Ăˆ il compleanno di Topolino: festeggia anche tu.
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TOPOLINO
PAPERINO
PLUTO
Topolino è un amico buono e coraggioso in tutte le situazioni. Il suo ottimismo è contagioso e non c’è problema che non possa risolvere.
Paperino è sempre sfortunato, ma nulla lo scoraggia. A volte è pigro e impulsivo, ma è senza dubbio di buon cuore.
Pluto è l’amico fedele di Topolino. Non è molto astuto, ma è sempre disposto a rischiare tutto per aiutare i suoi amici.
MINNI
PAPERINA Paperina è moderna e indipendente, a volte anche un po’ capricciosa. È molto affascinante e ha un gran temperamento.
Minni, tanto cara e graziosa, è un po’ testarda e ha una grande forza di volontà. È sempre al fianco del suo fidanzato Topolino.
© Disney
Ecco come fare.
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Dal 21.8 all’8.10.2018 per ogni fr. 20.– di spesa alle casse di qualsiasi supermercato Migros o su LeShop ricevi un bollino (al massimo 15 bollini per acquisto, fino a esaurimento dello stock; acquisto di buoni e carte regalo escluso). Presentando la cartolina completa entro l’8.10.2018 riceverai gratuitamente un amico di peluche Disney. Offerta valida solo fino a esaurimento dello stock. Non disponibile per la vendita. Maggiori informazioni su migros.ch/mickeymania
Cooperativa Migros Ticino
G.A.A. 6592 Sant’Antonino
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXI 20 agosto 2018
Azione 34 M sh o alle p pping agine 29-35 / 5051
Società e Territorio Un corso per fare il bilancio delle proprie competenze e guardare al futuro
Ambiente e Benessere La pediatra specializzata in ginecologia Patrizia Tessiatore spiega l’importanza di parlare ai giovani di sessualità
Politica e Economia In Afghanistan il presidente Donald Trump stravolge decenni di politiche americane
Cultura e Spettacoli Arte italiana in tutte le sue accezioni e a 360° al MAMbo di Bologna
pagina 11
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pagina 17
di Pierre Wuthrich pagina 26
Courtesy of Pipilotti Rist, Hauser & Wirth und Luhring Augustine
L’irriverente Pipilotti
pagina 23
Ponte Morandi, simbolo di un degrado di Peter Schiesser Di fronte a tragedie assurde come quella provocata dal crollo delponte Morandi a Genova sorge impellente un bisogno di risposte «rassicuranti», dalla spiccia ricerca dei colpevoli a improvvisate misure che dovrebbero evitare disgrazie simili in futuro. Spesso però non sono le risposte giuste, non reggono di fronte alla realtà. E la realtà bisogna prima di tutto capirla: abbiamo sentito e letto di tutto su quel ponte che quando fu inaugurato rappresentava il fiore all’occhiello dell’ingegneria stradale italiana (anche se ben presto fu oggetto di critiche severe), chi in passato aveva paventato un crollo viene eletto a profeta, chi giura che il ponte fosse ben monitorato e i lavori di manutenzione effettuati regolarmente viene messo a tacere. In realtà non sappiamo ancora per quali ragioni sia crollato. E quest’assenza di risposte immediate alimenta la paura: chi oggi attraversa un ponte senza aver davanti agli occhi quel disastro? Se davvero si vorranno evitare altre tragedie – e l’Italia di ponti crollati e di vittime ne ha contati parecchi in questi ultimi dieci anni –, occorrerà quindi capire a fondo quali fattori hanno concorso (ce ne
sarà probabilmente più di uno) al cedimento del Ponte Morandi, ma anche e soprattutto occorrerà un monitoraggio sistematico, ordinario e straordinario, di tutte le strutture stradali e autostradali. Prime voci fanno stato di 300 manufatti a rischio crollo, quali siano non si sa, ci vorrà quindi una mappatura seria e interventi importanti. Dal canto suo, alla luce di questa tragedia, la politica e la società devono rendersi conto che le infrastrutture non sono date per sempre, che costa adeguarle alla realtà odierna: oggi c’è un carico di traffico cresciuto esponenzialmente rispetto ai tempi in cui autostrade, ponti e gallerie vennero costruiti. Non possiamo continuare ad illuderci che la nostra sete di mobilità, con la filosofia del trasporto su gomma a oltranza di merci e persone, possa essere soddisfatta senza ripensare le strutture su cui poggia. La mappatura e i controlli, così come i lavori più urgenti saranno la prima cosa da fare, il governo italiano dovrà ingegnarsi a trovare i fondi. In questo senso Roma ha obblighi anche internazionali, perché le autostrade italiane fanno parte dell’asse di trasporti europeo, vi transitano italiani e stranieri, noi compresi: se è vero, come ricordava il direttore del «Corriere del Ticino» Fabio Pontiggia, che
questa tragedia ci tocca da vicino perché tutti una volta nella vita siamo transitati sul ponte Morandi, è altrettanto vero che altri ponti anche più vicini a noi sono da anni al centro di critiche (fondate o meno lo devono stabilire gli esperti), come quello di Monte Olimpino, giusto fuori Chiasso. In un secondo momento ci vorrà una riflessione più ampia sul sistema di trasporti adeguato ad economie e società con un alto tasso di produzione e di consumo. Per la coalizione di governo attuale, in Italia, non sarà un argomento facile da affrontare, poiché i 5stelle si sono distinti fin qui per un’opposizione totale alle grandi infrastrutture, dalla TAV, la linea ferroviaria che dovrebbe collegare il Piemonte alla Francia, alla «Gronda di Ponente», ossia quella circonvallazione di Genova che avrebbe alleggerito il carico sul ponte Morandi, sulla cui opposizione il movimento ha costruito la sua crescita politica in Liguria. Ma soprattutto sarebbe utile che l’Italia creasse le condizioni per un efficiente trasporto delle merci su rotaia. Solo che le infrastrutture costano, e anche i cittadini dovranno capire che lo Stato deve poter disporre di maggiori risorse, risparmiando altrove, evitando sprechi e ruberie, certo, ma forse anche riscuotendo le imposte.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 agosto 2018 • N. 34
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Attualità Migros
M Ordine nella confusione dei marchi
Richiamo di prodotto Infoclienti Migros
Sostenibilità I n futuro le etichette dei prodotti Migros permetteranno
richiama il succo d’arancia M-Budget
Sono finiti gli sguardi perplessi davanti ai molti label presenti negli scaffali. Con il nuovo «M-Check» di Migros, i prodotti sostenibili sono etichettati in modo uniforme e le informazioni specifiche vengono illustrate direttamente sulla confezione. I valori aggiunti di ogni prodotto sono così riconoscibili a prima vista e più comprensibili per le consumatrici e i consumatori. Con questa bussola Migros è il primo dettagliante in Svizzera a fornire orientamento nella giungla delle etichette. Negli anni 90, con la crescente sensibilità per le questioni ecologiche e sociali, anche i marchi di prodotti sostenibili sono aumentati in modo esponenziale. Oggi Migros ne propone molti nel suo assortimento, ma tante consumatrici e consumatori non li conoscono o non sanno esattamente che cosa li contraddistingue. Migros corre in loro aiuto con «M-Check»: le principali prestazioni relative alla sostenibilità di un prodotto sono ora subito evidenti. I simboli apposti sul prodotto ne evidenziano le qualità, che vengono ulteriormente spiegate. Le prestazioni in materia di sostenibilità elencate nell’«M-Check» riguardano, ad esempio, la coltivazione, la catena di approvvigionamento, ma anche l’imballaggio. Un esempio: sul mitico Ice Tea di Migros è indicato che proviene da una «coltivazione di tè responsabile» e che è contenuto in «materiale d’imballaggio riciclato». L’«M-Check» aiuta i consumatori a orientarsi e permette di comprendere meglio le caratteristiche dei prodotti. Dietro l’indicazione continuano a es-
Durante un controllo interno è stata rilevata la possibile presenza di pezzi di metallo nel succo d’arancia M-Budget. La clientela è pregata di non consumare il prodotto. Ecco i dati che interessano l’articolo: Nome: succo d’arancia M-Budget. Numero d’articolo: 130757000000. Volume: 1 litro. Da consumare entro il: 3.11.2018. Prezzo di vendita: 2.10 franchi . Tipo di pericolo: presenza di pezzi di metallo nel succo. Possibile conseguenza: rischi per la salute. Provvedimenti: non consumare il succo d’arancia, riportarlo in negozio. Migros prega tutti i clienti di non consumare il prodotto in questione. Non è possibile escludere pericoli per la salute qualora si ingoino i pezzetti di metallo segnalati, che possono essere grandi fino a 15 mm. I clienti che hanno acquistato tele prodotto possono riportarlo nella loro filiale Migros e ricevere il rimborso del prezzo di vendita pagato.
di identificarne i dati rilevanti e le qualità dal profilo ecologico
Per conoscere i gerenti delle filiali Migros Ticino
sere valide le direttive delle affermate organizzazioni dei marchi. Inoltre, «MCheck» contempla anche le prestazioni in termini di sostenibilità di Migros. Queste ultime comprendono ad esempio le ottimizzazioni ecologiche degli imballaggi o l’impegno per migliorare
il benessere degli animali. Le prestazioni in termini di sostenibilità di Migros sono sistematicamente controllate da enti indipendenti. I prodotti con «M-Check» saranno introdotti gradualmente. A causa del grande assortimento di prodotti
sostenibili la riorganizzazione richiederà del tempo, tanto più che gli attuali imballaggi non saranno distrutti ma aggiornati e sostituiti man mano. Chi vuole saperne di più, troverà su www.m-check.ch tutte le informazioni principali.
Le cave della musica Cavea Festival U n’originale manifestazione propone al pubblico il meglio
della scena musicale ticinese, ad Arzo il prossimo 8 settembre
Sergio Bracelli
Luogo di lavoro: filiale di Pregassona Data di nascita: 8.4.1964 Hobby: camminare e viaggiare Tre aggettivi per descrivermi: serio, riservato e concreto Obiettivi lavorativi: servizio e qualità
Azione
Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni
Il recupero delle aree industriali dismesse come spazi legati alla cultura e agli spettacoli è diventato un modo per ridare valore e riportare all’uso alcune parti del territorio difficilmente riconvertibili. Uno dei più recenti esempi di tale attitudine è l’idea nata dell’associazione ticinese Cavaviva, Amici delle cave di Arzo. Grazie al loro lavoro e al loro impegno i soci hanno permesso la riqualifica di un’ampia parte del comprensorio un tempo utilizzata per l’estrazione della pregiata pietra di Arzo. Dopo secoli di attività, oggi, le Cave, che fanno parte della regione del Monte San Giorgio (patrimonio mondiale dell’Unesco), sono diventate uno spazio multifunzionale che, grazie al mantenimento dell’antico laboratorio con i macchinari originali utilizzati dalle maestranze e dell’ampio «anfiteatro naturalistico» realizzato all’interno della grande cava di ghiaia rossa creano uno spazio estremamente affascinante che permette la realizzazione di spettacoli all’aperto dal grande impatto scenico. È proprio questo lo scenario scelto dagli organizzatori del primo Cavea Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni
L’area si trasformerà per un giorno in una sala da concerto all’aperto.
Festival. Il prossimo 8 settembre le cave di Arzo ospiteranno infatti una manifestazione che sarà in gran parte dedicata ai musicisti ticinesi, molti dei quali stanno muovendo i primi passi nel mondo della musica. Un festival in cui nomi noti e meno noti condivideranno il palco per offrire una serata indubbiamente originale e importante. La festa, che gode del sostegno del
Percento Culturale di Migros Ticino, è stata in buona parte resa possibile anche da un progetto di Crowfunding realizzato sulla piattaforma wemakeit. com. Questo rende ancora più interessante e valido il progetto, che vedrà l’area delle cave trasformarsi per un giorno in una cittadella della musica. Il programma dei concerti (apertura alle ore 18.00, chiusura alle ore 02.00)
Editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino Telefono 091 850 81 11
Tiratura 101’766 copie
Stampa Centro Stampa Ticino SA Via Industria 6933 Muzzano Telefono 091 960 31 31
Inserzioni: Migros Ticino Reparto pubblicità CH-6592 S. Antonino Tel 091 850 82 91 fax 091 850 84 00 pubblicita@migrosticino.ch
prevede l’entrata in scena del collettivo del cantautore Terry Blue, a cui seguirà l’esibizione del più popolare tra i nostri musicisti, Sebalter, con un set in versione folk-rock di grande interesse. Clou della serata sarà il concerto dell’ospite Jack Jaselli, musicista milanese molto noto per le sue collaborazioni (in particolare quella con Jovanotti) e per aver aperto uno dei concerti italiani di Ben Harper. In chiusura di nottata il palco sarà affidato invece dal duo momò Make Plain, che inviteranno sul palco altri loro amici, per una jam a sorpresa. Nell’area del festival saranno attivi spazi per la ristorazione e per il campeggio. Sono inoltre previste navette speciali dalla stazione di Mendrisio e parcheggio gratuito alla Riri. La prevendita dei biglietti è attiva su ww.ticketcorner.ch, mentre le informazioni di dettaglio sono pubblicate su: www.facebook.com/Cavea-Festival. In collaborazione con
Abbonamenti e cambio indirizzi Telefono 091 850 82 31 dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@migrosticino.ch Costi di abbonamento annuo Svizzera: Fr. 48.– Estero: a partire da Fr. 70.–
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 agosto 2018 • N. 34
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Società e Territorio Il castelliere di Tegna Una gita sopra le Terre di Pedemonte ci permette di riscoprire un’antica fortezza e un paesaggio suggestivo pagina 6
Il bello della matematica Incontro con il professor Gianfranco Arrigo anima della Società Matematica della Svizzera italiana nella cui sede a Lugano si offrono lezioni agli allievi di scuole medie e superiori pagina 8
Prima di muoversi è necessario fare un’introspezione, migliorare l’autostima e la conoscenza di sé. (Marka)
Valorizzare le potenzialità di ognuno Orientamento Un corso aiuta a fare un bilancio delle proprie competenze lavorative e personali per ricostruire
il proprio itinerario di vita e pensare a progetti professionali futuri
Roberta Nicolò Fare un bilancio delle proprie competenze lavorative, ma anche personali, per muoversi con più sicurezza e determinazione nel mondo del lavoro di oggi. Questo lo scopo del nuovo corso, messo in campo dall’Ufficio dell’orientamento scolastico e professionale del Cantone, che si muove in un’ottica di prevenzione e ha come obiettivo il rafforzamento della persona. Una modalità nuova, rispetto al passato, che vuole essere più efficace e in linea con il radicale cambiamento del contesto lavorativo. La pratica del bilancio fa parte delle attività previste dal regolamento cantonale fin dagli anni Novanta, ma il nuovo approccio va ad ampliare l’offerta presente sia in Ticino, sia in altri Cantoni della Svizzera. «Il bisogno oggi è sempre più presente, il bilancio nasce storicamente con il cambiamento del mondo del lavoro, in un periodo dove c’era stata una prima ondata di disoccupazione. L’arrivo della globalizzazione ha imposto una radicale rivoluzione alle aziende e chi ne ha fatto le spese sono stati i lavoratori e le lavoratrici. Da qui il bisogno di nuove competenze per auto orientarsi – ci spiega Matteo Crivelli, orientatore e psicologo dell’Ufficio dell’orientamento scolastico e professionale – Oggi le transizioni nel
mondo del lavoro sono sempre più frequenti e nel corso della propria carriera le persone devono essere pronte ad affrontarle. Il bilancio di competenze può aiutare a far fronte a questo bisogno, ma con un cambiamento sostanziale rispetto al passato. Anche se nella società c’è ancora l’aspettativa di trovare, attraverso le attività di orientamento, la soluzione preconfezionata ai propri problemi, va capito che questo non è più possibile. Serve qualcuno che accompagni le persone attraverso l’analisi del proprio percorso personale, per trovare uno sguardo introspettivo. Occorre avere capacità di sintesi per rendersi conto delle esperienze che ci possono regalare competenze, capacità che possono essere trasferite e che possono confluire anche in un percorso professionale, e questo per forza di cose implica un approccio personalizzato che vede l’utente attivo e non passivo all’interno del corso. Inoltre, il lavoro in gruppo, rafforza molto il singolo che non si sente solo, ma capisce che affronta un momento di cambiamento comune ad altri». Shayda Askari, orientatrice e psicologa, racconta: «Noi ci differenziamo da altri enti privati e pubblici proprio nella modalità d’approccio. Partecipare al bilancio di competenza è una libera scelta della persona. Noi orientatori, che abbiamo spesso una formazione anche
come psicologi, siamo gli accompagnatori di questo viaggio. Noi stessi abbiamo seguito un bilancio di competenza per sviluppare in maniera ottimale dei percorsi individuali, che non terminano con un elenco di capacità personali e professionali, ma che sfociano, invece, in uno o più progetti concreti. Facciamo un lavoro sulla persona e per la persona, offrendo tutti gli strumenti che servono loro anche per il futuro. Proporre una possibile applicazione delle proprie competenze è un altro elemento che ci distingue dalla maggior parte degli altri attori presenti sul territorio. Negli ultimi dieci anni abbiamo osservato un cambiamento nella casistica. All’inizio ci occupavamo di semplice orientamento: la persona veniva da noi dicendo che voleva fare l’università o un certo tipo di formazione professionale e si illustravano loro le varie possibilità. Ma con la crescente disoccupazione, la globalizzazione, le nuove tecnologie, sembra che i datori di lavoro cerchino l’impossibile e la gente perde coraggio e fiducia. Ecco allora che, prima di muoversi, è necessario fare un’introspezione ed è da qui che abbiamo deciso di iniziare. L’obiettivo è far fare il punto della situazione ad ogni individuo. Una volta fatto questo, insieme, si può elaborare un progetto per il futuro. A volte non serve nemmeno il progetto. La persona si rinfranca e
prosegue con fiducia da sola. Il nostro obiettivo non è dunque collocare o ricollocare». «La formazione in Svizzera è molto chiara e ben regolamentata – continua Crivelli – questo fa sì che spesso si ragioni in termini di diplomi o certificati. Mi muovo nel mio percorso di carriera grazie ai miei attestati. Quando però non ho modo di acquisire un diploma come faccio? A volte questo blocca la persona. Il bilancio sposta il focus dalla competenza certificata con un diploma alle competenze effettive che è possibile trovare all’interno dell’ambito della propria vita. Una persona acquista competenze anche facendo del volontariato, per esempio. Questo porta dei benefici, ti offre maggiore autostima e migliora la conoscenza di te stesso. Concorre a far sì che una persona si ponga in maniera diversa di fronte alle opportunità». Il bilancio di competenze necessita un bagaglio di esperienza, e non è quindi rivolto a chi è in cerca di un primo impiego, ma questo non significa che non sia adatto a dei giovani adulti. Ci sono però dei requisiti minimi richiesti dagli organizzatori per poter prendere parte ai corsi, che partiranno il prossimo 27 agosto. Uno su tutti è una buona padronanza della lingua italiana. «Si usa molto lo scritto come strumento di lavoro – riprende Shayda
Askari – e quindi questo ha bisogno di una conoscenza linguistica adeguata. Nel percorso si impara a riconoscere dei momenti importanti della propria vita e a metterci sopra delle parole, a definirli. È un esercizio complesso anche per chi ha una buona conoscenza della lingua italiana. Lo sarebbe troppo per chi non ha una competenza linguistica sufficiente. Un altro elemento fondamentale è il desiderio di mettersi in gioco. È un percorso che implica un impegno personale. La persona deve essere disponibile a lavorare su se stessa, a mettersi a nudo, guardando sia le cose belle sia quelle che piacciono meno. Questo lavoro prevede una strategia a lungo termine, questo dà uno strumento d’azione che è più efficace di un collocamento diretto. A volte il punto è semplicemente il bisogno di una svolta personale per trovare la strada più affine alle proprie esigenze. Da questo percorso, sicuramente, si esce cambiati, ci si arricchisce». Il corso Bilancio di competenze inizierà il prossimo 27 agosto per una durata complessiva di due mesi. Il numero massimo di partecipanti è di 10-12 persone. Informazioni
www.ti.ch/orientamento, tel. 091 814 63 51
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 agosto 2018 • N. 34
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Società e Territorio
Il paesaggio del castelliere Tegna Il progetto del Patriziato ha riportato alla luce i resti di antiche fortezze ed edifici situati in un luogo storico,
da riscoprire con una gita sulla collina sovrastante le Terre di Pedemonte
Elia Stampanoni Il castelliere di Tegna è più di un ammasso di sassi rimessi lì in ordine per il visitatore. Una gita sulla collina sovrastante il pittoresco borgo delle Terre di Pedemonte si trasforma subito in un’esperienza culturale e naturale, da gustare in tranquillità, possibilmente in una giornata serena.
Il recupero del sito archeologico è iniziato nel 2015 e ha permesso di ripristinare 220 metri lineari di mura Per la salita alla vetta, situata a 528 metri di altitudine, è richiesto un certo sforzo fisico dato che è necessario superare un dislivello di quasi trecento metri, ma la gita è fattibile e di certo vale l’impegno profuso. Pensando alla meta già ci s’immerge in un sentimento di mistero e di curiosità. Attesa presto premiata quando si giunge sul piccolo pianoro, dove appaiono i muri rimessi a nuovo dagli interventi di recupero e valorizzazione del sito archeologico. Un recupero iniziato nel 2015 con la nascita del progetto «Il castelliere di Tegna, un paesaggio da scoprire», promosso dal patriziato di Tegna e dall’associazione Amici delle Tre Terre e di Pedemonte con il sostegno del comune Terre di Pedemonte. L’iniziativa ha anche beneficiato del fondamentale supporto del progetto Parco nazionale del Locarnese, poi come noto naufragato, ed è in sé abbastanza giovane. In pochi anni ha permesso, con un investimento di circa 300’000 franchi, di ridare vita a un pezzo di storia, come ci spiega Adriano Gilà, presidente del Patriziato di Tegna: «Si tratta d’interventi conservativi e didattici, in cui si è voluto far riemergere alcuni dei ritrovamenti del vecchio castelliere di Tegna; una volta individuate le vecchie mura, si è voluto metterle in evidenza rialzando gli originali sulla base dei resti ritrovati.
L’edificio principale ha una pianta quadrata di 22 metri di lato, vari locali sono disposti attorno al grande spazio centrale. (E. Stampanoni)
Abbiamo potuto ricostruire e mostrare al pubblico circa 220 metri lineari di mura, ripristinandole con i sassi ritrovati sul posto». Interventi impegnativi che sono stati eseguiti dopo aver ripulito l’area, circa 4 ettari, dal bosco che negli anni aveva invaso e soffocato l’intera collina. Oggi, giunti in cima, la visuale si apre invece come d’incanto, con una vista a 360° su Vallemaggia, Locarnese, Gambarogno, lago Verbano, Centovalli e anche su tutte le montagne che fanno da corollario al suggestivo paesaggio. La storia della rinascita, o per lo meno del salvataggio di quel che era il castelliere, non è però così recente, se si pensa che le prime menzioni del sito si ritrovano già in documenti del 1927, cui seguirono degli scavi amatoriali da parte di alcuni giovani del posto. «Tra il
1941 e il 1945 si susseguirono le prime indagini archeologiche, cui negli anni seguenti non fu però dato un seguito, portando al disinteresse e all’abbandono della zona», racconta Adriano Gilà. Negli anni seguenti si susseguirono studi, lavori e indagini puntuali e parziali che tuttavia non riuscirono a ridare luce alla fortificazione. Il nuovo progetto, come detto, è invece decollato nel 2015 parallelamente alla tesi di master all’università di Losanna da parte di Mattia Gillioz, il quale per questo lavoro ha pure ricevuto, nel 2016, la borsa di studio dell’Associazione archeologica ticinese. Grazie ai lavori di esbosco, di pulizia e in seguito di riqualifica, sulla collina si possono oggi ammirare un pozzo e soprattutto l’edificio principale, con una pianta quadrata di 22 metri di lato
e tre entrate con accesso ai vari locali, disposti attorno a un grande spazio centrale. Qui si situava pure un locale interrato profondo tre metri e munito di due volte a botte poggianti su una struttura ad archi, costruita con del tufo proveniente dall’attuale Lombardia. L’uso e il rinvenimento di questo materiale (un tipo di roccia leggera, di media durezza e facilmente lavorabile), come quello delle tegole in terra cotta ritrovate, indicano come già in quell’epoca ci fosse un collegamento, via lago Verbano, tra le Terre di Pedemonte e il nord d’Italia. Poco più in alto, c’è quella che è stata denominata la torre medievale, ottimo punto d’osservazione sul territorio, alla pari del punto panoramico verso il Verbano. Poco oltre, verso la Vallemaggia e inserita nei muri di protezione che circoscrivevano l’intero castelliere, un’al-
tra torre garantiva visuale e controllo su Dunzio, forse antico punto d’accesso alla valle. Per ricostruire il lungo periodo storico del castelliere ci si è potuti basare sui ritrovamenti, tra cui diversi utensili che hanno attestato una frequentazione umana della collina sin dal Neolitico (5500-2200 a.C.). Le testimonianze più numerose, come frammenti di ceramiche o fusaiole, risalgono però all’età del Bronzo e indicano un insediamento stabile che si prolungò fino all’età del Ferro (950-15 a.C.). La conquista romana portò a un parziale abbandono della collina che venne però rioccupata e abitata durante gli ultimi secoli dell’Impero (IV-V secolo d.C.), con la costruzione delle fortificazioni e degli edifici tuttora visibili, occupati, si presume, fino all’alto Medioevo (VII secolo). Per garantire fruibilità alla collina, il sentiero d’accesso, segnalato da Tegna, è stato oggetto d’interventi di manutenzione, mentre in autunno verranno posti dei cartelloni per illustrare al visitatore un po’ di storia del castelliere che, anche per chi di archeologia o di storia proprio non s’intende o non s’interessa, vale di certo una gita, eventualmente da prolungare lungo la miriade di percorsi a disposizione nei dintorni. Salendo al castelliere di Tegna, ci si può concedere una pausa per ammirare alcune costruzioni ed edificazioni più recenti ma altrettanto interessanti. A pochi minuti dal fondovalle, in zona Selvapiana il sentiero si sviluppa lungo un grande muro: si tratta di una roggia di contenimento costruita su una lunghezza di circa mille metri. La rongia serve tutt’oggi per contenere le acque piovane e farle confluire nel fiume Melezza, proteggendo così l’abitato sottostante da alluvioni o scoscendimenti. Poco più su ci s’imbatte invece in un gruppo di case o cascine in sasso circondate da circa una ventina di tavoli ricavati da dei grandi lastroni estratti dalla montagna. Su un altro sentiero, non ufficiale, c’è poi il Sass güzz, un masso a forma appuntita molto particolare. Tutti elementi che possono rendere la gita al castelliere ancor più interessante.
Spettacolari corse in totale libertà
Videogiochi The Crew 2, una gara senza confini attraverso gli Stati Uniti d’America Davide Canavesi Esistono sostanzialmente due tipi di videogiochi di corse: quelli simulativi in cui si spinge al massimo una rappresentazione il più possibile realistica di veicoli, fisica e prestazioni e poi ci sono i giochi cosiddetti arcade, il cui scopo è quello di divertire il più possibile sacrificando il realismo in favore di immediatezza e spettacolarità. The Crew 2, gioco di corse a trecentosessanta gradi pubblicato dai francesi di Ubisoft, fa
decisamente parte della seconda categoria. The Crew 2 si apre come un gioco di auto piuttosto tradizionale. Nei panni di un giovane pilota esordiente siamo chiamati a farci un nome nel mondo delle corse automobilistiche, raccogliendo fama, follower e soldi. Tutto, nel mondo di questo gioco, ruota infatti attorno alla nostra popolarità sui social network. Più fan significa più influenza e, di conseguenza, l’accesso ad eventi sempre più esclusivi.
