Cooperativa Migros Ticino
G.A.A. 6592 Sant’Antonino
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXIX 31 ottobre 2016
Azione 44 M shop alle pag ping ine 57– 66 / 7 9-87
Società e Territorio I robot ci stanno sostituendo: intervista a Riccardo Staglianò
Ambiente e Benessere Pochi sanno che si può curare in modo efficace e pochi ne parlano: è il disturbo ossessivo-compulsivo
Politica e Economia Xi prosegue sulla via delle riforme: ma la strada è in salita
Cultura e Spettacoli A colloquio con Luca Cignetti, insegnante ed esperto di lingua italiana
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Vie occidentali Un ticinese al vertice e orientali al capitalismo di una banca svizzera e globale Le fusioni tra giganti dell’economia sono un interessante barometro. Permettono di farsi un’idea delle tendenze in atto nella società e nel tessuto produttivo di una nazione. Da quando ci si è messa anche la Cina, acquisendo a colpi di miliardi aziende occidentali, si possono scorgere anche le dinamiche dei rivolgimenti geopolitici che stanno trasformando il mondo. Prendiamo l’ annunciata acquisizione di Time Warner da parte di AT&T. Il numero due della telefonia mobile e numero uno della diffusione tv via cavo negli Stati Uniti vuole acquisire per 85 miliardi di dollari uno dei maggiori produttori televisivi. Non è l’unico esempio, negli Stati Uniti, di fusioni tra distributori e produttori di contenuti, informazioni, video. In un mondo sempre connesso in cui si trasferiscono quantità inimmaginabili di informazioni, sembra che la via del guadagno debba passare dagli schermi in cui proiettiamo la nostra quotidianità. La realtà, però, è un’altalena di successi ed insuccessi: persino Apple ristagna dopo la geniale invenzione dell’iphone, su Samsung e gli smartphone esplosivi stendiamo un velo pietoso, Twitter sente la concorrenza di Instagram e Snapchat e annuncia un taglio del 9 per cento del suo personale (3860 dipendenti soltanto), Verizon riflette se ritirare l’offerta di acquisto di Yahoo per 4.8 miliardi di dollari dopo la scoperta di importanti falle nel sistema di sicurezza del motore di ricerca. La corsa all’oro nell’era dell’informazione conosce fortune prodigiose ed epiloghi rovinosi. Era già successo con la prima «bolla» hi-tech, agli inizi del Duemila. Protagonista, in quanto azienda in vendita, ancora Time Warner, acquirente AOL. Un insuccesso da manuale. Va concesso che allora il prezzo fu di molto superiore (160 miliardi di dollari) e il rapporto tra costo dell’operazione e utile di Time Warner di otto volte peggiore a quello dell’acquisizione AT&T-Time Warner. Ciò non toglie che il mondo economico legato alla produzione e diffusione di informazioni sia costretto ad adattarsi a continui rapidi cambiamenti. I colossi dell’Occidente stanno tentando di posizionarsi per mantenere o accrescere la loro egemonia in questa nuova era economica, ma si espongono a rischi di nuova natura. In Cina le cose vanno diversamente. Qui c’è un’élite politica che subordina le acquisizioni in Occidente ad una strategia di sviluppo dell’economia nazionale. Il rinascente Impero celeste si sta trasformando da economia produttiva a economia di consumo. In un’economia mondiale che ristagna, una crescita, che dev’essere a ritmi sostenuti per raggiungere ampie fette della popolazione, può esserci solo se si stimolano anche i consumi interni. La Cina sta attraversando una fase di maturazione della propria forma di capitalismo, in cui non basta più produrre solo a basso prezzo per l’estero. Ma per poter offrire alla popolazione e al resto del mondo la qualità necessaria per competere in ambito globale occorre un sapere tecnologico che la società comunista cinese non ha saputo produrre. Quindi, si comprano aziende occidentali di punta – nel 2016 per 206,6 miliardi di dollari, il 212 per cento in più rispetto al 2015. E si cerca spazio nei consigli di amministrazione di aziende occidentali. Succede anche in Svizzera. L’offerta di acquisizione per 44 miliardi di dollari per Syngenta da parte di Chem China è nota. Altre sono meno eclatanti; quest’anno si contano sei acquisizioni, tante come nei due anni precedenti, scrive la «Neue Zürcher Zeitung», che cita un’interessante dichiarazione di un esperto in materia di fusioni (26.10.2016): lo scetticismo riguardo l’arrivo dei cinesi in aziende europee si sta dissipando. I cinesi non sono arrivati per comandare, non cambiano la dirigenza delle aziende, sono arrivati per imparare e per approfittare della maturità tecnologica delle società che hanno acquistato. Hanno obiettivi a lunga scadenza, non cercano il profitto immediato e le loro offerte sono generalmente allettanti. Ben altra esperienza rispetto alle acquisizioni da parte di società americane ed europee, cui seguono regolarmente dolorose ristrutturazioni e cambi della dirigenza, pur di conseguire rapidi guadagni. Ma l’apporto cinese risulta interessante anche per le aziende svizzere. Sempre la Nzz rileva che nell’ultimo anno il numero di consiglieri cinesi è cresciuto del 30 per cento a 524 consiglieri (su 436’104). L’interesse è reciproco: alle aziende svizzere interessa la rete di conoscenze che i consiglieri hanno in patria, ai cinesi interessa il know how e la qualità svizzera. Ma anche qui c’è un rischio: Chem China e molte altre aziende cinesi sono di proprietà dello Stato. Che garantisce buoni prezzi di acquisto e contro i rischi di insolvenza. Ma, come scrive Lucio Caracciolo a pagina 29, la pletora di aziende statali poco produttive rappresenta un rischio sistemico per l’economia cinese. Da cui l’Occidente non può chiamarsi fuori.
di Reto E. Wild e Hans Schneeberger
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Dan Cermak
di Peter Schiesser
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 31 ottobre 2016 • N. 44
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Attualità Migros
M Pesce al 100 per cento sostenibile
Una promessa per le api Generazione M
Ambiente Migros ha convertito
Migros offre nel suo assortimento prodotti innocui per questi insetti
Nel 2012 Migros aveva annunciato: «Promettiamo che entro il 2020 tutto il nostro pesce in vendita proverrà da fonti sostenibili». Al momento del lancio questa promessa aveva il sapore della sfida, tanto era ambiziosa. Con grande impegno, Migros è riuscita a motivare i propri fornitori a puntare sulla pesca responsabile o sull’allevamento ecocompatibile. Migros ha anche aiutato aziende ittiche ad ottenere un marchio di certificazione per la pesca sostenibile, per esempio nel Nord della Spagna, dove un produttore di acciughe ora vanta il marchio MSC. «Siamo orgogliosi di aver potuto mantenere la promessa quattro anni prima del previsto», dichiara Sandra Hinni, responsabile di progetto che si occupa della sostenibilità ittica di Migros. «Adesso tutto il nostro pesce fresco, tutte le conserve e tutti gli articoli surgelati e convenience soddisfano i nostri requisiti». Migros amplia continuamente la sua offerta di prodotti certificati. Lo
Nel 2014 Migros ha lanciato la seguente promessa: «Promettiamo, a partire dalla fine del 2014, di offrire solo insetticidi e pesticidi che non mettono in pericolo le api.» Migros si appoggiava in questo caso esplicitamente sullo studio di Greenpeace Bye bye api?, pubblicato nel 2013. In quello studio Greenpeace aveva indentificato sette principi attivi particolarmente dannosi per le api. Migros aveva in assortimento dieci prodotti che contengono tali principi attivi. Nel frattempo tali prodotti sono stati tolti dall’assortimento, oppure ne è stata modificata la composizione. In questo modo Migros ha mantenuto la sua promessa, ed è stata il primo dettagliante svizzero che per proteggere le api è andato ben oltre le esigenze legislative. Ora la Commissione svizzera per la lealtà (CSL) del settore comunicazione ha eccepito che il riferimento allo studio di Greenpeace nella promessa non sarebbe stato sufficientemente chiaro e troppo complicato nei contenuti. Su raccomandazione della CSL, Migros ha volontariamente adattato i passaggi contestati sul suo sito web. Migros continua ad avere in assortimento solo prodotti che, se usati correttamente, non rappresentano alcun rischio per le api.
il suo intero assortimento diventando così il primo dettagliante svizzero a vendere esclusivamente pesce e frutti di mare da fonti ecologiche scorso anno ha convertito al marchio ASC diversi articoli di salmone affumicato e al marchio MSC diversi prodotti convenience come la pizza al tonno Anna’s Best. Per quanto riguarda il pesce d’allevamento, la quota bio è del 17 per cento, mentre la quota ASC è del 19 per cento. L’assortimento del pesce selvatico invece è certificato MSC già al 59 per cento. Ovviamente Migros continua ad impegnarsi per la tutela dei mari. Quando viene a conoscenza di specie a rischio di estinzione, le elimina dagli assortimenti. Migros verifica l’assortimento annualmente in collaborazione con il WWF. Nessun altro dettagliante in Svizzera vende più pesce di Migros, che realizza circa la metà della cifra d’affari grazie a pesce e frutti di mare selvatici, mentre la restante metà è da ascriversi a pesce d’allevamento. Le specie preferite dalla clientela sono le seguenti cinque: salmone, tonno, pangasio, trota e gamberetti.
Allevamento di trote a Camby, canton Vaud (Charles Ellena)
Da mercoledì solo sacchetti riutilizzabili
L’impianto solare più performante
le borsette in plastica monouso costeranno 5 centesimi
estensione fotovoltaica svizzera
Ecologia Nelle casse delle filiali Migros dal 2 novembre 2016
Migros è il primo dettagliante che attua di propria iniziativa e a livello nazionale l’accordo raggiunto dagli operatori del settore, non offrendo più sacchetti gratuiti alle casse. L’efficacia ecologica della misura è stata verificata nella pratica dalla Cooperativa Migros Vaud, la quale nel 2013 ha messo in vendita i sacchetti monouso al costo di 5 centesimi. La finalità dell’iniziativa è stata capita dalla clientela e da allora la richiesta di sacchetti monouso è andata diminuendo fino al 90 per cento. Importante considerare che Migros non trae guadagno dall’introduzione di questa decisione. Il ricavo che risulta dalla vendita dei sacchetti viene infatti utilizzato per promuovere progetti esterni a sostegno dell’ambiente. Al posto dei sacchetti monouso sono messi a disposizione dei clienti nuovi sacchetti, prodotti al 100 per cento con materiale riciclato. La materia prima è costituita dalla plastica utilizzata per stabilizzare i carichi sulle palette durante il trasporto,
che viene raccolta nel centro di distribuzione Migros di Neuendorf. Rimangono gratuiti i sacchetti disponibili nei reparti frutta e verdura, che fungono da imballaggio protettivo.
Energia Migros possiede la più grande
Lo stesso vale per i sacchetti per gli articoli del settore tessili e per i giocattoli forniti alle casse e quelli dei negozi specializzati, per i quali non sono previsti cambiamenti.
Da quasi quattro decenni Migros si impegna a ridurre sistematicamente il suo consumo di elettricità e di energia. Ma anche la promozione delle fonti di energie rinnovabili fa parte dell’impegno ecologico dell’azienda svizzera. Così, nell’ambito del suo programma di sostenibilità Generazione M essa ha promesso anche di promuovere le energie rinnovabili. Sui tetti di vari edifici Migros sono già in funzione più di 90 impianti solari. Con la costruzione del quarto nuovo stabilimento per la surgelazione, la IDM AG ha ampliato il suo impianto solare esistente di 3’886 moduli fotovoltaici, o
6’220 m2 di superficie. Con questo ampliamento, l’impianto produce circa il 15 per cento in più di elettricità e continua ad essere l’impianto di energia solare più performante della Svizzera. Con una produzione massima di 7.8 MWp, l’impianto solare può rifornire di elettricità 1’900 economie domestiche. Globalmente, i pannelli corrispondono a una superficie pari circa 6 campi da calcio. «Invece di lasciar inutilizzati i nostri tetti, cerchiamo sempre di occuparli con pannelli solari», afferma compiaciuto Daniel Waltenspühl, che è direttore della IDM AG. Annuncio pubblicitario
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Società e Territorio La scuola che verrà Dal 2017 il progetto di riforma del DECS entrerà nella fase di sperimentazione, tra novità e perplessità
Una casa e un viaggio nel tempo A Barbengo Casa Guidini è una memoria intatta della metà dell’800. Abbiamo incontrato Arnaldo Guidini, che ha donato la biblioteca e gli archivi del nonno
2016: Odissea virtuale L’industria dei videogiochi punta sulla realtà virtuale con nuovi visori e caschetti: una tecnologia che ha ancora molto da dimostrare
A due passi Oliver Scharpf ci accompagna alla scoperta del cimitero vecchio di Viggiù pagina 9
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Welcome to the Machine
Intervista Sostituiti i colletti blu, è il turno
di quelli bianchi: Riccardo Staglianò spiega come robot e intelligenza artificiale stanno prendendo il nostro posto
Lorenzo De Carli Sta succedendo come nel film culto L’invasione degli ultracorpi: senza che ce ne accorgiamo, altre creature stanno prendendo il nostro posto nella vita di tutti i giorni. Ci scalzano non solo là dove siamo impegnati a fare cose pratiche, ma anche nelle attività che richiedono intelligenza e discernimento. Docente, divulgatore di saperi tecnologici, giornalista, Riccardo Staglianò ha scritto libri che hanno scandito tutte le tappe più significative dell’uso sociale delle tecnologie della comunicazione dall’inizio degli anni Novanta ad oggi. La casa editrice Einaudi ha pubblicato Al posto tuo, il cui sottotitolo dichiara esplicitamente: «Così web e robot ci stanno rubando il lavoro». Inviato del quotidiano «la Repubblica», Staglianò è andato da una costa all’altra degli Stati Uniti, si è recato nei centri d’eccellenza della robotica e dell’intelligenza artificiale in Europa per descrivere una situazione che solo il «negazionismo tecnologico» può fingere diversa da quella che è: le macchine stanno distruggendo più posti di lavoro di quanti non ne stanno creando. Uber sostiene che i suoi «tassisti» non sono dei salariati, ma il suo fondatore ha anche detto che sono superflui. I veicoli senza autisti sono davvero dietro l’angolo? «A metà settembre, a Pittsurgh, Uber ha introdotto – sbaragliando ogni concorrenza – le sue prime auto che si guidano da sole. In realtà ci sono anche gli autisti, nel caso in cui qualcosa vada storto, ma il grosso della guida è automatico. È di poche settimane fa la notizia del primo incidente mortale di un uomo a bordo della sua Tesla con pilota automatico. Esempi che anticipano le previsioni degli esperti che parlavano del 202022 come prima fase dell’arrivo di queste vetture». Il pilota automatico è inserito nella maggior parte dei viaggi che faccia-
mo in aeroplano. Strade e autostrade sono, però, un’altra cosa. La macchina, per esempio, metterà in pericolo la vita delle persone a bordo, oppure sceglierà di travolgere deliberatamente il bambino corso in strada a raccogliere il pallone? «Il tema delle scelte etiche delle macchine era al centro della preoccupazione di Max Tegmark e altri scienziati che ho incontrato al convegno annuale della Association for the Advancement of Artificial Intelligence a Austin, in Texas, nel 2015 e di cui do conto nel libro. Bisognerà cominciare a insegnare ai robot come comportarsi in questi casi. Gli algoritmi hanno milioni di righe di codice, tranne quello morale. Ma questo cambierà presto». Se la logistica si sta totalmente robotizzando, anche le professioni intellettuali non sembrano essere messe meglio: articoli che si scrivono da soli, diagnosi mediche automatiche, attività forensi delegate a software. Ogni volta che si rifà il conto dei lavori che potranno fare le macchine, l’elenco si allunga. «È così. Francesca Rossi, informatica in prestito a Harvard, a cena nel ristorante di un albergo ha fatto il seguente giochino con Andrew McAfee, autore di La seconda rivoluzione delle macchine: quali professioni intorno a noi saranno automatizzate? Sono andati avanti tutta la notte. La domanda giusta è: quando saranno automatizzate? Analisti di borsa, traduttori, chirurghi. E quando non saranno automatizzate saranno proletarizzate, come succede con l’insegnamento universitario sulle piattaforme online». Se chiediamo al suo libro di suggerirci un lavoro sottratto al dominio delle macchine, la risposta che otteniamo è: «fai un lavoro che abbia queste due caratteristiche: 1. che non sia procedurale, e 2. che non implichi la manipolazione di grandi masse di dati». C’è speranza, quindi, per i creativi? «Certo. Tutto ciò che può essere formalizzato in una serie di istruzioni
Robot al lavoro in un laboratorio di analisi. (Keystone)
– l’algoritmo è una ricetta che risponde alla logica: se succede questo, allora fai questo – sarà sostituito. Bisogna puntare sulla flessibilità di fronte agli imprevisti, la gestione di situazioni complesse, la capacità di inventarsi soluzioni nuove e inattese. Insomma valorizzare le caratteristiche che ci rendono umani». Anche dove il costo del lavoro è tutt’ora basso, si pensa ad introdurre robot per sostituire i lavoratori. Con la scomparsa dei lavoratori, però, assisteremo anche alla scomparsa dei consumatori. Chi saranno i destinatari delle merci prodotte dai robot? «Foxconn, il mastodontico produttore di elettronica, ha già annunciato il licenziamento di 60mila operai sostituiti dai robot. Ma il punto è proprio quello che lei segnala, e non sfuggiva neppure a Henry Ford negli anni 50:
se tutta la produzione sarà automatizzata, chi comprerà le mie auto? Drammaticamente questa consapevolezza scarseggia negli industriali odierni». Mentre i robot e i software stanno prendendo il nostro posto di lavoro, noi lavoriamo gratis per chi si arricchisce sul web. Il web 2.0, quello dei social, sembra essere diventato l’apologia dell’autosfruttamento, l’apoteosi della «schiavitù volontaria». Anche in questo caso, tutto accade senza aver coscienza di quel che realmente; con felice passo di danza, si accetta di lavorare gratis per Facebook, per Youtube, per Google, per Apple – per chiunque ci chieda di partecipare con tag, commenti e recensioni. «Il web 2.0 è una geniale impostura. Nel 2000 il bluff di tante dot-com venne alla luce. Come ripartire, abbassando i costi per aumentare i rica-
vi? Convincere gli utenti a fare il lavoro, gratis, ed estrarre valore da quel volontariato di massa. I fondatori di quelle compagnie sono più ricchi che mai, tutti gli altri più poveri di sempre». Diciamo «lavoro» ma intendiamo anche «stipendio». Che ne sarà, quando i robot ci avranno sostituiti? Sarà giunto il tempo dello stipendio minimo garantito? «Di certo è già il tempo di pagare le tasse, attività nei confronti della quale i giganti del web hanno una singolare ritrosia. Non solo devono pagarle tutte, ma proporrei una tassazione più progressiva (nessuno ricorda che negli Stati uniti fino al ’63 l’aliquota marginale massima era del 91%, per dire). Poi, se tutto questo non bastasse, bisognerebbe seriamente prendere in considerazione il reddito universale».
L I E R T L O
Ù I P % 10 E V N O C
E T N E I N
OLTRE 4 MILIONI DI ACQUISTI DIMOSTRANO CHE LA MIGROS È PIÙ CONVENIENTE DELLA COOP. In collaborazione con l’Istituto di ricerche di mercato indipendente LP, dall’11 al 17 ottobre 2016 abbiamo ripetuto il più grande confronto di prezzi nel settore del commercio al dettaglio svizzero, prendendo in considerazione oltre 5000 articoli. Nell’ambito di questo studio oltre 4 milioni di acquisti, realmente effettuati, sono stati messi a confronto con acquisti avvenuti alla Coop. Il risultato? Alla Migros si risparmia il 10,4%. È quindi dimostrato ciò che i nostri clienti sanno da sempre: LA MIGROS È SEMPRE PIÙ CONVENIENTE.
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Società e Territorio
Chissà se verrà
Scuola L e novità presenti nel progetto di riforma del DECS non mancano di far discutere, dal 2017 fino al 2021
si passerà alla fase di sperimentazione
Fabio Dozio Chissà cosa verrebbe fuori se lasciassimo realizzare agli allievi, bambini e ragazzi, la scuola che desiderano? Sarebbe un esperimento interessante, ma non siamo ancora a questo punto e, verosimilmente, mai lo saremo. La proposta di riforma della scuola dell’obbligo presentata dal DECS la scorsa primavera è infatti il frutto del lavoro di 19 specialisti, perlopiù collaudati esperti ai vertici degli Istituti e del Dipartimento. Nessun docente della scuola dell’obbligo (infanzia, elementare o media) ha avuto il privilegio di partecipare a questo gruppo. Chissà cosa verrebbe fuori se lasciassimo pensare a un rinnovamento della scuola ai docenti che la fanno tutti i giorni? Manuele Bertoli, direttore del Dipartimento, riafferma l’importanza dei pilastri della scuola ticinese, che deve essere «equa, inclusiva e di qualità» e spiega che negli undici anni di percorso formativo obbligatorio «abbiamo l’impegno morale come collettività di accoglierli al meglio e di investire sulla loro capacità di costruire vele più forti possibili per affrontare i venti della vita adulta». La società è sempre più eterogenea e la scuola dell’obbligo, per offrire a tutti la possibilità di riuscire nel modo migliore, deve adeguarsi a questa situazione, che rende ancora più difficile il mestiere dell’insegnante. Per gestire l’eterogeneità, la riforma propone di puntare sulla personalizzazione e sulla differenziazione. La personalizzazione si declina con una ristrutturazione dell’insegnamento che non sarà più basato esclusivamente sulle classiche lezioni. A queste si aggiungono i laboratori, gli atelier e le settimane o giornate progetto. I laboratori privilegiano la ricerca e la scoperta e gli allievi sono in numero limitato («indicativamente tre gruppi ogni due classi»). L’atelier, alle medie, è un momento in cui gli allievi esprimono una loro autonomia e il docente non prepara la lezione, ma «si mette a disposizione elaborando interventi didattici mirati». Queste novità richiedono una riorganizzazione della griglia oraria. La scuola che verrà propone due modelli, da discutere nei prossimi mesi, che prevedono l’alternarsi di blocchi di cinque settimane e una nuova organizzazione
Manuele Bertoli e Emanuele Berger, direttore della Divisione della scuola. (CdT)
del tempo scolastico, fra lezioni classiche, atelier, laboratori, settimane progetto e opzioni. La differenziazione è l’altro concetto cardine. Differenziare vuol dire adattare l’insegnamento alle possibilità di ogni allievo. Un compito non facile per il docente che, se vuole, già oggi lavora in questo modo. «La diversificazione delle strategie di insegnamento, dell’approccio e delle pratiche didattiche è funzionale all’ottenimento di un’eguaglianza di risultati (dove per eguaglianza si intendono i migliori risultati possibili per ognuno), il che equivale a produrre equità». L’obiettivo è meritevole, ma sembra anche molto teorico. Un docente potrà diversificare e personalizzare, ma da solo sarà difficile che possa seguire venti o più allievi con un percorso individuale per ciascuno. Per questo la riforma prevede di ricorrere maggiormente alla collaborazione tra docenti e, in alcuni casi, al co-
insegnamento. Ma ci saranno le risorse per aumentare il numero dei docenti? E quante saranno le nuove forze in più? La valutazione è l’altro capitolo che ha già fatto molto discutere. Oggi ci sono le note e alla fine della scuola media bisogna ottenere una media del 4,65 per poter accedere alle scuole medie superiori. Ora la riforma sancisce un cambiamento radicale. La nota classica sulla pagella sarà sostituita da una valutazione che figurerà sulla «cartella dell’allievo», formulata con tre approcci diversi: diagnostico (raccoglie le informazioni generali sull’allievo), formativo (consiste nell’osservazione continua dell’evoluzione dell’allievo e dei suoi apprendimenti) e sommativo (descrive la padronanza dei contenuti e si fonda ancora sulle note). Dunque non si abolisce il sistema delle note, ma si arricchisce, grazie a un ulteriore sforzo dei docenti, chiamati a redigere in dettaglio il giudizio su ogni singolo allievo.
Altra novità è l’abolizione delle licenze di scuola elementare e media, ritenute superflue: «Al termine della scuola obbligatoria l’allievo riceverà un certificato di proscioglimento, accompagnato dalle note ottenute e dal quadro descrittivo degli apprendimenti che attesterà le competenze sviluppate nel corso del percorso formativo appena concluso». Parallelamente le scuole medie superiori prepareranno delle raccomandazioni con le indicazioni necessarie per accedervi. Magari – aggiungiamo noi - spunteranno anche gli esami di ammissione. Che ne sarà dei docenti, confrontati con questa mole di cambiamenti e novità? Pensiamo soprattutto a quelli della scuola media, l’ordine più sensibile e in cui ci sono i giovani nella fase più delicata della loro carriera scolastica. È un tema che rimane aperto: qualche tempo fa il DECS aveva proposto un nuovo «Profilo del docente», un catalogo di compiti e responsabilità che è stato ritirato perché investito da «quasi unanime forti dubbi e molteplici perplessità», come si legge ne «La scuola che verrà». Era infatti un testo ripetitivo, ridondante, prolisso e scritto male. Il vero problema della riforma, che ha indubbi aspetti positivi, è l’ulteriore carico di lavoro che viene assegnato ai docenti, in una fase in cui sono già confrontati con il nuovo Piano di studio varato l’anno scorso (che imposta l’insegnamento per competenze), con il profilo del docente, che verrà riproposto, e con le ripetute misure di risparmio. In sostanza le innovazioni non possono essere applicate senza un aggravio dell’impegno del corpo insegnante. Il documento sottolinea che i «docenti sono i principali attori del cambiamento, ed è quindi necessario fornire loro le condizioni quadro necessarie». In questi mesi è in corso una consultazione fra i docenti e coloro che si interessano al tema. L’intero Paese dovrebbe preoccuparsene, perché la scuola dell’obbligo appartiene a tutti e dalla qualità di questa istituzione dipende anche la qualità e il futuro della società. La scuola, inoltre, come dice la legge, è composta dai docenti, dagli allievi e dalle famiglie, quindi ascoltare tutte le voci può solo far bene: un primo progetto è stato presentato nel dicembre di due anni fa e sono già stati pubblicati
parecchi pareri, anche critici. Fra i politici non è mancato chi ha detto che non si può lasciare nelle mani di un solo dipartimento una riforma tanto importante. Il progetto dovrà, dopo la fase di sperimentazione, prevista tra il 2017 e il 2021, passare in Parlamento. Il rischio, conoscendo il nostro Paese, è che, invece di discutere del merito, si finisca per cercare contrapposizioni basate sulle solite schermaglie partitiche. In ambito sindacale si esprimono riserve sul carico di lavoro dei docenti, ma si sottolineano anche dubbi su alcuni aspetti della riforma, che viene considerata calata dall’alto, e rischia di indebolire il ruolo del docente con la frammentazione dell’insegnamento. C’è chi ritiene che le discipline perdano rilievo a vantaggio delle competenze trasversali. Altra preoccupazione, espressa da più parti, è che la scuola media attuale sia di fatto più inclusiva rispetto a «La scuola che verrà», oppure che la personalizzazione finisca per ridursi a un appiattimento generale verso il basso. Insomma, non mancano le adesioni al progetto, ma si manifestano anche critiche puntuali. Sarà interessante vedere in che misura le osservazioni provenienti dai docenti saranno accolte dal DECS. La spesa per attuare le misure viene preventivata in 32 milioni di franchi. Il costo complessivo della scuola ammonta a 465 milioni, quindi il maggiore investimento si situa al 5,4 per cento. Forse fin troppo poco per un cambiamento così significativo. Va ricordato che il Cantone spende un bel mucchio di milioni per il settore universitario (USI e SUPSI). Soldi ben spesi, ci mancherebbe, ma sulla scuola obbligatoria, essenziale per la formazione di una società, lo Stato non può più risparmiare. Sul ruolo sociale della scuola dell’obbligo rimane sempre vivo lo sguardo lungimirante della Scuola toscana di Barbiana: «Perché il sogno dell’eguaglianza non resti un sogno – scrivevano i ragazzi di don Milani in Lettera a una professoressa - vi proponiamo tre riforme: 1) Non bocciare. 2) A quelli che sembrano cretini dargli la scuola a tempo pieno. 3) Agli svogliati basta dargli uno scopo. Se ognuno di voi sapesse che ha da portare innanzi a ogni costo tutti i ragazzi e in tutte le materie, aguzzerebbe l’ingegno per farli funzionare». Correva l’anno 1966.
Manuele Bertoli risponde alle critiche La diversificazione dell’insegnamento, che può realizzarsi anche con una «promozione delle disuguaglianze», non rischia di perpetuare queste differenze piuttosto che superarle? E, inoltre, non sfavorirebbe i più dotati?
Un trattamento analogo di persone diverse produrrebbe disparità, non parità. Oggi già trattiamo diversamente i più deboli, cercando di dar loro giusta attenzione, ma questo concetto va esteso anche ai più bravi. Insomma, differenziare l’insegnamento diretto a persone che per loro natura sono diverse con l’obiettivo di andare a prenderle là dove sono e portarle tutte il più lontano possibile.
Azione
Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni
La creazione degli atelier, dei laboratori e dei gruppi di progetto non crea una frantumazione eccessiva della classe, a scapito anche del rapporto tra docente e allievi?
Non è automatico che gli allievi vengano in contatto con più docenti di quanto accada oggi, qui semmai il lavoro da fare va nella direzione di docenti con più abilitazioni e non una sola. Quel che è certo è che queste forme didattiche consentono agli allievi di passare più tempo in ogni disciplina approfondendo maggiormente la materia. Ad esempio, storia e geografia non saranno più offerte per 2 ore a settimana entrambe, ma in un blocco Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni
di 5 settimane si avrà 4 ore di storia e in un altro blocco 4 ore di geografia. Il che è meglio per allievo e docente. La valutazione che si fonda sulla «scheda dell’allievo» non rischia di creare un documento che possa danneggiare l’allievo debole?
Le sole note sono ben più grossolane e stigmatizzanti di un documento più completo. Certo non si potrà e dovrà nascondere la realtà dell’allievo, che comunque salta sempre fuori, ma mettere in luce anche le competenze non prettamente scolastiche, accanto a quelle che oggi e domani sono e saranno riassunte dalle note. E questo consentirà di valorizzare proprio gli allievi deboli. Editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino Telefono 091 850 81 11 Stampa Centro Stampa Ticino SA Via Industria 6933 Muzzano Telefono 091 960 31 31
Il nuovo sistema di valutazione non è una rinuncia a una selezione che la scuola dovrebbe in qualche modo garantire?
Alla fine della scuola dell’obbligo gli allievi non avranno tutti la stessa valutazione e queste differenze si vedranno ed avranno un impatto anche sulle scelte postobbligatorie. Ma durante la scuola dell’obbligo non vogliamo dividere gli allievi in strutture separate (oggi i livelli), ma costruire percorsi diversi all’interno delle stesse classi grazie alla presenza di più docenti che possano fornire soluzioni differenziate flessibili. Sono cose che accadono in parte già oggi, ma con pochi mezzi e grazie solo alla Tiratura 101’614 copie Inserzioni: Migros Ticino Reparto pubblicità CH-6592 S. Antonino Tel 091 850 82 91 fax 091 850 84 00 pubblicita@migrosticino.ch
buona volontà di docenti eccezionali. La selezione deve avvenire in base ad una conoscenza più approfondita degli allievi. Non si pretende troppo dai docenti? Quanti docenti in più sono previsti nella scuola media?
I maggiori costi della riforma sono essenzialmente destinati ad avere più docenti per gli stessi allievi. Questo però non semplicemente facendo classi più piccole, ma introducendo meccanismi di collaborazione tra docenti che permettano di avere le risorse per gestire la differenziazione. Inoltre la riforma prevede di creare delle condizioni quadro che faciliteranno il lavoro dei docenti. Abbonamenti e cambio indirizzi Telefono 091 850 82 31 dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@migrosticino.ch Costi di abbonamento annuo Svizzera: Fr. 48.– Estero: a partire da Fr. 70.–
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Società e Territorio
Una casa custode del passato Casa Guidini C ostruita nel 1851 dal politico Giovanni Battista Ramelli fu acquistata
dall’architetto Guidini e conservata fino ad oggi intatta dal nipote Arnaldo Guidini
Stefania Hubmann Una presenza che si percepisce ancora oggi, una memoria viva in ogni stanza di una signorile dimora di metà Ottocento incastonata nel nucleo di Barbengo e rimasta sinora miracolosamente intatta al suo interno. La figura dell’architetto Augusto Guidini (Barbengo 1853 – Milano 1928), di cui un volume di recente pubblicazione ricostruisce iter professionale e impegno civile, è sempre lì, seria e pensierosa, ad accogliere gli ospiti nel salone al primo piano. Il grande quadro del pittore Attilio Balmelli che lo ritrae è una delle innumerevoli testimonianze di una vita intensa, divisa principalmente fra Barbengo e Milano, ma caratterizzata anche da molteplici viaggi e soggiorni in Paesi lontani. Per il dottor Arnaldo Guidini, nipote del noto architetto, il ritratto è soprattutto uno dei ricordi più cari. Fra questi, altre tele collezionate dal nonno, come una Madonna del Petrini che apprezzava in modo particolare, e i suoi diari. Molto dettagliato e personale quello in cinque volumi del primo viaggio in America del Sud con meta Montevideo.
Il patrimonio librario è stato donato alla Biblioteca dell’Accademia di architettura, quello professionale all’Archivio del moderno A 84 anni, Arnaldo Guidini ci offre un viaggio a ritroso nel tempo in quella che la famiglia ha sempre considerato «la casa» e dove quattro generazioni hanno trascorso parte della loro vita soprattutto sull’arco del Novecento. Pur essendo cresciuto a Milano, il padre di Arnaldo Guidini, Augusto jr. (1895-1970), pure lui architetto, ha conservato la dimora di Barbengo – oggi inserita nell’Inventario dei beni culturali quale proprietà tutelata a livello locale – come residenza familiare e archivio del suo operato nel solco tracciato dal padre. «Costruita dal noto politico e militare di carriera Giovanni Battista Ramelli nel 1851 – racconta Arnaldo Guidini – la casa venne acquistata da mio nonno dagli eredi dalla vedova Ramelli nel 1890 e in seguito ampliata con l’aggiunta della torretta». Oggi conta una quindicina di stanze che si aprono l’una sull’altra su tre piani. Locali riccamente decorati
La sala di casa Guidini a Barbengo, sulla parete il ritratto di Augusto Guidini dipinto da Attilio Balmelli. (F.&M.Papetti)
che ospitano numerosi oggetti e opere d’arte, benché il dottor Guidini confidi di averla «alleggerita» quando si è trasferito a Barbengo una ventina di anni or sono dopo il pensionamento. A differenza di padre e nonno, egli ha scelto la professione del medico, lavorando per quasi trent’anni come anestesista negli ospedali pubblici. Per praticità ha quindi sempre vissuto in città, mantenendo però un profondo legame con la dimora familiare, dove ha trascorso gli ultimi anni di vita anche la madre. Una vera e propria casa d’artista nella quale l’eclettica personalità di Augusto Guidini ha riunito collezioni di quadri, libri, oggetti particolari raccolti durante i viaggi e nei cantieri, e ancora progetti, disegni e scritti legati alla sua attività professionale e alla militanza politica. «Due camere al secondo piano – precisa al riguardo Arnaldo Guidini – erano occupate dalla biblioteca che ho in parte ceduto alla Biblioteca dell’Accademia di architettura di Mendrisio. Si tratta di circa seicento titoli comprendenti anche volumi acquistati da mio padre nella prima metà del secolo scorso e oggi introvabili. L’Archivio del moderno ha invece ricevuto in donazione l’archivio professionale. In questo modo ho potuto garantire la conservazione di entrambi. La casa è così grande e poco adeguata alle comodità dei tempi moderni che risulta molto difficile riscaldarla ed evitare che l’umidità intacchi beni delicati come lo sono le carte ottocentesche. Le nuove collocazioni hanno inoltre
permesso di catalogare e in seguito studiare una grande quantità di materiale, valorizzando l’operato di mio nonno. Fino agli anni Ottanta nessuno si era mai occupato di lui. Tutto è iniziato con l’interesse di un professore romano per il progetto del piano regolatore di Messina. Un piano non adottato, ma che ha permesso di riscoprirlo. Ricordo ancora la sua telefonata e il giovane studente che è venuto a Barbengo per le ricerche poi sfociate nella sua tesi di laurea». Separarsi da queste testimonianze è stato difficile, ammette il dottor Guidini, ma al tempo stesso rassicurante proprio per la certezza della loro adeguata conservazione. Pur avendo scelto una carriera diversa, Arnaldo Guidini, affascinato sin da bambino dalla figura del nonno scomparso quattro anni prima della sua nascita, si è sempre dedicato con passione alla sua storia personale. Per il recente volume pubblicato dall’Accademia di Architettura ha redatto un contributo sulla biografia professionale di colui che oggi è annoverato nell’Inventario svizzero di architettura quale importante architetto erudito del suo tempo e tra i pionieri della storiografia e della salvaguardia dell’arte. Il nipote ritrova il nonno in ogni stanza della casa di Barbengo, come ad esempio nello studio, dove sono stati trasferiti alcuni dei mobili provenienti dallo studio milanese e dove è appeso il bozzetto del ritratto di Augusto Guidini firmato da Luigi Rossi. Di quest’uomo – «di alta statura, imponente, con occhi azzurri dallo sguardo scrutatore»
– in famiglia rimane però soprattutto l’insegnamento morale. «L’attaccamento al lavoro e il senso del dovere sono il grande esempio che il nonno ha trasmesso a mio padre e lui a me. Sono sempre stato affascinato anche dall’idealismo e dalle convinzioni che animavano non solo mio nonno ma diverse personalità della sua epoca. Sentimenti oggi molto più difficili da trovare». Il ritratto personale che il dottor Guidini presenta del nonno non è comunque solo elogiativo. Da persona equilibrata qual è, riconosce luci e ombre dell’illustre progenitore. «Era un uomo molto ostinato, polemico e assai poco incline al dialogo. Con lo sguardo di allora forse il suo atteggiamento era in parte giustificato, ma di sicuro alcune sue battaglie sono state compromesse proprio dall’eccesso di ironia e sarcasmo. Penso ad esempio alla questione della cremazione, che non voleva rendere obbligatoria ma solo possibile. Questo suo modo di essere, caratterizzato da un fortissimo ego che lo rendeva incrollabile nelle sue idee, gli ha reso la vita difficile. Ha avuto scontri vivaci sia nella professione sia in politica, alcuni dei quali anche molto duri, come quello con Francesco Chiesa». «Era un uomo in anticipo sui tempi in tutti gli ambiti», conclude Arnaldo Guidini. Il nipote invece si considera piuttosto un uomo del passato, erede di un’importante tradizione che con discrezione ha saputo conservare e valorizzare.
no nei loro spostamenti. Certo non è sempre facile rimanere tranquilli, di cose brutte ne accadono e i genitori giustamente si preoccupano, ma qualche volta la facilità e la velocità dell’uso della tecnologia tende ad amplificare drasticamente le loro ansie trasformandoli in controllori onnipresenti e invadenti al limite del sopportabile e del lecito. Una mamma intervistata dal «Tages Anzeiger» ha ammesso di usare regolarmente la funzione di geolocalizzazione di Apple per rintracciare costantemente sua figlia tramite il cellulare, mentre un padre disattiva regolarmente gli iPhone dei suoi due figli quando sono a scuola mettendoli in modalità aereo a loro insaputa. «Loro credono che a scuola non ci sia campo», spiega orgoglioso del suo controllo a distanza. Ralf Kiene, papà
tedesco, ha addirittura inventato una funzione GPS chiamata, non a caso, iNanny per seguire sempre i suoi due figli. Che l’utilizzo e la sorveglianza dei propri figli tramite le app sia ampiamente diffuso in Svizzera e nel resto del mondo lo confermano anche gli esperti, ma mettono altresì in guardia dalle controindicazioni che ne conseguono. I genitori si giustificano dicendo che sono preoccupati per i loro figli. Ma anche i bambini e i ragazzi hanno diritto alla loro sfera privata dicono gli psicologi, così come è scritto nella convenzioni ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Hanspeter Thür responsabile della protezione dati della Confederazione fino al 2015 lo dice chiaramente: «un generico bisogno di sicurezza dal punto di vista della protezione dei dati non giustifica una sorveglianza perma-
Notizie brevi Time out. Young Il Dipartimento economia aziendale, sanità e sociale della SUPSI organizza un ciclo di conferenze dedicate ai giovani. L’iniziativa, curata dal giornalista economico e docente SUPSI Alfonso Tuor, consiste in una serie di incontri di approfondimento rivolti a studenti, docenti e a tutti gli interessati. Il ciclo intitolato Time Out. Young vuole stimolare riflessioni personali sui temi che riguardano i giovani nella vita quotidiana e gli esperti che lavorano a stretto contatto con il mondo giovanile. L’intento di questa nuova edizione è proprio quello di dare spazio a discussioni aperte. Il ciclo proseguirà anche nel prossimo semestre primaverile toccando temi come: I giovani e il lavoro, I giovani e la sessualità e I giovani e la religione. Gli appuntamenti sono: • 3 novembre 2016. I giovani e la violenza. Reto Medici, Magistrato dei minorenni del Canton Ticino • 10 novembre 2016. I giovani e i social media. Michele Marangi, Docente di Tecnologie dell’istruzione e dell’apprendimento, Università Cattolica di Milano • 24 novembre 2016. I giovani e le addiction. Cinzia Campello, Psicologa e psicologa delle emergenze. Docentericercatrice SUPSI. Mauro Croce, Psicologo, psicoterapeuta e criminologo. Docente SUPSI • 1 dicembre 2016. Libera circolazione droghe leggere: pareri a confronto. Antonio Perugini, Procuratore Generale sostituto. Fabrizio Sirica, Comitato interpartitico per la regolamentazione della cannabis • 15 dicembre 2016. I giovani e gli ideali. Maria Caiata Zufferey, PhD in Scienze sociali. Docente-ricercatrice SUPSI. Lorenzo Pezzoli, Psicologo e psicoterapeuta FSP. Docente-ricercatore SUPSI Gli incontri si tengono dalle 12.30 alle 13.30 nella sede DEASS del Palazzo E a Manno, Aula 111. Info: www.supsi.ch/go/time-out Oliver Scharpf al Monte Verità È previsto venerdì 4 novembre presso il Monte Verità un incontro con il nostro collaboratore Oliver Scharpf. La serata prende il titolo dal libro pubblicato da Scharpf: Lo chalet e altri miti svizzeri che raccoglie articoli apparsi sul nostro settimanale. Partendo dal rifugio antiatomico, venticinquesima tappa del suo libro, Oliver Scharpf traccerà una panoramica delle grandi ossessioni elvetiche: la mania per le cavità sotterranee, portata all’apice proprio quest’anno nella celebrazione dell’Alptransit, e il leitmotiv della miniaturizzazione: Swissminiatur, orologi, coltellini svizzeri, music-box, panorama, minigolf. L’appuntamento è per le 20.30.
