori esistenti e utilizzare le risorse in modo più mirato.
Come si possono incoraggiare i Comuni a promuovere misure a favore dei bambini e delle loro famiglie?
Le conseguenze positive del sostegno alla prima infanzia sono visibili solo più tardi, motivo per cui alcuni Comuni hanno difficoltà a decidere se investire o meno in questo settore. Per quelli con un budget modesto sono decisivi il collegamento in rete con altri Comuni e l’orientamento regionale delle offerte. È quindi opportuno analizzare la situazione e creare centri di coordinamento e piattaforme di collegamento per attori e offerte. Non bisogna volere troppo e troppo Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni
Cosa emerge nella Svizzera italiana rispetto al resto del Paese?
I risultati mostrano che nella Svizzera italiana predominano offerte quali nidi d’infanzia, famiglie diurne e gruppi di gioco. Sorprende l’alta percentuale di centri familiari che integrano «sotto un unico tetto» i servizi di assistenza e consulenza. In Ticino il coinvolgimento del Cantone, dei Comuni e dei privati nel campo delle famiglie ha una lunga tradizione. Una stretta collaborazione fra loro contribuisce a rafforzare il sostegno alla prima infanzia. Iniziative e misure a lungo termine sono promettenti solo con un approccio ascendente Editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino Telefono 091 850 81 11 Stampa Centro Stampa Ticino SA Via Industria 6933 Muzzano Telefono 091 960 31 31
In generale dallo studio risulta che l’offerta dei Comuni è piuttosto eterogenea. Secondo lei a quali iniziative bisognerebbe accordare la priorità?
I centri familiari con offerte a bassa soglia, quindi con il massimo livello di accessibilità, stanno acquisendo importanza in tutta la Svizzera. D’altro lato stanno nascendo servizi specializzati in seno alle amministrazioni o presso centri di consulenza familiare. Ribadisco l’importanza di creare centri di coordinamento e piattaforme informative. Un Comune dovrebbe porsi la seguente domanda: di quali offerte abbiamo bisogno nel nostro Comune e quali potremmo gestire e sviluppare meglio in una rete regionale con altri Comuni? Tiratura 101’766 copie Inserzioni: Migros Ticino Reparto pubblicità CH-6592 S. Antonino Tel 091 850 82 91 fax 091 850 84 00 pubblicita@migrosticino.ch
per favorire l’integrazione sociale e il passaggio d’informazioni non sono sempre necessari investimenti onerosi. Paolo Bernasconi, citando la necessità di spazi per svolgere piccole attività di gruppo, evidenzia che a questo scopo si possono sfruttare luoghi esistenti come aule scolastiche o sale comunali. Esiste quindi un margine di manovra che può essere sfruttato per offrire ai bambini e alle loro famiglie occasioni di incontro nei luoghi di residenza in modo da potersi sentire a tutti gli effetti parte della comunità. Il documento previsto sui risultati del seminario servirà da base per promuovere queste richieste lavorando a stretto contatto con i Comuni. Altri obiettivi: migliorare le sinergie fra i diversi attori coinvolti nella promozione della prima infanzia e condividere le buone pratiche territoriali, come ad esempio quella del centro di socializzazione Il tRaGitto. Promosso da un’associazione e sostenuto sia dal Cantone sia dalla Città di Lugano, questo progetto offre uno spazio in cui riconoscere la diversità e le appartenenze comuni, favorire l’integrazione sociale e sviluppare nuove competenze. I professionisti della prima infanzia mirano a coinvolgere i genitori su un piano paritario, a stimolare le autorità comunali (cui competono le decisioni e la gestione delle offerte per questa fascia d’età) e a collaborare con gli altri enti pubblici e privati. Per tutti vale il proposito di impegnarsi affinché i bambini, come si legge in apertura del Quadro d’orientamento, possano scoprire il mondo spinti dalla loro curiosità e accompagnati dalla nostra attenzione. Abbonamenti e cambio indirizzi Telefono 091 850 82 31 dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@migrosticino.ch Costi di abbonamento annuo Svizzera: Fr. 48.– Estero: a partire da Fr. 70.–
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Società e Territorio Calanca, bella e selvaggia In Val Calanca si progetta un parco naturale regionale, sarebbe il più piccolo della Svizzera
Il buon senso a volte non basta Quali sono le funzioni e i limiti del buon senso? Che rapporto ha con il senso comune? pagina 6
Il lago di Cauma Oliver Scharpf con le sue passeggiate ci porta a Flims per godere il suggestivo turchese del Caumasee
Il rischio povertà nella prima infanzia
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Famiglia Un seminario a Bellinzona ha analizzato il ruolo e i progetti dei Comuni per lottare
contro la povertà dei bambini in età prescolare Stefania Hubmann pagina 5
Fulmine sulla città di Zurigo nel luglio 2017. (Keystone)
La collaborazione fra Comuni, servizi e famiglie, la diffusione e lo scambio di informazioni, la disponibilità di spazi per attività di aggregazione. Sono queste le principali indicazioni per lottare contro la povertà nella prima infanzia, povertà che trascende l’aspetto economico per interessare l’accoglienza, il processo di apprendimento e quello di crescita dentro e fuori la famiglia. I Comuni sono chiamati a giocare un ruolo strategico con il supporto dei rispettivi Cantoni soprattutto per inserire le misure di sostegno a favore delle famiglie in una strategia coordinata. Con il Programma nazionale contro la povertà che si conclude proprio nel 2018 – ma con un rinnovato impegno già espresso dal Consiglio federale lo scorso 18 aprile – si è cercato negli ultimi cinque anni di rafforzare l’efficacia e il coordinamento delle misure esistenti. In Ticino la Legge per le famiglie del 2003 e le iniziative seguite alla presentazione nel 2013 del «Quadro d’orientamento per la formazione, l’educazione e l’accoglienza della prima infanzia in Svizzera» hanno favorito lo sviluppo di una strategia cantonale e di una rete di collaborazione che si distingue a livello nazionale.
Il sostegno ai bambini piccoli è garantito dalla collaborazione fra Comuni, servizi e famiglie Non a caso lo scorso anno la mostra nazionale dedicata a come i bambini scoprono il mondo è partita con successo proprio da Bellinzona. Oltre
L’energia del cielo
Fulmini MeteoSvizzera li registra: nel Sottoceneri la frequenza degli ultimi mesi è stata davvero elevata Roberto Porta Dai fulmini, sì, anche dai fulmini si può capire quanto e come stia cambiando il clima del nostro tempo storico. E c’è di che rimaner sbalorditi nell’osservare la statistica nazionale dei fulmini registrati da MeteoSvizzera nei primi cinque mesi di quest’anno. La sorpresa si manifesta già con i dati di gennaio, visto che nel primo mese del 2018 i fulmini registrati sono stati ben 304, un valore di dieci volte superiore a quello relativo alla media degli ultimi 18 anni, dal 2000 al 2017. «Questo significa che a gennaio c’erano già condizioni climatiche simili a quelle che normalmente riscontriamo in primavera, con temporali e forti precipitazioni. Una situazione che fino a pochi anni fa non si riscontrava in modo così netto», fa notare il meteorologo e glaciologo Kappenberger. E la stessa cosa si può dire per lo scorso mese di marzo, con 340 fulmini, e di maggio, con oltre 6600 saette. Per questi due mesi si tratta di valori che hanno superato di molto – della metà per marzo e di un terzo per maggio – il valore medio rilevato a partire dal 2000. «Anche questi dati ci dicono di come le stagioni non corrispondano più a quanto abbiamo finora pensato
– continua Kappenberger – un numero così elevato di fulmini in marzo, ad esempio, significa una cosa sola e cioè che fenomeni meteorologici tipici della primavera inoltrata o dell’estate si sono manifestati con largo anticipo, già alla fine dell’inverno». Si tratta, va precisato, di dati nazionali pubblicati da MeteoSvizzera che riguardano i cosiddetti fulmini principali. Non rientrano in questa statistica i fulmini secondari, di portata minore. Non esistono dati specifici relativi al solo Ticino, anche se gli esperti di MeteoSvizzera ci hanno fatto sapere che, in particolare il Sottoceneri, è stato in questi mesi colpito con una frequenza davvero elevata da fulmini e temporali. La tendenza registrata in questi ultimi mesi e anni non è però regolare. «Prendiamo l’esempio del mese di maggio di quest’anno – ci dice Stephan Bader, climatologo presso MeteoSvizzera – Ebbene in maggio abbiamo avuto valori ben superiori alla media ma ci sono stati mesi di maggio con un’attività molto più intesa. Nel 2009 sono stati contati 12’600 fulmini principali e nel 2001 quasi 11’000. Se guardiamo a gennaio invece notiamo che ci sono stati anni con un numero di fulmini ben superiore alla media – che lo ricordo è di 30 fulmini – e altri
con valori molto inferiori. Nel gennaio del 2011 c’era stato ad esempio un solo fulmine principale». Seppur altalenante e non regolare la tendenza indica comunque che le attività temporalesche nel nostro Paese sono in aumento, anche al di fuori delle stagioni classiche. «Penso che questo sia legato ai cambiamenti climatici in corso e al surriscaldamento del pianeta», sottolinea Giovanni Kappenberger. Il meteorologo ci invita a fare due calcoli. Se l’aria si riscalda di un grado, essa può contenere 7% più umidità. Aumentando l’evaporazione, questo comporta un incremento dell’umidità che in meteorologia significa energia, quella che poi in alta quota porterà allo sviluppo dei temporali e di conseguenza anche dei fulmini. E se nel corso di una giornata, le temperature aumentano di diversi gradi in una massa d’aria abbastanza instabile, è facile immaginare quali possano essere le conseguenze. «Quanto sta capitando in questi mesi è dovuto essenzialmente a due ragioni principali – fa notare Stephan Bader, di MeteoSvizzera – Da una parte l’afflusso verso la Svizzera di aria calda e umida, dall’altra una costante instabilità atmosferica. In queste condizioni la probabilità di un temporale è molto elevata. Un “meccanismo” che inizia
già poche ore dopo l’alba. L’aria calda e umida comincia già di buon mattino a ribollire e questo porta alla formazione di temporali, grazie all’incontro-scontro con l’aria più fredda che si trova in alta quota. Se temperature e umidità fossero inferiori avremmo un numero più basso di temporali o addirittura non ne avremmo nemmeno uno». In altri termini con una situazione di caldo e secco non ci sarebbero temporali. «Dobbiamo abituarci a questa situazione relativamente nuova – ci dice Giovanni Kappenberger – una situazione che si può definire di “estate mediterranea” con il clima che da noi, nelle regioni alpine, assomiglierà sempre più a quello della Puglia o della Grecia. E dobbiamo abituarci anche a dividere gli anni in sole tre stagioni, con un inverno davvero ridotto». Tutto questo possiamo capire analizzando la statistica dei fulmini pubblicata da MeteoSvizzera. Ma cosa dobbiamo dunque attenderci dai prossimi mesi, se la media sul medio-lungo termine indica un aumento costante delle attività temporalesche? «A questo proposito disponiamo di modelli di calcolo che riguardano essenzialmente le temperature estive, da giugno e agosto – sottolinea Stephan Bader, climatologo presso MeteoSvizzera – E questi
dati ci dicono che quest’anno in tutta la Svizzera avremo un’estate con temperature superiori alla media. Per quanto riguarda i temporali non abbiamo previsioni a disposizione. Val la pena ricordare che di anno in anno si riscontrano forti differenze per quanto riguarda il numero di fulmini. Nel 2016 ad esempio ne abbiamo registrati 29mila in tutta la Svizzera. Nel 2011 ben 85mila. E non possiamo dire cosa succederà nei prossimi anni». Possiamo però ricordare che dei fulmini è meglio diffidare, la prudenza in questo ambito non è mai troppa. E qui Giovanni Kappenberger ha un consiglio da dare legato alla cosiddetta «corrente di passo» che si verifica quando una persona o un animale viene colpito da un fulmine. Il consiglio è quello di rimanere fermi, unendo il più possibile i piedi così da avere un solo punto di contatto con il suolo. In questo modo la corrente da sopportare è minima, se i punti di contatto sono due – o quattro per un buon numero di animali – il fulmine diventa invece molto pericoloso. Ma al di là di questi consigli c’è in fondo parecchio da scoprire, attraverso i fulmini. Anche e soprattutto per capire quanto e con quale velocità stia effettivamente cambiando il nostro clima.
9000 visitatori a Castelgrande e più di 5000 partecipanti a un centinaio di eventi organizzati in tutto il Ticino hanno lanciato l’esposizione su un percorso ancora in corso nel resto del Paese. A Bellinzona il recente seminario (uno dei sei organizzati in Svizzera) «Prima infanzia: oltre la povertà economica. Quale ruolo e quali progetti per i Comuni» ha permesso di ribadire l’importanza del ruolo svolto dai Comuni in questo ambito, presentando anche nel nostro Cantone i risultati di un sondaggio tra i Comuni commissionato dall’ACS, Associazione dei Comuni Svizzeri (vedi intervista in basso) e una guida per i Comuni di piccole e medie dimensioni promossa dall’Ufficio federale delle Assicurazioni Sociali nell’ambito del Programma nazionale contro la povertà. «Il sostegno ai bambini in età prescolastica affinché possano crescere in un ambiente sano, ricco di stimoli e con adeguati legami affettivi passa in primo luogo dalle loro famiglie», spiega Paolo Bernasconi, segretario generale dei Cemea Ticino (Centri d’esercitazione ai metodi dell’educazione attiva), organizzatore del seminario. La collaborazione con le famiglie è quindi essenziale. «In Ticino – prosegue Bernasconi – un forte impulso è stato dato dalla presentazione nel 2013 del Quadro d’orientamento edito dalla Commissione svizzera per l’UNESCO e dalla Rete svizzera per la custodia dei bambini. Si tratta del primo documento che in Svizzera fa riferimento alle esigenze e ai diritti del bambino piccolo. Ne è coautore il ticinese Dieter Schürch, membro della Commissione UNESCO e fra i promotori delle successive iniziative ticinesi: la Piattaforma della prima infanzia dedicata ai professionisti del settore (seguita dal Ticino Progetto Infanzia) e il Forum
Il Programma nazionale contro la povertà ha cercato di rafforzare il coordinamento delle misure esistenti. (Keystone)
Genitorialità che riunisce le associazioni che lavorano per le famiglie». Nella recente giornata di studio, seguita da una settantina di partecipanti di cui circa la metà rappresentanti dei Comuni e il restante suddiviso fra professionisti del settore e associazioni dei genitori, è stata ribadita la volontà di continuare a lavorare insieme. Precisa il nostro interlocutore: «Il bisogno di occasioni di scambio è emerso in modo chiaro. Si tratta, nella relazione fra Comuni, servizi e famiglie, di intensificare il passaggio di informazioni per giun-
gere ad una mappatura delle offerte di custodia e consulenza». La questione finanziaria ha pure il suo peso. Il supporto del Cantone a questo livello è un’esigenza manifestata durante il seminario che traspare anche dall’indagine nei Comuni svolta dalla Scuola universitaria professionale di Lucerna per conto dell’ACS. Per il Ticino nuovi finanziamenti dovrebbero giungere con il prossimo pacchetto di misure sociali. Se per strutture come i nidi d’infanzia i costi costituiscono una voce importante, è pur vero che
in fretta. È meglio procedere a piccoli passi, attuando processi partecipativi che puntino all’inclusione delle famiglie con bambini in età prescolare e dei principali fornitori di prestazioni a loro destinate.
(«bottom-up»), che tenga conto dei bisogni dei Comuni e della loro popolazione.
Intervista a Claudia Hametner Sullo studio dedicato al sostegno alla prima infanzia nei Comuni svizzeri piccoli e medi si esprime Claudia Hametner, direttrice supplente dell’ACS (Associazione dei Comuni Svizzeri), relatrice del seminario svoltosi a Bellinzona. Qual è a suo parere il risultato più significativo del sondaggio?
I risultati mostrano che i Comuni stanno implementando diverse misure per fornire e sviluppare offerte di servizi e consulenze per i bambini e le loro famiglie. Queste iniziative sono però solo parzialmente o per nulla incorporate in un approccio globale. Mancano inoltre i collegamenti con gli operatori locali dei servizi e anche all’interno del Comune le offerte sono spesso ripartite fra diversi dicasteri. I Cantoni che hanno già elaborato una strategia sono almeno una decina. I Comuni tuttavia
Azione
Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni
non ricorrono ancora abbastanza a questi strumenti di orientamento. Lo sviluppo di un simile approccio svolge un ruolo determinante per affrontare l’argomento in modo sostenibile, identificare gli attori esistenti e utilizzare le risorse in modo più mirato.
Come si possono incoraggiare i Comuni a promuovere misure a favore dei bambini e delle loro famiglie?
Le conseguenze positive del sostegno alla prima infanzia sono visibili solo più tardi, motivo per cui alcuni Comuni hanno difficoltà a decidere se investire o meno in questo settore. Per quelli con un budget modesto sono decisivi il collegamento in rete con altri Comuni e l’orientamento regionale delle offerte. È quindi opportuno analizzare la situazione e creare centri di coordinamento e piattaforme di collegamento per attori e offerte. Non bisogna volere troppo e troppo Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni
Cosa emerge nella Svizzera italiana rispetto al resto del Paese?
I risultati mostrano che nella Svizzera italiana predominano offerte quali nidi d’infanzia, famiglie diurne e gruppi di gioco. Sorprende l’alta percentuale di centri familiari che integrano «sotto un unico tetto» i servizi di assistenza e consulenza. In Ticino il coinvolgimento del Cantone, dei Comuni e dei privati nel campo delle famiglie ha una lunga tradizione. Una stretta collaborazione fra loro contribuisce a rafforzare il sostegno alla prima infanzia. Iniziative e misure a lungo termine sono promettenti solo con un approccio ascendente Editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino Telefono 091 850 81 11 Stampa Centro Stampa Ticino SA Via Industria 6933 Muzzano Telefono 091 960 31 31
In generale dallo studio risulta che l’offerta dei Comuni è piuttosto eterogenea. Secondo lei a quali iniziative bisognerebbe accordare la priorità?
I centri familiari con offerte a bassa soglia, quindi con il massimo livello di accessibilità, stanno acquisendo importanza in tutta la Svizzera. D’altro lato stanno nascendo servizi specializzati in seno alle amministrazioni o presso centri di consulenza familiare. Ribadisco l’importanza di creare centri di coordinamento e piattaforme informative. Un Comune dovrebbe porsi la seguente domanda: di quali offerte abbiamo bisogno nel nostro Comune e quali potremmo gestire e sviluppare meglio in una rete regionale con altri Comuni? Tiratura 101’766 copie Inserzioni: Migros Ticino Reparto pubblicità CH-6592 S. Antonino Tel 091 850 82 91 fax 091 850 84 00 pubblicita@migrosticino.ch
per favorire l’integrazione sociale e il passaggio d’informazioni non sono sempre necessari investimenti onerosi. Paolo Bernasconi, citando la necessità di spazi per svolgere piccole attività di gruppo, evidenzia che a questo scopo si possono sfruttare luoghi esistenti come aule scolastiche o sale comunali. Esiste quindi un margine di manovra che può essere sfruttato per offrire ai bambini e alle loro famiglie occasioni di incontro nei luoghi di residenza in modo da potersi sentire a tutti gli effetti parte della comunità. Il documento previsto sui risultati del seminario servirà da base per promuovere queste richieste lavorando a stretto contatto con i Comuni. Altri obiettivi: migliorare le sinergie fra i diversi attori coinvolti nella promozione della prima infanzia e condividere le buone pratiche territoriali, come ad esempio quella del centro di socializzazione Il tRaGitto. Promosso da un’associazione e sostenuto sia dal Cantone sia dalla Città di Lugano, questo progetto offre uno spazio in cui riconoscere la diversità e le appartenenze comuni, favorire l’integrazione sociale e sviluppare nuove competenze. I professionisti della prima infanzia mirano a coinvolgere i genitori su un piano paritario, a stimolare le autorità comunali (cui competono le decisioni e la gestione delle offerte per questa fascia d’età) e a collaborare con gli altri enti pubblici e privati. Per tutti vale il proposito di impegnarsi affinché i bambini, come si legge in apertura del Quadro d’orientamento, possano scoprire il mondo spinti dalla loro curiosità e accompagnati dalla nostra attenzione. Abbonamenti e cambio indirizzi Telefono 091 850 82 31 dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@migrosticino.ch Costi di abbonamento annuo Svizzera: Fr. 48.– Estero: a partire da Fr. 70.–
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Società e Territorio Rossa con il suo sindaco Graziano Zanardi è uno dei Comuni promotori del progetto di parco regionale. (Keystone)
Un Parco per la Calanca
Grigioni italiano In Val Calanca c’è chi sogna la nascita di un parco naturale regionale, con i suoi 107 chilometri
quadrati sarebbe il più piccolo della Svizzera e un’occasione unica per promuovere il turismo e il rilancio della valle
Fabio Dozio La Valle Calanca non esiste. Almeno, non esiste per le strade nazionali, meglio, per USTRA, l’Ufficio federale delle strade. Se transitate sull’autostrada A13, che collega Coira a Bellinzona, attraversando la Mesolcina, non c’è nessuna segnalazione che indichi la Val Calanca. Come mai? Una sciocca dimenticanza? No, certo, gli uffici bernesi sono attenti e disciplinati. Pare che le nuove direttive prevedano che su un cartello indicatore di uscita autostradale non possono figurare più di due toponimi. Quindi, sfiorando l’imbocco della Val Calanca, la segnalazione stradale dice «Roveredo Grono». La Val Calanca non esiste. Le autorità della valle stanno litigando con USTRA da un anno e mezzo, senza successo. Non si potrebbe posare un cartello in più? Forse è ancora una conseguenza (inconscia) del documento di Avenir Suisse, il gruppo di pensatori liberali paladini dell’economia di mercato che una quindicina di anni fa invitava a lasciare al suo destino di povertà e di spopolamento la valle, perché le sovvenzioni statali venivano considerate un lusso e uno spreco. No, la valle non si dà per vinta. Esiste e vuole dimostrarlo nel modo migliore. Dopo il fallimento del progetto Parc Adula sta infatti nascendo Il Parco naturale regionale Val Calanca. Un progetto ambizioso che potrebbe avere la funzione di volano per tutta una serie di attività in valle. «Dobbiamo credere in questo progetto – ci dice il sindaco di Rossa Graziano Zanardi – Tocca a noi darci da fare. Una volta c’era la ferrovia, la posta, i militari che davano lavoro. Si continua a pensare che il lavoro debba esserci dato dagli altri, ma non è più così. È andata bene per questi cento anni, ma ora dobbiamo darci una mossa». La Calanca è una delle quattro valli del Grigioni italiano, parallela alla Mesolcina e attraversata dal fiume Calancasca, che nasce sul Pizzo Zapport e si immette nella Moesa 31 chilometri più a valle. Due comuni, Castaneda e Santa Maria appartengono alla cosiddetta Calanca esterna e, dopo le aggregazioni
degli anni scorsi, rimangono solo altri tre comuni: Buseno, Calanca e Rossa. Sono questi tre villaggi che hanno preso l’iniziativa di lanciare la sfida del Parco. «L’idea è partita dopo la votazione sul Parc Adula, che è stato bocciato. – spiega Zanardi – La Mesolcina e la Calanca erano però favorevoli. Quindi abbiamo pensato di lanciare un Parco regionale per non buttare al vento il lavoro di sedici anni. Mesocco e Soazza hanno dimostrato una certa titubanza. Castaneda sembrava possibilista, ma poi ha rinunciato, per ora. Santa Maria non ha nascosto una certa avversità. Quindi siamo rimasti in tre, ma abbiamo capito che potevamo farcela perché complessivamente contiamo 107 chilometri quadrati di superficie: sufficiente, il minimo sono 100. Perciò siamo partiti. Non dobbiamo perdere tempo, perché per beneficiare del finanziamento federale bisogna consegnare il progetto entro la fine del 2018». La caratteristica fondamentale di un parco regionale è che non impone limiti e condizioni particolari, a differenza dei parchi nazionali (Adula e Locarnese, ambedue affossati dalla popolazione) che prescrivono divieti e restrizioni nella zona centrale: caccia limitata, rispetto dei sentieri, natura incontaminata. Piccolo è bello. Il parco della Calanca sarebbe il più piccolo della Svizzera, poco più dei necessari 100 chi-
Arvigo. (Uwe Häntsch)
lometri quadrati con 432 abitanti. In prospettiva potrebbe ampliarsi verso nord, includendo una vasta particella che appartiene al Comune di Mesocco, 17 chilometri quadrati in più che porterebbero i confini settentrionali fino alla sorgente della Calancasca. «Restare piccoli – precisa il sindaco di Rossa – è un vantaggio. È la cosa migliore perché così siamo padroni del nostro destino e non possiamo dare la colpa ad altri se le cose non funzionano al meglio». Per preparare la candidatura, il progetto deve essere approvato dalla popolazione e quindi dall’Ufficio federale dell’ambiente (USAM), i tre Comuni promotori hanno fatto allestire uno studio di fattibilità lo scorso marzo. «Un parco naturale regionale promuove lo sviluppo sostenibile di preziosi paesaggi naturali e rurali svizzeri e nel contempo rende possibile un futuro sostenibile per le popolazioni che vivono in queste aree. – si legge nello studio – La Calanca è una valle periferica con pochi abitanti, ma molto ricca di valori naturali e culturali. Con il progetto di parco naturale regionale, la valle potrebbe essere sostenuta e valorizzata». Lo studio prevede di mettere in luce i valori naturalistici e paesaggistici: la zona fluviale della Calancasca è preziosa, con ambienti umidi, torbiere e prati secchi. La parte più interna e selvaggia della valle è già inserita nell’inventario cantonale dei paesaggi. Qui si trova la bandita federale di Trescolmen costituita da prati alpini e cave di sassi, con numerosi biotopi. In questa zona si intende creare una riserva forestale, Bedoleta, dove ci sono alcuni esemplari di larici monumentali fra i più vecchi d’Europa. Inoltre, vanno promossi i valori culturali, in particolare: i cinque insediamenti inseriti nel catalogo ISOS (Inventario federale degli insediamenti svizzeri da proteggere): Landarenca, Bodio/Cauco, Braggio, Augio e Rossa. La chiesa di Santa Domenica, le vie storiche, i sentieri, le mulattiere ArvigoBraggio e Selma-Landarenca. Provare per credere. Vale la pena di affrontare una di queste mulattiere. Braggio e Landarenca non hanno
strade e non ci sono automobili, sono collegate con il fondovalle grazie a due piccole teleferiche automatiche self service. Si entra in cabina, si schiaccia il bottone e parte, sempre in funzione 24 ore su 24. Ma la vera esperienza sensoriale è andarci a piedi, per esempio, da Selma a Landarenca. Si parcheggia vicino alla stazione della teleferica e, dietro la cappella dedicata a San Rocco, si imbocca la mulattiera. È un cammino che riporta ai secoli passati e attraversa un bosco di pini, abeti e larici macchiato da cespugli di rose alpine. In quaranta minuti si raggiunge il piccolo villaggio di Landarenca, con la chiesetta che svetta sulle case, dopo aver superato un dislivello di poco più di trecento metri. Nei piccoli villaggi di montagna le poche persone che si incrociano stanno lavorando: chi taglia l’erba, chi sistema una finestra, chi pittura una panchina. È gente operosa, che sale ai monti per cambiare aria, ma anche per distrarsi con lavoretti manuali. Gli abitanti sono una decina, l’osteria è accogliente e ci si può rifocillare. La sala è ancora originale, un vero gioiello, rivestita di pannelli di legno e arredata con tavoli e sedie ottocenteschi. C’è ancora uno sgabuzzino con uno sportello che fungeva, udite udite, da ufficio postale! Ecco, questo percorso, che può essere arricchito imboccando i sentieri alti, potrà essere una delle attrazioni del parco. Bisognerà migliorare i posteggi a valle, offrire opportunità di pernottamento a monte, predisporre e promuovere la possibilità di utilizzare le biciclette. Nel corso delle analisi compiute dall’USAM per la realizzazione del Parc Adula si è già stabilito che la Calanca offre un territorio ad alto valore naturale e paesaggistico, quindi la proposta di Parco regionale dovrebbe avere via libera a Berna. In valle negli ultimi dieci anni la popolazione è diminuita del 5,2%. Il comune di Rossa è in controtendenza, con un aumento del 15%. A Rossa, per esempio, si sono trasferite alcune famiglie con bambini piccoli. Bellinzona è vicina, mezz’ora d’auto, e i prezzi delle abitazioni sono decisamente più at-
traenti. La qualità della vita è buona, a Castaneda c’è il centro scolastico consortile che offre scuola dell’infanzia ed elementare, oltre alla mensa. Dal profilo economico la Valle è in difficoltà; sopravvive l’agricoltura, fatta di piccole aziende, e l’industria, sostanzialmente le cave di granito di Arvigo, che danno lavoro a 35 persone. I canoni d’acqua, frutto dello sfruttamento idroelettrico della Calancasca, assicurano risorse interessanti. Per il futuro il progetto più importante è il turismo e il Parco potrebbe diventare l’etichetta con cui vendere nel mondo intero la Calanca «bella e selvaggia». Il sindaco Zanardi apre le braccia e sospira sconsolato: «C’è ancora troppa poca informazione. Molti nostri concittadini pensano che il parco imporrebbe limitazioni ma ciò non è vero, si tratta solo e soprattutto di valorizzare le ricchezze che abbiamo. Continueremo a organizzare serate e workshop informativi. È importante portar qui la gente, i turisti, ma dobbiamo prepararci, essere pronti, cominciare a muoverci. Abbiamo poche strutture ricettive, alcune abbandonate, bisogna stimolare le persone a mettersi in rete e a progettare e costruire. Potremmo recuperare case vuote per creare un albergo diffuso, per esempio». La gestione del Parco, una volta avviato, dovrebbe costare 500mila franchi l’anno. La Confederazione finanzia il 50%, il Cantone tra il 30 e il 35%. La valle potrebbe beneficiare di 400mila franchi di investimenti, mentre a carico dei Comuni ne rimarrebbero solo 100mila, in parte costituiti da prestazioni. Forse non una manna dal cielo, ma certo un’opportunità unica. «Se salta l’agricoltura – annota il sindaco – andremo incontro a un abbandono totale! La cosa importante non è definire sulla carta che vogliamo un Parco, dobbiamo dimostrare che la popolazione ha la volontà di progettare e sviluppare. Di solito le persone reagiscono quando toccano il fondo. Speriamo di non dover arrivare a tanto. Mi auguro che si possa cominciare a investire in qualche piccolo progetto già a partire dal prossimo anno, per dimostrare che le cose si muovono».
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 25 giugno 2018 • N. 26
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Società e Territorio
Il buon senso comune
Sociologia Che cos’è il senso comune? Che rapporto ha con il buon senso? Quali sono le sue funzioni e i suoi limiti? Massimo Negrotti In due articoli precedenti (L’arte del ragionare e L’opinione pubblica vista da vicino) avevo discusso la forma che assume la razionalità quando si ha a che fare con questioni difficili, come quelle trattate dalle scienze, e come nascono e si diffondono le opinioni nelle comunità umane. In ambedue i casi, era inevitabile fare riferimento al cosiddetto «senso comune», assumendolo però come un concetto scontato, quasi autoevidente.