In The Crew 2 stupisce la varietà dei mezzi a disposizione del giocatore. (© Ubisoft)
Nel mondo virtuale di The Crew 2 per ottenere i tanto agognati follower bisogna, però, avere veramente del talento. Appena portata a termine la prima gara ci rendiamo conto che questo titolo non è proprio come tutti gli altri. Per cominciare, la mappa di gioco non è limitata ad una sola città ma si estende per tutti gli Stati Uniti. Possiamo saltare in auto a New York e guidare fino a Los Angeles senza soluzione di continuità, facendo tappa magari a Detroit. Nessun caricamento, nessun livello o strana barriera di gioco viene imposta al giocatore. Bene inteso, la reale dimensione del gioco non si estende per i quasi 10’000’000 chilometri quadrati del territorio degli USA. Rimane ciononostante degna di rispetto: il viaggio da costa a costa fatto nel gioco equivale a circa 130 km reali. Scorrazzare per le strade americane di The Crew 2 significa fare un tour condensato della grande varietà di paesaggi e terreni degli States ed è spesso un piacere sfrecciare per autostrade e stradine sterrate. Ma le auto da corsa non sono gli unici mezzi a disposizione del giocatore. The Crew 2 fa della varietà uno dei suoi punti cardine: assieme alle auto troveremo aeroplani da acro-
bazie, monster truck, moto da cross, barche da corsa e auto da rally. La filosofia di questo gioco è insomma quella di offrire la massima libertà possibile al giocatore in una sorta di gigantesco parco divertimenti a base di motori e velocità. Fortunatamente c’è una logica nell’offerta: le varie discipline sono divise in quattro classi tra cui le gare su strada, quelle off road e quelle freestyle in cui saremo alla guida di aerei, barche e giganteschi mostri meccanici. Il collante di tutte queste discipline così diverse tra loro è Live Xtream Series, una sorta di festival organizzato nel mondo del gioco. Vincere e guadagnare follower permetterà al giocatore di salire nella graduatoria della competizione e sbloccherà a mano a mano nuovi tracciati, nuovi veicoli e nuovi tipi di gare. Visivamente The Crew 2 soddisfa ma non stupisce in modo eccessivo. A causa dell’enorme dimensione del terreno di gioco, il team di sviluppo ha dovuto fare dei sacrifici per quanto riguarda l’effettistica e la complessità di certi ambienti. La realizzazione delle città famose è di tutto rispetto anche se non è assolutamente fedele alle contro-
parti reali. È negli ambienti più anonimi, ad esempio negli sconfinati spazi deserti della California o dell’Arizona, che le cose si fanno meno interessanti. Strade monotone, troppo simili tra loro per essere realmente stimolanti da visitare. Tuttavia dove il gioco splende è nell’alternarsi del giorno e della notte e negli effetti atmosferici, riusciti e decisamente scenografici. Meno memorabile il comparto sonoro, con un doppiaggio in italiano particolarmente scialbo. In apertura di questa recensione abbiamo parlato di gioco arcade. The Crew 2 incarna alla perfezione questo approccio agli sport motoristici. Non c’è davvero nulla di realistico in questa produzione di Ubisoft. Le auto hanno una tenuta di strada davvero sorprendente, gli aerei sono maneggevolissimi e incredibilmente resistenti agli urti e siamo perfino riusciti a scalare la piramide del Luxor Hotel di Las Vegas con una comunissima moto da strada. I fan di simulativi non troveranno insomma nulla di particolarmente eccitante in questo gioco. Per tutti gli altri invece c’è parecchio con cui divertirsi. The Crew 2 è disponibile su PC, Xbox One e PlayStation 4.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 agosto 2018 • N. 34
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Società e Territorio
Matematica per tutti
Incontri Il professor Gianfranco Arrigo spiega le diverse attività della Società Matematica della Svizzera italiana,
dai Mercoledì per gli studenti alle conferenze pubbliche d’intesa con il LAC
Guido Grilli Gianfranco Arrigo è uno di quegli uomini per cui la vita si potrebbe riassumere in una parola: matematica. Ancora oggi, all’età di 77 anni, non ha mai smesso di insegnarla dopo un’intensa carriera che lo ha visto docente per trent’anni – dal settembre 1965 – al Liceo di Lugano, poi esperto per le Medie e quindi insegnante a Locarno all’attuale Dfa, il che dice già tutto di una passione. In via Torricelli 19 a Lugano ha creato un piccolo-grande «impero»: la Società Matematica della Svizzera italiana (Smasi) dove assieme a una dozzina di docenti di quella che per molti rappresenta «la materia impossibile» offre settimanalmente lezioni gratuite e aperte a tutti gli allievi, dalle medie ai licei, alle scuole professionali e persino a universitari nei «Mercoledì per gli studenti». Gianfranco Arrigo sembra conoscere e trasmettere «un altro linguaggio», oltre a quello astratto dei numeri, con un approccio più vicino alla realtà del mondo e della quotidianità, conferendo così alla matematica una nuova luce. «Pensiamo – osserva – a quanto è importante la matematica per le nuove tecnologie. Pensiamo al calcolo delle probabilità. Quando in tv dicono che domani ci sarà il sole e poi invece piove si fa presto a criticare, ma calma, va considerato che le previsioni sono tutte accompagnate da una probabilità e dunque rieccoci al valore della matematica. Se oggi abbiamo il telefonino o il Wi-Fi è grazie alla matematica. Tutto lo sviluppo tecnologico si basa su risultati matematici». Chi frequenta i vostri Mercoledì della matematica e quali sono gli esiti? «Siamo aperti dalle 15 alle 19, all’inizio del pomeriggio giungono da noi soprattutto studenti delle Medie poi dalle 17 in poi è la volta dei liceali e di altre scuole superiori. Coloro che frequentano con regolarità, normalmente, ottengono buoni risultati. Alla nostra Società Matematica vengono comunque anche giovani talenti che intendono conseguire ulteriori progressi nella disciplina. Lo scorso anno scolastico abbiamo registrato 250 iscrizioni. La Smasi, su richiesta delle singole sedi, organizza pure Pomeriggi di matematica alle elementari. Io e i miei collaboratori offriamo un pomeriggio in classe dedicato alla matematica. Cerchiamo di proporre una matematica interessante e formativa sotto un aspetto ludico e coinvolgente». Prosegue il nostro interlocutore: «Organizziamo anche corsi gratuiti per
Nella sede luganese della Società Matematica si offrono settimanalmente lezioni gratuite agli allievi delle Medie e delle scuole superiori. (Ti-Press)
insegnanti sia delle scuole Elementari sia delle Medie. Corsi di quattro sessioni di un paio di ore, una decina di volte all’anno. Organizziamo inoltre mostre, conferenze pubbliche sulla matematica e partecipiamo a manifestazioni e convegni internazionali. Una delle esposizioni ha riguardato la matematica giapponese che abbiamo portato anche in alcune località italiane. Per le conferenze pubbliche, molti sono stati gli argomenti, tra i quali: “Musica e matematica, un felice connubio”, “Matematica, stupore e poesia”, “Le invenzioni elementari delle formule matematiche”. Tra i relatori ospitati, gli storici della matematica, Jean Claude Pont e Jean Dhombres; Ennio Peres, giocologo della matematica; Bruno D’Amore, bolognese, celebre didatta della matematica. Dal 2016 abbiamo concordato, d’intesa con il LAC, due conferenze pubbliche l’anno. Il prossimo autunno proporremo una conferenza su Leonardo Pisano, detto Fibonacci, noto anche per la sua successione numerica, e un’altra sul pensiero combinatorio». Uno dei fiori all’occhiello della Società Matematica della Svizzera italiana è la biblioteca presente in via Torricelli 19. «Abbiamo avuto richieste di prestito persino dal Brasile, dagli Stati Uniti e da diverse università italiane» – dice con soddisfazione l’instancabile professo-
re, diplomatosi al politecnico di Zurigo e divenuto docente di liceo a 24 anni. «Abbiamo libri di matematica, filosofia, storia della scienza e manuali scolastici. Taluni sono rari e praticamente introvabili. Sono frutto di un lascito iniziale e inoltre diversi docenti in pensione ci hanno ceduto i loro, accumulati nell’arco dei loro anni di insegnamento. Il catalogo online è disponibile sul nostro sito all’indirizzo www.smasi.ch e i volumi vengono dati in prestito gratuitamente ma occorre essere soci (la quota annuale è di venti franchi)». Gianfranco Arrigo non vanta solo una lunga e ininterrotta carriera di insegnante di matematica, ma è pure attivo nella didattica e nella divulgazione scientifica di questo irrinunciabile sapere. «Dal 2000 – spiega – sono entrato a far parte del Nucleo di ricerca in didattica della matematica di Bologna e qui ho pubblicato diverse ricerche didattiche e opere di carattere divulgativo. L’aspetto interessante è che con l’Istituto di ricerca di Bologna si è immediatamente proiettati in un circuito internazionale». Il professor Arrigo ci mostra la sua ultima fatica, tre quaderni di matematica per le scuole Elementari realizzati con due maestre di Verbania per la casa editrice Sapyent di Milano e che proprio a partire dal prossimo mese di settembre sarà adottato anche da alcune sedi
ticinesi. «S’intitola “I nostri amici numeri”. È un lavoro che contempla anche fumetti che ho disegnato io stesso sulla base di stimolazioni delle due coautrici. Quattro i personaggi – la scienziata Genoveffa, il gufo Filiberto che ama la geometria, ma poco i numeri, il gatto Arturo pigro, svogliato e birichino e infine il ragnetto Ercolino genietto nei numeri. Sono tre quaderni che coprono l’intero ciclo elementare e rispondono all’esigenza, più volte espressa dagli insegnanti, di poter disporre di materiali didattici innovativi da usare in classe». Una vita costellata di numeri. Come nasce la passione per la matematica? «Molti non ci credono. Ma quando frequentavo il Ginnasio succedeva che durante l’estate che trascorrevo nella casa di vacanza in Val di Blenio, a Camperio, dove si restava due mesi e c’erano pochi svaghi, (né tv né tantomeno i moderni “giocattoli” elettronici) mi dedicavo a due attività principali: la pittura e la riscrizione riveduta e completata dei quaderni di matematica dell’anno appena concluso. Anche da qui è nata la passione per la matematica e per l’insegnamento, oltretutto mia madre era maestra. Del resto, normalmente, uno che ama la matematica ama anche condividerla». E perché a suo giudizio molti sono riluttanti nei confronti di questa mate-
puri, perbacco, le nostre bolle sono trasparenti! In fondo oggi non è tutto trasparente e tutto democratico? E mentre ci sentiamo al sicuro nelle nostre bolle perfette con tutte le connessioni, i profili e le amicizie in ordine, fuori sentiamo dell’emergenza migranti, della grave crisi della Turchia, di un presidente americano che nega il problema del cambiamento climatico, di un governo italiano populista che sale al potere in nome del cambiamento e in realtà lo usa a suo piacimento, vedi l’irritante questione sulla presidenza RAI. Ma noi nelle nostre bolle siamo tranquilli, il nostro circoscritto ambiente è ancora sano, tutt’al più ogni tanto mettiamo un like o una faccina arrabbiata per mettere in chiaro le nostre preferenze e dire da che parte stiamo. Non è così che si fa oggi?
Riflettendo su tutto questo mi è tornata in mente Sherry Turkle, sociologa e tecnologa statunitense che si occupa di studi sociali nel contesto delle relazioni tra tecnologia e soggetti umani. Da sempre una grande fautrice della tecnologia e di Internet nel suo saggio del 2011 Alone Together: Why We Expect More from Technology and Less from Each Other ha iniziato a raccontare le sue perplessità dicendo che di questo passo la tecnologia ci porterà in luoghi dove non vorremmo essere. E a distanza di sette anni, se ci concentriamo sul titolo del suo libro, forse ci siamo già arrivati: Da soli insieme: perché ci aspettiamo di più dalla tecnologia che da noi stessi. Perché ci illudiamo che la bolla possa traghettarci ovunque, riflettere qualsiasi identità vogliamo e risolvere qualsiasi impasse. E allora
ria? «Il primo ostacolo è epistemologico, insito nella matematica – non si tratta cioè di una materia semplice. Poi c’è l’ostacolo dovuto a grandi errori didattici. Per fare un esempio: il calcolo delle probabilità che oggi è la disciplina più studiata a livello di ricerca avanzata (con applicazioni in tutte le discipline scientifiche e no) nelle scuole, salvo rare eccezioni, si propone solo al liceo con taglio teorico, mettendo in seria difficoltà gli studenti che non hanno avuto una precedente esperienza concreta». Gianfranco Arrigo è convinto che oggi occorre più che mai «saper comunicare la passione, l’amore per la matematica. Al di là degli errori che fanno parte del “fare matematica”. Anche il più illustre matematico sbaglia: da Eulero a Gauss, passando da Leonardo Da Vinci che nel Codice atlantico, nel semplice calcolo con le frazioni, commette errori che ai nostri studenti di scuola media costerebbero un’insufficienza. L’errore è un elemento dell’apprendimento e non una “vergogna” perché consente di capire di più e di ritrovare la via giusta per risolvere il problema». Una mente allenata, moglie, due figli e tre nipoti, Gianfranco Arrigo sembra avere una marcia in più. È la matematica dunque il segreto? «La matematica senz’altro. E la bicicletta…» – assicura, liberando un sorriso.
La società connessa di Natascha Fioretti Tutti vogliono una grande festa «Tutti vogliono una grande festa, un’estate tridimensionale, il mondo vuole una grande festa vieni quassù…». L’avrete riconosciuto il ritornello di una delle canzoni più gettonate di quest’estate che reclama la nostra voglia di andare al mare e di divertirci a qualunque costo. Se sulle prime sembra una canzonetta leggera, nelle parole di Carboni ho ritrovato una delle immagini della nostra società. Una società che vuole una grande festa, argomenti pop di cui discorrere e possibilmente meno fastidi da affrontare. Non rientrano nella categoria pop la morte, la rabbia, l’ingiustizia o il dolore. Vogliamo una grande festa e in fondo la vogliamo tutto l’anno. Se vi guardate in giro non avete la stessa impressione? Pensate alle vostre vite, a quelle dei
vostri amici, conoscenti, colleghi, ai loro profili social. Non avete anche voi l’impressione che grazie alla tecnologia e alle sue mille risorse sempre di più costruiamo attorno a noi delle grandi bolle che ci avviluppano e ci contengono? Bolle tecnologiche fatte di dati, di profili, di immagini, di aspettative che ci anticipano, ci precedono, precedono il nostro essere, la nostra identità più profonda, l’unica vera che non sta sui social. E con le nostre bolle, nell’età della globalizzazione, andiamo ovunque, ci muoviamo veloci, ci adattiamo a qualsiasi aereo e città, siamo sempre connessi, sempre sul pezzo, mai fermi e mai soli. E se c’è qualche problema la tecnologia lo risolverà. L’importante, come canta Carboni, è essere sempre pop, stare sempre al top. E che non ci vengano a dire che non siamo nudi e
l’attenzione si sposta, non è più dentro di noi ma fuori di noi con l’illusione, ad un certo punto, che quel fuori sia anche dentro. E in quella che diventa una debolezza, una mancanza, noi ci sentiamo pure invincibili. In una delle TED Conference alle quali Sherry Turkle ha partecipato, ha detto «i piccoli dispositivi che portiamo nelle nostre tasche sono così potenti psicologicamente che non modificano cosa facciamo ma chi siamo». Per questo oggi auspica di riconsiderare il modo con il quale costruiamo e disegniamo i nostri strumenti digitali in modo da permetterci una relazione più consapevole con essi e con noi stessi. Una relazione senza filtri, senza bolle di sorta e senza illusioni. E su questa parola «illusione» torneremo nella prossima puntata.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 agosto 2018 • N. 34
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Società e Territorio Rubriche
Lo specchio dei tempi di Franco Zambelloni Patria, nazione, mondo Lo scorso 1° d’agosto, mentre in piazza la banda intonava l’inno nazionale, osservavo le bocche di alcuni presenti canticchiare sottovoce «Quando bionda aurora…». La gran parte dei presenti radunati nella piazza era composta da adulti e anziani; pochi i giovani, e uno solo aveva l’aria di cantare sull’onda della melodia. E ho pensato a fatti di cronaca: giocatori della squadra nazionale che non cantavano l’inno patrio durante i recenti campionati mondiali di calcio; interrogazioni parlamentari che periodicamente richiedono l’insegnamento del salmo nelle scuole ticinesi. In questi casi sono spesso le ideologie a determinare il giudizio; io voglio solo considerare l’evidenza di tradizioni che illanguidiscono o scompaiono. Gli stessi termini «Patria» e «Nazione» sono sempre più lontani dal loro significato originario: patria indica, etimologicamente, la «terra dei padri»; nazione, il popolo in cui si è nati. Se
consultiamo le statistiche demografiche, appare evidente che i due termini sono sempre meno conformi alla realtà oggettiva. Quattro anni fa l’Ufficio cantonale di statistica pubblicava uno studio dal titolo Stranieri, migrazione e integrazione in Ticino: vi si legge che i nati in Svizzera da almeno un genitore, nato lui pure in Svizzera, nel Ticino non raggiungono neppure il 50% della popolazione residente. È pur vero che il nostro cantone costituisce un caso particolare: a livello nazionale, gli autoctoni corrispondono al 61,6%, anche se il tasso migratorio è elevato pure a Ginevra, Basilea città, Vaud e Zurigo. Beninteso: il fenomeno migratorio non può costituire un motivo per giustificare campagne sciovinistiche o razzistiche. La patria e il suo significato vanno difesi e salvaguardati, ma la difesa sta nel rimanere fedeli ai valori fondanti e alla tradizione che i padri hanno consegnato. In altre parole: il
senso patriottico si fonda sulla consapevolezza dell’appartenenza a una comunità, della quale si condividono lingua, cultura, princìpi civili e morali. Diceva Seneca duemila anni fa: «Nemo patriam quia magna est amat, sed quia sua» – «Nessuno ama la patria perché è grande, ma perché è sua». È pur vero che, nel mondo globalizzato, mantenere questo senso di appartenenza e di identità risulta sempre più difficile: non solo per il flusso migratorio costante, ma per l’invadenza dei media senza confini, per le evasioni nei mondi virtuali, per l’infiltrazione dell’inglese nelle lingue locali. In questi giorni, entrando in un grande magazzino di una catena svizzera, mi dicevo perplesso: «Strano… Qui vendono solo sale…». Dappertutto, infatti, grandi cartelli con la scritta «Sale!». Vedendo poi questi cartelli appesi sopra capi d’abbigliamento mi sono reso conto di dover tradurre.
Non si può arrestare il cambiamento, ma si può collegare il vecchio con il nuovo: conservare la tradizione, sia pure integrandola dentro la nuova visione di un mondo profondamente cambiato. Probabilmente ha ragione Habermas quando sostiene che il concetto di stato-nazione come unità etnico-culturale è ormai superato e che ci avviamo verso forme postnazionali di socializzazione; resta tuttavia il fatto che il bisogno di appartenenza è pur sempre forte in quell’«animale sociale» che è l’uomo e che la solitudine diventa oggi un motivo d’afflizione sempre più diffuso. Era l’anno 1769 quando Voltaire, scrivendo la voce Patria nel suo Dizionario filosofico, annotava: «Una patria è un insieme di tante famiglie. Più questa patria si ingrandisce, meno la si ama, perché l’amore suddiviso s’affievolisce. È impossibile amare teneramente una famiglia troppo numerosa che si cono-
sce appena». Appunto per questo, oggi che la «famiglia» si fa sovraffollata, la conoscenza è indispensabile: è necessario consegnare le tradizioni alla memoria di chiunque nasca o arrivi, perché è la memoria che regge l’identità. Ci sono analogie tra un individuo e una nazione: una persona cambia e si trasforma nel corso dell’esistenza e a quarant’anni non è certo più la stessa che era a dieci; però i suoi ricordi creano una continuità in questo processo di trasformazione, ed è questo che la rende in grado di dire «Io». Ma una persona che perda la memoria in seguito a un evento traumatico perde anche la sua storia e la sua identità: qualcosa di analogo accade a una nazione, se consegna il suo passato all’oblìo. È dunque necessario tramandare la cultura ereditata – compresi l’inno patrio, la bandiera e ogni altro simbolo identitario – se si vuole la sopravvivenza della nazione.
come La Tine de Conflens (500 m). Confluiscono qui la Venoge che è quella possente cascatella là e il Veyron che arriva incassato lì nella gola a sinistra. Mentre il termine tine in patois vodese ha identico significato del tino e indica, per metonimia simile alle marmitte dei giganti, una gola fluviale a forma di pozzo. L’acqua è di una certa trasparenza dove filtra il sole, più cupa altrove. Curiosi scalini scenici, creati nella roccia, portano al pozzone a metà strada tra ninfeo fatato e antro oscuro. Per via di due grotte e la gola misteriosa da dove proviene il Veyron. I raggi tra gli alberi e l’ora del picnic per diversi camminatori venuti qui, fanno prevalere il lato lieto della gola erosa nel calcare chiaro che ricorda il Giura. Su un sasso, un trio di vecchietti vodesi brinda con del rosso e mangia festoso del formaggio. Uno nota il mio zaino dell’esercito svizzero del 1963 e scambiamo due chiacchiere; per un altro del trio, chiamato in causa, non è argomento di discussione. Credo gli ricordi, a differenza dell’amico loquace, un periodo
non memorabile. Mai fatto un minuto di militare e ne vado fiero, come pure di questo insuperabile rucksack che metto all’ombra, sulla soglia della grotta. Allenato al pozzone di Giumaglio, entro senza pensarci due volte. Gelida è dir poco, starci un minuto è un’impresa. Eppure una volta fuori, al sole, sul sasso, è una goduria. Rinvigorito, mi preparo al volo il pranzo tagliando in due il parigino con l’opinel e ficcandoci dentro jambon de la borne e un formaggio della regione. Una fame da lupi, improvvisa. Spumosa e biancastra la Venoge scende a cascata un primo pomeriggio a metà agosto dopo essere nata a L’Isle, una decina di chilometri da qui. Un barboncino bambo mi tiene compagnia per via del sandwich, non certo per simpatia come sostiene la sua padrona. Un ragazzo e due ragazze non male entrano intrepidi senza fare teatro, pure per loro è un bagno simbolico. Il ragazzo si avventura nella gola effetto orrido del Veyron, la cui sorgente è a Bière. Qui siamo al confine di tre comuni: La Sarraz, Ferreyres,
Chevilly. In fondo al corridoio roccioso si scorge a malapena l’altra cascata, uno con il treppiedi in acqua scatta foto in quella direzione. Alzando lo sguardo, si notano delle cavità forse alloggi preistorici e delle liane verdastre stile Amazzonia. Sempre spaesante pensare che queste acque sfoceranno, prima o poi, nel Mediterraneo. L’idrografia internazionale, tra l’altro, da queste parti, è inaspettatamente una tradizione che varrebbe due ulteriori reportage. Uno a proposito di uno specchio d’acqua davanti a un mulino a Pompaples pomposamente noto come «Le milieu du Monde», l’altro lì vicino, nel bosco. Pare ci siano ancora tracce del Canal d’Entreroches. Un progetto visionario fallito risalente al 1635, idea di un gentiluomo bretone di nome Elie Gouret (1586-1656) con tanto di ingegneri olandesi sul campo, per collegare il Mare del Nord al Mediterraneo. Per intanto, viaggio attraverso questo magnifico incontro di acque scoperto grazie a un chansonnier bonario ed eversivo.
Che non manca di sorprendere, a cominciare dal titolo: «Vivere felici e indolenti». Da par suo, in un linguaggio scorrevole e arguto, denuncia le derive assurde dello strafare, male del secolo, per poi ribadire la necessità della pausa: destinata «alla pacatezza, alla quiete, alla ponderatezza». Niente da spartire, insomma, con la pigrizia «che rimanda allo sfaticato, al fannullone, al lavativo». Sul piano etico, la distinzione è chiara: l’ozio non va inteso come una scappatoia dal dovere di lavorare. E Ravasi, dopo aver citato San Paolo: «Chi non vuol lavorare, neppure mangi», conclude ricordando nientemeno che il «Chi non lavora non fa l’amore» di Celentano. Ma al di là delle disquisizioni filosofiche e morali su un tema controverso, sta di fatto che, ormai, l’ozio riabilitato si è tradotto in nuove scelte di vita, dagli effetti sempre più visibili nella nostra quotidianità. Si deve parlare di una svolta, persino rivoluzionaria, nei
confronti del lavoro che, per i giovani, ha perso la priorità di un obiettivo insostituibile e ha coinciso con la fine di un periodo storico, all’insegna di un carrierismo ossessivo. E così, intorno a noi, continua a crescere il numero dei singles e delle coppie che, grazie alla flessibilità aziendale, optano per l’orario parziale, accettando, ovviamente, una riduzione del salario. Ciò che comporta una diversa percezione dei valori, rispetto alle generazioni precedenti, coinvolte nella spirale guadagni-consumi, che aveva caratterizzato i decenni del boom. Oggi, persino nella Svizzera stakanovista, il culto del lavoro sembra soppiantato da quello del tempo libero, in cui investire ambizioni e fantasie, magari da inventare. Del resto è un’aspirazione che concerne anche i meno giovani, i futuri pensionati che tendono ad anticipare l’addio alla scrivania, alla cattedra o al laboratorio che sia. In alcune pro-
fessioni, è il caso degli insegnanti, il distacco generazionale con gli allievi diventa incolmabile e giustifica la scelta. Meglio andarsene prima. D’altra parte, anche l’agognata quiescenza, problema politico e assicurativo più che mai attuale, non è indolore nelle sue conseguenze psicologiche. I sogni rimandati al «dopo» durante gli anni attivi, spesso non si realizzano, per evidente incapacità dei diretti interessati. Quel famoso spazio, tutto a tua disposizione, auspicato dai fautori dell’ozio creativo, rimane lettera morta. Come dire, il lavoratore, che si annoiava lavorando, trasferisce lo stesso sentimento di fronte alla sua vacanza illimitata. In fin dei conti è una questione di dna: tu appartieni al lavoro e il lavoro ti appartiene, attraverso un legame di reciprocità in cui si rischia di rimanere intrappolati. Ma, a ben guardare anche l’ozio riabilitato rimane vuoto, senza l’intervento del lavoro.
A due passi di Oliver Scharpf La Tine de Conflens «Visioni di Colorado» a un certo punto della Venoge che scorre piano e pigra qui a fianco, tra l’erba alta e i pioppi tristi, ed è celebrata nel poema La Venoge (1954) di Jean Villard (18951982) detto Gilles. Chansonnier vodese alla ribalta a Parigi negli anni trenta con il duo Gilles & Julien, è considerato l’autore della prima canzone francese di protesta: Dollar (1932). Non per niente Brel e Brassens parlarono di «maestro». Noto anche come autore di Les Trois Cloches (1939) – canzone resa celebre nel dopoguerra da Édith Piaf – debutta sulla scena come attore nella prima assoluta dell’Histoire du soldat di Stravinsky su libretto di Ramuz, la sera del ventotto settembre 1918 al teatro municipale di Losanna. Al théâtre du Vieux-Colombier di Parigi entra a far parte della compagnia di Copeau dove trova il suo pseudonimo, preso da un personaggio della commedia dell’arte tipo Pierrot. Chez Gilles è l’insegna del suo cabaret aperto nel 1949 al cinque dell’avenue de l’Opéra, mentre un Chez Gilles parallelo nasce in seguito anche
a Losanna nel 1955 dove per otto anni (1940-48) furoreggiava un’altra sua creatura: Au Coup de Soleil, rue de la Paix numero tre. Chemin de Condémine si chiama questo cammino che affianca la Venoge fino all’ex usine Girardet. Fondata nel 1871 a La Sarraz – dove vi avevo portato un autunno di tre anni fa a scoprire il bizzarro cenotafio di un cavaliere – sfruttando in origine la forza motrice dell’acqua, produceva fino agli anni settanta, tra l’altro, anche le coperte dell’esercito svizzero. Ora in questi spazi c’è un’associazione culturale portoghese dove si gioca a biliardo, non mancano gambas a go go e la superbock scorre a fiumi. Alle spalle dell’ex fabbrica di coperte di lana, il sentiero entra nel bosco. Una ventina di minuti e poi si scende giù al fiume, dove davvero l’insolito luogo potrebbe ricondurre al canyon scavato dal Colorado in Arizona. Meno grandioso ma più confidenziale. «Le petit Colorado» è chiamato oggi, dagli intenditori della zona, questo posto noto nella toponomastica ufficiale
Mode e modi di Luciana Caglio L’ozio riabilitato fa notizia La coincidenza non è casuale. A distanza di una settimana, il 15 luglio «La Lettura» e il 22 «Il Sole 24 ore», autorevoli domenicali italiani, hanno dedicato ampio spazio all’ozio, ma un
L’ozio è la conquista di uno spazio di libertà in cui ritrovare se stessi. (Pxhere)
ozio ormai legittimato, sul piano morale e sociale. Infatti, quello che era il padre di tutti i vizi si presenta, adesso, come un comportamento ragionevole, addirittura l’alternativa virtuosa all’eccesso attivista, imposto dall’epoca. Tanto da animare una corrente di pensiero, diffusa, in particolare, fra gli intellettuali anglosassoni «liberal». È il caso del filosofo irlandese Brian O’Connor, autore del saggio Idleness, che, intervistato su «La Lettura», dichiara: «Ozio dunque sono». Cioè, sottraendo il proprio tempo a un obiettivo preciso, si conquista uno spazio di libertà, in cui ritrovare se stessi, mettersi alla prova e sfidare l’obbligo della performance a ogni costo. Ora proprio quest’esigenza di contrapporsi al principio, oggi dominante, della produttività, addirittura frenetica, in vista del successo soprattutto economico, traspare anche dalla riflessione che monsignor Gianfranco Ravasi propone, sul «Sole 24 ore».
Foto: Ghislaine Heger
Pubbliredazionale
Politica sociale, Caritas si impegna • affinché non venga smontata la rete di sicurezza sociale • affinché ogni persona riceva l’aiuto di cui ha bisogno per vivere in modo dignitoso (Costituzione federale art. 12) • affinché la Svizzera investa in misure per impedire la povertà • affinché continui a esistere l’equilibrio sociale e di conseguenza la coesione sociale come forza della Svizzera • Caritas invita l’opinione pubblica, il mondo politico ed economico ad agire. Secondo lei, una buona politica familiare deve soprattutto garantire la compatibilità tra attività professionale e presa a carico dei figli, anche per le persone in situazione di povertà, e migliorare l’accesso al sostegno precoce per i bambini e le condizioni di lavoro e di formazione continua per i genitori. Una buona istruzione di base e la formazione professionale continua proteggono dalla precarietà.
Gabrielle Bergamaz ha avuto il coraggio di raccontare la sua difficile storia personale e professionale. Grazie all’assistenza sociale ha evitato di scivolare troppo in basso. Non ha mai risparmiato le proprie forze per ritrovare l’autonomia.
Un lavoro stabile per uscire dall’assistenza sociale Un divorzio molto doloroso l’ha distrutta. Dopo anni passati a casa a crescere i figli, Gabrielle Bergamaz* si è ritrovata disoccupata, poi in assistenza e persino senza dimora fissa. Oggi si sta risollevando. Il suo sogno è poter seguire una formazione per ritrovare un lavoro stabile. Accetta di dare la sua testimonianza con coraggio. Il viso stanco e segnato e gli occhi brillanti raccontano tutta la sua storia. Gabrielle Bergamaz, 57 anni, viene da un periodo difficile. Ma ora, più che mai, è sicura di uscirne. Divorziata, al beneficio dell’assistenza sociale da diversi anni, svolge vari lavori per riconquistare la propria autonomia. Condivide una casa con altre persone sulla riva sud del lago di Neuchâtel, ma senza vista sul lago… In questi ultimi anni, l’orizzonte di Gabrielle è stato piuttosto ristretto. Grazie alla rete dell’assistenza sociale ha evitato di scivolare nell’abisso dal quale non si sarebbe più rialzata. Ma allo stesso tempo vuole uscire da questa dipendenza. Ogni mese copre una parte dell’assegno che le passa l’assistenza sociale, circa 1500 franchi, facendo compagnia e aiutando gli anziani nella vita di tutti i giorni. Gabrielle non demorde: la chiave per ottenere un impiego stabile è la for-
mazione, ma in questo momento fa fatica a mettere insieme i 3000 franchi circa necessari per finanziarla. Divorzio e distacco dal mondo del lavoro Dopo l’apprendistato da impiegata di commercio nella Vallée de Joux (VD), Gabrielle ha lavorato a Losanna nell’amministrazione comunale. È madre di tre figli e decide di stare a casa per occuparsi dei due più piccoli. «Comunque ho avuto una vita tutto sommato bella. Avevo una casa. Ero come tutti. Per dieci anni mi sono occupata dei figli. Adoravo farlo ed era ciò che più contava per me» ricorda Gabrielle. Nel 2012 prima la separazione, poi il divorzio, in circostanze particolarmente difficili delle quali fatica a parlare. È stata più di una rottura. Si è sentita distrutta e si è persa. «La mia vita è cambiata radicalmente perché per dieci
Per saperne di più su Gabrielle: farelacosagiusta.caritas.ch
anni non ho potuto aggiornarmi professionalmente. Ero completamente scollegata dal mondo del lavoro. E pur seguendo dei corsi, non ho raggiunto il livello necessario.» Si iscrive alla disoccupazione e poi all’assistenza sociale. Per due anni non avrà nemmeno una dimora fissa. «Farmi la doccia tutti i giorni e truccarmi, questo l’ho sempre fatto, perché volevo essere una persona normale.» Aggrappa la propria dignità a questo ricordo, con molta amarezza. «Ero arrabbiata. Arrabbiata di essere arrivata a quel punto e di non riuscire a tornare indietro.»