La società connessa di Natascha Fioretti App e genitori, un connubio pericoloso A volte i ragazzini di oggi mi fanno tenerezza e nonostante girino con dei super telefoni e tablet di ultima generazione mentre io alla loro età mi divertivo a leggere Topolino non provo nemmeno un po’ di invidia per loro. Per me era bellissimo quando a dieci anni potevo andare in scuderia in bici e restarci fino a tardi. I patti non erano sempre quelli, a volte sarei dovuta rientrare prima, ma la mamma era super indaffarata e non aveva sempre tempo di corrermi dietro e a me bastava qualche monetina e una telefonata dalla cabina del telefono per tranquillizzarla e dirle che tardavo di qualche minuto. Il sapore della libertà e dell’indipendenza, anche solo per pochi attimi, a quell’età è magico. Così come mi ricordo i tempi al liceo, le prime marinate a
scuola e i sotterfugi per non farci scoprire dai genitori. Oggi tutto questo per i ragazzi è impossibile, le scuole sono sempre più attrezzate, voti, giustificazioni, assenze vengono tracciate online sul profilo dello studente. È un po’ come se i giovani di oggi dovessero pagare un pegno, fare penitenza per tutte le comodità e i vantaggi tecnologici dei quali oggi possono usufruire ma che si rivelano lame a doppio taglio. Se da un lato, infatti, aprono loro mondi insospettabili regalando opportunità invidiabili, inimmaginabili per noi, quelli della generazione del walkman con le cuffiette di spugna, dall’altro li rendono anche ipercontrollabili e rintracciabili. Quasi come se avessero un guinzaglio invisibile che li tiene legati tutto il giorno ai genitori che con una grossa lente alla Sherlock Holmes li supervisiona-
nente e costante dei propri figli». E se da un punto di vista giuridico il comportamento è criticabile, per Laurent Sédano, esperto di media di Pro Juventute lo è anche da un punto di vista educativo: «i genitori a volte perdono la misura e i bambini devono imparare a valutare i rischi, una possibilità che gli viene tolta se li si controlla continuamente a distanza». Se poi consapevoli di tutte le controindicazioni e gli effetti collaterali come genitori non potete farne proprio a meno allora, dicono gli esperti, dovreste almeno agire allo scoperto, in trasparenza per non ledere il rapporto di fiducia con i vostri figli. Tenendo poi presente una cosa: sono nativi digitali e prima o poi, mossi dallo spirito di sopravvivenza e dalla voglia di privacy, troveranno il modo di neutralizzare o scavalcare i vostri controlli.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 31 ottobre 2016 • N. 44
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Società e Territorio
Un casco per immergersi nel gioco
Videogiochi Q uest’anno i grandi nomi dell’industria dei videogiochi puntano sulla realtà virtuale, una tecnologia
dalle grandi potenzialità ma non ancora del tutto sviluppate Davide Canavesi Il 2016 è un anno potenzialmente molto importante per quanto riguarda la tecnologia d’intrattenimento. Il 3D è oramai passato di moda e molti televisori di nuova generazione non offrono nemmeno più la possibilità di inforcare scomodi occhialini per vedere film con una dimensione in più. Quest’anno però si sono concretizzati i piani di diversi grandi marchi legati all’informatica: PlayStation, HTC e Facebook. Stiamo parlando dei caschetti per la realtà virtuale, i quali promettono di cambiare per sempre il modo in cui interagiamo con i contenuti digitali. Il concetto di realtà virtuale non è certo una novità. Sin dagli anni Sessanta infatti ci sono stati diversi tentativi di creare dei sistemi per immergersi in mondi tridimensionali. Gli esperimenti degli ultimi cinquant’anni non sono però mai stati coronati da grande successo. Alcuni magari ricorderanno il Virtual Boy di Nintendo: un caschetto estremamente limitato sia per quanto riguarda la tecnologia usata per costruirlo che per quantità e qualità dei videogiochi prodotti. Il progetto fu un fallimento spettacolare che portò Nintendo a ritirarlo dal mercato appena un anno dopo la sua commercializzazione. I tempi però sembrano finalmente più maturi. La potenza di computer e console da videogiochi è cresciuta in modo esponenziale, la tecnologia di fabbricazione degli schermi permette di raggiungere risoluzioni elevatissime e i sistemi di tracciamento
Oculus Rift è un visore per la realtà virtuale inventato nel 2012 dal giovanissimo Palmer Luckey. (www.oculus.com)
spaziale a tre dimensioni sono diventati precisi e relativamente poco costosi. La nuova corsa alla VR (o virtual reality) è iniziata a Long Beach, Stati Uniti, nel 2012. Un ragazzo di nome Palmer Luckey, assieme ad alcuni veterani dell’industria dei videogiochi, decise infatti di creare un caschetto per la realtà virtuale che chiamò Oculus Rift. L’allora diciannovenne riuscì a convincere professionisti più anziani e con molta più esperienza di lui a seguirlo in una folle avventura. Dal 2012 sono passati oramai quattro anni ed Oculus Rift non è più un prototipo costruito in un garage.
Dopo aver organizzato una campagna di crowdfunding di grande successo su Kickstarter ed essere stato acquistato da Facebook, il progetto di Palmer Luckey è una realtà. Il progetto Oculus ha avuto talmente tanta eco nell’industria dei videogiochi che è stato immediatamente adottato anche da altri. Tra i vari nomi (e sono davvero tanti a contendersi questo nuovo mercato) troviamo Samsung, HTC e PlayStation. Samsung, in collaborazione con Oculus, ha creato Gear VR. Un sistema basato sull’utilizzo di un visore e uno smartphone che lavorano in tandem
per offrire una rudimentale esperienza di gioco. HTC ha creato Vive, il sistema che al giorno d’oggi è tecnicamente più valido e completo, offrendo non solo una finestra sulla realtà virtuale ma anche la possibilità di muoversi fisicamente in uno spazio di 25 metri quadrati pieni di elementi a tre dimensioni. Non dimentichiamoci nemmeno PlayStation che, proprio in questi giorni, ha iniziato la vendita di PlayStation VR, una soluzione molto simile ad Oculus Rift. Mettendo da parte le differenze tecniche di Oculus Rift, HTC Vive e PlayStation VR non possiamo che in-
20%
terrogarci sul tipo di esperienze offerte da questa nuova tecnologia. I giochi in realtà virtuale sono un concetto nuovo e non ci sono, per ora, consensi su come si debba creare un gioco in VR. Alcuni titoli possono scatenare una forte nausea nel giocatore, dal momento che il cervello viene convinto che il nostro corpo è in movimento quando in realtà non lo è, causando interferenze con il senso d’equilibrio. Altri, molti al momento, sono delle semplici «esperienze» dalla durata estremamente ridotta che non giustificano la spesa di 500 franchi (per PlayStation VR) e fino a 1000 (senza contare un computer potente da almeno 2000 per HTC Vive ed Oculus Rift). Nonostante il 2016 sia l’anno in cui tutti i maggiori produttori hanno immesso sul mercato le loro proposte, per ora non sono altro che schermi e sensori estremamente precisi con poco da offrire sul lungo periodo. Ci sono giochi di guida, giochi di guerra e programmi che simulano una sala cinematografica e persino alcuni corti d’animazione molto suggestivi. Ma questo non basta, per ora, a rendere la VR una solida realtà con un futuro assicurato. Chi scrive ha provato ogni singolo visore per la realtà virtuale al momento sul mercato (più alcuni che lo saranno presto) e il consiglio è: prudenza. Non acquistate un caschetto VR senza prima averlo provato e, nel caso non possediate una PlayStation 4, verificato che il vostro computer (basato su Windows, niente Mac) sia all’altezza. La VR avrà forse moltissime potenzialità ma ha ancora moltissimo da dimostrare. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 31 ottobre 2016 • N. 44
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Società e Territorio Rubriche
Lo specchio dei tempi di Franco Zambelloni Eclissi del sacro? I rilevamenti statistici segnalano la tendenza costante alla diminuzione dei credenti, specie tra le nuove generazioni: in Francia, ad esempio, solo l’8 per cento dei giovani considera importante la religione; ma anche in Italia e nel Ticino si registra un calo costante e progressivo degli aderenti alle fedi tradizionali. Sono molti i fattori che determinano questo fenomeno, e sono facilmente intuibili. In passato, quasi nessuno dubitava delle verità dettate dal magistero dell’autorità ecclesiastica; ed è ben noto il meccanismo psicologico in base al quale, se una grande maggioranza afferma una cosa, la minoranza, pur dubitandone, di solito si accoda. Perciò è possibile anche un fenomeno di contagio in direzione inversa: più crescono i dissidenti dalla verità conclamata, più il fenomeno tende ad espandersi. La stessa autorità ecclesiastica ha poi perso gran parte della
sua influenza, a partire da quando le rivoluzioni liberali hanno nettamente separato la sfera religiosa da quella politica, togliendo alla Chiesa un potere che aveva detenuto per secoli e secoli. Ma soprattutto, con la diffusione della cultura, si è affermata una razionalità scientifica che rende ovviamente più scettici nei confronti di quanto esula dall’ambito della comprensione razionale. Le statistiche lo confermano: la credenza religiosa diminuisce proporzionalmente alla crescita del livello di istruzione. Da un lato, questo processo di secolarizzazione ha portato indubbi vantaggi: la libertà di pensiero, la tolleranza verso qualsiasi fede religiosa, la fine di privilegi e abusi di una casta dominante. La stessa dottrina cristiana si è evoluta nella direzione indicata dal pensiero laico: se un tempo un nome di Dio era Sabaoth, «Signore degli eserciti» (sempre invocato quando si
trattava di indire una «guerra santa»), oggi apprendiamo dal pontefice in carica che il nome di Dio è «misericordia» e che vuole solo la pace. Indubbiamente è un progresso. Ma nella storia umana non c’è mai un progresso che non comporti anche delle perdite. Una fede comune ha costituito sempre, in passato, anche un fattore identitario nel quale si riconosceva una comunità. Oggi che le nostre comunità vanno dissolvendosi nell’anonimato della globalizzazione e nello straripare dell’individualismo, il declino dell’identità religiosa costituisce dunque un fattore in più di disgregazione. Poi c’è, in particolare, una domanda che emerge dal sapere scientifico d’oggi e che getta una luce inquietante sul declino delle fedi religiose in Occidente. Non c’è cultura, in ogni epoca e civiltà umana, che non abbia venerato qualche divinità. L’universalità del fenomeno ha indotto molti filosofi e
antropologi a chiedersi come conciliare l’atteggiamento religioso con la teoria evoluzionistica, che ormai nessuno più si sogna di negare (salvo qualche frangia di integralisti). A prima vista, infatti, molti precetti della fede religiosa appaiono in netto contrasto con la spinta vitale e con il successo della specie: penitenze, digiuni, astensione sessuale, il sacrificio di sé fino al martirio sono difficilmente spiegabili all’interno di un istinto vitale che vuole la sopravvivenza dell’individuo e della specie. Come osserva Daniel Dennett, «probabilmente, fra gli esseri umani, quelli morti nel valoroso tentativo di difendere luoghi e testi sacri sono più numerosi di quelli caduti nel tentativo di proteggere grosse riserve di cibo o i loro stessi figli e le loro case». La religione sarebbe dunque un’assurda falla nella strategia biologica? In realtà, ci sono biologi ed etologi, come Danilo Mainardi, che hanno messo in
luce il valore adattivo della tendenza a credere: lo spazio di irrazionalità presente nella nostra mente fa da contrappeso a quella razionalità che è fonte di angosce e disillusioni e può così favorire la sopravvivenza della specie umana; non solo: «può aiutarci a vivere, e soprattutto a morire, meglio». Se davvero è così, la perdita di religiosità nei nostri Paesi costituisce un fattore concomitante con quella decadenza dell’Occidente che ormai ravvisano in molti: il declino della nostra cultura trascina con sé anche il pilastro della sua fede. Questo non significa che la religione sia destinata a scomparire: se davvero la credenza nel sovrannaturale ha un valore adattivo per la specie, è possibile che, col tramonto dell’Occidente, alla nostra fede tradizionale ne subentri un’altra, magari importata da culture meno razionalistiche e più ostinate nell’adesione ai loro valori identitari.
liberty in ferro battuto arrugginito. Ogni tiglio, come altri alberi in altri parchi della rimembranza, ha una targhetta con su il nome di un caduto della prima guerra mondiale: Angelo Guerra è tutto un programma. Incrocio poi edera e muschio che abbelliscono le tombe abbandonate, mentre le siepi di bosso fanno un po’ labirinto. «Giardino esoterico» è stato anche definito dalla docente del Liceo Frattini autrice del libro, tirando in ballo, oltre alla solita simbologia massonica, anche una presunta deambulazione massonica obbligata: come nel tempio, si entra passando dal nord verso oriente, uscendo poi a occidente costeggiando il sud. Barra a dritta invece e avanti tutta fino alla cappella funeraria diroccata in fondo, disegnata da Giacomo Moraglia, lo stesso architetto milanese del municipio di Lugano. Lì a sinistra c’è il grande angelo orante e triste di Luigi Buzzi Giberto. Girando poi come nel baseball, agguanto con gli occhi clessidre alate, un paio di pungitopi,
imprecisati miceti cimiteriali, tre cappelle di famiglia in pietra piombina una delle quali con trompe-l’œil paesaggistico di cipressi piegati dal vento prima del temporale estivo, papaveri scolpiti, croci templari, due bassotti attribuiti a Butti. Faccio un salto all’ex casa Butti, oggi biblioteca comunale, dove incontro Francesco Rizzi, bibliotecario-enciclopedia vivente viggiutese che si appresta a mostrare la gipsoteca di Butti e poi Villa Borromeo a una coppia di americani. Lei è professoressa all’università di Pittsburgh ed esperta di Butti. Accompagno il trio. Nell’ex scuderia spicca una falena cesellata sul timpano della stele in pietra grigia rossetta di Antonio Galli (1812-1861), uno degli scultori sepolti nel cimitero vecchio, lungo le mura a nord. In un salone affrescato della villa, appare La Modestia di Antonio Bottinelli (1827-1898) – anche lui sepolto nel cimitero – fino al 2000 dentro la neopalladiana cappella Corti, quella del trompe-l’œil. Nell’orangerie si
trovano il busto autoritratto di Giosué Argenti (1819-1901) e un angioletto, entrambi in marmo di Carrara e un tempo posti sopra i cippi dello scultore e della figlioletta accanto. Me li mostra il gentile bibliotecario, subito all’entrata, di fronte all’Adalgisa. Da lì mi porta al cippo modesto di Luigi Buzzi Leone (1823-1909): scultore animalista vissuto a Parigi. Sulla stele nel muro a sud, leggiamo poi un epitaffio di uno che è morto schiacciato da un masso nella sua stessa cava. Finora tutti i volti hanno floride barbe appuntite e Santino Pellegatta (1825-1901), artista e autore di Tre giorni a Viggiù (1894) – «guida storica-artistica-descrittiva» – non fa eccezione. Alcuni volti sono stati rubati lasciando un vuoto circolare nella pietra, non male la stele-puzzle lì per terra. Il due novembre, giorno dei morti, alle sette di sera, non perdetevi il cimitero illuminato con le candeline e alcune letture, quest’anno dalle Metamorfosi di Ovidio. Lo spettacolo per ora sono due foglie che cadono.
mente avvenuti, ma si vuol conoscere il retroterra che li ha prodotti. Insomma, le cause dirette, indirette e, forse, evitabili. Anche dal rischio delinquenza ci si può difendere? A ben guardare, si assiste a una sorta di preoccupazione preventiva, paragonabile a quanto avviene nell’ambito della salute dove, appunto, cresce l’esigenza di scoprire le possibili predisposizioni, genetiche o acquisite, verso malattie e incidenti. A tale scopo, si dispone, ormai, di un enorme armamentario di strumenti diagnostici, di farmaci, diete, attività sportive che, dovrebbero assicurarci una certa immunità. Ma, quali sono, invece, i fattori che espongono al rischio della devianza delinquenziale e quali gli anticorpi per sconfiggerlo? Qui ci si muove su un terreno ancora in fase di esplorazione, dove le ipotesi si sprecano e variano e persino si contraddicono, nel giro di pochi anni. Oggi, lo stesso Popper dovrebbe ricredersi. In quanto a effetti collaterali negativi, la televisione è stata
ampiamente superata dall’avvento di cellulari, tablet, social e via enumerando mezzi, che sarebbe azzardato considerare una causa diretta di delinquenza: prerogativa giovanile? Non esattamente, pensando ai casi che, nelle ultime settimane, hanno maggiormente scosso l’opinione pubblica ticinese, dall’omicidio di Stabio agli episodi di pedofilia nel Luganese, i protagonisti sono adulti. Anzi, persone cosiddette al di sopra di ogni sospetto. Con ciò, proprio queste vicende di casa nostra denunciano quanto sia irrilevante un altro fattore, spesso chiamato in causa: quello ambientale. L’ambiente degradato, dal profilo sociale e anche estetico delle periferie metropolitane, figura, infatti, fra le motivazioni che provocano malavita e persino terrorismo. Situazioni di disagio estremo, sconosciute da noi, al pari di certi retaggi culturali, i clan familiari, il delitto d’onore, lo strapotere del maschio. Da questo punto di vista, la Svizzera, il Ticino, favoriti dal
benessere, dalla bellezza paesaggistica e da un alto grado di scolarizzazione, dovrebbero sentirsi protetti: al riparo dell’insidia delinquenziale. Non è così. Secondo un recente studio dell’Istituto di criminologia di Zurigo, la Svizzera non merita più la qualifica di «paese più sicuro del mondo». Certo non ci si deve arrendere, rinunciando a studiare le probabili cause del fenomeno, senza però colpevolizzare i media che raccontano i reati, in particolare quelli dove c’è sangue, passione, mistero. È l’aspetto popolare e affascinante del crimine al quale la «Neue Zürcher Zeitung» ha dedicato, recentemente, un supplemento mensile. Dove l’atto criminale, espressione del male, veniva affrontato nei suoi effetti creativi. Un filone che, dalla pittura fiamminga a Dostoevskij, da Conan Doyle a John Grisham, ci tiene compagnia e ci sollecita. Secondo gli psicologi, leggere i gialli mette alla prova la logica e la fantasia del lettore che tenta di costruire, a sua volta, la soluzione dell’enigma.
A due passi di Oliver Scharpf Il cimitero vecchio di Viggiù Oggi viaggio a Viggiù. Mai stato in questo angolo di mondo in provincia di Varese quasi al confine con la Svizzera, ma sempre immaginato un po’ attraverso le pagine di Aldo Nove che è nato lì. A tre chilometri da Arzo dove sfreccio via in vespa. Via Elvezia, Saltrio, ed eccomi alla meta. Dopo la rotonda lo trovo al volo, cancello aperto. Il cimitero vecchio di Viggiù (461 m) è chiuso tutto l’anno tranne il periodo dei morti. È un cimitero sconsacrato la cui prima sepoltura risale al 1820 e l’ultima al 1912. Ha fatto notizia, qualche anno fa, dopo un servizio di Mistero andato in onda su Italia 1. Un reportage-baggianata con tanto di falsi fuochi fatui e la sagoma di una donna fantasma inquadrata con le telecamere a infrarossi alle spalle della patetica conduttrice ansimante. Da brividi, invece, le storie di fantasmi raccontate dai vecchi del paese, come quella del fantasma di una certa Eutilia che per amore si è uccisa con il veleno per topi. Marea di foglie morte, lapidi
in pietra arenaria delle cave locali da scoprire a poco a poco, tanti tigli tutti novantatreenni, il sole che filtra tra i rami un pomeriggio verso fine ottobre: il primo colpo d’occhio è una meraviglia. «Una testimonianza intatta di arte sepolcrale dell’Ottocento lombardo», questo il sottotitolo del libro Il Cimitero Vecchio di Viggiù (2005) scritto da Francesca Nicodemi con la collaborazione degli allievi del liceo artistico Frattini di Varese. Inoltre qui, benché alcune sculture di pregio siano state messe in salvo a Villa Borromeo, sono sepolti diversi scultori di Viggiù. Terra di scultori e picasass a forte vocazione lapicida, come Enrico Butti, conosciuto in occasione dell’elefante di Bregazzana e che tra l’altro abitava proprio qui di fronte. Colpisce il volto enigmatico di Adalgisa Farè Cassani (1876-1908) adagiata in vestaglia sul fianco sinistro. La donna a figura intera, scolpita nella pietra bianca di Saltrio ingrigita dal tempo e dalle intemperie, è recintata dai guizzi floreali
Mode e modi di Luciana Caglio Dietro i reati: che c’è? C’era d’aspettarselo. Anche nel caso dell’omicidio di Stabio, si è subito tirata in ballo la televisione confermando quel suo ruolo di cattiva maestra che le aveva assegnato Karl Popper, ormai più di vent’anni fa. E, questa volta, almeno a prima vista, la correlazione si spiega. Infatti, il principale indiziato è un appassionato di thriller, di cui il piccolo schermo è un generoso distributore. Ed è pure, come hanno accertato le indagini, un assiduo lettore di gialli, e, per di più, lui stesso un autore che si cimentava on line con racconti del genere horror. Insomma, ce n’era abbastanza per avvalorare la tesi dei malefici influssi che, appunto, serie televisive del tipo CSI, film tipo Shining e romanzi tipo Stephen King sarebbero in grado di esercitare sui nostri comportamenti. Il condizionale è d’obbligo in quanto non si tratta del risultato di una rigorosa ricerca scientifica, ma semplicemente di un luogo comune, sia pure diffuso e a suo modo sintomatico. Oggi, di questi aspetti privati in apparenza marginali,
si tiene sempre più conto per definire, dal profilo giudiziario e psicologico, la fisionomia di un possibile candidato alla delinquenza. Con evidenti conseguenze sul piano mediatico. Quando succede un crimine, non ci si accontenta di seguire i fatti, come sono concreta-
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 31 ottobre 2016 • N. 44
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Ambiente e Benessere Il viaggio per tutti La giornata mondiale del turismo 2016 è stata dedicata all’accessibilità turistica
I riti funerari Tana Toraja Singolare reportage dall’isola di Sulawesi, in Indonesia, dove antiche tradizioni locali propongono rituali funebri dalla liturgia complicata e spettacolare
L’Albaspina dei romani Molti i benefici fitoterapeutici del Biancospino, e altrettante le credenze che lo riguardano pagina 21
Quando si parla di occhi Il grande passo e il notevole progresso evolutivo realizzati dagli insetti
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La malattia nascosta Psicologia Una pubblicazione
Maria Grazia Buletti Pochi sanno che si può curare in modo efficace, pochi si curano, pochi ne parlano: è il Disturbo ossessivo-compulsivo (Doc). Colpisce, spesso già nella prima adolescenza, tra il due e il tre per cento della popolazione e genera non poche preoccupazioni nella persona che ne soffre e nel suo contesto famigliare. «Chi si lava le mani fino a scorticarsele, chi deve fare controlli infiniti in attività spesso banali, chi non riesce a disfarsi di oggetti inutili, fino all’esasperazione di non riuscire a gettare la spazzatura»: queste sono alcune manifestazioni del Doc che lo psichiatra Tazio Carlevaro cita ad esempio, e attraverso cui si può ben comprendere come questo disturbo renda la vita difficile. Malgrado ciò, solo lo 0,01 per cento delle persone si cura e chi ne soffre tende spesso a nasconderlo e a evitare i contatti sociali. La conoscenza di questo disturbo, ma soprattutto la consapevolezza che si può curare in modo efficace, sono il movente dell’Associazione della Svizzera italiana per i disturbi ansiosi, depressivi e ossessivo-compulsivi (Asi-Adoc) che recentemente ha promosso due iniziative di sensibilizzazione verso popolazione e professionisti del settore sanitario: il 6 ottobre scorso ha avuto luogo una conferenza pubblica alla Biblioteca cantonale di Bellinzona (Liberalamente da ossessioni e compulsioni) durante la quale è intervenuta sul tema la dottoressa in filosofia Alba
La Nutrizionista Rubrica online Solo nell’edizione online, www.azione.ch, riappare la rubrica mensile sull’alimentazione. La cura Laura Botticelli, dietista ASDD, che risponderà alle domande dei lettori (lanutrizionista@azione.ch).
Delsignore, docente nel Dipartimento di psichiatria dell’Università di Zurigo e membro del comitato della Società svizzera dei disturbi ossessivi compulsivi (Sgz). Parimenti, un gruppo di lavoro dell’Asi-Adoc coordinato dal dottor Carlevaro ha tradotto in italiano (e messo a disposizione di popolazione e sanitari) la seconda edizione del prontuario La malattia nascosta. Lo psichiatra si dice molto soddisfatto della partecipazione alla conferenza di un gremito pubblico, nel quale erano presenti addetti ai lavori del settore sanitario («medici, psicologi e infermieri»). «Ciò significa che gli specialisti stanno maturando interesse e consapevolezza e si fa strada la tendenza a prestare maggiormente attenzione alla tipologia dell’intervento adeguato, soprattutto nella presa a carico dei giovani», afferma il nostro interlocutore che cita pure le parole della relatrice: «Il Doc ha un tipo di logica in cui la persona si perde, pensando che non ci sia nulla da fare. Ma, cambiando il punto di vista, ci si rende conto che invece esistono le soluzioni terapeutiche verso le quali andrebbero orientati anzitutto gli operatori sanitari». Nella presa a carico del Doc si parla quindi di una multidisciplinarietà che contempla la preziosa collaborazione dei famigliari, i quali «si rivelano persone non ostili o pericolose, bensì collaboranti e preziosissime nel cammino terapeutico che, ricordiamolo, per essere efficace bisogna sia composto da una terapia cognitivo-comportamentale, una cura farmacologica e soprattutto una vera motivazione in comunione, appunto, con la famiglia». La specificità di questa patologia, le conseguenze negative su chi ne soffre e sul suo contesto di vita, le ripercussioni a livello famigliare e i possibili percorsi terapeutici efficaci sono le basi su cui poggia anche l’interessante pubblicazione La malattia nascosta. Già pubblicato in tedesco da Sgz, l’opuscolo (così è denominato dal dottor Carlevaro, ma
USDAgov
dell’Asi-Adoc a sostegno di chi soffre di disturbi ossessivo compulsivi
pensiamo si tratti di una pubblicazione che va oltre un semplice librettino informativo) è tradotto per il pubblico di lingua italiana da un gruppo di lavoro dell’Asi-Adoc capitanato dal dottor Carlevaro: «È di facile lettura e acquisizione dei concetti, dalla spiegazione della patologia, alla sua epidemiologia e ai tipi di Doc, proseguendo con le sue conseguenze. La presentazione del gruppo di auto-aiuto di Asi-Adoc dà inoltre ampio spazio alla presa a carico che oggi, attraverso una terapia mirata presso specialisti di salute mentale e di disturbi d’ansia, migliora in modo durevole la qualità di vita». Si tratta dunque di offrire un sostegno concreto alle persone colpite da Doc: «Non dimentichiamo che il Doc è caratterizzato da un inizio spesso insidioso, da un’alta prevalenza (il 3 per cento ne soffrirà nell’arco della vita),
da un’evoluzione verso la cronicità e da implicazioni famigliari e lavorative». Per questa serie di motivi, il dottor Carlevaro ribadisce da un lato la necessità di una vera motivazione («senza la quale le probabilità di successo terapeutico diminuiscono vertiginosamente»), d’altro canto sono da incentivare misure di salute pubblica che comprendano sia una diagnosi precoce, sia un intervento rapido. A questo proposito lo psichiatra si dice soddisfatto dell’interesse suscitato nell’ambiente sanitario: «Abbiamo inviato l’opuscolo a tutte le farmacie del cantone, ai medici generalisti, psicologi, psichiatri, pediatri e altri ancora che hanno a che fare con queste problematiche, i quali stanno richiedendone ulteriori copie da divulgare». Il primo obiettivo di raggiungere gli addetti ai lavori nel settore sanitario è dunque centrato.
Ora il sodalizio continua con gli incontri sul Doc aperti al pubblico: «Questi incontri permettono di orientare chi è coinvolto in qualche modo in queste problematiche sul da farsi e su come sia possibile trovare la motivazione per affrontare una cura. D’altronde, per non rischiare la cronicizzazione è importante chiedere aiuto». L’Asi-Adoc è a disposizione con l’intento dato dal fatto che, per affrontare il Doc bisogna conoscerlo e capirne la logica. Informazioni
La pubblicazione La malattia nascosta è scaricabile seguendo il link http://www.liberalamente.ch/ docs/2016/DOC, oppure può essere richiesta gratuitamente a info@liberalamente.ch o telefonando negli orari d’ufficio al numero 091.647.14.17.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 31 ottobre 2016 • N. 44
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Ambiente e Benessere
Mobility manager: compiti e obiettivi Ecosostenibilità È in vigore il decreto esecutivo che appoggia e finanzia misure a favore della mobilità sostenibile
a livello aziendale
Elia Stampanoni È entrato in vigore, negli scorsi mesi, il decreto esecutivo concernente la concessione di contributi per la mobilità aziendale. Si tratta di un breve documento, quattro pagine, che fa seguito alla decisione adottata a fine 2015, quando il Gran Consiglio ha votato e approvato la costituzione di un fondo per il finanziamento di provvedimenti in tal senso. La somma a disposizione della Sezione della mobilità del Dipartimento del territorio è di due milioni di franchi, che le autorità sperano di poter elargire nei prossimi anni a quelle aziende che proporranno dei progetti, interessanti e validi, al fine di migliorare la mobilità della loro ditta nel nostro cantone.
Oltre al car pooling, anche le navette aziendali sono delle valide alternative per ridurre il traffico Per capire i motivi che hanno portato il Ticino a stanziare una somma così importante e invogliare l’attuazione di misure incisive, è sufficiente percorrere alcune delle più frequentate arterie stradali, oppure anche solamente ascoltare Infostrada. Traffico intenso, colonne e rallentamenti sono ormai all’ordine del giorno, con conseguenze negative su vari fronti: dalle perdite di tempo all’inquinamento ambientale (fonico e atmosferico), fino al decadimento della qualità di vita generale. Situazione che sta diventando normale, ma che non deve esserlo. Anche i dati presentati dalla Sezione della mobilità sono impressionanti: dei 212mila che lavorano in Ticino, di cui 63mila frontalieri, l’85 per cento utilizza l’automobile per gli spostamenti pendolari casa-lavoro, dove il grado di occupazione è di 1,07. Ciò significa che, in media, su cento automobili solo sette sono occupate da almeno due persone. Ma non è tutto: ogni giorno in Ticino circolano 168’400 automobili unicamente per gli spostamenti casa-lavoro, una quantità che allineata coprirebbe la distanza tra Lugano e Napoli (842 Km). Facile intuire come intervenendo in modo deciso in questo settore si possano ottenere a breve e con pochi sforzi dei risultati importanti.
Vezia: circolazione rallentata alla rotonda della galleria Vedeggio-Cassarate. (Ti-Press)
Ridurre il numero di automobili in circolazione è proprio l’obiettivo primario del decreto sulla mobilità aziendale: se si riuscisse solo a far salire due persone sulla stessa automobile ecco che il numero di automobili si dimezzerebbe. Dei calcoli semplici che fanno capire come anche con la più classica delle misure, il car pooling (condivisone dell’auto) si può contribuire al miglioramento della caotica situazione viaria. Ma i due milioni stanziati dal Gran consiglio vanno ben oltre questa semplice soluzione, dato che lo scopo è di ottenere dei risultati ancor più rilevanti, a favore della qualità di vita di tutta la popolazione del cantone. Ai contributi, inoltre, possono accedere tutte le aziende, sia piccole sia grandi. L’importante è che i progetti generino un’effettiva diminuzione del numero di automobili in circolazione ogni giorno sul tragitto casa-lavoro. Proprio per informare le ditte e per invogliare le stesse ad adottare misure sostenibili, la Sezione della mobilità ha organizzato lo scorso ottobre un pomeriggio di formazione, al qua-
le hanno potuto partecipare persone già attive in quest’ambito, ma anche enti pubblici e organizzazioni che intendono inserire la figura del mobility manager nel proprio organico. Il mobility manager è infatti la figura di riferimento all’interno dell’azienda in tema di mobilità: solitamente già parte dell’organico, è colui che redige la richiesta di finanziamento, che promuove il cambiamento, sensibilizza, divulga e informa i colleghi di lavoro, favorendo l’attuazione delle misure e garantendone il monitoraggio. La mobilità aziendale, come ribadito in occasione della giornata di formazione da Federica Corso Talento, capo dell’Ufficio della pianificazione e tecnica del traffico del Cantone Ticino, «dovrebbe diventare un tema di ogni azienda, da discutere alla pari di altri settori». Ma quali sono le misure finanziate dalla Sezione mobilità? L’ente promotore può, per esempio, beneficiare di un contributo per l’allestimento di un piano di mobilità aziendale, ossia un progetto che permetta ai dipendenti (di un’azienda o di più aziende
unite in un piano di comparto) di attuare metodi di trasporto sostenibili, in pratica per ridurre gli spostamenti in automobile. Come detto è la figura del mobility manager ad occuparsi del progetto, ma può avvalersi di un consulente, un tecnico specializzato che elabora questi piani aziendali o di comparto. Nel Mendrisiotto è inoltre attualmente attiva anche la figura del coordinatore regionale che, nell’ambito di un progetto pilota, supervisiona e coordina i vari Piani promuovendo ulteriori sinergie fra aziende a comparti. La richiesta dei contributi va effettuata mediante l’apposito formulario e inoltrata prima d’effettuare gli interventi, proposte che – come detto – devono garantire un’effettiva riduzione degli spostamenti. Rientrano dunque anche l’utilizzo di biciclette aziendali, pensate sia per trasferte brevi tra casa e lavoro, sia per degli spostamenti professionali. In questi casi si possono ottenere contributi per l’acquisto di biciclette (elettriche o convenzionali) così come per l’installazione di pensiline e posteggi.