Il buon senso è una propensione naturale che ci consente di valutare con immediatezza il contesto in cui ci troviamo e creare ipotesi su ciò che sta accadendo Ma, in realtà, di cosa si tratta? E che rapporto c’è fra senso comune e buon senso? Il senso comune non ha mai goduto di buona fama in filosofia e in sociologia Émile Durkheim lo considerava fonte di premonizioni, cioè di conoscenze vaghe e di scarso valore, una considerazione largamente condivisa dal mondo degli scienziati. Tuttavia, la sua presenza in ogni società e in ogni periodo storico testimonia il fatto che esso costituisce un carattere antropologico di fondo, generato da attitudini umane innate e reso esplicito e operativo attraverso le relazioni sociali. Il senso comune, in effetti, è il risultato di una miriade di micro valutazioni individuali che si addensano statisticamente attorno a qualche elemento centrale diventando, così, «verità» consolidate come accade, per fare qualche esempio, quando si ritiene diffusamente che le stagioni stanno radicalmente cambiando, che i robot e l’automazione creano disoccupazione o che l’inflazione è sempre e solo un sintomo di poca salute del sistema economico. Sulla genesi di questi che, alla lunga diventano «luoghi comuni», agisce l’impiego del buon senso, ossia di quella propensione naturale che consente ad ogni essere umano di valutare
con immediatezza il contesto in cui si trova, creare ipotesi su ciò che sta succedendo e poi agire immaginando di ottimizzare le conseguenze dell’azione. Il buon senso è perennemente al lavoro e svolge una decisiva funzione, in senso lato, economica poiché punta direttamente alla sopravvivenza: fuggire avvertendo un inatteso e fragoroso scoppio, non correre eccessivamente in automobile, impedire che un bambino giochi con una lama affilata sono solo pochi esempi di applicazione del buon senso, alcuni dei quali, fra l’altro, ci accomunano agli animali. Ciò che è interessante è che l’istinto di fuga – che, fra gli animali prende il nome di «distanza di fuga» – ed ogni altra manifestazione del buon senso, non si imparano sui libri di scuola né vengono formalizzati in alcun vademecum ma provengono dall’interazione fra esperienza e socialità. L’esperienza insegna che una certa azione ha generalmente una certa conseguenza e la comunicazione fra esseri umani diffonde quella conoscenza. L’unico corpus che si può indicare al riguardo (prescindendo dal diritto che, per certi versi ma non per tutti, interviene per generalizzare coercitivamente il senso comune) è l’insieme dei proverbi e delle massime, diffusi in tutte le aree del mondo, che vengono di norma descritti come il prodotto della «saggezza popolare» la quale non è altro che la celebrazione retorica del senso comune. Il ruolo funzionale del buon senso e, di conseguenza, del senso comune è dunque fuori discussione poiché, in una società primitiva priva di cultura scientifica, buon senso e senso comune erano le uniche risorse cognitive su cui poter contare per sopravvivere nell’ambiente naturale ed anche per regolare il comportamento individuale nelle interazioni sociali, stabilendo cosa si possa accettare come «normale» e cosa, invece, si debba sanzionare come pericolosamente deviante. I limiti del senso comune, d’altra parte, consistono proprio nella sua origine naturale e nel suo eccessivo orientamento conservatore. Poiché il nostro organismo presenta dei limiti fisiologici piuttosto forti, le «verità» che il buon senso riesce a scoprire, trasferendole poi al senso comune, sono molto spesso gravate da errori e lacune altrettanto forti. Per esempio, durante una passeggiata in montagna,
Le fasi della Luna disegnate da Galileo nel 1616: contro il senso comune di allora dimostrò che era la Terra a ruotare attorno al Sole.
nessuno sosterebbe sotto una parete rocciosa dalla quale vedessimo cadere in continuazione più o meno piccoli sassi. D’altra parte, le piccole modificazioni dannose che ci procuriamo assumendo cibi per noi non adatti, ci sfuggirebbero del tutto senza l’aiuto della medicina e delle sue pratiche analitiche. Altrettanto, l’esistenza dei virus e dei batteri, quelli buoni e quelli cattivi, è stata accertata piuttosto recentemente e non certo grazie alla nostra vista «normale», così come il fatto che sia la Terra a girare attorno al Sole e non viceversa, come direbbe, e ha detto per millenni, il senso comune. Si pensi inoltre alla tendenza ad attribuire a vari fenomeni motivazioni che, in realtà,
essi non hanno, come il «ritardo» di un certo numero nelle uscite del lotto, che sempre più lo spingerebbe intrinsecamente ad uscire. In definitiva, il buon senso e il senso comune mantengono una validità, per così dire, di sfondo perché è grazie alla loro potente forza persuasiva che la specie umana ha potuto, a differenza di altre, sopravvivere fra mille difficoltà e minacce generando prudenza, accumulazione di esperienza, ragionevolezza. Virtù che è comunque bene non abbandonare di fronte alla ricca e instancabile mutazione delle circostanze naturali e sociali. È però altrettanto sicuro che, se accanto a tutto questo, la specie umana non avesse generato in
ri in coltura idroponica. Mai sentito. Me lo segno e una volta a casa faccio qualche ricerca in Rete. Scopro che l’azienda si chiama Sfera Agricola ed è a 30 km circa da Grosseto, tra le colline toscane nella zona di Gavorrano. Scopro anche la coltura idroponica, la parola deriva dal greco antico e significa hýdor, acqua, e pónos, lavoro, è una tecnica di coltivazione fuori suolo o senza suolo, dove la terra è sostituita da un substrato inerte, solitamente argilla espansa, fibra di cocco, lana di roccia o zeolite. In sostanza il termine idroponica indica le colture senza substrato o su mezzo liquido, colture che includono una vasta gamma di sistemi, in cui il rifornimento di acqua ed elementi nutritivi avviene grazie alla somministrazione di una soluzione nutritiva composta da acqua e nutrienti in essa disciolti. Incuriosita, anche perché grazie a questo sistema i pomodorini sono privi di nichel, vado a visitare l’azienda che scopro essere gigantesca, per la precisione la più grande serra idroponica d’Italia che conta un investimento per 19 milioni
di euro e si estende su circa 20 ettari di terreno: 13 dedicati alle serre high tech per la produzione di ortaggi e 7 ettari dedicati alla raccolta di acque piovane in grandi bacini e i locali tecnici. È prevista la produzione di biomasse tramite la coltivazione di microalghe per riscaldare le serre nei mesi invernali. Questo tipo di coltivazione è a circolo chiuso, sostenibile, permette un notevole risparmio e recupero delle risorse idriche, non utilizza pesticidi e avviene su terreni dismessi o non adatti all’agricoltura. Facciamo un esempio: per produrre un chilo di pomodori in terra occorrono dai 70 agli 80 litri d’acqua, in serra soltanto 2 litri di acqua. Oltre l’80% di questa viene recuperata in acqua piovana. La filosofia è produrre di più e meglio con meno. Ci sono paesi come l’Olanda in cui i pomodori e gli ortaggi tecnologici hanno già preso piede e ci sono diverse aziende attive nel settore come la Rainbow International e la Dry Hidroponics. In Svizzera a produrre la prima insalata idroponica è stato Fritz Meier a Dällikon nel Can-
piccole quantità anche uomini portatori di scetticismo e curiosità critica, ancora oggi avremmo una visione molto misera e distorta della realtà naturale, inclusa la nostra. Costoro, che il senso comune percepisce di volta in volta come visionari e magari temerari, sono stati e sono semplicemente uomini che non si accontentano delle credenze condivise e delle verità troppo ovvie sospettando che vi sia anche altro al di là di ciò che appare alla nostra osservazione immediata, a «misura d’uomo». È come se essi ci invitassero a completare la saggezza popolare del proverbio «chi lascia la vecchia via per la nuova, sa cosa perde ma non quel che trova» aggiungendo «ed è proprio per questo che ci prova».
La società connessa di Natascha Fioretti La coltivazione del futuro: high tech e idroponica Metti una settimana al mare in Maremma e una pranzetto in una fresca merenderia all’ombra di uno dei vicoletti del centro di Castiglione della Pescaia. Metti un gerente molto simpatico e alla mano, di una certa età che di professione è un odontoiatra, ha uno studio a Siena, e per passione prepara piatti freddi con i prodotti tipici della zona, alcuni dei quali in vendita su
rustici scaffali di legno. Non può non uscirne qualcosa… Ordino subito le bruschette con i pomodorini freschi, pomodorini che scopro essere eccezionalmente buoni. Tra una gentilezza e un boccone si finisce in chiacchiere e Paolo, così si chiama il gerente, ci racconta dei suoi prodotti, gli chiedo della provenienza dei pomodorini. Mi dice che sono speciali, li compra in un’azienda aperta da poco che produce pomodo-
ton Zurigo (attualmente fornitore di Migros a livello nazionale), nel nord del Canton Vaud c’è invece la start up Combagroup, progettista di serre, e a Bellinzona per quanto riguarda la coltura idroponica su più piccola scala c’è Swissponic, una start up di sei giovani che sognano di riavvicinare l’uomo e l’agricoltura tramite il computer. Le serre che ho visitato sono di ultima generazione con sistemi altamente automatizzati ed efficienti per la gestione del clima e della soluzione nutritiva da somministrare alle piante. Sembra di entrare in un laboratorio, si lavora in camici bianchi per non portare inquinanti, si usano insetti al posto dei pesticidi e i sensori di temperatura e umidità collegati a computer monitorano in tempo reale ogni centimetro e ogni processo per evitare sprechi. Quando vieni a contatto con una realtà così sembrano non esserci dubbi: la nuova agricoltura è agritech e i nuovi contadini sono impegnati in un’agricoltura sostenibile che si impegna a rispondere alle future sfide ambientali e alimentari.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 25 giugno 2018 • N. 26
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Società e Territorio Rubriche
Lo specchio dei tempi di Franco Zambelloni L’anima nel terzo millennio «La pubblicità è l’anima del commercio»: questo detto di vecchia data è oggi più vero che mai. Se in passato la pubblicità appariva nelle pagine dei giornali, alla radio, alla televisione o in cartelloni affissi nelle strade, oggi è soprattutto presente in Rete ed è addirittura fatta su misura dell’individuo: se io compero un libro tramite Internet, quando cambio sito mi appaiono sullo schermo offerte di altri prodotti analoghi «che potrebbero interessarmi». La pubblicità mi osserva, mi studia, mi lusinga e mi segue da presso. È diventata anche la mia seconda anima, un’ombra che riappare ogni volta che mi connetto in Rete. Be’, per lo meno c’è un ambito dove l’anima resiste e sussiste. Le odierne neuroscienze confutano e abbattono sempre più la plurimillenaria convinzione dell’esistenza di un’anima umana immateriale, spiegando che tutto quel che un tempo le si attribuiva – pensie-
ro, affetti, emozioni, immaginazione – si trova localizzato nel cervello; ma l’«anima del commercio» è invece dotata di una capacità di sopravvivenza sempre più forte. E, in effetti, sempre di più gli uomini si affidano a lei. Le ragioni di questo crescente successo sono molteplici: di certo, la pubblicità commerciale induce desideri e spinge a soddisfarli. Ma anche l’emergere e il prorompere del desiderio sono in genere determinati da altri meccanismi ancestrali che fanno parte della nostra natura biologica. L’uomo è un animale mimetico: la sua naturale tendenza lo porta ad imitare il comportamento altrui, soprattutto quando l’oggetto d’imitazione è un campione sportivo, un leader, un attore di successo. È ovvio, dunque, che la pubblicità si serva di simili figure carismatiche: se un atleta famoso, un divo cinematografico, un miliardario da rotocalco indossano un certo abbigliamento, usano un certo
smartphone, bevono certe bevande, è normale che una folla innumerevole si accodi. L’imitazione illude di essere simili al modello, infonde la soddisfazione di innalzarsi al suo stesso livello e di essere ammirati come lui; e quando molti esibiranno per la strada o al bar quella particolare acconciatura o quella nuova tecnologia saranno sempre più imitati via via che il loro numero cresce, perché il non adeguarsi alla moda produce un senso di emarginazione frustrante. Ma anche l’attrazione della moda ha il suo fondamento psicologico innato, come è evidente già nella prima infanzia: un bambino prende in mano un giocattolo; un altro bambino, seduto lì accanto, vuole lo stesso giocattolo, anche se nella stanza ce ne sono molti altri. È il fenomeno che gli psicologi chiamano «desiderio mimetico», per cui siamo indotti a imitare desiderando quello che l’altro desidera. Fin qui, dunque, il naturale fonda-
mento psicologico che sorregge la pubblicità commerciale. Ma quello che è relativamente nuovo e inquietante è che la strategia pubblicitaria dilaga e pervade ormai anche ambiti molto diversi, come – e soprattutto – la politica. S’intende che tutti gli uomini di potere hanno sempre fatto ricorso alla propaganda per attrarre le masse: i mezzi di propaganda potevano essere, in passato, sfilare per le strade su un carro imperiale, costruire palazzi splendidi e costosi, arringare il popolo con discorsi infocati e magari menzogneri – come nel caso di Mussolini e Hitler e Stalin. Ma oggi, direi, la propaganda ha lasciato il posto alla pubblicità: il politico che vuole avere un seguito deve essere onnipresente in Rete, alle cerimonie e alle feste, attirare la simpatia della gente, apparire come una star – insomma, assurgere a modello da imitare; e poi, soprattutto, promettere che «se acquisterai questo prodotto (questo
indirizzo politico) sarai felice». Carl Gustav Jung l’aveva detto chiaramente decenni fa: «La società è organizzata non tanto dalla legge quanto dalla tendenza all’imitazione». È per questo che ogni educatore sa bene che, se vuole davvero educare, dev’essere d’esempio. Come potrebbe, un insegnante, esigere disciplina e impegno se lui stesso si mostra annoiato, non prepara una lezione, non cura la correttezza e il rigore? Non è certo sbraitando o facendo predicozzi che si ottiene d’essere imitati, ma mostrandosi coerenti, fornendo buoni esempi di comportamento. Già: ma se l’educatore a sua volta prende esempio non da figure esemplari, ma da modelli pubblicitari, non penserà di avere di fronte a sé giovani anime da nutrire di cultura e da guidare lungo un percorso spirituale e morale, ma solo cervelli golosi da imbottire con giochetti divertenti.
dove oziano due gradevoli panchine in legno. Su questa sponda boschiva si può entrare benissimo a fare il bagno liberamente, inutile pagare l’entrata. A meno che non si voglia prendere seriamente il sole e così via. Il turchese s’intensifica o meno, a dipendenza della luce ma anche del fondale, credo. In questo angolo, un po’ in ombra, è comunque iperturchese. Una coppia e il loro pastore tedesco, su una panchina, si godono il pranzo al sacco. Degno di nota, il rosa timido e raffinato dell’orchidea di Fuchs, screziato geometricamente di porpora. Passo via dalla terrazza un po’ così del ristorante, è un vero peccato che il progetto più epurato e mistico di Valerio Olgiati non sia andato in porto. Il suo studio da sogno lo si vede, dietro a un bel tiglio, sulla strada principale di Flims Dorf dove lì vicino, nella sua Casa Gialla che poi è bianca, vi avevo portato in gita qualche tempo fa. Lì ricordo una vecchia foto – che ha ispirato il celebre manifesto turistico del 1936 di Jules Geiger – con un tuffo ad angelo dal tetto
dello stabilimento balneare in legno che c’era qui. Di colpo mi viene voglia di andare a vedere il pavillon del Waldhaus che mi è rimasto in testa dal film. Le due guglie jugendstil si stagliano con lo sfondo dietro della sacrale Crap da Flem, la montagna che sovrasta Flims e mi ricorda ogni volta molto la montagna sacra aborigena. La parte moderna con lo spaspettacolo dove Harvey Keitel a mollo con Michael Caine rimangono di stucco vedendo senza veli la modella rumena di cui ora mi sfugge il nome, è laggiù in fondo al prato. Preferirei però tenermi quell’angolo inesplorato, per un pomeriggio d’inverno con la neve magari o mai, chissà. E vado via senza neanche bermi un ginger ale in veranda che se avete tempo io lo farei. Il lago di Cauma crea dipendenza. Adesso tiro dritto sull’asfalto, lift tutta la vita. Prima, per andare al Waldhaus – tra l’altro oggi toponimo per tutta questa zona di Flims dove c’è anche il set cinematografico di Hors saison (1992) di Daniel Schmid che è poi l’incantevole Schwei-
zerhof (1903) dov’è nato il regista, la cui veranda vale altrettanto la pena per una sosta all’ora del té – ho preso il liftfunicolare. E l’inquadratura da dolly, salendo, è imperdibile. Dove parte il lift è il punto di vista epocale per catturare dall’alto quasi tutto il laghetto a forma di macchia d’inchiostro, l’isoletta, e godersi le varie sfumature di turchese schiarite dalla luce. Alla fine il turchese caraibico incanta così tanto, perché nel colpo d’occhio conta molto il contrasto con il contesto montano. In mezzo a un bosco quasi prevalentemente di abeti rossi, uno non si aspetta di certo quel colore tropicale. Inoltre c’è l’isoletta di mezzo, attorno alla quale si formano gli stessi aloni del mar dei Caraibi. Una vecchietta attraversa a rana il lago di Cauma. La sua forza curativa non è una diceria popolare, calma di sicuro, soprattutto adesso, quando è ancora più pomeridiano di prima. Con il sole delle cinque, faccio il morto e abbraccio con gli occhi la pecceta il cui profumo, toglie ogni dubbio su quasi tutto.
pio attribuito a Voltaire (e non solo a lui): «Mi batto per difendere la libertà di chi la pensa diversamente da me». Ma si giustifica il dubbio che questo sacrosanto principio possa poi trovare riscontro tra le file, oggi più che mai affollate e variegate, dei seguaci del no, sempre e ovunque. La categoria non è nuova, ma nuovi sono le sue dimensioni e il suo influsso. Un tempo si chiamavano i bastian contrari, e si muovevano prevalentemente nell’ambito privato, in famiglia, al bar, alla partita, considerati alla stregua di piantagrane innocui. Negli ultimi decenni, con il ’68 e la psicologia di massa, sono diventati una categoria, di cui tener conto nelle nostre società, sempre più tolleranti e persino compiaciute nei confronti dei sostenitori del no: da modesti rompiscatole, sono stati promossi a contestatori, spiriti critici, innovatori, moralizzatori, e personaggi onnipresenti. Dalla politica all’economia, dall’ecologia alle scienze, dalla letteratura alle arti,
gli oppositori dello status quo hanno trovato un terreno in cui cimentarsi lanciando messaggi, spesso allarmanti e, persino, suggestivi. Stiamo, insomma, assistendo a una moda di successo, che sfrutta il fascino dell’insolito, della ventata d’aria fresca. Gran tentazione, insomma, andare contro corrente: ma bisogna essere dotati. Ci era riuscito, a suo modo, Montanelli, conducendo sul «Giornale» di allora, una rubrica che s’intitolava proprio così. Altrimenti, come succede adesso, perché troppo praticato e sotto la spinta di motivazioni banali, andare contro sfocia nelle derive di alternative persino pericolose, tipo antipolitica, antiscienza, antitecnologia, con conseguenze che fanno notizia negativamente, come bimbi non vaccinati o referendum a iosa. Se, agli inizi, scegliere il no sempre e ovunque, può sembrare un hobby divertente, strada facendo, si rivela una fatica sprecata e rischiosa.
A due passi di Oliver Scharpf Il lago di Cauma a Flims A Flims Waldhaus, entrate nel bosco. Se seguite la via asfaltata di rosso terra rossa dei campi da tennis con a fianco i lampioni in ghisa modello lungomare, dovreste arrivare al lift che vi porta giù. Cascasse il mondo, ci vado a piedi. Un sentiero che scende a destra indica anche il Caumasee, lo prendo al volo, una fine mattina d’inizio estate. Tra i rami degli abeti rossi, s’intravede il famoso turchese caraibico. In alcuni punti è più turchese di altri, come attorno all’isoletta in mezzo. Ed è abbastanza incredibile. Secondo la cromoterapia, il turchese, è il colore della generosità, ottimismo, sogno. Oggi è gratis perché fanno dei lavori, sennò si paga come per entrare in qualsiasi lido. A pagamento, di solito, ci sono pure i lettini di plastica, pommes frites, pedalò. Mi dirigo nella direzione meno antropizzata. All’ombra di un peccio che domina l’insenatura in faccia all’isoletta, mi siedo appoggiando la schiena alla corteccia. La temperatura dell’acqua, c’era scritto all’entrata con lo stabilo boss blu, è di di-
ciotto gradi. Due prendono il sole sulla zattera, a parte loro non c’è molta gente che nuota. Una fa un teatro per entrare. Subito in acqua, mica fredda, ideale. Sul mezzogiorno, un giovedì di giugno inoltrato, approdo sull’isoletta del lago di Cauma (996 m) che a fine Ottocento, per un periodo, apparteneva all’Hotel Waldhaus nato nel 1877 e immortalato in Youth (2015) di Sorrentino. La spa per gli ospiti una volta era questa qui. L’acqua del Cauma, gli abitanti di Flims, lo dicevano da sempre, è curativa per occhi, mal di schiena eccetera. Nessun endemismo isolano, solita flora vista anche sulla terraferma, più un paio di larici. Torno al mio zaino e mangio mezzo chilo di albicocche. Cauma in romancio significa siesta, il sistema carsico sotterraneo che alimenta il lago è complesso e rimane, in parte, un mistero. Dicono ci sia una sorgente calda. Parto per il giro del lago. La ramina che imprigiona il lago della siesta è un mezzo dramma che finisce presto; affonda man mano nell’insenatura più stretta,
Mode e modi di Luciana Caglio Andare sempre contro: fatica rischiosa Anche l’indignazione, sentimento politicamente in auge, subisce i contraccolpi dell’attualità. In parole povere, va giù di moda, da un momento all’altro. Sintomatica, in proposito, la vicenda di «Charlie Hebdo» che, il 2 settembre scorso, si è bruciato gran parte delle simpatie, conquistate il 7
Dopo l’attentato del 2015. (Wikimedia)
gennaio 2015, quando la redazione del settimanale fu decimata da due terroristi di Al Qaeda. Quel tragico episodio doveva attribuire a un periodico di nicchia, apprezzato da pochi cosiddetti «intellos», una momentanea popolarità. Per un paio di settimane, le tirature, abitualmente magre, attorno alle 10-15mila copie, salirono a 4-5 milioni. Un’impennata passeggera sul piano editoriale, che, però, aveva lasciato un segno persistente su quello emotivo: «Je suis Charlie» era diventato uno slogan di portata mondiale. Sulla scia di quel «Ich bin ein Berliner», pronunciato da J.F. Kennedy, di fronte al muro di Berlino, nel giugno del ’63, esprimeva l’indignazione per un sopruso. Anche se attraverso le pagine di una pubblicazione, di per sé, tutt’altro che simpatica. In verità, le recenti vignette sul «Séisme à l’italienne», brutte nella grafica e odiose nei contenuti, non stupiscono. Anzi, rispettano la linea di un giornale che vuole essere indisponente
e sgradevole: perché questo sarebbe il prezzo da pagare per esercitare, a pieno titolo, la trasgressione, garantita dalla libertà di stampa. Certo è che, al di là delle inevitabili reazioni di leso patriottismo, con le inevitabili conseguenze politiche e diplomatiche, che si sono viste nell’Italia ferita del dopo terremoto, il caso «Charlie Hebdo» riapre un interrogativo, che è sempre nell’aria, nelle nostre democrazie: quale spazio spetta a chi sceglie di stare dall’altra parte, schierandosi sempre contro? Sul «Corriere della Sera», Pierluigi Battista spiegava bene il suo imbarazzo, del resto condiviso da molti di noi: «Je suis Charlie sempre anche se non ci piace». Per poi precisare: «Naturalmente deve esistere una reciprocità di diritti: se la satira vuole vedere riconosciuto quello dell’irriverenza assoluta e offensiva, deve anche riconoscere il diritto altrui a criticare le schifezze che si pubblicano in nome della satira». Riecco, dunque, il citatissimo princi-
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Ambiente e Benessere Evoluzione senza senso Alcuni esempi mostrano che la natura non ha logica ma solo adattamenti funzionali
Le bufale svizzere di Caserta Visita allo stabilimento che produce mozzarelle per Migros, utilizzando le norme elvetiche per il trattamento degli animali
Nuovi nomi di vacanze Quella che si prende prima di cambiare lavoro, ad esempio, si chiama Jobbymoon pagina 16
Il giardino medievale Franco Cardini e Massimo Miglio ne hanno studiato la funzione e l’immagine
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A caccia del silent killer Medicina L’aneurisma dell’aorta
è una malattia seria e spesso subdola che si potrebbe contrastare attraverso la prevenzione
Maria Grazia Buletti È una dilatazione localmente circoscritta di un’arteria e in teoria si può manifestare in qualsiasi vaso arterioso dell’organismo. Quella più comune e frequente riguarda l’aorta addominale con oltre 700mila persone colpite in Europa e 220mila nuovi casi diagnosticati ogni anno. Parliamo dell’aneurisma (dal greco: dilatazione): un disturbo serio e subdolo che negli Stati Uniti si è meritato l’appellativo di silent killer, cioè assassino silenzioso. Una malattia temutissima che potrebbe essere prevenuta con successo attraverso lo screening mirato già in uso in alcuni Paesi (come ad esempio la Germania): un’ecografia addominale per gli uomini over 65 anni. «L’aorta addominale è l’arteria più colpita: 80 per cento dei casi rispetto alla totalità che comprende il 4 per cento degli uomini sopra i 65 anni; nelle donne è da 5 a 8 volte meno frequente, anche per il fatto che una delle possibili cause è rappresentata dal fumo (il tabagismo nella donna è ancora inferiore rispetto all’uomo), fattore rischio più importante insieme alla famigliarità», esordisce il vice primario di chirurgia all’Ospedale Regionale di Lugano dottor Luca Giovannacci, responsabile di chirurgia vascolare dell’EOC. Gli chiediamo di illustrare sintomi, diagnosi, terapie e prognosi di questa patologia che purtroppo, se non preventivamente diagnosticata e monitorata, può non lasciare scampo: «L’aneurisma addominale non provoca alcun disturbo fino al giorno in cui si espande all’improvviso o si rompe». Il tratto di arteria malato tende a compromettersi progressivamente, in modo silenzioso e senza creare disturbi, fino a quando viene scoperto per caso o, nella peggiore delle ipotesi, si dovesse rompere generando un’emergenza: «A quel punto, l’80 per cento dei pazienti non riesce ad arrivare nemmeno in ospedale, sebbene il personale delle nostre ambulanze sappia riconoscere tempestivamente la problematica e, per aumentare la possibilità di sopravvivenza, convoglia immediatamente i pazienti di tutto il Cantone a Lugano dove questa patologia e i suoi trattamenti sono centralizzati e presi a carico con eccellenza dal team multidisciplinare di chirurghi, anestesisti e interventisti». Di quel 20 per cento che giunge in
ospedale, operato in emergenza, se ne salva poco più della metà: «Il paziente arriva in condizioni già estremamente disperate, in cui sono i minuti a fare la differenza, perché il sanguinamento dell’aorta è interno e massiccio». Torniamo al concetto di prevenzione: per attuarla concorrono la conoscenza dei fattori di rischio per la formazione di un aneurisma e lo screening selettivo. Il principale fattore di rischio deriva dalla famigliarità, a cui se ne associano altri: «Avere un parente di primo grado con un aneurisma aumenta di 5 o 6 volte il rischio di contrarlo. Per questo, consigliamo a tutti i parenti di primo grado dei pazienti con aneurisma di effettuare una semplice ecografia, soprattutto se maschi, ma a questo punto vale anche per le donne. Oltre alla famigliarità, concorrono ipertensione, arteriosclerosi e fumo (perciò poniamo il divieto assoluto di fumare anche per i parenti di un paziente portatore di aneurisma!)». Malgrado la sua efficacia, lo screening ecografico non ha ancora preso il via in Svizzera e per questo, dati alla mano, si batte la Società Svizzera di Chirurgia Vascolare: «Un nostro studio pilota ne ha dimostrato l’assoluta efficacia: su mille persone, abbiamo constatato che duecento avevano effettuato un’ecografia o una TAC nell’ambito dell’indagine di altre patologie (se avessero avuto un aneurisma sarebbe emerso in tale circostanza). 800 però non vi erano mai stati sottoposti e ciò dimostra che la maggior parte dei pazienti tra 65 e 80 anni non era mai stata controllata». Cosa effettuata nell’ambito dello studio, con risultati che fanno comprendere l’indubbia efficacia di un’ecografia selettiva per questa fascia d’età: «Dall’ecografia effettuata a queste 800 persone è risultato che 31 presentavano un piccolo aneurisma (poi monitorato, sempre attraverso una periodica ecografia, una o due volte l’anno); un paziente è stato repentinamente operato perché presentava un aneurisma grosso (55 millimetri), e oggi a 4 anni di distanza altri 4 pazienti sono stati operati con successo». Il rischio di rottura aumenta in modo esponenziale con l’aumento del diametro della dilatazione aortica: «Si interviene quando la dilatazione arriva a 5-5,5 centimetri e il rischio è drammaticamente concreto». Affrontare un’emergenza dovuta alla rottura dell’aneurisma, ammesso che il pa-
Il vice primario di chirurgia all’Ospedale Regionale di Lugano dottor Luca Giovannacci, responsabile di chirurgia vascolare dell’EOC. (Vincenzo Cammarata)
ziente arrivi vivo in ospedale, è molto più rischioso che non il programmarne l’intervento: «Con la pianificazione, il paziente è ancora in buone condizioni, il team chirurgico è fresco e non deve operare in emergenza, gli accertamenti cardiaci e polmonari (atti a minimizzare i rischi operatori) che precedono l’operazione sono stati effettuati con calma. Tutt’altro è operare un paziente non noto e senza gli esami necessari perché in emergenza assoluta». Secondo la valutazione del singolo caso, e in accordo con il paziente, i possibili interventi sono due: «Con quello endovascolare si pone una protesi all’interno dell’arteria senza togliere l’aneurisma. Ha una mortalità media dell’1-1,5 per cento ma non è adatto a tutti; necessita di periodiche revisioni e non tutti gli aneurismi possono essere risolti con questo metodo che, però, ha il pregio di essere indicato per
anziani o coloro per cui il rischio di intervento aperto risulta troppo elevato». L’intervento aperto è risolutivo anche se più impegnativo: «Consiste nella resezione dell’aneurisma conseguente all’applicazione di una protesi sintetica in poliestere molto ben tollerata». Un intervento la cui mortalità (quando è programmato) è del 3 per cento, a causa delle possibili complicazioni come infarto e polmonite: «Un paziente con una buona qualità di vita e non particolarmente anziano non andrà incontro a potenziali complicazioni come uno di 85 anni, anche se ogni caso è ottimizzato attraverso la discussione del consesso interdisciplinare tra chirurghi vascolari, radiologo interventista, angiologo. La scelta del metodo da proporre al paziente tiene conto dei suoi fattori di rischio, della sua morfologia e delle sue malattie concomitanti». L’aneurisma aortico è davvero cosa
seria che si può risolvere preventivamente con un’indagine ecografica e un eventuale intervento salvavita: «Sopra i 5 centimetri, il rischio di rottura, e la morte conseguente del paziente, supera di gran lunga quello dell’intervento programmato».
Video intervista Sul canale Youtube di «Azione» e su www.azione.ch la videointervista al dr. Luca Giovannacci.
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Ambiente e Benessere
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Bizzarre soluzioni di una natura senza finalità
Biologia I curiosi animaletti descritti da Matt Simon mettono alla prova la nostra attitudine a voler cercare
un progetto nelle creazioni dell’evoluzione
Lorenzo De Carli Uno degli ostacoli che ci rende difficile comprendere l’evoluzionismo è la nostra pervicace supposizione che la natura sia dotata di intenzionalità. Accade così che, quando sentiamo parlare di selezione naturale, tendiamo a ritenere che ci sia qualcuno o qualche cosa che, a forza di tentativi ed errori, trovi la soluzione che garantisce il miglior adattamento.
Molti esempi di attività biologica sono difficilmente leggibili secondo la logica umana, ma sono funzionali alla propagazione di specie Con l’intenzionalità tendiamo a cercare un progetto, una finalità, una serie concatenata di rapporti di causa ed effetto stabilita a priori; il segno di una direzione, l’indizio di uno scopo – perché quello che più ci disturba è la mancanza di senso. Si tratta di un disturbo profondo, che talvolta avvertiamo quasi fisicamente, e su cui la psicologia evolutiva sta facendo luce. Con Nati per credere, per esempio, Vittorio Girotto, Telmo Pievani e Gior- Marsupio Australiano, l’Antechino è forse l’animale con la più fervida attività sessuale del pianeta. (Vic patrickk) Anzeige I Azione I Kindergeburtstag I Italienisch I 605 x 220 mm I DU: 11.06.2018 I Erscheinung: 18.06.2018
gio Vallortigara avevano spiegato perché il nostro cervello sembra predisposto a fraintendere la teoria di Darwin. Gli autori avevano raccolto tutta una serie di indizi che depongono a favore dell’ipotesi che la nostra ricerca d’intenzionalità è un «tratto» che è stato selezionato dall’evoluzione stessa perché vantaggioso. Vale a dire che la nostra inclinazione, per esempio, a immaginare una causa per ogni rumore che sentiamo nel bosco sia un’attitudine che ha fatto sì che fossimo in grado di ipotizzare la presenza di prede o predatori, comportandoci di conseguenza. Questo atteggiamento predittivo è a tal segno a noi connaturato, che tendiamo a proiettarlo sulle altre specie. La raccolta di saggi di Matt Simon intitolata La vespa che fece il lavaggio del cervello al bruco, proprio perché intende illustrare «le più bizzarre soluzioni evolutive ai problemi della vita», mette alla prova la nostra capacità di evitare la trappola dell’intenzionalità proiettiva. E non è affatto semplice, sia perché alcune soluzioni sono così ingegnose, che facciamo davvero fatica a vederle come un meccanismo o un comportamento privo di un’attività pianificatrice simile a quella che orienta la nostra condotta, sia perché il linguaggio stesso si porta appresso un’implicita ipotesi di soggettività senziente.