• Consulenza sociale e didattica: i centri di consulenza sociale e didattica di Caritas offrono un sostegno competente a chi si trova in difficoltà. • I negozi Caritas: i 21 negozi Caritas offrono a chi ha bisogno cibi sani e articoli di quotidiana necessità a prezzi estremamente vantaggiosi. • I negozi Caritas di seconda mano: i negozi Caritas di seconda mano offrono scarpe e vestiti per grandi e piccini di ottima qualità e a prezzi interessanti. • CartaCultura: con la CartaCultura di Caritas anche le famiglie con minori possibilità finanziarie possono partecipare a programmi ricreativi pagando prezzi d’ingresso ridotti. Un’iniziativa contro l’emarginazione e l’isolamento.
Anche nei momenti più bui, Gabrielle Bergamaz ha sempre guardato verso l’alto e cercato delle soluzioni. Tanti piccoli lavoretti senza un domani. «Mi hanno dato l’opportunità di lavorare con le persone anziane.» Per il momento è pagata a ore e modestamente. Ma accompagna queste persone che hanno bisogno di aiuto. E loro contraccambiano. «La felicità sta nei rapporti umani» dice con un sorriso. Per fortuna, i suoi tre figli non abitano lontano e l’hanno sempre aiutata. Quattro anni fa, sua figlia le dice di aspettare un bambino. Gabrielle segue la gravidanza da vicino, partecipa, si sente rinascere. È il primo nipotino. «Ecco, devi lottare, devi cambiare.» Mi sono detta: «Sei utile. Vali ancora qualcosa. Sei qualcuno e diventerai di nuovo qualcuno, quella che eri prima. Perché prima ero qualcuno che lottava molto e quindi, penso di tornare a essere quella di una volta.»
• Vacanze gratuite: per le vacanze non ci sono mai i soldi. Non è vero: con REKA e Sunstar Hotels anche le famiglie in difficoltà possono godersi una settimana di vacanze gratis.
Oggi, la vita di Gabrielle Bergamaz, che non si è mai arresa, non è ancora tutta rosa. Ma lei ha un obiettivo ben preciso: potersi pagare una formazione qualificante per assistere gli anziani. È la soluzione per ottenere un lavoro stabile.
Conto donazioni: 60-7000-4 Per donazioni online: caritas.ch/reinserimento-donare
*Nome modificato
• Con me: le madrine e i padrini Caritas trascorrono regolarmente del tempo con i bambini svantaggiati, offrendo loro la possibilità di esperienze e sensazioni nuove. Una pausa molto gradita, anche per i genitori.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 agosto 2018 • N. 34
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Ambiente e Benessere Etica e turismo È giusto approfittare del vantaggio economico scegliendo viaggi nei paesi più poveri?
L’oceano di Meride Al Museo dei Fossili un’interessante mostra confronta il mare del passato con quello odierno, cercandone le affinità
Trote alla griglia Una ricetta semplice ma gustosa, perfetta per i menu dell’estate pagina 14
Pedalare, una risorsa Lo sport della bicicletta è sempre più diffuso tanto da diventare un atout turistico
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L’importanza di parlare ai giovani Sessualità È fondamentale fornire
agli adolescenti gli strumenti per conoscere il proprio corpo
Maria Grazia Buletti «Oggi è importante prendere per mano i giovani e accompagnarli attraverso la conoscenza del proprio corpo, delle proprie sensazioni, pulsioni e dei loro sentimenti»: è l’opinione di Giorgio Comi, pedagogo e docente all’Istituto federale per la formazione professionale. Secondo Comi: «Bisogna avvicinare gli adolescenti a tutti i temi che coinvolgono sessualità e affettività, cosa che permette di evitare incomprensioni e ansie spesso generate dai costanti stimoli di immagini e messaggi deleteri». Abbiamo incontrato la dottoressa Patrizia Tessiatore, pediatra con perfezionamento in ginecologia pediatrica che, dal canto suo, non ha fatto altro che rinforzare il concetto, affermando che «oggi l’educazione alla sessualità e all’affettività è di fondamentale importanza, educazione intesa come conoscenza e rispetto del proprio corpo e, quindi, del corpo dell’altro». Nel suo studio medico, gli aspetti legati alla sessualità sono perciò condivisi e discussi nella gran parte delle consultazioni ginecologico pediatriche e hanno molto a che fare con l’approccio alle informazioni corrette e utili sui primi rapporti: «Parlare di sessualità ai giovani, lo ripeto, è fondamentale soprattutto per la quantità di nozioni con cui essi sono oggi confrontati via Internet, tramite gli amici, la scuola e la famiglia. Per fortuna, oggi quest’ultima pare aver “sdoganato” il grande tabù della sessualità, per cui in consultazione vediamo arrivare spesso ragazze accompagnate dai genitori». Diverse le une dalle altre sono le motivazioni di chi giunge a un consulto pediatrico ginecologico, secondo la fascia d’età: «I genitori di neonate o bimbe piccole chiedono un consulto perché secondo loro “qualcosa non va” (mi riferisco ad esempio a problematiche urinarie o genitali). Procedo con un’anamnesi accurata e un esame clinico dopo il quale per il 70-80 % delle volte posso tranquillizzare i genitori sul fatto che tutto è normale, mentre una piccola
percentuale dei casi merita approfondimenti di tipo laboratoristico, ecografico o altro». Ci viene detto che fino alla pubertà le ragazze arrivano spesso con la propria madre, mentre le giovani adolescenti chiedono una consultazione per cercare di «mettere un po’ d’ordine» nella confusione creatasi dalle parecchie informazioni acquisite fino a quel momento: «Si parla degli aspetti e dei disturbi legati al ciclo mestruale troppo doloroso, troppo abbondante o irregolare, come pure si affrontano le questione legate alla contraccezione che sono quelle più frequenti. Quando si forma una coppia giovane, solitamente i primi rapporti vedono la contraccezione ad appannaggio del maschio attraverso l’uso del profilattico». Dunque, in genere i nostri giovani pensano a proteggere il rapporto, anche se taluni ammettono di non averci pensato in quella prima occasione. «La questione sta nell’aiutarli a fare chiarezza. Per questo, al di là degli aspetti medici, chiedo alla ragazza di poterla vedere con il suo fidanzato con cui affrontare insieme il tema di una contraccezione consapevole e condivisa anche e soprattutto all’interno della giovane coppia». La dottoressa sa che negare il problema, non dialogando con i giovani, equivarrebbe a spingerli a trovare da soli soluzioni alternative e potenzialmente pericolose. Affrontare gli aspetti medici del tema porta a orientare le giovani sul fatto che la contraccezione ormonale possa essere efficace per evitare una gravidanza, ma bisogna considerare anche il tema delle malattie sessualmente trasmissibili contro cui tali metodi sono inefficaci: «Le malattie sessualmente trasmissibili vanno spiegate ai giovani e va indicato loro come proteggersene, oggi ancor più di un tempo perché esse sono in forte aumento nella fascia d’età fra i 15 e i 30 anni e in chi ha più partner sessuali». Altro punto importante che va trattato in consultazione (di cui non sempre si tiene sufficientemente conto) concerne le nuove sfumature legate
Patrizia Tessiatore, medico pediatra con specializzazione in ginecologia. (Vincenzo Cammarata)
alla sessualità: «Mi riferisco, per fare alcuni esempi, alla sessualità fra compagni dello stesso genere, ad aspetti psico-fisici (violenza psicologica o fisica legate alla sfera sessuale), fino al tema della multiculturalità con cui siamo sempre più confrontati: l’integrazione e i rapporti fra giovani che vengono da culture anche molto differenti». Anche l’argomento del vaccino contro il papilloma virus è discusso e condiviso: «Solo così la scelta, se vaccinarsi o meno, può essere consapevole, tenendo conto che è noto come l’infezione da HPV sia correlata alla possibilità di sviluppare il cancro del collo dell’utero (ndr: 350 nuovi casi all’anno diagnosticati in Svizzera) e il cancro vulvare (mediamente 75 nuovi casi annui), con decessi associati a queste forme tumorali stimati in circa 90 casi all’anno. Senza dimenticare che l’HPV può essere concausa nello sviluppo di tumori dell’orofaringe (circa il 15% dei casi), dell’ano e a carico dei genitali maschili e femminili». Il vaccino oggi disponibile viene proposto agli
adolescenti di entrambi i sessi tra 11 e 15 anni e ai giovani adulti fino a 26 anni: «Questo per garantire una protezione del 98% contro gli stadi precoci di malattia uterina, oltre che contro le verruche genitali, i cosiddetti condilomi. La protezione dura circa 10 anni». L’approccio ginecologico pediatrico è svolto nell’ambito di un lavoro multidisciplinare: «Sono certa che, come me, altrettanti miei colleghi pediatri svolgano oggi un efficace lavoro di rete. Disponiamo di programmi di ordine cantonale e riferimenti medici più specifici come le campagne informative a tema che, a sua volta, la scuola permette di veicolare. La famiglia, dicevamo, è chiamata a svolgere la propria parte educativa e poi arriviamo noi pediatri, con un ruolo in equilibrio tra counselling e la depurazione delle informazioni falsate con cui i ragazzi sono oggi confrontati». In tutto ciò sono determinanti i concetti di accoglienza e prevenzione: «Comunicando in modo strutturato,
le figure che ruotano attorno al mondo degli adolescenti riescono ad affrontare con essi anche le nuove tematiche per le quali ancora stiamo affinando gli strumenti». Attraverso questa modalità, si aiutano i giovani ad acquisire gli strumenti di lettura della realtà, di se stessi, dei propri sentimenti e della propria crescita, accompagnandoli nel loro percorso verso l’età adulta.
Video intervista Sul canale Youtube di «Azione» e su www.azione.ch la videointervista alla dottoressa Tessiatore.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 agosto 2018 • N. 34
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Ambiente e Benessere
Chi vuole essere milionario?
Quanto si sa di un Paese?
Viaggiatori d’Occidente In viaggio è lecito approfittare delle difficoltà di un Paese povero?
Bussole I nviti a
letture per viaggiare
Claudio Visentin Mai stati in Venezuela? Da qualche tempo il Paese sudamericano se la passa davvero male. La crisi è cominciata nel 2013, tra le cause: un’economia troppo dipendente dal petrolio, disponibile in abbondanza nel sottosuolo. Quando però il prezzo ha cominciato a scendere, sono finiti i soldi facili e dall’economia il malessere si è rapidamente esteso alle istituzioni. Nonostante la recente rielezione (con elevato astensionismo e accuse di brogli), il presidente Nicolás Maduro è accusato di corruzione e incapacità.
«C’è l’Islanda dei vichinghi e delle saghe, della natura incontaminata, delle canzoni di Björk. L’Islanda degli elfi, delle piscine geotermiche e delle foto dei ghiacciai sulle bacheche degli amici in vacanza. Ormai sappiamo tutto e abbiamo visto tutto. Ma è davvero così?…»
In Venezuela con uno stipendio minimo mensile di 5 milioni e 200mila bolívar, pari a 1,30 euro, non si compra neppure una pizza L’intera società è allo stremo, i negozi sono vuoti, chi può fugge all’estero. Come d’abitudine, l’indicatore più evidente della crisi è un’inflazione alle stelle: secondo il Fondo Monetario Internazionale entro la fine dell’anno il tasso d’inflazione in Venezuela potrebbe salire a 1’000’000%; e già ora con uno stipendio minimo mensile di cinque milioni e duecentomila bolívar, pari a 1,30 euro, non si compra neppure una pizza. Siamo al livello della Repubblica di Weimar nel 1923. Per inciso la Repubblica di Weimar – trasgressiva, dinamica, creativa – fu molto amata dai viaggiatori europei. Purtroppo la fuga all’estero di molti intellettuali ha ridotto la vivacità della vita culturale venezuelana, ma il Paese ha comunque diverse attrazioni famose: le cascate più alte del mondo (Salto del Ángel), la costa caraibica, i parchi nazionali… Perché allora non approfittare della crisi per visitare il Venezuela? Certo bisogna mettere in conto qualche preoccupazione di sicurezza – il Ministero degli affari esteri inglesi sconsiglia il viaggio e anche il nostro Dipartimento federale degli affari esteri raccomanda grande cautela – ma in compenso, con pochi soldi si può vivere come un re, come ha scoperto tra gli altri lo scrittore di viaggio inglese Simon Parker. Taxi senza limiti, guide personali, visite esclusive, cene di lusso, cos’altro potremmo desiderare? Tra un drink e l’altro però Simon Parker ha cominciato a farsi scrupoli: è giusto approfittare di un Paese in difficoltà? Va detto che le stesse autorità venezuelane spalancano le porte: «Il
Il Salto del Ángel, cascata in Venezuela. (Inaki Lopez)
turismo è un petrolio che non finirà mai» ha twittato il nuovo ministro del turismo Marleny Contreras verso la metà di giugno, confidando negli effetti benefici per l’economia di sempre nuovi arrivi. Ma i politici che ora invitano i turisti internazionali non sono in larga parte gli stessi responsabili della crisi? E in un contesto tanto deteriorato il turismo può davvero cambiare qualcosa? Ogni giorno porta nuovi dilemmi: viaggiare nei Paesi dove la vita costa meno è una pratica abituale per ogni expat che si rispetti, ma dove passa il confine tra una condotta lecita, discutibile o decisamente sbagliata? Per esempio in Venezuela il cambio è straordinariamente favorevole al visitatore, ogni ora di più. Ma la quantità di banconote che si possono ottenere aumenta di centinaia di volte al mercato nero, perché solo con valute estere i locali possono procurarsi beni introvabili, a cominciare dalle indispensabili medicine o semplicemente il cibo.
Se cambiamo al mercato nero stiamo aiutando i venezuelani o stiamo semplicemente ricavando un vantaggio dalle loro disgrazie? E poi, anche se il cambio al mercato nero potrebbe essere utile a qualcuno, di certo su larga scala diminuisce la fiducia internazionale nella valuta venezuelana. Forse potremmo anche superare di slancio queste minute distinzioni. Dopo tutto partiamo soprattutto per sperimentare esistenze diverse e condividere la vita dei locali; per questo andare in un Paese povero per vivere da ricchi è quasi un controsenso. Gli stessi dilemmi si ripropongono quando la nostra destinazione è abitualmente povera e non, come nel caso del Venezuela, per eventi eccezionali. È il caso per esempio del gigantesco slum di Kibera (Nairobi, Kenya), descritto qualche tempo fa proprio su queste pagine («Azione» no. 41 del 9 ottobre 2017). Povertà, disoccupazione, emergenza sanitaria, droga, violenza sono la grammatica quotidiana di Kibera.
Da qualche tempo tuttavia ricchi turisti occidentali chiedono di visitare lo slum per capire come si possa vivere in quelle condizioni (e magari essere anche ragionevolmente felici). A volte è una curiosità morbosa (dark tourism), in altri casi c’è partecipazione e desiderio di aiutare, ma resta difficile essere turisti quando lo scarto di ricchezza e prospettive è tanto elevato (in quei casi, meglio allora partecipare come volontario a un progetto di cooperazione internazionale). A Kibera alcuni giovani residenti si sono inventati un mestiere come guide e ne ricavano risorse preziose, pur ricevendo solo una parte del compenso pagato alle agenzie dai turisti (con l’inevitabile tangente all’onnipresente racket). Altri però protestano e si sentono come allo zoo: «Kibera non è un parco nazionale e noi non siamo animali selvaggi». E poi chiedono: «Cosa direste se dei neri come noi se ne andassero in giro per l’Europa o gli Stati Uniti fotografando i più poveri?».
A giugno Iperborea ha lanciato la nuova collana «The Passenger», un libromagazine dedicato ogni volta a un Paese diverso: si comincia con l’Islanda, seguiranno Olanda, Giappone, Norvegia. «The Passenger» non è una guida turistica, piuttosto un tentativo di raccontare un Paese in modo approfondito con reportage, inchieste, racconti, infografiche, fotografie originali ecc. sfatando stereotipi e leggende. L’Islanda è un ottimo laboratorio per testare la nuova formula. Dopo la spaventosa crisi bancaria del 2008 il numero di turisti giunti in soccorso dell’economia nazionale è cresciuto a dismisura, con l’inevitabile corredo di domande inquietanti: «A che ora accendono l’aurora boreale?». Pagina dopo pagina, in un tono leggero ma informato, imparerete parecchio. È vero che gli islandesi hanno bisogno di un’App per non finire a letto con un parente? Risposta: no, anche se il rischio è di uno su mille, insomma improbabile ma non impossibile. Farete poi la conoscenza dell’edredone, un uccello migratore le cui meravigliose piume finiscono in piumini di lusso. E ancora, nonostante gli impianti geotermici e le centrali idroelettriche, l’Islanda consuma enormi quantità di energia, per esempio nella produzione dell’alluminio, e ha più di un problema ambientale. Una lingua purissima, con sette termini diversi per descrivere la neve, è messa a rischio dalla diffusione dell’inglese. La musica pop islandese piace all’estero e nonostante il clima, il calcio è una passione diffusa (da qui la buona prestazione nell’ultimo mondiale). Infine leggerete storie solo apparentemente stravaganti, come quella dell’ex sindaco punk di Reykjavík, Jón Gnarr, eletto per provocazione e rivelatosi un ottimo politico. Bibliografia
«The Passengers», Islanda, Iperborea, 2018, pp.176, € 18,90.
La parola giusta Giochi Significati e significanti da assortire per ottenere termini simili ma diversi In corrispondenza di ciascuno schema proposto, trovate una parola di senso compiuto che, inserita in ognuno dei tre spazi indicati (dove ogni trattino corrisponde a una lettera), consente di ottenere altrettante parole di senso compiuto. Ad esempio: DI – – – –; RE – – – – RE; – – – – NE. Soluzione
VISO (DIviso; REvisoRE; visoNE) 1. A – – – –; RO – – – – RE; – – – – I 2. A – – – –; O – – – – NA; – – – – E 3. F – – – – ; M – – – – NO; – – – – MO 4. EPI – – – –; RAP – – – – A; – – – – O 5. DE – – – –; PE – – – – NE; – – – – NA 6. PU – – – – –; RI – – – – – RE; – – – – – RO
7. FU – – – – – ; ST – – – – – IA; – – – – – RE 8. MO – – – – –; LA – – – – – SO; – – – – – LO
9. FER – – – – –; MAR – – – – – A; – – ––– A 10. S – – – – – –; BA – – – – – – O; – – – – – – NO
Soluzioni
Le parole costituiscono un insuperabile strumento ludico, non solo per il vastissimo assortimento con cui è possibile reperirle, ma anche per le loro peculiari caratteristiche. Una parola, analogamente a ogni altro simbolo di comunicazione, è contraddistinta dall’unione di due principali elementi: – il significato (il contenuto semantico trasmesso dalla parola); – il significante (la forma ortografico-fonetica che assume la parola). L’associazione tra significato e significante non è legata ad alcuna legge naturale (come dimostra la grande varietà di
idiomi parlati sulla Terra). Di conseguenza, soprattutto nelle lingue basate su un alfabeto, è possibile che più significanti corrispondano a uno stesso significato e che, di contro, a uno stesso significante possa corrispondere più di un significato. La maggior parte dei giochi enigmistici sfrutta essenzialmente i potenziali significati attribuibili alle parole, indipendentemente da come devono essere scritte. Si possono incontrare giochi interessanti, però, anche tra quelli che richiedono di agire sulla struttura ortografica delle parole, senza entrare nel merito dei loro possibili significati. Uno di questi, detto La parola giusta, è il seguente.
1. SOLA (Asola; ROsolaRE; solaI) 2. CARI (Acari; OcariNA; cariE) 3. ATTI (Fatti; MattiNO; attiMO) 4. SODI (EPIsodi; RAPsodiA; sodiO) 5. CORO (DEcoro; PEcoroNE; coroNA) 6. LEGGE (PUlegge; RIleggeRE; leggeRO) 7. RETTO (FUretto; STrettoIA; rettoRE) 8. MENTO (MOmento; LAmentoSO; mentoLO) 9. MAGLI (FERmagli; MARmagliA; magli) 10. TACCHI (Stacchi; BAtacchiO; tacchiNO)
Ennio Peres
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Ambiente e Benessere Quando a Meride c’era il mare...
Tesori nascosti
Mondo sommerso L a vicinanza di mari lontani fra passato e presente Sabrina Belloni, foto Franco Banfi Il mare tropicale delle vacanze contemporanee, dato per scontato e quasi senza più segreti, e il mare di milioni di anni or sono, pieno di mistero e di fascino: questo è il confronto evidenziato dalla mostra fotografica Tesori Nascosti, allestita nella storica corte interna del Museo dei fossili del monte San Giorgio a Meride, realizzata con passione e molta professionalità dai responsabili del museo. Si tratta di una singolare esperienza visiva e di un’iniziativa culturale unica, che consente di riflettere su due ambienti paralleli (la montagna e il mare) laddove nel periodo geologico Triassico esisteva un unico ambiente marino (l’oceano della Tetide) che qui era caratterizzato dalla presenza di isolotti e banchi di sabbia fine, come le odierne Maldive: un arcipelago costruito all’epoca da alghe calcaree, non distante da vulcani attivi. Sicuramente fatichiamo a immaginare un tale paradiso tropicale assolato al posto delle colline, dei boschi, del laghi e delle Alpi attuali. I fossili degli animali marini riemersi dal sottosuolo ricoperto di boschi del monte San Giorgio, sono testimoni dell’esistenza di un ecosistema totalmente diverso da quello attuale nel luogo in cui sono stati ritrovati, pertanto dei cambiamenti ambientali che hanno caratterizzato l’evoluzione del nostro territorio. Sono altresì una dimostrazione tangibile di quanto poco gli animali marini preistorici siano mutati morfologicamente rispetto alle specie odierne
che vivono negli oceani tropicali, a migliaia di chilometri da Meride, a testimonianza che le trasformazioni della vita nei bacini acquiferi sono avvenute finora con estrema lentezza, ma che i flussi migratori erano una realtà diffusa anche nella preistoria. Nell’osservare le immagini dei fossili dei rettili, dei pesci e degli invertebrati marini, confrontate con le fotografie degli esemplari odierni, discendenti da quegli antichi progenitori, la curiosità si fa strada fra le emozioni: il desiderio di conoscere, scoprire e approfondire la vita dell’esemplare progenitore e del discendente attuale, indissolubilmente legati sia dai mutamenti e dall’evoluzione correlati al trascorrere del tempo, sia dall’incessante perpetuazione e replicazione degli elementi caratteristici delle diverse specie. La visita al museo e alla mostra, oltre a essere una sensazionale pausa ricreativa e di svago, stimola la riflessione sulle basi fondamentali dell’esistenza: osservando i dettagli dei fossili si percepisce l’essenzialità della costante procreazione di esseri viventi che permette alle specie più diverse di resistere nelle ere geologiche, sopravvivendo ai mutamenti ambientali e adattandosi all’ambiente loro contemporaneo, consentendo il perdurare della vita nel fluire del tempo, il trasferimento del patrimonio di conoscenze, competenze e relazioni acquisite da una generazione alla successiva, l’importanza dell’insegnare a vivere, dell’imparare come comportarsi in determinate situazioni. Si intuisce l’impegno enorme dei progenitori a trasmettere le conoscenze da una generazione alla successiva e quello dei
figli ad apprendere arricchendo queste conoscenze delle novità contemporanee, la fatica di crescere e di adattarsi ai mutamenti e alla trasformazione del territorio. La storia e l’evoluzione sono un continuo passaggio del testimone in cui il compito di una generazione non si limita al prolificare e quindi alla replicazione dei geni, ma si compie nella capacità di insegnare a vivere. La mostra rappresenta un percorso di grande rilevanza educativa. Visitandola ci accorgiamo che gli esemplari degli animali marini dei nostri giorni, che molti sicuramente hanno già ammirato durante un’immersione, un semplice tuffo dalla riva oppure una gita ai grandi acquari come quello di Genova, sono incredibilmente simili ai progenitori ritrovati nelle rocce, ricoperte dai bo-
schi, tra le colline del monte San Giorgio. La straordinaria documentazione fotografica realizzata appositamente e visibile durante la mostra Tesori Nascosti, attira l’attenzione su caratteristiche morfologiche particolari e aspetti che difficilmente sarebbero notati a occhio nudo, anche da un visitatore attento, osservando i fossili conservati nelle teche. La fotografia di precisione, così tanto dettagliata, si è rivelata essere uno strumento formidabile per enfatizzare il parallelismo fra il mondo antico e quello moderno, per evidenziare l’estetica delle forme di vita passate e attuali, diventando un percorso di congiunzione fra la scienza paleontologica e l’arte visiva. La mostra è destinata alla divulgazione di una sensibilità ambientale centrata sul rispetto e la salvaguardia, non-
Il Monte San Giorgio, visto dall’Arbostora.
ché alla conoscenza di un patrimonio scientifico inestimabile, per l’ottimale stato di conservazione dei fossili, sebbene poco conosciuto al grande pubblico. È uno stimolo a conoscere il passato per vivere il presente in modo sostenibile. I resti fossili, conservati meravigliosamente, sono venuti alla luce tramite il lavoro affascinante dei paleontologi, che inizia con fasi di ricerca e prosegue con affioramenti, scavi mirati e capillari, il riconoscimento, la conservazione, la valorizzazione e l’importantissima fase di divulgazione. Frantumare le rocce ed estrarre frammenti di fossili fragili come merletti non è un lavoro glamour, ma è appassionante ed essenziale per capire la nostra evoluzione. Ma anche trovare i finanziamenti per fare buona informazione è sempre più difficile, richiede tempo, pazienza e dedizione. La mostra fotografica, che accompagnerà i visitatori sino al 31 ottobre, è quindi anche un progetto di sensibilizzazione, e integra le attività ludiche e di intrattenimento educativo che sono organizzate dal museo durante tutto l’anno. È stata voluta, progettata e realizzata per incrementare la valorizzazione di un territorio ricco di storia e di rilievi naturalistici, un sito di giacimenti di fossili marini del Triassico Medio fra i più importanti a livello mondiale, stratificato all’interno di una successione di rocce di oltre 600 metri di spessore che coprono un arco temporale di quattro milioni di anni (da 243 a 239 milioni di anni or sono), elemento che permette lo studio evolutivo degli organismi di un unico territorio in cui variavano le condizioni ambientali. Si contano circa 25 specie di rettili, per lo più marini, adattati alla vita acquatica e anfibia, 50 specie di pesci cartilaginei e ossei rinvenuti in stadi di crescita ed età diversi, e oltre 100 specie di invertebrati (molluschi, crostacei, echinodermi), oltre ai vegetali. Il sito paleontologico del monte San Giorgio è patrimonio UNESCO dal 2003. Dove e quando
Il Saurichtis Curionii, antico predatore marino.
Il Barracuda, discendente diretto del Saurichtis, 239 milioni di anni dopo.
La mostra resterà aperta fino alla fine di ottobre 2018. Al Museo dei fossili in via Bernardo Peyer 9, 6866 Meride. info@montesangiorgio.org Orari d’apertura da ma a do dalle 09.00-17.00 Chiuso tutti i lunedì. Sito: www.montesangiorgio.org/news-edeventi/news/News-45.html
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 agosto 2018 • N. 34
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Ambiente e Benessere
Trota con foglie d’alloro
Migusto La ricetta della settimana
Secondo piatto Ingredienti: 4 trote eviscerate di ca. 250 g · 1 limone · 8 foglie d’alloro · sale · 4 cucchiai d’olio d’oliva.
migusto.migros.ch/it/ricette Per diventare membro di Migusto non ci sono tasse d’iscrizione. Chiunque può farne parte, a condizione che un membro della sua famiglia possieda una Carta Cumulus.