Una parte dei contributi è prevista pure per l’acquisto di furgoncini o autobus per il trasporto di persone, ma anche per altri tipi di contributi alla mobilità sostenibile, come per esempio infrastrutture per favorire il lavoro da casa (telelavoro) con tecnologie di videoconferenza. Tra i motivi che spingono a recarsi al lavoro in automobile, sovente vi è la necessità di effettuare ulteriori fermate e spostamenti prima, dopo o tra gli orari d’impiego. Ecco che la disponibilità di un asilo nido aziendale permetterebbe di togliere tale bisogno, alla pari della presenza di una mensa per eliminare i molti spostamenti registrati sulla pausa di mezzogiorno. Queste soluzioni vengono quindi pure sostenute dal decreto sulla mobilità, dato che possono rendere superfluo uno spostamento e quindi togliere un’altra automobile dalle strade. Dal canto suo, Migros Ticinopromuove, ad esempio, un incentivo aziendale a sostegno di una mobilità sostenibile concedendo lo sconto del 50 per cento a tutti i collaboratori per l’abbonamento Arcobaleno (il 35% lo paga Migros Ticino + un 15% la Comunità tariffale Ticino e Moesano). A parte il car pooling, anche le navette aziendali sono delle valide alternative per ridurre il traffico aziendale, come mostrato dal progetto pilota MobAlt che in soli tre mesi (da novembre 2015 a febbraio 2016) è riuscito a coinvolgere diverse aziende nel Mendrisiotto e istituire cinque differenti navette (poi diventate sei) che hanno permesso a oltre 200 lavoratori di lasciare a casa l’automobile. Dall’esperienza di MobAlt è quindi nata la Centrale di mobilità che si prefigge di creare una rete di contatti tra le aziende, raccogliere dati e proporre quindi misure adatte alle varie situazioni riscontrabili nel cantone. MobAlt è stato un progetto pilota di successo che ha dimostrato come per tutte le aziende ci siano delle soluzioni per ridurre il traffico viario. Con i due milioni a disposizione, mettere in atto queste misure dovrebbe essere ancora più allettante, e tutto a beneficio sia dell’ambiente, ma soprattutto della qualità di vita dei lavoratori e di tutta la popolazione. Informazioni
Sezione della mobilità, Via Franco Zorzi 13, 6500 Bellinzona, telefono: 091 814 26 51.
Il bottino da spartire
Giochi di parole Per quanto possa sembrare quella più pericolosa, la soluzione migliore è di tenersi quasi tutto
Ovviamente, bisogna supporre che i cinque ladri siano effettivamente dotati di spiccate attitudini logiche.
Soluzione
vincente. Infatti, gli altri quattro ladri, fortemente scontenti, sarebbero sicuramente indotti a votare contro la ripartizione del più anziano, facendolo fuori… Molto raramente (anzi, quasi mai...) «La Settimana Enigmistica» commette degli errori. Nel caso specifico, quindi, la soluzione proposta (anche se può sembrare assurda) è del tutto corretta. In assoluto, bisogna considerare che il criterio adottato avvantaggia fortemente il ladro più anziano, non solo perché gli consente di stabilire la ripartizione, ma anche perché gli concede una facoltà di voto che, in caso di parità, risulta determinante. Cercate di ricostruire lo sviluppo dei vari ragionamenti da effettuare.
1 - 2 - 3 - 4. Il ladro più anziano (n. 4) propone di tenersi 99 monete e di darne una sola al ladro n. 2. Siccome questo non ne riceverebbe neanche una, se il gruppo dovesse ridursi a un insieme di tre ladri, vota a favore della proposta, contribuendo a farla accettare. 1 - 2 - 3 - 4 - 5. Il ladro più anziano (n. 5) propone di tenersi 98 monete e di darne una al ladro n. 1 e una al ladro n. 3. Siccome questi due non ne riceverebbero neanche una, se il gruppo dovesse ridursi a un insieme di quattro ladri, votano a favore della proposta, contribuendo a farla accettare.
Un mio attento e assiduo lettore, mi ha sottoposto il seguente, curioso enigma logico-matematico, letto su un numero de «La Settimana Enigmistica» dello scorso anno (di cui, però, non ricorda la data precisa). «Cinque ladri furbi e abili nei ragionamenti matematici devono dividersi cento monete d’oro e scelgono uno strano criterio: il ladro più anziano farà una proposta su come spartirsi il bottino e tutti i componenti della banda (compreso lo stesso ladro anziano) la metteranno ai voti. Se almeno la metà dei votanti sarà favorevole, ognuno prenderà quanto pattuito, altrimenti l’anziano verrà ucciso. Toccherà poi a quello che lo segue in
ordine di età proporre un modo di dividere le monete tra i quattro restanti. Anche questa sua proposta sarà messa ai voti e anche lui morirà qualora essa non sia accettata da almeno la metà dei votanti… e così via. I ladri sono tutti molto avidi e cercano di ottenere quanto più possono dalla spartizione, ma sono anche attaccati alla pellaccia, per cui… In che modo deve proporre di dividere le cento monete il ladro più anziano, volendo tenere per sé il più possibile?» La risposta ufficiale è la seguente. Il ladro più anziano propone di tenere per sé 98 monete e di darne: una al più giovane, una a quello di mezzo, e nessuna agli altri due. Secondo il mio lettore, questa soluzione non può assolutamente essere considerata con-
Per praticità di esposizione, assegniamo a ogni ladro un numero da l a 5, partendo dal più giovane (quindi, il n. 1 al più giovane, fino al n. 5 al più anziano) e prendiamo in considerazione tutti i potenziali raggruppamenti di ladri, procedendo a ritroso. 1 - 2. Il ladro più anziano (n. 2) propone di tenersi tutte le monete. Una tale proposta, anche se palesemente prevaricante, ottiene almeno la metà dei voti (il suo...) e viene accettata. 1 - 2 - 3. Il ladro più anziano (n. 3) propone di tenersi 99 monete e di darne una sola al più giovane (n. 1.). Siccome questo non ne riceverebbe neanche una, se il gruppo dovesse ridursi a un insieme di due ladri, vota a favore della proposta, contribuendo a farla accettare.
Ennio Peres
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 31 ottobre 2016 • N. 44
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Ambiente e Benessere
Sorbole, che frutti!
Azione
Mondoverde Il sorbo, un piccolo albero
che colora l’autunno
Bello anche un suo parente stretto: il sorbo degli uccellatori (Sorbus aucuparia), della famiglia delle Rosaceae Ha una crescita lenta, raggiunge dai dieci ai quindici metri e vive tranquillamente fino a trecento anni; il tronco diritto presenta una corteccia ruvida fessurata color bruno arancio. Le foglie sono verde chiaro, alterne e lunghe fino a venti centimetri, con margine dentato, mentre i fiori piccoli, bianchi e riuniti in corimbi sbocciano a maggio. Bisogna invece attendere l’autunno per vedere le sorbole o sorbe colorate, ma si deve aspettare l’ammezzimento, cioè il periodo di sovra maturazione o la fine delle gelate per poterle assaporare. Ricche di vitamina C e acido malico, hanno inizialmente un sapore acidulo, mentre dopo la maturazione diventano dolci, con polpa molle e farinosa. In compagnia, o da solo come
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Originario dell’Europa meridionale e dell’Asia minore, il sorbo domestico (Sorbus domestica) i cui frutti a forma di mela vengono chiamati con il simpatico nome di sorbole, trova nell’autunno la stagione in cui appare più interessante. Se, infatti, in primavera si veste di infiorescenze bianche e d’estate sfoggia una bella e compatta chioma verde brillante, da settembre in poi le sue foglie si tingono di tonalità giallo-arancio e i frutti gialli e rossi compaiono in cima ai rami.
unico esemplare, può essere lasciato in un angolo del giardino o al limitare del bosco (magari adornando la base con vinche, pachysandre o felci) oppure ancora, in zone particolarmente riparate. Ben si accompagna ad azzeruolo, melograno, corbezzolo, alloro e mirto, ma anche a essenze più rustiche come bosso, spirea e biancospino. Messo a dimora in ottobre-novembre o febbraio-marzo, ama crescere in pieno sole o a mezz’ombra, tollerando in inverno punte fino a -12 °C. Va tenuta ben irrigata nei primi due anni d’impianto, poi la pianta si regola con la sola acqua piovana ed è consigliabile interrare sufficiente stallatico maturo o concime granulare per piante da frutta. Entusiasti di questa bella pianta? Allora vi consiglio anche un suo parente stretto: il sorbo degli uccellatori (Sorbus aucuparia), anch’esso originario di Europa e Asia, appartiene alla famiglia delle Rosaceae. Alto intorno ai quindici metri in età adulta, ha fiori bianchi simili a quelli del biancospino e si caratterizza per i frutti globosi, molto appariscenti che maturano in agosto. Le bacche sono molto ricercate dagli uccelli, specie a fine autunno, quando il cibo per loro scarseggia. Ed è proprio questo il motivo per cui questo piccolo albero veniva piantumato in prossimità degli impianti per la cattura dell’avifauna, da qui il nome sorbo degli uccellatori. Se i vostri intenti sono più pacifici e volete deliziare la vostra vista e magari anche lo stomachino di qualche uccello, piantatene alcuni esemplari se lo spazio ve lo permette, magari orientandovi verso la varietà fastigiata, dal portamento colonnare e compatto.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 31 ottobre 2016 • N. 44
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Ambiente e Benessere
Accessibilità per tutti
Viaggiatori d’Occidente Nuove categorie di turisti si affacciano sul mercato e gli operatori del settore
Claudio Visentin Ogni anno si celebra la Giornata mondiale del turismo (27 settembre), istituita per ricordarne l’importanza economica, sociale e culturale. Ogni anno si sceglie poi di dare particolare rilievo a un tema specifico: il cambiamento climatico (2008), la diversità (2009 e 2010), il dialogo tra le culture (2011), l’energia sostenibile (2012), l’acqua (2013), la comunità locale (2014), il superamento della soglia di un miliardo di arrivi internazionali (2015). Quest’anno il tema portante è stato l’accessibilità per tutti. Si pensa naturalmente in primo luogo ai disabili, ma anche agli anziani o alle famiglie con bambini. In questo campo i progressi sono stati enormi. Ancora qualche anno fa si credeva che solo metà della popolazione fosse in grado di viaggiare; oggi tutti sono considerati potenziali viaggiatori. È questo, del resto, uno dei grandi meriti del turismo, per sua natura profondamente democratico: grazie soprattutto alla riduzione dei costi, il viaggio non è più un privilegio per pochi, com’era stato per secoli. Nuovi servizi rendono tutto più facile. Persone come Doug Iannelli si occupano di rimuovere gli ostacoli. La sua compagnia, Flying Companions, offre completa assistenza alle persone anziane che non vogliono rinunciare al viaggio: un accompagnatore prenota i biglietti, le preleva da casa, si occupa del loro bagaglio, del check-in e dell’im-
barco in aeroporto, dorme nella stanza accanto in hotel, spinge la carrozzina attraverso musei e ristoranti, per ventiquattr’ore al giorno. Chiaramente tutti questi servizi costano, anche parecchio, ma molte persone anziane non hanno problemi economici. Il loro numero inoltre cresce: già ora negli Stati Uniti il 20 per cento dei passeggeri dei voli interni ha più di 65 anni; e gli over 85 passeranno da sei milioni (nel 2013) a quasi quindici (nel 2040). È un nuovo mercato tutto da esplorare. Le destinazioni saranno sfidate da questo nuovo pubblico, dovranno trasformarsi e adattarsi appunto in una prospettiva di accessibilità; e dunque strade, luoghi di sosta e ristoro, scivoli, ascensori ecc. Ma anche, per esempio, una proposta turistica in linea con le aspettative dei viaggiatori più anziani, perciò abbastanza tradizionale nella sua formula. Un generale consenso circonda il tema dell’accessibilità: chi vorrebbe impedire a disabili e anziani di godere della bellezza del nostro pianeta? Eppure una riflessione più approfondita mostra come l’accessibilità presenti anche alcuni risvolti discutibili. Per esempio ci si potrebbe chiedere se ha senso riservare al lavoro e alla carriera tutti gli anni migliori della nostra vita, come avviene spesso negli Stati Uniti, per poi volgersi al viaggio quando certo si gode di una buona rendita, ma tutte le altre condizioni sono meno favorevoli.
Keystone
devono tener conto delle esigenze della clientela e adattarvisi
Anche la trasformazione dei luoghi per renderli più accessibili non è sempre indolore. Alcune mete traggono la loro bellezza proprio dall’essere nascoste, diverse, protette, raggiungibili magari solo attraverso uno stretto sentiero. Che cosa si dovrebbe fare in questo caso? La montagna è un terreno dove si scontrano opposte visioni. Nel 1987 un piccolo gruppo di appassionati fondarono Mountain Wilderness (www. mountainwilderness.it): presto nelle loro fila si arruolarono nomi celebri
quali Edmund Hillary, il primo scalatore dell’Everest, e Reinhold Messner, che aveva conquistato quattordici cime oltre gli ottomila metri. Per farsi conoscere il gruppo di Mountain Wilderness non esitò neppure dinanzi ad azioni eclatanti, come il blocco della telecabina della Vallée Blanche (agosto 1988). Mountain Wilderness si batte contro un turismo sempre più di massa, contro l’uso indiscriminato e irrazionale del trasporto su gomma, la continua apertura di nuove strade e la
volontà di raggiungere con mezzi meccanizzati luoghi sempre più remoti. Nel mirino ci sono tutte le scorciatoie che banalizzano l’accesso all’alta montagna: strade, seggiovie, funivie, elicotteri, fuoristrada, motoslitte… Ovviamente fare a meno della tecnologia per attraversare un ghiacciaio o scalare una montagna comporta in molti casi la rinuncia all’impresa. Allo stesso modo nessuno discute che gli edifici moderni dovrebbero essere a misura di visitatore. Ma molti edifici storici furono progettati quando non ci si curava di questi aspetti. Ha senso stravolgerli per renderli più accoglienti? La legge sui disabili del 2004 prescrive sensatamente che le nuove costruzioni accessibili al pubblico siano prive di barriere architettoniche, ma per quelle già esistenti questo obbligo si applica solo in caso di rinnovo radicale. Anche in questo campo dei viaggi e del turismo, dietro ciascun esempio, si confrontano due visioni del mondo. Da un lato troviamo la posizione di chi insiste sull’uguaglianza: ne consegue la necessità di rimuovere tutti gli ostacoli – fisici e mentali – al pieno godimento dei propri diritti (da qualche tempo questo termine è usato sempre più spesso). Si contrappone una visione che muove invece dall’accettazione dei propri limiti, con i quali tutti, in misura maggiore o minore, dobbiamo confrontarci, anche al costo di qualche rinuncia. E voi, viaggiatori d’Occidente, da che parte state? Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 31 ottobre 2016 • N. 44
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Ambiente e Benessere
I rituali funerari dei Toraja
Reportage Ancora oggi nel cuore dell’isola di Sulawesi, in Indonesia, nonostante l’affermarsi del Cristianesimo
avvengono sacrifici di animali e si pratica un’antica forma di sepoltura Simona Dalla Valle, testo e foto Sono le dieci del mattino e il caldo è umido e soffocante. Nella corte interna di un’abitazione nei pressi del villaggio di Tikala, decine di bufali sono legati da corde spesse, ignari del destino cui andranno incontro nelle prossime ore. Ci troviamo nel cuore di Sulawesi, in Indonesia, undicesima isola al mondo per dimensioni, un tempo conosciuta con il nome di Celebes. La regione di Tana Toraja («terra dei Toraja»), al centro della quale la vicina città di Rantepao fa da nucleo commerciale, è nota per gli antichi rituali funebri della popolazione dei Toraja, che continuano a svolgersi nonostante il cristianesimo sia ormai diffuso in quest’area dell’isola, altrimenti a prevalenza musulmana.
In senso orario: Tikala, alla cerimonia di sacrificio dei bufali; tombe dei bambini nell’albero a Kambira; la caverna di Tampang Allo, dove sono sepolti i capi del villaggio di Sangalla; una casa tradizionale tongkonan. Una più ampia galleria foto sul sito www.azione.ch
I bufali più cari, i tedong bonga, hanno gli occhi azzurri e il manto chiaro e possono costare più di 23mila franchi Un elemento caratteristico delle cerimonie è il sacrificio dei bufali, uno spettacolo a cui assistono visitatori da tutta l’isola e diversi turisti. Dopo una rapida presentazione da parte di un annunciatore locale, che elenca gli esemplari di bufalo per numero e per tipo, lo spettacolo sanguinoso ha inizio. Uno a uno i bufali sono condotti di fronte alla piattaforma con la bara, orientata come da tradizione lungo la direttrice estovest; per i Toraja, l’est simboleggia la divinità e l’ovest la morte. I bufali sono quindi sgozzati con un unico, preciso colpo, e il sangue sgorga abbondante tra gli applausi e le risate del pubblico. Di tanto in tanto un bufalo riesce a liberarsi dalla presa e ad avvicinarsi agli spalti con passo malfermo, prima di ricevere il colpo finale o di crollare al suolo, esangue. Il pubblico è composto da parenti, amici e conoscenti della defunta, una donna morta oltre sei mesi prima. Questa è solo una delle particolarità che rendono unici questi rituali: i funerali possono avvenire a distanza di mesi o anni dal momento del decesso, il tempo che serve ai familiari per raccogliere tutto il denaro necessario. Terminato il sacrificio, il cadavere della donna, in precedenza definita «l’ammalata», è adagiato in una tomba esposta al di fuori della casa e, finalmente, diventa «la defunta». Il sacrificio dei bufali rappresenta un momento fondamentale delle cerimonie funebri toraja; il suo scopo principale è quello di nutrire l’anima
del defunto fino al momento dell’abbandono della terra e alla trasformazione in puro spirito. Chi assiste è solito portare un dono alla famiglia del defunto, per lo più sigarette, maiali o bufali. I bufali più costosi, i tedong bonga, hanno gli occhi azzurri e il manto chiaro e il loro costo può superare i 300 milioni di rupie (=23mila franchi). Un funerale su larga scala, o diripai, può arrivare ad avere un sacrificio di 300 bufali. Le donazioni sono regolamentate da una
lista in cui sono elencati i nomi dei donatori, i quali sono enunciati uno a uno prima della cerimonia sacrificale. Donne e uomini sono separati all’ingresso e assistono alla cerimonia da lati diversi degli spalti, i quali sono numerati allo scopo di differenziare i gruppi di visitatori, dai parenti più stretti ai semplici curiosi. Bufali e maiali possono essere acquistati ogni sabato al vivace mercato di Bolu, a pochi chilometri da Rantepao. I bufali sono lavati e preparati dai padroni prima della vendita, mentre i maiali sono venduti legati. Di tanto in tanto sono disponibili anche galli da combattimento. Una volta terminata la cerimonia, i corpi degli animali sono adagiati su foglie di palma, simbolo di buon auspicio, e scuoiati da persone di rango sociale inferiore rispetto a chi li ha feriti a morte. Fino agli anni Novanta, le pelli erano utilizzate per fabbricare corde per trasportare pietre e legno, e sono ora impiegate per la realizzazione di articoli di abbigliamento, accessori e scarpe. La carne degli animali sacrificati è in grado di fornire cibo a tutti i partecipanti per diversi giorni, e tra le varie bevande servite durante il banchetto vi è il vino di palma. La testa e le corna dei bufali sono posizionate sulla facciata della casa tradizionale, detta Tongkonan: a un alto numero di corna corrisponde una grande ricchezza della famiglia. La forma delle particolari abitazioni dei Toraja, simile a una nave, è stata dibattuta per diverso tempo: secondo alcuni ricorda il mezzo di trasporto con cui i Toraja sono arrivati dalla Cina; per altri rimanda alla forma del corno di bufalo. Anche i colori utilizzati per le decorazioni delle facciate rispettano una simbologia ben precisa: i quattro colori tipici sono il bianco della purezza; il rosso della forza; il nero della tristezza; il giallo della divinità. Nelle fasi successive del funerale i parenti indossano abiti scuri e si radunano attorno al sarcofago, dove intonano canti di accompagnamento al viaggio del defunto verso l’aldilà. Spesso si tengono danze allo scopo di celebrare questa «festa della morte», concepita dai Toraja come un momento unico e spettacolare.
Terminate le celebrazioni, è il momento della sepoltura. Ma i Toraja di rado sono sepolti nel terreno. La sepoltura più diffusa avviene in grotte scavate nel fianco roccioso di una montagna, o in bare di legno appese su una scogliera. Le tombe sono di fattura pregiata e richiedono alcuni mesi per essere completate. Un’effigie in legno intagliato che rappresenta il defunto, il tau-tau, è posta nella grotta che si affaccia sul paese. Le bare sono finemente lavorate e arredate, ma a causa del deteriorarsi del legno le ossa dei defunti precipitano a terra. Le tombe più antiche sono quelle di Londa, mentre
nella spettacolare caverna di Tampang Allo sono sepolti i capi del villaggio di Sangalla, ritenuti discendenti dalla divinità mitologica Tamborolangiq, colui che ha introdotto i rituali funebri, il sistema di caste e le tecniche agricole nella società dei Toraja. Se a morire è un bambino che non ha ancora iniziato la dentizione, è considerato di proprietà della natura, perché puro; il luogo di sepoltura è quindi ricavato nel tronco di un albero, chiuso da una porta in fibra di palma. Nello stesso albero possono essere sepolte decine di bambini, come avviene nel celebre tronco di Kambira.
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Ambiente e Benessere
La grande forza del Biancospino
Fitoterapia Un tempo si credeva che fra le sue tante virtù vi fosse anche quella di proteggere dai fulmini
Le sue bacche rosse, molto ricercate dagli uccelli, maturano nella tarda estate. In tempi non lontani, quando non si conoscevano merendine preconfezionate negli involucri che troviamo abbandonati dove non si dovrebbe, i ragazzi le mangiavano fresche durante le passeggiate nei boschi. I frutti essiccati su una piastra e ridotti in farina servivano per confezionare focacce; maturi, si usavano con le zucche per speciali marmellate; un poco acerbi e semplicemente schiacciati, erano invece somministrati contro la diarrea; e infine le foglie fresche ridotte in poltiglia erano applicate come impiastro per cicatrizzare ferite e ulcere. Il legno del Biancospino è durissimo e brucia bene, ci sono scultori e artigiani che lo considerano pregiato perché dopo la lavorazione rimane sempre lucente. Crataegus Oxyacantha lo chiamarono i greci: Kratos in greco significa forza; oxus, aguzzo; e antro, fiore. I latini lo indicavano con lo stesso nome che usavano per definire il cuore: Crategone, cioè il cratere del corpo umano dal quale fuoriesce il sangue che circola e dà vita all’intero organismo, cui come vedremo questa pianta è molto legata. Appartiene alla grande famiglia botanica delle Rosaceae, dalle numerose specie importanti per l’economia umana, come molti alberi da frutto. È un arbusto che sembra volersi mimetizzare seminascosto tra la vegetazione, dal fusto legnoso e contorto, dai rigidi rami irti di spini, dalla chioma fitta e
dai fiori dal caratteristico odore amaro che i chimici confermano derivare dalla trimetilamina, presente anche nella decomposizione di piante e animali. Le sue foglie sono glabre, profondamente lobate e coriacee, con un’infiorescenza a grappolo di 5-15 fiorellini bianchi leggermente sfumati di rosso, da maggio a giugno produce un frutto ovoidale che racchiude un seme.
La tradizione druidica associava il Biancospino alla dea che difende l’ordine naturale delle cose I romani lo chiamavano Albaspina, nome ancor oggi diffuso, e gli attribuivano il potere di scacciare gli spiriti negativi, per le sue spine, rimedio contro ogni negatività, qualità questa che insieme all’odore amaro carica la pianta di un forte simbolismo, di credenze e superstizioni. In Francia si credeva fosse stato usato per la corona di Cristo, era ritenuto albero miracoloso che rappresentava la vergine Maria, con fiori bianchi a indicare la purezza, stami rossi come gocce di sangue, rami spinosi che alludevano alla sofferenza. Sopravvive nell’iconoclastica rivoluzione francese, nella negazione di ogni credenza e fra tante piante viene eletto albero simbolo delle libertà, tra il 178992 ne saranno piantati ben 60mila esemplari.
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I Druidi – sacerdoti dell’antico popolo dei Celti che nel IV–II secolo a.C. abitava l’Europa – dividevano l’anno in 13 mesi, veneravano 13 alberi sacri, e dal 13 maggio al 9 giugno festeggiavano il Biancospino (per inciso i nati in questo periodo sarebbero aggraziati e imprevedibili, creativi e rapidi, volubili e curiosi, niente vieta di verificare se tale affermazione contiene qualche grano di verità). La tradizione druidica comunque lo associava alla dea che difende l’ordine naturale delle cose, più che mai attuale se pensiamo alla devastazione subìta della natura nella nostra
era, ma anche alla purezza, alla fertilità e alla crescita della vegetazione. Nella tradizione popolare europea si credeva che il Biancospino non venisse mai colpito dai fulmini e per questo durante i temporali ci si poteva riparare sotto le sue fronde. Si raccontava anche che sarebbero derivati notevoli guai e imprevisti abbattendo un Biancospino, soprattutto se carico d’anni. Il Biancospino vive molto a lungo, a Glastonbury, (GB) una pianta di 1600 anni, posta vicino alla prima chiesa cristiana d’Inghilterra fu abbattuta dai Puritani di Cromwell nel 1649. Nella
lingua gaelica si indica il Biancospino con il termine uath, che significa qualcosa che incute timore e spavento. Attenzione, la timida pianta è davvero potente e come non raramente succede, la scienza conferma e convalida antiche credenze. Il Biancospino agisce sul cuore, il nostro massimo organo, il motore della vita. La sua azione cardioprotettiva è confermata da molti studi clinici. Rafforza il cuore regolarizzandone il ritmo, ha un’azione dilatatrice sui vasi coronarici, equilibra la pressione del sangue, è in grado di alzarla se troppo bassa e di abbassarla se alta. La sua azione è efficace per stati d’ansia, nervosismo, tachicardia emotiva, apatia e stanchezza; è un alleato contro l’insonnia e le palpitazioni grazie all’azione sedativa dei tannini e dei flavonoidi contenuti nei fiori e nei frutti, composti che agiscono sul sistema nervoso centrale migliorando la qualità del sonno e riducendo lo stato di tensione. Inoltre ha effetti diuretici contro la ritenzione idrica. Alla tintura madre, una preparazione con fiori e foglie giovani raccolte da aprile a maggio, macerati in una soluzione idroalcolica di grado appropriato sono riconosciute proprietà ipotensive, toniche cardiache, ansiolitiche, antiaritmiche. Bibliografia
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Ambiente e Benessere
Occhi che vedono dappertutto Entomologia Lo straordinario apparato visivo degli insetti
Alessandro Focarile Sedetevi comodi e, senza muovere il capo, guardate davanti a voi girando al massimo gli occhi orizzontalmente. Il vostro campo visivo è racchiuso entro un angolo di circa 30 gradi. Ora, sempre comodi, girate il capo da sinistra a destra (o viceversa), oppure verso l’alto e verso il basso. L’angolo visivo è di circa 170 gradi. Ma se volete guardare indietro dovete ruotare il corpo. Moltissimi insetti, se potessero, riderebbero di scherno, considerando la modestia e la pochezza di queste prestazioni umane. In quanto il nostro occhio (a parte la possibilità della messa a fuoco della nostra retina) è strutturalmente un organo molto più semplice e che non consente grandi facoltà al confronto. Inoltre, a causa della sua «fabbrica», è molto vulnerabile e, riflessione non da poco, ne abbiamo soltanto due! Il grande passo e il notevole progresso evolutivo sono stati realizzati dagli insetti, da quelli primitivi con l’occhio semplice a quello composto e ben più complesso. Sono state necessarie decine di milioni di anni perché gli insetti potessero raggiungere un elevato livello di perfezione funzionale e anatomica, che consentono loro delle prestazioni comportamentali per noi umani non immaginabili. Quasi tutti i rappresentanti degli insetti rinvenuti nelle ambre fossili del Baltico (e risalenti a circa 35 milioni di anni or sono) hanno già perfezionati e complessi occhi composti, il che fa presumere che l’avvio del processo evolutivo abbia avuto inizio ben più addietro nel tempo.
Sono servite decine di milioni di anni perché gli insetti raggiungessero anatomicamente un’elevata perfezione funzionale Nel caso dei Collemboli (le cosiddette «pulci dei ghiacciai», «Azione 20», del 12 maggio 2014) hanno queste caratteristiche ai nostri giorni. Questi insetti primitivi, i cui resti fossili risalgono a 400 milioni di anni or sono, hanno soltanto qualche ommatidio. Il loro cammino evolutivo, sotto questo aspetto, si è bloccato e non ha più progredito. Gli occhi degli insetti sono organi altamente sofisticati, in quanto sono composti da un elevato numero di occhi semplici, detti «ommatidi».
Due specie di tafano (capo 5 millimetri e 7 millimetri). Sotto a sinistra una specie di libellula in attesa della preda (4 centimetri). (Alessandro Focarile)
Il loro numero può variare da 4mila della mosca domestica, da 12mila a 17mila nelle farfalle, fino a 30mila delle libellule. Queste ultime sono esseri molto primitivi per la loro morfologia; si conosce una gigantesca specie con un’apertura alare di 70 centimetri, i cui resti fossili (risalenti al Carbonifero, 300 milioni di anni or sono), testimoniano la lussureggiante vita che fioriva in quell’epoca. Il numero degli ommatidi è uno dei fattori dai quali dipende il potere risolutivo dell’occhio. Quindi, questo numero è maggiore in quegli insetti che sono forti ed efficienti volatori, e vivono di prede catturate al volo, che cercano guidati dalla vista: le libellule e i ditteri asilidi. Gli occhi composti, formati da un più o meno elevato numero di ommatidi, sono collocati lateralmente sul capo in numero di due, come nelle vespe e nelle cavallette. E, non a caso, essi sono collocati sotto le antenne dell’insetto, potenti centrali elaboratrici di stimoli nervosi governati dal tatto e dall’olfatto, facoltà che esaltano le potenzialità della vista. In altri
casi, l’area oculare può occupare tutto il capo: sono gli insetti «olo-ottici» (dal greco olos = intero). Negli acquatici coleotteri girinidi, il loro occhio è formato da due gruppi non contigui per cui sembra che l’insetto abbia quattro occhi. In questi esseri predatori, che nuotano velocemente sulla superficie degli stagni, tale particolarità di comportamento consente loro di vedere nello stesso tempo sia sulla superficie, sia sott’acqua. La visione ottenuta grazie agli occhi composti è «a mosaico», in quanto ciascun ommatìdio riceve l’immagine di un definito (ma limitato) campo visivo e dalla giustapposizione di queste immagini parziali, che possono essere fino a 30mila come nelle libellule. In virtù di questo meccanismo, l’insetto elabora e ottiene l’immagine complessiva: maggiore è il numero degli ommatìdi, più l’immagine è dettagliata. Una libellula, o un tafano in volo, vedono contemporaneamente in alto e in basso, dai due lati, e in tutte le aree intermedie del loro campo visivo: in senso equatoriale e in quello orbitale. Il campo visivo di un singolo ommatìdio è racchiuso entro un angolo di 20-30 gradi. Quindi, l’insetto in volo ottiene ampie sovrapposizioni di campo, con una conseguente e perfetta formazione delle immagini. Gli ommatìdi sono dei coni capovolti, le cui terminazioni nervose trasmettono le relative informazioni al cervello. Tutte queste operazioni si realizzano contemporaneamente in tempi estremamente brevi, dell’ordine dei millesimi di nanosecondi. In sequenza ecco cosa avviene: 1. la visione parziale di ogni singolo ommatìdio è trasmessa al cervello; 2. è elaborata complessivamente; 3. dal cervello partono le istruzioni al sistema muscolare che guida il volo. Alcuni insetti, come i ditteri sirfidi (che imitano a meraviglia i colori delle api e delle vespe), oppure le libellule, hanno un volo molto caratte-
ristico, librato e a scatti. Ogni assetto di volo e variazione di volo sono comandati dalla complessa e simultanea sequenza delle fasi sopra indicate. Il tutto entro tempi per noi difficilmente immaginabili. Che cosa percepiscono gli insetti equipaggiati con organi così complessi e sofisticati? Innanzitutto la luce in tutte le sue angolazioni, e una parte dei colori. È stato possibile appurare tali facoltà visive grazie a numerosi (e spesso ingegnosi) esperimenti in laboratorio. Celebri sono stati quelli sulla percezione dei colori da parte delle api, e realizzati da Kuhn e Von Frisch. Un’ape distingue molto bene il bianco-piombo dal bianco-zinco (che a noi appaiono uguali), in quanto il primo colore riflette i raggi ultravioletti (UV), il secondo li assorbe. Le api vedono uguali i colori per noi differenti, come il rosso e l’arancione, mentre ne distinguono altri, che a noi paiono uguali. Inoltre, gli esperimenti hanno dimostrato che, anche quando il sole è schermato da uno strato di nuvole (e l’occhio umano non lo vede), l’ape può orientarsi ugual-
mente, in quanto i raggi ultra-violetti (UV) attraversano le nubi a vantaggio dell’insetto. Nei tafani, i ben noti succhiatori di sangue dei vertebrati terrestri, e anche dell’uomo, hanno occhi composti enormi, che occupano tutto il capo, mostrando molto spesso brillanti schemi di colorazione – a causa dell’incidenza della luce. Tali schemi e in presenza del sole, possono essere verdi, rossi, blu (foto), e sono disposti molto artisticamente in zone a strisce, o sotto forma di punti. Ogni specie di tafano possiede gli occhi con differenti schemi di colorazione. E questo è un utile ausilio diagnostico per la loro classificazione, considerando che sono attualmente note ben tremila specie in tutto il mondo. Il nostro amico tafano ha un’ottima vista per poter individuare la groppa di un cavallo, il muso di una vacca, oppure un nostro braccio al sole. Bibliografia:
Guido Grandi, Introduzione allo studio dell’entomologia, vol. I, Edizioni Calderini (Bologna), 1961, 1142 pp.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 31 ottobre 2016 • N. 44
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Ambiente e Benessere
Risotto al limone e al crescione d’acqua
Cucina di Stagione La ricetta della settimana
Piatto principale Ingredienti per 4 persone: 1 limone · 150 g di porro, la parte bianca · 2 cucchiai
d’olio d’oliva · 300 g di riso per risotto · 1,1 l di brodo di verdura, caldo · sale · 140 g di crescione d’acqua · 40 g di parmigiano grattugiato o di pecorino · 1 cucchiaio di burro
1. Grattugiate finemente la scorza del limone, spremete il succo. Dimezzate il porro per il lungo e tagliatelo prima a striscioline poi a quadratini. Scaldate l’olio e fatevi soffriggere il porro. Unite il riso e un po’ di scorza di limone. Una volta fatto, tostare il riso e sfumatelo con il succo di limone. Unite il brodo poco alla volta. Regolate con una presa di sale e pepe e cuocete il riso al dente per circa 18 minuti mescolando.
Un esemplare gratuito si può richiedere a: telefono 0848 877 869* fax 062 724 35 71 www.saison.ch * tariffa normale
2. Nel frattempo, tritate grossolanamente il crescione d’acqua. Mescolatelo con la scorza di limone rimasta, il formaggio e il burro, quindi incorporate il tutto al risotto. Regolate di sale e servite. Preparazione: circa 30 minuti.
L’abbonamento annuale a Cucina di Stagione, 12 numeri, costa solo 39.– franchi.
Per persona: circa 11 g di proteine, 13 g di grassi, 63 g di carboidrati,
1700 kJ/410 kcal.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 31 ottobre 2016 • N. 44
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1 Ambiente 2 9 3 e Benessere 3
In attesa di giorni migliori
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Sportivamente Il campionato di hockey su ghiaccio ha riservato finora parecchie sorprese, positive e negative 9
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coblù (19 partite) sono merito del suo N. 42 MEDIO
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estremo difensore. 3 La 2squadra della Valascia, che si voleva la più forte degli ultimi anni, occupa invece il penultimo posto, ma non 9 a dimostrarlo se è detto che non riesca riuscirà a sistemare il suo assetto, cen5 l’obiettivo dei playoff. trando
sembrano 3 I bianconeri 1
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(N. 41 - Sfregano i nasi uno contro l’altro) 1
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gioventù agonistica, e a malincuore era fuori) è immediatamente migliorato. 9 oltre Oceano, non riuscendo 10 tornato Lapierre ha dimostrato di posseperò a convincere lo staff tecnico dei dere anche notevoli qualità offensive Rangers. e le sue puntate a rete, alla 11 12 13 ricerca del Per sua fortuna, il Lugano si era gol ma pure del passaggio vincente, lo trovato nella necessità di rinforzare ul- hanno posto sempre più positivamente 14 15 teriormente il reparto arretrato. Eccolo all’attenzione degli osservatori. così di nuovo in maglia bianconera, più Di conseguenza, il Lugano può 16 17 di ritrovare i non pochi 18 nella scorsa stagione che soddisfatto ambire come sostenitori. (Coppa Spengler compresa) a svolgeStavolta19 Shedden si è raccoman- re il20 ruolo promesso. Molto dipenderà dato con il roccioso rinforzo di lasciar ancora una volta dagli stranieri che per perdere le sue qualità più… spettacola- il momento, a parte Klasen, hanno de21 22 ri, dedicandosi con maggiore impegno luso anche sul piano dello spettacolo. per mettere a frutto le sue qualità com- Shedden si attende ovviamente di più battive. Dopo una serata storta a 23 Zugo, dai suoi attaccanti ed è stato giustail suo comportamento sul ghiaccio (e mente benevolo, invece, con i difensori.