Tendiamo ad attribuire «volontà» e «mente» anche alla più piccola creatura. (Static)
Prendiamo il caso, per esempio, di quella che Simon chiama «formica zombie». In realtà il protagonista non è tanto la formica carpentiere del genere Camponotus, quanto piuttosto il fungo Ophiocordyceps, che invade il cervello delle formiche e ne controlla la mente. L’ambiente è quello della foresta pluviale. Il fungo descritto da Simon si attacca all’esoscheletro della formica, nella quale penetra dopo aver fatto marcire la cuticola con i suoi enzimi. All’interno del corpo della formica, il fungo si riproduce a tale velocità, che dopo pochi giorni ne costituisce metà della massa. L’aspetto interessante è che il fungo – né vegetale, né animale e sicuramente non dotato di «mente» – produce neurotrasmettitori che influenzano la condotta della formica in modo tale da indurla a cospargere di spore altre formiche della colonia. Siccome per noi è difficile descrivere tutto questo senza usare parole e frasi che suggeriscono una qualche forma di intenzionalità, tendiamo a ritenere che il fungo abbia davvero una vo-
lontà e che la formica abbia davvero una mente. È quasi impossibile metterci nella prospettiva dell’evoluzione e accettare che l’interazione tra fungo e formica nel corso di milioni di anni abbia selezionato il «comportamento» del fungo senza che questi si sia attivamente impegnato a ottimizzare la sua tecnica riproduttiva, che cioè dal «setaccio della selezione» sia passata la pratica riproduttiva senza che nessuno abbia preso decisioni. Se ciò accade quando di mezzo c’è un fungo, figuriamoci quando i protagonisti sono una vespa e un bruco. Quando si studia – come ha fatto Matt Simon – il modo in cui la vespa Glyptopanteles s’impossessa della «mente» del bruco che ha parassitato, iniettandovi le sue uova, è quasi impossibile non vedere due menti antagoniste e in particolare non scorgere nella strategia della vespa un’azione pianificata in tutti i dettagli e non una sequenza di operazioni passate dal «setaccio della selezione» semplicemente perché più efficaci di altre
per favorire la riproduzione della vespa. Quest’ultima, infatti, scelto un bruco, vi pratica un foro, deponendovi fino a ottanta uova. Diventate larve, queste si nutrono dei fluidi corporei del bruco, che continua ad andare in giro a mangiare, sfamando con se stesso anche un’ottantina di larve, le quali – a un certo punto – rilasciano sostanze chimiche che paralizzano l’ospite, dal quale ne escono quasi tutte, una dopo l’altra, prendendosi tutto il tempo necessario per liberarsi dell’esoscheletro, che usano per tappare le ferite inferte al bruco. L’ultima larva rimasta dentro il bruco rilascia una sostanza chimica che manomette «il cervello dell’ospite, trasformando il bruco in una sorta di stupido ultraviolento che protegge il resto della nidiata» fuoriuscito prima. Anche quando il bruco esce dalla paralisi non si contrappone ai suoi parassiti, ma anzi, sotto il loro influsso, li difende strenuamente da ogni possibile predatore fintantoché, cresciuti, se ne vanno, lasciando perire il bruco. Se, inconsapevolmente, tendiamo a proiettare nel mondo animale intenzionalità e volontà di cui è del tutto privo perché ci risulta difficile non ritenere che vi sia almeno un barlume di soggettività quando l’argomento è il «controllo della mente», è con crescente imbarazzo che studiamo le pratiche sessuali degli animali – proprio quelle con cui Matt Simon ha aperto il suo libro, sapendo bene con quale disagio, in questo caso, è in noi all’opera l’inclinazione a identificarci anche nelle pratiche più «perverse». Come quella dell’Antechino, per esempio, un piccolo marsupio dell’Australia meridionale e centrale i cui maschi «fanno così tanto sesso, con così tante femmine e così frequentemente da finire tutti, uno dopo l’altro, morti stecchiti». Descritti da Simon, i maschi di Antechino, sembrano posseduti dal demone della copula: «Mentre vanno in giro
fornicando, i maschi incominciano a sanguinare internamente. Il loro sistema immunitario smette di funzionare e il pelo cade. Diventano perfino ciechi, verso la fine, ma neppure questo riesce a fermarli». Anche in questo caso, ci è difficile non immaginare in questa frenetica attività copulatoria sostenuta da
«una quantità enorme di testosterone» almeno un accenno di ricerca del piacere, invece si tratta di un comportamento selezionato per risolvere il problema di una stagione riproduttiva molto breve, troppo breve per non cercare di portare al massimo grado le possibilità riproduttive dell’Antechino.
La vespa Glyptopanteles e il bruco. (Ian Alexander) Annuncio pubblicitario
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Bizzarre soluzioni di una natura senza finalità
Biologia I curiosi animaletti descritti da Matt Simon mettono alla prova la nostra attitudine a voler cercare
un progetto nelle creazioni dell’evoluzione
Lorenzo De Carli Uno degli ostacoli che ci rende difficile comprendere l’evoluzionismo è la nostra pervicace supposizione che la natura sia dotata di intenzionalità. Accade così che, quando sentiamo parlare di selezione naturale, tendiamo a ritenere che ci sia qualcuno o qualche cosa che, a forza di tentativi ed errori, trovi la soluzione che garantisce il miglior adattamento.
Molti esempi di attività biologica sono difficilmente leggibili secondo la logica umana, ma sono funzionali alla propagazione di specie Con l’intenzionalità tendiamo a cercare un progetto, una finalità, una serie concatenata di rapporti di causa ed effetto stabilita a priori; il segno di una direzione, l’indizio di uno scopo – perché quello che più ci disturba è la mancanza di senso. Si tratta di un disturbo profondo, che talvolta avvertiamo quasi fisicamente, e su cui la psicologia evolutiva sta facendo luce. Con Nati per credere, per esempio, Vittorio Girotto, Telmo Pievani e Gior- Marsupio Australiano, l’Antechino è forse l’animale con la più fervida attività sessuale del pianeta. (Vic patrickk) Anzeige I Azione I Kindergeburtstag I Italienisch I 605 x 220 mm I DU: 11.06.2018 I Erscheinung: 18.06.2018
gio Vallortigara avevano spiegato perché il nostro cervello sembra predisposto a fraintendere la teoria di Darwin. Gli autori avevano raccolto tutta una serie di indizi che depongono a favore dell’ipotesi che la nostra ricerca d’intenzionalità è un «tratto» che è stato selezionato dall’evoluzione stessa perché vantaggioso. Vale a dire che la nostra inclinazione, per esempio, a immaginare una causa per ogni rumore che sentiamo nel bosco sia un’attitudine che ha fatto sì che fossimo in grado di ipotizzare la presenza di prede o predatori, comportandoci di conseguenza. Questo atteggiamento predittivo è a tal segno a noi connaturato, che tendiamo a proiettarlo sulle altre specie. La raccolta di saggi di Matt Simon intitolata La vespa che fece il lavaggio del cervello al bruco, proprio perché intende illustrare «le più bizzarre soluzioni evolutive ai problemi della vita», mette alla prova la nostra capacità di evitare la trappola dell’intenzionalità proiettiva. E non è affatto semplice, sia perché alcune soluzioni sono così ingegnose, che facciamo davvero fatica a vederle come un meccanismo o un comportamento privo di un’attività pianificatrice simile a quella che orienta la nostra condotta, sia perché il linguaggio stesso si porta appresso un’implicita ipotesi di soggettività senziente.
Tendiamo ad attribuire «volontà» e «mente» anche alla più piccola creatura. (Static)
Prendiamo il caso, per esempio, di quella che Simon chiama «formica zombie». In realtà il protagonista non è tanto la formica carpentiere del genere Camponotus, quanto piuttosto il fungo Ophiocordyceps, che invade il cervello delle formiche e ne controlla la mente. L’ambiente è quello della foresta pluviale. Il fungo descritto da Simon si attacca all’esoscheletro della formica, nella quale penetra dopo aver fatto marcire la cuticola con i suoi enzimi. All’interno del corpo della formica, il fungo si riproduce a tale velocità, che dopo pochi giorni ne costituisce metà della massa. L’aspetto interessante è che il fungo – né vegetale, né animale e sicuramente non dotato di «mente» – produce neurotrasmettitori che influenzano la condotta della formica in modo tale da indurla a cospargere di spore altre formiche della colonia. Siccome per noi è difficile descrivere tutto questo senza usare parole e frasi che suggeriscono una qualche forma di intenzionalità, tendiamo a ritenere che il fungo abbia davvero una vo-
lontà e che la formica abbia davvero una mente. È quasi impossibile metterci nella prospettiva dell’evoluzione e accettare che l’interazione tra fungo e formica nel corso di milioni di anni abbia selezionato il «comportamento» del fungo senza che questi si sia attivamente impegnato a ottimizzare la sua tecnica riproduttiva, che cioè dal «setaccio della selezione» sia passata la pratica riproduttiva senza che nessuno abbia preso decisioni. Se ciò accade quando di mezzo c’è un fungo, figuriamoci quando i protagonisti sono una vespa e un bruco. Quando si studia – come ha fatto Matt Simon – il modo in cui la vespa Glyptopanteles s’impossessa della «mente» del bruco che ha parassitato, iniettandovi le sue uova, è quasi impossibile non vedere due menti antagoniste e in particolare non scorgere nella strategia della vespa un’azione pianificata in tutti i dettagli e non una sequenza di operazioni passate dal «setaccio della selezione» semplicemente perché più efficaci di altre
per favorire la riproduzione della vespa. Quest’ultima, infatti, scelto un bruco, vi pratica un foro, deponendovi fino a ottanta uova. Diventate larve, queste si nutrono dei fluidi corporei del bruco, che continua ad andare in giro a mangiare, sfamando con se stesso anche un’ottantina di larve, le quali – a un certo punto – rilasciano sostanze chimiche che paralizzano l’ospite, dal quale ne escono quasi tutte, una dopo l’altra, prendendosi tutto il tempo necessario per liberarsi dell’esoscheletro, che usano per tappare le ferite inferte al bruco. L’ultima larva rimasta dentro il bruco rilascia una sostanza chimica che manomette «il cervello dell’ospite, trasformando il bruco in una sorta di stupido ultraviolento che protegge il resto della nidiata» fuoriuscito prima. Anche quando il bruco esce dalla paralisi non si contrappone ai suoi parassiti, ma anzi, sotto il loro influsso, li difende strenuamente da ogni possibile predatore fintantoché, cresciuti, se ne vanno, lasciando perire il bruco. Se, inconsapevolmente, tendiamo a proiettare nel mondo animale intenzionalità e volontà di cui è del tutto privo perché ci risulta difficile non ritenere che vi sia almeno un barlume di soggettività quando l’argomento è il «controllo della mente», è con crescente imbarazzo che studiamo le pratiche sessuali degli animali – proprio quelle con cui Matt Simon ha aperto il suo libro, sapendo bene con quale disagio, in questo caso, è in noi all’opera l’inclinazione a identificarci anche nelle pratiche più «perverse». Come quella dell’Antechino, per esempio, un piccolo marsupio dell’Australia meridionale e centrale i cui maschi «fanno così tanto sesso, con così tante femmine e così frequentemente da finire tutti, uno dopo l’altro, morti stecchiti». Descritti da Simon, i maschi di Antechino, sembrano posseduti dal demone della copula: «Mentre vanno in giro
fornicando, i maschi incominciano a sanguinare internamente. Il loro sistema immunitario smette di funzionare e il pelo cade. Diventano perfino ciechi, verso la fine, ma neppure questo riesce a fermarli». Anche in questo caso, ci è difficile non immaginare in questa frenetica attività copulatoria sostenuta da
«una quantità enorme di testosterone» almeno un accenno di ricerca del piacere, invece si tratta di un comportamento selezionato per risolvere il problema di una stagione riproduttiva molto breve, troppo breve per non cercare di portare al massimo grado le possibilità riproduttive dell’Antechino.
La vespa Glyptopanteles e il bruco. (Ian Alexander) Annuncio pubblicitario
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Ambiente e Benessere
M Il meglio da due mondi
Alimentazione M igros vende soltanto mozzarella di bufala di provenienza italiana con garanzia svizzera
di benessere degli animali. Di ciò approfittano anche i produttori. Una visita in Provincia di Caserta, la patria del famoso latticino Kian Ramezani* A un primo sguardo probabilmente Mario Pietroluongo (43) non appare come un classico italiano del sud. Stile di guida tranquillo, niente caffè, inglese forbito. Il suo mestiere non può invece essere più tipico, legato alla mozzarella di bufala della Campania. Mario è responsabile delle esportazioni presso Fattorie Garofalo, il maggior produttore mondiale di mozzarella di bufala e una delle tre aziende della Provincia di Caserta, vicino a Napoli, che settimanalmente riforniscono Migros con questa fresca specialità. Oltre ai regolamenti dell’Unione europea, devono rispettare i rigidi standard svizzeri in materia di benessere degli animali. Migros li ha già introdotti per numerosi prodotti provenienti dall’estero, come è il caso della carne fresca di pollo e tacchino. «Per noi è stato un colpo di fortuna avere un cliente che mette in primo piano il benessere degli animali e che dà valore alla qualità e alla rintracciabilità del latte», spiega Mario, nella sede centrale dell’azienda a Capua. «Non è un semplice rapporto tra venditore e acquirente, bensì tra partner». A un quarto d’ora di auto verso nord si trova la fattoria modello Arianova, dove praticamente il latte di 500 bufale è destinato esclusivamente a Migros. Durante un giro Mario spiega le direttive Migros, come sono state implementate e cosa implicano per il bufalo d’acqua. Come se volessero dare ragione alle sue argomentazioni, i giganti gentili (500 chili) arrivano correndo. Vengono considerati animali decisamente curiosi. Per prima cosa Garofalo ha dovuto
installare le cosiddette spazzole wellness e da allora gli animali, che si prendono cura del proprio corpo, le utilizzano assiduamente. Anche i giacigli ricoperti di strame sono obbligatori, affinché gli animali non debbano vivere nella propria sporcizia, così come una regolare cura degli zoccoli, per prevenire le infezioni. Durante i caldi mesi estivi gli animali devono avere la possibilità di rinfrescarsi. Nelle sue stalle Garofalo ha installato degli sprinkler per l’acqua,
Rosa Schettino e Mario Pietroluongo di fronte al recinto dei bufali. (Colin Dutton)
Nella sua latteria a Capua, Fattorie Garofalo trasforma il latte di bufala in mozzarella. (Colin Dutton)
I vitelli trascorrono i primi due mesi negli igloo con contatto visivo. (Colin Dutton)
che si attivano automaticamente quando la temperatura raggiunge i 25 grandi all’ombra. «I bufali non amano il calore e per questo motivo in estate, durante il giorno, preferiscono restare in stalla. I cancelli della stalla sono sempre aperti e normalmente trascorrono la notte all’esterno», racconta Mario, che attiva manualmente l’impianto. Una sottile nuvola di acqua scende lentamente sui bufali e tutti vanno a dare un’occhiata, poiché, pur essendo una giornata di primavera, fa già molto caldo.
Le modifiche più impegnative riguardano in ogni caso i vitelli. Il sistema delle gabbie singole, molto utilizzato in Italia, in Svizzera è proibito. Nelle prime due settimane dopo la nascita, i giovani animali devono invece essere tenuti in gruppo su uno strato di paglia. L’eccezione è costituita da box singoli ricoperti di strame che permettono il contatto visivo con gli altri vitelli. La Protezione svizzera degli animali reputa l’allevamento in questi cosiddetti igloo equivalente a quello in gruppo. Nelle Fattorie Garofalo alla nascita i vitelli sono lasciati con le madri per due giorni, poi vengono trasferiti negli igloo. Dopo due mesi gli animali sono abbastanza forti per far parte di un gruppo, composto da cinque fino a sette animali. Il cambiamento ha sorpreso gli allevatori: «I vitelli crescono meglio, sono più sani e danno più latte». In Italia un grande problema legato all’allevamento convenzionale dei bufali è il destino dei vitelli maschi. Non producono latte e per questo motivo in alcune aziende vengono soppressi in modo illegale. Migros promuove la valorizzazione della carne dei bufali maschi. Carne e salumi vengono lavorati
direttamente in azienda da Fattorie Garofalo. «Purtroppo la carne di bufalo non è molto conosciuta dai consumatori, malgrado abbia eccellenti qualità, come un contenuto alto di ferro e basso di grassi». È appena venuto al mondo un «bufalino», un bufalo maschio, che sta cercando per la prima volta di mettersi sulle proprie zampe. «Tipico dei maschi: senza aiuto non ce la fa», ride la veterinaria Rosa Schettino (40). Più tardi, nella sala mungitura, controlla le mammelle di una bufala. Questo è il regno di Gurmit e Prabjit, due collaboratori indiani. Loro, e solo loro, sono responsabili della mungitura. «Per i bufali è molto importante, perché instaurano una relazione stretta con le persone», conclude Rosa Schettino. Durante la mungitura lo stress è assolutamente da evitare. Prima di congedarci, un’ultima domanda: come è meglio mangiare la mozzarella di bufala? «Ognuno come vuole», ribatte Mario. «Qui a Caserta la mangiamo liscia, senza sale e pepe, a temperatura ambiente».
ma e l’ultima cifra del prodotto risultante. – Mostrate al pubblico il numero che appare sulla vostra striscia e fate notare
che coincide esattamente con il risultato della moltiplicazione effettuata dallo spettatore, meritandovi un applauso di vivo stupore.
* Redattore di «Migros Magazin»
Magia ciclica con i numeri Giochi Una curiosa proprietà matematica che si presta... ai prestigiatori Ennio Peres Il numero 142857, che coincide con il periodo generato dall’inverso del numero 7 (1/7 = 0,142857), è molto noto tra i cultori di matematica ricreativa per le sue proprietà singolari. In particolare, se viene moltiplicato per un valore compreso tra 1 e 6, genera un numero composto dalle medesime cifre, disposte ciclicamente nello stesso ordine: 1x142857 = 142857 2x142857 = 285714 3x142857 = 428571 4x142857 = 571428 5x142857 = 714285 6x142857 = 857142 Le caratteristiche di questo numero si prestano alla confezione di alcuni divertenti giochi di magia matematica, come quello illustrato nel seguito.
Modalità di esecuzione
– Scrivete all’interno di una striscia di carta il numero 142857, distanziando una cifra dall’altra (compresa l’ultima e la prima) con la medesima spaziatura. – Incollate le estremità di questo striscia; schiacciate leggermente l’anello che si è venuto così a formare e ponetelo all’interno di un cappello o di un sacchetto. – Annunciate che, grazie ai vostri poteri magici, all’interno di quell’anello avete potuto scrivere il risultato che scaturirà, dopo un paio di operazioni assolutamente casuali. – Chiedete ai vostri spettatori di pensare a un numero dispari, compreso tra 1 e 10 e di dirlo ad alta voce; statisticamente, la maggior parte di loro sceglierà il numero 7 (se, malauguratamente, ciò non dovesse avvenire, dovete rapi-
damente escogitare un altro valido criterio, per forzare il numero 7...). – Aiutandovi con una calcolatrice elettronica, determinate l’inverso del numero che è stato scelto spontaneamente dal pubblico (di fatto, dovete calcolare: 1/7); trascrivete, poi, su un foglio le prime sei cifre dello sviluppo decimale ottenuto (in pratica, dovete scrivere: 142857). – Porgete allo spettatore un comune dado a sei facce e chiedetegli di lanciarlo; invitatelo, poi, a moltiplicare il valore così ottenuto, per numero che avevate scritto prima sul foglio – Siccome i punti di un dado sono compresi tra 1 e 6, il risultato di questa moltiplicazione sarà sicuramente un numero composto dalle cifre 1, 4, 2, 8, 5, 7, disposte in maniera ciclica. – Recuperate il vostro anello di carta e strappatelo nel punto che separa la pri-
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Ambiente e Benessere Molti rifiuti plastici si depositano sui fondali marini. (Franco Banfi)
Plastiche in alto mare
Ecologia Come degradano le sostanze inquinanti, in particolare le plastiche non biodegradabili, dannose
per gli animali e al tempo stesso insostituibili in biomedicina, elettronica, industria alimentare? – Seconda puntata Sabrina Belloni Nel precedente articolo (v. «Azione 22» del 28 maggio) abbiamo illustrato come le plastiche siano oggi tipicamente composte da polimeri derivati dagli idrocarburi, sintetizzati artificialmente con additivi, e non sono disponibili in natura nella loro composizione finale, pertanto non sono biodegradabili, e di conseguenza determinano danni all’ambiente di proporzioni non valutabili. Nel Mediterraneo, secondo i dati diffusi da una ricerca condotta dall’Istituto di Scienze Marine del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Genova (ISMAR) e dall’Università Politecnica delle Marche (UNIVPM), la quasi totalità dei rifiuti galleggianti sarebbe composto da materie plastiche, considerando che altre tipologie di rifiuti affondano velocemente e pertanto non sono stati monitorati. Ma anche le plastiche, dopo un enorme periodo in superficie, degradano e migrano verso i fondali; alcuni frammenti sono stati ritrovati anche a oltre tremila metri di profondità. La maggior parte dei componenti plastici riversati in mare sono prevalentemente i rifiuti della nostra vita quotidiana che si trasformano in micro-plastiche e sono praticamente invisibili a occhio nudo, anche quando galleggiano sulla superficie. Si tratta di microframmenti, inferiori ai 5 mm, che spesso compongono cosmetici e i prodotti per l’igiene personale (den-
tifrici, creme esfolianti, ecc.), residui della degradazione di bottiglie, buste, imballaggi, oppure microfibre che si staccano dai tessuti sintetici quando vengono lavati o dalle reti da pesca, incluse le migliaia abbandonate sui fondali. Le microplastiche sono in grado di passare attraverso gli impianti di trattamento delle acque reflue e di accumularsi sulle coste, fino a penetrare negli ecosistemi marini. In generale, le plastiche presentano una densità inferiore a quella dell’acqua di mare, ed è per questo motivo che galleggiano in superficie. Solo in seguito alle interazioni con organismi, come la creazione di microfilm intorno ai singoli frammenti o l’insediamento di organismi bentonici sui rifiuti più grandi, questi materiali possono affondare. E qual è l’impatto delle microplastiche sugli ecosistemi marini? Queste microscopiche particelle mantengono per moltissimi anni le loro caratteristiche originarie: la resistenza all’alterazione chimica e meccanica, agli urti, agli agenti atmosferici, e pertanto sono un inquinante che rappresenta un serio rischio non solo per la fauna e la flora marine, ma anche per la salute umana. Esse infatti sono ormai tristemente un componente della catena alimentare ittica, dal plancton ai pesci più piccoli, risalendo sino ai pesci predatori di notevole interesse economico nella filiera dell’industria ittica. Però di plancton e piccolissimi animali si nutrono anche alcuni mammiferi marini,
Sacchetti soffocano la vegetazione marina. (Franco Banfi)
i misticeti (le balene con i fanoni), e i pesci filtratori (mobule e squali balena). Altri cetacei (gli odontoceti) e alcuni pesci predatori invece si nutrono erroneamente delle buste di plastica, scambiandole per meduse e cefalopodi che fanno parte della loro dieta naturale. Le reti di nylon (per la pesca) e di altro materiale plastico creano barriere invisibili in cui gli animali marini restano avviluppati e muoiono per soffocamento. Le plastiche galleggianti in cui restano impigliate le tartarughe non consentono loro di nuotare verso i fondali, cosicché esse muoiono per l’elevata temperatura che raggiungono, oltre che per fame. Alcune recenti ricerche stanno analizzando l’impatto che la pellicola di microplastiche che galleggia sulla superficie sta determinando sull’ossigenazione della colonna d’acqua, e pertanto sull’esistenza del fitoplancton, delle alghe, delle piante acquatiche e di tutti gli organismi marini che se ne cibano. Molte ricerche sono in avanzata fase di approfondimento, pertanto i risultati finora ottenuti non sono definitivi. Ai nostri giorni si sta facendo comunque molto in tema di informazione e di limitazione dell’inquinamento. In Europa si registra una crescente consapevolezza riguardo alla necessità di intensificare gli sforzi per usare, riutilizzare e conservare le preziose materie plastiche. Verso la fine del 2015, la Commissione Europea ha adottato un nuovo e ambizioso pacchetto di economia circolare (Circular Economy
Package – CEP), che dovrebbe «costituire l’anello mancante nel ciclo di vita dei prodotti attraverso un maggior ricorso al riciclaggio e al riutilizzo, a beneficio sia dell’ambiente che dell’economia». Si è constatato infatti che meno del 25 per cento dei rifiuti di plastica raccolti viene riciclato e circa il 50 per cento finisce negli impianti inceneritori, dove brucia insieme alla spazzatura, anziché essere avviato alle ditte specializzate nel riciclaggio di questi materiali, che potrebbero essere utilizzati come risorse. (Nel caso di Migros la strategia di recupero delle plastiche è spiegata alla pagina https://generation-m.migros.ch/it/vivere-in-modo-sostenibile/ grafici/riciclaggio-plastica.html). L’allarme legato alle microplastiche è aumentato notevolmente anche grazie agli studi che si stanno svolgendo a livello comunitario in seguito al recepimento della Marine Strategy Framework Directive (MSFD, 2011). Il progresso nella comprensione delle correlazioni esistenti tra i processi naturali e la struttura e proprietà dei polimeri ha inoltre determinato lo sviluppo di nuovi materiali con le proprietà e l’usabilità della plastica, ma biodegradabili. Molti ricercatori di diversi paesi stanno brevettando nuove tecnologie, procedimenti, materiali e attrezzature di vario genere per trovare soluzioni ai danni ormai creati dall’inquinamento. E alcuni di questi brevetti sono ormai realtà, che generano interessi e business. Come ad esempio i polimeri gre-
Reti abbandonate dai pescherecci. (Franco Banfi)
en che degradano in 70 giorni scoperti dalla società bolognese Bio-On, i quali sono generati da alcuni batteri alimentati da scarti dell’industria agricola. Oppure le buste della spesa realizzati con il Mater-Bi, un materiale di origine vegetale che deve essere smaltito come compost insieme ai rifiuti umidi. Pertanto si decompone correttamente se sottoposto al corretto processo di smaltimento; mentre impiega oltre un anno a scomparire se invece viene abbandonato in mare o nell’ambiente. O l’innovativo sistema per realizzare un policarbonato ecologico usando il limonene, l’idrocarburo aromatico responsabile del profumo che sprigionano gli agrumi, estratto dalle bucce, e che oggi viene venduto all’industria dei profumi. Alcuni ricercatori della Portsmouth University del Regno Unito e del National Renewable Energy Laboratory del dipartimento dell’Energia negli USA hanno creato un enzima che riesce a «mangiare» i rifiuti di plastica; i giapponesi hanno isolato un batterio in grado di disgregare il Pet; nel 2016 l’italiana Federica Bertoccini scoprì casualmente una tarma mangia plastica, la Galleria mellonella. Queste ricerche sono in fase molto avanzata e fanno ben sperare per il futuro. Oggi non sono praticabili poiché le scorie sono tossiche. In tutto il mondo si stanno moltiplicando iniziative che coinvolgono scuole, comunità e mass media per ampliare la conoscenza delle popolazioni sulle possibilità attuali per limitare l’inquinamento e, con la buona volontà personale, anche per ridurlo e migliorare la salute del nostro pianeta (si veda la pagina: https://generation-m.migros. ch/it/vivere-in-modo-sostenibile/guida-al-riciclaggio-migros.html). È essenziale migliorare il nostro comportamento e cambiare le abitudini, cominciando dalle cose più semplici che – se moltiplicate sul numero delle persone sensibili – diventano dei passi essenziali: utilizzare borse per la spesa riutilizzabili e bottiglie riciclabili; acquistare i refill del latte, dei detersivi e detergenti vari, oppure nelle buste salva spazio; utilizzare prevalentemente oggetti prodotti con materiale facilmente recuperabile. Nel prossimo articolo spiegheremo come si sono formate le isole di plastica (i gyres) negli oceani e perché.
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Ambiente e Benessere
Jobbymoon!
La bella via ferrata del Gottardo
Viaggiatori d’Occidente A spasso tra nuovi stili di viaggio dai nomi misteriosi
Bussole I nviti a
letture per viaggiare
Claudio Visentin Tutto è cominciato con un divertente infortunio giornalistico. Lo stimato quotidiano britannico «Guardian» – riprendendo un articolo dell’ancor più prestigioso «New York Times» – ha postato su Twitter: «Would you like a Jobbymoon?». Gli scozzesi sono sobbalzati sulla sedia e hanno subito risposto divertiti, dal momento che nello slang scozzese Jobby vuol dire… «merda» (e in effetti vacanze così presto o tardi le abbiamo sperimentate tutti). L’intenzione dei due giornali però era molto più seria. Jobbymoon infatti è un nuovo stile di viaggio: in estrema sintesi, potremmo definirlo un periodo di vacanza tra due lavori diversi. È la situazione opposta a quando si cerca di approfittare di un viaggio di lavoro per fare anche un poco di turismo: parliamo allora di Bleisure (Business + Leisure) o Bizcation (Business + Vacation), anch’essi due stili di viaggio in forte crescita. Jobbymoon invece assomiglia piuttosto a un’altra nuova tendenza, Babymoon, ovvero la vacanza di una coppia prima della nascita del loro primo bambino, tra terme e confortevoli resort, per giungere carichi e riposati al grande appuntamento di una nuova vita. Negli Stati Uniti questi viaggiatori sono già milioni e anche in Italia la moda del viaggio prenatale comincia ad affermarsi: «The last hurrah» – come dicono gli americani – prima di pappe, pannolini e sveglie notturne. Del resto per molti la convivenza rinnova il suo significato quando si decide di avere un figlio e da questo punto di vista Babymoon ha un poco scalzato la tradizionale «Luna di miele» (Honeymoon), sempre meno rito di passaggio e sempre più vacanza come tante. Naturalmente ciascun Jobbymoon è diverso dagli altri. Per esempio è evidente la differenza tra chi ha scelto di cambiare lavoro e chi ha subito un licenziamento. Ma in ogni caso si guarda in due direzioni, passato e futuro. Da un lato si cerca di mettere ordine nei ricordi della precedente esperienza lavorativa, prendere del tempo per chiudere ordinatamente una fase della propria vita, fare un bilancio onesto
«La ferrovia del San Gottardo, inaugurata nel 1882, è una delle vie panoramiche più apprezzate al mondo. Fuori dai finestrini dei treni che la percorrono scorrono paesaggi mozzafiato che raccontano il passaggio dal sud al nord dell’Europa (e ritorno)…».