Sciacquate le trote eviscerate sotto l’acqua fredda e asciugatele con carta da cucina. Tagliate il limone a fette. Fissate con lo spago da cucina, da entrambi i lati, le foglie d’alloro e le fette di limone. Condite le trote con sale e olio d’oliva. Accomodate le trote su un foglio di carta alu oliato. Cottura su grill sferico a carbonella
Preparate la brace. Grigliate le trote su un foglio di carta alu a fuoco indiretto, con coperchio chiuso, per 8-10 minuti. Cottura su grill sferico a gas o elettrico (grill a cinque posizioni)
Scaldate il grill a 220 °C. Grigliate le trote su un foglio di carta alu, sulla posizione 3, con coperchio chiuso, 4-5 minuti per lato. Cottura su grill a carbonella senza coperchio
Preparate la brace. Sistemate la griglia sulla scanalatura più alta. Grigliate le trote su un foglio di carta alu sulla brace non troppo forte, 7 minuti per lato. Preparazione: circa 10 minuti + cottura alla griglia 8-14 min. Per persona: circa 20 g di proteine, 10 g di grassi, 0 g di carboidrati, 240
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Giochi per “Azione” - Agosto 2018 15 Stefania SargentiniAmbiente e Benessere
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 agosto 2018 • N. 34
Come condividere le strade senza prendersi a randellate (N. 29 - Duemila trecento trentotto)
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D U 10 11 12 13 I N T Sport Il turismo sportivo quale molla per far crescere le cifre dei pernottamenti 14 15 16 17 E N C 18 19 20 C I posizione sui social 21 media, anche da 22 Giancarlo Dionisio parte di personaggi pubblici, come il I S «Ticino terra d’artisti» era il titolo di granconsigliere Alessandro Cedraschi, un manifesto del 1984, che sovrappo- membro della23Commissione Sport24del 25 R E neva la Casa rotonda di Stabio, proget- Parlamento cantonale. tata dall’architetto Mario Botta, a un Altre capacità di 28 26 volte la scarsa 27 affresco quattrocentesco della Chiesa condivisione delle strade porta persino N A T di Santo Stefano di Miglieglia. Para- allo sbrigativo, magari violento, rego29 30 frasandone lo slogan, gli organizzatori lamento di conti. Qualcuno, semplifiA R T dei Campionati Mondiali di ciclismo cando potrebbe dire: datevi alla MTB, 31nei boschi, attenti però a32 del 2009 a Mendrisio, promossero l’e- pedalate non M I O vento all’insegna del «Ticino terra di infastidire gli escursionisti. Il Velo
ciclismo». Ci si avvia verso il decimo anniversario della manifestazione iridata, ma della sua forza propositiva, figlia di altri tre Mondiali (Lugano 1953, Mendrisio 1971, Lugano 1996) sembra essere rimasto ben poco. Di corridori ticinesi, nel circuito World Tour, non ce ne sono più, da quando Rubens Bertogliati ha messo piede a terra, al termine della stagione 2012. Le corse ciclistiche, sulle nostre strade, sono un lontano ricordo. Del ricco calendario di una ventina di anni fa è rimasto ben poco. In ambito professionistico regge, stringendo i denti, e non solo, il Gran Premio Città di Lugano. A livello giovanile qualche frutto lo produce il Kids Tour, un circuito per i ragazzini al debutto, che prevede corse su BMX, Mountain Bike e strada. Eccellente idea, tuttavia, al passo successivo, i giovani si trovano confrontati con una realtà urbana che scoppia: strade intasate, scarsità di piste ciclabili sicure, manifestazioni di intolleranza crescente, che sovente si limitano all’invettiva o a dure prese di
E M A O M S M O U T O R O T
I R O L A R E N A C I O T R I S H O O D cui il turista che scenda da nord, o salga da sud, in bicicletta, trovi soluzioni T O N N O logistiche adeguate, una rete attraente di piste ciclabili, percorsi per MTB alla R portata E di tutte le età e di tutte le condizioni di forma? Dirlo è facile. Realizzarlo, lo è un po’ meno. Credo tuttavia O D che sia giusto insistere là dove qualcosa intrapreso, senza gettare la S ècroce Igià stato su chi gestisce le sorti del turismo cantonale e regionale, ma suddividenA O doci tutti noi le responsabilità: i poli-
Club Tamaro ci ha pensato e, sotto la sapiente guida di Daniele Zucconi, sta formando una generazione di ottimi bikers di livello nazionale e pure internazionale, come Filippo Colombo. Bravi. Non c’è dubbio. Ma ciò non risolve il problema di chi vorrebbe allenarsi per 1 2 3 4 5 6 7 8 9 diventare un corridore-stradista, chi desidera andare a passeggio per villag10 bike, e chi prova 11 12 gi a cavallo di una city a decongestionare il traffico a motore, Al turismo sportivo andrebbe offerta una buona rete di piste ciclabili. (Pxhere) andando o a scuola, 13 al lavoro, 14 15 in bici16 17 cletta. se confrontiamo il dato con l’11% della solito ripetere: «Gianca, a vivum in un Ci vorrebbe un nuovo slogan: «Più Svizzera Tedesca. Paradis». Come dargli torto? E allora 9 8 18 20 21 22 bici, meno SUV». È 19 di alcuni giorni fa Pochi giorni dopo, i media hanno perché non cercare di promuoverlo anla notizia secondo la quale, la scorsa dato risalto a un’altra cifra che ha fatto cora meglio di quanto già non si faccia? 7 fiato agli al23 3000 bambini e adolescenti 24 l’opinione25pubblica ticinese. primavera, fremere I turisti ricchi, che danno hanno aderito all’azione «Bike2scho- Di fronte a un incoraggiante aumento berghi a 5 stelle, ai Resort prestigiosi, ol» (A scuola in bici). Secondo Pro Velo, il Ti- alle lussuose Senioren Residenz, 4 sono, 26 27generalizzato 28dei pernottamenti, 29 associazione svizzera che promuove e cino brilla per il preoccupante –6,9%, ben inteso, indispensabili, tuttavia non sostiene la mobilità lenta, si è trattato di relativo al primo semestre dell’anno in sono loro che fanno lievitare le cifre dei 9 30 una cifra record. corso.31Vuoi vedere che in 32 questo trend pernottamenti. Le strutture a 2-3 stelle, Il nostro cantone emerge per il suo negativo un ruolo non lo giochi anche il le pensioni, i B&B, i campeggi, gli ostel4 preoccupante 63%, la percentuale turismo sportivo? 34 li della gioventù, gli appartamenti e le 33 di bambini che più o meno regolarmente Viviamo in un paese meraviglioso! case per famiglie e gruppi, sono la for6Perché vengono accompagnati a scuola dai co- Quando siamo in montagna, a piedi, za trainante del nostro turismo. 35 36 siddetti «genitori-taxi». Un’enormità, o in sella a una MTB, un caro amico è quindi non immaginare un Ticino in
(N. 30 - ... lo spagnolo a causa della carnagione scura) F R A N A
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tici, stanziando i crediti e soprattutto facendo in modo che vengano impiegati bene e celermente; gli albergatori, gli esercenti e il personale del settore, scrivendo sullo specchio del proprio bagno che «un sorriso al giorno vale tanto quanto un buon piatto di polenta e brasato»; noi utenti locali, sforzandoci sempre più di utilizzare gambe e bici al posto di auto o moto; chi gestisce i trasporti pubblici, rendendoli concorrenziali. Forse, così facendo, riusciremo a promuovere l’idea di un turismo spor4 7 3 5 tivo vincente, non solo quello d’élite che si consuma entro il perimetro del 6 1 Centro Sportivo 8 Nazio9 meraviglioso nale di Tenero, ma anche e soprattutto quello che 9 potrebbe invitare 2 un numero sempre crescente di persone a venire da noi, magari 1 richiamate da8un pacchetto «treno-acqua-bici-MTB». Perché non in agosto? In fondo, appro1 di cantieri e di fittando6della 3 chiusura parte delle industrie potremmo vivere 5 momenti 2 di svago in condie8 far vivere zioni un po’ più serene e più sicure.
SUDOKU PER AZ
R A S P N. O 29 L FACILE O A Schema N A S A B E L L I A T I S A G T O N I R I S O U 7 3R
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Giochi
Vinci una delle 3 carte regalo da 506franchi con il cruciverba 8 1 e una delle 2 carte regalo da 50 franchi con il sudoku (N. 31 - Nel millenovecento a Parigi) 5 1 6
Cruciverba Sapresti dire quando e dove le donne fecero la loro prima apparizione alle olimpiadi? Per scoprirlo completa il cruciverba e leggi le lettere evidenziate. (Frase: 3, 14, 1, 6)
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I L A L 9E 1 N E R O L Giochi per O “Azione” V -VAgostoI 2018E 2 Stefania Sargentini 17 18 19 20 E I C E 24(N. 29 - Duemila trecento 25 trentotto) CI O DTU E M R O L E A 29 30 I N T A R E N A C E R O S A E N C O M I O T R I 32 33 34 1 C I H O O D S SAOS MUL S O N I I T O N N O 36 5 6 R E T R E E S A L A R N A T O O D
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ORIZZONTALI 1. Particella negativa 3. In passato erano ad olio 7. Raganella arborea 9. Articolo francese 10. È tutto... per il depresso 12. Le iniziali di Tolstoj 13. Logiche, evidenti 15. Pronome poetico 16. Misura penale nel diritto canonico 22. Discorso senza capo né coda 24. Lettera greca 25. Simbolo chimico del platino 26. Consumata 29. La Giunone dei greci 31. Ci sono anche di bellezza 33. Possono essere in resta e... preposizione
35. Effondere nell’aria 36. Tutt’altro che sommo
Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch
I premi, cinque carte regalo Migros del valore 26 di 50 franchi, saranno 27 sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta 29 entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco. 31
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31 32 23. Uno strato del nucleo terrestre 27. Nobili etiopi Soluzione della settimana precedente SUDOKU PER AZIONE - AGOSTO 2018 28. Abbreviazione per ricette mediche LO SAPEVATE CHE…– Beethoven da giovane veniva chiamato… Resto della frase: FACILE A CAUSA DELLA CARNAGIONE SCURA. 30. Comodità costose a causa della carnagione …N. LO29 SPAGNOLO (N. 30 - ... lo spagnolo scura) Schema Soluzione 32. Le iniziali dell’attrice Rossellini 5 62 7 4 86 1 3 5 7 8 9 34. Alla fine del film 1 9 8 2 4 7 3 6 5 F L 9 O8 R A4 7 S3 P A5 G O 10 11 12 7 2 3 6 1 5 4 8 9 R7 N O6 L 1 O A8 C9 E R 13 14 15 16 17 5 4 6 3 9 8 2 7 1 A U4 N A9 S A2 E N D 18 19 20 21 13 14 22 2 5 9 4 7 1 6 3 8 B E1 L L 8 I I N E O9 23 24 25 Vincitori del concorso Cruciverba 4 8 7 9 6 3 1 5 2 A4 S C I A6 3 T1 I R N 17 26 27 28 29 su «Azione 32», del 06.08.2018 3 6 1 8 5 2 9 4 7 A G I N A S 6 8 5 2 N. Giudicelli, L.30Piattini, L. Molinari 31 32 19 del concorso Sudoku 8 1 2 7 3 4 5 9 6 7 T3 O4 N I 6 E R Vincitori 33 34 su «Azione 32», del 06.08.2018 6 7 4 5 2 9 8 1 3 R I S8 1 C3 O I 6 35 36 22 E. Pedrioli, P. Reinhardt O U R A N A 9 3 5 1 8 6 7 2 4 5 1 6
(N. 32 - ... scoprire che il prigioniero eri tu) 10
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VERTICALI 1. Il nome 1 dell’attore 2 3Frassica 4 2. Alunno francese 4. Le prime delle ultime... 9 5. L’attore Gibson 6. Breve spazio di tempo 11 12 8. Topo campagnolo 11. Due di noi 14. Le 15 iniziali della Canalis16 17. Emme senza emme 18. Biblica madre di18Isacco 19. Le iniziali dell’attore Pattinson 20 superiore 21 20. Cavità del cuore 21. Larghe nei sombreri
M I N.L 30UMEDIO
Scoprire i 3 numeri corretti da inserire nelle caselle colorate.
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I vincitori
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Partecipazione online: inserire la (N. 31 - Nel millenovecento a Parigi)
soluzione del cruciverba o del sudoku 1 2 3 4 5 6 28 nell’apposito formulario pubblicato 7 8 9 sulla pagina del sito. 30 10 11 12 Partecipazione postale: la lettera o la13 cartolina postale che riporti la so14 32
N. 31 DIFFICILE 1 9
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5 S C O P A 8 A R D I R E C A S H A L E A 3I 7 A V E B 9I G A E 5 S 6T L A R A D A A R S 7E O P E R A R I B E S 3 2 8 1 4 G N O M I N O T A T N. 30 MEDIO Nluzione, O corredata M E Tè possibile A8 4 un9pagamento R 5 3 A2 in1 contanti 6 7 9M 3Ida nome, cognome, indirizzo, email del partecipante deve dei premi. I vincitori saranno avvertiti 8 4 3 6 1 3 5 6 9 7 4 8 1 6 8 N E L U M I a «Redazione Azione, per iscritto.TIl nome deiRvincitori2 sarà OessereRspedita I L E V A I 6 7su «Azione». 2 1 4 Partecipazione 8 3 9 5 5 I L A2C.P. 6315, L E8 6901 S Lugano». Concorsi, pubblicato 5 9 2 Non si intratterrà corrispondenza sui riservata esclusivamente 6 7 che 1 N M E R O I L E T 7N E F2 9R4 8E 5 D3a lettori concorsi. Le vie legali sono escluse. Non risiedono in Svizzera. 3 6 8 2 7 1 9 5 4 2 7 1 9 O V V I E N.A32 GENI
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 agosto 2018 • N. 34
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Politica e Economia Lula candidato in carcere Può candidarsi un condannato in via non definitiva (non è stato ancora celebrato il terzo grado di giudizio) alle presidenziali?
Le date che cambiano la storia: 3. Nel 1871 il profeta del comunismo denunciò l’immigrazione irlandese come un flagello per la classe operaia. Ma la sua dura critica agli effetti economici oggi passa sotto silenzio
Accordi sempre più lontani I sindacati rifiutano di discutere una ridefinizione delle misure fiancheggiatrici e PLR, PPD e PS propongono un rinvio dei negoziati con l’UE al 2020
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Troppa autonomia? Secondo l’ex-governatore della Banca d’Inghilterra quello delle banche centrali nazionali è un potere assoluto che deve essere limitato. Il dibattito tocca anche la Svizzera pagina 20
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Soldati dell’Afghan National Army durante un’esercitazione nella provincia di Herat. (AFP)
Giri di valzer a Kabul
Afghanistan L’amministrazione Trump ha autorizzato un’alta funzionaria del Dipartimento di Stato Usa a cedere
alle richieste dei talebani e a incontrarli per intavolare negoziati di pace Francesca Marino Con un clamoroso giro di valzer, l’amministrazione Trump ha capovolto decenni di politiche americane in Afghanistan e ha acconsentito a una delle principali richieste dei talebani: intavolare colloqui di pace (o presunti tali) direttamente con gli Stati Uniti senza che fossero presenti rappresentanti del governo afghano. Così, in gran segreto, lo scorso 23 luglio mentre i riflettori erano puntati sulle elezioni-farsa pakistane, a Doha si sono incontrati faccia a faccia Alice Wells, che è il capo del South Asia Bureau del Dipartimento di Stato americano e guidava una delegazione di sette membri dell’amministrazione Trump, e quattro rappresentanti dei talebani. A quanto pare, ma si tratta di voci non del tutto confermate, ci sarebbero stati altri incontri sia in Afghanistan che negli Emirati Arabi. Washington ha confermato la presenza della Wells a Doha, ma non ha dato alcuna conferma ufficiale dell’incontro. Che pure è stato commentato a mezzo stampa sia dai talebani che dal Segretario della Difesa americano John Mattis,
secondo il quale: «Il pilastro principale delle nuove politiche dell’amministrazione Trump è proprio dare l’avvio a un processo di riconciliazione nazionale» in Afghanistan. Secondo Mattis, i rappresentanti degli Usa hanno lavorato e lavorano a stretto contatto con il governo di Kabul perché, e nelle intenzioni questo non dovrebbe essere cambiato, il processo di pace dovrebbe comunque essere «guidato e diretto dagli afghani». Secondo i talebani si è trattato di un primo incontro molto positivo, che sarà seguito da ulteriori meeting focalizzati su tematiche più specifiche. A quanto pare in settembre, se nel frattempo le cose non cambiano. Quest’ultimo sviluppo della ormai tragica situazione afghana mostra difatti in modo sempre più evidente la disperazione degli americani e la forza dei talebani che militarmente minacciano ormai, checché ne dica Washington, più o meno il settanta per cento del Paese. L’ufficio di Doha era stato aperto, con grande fanfara, nel 2013: ai tempi i colloqui erano falliti praticamente da subito perché il giorno dell’apertura, all’ingresso di quella che era stata considerata
una vera e propria ambasciata dei talebani, sventolava la bandiera di un fantomatico stato islamico dell’Afghanistan e non la bandiera nazionale afghana. Nel 2015 pakistani e cinesi hanno provato a riportare tutti al tavolo delle trattative, in due tornate di incontri a Murree, in Pakistan, ma hanno fallito miseramente. I talebani mantengono sempre il loro punto: non riconoscono autorità alcuna al governo che siede a Kabul, e vogliono trattare con gli unici che hanno la possibilità reale di ritirare le truppe dal Paese di smetterla di intromettersi nel processo politico afghano: gli americani. Finalmente, hanno ottenuto da Trump ciò che gli era stato negato da tutte le precedenti amministrazioni. Il bravo Donald, che ambisce al Nobel per la pace, come si è visto tratta la politica internazionale a modo suo: e mentre nel 2017 dichiarava che l’obiettivo principale in Afghanistan era «la vittoria» da ottenere possibilmente sul campo inviando più truppe e incrementando i bombardamenti a supporto delle azioni dell’esercito afghano, un anno dopo si rendeva probabilmente conto di essersi ficcato
nell’ennesimo vicolo cieco. Come hanno più volte dichiarato i talebani: «Voi avete le armi, ma noi dalla nostra abbiamo il tempo». Gli anni passano, e la guerra afghana diventa più impopolare del famoso Vietnam. I talebani hanno di fatto già vinto, portando gli americani a sedere al tavolo delle trattative praticamente senza condizioni. Al cessate il fuoco rispettato per tre giorni sia dai talebani che dagli afghani sono seguite immediatamente azioni militari e attacchi suicidi di particolare violenza. Ai colloqui di Doha è seguito l’assedio di Ghazni, durato più di tre giorni. Secondo le Nazioni Unite, il numero di civili uccisi quest’anno in Afghanistan ha raggiunto uno storico record. Il riconoscimento politico implicitamente ottenuto a Doha, nonostante la Casa Bianca abbia decisamente negato che di riconoscimento politico si tratti, ha proiettato sulla scena internazionale i talebani come parte legittima del cosiddetto «processo di riconciliazione nazionale» cancellando di fatto l’etichetta di «terroristi» che ha per anni giustificato l’occupazione militare dell’Afghanistan. E, secondo il generale Votel a capo del Co-
mando Centrale delle operazioni Usa, i talebani sono diversi da tutti gli altri gruppi terroristici. Se ne fossero accorti prima, non si troverebbero in questa situazione. Invece, sempre secondo Votel: «Mentre sui talebani facciamo pressione militarmente per costringerli a sedere al tavolo delle trattative, non nutriamo alcuna speranza di poter trattare con lo Stato Islamico e altri gruppi simili». Come dire: riportiamo, dopo diciassette anni di guerra, i talebani al governo e la situazione esattamente com’era quando siamo arrivati. Intanto, abbiamo sempre da parte un nuovo nemico, sempre in qualche modo generato dalle guerre insensate combattute per nulla, che darà lavoro ai militari per un’altra manciata di anni. La strategia Kissinger è sempre valida e tiene nonostante gli anni che passano e le situazioni che cambiano: dichiarare vittoria e affrettarsi a scappare. Trump vuole dichiarare vittoria, in qualunque modo: e se per farlo deve acconsentire a ogni richiesta dei talebani, tento peggio. Nelle sua famosa «nuova strategia» ha chiaramente detto che la ricostruzione e l’equilibrio dell’Afghanistan non sono affar suo.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 agosto 2018 • N. 34
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Politica e Economia
Carcerato candidato Brasile Il Partito dei lavoratori ha formalizzato la candidatura
di Lula che la Procura ha subito impugnato
Angela Nocioni L’ex presidente Luiz Inácio Lula da Silva, detenuto dal 12 aprile nella sede della polizia federale di Curitiba con una condanna di secondo grado per corruzione e riciclaggio di denaro, è stato ufficialmente candidato dal Partito dei lavoratori (il Pt) alle presidenziali brasiliane di ottobre. Ed è ancora il favorito. Tutti i sondaggi gli attribuiscono quasi il doppio delle intenzioni di voto rispetto agli altri candidati. Al secondo posto nei sondaggi si mantiene Jaire Bolsonaro, un ex poliziotto di estrema destra che ha appena scelto come suo vice Hamilton Mourao, un generale in congedo noto per aver più volte auspicato il ritorno di una dittatura militare in Brasile.
Secondo la legge una persona condannata in secondo grado non può candidarsi per un’elezione Al primo turno, secondo le inchieste sulle intenzioni di voto, Lula supererebbe il 30%, seguito da Bolsonaro al 17%. Al terzo posto figura l’ecologista Marina Silva con il 13%, seguita dal centrista Ciro Gomes con l’8% e il socialdemocratico Geraldo Alckmin con il 6%. A rendere molto fluido lo scenario, ed è questo il principale problema di tutti i candidati, è il 50% degli elettori che si definisce «indeciso». Il Pt ha scelto di presentare come vice per la presidenza Fernando Haddad, 55 anni, ministro dell’Istruzione dei governi Lula e poi sindaco di San Paolo. La candidatura di Haddad è stata proposta alla direzione del Pt dallo stesso Lula in una lettera inviata dalla cella, ennesima dimostrazione che l’ex
presidente, da carcerato, continua non solo ad essere il simbolo, ma anche l’effettivo capo del partito da lui fondato. Come fa un cittadino carcerato con una condanna confermata in appello a concorrere alle elezioni? A scienza certa non lo sa nessuno in Brasile. E su questa incertezza Lula gioca la sua partita. Le leggi esistenti non sono di univoca interpretazione in proposito e non ci sono precedenti storici ai quali rifarsi. La guerra di carte bollate è aperta, si annuncia drammatica e spettacolare. Si combatterà nei tribunali, ma è una guerra tutta politica e dall’esito imprevedibile. Perché se vietare la candidatura a un carcerato può sembrare plausibile, meno ovvio può risultare negare al candidato universalmente noto come favorito la possibilità di concorrere alle elezioni a causa di una condanna giudiziariamente molto controversa e in un processo non ancora estinto (manca il terzo grado di giudizio, che spetta al Tribunale supremo federale). Non era legalmente possibile vietare a Lula in via preventiva la candidatura. Il Tribunale supremo elettorale, al quale spetta decidere se la candidatura è ammissibile o no, può pronunciarsi solo una volta che la candidatura è stata registrata. E il Pt ha scelto l’ultimo giorno utile per farlo, il 15 di agosto. L’ironia della sorte vuole che sia una legge voluta dal governo Lula nel 2010 ad ostruire a Lula la strada verso la rielezione. Si tratta della Lei ficha limpa, (la legge fedina pulita) che vieta ai condannati da un organo collegiale (ed è il caso di Lula, condannato in secondo grado dalla Corte di Porto Alegre formata da tre giudici) per gli otto anni successivi alla condanna di candidarsi a incarichi pubblici anche in assenza di una sentenza definitiva. La campagna del Pt, sostenuta dai principali movimenti sociali del Brasile, fa circolare ovunque lo slogan «Una
Una manifestazione in sostegno di Lula libero. (Keystone)
Johnson e Corbyn: accuse di razzismo Gran Bretagna Laburisti e tories travolti
da uno scandalo per ragioni simili e speculari
elezione senza Lula è una frode». Impossibile prevedere la reazione politica a una esclusione del candidato favorito dalle elezioni per decisione giudiziaria dei milioni di militanti lulisti, ma anche dei semplici simpatizzanti o dei molti cittadini normalmente contrari al Pt ma che in questo frangente storico non vedono altra possibilità che Lula per uscire dalla crisi politica. Già molte polemiche ha suscitato la settimana scorsa l’esclusione, per decisione giudiziaria, dell’ex presidente in teleconferenza al primo confronto tv tra candidati. È molto probabile che il Tribunale supremo elettorale dichiari non ammissibile la candidatura di Lula. Qualora il Tribunale superiore elettorale lo dichiarasse ineleggibile, spetterebbe al Tribunale supremo federale dare la parola finale. Ma su questo punto i giuristi si stanno accapigliando da mesi. Nel caso di una incontrovertibile proibizione della candidatura, il partito di Lula avrebbe allora 20 giorni di tempo giorni per sostituire il candidato, probabilmente lo stesso Haddad in coppia con una vice del partito comunista brasiliano . Se succedesse invece che il Tribunale superiore elettorale non emette nessun parere fino al giorno dell’elezione, scenario improbabile ma non impossibile, si dovrebbe aspettare il dicembre del 2018, cioè la fine naturale del mandato del presidente in carica, Michel Temer. Solo allora potrebbe arrivare la sentenza definitiva. Se dichiarato ineleggibile dopo essere stato eletto, Lula perderebbe l’eventuale mandato conquistato e il presidente della Camera assumerebbe ad interim le sue funzioni fino alla convocazione di nuove elezioni. Considerando l’alta conflittualità politica del Brasile attuale, le tensioni sociali e la crisi economica, una prospettiva simile sarebbe insostenibile.
Brexit: ne vale la pena? (Keystone)
Cristina Marconi I due ostacoli principali verso un ripensamento della Brexit sono sotto attacco per ragioni simili, e speculari: Boris Johnson, ex ministro degli Esteri screditato ma ancora capace di influenzare l’opinione pubblica con le sue tirate euroscettiche, e Jeremy Corbyn, leader di un Labour finora troppo immobile per rappresentare le istanze di chi, come una fetta crescente dei suoi elettori, non vuole la Brexit, sono entrambi accusati di razzismo. Il primo per un articolo sul «Daily Telegraph», quotidiano conservatore che l’ha accolto tra le sue munifiche braccia appena lasciato il Foreign Office, in cui paragonava le donne musulmane con il velo integrale a delle «cassette della posta» e «rapinatori di banche», scatenando le ire di tutti, incluse le femministe che sulla questione vorrebbero un dibattito aperto e informato, non inquinato dagli insulti. Per Corbyn la questione è invece legata alle accuse di antisemitismo che da sempre aleggiano sulla sua figura e che si sono cristallizzate intorno ad alcune immagini che lo ritraggono con una corona di fiori in un cimitero palestinese in Tunisia dove sono sepolti alcuni membri dell’organizzazione Settembre Nero che uccise undici atleti della nazionale israeliana a Monaco nel 1972. Islamofobia e antisemitismo non sono temi alla moda né argomenti in grado di distruggere una carriera, soprattutto in un contesto di sensibilità sovranista e di ripiegamento culturale, e l’Europa è piena di tristi esempi di questo. Ma sono accuse che hanno il vantaggio di essere immediatamente comprensibili ad un vasto pubblico, rafforzando l’idea che in questa torrida estate del 2018, con la Brexit così vicina nel tempo e ancora così lontana nella forma, nessuno più intende fare sconti a Boris l’opportunista e Jeremy l’inattivo. In autunno ci saranno le conferenze di partito – dal 23 al 26 settembre a Liverpool per il Labour e dal 30 settembre al 3 ottobre a Birmingham per i Tories – e l’inizio di una resa dei conti con la realtà lungamente rimandata, visto che l’uscita dalla Ue avverrà il 29 marzo del 2019. I conservatori non possono permettersi di avere un Boris Johnson fuori controllo che continui a fare promesse da campagna elettorale continuando ad illudere l’elettorato e distruggendo gli sforzi di pragmatismo che Theresa May ha meritevolmente fatto fino ad ora. E infatti oltre a lamentare la grossolanità delle parole di Johnson sulle donne musulmane, i Tories hanno denunciato anche il fatto che l’ex ministro abbia violato le regole tornando al suo lavoro da editorialista da 275mila sterline all’anno (almeno) senza seguire
le procedure obbligatorie. Se ci dovrà essere una sfida alla leadership della May, nessuno vuole correre il rischio di ritrovarsi a Downing Street uno che non ha neppure iniziato a ragionare sui punti chiave della Brexit, come l’Irlanda del Nord o l’unione doganale. Sul fronte laburista la questione è diversa, innanzi tutto perché tocca il leader del partito e non l’eterno sfidante e poi perché riguarda un problema ideologico profondo, anzi due: il rapporto di Corbyn con Israele e quello con l’Unione europea. Il sessantottenne socialista è sempre stato vicino alla causa palestinese e ha sempre criticato la politica aggressiva di Israele. Le immagini al cimitero tunisino risalgono al 2014, quando Corbyn era un deputato semplice, ribelle e contestatore seriale, e quando l’idea che potesse diventare leader del partito avrebbe fatto ridere tutti, lui per primo. «Presente» ma «non penso di essere stato coinvolto» nella deposizione della corona di fiori sulla tomba dei terroristi: Corbyn si è difeso dicendo che era lì per onorare «le vittime del bombardamento del 1985 del quartier generale dell’Olp, molte delle quali erano civili» e, in uno scambio arroventato di tweet con il premier israeliano Benjamin Netanyahu, ha ricordato che «quello che richiede condanna assoluta è l’uccisione di 160 manifestanti palestinesi a Gaza dal marzo scorso». Parole che però si sommano al rifiuto del Labour di adottare la definizione piena di antisemitismo data dall’Alleanza internazionale per la memoria dell’olocausto, IHRA, che comprende il fatto di accusare gli ebrei di essere più leali a Israele che al loro Paese, di paragonare le azioni di Israele a quelle dei nazisti e di dire che l’esistenza dello stato di Israele è di per sé razzista. Dal partito, che fino alle elezioni del 2015 è stato guidato da Ed Miliband, di famiglia ebrea, ma dove negli ultimi anni ci sono stati incidenti incresciosi, tutti stanno facendo pressione affinché si arrivi ad un compromesso e anche uno come Gordon Brown, ex cancelliere che continua a mantenere una sua autorevolezza nella sinistra del partito, è intervenuto dicendo che Jeremy Corbyn deve cambiare il suo approccio. Brown ha detto un’altra cosa che tutti pensano, ossia che l’elettorato laburista è sempre più contrario alla Brexit e favorevole ad un secondo referendum sull’esito dei negoziati. Lo dicono i sondaggi, lo dice la voce della gente. E lo dicono anche i sindacati, preoccupati dell’impatto che un’uscita troppo drastica dalla Ue potrebbe avere sull’occupazione. Tutti messaggi che Corbyn dovrà leggere, come Boris, o entrambi rischiano di perdere quel tocco magico che li ha tenuti a galla nonostante gli errori, nonostante le enormi debolezze.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 agosto 2018 • N. 34
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Politica e Economia
Marx e la questione irlandese Le date che hanno cambiato la storia – 3. Nel 1871 il profeta del comunismo denunciò l’immigrazione
come un flagello per la classe operaia. Ma la sua dura critica agli effetti economici passa oggi sotto silenzio
Federico Rampini È una carestia così spaventosa, che fa crollare di un quarto la popolazione di una nazione. Non è una storia che viene dall’Africa subsahariana, né c’entrano guerre civili o genocidi etnici. È la Grande Fame che colpisce l’Irlanda a partire dal 1845. Nella memoria storica degli irlandesi quella fame è un «buco nero» orrendo nella storia di un popolo, una tragedia che inghiottì famigliari, costrinse alla fuga, creò un esercito di migranti poveri. Al di fuori dell’Irlanda si usa spesso il termine «carestia delle patate». Una delle cause infatti fu una malattia della patata che devastò i raccolti in tutta l’Europa settentrionale. Il suo impatto fu più grave in Irlanda perché sull’isola quasi il 40% della popolazione aveva solo le patate come mezzo di sussistenza. Il bilancio di quella carestia fu spaventoso: fra il 1845 e il 1849 un milione di irlandesi morì di fame; un altro milione cercò scampo nell’emigrazione, andando a riempire i ranghi sociali più bassi e a svolgere i lavori più degradanti in America e in Inghilterra. Spesso il primo porto d’arrivo per gli emigranti irlandesi era Liverpool, città la cui fisionomia e cultura da allora recano un’indelebile impronta irlandese. Di là dall’Atlantico c’erano New York e Boston, anch’esse segnate per sempre dall’influsso degli irlandesi che sfuggivano al «genocidio naturale» da carestia. La quantità di emigranti che fuggirono da un minuscolo paese come l’Irlanda, è impressionante: nel 1890, meno di mezzo secolo dopo la carestia delle patate, il 40% della popolazione irlandese si trovava all’estero, uno «svuotamento» senza precedenti in un arco storico così breve. In molte parti del mondo anglosassone l’immigrazione irlandese è diventata una «success-story». In America in particolare, l’ascesa sociale degli irlandesi li ha portati ai vertici della nazione, in posizioni influenti: la famiglia Kennedy, l’industriale dell’automobile Henry Ford, il regista John Ford, il mago dei cartoni animati Walt Disney, il Nobel della letteratura Eugene O’Neil e la scrittrice Flannery O’Connor, sono solo una minuscola frazione dei tanti irlandesiamericani illustri. Non fu sempre facile essere irlandesi in America. Anzi. La religione cattolica che era maggioritaria fra gli irlandesi ne faceva il bersaglio ideale per pregiudizi e discriminazioni da parte della popolazione anglo-protestante che formava il nucleo originario degli Stati Uniti. Venivano descritti come dei bigotti, prigionieri di una religione retrograda, manipolati dal papa di Roma e dai suoi sacerdoti. Insomma gli irlandesi fecero da cavia per ostilità e pregiudizi che poi furono applicati agli italiani o ai polacchi.