,
Alessandro Crinari
in grado di emergere 9 7 8 anche in quest’anno. 8 9 4 invece 3 I biancoblù esibiscono i problemi 4 7 6 Giochi per “Azione” - Novembredi2016 sempre: l’ottimismo Stefania Sargentini forse non3basterà 1
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Giochi
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parte dei punti conquistati dai bian-
Alcide Bernasconi Dalle promesse delle presentazioni estive alla realtà di sorprendenti risultati, il campionato svizzero di LNA lascia perplessi parecchi critici che avevano cercato di leggere la forza e le possibilità delle varie favorite. Nonostante gli ZSC Lions guidino la classifica (ci riferiamo a quella della vigilia dello scorso weekend) con un punto di vantaggio sullo Zugo, che ha giocato una partita in meno (17), giornata dopo giornata la situazione muta nelle prime posizioni della classifica e le sfide tra le squadre favorite sono più aperte che mai. Intanto, ecco il Losanna occupare il terzo posto, inatteso protagonista della prima parte della stagione, mentre il Lugano, che aveva promesso una stagione coi fiocchi, tiene sempre sulle spine i suoi sostenitori i quali si attendevano prestazioni più convincenti. Il pubblico della Resega è stato finora deluso dagli stranieri. Tuttavia, numerosi infortuni hanno frenato la marcia del Lugano che occupa la sesta posizione (dopo 17 giornate). A creare i maggiori problemi è stata la difesa, tanto che per porre rimedio a quelli di fragilità in retrovia, la formazione guidata da Doug Shedden ha ingaggiato due difensori canadesi. Così è tornato Lapierre, il roccioso giocatore che ha dimostrato nel finale dello scorso campionato – fra un litigio e una scazzottata – qualità interessanti per i bianconeri i quali hanno sfiorato la conquista del titolo. Nonostante ciò, Lapierre ha dovuto salutare la squadra nella quale aveva trovato una seconda
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A tal proposito tutto è ancora aperto, anche per il Langnau, ultimo della graduatoria. Se c’è un aspetto che era stato sottovalutato quasi da tutti, è l’estremo equilibrio fra le contendenti, nonostante alcune siano chiaramente favorite 2 della rosa e si1avvalgano 3 per la qualità di giocatori che sanno la loro sia in at5 sia in difesa. A4confermare il mitacco glioramento generale della LNA sono, oltre che i risultati, anche 6 l’estrema ristrettezza nelle segnature. Alla lunga 7 è comunque (quasi) 6 certo che verranno a galla le qualità migliori delle varie squadre. Come pro6 Lugano 3 che8mira sempre alla messo dal conquista del titolo, così come dall’Am2 che intende dimenticare il recente 9 brì passato puntando con maggior convinzione 1 ai playoff. 9
S Passando O Fall’Ambrì, A aN. R E G O non43 con-DIFFICILE vincere del tutto sono proprio gli straU inNspecialOmodo D’Agostini, M Al’at- N I A nieri, taccante che avrebbe dovuto guidare la squadraE a suon di retiC ma che è rimasto O 6 A Sdi2 T A in pratica a secco, pur dimostrando possedere, di tanto in tanto, qualità tecN di un certo Pvalore. U N T8 E R niche Per il resto non ci siamo, al punto I eraD I O daTpiù parti A C O che stato preconizzato il licenziamento dell’allenatore Hans , Kossman. A salvare capraO e cavoli è L A T R 5 stato sin qui il portiere Sandro Zurkirchen, la cui bravura rischia di portarAa cambiare L Osquadra E nella prossima T6 O lo stagione. E allora per l’Ambrì saranno V di non N poco conto. B La gran A R problemi E P I L 8 O5 G O
Vinci una delle 3 carte regalo da 50 franchi con il cruciverba4 SUDOKU PER AZIONE - NOVEMBRE 2016 2 4con il sudoku 3 e una mille delle fermateli!”) 2 carte regalo da 50 franchi (N. 42 - “Anche se fossero N. 41 FACILE Schema
Cruciverba «Maresciallo stanno arrivando i monsoni!» – «Fermateli!» – «Ma sono venti!» Scopri la risposta del Maresciallo leggendo a soluzione ultimata le lettere evidenziate. (Frase: 5, 2, 7, 5, 9)
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S T A F I L corretti1da2inse9 rire nelle caselle 3 E R O5 colorate. R8 I 1 N4 9 2 A 3 4 7E 2
6Soluzione: 7 8 7 9 i 3 numeri 3 6 Scoprire
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Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch
I premi, cinque carte regalo Migros 28 di 50 franchi, saranno 29 del valore sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto 32 pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco.
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(N. 43 - ... camoscio si chiama camozza) VERTICALI 1. Esiste anche quella celeste 2. Scherzi 1 birboni 2 3 4 3. Cerchio luminoso intorno alla Luna 4. Noi in latino 7 5. Simbolo chimico del cesio 6. Preciso, corretto 9 10 7. Grasso per natura 8. Un figlio di Adamo 11. Le11 ossa del carpo 12 13 13. Pazzi, sconsiderati 14. Il nome della Marcuzzi 14 15 16 16. Misurate 18. Un cosmetico 21 insolite 22 20. Molto 22. Parola a Parigi 23. Operetta di Mascagni 24 25
Soluzione
N. 44 PER 2GENI Sudoku Livello per geni 3 8 9 8 1 5
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ORIZZONTALI 1. Prive di energia 7. Audace 9. Amato in Grecia 10. Simbolo di bellezza 12. Il nome di Ramazzotti 13. Ha una zona temperata... 15. Prefisso di ripetizione del verbo 16. Accordo 17. Votato dalla maggioranza 18. Santa... in Argentina 19. Si dice a «Sette e mezzo» 20. Nobili etiopi 21. Preposizione articolata 22. Il terzo mese in Francia 23. Fu un noto attore romano 24. La «crema» della società
L A N C I O M N I
N C H 1 O S 3 S99 M 4 1 1 9P A E3 T 6L 4 S T1 9 A I T 37 8 E L 3 7
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3 1 Giochi Soluzione per2“Azione” Novembre 2016 8 della 6 settimana precedente
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O7 4 7 9 55 O L 5 4 1 2 8 T6 3 I 4 9 2 7 3 7 T8 6O1 1 9 2 6 3O 5 4 8 R 9 8 4 3 6M 7 5A4 2 43 1 65 S 5O6 3R7 5 2 I 18 T49 27E62 7
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S12 79E 64 53 3 6 1 2 2 8 E 9 7 3 8 6 14 T5 62A 9 7 6 8 4 5 1 3 2 4 5L 3 9 5 3 8 7 4 2 5 7F9 6E 1 2 A 8S 2 6 1 5 7 8R1 9S 3 2 93 7 6 8 7 4 1D8 2 I 4 9 3 9 5 7 8 A 5 4 3 1 6 4 8
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Stefania Sargentini PAESE CHE VAI USANZE CHE TROVI – Gli eschimesi per salutarsi: SFREGANO I NASI UNO CONTRO L’ALTRO (N. 41 - Sfregano i nasi uno contro l’altro) N. 43 DIFFICILE 6
C A R M E L O 8 5 7 4 6 2 8 9 1 3 S O F A2 R E 1 G3 O L A I vincitori S C I A O S 6 1 2 5 3 9 4 8 7 6 U N2 O5 M A4 N I A N 8 6 O E C A S T A C I Vincitori del concorso Cruciverba I V E S T 9 3 8 4 7 1 6 2 5 4 9 3 8 1 7 2 5 6 P U N7 T E 6 R O M N su «Azione 42», del 17.10.2016 M. G. Todeschini, F. Zerbola, R. I D5 I O6ET 3 AS C 8 C CO N I E 1 2 5 9 6 3 8 7 4 Giovannini , , 17 18 19 20 A6 T 2 R O L 7 8 6 2 5 4 1 3 9 9 H E P O I A L O E T O 3 A6 7R1 M 4 2 A 5 9 8 1 9 Vincitori del concorso Sudoku 23 su «Azione 42», del 17.10.2016 N B A R4 8 5 1 7 9 6 3 4 2 8 V5 G. Moggi, R. Luvini E S C A M O R O Z 2 4 9 3 8 5 7 6 1 2 E4 P I 3 L O G O 26 27 (N. 42 - “Anche se fossero mille fermateli!”) F G L I A A L Z O N. 44 O PER GENI Partecipazione online: inserire la luzione, corredata da nome, cognome, è possibile un pagamento in contanti 30 del cruciverba 31 soluzione o del sudoku indirizzo, email del premi. I vincitori saranno avvertiti 2 Odeve SI T D A N C5 partecipante HT E O S E dei 4 3Il L 6 7 dei 9T 1 2 G A 8iscritto. I5 vincitori nell’apposito formulario pubblicato essere spedita a «Redazione Azione, per nome sarà 9 4 6 F I L C.P. O 6315, S S OLugano». L E 9 7 su 5 «Azione». 2 3 1Partecipazione 4 6 8 sulla pagina del sito. Concorsi, 6901 pubblicato 33 Partecipazione postale: la lettera o 1Non intratterrà sui lettori 3 I O E si RO O SD corrispondenza MI A TT T A riservata R R 1 E2 esclusivamente 6 4 8 A9 a5O 7 3che 1
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 31 ottobre 2016 • N. 44
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Politica e Economia È gelo fra Trump e il GOP Il Partito repubblicano e il suo candidato alla presidenza corrono entrambi da soli pagina 30
Il viaggio del Papa in Svezia A Lund Francesco Bergoglio commemora per la prima volta insieme ai luterani i 500 anni della Riforma. È anche un’occasione per rinsaldare il dialogo ecumenico avviato 50 anni fa
Libia sempre nel caos Il marasma libico offre ai jihadisti un contesto favorevole
UBS, svizzera e globale Intervista a tutto campo al CEO del maggiore istituto elvetico, il ticinese Sergio Ermotti
pagina 31
pagina 34
AFP
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Xi Jinping, un nuovo Mao?
Cina Il suo tentativo di imporre se stesso al centro assoluto del sistema che intende riformare lo vede proiettato
su vari fronti e lo sta esponendo su quello interno
Lucio Caracciolo Xi Jinping, l’ambizioso e autoritario presidente della Repubblica Popolare Cinese, sta diventando un secondo Mao (in primo piano nella foto), dotato di poteri semidivini? Oppure il suo tentativo di imporre se stesso al centro assoluto del sistema, liquidando o mettendo in ombra rivali e contraddittori in nome dell’unità del partito, provocherà una seria crisi politica? Dopo la recente seduta del Plenum del Comitato Centrale del Partito comunista cinese – un organismo di circa 200 persone che si riunisce in segreto – la questione è più aperta. Di certo la strategia di Xi, nella (scarsa) misura in cui è leggibile, punta a riformare radicalmente la Cina. Il cuore della questione sono le imprese di Stato, che rappresentano ancora una quota decisiva dell’economia cinese. E che soprattutto incarnano il controllo dell’élite politica sul sistema produttivo: le imprese «pubbliche» sono di fatto in mano privata, controllate più o meno direttamente da alcuni dei più influenti leader nazionali o da loro parenti e prestanome. Questo intreccio non ha solo
conseguenze perverse sul fronte economico, ma rende più opaco il sistema politico, nel quale la ripartizione fra interessi nazionali e interessi privati di capi e capetti è tutt’altro che definita. Xi insiste da sempre e con sempre maggior insistenza sulla lotta alla corruzione, fenomeno direttamente connesso alla proprietà «privata» delle imprese «pubbliche». Per questo insiste sull’urgenza di vere privatizzazioni, da determinare entro (limitate e controllate) regole di mercato. Anche perché solo così potrà essere battuto non solo l’intreccio fra gli interessi personali dei dirigenti comunisti e le necessità di sviluppo dell’economia cinese, che da tempo ha rallentato la sua fenomenale spinta propulsiva. Fra le misure proposte, anche l’obbligatorietà della dichiarazione dei redditi per tutti i dirigenti, misura che se attuata avrebbe il sapore di una rivoluzione. L’asprezza dello scontro è senza precedenti nella recente storia della Cina. I capi minacciati nel loro potere e nelle loro risorse resistono vigorosamente. Ma Xi sembra deciso a rischiare tutto pur di far passare le riforme
economiche e la «pulizia» all’interno del Partito. Alcuni casi lo confermano. In agosto, per esempio, è stato arrestato un generale di alto profilo, Wang Jianping, vice capo di dipartimento nella Commissione centrale militare, uno degli organismi decisivi nella distribuzione del potere interno alla Repubblica Popolare. L’accusa, come sempre in questi casi, è di avere infranto la disciplina di partito, sinonimo per corruzione. Un’altra direttrice del riformismo autoritario di Xi è quella relativa alle Forze armate. Il personale dovrebbe essere ridotto del 15 per cento, ovvero trecentomila unità. Obiettivo: disporre di uno strumento militare più snello e flessibile. Ma non si tratta solo di una questione tecnica. L’Esercito popolare ha tuttora influenza e prestigio tali da poter intralciare la strategia di Xi. Il quale sa bene che senza il controllo dell’intelligence e delle Forze armate ogni suo sforzo sarà vano. Nel 2017 è previsto il nuovo Congresso nazionale del Partito comunista: verifica di mezzo termine della presidenza Xi. È probabile che il capo inten-
da ottenere dal Congresso non solo la riconferma, apparentemente scontata, ma soprattutto un’opzione per restare in sella anche oltre la scadenza del suo mandato, nel 2022. Xi ne avrebbe bisogno per portare a compimento i suoi radicali progetti di riforma. Ma per questo deve essere certo che nessuno nel Politburo e nel Comitato centrale sia in grado di rivoltarsi contro di lui. Il destino delle riforme di Xi e la sua stessa permanenza al potere derivano peraltro non solo dalle dispute intestine, a loro volta condizionate dall’andamento economico e dal clima sociale, ma anche dalla politica estera. Qui il leader si è molto esposto sul fronte dei Mari Cinesi. In gioco non solo e non tanto l’accesso alle risorse minerarie contenute nelle zone economiche disputate fra Pechino e tutti i suoi vicini, a cominciare dal maggiore, il Giappone. C’è molto di più: la faccia. Esasperando il tono della disputa, che Pechino vede soprattutto come un tentativo americano di accerchiarla facendo leva sui suoi alleati o amici sinofobi dell’area (Giappone, Vietnam, Corea del Sud), Xi Jinping si è molto esposto
anche sul fronte interno. Non si possono eccitare le corde nazionalistiche in Cina senza esserne condizionati. Se dovesse apparire troppo molle e disponibile al compromesso nella determinazione dei confini marittimi nel Mar Cinese Orientale e soprattutto in quello Meridionale, il presidente rischierebbe di suscitare violente manifestazioni di piazza, di forte intonazione nazionalistica. Su cui potrebbero far leva i suoi oppositori interni alla dirigenza del partito, che attendono solo l’occasione buona per rovesciarlo o almeno tagliare le unghie alle sue ambizioni. Sotto questo profilo, sarà interessante osservare l’approccio del nuovo presidente degli Stati Uniti alla Cina. Se fosse piuttosto duro – come Hillary promette di essere – Xi ne trarrebbe la conclusione di non potersi sottrarre a un braccio di ferro con Washington pur di evitare di essere soffocato dal containment a stelle e strisce. Il clima attuale, negli apparati americani, inclina comunque in questa direzione. Alimentando dinamiche che possono finire fuori controllo, tanto sulla sponda americana che su quella cinese.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 31 ottobre 2016 • N. 44
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Politica e Economia
Trump, rush finale in solitudine Casa Bianca 8 novembre A pochi giorni dal voto il tycoon newyorkese risale nei sondaggi ma il gran finale lo vede
correre da solo dopo che il Partito repubblicano gli ha praticamente voltato le spalle negandogli soldi e endorsement
Federico Rampini Abbiamo diritto al suspense dell’ultima ora. Trump risale nei sondaggi! Così non ci annoieremo la notte dell’8/9 novembre. A otto giorni dal voto, la «forchetta» del divario tra lui e lei si sta improvvisamente restringendo. È un’inversione di tendenza rispetto alle molte settimane in cui il vantaggio di Hillary Clinton era aumentato. Ma gli esperti precisano: Hillary continua ad essere forte, è lui che recupera tra i repubblicani indecisi, fenomeno inevitabile in una nazione profondamente «bipartitica», dove l’elettore dii destra preferisce votarlo turandosi il naso, piuttosto che favorire una Clinton. In ogni caso se questo recupero di The Donald dovesse prolungarsi nell’ultima settimana, avremo un risultato «risicato», non quella vittoria travolgente della candidata democratica che sembrava delinearsi in precedenza.
L’8 novembre sono in palio anche un terzo dei seggi del Senato e la totalità della Camera Una caratteristica sconcertante, fra le tante anomalie di questa campagna, è che il «gran finale» di Trump avviene in una situazione di solitudine. I grandi «tesorieri» della destra gli voltano le spalle: molti capitalisti di provata fede repubblicana non vogliono più avere niente a che fare con The Donald. Ormai sembra quasi che Trump stia facendo campagna elettorale contro il partito repubblicano. L’ultimo segnale di gelo: il candidato alla Casa Bianca ha annunciato che in questi ultimi 13 giorni di campagna non terrà più alcun evento pubblico per la raccolta fondi in favore del partito repubblicano. Gli eventi in questione fanno leva sulla notorietà del candidato alla presidenza, per finanziare le campagne di politici molto meno noti, nei collegi di senatori e deputati in bilico. Oltre alla Casa Bianca, infatti, l’8 novembre sono in palio un terzo dei seggi del Senato e la totalità della Camera. Dunque è un altro segnale che Trump «corre da solo». Prima ancora che lui facesse questo sgarbo al partito che lo candida, è il partito stesso ad avergli voltato le spalle, o almeno gran parte dell’establishment. La grande solitudine di Trump era nelle cose, da quando lui si presentò come l’outsider anti-establishment alle primarie. Ma il fuggi fuggi si è scatenato dopo gli ultimi scandali, in particolare le accuse di molestie sessuali da parte di una dozzina di donne. Sono ormai 160 i leader del Grand Old Party che gli negano il loro endorsement. Alcuni invitano apertamente a votare per Hillary, come i due ex segretari di Stato di Bush, Colin Powell e Condoleezza Rica. L’autorità istituzionale più elevata del partito, il presidente della Camera Paul Ryan, ha modificato tutta la sua strategia elettorale. Ryan non fa più menzione di Trump, si comporta come se non esistesse, e punta invece a salvare il salvabile nelle elezioni legislative, usando un argomento che dà praticamente per scontata la disfatta di Trump: votate per i nostri deputati e senatori, perché il Congresso possa bilanciare lo strapotere di Hillary. Lo stesso argomento si ritrova in Arizona negli slogan di un illustre senatore repubblicano, John McCain: «Se Hillary viene eletta, l’Arizona avrà bisogno di essere rappresentata da un senatore che la controlli». Nessun riferimento alla possibilità che sia Trump a conquistare la Casa Bianca.
Una gigantografia di Trump in una villetta dell’Iowa . (AFP)
Sul fronte dei grandi finanziatori, alcuni dei più munifici sostenitori della destra hanno esplicitamente chiesto ai vertici del partito di prendere le distanze da Trump. Il «New York Times» ha raccolto la dichiarazione di David Humphreys, un uomo d’affari del Missouri che aveva donato 2,5 milioni al partito repubblicano nella campagna del 2012 (quando il candidato era Mitt Romney). «Arriva un momento – ha detto Humphreys – in cui devi guardarti allo specchio e ammettere che non puoi giustificare Trump davanti ai tuoi figli, soprattutto alle tue figlie». Un altro finanziatore citato dal «New York Times» è il finanziere newyorchese Bruce Kovner, che nell’ultima campagna donò 2,7 milioni ai repubblicani: «Trump è un pericoloso demagogo del tutto inadeguato rispetto alle responsabilità del presidente degli Stati Uniti». Ancora più significativo è l’atteggiamento dei fratelli Koch, la dinastia petrolchimica, reazionari e negazionisti sul cambiamento climatico, che sono da molti anni la più ricca «cassaforte» di risorse per la destra. Nei confronti di Trump i fratelli Koch sono passati dalla diffidenza iniziale all’ostilità. Hanno deciso di fare, sul fronte delle donazioni elettorali, la stessa scelta di Ryan: finanziano solo campagne di senatori e deputati repubblicani, non danno nulla a Trump. L’unico magnate di rilievo che è rimasto a fianco di Trump è Sheldon Adelson, suo collega di business. Adelson è il più grande proprietario di casinò a Las Vegas, la città del Nevada dove anche Trump ne possiede uno. Adelson inoltre è il proprietario del quotidiano locale, il «Las Vegas Review-Journal»: uno dei pochi in tutta l’America ad aver dato l’endorsement a Trump. Ad un partito che gli volta le spalle, e che per bocca di molti suoi notabili
sconfessa apertamente la teoria delle «elezioni truccate», Trump risponde con disprezzo: nei suoi comizi rivolge sempre più spesso degli attacchi ai suoi «presunti» compagni di partito. E si concentra sullo zoccolo duro del suo consenso, a cominciare dalla classe operaia bianca.
Alcuni dei più grandi sostenitori e finanziatori della destra hanno chiesto di prendere le distanze da Trump e di votare per Hillary L’Ohio è una sorta di «ground zero» del malessere operaio americano, un disagio così profondo da spingere nelle braccia di un affarista miliardario i colletti blu disperati. Le statistiche sono ingannevoli, o troppo generiche. I dati ufficiali dicono che l’economia dell’Ohio va bene, il tasso di disoccupazione è leggermente sotto la media nazionale: 4,8% della forza lavoro. Ma cosa c’è dentro quella definizione di forza lavoro? Nelle regioni depresse, dalla città siderurgica di Lorraine all’altopiano degli Appalachi, è un vasto cimitero di fabbriche. Perfino Cleveland è una metropoli a due facce. Ha un policlinico universitario di eccellenza mondiale, dove venne a curarsi Silvio Berlusconi. Ma nel quartiere dove ho alloggiato all’epoca della convention repubblicana la sera scattava un coprifuoco, nell’unico supermercato il cassiere era protetto in una gabbiola antiproiettile, fuori si aggiravano dei relitti umani, il mio vicino di casa teneva al guinzaglio un rottweiler molto nervoso. «Il Nord-est dell’Ohio è stato de-
cimato negli ultimi vent’anni – dice Tom Coyne, sindaco di Brook Park – l’emorragia di lavoro industriale non si ferma». La conseguenza più grave è il dilagare delle tossicodipendenze. Poche settimane fa l’America è stata scossa da una foto apparsa su Facebook. Scattata nell’Ohio dagli infermieri di un’ambulanza che avevano risposto a una chiamata d’emergenza, la foto ritrae due adulti bianchi svenuti per un’overdose, dentro la loro auto. Sui sedili posteriori appare un bambino piccolo, che osserva la scena. Quella foto è diventata il simbolo di una tragedia: il dilagare degli oppiacei tra gli operai e i senza lavoro. Angela Sausser, direttrice della Public Children Services Association dell’Ohio, affronta quotidianamente le conseguenze sui bambini: «In tutto l’Ohio 14.000 minorenni sono stati sottratti ai genitori tossicodipendenti e collocati dai servizi sociali presso famiglie di accoglienza». Il fenomeno investe tutti gli Stati Uniti. Per la prima volta da molti anni la longevità media degli americani si sta accorciando, la causa sono suicidi e droghe. Molto più dell’eroina, della cocaina e delle metanfetamine, la droga che uccide l’operaio bianco di mezza età è un analgesico a base di oppiacei, come l’OxyContin, acquistato in farmacia con la ricetta medica oppure comprato sul mercato nero. In tutti gli Stati Uniti le prescrizioni di questi «oppioidi» sono cresciute da 112 milioni nel 1992 a 250 milioni l’anno scorso. In un anno 165.000 americani muoiono per overdose di questi farmaci. L’Ohio è l’epicentro di questa ecatombe: nell’ultimo quindicennio le morti per overdose di analgesici «oppioidi» sono quadruplicate. Se la classe operaia va in paradiso, qui ha scelto il modo più orribile per arrivarci in fretta.
Dietro la droga c’è un degrado socio-economico che le medie nazionali non riescono a descrivere. Sette anni di ripresa sono una realtà, ma in questo periodo chi continua a stare peggio sono i lavoratori senza una laurea: il loro potere d’acquisto è franato del 19% nell’ultimo quindicennio. Un quinto dei maschi adulti in tutta l’America sono senza lavoro, alcuni hanno smesso di cercarlo, altri sono ostracizzati perché hanno precedenti penali, o discriminati per problemi di salute, malattie mentali. Il laboratorio dell’Ohio concentra queste patologie. Il vice di Trump, Mike Pence, parlando ad un raduno di evangelici (Faith and Freedom Coalition), raccoglie applausi quando dice: «Trump ha dato voce ai più frustrati tra voi». È una narrazione che Hillary respinge sdegnata, parlando anche lei a Cleveland: «The Donald dice di stare con i lavoratori, ma i suoi cantieri descrivono una realtà opposta: importa acciaio dalla Cina, non dagli altiforni di qui». Forse alla fine riuscirà a prevalere lei, ma al prezzo di una campagna molto negativa. Suona più autentico l’ex-colletto blu Joe Biden, in un comizio in un’altra città dell’Ohio, Columbus. Le sue parole sono l’ammissione implicita di un fallimento: «La middle class (termine che qui include gli operai, ndr) non è un numero. È un sistema di valori. Significa poter comprare casa col frutto del tuo lavoro. Poter mandare i figli all’università. Poter mandare i bambini a giocare ai giardini e sapere che torneranno sani e salvi. Sapere che quando sarai vecchio i tuoi figli non dovranno mantenerti. Questa è la mia definizione di middle class. Ed è stata annichilita». Anche se dovessero prevalere nell’Ohio e riconquistare la Casa Bianca, i democratici saranno perseguitati a lungo da questo bilancio amaro.
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Politica e Economia
L’universalità di Lutero
Il Papa in Svezia Per la prima volta Federazione luterana mondiale e Chiesa cattolica insieme per commemorare
il 500.esimo anniversario della Riforma riconoscendo così la grandezza del pensiero del teologo tedesco
Giorgio Bernardelli I libri di storia l’hanno tramandato come il giorno delle 95 tesi contro la dottrina delle indulgenze, affisse pubblicamente dal monaco agostiniano Lutero sulla porta della chiesa di Wittenberg. Era il 31 ottobre 1517 e a quella data e a quel gesto si fa risalire l’inizio della Riforma protestante. In realtà ci sono storici che fanno notare come l’unica fonte che racconta così l’evento sia uno scritto di Melantone, risalente a trent’anni dopo; e per questo ritengono più verosimile che quel giorno il monaco Lutero le sue tesi le abbia inviate per iscritto al proprio vescovo. Che abbiano ragione gli uni o gli altri, in fondo, poco conta: il dato di fatto è che l’evento più importante della storia moderna del cristianesimo in Occidente compirà nel 2017 cinquecento anni. E proprio in queste ore si sta aprendo un anno di celebrazioni che, un po’ a sorpresa, sarà segnato da una forte impronta ecumenica.
Il viaggio del Papa sarà anche l’occasione per commemorare i 50 anni di dialogo ecumenico fra cattolici e luterani aperto dal Concilio Vaticano II Per lunedì 31 ottobre, infatti, la Federazione Luterana Mondiale ha promosso insieme alla Chiesa cattolica una commemorazione comune della Riforma, con una giornata che vedrà papa Francesco fare tappa in Svezia per partecipare a un evento promosso dal mondo protestante. «Dal conflitto alla comunione: insieme nella speranza» è il tema scelto per la giornata che vivrà di due momenti: una preghiera comune nella storica cattedrale di Lund e poi un incontro con migliaia di fedeli nello stadio di Malmoe. A presiedere entrambi gli appuntamenti – insieme al papa – ci saranno il presidente della Federazione Luterana Mondiale, il vescovo arabo Munib Younan, e il segretario generale del medesimo organismo, il reverendo Martin Junge. Perché proprio a Lund? Principalmente perché è in questa città della Svezia che nel 1947 è stata fondata la Federazione Luterana Mondiale, organismo che oggi raggruppa oltre 140 denominazioni, per un totale di circa 66 milioni di fedeli presenti in ben 78 Paesi. Dal momento che le celebrazioni del quinto centenario della Riforma vogliono essere un momento di unità per il mondo luterano, era logico – dunque – che iniziassero proprio da qui. Ma c’è anche un’altra ragione interessante: con la sua storia millenaria, la cattedrale di Lund è un luogo significativo anche per i cattolici; per ben quattro secoli, infatti, i vescovi che su questa cattedra hanno predicato e celebrato le loro liturgie erano in comunione con Roma. Quindi è un luogo che in qualche modo ricorda la radice comune. Finiti i tempi delle contrapposizioni violente tra cattolici e riformati, in un contesto in cui tutte le chiese storiche in Europa si trovano a fare i conti con la sfida posta dalla secolarizzazione, può non sorprendere più di tanto la presenza di papa Francesco a un evento come quello di Lund. Ma si tratta di un’impressione sbagliata. A sottolinearlo, in un’intervista rilasciata qualche giorno fa al sito del quotidiano «La Stampa», è stato il professor
Paolo Ricca, una delle voci più autorevoli del mondo evangelico italiano: «È la prima volta che un papa commemora la Riforma – ha commentato –. E questo costituisce un passo avanti rispetto ai traguardi pur significativi che si sono raggiunti con il Concilio Vaticano II. Partecipare alla commemorazione significa considerare la Riforma un evento positivo nella storia della chiesa, che ha fatto bene anche al cattolicesimo. La mia impressione è che lui, in un modo che non saprei definire, si senta parte anche di quella porzione di cristianità che è nata dalla Riforma». Nel giugno scorso, del resto – nella conferenza stampa tenuta in aereo durante il viaggio di ritorno dall’Armenia – era stato proprio papa Francesco a esprimersi in questo senso: «Credo che le intenzioni di Martin Lutero non fossero sbagliate» dichiarò in quell’occasione, sconcertando più di un tradizionalista. «Lutero era un riformatore. Forse alcuni metodi non erano giusti, ma in quel tempo, se leggiamo la storia, vediamo che la chiesa non era proprio un modello da imitare: c’era corruzione, c’era mondanità, c’era attaccamento ai soldi e al potere...». A cinquant’anni dall’inizio del dialogo tra cattolici e luterani aperto dal Concilio Vaticano II la commemorazione di Lund può, dunque, segnare un punto di svolta per l’ecumenismo? È interessante notare che l’appuntamento arriva in un anno che è stato ricco di incontri tra Francesco e i lea-der delle altre confessioni cristiane. Quello più importante è stato il faccia a faccia tra il papa e il patriarca ortodosso russo Kirill, tenutosi in febbraio a Cuba; un passo da tempo cercato da Roma e che il successore di Pietro venuto «dalla fine del mondo» è riuscito a realizzare. Poi c’è stato il viaggio a Lesbo insieme al patriarca di Costantinopoli Bartolomeo; ci sono stati i ripetuti incontri con l’arcivescovo di Canterbury Justin Welby, primate degli anglicani, con il quale appena pochi giorni fa Francesco ha sottoscritto una dichiarazione comune. E – pur con le intransigenze del clero locale, puntualmente emerse – lo stesso viaggio compiuto da Bergoglio il mese scorso in Georgia è stato un segnale importante, dal momento che Tbilisi è oggi una delle frontiere più calde all’interno del mondo ortodosso. Ora tocca al dialogo con i luterani. Frontiera sulla quale papa Francesco può spendere la sua carta più forte dal punto di vista ecumenico: il modo in cui sta ridefinendo nei fatti i contorni del papato. Con il suo stile informale, con le sue picconate al potere ecclesiastico, con la sua disponibilità costante a farsi incontro a qualunque interlocutore, Bergoglio sta riscrivendo le regole del ministero petrino. Con gli altri leader cristiani si comporta da fratello, senza mettere davanti storia, teologia e tradizioni;
Se il fucile è donna Fotoreportage online Madri di famiglia, venditrici di armi da fuoco e accessori specializzati, istruttrici: le donne americane che possiedono una o più pistole e che considerano il porto d’armi come necessario per la loro sicurezza oltre che come un segno di emancipazione femminile, sono sempre più numerose. Potete leggere l’intero reportage e guardare le diverse foto di Didier Ruef sul nostro sito www.azione.ch.
Un memoriale di Lutero nella città di Eisleben, Sassonia. (AFP)
questo non può evidentemente lasciare indifferente il mondo riformato. Vuol dire che con Francesco cattolici e luterani possono davvero immaginare un futuro senza divisioni? Dipende da che cosa intendiamo col termine unità. Dal punto di vista teologico, ad esempio, nel 1999 c’è già stato un enorme passo in avanti con l’approvazione della Dichiarazione
congiunta sulla dottrina della giustificazione, testo che affronta la principale questione sull’interpretazione dei contenuti della fede cristiana che per secoli ha diviso Roma dal mondo luterano. Quel documento enunciava anche l’idea del «consenso differenziato», cioè la convinzione che visioni differenti su questioni specifiche non rendono impossibile uno sguardo comune sui fondamenti della fede cristiana. Il vero nodo che resta irrisolto è piuttosto quello dei sacramenti: la Chiesa cattolica continua a non ammettere la pratica dell’«ospitalità eucaristica», cioè la possibilità di ricevere la comunione in una liturgia di un’altra confessione cristiana (né permette a chi non è cattolico di farlo durante un proprio rito). Alla fine, oggi, il segno più visibile della divisione tra i cristiani resta questo. Ed è un segno che – a differenza del dialogo teologico, avvertito come qualcosa di lontano, riservato agli addetti ai lavori – tocca nel profondo la quotidianità della vita dei fedeli (in particolare
quella delle coppie interconfessionali, che si trovano paradossalmente divise proprio nel momento più alto della propria vita spirituale). Nella giornata di Lund il papa e i vertici delle chiese luterane parleranno della riconciliazione tra i cristiani come segno di speranza per un mondo solcato dai conflitti. È atteso anche un gesto di solidarietà nei confronti delle popolazioni della Siria che vivono da troppo tempo in una situazione drammatica che da qualcuno è stata paragonata proprio alle guerre di religione che hanno insanguinato a lungo l’Europa. Ma la sfida vera resta andare oltre gli eventi e le dichiarazioni solenni per portare davvero l’ecumenismo nella vita quotidiana delle comunità locali. Ci sono ancora tanti pregiudizi reciproci da abbattere; pregiudizi figli soprattutto di una lettura superficiale della storia. Forse proprio su questo i 500 anni della Riforma, oggi, possono diventare un’occasione molto preziosa per i cristiani di ogni confessione.
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Politica e Economia
Colloqui segreti sull’Afghanistan Qatar Nuovi round negoziali fra talebani
e governo di Kabul ma senza la partecipazione dei pakistani
AFP
Francesca Marino
Isis e petrolio, la vera posta in gioco
Libia A cinque anni dalla morte di Gheddafi il Paese resta nel caos
Alfredo Venturi A cinque anni dalla morte di Gheddafi la Libia è ancora immersa in un marasma indecifrabile. Quella che fu la Jamahiriya, una feroce dittatura personale travestita da democrazia diretta, offre al mondo lo spettacolo di una quantità di milizie armate, espressioni del centinaio di tribù in cui si articola la popolazione, impegnate in una lotta per il potere apparentemente priva di sbocchi. Un governo d’intesa nazionale voluto dalle Nazioni Unite, e quasi clandestinamente installato a Tripoli, tenta di venire a patti con l’autorità alternativa di Tobruk, sorretta dall’Egitto, e con l’esercito del generale Khalifa Haftar. Sono due le poste in gioco, il controllo del petrolio e la lotta contro l’Isis, presente nel Paese con una forza di alcune migliaia di uomini, che dopo essere stato sloggiato da Derna è tuttora presente a Sirte e altrove. Il caos libico offre ai jihadisti un contesto quanto mai favorevole, tanto più prezioso per gli uomini del Califfato nel momento in cui rischiano di perdere le loro posizioni in Iraq e Siria, cioè l’essenza territoriale dello Stato islamico. Inoltre l’Isis vede la Libia come un trampolino verso l’Europa, non a caso qualche tempo fa lanciò un video in cui si indicava Roma come obiettivo militare, con tanto di carri armati in marcia verso il Colosseo e bandiera nera issata sulla cupola di San Pietro. A questa inquietante presenza a poca distanza dalle coste meridionali europee si aggiungono altri due corollari della cronica instabilità libica. Si tratta di fenomeni governati da dinamiche contrastanti: il flusso dei migranti che attraversano quel braccio di mare, dalle dimensioni sempre più massicce, e quello del petrolio che al contrario la lunga crisi ha ridotto ai minimi termini. Tutto questo spiega la nervosa attenzione con cui la comunità internazionale, da sempre incerta sul da farsi, guarda alla Libia in fiamme. Le diplomazie si affannano attorno a una triplice esigenza: neutralizzare quella che l’Isis considera una testa di ponte verso l’Europa, mettere sotto controllo il travaso demografico dall’Africa verso l’Europa, permettere il ritorno delle esportazioni di petrolio ai valori pre-crisi, un milione e mezzo di barili al giorno. Oggi ne esce dalla Libia appena un terzo: le forze del generale Haftar si sono assicurate la vigilanza della maggior parte degli impianti e dei terminali, mentre il governo d’intesa nazionale di
Fayez al-Sarraj sembra fuori gioco, nonostante i suoi appoggi internazionali. Dopo che il maldestro intervento voluto nel 2011 da Londra e Parigi ha sì liberato il Paese da una sanguinaria dittatura, ma senza preparare un dopoGheddafi e dunque creando le condizioni dell’attuale instabilità, l’atteggiamento delle cancellerie è divenuto più prudente. Si è fatto strada un nuovo galateo delle missioni militari, che non sono più nominalmente tali e si limitano a operazioni di intelligence, addestramento delle truppe amiche, sminamento, protezione dei cittadini stranieri. Combattimento solo in caso di autodifesa. Il fatto che queste forze operano nel quadro dei servizi permette di superare l’ostacolo che le nostre democrazie pongono sulla strada degli interventi militari: l’approvazione parlamentare. Di fatto forze speciali americane, britanniche, francesi e italiane sono presenti sul territorio, ma di queste presenze si preferisce non parlare. Oggi l’ordine di grandezza è delle centinaia di uomini, ma la cronicità della crisi fa pensare a una consistenza destinata a dilatarsi. In particolare l’Italia viene sollecitata a un maggiore impegno in Libia. L’invito è stato recentemente ribadito da Barack Obama quando ha ricevuto a Washington Matteo Renzi. La ragione è che l’Italia è in prima linea, per la sua collocazione geografica, sia di fronte alla minaccia Isis, sia in relazione al fenomeno migratorio, che va sempre più assumendo caratteri di esodo e dopo la chiusura della rotta balcanica è diretto prevalentemente in Sicilia. È un problema che il governo di Roma cerca da sempre, con scarso successo, di condividere con l’Europa intera. Ma l’idea di un’Italia impegnata in Libia, geografia a parte, solleva imbarazzanti richiami storici. Non a caso qualche mese fa Abu Yusuf al-Anabi, il numero due del ramo maghrebino di al-Qaeda, proclamò pubblicamente che «i nipoti di Graziani si pentiranno di essere entrati nella terra di Omar al-Mukhtar». Al-Anabi cita dunque il generale Rodolfo Graziani, che nel 1931 fu incaricato da Benito Mussolini di «pacificare» la Cirenaica, ribelle all’ordine coloniale, con l’ordine esplicito di «pestare duro», e non se lo fece dire due volte. Con l’uso delle incursioni aeree e dei gas, le deportazioni dai villaggi ribelli ai campi di concentramento per isolare i miliziani dalla loro base popolare, e infine la pubblica impiccagione di al-Mukhtar, il capo della resistenza, Graziani riuscì a stroncare la ribellione. E così i jihadisti,
di fronte all’interventismo occidentale, agitano la bandiera dell’anti-colonialismo, di grande efficacia in un Paese che conobbe il giogo straniero. Poiché si ammantano di motivazioni religiose, per loro colonialisti è sinonimo di crociati, la quintessenza del male nell’ottica dei terroristi neri, siano essi aderenti al Califfato o alla galassia di al-Qaeda. Del resto anche Gheddafi individuò nell’anti-colonialismo un collante per tenere insieme quel guazzabuglio di tribù reciprocamente ostili. Due anni prima della caduta, il dittatore in visita di Stato a Roma si presentò con appuntata sul petto la foto di al-Mukhtar in catene. L’eroe della resistenza anti-italiana era cirenaico, veniva cioè da una parte del Paese non soltanto geograficamente ma anche storicamente lontana da Tripoli. Fu proprio il governo coloniale di Roma a unificare i due territori (e il terzo, quello del Fezzan), che da sempre avevano avuto esperienze differenziate. Erano province distinte nell’amministrazione turca che precedette la conquista italiana, erano state mondi diversi fin dall’antichità, quando la Cirenaica gravitava nel firmamento greco-bizantino mentre la parte occidentale del Paese faceva parte dell’Africa berbera. Oggi la dicotomia TripoliTobruk, con le due autorità concorrenti e rivali, non fa che riproporre questa costante storica. Proprio a Tripoli e Tobruk s’iniziò oltre un secolo fa la guerra italo-turca. Il 4 ottobre 1911 i primi fanti di marina sbarcarono a Tobruk, il giorno dopo a Tripoli. Poi arrivò il resto della forza d’invasione, due divisioni più alcuni reparti supplementari, in tutto trentacinquemila uomini agli ordini del generale Carlo Caneva. Senza contare la marina che teneva alla larga la flotta ottomana, e la nascente aviazione che proprio durante questo conflitto si produsse nel primo bombardamento aereo della storia: granate a mano scaraventate su una base turca nell’oasi di Ain Zara dal tenente Giulio Gavotti ai comandi del suo monoplano Taube. Ci vorranno molti anni, e la brutale missione di Graziani, per fare della Libia una colonia di popolamento, fino a trasformarsi in campo di battaglia con la seconda guerra mondiale. Ancora oggi il deserto libico, così come il confinante territorio egiziano, è disseminato di mine, ricordo dello scontro fra le forze dell’Asse e gli alleati culminato nella battaglia di el-Alamein. Un retaggio davvero ingombrante, un’ombra scura sulle relazioni fra Roma e la «quarta sponda». Un elemento che ostacola, oggi, qualsiasi approccio italiano alla questione libica.