Jobbymoon è un nuovo stile di viaggio: un periodo di vacanza tra due lavori diversi. (David Yusta Pérez)
dei propri risultati, scegliere quali colleghi vogliamo continuare a frequentare e così via. Dall’altro lato questa esperienza serve a scrutare il proprio futuro approfittando del distacco derivante dall’essere tra stranieri, in luoghi lontani, dove possiamo mettere meglio a fuoco progetti e aspettative. Sul piano fisico è anche un’occasione per ricaricare le energie e giungere riposati al nuovo impegno. Visto da fuori, Jobbymoon è difficilmente distinguibile da una vacanza e tuttavia lo scopo di questo viaggio non è tanto distrarsi, aprire una parentesi tra due impieghi che non ci piacciono, quanto piuttosto stabilire un rapporto migliore con il lavoro. Qualcuno parte prima di cominciare la ricerca del nuovo posto, chi invece ha già deciso il proprio futuro può posticipare la data di ingresso in servizio quando discute i termini dell’assunzione e prendersi un periodo sabbatico. In qualche caso anche aziende costrette a licenziare parte del loro personale hanno inserito l’esperienza del viaggio
nel percorso di accompagnamento in uscita dei dipendenti. Per molti è importante anche una scelta di Digital Detox (un altro stile di viaggio in crescita, sempre più presente nei cataloghi dei Tour Operator), cioè un viaggio disconnesso, per limitare la dipendenza dallo smartphone, ridurre la propensione a continue distrazioni e ristabilire un contatto con il mondo e le persone intorno a noi. Del resto, in questo caso specifico, i vecchi clienti non hanno più ragioni per contattarci e i nuovi non ci sono ancora… Ancora qualche anno fa la stessa idea di Jobbymoon poteva sembrare una stranezza, perché molte persone facevano lo stesso lavoro per tutta la vita, come al tempo dei nostri padri. Ma già per i Millennial (le persone nate tra gli anni Ottanta e il Duemila) cambiare lavoro è normale. Secondo una ricerca di Linkedin, nel 2016 i Millennial hanno cambiato lavoro 2,2 volte più spesso delle altre fasce d’età, di solito migliorando la propria posizione. I più frequenti cambi di lavoro poi cre-
ano regolarmente interstizi che si possono riempire viaggiando. Qualche voce critica ha osservato giustamente che Jobbymoon potrebbe non essere alla portata di tutti, per esempio se avete figli o anziani a carico, mutui da pagare ecc. Se non ci fosse il week end di mezzo, probabilmente qualcuno passerebbe dal vecchio al nuovo lavoro senza neppure un giorno di pausa. Ma è anche vero che questa scelta non richiede necessariamente lunghi soggiorni in terre esotiche. Al limite si potrebbero combinare Jobbymoon e Staycation (questa è davvero l’ultima sigla per oggi, promesso), ovvero un periodo trascorso a casa ma con lo spirito della vacanza: si fissano per tempo le date sull’agenda e, anche se la sera si dorme nel proprio letto, durante il giorno si fa sport, si visitano giardini, musei, festival, parchi a tema e altre attrazioni vicine, si va al ristorante più spesso, eccetera, insomma ci si comporta come dei perfetti vacanzieri. E in questo caso anche gli scozzesi non avrebbero nulla da obiettare…
Era la fine del 2016, poco prima dell’apertura della galleria di base di AlpTransit, e gli ultimi treni percorrevano la linea storica del Gottardo. Proprio mentre la ferrovia si preparava a inabissarsi nella profondità della montagna, il fotografo Adriano Heitmann pensò di scattare settantotto foto aeree, sfruttando le nuove possibilità offerte dai droni. Ne è scaturito un bel volume, curato, di piacevole formato, rivolto a lettori diversi: appassionati di viaggi, treni, storia, architettura, paesaggio… Il particolare punto di vista del drone mostra bene come il Ticino sia un territorio attraversato e segnato dalle vie di comunicazione – il fiume, la strada cantonale, l’autostrada, la ferrovia appunto – che nei passaggi più stretti s’intrecciano le une alle altre come serpenti. E tuttavia, se confrontato con la pesantezza invasiva del cemento autostradale, il percorso storico del treno mostra la grazia e la leggerezza delle soluzioni adottate dai costruttori, dalle rampe d’accesso sino alle gallerie elicoidali per guadagnare quota. Il piacere della lettura è tuttavia disturbato da qualche inquietudine quando si volge lo sguardo al futuro di questa linea storica. Ora che non ha più un’utilità immediata, ne cogliamo ancora più chiaramente la bellezza; infatti già si propongono treni speciali per viaggiatori e turisti, in aggiunta al traffico locale. E tuttavia i guadagni di queste attività non si vede come potranno coprire i costi di mantenimento di un’opera d’ingegneria che a suo tempo destò la meraviglia di tutta Europa. Bibliografia
Adriano Heitmann, Panorama Gottardo. La ferrovia di montagna, Edizioni Casagrande, 2018, pp. 190, € 32.–. Annuncio pubblicitario
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Fare la cosa giusta
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Quando la povertà mostra il suo volto Per saperne di più su Yohannes: www.farelacosagiusta.caritas.ch
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 25 giugno 2018 • N. 26
Ambiente e Benessere
Filetti di luccioperca su insalata di anguria e cetrioli
Migusto La ricetta della settimana
Piatto unico Ingredienti per 4 persone: 4 filetti di lucioperca di ca. 150 g ciascuno · 400 g d’anguria pesata mondata · 2 cetrioli nostrani di 200 g ciascuno · 1 cipolla rossa · 6 cucchiai d’olio di colza · 1 cucchiaio di miele liquido · 3 cucchiai d’aceto balsamico bianco · sale · ½ cucchiaino di curry dolce · 2 cucchiai di pepe rosa in grani · ½ mazzetto di coriandolo.
migusto.migros.ch/it/ricette Per diventare membro di Migusto non ci sono tasse d’iscrizione. Chiunque può farne parte, a condizione che un membro della sua famiglia possieda una Carta Cumulus.
Tagliate l’anguria e i cetrioli in bocconcini, la cipolla a fettine sottili. Mescolate la metà dell’olio con il miele e l’aceto. Condite con sale e curry e versate il condimento sull’insalata di cetrioli e anguria. Pestate grossolanamente il pepe rosa e spargetelo sui filetti di pesce con il sale. Scaldate l’olio in un tegame antiaderente e rosolatevi i filetti da entrambi i lati per ca. 4 minuti. Servite i filetti di luccioperca con l’insalata di anguria e cetrioli. Guarnite con le foglie di coriandolo e servite. Preparazione: circa 30 minuti. Per persona: circa 30 g di proteine, 16 g di grassi, 17 g di carboidrati, 350 kcal/1450 kJ.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 25 giugno 2018 • N. 26
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Giochi per “Azione” -Ambiente Giugno 2018 e Benessere Stefania Sargentini
Dall’immobilità al cammino (N. 21 - “Delle patate con il salame”)
1 2 Franco 3 Cardini 4 5 Il seme nel cassetto G li storici e 6Massimo Miglio hanno studiato il rapporto
C A P O D A N N O
che lega il giardino alla cultura medievale 7 8 9
Laura Di Corcia
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Leggendo le pagine e scorrendo i meravigliosi disegni che compongono Nostalgia del paradiso. Il giardino medievale scritto dagli storici Franco Cardini e Massimo Miglio, il rapporto che lega il giardino alla cultura – uno dei punti cardine di questa rubrica, sul quale abbiamo insistito nel corso di tante recensioni – si esplicita ancora meglio. In effetti il giardino, come spiegano gli autori, riflette non solo la complessa vicenda storica del nostro Medioevo europeo, ma anche il rapporto tra messaggio filosofico e teologico ed esperienza botanica e naturalistica.
Prima Hortus conclusus della tradizione monacale, poi simbolo del percorso interiore di perfezionamento Il titolo rimanda alla concezione medievale del giardino, che, mutuando il tema della primavera perenne così com’era stato posto dai classici, Omero in primis, aggiunge elementi tipici della speculazione cristiana. È il pensiero monastico a farsi protagonista di questa operazione di traduzione culturale, esplicitandolo nel famoso hortus conclusus, posto al centro del monastero e ricco di erbe medicinali. La visione della natura è ambivalente: da una parte essa è corrotta in seguito al peccato originale e alla conseguente caduta adamitica, dall’altra
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un gruppo di giovani donne e giovani uomini si rinchiude in un giardino per provare a ricostruire dopo la terribile pagina della peste. Nella cultura rinascimentale il giardino è visto come un percorso iniziatico e quasi esoterico attraverso il quale conoscere meglio se stessi. Dall’immobilità dell’hortus conclusus dei monasteri al giardino inteso come cammino: questo l’iter del giardino nel Medioevo, epoca che ha avuto una nel5delineare 9 grande importanza 4 gli aspetti culturali e filosofici del tema. Un questo 3 libro7erudito e ricchissimo, 9 6 di Franco Cardini e Massimo Miglio, che ci fa riflettere sul legame che esiste fra giardino e visione del mondo.7 Del resto, la parola stessa «cultura», deriva da «coleo», 5 coltivare. 3
(N. 22 - Nome proprio di luogo geogra co) 1
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Piccolo giardino del Paradiso di Upper Rhenish Mast.
N O M I SUDOKU N E PER N. 21AFACILE P I S R O P R Schema O I O R 6 P A M O D I vera e propria città-giardino descritta in molta letteratura nei suoi caratteri di L Ae rigogliosità. U RUn1paradiA C A L E B abbondanza so terrestre, che pone le basi per il giar5 3T O G A dino O cortese,R luogoG di incontri amorosi E I e poetici ma anche di discussioni letterario-filosofiche, luogo incantato al cui 6E R I N I Ela rosa, Oche8è la Madonna G centroL si pone del Contrasto di Cielo d’Alcamo, il pri1 Bibliografia e Massimo Miglio, mo testo storia NFranco Cardini A – secondo N taluni –Fdella9A A D D I Nostalgia del paradiso. Il giardino letteraria italiana. 3 7 della5 medievale. Laterza, 1 202 pag., 25 euro. 4 Per rimanere nell’ambito A C C I S A A I O letteratura italiana, nella Divina Com-
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però offre all’uomo i rimedi, i frutti 14 tutte 15 le mancanze 16 atti a13colmare e le imperfezioni. Se si mangeranno i frutti dell’hortus, parola latina che si traduce19 18 con «paradiso», non si avrà più fame, sete, si sentirà di meno la fatica e si po20 21 tranno guarire molte malattie. «L’albero della vita – recita il libro – darà a chi se ne23 nutre la virtù di non24invecchiare, di non ammalarsi, di non morire mai: l’orto monastico annulla quindi tutte 27 le conseguenze del primo peccato». Attraverso la Spagna e la Sicilia
giunge in Europa la raffinata cultu17 ra musulmana, molto attenta al tema dei giardini, si pensi solo ai giardini pensili di Babilonia e alle stupefacenti bellezze descritte nel Milione di Marco Polo. Per il suo tramite il giardino si laicizza e s’addolcisce, 22 accogliendo al suo interno i fiori e i frutti e gli alberi 25 26 del Mediterraneo. In questo momento storico, dove avviene una sorta di riconciliazione con 28 la natura anche a opera degli scritti di Francesco d’Assisi, cresce di importanza Palermo, una
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Vinci una delle 3 carte regalo da 50 franchi4con il cruciverba 9 (N. 23 - Duecentosettanta gradi sottoregalo zero)da 50 franchi con il sudoku e una delle 2 carte 1 3 2 1
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U N T 5O S 3E T A 6 T E N T 9 V A 5N 1E T A I O N I 2O R I N 5 G8 Giochi per “Azione” - Giugno 2018 RStefania Sargentini B E A 9 D E N2 T E 3 7 5 I E R I S O C A N D E L E 7 4 8 ATL R A E R E A T O T P A S T A7 1 2 3 OTT O I T E ZC E L T D I T O N I C8 O L A 6 SS S AO O T I A C A R O IL O Scoprire i 3 numeri corretti da inserire nelle caselle colorate.
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Sudoku D U O N. M 22 OMEDIO T E C H E
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4 N C A R C A O R A N U O R A L A S E R 26. Al centro all’uditorio 18. Disposto verticalmente 31 32 SUDOKU 27. Tenda in tedesco 20. Colto, erudito Soluzione precedente O R Mdella E settimana C A PER T EAZIONE N E - GIUGNO 2018 28. Ambiente cimiteriale 22. Altro nome di Cupido IL SIGNIFICATO DELLE PAROLE – Significato della parola «toponimo»: N. 21 FACILE VERTICALI 23.-Sono infiniti nel Creato NOME PROPRIO DI LUOGO GEOGRAFICO. (N. 22 Nome proprio di luogo geogra co) Schema Soluzione 1 2 3 4 5 6 7 8 9 1. Un numero 25. Fiume della Catalogna 2 5 1 1 2 3 4 5 2. Era un popolo di guerrieri 27. Centro della Tanzania 6 2 7 9 8 4 3 6 9 4 O M 5 I N E N 6 7 8 3. Un mese 10 11 41 1 8 3 7 5 9 1 3 7 A 9 P 7I 6S R O 4. Le separa la «n» 9 10 I vincitori 9 5 3 6 1 2 4 5 3 7 P R O I O R 5. Un ufficiale abbreviato 11 12 9 12 13 14 8 8 4 65 7 8 5 3 1 6 5 3 6. Una via per onde elettromagnetiche... M O D I P A 13 14 15 16 17 Vincitori del concorso Cruciverba 7. Fanno le arcate con arte 2 9 1 8 4 6 7 9 1 U R A L A C A L E B 8 7 su «Azione 24», 8. Piano palazzo a Parigi 18 19 dell’11.06.2018 15di un 16 17 3 7 5 2 9 1 8 3 O 7 R 5 G E 1 T O G 4 A I 10. Satellite minore di Nettuno I. Bernaschina, G. Garatti, N. Bonelli 20 21 22 7 3 24 4 6 6 8 95 7 3 8 E 1 L 2E O G R I N I Vincitori del concorso Sudoku 12. Lo dà il mossiere 23 24 25 18Tessuto 19 13. Tessuto Non su «Azione 24», dell’11.06.2018 26 20 1 8 4 5 2 9 6 4 3 A N F 9A N A D D I 15. Preposizione articolata 27 E. Raspanti, J. Favre 28 5 6 99 1 3 7 2 1 C 3 I 2 A C S 1A A I O 17. La domenica su Rai uno 23
Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch
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ORIZZONTALI 1. La chiesa principale 5. Vetrine per preziosi 9. Prescelto da Dio 10. Una fibra tessile 11. Gli abitanti dell’universo immaginario di Arda 12. Frivole, vacue 13. Sono in fin di vita 14. Mare del Mediterraneo 16. Un quadrato con le corde 19. Beatrice per gli amici 20. Ha una corona ma non è re 21. Un giorno 23. Due volte in sospeso 24. Sei volte in diciotto 25. Quantità imprecisata
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Giochi Cruciverba Qual è la temperatura nello spazio privo di stelle? Potrai scoprirlo risolvendo il cruciverba e leggendo le lettere evidenziate. (Frase: 16, 5, 5, 4)
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A N D E L E L A R E A di Dante il tema del giardino A S T Amedia emerge come simbolo di un percorso di perfezionamento umano e teologico, se T I T E è veroCche l’uomo si perde in una selva oscura e intraprende un cammino che porta I T O Nloe alla I finoCai giardini O delLPurgatorio A visione dei santi paradisiaca, che profila agli occhi del poeta nei terO S T Isimini C Odunque L di di unaA rosa. «In forma candida rosa / mi si mostrava la miliCristo C A R Czia santa A / che nelOsuo sangue R A fece sposa», spiega il poeta, autore di può rientrare U O R A un’altra L opera A cheS E Rnella nostra trattazione, quel Fiore sulla cui ben pochi R M E Cpaternità ANelsussistono T EormaiN E dubbi. Decamerone di Boccaccio
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N.scalzo) 23 DIFFICILE (N. 23 - Chi semina spine deve ricordare di non stare
A N C H I S E M 5 1 I 2 6 M A R I S A P 8I 7 N 97 2 E E D A N E T3 5 N U D E M A R R61 49 O C O R O S S A74338 21 22 23 N. 22 MEDIO A C R è possibile E Sun pagamento S Ain contantiV I premi, cinque carte regalo Migros Partecipazione online: inserire la luzione, corredata da nome, cognome, (N. 23 Duecentosettanta gradi sotto zero) 5 3 6 5 7 8 3 2saranno 4 6 avvertiti 9 1 24 di 50 franchi, saranno sor25 o del sudoku 26 del valore soluzione del cruciverba indirizzo, email del partecipante deve dei premi. I vincitori 5 1 D teggiati tra i partecipanti che avranno nell’apposito formulario pubblicato 9 essere spedita a «Redazione Azione, per iscritto. Il nome dei vincitori 9 3 6 5 1 8 7 2 sarà 4 I 6TI E PC H8IE 5N T 1 O 4 N D U O C.P. M O6315, 6901 fatto pervenire la soluzione corretta sulla pagina del sito. Concorsi, Lugano». pubblicato su «Azione». Partecipazione 2 5 8 4 1 2 9 6 7 3 5 8 27 28 29 entro il venerdì seguente la pubblica- Partecipazione postale: la lettera o U NonNsi T intratterrà corrispondenza sui T riservata esclusivamente a lettori che O S E T A 9 Le vie legali 6in Svizzera. 98 4 3 3 T 1 2 E 7 5 A I 2sono Oescluse. Non O risiedono N8 O zione del gioco. la cartolina postale che riporti la so- concorsi. E N T V A N E T A 1
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 25 giugno 2018 • N. 26
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Politica e Economia Emergenza immigrazione La tolleranza zero di Donald Trump sugli immigrati clandestini ha subito la sua prima disfatta a El Paso pagina 24
Promesse disattese in Russia Il premier russo Dmitry Medvedev presenta la riforma delle pensioni sviluppata senza Putin: un duro colpo per la società
La lezione di Oxfam Dopo lo scandalo a sfondo sessuale che ha coinvolto la Ong britannica ad Haiti, si punta sulla prevenzione
Zurigo e Ginevra le più care L’annuale studio dell’UBS pone le due città svizzere in cima alla classifica mondiale
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L’Alto Commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite a Ginevra Zeid Raad Al Hussein. (AFP)
Bomba diplomatica sul Kashmir
Diritti umani L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite pubblica il primo, duro rapporto contro New Delhi
sul territorio suddiviso tra India e Pakistan. Che ribatte: «Sono affermazioni false e tendenziose»
Francesca Marino Si intitola: «Rapporto sulla situazione dei diritti umani in Kashmir: accadimenti nello Stato indiano di Jammu & Kashmir da giugno 2016 ad aprile 2018, e preoccupazioni di carattere generale sui diritti umani in Azad Jammu & Kashmir e Gilgit Baltistan». Quarantanove pagine stilate dall’Alto Commissariato per la Commissione dei diritti umani delle Nazioni Unite, quarantanove pagine che, fin dal titolo, sono detonate come una bomba tra India e Pakistan. Si tratta del primo rapporto mai redatto sull’argomento da un’organizzazione internazionale, una vera e propria bomba politica e diplomatica suscettibile per molte ragioni di peggiorare i rapporti già tesi tra i due Stati confinanti. Per capire perché, bisogna rifarsi a un po’ di storia recente. La cosiddetta «questione del Kashmir» risale al 1947, all’epoca della Partition. Quando un maharaja induista, che deteneva il potere su tutto il territorio kashmiri a maggioranza musulmano, decise per l’annessione dello Stato
all’Unione indiana. Immediatamente, un contingente di truppe pakistane attraversò il confine con l’intento di annettere con la forza il territorio al neonato Stato islamico. Scoppiava così il primo conflitto indo-pakistano per la sovranità sul territorio del Kashmir, e si apriva uno dei conflitti più sanguinosi e duraturi della storia. Il cessate il fuoco imposto dalle Nazioni Unite nel 1948 riusciva a far cessare il primo conflitto imponendo la Line of Control, ordinando al Pakistan di ritirare le truppe dalle zone che aveva occupato e all’India di indire un referendum di autodeterminazione. Il Pakistan non si ritirava dalle posizioni conquistate e si annetteva invece anche i distretti del Gilgit e del Baltistan creando così il cosiddetto «Azad Kashmir». E l’India, di conseguenza, si rifiutava di indire il plebiscito. Da allora, per il Kashmir le due nazioni hanno combattuto tre guerre più il cosiddetto «conflitto di Kargil», e Srinagar e dintorni sono diventate terreno permanente di guerriglia e di scontri. Da allora, il Kashmir è di fatto un ter-
ritorio occupato in permanenza da decine di migliaia di truppe indiane, nonché sede privilegiata di organizzazioni jihadi finanziate e manovrate dall’ISI pakistana. Islamabad si batte da anni per internazionalizzare la questione, chiedendo una mediazione delle Nazioni Unite. L’India ribatte che lo Stato di Jammu e Kashmir è parte integrante dell’Unione e che quindi non si tratta di una questione internazionale. Perciò l’esistenza stessa del rapporto è stata percepita da New Delhi come violazione della sua sovranità territoriale e come vittoria politicodiplomatica di Islamabad. Non solo: il rapporto, dichiaratamente basato su «osservazione a distanza» e non su fonti imparziali e indipendenti, si focalizza quasi esclusivamente sulle violazioni commesse dalle forze armate indiane, violazioni che di certo esistono, ma omette quasi del tutto di citare gruppi terroristici di matrice pakistana come la Lashkar-i-Toiba che operano nella regione. I dati relativi alla parte pakistana del Kashmir, sigillata da anni a ogni osservazione indipendente,
praticamente non esistono. Perdipiù l’Alto Commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite a Ginevra Zeid Raad Al Hussein, presentando il rapporto, ha dichiarato che domanderà: «alla Commissione per i diritti umani di considerare la formazione di una commissione internazionale di investigatori indipendenti sulle violazioni dei diritti umani in Kashmir» e ha auspicato una soluzione politica alla disputa. Peccato soltanto che ogni volta che un premier o presidente pakistano ha cercato in qualche modo di risolvere politicamente la faccenda, a cominciare da Musharraf, è stato attaccato dai suoi concittadini di simpatie jihadi e da vari gruppi estremisti. Le violazioni dei diritti umani a Srinagar e dintorni sono figlie certamente di una miope politica di New Delhi, che va avanti da anni, e dal circolo vizioso di violenza e repressione innescato dai gruppi jihadi manovrati da oltre confine nonché da politici locali con pochi scrupoli e molta voglia di non perdere la gallina dalle uova d’oro costituita dal costante stato di
guerra. A farne le spese sono, come sempre, i civili e soprattutto i giovani che, stretti tra repressione e rabbia, sono facile preda di chi promette paradisi di libertà del tutto inesistente oltre confine. A confermare le insinuazioni indiane sulla poca obiettività del rapporto, arriva dopo qualche giorno una foto: Al Hussein che posa in compagnia di separatisti kashmiri e di membri dell’Isi a Ginevra. Anni fa il Kashmir Centre sia a Washington che a Bruxelles è stato messo sotto inchiesta dall’Interpol perché finanziato dai servizi segreti pakistani, servizi che operano con efficacia anche a Ginevra, come dimostrano gli sviluppi degli ultimi mesi riguardo al Balochistan e all’insurrezione in corso nella regione pakistana occupata illegalmente subito dopo la Partition, documenti storici alla mano. A proposito: se la Commissione ha deciso di occuparsi delle questioni interne degli Stati sovrani, un rapporto analogo sulle violazioni dei diritti umani in Balochistan sarebbe benvenuto da più parti.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 25 giugno 2018 • N. 26
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Politica e Economia
A El Paso la disfatta di Trump
Reportage Al confine tra il Texas e il Messico si consuma il dramma delle separazioni delle famiglie di clandestini,
Federico Rampini Sono andato nel deserto a cercare la verità sull’altra crisi dei profughi: non quella che riguarda il Mediterraneo e l’Europa, ma quella numericamente ben più importante che si svolge negli Stati Uniti. Mi sono spinto fino a quell’angolo d’America traversato da un triplice confine: s’intersecano Texas e New Mexico sul versante degli Stati Uniti, a Sud c’è il Messico. L’ultima crisi dei rifugiati, quella che ha fatto scandalo nel mondo intero per il trattamento disumano dei bambini strappati ai genitori, si è consumata nella zona di El Paso. Un vero deserto, sabbie e dune o sterpaglie riempiono distese infinite, tagliate da qualche catena di monti aridi e canyon bruciati dal sole. È uno spettacolo sconcertante. È un po’ come se i profughi del Medio Oriente, dell’Africa nera e dell’Afghanistan, anziché cercare lo sbarco in Italia convergessero verso il Sahara. La spiegazione non è geografica né socio-economica, è giuridica: al El Paso si trova uno dei Port of Entry, definizione dei punti di accesso agli Stati Uniti dov’è consentito presentare domanda di asilo. È questo che governa i flussi migratori. Sui quali è inutile pronunciare frettolosi giudizi, ripetendo stereotipi a occhi chiusi. L’Amminstrazione Trump ha fatto cose orrende. Ma l’esistenza di un «mostro» come l’attuale presidente degli Stati Uniti eccita in molti di noi l’istinto di gregge, asseconda la nostra pigrizia intellettuale. Tutte
le colpe sono sue, e così il mondo diventa più facile da spiegare. Si scopre che non solo i bambini venivano strappati ai genitori, ma perfino imbottiti di psicofarmaci senza prescrizione mediche, in alcuni centri di accoglienza privati. Oops, piccolo dettaglio: quest’ultimo abuso, rivelato da una denuncia presentata ad aprile, risale in realtà all’Amministrazione Obama. Nella fretta molti colleghi giornalisti hanno ignorato le date della denuncia: 2011-2014. Da El Paso io invece sono tornato con le idee più confuse di prima. Mi riconosco nell’analisi di due ex dirigenti della Homeland Security e Border Protection che lavorarono durante l’Amministrazione Obama, Nate Bruggeman e Ben Rohrbaugh: «Il dibattito su come rispondere al boom dei richiedenti asilo è stato dominato dagli estremi. Da una parte ci sono quelli che vogliono punire i migranti, ignorano i nostri obblighi verso i profughi, e li vedono come una minaccia. Al polo opposto c’è un’altra visione estrema per cui chiunque si presenti al confine meridionale deve poter entrare negli Stati Uniti e rimanerci finché non commette un crimine». In mezzo a questo stallo, l’alto costo del transito illegale provoca una selezione a rovescia: partono dal Sud America e dal Centro America non i più bisognosi ma chi si può permettere di pagare molte migliaia di dollari. La soluzione realistica, spiegano i due esperti, è spostare i centri di esame delle richieste di asilo: in Messico e in altri
AFP
con i figli minori strappati ai genitori. Scendono in campo perfino le First Lady Melania e Laura Bush
paesi dell’America centrale. Solo così si può avvicinare chi ha più bisogno, evitando che a fare la selezione e il governo dei flussi siano la disponibilità di soldi e i trafficanti criminali. Per adesso è certo una buona cosa che Trump sia stato costretto a retrocedere sulle crudeli separazioni genitorifigli. Lo sdegno provocato dai bambini migranti, isolati e rinchiusi in appositi centri di detenzione, ha finito per piegare il presidente di America First. Dal papa all’opinione pubblica internazio-
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nale, il coro di condanne per quei metodi crudeli ha rafforzato l’ampio fronte contrario all’interno degli Stati Uniti: non solo la sinistra ma tanti leader repubblicani, inclusa l’ex First Lady Laura Bush, hanno espresso disgusto. Uno slogan ha unito gli oppositori interni di ogni credo politico e religioso: questa non è l’America, non è la nazione in cui ci riconosciamo noi. Alla fine Trump ha pasticciato una retromarcia, ha firmato un decreto esecutivo per «riunire le famiglie», che lui stesso aveva separato in modo arbitrario. È proprio a El Paso che la tolleranza zero di Trump sugli immigrati clandestini ha subito la sua prima disfatta. Gli avversari l’hanno chiamata la sua Guantanamo dei bambini. Oppure la Kathrina di Trump, nel ricordo dell’uragano che devastò la Louisiana, la vergogna che macchiò l’Amministrazione Bush per la sua indifferenza di fronte alla tragedia. A quelle tende «invisibili» che imprigionano bambini tuttora separati dai genitori, si arriva viaggiando lungo il confine Texas-Messico, quaranta minuti di autostrada da El Paso. Si costeggia quella recinzione fortificata a perdita d’occhio che è già una barriera insormontabile, ancor prima che Trump ci costruisca (se mai ci riuscirà) il Muro dei suoi sogni. Si lascia l’autostrada I-10 a Fabens, si raggiunge Turnillo dove c’è uno dei ponti internazionali di passaggio verso Ciudad Juarez in Messico. La temperatura tocca i 42 gradi all’ombra. È praticamente nel deserto. Se volevano nascondere il campo dei bambini, hanno scelto bene. In quest’area desolata e sperduta le tende della vergogna restano comunque inaccessibili, centinaia di metri di deserto e tante barriere recintate ci separano. Gli agenti della Border Patrol hanno sorvegliano noi giornalisti e ripetono inflessibili: «Non potete avvicinarvi, niente foto né video da qui». I colleghi delle ricche tv americane hanno rubato immagini aeree grazie a elicotteri e droni (720 dollari di affitto per mezz’ora di ripresa). È solo sfuggendo nei cieli alla Border Patrol che si sono ottenute dall’alto le foto di quei bimbi all’ingresso dalle tende. Poi un visitatore segreto ha registrato e passato alla ong ProPublica i pianti e i singhiozzi, per la separazione brutale dai genitori arrestati e deportati altrove. L’attenzione dei media ha aiutato almeno Ruben Garcìa, fondatore e direttore dell’Annunciation House. La sede di questa istituzione la visito nel centro di El Paso, è una decrepita palazzina di mattoni rossi, un piccolo porto di transito dove incontro migranti dal Sud America, dall’Asia e dall’Africa: salvo i bambini, tutti hanno il braccialetto elettronico ai polsi o alle caviglie. Arriva perfino un gruppo di brasiliani del Minas Geraìs, nel loro lungo e tor-
tuoso itinerario hanno scelto di tentare la fortuna con una domanda di asilo qui al confine di El Paso. Annunciation House fu creata nel 1976 da cattolici ispanici, ammiratori di Martin Luther King. Offre assistenza e consulenza legale ai migranti, li ospita mentre sono in transito verso tribunali e centri d’accoglienza, mantiene fitti rapporti con associazioni umanitarie dei paesi d’origine. Ora non si respira affatto un’atmosfera di vittoria, malgrado la clamorosa retromarcia di Trump. Nel punto di transito Messico-Usa più controverso per via delle tende dei bambini, nessuno sembra sicuro che ci sia stata una vera svolta. Certo il presidente ha dovuto rinnegare se stesso, ha firmato un decreto esecutivo che impone di tenere unite le famiglie anche in caso di arresto. Ma la formulazione dell’editto è piena di ambiguità. Trump ribadisce tolleranza zero, quindi l’arresto senza eccezioni per l’immigrazione clandestina. Promette di non separare più genitori e figli, ma non dice quale sarà il destino dei 2300 minori già strappati dai genitori e reclusi in centri di detenzione come le tende di Turnillo. Trump non ha affatto promesso che non metterà più i bambini in gabbia: ha solo annunciato che in futuro saranno nelle stesse gabbie dei genitori. Ma esistono poche carceri attrezzate per ospitare famiglie intere. E la legge stabilisce che i minori non possano essere trattenuti oltre i primi 20 giorni. Dove finiranno, se l’esame preliminare sui genitori dura più a lungo? Il clima politico a El Paso – isola democratica dentro un Texas repubblicano – non è quello di New York o Los Angeles. La «progressista» El Paso ha bocciato in un referendum la costruzione di un nuovo ponte verso il Messico, perché pensa che ce ne siano già fin troppi. La mia autista Uber, Belinda, è ispanica ma da 23 anni non osa varcare la frontiera «perché di là c’è troppa violenza, hanno dovuto perfino chiudere il Luna Park di Ciudad Juarez per le sparatorie». Sul tema dei minori strappati ai genitori alterna l’affetto («me ne prenderei qualcuno io») e la diffidenza: «Se non vogliono che i loro figli finiscano in un carcere americano, non devono attraversare la frontiera illegalmente, punto e basta». Di certo la tolleranza zero non ha avuto il risultato principale che sperava Trump. Doveva esserci un potente effetto-annuncio: il messaggio da far pervenire ai paesi d’origine, per dissuadere chi vuole tentare il viaggio della speranza. Ma gli ultimi dati dell’Onu rivelano questo: gli Stati Uniti tra il 2016 e il 2017 cioè in piena Amministrazione Trump hanno visto aumentare del 27% le richieste di asilo.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 25 giugno 2018 • N. 26
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Politica e Economia Il primo ministro russo Dmitry Medvedev presenta al governo la riforma di pensioni e tasse. (Keystone)
La tela politica di Varoufakis DiEM25 L ’ex ministro greco lancia
un’iniziativa per riunire le forze progressiste in grado di realizzare una riforma delle istituzioni europee Alfredo Venturi
Terremoto sociale
Russia Il pacchetto di leggi (molto impopolari) che rivoluziona
il sistema pensionistico verrà esaminato e probabilmente votato dalla Duma in luglio. Non cambiava dai tempi di Stalin
Anna Zafesova Il governo russo non poteva scegliere un momento migliore: l’aumento dell’età della pensione e dell’Iva è stato annunciato poche ore prima del calcio d’inizio del Mondiale in Russia, e il clamoroso risultato dell’esordio della nazionale russa – 5 a 0 contro l’Arabia Saudita – ha portato la notizia in fondo ai telegiornali. Il provvedimento veniva consigliato da molto tempo da economisti ed esperti, ma Vladimir Putin già anni fa promise che «non sarebbe mai accaduto fino a che rimarrò presidente», e in campagna elettorale per le elezioni di marzo, che gli hanno consegnato il quarto mandato al Cremlino, aveva evitato l’argomento. Un mese dopo l’insediamento del presidente, il premier russo Dmitry Medvedev invece ha presentato il brusco aumento – da 60 a 65 anni per i maschi e da 55 a 63 anni per le donne – come inevitabile: «Non c’è più tempo per le discussioni teoriche», ha dichiarato. Il pacchetto leggi che rivoluziona il sistema pensionistico – l’età della pensione era rimasta immutata dai tempi di Stalin – verrà esaminato, e prevedibilmente votato, dalla Duma già a luglio. La riforma entrerà in vigore già dal 2019, quando nessuno andrà in pensione al compimento dei 55/60 anni: potranno ritirarsi l’anno dopo, e in seguito l’età della pensione aumenterà a scatti di un anno ogni due anni, per venire completata nel 2028 per gli uomini e nel 2034 per le donne. Gli attuali pensionati non ne verranno toccati, e per coloro che hanno svolto lavori usuranti, lavorato nel Nord o richiedono una pensione sociale per mancanza di anzianità lavorativa resteranno dei privilegi. Ma nonostante tutti gli ammortizzatori previsti si tratta di un terremoto sociale senza precedenti, anche perché arrivato senza preavviso, senza alcun dibattito se non tra gli esperti, senza aver preparato in alcun modo l’opinione pubblica. Che è assolutamente contraria: secondo i sondaggi, solo il 9% dei russi appoggia la riforma. La rivoluzione delle pensione è stata resa necessaria dai conti dello Stato, e dalla demografia. Negli anni Trenta l’aspettativa di vita media dei russi era intorno ai 40 anni, oggi si aggira intorno ai 73 anni, 67,5 per gli uomini e 10 anni di più per le donne. Molto inferiore ai paesi sviluppati, ma in costante aumento rispetto anche a soli 10 anni fa: all’i-
nizio del secolo era di 59 anni per i maschi e di 72 per le donne, in altre parole un buon numero di uomini non viveva abbastanza a lungo da andare in pensione. La struttura demografica della Russia segue trend occidentali, con un tasso delle nascite basso quanto quello italiano o tedesco. Il rapporto degli occupati rispetto ai pensionati si è ridotto dal 4,8 del 1959 al 2,16 del 2016, e nei prossimi anni il numero degli anziani da mantenere diventerà uguale a quello della popolazione che lavora. Il sistema è diventato insostenibile: il Fondo pensioni è in deficit da anni, e il suo budget viene regolarmente rabboccato dallo Stato, che però non ha più i ricchi mezzi dei tempi in cui il barile di greggio costava 110 dollari. In questo modo lo Stato riduce drasticamente il numero dei pensionati a suo carico, e Medvedev sostiene che grazie a questo si potranno gradualmente aumentare le pensioni: il primo incremento, di mille rubli, circa 15 euro, dovrebbe arrivare subito. Attualmente la pensione media è di 14 mila rubli, circa 200 euro, in media un terzo del reddito lavorativo, e in molte zone e fasce sociali è spesso l’unica entrata garantita della famiglia. Nella crisi successiva al collasso del comunismo le nascite erano precipitate, e le nuove generazioni potrebbero non essere sufficienti a colmare comunque il mercato con sufficiente manodopera, ma nonostante questo le inserzioni con proposte di lavoro di norma escludono gli over 40 a favore dei più economici e dinamici giovani. Il rischio di creare una numerosa disoccupazione con conseguente povertà nella fascia 50-65 anni è alto. Inoltre, c’è il fattore umano: secondo le stime dei sindacati, il 40% dei maschi russi e il 20% delle donne non vivrà abbastanza a lungo per arrivare alla pensione. Contemporaneamente, il governo ha annunciato l’aumento dell’Iva dal 18 al 20%, che andrà in parte a finanziare l’aumento delle pensioni e costerà, secondo le stime dell’esecutivo, almeno 4 mila rubli (circa 60 euro) a ogni russo. Tra le cause del prosciugamento dei mezzi dello Stato gli analisti indicano l’esaurimento dei fondi di riserva durante la recessione 2014-2017, l’incremento delle spese militari, le nuove voci di spesa pubblica promesse da Putin nella campagna elettorale e una gestione inefficiente delle ricchezze minerarie. Un rapporto degli analisti
di Sberbank CIB, una sussidiaria della maggiore banca di Stato, su Gazprom, il principale contribuente russo, sostiene che i tre mega gasdotti che vuole costruire – Potenza della Siberia verso la Cina, North Stream 2 verso il Nord Europa, e Turkish Stream verso la Turchia e i Balcani – non solo sono dettati da motivazioni politiche, in primo luogo bypassare l’Ucraina, ma sono economicamente insostenibili. Nel caso della Cina, il gasdotto conviene solo a un prezzo del barile superiore a 110 dollari, ma vincolando la Russia come fornitore a un unico consumatore probabilmente funzionerà in perdita. Nel caso dei due progetti europei, non si aprono mercati nuovi, e i costi rientrerebbero rispettivamente in 20 e 50 anni. La capitalizzazione di Gazprom è scesa dai 360 miliardi di dollari del 2008 a soli 54 miliardi. Una gestione inefficiente, è il classico refrain degli analisti nei confronti del colosso del metano, il cuore del potere economico e politico di Mosca. Gli autori del rapporto di Sberbank però ribaltano il ragionamento: «Gazprom è invece ben gestita, dal punto di vista di chi lo controlla: non il governo (principale azionista), né tantomeno gli azionisti di minoranza che controllano quasi il 40%, ma i principali appaltatori della società». I nomi dei vincitori dei grandi appalti – dalle Olimpiadi al ponte per la Crimea e agli stadi dei Mondiali – in Russia sono quasi sempre gli stessi, gli oligarchi vicini al Cremlino. Gli analisti di Sberbank sono stati licenziati, e il potentissimo presidente della banca Gherman Gref ha dovuto scusarsi con Timchenko. Ma intanto, finiti i gasdotti, per Gazprom è in arrivo un altro capitolo di spesa: il rinnovamento delle centinaia di chilometri di tubi dei condotti esistenti, che verrà affidato non ai fornitori storici, attualmente ridotti al 50% del loro potenziale produttivo, ma a un nuovo produttore di tubi, di proprietà, tra gli altri, del compagno di università di Putin, Nikolay Egorov. Se i prossimi sei anni saranno davvero l’ultimo mandato di Putin, prima di una transizione di potere tutta da inventare, saranno segnati non solo da riforme impopolari di cui non dovrà più pagare il prezzo in termini di sostegno, come l’aumento dell’età pensionistica, ma anche da una corsa dell’oligarcato vicino al presidente per accaparrarsi e ridistribuirsi la ricchezza rimasta.