Gli irlandesi formano una delle prime ondate di immigrazione economica nel boom dell’industrializzazione americana Ma non c’entra solo il razzismo. In realtà gli irlandesi formano una delle prime ondate di immigrazione economica nel boom dell’industrializzazione americana. La manodopera irlandese viene usata dalle dinastie capitaliste per abbassare i salari, dividere e indebolire il movimento operaio mettendo gli «autoctoni» in concorrenza coi nuovi venuti. Per gli irlandesi che han-
no rischiato la vita, prima con la carestia delle patate a casa propria, poi con la traversata dell’Atlantico, accettare qualsiasi lavoro pesante e qualsiasi salario è inevitabile. Ma una volta sbarcati sull’altra sponda dell’Atlantico, che il loro arrivo impoverisca gli operai americani era chiaro a tutti: padroni e attivisti sindacali. Del resto tutto questo era già avvenuto prima. In Inghilterra. L’utilizzo iniziale della manodopera irlandese come un’arma anti-operaia è stato sperimentato all’origine nella patria della Rivoluzione Industriale. Uno dei primi a denunciare l’immigrazione come un flagello per la classe operaia è il profeta del comunismo, Karl Marx. L’autore del Capitale e del Manifesto del partito comunista era di origine tedesca ma visse a Londra e studiò con particolare attenzione l’economia inglese visto che era la più ricca e moderna a quei tempi. Insieme al suo amico e sodale Friederich Engels, fu un attento osservatore della condizione operaia. E fu uno dei primi in una lunga tradizione di critica dell’immigrazione da sinistra. I giudizi di Marx sulla «questione irlandese» sono esemplari: non demonizza gli immigrati, ma spiega che il loro arrivo danneggia gli operai inglesi.
Alcuni economisti di recente hanno messo alla prova i luoghi comuni della sinistra sull’immigrazione affrontando domande scomode Il 9 aprile 1870, Karl Marx scrive una lunga lettera a Sigfrid Meyer e August Vogt, due dei suoi collaboratori negli Stati Uniti. Il tema principale è la «questione irlandese», gli effetti dell’immigrazione in Inghilterra. «Ogni centro industriale e commerciale in Inghilterra possiede ora una classe operaia divisa in due campi ostili, proletari inglesi e proletari irlandesi. L’operaio comune inglese odia l’operaio irlandese come un concorrente che comprime il livello di vita. … Questo antagonismo è il segreto dell’impotenza della classe operaia inglese, a dispetto della sua organizzazione. Esso è il segreto della conservazione del potere da parte della classe capitalistica. E quest’ultima lo sa benissimo». Marx non era infallibile, le sue analisi e le sue profezie talvolta si sono rivelate errate. Però è singolare che in questa fase di «riscoperta di Marx» – segnalata da una fioritura di saggi che ne rivalutano alcune intuizioni – ci sia una congiura del silenzio per cancellare la sua dura critica agli effetti economici dell’immigrazione. Se sei di sinistra, se sei progressista, oggi è diventato «politically correct» fare le seguenti affermazioni: primo, gli stranieri vengono a fare lavori che noi non vogliamo più fare; secondo, il loro arrivo ci arricchisce o addirittura è un toccasana per risanare il bilancio delle nostre pensioni. Raramente ci si preoccupa di fare delle verifiche puntuali, precise, su casi concreti. Sono dei dogmi, guai a metterli in discussione. «L’immigrato viene a fare lavori che noi non facciamo più»? In certi casi è vero. Probabilmente i giovani laureati in cerca di lavoro non vogliono fare la raccolta dei pomodori, per questo in California la fanno i messicani e in Campania la fanno gli africani. Questo è un caso estremo; ma ci sono tanti altri lavori, anche umili, per i quali gli immigrati sono in concorrenza diret-
Il Famine Memorial sulla banchina del Custom House di Dublino dello scultore dublinese Rowan Gillespie. (Keystone)
ta con i nostri connazionali poveri, in America come in Inghilterra o in Italia. Se dai braccianti agricoli si passa alle badanti – altro lavoro in espansione per l’invecchiamento demografico – già si scopre che non necessariamente «sono disposti a farlo solo straniere e stranieri». Dipende, per esempio, dalle condizioni di lavoro e in particolare dal livello retributivo. Ci sono tanti cittadini americani o inglesi o italiani che fanno lavori pesanti, faticosi, degradanti o pericolosi, certamente «disprezzati» nella scala dello status sociale. Addetti alle pulizie, fattorini delle consegne, vigilantes e addetti alla sicurezza, giardinieri, muratori, camerieri, e tanti altri. Sono questi la «nuova classe operaia», subentrano ai colletti blu tradizionali perché le industrie classiche sono state delocalizzate nei paesi emergenti. Abbiamo meno metalmeccanici di una volta, ma aumentano i «riders» che in bicicletta fanno le consegne a domicilio. Questa nuova classe operaia spesso è meno pagata di quella tradizionale, meno organizzata, meno sindacalizzata. Tra le cause della sua debolezza c’è proprio il fatto che i datori di lavoro possono facilmente sostituirla con manodopera immigrata. Queste domande
scomode, alcuni economisti di sinistra hanno cominciato ad affrontarle, «riscoprendo Marx» 150 anni dopo, ma soprattutto riscoprendo la regola d’oro della scienza: non devi dare per scontato nulla. Se sei serio, devi verificare ogni affermazione. Fai la fatica di effettuare ricerche sul campo, metti i luoghi comuni alla prova della realtà concreta. Lo shock di Brexit ha funzionato un po’ come una scossa elettrica in certi ambienti accademici dove la ricerca sull’immigrazione si era intorpidita o seguiva solo le tesi gradite al politically correct. Tra questi economisti c’è Robert Skidelsky, considerato come uno dei più autorevoli seguaci di John Maynard Keynes, il grande economista progressista che teorizzò politiche audaci per salvare l’Occidente dalla Depressione degli anni Trenta. Skidelsky di recente ha messo alla prova i luoghi comuni della sinistra sull’immigrazione. Cominciando col ricordarci tutte le ragioni per cui storicamente era la destra liberale a volere le frontiere aperte. La teoria economica classica, spiega Skidelsky, ci dice che l’immigrazione arricchisce il paese che la riceve, sia pure dopo un certo intervallo temporale. Nella teoria libe-
rista il meccanismo classico è questo: l’aumento di forza lavoro fa scendere i salari, aumenta i profitti, ma questi profitti vengono reinvestiti, la crescita economica si rafforza e alla fine i salari aumentano. Skidelsky cita la ricerca del suo collega Robert Rowthorn dell’università di Cambridge, per dimostrare che quella teoria «è piena di buchi». Tanto per cominciare, l’intervallo temporaneo prima che l’effetto sia benefico sui salari può essere molto lungo, fino a dieci anni. Inoltre la pressione al ribasso sulle retribuzioni può continuare per sempre, se l’immigrazione non si arresta e quindi c’è un aumento costante di manodopera. «L’affermazione che gli immigrati tolgono lavori alla manodopera locale e ne riducono i salari, può essere talvolta esagerata, ma non sempre è sbagliata». Va ricordata la differenza tra la ricchezza di una nazione misurata dal suo Pil e il benessere economico dei singoli cittadini misurato dai rispettivi redditi. Se cresce la popolazione – per esempio con l’afflusso di stranieri – la ricchezza nazionale cresce. Ma ciò non significa affatto che i singoli cittadini stiano meglio. Ci può essere una crescita generale del paese, all’interno del quale alcune categorie s’impoveriscono.
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Politica e Economia
Primo, superare la spaccatura interna Politica europea Dopo l’eclatante rifiuto dei sindacati di discutere una ridefinizione delle misure fiancheggiatrici,
PLR, PPD e PS cercano una via d’uscita dall’impasse politica e propongono un rinvio dei negoziati con l’UE al 2020
Marzio Rigonalli Il rifiuto dei due principali sindacati svizzeri, l’Unione sindacale svizzera e Travail.Suisse, di partecipare ai colloqui diretti dal consigliere federale Johann Schneider-Ammann sulle misure fiancheggiatrici che fanno da cornice alla libera circolazione delle persone, è stato dapprima percepito come un inatteso violento temporale estivo, ma adesso sta diventando una grave depressione che s’annuncia lunga e che non lascia intravvedere una chiara via d’uscita. Una depressione che è estranea alla tradizione politica elvetica, fondata sul dialogo tra i partner sociali e politici, nonché sulla continua ricerca del compromesso. Con il loro modo di agire, i due sindacati coinvolti e le forze politiche che li sostengono sono i principali responsabili di questa nuova situazione, ma non sono gli unici. Tre grossi errori almeno sono stati commessi a livello politico. Il primo risiede nella passività dimostrata da troppo tempo dal Dipartimento federale dell’economia, della formazione e della ricerca. Da più anni, l’Unione europea sta dimostrando la sua opposizione alle misure accompagnatorie che proteggono il mercato del lavoro elvetico ed a più riprese ha chiesto la modifica di alcune regole, come quella che obbliga un’azienda straniera ad annunciare l’invio di manodopera in Svizzera con otto giorni d’anticipo, o quella che costringe le imprese europee a depositare cauzioni a titolo di garanzia. Il Dipartimento federale diretto da Johann Schneider-Ammann non ha, però, reagito. Si è mosso soltanto negli ultimi mesi, quando la questione delle misure fiancheggiatrici è diventata decisiva nella conclusione di un accordo istituzionale con l’Unione europea. Il secondo errore l’hanno commesso i due consiglieri federali liberali radicali, con le loro dichiarazioni pubbliche. Cassis e Schneider-Ammann hanno sostenuto che conveniva andare incontro alle richieste di Bruxelles, cercando di ridefinire le misure accompagnatorie, senza però modificarne la sostanza. Le parole dei due magistrati non sono
apparse opportune ed ancor meno diplomatiche. Non hanno tenuto conto del fatto che queste misure erano state dichiarate una linea rossa invalicabile anche dal Consiglio federale e, soprattutto, hanno inferto una ferita al rapporto di fiducia con i sindacati, che non sono stati né informati né consultati e che vi hanno visto un tentativo per ridurre la protezione dei lavoratori elvetici. L’ultimo errore l’ha commesso il Consiglio federale, incaricando Schneider-Ammann di portare a buon termine da solo la discussione con i partner sociali e con i Cantoni. Data l’importanza della materia in discussione e della posta in gioco per il futuro delle nostre relazioni con l’Unione europea, e tenuto conto della forte sensibilità dimostrata dai sindacati, sarebbe stato opportuno affiancare al consigliere federale liberale radicale uno dei due magistrati socialisti, Simonetta Sommaruga od Alain Berset. Con ogni probabilità, in presenza di un consigliere federale socialista, i sindacati avrebbero avuto più difficoltà ad abbandonare la discussione. Che cosa può succedere ora? Il consigliere federale Schneider-Ammann porterà a termine la sua missione entro la fine del mese, ma nessuno si fa illusioni sui risultati che ne scaturiranno. Molti, ormai, ritengono che la conclusione del tanto discusso accordo istituzionale non sarà più possibile entro quest’anno e tracciano nuove vie che la nostra diplomazia potrebbe percorrere. La proposta più concreta è giunta dai presidenti dei tre partiti di governo che sostengono la via bilaterale con l’UE, ossia PLR, PPD e PS. Petra Gössi, Gerhard Pfister e Christian Levrat hanno proposto di sospendere il negoziato bilaterale fino al 2020. Il rinvio consentirebbe di superare tre eventi maggiori previsti nel 2019 e che non sono d’aiuto ad un’eventuale trattativa. Trattasi dell’uscita della Gran Bretagna dall’UE alla fine di marzo, se il negoziato in corso non verrà prolungato; delle elezioni europee previste a maggio, con probabili cambiamenti anche in seno alla Commissione europea, e delle elezioni federali previste il 19 ottobre. Dopo la
Ignazio Cassis e Johann SchneiderAmmann: i loro errori politici, o le loro ingenuità, hanno scatenato una reazione inusitata. (Keystone)
pausa ci potrebbe essere un clima internazionale più favorevole, con nuovi responsabili e con utili insegnamenti derivanti dall’esito della Brexit. L’ampia parentesi, però, dovrebbe costituire una tregua, accettata dalle due parti, e non un periodo durante il quale troverebbero spazio le pressioni e le ritorsioni esercitate da una parte contro l’altra. È un obiettivo che la diplomazia elvetica dovrebbe cercare di raggiungere, mettendosi subito al lavoro. Dietro a questa proposta si nasconde il timore di un nuovo stallo con Bruxelles, analogo a quello vissuto nel 2014, dopo l’approvazione popolare dell’iniziativa dell’UDC contro l’immigrazione di massa. Si teme che l’Unione europea possa prendere misure dannose per l’economia e la finanza svizzere. È ormai arcinoto che Bruxelles subordina ogni progresso sulla via bilaterale alla conclusione di un accordo quadro sulle questioni istituzionali. L’esempio più recente è stato il riconoscimento dell’equivalenza della Borsa svizzera, concesso per un anno soltanto, fino alla fine del 2018. Il suo rinnovo è subordinato a sostanziali progressi da realizzare nel negoziato bilaterale.
Lo stallo della trattativa bloccherebbe probabilmente il rinnovo dell’equivalenza della Borsa e metterebbe in pericolo la partecipazione della Svizzera ai programmi di ricerca dell’UE a partire dal 2021, nonché la firma dell’accordo bilaterale sull’elettricità, un accordo che è già praticamente concluso. Per di più, la nuova situazione non darebbe più nessun impulso alla via bilaterale e aggraverebbe l’attuale fase d’insicurezza giuridica. Le novità sorte nelle ultime settimane mostrano quanto importante sia l’unione interna per un piccolo paese che deve confrontarsi con Stati o unione di Stati molto più grandi. Solo l’unione delle forze politiche, dei partner sociali e delle varie istituzioni può dare forza e certezza a chi è chiamato a difendere i nostri interessi sul piano internazionale. Oggi quest’unione mostra alcune crepe importanti, che vanno al di là dell’ormai decennale opposizione dell’UDC. Sul piano politico, l’intesa tra liberali radicali e socialisti sulla politica europea ha subito un forte contraccolpo. Senza quest’intesa, la politica europea del Consiglio federale non può avere il necessario supporto
popolare. Sul piano dei rapporti personali sono apparsi contrasti o antipatie tra il consigliere federale Ignazio Cassis ed il presidente del partito socialista Christian Levrat, nonché tra il consigliere federale Johann SchneiderAmmann ed il presidente dell’USS Paul Rechsteiner. Infine, si sono sentite numerose dichiarazioni contrapposte, che inducono a pensare che ci sono forze disposte anche a compromettere i nostri rapporti economici con l’UE, incuranti del fatto che più della metà delle nostre esportazioni finisce sul mercato europeo. Il buon senso vuole che la ricerca di una soluzione sulla protezione dei lavoratori in Svizzera, accettabile anche per l’UE, non sia poi così difficile, anche perché, negli ultimi tempi, Bruxelles ha fatto progressi in questa direzione, adottando il principio dello stesso salario, nello stesso posto e nello stesso momento. Bisogna dimostrare buona volontà ed essere consapevoli dell’importanza dell’unione interna. Un’unione che costituisce una premessa urgente e, nello stesso tempo, un viatico senza il quale l’attuale momento difficile non può venir superato in tempi brevi.
Banche centrali, troppa autonomia? Politica monetaria L’ex-governatore della Banca d’Inghilterra critica l’eccessiva indipendenza concessa oggi
alle banche nazionali di vari paesi, fra cui alla Banca Centrale Europea. Un tema d’attualità anche in Svizzera Ignazio Bonoli Il ruolo di garante dell’ortodossia monetaria e di principale strumento di lotta contro l’inflazione della banca nazionale (o centrale) di un paese viene spesso messo in discussione. Recentemente anche il presidente americano Trump teme che la politica della US Reserve finisca per contrastare quella dei dazi doganali e per provocare un rafforzamento del dollaro, accompagnato dall’aumento dei tassi di interesse. Sul fronte opposto, la banca centrale cinese – che è controllata dal potere politico – contrasta la politica commerciale di Trump anche con una svalutazione dello yuan, la moneta cinese. In entrambi i casi il problema è quello dell’indipendenza (o meno) della banca centrale dal potere politico del paese. Anche in Svizzera il tema è stato di attualità durante la campagna per il voto sull’iniziativa «Moneta intera». L’iniziativa, tra le altre cose, chiedeva un diverso orientamento della Banca Nazionale, che avrebbe dovuto seguire le istruzioni del gover-
no, oltre che provvedere al suo finanziamento. Anche in questo caso, uno degli argomenti contro l’iniziativa concerneva l’indipendenza della banca centrale. Del tema si occupa un interessante volume dell’ex-governatore della Banca d’Inghilterra, Paul Tucker, dal significativo titolo Unelected Power, nel quale pone in discussione la legittimazione delle banche centrali in uno Stato di diritto. Il «potere non eletto» è quello dei governatori delle banche centrali che, di regola, non sono eletti da un Parlamento. Secondo Tucker, si tratta di un potere assoluto, al quale oggi andrebbero posti alcuni limiti. In sostanza, la discussione verte ancora una volta sull’indipendenza delle banche centrali, che è la fonte del potere dei loro governatori. Abituati a vivere nell’ombra e a non dare pubblicità al loro lavoro, oggi sono spesso protagonisti non solo della politica economica, ma sempre più spesso anche della cronaca. In questo senso si possono anche definire i «Nuovi padroni dell’universo». La
stampa anglossassone, per esempio, si compiace di chiamare il governatore della Banca Centrale Europea «SuperMario». In realtà, con le crisi monetarie, il potere dei tecnocrati delle banche centrali è andato aumentando. Storicamente questo ruolo così importante è abbastanza recente e l’indipendenza della banca centrale mal si concilia con lo Stato democratico. Il primo esempio di questa funzione è probabilmente quello della Bundesbank tedesca dopo la guerra, che doveva essere indipendente dal potere politico degli occupanti alleati. Nel tempo però questa indipendenza è stata limitata con una legge emanata dal Parlamento. Dopo la caduta del sistema monetario e il passaggio ai cambi flessibili, l’indipendenza delle banche centrali tedesca e svizzera è stata spesso citata come strumento essenziale nella lotta contro l’inflazione. In seguito, vari studi hanno dimostrato che l’indipendenza è un fattore decisivo nel mantenimento della stabilità monetaria. Ed è proprio l’esempio tedesco che ha permesso di conferire
un grosso potere autonomo alla Banca Centrale Europea. Oggi però il grande potere che accompagna questa indipendenza suscita qualche perplessità. Le banche centrali comprano grandi quantitativi di titoli statali, non solo, ma anche azioni e possono diventare «padrone» di Stati e imprese o dominano il mercato immobiliare attraverso i tassi ipotecari. Oggi sono perfino riuscite a introdurre interessi negativi, che sono una specie di imposta sul denaro, normalmente riservata allo Stato. Queste le principali critiche di Tucker. Molti economisti e giuristi rispondono però che la politica monetaria è troppo importante per l’economia e l’ordine politico di uno Stato, per cui l’indipendenza e il successo nella lotta contro l’inflazione non sono in contrasto con la democrazia, tanto più che la storia dimostra come il finanziamento dello Stato mediante la stampa di moneta porti spesso al disastro economico e politico. Del resto è lo Stato che nomina il governatore, spesso a tempo limitato, e le grandi decisioni politiche vengono concordate.
Anche secondo Tucker l’indipendenza è accettabile, ma se accompagnata da un chiaro mandato, che obbliga la banca a operare nei limiti e nei tempi di questo mandato. In Svizzera il mandato, attraverso la legge, è piuttosto generico. La BCE avrebbe superato questi limiti con l’acquisto di titoli di vari Stati indebitati, garantendone quindi il rifinanziamento a condizioni di favore, evitando le necessarie ristrutturazioni. Tucker propone alcuni suggerimenti per migliorare la situazione: in primo luogo più trasparenza, obiettivi chiari e misurabili, limitare il numero di compiti allo stretto necessario. Tra l’altro propone anche di porre un limite massimo al bilancio della banca. Limite che in Svizzera sarebbe difficilmente applicabile, date le frequenti spinte al rialzo sul franco che la BNS deve contenere. In sostanza la banca centrale dovrebbe limitarsi al minimo fattibile per raggiungere i propri obiettivi. Cosa che – secondo l’autore – oggi alcuni banchieri centrali sembrano aver dimenticato.
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Politica e Economia
Maggiore stabilità al portafoglio grazie al rebalancing La consulenza della Banca Migros Thomas Pentsy
Thomas Pentsy è analista di mercato e dei prodotti presso la Banca Migros
A lungo termine il 90% del successo di un investimento dipende dall’asset allocation ottimale, ossia dalla ripartizione del portafoglio in diverse classi di asset, quali azioni, obbligazioni, liquidità e investimenti alternativi. Ma come si arriva a ottenere un’allocazione ottimale del patrimonio? Il primo passo è definire il vostro profilo di rischio personale. Si tratta di rispondere a domande come le seguenti: quali sono gli obiettivi che perseguite e come si configura il vostro orizzonte d’investimento? Quali aspettative avete in termini di rischio e rendimento? Sarà il consulente a determinare il vostro profilo di rischio se scegliete una delle seguenti soluzioni d’investimento: fondi strategici, piano di risparmio in fondi, consulenza personale in investimenti o mandato di gestione patrimoniale. Il secondo passo è selezionare la strategia d’investimento adatta al vostro profilo di rischio. Ciascuna strategia presenta una diversa allocazione del patrimonio: la differenza principale consiste nella quota azionaria, che presso la Banca Migros può variare dallo 0% all’85%. Poiché le singole classi di asset evolvono diversamente, la loro ponderazione tende a cambiare nel tempo. Ad esempio, in caso di flessione dei corsi azionari, la quota di azioni nel portafoglio
In certe situazioni può essere necessario ripristinare la ripartizione del patrimonio definita nella strategia originaria. (Keystone)
finirà per diminuire rispetto a quella delle classi di asset il cui valore è rimasto più stabile o è addirittura aumentato. Con il rebalancing si ripristina la ripartizione del patrimonio definita nella strategia originaria: le vendite mirate di titoli riducono le posizioni nelle classi di asset che presentano quote troppo elevate; al contrario,
tramite nuovi acquisti, si incrementa la ponderazione delle classi scese al di sotto del valore obiettivo definito per il portafoglio. Se possedete un fondo strategico, un piano di risparmio in fondi o un mandato di gestione patrimoniale, sarà la Banca Migros a gestire il rebalancing. Al contrario, nel caso della consulenza
personale in investimenti, beneficiate del supporto di un consulente ma prendete le vostre decisioni liberamente. Non si fornisce consulenza ai clienti che scelgono solo la soluzione del deposito (execution only), cioè ai segmenti di clientela che preferiscono effettuare le operazioni d’investimento in piena autonomia. Annuncio pubblicitario
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Politica e Economia Rubriche
Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Un freno selettivo agli investimenti cinesi L’estate non è ricca di notizie economiche. Di questi tempi, quindi, i commentatori economici dei giornali e di altri media di comunicazione sono particolarmente grati a chi, imprenditori, finanzieri o politici, butta sul tavolo delle discussioni un nuovo tema. Proprio come ha fatto il presidente del PPD Gerhard Pfister, un paio di settimane fa, segnalando quanto pericolosi potrebbero essere gli investimenti della Cina in Svizzera e quanto ingenua sia la posizione di coloro che, come fanno molti rappresentanti dell’Amministrazione federale, continuano a pensare che non ci si deve preoccupare più di quel tanto. Intendiamoci, questo argomento proprio nuovo non è. Dibattiti analoghi erano già nati, nel corso degli ultimi anni, in altri paesi come pure da noi, in occasione di acquisti di importanti aziende da parte dei cinesi. Gli stessi avevano addirittura indotto i
rappresentanti della Francia, dell’Italia e della Germania a scrivere, all’inizio dello scorso anno, alla commissione dell’UE per chiedere che si mettesse in atto, su scala europea, un meccanismo di osservazione degli investimenti cinesi. Il presidente del PPD non è quindi l’unico politico in Europa a preoccuparsi di questo problema. Ma che fondamento ha questa paura degli investimenti da parte dei cinesi? Cominciamo dalle cifre. Gli investimenti cinesi in Europa – come negli altri continenti – sono cominciati ad aumentare dalla crisi bancaria mondiale del 2008 in poi. Così, nel 2010, gli investimenti diretti della Cina (senza contare Hong Kong), nei paesi dell’UE, ammontavano a 2 miliardi di euro. L’anno scorso questo montante era salito a 65 miliardi euro. Sono dati impressionanti per persone normali come noi che già si spaventano quando
il nostro comune aumenta il prezzo del parcheggio da 1,50 a 2 fr. l’ora. Ma che cosa significano 65 miliardi rispetto al capitale investito nelle aziende (private e pubbliche) delle economie dell’UE? Significano, per il momento, meno dell’1 per mille di questo aggregato. Difficile che un azionista che possiede meno dell’1 per mille del capitale possa esercitare una forte influenza nella gestione dell’azienda. A questo punto della discussione cominciano però a sorgere i dubbi e gli interrogativi. Gli stessi sono motivati in generale dal fatto che gli investimenti diretti cinesi sono selettivi. Insomma, non è che i capitalisti cinesi comperino a occhi chiusi qualunque possibile azienda come facevano invece, una cinquantina di anni fa, i loro colleghi degli Stati Uniti. Se oggi l’Europa, e domani la Svizzera, si daranno da fare per frenare gli investimenti diretti dei cinesi è
perché questi si concentrano molte volte in settori e rami che possono essere strategici per le loro economie. Ha fatto discutere, qualche anno fa, l’acquisto da parte dei cinesi dalla Syngenta di Basilea, una ditta molto importante dell’agro-chimica. Più di recente, in Germania, ci sono state molte prese di posizione contrarie al tentativo cinese di acquistare la Kuka, una ditta leader nel ramo della robotica. E di esempi di questo tipo se ne potrebbero citare altri. Per il momento, quindi, le preoccupazioni di politici e imprenditori, da noi come in Europa, non riguardano tanto il montante, che cresce molto rapidamente, degli investimenti diretti della Cina, quanto singole operazioni effettuate dai cinesi in rami economici strategici. Nessuno pensa di bloccare questi investimenti per difendere gli interessi nazionali. Molti sono però dell’avviso che
1) si dovrebbe poter seguire con maggiore attenzione gli investimenti diretti dei cinesi, in Svizzera come in Europa e 2) si dovrebbe cominciare a mettere, per così dire, sottochiave, certe aziende che vengono reputate strategiche e che, per questa ragione, non dovrebbero mai essere cedute al capitale straniero, indipendentemente da dove venga. Ma come fare per sottrarre aziende importanti all’appetito di investitori stranieri, in particolare di investitori cinesi? Beh, per esempio dichiarandole di interesse pubblico, ossia statalizzandole. I miei lettori si tranquillizzino: non c’è attualmente nessuno che abbia proposto di proteggere le aziende svizzere dai raid degli investitori cinesi integrandole nel settore pubblico. D’altra parte, con gli investitori cinesi alle porte, bisognerà procedere con molta prudenza, prima di privatizzare imprese statali di importanza strategica.
con il giornalista-star, ti viene voglia di dire la tua. Senza grandi consulti, senza un coordinamento, semplicemente perché nella varietà di versioni sullo stesso fatto che caratterizza la comunicazione di questa Casa Bianca, ogni dettaglio ha una storia propria. Quando Woodward scrisse il libro sulla politica estera dell’allora presidente Obama, andò spesso alla Casa Bianca, aveva appuntamenti fissati, materiale da consultare, resoconti da verificare: come è facile immaginare, gli obamiani avevano tutto l’interesse a rappresentare il proprio lavoro e la propria presidenza nel miglior modo possibile. Con Trump non è andata così: se Michael Wolff era diventato una presenza costante alla Casa Bianca, Woodward è stato visto poco. Molti se lo ricordano all’inizio dell’avventura trumpiana alla Trump Tower, quando disse ai giornalisti che gli chiedevano che cosa ci facesse lì: il mio lavoro. Ma
poi, senza un accordo sull’accesso alle fonti, Woodward si è adattato alle modalità del mondo Trump, che si nutre di indiscrezioni, conversazioni rubate, battute, tweet e un’incontenibile, personalissima improvvisazione. L’idea del libro nasce da una frase che lo stesso Trump disse a Woodward in un’intervista del 2016, quando era ancora candidato. Woodward gli chiese se condividesse quel che aveva detto Obama sul potere: «Il vero potere è ottenere quello che vuoi senza essere costretto a usare la violenza». Trump rispose che sì, era d’accordo, il potere reale si misura in termini di rispetto, ma aggiunse una sua considerazione personale: «Il vero potere è, non vorrei nemmeno utilizzare la parola: paura». Da questa risposta, dalla paura, è nato il libro di Woodward, che ha detto di essersi sentito «rinato» in questa sua inchiesta, che si è consolidata in ore e ore di conversazioni e con i suoi leggendari
blitz notturni a casa delle fonti per verificare qualche dettaglio. Woodward ha cercato di indagare soprattutto come si prendono le decisioni alla Casa Bianca, il suo editore dice che il libro racconta con esattezza la «vita straziante» dei collaboratori di Trump, oltre che il suo approccio strategico in particolare in politica estera. Ora i consiglieri del presidente gli suggeriscono di evitare, quando sarà il momento, di fare troppi commenti sul libro di Woodward: il miglior modo per disinnescare le polemiche, di qualunque natura, è tacere. Ma il dietro le quinte di questo spettacolo americano è troppo gustoso, ogni pettegolezzo sembra reale e ogni realtà sembra pettegolezzo, ognuno vuole dare la sua versione dei fatti, mentre il mondo attorno si plasma su questa strabordante confusione. I consiglieri sanno già che il loro suggerimento non sarà ascoltato: Trump non è capace di trattenersi.
gli stenti dei nostri avi, giunti lassù non a bordo di veicoli rombanti, ma su gambe appesantite da masserizie e caldaie. Basterebbe questo ricordo per destare nelle coscienze il sentimento del rispetto. Rispetto, ecco la disposizione assente. Già Plinio Martini, nei primi anni 70 del Novecento, ne lamentava la mancanza in alcuni indignati passaggi del suo Requiem per zia Domenica: «Legioni di ombelicati divoratori di silenzio vengono, si accomodano sui verdi tappeti rifiniti e lisciati da generazioni faticose come fossero a casa loro, distendono tovaglie, accendono bivacchi, si sdraiano, si toccano, calpestano, giocano a palla e al volano, e poi, all’arrembaggio! vanno a scoprire il rustico sfondandone la porta già sfondata, caso mai ci si possa ancora trovare qualche vecchia catena da camino…». Dall’alto delle cime scende però anche qualche segnale incoraggiante, che ci fa ben sperare. Alludiamo ad un diverso modo di avvicinarsi alla montagna, fatto di camminate e di lunghi silenzi, attraverso itinerari che favoriscono la contemplazione e la conoscenza. Negli
ultimi anni è fiorita tutta una letteratura sulle orme di Henry David Thoreau (1817-1862), scrittore e saggista considerato il padre del pensiero ecologista americano. Solitudine, autarchia, vita frugale a stretto contatto con la vita del bosco e con gli animali che lo popolano: sono questi i princìpi che ispirarono la sua esistenza prima che la sua opera letteraria, e che ora molti giovani riprendono avidamente, alla ricerca di un mondo altro, non intossicato dai miasmi della modernità. Da questo filone letterario qualche insegnamento (se non proprio un modello) si può desumere, se non altro nell’approccio alle escursioni e nel rapporto con l’ambiente. Ma la montagna deve poter vivere, anzi ri-vivere. Maledetta e abbandonata nel corso degli ultimi due secoli, si ritrova oggi al centro di interessi che alla maestosità dello scenario alpino antepongono la fame di energia degli agglomerati. Sono così spuntati nel tempo dighe, tralicci, elettrodotti e, da ultimo, le pale eoliche. Dopo l’acqua, è il vento il nuovo giacimento da sfruttare. Purtroppo in queste zone nessuno
risiederà più in modo stabile, dato che il paesaggio elettrico non incoraggia il ripopolamento, ma soltanto attività di servizio e di manutenzione. La montagna è così diventata il generatore di corrente delle città, un’area di svago (nelle zone dotate d’impianti di risalita) e a volte un deposito di inerti (come il fondovalle dell’alta Leventina). Le iniziative socio-culturali sorte negli ultimi anni, come il Dazio Grande di Rodi e la fondazione Fabbrica di cioccolato di Dangio, hanno cercato di immaginare strumenti e soggetti per una rinascita, proponendo seminari e dibattiti, ma ora rischiano la chiusura per mancanza di mezzi. I capitali «pesanti» prendono altre strade, economicamente più redditizie. Il Ticino alpino non deve arrendersi. Sarebbe davvero una perdita irreparabile, anche per il nostro accaldato gitante, se la politica dimenticasse le valli e non riconoscesse validità alle iniziative tese a rivitalizzare la montagna, impedendole di decadere e di trascinare nella caduta tutto il suo plurisecolare patrimonio storico, linguistico, etnografico.