La notizia è arrivata come il classico fulmine a ciel sereno, anche se di sereno al momento il cielo sopra Islamabad non ha proprio nulla: i talebani, dal loro ufficio politico di Doha, hanno ripreso i cosiddetti colloqui di pace. Presenti tra gli altri ai colloqui, che tra settembre e ottobre si sono svolti in diverse tornate, il fratello del mullah Omar, il capo dell’Intelligence afghana Stanakzai e un inviato americano. Nessun pakistano – e la vera notizia è proprio questa – è stato invitato a presenziare. La cosa evidentemente non ha fatto piacere a Islamabad e dintorni, e la reazione non si è fatta attendere: giorni dopo l’annuncio, sono stati arrestati a Quetta due capi talebani. Immediatamente dopo, una delegazione proveniente da Doha è arrivata in Pakistan per discutere, ufficialmente, l’eventuale rilascio dei due signori imprigionati. Ufficiosamente, per discutere dei colloqui di cui sopra e aggiornare il governo pakistano sullo stato delle cose. Il fallimento del cosiddetto Quadrilateral Group composto da rappresentanti di Cina, Afghanistan, Pakistan e Usa e fortemente voluto da Islamabad, è ormai ufficiale. E i talebani, che sanno benissimo di avere tutti gli assi in mano, stanno giocando su più tavoli cercando di mettere in pratica la sempre valida lezione del «divide et impera» di romana memoria. In luglio erano volati a Pechino, che tiene ormai saldamente in mano le redini dell’economia pakistana, per appellarsi ai fratelli cinesi (notori difensori dei diritti umani) dichiarando poi: «Abbiamo informato il governo cinese delle atrocità commesse dalle forze di occupazione ai danni della popolazione afghana. Vogliamo che le autorità cinesi ci aiutino a sollevare il problema nelle conferenze internazionali e a liberarci dalle forze di occupazione». Appena due mesi dopo, contraddicendo tutte le dichiarazioni rilasciate fino al giorno prima per cui i talebani non si sarebbero mai seduti al tavolo delle trattative con il governo Ghani e con gli Usa «fino l’ultimo soldato delle forze di occupazione non avrà abbandonato l’Afghanistan», gli ineffabili barbuti si sono ritrovati a discutere con gli acerrimi nemici di cui sopra. È assai improbabile che dagli ultimi colloqui di Doha venga fuori qualcosa di concreto, ma non è questo il punto. Il punto è che i talebani negoziano da una posizione di forza e lo sanno perfettamente. È solo questione di tempo, e la posta in gioco diventa sempre più alta. Il governo afghano è isolato, anche e soprattutto fisicamente. La
maggior parte del territorio è in mano ai talebani che spesso giocano al gatto col topo conquistando e poi abbandonando fondamentali posizioni strategiche. Non solo: per sedere al tavolo delle trattative non sono state poste condizioni, da nessuno. I talebani non hanno deposto le armi e non si sono ideologicamente dissociati né da Al Qaeda né dalle loro posizioni, anzi. Di recente, per bocca degli Haqqani (gruppo terrorista che in Pakistan non viene neanche remotamente toccato dalle forze dell’ordine), hanno rilanciato: le trattative devono essere in linea con i principi della sharia. Nonostante questo, nonostante le continue azioni militari e gli attentati, i signori che risiedono a Doha possiedono un passaporto e visti di ingresso rilasciati dai vari paesi in cui si recano per discutere una riappacificazione sempre più fantomatica. Come dire: chi scrive non può entrare in Pakistan per aver parlato di Balochistan e dintorni, ma i terroristi non hanno alcun problema di visto. Né in Pakistan, né in Cina né nei paesi del Golfo. Che da parte loro manovrano bellamente gli ex-studenti di teologia. Perché la partita che si gioca in questo momento va ben al di là dell’agenda dell’Occidente tutto. Controllare l’Afghanistan significa controllare l’accesso al Medio Oriente ed è più che mai cruciale per gli infiniti giochi politici ed economici in corso nella regione. E Islamabad non vuole e non può rinunciare, anche per nome e conto dei fratelli cinesi, al controllo sulle trattative e sulla compagine che un giorno ne uscirà. Il rischio è di ritrovarsi a Kabul una compagine governativa ingestibile e/o filo-indiana e filo-occidentale. Non solo: il Pakistan cerca di uscire dall’isolamento politico e diplomatico in cui la politica estera gestita dal generale Raheel Sharif lo ha cacciato. Le relazioni con i talebani da una parte e con il governo afghano dall’altra sono sempre più tese e difficili: tanto che Islamabad di recente sta cercando di costruire una narrativa diversa per ciò che accade nel Paese a opera dei talebani pakistani e per le pessime relazioni con i talebani afghani. Secondo i pakistani, sarebbe l’India a finanziare i talebani, pakistani o afghani che siano, per destabilizzare un Paese tranquillo e pacifico come il Pakistan e per boicottare il corridoio economico tra Cina e Pakistan la cui realizzazione in termini legali e di infrastrutture comincerà tra poco. Cruciale per l’accordo, guarda caso, il Balochistan: capitale Quetta, dove risiedono i talebani importati dal Pakistan.
Sotto la pressione dei talebani Kabul mette in campo nuove leve di piloti. (AFP)
Publireportage
Hakle®, l’unione fa la forza: acqua pulita e impianti sanitari sicuri per i bimbi in Africa.
Insieme a UNICEF, la maggiore organizzazione mondiale di aiuto all’infanzia, Hakle®, un originale svizzero, si impegna al fine di proteggere e migliorare la vita dei bambini e delle loro famiglie in Africa. Così facendo, Hakle® segue l’esempio di molti cittadini svizzeri che ogni anno con le loro donazioni aiutano il prossimo. È un dato di fatto che validi servizi igienici di base sono indispensabili per la salute dei bambini. Ma fino ad oggi un terzo della popolazione mondiale non dispone di acqua pulita e di impianti sanitari sicuri. Ogni giorno muoiono ancora fino a 1’000 bambini a causa di malattie causate da acqua contaminata e carenza di igiene. Molti bimbi – bambine in particolare – non frequentano le lezioni scolastiche a causa della mancanza di servizi igienici. Hakle vuole che ciò cambi!
Aiutateci anche voi! Con l’acquisto di una confezione di Hakle® sostenete l’UNICEF e contribuite così all’istaurazione di nuovi impianti sanitari in oltre 300 scuole in Sudafrica e ad assicurare i servizi igienici di base in oltre 350 comuni dell’Angola.
La costruzione di un impianto sanitario assicura una maggiore qualità di vita e può salvare delle vite.
„Siamo molto riconoscenti ad Hakle® per il suo sostegno. Ci aiuta a migliorare notevolmente gli standard igienici per tanti bambini e per le loro famiglie in Sudafrica e in Angola e a ridurre così il rischio di contrarre malattie. Il nostro obiettivo comune è quello di salvare vite e di consentire, grazie a scuole ben equipaggiate, l’accesso all’istruzione al maggior numero di bambini possibile.” Elsbeth Müller, Direttrice generale dell’UNICEF, SVIZZERA
Per saperne di più sull’iniziativa „Toilets Change Lives” e sul sostegno di Hakle® cliccate www.hakle.ch e www.unicef.ch
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Politica e Economia
Una banca globale ma svizzera
Intervista Come CEO di UBS, Sergio Ermotti è fra le più importanti personalità del mondo economico. Ci parla dei rischi per la piazza finanziaria, delle conseguenze negative di un eccesso di iniziative popolari e della sua passione per il calcio
povere del mondo. Cosa dichiara in merito?
Reto E. Wild e Hans Schneeberger*
Affermazioni così generalizzate sono irresponsabili e completamente ingiustificate.
Signor Ermotti, cosa comporta per UBS il fatto che un ticinese guidi la banca?
Nulla di veramente straordinario. Ovviamente, come ticinese sono forse più sensibile alle differenze esistenti tra le regioni latine e svizzero-tedesche del nostro paese. Probabilmente sono anche il primo ticinese in assoluto al vertice di una grande banca. Per noi la Svizzera è molto importante a livello strategico, ma il nostro campo d’azione è globale. La nostra identità elvetica ha un grande significato all’estero. Perciò, per guidare l’UBS svolge un ruolo maggiore la «svizzeritudine» piuttosto che il fatto che io sia ticinese, svizzero-tedesco o romando.
Jörg Gasser, il nuovo segretario di Stato per le questioni finanziarie internazionali, afferma che l’immagine della nostra piazza finanziaria va rafforzata e vanno esplorati nuovi mercati. Come in concreto?
Per noi non è prioritario avere ulteriori nuovi mercati. Una volta coperti il Giappone, Singapore o la Cina, oltre a Indonesia, Europa, USA, Messico e Brasile, si è presenti sulla stragrande maggioranza del mercato mondiale. Ora si tratta soprattutto di fare in modo che la piazza finanziaria elvetica possa offrire servizi ancora migliori a questi mercati esteri tramite adeguati accordi. Ciò è di grande importanza per l’economia nazionale. Infatti, la piazza finanziaria non è fine a sé stessa: i soldi che gestiamo in Svizzera sono a disposizione dell’economia e delle imprese svizzere.
Ciò significa che il CEO di UBS dovrebbe essere sempre uno svizzero?
Non necessariamente. Gli svizzeri possono essere rappresentati anche nella Direzione generale o nel Consiglio d’amministrazione. È come nello sport: la tattica va adattata anche ai giocatori che si hanno a disposizione. Tuttavia, non possiamo dire di volere essere una banca svizzera e poi avere altre nazionalità nella Direzione generale. È importante avere un buon equilibrio. La composizione della Direzione generale riflette anche la nostra forte identità globale e la varietà della squadra rispecchia la base della nostra clientela. UBS significa entrambe le cose, svizzeritudine e identità globale. È un elemento al quale tengo molto. Qual è, secondo lei, la differenza tra il Ticino e la Svizzera tedesca? Politicamente, il Ticino si è spostato sempre più verso la Svizzera tedesca, allontanandosi dalla Svizzera romanda.
È vero, la Lega sta crescendo come l’UDC. Credo che molti siano preoccupati per la loro qualità di vita. E ne capisco le preoccupazioni. Almeno la metà dei Ticinesi che hanno votato per l’Iniziativa contro l’immigrazione di massa probabilmente avrebbero espresso un’opinione diversa, se avessero avuto la sensazione che a Berna fossero presi sul serio. Se sapessero che i problemi di traffico vengono affrontati, che i posti di lavoro sono meglio tutelati. Non dico che sono d’accordo con la loro scelta, ma posso capirne le ragioni. Lei è considerato un patriota e ha partecipato alla Festa federale di lotta svizzera. Che ruolo gioca per lei la Svizzera?
Mi identifico molto con la Svizzera e con il Ticino. È nella natura delle cose che mi senta prima ticinese e poi svizzero. Ritengo che sia importante avere un’identità e mantenerla. Penso anche che la Svizzera potrebbe, e dovrebbe, essere un buon esempio per molti Paesi. Certamente, anche noi dobbiamo continuare a migliorarci e ad adeguarci. Cosa intende con «adeguarsi»?
A livello economico e politico. Siamo diventati uno Stato troppo burocratico. E come elettore mi disturba la crescente strumentalizzazione della democrazia diretta. Stiamo sprecando un punto di forza del nostro sistema con un’infinità di iniziative popolari. Mi capisca bene: ritengo che questo strumento abbia un’importanza straordinaria. Molti politici, però, lanciano le iniziative non tanto per servire una causa, quanto piuttosto per posizionarsi, per mentenere i punti che difendono e per esercitare pressioni. Questo danneggia il Paese. Un inflazionato esercizio del diritto di iniziativa toglie in parte credibilità al nostro sistema politico. Per quale motivo?
Votiamo spessissimo su proposte che rischiano di far perdere interesse ai cittadini. A ciò si aggiunge la necessità di ade-
Ma così il franco svizzero si rafforzerà ulteriormente.
Sergio Ermotti: «Dobbiamo costruire sulla nostra tradizione e sui nostri punti di forza». (Dan Cermak)
guarsi alle nuove realtà, come ad esempio la demografia. Per lanciare un’iniziativa popolare federale ci vogliono da decenni solo 100 000 firme, nonostante dal 1900 la popolazione sia quasi triplicata. Oggi è diventato troppo facile raccogliere le firme necessarie. Inoltre, sono molto critico nei confronti di iniziative popolari provenienti dai partiti di governo. Lei ha già criticato anche il Consiglio federale, soprattutto in relazione al segreto bancario.
Attenzione: ho fatto quella dichiarazione perché sembra che il Consiglio federale non abbia ancora tenuto nella dovuta considerazione il fatto che l’elettorato borghese si sia rafforzato dopo le elezioni di un anno fa. Non era da interpretare come una critica, ma come una constatazione. E molti osservatori politici condividono la mia valutazione. Lei è il CEO di una grande banca, ma avrebbe preferito fare il calciatore…
Sì, scambierei il mio posto di CEO con un’eventuale finale di Champions League o dei Campionati del Mondo. Sarebbe un sogno giocare a quei livelli. Tuttavia, se avessi intrapreso la carriera di calciatore professionista, oggi sarei in pensione. Come CEO di una banca, invece, posso ancora lavorare. E forse è meglio così (ride).
«Mi identifico molto con la Svizzera e con il Ticino, mi sento prima ticinese e poi svizzero. È importante avere un’identità e mantenerla» Comunque, lei è tuttora presidente del FC Collina d’Oro che milita in seconda lega. Che significato ha per Lei?
Semplicemente, mi fa piacere andare sul campo di calcio a fare lo spettatore. Si tratta di un mondo completamente diverso dal mio ed è un contributo alla comunità della mia regione. Come banchiere guadagna più di tanti calciatori. Nel 2015 erano 14,3 milioni di franchi. Come si fa a
mantenere i piedi per terra di fronte a questa somma?
Non è un motivo che mi fa perdere il contatto con la realtà. Il mio primo salario era di 350 franchi al mese. Era il 1975. E non venivo da una famiglia ricca. Mio padre era un semplice impiegato di banca. So perfettamente cosa significa guadagnarsi lo stipendio. Con ciò non intendo dire che per me il denaro non abbia importanza. È certamente importante essere retribuito in modo conforme al mercato. E, sicuramente, il fatto di essere diventato finanziariamente indipendente abbastanza presto, mi ha portato una certa libertà. Ma mi piace lavorare e non solo per i soldi. È interessante il fatto che gli stipendi dei campioni dello sport o delle star del cinema e della musica non siano mai oggetto di discussione, mentre lo sono invece quelli dei manager. Si argomenta dicendo che non è la comunità a pagare il salario dello sportivo. Ma non è vero. Chi paga indirettamente per la sponsorizzazione, i diritti televisivi e la pubblicità? Sono i consumatori! Però, per quanto riguarda i divi dello sport e dello spettacolo, tutti possiamo vedere quello che fanno. Non è di certo il caso per i quadri dirigenti di una banca.
Ora non intendo mettermi sulla difensiva. Lei, però, deve dare atto che oggi abbiamo regole molto precise e una buona vigilanza per quanto riguarda le retribuzioni. L’ultima parola in merito spetta ai proprietari delle aziende, ossia agli azionisti. E in Svizzera essi hanno diritto di voto sul pacchetto retributivo. L’UBS è particolarmente sotto i riflettori perché nel 2008 è dovuta ricorrere all’aiuto dello Stato.
È vero e siamo molto grati al governo svizzero, sebbene all’epoca non fossi ancora in UBS. Va però anche detto – e ne siamo lieti – che lo Stato ha guadagnato piuttosto bene con quell’intervento. Naturalmente, non è una ragione per voler ripetere l’esperienza. Altra questione: è solo un’impressione, o è davvero così, che oggi sulla piazza finanziaria svizzera ci si muova con più modestia?
Credo che la modestia sia importante, a prescindere dalla propria forza. Non si tratta di noi, ma di come possiamo
aiutare i nostri clienti. È però un dato di fatto che la piazza finanziaria elvetica sia piuttosto sotto pressione a livello internazionale. Asia e Stati Uniti stanno crescendo come concorrenti nella gestione patrimoniale tradizionale. Il fatto poi che l’Europa non cresca quasi più, non è una cosa positiva neppure per la Svizzera, perché per noi i mercati europei ricoprono un ruolo importante. Tuttavia, non dobbiamo sminuirci da soli, possiamo benissimo continuare a essere fra i primi. Dobbiamo costruire sulla nostra tradizione e sui nostri punti di forza.
In che misura oggi la piazza finanziaria svizzera è pulita?
La Svizzera ha adottato moltissime misure e si trova in una posizione di testa per quanto riguarda la conformità fiscale o la lotta contro il riciclaggio di denaro. Soddisfiamo standard rigorosi. La Svizzera è perfetta? No, ma si colloca molto meglio di tanti altri Paesi che regolarmente ci criticano. Per esempio gli USA?
Non faccio esempi. È comunque chiaro che la piazza finanziaria elvetica deve proseguire sulla via che ha tracciato. Adesso non dobbiamo neppure fare del catastrofismo.
Non è frustrante vedere che la Svizzera ha fatto pulizia mentre altri Paesi, che ci hanno criticato, continuano a fare soldi nel retrobottega?
A volte le realtà sono queste. Trovo più frustrante che si continui a discutere del passato. Permettiamo a Stati stranieri di giudicare il nostro sistema giuridico, cosicché le banche svizzere vengono di fatto dichiarate colpevoli per cose che qui da noi erano legali e che sono state compiute conformemente alle leggi svizzere. Neppure il presente è sempre perfetto: in uno dei maggiori scandali mondiali legati al riciclaggio, quello del fondo sovrano malese 1MDB, erano coinvolte anche la banca privata svizzera Falcon e l’UBS.
Non scendo nei particolari dei singoli casi. Dico solo questo: è molto pericoloso generalizzare sulla base di un singolo caso. I critici parlano di una duplice strategia: soldi «in bianco» dai Paesi ricchi, ma soldi in nero dalle regioni più
Primo punto: l’80 percento dei patrimoni che noi operatori finanziari gestiamo in Svizzera sono costituiti da depositi in valute straniere, non in franchi. In secondo luogo, il problema della forza del franco svizzero non è dovuto principalmente a stranieri che investono nella nostra valuta. In misura molto maggiore si tratta di società svizzere e investitori istituzionali, che ormai da anni fanno rientrare regolarmente in Svizzera investimenti e dividendi. È stata saggia la decisione della Banca nazionale (BNS) di abbandonare il tasso minimo di cambio con l’euro?
Non spetta a me giudicare se sia stato saggio o meno. Era però senz’altro necessario intervenire, sia nel 2011 che nel 2015. Altra cosa è chiedersi se il modo di procedere sia stato ottimale. La BNS deve continuare a vigilare affinché il franco svizzero non sia valutato in modo irrealistico e l’economia elvetica resti concorrenziale. Ma per farlo abbiamo bisogno innanzitutto di appropriate condizioni quadro. Guardi cosa ha fatto la Svizzera in passato per rendersi concorrenziale: liberalismo e un contesto favorevole alle imprese. I clienti dell’UBS devono aspettarsi prossimamente un interesse negativo sui loro risparmi?
I piccoli risparmiatori no. A meno che la Banca nazionale non accentui ulteriormente la politica dei tassi negativi. Questo costituirebbe un ulteriore enorme aggravio per le banche, tanto più che si tratta del «pane quotidiano» della nostra attività. Per i clienti facoltosi, invece, è una misura che non possiamo escludere. Biografia
Sergio P. Ermotti (56 anni) è entrato nella direzione del gruppo UBS nell’aprile del 2011 e nel novembre dello stesso anno è stato nominato Group Chief Executive Officer di UBS Group. Dal 2007 al 2010 è stato Group Deputy Chief Executive Officer di Uni-Credit a Milano, responsabile per le attività strategiche di Corporate and Investment Banking nonché del Private Banking. La sua carriera professionale è iniziata come apprendista bancario. Nel 1987 debutta in Merrill Lynch. Ermotti abita a Zugo durante la settimana e trascorre regolarmente il week-end a Montagnola, non lontano da Lugano. È sposato con Tina, con la quale ha due figli di 22 e 20 anni. * Redattore e direttore di Migros Magazin
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 31 ottobre 2016 • N. 44
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Politica e Economia
2016 – l’anno delle catastrofi mancate La consulenza della Banca Migros
Albert Steck «I cani abbaiano, la carovana passa.» Questo proverbio rispecchia appieno ciò che è successo nel 2016.
Albert Steck è responsabile delle analisi di mercato e dei prodotti presso la Banca Migros
Spesso i mercati sono stati presi dal panico, ma è risultato sempre un falso allarme. Questo nervosismo non giunge a caso. L’anno è cominciato subito con un gran tonfo delle borse: le quotazioni si sono sgretolate in tutto il mondo e ben presto si è cominciato a parlare dell’«inizio anno peggiore di tutti i tempi». Tuttavia, chi non si è fatto disorientare dal catastrofismo non ha niente di cui pentirsi: da metà febbraio a inizio giugno la borsa svizzera ha guadagnato un considerevole 15 percento. Poi è arrivata la Brexit ed è cominciato tutto daccapo. Le borse sono state assalite di nuovo dal panico, ma l’agitazione ha avuto vita breve. In poco tempo, infatti, numerosi indici azionari hanno toccato nuovi massimi storici. Potremmo liquidare tutto ciò come le fantasie di qualche operatore di borsa iperattivo, secondo il proverbio «i cani abbaiano, la carovana passa». Ma questa interpretazione non è adeguata. Perché? L’andamento dei mercati finanziari è sempre più dominato dalle banche centrali. Con i loro rubinetti
Da 499 anni mai un tasso negativo
Rendimento dei titoli di stato olandesi a dieci anni dal 1517. (Fonte: BofA Merrill Lynch)
ben aperti segnalano ai mercati di avere la situazione sotto controllo. Ma le banche centrali si stanno muovendo su un terreno inesplorato, per il quale manca qualsiasi esperienza. Sono emblematici i titoli di stato olandesi: per la prima volta da 499 anni la più lunga serie esistente dei tassi è scesa sotto lo zero (v. grafico).
Tuttavia, quanto più le banche centrali ricorrono all’artiglieria pesante, tanto più intensamente i mercati si chiedono se il loro arsenale non si esaurirà presto. A più riprese emergono dunque sulle borse supposizioni che la rete di sicurezza della politica monetaria potrebbe rompersi. In queste fasi si diffonde sempre un’im-
provvisa frenesia, come abbiamo visto spesso nel 2016. Perché i mercati ritrovino la calma occorre soprattutto una cosa: che anche le banche centrali tornino a una politica monetaria più normale. Attualità su blog.bancamigros: 2016 – l’anno delle catastrofi mancate. Annuncio pubblicitario
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Politica e Economia
Piccole-medie imprese a rischio Congiuntura L’improvviso peggioramento della situazione nel terzo trimestre 2016 mette in forse la sopravvivenza
di un numero notevole di industrie, ancora penalizzate dalla forza del franco rispetto all’euro
Ignazio Bonoli Tra le industrie che lavorano soprattutto per l’esportazione, accanto ai grandi complessi, la Svizzera conta anche molte piccole e medie industrie, che sono uno degli assi portanti di tutto il settore secondario. Industrie che hanno subito il contraccolpo dell’abbandono della difesa del franco da parte della Banca nazionale, ma che sono nondimeno riuscite in parte a parare il colpo. Queste industrie sono però più esposte di altre alla forte concorrenza che si verifica oggi su tutti i mercati mondiali. Una recente indagine di Swissmechanic ha messo in evidenza le difficoltà che queste industrie stanno incontrando. Difficoltà che si sono accentuate nel terzo trimestre di quest’anno. Tanto che il presidente di Swissmechanic può affermare che la metà dei membri dell’organizzazione sta ormai lottando per la sopravvivenza. La maggior parte di loro deve inoltre limitarsi a margini di utile del 3,5%, il che è certamente insufficiente per garantire continuità alle aziende, che devono costantemente ammodernarsi e rinnovare il loro apparato produttivo. Queste imprese sono confrontate con due tipi di concorrenza molto forti. Da un lato i produttori europei, che grazie alla debolezza dell’euro esportano a prezzi stracciati, dall’altro le grandi industrie svizzere che fanno i loro acquisti all’estero, perché i prezzi sono molto più favorevoli. Non solo, ma il credito bancario diventa più difficile, poiché le banche – proprio a causa degli
In Svizzera si contano 1400 piccole e medie imprese, che danno lavoro a oltre 62mila persone. (Keystone)
utili ridotti – aumentano il premio di rischio proprio per queste aziende. E si tratta di 1’400 aziende che lavorano soprattutto nel settore delle macchine, dell’industria elettrica e dei metalli. Esse impiegano 62’578 dipendenti, nonché 5’812 apprendisti. A causa dei margini di utile ridotti si vedono mancare a lunga scadenza i mezzi per i necessari investimenti. Tutte sono ormai rivolte verso una robotizzazione e una digitalizzazione della produzione mediante investimenti molto costosi, ma necessari per tenere il passo con la concorrenza dall’estero.
Oggi la concorrenza principale sul mercato svizzero è quella di aziende del Sud della Germania, molto efficienti e quindi in grado di confrontarsi anche con la tradizionale qualità svizzera. Evidentemente l’indebolimento dell’euro (che può essere visto anche come rafforzamento del franco) ha ulteriormente favorito queste industrie che non sono solo i principali concorrenti di quelle svizzere, ma che in buona parte sono anche loro clienti. Il fattore monetario incide quindi sui due fronti in maniera talvolta determinante.
L’indagine citata all’inizio mette, infatti, in evidenza che dal 2015 la situazione è perfino peggiorata rispetto a una tendenza già negativa nell’industria delle macchine, si è mantenuta sugli stessi livelli negativi nell’industria elettrica, è solo leggermente migliorata per l’industria delle macchine, ha subito un tonfo nell’industria orologiera, che fino a quest’anno aveva retto bene. In totale si può dire che per l’industria in esame la situazione appare soltanto un po’ meno peggiore di quella dello scorso anno. Anche per quanto concerne la redditività delle aziende, la pro-
porzione di insoddisfatti, che era scesa al 38 per cento, dopo un inizio d’anno con il 54, nel terzo trimestre è risalita al 52 per cento. Considerando tutto il settore industriale si può vedere che, in pratica, solo l’industria chimico-farmaceutica constata un miglioramento sensibile quest’anno. Negli altri rami migliorano leggermente solo la costruzione di macchine, l’industria alimentare e quella delle plastiche. Nella situazione attuale non si vedono possibilità di miglioramento. Anzi, l’organizzazione di categoria si lamenta che provvedimenti politici – ad esempio come per la politica energetica – favoriscono le grandi aziende, ma scaricano parte dei costi sui cittadini e sulle piccole e medie aziende. Quali possibilità potrebbero quindi avere le piccole e medie aziende per produrre a costi inferiori? Si constata nel settore una certa tendenza a suddividere il lavoro, usando in modo ottimale macchine e impianti. Per loro non è però possibile – come per le grandi aziende – trasferire all’estero parte della produzione. Con 25/30 collaboratori non ne vale la pena. Non resta che chiedere di ridurre la burocrazia e appoggiare iniziative come quella che chiede prezzi corretti in Svizzera. Al piccolo non è nemmeno possibile rifornirsi all’estero a prezzi favorevoli, poiché deve piuttosto ricorrere all’importatore svizzero, che paga già prezzi superiori. Finora l’unica misura adottata è stata quella di prolungare i tempi di lavoro. La prossima potrebbe essere quella di sopprimere posti di lavoro.
Il collante della Svizzera
Pubblicazioni Il politologo Michael Hermann indaga in uno studio i fattori che tengono unito il nostro paese Marzio Rigonalli Che cosa tiene uniti gli svizzeri? Perché quattro comunità linguistiche vivono insieme, tutto sommato pacificamente? Perché le velleità separatistiche, manifestatesi sporadicamente in passato, sono sempre state l’appannaggio di poche ed infime minoranze? Le domande affiorano ogni tanto, soprattutto tra gli osservatori che vivono all’esterno della realtà elvetica. E le risposte arrivano spontanee, a singhiozzi, contenente ciascuna un briciolo di verità. Il merito di questa situazione viene attribuito alla posizione geografica della Svizzera nel cuore dell’Europa, o alla neutralità, o al federalismo, o alla già lunga storia comune, o alla paura di fronte ai pericoli esterni, o al benessere materiale, o ad altre caratteristiche ancora. Il politologo Michael Hermann affronta la questione in un saggio pubblicato dalle edizioni Zytglogge, intitolato Was die Schweiz zusammenhält. Hermann vi dedica quattro capitoli, al centro dei quali egli colloca quello che chiama il tessuto (Gewebe), che caratte-
rizza il vivere insieme degli svizzeri. Un tessuto che si è costituito attraverso i secoli e che è riuscito a superare indenne numerose difficoltà. L’autore cita alcuni esempi delle prove vinte. La guerra del Sonderbund, a metà del XIX secolo, che oppose i cantoni cattolici e conservatori, ai cantoni radicali e liberali. La nascita del nazionalismo europeo, sempre nello stesso secolo. La Svizzera si è ritrovata circondata da tre dei principali attori del nazionalismo: Francia, Germania ed Italia, con i quali condivideva la lingua e la cultura. Invece di venir assorbita, la Confederazione rimase al di fuori, dimostrando che una nazione che non possiede una cultura unitaria, può essere creata attraverso le istituzioni, le esperienze collettive, la volontà di indipendenza e di distacco dai poteri esterni. La seconda guerra mondiale, quando la Svizzera, nel 1940, restò praticamente da sola, come democrazia parlamentare in Europa, e seppe dimostrare un grande attaccamento alla neutralità ed un grande spirito di resistenza. Nei tempi più vicini a noi, Hermann ricorda la bocciatura dello
Spazio economico europeo, con la votazione popolare del 6 dicembre 1992, un risultato che evidenziò una grande spaccatura tra i romandi, favorevoli, e gli svizzeri tedeschi, contrari. Le tensioni che sorgono periodicamente nell’ambito della perequazione finanziaria, tra i cantoni finanziariamente forti che mettono a disposizione risorse ed i cantoni finanziariamente deboli. O il conflitto linguistico tra romandi e svizzeri tedeschi, che si cela dietro il Röstigraben, un concetto apparso negli anni 70, e che oggi ha trovato nuova linfa nell’insegnamento delle lingue nazionali nelle scuole dell’obbligo della Svizzera tedesca. Le basi del tessuto che unisce gli svizzeri sono la lingua e la religione. Quest’ultima almeno non coincide più con determinati spazi geografici. Su queste basi s’intrecciano numerose tensioni e parecchi contrasti. Tra la città e la campagna, anche se oggi questa contrapposizione è meno forte, visto che la maggior parte della popolazione vive in piccole città e nelle periferie. Tra la montagna e la valle, tra ricchi e meno
ricchi. Questi contrasti vengono attutiti dal federalismo, che propone una variegata rete di cantoni e che non fa sue le tensioni esistenti. Vi sono cantoni grandi e cantoni piccoli, cantoni città e cantoni campagna. Quattro cantoni sono multilingue, otto almeno sono divisi per quanto concerne la religione. Il federalismo, insomma, non mette in circolazione forze centrifughe e rafforza il tessuto elvetico. La nostra situazione è molto diversa da quella che contraddistingue altri paesi. In Belgio, per esempio, c’è una frontiera linguistica che divide le due principali comunità e che rafforza le tensioni. La contrapposizione linguistica vien rafforzata dalla contrapposizione economica (le Fiandre sono passate da una società agricola ad una società di servizi ad alta tecnologia; la Vallonia è ancora alle prese con le conseguenze della fine della sua industria pesante) e dalla contrapposizione politica (nelle Fiandre prevalgono i conservatori cattolici; in Vallonia dominano i socialisti). L’introduzione del federalismo ha avuto come conseguenza il rafforzamento dell’antagoni-
smo culturale ed economico tra valloni e fiamminghi. La forza della Svizzera, scrive Hermann, è forse anche quella di essere un piccolo paese, multilingue, con una forte tradizione d’immigrazione e che è «capace di muoversi in modo corretto in un mondo in piena trasformazione». Un piccolo paese che può guardare con fiducia al futuro, ma che deve stare attento all’evoluzione del suo sistema politico, ammonisce l’autore. La democrazia del consenso fondata sulla formula magica e sulla continua ricerca del compromesso non fa più l’unanimità, per lo meno nella prassi dei partiti. In questi ultimi anni, l’ideologia partitica ha prevalso sulla ricerca del consenso. Lo dimostrano le difficoltà che il Parlamento incontra quando deve applicare un’iniziativa popolare approvata dal popolo e dai cantoni, ma che ha spaccato il paese in due, o semplicemente quando deve definire e approvare un progetto. L’iter parlamentare è molto lungo e, sovente, quando vien trovato un accordo l’intesa salta in votazione popolare. Annuncio pubblicitario
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Politica e Economia Rubriche
Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Lavoro a tempo parziale, vantaggi e svantaggi Dei molti cambiamenti manifestatisi nel mondo del lavoro durante gli ultimi cinquant’anni, l’aumento dei lavoratori a tempo parziale è stato certamente uno dei più significativi. Cinquant’anni fa, infatti la manodopera occupata lavorava, quasi senza eccezioni, a tempo pieno, vale a dire almeno otto ore al giorno, almeno cinque giorni per settimana. Poi, a partire dal 1980 circa, la quota dei lavoratori a tempo parziale non ha cessato di aumentare, nel cantone come a livello nazionale. Nel 1985, essa rappresentava appena il 6.5% dell’occupazione totale. Dieci anni dopo era già salita al 17%. Ancora dieci anni più tardi, nel 2005, i lavoratori a tempo parziale rappresentavano il 23.8% dell’occupazione totale. Nel 2015, la loro quota aveva superato oramai il 30%. In quell’anno, infatti, i lavoratori a tempo parziale rappre-
sentavano, in Ticino, il 32.2 per cento dell’effettivo di lavoratori occupati. Se la quota dei lavoratori a tempo parziale dovesse continuare ad aumentare a questo ritmo, tra 50 anni, ossia nel 2065, tutti i lavoratori occupati nell’economia ticinese lavoreranno a tempo parziale. Contrariamente alle molte remore avanzate, soprattutto all’inizio, dai datori di lavoro, questo tipo di occupazione ha avuto un grande successo. In attesa di ricerche che precisino le ragioni di questa riuscita possiamo cercare di identificarne qualcuna, così un poco a naso. La più importante è forse la possibilità per le donne che hanno una famiglia a carico di esercitare anche un’attività di lavoro remunerata. Il lavoro a tempo parziale ha consentito al tasso di attività femminile di aumentare. Non è una sorpresa quindi constatare che, nel 2015, in Ticino, praticamente i
tre quarti dei lavoratori a tempo parziale erano donne. Vi sono naturalmente cerchie di benpensanti che reputano che la donna con famiglia a carico non dovrebbe lavorare. Siccome però queste persone sono anche quelle che ritengono che l’economia cantonale dovrebbe ricorrere meno ai lavoratori stranieri di quanto fa, farà comunque loro piacere venire a sapere che, l’aumento del tasso di attività femminile è una delle poche possibilità che il Ticino ha oggi per aumentare l’offerta di manodopera indigena e contenere quindi l’immigrazione di lavoratori dall’estero. Questi sono gli aspetti positivi del lavoro a tempo parziale. Non possiamo però nascondere che questo tipo di attività ha contribuito a fragilizzare il mercato del lavoro, indebolendo la posizione del lavoratore nella contrattazione, specie in quei rami del terziario, come il
commercio, la ristorazione, l’albergheria, la salute e il sociale, dove è relativamente facile far posto a un’attività a tempo parziale. Il datore di lavoro, poi, in generale ci guadagna, perché un lavoratore a tempo parziale gli assicura una produttività per posto di lavoro superiore. Da ultimo osserviamo che l’effetto fragilizzante del lavoro a tempo parziale viene confermato dal fatto che una parte crescente di coloro che lavorano secondo questa modalità vorrebbero poter lavorare più a lungo. In uno studio appena uscito su Dati, statistiche e società, Oscar Gonzalez si è occupato in particolare di questo aspetto, analizzando i dati dell’inchiesta RIFOS che viene svolta solo sulla popolazione residente. L’inchiesta in questione suddivide i lavoratori a tempo parziale in due gruppi: i soddisfatti e quelli che non lo sono. Quelli che non lo sono reputano
di essere sotto-occupati e vorrebbero lavorare più a lungo. Ora, tra il 2004 e il 2015, mentre i lavoratori a tempo parziale sono aumentati del 38%, il gruppo dei lavoratori a tempo parziale insoddisfatti è aumentato del 56%. Ancora due precisazioni. La prima per ricordare che la quota dei lavoratori a tempo parziale insoddisfatti è, in Ticino, quasi tre volte maggiore che a livello svizzero. La seconda per osservare che non tutti coloro che non sono soddisfatti del lavoro a tempo parziale vorrebbero lavorare a tempo pieno. Ma la quota di coloro che vorrebbero lavorare a tempo pieno continua ad aumentare. Nel 2015, i due terzi dei lavoratori a tempo parziale residenti in Ticino avrebbero desiderato un’occupazione a tempo pieno. Cari datori di lavoro, se cercate manodopera pronta a lavorare di più, ora sapete dove potete trovarla.