Di fronte alla triplice crisi della democrazia, della sinistra e dell’Europa, Yanis Varoufakis (nella foto) lancia il suo progetto: mettere insieme le forze progressiste perché realizzino una riforma profonda delle istituzioni europee. L’economista greco, che fu ministro delle Finanze nel primo governo Tsipras e si fece promotore di un approccio radicale alla questione del debito ellenico, sogna una sinistra transnazionale che riscatti se stessa superando le frammentazioni nazionali e i contrasti che ne conseguono, al tempo stesso reinventando la democrazia e salvando l’Europa. Per questo ha riunito attorno a sé un gruppo di «attivisti, pensatori e agitatori», come si autodefiniscono, che vogliono dare uno scossone allo sfinito dinosauro di Bruxelles. Presentata nel febbraio 2016 sul palco della Volksbühne di Berlino, l’iniziativa prevede un parlamento sovrano che operi d’intesa con i parlamenti nazionali e le altre istituzioni rappresentative dei singoli Stati, e una nuova Costituzione dell’Unione Europea da redigersi entro il 2025. La creatura di Varoufakis si chiama DiEM25: DiEM, cioè Democracy in Europe Movement, e 25, l’anno della grande svolta che dovrebbe trasformare la burocratica istituzione attuale in un luminoso faro d’integrazione politica, economica e sociale.
La sua ambiziosa proposta ha ricevuto il plauso di molti a sinistra, come Jeremy Corbyn e Podemos in Spagna Il movimento proporrà agli elettori, chiamati nel maggio dell’anno prossimo a rinnovare l’Europarlamento, una lista transnazionale battezzata Primavera europea, con un programma diretto a costruire un’Europa «democratica, ecologista, egualitaria». In realtà l’assemblea di Strasburgo ha escluso, per volontà delle forze di destra, le liste transnazionali, ma questo non impedisce a Varoufakis di tessere in tutta Europa la sua rete politica, che dovrà evidentemente adattare alla normativa elettorale vigente. Intanto denuncia la crisi provocata dalle politiche dei vari governi, alla quale si cerca di porre rimedio affidando alla troika (Commissione europea, Fondo Monetario, Banca centrale europea) il compito d’imporre austerità, privatizzazioni, deregolamentazioni, svuotamento delle garanzie sindacali. Di qui l’impoverimento di vasti strati sociali, l’insicurezza, la riduzione del welfare. Tutto ciò alimenta i partiti nazionalisti e xenofobi, che già prosperano sull’emergenza migratoria e ormai dilagano nell’intero continente.
Di fronte a questa situazione il DiEM25 suggerisce una metamorfosi dell’Unione in senso democratico e rappresentativo. I nazionalismi vanno contrastati immaginando un popolo europeo che produca un parlamento coeso attorno alla necessità di una riforma così radicale che qualcuno preferisce chiamarla rivoluzione. Varoufakis insiste piuttosto sul termine democratizzazione («l’Europa è di fronte a un bivio: democratizzarsi o disintegrarsi»), che intende realizzare attraverso il suo movimento chiamato a esercitare per conto dei cittadini il controllo sui meccanismi decisionali dell’Unione. All’insegna della trasparenza, che è «l’ossigeno della democrazia», per impedire che l’Europa torni agli anni Trenta del Novecento. I candidati all’Europarlamento potranno valicare le frontiere, lui stesso ha annunciato che si candiderà come capolista in Germania. Quali prospettive si aprono davanti a questa proposta così ambiziosa? Ovviamente i propositi di Varoufakis devono fare i conti con il fatto che i partiti nazionali sono assai gelosi della loro autonomia. Tuttavia la proposta ha un forte potere di seduzione. Nei primi due anni di vita il DiEM25 ha ricevuto il plauso di intellettuali come Noam Chomsky, Ken Loach, Brian Eno, Julian Assange. L’economista greco è in stretto contatto con uomini della sinistra radicale europea come Jeremy Corbyn, al quale ha dato una mano durante la vana campagna per contrastare la Brexit. Fra le personalità che hanno aderito all’iniziativa figurano la sindaca di Barcellona Ada Colau, che ha alle spalle il movimento Podemos, l’ex candidato alla presidenza francese Benoît Hamon, numerosi esponenti delle forze tedesche a sinistra della Spd, il sindaco di Napoli Luigi De Magistris, l’ex sindaco di Milano Giuliano Pisapia. Varoufakis illustra i due pilastri del suo programma. Il primo: politiche da attuarsi in due anni per contrastare le crisi debitorie, rilanciare gli investimenti, combattere la povertà e le disuguaglianze, promuovere il settore pubblico. Si vuole varare un piano di investimenti ecologici, che assorba ogni anno il quattro e mezzo per cento del Pil. Il secondo pilastro è la Costituente: assieme all’Europarlamento sarà chiamata a redigere entro il 2015 la nuova Costituzione democratica che dovrebbe avviare l’Europa sui binari della modernità. Secondo il fondatore del DiEM25 questa Costituzione, prendendo le distanze dall’attuale gestione burocratica, dovrà collocare al centro dei processi decisionali le persone e le comunità locali. Libro dei sogni? Manca meno di un anno al voto europeo, febbrili contatti sono in corso in tutti i paesi, si vuole concretizzare l’iniziativa e dimostrare al mondo che non si tratta di utopia.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 25 giugno 2018 • N. 26
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Politica e Economia
Gli insegnamenti di Oxfam
Lotta agli abusi Gli attori umanitari e dell’aiuto allo sviluppo si sono guardati allo specchio dopo lo scandalo
sessuale che ha travolto l’ONG britannica. Sono state rafforzate la prevenzione, la lotta e i meccanismi per segnalare comportamenti contrari ai codici di condotta Luca Beti I riflettori dei media non rimangono mai fermi. Seguono il flusso incessante delle news. Un giorno puntano il loro fascio di luce su una notizia, l’indomani la abbandonano al buio. È stato così anche per lo scandalo sessuale che in febbraio ha investito Oxfam, una delle maggiori organizzazioni umanitarie e di sviluppo al mondo. Con un budget di circa 520 milioni all’anno, l’ONG con sede a Londra è un gigante nel mondo delle agenzie umanitarie.
La Dsc aveva congelato i contributi alla Oxfam, ma viste le misure adottate dalla Ong li ha sbloccati il 15 maggio Durante le operazioni di soccorso a seguito del devastante terremoto sull’isola di Haiti nel 2010, alcuni suoi collaboratori hanno organizzato festini con ragazze, anche minorenni, pagate in cambio di sesso. Uno scandalo che ha colpito dove meno ce lo si aspetta: tra gli attori umanitari che si impegnano per i meno fortunati al mondo. Nelle settimane seguenti, i giornali hanno riportato le notizie di molestie e abusi sessuali da parte dei collaboratori di altre organizzazioni, quali Medici senza frontiere, Comitato internazionale di soccorso, Save the Children o la Società tedesca per la cooperazione internazionale GIZ. Con il passare del tempo, l’accesa discussione nei media e sulle reti sociali si è spenta e i riflettori hanno concentrato altrove il loro fascio di luce. L’argomento rimane però più che mai attuale. All’indomani dello scandalo, la Direzione dello sviluppo e della cooperazione, l’agenzia dello sviluppo in seno al Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) della Svizzera, ha deciso di congelare i contributi finanziari destinati a Oxfam, organizzazione che la Confederazione ha sostenuto con oltre venti milioni di franchi negli ultimi cinque anni. Dopo aver ottenuto le informazioni e le garanzie richieste e alla luce delle misure adottate dalla ONG per prevenire e lottare contro le molestie, gli abusi e gli sfruttamenti sessuali, il 15 maggio 2018 il DFAE ha sbloccato i fondi destinati all’organizzazione con sede a Londra, ci scrive il portavoce
del DFAE George Farago. Nel 2018, la Svizzera continuerà quindi a sostenere con 4,8 milioni di franchi i progetti di Oxfam in Tagikistan, Yemen, Congo, Siria, Colombia, Cuba, Etiopia, Marocco e nei territori palestinesi occupati. Ma la DSC non si è limitata a mettere sotto esame l’agenzia finita nel cuore dello scandalo. Si è rivolta a tutte le organizzazioni partner mediante un’indagine sistematica per conoscere nel dettaglio le misure volte a contrastare e combattere ogni genere di abuso. L’inchiesta ha rivelato che la maggior parte delle organizzazioni partner dispone di meccanismi adeguati, ma non tutte. Per questo motivo la DSC sta valutando le varie proposte volte a migliorare la prevenzione e la segnalazione di comportamenti che violano il codice di condotta da parte dei collaboratori. Stando a una stima ci sono circa 1,5 milioni di attori umanitari al mondo. Questi ultimi operano in contesti difficili, dove la sicurezza e l’ordine pubblico sono praticamente inesistenti. Attualmente, oltre 135 milioni di persone dipendono dall’aiuto umanitario; una dipendenza che causa uno squilibrio di potere tra beneficiari e chi presta soccorso. Non tutti gli attori umanitari sanno però resistere alla tentazione di approfittare di questo potere, com’è stato il caso per alcuni collaboratori di Oxfam ad Haiti. È un problema riconosciuto da tutte le agenzie umanitarie. Ad esempio, la DSC ha fissato un code of conduct, che è parte integrante di ogni contratto con i partner di progetto: ONG, esperti o consulenti. Inoltre, il personale degli uffici di cooperazione nei vari Paesi ha un ruolo centrale in materia di controllo e vigilanza; è una presenza sul campo fondamentale per lottare contro lo sfruttamento sessuale, la corruzione e altre piaghe nei Paesi in via di sviluppo. Lo scandalo sessuale che ha investito l’Oxfam ha scosso profondamente il settore umanitario e dell’aiuto allo sviluppo. Uno scossone per certi versi positivo che ha obbligato le ONG a guardarsi allo specchio per riesaminare i propri sistemi di prevenzione e di lotta agli abusi. È stato così anche per le organizzazioni non governative della Svizzera. «Il caso di Oxfam ci ha scioccato», risponde Erich Wigger, membro della direzione di Helvetas. «Ci ha offerto l’occasione di valutare di nuovo in maniera critica il nostro lavoro, le questioni etiche, le misure di prevenzione e di controllo e le norme sanzionatorie».
Ad Haiti lo scandalo Oxfam è una ferita ancora aperta: il 13 giugno il ministro haitiano per l’aiuto allo sviluppo Aviol Fleurant ha revocato alla Oxfam il diritto di operare sull’isola caraibica. (Keystone)
Alla luce dello scandalo sessuale, Helvetas ha precisato e completato i suoi regolamenti, ad esempio, il suo codice di condotta, in cui viene sottolineato il ruolo esemplare dei collaboratori e la problematica relativa ai rapporti di dipendenza e di potere nei Paesi in via di sviluppo. «Scegliamo le nostre collaboratrici e i nostri collaboratori in maniera molto accurata e dopo un processo di reclutamento caratterizzato da più fasi», continua Wigger. «Oltre alle competenze professionali, la persona deve identificarsi con i valori di Helvetas». Sia le ONG contattate sia la DSC applicano una tolleranza zero rispetto agli abusi sessuali. L’efficacia dei vari regolamenti e codici non si misura però sulla carta, bensì sul campo. Gli abusi devono venire alla luce e il collaboratore pagare per il suo comportamento, non è stato così per i dipendenti di Oxfam. «Terres des Hommes ha stabilito delle procedure per il cosiddetto whi-
stleblowing», precisa Ivana Goretta, portavoce dell’ONG svizzera d’aiuto all’infanzia. «In seno alla nostra organizzazione c’è un esperto a cui rivolgersi per denunciare eventuali casi, un indirizzo di posta elettronica specifico, un numero di telefono e la possibilità di avvisare un superiore». Presso Helvetas, i collaboratori possono ricorrere, in maniera anonima e riservata, a un ufficio esterno per segnalare eventuali abusi. Inoltre, l’organizzazione d’aiuto allo sviluppo intende allestire una piattaforma online per le vittime e i whistleblower. «Ci vogliono misure preventive, controlli e sanzioni», evidenzia Erich Wigger. Anche l’Aiuto delle chiese evangeliche svizzere (ACES) dispone di un servizio di whistleblowing. «Sono previste varie misure sanzionatorie per chi non rispetta le direttive di ACES: si va dall’ammonizione al licenziamento in tronco», precisa Dieter Wüthrich, responsabile della comunicazione dell’associazione.
Anche a livello internazionale si registrano iniziative volte a favorire il whistleblowing. Ricordiamo, ad esempio, la piattaforma «SafeCall», una hotline a cui segnalare in maniera anonima possibili violazioni. Nel novembre 2017, sulla scia del movimento #MeeToo è stato lanciato l’hashtag #AidToo per portare alla luce molestie, abusi o sfruttamenti sessuali in ambito umanitario e dell’aiuto allo sviluppo e presentare possibili strategie per combatterli. Dal caso Oxfam, le organizzazioni umanitarie e dello sviluppo sembra abbiamo tratto i giusti insegnamenti: hanno rafforzato le misure di prevenzione e lotta agli abusi. Le vere perdenti di un altro scandalo a sfondo sessuale non sarebbero però le ONG, bensì le persone a cui l’aiuto umanitario e allo sviluppo è destinato. La perdita di credibilità, il danno d’immagine e il conseguente calo delle donazioni castigherebbe purtroppo le persone sbagliate. Annuncio pubblicitario
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Politica e Economia
Zurigo e Ginevra le più care al mondo Statistiche L’annuale studio dell’UBS su salari, prezzi e potere d’acquisto conferma il costo della vita elevato
in Svizzera, dove però anche i salari sono più alti. Il miglior potere d’acquisto è però a Los Angeles Ignazio Bonoli La città in cui vivere costa di più nel mondo è Zurigo. Lo conferma ancora una volta la statistica allestita dall’UBS per 77 città, per le quali vengono messi a confronto salari, prezzi e potere d’acquisto. La statistica viene allestita per la 17esima volta, per cui rende interessante anche il confronto nel tempo di questi dati. Oltre ai salari, vengono rilevati 128 prezzi di beni e servizi nelle abitudini di consumo di una famiglia tipica di tre persone in Europa. Il confronto – che conferma del resto i dati recenti sull’elevato costo della vita in Svizzera – pone in testa alla classifica mondiale le città di Zurigo e Ginevra, seguite da Oslo, Copenaghen, New York e Tokyo. Tuttavia, è proprio nelle due città svizzere che si rilevano i salari medi più elevati nel confronto internazionale. In questo caso, UBS mette a confronto i salari medi in 15 professioni – tra i quali quelli dei tecnici e dei docenti di scuola elementare – che costituiscono il campione dei salari medi pagati in Europa. In questa classifica, Zurigo e Ginevra sono seguite – per quanto concerne le remunerazioni nette – da Lussemburgo e Los Angeles. In fondo alla graduatoria troviamo invece gli abitanti del Cairo, di Mumbai, Nuova Delhi e Kiev. Da qui discende direttamente la domanda a sapere in quale città si può spendere meglio il proprio reddito medio. In altri termini, si mettono a con-
fronto prezzi e salari per determinare il potere d’acquisto. Nel calcolo non si tiene però conto del costo degli affitti, poiché le enormi differenze, non soltanto nei prezzi, ma anche nei modi di abitare non lo permettono. Inoltre – come avviene spesso – vivere in città è molto più caro che non in periferia, dove i prezzi sono a volte di molto inferiori. Secondo l’indagine di quest’anno, il primato del miglior potere d’acquisto va assegnato a Los Angeles. Nelle prime dieci città al mondo per potere d’acquisto, oltre a Zurigo, Ginevra e Lussemburgo, vi sono soltanto altre tre città europee. Città che in confronto all’indagine di tre anni fa hanno però perso terreno. In questo campo, la concorrenza da oltre Oceano si fa sempre più forte. Ma tra le città con il miglior potere d’acquisto si trovano oggi anche Manama, la capitale del Bahrein, e Hong Kong. Le piazze finanziarie globali di New York e Londra si trovano al 10° e rispettivamente 23° posto. Di conseguenza, il potere d’acquisto a Los Angeles è quasi del 25 per cento migliore che a New York. Il reddito medio disponibile necessita però di una correzione. Viene considerato il reddito medio annuale confrontato con il tempo di lavoro. Dal momento che questo reddito può essere conseguito a Zurigo con qualche ora di lavoro in meno rispetto a Los Angeles, il potere d’acquisto del salario orario netto è leggermente più alto che a Los Angeles. Qui Ginevra finisce al quinto posto della classifica, poiché le trattenute
La città sulla Limmat è ricca ma costosa. (Keystone)
per imposte e contributi sono più elevate che a Zurigo, mentre il salario orario lordo è più alto. Nel confronto internazionale, il potere d’acquisto è più basso in città come Mumbai, Jakarta, Cairo, Nuova Delhi e Mexico-City.
Per uscire dall’impasse costituita dai diversi modi di vita, dalle abitudini e anche dal valore diverso delle monete nazionali che, per la statistica, vengono convertite in dollari, UBS – già da qualche anno – mette a confronto il
prezzo del celebre Big Mac (il panino imbottito della Mc Donald) oppure, da quest’anno, il costo dell’iPhone X. Si calcola qui, in base alle rimunerazioni locali, quanti minuti o ore di lavoro occorrono per procurarsi il Big Mac o l’iPhone. Si constata che mentre a Hong Kong il Big Mac necessita di 12 minuti di lavoro (cioè il prezzo più basso), a Nairobi (Kenya) occorrono ben 133 minuti (il tempo più lungo in assoluto) per procurarsi lo stesso panino, uguale in tutto il mondo. Le cose cambiano per l’iPhone X. In questo caso a Zurigo occorrono solo 39 ore di lavoro, a New York 54 e a Londra perfino 91. Mentre a Berlino il tempo di lavoro necessario è più o meno quello di Londra, a Atene occorrono ben 121 ore. Tempo molto elevato, ma ancora ben inferiore a quanto occorre in Asia o in America latina. A Shangai occorrono, infatti, 306 ore, mentre a Buenos Aires ne occorrono ben 470. Per avere questo smartphone al Cairo è necessario lavorare circa 1000 ore! Grandi differenze sono state verificate anche nel settore dei servizi. Se a Zurigo per una seduta presso una «coiffeuse» sono necessarie di regola 5 ore di salario, a Kiev (in Ucraina) sono necessarie 12 ore. Comunque, dalla statistica risulta che il costo della vita è meno caro al Cairo, a Lagos o a Kiev, mentre è sicuramente più elevato a Zurigo, dove però anche il salario medio orario è più alto che altrove. Però il miglior potere d’acquisto in assoluto è a Los Angeles. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 25 giugno 2018 • N. 26
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Politica e Economia
«Home Bias»: quando gli investitori preferiscono le aziende locali La consulenza della Banca Migros Christoph Sax Gli investitori privati tendono a puntare sulle azioni locali e a tralasciare quelle estere. Secondo uno studio svolto dall’Università di Zurigo nel 2010, la quota di titoli svizzeri all’interno dei portafogli azionari si attesta circa all’80% nel caso di investitori privati svizzeri. L’«Home Bias» è un modello comportamentale riscontrabile a livello mondiale. Questa sorta di patriottismo è dispendioso a lungo termine, visto che il por-
Christoph Sax è capo economista della Banca Migros
tafoglio non è ben diversificato a livello geografico. Particolarmente netta è la differenza di performance rispetto a un portafoglio diversificato a livello internazionale nei periodi in cui l’economia locale procede in modo meno favorevole che all’estero. In Svizzera una forte sovraponderazione delle aziende locali è meno problematica rispetto ad altri paesi, visto l’orientamento internazionale di molte imprese svizzere a causa delle dimensioni relativamente ridotte del mercato interno.
Quota di fatturato della Svizzera tra le dieci aziende di maggior valore dello SPI Azienda
Ponderazione nello SPI in % (giugno 2018)
Quota di fatturato della Svizzera in % (fine 2017)
Nestlé 18,4 1,4 Novartis 14,5 1,7 Roche 11,9 1,1 UBS 4,7 23,6 Richemont 3,8 4,2 Zurich Insurance 3,6 3,8 3,3 2 ABB Credit Suisse 3,1 37,2 Swiss Re 2,2 2,6 2,0 2,6 LafargeHolcim Ponderazione delle 10 aziende 67,4 – di maggior valore nello SPI Media ponderata della quota di fatturato della Svizzera – 3,4 Fonte: Bloomberg, Banca Migros.
Nestlé e le altre nove aziende di maggior valore dello SPI realizzano solo una minima parte del fatturato in Svizzera. (Keystone)
Chi acquista un’azione Nestlé, investe al 98,6% all’estero. La quota svizzera ammonta a solo l’1,4% del fatturato totale della Nestlé. La Svizzera possiede uno dei mercati azionari più globalizzati. Che si tratti di generi alimentari, prodotti farmaceutici, servizi finanziari, prodotti industriali o orologi, le società quotate sulla borsa svizzera sono molto presenti all’estero. Le dieci aziende di maggior valore dello Swiss Performance Index (SPI) realizzano in media solo il 3,4% del loro fatturato in Svizzera. Molti pensano di non essere esposti alle fluttuazioni valutarie in quanto investi-
tori svizzeri con un forte orientamento interno, poiché le azioni svizzere sono quotate in franchi svizzeri. Invece si sbagliano. Gli effetti valutari si riflettono anche sulla performance del portafoglio e si palesano direttamente nei profitti dell’impresa. L’indebolimento dell’euro, ad esempio, si ripercuote negativamente sugli utili provenienti dall’eurozona che vengono espressi in franchi all’interno dei bilanci consolidati. Coloro che desiderano evitare questo problema si limitano a scegliere le imprese che operano principalmente in Svizzera. In questo caso, tuttavia, è la diversificazione a risentirne. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 25 giugno 2018 • N. 26
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Politica e Economia Rubriche
Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Marx e la fine del capitalismo Una trentina di anni fa fui invitato da due colleghi della rifondata università di Treviri (quella che esisteva dal Medioevo era stata chiusa, a suo tempo, da Napoleone) per un breve ciclo di lezioni e seminari. Uno dei colleghi fu tanto gentile da ospitarmi nel suo appartamento che si trovava nella stessa strada del centro nella quale si trova, ancora oggi, la casa natale di Marx con il suo piccolo museo. Potevo così osservare dalla finestra della mia camera il flusso di visitatori. In quei tempi la fama di Marx, però, era scesa al suo minimo: i visitatori erano pochissimi. Giorno per giorno si vedevano entrare nella casa-museo un paio di tedeschi dell’Est e un pugno di cinesi. Dal 2008 in avanti, in seguito alla crisi finanziaria mondiale, Marx è invece ritornato in auge. La sua figura e la sua opera hanno ritrovato una
certa popolarità anche tra gli studiosi di economia e di sociologia. Le sue leggi, in particolare quella sulla fine del capitalismo sono state riprese e, se così si può dire, aggiornate. La fine del capitalismo è diventata un argomento di ricerca di grande attualità nelle università europee e nordamericane. A voler raccogliere i volumi che sono stati pubblicati nel corso degli ultimi dieci anni su questo tema ci sarebbe da riempire una biblioteca. Ne cito qui solo quattro per dare un’idea dell’intensità e dell’ampiezza di questo dibattito. Dapprima le 17 contraddizioni e la fine del capitalismo scritto da David Harvey , geografo, antropologo, sociologo e politologo britannico, che, come molti lettori sanno, è sempre stato un convinto marxista. In questo volume Harvey esamina i problemi economici e sociali del
mondo di oggi, mettendo a nuovo, se così si può dire, la tesi marxista della fine del capitalismo. Quello di Harvey è un manifesto comunista del Ventunesimo secolo nel quale il termine comunismo viene sostituito dal termine umanismo rivoluzionario. Tomas Sedlacek, economista ceco autore di diversi bestsellers critici, se non del capitalismo, dell’economia della crescita, è tornato di recente sull’argomento scrivendo, insieme a Oliver Tanzer, I demoni del capitale, nel quale fa la psicanalisi dell’economia della crescita, e, utilizzando, more suo, la mitologia greca nei titoli dei singoli capitoli, cerca di trovare una terza via, una via che dovrebbe essere più giusta, tra il neoliberalismo e il marxismo radicale. Nei singoli capitoli sviluppa gli argomenti che spiegano perché questa via sia
necessaria. Che sia anche realizzabile resta purtroppo da vedere. Abbiamo poi uno dei nuovi libri di Robert R. Reich, prolifico economista americano. Il suo titolo, nella traduzione italiana è Come salvare il capitalismo; nell’edizione originale figurava anche un sottotitolo interessante che in italiano potrebbe essere tradotto così: «non per pochi, ma per la maggioranza». Anche qui siamo dunque alla ricerca di una terza via che per Reich è rappresentata da quello che John Kenneth Galbraith chiamava «the countervailing power», ossia il contropotere, il potere che può opporsi. Si tratterebbe di ridar nuova vita ad istituzioni e a regole del gioco che consentono di mettere le redini al capitalismo. Reich vede con ottimismo il futuro. Le rivoluzioni tecnologiche in atto ci aiuteranno a creare abba-
stanza impiego per tutti. Se poi dovessimo riuscire a imbrigliare nel giusto modo le forze del mercato, in modo democratico, ossia con decisioni prese dall’elettorato dei singoli paesi, il capitalismo potrà, senza ombra di dubbio, essere salvato a beneficio dei più. Per un economista americano che si dichiara ottimista sul futuro del capitalismo ecco un giornalista inglese che invece si dichiara molto pessimista. Si tratta di Paul Mason con il suo Postcapitalismo, una guida al nostro futuro. Per Mason il futuro della nostra economia si trova fuori del mercato e oltre le sue leggi. Dunque Marx aveva ragione? Mason bilancia: Marx è certamente l’economista che meglio ha compreso la natura delle crisi economiche; ma l’economia che studiava era quella del diciannovesimo secolo, non quella di oggi.
integrazione comunitaria, anzi forse non ne vogliono proprio. L’Italia e il suo governo-laboratorio che manda in visibilio tutti i partiti e gli ideologi nazionalisti d’occidente rappresentano il colpo finale a un processo che già era rallentato, in particolare dalla lungaggine della formazione del governo tedesco che ha a lungo tenuto in sospeso molti cantieri di riforma. Ed è proprio in Germania che è nato un ulteriore guaio: il partito al governo con i cristianodemocratici di Angela Merkel ha iniziato a fare opposizione interna. La Csu, cugina dal Dopoguerra della Cdu, è guidata da Horst Seehofer, che è anche il ministro dell’Interno del governo Merkel: la Csu rappresenta l’ala più conservatrice dell’Unione e rappresenta la Baviera, avamposto della questione immigrazione. In Baviera si vota in autunno, e Seehofer vuole arginare l’ascesa del partito che più fa paura a destra – l’Alternative für Deutschland – rincorrendolo sul suo stesso terreno: è per questo che ha chiesto di introdurre una nuova regola sul rimpatrio automatico dei richiedenti asilo che si sono già registrati in un altro paese membro e ha lanciato un ultimatum alla Merkel. La cancelliera
è riuscita a prendere tempo per cercare una soluzione unitaria al consiglio europeo della fine del mese, ma intanto Seehofer ha stretto alleanze a livello di Ministero dell’interno sia con l’Austria sia con l’Italia. In gioco non ci sono soltanto gli equilibri di potere tra i vari Stati, ma la filosofia comunitaria stessa: la cancelliera dice che ogni azione unilaterale rischia di creare un effetto domino che porta a una distruzione del progetto europeo. È sempre bene decidere insieme, sostiene la Merkel, perché nell’iniziativa Stato per Stato l’interesse comune non viene salvaguardato, e a volte nell’ingranaggio restano schiacciati i vari interessi nazionali. Alla visione merkeliana, che è saldata con quella di Emmanuel Macron – i due hanno accantonato buona parte delle loro divergenze: si fa gli schizzinosi in tempi normali, non quando è in gioco la sopravvivenza dell’Europa – si contrappone quella dell’Ungheria di Viktor Orban che, pur avendo un peso specifico ridotto, è la portavoce di una visione dell’Europa degli Stati tipica dei partiti nazionalisti: l’apertura e il liberalismo, dice Orban, hanno fallito, è il momento di recuperare quel che siamo,
e non è necessario stringersi troppo in un federalismo opprimente. Il premier ungherese accompagna questa strategia con la chiusura delle frontiere e una serie di operazioni interne illiberali – la legge anti Soros è la più celebre, ma ci sono molti altri provvedimenti che minano il pluralismo in Ungheria – che stravolgono l’essenza del progetto europeo come lo abbiamo conosciuto finora. Il rischio che questa frizione riporti l’Europa nella crisi da cui pareva uscita soltanto pochi mesi fa è molto alto. Siamo tornati alla gara di sopravvivenza, o come dicono i francesi allo scontro finale e frontale tra le due anime europee: nazionalisti da una parte, progressisti dall’altra. Per la gestione del quotidiano, resta valida la strategia olandese, esplicitata di recente dal premier Mark Rutte: facciamo funzionare le regole che ci sono, facciamo riforme soltanto negli ambiti in cui è strettamente necessario, non impantaniamoci sulla volontà di integrarsi il più possibile. Quando c’è da stringersi forte, molti paesi europei hanno l’istinto di ribellarsi: restiamo così, vicini, collaborativi, la rifondazione un’altra volta, passata la tempesta.
euroscettici, sovranisti, nazionalisti, movimenti xenofobi, nostalgici dei regimi autocratici per non dire di peggio. Il calo dei maggiori partiti assertori del progetto comunitario, principalmente democristiani e socialisti, potrebbe dar luogo ad una costellazione di forze ondivaga e non facilmente controllabile. Tutto lascia presumere che il vento girerà a svantaggio delle istituzioni di Bruxelles e di Strasburgo. La costruzione europea non è più popolare: anzi, molti governi vorrebbero abbandonare l’euro, rialzare le frontiere e proteggere i propri mercati attraverso il crivello dei dazi. Gli anni dell’euforia sono ormai alle spalle. Sia la casa comune europea, sia i processi di globalizzazione sono ora bersaglio di feroci critiche. I capi d’accusa sono noti: burocrazia tanto elefantiaca quanto cavillosa, politiche di austerità che hanno finito per strangolare piccoli Stati come la Grecia,
incapacità di gestire l’afflusso dei profughi provenienti dall’Africa e dal Medio Oriente. La destrutturazione del mondo del lavoro, delle norme che regolavano i conflitti e dei delegati che filtravano le rivendicazioni, ha gettato nello sconforto la vecchia «working class», scivolata nel girone dell’incertezza e della precarietà. L’Ue, insomma, è diventata il nemico da combattere, non più un’architettura da rivedere e da migliorare. Questo tiro incrociato finirà per agevolare il compito dei negoziatori svizzeri, che di questo passo si ritroveranno a trattare con un’Unione indebolita e sempre meno coesa? Alcuni se lo augurano; altri invece paventano un inasprimento dell’atteggiamento di Bruxelles. Per quest’ultimi non è scontato che l’uscita della Gran Bretagna dalla famiglia europea favorisca le trattative diplomatiche Svizzera-Ue.