Affari Esteri di Paola Peduzzi Donald Trump fa vendere Il nuovo libro sulla Casa Bianca firmato da Bob Woodward, il giornalista-delWatergate, non è ancora uscito ma è già un successo, perché se c’è una cosa che abbiamo capito in questa stagione senza certezze è che parlare di Donald Trump fa vendere. Il resoconto pettegolo di Michael Wolff, Fuoco e furia, pubblicato all’inizio dell’anno ha venduto un milione e passa di copie ed è stato tradotto in tempo record in molti paesi (ha anche creato non pochi guai al guru trumpiano Steve Bannon); il memoir di James Comey, ex capo dell’Fbi, idolo dei trumpiani per la sua inchiesta sulle email di Hillary Clinton a pochi giorni del voto del 2016 poi passato nel recinto dei traditori quando ha deciso di rendere pubblici i suoi appunti degli incontri con il presidente Trump, ha avuto un clamore che tendenzialmente questi saggi degli ex non hanno. Anche altri tomi sull’attuale presidenza sono andati bene, e pure
i giornali registrano trend positivi: più Trump dice che un media è «fake news» o sull’orlo del fallimento, più quel media accoglie nuovi abbonati. Vale anche per i siti e i media trumpiani, che con la loro informazione sovente al limite del complotto raccolgono lettori e consenso. I saggi su fake news e post verità hanno altrettanto successo: il più bello, erudito e sofferto, è The death of truth, uscito a luglio, opera prima di Michiko Kakutani, critica letteraria del «New York Times» per trentotto anni. Donald Trump fa vendere, suo malgrado. I giornali hanno raccontato come è nato il libro di Bob Woodward, che s’intitola Fear: Trump in the White House e sarà pubblicato l’11 settembre. A differenza del passato, il team di Trump non ha deciso a quali funzionari dare accesso a Woodward, si è creato un processo a catena basato su indiscrezioni e passaparola: se sai che il collega due stanze più in là ha parlato
Cantoni e spigoli di Orazio Martinetti Rivitalizzare la montagna È comprensibile che nei giorni dell’afa e dell’ozono galoppante si cerchi di salire ai monti per immergersi nella frescura di laghetti e lariceti. In queste occasioni il Ticino urbano – o la cittàTicino – riscopre il Ticino rurale, o perlomeno quanto ne resta: pascoli, alpeggi, cascine. Purtroppo, anche in alta quota, i costumi e i comporta-
Basterebbe il ricordo di antiche fatiche per destare rispetto. (Keystone)
menti restano quelli cittadini, come se le Alpi fossero solo un grande parcogiochi, e non invece uno scrigno di memorie e fatiche, a testimonianza di una civiltà sepolta: muri diroccati, lamiere contorte, travi spezzate e fradice che il gitante della domenica scorge ai margini dei sentieri. Anche queste piccole macerie sono degne di uno sguardo: riportano ad un passato nemmeno troppo remoto, allorché uomini e mandrie raggiungevano le corti più alte. Piccole baite erette coi sassi asportati dagli alvei dei canaloni e dov’è ancora possibile indovinare il perimetro della stalla e del fienile crollati sotto il peso della neve, e persino l’angolo della casera. Oggi si vive nel tempo della distrazione e dello spazio da consumare; il paesaggio pietroso non incute più alcun timore; anzi, fa da sfondo a miriadi di iniziative sportive e ricreative, uno spazio, pure questo, ridotto a «nonluogo», trasferito di peso dalla città alla montagna. Ma l’occupazione dell’arco alpino durante i mesi estivi non sarebbe così grave se fosse accompagnata da un sia pur breve esercizio mnemonico:
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Cultura e Spettacoli La riscoperta di Burkhard Il MASI ospita un imperdibile omaggio a un protagonista della fotografia svizzera e mondiale
Beltrametti, tra arte e vita L’orma editore ha dato alle stampe Il viaggio continua, dell’artista ticinese (ma cittadino del mondo) Franco Beltrametti pagina 25
La nuova stagione culturale Puntuale come ogni anno è stata presentata la nuova stagione del Percento culturale Migros pagina 26
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Millennium bug
Mostre I giovani artisti italiani al MAMbo
di Bologna
Gianluigi Bellei Che cosa fanno i giovani artisti? Soprattutto chi sono i giovani artisti? Qual è la loro identità? I giovani artisti italiani sono diversi da quelli svizzeri o francesi o indiani? Il Museo d’arte moderna di Bologna, da sempre attento alle ultime espressioni estetiche, dedica una mostra per interrogarsi, e interrogarci, su tali questioni. Il titolo è That’s IT! Sull’ultima generazione di artisti in Italia e a un metro e ottanta dal confine. Dove IT è il codice europeo per identificare l’Italia e il sottotitolo richiama alcuni versi di Bruno Munari di Arte e confini del 1971 tratti da Codice ovvio: «In Italia l’arte ha da essere italiana / in Polonia polacca / in Turchia turca e se un turco va a dipingere in Polonia / che arte ha da fare? e se la Polonia occupa la Turchia? In Italia arte italiana e a un metro di distanza dal confine francese? / in Italia arte italiana / in Sicilia arte siciliana / in Piemonte piemontese / a Milano milanese / e in Corso Garibaldi 89? / in Italia l’arte ha da essere arte / in Polonia arte / l’etichetta verrà dopo». È vero, fino a qualche decennio fa si studiava la storia dell’arte come storia delle nazioni. C’erano l’arte greca, quella egizia, quella francese, quella indiana. Poi nei decenni scorsi la visione si è allargata e le frontiere si sono rarefatte. Gli artisti si spostavano, si mescolavano e i linguaggi procedevano per osmosi e contaminazioni. Ultimamente – in Europa, negli Stati Uniti e non solo – la tendenza è opposta. Si riscoprono i nazionalismi e le frontiere tendono ad essere ripristinate. Difficile prevedere cosa succederà. Michele D’Aurizio, caporedattore di «Flash Art», nel catalogo della mostra bolognese sostiene, riprendendo la teoria di Mario Tronti, che gli artisti sono estranei rispetto ai meccanismi sociali. Tronti riteneva che l’operaio fosse estraneo al proprio lavoro e che questa alienazione fosse la premessa per il rifiuto del lavoro e del capitalismo. Per D’Aurizio gli artisti hanno la stessa proiezione di estraneità, lo stesso rifiuto della realtà, e il programma di una nuova organizzazione risiede non nei contenuti ma nel linguaggio dell’opera. Perché «agli artisti è negato il solo ruolo che spetterebbe loro di diritto: quello di intellettuali pubblici». La funzione pubblica, e quindi politica, dell’artista non viene riconosciuta dai suoi interlocutori, i critici, i curatori, la società. Detto questo, Lorenzo Balbi, il curatore dell’esposizione – premesso che viviamo in una società fluida e in un mondo globalizzato – tenta di ridefi-
nire i concetti di nazione e di confine. Gli artisti dell’esposizione sono stati scelti fra quelli che sono nati in Italia e che lavorano in Italia; che sono nati in Italia e che lavorano all’estero; che sono nati in Italia e che lavorano sia in Italia sia all’estero; che sono nati all’estero e che lavorano in Italia; che sono nati all’estero e che lavorano all’estero ma hanno studiato in Italia. Tutti sono nati dopo il 1980. La sua mostra, scrive in catalogo, è tutta raccolta nella prima sala dove vengono «illustrate al pubblico le biografie degli artisti, accompagnate da pubblicazioni, articoli e testi in consultazione». Ai 56 artisti coinvolti è stata data la possibilità – attraverso un dialogo comune – di scegliere l’opera da esporre o di crearne una nuova. Il risultato è frutto dell’intreccio fra arte del passato prossimo e l’utilizzazione dei nuovi media, che i giovani oggi hanno imparato ad usare come una volta si apprendeva il disegno. Un magma indistinto nel quale sono presenti installazioni, video, interventi sonori, fotografie, sculture, pitture, performance… Andrea Villani, direttore del Museo MADRE di Napoli, scrive che nella generazione nata dopo il 1980 «nel discrimine fra utopia e distopia, illusione e disillusione, lotta e compromesso, Autonomia ed Eterotopia, nessuna sicurezza o determinazione, forse, sono all’orizzonte, ma rimane l’esperienza… di un’incontrovertibile complessità e potenziale autonomia e di come (continuare a) raccontarla». Fra le diverse opere esposte ne segnaliamo alcune. A Celebration Day di Matilde Cassani del 2014. Cassani è interessata al pluralismo religioso e qui racconta ciò che accade a Novellara, un paese della Pianura Padana, durante la festa religiosa Sikh del Vaisakhi. Accorrono migliaia di fedeli che segnalano la complessa stratificazione delle comunità religiose in un paese tipicamente cattolico. A Celebration Day è una foto lenticolare della piazza principale del paese che, a seconda di dove la si guarda, è ora vuota ora piena di persone. Caterina Morigi presenta 1/1 del 2018. L’intenzione della Morigi è quella di focalizzare lo sguardo sul lavoro della tecnica di marmorizzazione, ovvero della riproduzione delle forme e delle trame del marmo. Il risultato è una grande lastra di ceramica sulla quale è stampato un arabesco statuario: un vero e proprio trompe-l’oeil fotografico. Michele Sibiloni presenta Fuck it del 2016. L’artista documenta le notti di Kampala in Uganda. Queste «avventure notturne» fotografate da vicino e
Michele Sibiloni, Fuck it, Edition Patrick Frey, 2016.
dall’interno sono il resoconto del divertimento e dello sballo nei bar, nelle strade, nei club della città. Diego Tonus realizza A Moment of Darkness del 2018. Si tratta di una scultura in cemento e alluminio raffigurante un falsario seduto e in grandezza naturale. Il ritratto anonimo cela una password per l’accesso a un Bitcoin creato insieme al contraffattore. Questi nuovi «Millennials», giovani nati dopo il 1980 in un periodo di depressione economica, sono sicuramente diversi dai cosiddetti «Boomers»,
quelli cresciuti prima di loro in una fase di sviluppo economico e di rifiuto dei valori tradizionali, e i lavori lo certificano. Anche se l’uso di internet e dei nuovi media non ha portato a una rivoluzione del linguaggio e del comportamento ma solo a una nuova modalità di interrogarsi sull’oggi e sul passato. Alla fine il risultato è quello di trovarsi davanti a lavori non particolarmente innovativi ma probabilmente interlocutòri. Curioso il catalogo, diviso in tre parti separate. La prima e l’ultima con testi istituzionali, interviste, appunti e considerazioni varie in italia-
no e in inglese. Nel mezzo un portfolio, stampato su pagine singole e divisibili, con i lavori degli artisti – e creato da loro con opere ad hoc – che può essere ricomposto a proprio piacimento. Dove e quando
That’s IT! Sull’ultima generazione di artisti in Italia e a un metro e ottanta dal confine. A cura di Lorenzo Balbi. Bologna, MAMbo Museo d’arte moderna di Bologna. Fino all’11 novembre. Catalogo edizioni MAMbo 25€. www.mambo-bologna.org
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Cultura e Spettacoli
L’urgenza di una riscoperta Fotografia La mostra dedicata al fotografo svizzero Balthasar Burkhard – per molti ancora sconosciuto
nonostante l’indiscusso talento – fa tappa anche in Ticino Gian Franco Ragno Autore purtroppo meno conosciuto di quanto meriterebbe, specialmente a sud delle Alpi, Balthasar Burkhard (1944-2010) è stato senza dubbio, negli ultimi tre decenni, una delle più importanti voci svizzere della fotografia contemporanea sulla scena internazionale. È apparso quindi, da più parti, un obbligo, se non quasi un’urgenza – a otto anni dalla scomparsa – quello di organizzare una grande e completa retrospettiva itinerante che ha coinvolto, e già toccato, oltre il MASI anche altri due enti: il Museum Folkwang di Essen, specializzato in fotografia, e le due istituzioni di Winterthur, Fotostiftung Schweiz e Fotomuseum. Come è avvenuto per le altre sedi, anche per questa ultima tappa ticinese l’esposizione è stata allestita in modo individuale, in questo caso la curatela è stata affidata a Guido Comis e Diego Stephani.
Dopo una fase iniziale, tra gli Anni Sessanta e Settanta la fotografia di Burkhard si fa vieppiù autoriale Pur in un contesto non metropolitano, a Berna come apprendista del grande Kurt Blum, gli inizi del giovane Burkhard non potrebbero essere più fortunati e ricchi di suggestioni: egli può documentare una scena artistica d’avanguardia che si affaccia alla Kunsthalle della capitale, al tempo sotto la direzione del giovane curatore Harald Szeemann, il quale diventerà suo amico e punto di riferimento. Quest’ultimo crea episodi espositivi che hanno fatto la storia dell’arte con-
temporanea, come ad esempio When Attitude Becomes Form (1969) e poco dopo, a Kassel, la Documenta 5 (1972). Siamo nel pieno clima delle neoavanguardie quando, come cita nel titolo l’esposizione ricordata, non solo l’oggetto artistico è arte ma lo sono anche il progetto, l’idea, la performance, l’azione fisica, l’installazione e l’uso dei materiali più eterogenei. In un clima di forte conflitto nei confronti della cultura ufficiale, il richiamo è appunto ai dadaisti e surrealisti di inizio secolo. Partendo da Carl Andre a Gilberto Zorio, passando per Richard Long a Joseph Beuys, Burkhard è testimone privilegiato di una rivoluzione creativa, e riesce così a documentare con il mezzo fotografico un’arte dall’esistenza spesso effimera e immateriale. A cavallo degli anni SessantaSettanta, terminata questa prima e importante fase di cronista, per Burkhard si apre una stagione dal carattere autoriale, ardua da riassumere in poche righe. Segnaliamo e ricordiamo – presenti anche in esposizione – le sue collaborazioni con altri artisti, primo fra tutti Markus Raetz, con il quale condivide il tema delle illusioni, così come le immagini di studi d’artista e stanze su grandi tele morbide – in cui, in una sorta di cortocircuito percettivo, rappresentazione e supporto si confondono. Più tardi, nei primi anni Ottanta, espone anche con Niele Toroni – accostando ai tocchi di pennello astratto-concettuali del ticinese serie di gigantografie di parti del corpo. Nelle sale del LAC viene anche riprodotto l’allestimento delle sale del Museo Rath di Ginevra del 1984. Altre ricerche più recenti di Burkhard coinvolgono, in una bellezza astratta, foto aeree di forte impatto visivo, dove alle grandi metropoli mondiali (Città del Messico, Tokyo…), simbolo dell’alta concentra-
Balthasar Burkhard Kamel, 1997 Tre elementi. (Collezione privata © Estate Balthasar Burkhard, 2018)
zione dell’attività dell’uomo, fanno da contraltare le forze più primitive della natura (rocce, terra, onde, ghiacciai, foreste). Quasi una riproposta dei cataloghi positivisti dell’Ottocento, inoltre, la fortunata serie di ritratti di animali fotografati davanti a un fondale: un bestiario che sembra sottolineare la precarietà di alcune specie. In tutti questi progetti a risultare assolutamente inedita è proprio tale monumentalità, nonché una marcata
sperimentazione a livello di stampa – con riconoscibili effetti sfumato, dalla sensazione quasi tattile – aspetto che resterà un marchio di fabbrica inconfondibile del fotografo svizzero. Dopo la mostra di Craig Horsfield nel 2017 un altro importante episodio della fotografia contemporanea è arrivato nelle grandi sale del LAC: uno spazio capace di accogliere quello che fino a qualche anno fa sembrava impossibile poter vedere alle nostre la-
titudini, inserendosi al contempo in un circuito espositivo internazionale, grazie alle collaborazioni messe in campo negli ultimi anni. Dove e quando
Balthasar Burkhard. Dal documento alla fotografia monumentale. Lugano, MASI, sede del LAC. Orari: ma-do 10.00-18.00; giovedì 10.00-20.00. Fino al 30 settembre 2018.
Un figlio della Grande Mela, con l’Italia nel cuore Incontri A colloquio con l’attore Michael Imperioli, autore di un libro in cui omaggia la delicata età
dell’adolescenza e l’adorato e compianto Lou Reed Blanche Greco «I film italiani erano il nostro paradiso privato, e il nostro gioco preferito, grazie a un canale della TV che negli anni 80 in America, trasmetteva cinema italiano, e mio nonno e io ci restavamo “appiccicati” per interi pomeriggi. Per mio nonno, originario del Lazio, era come avere notizie da casa, per me fu un modo per scoprire dei “parenti” incredibili. La strada; Mimì metallurgico; Pasqualino Settebellezze; La Dolce Vita, sono solo alcuni dei titoli che imparai ad amare all’epoca», ci ha raccontato Michael Imperioli, giovane cinquantenne dall’aria timida e il sorriso negli occhi, anche se come attore ha ostentato spesso modi spicci, sguardo sicuro e
ragionamenti pericolosi in film come: Quei bravi ragazzi, famoso gangster movie di Martin Scorsese; come pure nella lunga saga televisiva de I Soprano, dove era un mafioso impulsivo e narcisista, Cristopher Moltisanti, personaggio che gli valse una vasta popolarità, un Emmy come miglior attore non protagonista e un buon inizio come sceneggiatore. Noi lo abbiamo incontrato in veste di scrittore, a Roma, in occasione del Festival delle Letterature, dove ha presentato: Il profumo bruciò i suoi occhi, il suo primo libro. Un titolo criptico? Non tanto se si è anche un musicista e, da sempre, un fan di Lou Reed del quale ha preso un verso dalla famosa: Romeo had Juliet, dall’album New York
Michael Imperioli è diventato celebre anche grazie ai Soprano. (Marka)
del 1989, dove Manhattan appare come un miscuglio oscuro di bellezza e di umanità diverse, dove giorno e notte si sfiorano: gioventù, sopraffazione, amore e violenza. E Imperioli non prende solo in prestito un verso della ballata, ma mette Lou Reed al centro del suo romanzo, accanto al suo protagonista: il sedicenne Matthew, «cucciolo» che ha appena perso il padre e i luoghi della propria infanzia nel Queens, vecchio placido quartiere lontano come la luna da Manhattan, che invece è la sua nuova casa, dove si dibatte tra crisi adolescenziali e problemi familiari. «Tutto è cominciato con i sedici anni di mio figlio: di colpo non riuscivo più a parlargli, sembrava che lui non mi capisse, e io stesso mi sentivo pesare addosso quella sensazione di estraneità che gli leggevo negli occhi come una condanna. Pensai a me stesso alla sua età, e sperai che i miei ricordi mi aiutassero a ritrovare la chiave del nostro rapporto, così cominciai a scrivere. Ma non volevo fare un’autobiografia, perciò Matty mi assomiglia, ma solo in parte», puntualizza Michael Imperioli che dal padre, autista di autobus italoamericano, attore dilettante di una filodrammatica, prese la passione per la recitazione. «Inoltre volevo raccontare “la grande mela” degli anni 70, quella New York che oggi sembra quasi un altro pianeta, e che nel 1983, l’anno in cui andai a viverci, stava già cambiando.
Avevo diciassette anni e per me era tutto nuovo di zecca». Quei palazzi grandi, vicini, pieni di finestre, che sembrano altrettanti occhi aperti sulla vita altrui e caratterizzano Manhattan, per Matthew sono come una scossa di pura energia irrorata di luce e di neon; con un «rumore» perenne, una sorta di colonna sonora della vita, dove si mescolano il suono del traffico, quello che proviene dalle case, le sirene della polizia, le autoambulanze, gli elicotteri, e la folla che scorre sui marciapiedi. Nuovi personaggi entrano nella vita del ragazzo: dal portiere del palazzo, elegante ma simpatico, al riservato musicista, di nero vestito, basso e smilzo, giacca di pelle e croce di ferro tatuata sulla nuca tra i corti capelli biondicci che abita sotto di lui; fino a Veronica, ragazzina bellissima e misteriosa, che lo «strega» sin dall’inizio. «Avevo appena cominciato a scrivere quando Lou Reed morì. Ero un suo fan da sempre e un suo buon amico da vent’anni, e volevo ricordare il suo talento e la sensibilità che aveva portato nel rock. Sapevo che nel 1976, in un periodo particolarmente turbolento della sua vita, aveva vissuto in un palazzo elegante dell’Upper East Side assieme alla sua compagna transgender, ossessionato dalla sua musica, e “distratto” dalla droga. Anche se non era ancora una famosa rockstar, non era certo quello il quartiere “adatto” a un artista,
ma lì avrebbe potuto incontrare Matthew: che tipo di vicino sarebbe stato per lui? Forse un amico, o persino un mentore?». Il rapporto tra Matthew e il suo artistico e bislacco vicino di casa, è cruciale per il ragazzo, che soprattutto grazie a Lou e a Veronica, dopo essere passato dallo spavento, allo stupore e alla curiosità, inizia ad accettare la sua nuova vita e scopre di avere abbastanza fiducia in se stesso per uscire dal suo «guscio» e mettersi in gioco. Le avventure e gli incontri di Matthew hanno l’immediatezza di un racconto cinematografico, vivace e incalzante, intessuto di temerarietà e d’inquietudine, tanto che Il profumo bruciò i suoi occhi, sembra più un film che un romanzo di formazione. La zampa di coniglio blu, la gentilezza e le poesie piene di sentimento e di strazio di Lou, non riusciranno a proteggere Matty dalle crudeltà dell’esistenza, ma solo a renderlo consapevole che c’è sempre una scelta, un modo diverso per leggere ogni situazione. «Niente di ciò che ho scritto è realmente accaduto e non sono sicuro che sia questo il romanzo che avevo in mente all’inizio», ci ha confessato Michael Imperioli, «ma Laurie Anderson vi ha riconosciuto il suo Lou, e i miei figli si sono ritrovati, come me, nella vulnerabilità e nella voglia di vivere di Matthew».
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Cultura e Spettacoli
Lo scialle di mamma e gli abiti di Emma
Pubblicazioni L’importanza degli oggetti nella vita e nelle opere di Flaubert
Giovanni Fattorini 9 dicembre 1876. Il quasi cinquantacinquenne Gustave Flaubert scrive alla nipote Caroline Commanville: «Che ne hai fatto dello scialle e del cappello da giardino della mia povera mamma? Li ho cercati nel cassetto del comò e non li ho trovati; amo di tanto in tanto rivedere questi oggetti e sognarci sopra. In me, nulla si cancella». A questa citazione – che incontriamo alle pagine 46 e 130 del saggio Gli oggetti di Flaubert – Giampiero Marzi avrebbe potuto aggiungere che il 15 dicembre, non avendo ottenuto risposta, Flaubert scrisse di nuovo alla nipote: «Che ne è stato o dove hai messo lo scialle e il cappello da giardino della mia povera mamma? Mi piace vederli e toccarli di tanto in tanto.
Per il Flaubert del filone realista gli oggetti possono svolgere funzioni diverse e avere più significati Non ho sufficienti piaceri al mondo per vietarmi questo!» Se poi ricordiamo che lo scrittore, a volte, faceva indossare alla governante un vecchio abito della madre morta, e che «sette anni dopo il funerale», come annota Julian Barnes nel suo avvincente Il pappagallo di Flaubert, «scoppiava in lacrime alla vista di quel decrepito vestito che continuava ad aggirarsi per la casa», come dubitare (tenuto conto anche di altri ragguagli riguardanti non solo la madre defunta) che nell’autore di Madame Bovary ci fossero dei tratti feti-
cistici? E come non pensare a Charles Bovary, che dopo la morte di Emma si chiude frequentemente nello spogliatoio per contemplarne gli abiti? Nelle opere flaubertiane del filone realista, scrive Marzi, «l’oggetto, che è pura materia, può essere elevato a simbolo, diventare feticcio, arricchirsi di una carica spirituale che ne può persino mutare l’originaria funzione, fino al diventare uno strumento dell’irrazionale». Un processo di feticizzazione lo subisce, ad esempio, il portasigari «bordato di seta verde, con uno stemma nel mezzo», che Charles Bovary raccoglie da terra durante il viaggio dalla Vaubyessard a Tostes, di ritorno dal ballo nel castello del marchese d’Andervilliers. Emma se ne appropria, lo nasconde in un armadio, e ogni tanto lo estrae da sotto la biancheria per aspirare l’odore della fodera, misto di tabacco e di verbena, immaginando che l’oggetto appartenga al visconte che l’ha invitata a ballare. Oltre ad essere dei suscitatori di ricordi o dei surrogati di un essere vivente, nelle opere flaubertiane del filone realista gli oggetti possono svolgere diverse funzioni e avere più significati. I capi d’abbigliamento, ad esempio, ci dicono in varia misura i gusti personali, il temperamento, il milieu di appartenenza, le aspirazioni sociali, le possibilità economiche (reali o apparenti) di chi li indossa. E ci dicono molto della moda del tempo, a cui Flaubert era particolarmente attento. Per questo Marzi parla di «polisemia dell’oggetto flaubertiano». Esemplare e memorabile è un oggetto che compare nelle pagine iniziali di Madame Bovary: il berretto del giovanissimo Charles, un copricapo «d’ordine composito», descritto con
Gustave Flaubert (1821-1880) in un’immagine del 1870. (Keystone)
una precisione che sembra anticipare l’école du regard. (Sia Madame Bovary che L’éducation sentimentale abbondano di cappelli e copricapo). Anche gli oggetti presenti nelle stanze di una casa possono dirci molto dei personaggi che le abitano. Se, come scrive Marzi, il locale in cui Charles
Bovary accumula e conserva gli oggetti fuori uso è solo un «cimitero delle cose», e se «il curioso museo che i due copisti (Bouvard e Pécuchet) allestiscono nella loro casa di campagna» è una collezione di oggetti eterocliti che documentano un’avventura conoscitiva che volge spesso in farsa, la camera
dell’umile protagonista di Un coeur simple – «un luogo» come scrive Flaubert «che aveva l’aria di una cappella e di un bazar, tanti erano gli oggetti religiosi e le cose disparate che conteneva» – è invece «un museo personale di ricordi». (Più in generale, Marzi rimarca che l’importanza assunta dagli oggetti nel romanzo realista di Flaubert è conseguenza del crescente sviluppo dell’industria manifatturiera. La narrativa flaubertiana è specchio della modernità). Ma per tornare all’oggetto che può «arricchirsi di una carica spirituale […] fino a diventare uno strumento dell’irrazionale», l’esempio più dimostrativo è il pappagallo Loulou, l’animale d’affezione della domestica di Mme. Aubain, Félicité, il «cuore semplice» del racconto (che non mi stanco di rileggere) con cui Flaubert voleva – sono parole sue – «impietosire, far piangere le anime sensibili, essendo io stesso una di loro». Quando Loulou muore, Félicité lo fa impagliare (lo «oggettualizza», come dice Marzi), e col passare del tempo lo va sempre più confondendo con l’immagine dello Spirito Santo. Flaubert non ci dice che fine ha fatto, dopo la morte di Félicité, il decrepito e inverminito pappagallo. Quando me lo chiedo, il pensiero corre immediatamente a un altro animale, il polveroso e tarlato Bendicò, che nella pagina finale del Gattopardo viene gettato da una finestra di villa Salina in un angolo del cortile sottostante, dove trova pace «in un mucchietto di polvere livida». Bibliografia
Giampiero Marzi, Gli oggetti di Flaubert, Empirìa, pp. 133, € 15.
L’eredità del nomade
Poesia L’orma editore dedica un’ampia antologia al poeta Franco Beltrametti Daniele Bernardi A dispetto dell’amata «leggerezza», c’è anche qualcosa di inquieto nell’opera di Franco Beltrametti (Locarno, 1937 – Riva San Vitale, 1995). Oggi, una figura di poeta e artista come la sua è rara a trovarsi: posseduto da una frenesia che lo ha condotto, sempre, a spostarsi senza requie, Beltrametti sembra non aver mai separato l’arte dalla vita, il proprio fare da un’avventura umana che, presto, lo portò a equiparare spirito e creatività. Soprattutto c’è, in Beltrametti, un modo di vivere la cultura senza limitarsi a pensarla; e tale vivere, all’opposto di
quanto avviene oggi, è volutamente clandestino, non utile al potere. È a partire da tali premesse che l’opera di questo beat elvetico appare come il riflesso di una più grande esperienza – quella esistenziale. La natura residuale di versi, scritti e collages che sembrano appunti, schizzi, fragili rifugi accroccati con poche ramaglie ai bordi di un baratro, è quella del truciolo sfuggito al tornio dell’artefice: il grande progetto, il «progetto infinito» – per usare un’espressione di Antonio Porta – per Beltrametti non appartiene al libro con la elle maiuscola, ma al vasto territorio dell’agire umano, alla sua precarietà.
Franco Beltrametti in un’immagine risalente agli Anni Settanta.