la strategia «assassina» dei democratici abbia successo il partito di Hillary (e di Barack Obama, che come si sa è il re dei «killer» in campagna elettorale, ancora quest’anno lo sta dimostrando alla grande) deve confermare i suoi seggi e strapparne almeno 30 ai repubblicani. Per i sondaggisti quest’ipotesi è possibile, ma non probabile: si tratterebbe davvero di una megavittoria di Hillary. Il mandato dei cento senatori, invece, dura sei anni e ogni due anni viene rinnovato un terzo del Senato: a novembre sono in gioco 34 seggi. Anche al Senato la maggioranza è dei repubblicani, 54 seggi contro 44 dei democratici (due sono indipendenti, tra questi c’è anche Sanders, per dire): dei 34 seggi da rinnovare, 24 sono dei repubblicani, 10 dei democratici. Per vincere quindi i democratici dovrebbero confermare i loro senatori (in Nevada al momento il candidato repubblicano però è avanti, questo spiega perché tutti i big testimonial sono passati dal Nevada da ultimo) e strapparne almeno quattro ai repubblicani, e la gara è apertissima – secondo i sondaggi, a oggi il
Partito democratico ha il 65 per cento di possibilità di conquistare il Senato. I numeri, che sono l’unica unità di misura disponibile a pochi giorni dalle elezioni, sono piuttosto preoccupanti, per questo nel Partito repubblicano è partito un generale «liberi tutti» per permettere a ogni singolo candidato in ogni Stato di impostare il finale di campagna a proprio piacimento, senza doversi sempre orientare tra le dichiarazioni e le uscite del candidato Trump. Per questo si è tornato a parlare di Obamacare, che è tra le riforme più importanti dell’Amministrazione uscente e anche la più controversa – e acchiappavoti per i conservatori. Molti americani vedranno i premi delle loro assicurazioni sanitarie salire in modo corposo il 1. novembre per la prima volta dall’introduzione della riforma: come scrivono molti commentatori, in tempi normali questa notizia sarebbe deleteria per Hillary Clinton e per i democratici, per di più a una settimana dal voto, ma questi non sono tempi normali. Così molti candidati alla Camera e al Senato non citano più Trump nei
loro discorsi, mentre finanziatori abili come Sheldon Adelson – proprietario di uno dei rari giornali che hanno fatto l’endorsement per Trump, il «Las Vegas Review-Journal» – da tempo investono più sul Congresso che sulla corsa per la Casa Bianca. Ma i democratici si sentono fortissimi, Obama gira il coltello nella piaga repubblicana non appena può: «Fate in modo che Hillary vinca alla grande. Mandate un messaggio chiaro su quel che siamo come persone su quel che siamo come americani e su quello per cui vale la pena battersi», ha detto in California – e ha già registrato decine di messaggi di sostegno per deputati e senatori democratici in giro per l’America. Sembra fatta, insomma, soltanto i trumpiani continuano a ripetere che i sondaggi sono falsati e che tra media e numeri i democratici – e il mondo intero – vivono in una bolla trionfalistica. È da mesi che si procede per bolle, e i più saggi ora dicono: non alimentiamo la sicurezza di vittoria di Hillary, perché se per la prima volta Trump ha ragione, lo scoppio di quest’ultima bolla sarà irrimediabile.
incolpevoli minorenni che la risacca bellica ha abbandonato sull’arenile dell’Europa. Seconda questione: ricordiamo ancora l’odissea dei nostri emigranti, in epoche in cui toccava ai nostri antenati provare quanto sa di sale il pane altrui, in contrade spesso ostili e al servizio di padroni senza scrupoli? Giorgio Cheda, nel suo ultimo libro (Cielo e Terra, edizioni Oltremare), ricorda episodi che non possono non suggerire inquietanti analogie con le disperate traversate odierne nel Mediterraneo. Cheda riporta la lettera di Leonardo Pozzi, salpato dal porto di Amburgo nel 1855 alla volta di Melbourne: una navigazione durata 111 giorni in cui tre dei suoi compaesani avevano «reso l’anima a dio e il corpo al mare». Ecco che cosa accadde su quella nave: «siamo partiti da Amburgo il 31 maggio e siamo arrivati a Porto Filippo il 19 settembre in 169. Tre di Vallemaggia sono morti i quali
sono Guglielmoni Giacomo di Fusio abitante a Niva, morto il 3 settembre e d’anni 55, Filippini Giuseppe di Cevio, il 6 settembre morto, d’anni 31. Il terzo è Beroggi Antonio d’anni 27 morto il 13 settembre, di Cerentino. In tutto eravamo sul bastimento in 172 passeggeri i quali sono 2 Verzasca, 120 Valmaggesi, 10 Luganesi, 8 Piemontesi, 15 Tedeschi e 13 Marinai col capitano, due porchi [sic] che fan 15 e due cani che fan 17». Ad un certo punto scoppiò pure una protesta per questioni riguardanti il vitto, subito rientrata sotto la minaccia dei fucili imbracciati dall’equipaggio». Oggi il Ticino non ama ricordare questo passato. Se qualcuno lo evoca, si sente rispondere che quelli erano altri tempi, che i nostri non erano rifugiati ma gente che intendeva lavorare, e sodo, per costruirsi un futuro migliore. Come definirli allora, se non dei «migranti economici», proprio la categoria oggi più vituperata?
Affari Esteri di Paola Peduzzi La strategia killer di Hillary Il team di Hillary Clinton ha adottato una nuova strategia che i giornali definiscono senza troppi fronzoli «killer», perché è fatta per stendere non soltanto il rivale Donald Trump (che è un artista degli autogol) ma tutto il Partito repubblicano. I sondaggi registrano un’inversione quasi incredibile dei trend di quest’anno elettorale che restituisce una mappa politica degli Stati Uniti quasi tutta blu: persino i giovani, che sono un elettorato volubile e spesso pigro, oltre che innamorato dell’ex rivale democratico Bernie Sanders, ora sembrano straordinariamente decisi ad andare a votare Hillary. La tendenza è confermata in tutti i sondaggi e anche se i dubbi restano – quanti errori abbiamo visto in questi anni? È davvero necessario dover ricordare com’è andata, soltanto pochi mesi fa, con la Brexit? – la disperazione del Partito repubblicano fa pensare che i numeri siano veritieri. Negli ultimi giorni i senatori e i deputati in campagna elettorale si sono smarcati da Trump e hanno inaugurato una retorica distruttiva nei confronti di Hillary e dei demo-
cratici che non ha nulla a che vedere con il proprio candidato alla Casa Bianca – c’è stato anche un investimento enorme da parte di un SuperPac legato ai repubblicani al Senato, 25 milioni di dollari last minute per arginare la «killer strategy» di Hillary. Il Congresso americano è composto dalla Camera dei Rappresentanti (435 seggi) che viene rinnovata ogni due anni, quindi l’8 novembre si rinnovano tutti i seggi: i repubblicani hanno la maggioranza al momento e perché
Cantoni e spigoli di Orazio Martinetti Coscienza civile e coscienza storica Prima questione: la Svizzera fa (ha fatto) la sua parte per migliorare la sorte dei profughi in arrivo dall’Africa e dal Medio Oriente? La risposta, alla luce della situazione creatasi alla stazione San Giovanni di Como e negli immediati dintorni, è no, che la Confederazione non ha dato quanto avrebbe potuto dare nella gestione dei flussi. Non pensiamo ad una generale ed indiscriminata apertura dei confini nazionali. Ci riferiamo alla possibilità di collaborare fattivamente con i governi dei paesi nordici per agevolare i ricongiungimenti familiari e parentali. Molti migranti affermano infatti di voler raggiungere comunità già stabilitesi in Germania, in Olanda, in Danimarca, in Svezia. Se è così, non si vede come si possa rifiutare l’istituzione di un corridoio umanitario, in accordo con la Germania o con l’Unione Europea. Un’attività di intercessione diplomatica che farebbe onore al nostro paese
e che gli permetterebbe di rinvigorire la sua tradizione d’aiuto e di soccorso nata nell’Ottocento con Dunant e la fondazione della Croce Rossa. Le soluzioni fin qui adottate hanno invece ricalcato un protocollo freddamente burocratico, un codice di norme e regolamenti che non ammette deroghe. Non è un problema nostro, sembrano dire le autorità svizzere a quelle italiane esibendo la relativa normativa: arrangiatevi, noi non c’entriamo. Ma la Confederazione s’illude se crede di poter scampare da questo drammatico deflusso che pian piano sta svuotando intere regioni africane, flagellate da guerre, carestie e regimi dittatoriali. Ricette facili e risolutorie non esistono. Ma tra il «non voler far nulla» (chiusura ermetica delle frontiere) e il «voler far qualcosa» s’apre uno spazio in cui è possibile combinare due punti forti della tradizione elvetica: la solidarietà e l’organizzazione. Solo in
combinazione questi due fattori possono dare risultati pratici efficaci ed eticamente accettabili. In passato la Svizzera ha accolto ugonotti, soldati, anarchici, ricercati, fuoriusciti, dissidenti, ebrei, antifascisti, perseguitati di vario orientamento: operazioni che si sono sempre tradotte in un guadagno netto per il paese, sia in termini di prosperità, sia in termini di prestigio internazionale. Ha anche accolto numerosi orfani, traumatizzati dai conflitti. Nel 1944 il giornalista Walter Robert Corti propose sulle pagine della rivista «Du» di costruire un villaggio destinato ad ospitare i bambini vittime della guerra. Sorse così nel 1946, a Trogen (Appenzello esterno) il Kinderdorf Pestalozzi, insediamento filantropico che nel corso degli anni ha ospitato migliaia di minori provenienti da vari angoli del mondo. Siamo del parere che altri villaggi del genere potrebbero nascere per alloggiare, nutrire e formare i tanti
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Cultura e Spettacoli Via Lattea e l’architettura La tredicesima edizione dell’amata manifestazione avvia un dialogo con gli edifici
La carne e il sangue È stata una delle protagoniste della recente Fiera del libro di Francoforte: la coreana Han Kang sconvolge il mondo con il suo romanzo dai tratti onirici
D’Anna, l’uomo e la natura Il fotografo Marco D’Anna espone i recenti lavori in cui ha cercato di andare oltre
Una scena sempre ricca Il panorama artistico ticinese offre una scelta di pièce teatrali e sempre più spettacoli di danza pagina 51
pagina 43
pagina 41
pagina 47
Robert Mapplethorpe e Patti Smith in un’immagine tratta dal libro. (Norman Seeff)
La morte oltre l’obiettivo
Anniversari A settant’anni dalla nascita di Robert Mapplethorpe, la casa editrice Johan & Levi pubblica una biografia
Daniele Bernardi La prima volta che capitai sul lavoro di Robert Mapplethorpe avrò avuto sì e no quindici anni. Mio fratello – era, allora, il mio diabolico educatore – tornò a casa con un grosso volume sottobraccio: Altari (Leonardo, 1996). Frequentavo i primi anni delle superiori e, avido di storie trasgressive, intuivo appena lo stretto legame tra arte, amore e morte. Nel libro, il nesso non solo balzava agli occhi ma, con forza, era esibito sfacciatamente: le immagini, talvolta crude all’inverosimile oppure esasperatamente algide, parevano testimoniare di una esplorazione «orfica» protratta oltre i limiti del consentito. In questo senso, nella produzione del fotografo americano sembrava riecheggiare il monito di Maurice Blanchot sul Marchese de Sade: «egli cerca il senso del proprio pensiero senza distinguerlo, giustamente, dalla forza dell’immaginazione, è vero che si do-
manda affermativamente: perché posso pensare questo? a quale eccesso di immaginazione posso giungere?». Non è un caso che tale dichiarazione trovi ora un corrispettivo nelle parole dell’ex-compagno di Mapplethorpe, Jack Fritscher, giornalista, scrittore e attivista, autore della recente biografia Robert Mapplethorpe. Fotografia a mano armata (Johan & Levi Editore, 2016). «Le immagini di Robert», scrive, «essendo così esplicite, sono spesso lette come una tautologia di ciò che mostrano ma, di fatto, ciascuna di esse contiene anche un pressante interrogativo: «A questo ci avevi pensato?»». Fritscher, che pubblicò per primo gli scandalosi scatti dell’amico-amante sulla rivista «Drummer», ed ebbe un ruolo centrale all’interno del movimento gay statunitense, si rivolge ora al lettore con una scrittura scattante e nervosa, capace di riportare a galla i bagliori della frenetica New York degli anni 70-80. Di fatto, la sua non è prettamente una biografia; si tratta piuttosto
di una sorta di pubblica confessione in cui intimità, meditazione civile, memorie, riflessioni e arte si mescolano nello stesso magma. In fondo, col suo Robert Mapplethorpe. Fotografia a mano armata, Fritscher ha voluto dare voce al disagio e agli entusiasmi di un’epoca irripetibile, fatta di audacia e trasgressione. Al centro dell’affresco si muove Mapplethorpe, come un satiro ebbro di ambizione e successo. La sua parabola, tipicamente statunitense, ricorda altre del tutto simili: quella del romanziere Truman Capote, oppure quella di Andy Warhol... (personaggi che costruirono fortemente una propria immagine pubblica: «Voglio essere una storia raccontata in tutto il mondo», ripeteva il giovane Robert). Nato nel Queens da una famiglia di irlandesi cattolici, il futuro fotografo cominciò a mostrare le proprie inclinazioni omosessuali rubacchiando giornaletti pornografici dai negozi di Times Square. Dopodiché, frequentò il
Pratt Institute a Brooklyn, cominciò i suoi primi esperimenti visivi mettendo insieme alcuni collages e interessandosi di scultura. Infine arrivò alla prima macchina fotografica e al suo incontro col milionario Sam Wagstaff – questi, collezionista e mecenate, prese il ragazzo sotto l’ala e lo lanciò nell’allora emergente mercato della fotografia artistica. Altro connubio importante (e chiacchierato) fu quello con la cantante-poetessa Patti Smith, immortalata a più riprese e amata alla stregua di una sorella-moglie. Essenzialmente, Mapplethorpe fu un fotografo di moda, realizzò le sue tante opere in studio, ritrasse le celebrità e affinò uno stile che, per certi versi, potrebbe anche risultare decadente o glaciale. Allo stesso tempo, con la sua investigazione ossessiva dell’universo omosessuale «leather» e delle pratiche sadomaso, così come con le sue spettrali composizioni floreali, seppe mettere a fuoco un punto sfuggente, che si dileguava oltre i corpi imbrigliati e le
ombre: un desiderio di morte annidato in seno alla vita stessa. L’apice di questa ricerca, vissuta in prima persona attraverso un «ragionato sregolamento di tutti i sensi» e una grande dedizione al lavoro, è cristallizzato nel celebre autoritratto del 1988 – dove vediamo il fotografo, leggermente sfuocato e ischeletrito dall’HIV, brandire un bastone dall’impugnatura a forma di teschio. Il libro di Fritscher, nonostante risenta di alcune ridondanze e mostri un Mapplethorpe inquadrato sempre dalla medesima angolazione, è un documento sincero e appassionante, ricco di aneddoti e curiose divagazioni. Le sue pagine sono inoltre arricchite da una cernita di immagini d’archivio e da una serie di bellissime conversazioni con alcuni personaggi-cardine della fotografia contemporanea. Si vedano, ad esempio, la straordinaria testimonianza di George Dureau e quella, altrettanto profonda, del visionario Joel Peter Witkin – entrambi amici dell’artista, scomparso a quarantatré anni nel 1989.
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Cultura e Spettacoli
L’astrattismo geometrico sul lago d’Orta Arte Una raffinata collezione di arte contemporanea custodita nella casa-museo del pittore Antonio Calderara
a Vacciago di Ameno, sopra il lago d’Orta
Emanuela Burgazzoli È il più occidentale fra i laghi delle Prealpi italiane, poco più di 18 chilometri quadrati: si chiama lago Cusio, ma è noto come lago d’Orta, dal nome del borgo medievale che sorge sulla sponda orientale, Orta San Giulio, località dominata dal Sacro Monte, con venti cappelle affrescate dal Morazzone, e di fronte l’isola di San Giulio, dove sorge l’omonima basilica, gioiello del romanico novarese, e dove Gianni Rodari, il grande scrittore per l’infanzia, originario di Omegna, ha ambientato uno dei suoi più famosi racconti, Il barone Lamberto. Fra coloro che hanno scelto di vivere in questi paesaggi, figura anche il pittore Antonio Calderara (1903-1978)
Le mostre Fino al 4 settembre la Fondazione Calderara ha ospitato la mostra di Silvio Wolf intitolata Origini, una serie di immagini fotografiche, che l’artista milanese ha ricavato dalla prima impressione della pellicola nel momento che precede lo scatto vero e proprio. Wolf recupera così quelle immagini solitamente scartate dai fotografi per ricavarne opere che vengono definite impropriamente «astratte», dal momento che registrano oggettivamente la realtà. Eppure il risultato di questo linguaggio fotografico basato sulla sottrazione e sull’assenza ricorda, sul piano visivo, gli orizzonti di luce dipinti da Antonio Calderara, pittore al quale il LAC dedica dal 1. ottobre un’ampia retrospettiva.
che ha vissuto quasi come un asceta per decenni nella residenza di famiglia secentesca di Vacciago di Ameno; una figura singolare nel panorama artistico italiano, conosciuto più all’estero che in patria, e noto fra gli addetti ai lavori prima che al grande pubblico. Ingegnere mancato, si dedica fin da giovanissimo alla sua passione (il primo olio è del 1915), la pittura, appoggiato dal padre. La sua prima fase è figurativa, ascrivibile alla corrente del così detto Realismo magico – con ritratti e interni che ricordano le atmosfere di Casorati, ma anche Seurat e paesaggi metafisici alla De Chirico e Carrà. Ma i suoi paesaggi con il tempo si fanno sempre più rarefatti, luminosi, essenziali, costituiti da forme fondamentali: l’orizzonte del lago d’Orta si riduce progressivamente a linee e rettangoli. Un processo su cui ha influito la scoperta delle pitture di Mondrian. Nel 1958 traccia la sua ultima linea curva, come annota lui stesso in un testo autobiografico; una scelta che segna il passaggio definitivo all’astrazione geometrica. Una svolta artistica, ma anche esistenziale, che gli costa l’isolamento e l’incomprensione, come lui stesso scrive: «Dipingere rettangoli, quadrati, righe, che non ambiscono a essere pittura geometrica, ma che vogliono invece essere rappresentazione della misura umana in uno spazio di luce, è un impegno, una risoluzione che, particolarmente in Italia, offre la più grande incomprensione, non solo da parte dei più, ma anche di una certa critica qualificata. Le mie nuove aspirazioni mi allontanano dagli amici pittori, i pochi compratori dei miei quadri; le mie nuove pitture sono rifiutate alle esposizioni». Un isolamento dal quale uscirà grazie anche all’interessamento del
Antonio Calderara, Peso ottico giallo e grigio in rettangoli sovrapposti, 1960. (© Fondazione Calderara, Vacciago di Ameno)
pittore brasiliano Almir Mavignier che nel 1960 porterà due piccoli quadri di Calderara in Germania per convincere un gallerista di Ulm ad organizzare una mostra sul pittore italiano. Da lì comincia la sua notorietà internazionale, come esponente dell’arte concreta: compare fra gli autori della mostra di Max Bill, Konkrete Kunst all’Helmaus di Zurigo; nel 1966 è fra i pittori scelti da Harald Szeemann per l’esposizione Weiss auf Weiss alla Kunsthalle di Berna. Nel 1969 segue una grande retrospettiva curata da Jean Christophe Amman
al Kunstmuseum di Lucerna. Le sue composizioni sono vicine a quelle di Bill, Lohse, Albers. Nomi che insieme ad altri – Fontana, Manzoni, Morellet, Dadamaino, Klein, Colombo,… – si ritrovano fra gli autori delle 271 opere custodite nella collezione personale del pittore, costituita nel tempo grazie agli scambi con artisti che stimava o con i quali aveva stretto amicizia e che ospitava nella casa di Vacciago. Una particolarità di questa raffinata collezione risiede nel formato delle opere scelte, per lo più identico a quello delle tele di Calderara, sempre di piccola
taglia, salvo eccezioni: una selezione che ben rappresenta le molteplici declinazioni dell’arte astratta e concreta . Il filo conduttore sembra essere la ricerca di quella pittura di luce e di superamento del limite e della finitudine, che caratterizza tutta l’opera del pittore di Vacciago che aveva perseguito con abnegazione «morandiana» i suoi obiettivi. «Tutta la mia vita è pittura, non un disperdimento, non un altro interesse. Vorrei dipingere il niente che sia tutto, il silenzio, la luce. Vorrei dipingere l’infinito».
Sulla Russia (dei poeti, e di Stalin) Meridiani e paralleli I n un libro di Rachel Polonsky le tragiche e ricchissime vite di scrittori e uomini politici russi,
dalla Rivoluzione di Ottobre ai giorni nostri Giovanni Orelli Vengo subito a un primo «dunque», come se avessi prima parlato di tanti, tantissimi libri che sembrano dirci: ma leggimi, perché non mi leggi? Il dunque: propongo la lettura di Rachel Polonsky, La lanterna magica di Molotov. Viaggio nella storia della Russia, trad, di Valentina Parisi, Adelphi, Milano, 2014, pp. 434. euro 28: libro che ripaga i soldi spesi. Vi troverà, il lettore che vuole, ogni tanto, dent per dent, latino interdum, che vuole uscire dai confini nazionali o dai libri «italiani», vi troverà piacere e stimoli vari a «crescere». È un libro che fino dal titolo e sottotitolo ci porta nella Russia, non solo quella della letteratura. Ci sono sì gli scrittori, per molti di noi dal nome nuovo. Il libro della Polonsky è come un romanzo dove però, invece di personaggi inventati, si incontrano scrittori, uomini politici e altri. Insomma, non è libro da riassumere, è libro da (non si prenda in sinistra luce il verbo) «consumare». Di cui nutrirsi. Cominci pure il lettore dalla pagina 162, tre quarti, dove si incontrano, dopo un anche, «Anche i fratelli Valilov…»: Sergej che è fisico e Nikolaj biologo. «Miravano entrambi alla virtù e alla saggezza nella scienza..» Particolarmente ammirevole è, per me, Nikolaj: pagina 170: «Arrestato nel 1940 (nulla dirò io, di purghe russe), Nikolaj Vavilov fu interrogato
in una prigione dell’NKVD a Mosca e tenuto in piedi ininterrottamente per dodici ore, finché non gli si gonfiarono le gambe, tra l’agosto 1940 e il luglio 1941 verrà ascoltato quattrocento volte. Quando le truppe di Hitler si avvicinarono a Mosca fu trasferito nel carcere di Saratov». Lì visse un anno «senza poter fare il bagno, né esercizio fisico, ossia nella “cella della morte” priva di finestre dove pativa la fame – stretta, sovraffollata, posta in un seminterrato, soffocante d’estate, con una lampadina accesa
giorno e notte. Vavilov riuscì a portare un po’ di disciplina nelle cose – ricordava un altro recluso. Cercava di tirar su di morale i suoi compagni… aveva organizzato corsi di storia, biologia e industria del legname. Ciascuno di loro faceva lezione a turno. Dovevano parlare a voce bassissima». Prima di morire nel 1943, era nato nel 1887, Nikolaj Vavilov fece in tempo a tenere più di cento ore di lezione ai suoi compagni di cella. C’è il ritratto di Mosca, la città dove «il cielo sembra non avere mai fine». In Il libro di Rachel Polonsky.
questa città, osservò il grande «lettore» tedesco Walter Benjamin, quando vi giunse nel 1926, «In questa città si sente sempre il vasto orizzonte della pianura russa». Torno alla pagina 162 perché Mosca e la Russia fanno tornare alla memoria un pensiero di Pascal sull’immensità dell’universo «il cui centro è ovunque ma la sua circonferenza da nessuna parte». Cui va aggiunto un pensiero di Platone, secondo il quale se il colore del cielo fosse scarlatto invece che azzurro, «nell’uomo predominerebbe una disposizione d’animo sanguinaria». Segnalerei la commovente «storia» di Varlam Salamov (1907—1982): vedi la pagina 292 e seguenti. «La sua fanciullezza era trascorsa tra le grida paterne: “Smettila di leggere”; “Posa quel libro”; “Spegni la luce”. Dopo l’assoluta fame di libri sperimentata per decenni nel Gulag, percepiva quella stessa fame come la sua esistenza. Non c’è cosa più dolce, scriveva, della vista di un libro non letto». «In Cherry-brandy – racconto il cui titolo allude ai versi di Mandel’stam – Salamov immagina il poeta mentre sta per morire di fame nel Gulag. L’uomo che un tempo aveva definito la vita “Un dono prezioso, inalienabile” giace al gelo in una baracca, le dita bianche esangui gonfie per la fame, appoggiate al petto (…) Questo pensiero così acuto e terribile da renderlo disposto a liti-
gare, insultare, battersi, perquisire (se solo ne avesse avuto la forza) evoca altri pensieri ancora (…) l’idea che la sua vita passata sia stata un libro. Quando il poeta mangia la sua ultima razione di pane (“qualcosa di prodigioso, uno dei tanti prodigi di quel luogo”, premendolo con le dita bluastre contro le gengive sanguinanti (…) gli altri prigionieri gli dicono di serbare un po’ di pane per dopo. Le ultime parole del poeta sono: “Dopo quando?”(…)». Il libro della Polonsky rende un po’ di giustizia a molte vittime delle «purghe», incomparabilmente meglio del mio riassuntino. Nikolaj Vavilov, per concludere con il suo nome, subì, prima della morte, undici mesi di torture. La morte gli era comminata «in un processo farsa durata un minuto, senza testimoni né difensori, per attività sovversiva trockista e spionaggio». (p.160)
La storia siamo noi Articolo online Solo su www.azione.ch/cultura, una riflessione di Elio Marinoni sul concetto di storia partendo dalle affermazioni e dai pensieri di Eugenio Montale, Guccini e De Gregori.
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Cultura e Spettacoli
Una Ligetiade architettonica
Percorsi d’arte In occasione della sua tredicesima edizione la manifestazione Via Lattea ha avviato
un interessante dialogo tra musica e architettura
Elena Robert Lungo La Via Lattea ci si ritrova, anno dopo anno, tra volti conosciuti e altri nuovi, a condividere un’esperienza coinvolgente, accomunati da voglia di camminare e desiderio di scoperta. Anche stavolta la magia sta per compiersi. L’avvicinamento a musiche raramente eseguite, ascoltate in luoghi inattesi, avviene in un pellegrinaggio aperto alle arti, proposto ogni volta in modo originale e diverso dal suo ideatore, il compositore Mario Pagliarani. Questo autunno è in corso la 13esima edizione. Ha preso avvio a inizio ottobre e sta riservando ai suoi viandanti l’opportunità di scoprire musiche del grande compositore ungherese del Novecento György Ligeti in luoghi e edifici della città, tra Bellinzona, Lugano, Mendrisio e Milano. L’omaggio a Ligeti, nell’anno del decimo anniversario della sua scomparsa, è stato pensato in forma di «ligetiade» (un po’ come dovevano essere le schubertiadi ottocentesche), e il paesaggio costruito, urbano e architettonico, in cui si ambienta, ha sostituito quello naturale di boschi, colline e montagne che ha perlopiù accolto negli anni le iniziative de La Via Lattea. Come far dialogare musica e architettura? Per il pubblico la musica è naturalmente associata al luogo in cui viene eseguita e percepita. Le relazioni tra musica e architettura che sono oggetto di ricerca possono essere
naturalmente molte e di varia natura. Il compositore Beat Gysin pensa alla musica come a «un’arte spaziale» e vorrebbe orientare «la percezione dell’architettura in senso temporale per sollecitare i sensi del pubblico in modo integrale». Per lui «musica e architettura dovrebbero diventare parte di un’unica opera totale che interessa occhio e orecchio». All’Anteprima milanese de La Via Lattea 13, Beat Gysin e l’architetto Quintus Miller (che insegna all’Accademia di Mendrisio) hanno accennato al progetto che stanno sviluppando insieme ad altri compositori, nell’ambito del Festival ZeitRäume di Basilea, di cui sono entrambi promotori, per la realizzazione dello spazio d’ascolto Gitter in cui la musica possa risuonare in modo sferico. Ma torniamo a Ligeti, che molti conoscono già per aver visto i film di Stanley Kubrick, da 2001: Odissea nello Spazio (1968) a Shining (1980) a Eyes Wide Shut (1999). Per Mario Pagliarani «la musica di Ligeti è una delle espressioni più alte del nostro tempo, capace di parlare alla mente e ai sensi» e «altrettanto grande l’uomo, che ha espresso la sua creatività (passando per la tradizione) con originalità, fantasia ma anche razionalità e rigore, rifiutando mode e ideologie, con senso autocritico e non senza ironia, nonostante la sua tragica esistenza». Pensiamo al mitico e magnetico Poème symphonique per 100 metronomi, che riesce a impressionare sempre il
La Stazione 2, della Via Lattea 13 ha avuto luogo all’Istituto di ricerca in biomedicina.
pubblico, alle 6 Bagatelle per quintetto di fiati, opera tra le più eseguite, ai coinvolgenti Éjszaka (Notte) e Reggel (Mattino) per coro, gli ultimi pezzi composti da Ligeti in Ungheria, al Quartetto N. 2 per archi, al capolavoro del Kammerkonzert per 13 strumenti interpretato da Solisti dell’OSI e diretto da Heinz Holliger, ospite d’onore de La Via Lattea 13, tra i più grandi musicisti in Svizzera, amico e collaboratore di Ligeti. La sua testimonianza contribuirà a rendere ancora più vivo il ritratto del compositore ungherese. Il primo percorso a tappe sull’arco di una intera giornata si è svolto a Bellinzona il 23 ottobre, attraversando
opere di esponenti dell’architettura ticinese, come Alberto Camenzind, Luigi Snozzi, Aurelio Galfetti, Livio Vacchini, Flora Ruchat, Luca Ortelli, Pia e Giancarlo Durisch. A Lugano, il 13 novembre, i pellegrini, dopo l’avvio al LAC di Ivano Gianola, riscopriranno soprattutto l’architetto Rino Tami, considerato il padre del Movimento Moderno in Ticino. Per la prima volta quest’anno La Via Lattea ha rivolto l’attenzione anche ai giovani, coinvolgendo complessivamente 400 studenti delle scuole superiori (licei di Lugano e Bellinzona, CSIA e SUPSI). Una parte di loro si esibirà anche nel percorso luganese, in una pagina di Ligeti da Le
Grand Macabre per 12 clacson, nella nuova versione per 12 veicoli, e in una composizione di Mario Pagliarani in omaggio al Maestro, pensata per la Sala Tami della Biblioteca cantonale, per 42 voci. E sono gli stessi studenti ad accompagnare i pellegrini a scoprire particolarità di edifici emblematici come l’Ex Ginnasio di Camenzind a Bellinzona del 1958, diventato in Svizzera un riferimento per gli edifici scolastici e la Biblioteca cantonale a Lugano del 1940 di Rino e Carlo Tami, considerata la prima opera del Moderno in Ticino. Tra le collaborazioni di cui si avvale La Via Lattea, un ruolo di primo piano quest’anno l’ha svolto l’i2a Istituto internazionale di architettura di Lugano che promuove sul territorio iniziative e un dialogo costruttivo tra amministrazioni, politici, professionisti del ramo e pubblico. Per il pellegrinaggio culturale 2016 ha curato i percorsi architettonici e si è attivato, insieme a docenti, per la sensibilizzazione dei giovani coinvolti, in merito alla valenza dell’architettura di qualità, sulla necessità di conoscerla e riconoscerla, sull’importanza per tutti di trarne ispirazione per le opere che verranno. In collaborazione con
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Cultura e Spettacoli
Fiori, carne e sogni
Pubblicazioni La scrittrice coreana Han Kang, uscita ora anche in italiano per i tipi di Adelphi, è rapidamente
diventata un caso letterario in tutto il mondo Mariarosa Mancuso Due signore hanno scritto i romanzi di cui si parla (così magari quando viene da dire «si parla tanto delle famiglie inventate da Jonathan Franzen e poco delle donne che scrivono romanzi sulla famiglia» sarebbe meglio contare fino a quindici e non aggiungere luoghi comuni, già ce sono tanti). La prima si chiama Emma Cline, è nata in California nel 1989, il suo romanzo d’esordio Le ragazze – conteso dagli editori quando ancora non era terminato, l’anticipo è arrivato a due milioni di dollari – esce da Einaudi.
La protagonista Yeong-hye decide di astenersi dal consumo di carne dopo aver avuto un incubo sanguinario Racconta la quattordicenne Evie, in crisi come tutte le adolescenti, e come tutti gli adolescenti con un fondo di rabbia da sfogare. Finirà in una setta molto somigliante a quella di Charles Manson, che nell’agosto del 1969 fece irruzione nella villa californiana abitata da Roman Polanski e dalla moglie Sharon Tate (lui era all’estero e si salvò, lei morì incinta di otto mesi). Alessandro Baricco ha trovato il romanzo di Emma Cline «un po’ troppo perfetto» – formula piuttosto antipatica, e critica che nessuno farebbe mai a un architetto, a un pittore, o a un costruttore di ponti. Come se Le ragazze fosse il frutto di un lavoro collettivo, da gruppo di studenti a un corso di scrittura: tirate fuori le vostre immagini, le vostre similitudini, le vostre accensioni liriche migliori; mettendole insieme uscirà il capolavoro. La ventisettenne
in effetti è strepitosa quando scrive, meno quando costruisce trame. Non le interessa metterci voglia di sapere «come andrà a finire» (e non solo perché sappiamo che gli idilli con le sette finiscono sempre male). La seconda signora è coreana, classe 1970, non troppo conosciuta in patria ma balzata alla ribalta internazionale per il Booker Prize ricevuto battendo Elena Ferrante e Orhan Pamuk (non cercheremo di vendicare nessuno dei due, chiunque si nasconda dietro lo pseudonimo). Il suo romanzo si intitola La vegetariana (appena uscito da Adelphi), lei si chiama Han Kang. Abbiamo tutti amici e conoscenti che smettono all’improvviso di mangiare carne, per vari motivi. Yeong-hye decide di astenersi, anche da uova e latte, dopo un sogno terribile e sanguinario. Avrebbe potuto farlo anche per protesta verso il consorte, che nella prima riga del romanzo la descrive così: «Prima che mia moglie diventasse vegetariana l’avevo sempre considerata del tutto insignificante». Tocca al consorte – stupito e poi furioso – cominciare la narrazione. Le buone maniere non servono a niente, le cattive sono controproducenti: a una cena di famiglia la neo-vegana afferra un coltello, evidentemente considera sacro solo il sangue animale. Poi il testimone passa al cognato, e le privazioni della carne (intesa come cibo) lasciano il posto alle perversioni della carne. Il cognato – fa il videoartista senza troppo successo – è ossessionato dal corpo sempre più magro della vegetariana Yeong-hye. Non per portarsela a letto – non subito almeno: siamo in Corea, un po’ di stranezze fanno parte del gioco. Per dipingerle sul corpo fiori colorati. Lei vuol sapere soltanto se andranno via, dopo qualche doccia. Proprio quando lui intende passare alla fase due del video
La scrittrice coreana Han Kang in una recente foto scattata alla Fiera di Francoforte. (Keystone)
che sta girando. Con le parole dell’artista: «Un uomo e una donna con i corpi dipinti da splendidi fiori, che facevano sesso su uno sfondo di inesprimibile silenzio». «L’inesprimibile silenzio» ha messo anche noi a dura prova (sono anni che collezioniamo saggi e saggetti, anche qualche romanzo, sul tema del silenzio: ci convinceranno quando useranno meno parole per convincerci a smettere di conversare). Bisogna superarla per arrivare alla
terza parte del romanzo – neanche 200 pagine che filano veloci, la mania dei mattoni di mille pagine non aveva ancora contagiato nel 2007 la Corea del Sud, la versione originale del romanzo sta per compiere dieci anni. La vegetariana non ha ancora diritto di parola, e l’avrà sempre meno, per sua scelta. Parla attraverso altri sogni – incubi, per la verità – che guastano il riposo della sorella (già abbastanza sconvolta per il tradimento del marito): «Guarda, sorella, sto facendo la
verticale; sul mio corpo crescono le foglie, dalle mani mi spuntano le radici…». Ebbene sì, dopo il regno animale il delirio – e la vendetta – conquistano il regno vegetale. I maligni, assieme a qualche esperto di faccende coreane, sostengono che parte del merito vada a Deborah Smith, la traduttrice inglese del romanzo (anche Adelphi mette come titolo originale The Vegetarian). A lei andrà metà del premio, 50.000 sterline in totale.