Affari Esteri di Paola Peduzzi Nuovo squarcio nell’Ue Il sogno di una notte di mezz’estate dell’Europa s’è infranto qualche settimana fa, quando il continente s’è svegliato con i problemi esistenziali di nuovo sull’uscio di casa, tutti insieme, facce nuove, dolori antichi. Il consiglio europeo del 28-29 giugno era stato studiato come una festa: l’appuntamento a metà dell’anno 2018, l’anno del consolidamento del progetto europeo e del neoeuropeismo lanciato nelle piazze piene di bandiere blu con le stelline d’oro. Un gran progetto di rifondazione, i calici alzati perché siamo vivi, siamo uniti, abbiamo un sogno comunitario
per il futuro: questo era lo script del consiglio europeo imminente, ma poi tutto è cambiato. È facile attribuire all’Italia la colpa dell’inversione di marcia: da quando ha giurato, il governo di Giuseppe Conte non ha fatto che proclami destabilizzanti – anche le contraddizioni, soprattutto le contraddizioni, sono destabilizzanti. La chiusura dei porti e l’odissea della nave Aquarius hanno creato un ulteriore squarcio nell’Unione europea, alle prese con la propria rifondazione e con un nuovo slancio dei paesi che non vogliono più
Il premier olandese Mark Rutte.
Cantoni e spigoli di Orazio Martinetti Europa e Svizzera: piazze in conflitto Lugano, una mattina finalmente asciutta e luminosa dopo tanti giorni di scrosci fastidiosi. In piazza Dante alcuni attivisti dell’Udc raccolgono firme «Per un’immigrazione moderata», detta anche «Iniziativa per la limitazione»; in piazza Riforma, invece, soci e simpatizzanti di Coscienza Svizzera si apprestano ad entrare nella sala del Consiglio comunale per discutere di «federalismo svizzero e costruzione europea». Due piazze vicine spazialmente eppure sideralmente lontane sul piano politico; l’una intenta a ribadire una traduzione legislativa rigorosa della volontà popolare espressa il 9 febbraio del 2014 per arginare l’immigrazione di massa (proposito che si ritiene il Parlamento abbia tradito); l’altra occupata a disegnare scenari tenendo conto degli interessi in campo, del rimescolamento dei rapporti di forza, delle possibili strategie per rinnovare il patto.
Lo sappiamo: l’Europa – nelle forme concretamente assunte, ovvero l’Unione europea – accende gli animi e polarizza le opinioni: una tela spaccata a metà da un taglio che per ora non lascia intravedere punti di contatto e di mediazione. Sul lato destro si colloca un’associazione come l’Asni, «Azione per una Svizzera neutrale e indipendente»; dall’altro si pone Numes, ovvero il «Nuovo movimento europeo svizzero». La prima s’impegna «per la salvaguardia dell’indipendenza, della neutralità e della sicurezza della Confederazione svizzera»; la seconda propugna la «creazione di una federazione europea» e caldeggia un’«adesione rapida della Svizzera all’Unione europea». È possibile anche personificare questa contrapposizione: da una parte Marco Chiesa, dall’altra Jacques Ducry. I prossimi appuntamenti con le urne provvederanno ad irrigidire ulterior-
mente i fronti. Un primo assaggio lo si è già avuto alle Camere federali con il dibattito sull’iniziativa «Il diritto svizzero anziché giudici stranieri (iniziativa per l’autodeterminazione)». Per i promotori – in primo luogo Udc e Lega – lo spirito del testo risale addirittura al Medioevo, ha le sue radici nella rivolta dei paesi forestali contro gli emissari degli Asburgo. Bruxelles, in questa visione, sarebbe il nuovo balivo, colui che pone i suoi codici al di sopra degli ordinamenti locali (e come aveva fatto, ai primi dell’Ottocento, Napoleone con il suo «Code civil»). Poi nell’autunno del 2019 (20 ottobre) si voterà per il rinnovo dei poteri federali. Questo nella Confederazione. Il 2019 sarà anche l’anno dell’elezione del parlamento europeo (maggio). Ancora una volta andrà in scena lo scontro tra la corrente europeista e il folto, chiassoso e multiforme schieramento anti-Ue:
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Una mostra storica di capolavori Mostre Eugène Delacroix al Musée du Louvre a Parigi Gianluigi Bellei Eugène Delacroix è il pittore della passione. Charles Baudelaire, suo grande sostenitore, lo descrive come creatore di gesti sublimi, ma anche dell’invisibile, dell’impalpabile, attraverso il sogno, i nervi e l’anima del segno e del colore. Il genio dell’arte francese, insomma. Un artista immenso che ci ha lasciato una produzione di più di ottocento pitture, mille disegni e moltissimi scritti. Sì, perché era anche un letterato, – opere teatrali e racconti –, un articolista – scriveva su varie riviste d’arte –; in più ha lasciato un ricchissimo diario e molte lettere. Nella Revue des Deux Mondes del 15 luglio 1857 elabora la personale concezione estetica contraria al bello statico del neoclassicismo per imprimergli la sua visione romantica. Scrive: «Noi vediamo il bello soltanto attraverso l’immaginazione dei poeti e dei pittori; il selvaggio lo incontra a ogni passo della sua vita errabonda». E il selvaggio rappresenta l’anima del suo furore, del suo pàthos, che spazia fra realtà e illusione. La sua «grandiosità visionaria» lo fa vivere fra eccitamento e affaticamento, come precisa Elena Pontiggia. Tra il fragore delle armi, i nitriti dei cavalli, i ruggiti delle tigri e il silenzio estatico degli ultimi paesaggi e nature morte. Delacroix cresce in un ambiente colto e cosmopolita. Legge e ama autori come Shakespeare, Dante, Goethe, Schiller, Walter Scott e Byron, poeta quest’ultimo che ha un’influenza importante nello sviluppo del suo lavoro. La maggior parte delle sue opere si trova al Louvre di Parigi. Dopo la retrospettiva, sempre al Louvre, del 1963 organizzata per il centenario della morte, chi vuole comprendere e ammirare appieno il lavoro di questo vulcanico artista deve far capo allo stesso museo che fino al 23 luglio presenta 180 opere provenienti anche dai musei francesi di Lille, Bordeaux, Nancy e Montpellier, con prestiti dagli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna, dalla Germania, dal Canada, dal Belgio e dall’Ungheria. L’esposizione permette di dare una nuova interpretazione al suo lavoro. Lo divide in tre periodi. Il primo decennio dal 1822 al 1834 consistente nella rottura con il sistema Neoclassico mediante quelle grandi tele che lo porteranno al trionfo. Il secondo, dal 1835 al 1855, è caratterizzato da opere monumentali pubbliche e, infine, gli ultimi anni di sintesi fino al 1863 dominati dal paesaggio e dalle nature morte di carattere più introspettivo. Questa suddivisione permette una nuova lettura che va oltre quella tipicamente romantica che divideva le opere per genere. Delacroix appare così certamente come un romantico ma anche come un realista, un eclettico e uno storicista. La mostra si svolge nelle sale ap-
Eugène Delacroix, Mort de Sardanapale, 1827, Salon de 1827-1828. (Musée du Louvre © Musée du Louvre, dist. RMN – Grand Palais / Angèle Dequier)
posite dell’ala Napoléon. Alcune opere però, data la loro imponenza, non sono state spostate e si trovano ancora nelle loro sale. Fra queste, ovviamente, le tele del soffitto della galerie d’Apollon raffiguranti appunto Apollon vainqueur du serpent Python. Poi la splendida Mort de Sardanapale e la Prise de Constantinople che eccezionalmente sono affiancate a Le Christ au Jardin des Oliviers, restaurata per l’occasione e trasferita dalla chiesa Saint-Paul-Saint-Louis nel quarto arrondissement nella sala 77 al primo piano dell’ala Denon. In ogni caso Delacroix è un artista controverso. Sia all’inizio della carriera quando la critica giudica La Mort de Sardanapale del 1827 negligente nel disegno, con errori di prospettiva e una grande confusione nel primo piano o La Liberté guidant le peuple del 1830 che mostra una donna ignobile dalle forme grossolane, con la pelle sporca e con quella pelosità delle ascelle che incita i commentatori a usare un vocabolario decisamente triviale. Sia al termine della carriera quando, dopo aver celebrato le grandi macchine romantiche degli esordi, non si capacita di quei dipinti dal formato modesto, intrisi di tristezza e nostalgia. Diversi i temi che ricorrono nei dipinti di Delacroix. La guerra innanzitutto: quella dell’eroe vaticinata da Lord Byron come quella per l’indipen-
denza della Grecia con le Scènes des massacres de Scio del 1824 o La Grèce sur le ruines de Missolonghi del 1826, omaggio proprio a Byron caduto a Missolonghi due anni prima. L’erotismo, come ne La Mort de Sardanapale dalla composizione orgiastica e terribile. Delacroix ama la licenziosità dell’Ariosto e la sensualità del Tiziano. È giovane e la pulsione erotica dei suoi rapporti sessuali con le prostitute e le modelle è palpitante. Nei suoi scritti per designarli usa il termine italiano chiavatura. Il dramma orgiastico de La Mort de Sardanapale si traduce in una pasta pittorica cremosa con delle colature liquide, dai colori vibranti e a volte diafani. L’esaltazione rivoluzionaria, come ne La Liberté guidant le peuple dove la composizione classica a triangolo vede la figura femminile che incita il popolo durante la rivoluzione parigina del 1830 correndo su di un cumulo di cadaveri. Forse Delacroix si rappresenta nel signore a destra con la bombetta e il fucile, forse no e dipinge la grandiosa tela solo per opportunismo. Sta di fatto che il quadro diviene un simbolo della Repubblica e un’allegoria della democrazia che si è imposto via via come mito universale. La composizione piramidale richiama Le Radeau de la Méduse di Jean-Louis Géricault del 1818-1819, come il piano di posa instabile e la figura centrale che agita un og-
getto. Solo che in questo caso la massa delle figure non corre incontro a noi bensì verso l’orizzonte. Nel 1832 Delacroix accompagna il conte de Mornay in una missione diplomatica in Marocco. Durante il soggiorno realizza una massa importante di disegni e acquarelli. Rimane incantato dal sole, dai colori, dalle scene di vita quotidiana. Si apre una nuova fase: quella del pittoresco, dell’aneddotico, dell’etnografico, che porterà con sé per il resto della vita assieme alle battaglie militari e alle lotte fra animali esotici. Segue un periodo nel quale il colore si riduce e le tenebre prendono il sopravvento. Le Christ au tombeau del 18471848 mostra la scena in un drammatico affastellarsi di figure al centro delle quali appare un Cristo livido e innaturale. Nella Pietà del 1842-1843 la pittura esprime la dissoluzione del corpo attraverso il dolore, come nei dipinti di Rosso Fiorentino. Nel 1855 il regime del Secondo impero gli offre il privilegio di un’antologica all’Esposizione universale di Parigi alla quale partecipa con 42 dipinti. È la consacrazione del suo genio nazionale. Verrà poi eletto membro de l’Académie des Beaux-Arts. Gli ultimi anni sono pieni di nostalgia e alla brutalità dell’estetica realista di Courbet contrappone la virtù della memoria. Si ritira in campagna dopo i tumulti del-
la rivoluzione del 1848. Realizza una lunga serie di dipinti floreali. Rappresenta bellissime donne nude al bagno, il mare, calmo e oscuro nello stesso tempo, ma soprattutto dipinge la serie di tele con quella barca in balia delle onde del lago di Tiberiade con Cristo e gli apostoli che sembrano sopraffatti dal destino. Prosegue il tema dell’artista incompreso, malinconico – la critica gli è di nuovo ostile – come in Ovide chez les Scythes del 1859. Una sala è dedicata agli scritti e alle lettere che rivelano la complessità della sua figura e dei suoi rapporti sociali e personali. Un’altra alla litografia, tecnica che gli serve per creare un’atmosfera fantastica e una magia simile alle acqueforti di Rembrandt. Bella mostra, forse un po’ soffocante; ottime le luci; interessante il catalogo, con anche l’indice dei nomi. L’esposizione è organizzata congiuntamente dal Louvre e dal Metropolitan Museum of Art di New York dove verrà presentata, almeno in parte, dall’11 settembre al 6 gennaio 2019. Dove e quando
Delacroix (1798-1863). A cura di Sébastien Allard e Côme Fabre. Parigi, Musée du Louvre. Fino al 23 luglio 2018. Catalogo musée du Louvre/èditions Hazan, euro 45. www.louvre.fr
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 25 giugno 2018 • N. 26
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Cultura e Spettacoli
Il paesaggio dietro il paesaggio Fotografia Luigi Ghirri alla triennale di Milano
Matteo Campagnoli La collaborazione tra il fotografo Luigi Ghirri e la rivista di architettura «Lotus», iniziata nel 1983 con un servizio sul cimitero di Modena di Aldo Rossi e protrattasi per tutti gli anni Ottanta, è il tema della mostra Luigi Ghirri: Il paesaggio dell’architettura, allestita alla Triennale di Milano, a cura di Michele Nastasi, e aperta al pubblico dal 25 maggio al 26 agosto.
Il fotografo emiliano considerava l’architettura un’arte aperta e costantemente messa alla prova Con oltre 300 fotografie suddivise in stampe di piccolo formato e proiezioni, affiancate da pubblicazioni originali, materiali di lavoro e riflessioni del fotografo, la mostra offre la possibilità di addentrarsi in un raro e felice caso in cui committenza e ricerca personale di un artista si intrecciano fino a confondersi. Già dal primo lavoro modenese è evidente il livello di innovazione che Ghirri apporta alla fotografia di architettura di quegli anni: basti anche solo l’immagine in cui il cubo del cimitero è visto attraverso i finestrini di un’auto in corsa, fra tralicci e condomini disseminati nella pianura. Dell’architettura Ghirri amava il suo essere un’arte aperta e costante-
Luigi Ghirri, Mantova, piazza Sordello, 1988. (© Eredi di Luigi Ghirri)
mente messa alla prova, abitata, guardata, usata. Nei suoi scatti i segni del presente, che siano automobili parcheggiate o passanti, non sono mai esclusi, come si usava allora, ma vengono accolti nell’inquadratura con una tale maestria da renderli elementi fondanti della composizione. Se per
lui si trattava di istituire un nuovo alfabeto della percezione, per noi che li guardiamo oggi, a una trentina d’anni di distanza, questi frammenti di vita quotidiana si caricano di un ulteriore effetto, soffondendo le immagini di nostalgia. In questa sua indagine sull’archi-
tettura italiana, lo sguardo di Ghirri parifica, integra, umanizza, si sofferma sui monumenti dei grandi centri storici come sulle realtà minime e periferiche, dalla basilica di Santa Croce a Firenze alla spiaggia desolata di Marina di Ravenna, dalla Torre di Pisa a un filare di alberi accanto a un caso-
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lare nei pressi di Fidenza. A interessare il fotografo emiliano era, ovunque, l’aspetto quotidiano, ordinario della realtà, perché sentiva che proprio in ciò che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni potesse, paradossalmente, rivelarsi quel «vero paesaggio dietro il paesaggio» che gli sembrava di intuire. Per arrivare a coglierlo, Ghirri fotografava uno stesso luogo a diverse ore del giorno e della notte, in differenti condizioni atmosferiche, si avvicinava e si allontana dai suoi soggetti, sperimentava vari punti di vista, convinto che ogni cosa esista sempre all’interno di una rete di relazioni, innanzitutto con il tempo, e non sia mai due volte identica a se stessa. Da questi «strani grovigli del vedere», come lui stesso li definiva, emerge una visione insieme nitida e partecipe, una sorta di mappatura affettiva dell’Italia miracolosamente sospesa tra documentazione ed epifania. E il fascino, o meglio la poesia, delle esplorazioni architettoniche di Ghirri sta forse proprio nell’equilibrio delicato tra passato e presente, tra ordinario e sublime, tra rilevazione e rivelazione che l’allestimento milanese, grazie ai suoi accostamenti e al percorso che disegna, ci dà modo di cogliere con pregevole naturalezza nelle sue molteplici sfumature.
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Cultura e Spettacoli
Hodler ritrovato
Mostre Ginevra festeggia con una grande mostra il maestro della pittura svizzera, a 100 anni dalla morte
Emanuela Burgazzoli Prima di accedere alle sale i visitatori sono invitati a entrare in una piccola anticamera dalle pareti scure in cui è esposto il testo La missione dell’artista, presentato alla Società delle belle arti di Friburgo nel 1897, in cui Hodler enuncia i principi della sua teoria del «parallelismo»; accanto, è affisso il dipinto di un paesaggio di scuola francese. Una sala che suona come una dichiarazione d’intenti delle curatrici, Laurence Madeline e Nina Zimmer, direttrice dei musei bernesi, che con questa esposizione visibile fino al 19 agosto a Ginevra e successivamente al Kunstmuseum di Berna hanno voluto approfondire e indagare le modalità del linguaggio pittorico di Hodler attraverso le regole che lo stesso artista, bernese di nascita e ginevrino d’adozione, si era dato. Nelle intenzioni del pittore, nato a Berna nel 1853, il parallelismo costituiva una chiave di lettura di tutta la sua produzione, passata e futura. «A poco a poco, dopo aver studiato e osservato per anni, sono arrivato al mio stile attuale: forme chiare, rappresentazione semplicissima, ripetizione del motivo», scriveva Hodler che, tanto nei paesaggi quanto nella figura umana, cercava di individuare strutture quali forme geometriche, linee parallele e ripetizione di motivi, che potessero confermare l’esistenza di un principio universale; un volontarismo formale a più riprese criticato, anche da colleghi pittori coevi. La mostra allestita nelle sale del Musée Rath – le stesse dove quasi 150 anni fa un giovane Hodler era stato notato dal pittore ginevrino Barthélemy Menn che diventerà suo maestro e al quale, – (parole di Hodler) «deve tutto» –, è un invito a seguire il ritmo delle sue composizioni, a entrare nel cuore stesso del processo creativo di questo padre della pittura svizzera, che ha dovuto combattere per affermarsi in vita e che dopo la sua morte è caduto in un lungo oblio; dimenticato da critica, galleristi e musei, la figura di Hodler sarà rivalutata soltanto a partire dal secondo Dopoguerra. Negli ultimi anni il suo ruolo di pittore europeo e di pioniere all’interno dei movimenti di avanguardia è stato sottolineato da
Ferdinand Hodler (1853-1918), Il giorno, 18991900. Olio su tela, 160 x 352 cm. Kunstmuseum Berna. (© Kunstmuseum Bern)
numerose mostre che gli sono state consacrate all’estero, da Parigi a New York, da Tokyo a Vienna. Un rilancio che grazie anche alla pubblicazione dei suoi scritti e del catalogo ragionato forniscono nuovi strumenti ai ricercatori per restituire la complessità di questo artista, confinato spesso in determinati ruoli: il pittore di paesaggi alpini, il pittore di guerra e di episodi fondanti della storia e dell’identità svizzera, quali il Boscaiolo, la Battaglia di Morat e la Ritirata di Marignano, due affreschi realizzati per il Museo nazionale svizzero di Zurigo. Ma anche in questo genere pittorico Hodler si dimostra innovativo e provocatore: indifferente ai dettagli descrittivi, all’aspetto storico-documentario o alla resa del sentimento eroico, il pittore si concentra invece sull’aspetto decorativo e pittorico e sulla composizione. Scelta che gli vale l’ammirazione di Klimt e alcune commesse in Germania come le decorazioni per l’università di Iena e il municipio di Hannover (Unanimità), i cui studi preparatori sono visibili a Ginevra. L’Hodler che emerge dall’esposizione ginevrina è prima di tutto un pittore dell’universale, interessato all’architettura dei suoi dipinti, ai valori che accomunano gli uomini e gli elementi
del mondo naturale, e in questo senso simbolista; basti osservare le figure monumentali di opere quali L’infinito e la Verità, sospese in una dimensione atemporale, secondo una simmetria armonica, oppure i paesaggi che perdono progressivamente la loro connotazione realista per trasformarsi in luoghi dello spirito; le montagne sono apparizioni che emergono da coltri di nebbia e cornici di nuvole. Il percorso espositivo dimostra che Hodler, nato pittore paesaggista, errante fra sentieri e foreste, nelle vedute alpine trova rapidamente conferma di una grandiosa uniformità delle parti e procede a una minuziosa ricerca dell’essenziale. La serie di vedute dei laghi di Thun e del Lemano attestano questo processo di rarefazione formale che sfocia negli ultimi lavori in esiti quasi astratti. Pittore svizzero, per stile e per soggetti, ma anche pittore europeo: nel 1891 Hodler ha già conquistato Parigi con La notte (opera che lascia raramente le sale del Kunstmuseum di Berna), il grande dipinto che aveva fatto scandalo al Salone municipale di Ginevra e che segna la svolta simbolista del suo linguaggio artistico. Corpi nudi di donne e uomini distesi, fra questi è riconoscibile anche un autoritratto dell’artista, e sui quali incombe
una sagoma nera dalle proporzioni non umane. La monumentalità dei corpi, la composizione che gioca fra le forze opposte di verticalità e orizzontalità, il mistero al quale contribuisce la particolare luce che pervade il quadro: si comprende perché abbia attirato l’attenzione dei simbolisti parigini, come il tanto ammirato Puvis de Chavanne o Gustave Moreau. La consacrazione internazionale definitiva avverrà nel 1904, quando Gustav Klimt lo invita a esporre alla Secessione di Vienna, dove presenta trentuno dipinti. In Svizzera il riconoscimento arriverà con la grande retrospettiva allestita al Kunsthaus nel 1917. Ferdinand Hodler è un pittore che divide pubblico e critica, venerato, ma anche criticato; fin da giovane compie la scelta consapevole di non seguire i gusti e le aspettative del pubblico elvetico e di seguire la sua strada, cercando di affermarsi all’estero; nell’autoritratto del 1881 dal titolo Le furieux si volta a guardare i suoi spettatori con uno sguardo collerico. Soltanto negli ultimi anni di vita Hodler è l’artista affermato, il cittadino borghese che trasloca in un elegante appartamento sul quai du Mont-Blanc a Ginevra, e che in qualità di presidente della Società dei pittori, scultori e architetti svizzeri
esercita una certa influenza sulla vita culturale e artistica nazionale. Ma le sale del Musée Rath privilegiano la dimensione intima del pittore, i motivi intrinseci della sua pittura; lo dimostra la sala dei confronti che gioca sulla continuità formale fra dipinti apparentemente lontani. Il corpo dell’amante morente Valentine Godé-Darel (agonia che fa l’oggetto di una celebre serie di dipinti e disegni, visibili in parte anche nella bella mostra allestita al Kunstmuseum di Winterthur su Hodler e Giacometti) viene accostato a un profilo di vette alpine, il viso maturo del pittore a un torrente di montagna disseminato di pietre e alla sagoma di una montagna: un esercizio non inedito, ma suggestivo. Così come suggestivo è il sistema di illuminazione che nelle sale ha previsto grandi lampadari che modificano l’intensità della luce; un espediente per dare la sensazione ai visitatori di vagabondare insieme al pittore en plein air, inserendo così una variabile ulteriore al nostro sguardo. Dove e quando
Hodler//Parallélisme, Ginevra Musée Rath (Place de Neuve 1). Orari: 11-0018.00; lu chiuso. Fino al 19 agosto 2018. www.institutions.ville-geneve.ch
Cosa succede se un’intera valle diventa concerto? Musica Il prossimo weekend a Monte, in Valle di Muggio, la première di Listen! Zeno Gabaglio Monte è uno dei piccoli paesi che compongono la Valle di Muggio – alcuni dicono addirittura il più bello di tutta la valle, con buona pace dei campanilismi. E nonostante da qualche anno
sia amministrativamente entrato a far parte dell’allargato comune di Castel San Pietro, fatica ad assumere fino in fondo lo status subalterno di frazione, conservando anzi un’identità e una vitalità proprie: assai sorprendenti, se si considera che la massa critica della po-
Willem Schulz, musicista e direttore artistico di LISTEN! . (Gianluca Poletti)
polazione di poco supera il centinaio di abitanti. Cento persone diverse per origine (si va dalle famiglie autoctone da sempre ai forestieri stabilitisi negli anni, a coloro che sono rientrati in valle solo in tempi recenti) e tipologia (dal professore al pensionato, dall’artigiano al bambino), ma che riescono a generare forti segni di unità e coesione. Nelle feste religiose, nei contesti associativi e – elemento assai più raro – nelle rappresentazioni artistiche. Dal 2002 esiste infatti l’Associazione Montearte che – ogni anno in modo sempre inventivo – propone attività in cui il paese e le persone si identificano. Non ci sono barriere di stile o di disciplina, e il dato curioso è l’originalità che questa associazione è sempre riuscita ad affermare; con proposte talvolta popolari, altre volte ben più contemporanee e ardite di quanto le blasonate istituzioni culturali cantonali siano in grado di concepire: installazioni, danza, mailart, fumetto, poesia, gastronomia, fiabe, concerti, passeggiate – e tutti questi elementi possibilmente combinati tra di loro secondo percorsi inediti.
Siamo forse di fronte a dei simpatici balabiott d’inizio millennio? Forse; ma se a inizio Novecento i contadini asconesi deridevano – senza alcuna possibilità di comprensione e partecipazione – la comunità degli utopisti del Monte Verità, qui la condivisione si attua su un piano ben diverso. E chi scrive ben si ricorda le centinaia di macchine che nelle notti dell’autunno 2007 percorrevano la solitamente deserta stradina verso Monte per ammirare le proiezioni dell’installazione In...boscamento che colorava tutto il paese, ammantandolo di meraviglia. Non è perciò un caso se – per l’attività 2018 dell’associazione – proprio a Monte si terrà il prossimo weekend un evento musicale dai caratteri decisamente insoliti; qualcosa che una stagione concertistica o un festival non potrebbero mai fare, e probabilmente nemmeno immaginare. Venerdì 29 giugno (inizio ore 18.00) e domenica 1° luglio (inizio ore 16.00) andrà infatti in scena LISTEN! la valle risuona, un progetto di land art musicale affidato alla direzione artistica del musicista amburghe-
se Willem Schulz in collaborazione con Anna Modesti. Di cosa si tratta? Affidandosi alle parole dei promotori (e trattandosi di una première un po’ di fiduciosa immaginazione appare inevitabile) «la valle di Muggio si trasformerà per un paio di giorni in una sala da concerto in continua evoluzione: un’arcaica orchestrina composta da giovani musicisti e ballerini, attraverserà il villaggio di Monte inondando con i suoi suoni angoli, nicchie e piazze suggestive, chiese e quartieri pittoreschi, mentre un immenso concerto di ottoni e di voci metterà in comunicazione le due sponde della valle». Un concerto nel paesaggio, quindi, dove per qualche ora tutto diventa musica senza però la routine e i posizionamenti (anche fisici) che normalmente l’ascolto musicale ci impone. Suoni di campane, di passi, composizioni e improvvisazioni, interpreti professionisti e musicisti amatoriali si uniranno per delineare un disegno sonoro unico, che esisterà solo in quel weekend e solo per le persone che vorranno parteciparvi.