In questo senso, quasi andasse a comporre un immenso mandala, Beltrametti era, almeno in parte, incurante nei confronti della dispersione e della deperibilità del proprio lavoro – un lavoro che, appunto, tendeva a dislocarsi (importanti i molti spostamenti tra Europa, Asia e Stati Uniti), a diramarsi in plurime direzioni: pubblicazioni in riviste underground, edizioni a tiratura limitata, performances, esposizioni, lettere ad amici e a compagni di viaggio. Sarà forse per questo che a lungo si è dovuto attendere prima che, nel 2014, un’importante casa editrice, quale la Limmat di Zurigo, consegnasse ai lettori una pubblicazione antologica dedicata al suo singolare percorso; Zweiter Traum / Secondo sogno, questo il titolo del volume a cura di Roger Perret, è, tuttora, un importante riferimento per chi volesse conoscere l’opera beltramettiana. A quel primo tassello si aggiunge, adesso, il notevole lavoro proposto da L’orma editore con Il viaggio continua. Opere scelte, a cura di Anna Ruchat. Credo che in un universo convulso e, sovente, esasperatamente sovraffollato come quello dell’odierna editoria l’operazione della Ruchat sia, davvero, un evento notevole: finalmente il lettore di lingua italiana ha modo di abbracciare, con un solo sguardo, il vivace percorso di uno scrittore originale, le cui singolarità rifuggono ogni riduttiva definizione. Con le sue oltre cinquecento pa-
gine, Il viaggio continua è una sorta di baule da prestigiatore nel quale, come per incanto, sprofondano scale a chiocciola, si aprono botole e sportelli magici. L’intento – riuscitissimo – è quello di offrire una scelta sufficientemente significativa di opere che renda giustizia al poliedrico agire dell’autore. Si comincia, quindi, con la prima silloge, pubblicata da Adriano Spatola presso le Edizioni Geiger a Torino nel lontano 1970, Uno di quella gente condor, per approdare, infine, alla bellissima Recent Work, raccolta uscita postuma nel 1996. Tra questi estremi proliferano mille altre iniziative, e alcune, oltre a essere oggi poco conosciute e di difficile reperibilità, sono sorprendenti per bellezza e forza. Mi riferisco, in particolare, alle prose di Nadamas (1971) e al notevole mini-romanzo sperimentale Quarantuno (1977); alle poesie che compongono le sillogi Un altro terremoto (1971) e E allora (1982); agli aforismi raccolti in Perché A (1995). Se la scrittura di Beltrametti, come accennato precedentemente, ha qualcosa di volutamente effimero – come se il caso (che il poeta definiva un «angelo trasversale» capace di affrancare l’uomo dalla schiavitù della vita prestabilita) ne governasse l’andamento – va pure detto che essa, in virtù della sua natura «gestuale», possiede al contempo una concretezza che sembra tendere alla densità del puro segno. Molti gli esempi in questo senso; si vedano composizioni quali Sonettoh
ah Amsterdam («ah ah ah ah ah ah ah ah ah ah ah / oh oh oh oh oh oh oh oh oh oh oh» etc.) o i telegrafici versi «à / la / recherche / du / fil / invi / sible». Ma al di là della sua fisionomia visiva – non va dimenticato che Beltrametti era, di formazione, architetto – questa poesia sembra sempre attraversata, anche, dalla forza vitale che l’ha generata; come se la parola, qui, fosse il frammento di uno specchio rotto da un sasso – un frammento che racconta, appunto, l’istante dell’impatto: «Un ramo di pino / soffiato in giù – / il maestro Fo Yin e Su Tung P’o / scrissero il lamento // del-ramo-di-pino-caduto. // Alle 2 di notte, / North Chorro Street / il vetro / della finestra in cucina / è andato in mille pezzi. / Entra più aria e più vento». È, questa, un’opera permeata, oltre che da infinite peregrinazioni, dai molti incontri che ne costellarono l’itinerario; fra i nomi, oggi leggendari, che affollano l’antologia – Burroughs e Ginsberg in primis – troviamo quelli degli esponenti della neoavanguardia italiana, affiancati da altri importanti amici-collaboratori così come da alcune figure di rilievo nel panorama culturale elvetico. Si tratta, quindi, di un libro che possiede anche il raro dono di far rivivere, ai nostri occhi, un mondo ora perduto: quello di una generazione di irregolari, «festosi dissipatori della propria vita e del proprio talento» di cui Franco Beltrametti, come scrisse Dario Villa, era uno degli ultimi, eroici esponenti.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 agosto 2018 • N. 34
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Cultura e Spettacoli Pipilotti Rist, Show a Leg (Raus aus den Federn), 2001, Collezione Migros Museum für Gegenwartskunst.
Un concentrato di idee per il territorio Percento culturale di Migros Ticino È stato
definito il cartellone delle manifestazioni sostenute per il periodo 2018-2019
Più bellezza nell’arte Incontri Irriverente, spregiudicata e perfino scandalosa:
Pipilotti Rist, l’artista più eccentrica della Svizzera, in mostra dal 25 agosto al Migros Museum für Gegenwartskunst Pierre Wuthrich* Pipilotti Rist, in una Svizzera in cui si tende sempre ad adattarsi, lei passa per quella disadattata...
A volte incontro delle persone di fronte alle quali io sono la più normale del mondo. Ma in determinati contesti ci vuole veramente poco per venire etichettati come «disadattata».
Crede di essersi guadagnata questa etichetta?
Preferirei essere più disadattata di quanto non sia in realtà. Ma è una questione di forza e di tempo, perché è necessario sapersi difendere per non sentirsi isolati. E trovare costantemente delle idee per vivere meglio e in modo diverso una determinata situazione richiede molta energia. Per questo è più comodo adattarsi. Quando si dice che la sua arte è come un trip da stupefacenti, significa che non si è capita la sua arte, oppure è una definizione con cui lei riesce a convivere?
Devo farle a mia volta una domanda: di quali stupefacenti stiamo parlando?
Il suo film Pepperminta aveva il sapore dell’LSD per tutti quelli che non la prenderebbero mai per paura delle conseguenze e dei colori.
In questo senso definire la mia arte come un trip è un complimento. Anche perché le droghe portano alla luce solamente ciò che è già presente. Nella mia arte ci sono spesso in gioco dei mondi interiori. E se la mia arte riesce a tirarli fuori, credo che sia una cosa buona. In fondo il lavoro dell’artista è quello di materializzare le fantasie degli esseri umani. Ma la sensazione di euforia può nascere anche attraverso una conversazione divertente, o nel dormiveglia, quando la realtà e il subconscio si mescolano. Le esperienze legate alla droga possono essere provocate anche senza ricorrere alle droghe. Desidera veicolare un messaggio più importante attraverso la sua arte?
Sì, desidero investire la mia forza e il mio tempo in minor misura in ciò che è negativo, concentrandomi piuttosto a mettere in luce gli aspetti positivi. Le cose tristi si trovano comunque ovunque. La fuga in avanti, verso visioni positive ed energetiche, è il frutto di una decisione consapevole. Legata comunque al rischio di essere puniti. Perché?
Se nell’arte ci si concentra sulle cose negative, si appare più profondi e interessanti. Le opere d’arte positive invece, capaci di coinvolgere molta gente a livello emotivo, rischiano di venire etichettate come meno intellettuali. Anche il rapporto con la bellezza nell’arte diventa più difficile: si sostiene infatti che la bellezza sia corrotta e che l’arte debba distanziarsi dagli aspetti più commerciali. Non sono sempre d’accordo con questa posizione, non possiamo lasciare che della bellezza si occupi unicamente
la pubblicità. Credo che la bellezza e l’armonia debbano essere presenti anche nell’arte per rilassare il cervello in modo attivo e permetterci di stimolarlo al punto da farlo vibrare. Lei scatta dei selfie?
No, in realtà solo raramente. A volte faccio uno screenshot quando sono su Skype, così da avere un ricordo per entrambe le parti.
Su Instagram ci sono 37’000 rimandi a «Pipilotti Rist». Lei è una star dei social pur senza postare nulla!
Due settimane or sono ho incontrato l’architetto d’interni India Mahdavi, di cui sono un’ammiratrice: lei, che è un’utente di Instagram molto attiva, mi ha detto che è grandioso avere un così alto numero di citazioni, poiché sono ancora più importanti dei follower. Sebbene io non possegga un profilo Instagram, ovviamente tutto questo mi fa piacere. In fondo le persone fanno un lavoro: fotografano la mia arte, caricano la foto, vi mettono una didascalia. E così la sua arte si moltiplica. Coinvolgendo anche i giovani che forse non visiterebbero una sua mostra.
Sì, Internet e gli hashtag sono dei ponti democratici ai quali hanno accesso tutti. I visitatori del museo grazie ai loro post fanno una sorta di moderna propaganda bocca a bocca. Allo stesso tempo sui social media ha luogo un’estrema follia autorappresentativa. Da una parte si desidera essere unici, ma alla fine il filtro fotografico porta all’opposto.
Questo non vale solo per il selfie, ma anche per strada. Il desiderio di non essere esclusi – anche da un punto di vista meramente ottico – rappresenta un profondo bisogno umano. Magari vogliamo essere un po’ più belli, ma prima di tutto non vogliamo uscire dagli schemi. Un tempo solo i ricchi potevano farsi ritrarre, e anche loro si facevano rappresentare in modo idealizzato. Oggi tutti possono farsi dei selfie, è diventato un processo più democratico. In questo modo le persone imparano anche a gestire la tecnica, diventiamo più emancipati nel rapporto con le immagini. Lei si avvale di molta tecnologia nella creazione delle sue opere. Quali sono i suoi criteri di scelta?
Io amo le macchine. Mi sono avvicinata a diverse tecnologie non appena sono state rese democraticamente accessibili. Ho iniziato con diapositive e Super8. Poi è arrivato il video, ma a quell’epoca non sapevo ancora che sarei diventata un’artista. Guardo al mio lavoro realizzato con tecnologie diverse come a un servizio sperimentale. In questo modo offro dei palcoscenici a esseri umani e spettatori, che diventano l’epicentro. Cerco anche di liberare il video dallo schermo quadrato. Per me il video non è una finestra a una sola faccia, quanto piuttosto una luce magica della quale ci ritorna qualcosa.
Pipilotti Rist, lei cura un archivio con tutte le sue produzioni. Cosa succederebbe se tra 50 anni non ci fosse più la tecnologia necessaria per vederle?
Questo problema non riguarda solamente me, ma tutta la società: come gestiamo i nostri dati? Si dovrebbe salvare in modo selettivo, riflettere a fondo su ciò che si vuole conservare e su quello che invece si vorrebbe cancellare. Ovviamente nessuno ha il tempo per farlo. Ma non ho paura, anche un quadro a olio dopo quattrocento anni non è più quello delle origini. Nella sua arte non appaiono solamente dei corpi, ma spesso anche il tema della sessualità.
Mi occupo direttamente di sessualità solo in Pickelporno. Parlerei piuttosto di fisicità, che per me non corrisponde necessariamente alla sessualità. Pickelporno risale a qualche anno fa. Oggi che lo vediamo ovunque, il corpo per lei è diventato meno interessante?
Pickelporno è nato dal dibattito femminista di allora: molte donne trovavano schifoso il genere porno. Io però mi sono chiesta come dovrebbe essere un film erotico affinché possa piacere anche a me come donna. Lei paragona la sua arte a una borsetta. Se fosse un uomo la paragonerebbe a un coltellino tascabile?
Sì, credo che la mia arte sarebbe valutata diversamente, ma questo non vale solamente per il mondo dell’arte. Credo che ci vogliano ancora due o tre generazioni per un cambiamento, ma sono fiduciosa. È femministicamente ottimista?
Sì, oggi preferisco applicare il femminismo a livello pratico più che teorico. E i suoi prossimi progetti?
Sto lavorando a un progetto di Augmented Reality. E vorrei che l’arte abbandonasse il contesto, ossia il museo. Per questo lavoro a un progetto con il WWF, che lancerà una campagna sulla morìa globale dei coralli. Cosa auspica per l’arte futura?
Vorrei che arte e quotidianità si mescolassero. E spero che le offerte e le istituzioni culturali diventino ancora più diffuse e accessibili a tutti. Apprezzo molto il fatto che attraverso il Percento cultuale la Migros si impegni a favore dell’arte contemporanea. Maurizio Nannucci ha detto: «Tutta l’arte una volta è stata contemporanea». * L’intervista integrale si trova su www. azione.ch. (Traduzione: Simona Sala) Dove e quando
Pipilotti Rist. Show a Leg (Raus aus den Federn). Zurigo, Migros Museum für Gegenwartskunst (Limmatstrasse 270). Dal 25 agosto all’11 novembre 2018. www.migrosmuseum.ch
Allegato a questo numero di «Azione» i nostri lettori troveranno il prospetto con il programma dell’annata di manifestazioni sostenute da Migros Ticino. Un calendario che, dal settembre 2018 al giugno 2019, propone oltre 110 appuntamenti, suddivisi in sei aree tematiche specifiche: Musica; Teatro; Spettacoli per bambini e ragazzi; Cinema e arti visive; Letteratura scienza e società; Danza. Coordinato per il secondo anno da Luca Corti, il programma si attiene alle strategie ormai consolidate da tempo. Cerca quindi di sostenere progetti di animazione culturale su tutto il territorio cantonale, in modo da dare la possibilità a operatori di ogni regione di fare arrivare le loro proposte al pubblico. Come si sa, per ciò che riguarda la programmazione di eventi culturali, le aree urbane rischiano spesso di essere privilegiate a scapito delle zone periferiche, dove è spesso più difficile trovare le risorse economiche per concretizzare proposte di animazione e intrattenimento. Nel programma del Percento culturale di Migros Ticino quest’anno invece troveranno spazio varie manifestazioni programmate in piccoli nuclei di paese: tra gli altri, ad esempio, a Muzzano, con il piccolo festival Facciamo la corte; a Carona, dove si terrà la Rassegna Caronantica; o ancora a Santa Maria in Calanca, che ospiterà la prima edizione di Calanca Exhibit, in programma dal 19 maggio al 31 ottobre 2019: va ricordato in questo contesto anche il Festival Artisti di Strada che si terrà ad Ascona dal 7 al 10 giugno. Un altro criterio nell’allestimento del programma è quello di garantire un’equilibrata varietà nelle discipline sostenute, in modo che possano beneficiare dell’aiuto forme d’arte e di comunicazione il più disparate possibile. Per questo motivo sono comprese nell’ampio palinsesto sia concerti di musica antica (da notare il ritorno della manifestazione Cantar di Pietre, dal 1. settembre al 21 ottobre 2018) sia quelli di musica moderna (tra cui la prima europea del concerto di Andreas Schaerer e della sua band al San Materno di Ascona, il 9 marzo 2019). Allo stesso modo sono previsti spettacoli teatrali classici (Il Misantropo, ovvero nevrotico in amore di Molière, al Lac il 20 e 21 novembre 2018) e moderni (tra cui il 27mo Festival Internazionale del Teatro e della scena contemporanea, dal 26 settembre al 7 ottobre 2018 a Manno). Oltre a musica e teatro sono molte le manifestazioni legate alla scena artistica locale che comprendono, come ogni anno, le arti figurative (da segnalare, dal 13 aprile 2019 al 31 ottobre 2020 al Museo di Valmaggia di Cevio l’Esposizione delle opere degli artisti Gallay; oppure dal 14 ottobre 2018 al 27 gennaio 2019 alla Pinacoteca cantonale Giovanni Züst di Rancate la mostra Il Rinascimento
nelle terre ticinesi 2); la danza (tra gli altri il 1. febbraio 2019 al Cinema Teatro di Chiasso #Hashtag 2.0, della Pokemon Crew di Lione) e di letteratura (dal 24 al 28 ottobre 2018 al LAC di Lugano, il Festival letterario Piazzaparola). Occorre tenere conto, del resto, di un ulteriore criterio di scelta che vuole favorire la rotazione degli eventi nel corso degli anni, in modo da rendere più varia la programmazione e distribuire in modo più equo il sostegno del Percento culturale alla realtà artistica e culturale ticinese. Questo comporta ad esempio il riservare una particolare attenzione alle nuove tendenze che si manifestano nella scena giovanile, dove le nuove discipline e le nuove tecnologie hanno dato un fondamentale impulso per una sempre maggiore utilizzazione della multidisciplinarietà e multimedialità. Progetti interessanti, come ad esempio quello del Cavea Festival di Arzo (8 settembre 2018), o le giornate di studio I luoghi di cultura, creatività ed espressione del Ticino su OpenStreetMap dell’8-12 ottobre 2018 al Campus SUPSI di Trevano, o ancora il Progetto Vetrina dell’Associazione Grande Velocità di Chiasso (14 giugno 2019) sono solo alcuni dei possibili esempi in questi nuovi settori di espressione e di ricerca. Come ogni anno, dunque, la scelta di Migros Ticino è quella di privilegiare una ricca miscela di manifestazioni che possa soddisfare le aspettative e sollecitare l’interesse di una ampia fascia di popolazione. Proprio per questo come ogni anno sono presenti proposte specifiche, pensate per interessare singoli settori di pubblico: a cominciare dal teatro per l’infanzia, (come I Minispettacoli, previsti a Minusio, oppure il Museo in erba, Mostra interattiva per l’infanzia al Central Park di Lugano dall’ 8 settembre 2018 al 31 gennaio 2019, o ancora l’apprezzatissimo e ormai classico 36esimo Festival Internazionale delle Marionette di Lugano, in programma dal 13 ottobre al 4 novembre 2018). Ampio spazio è dedicato poi alla musica per i gruppi musicali emergenti (Palco ai Giovani, dal 7 al 9 febbraio e dal 16 al 18 maggio a Lugano), ai concerti per le famiglie (al LAC, il 12 maggio), mentre ampio sostegno viene fornito anche a manifestazioni legate alla musica all’aperto, come l’Open-air al Lagh, 8 e 9 giugno a Locarno (data da confermare), la 29esima edizione di Festate a Chiasso, il 14 e 15 giugno 2019 e Bellinzona Blues, a Bellinzona dal 21 al 23 giugno 2019. Nel prospetto allegato al nostro giornale trovate dunque la lista completa degli eventi sostenuti. Essi confermano, come ogni anno, la volontà e l’impegno di riaffermare concretamente gli obiettivi che l’importante istituzione persegue, all’interno del pionieristico e coraggioso progetto culturale promosso quasi sessant’anni fa da Gottlieb Duttweiler. / Red.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 agosto 2018 • N. 34
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Cultura e Spettacoli Rubriche
In fin della fiera di Bruno Gambarotta Quelli che... Nel gran parlare di lavoro attorno al cosiddetto «Decreto Dignità», vogliamo far sentire la nostra voce, con un omaggio al grande Beppe Viola. Quelli che di troppo lavoro non è mai morto nessuno. Quelli che il lavoro cura ogni malanno. Quelli che prima il dovere poi il piacere. Quelli che si ammalano quando vanno in vacanza. Quelli che dal primo giorno di ferie vanno nella casa di campagna dei nonni, indossano la tuta e tirano su un muro di cui nessuno sentiva il bisogno. Quelli che io alla tua età lavoravo già da venti anni e mantenevo la mia famiglia. Quelli che avrai tempo di riposarti quando andrai in pensione. Quelli che il padrone è sempre il padrone anche se si gioca al casinò la tua liquidazione. Quelli che tutte le scuse sono buone, anche un cancro, per darsi malati e non andare a lavorare. Quelli che beati gli statali che hanno il 27 assicurato. Quelli che beato te che le tasse te le tolgono alla fonte, pensa a quei poveretti di idraulici che
non dormono la notte per la paura che il fisco li scopra. Quelli che al giorno d’oggi un apprendista costa più di un operaio. Quelli che le fabbriche che inquinano sono tutte balle. Quelli che è l’interesse di tutti se il padrone guadagna. Quelli che sarà anche un pirla ma è sempre il figlio del padrone. Quelli che comincia prima a fare il tuo dovere poi caso mai potrai reclamare i tuoi diritti. Quelli che nella nostra azienda siamo tutti una famiglia. Quelli che il padrone lavora sempre, anche quando gioca a golf, perché mentre è lì può fare degli incontri utili. Quelli che per quanto riguarda il lavoro abbiamo tutto da imparare dai giapponesi. Quelli che se abbiamo lavorato sodo tutto l’anno il padrone avrà pure il diritto di andarsi a riposare alle Maldive. Quelli che se il tuo capo è tifoso del Milan cosa ti costa esserlo anche tu. Quelli che comandare non è facile come sembra. Quelli che i capi sono esseri umani, anche se qualche volta non sembra. Quelli che la
fabbrica non è un ente di beneficenza. Quelli che i miei colleghi di ufficio si approfittano di me perché sono troppo buono. Quelli che mio cognato fa il mio stesso lavoro, ha un decimo delle mie responsabilità e guadagna tre volte tanto. Quelli che prima di imparare a comandare bisogna imparare a ubbidire. Quelli che io e la mia signora ci siamo conosciuti a una gita aziendale e abbiamo deciso di sposarci perché in famiglia due stipendi sono meglio di uno. Quelli che al circolo aziendale si iscrivono al gruppo degli amici del cavallo. Quelli che al circolo aziendale, invidiosi di quelli bravi a cavalcare, fondano il gruppo degli amici della carne di cavallo. Quelli che vanno in giro nei reparti a raccogliere le offerte per regalare una penna stilografica col pennino d’oro al collega che va in pensione. Quelli che a mensa per fare uno scherzo al collega svitano il tappo del porta sale e poi si dimenticano di averlo fatto, così quando vogliono
aggiungere un pizzico di sale sul loro piatto ne rovesciano tutto il contenuto. Quelli che il mio padrone è così generoso che quando faccio tardi la sera mi dà il permesso di dormire in fabbrica così gli faccio anche da guardia notturna. Quelli che al giorno d’oggi è molto più difficile vendere che produrre. Quelli che sono trent’anni che mangio alla mensa aziendale e non ho mai avuto il bruciore di stomaco. Quelli che mettono in bacheca l’avviso: cambio scarponi da montagna numero 45 mai usati con tuta da sub. Quelli che tutti gli anni partecipano al concorso aziendale di fotografia con una diapositiva intitolata Tramonto sul Po. Quelli che fanno la spesa allo spaccio aziendale. Quelli che si portano da casa il caffè nel thermos perché quello della macchina fa schifo e in trent’anni non hanno mai detto una volta al collega di scrivania vuoi favorire. Quelli che l’importante è stare tutti uniti. Quelli che se fai il tuo dovere non possono dirti niente.
Quelli che il lunedì si danno malati quando la squadra del cuore ha perso. Quelli che la fabbrica è una scuola di disciplina. Quelli che la macchina per le fotocopie è sempre rotta così vanno al piano di sotto dove c’è un’impiegata molto carina. Quelli che a cinquant’anni hanno dovuto imparare a usare il computer. Quelli che a mensa fanno il giro dei tavoli a raccogliere gli avanzi del bollito e dell’arrosto spiegando che è per il cane, poi tornano in ufficio e, credendo di non essere ascoltati telefonano a casa e dicono alla moglie: stasera bollito o arrosto. Quelli che siamo tutti sulla stessa barca. Quelli che senza di me il mio capo è perso, non riuscirebbe neanche a soffiarsi il naso. Quelli che tengono sulla scrivania le foto dei figli. Quelli che usano lo sportello dell’armadio metallico per incollarci sopra la cartoline spedite dai colleghi in vacanza. Quelli che da che mondo è mondo ci sono sempre stati operai e padroni.
stanno cambiando. Partiamo dal sud: è diventato terribilmente cheap dare due baci. Si baciano sempre tutti, ma una volta sola, guancia destra contro guancia destra. Il gesto è denso di significati: mentre ti porgo la guancia espongo il cuore ad essere accoltellato; non occorre la guancia sinistra, tra noi c’è tale intimità che basta un cenno; col bacio dimezzato saluto quasi in contemporanea tutti i presenti, senza la distrazione dovuta allo scuotimento della testa tra una parte e l’altra. Riduco al minimo anche la fatica, dato che col riscaldamento del pianeta i giorni nel meridione sono sempre più spesso funestati da temperature equatoriali. Per tradizione lo sforzo è sempre stato minimale, per dire no basta alzare leggermente il mento, altro che scuotere faticosamente la testa. Anche il sì è riposante: un battito d’occhi, uno spostamento dello sguardo, se proprio è necessaria la parola «certo», pronunciata senza muovere le labbra. In moto, in bicicletta, non si tendono
vanamente le braccia per indicare una direzione, si protende piuttosto il dito indice, non occorre nemmeno raddrizzarlo. Contemporaneamente, quegli sciocchi del nord hanno ereditato il vano affannarsi dei due baci: amici, fratelli, colleghi – che hai sempre salutato con un sano ciao – ti si buttano al collo, anche se vi siete visti da poco, magari la sera prima. Si deve dire che non tutti hanno ceduto, o cedono volentieri, alle mollezze meridionali. Molti rimangono rigidi, spesso le guance non sono nemmeno sfiorate, il bacio è dato all’aria, è più un’esibizione ginnica che un saluto affettuoso. Infatti alcuni hanno bisogno di un sostegno linguistico, riporto espressioni sentite negli ultimi giorni: «e adesso io per salutarla la bacio», «su, baciamoci», «avvicinati che ti saluto per bene», ma anche «non baciamoci che fa caldo», «per carità, stammi lontana che sono appiccicosa». Insomma, l’uomo del nord deve sempre giustificare e rifinire per bene ogni suo gesto. E pensare che,
pur non avendo al momento ancora l’età della pensione, ho fatto in tempo ad essere educata alla riverenza dalla nonna buonanima. Un piede indietro, le mani a reggere l’eventuale abito lungo, le ginocchia leggermente piegate, il capo chino, lo sguardo verso il basso, come una volta doveva essere sempre quello femminile. A un’amica dai grandi occhi azzurri è capitato al Cairo, il tassista l’ha ammonita a non guardare in giro come se niente fosse. Ora la riverenza mi sarebbe utile a corte, dalla regina Elisabetta (che beata lei si può permettere quel tailleur verde squillante con cappellino in tinta), perché mi sa che nonostante il rigido protocollo vaticano, Francesco ricambierebbe i goffi tentativi di riverenza con una bella risata. E poi non mi verrebbe proprio in mente, piuttosto un abbraccio, e non perché adesso usa così. Me ne rendo conto, c’è poca filosofia in questa postilla, ma non voglio affaticare nessuno nel cuore di questo agosto, baciamo le mani.
in concorso, si lamentava di quella «vaga disseminazione di virgole e punti e virgola, disseminati, qua e là, dove vanno vanno, come capperi nella salsa tartara». La punteggiatura di Gadda non va imitata, come sanno i lettori del Pasticciaccio brutto de via Merulana: «Faceva er maschietto, o er tu-mistufi, certe volte, o er superbioso; o er signorino de casa de famija scerta der generone de via de li Banchi Vecchi: o l’uomo d’affari, che nun cià tempo de stà a discorre». Una gran confusione che solo un grande scrittore può permettersi. E non parliamo dei due punti, che Gadda usa a raffica: «All’anulare destro, sulla mano bianca dalle lunghe dita di signore, che gli servivano da scotere la sigaretta, er signorino ci aveva un anello: d’oro vecchio, assai giallo: magnifico: un diaspro sanguigno nel castone; un diaspro ovale con una cifra a matrice». Eccessivo? Forse. Nel 1993, Giovanni Mariotti, raffinato scrittore e critico, ha scritto un intero romanzo, Storia di Matilde (appena riproposto da
Adelphi, bellissimo: 5½), in cui era presente un solo segno di interpunzione: il punto finale. Si tratta di una sola frase di 221 pagine. Un formidabile virtuosismo stilistico-sintattico. Gli scrittori, si sa, fanno come vogliono: licenza poetica. A volte si impuntano, come nel caso di Oscar Wilde, che a un giornalista che gli chiedeva di spiegare bene il suo lavoro quotidiano, disse di aver lavorato intensamente a un poema per tutta la giornata: «La mattina ho messo una virgola, il pomeriggio l’ho tolta». Non si scherza, con le virgole. Anche perché, si sa, una virgola può salvare una vita. Una cosa è dire: «Vado a mangiare, nonna»; più preoccupante: «Vado a mangiare nonna». Lo scrittore argentino Julio Cortázar faceva un esempio malizioso: «Se l’uomo sapesse realmente il valore che ha la donna andrebbe a quattro zampe alla sua ricerca». Dove collocare la virgola? Un uomo poco galante farebbe questa scelta : «Se l’uomo sapesse realmente il valore che ha, la donna andrebbe a
quattro zampe alla sua ricerca». Una donna sposterebbe il segno più avanti: «Se l’uomo sapesse realmente il valore che ha la donna, andrebbe a quattro zampe alla sua ricerca». Insomma, chi deve andare a quattro zampe? L’uomo o la donna? Dipende da una virgola. Vi ricordate il responso della Sibilla al soldato che chiedeva lumi sul suo futuro? «Ibis redibis non morieris in bello». Dove stanno le virgole? Prima interpretazione ottimistica: «Ibis, redibis, non morieris in bello» (andrai, tornerai, non morirai in guerra). Il problema è che in latino la dislocazione dell’avverbio (non) è variabile e ingannevole, per questo il responso della Sibilla è sibillino, ambiguo. Potrebbe esserci anche un’interpretazione negativa: «Ibis, redibis non, morieris in bello», cioè andrai, non tornerai, morirai in guerra. Un virgola può essere fatale. Fatto sta che in un mondo senza sottigliezze e sfumature, basta il punto esclamativo. Dunque, caro punto e virgola, è finita la pacchia!