I desideri di Bill e il country del vecchio John Jazz Al Teatro di Chiasso il progetto musicale di Frisell e della Haden, dedicato
alle grandi colonne sonore degli anni 60 e 70, mentre Scofield pubblica un nuovo album Sono tempi strani per il jazz. Si è sempre sostenuto che questo genere musicale fosse aperto alle più vari forme di contaminazioni stilistiche, alle influenze più eccentriche. Anzi: si ritiene generalmente che proprio grazie alla sua capacità di cercare nuove ispirazioni il jazz possa rigenerarsi, trovare nuova linfa e vitalità. Ma come la mettiamo quando uno dei maggiori chitarristi oggi in circolazione, John Scofield, dedica il suo ultimo album, Country for Old Men alla musica country? Ci si ritrova lì con le cuffiette in testa (perché la musica ormai è tutta nello smartphone) ad ascoltare Red River Valley. Per intenderci: in italiano il primo verso
della canzone dice «Quella notte laggiù nella valle» o qualcosa del genere. Ci siamo capiti. Ci si ritrova dunque lì, un po’ perplessi, a cercare di giustificare e capire un simile spreco di energia: al basso Steve Swallow, alla batteria Bill Stewart, all’organo Larry Goldings: ma è pur sempre «Quella notte laggiù nella valle...». E non si sa bene se sia un esercizio di ironia trasversale o di acrobazia sulle corde (niente a che fare, tra l’altro, con la versione stupenda che Cassandra Wilson ne aveva dato anni fa). E come la mettiamo se un altro eccezionale chitarrista contemporaneo come Bill Frisell decide di trarre ispirazione per il proprio nuovo progetto dal-
le colonne sonore di film e sceneggiati televisivi degli anni 60-70? Che effetto fa sentire uno dei massimi armonizzatori e improvvisatori oggi in attività affrontare il tema ormai autoparodistico e galoppante di Bonanza? Il disco su cui questo progetto è approdato, When You Wish Upon a Star, è uscito da qualche mese e abbiamo avuto modo di ascoltarlo molto bene, e con un certo interesse. Non fosse altro perché tra i membri della band che lo compone c’è la cantante americana Petra Haden. Il cui nome non avrà particolare risonanza nelle orecchie degli appassionati, sennonché la signora si trova, eh sì, ad essere la figlia del grande Charlie Haden. Appassionata di colonne sonore e di cinema, la Haden ha già pubblicato un disco sull’argomento, intitolato Petra Goes to the Movies. E proprio la
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Il Bill Frisell Quartet. (Monica Frisell)
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passione che nutre per la musica da film ha fatto sì che Frisell la scegliesse quale solista, per rendere il fascino vocale di alcune colonne sonore che hanno caratterizzato la sua adolescenza: si va da The Shadow of Your Smile a Moon River, da You Only Live Twice a Il Padrino, in una carrellata. Da un certo punto di vista assai intrigante. Il progetto (esattamente come quello di Scofield) si muove su un crinale molto ripido: scivolare nella superficialità sembra molto facile quando si maneggiano brani sentiti e strasentiti, fatti e strarifatti migliaia di volte da centinaia di solisti. All’interprete coraggioso (e Sco e Bill lo sono) si chiede di impegnarsi, di cavare il meglio dalla propria vena creativa, di dare fondo alle riserve di trucchi del mestiere. L’impressione è, purtroppo, che nessuno dei due ce l’abbia fatta. Il concerto a cui abbiamo assistito la scorsa settimana a Chiasso, in cui Bill Frisell e Petra Haden ci hanno presentato dal vivo la loro creatura filmico/musicale, si è rivelato ancora meno graffiante e memorabile dell’album su cui è nato. Grande musica, per l’amor del cielo: Frisell ha un fraseggio stupendo, ascoltarlo è una lezione di armonizzazione di altissimo livello. È uno dei pochi che sa tenere gli ascoltatori col fiato sospeso, che sa agganciare al filo delle sue scorribande sulle corde anche gli ascol-
tatori più inesperti. La Haden era sofferente per un problema alla gola e quindi si è mantenuta in limiti vocali più che ragionevoli, vista la sua situazione. Il batterista Rudy Royston e il contrabbassista Thomas Morgan, due giovani scoperte di Frisell, sembrano modellini in scala 1/1 di Charlie Haden e Paul Motian, talmente maturo e incisivo è il potenziale che sprigionano. Ma When You Wish Upon a Star rimane un po’ lì, sospeso su delle buone intenzioni, delle belle intuizioni. Non basta l’ingenuo e schietto, tutto sommato semplice desiderio di riportare quei brani il più vicino possibile alla sorgente emozionale originaria, cercando di riprodurre lo stato d’animo con cui si erano ascoltati la prima volta, per trasformarli. Lo stesso discorso vale per l’album di Scofield: la rincorsa all’emozione non è garanzia di buona musica. E finisce per apparire solo una comoda scorciatoia per arrivare al pubblico./AZ Tra jazz e nuove musiche
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Cultura e Spettacoli
Una specie di sogno Declinando il pensiero Les Chansons de Guillaume IX duc
d’Aquitaine (1071-1127), a cura di Alfred Jeanroy Farai un vers de dreyt nien: Non er de mi ni d’autra gen, Non er d’amor ni de joven, Ni de ren au, Qu’enans fo trobatz en durmen Sobre chevau. No sai en qual hora-m fui natz: No suy alegres ni iratz, No suy estrayns ni sui privatz, Ni no-n puesc au, Qu’enaissi fuy de nueitz fadatz, Sobr’un pueg au. No sai cora-m sui endurmitz Ni quora-m velh, s’om no m’o ditz. Per pauc no m’es lo cor partitz D’un dol corau; E no m’o pretz una soritz. Per sanh Marsau! Malautz suy e cre mi murir, E ren no-n sai mas quan n’aug dir: Metge querrai al mieu albir, E no sai cau; Bos metges er si-m pot guerir, Mas non, si amau. Amigu’ ai ieu, non sai qui s’es, Qu’anc no la vi, si m’ajut fes, Ni-m fes que-m plassa ni quem pes, Ni no m’en cau, Qu’anc non ac Norman ni Frances Dins mon ostau.
Anc non la vi et am la fort, Anc no n’aic dreyt ni no-m fes tort; Quan no la vey, be m’en deport, No-m prez un jau, Qu’ie-n sai gensor e bellazor, E que mais vau. Fag ai lo vers, no say de cuy: E trametrai lo a selhuy Que lo-m trametra per autruy, Lay ves Anjau, Que-m tramezes del sieu estuy La contraclau. Traduzione
Farò un verso proprio su niente, non su di me né su altra gente non sull’ amore né sulla gioventù, né su niente altro, perché in groppa a un cavallo, dormendo l’inventai. Non so a che ora son nato, non sono allegro né arrabbiato, non sono straniero e neppure di qua, non so che farci se su una montagna, di notte fui stregato. Non so se sono sveglio o addormentato, se non me lo si dice! Solo per poco il mio cuore non
s’è spezzato dal gran dolore, e non m’importa niente. Per San Marziale! Sono malato e credo di morire E lo so soltanto perché lo sento dire: cercherò un medico qualsiasi, e non so quale: sarà buono se mi potrà guarire se non potrà, molto di meno. Ho un amica , non so chi sia. non l’ ho mai vista, in fede mia non mi compiacque né mai mi offese, ma che m’importa, ché né un Normanno né un Francese c’è in casa mia. Mai non la vidi e l’ amo tanto, mai è stata mia e mai mi fece un torto; se non la vedo, no non m’ importa, sto bene uguale, che ne conosco una bella gentile e che di più vale. Ho scritto il verso, di che non so e lo manderò a colui che me li manderà per mano altrui là verso Anjou, e del suo scrigno mi spedirà la chiave che lo aprirà.
Franco Facchini Ci sono cose che paiono come certezze, altre sono invece avvolte da una nube di incertezza, esitazione. Viviamo tra una strana consapevolezza di essere artefici e partecipi di tutto quello che facciamo e che sentiamo, e il dubbio che le cose non stiano proprio così. Interminabili sequenze di domande percorrono le nostre esistenze, altrettante risposte deludenti ci illudiamo che possano rispondere a quelle domande. E ci troviamo sovente in un territorio desolato della nostra immaginazione dove i timori di ogni passo da compiere, le illusioni prodotte dal nostro guardare insistito nel punto dal quale il nostro sguardo ritorna con un altro sguardo da rifare, percuotono un angolino imprecisato della mente in cui si riversa il sospetto che la realtà di ogni evento e persona, di ogni oggetto e ricordo, sia la proiezione di una lontana fantasia, e che ogni fantasia diventi l’unica realtà possibile. Non riusciamo a capire la ragione di tutto l’esitare che è nascosto nelle nostre illusorie certezze. Ma sappiamo di essere dentro un insieme incline al frammento, al sempre parziale riconoscere che il vero è asservito al nostro giudizio, ad ogni nostra apprensione. Fuggiamo, col pensiero fuggiamo, cercando identità nelle cose, e in ogni singola cosa trovando che un nulla di tutto ci assorbe. E una cosa, affermando la propria presenza si nega e, negandosi, ne nega anche un’altra. Non si sa dove ci troviamo. Crediamo di essere da qualche parte, in un preciso istante, qui dove siamo, dentro un’affermazione, invece è dentro una insistita domanda che navighiamo. E navighiamo lontano, proprio qui accanto a noi, e dappertutto siamo e in nessun luogo. Conoscere il nostro nome, riconoscere sé stessi in quello che si fa e nelle espressioni che dal nostro volto esplodono, è puro inganno, e puro inganno è
anche dire che sia puro inganno. E si immagina di essere in auto, e in quell’auto davvero ci siamo e, dormendo, comporre dei versi su niente, e su niente che dia sicurezza, che chiarisca le cose, anzi versi che raccontino invece che non c’è verità che assecondi gli eventi e che tutto si fa più oscuro e che quella oscurità può veramente rasserenare e chiarire, non solo nell’etimo, la sua natura. E non sembra più immaginazione, ma sembra che tutto davvero sia vero, e stiamo nel sempre e nel mai, e non sappiamo se il sonno che stiamo vivendo sia sonno oppure soltanto proiezione di una veglia disturbata da un’ immagine che viene da dentro il sentire che preme e non si rilassa. Ogni amore è un ricordo di amore, sembianza sbiadita di sé, eppure ci coccola ancora e ci chiude nel nostro sincero e spietato amare. Ma cos’è questo amore? Non importa sapere. E non importa sapere da dove provenga, dove stia e che altro nome possa avere. Perché è dappertutto, sistemato dove non si può vedere. E quando ci ascolta, quando riesce a parlarci è tempo che se ne vada già via. Una specie di sogno, ma un sogno dove quello che accade è reale e dove il reale si perde nel sonno. Ogni cosa è confusa in un’altra e perde di valore non appena la si nomina, non appena la si vede apparire sullo sfondo di attimi ormai persi e rinati. Biografia
Guilhem de Peitieus (Guglielmo IX d’Aquitania). Duca d’Aquitania e di Guascogna, conte di Poitiers e anche conte di Tolosa (1071-1126), partecipò alla crociata del 1101. Fu il primo poeta in lingua occitana di cui ci sia rimasto un corpus, anche se esiguo di poesie (meno di una dozzina), quindi probabilmente fu anche il primo poeta in una lingua romanza. Poesia, la sua, talora burlesca, talora oscena, talora intensamente meditativa. Annuncio pubblicitario
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Cultura e Spettacoli
Quando l’immagine si spinge oltre
Fotografia Il fotografo Marco D’Anna espone negli spazi di Agra della Galleria Buchmann: la sua è una doppia
ricerca sull’uomo e sulla natura Giovanni Medolago «Andare oltre per Marco D’Anna vuol dire mettere a disposizione tutta la sua creatività per poter superare la semplice immagine tecnica»: un’annotazione di Pierre Casè datata 2008. Da allora il fotografo è andato oltre in parecchie occasioni e su diversi livelli. La ricerca su Corto Maltese e i luoghi delle sue avventure, in compagnia dello scrittore Marco Steiner, l’ha portato davvero ai quattro angoli del mondo (si fa prima a dire dove non è stato!); e un lavoro sulla cecità – oltretutto realizzato in una delle zone più povere del mondo come la Mauritania – l’ha spinto oltre le pur innumerevoli emozioni che ha vissuto in ormai più di trent’anni di carriera. La sua fama è andata oltre i confini nazionali: D’Anna ha lavorato per esempio per la «Franco Maria Ricci», perla preziosa nell’editoria d’arte. Del resto, il concetto oltre rientra anche tra le pieghe della sua risposta, quando gli si chiede una possibile definizione di arte: «Non deve limitarsi a descrivere la realtà! Il ruolo dell’opera d’arte è quello di scardinare il reale. L’arte deve dare una seconda visione e attraverso la sua poetica dovrebbe condensare tutte le esperienze in un’unica riflessione». Non è un caso allora («Il caso non esiste!» diceva deciso il grande René Burri al suo allievo e poi amico D’Anna) che s’intitoli proprio Oltre la mostra monografica aperta alla Galleria Buchmann nei suoi spazi di Agra. Nella prima sala, protagonista assoluta è una
L’affascinante lettura di un tralcio di vite realizzata da Marco D’Anna. (© Marco D’Anna)
silhouette, l’ombra di una figura umana anziana e indifesa. Da che cosa? Dallo scorrere inesorabile del tempo, dagli acciacchi fisici (che almeno in un’occasione la costringono a ripiegarsi su sé stessa mettendosi le mani nei capelli), e dall’inquietudine che nasce dalla consapevolezza d’essere in procinto d’andare oltre, verso un ignoto che – si sia credenti o meno – rappresenta motivo di grave ambascia. Nelle fotografie di grande formato (159x109), la figura è evanescente, sfuocata e la particolare tecnica della retroilluminazione rende i suoi magri arti, se possibile, ancora più fragili. Si possono cogliere riferimenti
all’essenzialità di Alberto Giacometti o alla disperazione di Munch, ma nelle due ultime immagini ecco che qualcosa si rasserena: dapprima l’ombra sembra salutare educatamente quanto ironicamente; poi eccola incamminarsi, decisa e con ritrovata agilità. Anzi, la foto può ricordare il celebre clic col quale Henri Cartier Bresson colse il suo amico Raymond Queneau impegnato con un balzo a superare una pozzanghera. Chiara la metafora: seppur malfermo in salute e conscio d’aver già vissuto gran parte della sua avventura terrena, l’Uomo non può fermarsi mai, schiavo dello scorrere del tempo. Senza
rassegnarsi, al contrario con ritrovata baldanza, continuerà a camminare, ad andare oltre. È una fotografia di dimensioni diciamo normali (che stavolta riecheggia i celebri tagli di Lucio Fontana) a introdurci nella seconda sala, dove altre immagini dello stesso grande formato delle precedenti spostano l’attenzione del visitatore dall’essere umano alla natura. Sono infatti foglie, fiori e tralci di vite ad aver suscitato l’interesse di Marco D’Anna, dopo che l’artista si è imbattuto nel mito di Oresteo. Figlio di Deucalione e di Pirra (gli unici sopravvissuti al diluvio universale), Oresteo assisteva la
sua cagna che partorì un palo. Superato il comprensibile smarrimento, Oresteo piantò il palo nel terreno e lo vide poi germogliare, per diventare la prima pianta di vite. L’epilogo del mito racconta che la cagna divenne Sirio, la stella che fa maturare l’uva. Quindi l’origine della vite è collocata ai tempi mitici degli inizi di una nuova generazione che cominciò a ripopolare la Terra dopo il diluvio. E stavolta le immagini sono così nitide (incredibile il pistillo del fiore di pochi millimetri «sparato» in una foto gigantesca) da permetterci di scoprire il profilo di una Madonna su un tralcio o un mascherone in una foglia rinsecchita. «Attraverso la natura, alla quale siamo inscindibilmente legati – spiega il fotografo – la visione ritorna vista e il tronco diventa l’incarnazione della forza e dell’esperienza, mentre il fiore rinasce oltre. Bianco e nero, morte e rinascita, luce e ombra, visione e vista, corporeo e incorporeo: sono molteplici polarità che si manifestano in spinte visive contrapposte che fanno parte di tutto il nostro universo». Come un moderno sofista, Marco D’Anna ci presenta la sua visione della realtà, che grazie alla creatività si dilata sino a sfociare nel simbolico: aveva ragione Pierre Casè! Dove e quando
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Cultura e Spettacoli
Di scritture, pensate o digitate Lingua italiana Il dibattito intorno all’insegnamento della lingua italiana Oltralpe assume toni sempre più accesi:
ma qual è lo stato di salute generale della lingua italiana? Lo abbiamo chiesto al linguista Luca Cignetti Simona Sala Negli ultimi anni il dibattito intorno all’insegnameno della lingua italiana in Svizzera si è fatto spesso acceso. Sempre più cantoni infatti nell’ambito dell’insegnamento delle lingue a scuola preferirebbero dare la priorità a quella che, al di là di ogni ragionevole dubbio, è ormai la lingua franca, l’inglese. Da più fronti ci si è scagliati contro queste iniziative, da una parte nel tentativo di non minare ulteriormente la coesione nazionale, sempre più spesso sotto pressione, dall’altra parte forse per garantire alla lingua italiana una propria dignità, ma soprattutto una presenza Oltralpe in quanto lingua nazionale. Nello sforzo di mantenere la possibilità di studiare l’italiano nei licei e negli atenei elvetici, è a volte sfuggito di vista il livello delle reali competenze linguistiche degli italofoni svizzeri. A più riprese infatti i dati PISA hanno evidenziato carenze linguistiche e una mancanza generale di competenze di cui andare tutt’altro che fieri. Per comprendere l’entità di questo fenomeno ci siamo rivolti a Luca Cignetti, docente-ricercatore e responsabile dell’Unità di italiano al DFA-SUPSI. Luca Cignetti, un tema spesso al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica riguarda l’uso in italiano di espressioni introdotte dalla lingua inglese, presente in molti ambiti della nostra vita.
Si tratta di un fenomeno trasversale a tutta l’area dell’italofonia. Credo che gli anglicismi non siano da sottovalutare, ma non devono costituire un elemento di preoccupazione, poiché oggi nel vocabolario non superano il 2%. Sono comunque lievemente aumentati negli ultimi anni, soprattutto per le nuove tecnologie e anche certi abusi (pensiamo agli anglicismi di lusso o a parole legate a mondo della moda). Il lessico italiano non è comunque in crisi e questo fenomeno non è nuovo, pensiamo ad esempio ai francesismi nel 700. L’influenza delle tecnologie sull’italiano può essere anche positiva: grazie ai media digitali la lingua scritta è tornata ad essere centrale nella pratica quotidiana. Alcuni studi risalenti agli anni ’80 dimostrano come fino a trent’anni or sono da adulti si scrivesse raramente, limitandosi alle cartoline o alla lista della spesa. A partire dal 1992, anno del primo SMS, la scrittura è gradualmente tornata a
Il docente e ricercatore del DFA-SUPSI Luca Cignetti. (Stefano Spinelli)
essere un elemento fondamentale della comunicazione sia attraverso i social o le applicazioni, sia nella vita professionale con le e-mail.
Quali sono allora gli aspetti a cui si dovrebbe guardare con più preoccupazione?
Per quanto riguarda gli studenti in uscita dalla scuola media superiore e quelli universitari preoccupano per esempio le competenze grammaticali e lessicali. Alcuni studi di Tullio De Mauro evidenziano il fenomeno dell’analfabetismo di ritorno: al termine della scuola non si usa più la lingua scritta e parlata e il rischio è di tornare a un livello di scolarità molto bassa. I dati italiani evidenziano un analfabetismo di tipo funzionale: le persone non sono in grado di leggere e capire messaggi abbastanza semplici. In Italia questo fenomeno arriva a toccare quasi il 70% della popolazione. Per quanto riguarda la Svizzera ci si deve rifare ai dati PISA, dove sebbene
nell’insieme il risultato sia superiore a quello italiano, la realtà ticinese in quanto a competenze linguistiche è purtroppo allineata a quella italiana.
Con quali strumenti è possibile verificare la competenza linguistica?
Per gli studenti c’è appunto il programma PISA (Programme for International Student Assessment), che serve a valutare il livello di istruzione dei ragazzi nei paesi industrializzati. Per le persone in età lavorativa, invece, esiste l’indagine PIAAC (Programme for International Assessment of Adult Competencies). Questo studio ha assegnato ai lettori cinque gradi di competenza. Il primo grado corrisponde al livello più basso, quello dell’analfabetismo strutturale, in cui le persone non sanno leggere. Al secondo livello vi è l’analfabetismo funzionale, dove le persone sanno leggere senza tuttavia comprendere bene il testo. Il terzo livello corrisponde a una competenza più avanzata, poi man mano che si sale si raggiunge un livello
L’italiano del nostro cantone Sicuramente vi siete confrontati anche con il fenomeno degli elvetismi, termini italiani presenti solamente in Svizzera?
Quello degli elvetismi è un fenomeno interessante e comprende varietà molto diverse. Si passa dall’italiano parlato in Ticino e nelle valli italofone dei Grigioni a quello parlato negli altri cantoni (e dunque legato all’immigrazione dall’Italia), senza tralasciare l’italiano appreso da chi parte da un’altra lingua. L’italiano che si parla in Ticino è una varietà di italiano regionale, di cui esistono equivalenti in altre regioni italiane, ed è in generale il risultato dell’influenza del dialetto sulla lingua. In Ticino rispetto all’Italia vi sono però anche delle differenze di tipo istituzionale, di stili di vita, e alcuni concetti e oggetti sono legati a una realtà diversa poiché ci troviamo in uno Stato diverso. Ne sono esempi le espressioni come «cassa malati» (in Italia «assicurazione
malattia»), «Consiglio federale» o «dipartimento» (che in Italia può riferirsi all’università, ma in Ticino ha anche il significato di «ministero»). Non possiamo poi dimenticare l’influenza delle altre lingue nazionali sull’italiano del Ticino, riscontrabile nei «prestiti», risultato dell’influsso del tedesco e del francese: pensiamo a «trottinette», o a «buralista». Alcune parole, a causa della loro presenza nell’italiano, nel francese e nel tedesco, sono chiamate triplette panelvetiche: autopostale («autopostale» in francese e «Postauto» in tedesco) ne è un esempio. I ticinesismi sono dunque un fenomeno alquanto articolato.
Certo, è un fenomeno complesso. In particolare alcuni studiosi distinguono tre tipi di ticinesismi. Ci sono quelli assoluti (ad es. «corso di ripetizione»), ossia parole che non esistono in Italia perché non vi è un concetto corrispondente. Seguono i ticinesismi semantici, dove in Italia la parola esiste, seppur
soddisfacente. E appunto il 70% degli italiani in età lavorativa non arriverebbe al terzo livello.
Ma questi dati sono il risultato di un peggioramento?
Il dato è sicuramente serio e preoccupante, ma va analizzato da un punto di vista storico, basti pensare che nel 1951 in Italia quasi il 60% della popolazione era privo della licenza delle scuole elementari. Dal punto di vista della prevenzione sono state messe in atto delle misure?
Esistono da tempo gruppi di studio che si occupano di sensibilizzare gli insegnanti. Mi riferisco in particolare all’attività del GISCEL (Gruppo di Intervento e Studio nel Campo dell’Educazione Linguistica), che fra propri fondatori annovera lo stesso De Mauro e che si occupa di ricerca nell’ambito dell’educazione linguistica. Il GISCEL, di cui esiste un gruppo anche in Ticino, ha tra i suoi obiettivi anche quello di stimolare un dialogo tra la ricerca universitaria e il mondo della scuola.
Come deve comportarsi l’insegnante di italiano di fronte a questi fenomeni?
È una domanda che gli studenti mi fanno spesso. Nella scuola si sentono parole che non esistono o che hanno un significato diverso nell’italiano standard, come «plenum», «mappetta», «classatore», «nota» o «esperimento», oppure costruzioni sintattiche proprie della varietà ticinese (ad esempio quella del verbo «bocciare»: in Svizzera si boccia un esame, mentre in Italia si viene bocciati). Si tratta di usi da non considerare errati, che è però necessario usare sapendo che sono legati alla varietà regionale. L’insegnante sceglierà quali usare a dipendenza del contesto, la scelta deve essere sempre consapevole.
Oltre a TIscrivo vi sono altri progetti legati alla lingua italiana?
Al DFA della SUPSI ci siamo confrontati con un risultato che riguarda le competenze di scrittura degli studenti della scuola dell’obbligo del canton Ticino, e l’abbiamo fatto attraverso un progetto finanziato dal fondo nazionale che si intitola TIscrivo ed è coordinato da Simone Fornara. Abbiamo raccolto il più grande corpus oggi a disposizione di scritti scolastici di bambini delle scuole elementari (III e V elementare) e di studenti delle scuole medie (II e IV media). Abbiamo riunito circa duemila testi, poi li abbiamo studiati dal punto di vista degli aspetti linguistici e della qualità dei contenuti. Il risultato è mediamente soddisfacente. Il progetto ci ha permesso di identificare alcuni elementi su cui lavorare come l’ortografia, la frequenza di alcuni errori (uso degli accenti o uso degli apostrofi), l’uso delle doppie (che può comunque essere legato alla varietà di italiano del nord tipica delcCanton Ticino) e il lessico.
Abbiamo appena cominciato un nuovo progetto «Scripsit» (Scrivere come risorsa professionale nella Svizzera italiana) che coinvolge diversi dipartimenti della Supsi. Vogliamo promuovere l’importanza della scrittura come strumento formativo e come competenza professionale avanzata. La scrittura non è infatti utile solamente per i docenti, ma è importante che anche un’infermiera, un economista o un esperto di sanità o di informatica siano in grado di scrivere in modo efficace in lingua italiana. Da una parte ci sta a cuore la difesa dell’identità culturale dall’altra sappiamo che la scrittura avanzata, argomentativa e funzionale è strumento di elaborazione del pensiero. Il professionista con questa competenza avrà una marcia in più. Lavoreremo prima di tutto sulle produzioni degli studenti, raccogliendo le loro tesi. Dopo avere costruito un corpus analizzeremo i problemi linguistici e argomentativi. Vi saranno poi dei questionari per i docenti della Supsi e per gli studenti. Tutto questo ci permetterà di identificare gli errori e di progettare interventi didattici ad hoc e corsi di formazione. Vorrei proporre la continuazione del progetto su scala nazionale. Vorrei infine aggiungere una cosa: abbiamo parlato di scrittura, ma in generale non si può separare l’ambito della scrittura da quello della lettura. Si deve dunque lavorare sempre su due piani.
Sicuramente ci sono enormi margini di
L’intervista completa è disponibile su www.azione.ch/cultura
Cosa si può fare per migliorare la qualità dell’italiano a scuola?
con un altro significato (es. «vignetta», «patrizio»), e infine i ticinesismi lessicali, dove esiste il concetto, ma non la parola corrispondente (es. «trattanda»).
miglioramento, e intendiamo progettare degli interventi didattici. Prima però dobbiamo continuare nell’analisi dei dati per comprendere la distribuzione degli errori nelle diverse aree geografiche del nostro cantone. Sarà anche interessante, una volta identificato un determinato errore, osservare come questo evolva. Abbiamo appena presentato il risultato della prima parte del progetto, che finirà nel dicembre del 2017. Dopo avere raccolto i dati costruiremo anche un lessico dell’italiano nella scuola nel canton Ticino.
E una volta identificati gli errori più frequenti come si procederà?
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 31 ottobre 2016 • N. 44
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Cultura e Spettacoli
Dalla tragedia alla luce
In scena Con Antigone e Macbeth due appuntamenti classici, mentre il Teatro San Materno omaggia la luce
con una conferenza e uno spettacolo di danza contemporanea Giorgio Thoeni Due appuntamenti teatrali di matrice classica hanno recentemente catturato il nostro interesse. I capolavori del repertorio drammatico per eccellenza sono speso oggetto di rivisitazioni grazie al loro straordinario contenuto: storie adatte a ogni epoca che non chiedono necessariamente di essere attualizzate. Il primo caso ci è stato offerto da Antigone a firma di Christian Seiler con il suo StilleWasser Kollektiv. Attore e regista zurighese, Seiler ha raccolto 11 giovani attori dell’Accademia di Verscio, di cui alcuni appena laureati, per un’evocazione scenica del mito della figlia di Edipo. Due i filoni seguiti dal regista: la versione di Sofocle e quella di Jean Anouilh. Definito il grande scettico della natura umana troppo incline al servilismo e alla sottomissione, Anouilh, (come Sofocle) si concentra sul sistema del diritto e dei valori sociali attraverso la ribelle ostinazione di Antigone. La donna viene murata viva dopo aver violato l’ordine di Creonte, re di Tebe, che proibiva la sepoltura di Polinice, uno dei due fratelli di Antigone considerato un traditore. Lascerà una città «malata» e in disgrazia. Con Antigone tornano i personaggi exmachina della tragedia greca, da Creonte al Coro a Tiresia. Tutto il plot sembra accordarsi con il regista che fa man bassa nel teatro di movimento tra acrobazie, danze dionisiache, allusioni alle Pussy Riot e ai giochi di potere all’americana. Molta carne al fuoco, confusione di intenti e di codici espressivi. Un faticoso
Il progetto West End, andato in scena al Teatro San Materno di Ascona.
uso dell’italiano, parentesi in francese, tedesco, inglese e persino in greco antico compongono un allestimento pesante e faticoso (per gli attori e per il pubblico), troppo per un esercizio scolastico di stile. Questo Antigone ha perlomeno il pregio di mettere in luce alcuni giovani talenti e la loro sana urgenza attoriale. Lo spettacolo ha debuttato al Paravento di Locarno e prevede repliche al Cortile di Viganello (28-30.10), al Rennweg 26 di Bienne (1-3.11), al Teatro Foce di Lugano (7, 9.11) e all’Aula Rämibühl di Zurigo (25, 26. gennaio 2017). Bonne chance! Il secondo classico l’abbiamo visto al «Cortile» di Viganello nell’adattamen-
to del Macbeth di William Shakespeare, proposto da Emanuele Santoro in scena con Margherita Coldesina. Un récital che si è rivelato una bella sorpresa a cavallo fra resa teatrale e radiofonica, con tagli testuali coerenti e intriganti, con un uso ispirato delle voci al microfono accanto ad appropriate e suggestive atmosfere sonore accompagnate da garbati interventi delle luci, inserite in una scenografia essenziale: due candelabri, una parete a pannelli, un trono sospeso sulle teste dei due attori. Ecco come riuscire a superare brillantemente l’insidia di una lettura drammatica. Occorrono idee e professionalità.
Passiamo alla danza contemporanea, il cui bello consiste nel dialogo che riesce a instaurare con altre discipline, uscendo così dai cliché di un movimento cadenzato dalla musica, ma dove la musica diventa luce, spazio, movimento stesso e voce. Questa simbiosi della danza a confronto con altre modalità espressive è il senso della linea costruita per il cartellone del Teatro San Materno di Ascona che ha voluto dedicare questa stagione al tema della luce. Sul piano architettonico ecco dunque l’incontro con le visioni di Mario Botta su La luce come generatrice dello spazio, una conferenza stimolata dalla giornalista e critica d’arte
Chiara Gatti. Mentre la dimensione danzata la ritroviamo nel racconto coreografico del recente spettacolo West End, appuntamento in cartellone nella sala di Ascona e risultato originale dell’incontro-dialogo artistico tra una biologa molecolare e una laureata in letteratura inglese a Cambridge: Chiara Frigo e Amy Bell. Entrambe hanno in comune la danza contemporanea e la performance, ambiti in cui si sono affermate a livello internazionale. Il loro è un mondo orientato verso la comunicazione totale in universo declinato in storie originali la cui piattaforma principale è l’intrattenimento iniziato con un progetto europeo intitolato Act Your Age che ora ha trovato uno sviluppo in West End, dal nome del celebre quartiere londinese famoso per i suoi teatri e centro di arte e di cultura. È l’allusione verso un mondo in cui la leggerezza si fonde con la riflessione e il mistero, con il debito che abbiamo verso la vita e con un’esistenza fatta di superficialità e di sostanza. Come un’araba fenice che risorge dalle sue ceneri, così la rinascita passa attraverso il corpo liberato in una frenetica danza a ritmo di tip-tap in un quadrato simbolico, fra immagini ispirate dal cinema muto, il cabaret e il performing entertainment. Un’eccellente Amy Bell ci racconta tutto questo nel progetto di Chiara Frigo, sulle musiche del disegno sonoro di Mauro Casappa (ormai un habitué del San Materno) e l’originale corredo luminoso di Moritz Zavan Stoeckle in sintonia e abbinamento col tema della stagione di luce immaginata da Tiziana Arnaboldi. Annuncio pubblicitario
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Cultura e Spettacoli
Macbeth, storia di tenebra e di sangue Teatro La tragedia di Shakespeare in scena a Milano e a Lugano
Giovanni Fattorini Sono due le parole che vengono pronunciate con maggior frequenza nei cinque atti di Macbeth. La prima è «notte». Dialogando o parlando tra sé e sé, i personaggi dicono spesso in modo esplicito che una certa azione si sta svolgendo, si è svolta o si svolgerà all’inizio, nel mezzo o sul finire della notte. E poiché in tali ore Macbeth e la sua ambiziosa consorte concepiscono (e Macbeth mette in atto, di persona o per mano di sicari) propositi omicidi che una volta realizzati danno origine a tormentose riflessioni, paure sempre rinnovate e ulteriori disegni di morte, l’oscurità che avvolge uomini e cose assume inevitabilmente anche un valore simbolico. Nel testo shakespeariano c’è contrapposizione netta tra spazi interni (le sale dei castelli di Forres, Inverness, Fife, Dunsinane) e spazi esterni (l’accampamento di Duncan, la brughiera, la campagna vicina al bosco di Birnan, la pianura davanti al castello di Dunsinane). Nello spettacolo di Franco Branciaroli i cambiamenti di luogo sono indicati (ed è una risaputa variante dell’espediente in uso nei teatri elisabettiani) da scritte proiettate sulla parete di fondo della scena ideata da Margherita Palli: una specie di grande contenitore, completamente spoglio e di colore prossimo al nero, con gradini e pedane posti a livelli diversi. La storia è ambientata
per intero in questo spazio tenebroso, dove i personaggi a volte emergono dal buio che poi li riassorbe come figure di un incubo notturno. (Ammirevole tenebrista, Gigi Saccomandi si dimostra per l’ennesima volta uno straordinario light designer). La seconda parola che ricorre più frequentemente nei cinque atti della tragedia è «sangue». Dopo la breve scena iniziale delle tre «Fatali Sorelle» (più comunemente note come le «Streghe»), un «uomo insanguinato» (un capitano) racconta di come il valoroso Macbeth, «brandendo il ferro fumante di sanguinosa strage», abbia ucciso e decapitato in battaglia il rivoltoso Macdonwald. A partire da questo momento la quantità di sangue sparso da Macbeth crescerà in modo quasi ineluttabile: «Io mi sono inoltrato nel sangue fino a tal punto, che se non dovessi spingermi oltre a guado, il tornare indietro mi sarebbe pericoloso quanto l’andare innanzi». Fatta eccezione per quelli di Duncan e delle guardie addette alla sua camera, gli assassini sono messi chiaramente in mostra. Il sangue non è soltanto nominato, è visibilmente effuso. «Macbeth» ha scritto Jan Kott nel suo famoso Shakespeare nostro contemporaneo (1961) «incomincia e finisce con una carneficina. Il sangue aumenta sempre di più, sommerge tutti, invade la scena. Senza questa immagine del mondo inondato di sangue la rappresentazione del Mac-
beth risulterà sempre falsa.» Oggi quest’ultima affermazione può far pensare al troppo cinema splatter che è stato prodotto a partire dagli anni Settanta. Deve averlo pensato anche Branciaroli, il quale ha deciso di trattare le azioni cruente alla maniera dei tragici greci, che le sottraevano allo sguardo dello spettatore. Una scelta che a mio parere ha troppo dissanguato il testo e la sua rappresentazione. Quanto al fatto che Shakespeare, dopo tre omicidi pienamente visibili, faccia morire il protagonista fuoriscena, e ne mostri alla fine solo la testa mozza, si direbbe che Branciaroli l’abbia considerato uno sgarbo personale. Da incorreggibile mattatore, ha quindi voluto che Macbeth, dopo l’ultima uscita di scena indicata nel testo, riapparisse mortalmente ferito, e stramazzasse al suolo pancia all’aria – la testa saldamente attaccata al collo ma sporgente oltre il limite della pedana – mettendo in tal modo a rischio – nel pensiero di chi lo trova fisicamente appesantito e presta fede alla voce secondo cui Macbeth è una tragedia iettatoria – sia le proprie ossa che la scenografia poveristica di Margherita Palli. È la recitazione nel suo complesso il vero dato negativo dello spettacolo. Non farò l’elenco degli attori. Voglio però esprimere tutta la mia simpatia a Tommaso Cardarelli (Macduff), che il regista-primattore – col quale lavora ormai da molti
Franco Branciaroli nei panni di Macbeth. (Foto Piccolo Teatro Milano)
anni – ha perfidamente costretto a frequenti e stridule esplosioni vocali che dovrebbero esprimere dolore, disperazione o rabbia, e che invece risultano imbarazzanti o addirittura comiche. Non meno imbarazzanti o comiche mi sono sembrate anche alcune esplosioni vocali di Branciaroli, per lo più impegnato, come al solito, in virtuosistiche variazioni di tono e di timbro che suonano quasi sempre di un’assoluta, narcisistica esteriorità. Branciaroli è veramente intenso solo a partire dall’annuncio della morte di Lady Macbeth (Valentina
Violo), quando sembra invaderlo una sconfinata stanchezza che si manifesta anche attraverso un deciso abbassamento della voce. Ma qui siamo quasi al termine della recita, e allo spettatore turbato dalla desolazione di un uomo che si dice ormai «stanco del sole» riesce difficile dimenticare il gigione che lo ha preceduto. Dove e quando
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Cultura e Spettacoli Rubriche
In fin della fiera di Bruno Gambarotta La mia vita da Tinca La Tinca. Ecco cosa sono stato io in una ventina di film nell’arco di 40 anni, la Tinca. È il termine con il quale gli attori designano i ruoli di passaggio, quei personaggi che compaiono una volta o due e poi scompaiono. E che non devono farsi ricordare. Un esempio: Gran Torino, il film diretto e interpretato da Clint Eastwood. Nella penultima sequenza, quando il protagonista è già stato ucciso, siamo nell’ufficio del notaio all’apertura del testamento. Si tratta di sapere chi erediterà l’esemplare della Ford «Gran Torino» conservata dal de cuius come un gioiello. Leggiamo sui visi dei presenti la cocente delusione della nipote maleducata e saccente e la gioia del ragazzo orientale che riceve l’auto. Nessuno ricorda, anche a proiezione appena terminata, che faccia avesse il notaio che ha letto il testamento. Una perfetta tinca. Per ricoprire quel ruolo è necessaria una faccia credibile, nell’immaginario il notaio non può essere un trentenne palestrato ma un anziano autorevole. Un attore vero, con alle spalle decenni di carriera in ruoli impegnativi,
considera la proposta offensiva per la sua dignità. Io no, trovo eccitante e piacevole l’aria che si respira su un set cinematografico, mi piace pranzare con il cestino in compagnia della troupe. Ho debuttato a quaranta anni d’età, come notaio nel film di Eugenio Comencini Il gatto e subito dopo, sempre con Comencini, sono stato il maresciallo dei carabinieri in Voltati Eugenio e ho proseguito come il giudice nel film Tifosi di Neri Parenti. Sempre con la regia di Neri Parenti sono stato in Cucciolo il padre di Massimo Boldi più giovane di me di otto anni. Ed ora eccomi, a quasi 80 anni d’età, di nuovo in pista. La prima telefonata dall’agenzia arriva il giorno del mio compleanno: «Diego Abatantuono ha fatto il tuo nome per una parte in un film dove lui farà il protagonista. S’intitola I babysitter, è una commedia comica, le riprese sono previste a giugno in una villa di Ariccia. Ti interessa?». Altro che! Diego è una persona fantastica e Ariccia vuol dire porchetta. «Ti spediamo in Pdf il copione provvisorio». Apro la posta, eccolo: il mio personaggio è indicato con
il termine «Vecchietto». Protesto, prima di andare avanti nella lettura: «A me vecchietto non l’ha mai detto nessuno. Capirei ancora «Esemplare adulto di maschio alfa» ma vecchietto proprio no, ho una reputazione da difendere». Risposta: «Nel film tu sei Up, hai presente Up?». Se vuoi lavorare nel cinema non devi mai ammettere l’ignoranza: «Come no! Up, chi non lo ricorda?». Chiedo aiuto a uno dei miei nipoti che mi mostra sul suo iPhone il trailer del film di Walt Disney: in effetti è un vecchietto che per salvare la sua casupola dalla speculazione edilizia appende sul tetto dei palloni gonfiati e la fa decollare. Per farmi somigliante ad Up dovranno tagliarmi i baffi; pazienza, ricresceranno più folti di prima; noi attori siamo disposti a fare ogni sacrificio per l’arte. Nel film io sono un vicino di casa rompiscatole, inizio protestando con Diego perché l’altezza della siepe attorno alla sua villa supera di 20 centimetri in altezza quella stabilita dal regolamento condominiale. Poi nella notte, assente il padrone di casa, mi presento in casa sua per protestare contro il rumore generato
da una festa scatenata dagli amici del babysitter del figlio decenne. È presente la variopinta umanità che anima questo genere di eventi; la produzione ha fatto le cose in grande, al confronto Fellini era un dilettante. Minaccio di chiamare la polizia se non la smettono; uno dei ragazzi scopre che sono una copia sputata di Up, mi porta in giardino, i suoi compari mi fanno accomodare su una sedia di plastica, attaccano dei palloncini e mi fanno volare in alto. Telefono alla produzione: «Avete detto che il copione è provvisorio. Non sarebbe più carino se il vecchietto che protesta venisse invitato a prendere parte al festino? Magari affidandolo a un paio di drag queens?». Niente da fare, su quel punto il copione è definitivo, Up deve volare. Pazienza, mi lascerò legare alla sedia, poi ci sarà uno stacco e al posto mio sederà uno stuntman che volerà in alto. Firmo il contratto. Telefona l’aiuto regista, ha un tono di voce preoccupato: «Hai letto bene il copione? Devi sapere che nella scena del volo non è prevista la controfigura, sei tu quello che deve volare in alto,
appeso a una gru». Tento una mediazione: «Se è un problema di spesa, posso venirvi incontro, pago io lo stuntman». «Non è una questione di costi, quella scena va girata in piano sequenza, senza stacchi. Te la senti? Sei ancora in tempo a ritirarti». Quel «te la senti» mi rimbomba in testa: ho il terrore di funivie, ovovie, teleferiche, non prendo mai ascensori, se mi affaccio da un’altezza anche minima ho le vertigini. Ma è in gioco il mio onore: «Che domanda, certo che me la sento, cosa sarà mai, stare sospesi per qualche metro...». «Abbiamo noleggiato una gru che arriva fino a diciotto metri». Poi, per fortuna, nella sera fatale delle riprese, quella gru sarà indisponibile per un guasto meccanico e qualcuno penserà che ci sia stata la mia mano. Giuro che non è vero. Ne arriverà una di riserva che mi alzerà solo fino a dodici metri, vi garantisco che sono sempre tanti. La sequenza sarà ripetuta per otto volte prima di arrivare a quella buona. Adesso volo nel film e nel trailer. Mi iscriverò al corso di astronauta all’università della terza età.