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Cultura e Spettacoli
Oltre l’estetica
Mostre A Bellinzona le opere di quattro protagonisti dell’arte del secondo dopoguerra
Alessia Brughera A un certo punto qualcosa cambiò nello sguardo e nelle intenzioni degli artisti: dopo gli orrori e le sofferenze causate dal secondo conflitto mondiale, essi non trovavano più risposte né nella bellezza della forma, ormai distante e inefficace, né nelle esperienze delle avanguardie storiche, ormai logore e sorpassate. Nessuno di loro poteva più permettersi, adesso, di interessarsi a una mera rivoluzione estetica. Era tempo di rimettere in discussione il senso stesso del fare arte, liberandosi da schemi figurativi e geometrici per creare un nuovo rapporto con la realtà. La caduta delle grandi teorie e delle finalità ultime dell’Occidente li spinge così a intraprendere la ricerca di strade inedite per esprimersi, capaci di restituirgli una possibilità di azione nel mondo. Questo stato d’animo, che attraversa l’Europa tra la fine degli anni Quaranta e l’inizio degli anni Cinquanta, viene fatto confluire nell’etichetta di «arte informale», più che una corrente una condizione, un sentire comune a numerosi artisti mossi dalla volontà di contestare i modelli del passato partendo da una pittura totalmente materica, segnica e gestuale. La materia primordiale, il segno violento e il gesto istintivo diventano difatti le componenti essenziali di una poetica che ridefinisce l’oggetto artistico, il significato dell’immagine e il concetto di spazio. Una mostra allestita nelle sale del Museo Civico Villa Cedri a Bellinzona, intitolata Burri, Fontana, Afro, Capogrossi. Nuovi orizzonti nell’arte del secondo dopoguerra, raccoglie i lavori di quattro protagonisti della stagione informale italiana e internazionale che seppero riformulare, ognuno secondo declinazioni differenti, soluzioni radicali all’insegna del rifiuto delle norme della tradizione e di una piena libertà creativa. Alberto Burri giungeva a questo traguardo contaminando lentamente la sua pittura con inserti di materiali selezionati per le loro potenzialità formali ed emozionali, fino ad arrivare a sostituire del tutto la pasta pittorica con pezzi di legno, stracci, sacchi di juta, plastiche e lamiere. L’artista non lasciava inermi questi elementi, li lacerava, li rattoppava e li bruciava per sfruttarne la vitalità della consistenza e indagarne la valenza espressiva. Non
Afro Libio Basaldella, Senza titolo, 1963, litografia. Fondazione Archivio Afro. (Foto Michele Sereni, Pelicula snc. Courtesy Fondazione Archivio Afro, Roma. © 2018, ProLitteris, Zürich)
cercava di trasformarli per rappresentare qualcosa al di là di essi, ma ne faceva strumento per la conquista di immagini che non avevano precedenti nella storia dell’arte.
Ad accomunare i quattro artisti in mostra vi sono il rifiuto delle norme della tradizione e la totale libertà creativa Anche Lucio Fontana ambiva a superare l’insufficienza del quadro convenzionale protendendosi verso orizzonti formali fino a quel momento sconosciuti. Per lui l’opera era un divenire della materia nello spazio: il piano della pittura andava azzerato bucandolo e aprendolo, il volume della scultura andava ridefinito spaccandolo e incidendolo. Con i suoi laconici tagli, l’artista suggeriva che lo spazio non si fermava sulla superficie ma la attraversava proseguendo il suo cammino. Fontana oltrepassava in questo modo i limiti della tela e della materia accedendo, per la prima volta, a dimensioni più vaste.
Dal canto suo Afro Basaldella scopriva Oltreoceano, dove la sua fama nasceva per poi approdare in un secondo momento in ambito europeo, quel mondo di immagini inedito a cui a metà del Novecento i maestri americani dell’Action Painting e dell’Espressionismo astratto stavano dando vita. L’artista arrivava così a una pittura di forma, luce e colore in bilico tra reale e astratto, a una cifra stilistica dettata dall’elegante ritmo della linea e dalla delicata modulazione cromatica che si faceva portatrice di visioni mentali. Giuseppe Capogrossi con il suo alfabeto primitivo generava uno dei linguaggi più innovatori del dopoguerra, un universo di segni dalla straordinaria efficacia compositiva che miravano a significare solo se stessi. Nessun concetto era loro sotteso: i tratti disposti sulla tela, moltiplicati, allineati, rimpiccioliti, ingigantiti e invertiti si presentavano allo spettatore nella loro schietta natura di modulo grafico originando un campo pulsante di relazioni visive. Così facendo il pittore perveniva a un astrattismo spinto all’estremo, a un’arte segnica sospesa in uno spazio indecifrabile e senza tempo.
La mostra di Bellinzona dà conto della portata rivoluzionaria del lavoro di questi quattro maestri concentrandosi principalmente sulla produzione grafica, un’attività assolutamente non secondaria nel loro cammino creativo e un ambito in cui hanno potuto sperimentare con estrema libertà segno e gesto in una continuità d’intenti con la ricerca pittorica. Ad aprire il percorso espositivo sono alcuni disegni, dipinti e sculture che testimoniano il fervore dell’indagine dei quattro autori italiani e la loro capacità di aprire le porte a una concezione dell’arte del tutto nuova. Tra i pezzi più significativi vi sono una Combustione di Alberto Burri datata 1965 e l’opera di Lucio Fontana Concetto Spaziale, Attesa, del 1960, dove la superficie monocroma di colore nero viene ferita dall’artista con un squarcio che schiude lo spazio verso l’infinito. Nella corposa sezione grafica, organizzata secondo un allestimento che privilegia un dialogo diretto tra Burri e Fontana da una parte e tra Afro e Capogrossi dall’altra, di particolare interesse sono le sei incisioni di Burri che simulano gli effetti del fuoco attraverso le tecniche incisorie, un richiamo alle sue combustioni che corrodono la materia sprigionandone l’energia primigenia,
e la serie di litografie Saffo che l’artista esegue per accompagnare i versi tradotti del poeta Emilio Villa. Le tante incisioni di Afro, realizzate soprattutto a partire dalla fine degli anni Sessanta (molto bella, ad esempio, l’opera Senza titolo del 1963), documentano bene l’utilizzo scevro da ogni costrizione che il pittore fa del colore e della linea, così come rappresentative dello stile di Capogrossi sono le litografie e le serigrafie abitate dalle sue peculiari sigle arcaiche legate tra loro da fluide cadenze. Tutti lavori, questi, in cui i quattro artisti interpretano attraverso la tecnica grafica quell’urgenza comunicativa che li ha spinti in territori inesplorati, fornendo all’arte una nuova occasione per essere una forza attiva nel mondo grazie al vigore espressivo della materia, del gesto e del segno. Dove e quando
Burri Fontana Afro Capogrossi. Nuovi orizzonti nell’arte del secondo dopoguerra. Museo Civico Villa dei Cedri, Bellinzona. Fino al 2 settembre 2018. Orari: da me a ve 14.00-18.00; sa, do e festivi 10.00-18.00; lu e ma chiuso. www.villacedri.ch Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 25 giugno 2018 • N. 26
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Cultura e Spettacoli Nek, Max Pezzali e Francesco Renga, con loro un viaggio nella musica degli anni 90. (105.net L. Carcavale)
Snow Patrol, il pop come paradigma Musica Quando il dolore diventa risorsa:
il brillante, triste, ritorno dell’acclamata band irlandese Benedicta Froelich
Un trio sotto le stelle Moon&Stars Il tour di Nek Max Renga farà la sua unica tappa
Svizzera in Piazza Grande a Locarno
Enza Di Santo È dal 2004 che Piazza Grande anima la città di Locarno e l’intero Ticino con quello che a tutti gli effetti è il festival musicale più prestigioso del nostro cantone. Moon&Stars, da venerdì 13 a sabato 21 luglio tornerà a far emozionare il suo pubblico con i concerti delle più amate voci di casa nostra e con grandi artisti di calibro internazionale. L’apertura di questo atteso appuntamento con la musica pop, sarà affidata all’energia di Anastacia, che caricherà la platea per un trio italiano del tutto particolare. Dopo il successo del brano Duri da Battere, scritto da Max Pezzali (ex leader degli 883), e proposto con la collaborazione canora di Nek (Filippo Neviani) e Francesco Renga, i tre amici hanno progettato il loro primo tour congiunto nei palazzetti di tutta Italia, in cui le canzoni da solisti dei rispettivi repertori hanno assunto una forma inedita portandoli a consolidare il trio e a fare di questa esperienza un album. I loro concerti sono come un gigantesco karaoke, il pubblico canta le «hit» che hanno reso celebri i tre cantanti dagli anni 90: da Laura non c’è, a Angelo, e non solo. Saranno proprio loro le star di questa prima serata sotto il cielo di Locarno, infatti quella di Moon&Stars sarà l’unica data Svizzera del loro nuovo tour. Il tour comprende anche Strada Facendo, singolo dell’omonimo album di Claudio Baglioni del 1981, riproposto in versione originale da Max, Nek e Renga al Festival di Sanremo di quest’anno. Questa sarà di certo l’apertura del festival locarnese che più di altre farà cantare tutti i presenti.
Anche la chiusura della kermesse, all’insegna del buon rock, vedrà sul palco una delle più amate voci della vicina penisola: Gianna Nannini, che si esibirà con tutta la sua grinta, seguita dalla carica dagli Scorpions, che nonostante gli anni di carriera alle spalle, sanno sempre emozionare migliaia di fan. Nel mezzo, a riempire l’esclusiva cornice del festival ci saranno, sabato 14 luglio, Die Fantastischen Vier e il rapper svizzero Bligg per una serata tutta dedicata a hip hop e rap di lingua tedesca. Poi domenica sarà il turno del cantautorato con gli irlandesi The Script, il cui brano Hall of Fame prodotto in collaborazione con Will.i.am, nell’agosto del 2012 è divenuto immediatamente una hit. Subito dopo questa band, ci saranno le note struggenti e ammalianti di James Blunt, che proporrà alcune novità del suo ultimo album The Afterlove. Lunedì 16, invece, tutta la sera sarà per la musica svizzera con i premiatissimi Pegasus, di certo la band svizzera per eccellenza, il rock di Baschi e gli scanzonati brani in svizzero-tedesco tutti da ballare degli Hecht. Martedì 17 si vola dalla Svizzera alla Gran Bretagna, con due incredibili donne che porteranno le loro stupende voci sul palco di Moon&Stars per la prima volta: Rita Ora e Emeli Sandè. Entrambe hanno cominciato presto la loro carriera nel mondo della musica e oggi sono tra le artiste più affermate nell’ambito del pop. A metà settimana, mercoledì sarà il momento di due ospiti d’eccezione, James Arthur vincitore di X-Factor e la più celebre cantante tedesca, Sarah Connor. Il focus di giovedì 19 invece sarà
sul sound delle chitarre del duo tedesco Milky Chance, che inarrestabile è arrivato in Australia, e su quella dell’artista hawaiano Jack Johnson. Venerdì 20 sul palco si esibiranno i finlandesi Sunrise Avenue con il loro rock e una delle più belle voci del panorama pop tedesco, Adel Tawil. Moon&Stars quest’anno promette davvero grandi emozioni e non sarà fatto solo di Big, ma anche di tantissimi artisti emergenti che potranno essere seguiti nell’accogliente Piazza Piccola ad accesso gratuito, dove sarà allestito un grande spazio ristoro dedicato allo street food con 25 food-truck. E se proprio non potete rimanere a corto di buona musica fino al 13 luglio, da martedì 10 luglio, Dj Matteo e Dj Aldo animeranno la Piazza Piccola nell’attesa del festival.
Venerdì 13 luglio
Giovedì 19 luglio
Moon and Stars, Piazza Grande Locarno, dal 13 al 21 luglio 2018
Biglietti in palio Migros Ticino offre ai lettori di «Azione» 25 coppie di biglietti per venerdì 13.07 con Nek, Max Pezzali e Francesco Renga. Per partecipare al concorso occorre telefonare mercoledì 27 giugno dalle ore 10.30 al numero 091 850 82 76. La partecipazione è riservata a chi non ha beneficiato di vincite in altri concorsi promossi da «Azione» negli scorsi mesi. Buona Fortuna!
Uno dei fenomeni forse più sconcertanti riscontrabili all’interno della società occidentale è rappresentato dal malcelato disagio che, ancor oggi, caratterizza il comportamento assunto dai comuni cittadini nei confronti della cosiddetta «malattia mentale». Un atteggiamento a causa del quale le persone affette da disturbi di natura psichica si ritrovano immerse in una perniciosa solitudine, caratterizzata dalla diffidenza altrui e inevitabilmente destinata a tradursi in un’eccessiva quanto dannosa introspezione – una sorta di condanna a passare in rassegna la propria intera vita, rimpiangendo la spensieratezza.
In Wildness, recente fatica del gruppo, traspare tutto il dolore interiore del frontman Lightbody Proprio questo sentimento disperato quanto struggente è il leitmotiv di Wildness, nuova opera della band degli Snow Patrol, talentuosa formazione irlandese salita alla ribalta nel 2003 grazie alla finezza di brani come Chasing Cars e You Could Be Happy, il cui sapore agrodolce combinava suggestioni intimiste e l’orecchiabilità del miglior pop radiofonico anglosassone. Una tattica che ha permesso al gruppo di ottenere ottimi riscontri non solo in ambito commerciale, ma anche da parte della critica internazionale – eclissando nel contempo, agli occhi del pubblico, il dramma personale vissuto dal front-man e vocalist Gary Lightbody, il quale sta oggi faticosamente riemergendo da una grave depressione e dipendenza da alcool. Ecco quindi che, dopo un silenzio durato ben sette anni, gli Snow Patrol si cimentano in un’operazione artistica coraggiosa quanto complessa, nella quale Lightbody – che i video promozionali di questo CD mostrano come un uomo ormai disilluso, il cui sguardo sofferente e viso scavato offrono uno scioccante contrasto rispetto ai filmati di appena pochi anni addietro – fa di Wildness un tramite per i propri sentimenti più profondi. Sentimenti che riverberano con forza non solo nell’intrigante traccia di apertura (la raffinata Life On Earth, caratterizzata da un vigore e una sincerità a tratti quasi sorprendenti), ma nella maggior parte dell’eccellente tracklist, i cui accenti elettronici non riescono a occultare la lacerante disperazione nel-
Il programma 2018 Anastacia – Nek, Max Pezzali e Francesco Renga Sabato 14 luglio
Bligg – Die Fantastischen Vier
Milky Chance – Jack Johnson Venerdì 20 luglio
Sunrise Avenue – Adel Tawil Sabato 21 luglio
Domenica 15 luglio
Scorpions – Gianna Nannini
Lunedì 16 luglio
Informazioni
The Script – James Blunt Pegasus – Hecht – Baschi Martedì 17 luglio
Emeli Sandé – Rita Ora Mercoledì 18 luglio
Sarah Connor – James Arthur
www.moonandstars.ch Biglietti su: www.moonandstars.ch e su www.ticketcorner.ch
La copertina dell’album.
la voce ormai nuda e indifesa di Gary: ne sono una prova lo straziante lento What If This is All the Love You Ever Get? e Don’t Give In, evidenti incitazioni a cercare, nonostante tutto, di resistere a un dolore costante e crudele. Ma il pezzo che, forse ancor più degli altri, offre una fotografia scarna quanto lancinante dell’animo del proprio autore è il commovente Soon, il cui videoclip, non a caso, mostra un collage di filmati di un giovane e ancora allegro Lightbody e, al pari delle liriche, evidenzia un legame salvifico con l’anziano padre affetto da Alzheimer: il che non impedisce al brano di colpire come uno schiaffo chiunque abbia mai avuto esperienza di una grave agonia interiore – «la tua vita non ti passerà davanti agli occhi in un baleno / invece, scivoleremo semplicemente via per scioglierci come neve / le segrete tempeste della tua gioventù selvaggia / sono ora semplici brezze gentili, calde e lievi». Così, poco importa se, all’interno della tracklist, brani come Empress e A Dark Switch tradiscono un’intensità forse non comparabile al resto dell’album: per contro, anche alcuni tra i pezzi apparentemente più uptempo si rivelano delle vere gemme, come ad esempio il vigoroso A Youth Written in Fire, una sorta di «sguardo indietro» a tempi più felici, i quali, tuttavia, celavano già in sé il «nodo» che Gary sta ora disperatamente cercando di sciogliere. Questa trattenuta costernazione, che il coraggio di affrontare i propri limiti trasforma piuttosto in naturale e quasi gestibile disincanto, riverbera anche nella traccia di chiusura, Life and Death: un titolo, in fondo, simbolico, riferito alla scelta cruciale che ogni persona fortemente depressa si trova a dover affrontare – quella tra una «comoda» morte (che eliminerebbe alla radice qualsiasi tormento) e una più coraggiosa, ma terribilmente impegnativa, insistenza a sopravvivere. E se l’ascolto di Wildness dimostra, nel modo migliore e più completo, come Lightbody abbia deciso infine di propendere per la seconda opzione, è proprio tale nuda, sapientemente elaborata sofferenza a rendere questo disco il miglior lavoro di sempre della band, che qui si dimostra in grado di coniugare i due elementi da sempre cruciali della forma canzone: la capacità di «fotografare» sentimenti di grande complessità e un’invidiabile (e affatto scontata) leggerezza formale. Realizzando così una sublimazione artistica di altissimo livello, in grado di innalzare il proprio vissuto, e le esperienze più strettamente intime e personali, a paradigma universale, fruibile da qualsiasi ascoltatore. Difficile, in fondo, chiedere di più a un album pop.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 25 giugno 2018 • N. 26
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Cultura e Spettacoli Rubriche
In fin della fiera di Bruno Gambarotta A ognuno il suo strafalcione Se, dopo settimane di piogge ininterrotte, il caldo arriva all’improvviso, si avverte ancora di più e spinge le persone a uscire di casa per sostare nei dehors dei caffè a conversare. Tema, le prossime vacanze. I primi scambi di battute sono sempre sul tempo atmosferico: «Mai visto un inizio di giugno così caldo». «Già, fa così caldo che io starei volentieri a torsolo nudo...», afferma un signore brizzolato e aitante. La moglie insorge: «Ma chi ti credi di essere, per andare in giro a torsolo nudo, un Dadone?». Altra coppia: «Suo marito signora, come sta?». «Bene, grazie. Era qui, è andato solo a comprare le sigarette. Ah, eccolo che arriva, ursus in fabbrica!». La conversazione vira sul tema dell’inquinamento: «Avevamo in progetto una gita a Firenze ma nostra figlia ce l’ha sconsigliato, ha letto su una rivista che sopra la città c’è un ozono pieno di buchi». «Da noi, in montagna, dove abbiamo una casetta per le vacanze, il buco nell’ozono pratica-
mente non c’è. È proprio una specialità del posto, l’ozono senza buchi. E da voi, al mare?». «Oh da noi, l’estate scorsa, in un mese che siamo stati lì, l’ozono si sarà bucato si e no tre volte ma l’hanno riparato subito». «E voi cosa facevate in attesa che lo riparassero?». «Niente, invece di andare in spiaggia, andavamo a visitare i musei». «Quali?» «E chi se li ricorda!» «Noi, quest’anno abbiamo deciso di andare in montagna, anche se poi non ti viene più voglia di tornare in città. Dopo un mese trascorso lì, al ritorno si sente ancora di più che l’aria è piena di smoking». Tutti i presenti confermano: «Nei primi giorni di rientro», conferma una signora, «io avevo dei continui cognati di vomito». E l’amica: «Io invece mi muovevo come un’autonoma». «Non bisognerebbe mai andare via dalla città, così uno non sente la differenza quando ritorna». «E in più si risparmia». «Oh già. L’estate scorsa volevamo fermarci ancora una settimana ma ci hanno chiesto una
cifra gastronomica». «Anche a noi, ma ci siamo detti: per una volta crepi l’avaria!» «Abbiamo fatto bene», sostiene di rinforzo la moglie. «Ogni giorno c’era un menù diverso, da farti venire la collina in bocca». «La sera si andava a passeggiare in un bellissimo parco, dove c’erano dei cervi che andavano in giro liberi, allo stato ebraico». «Anche se abbiamo speso un sacco di soldi, non per questo io mi sento sul banco degli amputati». «Meglio spendere due euro in più piuttosto che andare in quelle pensioni dove magari ti danno da bere dell’acqua inclinata che ti fa venire gli ussari nella pancia». «Ho letto che adesso che siamo ancora fuori stagione, pur di tenere aperto, gli alberghi fanno dei prezzi dilaniati». «Noi avevamo il tivù color in camera con tutti i canali, quelli che si vedevano meglio erano gli arabi, peccato non sapere la lingua». «Anche noi, si prendeva di tutto, solo che a Ferragosto si è guastato e non c’era nessuno in grado di ripararlo. E
dire che quando già stavamo facendo le valigie per tornare, hanno scoperto che aveva solo i fusilli bruciati». «Potevate guardare la tivù nella hall». «Oh no, non mi piace per niente, lì sei sempre alla mercedes degli altri». «Noi siamo rimasti a casa a controllare il lavoro dei muratori che, tirando giù un muro, hanno trovato un pollastro». «Quanta gente famosa è morta l’estate scorsa! Però mai più di uno al giorno, per dare tempo al telegiornale di parlarne». «Se è per questo anche un nostro vicino di ombrellone è morto, eppure non era per niente famoso». «Cosa ne sai? Magari al paese suo era una celebrità». «Beh, famoso o no, se l’è cercata. Andava così forte in macchina che superava sempre la mezzadria della strada». «Ha avuto un incidente?». «Sì, in una curva a vomito». «Ed è morto?». «Non subito, prima l’hanno dichiarato in coma irripetibile». «Io sono andata in auto una volta sola con lui e mi è venuto un attacco di amor panico». «Io sono
stato più fortunato. Quell’unica volta che ero in auto con lui è stato costretto a rallentare perché passava un’auto della polizia a sirene spietate». «Eh, sì, ne succedono di disgrazie d’estate!». «Se è per questo anche d’inverno». «Ma è diverso, d’inverno te le aspetti». «Se uno se le aspetta, le disgrazie poi arrivano». «E in più non arrivano mai sole». «Per la salute è meglio l’inverno, l’estate scorsa sono stata troppo tempo al sole e mi è venuta una malattia della pelle, l’irpef. E in più mi si sono infiammati i pollastrelli delle dita». Inizia la nobile gara delle disgrazie. «E io allora? Nel mio piccolo sono inciampata sulla sogliola della porta e sono starnazzata a terra. Se succedeva d’inverno ero più contenta». «Ti sei fatta male?» «Praticamente niente, ma ero contenta di tornare a casa». «Anch’io, non ne potevo più di stare in mezzo a degli zoticoni che non sanno neanche parlare in italiano. Praticamente a ogni frase che dicono tirano giù uno strafalcione».
deviava le domande. La maschera degli attori greci, infatti, solo incidentalmente nascondeva il volto dell’uomo, il suo fine era quello di indicare con precisione un’identità. Gli attori erano tutti uomini, senza, naturalmente, l’ausilio di microfoni e riflettori. La recitazione aveva come fine quello di condurre lo spettatore a comprendere i fatti rappresentati, non tanto a mostrare il dissidio interiore dei personaggi. Per questo l’attore indossava scomodi sandali, zatteroni alti anche due spanne, per essere visto anche dai posti più lontani. Per questo aveva una maschera, di cuoio o di legno, che allo stesso tempo faceva rimbombare la voce, come un microfono naturale, e fungeva da didascalia. Non c’era spazio per la fantasia. Lo spettatore, qualunque cultura avesse, non doveva essere distratto dalla fatica di capire chi stesse parlando e in che relazione fosse con gli altri personaggi, per potersi concentrare sulle parole dette e sui fatti rappresentati. Prendiamo una tragedia
a tutti nota, l’Edipo re di Sofocle. Edipo è figlio di Laio e Giocasta, una profezia aveva detto di lui che avrebbe ucciso il padre e sposato la madre. Mandato a morire sul monte Citerone, il piccolo (anche azzoppato, questo significa Edipo) è tratto in salvo dal solito pastore e portato al re di Corinto che lo adotta. Dico il solito pastore, perché di ragazzini portati a morire e salvati è piena ogni mitologia, da Romolo e Remo a Biancaneve, da Paride a Mowgli. Edipo cresce pensando di essere figlio del re di Corinto, quindi quando apprende il contenuto della profezia fugge lontano dai «genitori» e andando verso Tebe uccide il suo vero padre per un problema di precedenze stradali, risolve l’indovinello della Sfinge e in premio sposa la regina vedova, che è sua madre. Per fortuna gli spettatori conoscono già la vicenda e le maschere mostrano chi è chi fin dall’inizio della tragedia, che presenta Tebe colpita dalla punizione divina della peste, Edipo desideroso di conoscere
il perché della terribile piaga, Tiresia il cieco che tenta di dissuaderlo: meglio non sapere. Che tua moglie, madre dei tuoi quattro figli, è anche tua madre, con tutte le aberrazioni conseguenti. Freud poi ha usato il mito per spiegare alcuni comportamenti (e alcuni pensano che li spieghi tutti i comportamenti, ma è un’inaccettabile semplificazione). A noi è servito ricordare l’importanza del pròsopon per identificare il personaggio. Così il nostro volto identifica la nostra persona. Che improvvisamente nessuno vuole più proteggere dagli sguardi indiscreti. Tutti desiderano pubblicare, nel senso di rendere pubbliche le proprie immagini, i propri ritratti. Spesso sono volti dallo sguardo obliquo, coperti da capelli e copricapi. Come a dire eccomi, ma non sono proprio questo. Ci sono anche io, ma non mi avrete del tutto, guardate e non giudicate. A questi bambini, chi potrà far sapere che si esiste anche se non ci si mostra, anche fuori dal palcoscenico?
simili. Adottare una comunicazione fulminea, diretta, sporca, per poter spingere il messaggio sempre ai suoi estremi: buttarla là, aspettare la reazione o lo scandalo, e per smentire c’è sempre tempo. In tal senso, in opposizione a questi modelli diffusi di demagogia comunicativa, è stupefacente la severa risposta data dal presidente francese Emmanuel Macron al ragazzo che gli si è rivolto con eccessiva confidenza durante la cerimonia per l’anniversario del 18 giugno (è il giorno del 1940 in cui De Gaulle fece appello dalla BBC per combattere le forze nazifasciste). Nello stringergli la mano un adolescente gli ha biascicato: «Comment ça va, Manu?», come va Manu?, quasi parlasse con suo cugino. Salvini gli avrebbe battuto una pacca sulla spalla, forse gli avrebbe dato un cinque, Macron (che diversamente da Salvini non indossa i jeans nelle occasioni ufficiali) non ci ha pensato due volte a dirgliene quattro: «No no no, sei qui per una cerimonia ufficiale e ti comporti bene, tu puoi
fare l’imbecille ma oggi ci sono la Marsigliese e i canti dei partigiani, mi devi chiamare signor presidente della Repubblica o signore, d’accordo?». «Sì signore» è stata la replica forse un po’ sfottente. Allora Macron ha aggiunto: «E se un giorno vorrai fare la rivoluzione prendi prima la laurea e poi dai lezioni agli altri». Il tono del presidente forse suonava un po’ paternalista e la risposta troppo lunga, ma cedo volentieri alla tentazione di dare 6– alla sua rigida antipatia: cioè alla sua non-voglia di assecondare le pulsioni dei cittadini, la cosiddetta pancia della gente. Senza dimenticare il magistrale richiamo al contegno richiesto dall’occasione. «Mi raccomando – dicevano un tempo i genitori ai figli nell’imminenza di un’occasione pubblica – comportatevi come si deve». Quel giovane parigino non aveva idea della cornice in cui si trovava, non aveva alcuna idea del registro da usare in certe circostanze, non riusciva a distinguere tra il suo compagno di banco e il presidente della
Repubblica. Somiglia a un ministro degli Interni che dice «è finita la pacchia», inconsapevole del fatto che il suo ruolo gli imporrebbe ben altro codice linguistico. La scuola dovrebbe insegnare, oltre all’uso dei congiuntivi, anche a dosare i registri a seconda del contesto. A proposito di linguaggio informale, è uscito per il Mulino un libro del linguista Nicola De Blasi su una delle parole più famose al mondo: «Ciao» (5+), derivato dal veneziano «sciavo» che significa «schiavo». Era usato in origine per salutare qualcuno ponendosi al suo servizio. È diventato buongiorno, buonasera, arrivederci, salve o addio rivolto a un tu amico o familiare. Si è diffuso ovunque e si va frantumando nelle nostre telefonate, che sempre più si concludono con una raffica isterica e iperconfidenziale: «cià cià cià cià cià cià…». Un po’ liquidatorio, come per dire: vai ché ho fretta. Per Salvini sarebbe l’ideale per chiudere un Consiglio dei ministri, ma meglio non farglielo sapere.
Postille filosofiche di Maria Bettetini Ciao, sono io. Io chi? Dopo un iniziale quanto effimero entusiasmo, vent’anni fa non ebbero grande successo i videotelefoni e videocitofoni. C’era una divertente pubblicità, cartelloni con scritto «Io chi?». «Io» rispondiamo al «chi è» di amici e parenti, e di solito questo basta, se ci conosciamo bene saprai riconoscere la mia voce. Allora sembrò invadente riprendere il volto del richiedente apertura del portone, magari è sudato o si sta mettendo le dita nel naso. Per non parlare poi del videotelefono, in grado di sorprenderti a tutte le ore nell’intimità della casa, più o meno in disordine, déshabillé, in pantofole. Era anche ignoranza, come quando da bambini (molto piccoli, ci tengo a sottolineare) discutevamo coi fratelli se fosse opportuno o no mettere il pigiamino davanti alla televisione accesa, come richiesto dalla mamma. Quelli dentro la tv ci vedevano o no? Nel dubbio, ci andavamo a vestire dietro il divano, finché una grassa risata di papà, a cui era giunta voce dei nostri dubbi,
chiuse il dibattito. Paure infantili, dovute alla scarsa conoscenza del mezzo. Si temeva un’invasione dello spazio privato, del sacrosanto diritto di non mostrare la propria faccia. Il volto è in effetti la parte per il tutto, è la persona. Sui documenti è richiesta la foto del volto, mi chiesero di rifare le foto per la carta di identità perché ero appena tornata da una settimana di mare e quindi «troppo abbronzata». Mi ritenni anche un po’ offesa, perché non giudicavano normale il mio colorito? Magari ero una ricca ereditiera sempre in vacanza. Non furono sfiorati dal dubbio e perdemmo un sacco di tempo. Dunque, il volto, la faccia. Quel pròsopon greco da cui il latino ha ricavato la persona. Però pròsopon in greco era la maschera degli attori, non precisamente il volto. Quando lo appurai, tanto tempo fa, rimasi malissimo: come sarebbe a dire che il nostro volto è una maschera, un qualcosa di posticcio che nasconde la vera personalità? Ma, ancora una volta, l’ignoranza
Voti d’aria di Paolo Di Stefano Cià cià cià cià cià «L’Italia non è più lo zerbino dell’Europa»: la parola italiana «zerbino» deriva dall’arabo «zirby» (tappeto d’ingresso per pulirsi le scarpe). E Zerbino è un personaggio inventato da Ludovico Ariosto: il principe ereditario di Scozia innamorato della saracena Isabella al punto da rapirla, con il risultato di essere non respinto ma ricambiato. È un contrappasso che Matteo Salvini (1) abbia usato (inconsapevolmente) una parola araba per tenere a distanza gli arabi. Usciti dalla porta (dai porti), rientrano necessariamente dalla finestra (della lingua). La discutibile efficacia espressiva del ministro degli Interni italiano ha radici nel suo esasperato e pacchiano parlar comune, ordinario, basso: il suo populismo politico è simmetrico al suo populismo stilistico. Ma se uno statista dice «è finita la pacchia» a proposito di un fenomeno migratorio che coinvolge milioni di persone in fuga dai loro paesi rischiando il naufragio in mare, allora il populismo diventa oltraggio dell’etica, del dolore, della
morte (voto: inclassificabile). Il mezzo migliore per trasmettere queste frasi da teppista è ovviamente la rete: non per nulla Salvini è il ministro più social che si sia mai visto, non fa altro che chattare con Facebook su tutto e su tutti, sulle banalità come sulle questioni-chiave della politica mondiale: che si trovi in aereo, al Viminale, sul divano di casa, in treno, a Palazzo Chigi o in strada, non fa che smanettare sul suo Smartphone, usato come i banditi usavano la colt nel Far West, estraendola per sparare e poi riponendola nella fondina sempre con l’indice pronto sul grilletto. Ci sono paesi che «si devono ribeccare» i rom in eccesso, ha detto: «ribeccare»… È un modo di esibire fieramente il linguaggio da bettola o da trivio con la certezza che piace molto al cosiddetto popolo. Salvini è visivamente l’opposto di Donald Trump, niente cravatte dal nodo grosso, niente capelli color carota, ma oltre alla evidente mitomania che li accomuna anche i modi espressivi sono
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 25 giugno 2018 • N. 26
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getto perfetto di un magnifico scatto. Si potrà partecipare con un massimo di tre fotografie attinenti al tema. Al termine del concorso una giuria interna di Migros Ticino determinerà, tra tutti i partecipanti, i 25 scatti più originali, i quali saranno premiati con uno splendido set di 4 Tazzin firmato «Nostrani del Ticino» (nella foto). Questi tazzin sono realizzati dagli utenti della Fondazione Diamante, istituzione che da oltre 40 anni è attiva nell’integrazione delle persone disabili.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 25 giugno 2018 • N. 26
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Idee e acquisti per la settimana
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Manzo all’inglese Swiss Black Angus Svizzera, 100 g Fr. 7.50 Il vendita al banco delle maggiori filiali Migros
Qualche curiosità…
Il roast beef è un piatto tipico della cucina britannica le cui origini risalgono al periodo del regno di Re Enrico VII, re d’Inghilterra dal 1485 al 1509. A quell’epoca, e ancora oggi del resto, le guardie del Re e della Torre di Londra erano noti con il nome di «Beefeaters»,
studiopagi.ch
Il roast beef – in italiano «manzo arrostito» – è considerato una prelibata e gustosa specialità in molte cucine internazionali. Di solito lo si prepara con tagli bovini ricavati dalla lombata (l’entrecôte) o dalla costata, ma anche parti più «nobili» come lo scamone, taglio tenerissimo è indicato soprattutto per essere consumato caldo tagliato a fette più spesse rispetto al roast beef freddo. Per un risultato ottimale, la carne deve presentare minute venature di grasso, la cosiddetta marmorizzazione. Gli amanti di questo piatto trovano quel che fa al caso loro all’Angolo del Buongustaio del supermercato Migros più vicino. Il nostro «Manzo all’inglese» già cotto viene cucinato con delicatezza a bassa temperatura finché acquisisce la sua inconfondibile colorazione rosata al cuore con una croccante crosticina esteriore. Tagliato a fettine sottili è una prelibatezza per veri gourmet. E come se non bastasse, è preparato con carne tenera e saporita di Black Angus, allevato in Svizzera nel rispetto della specie, è una delle razze bovine più apprezzate per la sua qualità.
letteralmente «mangiatori di manzo», per il fatto che avevano l’abitudine di mangiare del manzo arrosto ogni domenica dopo la messa. Altre credenze narrano che il loro nome derivi dal fatto che essi venissero pagati dal Re con della carne, o che il soprannome fosse un termine dispregiativo dato
Congratulazioni!