Postille filosofiche di Maria Bettetini Baci per tutti Degli abbracci si era già detto, ormai non si lesinano a nessuno. L’ultimo è arrivato da uno sconosciuto lettore, che in una prima email aveva inveito contro un mio articolo (pubblicato in Italia, tranquilli), definendomi cinica e crudele e salutandomi con un freddo cordialmente. Gli ho risposto, come uso fare, accettando l’invettiva ma anche spiegando le ragioni dell’apparente (secondo me) cinismo. Il lettore si è illuminato, e nella risposta alla risposta mi ha salutato, spero per sempre, con «un abbraccio». Ma su questo non voglio aggiungere altro. Passiamo invece ai parenti stretti degli abbracci, i baci. Nel nord Italia fino a una ventina di anni fa i baci erano riservati a innamorati e mamme, bimbi, nonni. Situazioni particolarmente emozionanti, una gioia, un lutto, un augurio, erano sottolineate da, appunto, abbracci, o anche una mano sulla spalla, o una stretta di mano calorosa, un buffetto. Al sud, due baci invece non si sono mai negati a nessuno, a tutte le ore del giorno
e della notte. Dopo un esame, si baciava anche il professore, tra amiche e amici era l’unica forma di saluto accettabile, prima la guancia destra poi la sinistra, senza fretta. Forse Andreotti, quella volta con Totò Riina, subiva semplicemente la condanna di essere un volto noto, i volti noti venivano baciati perché considerati familiari (ho detto forse, non ne ho la più pallida idea, ma è un’ipotesi anche questa). Se scendevi dal nord, eri un po’ perplesso, ma paese che vai. Oltre le Alpi, che lo dico a fare, i baci sono stati sempre tre, a fugare il sospetto di una freddezza affettiva nordica: in Svizzera, anche in Francia, anche in Olanda, si bacia poco ma per tre volte, destra sinistra destra. In Germania non ricordo di aver mai percepito il noto schiocco delle labbra da parte di colleghi e amici, ma questa potrebbe essere un’altra storia. Nell’ex-Jugoslavia, per rimanere nel continente, suppongo sia meglio tenersi sempre un po’ a prudente distanza dagli autoctoni. Però ora queste tradizioni
Voti d’aria di Paolo Di Stefano Non, scherzate con le, virgole; Riappropriamoci delle giuste virgole,,, e dei punti e virgola;;; e dei due punti::: sono «i binari che fanno scorrere felici le parole». Ammetto di avere un po’ esagerato, ma «fai vedere che abbondiamo», diceva Totò a proposito della punteggiatura nella famosa lettera dei fratelli Capone. Loro abbondavano, indubbiamente («abundandis adbundundum»), ma noi siamo tirati, cioè tirchi. Il punto si è mangiato tutto. Per non dire dei punti esclamativi ovunque!!! «I catastrofisti dicono che rimarremo solo con il punto: più che una scrittura telegrafica è un ritorno al telegrafo», scrive Leonardo G. Luccone (5+), traduttore, agente e redattore editoriale, in un libro appena uscito per Laterza (Questione di virgole. Punteggiare rapido e accorto). Il saggio di Luccone è un vademecum sui dubbi e sugli errori, sugli usi corretti, su quelli espressivi e su quelli magici, con un ricchissimo repertorio di esempi letterari. Provate ad aprire a caso un romanzo recente: troverete solo virgole e punti
fermi, che rappresentano il 90 per cento della punteggiatura usata oggi. È la Grande Semplificazione, perché limitarsi alla virgola e al punto significa abbattere i livelli intermedi non solo della sintassi ma del pensiero e dell’espressione. La punteggiatura ha una funzione logica ed espressiva, dunque si capisce che venga a cadere quando non c’è niente da argomentare e da esprimere. Qualche anno fa, Stefano Bartezzaghi intonò il requiem del punto e virgola. E Pietro Citati invitò a resistere e a sfruttare tutti i mezzi linguistici a disposizione (punto, punto e virgola, virgola, due punti, puntini di sospensione, trattini, parentesi, punti esclamativi e interrogativi, virgolette): «Una lingua deve la propria eleganza alla ricchezza dei suoi strumenti espressivi». Lo scrittore franco-rumeno Emile Cioran sognava un mondo in cui si potesse morire per un punto e virgola. Da giurato di un premio letterario, Carlo Emilio Gadda, leggendo i testi
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 agosto 2018 • N. 34
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Idee e acquisti per la settimana
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Voglia di dolcezza
Attualità Quando la voglia di dolce ci assale,
il gelato e la torta di pane dei Nostrani del Ticino sono le leccornie perfette per stupire le nostre papille gustative
Azione 20% su tutti i gelati e la torta di pane nostrani
Ivano Lucibello, Gelateria Mastrolucibello, Contone
dal 21 al 27 agosto
«La gamma dei nostri gelati artigianali è composta da diversi aromi in grado di soddisfare qualsiasi gusto: dai cachi allo zabaione, dall’uva americana alla farina bona, dal fior di latte ai mirtilli fino al gusto lamponi/yogurt. Sono molti i clienti che ci rivelano di apprezzare i nostri prodotti non solo perché sono buoni, ma anche perché gustandoli riescono a riconoscere la genuinità delle materie prime della nostra regione. Tutti gli ingredienti sono infatti prodotti da aziende che, come noi, hanno a cuore la qualità dei prodotti locali. La produzione dei gelati in gran parte delle fasi si svolge a mano, inoltre produciamo sempre e solo su ordinazione e non stocchiamo il prodotto. Può anche capitare di prendere parte
alla vendemmia di uva americana, in questo modo possiamo renderci conto di persona di quanto siano preziose le materie prime utilizzate e quanta fatica e tempo richieda ogni fase di produzione, non solo in laboratorio. Un consiglio per gustare al meglio i nostri prodotti? Raccomandiamo sempre di non avere fretta, ossia di togliere il barattolo dal congelatore almeno venti minuti prima del consumo. Con un cucchiaio girare bene il gelato e solo dopo averlo reso nuovamente cremoso iniziare a porzionarlo. Non è un gelato da gustare in tutta fretta, ma va apprezzato con calma in modo che possa sprigionare tutti i suoi sapori e si possano distinguere ad uno ad uno tutti gli ingredienti di cui è composto».
Gelati e torta di pane da assaggiare La torta di pane
Foto Flavia Leuenberger Ceppi
Appuntamento obbligato per tutti gli amanti dei dolci quello proposto questa settimana nei supermercati Migros di Agno, Locarno, Lugano, S. Antonino, Grancia e Serfontana. Da giovedì a sabato si potranno infatti degustare i gelati e la torta di pane dei Nostrani del Ticino. Inoltre nel pomeriggio di sabato 25 agosto il titolare della Gelateria Mastrolucibello, Ivano Lucibello, sarà presente presso la filiale di Grancia.
Questa classica specialità della nostra regione è realizzata con ingredienti di qualità di provenienza ticinese dai mastri pasticceri della Jowa di S. Antonino. La sua ricetta è stata rielaborata dal noto chef Lorenzo Albrici della Locanda Orico di Bellinzona. La lavorazione è scrupolosamente tradizionale: il pane viene messo a bagno nel latte il giorno prima e l’aggiunta di fiocchetti di burro poco prima della cottura conferisce al prodotto la caratteristica fragranza.
Uova, zucchero, cacao, grappa, uvette, canditi, amaretti, scorza di limone e pinoli sono gli altri genuini e semplici ingredienti utilizzati nella lavorazione. È disponibile del formato classico tondo da 520 g oppure sotto forma di trancetti da 2 pezzi in una confezione richiudibile, perfetti per un piccolo spuntino oppure per la merenda. Si conserva in frigorifero per alcuni giorni ed è molto apprezzata anche d’estate per la sua fresca dolcezza.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 agosto 2018 • N. 34
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Idee e acquisti per la settimana
Sapori di montagna
Novità Due classiche specialità ticinesi di latte di capra bio per un’estate
Flavia Leuenberger Ceppi
all’insegna del buongusto
Büscion bio 100g Fr. 4.40 Robiola bio 100 g Fr. 3.80 In vendita solo ai banchi del formaggio Migros
Il meglio del manzo Attualità Il tenero e delicato filetto di manzo
australiano promette piatti ricchi di sapore
Per la sua prelibatezza e tenerezza, il filetto è considerato il taglio più pregiato del manzo, in grado di rendere qualsiasi menu davvero unico. Che ne direste questa settimana di concedervi un succulento filetto di manzo ad un prezzo imperdibile? Allora approfittate dell’offerta speciale sulla nostra carne di primissima scelta dell’Australia. In questo immenso e affascinante paese i bovini vengono allevati in modo naturale all’aperto, su ampi pascoli, dove possono cibarsi di erba fresca. Le razze predominanti sono quelle apprezzate per la qualità delle carni, ossia Angus, Hereford e Charolais. I metodi d’allevamento non sono solo particolarmente sostenibili, ma determinano pure la qualità della
carne, che si distingue per il suo buon livello di marmorizzazione e una combinazione esclusiva tra sapore e tenerezza. Il modo migliore per gustare appieno la delicatezza del filetto di manzo, è quello di non eccedere con i condimenti, dato che possiede già di suo un sapore aromatico. Un filo d’olio e un pizzico di sale e pepe possono bastare. Dopo averli conditi, trasferire i medaglioni di filetto di manzo di ca. 200 g l’uno sulla griglia o in padella e cuocerli a fuoco vivo per circa 4 minuti per lato fino al raggiungimento di una temperatura al cuore di ca. 55°C. Avvolgerli in un foglio alu e lasciarli riposare per 5 minuti. Servire, a piacere, con del burro alle erbe e un’insalata di stagione.
Azione 33% sul Filetto di manzo australiano 100 g Fr. 6.60 invece di 9.90 dal 21 al 27 agosto
A Osco, nei pressi di Faido, Patrick Ghirlanda e la moglie Lara gestiscono la loro Azienda Agricola La Parpaiora («farfalla» in dialetto oschese) secondo i principi della produzione biologica. L’azienda di montagna ospita un centinaio di capre, alcune mucche nutrici con i propri vitellini, una decina di maiali, due cavalli, sette asinelli, senza dimenticare conigli, cani e gatti. La principale attività aziendale è la trasformazione artigianale del latte caprino in squisiti formaggi, due dei quali sono ora disponibili anche a Migros Ticino, vale a dire il büscion e la robiola. «Questi due tradizionali prodotti ticinesi sono molto gettonati in estate per la loro freschezza», spiega Patrick Ghirlanda. «Il büscion è apprezzato per la sua consistenza spalmabile, mentre la robiola si accompagna volentieri con una croccante insalata per un pasto leggero ma corroborante. Inoltre i due prodotti sono spesso consumati anche da chi non ama il latte di capra, questo perché il nostro allevamento è formato da capre svizzere di razza Saanen, le quali danno un latte particolarmente delicato nel gusto». Ma cosa comporta gestire un’azienda secondo criteri bio? Lo spiega bene Patrick: «Sin dalla nascita della nostra azienda, 15 anni orsono, abbiamo deciso di aderire al progetto Bio Suisse. Le ragioni erano semplici: vivendo in una regione di montagna, l’allevamento intensivo non sarebbe stato sostenibile, e per noi era già chiaro che avrebbe prevalso un’agricoltura genuina, vicina alla natura e dove il benessere degli animali fosse al primo posto. Le nostre terre – ca. 50 ettari – sono occupate da pascoli e prati da sfalcio. Il fieno raccolto in estate soddisfa il fabbisogno dell’azienda, mentre l’allevamento si basa sulla stabulazione libera, ossia gli animali sono liberi di muoversi e hanno un’uscita regolare all’aperto».
Novità
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 agosto 2018 • N. 34
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Idee e acquisti per la settimana
Gusta il Borgo
Attualità Migros Ticino è tra i sostenitori della settima edizione
della passeggiata enogastronomica di Ascona del 1° settembre
L’attesissima manifestazione si terrà come di consueto nei parchi e vicoli della suggestiva località sulle rive del Lago Maggiore. L’Associazione Amis da la forchéta, organizzatrice dell’evento, è pronta ad accogliere tutti gli amanti delle buona tavola con un percorso di 9 tappe disposte su una decina di km e che pone l’accento sull’eccellenza e la varietà del patrimonio gastronomico della regione, così come sulle bellezze nascoste di Ascona e del Monte Verità. Dalla colazione agli antipasti, dai primi ai secondi e fino ai dessert, ogni partecipante potrà gustare ad ogni tappa non solo tante specialità locali, ma anche incontrare diversi produttori e conoscere meglio le loro prelibatezze enogastronomiche. Tra i produttori ospiti di quest’anno ve ne saranno anche un un paio da fuori cantone. Ad allietare la giornata non mancheranno neppure intrattenimenti musicali e molte altre animazioni rivolte a grandi e piccoli.
Un sabato all’insegna del Mega Grill
Iscrizioni in palio Migros Ticino offre ai lettori di «Azione» 5 x 2 iscrizioni per la 7° edizione di Gusta il Borgo ad Ascona, sabato 1° settembre. Per partecipare al concorso occorre telefonare mercoledì 22
agosto dalle ore 10.30 al numero 091 850 82 76. La partecipazione è riservata a chi non ha beneficiato di vincite in altri concorsi promossi da «Azione» negli scorsi mesi. Buona Fortuna!
Il 25 agosto tutti gli amanti del buon pollo svizzero Optigal non potranno assolutamente perdersi il tradizionale appuntamento con il Mega Grill. Dalle ore 10.00 alle 15.00, presso il Centro S. Antonino, verranno preparati ben
200 polli alla volta sotto gli occhi della clientela. I succosi polli cotti a puntino si potranno acquistare, fino ad esaurimento dello stock, ad un prezzo particolarmente vantaggioso e, per chi lo desiderasse, anche gustarli direttamente sul posto nel parco adiacente il centro commerciale. Inoltre, all’acquisto di un pollo, si riceverà una rinfrescante bibita omaggio. La spettacolare grigliata è prevista solo in caso di tempo favorevole. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 agosto 2018 • N. 34
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Idee e acquisti per la settimana Vegetariani, pescetariani, flexitariani o amanti della carne: in estate si risveglia in noi il griglietariano. Mangiamo solo ciò che è passato dalla griglia. Anche con il pane siamo pignoli. www.griglietariani.ch e Tutto l’occorrent
Kathrin Weiss riprende la conduzione dell’azienda agricola del padre assieme al suo compagno, Heinz Ziegler. Sono compresi 14 ettari di superficie destinati alla coltivazione di cereali.
per i
I mucchi di sassi forniscono un ambiente naturale a piccoli animali e a microorganismi.
Kathrin Weiss (37), agricoltrice IP-Suisse
«Rispettiamo i cicli naturali» Ha sempre saputo che un giorno avrebbe rilevato l’azienda agricola?
TerraSuisse
Non del tutto. In un primo momento ho intrapreso la formazione di fiorista e ho aperto un negozio in proprio. Oltre ai fiori vendevo anche alcune specialità provenienti dal Setzihof prodotte da mia mamma nell’azienda agricola. La richiesta aumentava costantemente, così che il negozio da fiorista si è trasformato nel «negozio della terra», dove oggi proponiamo unicamente i nostri prodotti agricoli. Praticamente è grazie alla mia professione che ho ritrovato la strada verso l’attività di famiglia, che presto rileverò assieme al mio partner. Al momento sono ancora i miei genitori a condurre l’azienda.
Ogni seme è una meraviglia
Nell’azienda agricola Setzihof di Aeugst am Albis, vicino a Zurigo, da 19 anni si coltiva il frumento destinato ai prodotti «TerraSuisse». Assieme al suo partner, Kathrin Weiss rileverà a breve l’attività del padre. Con misure mirate intende continuare a promuovere la biodiversità
Le materie prime «TerraSuisse» sono prodotte secondo le severe direttive di IP-Suisse. Nella sua azienda come garantisce una coltivazione naturale?
Testo Melanie Michael, Foto Daniel Winkler
Per esempio con una variegata rotazione delle colture e con l’utilizzo di concimi provenienti dall’azienda. L’utilizzo di pesticidi da noi è fortemente limitato e regolamentato. Vogliamo prenderci cura della natura, rispettare i cicli naturali e promuovere così la biodiversità tramite misure mirate. Quali sono queste misure?
Oltre a tutto il resto, coltiviamo 300 alberi ad alto fusto, creiamo cumuli di sassi, ci prendiamo cura di una casetta per le api e abbiamo appeso dei riparti destinati alla nidificazione degli uccelli. E non falciamo mai tutti i prati nello stes-
Con il suo marchio «TerraSuisse» Migros si impegna a favore di un’agricoltura naturale e rispettosa degli animali. Oltre 11’000 contadini IP-Suisse producono le materie prime destinate ad alimenti di alta qualità seguendo severe direttive. È così anche nell’azienda agricola Setzihof di Aeugst am Albis, nel Canton Zurigo, dove da 19 anni si coltivano cereali destinati alla produzione di diverse varietà di pane «TerraSuisse». Così come in tutte le fattorie IP-Suisse, anche qui vale la massima attenzione a favore della promozione della biodiversità. Come e con quali misure lo spiega nell’intervista Kathrin Weiss, che prossimamente assumerà la gestione dell’azienda agricola.
Pane delle Alpi TerraSuisse 380 g Fr. 2.60
Pane alla ticinese TerraSuisse 400 g Fr. 2.50
Corona croccante TerraSuisse 300 g Fr. 2.–
Pane campagnolo integrale TerraSuisse 400 g Fr. 2.90
Con il suo impegno per la sostenibilità Migros è da generazioni in anticipo sui tempi.
I cereali TerraSuisse provengono da agricoltura svizzera sostenibile, che promuove la creazione di spazi vitali per piante e animali selvatici e che rinuncia all’uso di diverse sostanze chimiche ausiliarie.
so momento; in tal modo preserviamo dei rifugi per gli insetti. Quali varietà di cereali coltiva nella sua azienda?
Oltre al frumento, su 14 ettari coltiviamo anche orzo, triticale, segale, spelta originale, colza e mais. Tutte e sette le colture secondo le direttive IP-Suisse. Con questa variegata rotazione delle colture possiamo garantire un’attenta gestione del suolo e prevenire in tal modo lo sfruttamento legato alla monocoltura. Nella coltivazione dei cereali rinunciamo completamente all’uso di fungicidi, insetticidi e ormoni. Cosa le piace maggiormente del suo lavoro?
Lavorare così a stretto contatto con la natura. Lo vivo come qualcosa che sempre si rinnova e vedere come da un seme scaturisce un alimento tanto prezioso è una meraviglia e un regalo. In qualità di proprietaria della Migros cosa apprezza in particolare dell’azienda?
L’ampiezza dell’offerta di prodotti svizzeri. In particolare nel caso dei cereali, della carne e dei suoi derivati preferisco i prodotti contrassegnati dal marchio «TerraSuisse». Anche noi produciamo seguendo queste stesse direttive e sappiamo che acquistando alimenti certificati «TerraSuisse» sosteniamo una produzione particolarmente rispettosa degli animali e dell’ambiente.
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Idee e acquisti per la settimana Vegetariani, pescetariani, flexitariani o amanti della carne: in estate si risveglia in noi il griglietariano. Mangiamo solo ciò che è passato dalla griglia. Anche con il pane siamo pignoli. www.griglietariani.ch e Tutto l’occorrent
Kathrin Weiss riprende la conduzione dell’azienda agricola del padre assieme al suo compagno, Heinz Ziegler. Sono compresi 14 ettari di superficie destinati alla coltivazione di cereali.
per i
I mucchi di sassi forniscono un ambiente naturale a piccoli animali e a microorganismi.
Kathrin Weiss (37), agricoltrice IP-Suisse
«Rispettiamo i cicli naturali» Ha sempre saputo che un giorno avrebbe rilevato l’azienda agricola?
TerraSuisse
Non del tutto. In un primo momento ho intrapreso la formazione di fiorista e ho aperto un negozio in proprio. Oltre ai fiori vendevo anche alcune specialità provenienti dal Setzihof prodotte da mia mamma nell’azienda agricola. La richiesta aumentava costantemente, così che il negozio da fiorista si è trasformato nel «negozio della terra», dove oggi proponiamo unicamente i nostri prodotti agricoli. Praticamente è grazie alla mia professione che ho ritrovato la strada verso l’attività di famiglia, che presto rileverò assieme al mio partner. Al momento sono ancora i miei genitori a condurre l’azienda.
Ogni seme è una meraviglia
Nell’azienda agricola Setzihof di Aeugst am Albis, vicino a Zurigo, da 19 anni si coltiva il frumento destinato ai prodotti «TerraSuisse». Assieme al suo partner, Kathrin Weiss rileverà a breve l’attività del padre. Con misure mirate intende continuare a promuovere la biodiversità
Le materie prime «TerraSuisse» sono prodotte secondo le severe direttive di IP-Suisse. Nella sua azienda come garantisce una coltivazione naturale?
Testo Melanie Michael, Foto Daniel Winkler
Per esempio con una variegata rotazione delle colture e con l’utilizzo di concimi provenienti dall’azienda. L’utilizzo di pesticidi da noi è fortemente limitato e regolamentato. Vogliamo prenderci cura della natura, rispettare i cicli naturali e promuovere così la biodiversità tramite misure mirate. Quali sono queste misure?
Oltre a tutto il resto, coltiviamo 300 alberi ad alto fusto, creiamo cumuli di sassi, ci prendiamo cura di una casetta per le api e abbiamo appeso dei riparti destinati alla nidificazione degli uccelli. E non falciamo mai tutti i prati nello stes-
Con il suo marchio «TerraSuisse» Migros si impegna a favore di un’agricoltura naturale e rispettosa degli animali. Oltre 11’000 contadini IP-Suisse producono le materie prime destinate ad alimenti di alta qualità seguendo severe direttive. È così anche nell’azienda agricola Setzihof di Aeugst am Albis, nel Canton Zurigo, dove da 19 anni si coltivano cereali destinati alla produzione di diverse varietà di pane «TerraSuisse». Così come in tutte le fattorie IP-Suisse, anche qui vale la massima attenzione a favore della promozione della biodiversità. Come e con quali misure lo spiega nell’intervista Kathrin Weiss, che prossimamente assumerà la gestione dell’azienda agricola.
Pane delle Alpi TerraSuisse 380 g Fr. 2.60
Pane alla ticinese TerraSuisse 400 g Fr. 2.50
Corona croccante TerraSuisse 300 g Fr. 2.–
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Con il suo impegno per la sostenibilità Migros è da generazioni in anticipo sui tempi.
I cereali TerraSuisse provengono da agricoltura svizzera sostenibile, che promuove la creazione di spazi vitali per piante e animali selvatici e che rinuncia all’uso di diverse sostanze chimiche ausiliarie.
so momento; in tal modo preserviamo dei rifugi per gli insetti. Quali varietà di cereali coltiva nella sua azienda?
Oltre al frumento, su 14 ettari coltiviamo anche orzo, triticale, segale, spelta originale, colza e mais. Tutte e sette le colture secondo le direttive IP-Suisse. Con questa variegata rotazione delle colture possiamo garantire un’attenta gestione del suolo e prevenire in tal modo lo sfruttamento legato alla monocoltura. Nella coltivazione dei cereali rinunciamo completamente all’uso di fungicidi, insetticidi e ormoni. Cosa le piace maggiormente del suo lavoro?
Lavorare così a stretto contatto con la natura. Lo vivo come qualcosa che sempre si rinnova e vedere come da un seme scaturisce un alimento tanto prezioso è una meraviglia e un regalo. In qualità di proprietaria della Migros cosa apprezza in particolare dell’azienda?
L’ampiezza dell’offerta di prodotti svizzeri. In particolare nel caso dei cereali, della carne e dei suoi derivati preferisco i prodotti contrassegnati dal marchio «TerraSuisse». Anche noi produciamo seguendo queste stesse direttive e sappiamo che acquistando alimenti certificati «TerraSuisse» sosteniamo una produzione particolarmente rispettosa degli animali e dell’ambiente.
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3.45 invece di 4.60 Cappello del prete (Picanha) TerraSuisse imballato, per 100 g
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Salmone selvatico Sockeye MSC in conf. speciale pesca, Pacifico nordorientale, 280 g
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4.65 invece di 7.80 Hamburger di vitello in conf. da 2 Svizzera, imballati, in conf. da 2 x 100 g
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30% Prosciutto cotto e mortadella Beretta in conf. speciale per es. mortadella, Italia, 100 g, 2.10 invece di 3.05
30% Petto di pollo affettato finemente e affettato di pollame Don Pollo in conf. speciale per es. petto di pollo affettato finemente, Brasile, 187 g, 3.90 invece di 5.60
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2.90 invece di 3.65 Fettine di tacchino «La belle escalope» Francia, imballate, per 100 g
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Tutto l’assortimento Sushi per es. Sushi Nigiri Classic, prodotto in Svizzera, in conf. da 180 g, 9.50 invece di 11.90, fino al 25.8
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1.95 invece di 2.70 Orata reale 300–600 g Grecia/Croazia, per 100 g, fino al 25.8
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1.70 invece di 2.– Grana padano per es. al pezzo, per 100 g
20% Tutti i tipi di crème fraîche per es. naturale, 200 g, 2.05 invece di 2.60
20% Tutte le mozzarelle Alfredo per es. tonda, 150 g, 1.15 invece di 1.45
20% Bastoncini alle nocciole, fagottini alle pere e fagottini alle pere bio per es. bastoncini alle nocciole, 220 g, 2.60 invece di 3.25
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conf. da 4
20%
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2.40 invece di 3.– Flan in conf. da 6 per es. vaniglia, 6 x 125 g
20% Cake della nonna per es. cake al limone, 350 g, 3.10 invece di 3.90
6.– invece di 10.– Petit Beurre con cioccolato al latte in conf. da 4 4 x 150 g
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Pasta per crostate e pasta sfoglia in conf. da 2 per es. pasta sfoglia, 540 g
Tutti i tipi di pane Pain Création per es. pane croccante TerraSuisse, 400 g, 3.30 invece di 3.80
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15.– invece di 30.10 Cioccolatini Sélection Frey in busta, UTZ assortiti, 1 kg
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15% Mars, Snickers o Twix in conf. da 12 10 pezzi + 2 gratis, per es. Twix, 600 g, 5.– invece di 6.–
9.80 invece di 19.60 Cornetti Fun in conf. da 16 alla fragola e alla vaniglia, 16 x 145 ml
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Pasta fresca Garofalo in busta per es. ricotta e spinaci, 500 g
20% Gnocchi e fettuccine Anna’s Best in conf. da 2 per es. gnocchi alla caprese, 2 x 400 g, 7.80 invece di 9.80
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5.20 invece di 10.40 Lasagne verdi o alla bolognese Buon Gusto in conf. da 2 surgelate, per es. alla bolognese, 2 x 600 g
30% Tavolette di cioccolato Frey da 100 g in conf. da 10, UTZ assortite, 14.90 invece di 21.30
30% Tutte le confetture e le gelatine Extra in vasetto e in bustina per es. alle fragole, 500 g, 2.05 invece di 3.10
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20% Tutti i tipi di aceto e condimenti Ponti e Giacobazzi per es. aceto balsamico di Modena Ponti, 500 ml, 3.60 invece di 4.50
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33% Rio Mare in confezioni multiple disponibile in diverse varietà, per es. tonno all'olio di oliva in conf. da 3, 3 x 104 g, 8.40 invece di 12.60
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20% Tutto l’assortimento di alimenti per gatti Vital Balance per es. Adult, 4 x 85 g, 3.10 invece di 3.90
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God appetitt o buen apetito? ENTRAMBI
Questa settimana nel tuo ristorante Migros: LUNEDÌ 20.8
MARTEDÌ 21.8
Couscous (veg)
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MERCOLEDÌ 22.8
GIOVEDÌ 23.8
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SABATO 25.8
Scaloppine alla viennese
Salmone alla salsa di aneto
Moussaka
Per una buona sensazione di pancia.
Costine
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 agosto 2018 • N. 34
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 agosto 2018 • N. 34
51
Idee e acquisti per la settimana
M-Check
La gran parte delle persone conosce il mitico Ice Tea della Migros. Tuttavia non tutti sanno che da molto tempo il tè è coltivato in modo sostenibile e confezionato in modo ecologico. Ciò deve cambiare: la nuova etichetta M-Check illustra tutti i valori aggiunti
Il popolare tè freddo è uno dei primi prodotti corredati dall’etichetta M-Check, con la quale Migros uniforma il modo di contrassegnare i prodotti sostenibili. M-Check riassume in forma breve le più importanti informazioni e al momento di fare gli acquisti offre ai clienti un orientamento concreto. Il mitico Ice Tea, per esempio, non soddisfa solo per il suo gusto naturale, ma può vantare anche una coltivazione sostenibile del tè e materiale riciclato per la confezione.
Coltivazione responsabile del tè Il tè proveniente dalle piantagioni nelle montagne Nilgiri, in India, è certificato UTZ. Il programma UTZ permette ai contadini di apprendere metodi di lavoro moderni e rispettosi dell’ambiente, migliorando così le loro condizioni di lavoro e le condizioni di vita delle loro famiglie.
Foto Véronique Hoegger
Tutto il valore aggiunto in un colpo d’occhio
Con materiale d’imballaggio riciclato Dall’India al Canton Turgovia: presso Bina a Bischofszell, impresa di produzione Migros, il tè freddo ormai ultimato viene imbottigliato. Per farlo si utilizza materiale riciclato: il 35 per cento delle bottiglie del mitico Ice Tea consiste infatti di PET riciclato. Ciò preserva le risorse naturali e l’ambiente, dal momento che si utilizza meno materia prima nuova. Anche questo è uno dei motivi per i quali il tè freddo è stato contrassegnato con M-Check.
Parte di
L’impegno Migros a favore della sostenibilità è da generazioni in anticipo sui tempi.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 agosto 2018 • N. 34
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 agosto 2018 • N. 34
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Idee e acquisti per la settimana
M-Check
La gran parte delle persone conosce il mitico Ice Tea della Migros. Tuttavia non tutti sanno che da molto tempo il tè è coltivato in modo sostenibile e confezionato in modo ecologico. Ciò deve cambiare: la nuova etichetta M-Check illustra tutti i valori aggiunti
Il popolare tè freddo è uno dei primi prodotti corredati dall’etichetta M-Check, con la quale Migros uniforma il modo di contrassegnare i prodotti sostenibili. M-Check riassume in forma breve le più importanti informazioni e al momento di fare gli acquisti offre ai clienti un orientamento concreto. Il mitico Ice Tea, per esempio, non soddisfa solo per il suo gusto naturale, ma può vantare anche una coltivazione sostenibile del tè e materiale riciclato per la confezione.
Coltivazione responsabile del tè Il tè proveniente dalle piantagioni nelle montagne Nilgiri, in India, è certificato UTZ. Il programma UTZ permette ai contadini di apprendere metodi di lavoro moderni e rispettosi dell’ambiente, migliorando così le loro condizioni di lavoro e le condizioni di vita delle loro famiglie.
Foto Véronique Hoegger
Tutto il valore aggiunto in un colpo d’occhio
Con materiale d’imballaggio riciclato Dall’India al Canton Turgovia: presso Bina a Bischofszell, impresa di produzione Migros, il tè freddo ormai ultimato viene imbottigliato. Per farlo si utilizza materiale riciclato: il 35 per cento delle bottiglie del mitico Ice Tea consiste infatti di PET riciclato. Ciò preserva le risorse naturali e l’ambiente, dal momento che si utilizza meno materia prima nuova. Anche questo è uno dei motivi per i quali il tè freddo è stato contrassegnato con M-Check.
Parte di
L’impegno Migros a favore della sostenibilità è da generazioni in anticipo sui tempi.
oekom Rating 2018 La Migros: il commerciante al dettaglio più sostenibile del mondo.
Voglio latte più sostenibile. Altrimenti non sarà tutto latte e miele! Frederik H., futuro proprietario della Migros
La Migros è della gente. Per questo si impegna come nessun altro a favore della sostenibilità. Anche con il latte: in futuro la Migros avrà in assortimento solo latte di mucche allevate nel massimo rispetto e nutrite con la massima attenzione alla loro specificità. Inoltre continuerà a garantire ai contadini partenariati equi e di lunga prospettiva. generazione-m.ch
Dal 25 al 27 agosto:
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I scoprono il pulled meat. A dire il vero pulled meat è una classica ricetta per barbecue nordamericana, che i griglietariani preparano tradizionalmente nell’affumicatoio o nel grill a sfera. «Massaggiare» i delicati pezzi di carne con un rub (miscela di spezie) e cuocerli per parecchie ore a circa 120 °C. Così questa delizia riuscirà ad ogni griglietarian o.
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