È il signor Pierluigi Ballabio di Chiasso il fortunato vincitore del premio principale di CHF 1000.– messo in palio la scorsa primavera in occasione del grande «Jackpot dei formaggi». Il concorso, organizzato da Migros Ticino in collaborazione con l’azienda Savencia Fromage & Dairy Suisse, ha visto la partecipazione di migliaia di clienti. Oltre al primo premio, sono state assegnate ulteriori 10 carte regalo Migros del valore di CHF 100.– ciascuna. Ricordiamo che il concorso era abbinato ad alcuni apprezzati formaggi dell’assortimento Migros, nella fattispecie «Caprice des Dieux», «Fol Epi Léger», «Saint Albray», «Fol Epi Classic» e «Chavroux Tendre Bûche».
Carlo Mondada, responsabile marketing prodotti caseari Migros Ticino (a sinistra) e Joe Kunz della Savencia Fromage & Dairy Suisse (a destra) consegnano la carta regalo Migros del valore di CHF 1000.– al vincitore.
dagli abitanti, gelosi per il fatto che i «Beefeaters» avevano il privilegio di mangiare della carne di manzo proveniente dalle cucine reali. In realtà, gli unici che potevano contare su un regime alimentare a base di carne erano i corvi, tra i simboli per eccellenza della monarchia britanni-
ca. Sia quel che sia, l’arrosto della domenica non manca mai sulla tavola degli inglesi, i quali lo accompagnano per tradizione con patate arrosto croccanti, piselli e carote, seguiti dai celebri Yorkshire Pudding, pasticcini salati cotti al forno a base di farina, latte, uova e sale.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 25 giugno 2018 • N. 26
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Idee e acquisti per la settimana
You
Total Power I prodotti «You» permettono di variare la propria alimentazione grazie alle proteine e alle fibre che contengono. Che sia a colazione, a pranzo oppure a cena, questi prodotti regalano gusto e benessere
Chi dedica particolare attenzione a una dieta ricca di proteine e fibre alimentari, trova nell’assortimento «You» della Migros ciò che fa al caso suo: dal pane proteico, al burger vegano black bean, fino alla pasta a base di piselli verdi. Le caratteristiche di ogni prodotto «You» sono indicate in modo chiaro sulle confezioni. Il pane proteico, i fusilli ai piselli e lo Skyr sono per esempio un concentrato di proteine, elementi energetici che contribuiscono alla crescita e al mantenimento dei muscoli del nostro corpo. Ogni prodotto «You» si caratterizza almeno per una qualità specifica, è il più naturale possibile ed è preparato con ingredienti semplici. La linea «You» viene ampliata costantemente, il nuovo Skyr ai mirtilli, per esempio, ne è appena entrato a far parte. Questo quark senza grassi con colture di Skyr viene prodotto secondo la ricetta islandese dall’azienda del gruppo Migros Elsa con latte svizzero.
Testo Melanie Michael
You Pane proteico 400 g Fr. 3.50
You Skyr Mirtilli 170 g Fr. 1.40 invece di 1.80 Azione 20% di sconto su tutti i latticini You dal 26.6 al 2.7.2018
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You Bio Fusilli ai piselli 250 g* Fr. 3.90 *Nelle maggiori filiali
Adesso su iMpuls
Perché l’uomo ha bisogno di proteine? Per scoprirlo: • apri Discover nell’app Migros • scansiona questa pagina • apprendi di più
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iMpuls è l’iniziativa della Migros in favore della salute.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 25 giugno 2018 • N. 26
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 25 giugno 2018 • N. 26
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Idee e acquisti per la settimana
Ellen Amber
Sexy e comodo Deve avere una bella estetica, deve avere una perfetta vestibilità e deve essere piacevole da indossare: la lingerie è molto di più di un semplice capo di biancheria intima da indossare quotidianamente. Una scollatura seducente celebra la femminilità e indossare flessuosa lingerie conferisce alla donna consapevolezza nei confronti del suo corpo e della sua femminilità – in particolare un reggiseno alla moda e dalla perfetta vestibilità, abbinato a un coordinato appropriato. Se in più i tessuti sono prodotti in modo ecologico, socialmente sostenibile e rintracciabile, anche la coscienza è tranquilla. È quindi un bene che sotto ogni aspetto l’intero assortimento di lingerie di Ellen Amber non lasci nulla a desiderare.
Azione 40% sull’intero assortimento di reggiseni e di biancheria intima e per la notte da donna dal 26.06 al 02.07
7
2
4
Look personalizzato, colori discreti e un’eccellente vestibilità. I reggiseni Ellen Amber soddisfano le più alte esigenze.
6
1 Ellen Amber Reggiseno con ferretto 86% Poliammide, 14% Elastan Colori: crema, cipria, nero taglie 75–85 B, 75–90C, 80–95D Fr. 24.80
5 Ellen Amber Reggiseno a balconcino 92% Poliammide, 8% Elastan Colore: giallo chiaro taglie 75–85A, 75–90B, 80–95C Fr. 24.80
2 Ellen Amber Reggiseno a balconcino 92% Poliammide, 8% Elastan Colori: menta, nero taglie 75–90B, 80–95C Fr. 24.80
6 Ellen Amber Reggiseno con coppa a triangolo 92% Poliammide, 8% Elastan Colore: menta taglie 75–85A, 75–90B, 80–90C Fr. 24.80
3 Ellen Amber Reggiseno liscio 61% Poliammide, 30% Poliestere, 9% Elastan Colori: crema, cipria, nero taglie 70–85A, 75–85B, 75–90C, 80–95D Fr. 24.80
7 Ellen Amber Reggiseno morbido senza ferretto 92% Poliammide, 8% Elastan Colore: cachi taglie S–L Fr. 19.80
4 Ellen Amber
5 1
3
Reggiseno a balconcino 92% Poliammide, 8% Elastan; Colore: cachi taglie 75–90B, 80–95C Fr. 24.80
Tutti i prodotti nelle maggiori filiali. Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli M-Budget e quelli già ridotti.
Il programma eco della Migros è sinonimo di una produzione tessile sostenibile per l’ambiente, socialmente responsabile e rintracciabile.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 25 giugno 2018 • N. 26
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 25 giugno 2018 • N. 26
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Idee e acquisti per la settimana
Ellen Amber
Sexy e comodo Deve avere una bella estetica, deve avere una perfetta vestibilità e deve essere piacevole da indossare: la lingerie è molto di più di un semplice capo di biancheria intima da indossare quotidianamente. Una scollatura seducente celebra la femminilità e indossare flessuosa lingerie conferisce alla donna consapevolezza nei confronti del suo corpo e della sua femminilità – in particolare un reggiseno alla moda e dalla perfetta vestibilità, abbinato a un coordinato appropriato. Se in più i tessuti sono prodotti in modo ecologico, socialmente sostenibile e rintracciabile, anche la coscienza è tranquilla. È quindi un bene che sotto ogni aspetto l’intero assortimento di lingerie di Ellen Amber non lasci nulla a desiderare.
Azione 40% sull’intero assortimento di reggiseni e di biancheria intima e per la notte da donna dal 26.06 al 02.07
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Look personalizzato, colori discreti e un’eccellente vestibilità. I reggiseni Ellen Amber soddisfano le più alte esigenze.
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1 Ellen Amber Reggiseno con ferretto 86% Poliammide, 14% Elastan Colori: crema, cipria, nero taglie 75–85 B, 75–90C, 80–95D Fr. 24.80
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3 Ellen Amber Reggiseno liscio 61% Poliammide, 30% Poliestere, 9% Elastan Colori: crema, cipria, nero taglie 70–85A, 75–85B, 75–90C, 80–95D Fr. 24.80
7 Ellen Amber Reggiseno morbido senza ferretto 92% Poliammide, 8% Elastan Colore: cachi taglie S–L Fr. 19.80
4 Ellen Amber
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Reggiseno a balconcino 92% Poliammide, 8% Elastan; Colore: cachi taglie 75–90B, 80–95C Fr. 24.80
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Idee e acquisti per la settimana
Skai
Questi «frutti» hanno più grinta La gran parte dei frutti finisce dopo alcuni morsi. Non è così per le nuove gomme da masticare della Chocolat Frey. I tre giovani componenti della famiglia Skai sono aromatizzati con gusti dalle note esotiche: ciliegie selvatiche, limone-ananas e lampone-zenzero. Le gomme da masticare senza zucchero sono confezionate in pratiche confezioni richiudibili, così che le provviste non vanno a finire nelle tasche dei pantaloni o sul fondo della borsetta. Skai Raspberry Ginger 20 g* Fr. 1.30
Skai Wild Cherry 20 g* Fr. 1.30
Skai Lemon Pineapple 20 g* Fr. 1.30
Con i loro aromi fruttati le nuove gomme da masticare offrono un piacere rinfrescante. *In filiali selezionate
M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche le gomme da masticare Skai.
Azione 50%
20%
1.60 invece di 2.05
9.40 invece di 22.–
Le Gruyère surchoix ca 250 g, per 100 g
40%
3.90 invece di 6.50 Ciliegie Svizzera, vaschetta, 500 g
Costine di maiale Austria, al banco a servizio, al kg
30%
4.80 invece di 6.90 Uva Vittoria Italia, sciolta, al kg
20% Prosciutto crudo Emilia Romagna e bresaola della Valtellina IGP in conf. speciale per es. prosciutto crudo dell’Emilia Romagna affettato, Italia, per 100 g, 5.80 invece di 7.25
a par tire da 2 pe z zi
– .3 0
40%
2.30 invece di 3.90 Meloni Charentais Spagna/Francia, il pezzo
40% Tutto l’assortimento di reggiseni, biancheria intima e per la notte da donna per es. slip maxi Ellen Amber, bianchi, tg. S, Bio Cotton, il pezzo, 5.85 invece di 9.80, offerta valida fino al 2.7.2018
Migros Ticino Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli M-Budget e quelli già ridotti. OFFERTE VALIDE SOLO DAL 26.6 AL 2.7.2018, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
di riduzione Tutta la pasta M-Classic a partire da 2 pezzi, –.30 di riduzione l’uno, per es. pipe, 500 g, 1.20 invece di 1.50
. te r e P . a z z e h c s e fr Incredibile 40%
2.65 invece di 4.45 Bistecca di lonza di maiale TerraSuisse marinata in conf. speciale per 100 g
40%
2.10 invece di 3.50 Prosciutto cotto Vivaldi prodotto in Ticino, affettato in vaschetta, per 100 g
30%
4.45 invece di 6.40 Costata di manzo TerraSuisse Svizzera, imballata, per 100 g
CONSIGLIO
CENA D’ESTATE
Per un piatto estivo leggero e gustoso, unite i gamberi rosolati a verdure ed erbe a piacere. A seguire, un rinfrescante dessert fatto in casa: ghiaccioli all’acqua di cocco e bacche. Trovate la ricetta dei ghiaccioli su migusto.ch/consigli
30%
3.95 invece di 5.70 Gamberetti tail-off ASC crudi in conf. speciale d’allevamento, Vietnam, per 100 g
conf. da 2
30%
9.40 invece di 13.50 Galletto Svizzera, in conf. da 2 pezzi, al kg
30%
1.35 invece di 1.95 Luganighetta Svizzera, in conf. da ca. 800 g, per 100 g
30%
15.80 invece di 23.80 Sminuzzato di pollo Optigal in conf. da 2 Svizzera, 2 x 350 g
HIT DELLA SETTIMANA PER IL GRILL. conf. da 3 conf. da 2
20%
4.45 invece di 5.60 Lombatine d’agnello Australia / Nuova Zelanda, imballate, per 100 g
20%
3.40 invece di 4.25 Arrosto di vitello cotto Svizzera, affettato in vaschetta, per 100 g
Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 26.6 AL 2.7.2018, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
30%
4.90 invece di 7.– Petto di tacchino affettato finemente Don Pollo in conf. da 2 Brasile/Francia, 2 x 144 g
50%
8.25 invece di 16.50 Bratwurst di vitello TerraSuisse in conf. da 3 3 x 2 pezzi, 840 g
25%
2.45 invece di 3.30 Filetto di passera MSC Atlantico nord-orientale, per 100 g, fino al 30.6
. te r e P . a z z e h c s e fr Incredibile 40%
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CENA D’ESTATE
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conf. da 2
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30%
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HIT DELLA SETTIMANA PER IL GRILL. conf. da 3 conf. da 2
20%
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Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 26.6 AL 2.7.2018, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
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Hit
30%
4.90
1.35 invece di 1.95
Melanzane Ticino, sciolte, al kg
Formagín ticinés (formaggini ticinesi) prodotti in Ticino, in self-service, per 100 g
30%
1.65 invece di 2.40 Blenio Caseificio prodotto in Ticino, in self-service, per 100 g
a par tire da 2 pe z zi
33%
Peperoni misti Paesi Bassi/Spagna, 500 g , per es. a partire da 2 pezzi, 4.20 invece di 6.20, a partire da 2 pezzi, 33% di riduzione
30% Bouquet di rose Fairtrade, mazzo da 30 disponibili in diversi colori, lunghezza dello stelo 40 cm, per es. rosso-arancione-giallo, il mazzo, 13.90 invece di 19.90
conf. da 2
20%
1.90 invece di 2.40 Insalata mista Anna’s Best 260 g
20% Tutte le composte e tutti i succhi di frutta Andros per es. succo d’arancia, 1 l, 3.90 invece di 4.90
Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 26.6 AL 2.7.2018, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
20%
3.90 invece di 4.90 Pomodori Intense Ticino, imballati, 700 g
30%
3.40 invece di 4.90 Pesche noci Italia, imballate, 1 kg
33%
20%
3.05 invece di 4.60
2.– invece di 2.50
Toast & Sandwich M-Classic in conf. da 2, TerraSuisse 2 x 620 g
Furmagèla (formaggella della Leventina) prodotta in Ticino, in self-service, per 100 g
25%
9.70 invece di 13.– Scaloppina con mozzarella e pesto Cornatur in conf. da 2 x 240 g
conf. da 2
20% Focaccia all’alsaziana Tradition in conf. da 2 piccola o grande, per es. grande, 2 x 350 g, 7.80 invece di 9.80
– .4 0
di riduzione
2.10 invece di 2.50 Pane ticinese, bianco, TerraSuisse 400 g
Hit
30%
4.90
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Melanzane Ticino, sciolte, al kg
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Peperoni misti Paesi Bassi/Spagna, 500 g , per es. a partire da 2 pezzi, 4.20 invece di 6.20, a partire da 2 pezzi, 33% di riduzione
30% Bouquet di rose Fairtrade, mazzo da 30 disponibili in diversi colori, lunghezza dello stelo 40 cm, per es. rosso-arancione-giallo, il mazzo, 13.90 invece di 19.90
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33%
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2.– invece di 2.50
Toast & Sandwich M-Classic in conf. da 2, TerraSuisse 2 x 620 g
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25%
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. re e c ia p ro e v n u è ì s Far la spesa co conf. da 3
20%
7.80 invece di 9.75 Tutti i drink Chiefs in conf. da 3 per es. al cioccolato, 3 x 330 ml
20% Bastoncini alle nocciole, fagottini alle pere e fagottini alle pere bio per es. fagottini alle pere bio, 150 g, 1.50 invece di 1.90
20x PUNTI
Tutto l’assortimento Alnatura e Alnavit per es. Olio di cocco vergine Alnatura, 220 ml, 5.10, offerta valida fino al 9.7.2018
conf. da 3
30% Tortelloni e gnocchi M-Classic in confezioni multiple per es. tortelloni ricotta e spinaci, 3 x 250 g , 7.70 invece di 11.10
20% Tutti i latticini You per es. Skyr alla vaniglia, 170 g, 1.40 invece di 1.80
– .5 0
di riduzione
Tutti i biscotti in rotoli Tutto il caffè Exquisito, in chicchi e macinato, (Alnatura esclusi), per es. biscotti margherita, 210 g, da 500 g e da 1 kg, UTZ 1.40 invece di 1.90 per es. macinato, 500 g, 6.15 invece di 7.70
conf. da 2
20%
3.75 invece di 4.70 Le Gruyère grattugiato in conf. da 2 2 x 120 g
25%
5.40 invece di 7.25 Mini Babybel in retina retina da 15 x 22 g
OFFERTE VALIDE SOLO DAL 26.6 AL 2.7.2018, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
20% Tutti i tipi di crème fraîche per es. al naturale, 200 g, 2.05 invece di 2.60
20%
10%
5.95 invece di 6.80 Nutella in barattolo di vetro 1 kg
conf. da 2
20% Noci di anacardi e mandorle sgusciate Sun Queen in conf. da 2 per es. noci di anacardi, 2 x 200 g, 6.60 invece di 8.30
a par tire da 2 pe z zi
–.60
di riduzione Tutto l’assortimento Blévita a partire da 2 pezzi, –.60 di riduzione l’uno, per es. al sesamo, 295 g, 2.70 invece di 3.30
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di riduzione Tutto l’assortimento Blévita a partire da 2 pezzi, –.60 di riduzione l’uno, per es. al sesamo, 295 g, 2.70 invece di 3.30
conf. da 24
a par tire da i 2 confezion
33%
20%
Tutti i gelati Crème d’or a partire da 2 confezioni, 20% di riduzione
40% Tavolette di cioccolato Frey, 100 g, in conf. da 20, UTZ assortite, con coperta per pic-nic gratis, 20 x 100 g, 25.50 invece di 42.60
Gelati da passeggio alla panna nei gusti vaniglia, cioccolato o fragola in conf. da 24 24 x 57 ml, per es. alla vaniglia, 9.60 invece di 14.40
50%
8.60 invece di 17.20 Crispy di pollo impanati Don Pollo surgelati, 1,4 kg
50%
10% Prodotti a base di cioccolato Kinder in confezioni speciali o multiple (prodotti a base di latte del reparto frigo esclusi), per es. Kinder Bueno, 430 g, 6.40 invece di 7.15
50%
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 25 giugno 2018 • N. 26
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Idee e acquisti per la settimana
Yvette
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Idee e acquisti per la settimana
Per saperne di più
Naturalmente buono Alnatura
Appena preparato
Meno è di più Nei prodotti Alnatura è contenuto solo ciò che è necessario. La composizione dei prodotti è il più possibile semplice. Ciò significa che tutti i prodotti Alnatura sono privi di coloranti e conservanti artificiali, privi di aromi che non derivano da materie prime naturali.
Alnatura offre prodotti biologici naturali per una dieta variegata ed equilibrata, con i quali i food blogger di limonrimon, foodwerk e mags frish dimostrano che è possibile realizzare piatti colorati e raffinati Testo Tina Sturzenegger
Coltivazione biologica Alnatura si prefigge un’agricoltura al 100% biologica e controllata. Nella coltivazione si fa ricorso unicamente a dispositivi ausiliari naturali. Ciò garantisce l’alta qualità dei prodotti così come un utilizzo sostenibile del suolo. Severi controlli Ogni prodotto è controllato e approvato da un gruppo di esperti indipendenti.
Vegetariano
www.limonrimon.ch Naomi Meran (47) di Zurigo è food blogger, fotografa e mamma.
Bowl asiatica con tofu e purea di mandorle Ingredienti ½ pacchetto di spaghetti di riso 1 panetto di tofu nature Alnatura ½ tazza di piselli verdi freschi 4–5 Champignon a fette Una manciata di fagiolini 3 cucchiai di amido di mais 2–3 cucchiai di salsa di soia 1 cucchiaio di olio di cocco Alnatura Preparazione di spaghetti e verdure 1. Versare gli spaghetti in acqua bollente. Scolare dopo ca. 10 minuti. 2. Tamponare il tofu con carta da cucina, con il fondo di una padella o qualcosa di simile pressare per rimuovere il liquido in eccesso. Tagliare il tofu a cubetti di uguale grandezza e passare nell’amido di mais. 3. Tagliare gli champignon a fette e rosolare in poco olio di cocco, condire con la salsa di soia e mettere da parte. 4. Rosolare in olio di cocco anche i piselli e i fagiolini. Marinata 4 cucchiai di purea di mandorle 2 cucchiai di salsa di soia 1 cucchiaino di aceto di riso Il succo di mezzo limone 1 cucchiaio di sciroppo di fiori di cocco Peperoncino in fiocchi (facoltativo) 1 cucchiaio di sesamo Alnatura
Preparazione di marinata e tofu 1. Per la marinata mischiare tutti gli ingredienti, sesamo escluso. 2. Soffriggere in poco olio di cocco il tofu passato nell’amido di mais (ca. 4-5 minuti). 3. Ridurre il calore della fiamma e aggiungere la marinata sul tofu, lasciar cuocere ancora 1-2 minuti. 4. Cospargere con il sesamo. Condimento 3 cipollotti tritati fini 1 mazzetto di prezzemolo tritato (solo le foglie) 1 mazzetto di coriandolo tritato (solo le foglie) 6-7 foglie di menta piperita tritate 4 cucchiai di salsa di soia Il succo di mezzo limone 1 cucchiaino aceto di riso con peperoncino in fiocchi (facoltativo)
Dressing 1. Mischiare il succo di limone, la salsa di soia e l’aceto. 2. Aggiungere le erbette e i cipollotti e amalgamare. 3. Aggiungere il condimento agli spaghetti di riso e mescolare.
La purea di mandorle conferisce un aroma dolce e una nota di nocciola alla marinata di tofu.
In palio 1000 pacchetti di prova Partecipa al sorteggio di uno dei 1000 pacchetti degustazione su www.alnatura.ch. Pubblica il tuo piatto preferito su #alnaturascopritori e condividi il tuo prodotto preferito con gli altri scopritori Alnatura. Maggiori informazioni e altre ricette: www.alnatura.ch
al natèura.ch Alnatura il marchio bio per uno stile di vita responsabile al passo con i tempi. Vengono utilizzati solo ingredienti di alta qualità e davvero indispensabili.
Alnatura Purea di mandorle bianche 250 g Fr. 11.40 Nelle maggiori filiali
Parte di
L’impegno Migros a favore della sostenibilità è da generazioni in anticipo sui tempi.
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Coltivazione biologica Alnatura si prefigge un’agricoltura al 100% biologica e controllata. Nella coltivazione si fa ricorso unicamente a dispositivi ausiliari naturali. Ciò garantisce l’alta qualità dei prodotti così come un utilizzo sostenibile del suolo. Severi controlli Ogni prodotto è controllato e approvato da un gruppo di esperti indipendenti.
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Dressing 1. Mischiare il succo di limone, la salsa di soia e l’aceto. 2. Aggiungere le erbette e i cipollotti e amalgamare. 3. Aggiungere il condimento agli spaghetti di riso e mescolare.
La purea di mandorle conferisce un aroma dolce e una nota di nocciola alla marinata di tofu.
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L’impegno Migros a favore della sostenibilità è da generazioni in anticipo sui tempi.
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Idee e acquisti per la settimana
www.magsfrisch.ch Nel suo food blog la germanista Nicole Giger (30) coniuga l’arte culinaria con un’abbondante dose di letteratura.
www.foodwerk.ch Caro e Tobi Thaler (entrambi 39) di Lucerna gestiscono insieme un food blog.
Mite dolcezza
Delicata torta di mele con fragole Ingredienti per la pasta 220 g di farina di farro Alnatura tipo 630 110 g di burro a temperatura ambiente 60 g di zucchero fino di canna La scorza grattugiata di mezzo lime
La leggera polvere di tè verde si sposa particolarmente bene con la vaniglia e la dolcezza delle fragole.
Alnatura Matcha Tè verde 30 g Fr. 13.30 Nelle maggiori filiali
Alnatura Fiocchi di avena fini* 500 g Fr. 1.40 Alnatura Avena* 500 g Fr. 2.40 *Nelle maggiori filiali
Ingredienti per la farcitura 4 dl di mezza panna 2 cucchiai di zucchero 1 baccello di vaniglia Bourbon Alnatura 6 g di agar agar 2 cucchiaini di polvere di matcha Alnatura La scorza grattugiata di mezzo lime Preparazione 1. Mescolare tutti gli ingredienti e spianare l’impasto. 2. Disporre in uno stampo ( 10 x 33 cm) la carta da forno e stendere l’impasto nello stampo. 3. Tirare la pasta sui bordi e far riposare in frigorifero per 30 minuti. Quindi praticare dei fori con una forchetta. 4. Infornare a 180° C per 15 minuti. 5. Cuocere lentamente e a fuoco moderato per ca. 2 minuti mescolando la mezza panna assieme allo zucchero, il midollo estratto dalla vaniglia tagliata a metà, l’agar agar, la scorza di lime. 6. Lasciar raffreddare per 5 minuti e versare nella base della torta cotta. Lasciar raffreddare per almeno 4 ore. 7. Tagliare le fragole a pezzetti e decorare la torta.
Suggerimento: con un mulino macina cereali è facile preparare i fiocchi di avena in casa. Per prepararli si presta l’avena Alnatura. Croccante-compatto
Granola piccante con insalata di fragole e finocchio Ingredienti per la granola 100 g di fiocchi di avena Alnatura 50 g di noci 50 g di anacardi Alnatura 40 g di semi di girasole 40 g di chips di cocco Alnatura 40 g di sesamo Alnatura 2 cucchiai di sciroppo d’acero Alnatura 1 albume 2 cucchiai di tahin Alnatura (sesamo) 1 cucchiaino di sale di mare rosmarino macinato Ingredienti per l’insalata 1 lattughino 1 finocchio 250 g di fragole 1 mazzetto di menta pistacchi fiori per guarnire (facoltativo) Ingredienti per il condimento 3 cucchiai di tahin Alnatura (sesamo) 2 cucchiai di aceto di mele sale, pepe circa 4 fragole 1 cucchiaino di miele di fiori Alnatura 50 ml di latticello
Preparazione 1. Lavare il finocchio e affettarlo finemente con l’affettatrice per verdure. Tagliare le fragole a fette. 2. Spezzare le foglie di insalata. 3. Per la granola mescolare l’avena, la frutta a guscio, i semi, il sesamo e il sale. Aggiungere lo sciroppo d’acero, l’albume e il tahin, sempre mescolando. Stendere su una teglia ricoperta con carta da forno. Distribuire uniformemente, senza sovrapposizioni, in modo che tutto risulti ben croccante e dorato. Infornare la granola nella parte centrale del forno a 140° C per 20-25 minuti, fino a doratura. 4. Per il condimento, mescolare tutti gli ingredienti nel frullatore fino a ottenere una salsa cremosa. Con un po’ di forza delle braccia si può chiaramente preparare anche con lo shaker. 5. Disporre l’insalata, il finocchio e le fragole, cospargere con la menta spezzettata e distribuire generosamente la granola. Versare il condimento e guarnire con i pistacchi e i fiori.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 25 giugno 2018 • N. 26
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Idee e acquisti per la settimana
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www.foodwerk.ch Caro e Tobi Thaler (entrambi 39) di Lucerna gestiscono insieme un food blog.
Mite dolcezza
Delicata torta di mele con fragole Ingredienti per la pasta 220 g di farina di farro Alnatura tipo 630 110 g di burro a temperatura ambiente 60 g di zucchero fino di canna La scorza grattugiata di mezzo lime
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Ingredienti per la farcitura 4 dl di mezza panna 2 cucchiai di zucchero 1 baccello di vaniglia Bourbon Alnatura 6 g di agar agar 2 cucchiaini di polvere di matcha Alnatura La scorza grattugiata di mezzo lime Preparazione 1. Mescolare tutti gli ingredienti e spianare l’impasto. 2. Disporre in uno stampo ( 10 x 33 cm) la carta da forno e stendere l’impasto nello stampo. 3. Tirare la pasta sui bordi e far riposare in frigorifero per 30 minuti. Quindi praticare dei fori con una forchetta. 4. Infornare a 180° C per 15 minuti. 5. Cuocere lentamente e a fuoco moderato per ca. 2 minuti mescolando la mezza panna assieme allo zucchero, il midollo estratto dalla vaniglia tagliata a metà, l’agar agar, la scorza di lime. 6. Lasciar raffreddare per 5 minuti e versare nella base della torta cotta. Lasciar raffreddare per almeno 4 ore. 7. Tagliare le fragole a pezzetti e decorare la torta.
Suggerimento: con un mulino macina cereali è facile preparare i fiocchi di avena in casa. Per prepararli si presta l’avena Alnatura. Croccante-compatto
Granola piccante con insalata di fragole e finocchio Ingredienti per la granola 100 g di fiocchi di avena Alnatura 50 g di noci 50 g di anacardi Alnatura 40 g di semi di girasole 40 g di chips di cocco Alnatura 40 g di sesamo Alnatura 2 cucchiai di sciroppo d’acero Alnatura 1 albume 2 cucchiai di tahin Alnatura (sesamo) 1 cucchiaino di sale di mare rosmarino macinato Ingredienti per l’insalata 1 lattughino 1 finocchio 250 g di fragole 1 mazzetto di menta pistacchi fiori per guarnire (facoltativo) Ingredienti per il condimento 3 cucchiai di tahin Alnatura (sesamo) 2 cucchiai di aceto di mele sale, pepe circa 4 fragole 1 cucchiaino di miele di fiori Alnatura 50 ml di latticello
Preparazione 1. Lavare il finocchio e affettarlo finemente con l’affettatrice per verdure. Tagliare le fragole a fette. 2. Spezzare le foglie di insalata. 3. Per la granola mescolare l’avena, la frutta a guscio, i semi, il sesamo e il sale. Aggiungere lo sciroppo d’acero, l’albume e il tahin, sempre mescolando. Stendere su una teglia ricoperta con carta da forno. Distribuire uniformemente, senza sovrapposizioni, in modo che tutto risulti ben croccante e dorato. Infornare la granola nella parte centrale del forno a 140° C per 20-25 minuti, fino a doratura. 4. Per il condimento, mescolare tutti gli ingredienti nel frullatore fino a ottenere una salsa cremosa. Con un po’ di forza delle braccia si può chiaramente preparare anche con lo shaker. 5. Disporre l’insalata, il finocchio e le fragole, cospargere con la menta spezzettata e distribuire generosamente la granola. Versare il condimento e guarnire con i pistacchi e i fiori.
APERTURA STRAORDINARIA! VenerdĂŹ 29 giugno (Festa di SS. Pietro e Paolo)
dalle ore 10 alle 18, saranno aperte le filiali Migros Lugano-Centro, Cassarate, Molino-Nuovo, Paradiso, Locarno, Tenero, Minusio, Solduno, Ascona e Do it + Garden Losone.
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*Solo il 29 giugno 2018 presso Migros Lugano-Centro, Cassarate, Molino-Nuovo, Paradiso, Locarno, Tenero, Minusio, Solduno, Ascona e Do it + Garden Losone. Esclusi un numero ridotto di prodotti e le prestazioni di servizio.