nuare a sentirci dalla parte dei «buoni». I manuali che spiegano come difendersi dalle sette lo dicono chiaramente: il neofita sarà introdotto in luoghi aperti solo agli adepti, conoscerà a poco a poco cerimonie segrete; imparerà una terminologia che consenta di intendersi con gli altri adepti in virtù di un codice, appunto, segreto. A volte si riceve anche un altro nome, con la richiesta di un cambio nell’aspetto, non necessariamente forte come una vestizione monacale, almeno non subito. Istintivamente, poi, per sentirsi ben accetto il neofita tenderà a imitare i linguaggio, i gesti, le posture dei più anziani, un po’ come alcuni insetti si mimetizzano per non finire in un attimo nella pancia di una rana. Sono cose istintive, senza rendersene conto tutti cerchiamo di essere tutt’uno con l’ambiente che ci circonda, per i piccoli poi diventa una legge al fine di evitare la gravissima onta del rifiuto del gruppo. Non diremo ora del «bullismo», di quello che accade quando, a volte per motivi ridicoli, una
persona viene ritenuta un corpo estraneo rispetto al gruppo, di come il gruppo si rinforzi nell’espellere e denigrare il malcapitato, di come ciascuno goda di non essere lui, di come la vittima desideri solo morire e spesso ottenga di esaudire questo desiderio, ultimo sia in ordine temporale, che in ragione del suo essere assoluto e irreversibile. Diremo invece, per ora, della incapacità dell’uomo ad andare oltre l’aut-aut del dentro-fuori dal gruppo, del bianco-nero, qui i buoni là fuori i cattivi, dove il riferimento non è a un bene morale o affettivo o politico, ma a ciò che si decide essere bene e male. Bene per esempio sarà essere magri, avere una famiglia benestante, vincere nello sport, oppure essere spavaldi, non avere remore a far del male ai deboli, a insultare, imbrattare, imbrogliare. Un bene può essere l’appartenenza a un gruppo sportivo, religioso, politico, che trasforma in male tutto ciò che interessa a quelli «fuori» del gruppo. Ma può anche essere detestare ogni gruppo
con le sue regole, appartenere quindi al gruppo di coloro che odiano i gruppi. Di solito questi ultimi sono i più severi nella selezione tra bianco e nero. Se non ne fate parte, o se non vi siete accorti di farne parte, cercate i segnali: vi presentano agli amici quasi scusandosi; sono insofferenti alle regole anche (soprattutto) a nome di altri (ma non ti vergogni a obbedire a tua madre?); si espongono poco nelle discussioni, perché intanto sono già oltre. O fuori o dentro, aut-aut. Eppure più passa il tempo e più mi convinco che tutti noi siamo et-et. Nessuno è del tutto buono, nei sensi intesi sopra, né del tutto cattivo; nessun gruppo ha sempre ragione, c’è altro oltre al bianco e nero. No, non i tristi grigi, ma la fantasia degli infiniti giochi del bianco con il nero, et et, come nel simbolo antico yin e yang, o come diceva Aristotele della virtù che è nel mezzo, non per un livellamento, piuttosto per il rifiuto tra due errori, l’innalzarsi del bene che porta con sé et il nero, et il bianco.
«Segna sì, ma non partecipa al gioco» è la frase più ricorrente. Il libro è una sorta di bio-selfie non fotografico ma scritto (dal giornalista Paolo Fontanesi). A pensarci bene, è vero che nella vita del beato Mauro Icardi ci sono due o tre fatti un po’ più significativi della banalità: un trasloco dall’Argentina in un’isola spagnola con la famiglia in crisi, il campetto di calcio in cui ha cominciato a fare qualche tiro e poi – quando i gol e i soldi sono arrivati – l’evento-chiave: il matrimonio con la biondissima modella attrice soubrette Wanda Nara, già madre di tre figli con Maxi Lopez, compagno di squadra di Mauro alla Sampdoria. Il fatto scatenò i settimanali di gossip. Ora l’autobiografia racconta tutti i retroscena di quell’incontro galeotto: svelando che galeotto fu un iPad e poi uno yacht. Insomma, i due si sposano e lei diventa agente del marito, che dopo aver comperato un Hummer giallo e una Lamborghini per la famiglia (intanto è nata Francesca),
regala a Wanda una Rolls Royce. Intanto lei l’estate scorsa tratta con il Napoli per convincere l’Inter a scucire un contratto più consistente, e ci riesce: 4,5 milioni di euro l’anno, più una serie di bonus. Dunque, nella vita di Icardi si aggiungono: Wanda, un figlio, qualche fuoriserie parcheggiata regolarmente in divieto di sosta e un pacco di soldi molto ben esibiti (su Facebook, naturalmente). Al punto che quando Maurito compera un gioiello per Wanda, un orologio da 40 mila euro per sé oppure uno smartphone da 20 mila (in titanio e ceramica con finiture in pelle di vitello fatte a mano), pensa bene di mettere le fotografie di quegli oggettini da nulla su Instagram per mostrarli all’universo mondo. Fatto sta che Icardi, con la sua autobiografia, ha fatto arrabbiare la curva Nord della sua squadra, raccontando un episodio eroico accaduto nel febbraio 2015, dopo una sconfitta: «Mi tolgo maglia e pantaloncini e li regalo a un bimbo. Pec-
cato che un capo ultrà gli vola addosso, gli strappa la maglia dalle mani e me la rilancia indietro con disprezzo». Maurito non ci vede più, spara insulti e minacce: è un cuor di leone e deve difendere i diritti del povero bambino che si è vista sottratta la maglia. Dunque, quando gli ultrà leggono (leggono?) quella pagina, si infuriano e minacciano, a loro volta, una strage ottenendo, oltre alle scuse dell’autore, che il libro venga ristampato senza quel passo definito oltraggioso. Così, il santo è rimasto santo porgendo l’altra guancia e il suo memoriale esemplare è andato a ruba, pur censurato come fosse un qualunque romanzo di Flaubert o di Tolstoj. Per quanto mi riguarda, resto un interista deluso, anche se adesso è tutto (o quasi) risanato e i tifosi sono soddisfatti. Se avessero letto almeno l’incipit di Lolita, il romanzo di Nabokov censurato come quello di Icardi, esporrebbero allo stadio uno striscione da 6: «Maurito, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi».
Postille filosofiche di Maria Bettetini Siamo tutti et-et Fino agli anni Settanta, guardando un film western non si potevano avere dubbi, i buoni erano i «nostri», gli eserciti dei bianchi, mentre i cattivi erano i nativi americani, che con crudeli pratiche come lo scalpo tentavano di fermare il progresso, si ostinavano a non voler cedere le loro terre alla ferrovia, al pascolo, alla ricerca di materiali preziosi. Bastava poi una bottiglia di whisky («acqua di fuoco» lo chiamavano, quei selvaggi) per corrompere qualunque «indiano». Poi, nel 1970, Soldato blu di Ralph Nelson e Piccolo grande uomo di Arthur Penn, nel 1974 Mezzogiorno e mezzo di fuoco (titolo originale Blazing Saddles, Selle fiammeggianti) di Mel Brooks: due vie per scardinare le certezze. Nel pieno della contestazione contro la guerra del Vietnam, gli Stati Uniti producono film in cui il giudizio sui buoni e i cattivi è capovolto, solo i nativi sono buoni, i bianchi tutti cattivi. Si contesta la violenza della conquista del West, gli stermini di intere popo-
lazioni native, si criticano mostri sacri come il generale Custer. La commedia di Mel Brooks invece si scaglia contro il razzismo, l’Ovest è solo scenario di vicende di corruzione e di lotta contro i «negri» (per l’uso di questo termine il regista fu naturalmente molto criticato, oggi non avrebbe potuto permetterselo, nonostante l’intento anti-razzista). Ridendo con Mel Brooks, o passando dalla parte dei nativi con i film contrari al prevaricare dell’uomo bianco, tutto si capovolge, il nero diventa bianco e il bianco nero. Non nel senso del colore della pelle (che poi i nativi sarebbero propriamente «pellerossa»), ma in quello del giudizio morale che in questo modo risulta del tutto semplificato. La vita è davvero più semplice se vissuta come su una scacchiera, schierati dalla parte dei nostri simili, decisamente bianchi o decisamente neri. La scelta diventa una sola, quella iniziale, infatti, deciso dove vorremo stare, ci basterà seguire le indicazioni del o dei leader, per conti-
Voti d’aria di Paolo Di Stefano Vita del santo calciatore Sono un interista deluso: del resto, è difficile essere un interista non deluso. Capita una volta ogni quarant’anni circa. Per non essere mai deluso devi essere juventino, perché anche quando perdono sul campo i bianconeri mantengono la loro simpatica arroganza, e anche quando falsano le partite (è capitato diverse volte) e vengono condannati per frode sportiva, fingono di averle vinte regolarmente, come nulla fosse. Diceva (bonariamente) un grandissimo interista, l’avvocato Peppino Prisco (6– alla memoria): «Dopo aver stretto la mano a un milanista corro a lavarmela, dopo averla stretta a uno juventino mi conto le dita». Sono un interista che non ama il suo capitano, il centravanti argentino Mauro Emanuel Icardi Rivero, detto più brevemente Mauro Icardi. Preferivo Roberto Boninsegna detto Bonimba (6), il bomber anni Settanta che avrà più di settant’anni e non risulta che abbia mai scritto un’autobiografia. Icardi, invece,
ha 23 anni e la sua autobiografia l’ha già scritta (e, purtroppo, pubblicata: per Sperling & Kupfer, voto 2). Si intitola Sempre avanti. Sottotitolo: La mia storia segreta. Anzi, dire che Icardi ha scritto la sua autobiografia è dire troppo: sarebbe meglio precisare che qualcuno gliel’ha scritta, forse gliel’ha reinventata, visto che a 23 anni, se non hai fatto la resistenza o se non hai attraversato il Mediterraneo in barcone, di solito hai ben poco da raccontare: per di più Icardi non ha ancora vinto niente, dunque non può raccontare neanche di trionfi epici. Dunque, non avendo quasi nulla da raccontare, se proprio vuoi pubblicare un libro sulla tua vita, devi chiedere a qualcuno di inventarla, la tua vita, a suo modo. Il genere letterario (anche «letterario» è dire troppo) è quello delle «vitae sanctorum», cioè vite di santi, auto-agiografia di un tamarro supertatuato. Un genio, dicono altri. Non i tifosi, che hanno sempre qualcosa da ridire:
b e s cl u s i t u a d i n e e lamp
2 1
2016 1.11–30.11.
4
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79.90 5
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3
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8
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9 6
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e d a p m la e l e t t u t su e nt i c s e r o u l f i
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Idee e acquisti per la settimana
shopping Un frutto che ha tutto per piacere Attualità Il caco è il frutto tipico della stagione autunnale
Ritratto
Pregi
Lo sapevate? In Giappone il caco Persimon è servito come piatto tradizionale delle feste di fine anno. Qui è anche considerato il frutto nazionale. In Asia le foglie della pianta sono utilizzate fresche o secche per preparare un tè dall’effetto stimolante del metabolismo.
Il caco è originario dell’Asia e giunse in Europa nella seconda metà del 1800, prima in Francia e poi in Italia. La pianta del caco – nota anche con il nome di diospiro o loto – è molto diffusa anche nei nostri giardini, soprattutto quella della varietà Romagnola. Il frutto di questa varietà si consuma solo quando e ben maturo. La raccolta avviene durante i mesi di ottobre e novembre.
Il caco è ricco di zuccheri, vitamine, proteine vegetali, nonché fibre. Inoltre i suoi pigmenti carotenoidi hanno proprietà antiossidanti e sono benefici per occhi e vista.
Consumo Il caco viene consumato perlopiù allo stato naturale, affettato o al cucchiaio. Tuttavia la sua polpa si presta bene anche per affinare yogurt nature, gelati o panna. È ottimo anche sotto forma di marmellata o chutney, come pure essiccato. Per un semplice dessert di sicuro successo basta servire un carpaccio di cachi Persimon cosparso di uvette, noci e un filo di miele o sciroppo.
Carattere Come già accennato, la varietà Romagnola va consumata solo quando è ben matura e la polpa risulta morbida e gelatinosa, altrimenti risulterebbe di sapore astringente, che lega i «denti». La buccia di questa varietà non è molto appetibile. Ne esistono però altri tipi, come i cachi Persimon e Sharon, che possono essere consumati anche se mezzi maturi, tagliati a spicchi o fettine, con o senza buccia, come se fossero delle mele.
Assortimento Presso i reparti frutta di Migros Ticino attualmente sono disponibili tre tipologie di cachi: Romagnola, Persimon e Bio Persimon.
Sapore
Foto Keystone
I cachi della varietà Romagnola hanno un sapore molto dolce, che ricorda quello delle albicocche. Le varietà Persimon e Sharon posseggono invece un gusto vanigliato. Per velocizzare la maturazione i cachi Romagnola possono essere lasciati vicino alle mele, a temperatura ambiente.
Dei cachi Persimon e una pianta di cachi Romagnola. (Giovanni Barberis)
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Idee e acquisti per la settimana
Tutto il buono del pane bio
Attualità La corona del sole bio è uno dei pani più apprezzati dalla clientela Migros
Passando davanti agli scaffali del pane Migros è impossibile non lasciarsi conquistare da tutte le fresche bontà appena sfornate ivi esposte. Tra i pani più gettonati dalla clientela, figurano le corone. Lanciate sul mercato oltre vent’anni fa, in poco tempo hanno riscosso un grandissimo successo. Si distinguono ovviamente non solo per la loro genuinità, ma anche per il fatto che sono pratiche da spezzare con le mani e si trasformano in men che non si dica in golosissimi sandwich. Una di queste, la corona del sole biologica, è addirittura ai primi posti in assoluto tra i pani più venduti dalla Migros. La specialità è panificata con farina di frumento, farina di segale e farina di germogli, quest’ultima composta da frumento, granoturco, miglio, spelta, grano saraceno, orzo e avena. La miscela di germogli, chiamata «Keimkraft», è ricca di vitamine e sali minerali, nonché di acido folico, sostanza necessaria all’organismo per la produzione sanguigna e la divisione cellulare, nonché per lo sviluppo del canale neurale nei bebè.
La «Keimkraft» inoltre permette di conservare i pani più a lungo. E quasi a voler essere fedele al suo nome, la corona è arricchita con olio di girasole e semi di girasole. I sei panini che formano la corona del sole si sposano a meraviglia con formaggi molto saporiti, carne secca oppure anche con del salmone affumicato. Chi apprezza gli alimenti croccanti resterà altresì sedotto dalla sua crosta. Tutti gli ingredienti utilizzati sono di provenienza biologica certificata, ossia ottenuti senza l’uso di alcuna sostanza chimica.
Bio Corona del sole 360 g Fr. 2.90
Il pane di novembre Questo mese i panettieri della Jowa vi consigliano di assaggiare anche il pane del montanaro. Una denominazione più che azzeccata, visto il carattere rustico della specialità. È un pane di farina bigia e segale di forma allungata. Sulla sua superficie sono presenti dei tagli trasversali che vanno a formare dei piccoli rombi una volta cotto. È gustosissimo a colazione con del buon miele, ma si abbina benissimo a qualsiasi altra pietanza salata.
Pane del montanaro 400 g Fr. 2.20 La corona del sole bio contiene una preziosa miscela di germogli.
Pasta Delverde certificata vegana Novità Migros Ticino lancia due nuovi innovativi formati
di pasta del celebre pastificio abruzzese
L’assortimento di pasta italiana di Migros Ticino si arricchisce di due stuzzicanti novità perfette per il piacere quotidiano all’insegna del buongusto e del benessere: la pasta Wellness Delverde alla semola di grano duro arricchita con ceci e con semi di lino. Si tratta di due esclusività realizzate con materie prime certificate e una lavorazione particolarmente delicata. L’alta percentuale di ceci (30%) e semi di lino (24%) aggiunti alla semola di grano duro è garante di pasta ad alto valore nutritivo. Da una parte la farina di ceci è riconosciuta come importante fornitore di fibre, proteine vegetali, vitamine A, B, C, K e minerali
quali calcio, fosforo e ferro; dall’altra la farina di semi lino spicca per il fatto di essere la principale fonte vegetale di acidi grassi Omega 3 – importanti sostanze in grado di sostenere il sistema immunitario e di regolare il colesterolo, prevenendo ipertensione e cardiopatie – oltre che per contenere anch’essa buone quantità di proteine, minerali e vitamine. Come tutti i prodotti firmati Delverde – a Migros Ticino sono già disponibili alcuni formati tradizionali come le pennette lunghe rigate, i fusilli, i mezzi pennoni, gli spaghetti, le lumache, i mezzi rigatoni e le fettuccine a nido – anche le due nuove paste sono prodotte con l’au-
Delverde Fusilli con ceci* 450 g Fr. 2.90
silio di pregiata acqua pura di sorgente del fiume Verde, captata all’interno del Parco Nazionale della Maiella, in Abruzzo, dove il pastificio ha la sua sede (Delverde è l’unico pastificio ubicato in un Parco naturale) . Un’acqua che si caratterizza per la sua purezza e la ricchezza di importanti elementi che vengono trasferiti alla pasta grazie alla lenta essiccazione. I due nuovi formati di pasta Delverde hanno un’ottima resa in cottura, fatto che li rende perfetti accostati sia a condimenti semplici – anche solo un filo d’olio d’oliva – oppure anche a sughi più corposi a base di verdure, erbe aromatiche o spezie.
Delverde Penne Rigate con semi di lino* 450 g Fr. 2.90 *In vendita nelle maggiori filiali Migros
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Idee e acquisti per la settimana
Stagionalità
Creazioni autunnali Gli amanti degli yogurt Saison quest’autunno e inverno potranno scoprire addirittura due sorprese: da una parte, con la variante panpepato viene lanciata una nuova e particolare tipologia di gusto; dall’altra, i vasetti possono contare su un nuovo design che ricorda già in anticipo l’atmosfera delle festività. Il nuovo yogurt alle spezie di panpepato completa l’assortimento stagionale per un breve periodo. La scelta include anche la varietà allo strudel di mele con il suo sapore autentico.
Saison Yogurt Strudel di mele 180 g* Fr. –.70 *Nelle maggiori filiali
Saison Yogurt Panpepato 180 g* Fr. .–70
Edizioni speciali Yogurt Saison panpepato e strudel di mele
Perfette per questo periodo dell’anno, ecco due nuove varietà di yogurt Saison, che col loro sapore preannunciano già il periodo dell’Avvento.
M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche gli yogurt Saison.
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Idee e acquisti per la settimana
Roland Peter
«Per un piacere supplementare»
Azione 20X Punti Cumulus su tutti i prodotti Farmer-Plus fino al 7 novembre
Sette nuovi prodotti Farmer-Plus vanno ad arricchire l’assortimento. Quali ingredienti moderni si nascondono dietro il nome «Plus»? Ce lo rivela il responsabile dell’assortimento Roland Peter nell’intervista
Farmer Plus Crunchy Mix 600 g Fr. 5.70
Farmer Plus Quinoa-Mirtilli 6 pezzi, 150 g Fr. 4.90
Migros Bio Farmer Plus Paleo 400 g Fr. 11.90 Nelle maggiori filiali
Roland Peter, responsabile d’assortimento, con i nuovi prodotti Farmer-Plus.
Roland Peter, cosa significa il «Plus» nei nuovi prodotti Farmer?
La nuova linea concilia piacere con speciali ingredienti di tendenza come i cosiddetti «Superfoods»: quinoa, amaranto, o semi di chia. Vi sono però anche altri ingredienti «Plus»: può essere l’aggiunta di sostanze quali vitamine e sali minerali, un alto contenuto di fibre o anche di noci o proteine in alcuni prodotti. Il relativo «Plus» è indicato chiaramente sulla parte frontale della confezione. Come si è arrivati all’ampliamento della linea Farmer?
Gli alimenti vegani o senza glutine, come pure i Superfoods, sono espressamente richiesti dalla nostra clientela.
Cerchiamo di rispondere a queste esigenze sviluppando prodotti che vi corrispondano.
mercato. Qui i müesli e le barrette sono testate anche da clienti a cui piacciono tali prodotti.
Come vengono implementati i desideri dei clienti?
La variante Farmer-Plus «Paleo» ha un nome che suona esotico. Di che genere di müesli si tratta?
Trasmettiamo le richieste dei clienti e le nostre idee ai produttori, che hanno una grande esperienza nella produzione di müesli e barrette. Sulla base delle proposte dei produttori facciamo poi le nostre scelte. E poco dopo il cliente trova il prodotto finito sugli scaffali della Migros?
No, non così in fretta. Valutiamo le proposte e le trasmettiamo alla ricerca di
La nostra clientela ha sempre desiderato avere un müesli con meno carboidrati – «low carb». Nella dieta Paleo – chiamata anche dieta delle caverne – si mangiano solamente alimenti di cui i nostri avi potevano disporre cacciando o raccogliendoli nella natura: quindi noci e frutta. Il nostro Paleo-Müesli è composto conformemente del 40 % di noci, semi, chip di cocco, pezzetti di mela secchi e fragole secche. Viene dol-
cificato con miele. Di questa miscela speciale non fa parte nessun cereale. In tal modo il Paleo-Müesli contiene quasi due terzi in meno di carboidrati rispetto al Crunchy-Mix-Müesli. Quali sono le caratteristiche degli altri prodotti Plus?
Il Crunchy-Mix-Müesli è ricco di fibre alimentari, oltre che di magnesio, calcio e vitamina D. Il Protein-Müesli contiene soia e fave ed è quindi ricco di proteine. Le nostre nuove barrette Farmer-Plus sono disponibili in combinazioni particolari: quinoa-mirtilli, melagrana-pecan o mirtilli rossi-proteine. Tutte hanno però un comun denominatore: sono una vera delizia.
Farmer Plus Cranberry-Protein 6 pezzi, 150 g Fr. 4.90
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Idee e acquisti per la settimana
M-Classic
Un classico stagionale
*Azione 20% sull’M-Classic cavolo rosso e crauti, come pure sui crauti Migros-Bio dal 1. al 7 novembre
Il cavolo rosso cotto di M-Classic fa risparmiare la laboriosa preparazione ed è subito pronto.
Il cavolo rosso e i crauti stanno vivendo la loro piena stagione. Sono classici contorni dei tipici piatti autunnali e invernali. Il cavolo rosso, dal sapore dolciastro e affinato con polvere di chiodi di garofano, è ideale insieme a spätzli e castagne per accompagnare saporitissimi piatti di selvaggina. I crauti, dal canto loro, non mancano mai come contorno del bollito misto e sanno conferire a sanguinacci e salsicce di fegato una gradevole nota aromatica. Entrambi i prodotti M-Classic sono disponibili cotti, in sacchetto, nel reparto dei refrigerati. I cavoli utilizzati sono rigorosamente di provenienza svizzera.
M-Classic cavolo rosso cotto 500 g Fr. 1.90* invece di 2.40
M-Classic crauti cotti 500 g Fr. 2.05* invece di 2.60
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Idee e acquisti per la settimana
Buono a sapersi Pescheria
Una fresca retata
Quale maggior fornitore di pesce in Svizzera, Migros si assume le proprie responsabilità. L’intera offerta di pesci e frutti di mare proposta al banco, al libero servizio, in scatola o congelato proviene da fonti sostenibili*. Piacere garantito con la coscienza pulita
«Pole and Line» sta per canna e filo da pesca. Questo metodo di pesca è molto selettivo ed evita quindi la cattura di altre specie. In combinazione con altri accorgimenti è tra i metodi di pesca più ecosostenibili.
Testo Sonja Leissing; Foto e Styling Ruth Kung
*Azione 40% sulle orate reali dal 1. al 7 novembre
ASC Salmone affumicato intenso 100 g Fr. 6.20
MSC Gamberetti in salamoia 80 g Fr. 3.80
Salmone
Tonno
Scorfano
Orata
Un salmone adulto può pesare fino a 30 chilogrammi. In natura il salmone è un pesce migratore. Questi nobili pesci vivono in mare, ma per deporre le uova risalgono i corsi dei fiumi in cui sono nati. Culinaria: arrostito, al vapore, al forno, affumicato o crudo per la preparazione di Sushi, il salmone è una vera prelibatezza ed è tra le varietà di pesce più apprezzate.
Alla Migros il pinna gialla è tra le più apprezzate varietà di tonno. Proviene dall’Atlantico, dal Pacifico e dall’Oceano Indiano. Un pesce adulto pesa fino a 200 chilogrammi. Culinaria: la polpa è consistente ed è ideale per essere arrostita o grigliata. La parte interna deve rimanere un po’ rosa. Ha un gusto pronunciato, di conseguenza va condito con moderazione.
Lo scorfano si trova nell’Atlantico al nord dell’Europa, in Islanda, Groenlandia e Norvegia, così come in Irlanda, Scozia e Svezia. Culinaria: la sua polpa è bianco rossa, soda, a basso contenuto di grassi e dal gusto aromatico. Lo scorfano può essere impanato, arrostito o cotto intero nel forno. Anche bollito o cotto al vapore, questo pesce dalle poche lische è un piacere per il palato.
Nuota in prevalenza nel Mediterraneo, ma può anche essere allevata. Questa apprezzata varietà di pesce deve il suo nome alle macchie dorate che ha su fronte e guance. Culinaria: pesce dalle poche lische e dalla polpa soda, l’orata intera è ottima cotta al forno o stufata, o ancora grigliata con un ripieno di erbette.
Filetto di salmone bio con pelle Al prezzo del giorno Nelle maggiori filiali
Tonno pinna gialla Al prezzo del giorno Nelle maggiori filiali
Scorfano MSC Al prezzo del giorno Nelle maggiori filiali
Orata reale Al prezzo del giorno Nelle maggiori filiali
* Consigliato e consigliato con cautela secondo le valutazioni del WWF Migros Bio Filetti di trota 100 g Fr. 5.20
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Buono a sapersi Pescheria
Una fresca retata
Quale maggior fornitore di pesce in Svizzera, Migros si assume le proprie responsabilità. L’intera offerta di pesci e frutti di mare proposta al banco, al libero servizio, in scatola o congelato proviene da fonti sostenibili*. Piacere garantito con la coscienza pulita
«Pole and Line» sta per canna e filo da pesca. Questo metodo di pesca è molto selettivo ed evita quindi la cattura di altre specie. In combinazione con altri accorgimenti è tra i metodi di pesca più ecosostenibili.
Testo Sonja Leissing; Foto e Styling Ruth Kung
*Azione 40% sulle orate reali dal 1. al 7 novembre
ASC Salmone affumicato intenso 100 g Fr. 6.20
MSC Gamberetti in salamoia 80 g Fr. 3.80
Salmone
Tonno
Scorfano
Orata
Un salmone adulto può pesare fino a 30 chilogrammi. In natura il salmone è un pesce migratore. Questi nobili pesci vivono in mare, ma per deporre le uova risalgono i corsi dei fiumi in cui sono nati. Culinaria: arrostito, al vapore, al forno, affumicato o crudo per la preparazione di Sushi, il salmone è una vera prelibatezza ed è tra le varietà di pesce più apprezzate.
Alla Migros il pinna gialla è tra le più apprezzate varietà di tonno. Proviene dall’Atlantico, dal Pacifico e dall’Oceano Indiano. Un pesce adulto pesa fino a 200 chilogrammi. Culinaria: la polpa è consistente ed è ideale per essere arrostita o grigliata. La parte interna deve rimanere un po’ rosa. Ha un gusto pronunciato, di conseguenza va condito con moderazione.
Lo scorfano si trova nell’Atlantico al nord dell’Europa, in Islanda, Groenlandia e Norvegia, così come in Irlanda, Scozia e Svezia. Culinaria: la sua polpa è bianco rossa, soda, a basso contenuto di grassi e dal gusto aromatico. Lo scorfano può essere impanato, arrostito o cotto intero nel forno. Anche bollito o cotto al vapore, questo pesce dalle poche lische è un piacere per il palato.
Nuota in prevalenza nel Mediterraneo, ma può anche essere allevata. Questa apprezzata varietà di pesce deve il suo nome alle macchie dorate che ha su fronte e guance. Culinaria: pesce dalle poche lische e dalla polpa soda, l’orata intera è ottima cotta al forno o stufata, o ancora grigliata con un ripieno di erbette.
Filetto di salmone bio con pelle Al prezzo del giorno Nelle maggiori filiali
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* Consigliato e consigliato con cautela secondo le valutazioni del WWF Migros Bio Filetti di trota 100 g Fr. 5.20
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Idee e acquisti per la settimana
I pomodori secchi, le olive e le erbette si abbinano armoniosamente al delicato gusto dell’orata.
Riso saltato ai gamberi Piatto principale per 4 persone Ingredienti 200 g di riso profumato 3 cipollotti 2 cucchiai d’olio per rosolare, ad es. olio per wok 200 g di piselli surgelati 2 uova 250 g di gamberi nordici 4 cucchiai di salsa di pesce 1 limetta Preparazione Cuocete il riso seguendo le indicazioni sulla confezione e lasciatelo raffreddare. Tagliate i cipollotti ad anelli e mettete da parte alcune rondelle verdi per guarnire. Rosolate il riso in una padella ampia unta d’olio o in un wok, mescolando di tanto in tanto. Aggiungete i piselli e rosolateli per ca. 3 minuti. Spostate il riso verso il bordo della padella. Se necessario aggiungete ancora un po’ d’olio. Rompete le uova in padella e mescolatele, poi incorporatele delicatamente al riso. Aggiungete i cipollotti e i gamberi. Rosolate brevemente il tutto. Tagliate la limetta a spicchi. Condite il riso con la salsa di pesce e un po’ di succo di limetta. Guarnite con le rondelle di cipollotto messe da parte e gli spicchi di limetta e servite. Tempo di preparazione ca. 20 minuti + cottura del riso ca. 20 minuti + raffreddamento Per persona ca. 26 g di proteine, 9 g di grassi, 48 g di carboidrati, 1600 kJ/380 kcal
MSC è sinonimo di pesca sostenibile e certificata. Pesci e frutti di mare provengono unicamente da pesca selvatica. Migros è stato il primo dettagliante svizzero a proporre pesce e frutti di mare certificati MSC nelle proprie pescherie a servizio. MSC contribuisce a preservare le risorse, i pesci e il loro ambiente marino.
ASC è sinonimo di piscicoltura responsabile e certificata. Gli allevamenti devono essere conformi alle politiche ambientali e sociali. L’organizzazione di pubblica utilità Aquaculture Stewardship Council (ASC) è stata istituita su iniziativa del WWF e dal 2011 gode del sostegno della Migros.
Orata alla mediterranea Piatto principale per 4 persone Ingredienti 4 orate reali eviscerate di ca. 300 g ciascuna sale marino, pepe dal macinapepe 4 cucchiai d’olio d’oliva 4 spicchi d’aglio 150 g di olive verdi snocciolate 100 g di pomodori secchi ¼ di mazzetto di rosmarino 1 limone
Ricette di
www.saison.ch
Preparazione Scaldate il forno a 200 °C. Incidete più volte la pelle delle orate. Accomodate i pesci in una teglia foderata con carta da forno. Conditeli dentro e fuori con sale, pepe e olio d’oliva. Tagliate l’aglio e le olive a fettine, i pomodori a striscioline. Distribuite l’aglio, le olive, i pomodori e gli aghi di rosmarino staccati dai rametti sui pesci. Con un rigalimoni, prelevate delle striscioline di scorza di limone e distribuitele sulle orate. Spremete il limone
e spruzzate un po’ del succo sui pesci. Cuocete al centro del forno per ca. 20 minuti. Accompagnate le orate con un contorno di patate o riso. Tempo di preparazione ca. 15 minuti + cottura in forno ca. 20 minuti Per persona ca. 63 g di proteine, 31 g di grassi, 9 g di carboidrati, 2350 kJ/570 kcal
Migros-Bio è sinonimo di una piscicoltura sostenibile e rispettosa della natura, controllata e certificata da organi indipendenti. Pesce e frutti di mare vengono nutriti con mangime biologico e vivono in vasche di dimensioni adeguata in acqua dolce o salata.
Parte di
L’impegno Migros a favore della sostenibilità è da generazioni in anticipo sui tempi. Migros ha raggiunto il suo obiettivo: da inizio ottobre 2016 il 100% dell’offerta di pesci e frutti di mare in vendita alla Migros proviene da fonti sostenibili.
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Idee e acquisti per la settimana
I pomodori secchi, le olive e le erbette si abbinano armoniosamente al delicato gusto dell’orata.
Riso saltato ai gamberi Piatto principale per 4 persone Ingredienti 200 g di riso profumato 3 cipollotti 2 cucchiai d’olio per rosolare, ad es. olio per wok 200 g di piselli surgelati 2 uova 250 g di gamberi nordici 4 cucchiai di salsa di pesce 1 limetta Preparazione Cuocete il riso seguendo le indicazioni sulla confezione e lasciatelo raffreddare. Tagliate i cipollotti ad anelli e mettete da parte alcune rondelle verdi per guarnire. Rosolate il riso in una padella ampia unta d’olio o in un wok, mescolando di tanto in tanto. Aggiungete i piselli e rosolateli per ca. 3 minuti. Spostate il riso verso il bordo della padella. Se necessario aggiungete ancora un po’ d’olio. Rompete le uova in padella e mescolatele, poi incorporatele delicatamente al riso. Aggiungete i cipollotti e i gamberi. Rosolate brevemente il tutto. Tagliate la limetta a spicchi. Condite il riso con la salsa di pesce e un po’ di succo di limetta. Guarnite con le rondelle di cipollotto messe da parte e gli spicchi di limetta e servite. Tempo di preparazione ca. 20 minuti + cottura del riso ca. 20 minuti + raffreddamento Per persona ca. 26 g di proteine, 9 g di grassi, 48 g di carboidrati, 1600 kJ/380 kcal
MSC è sinonimo di pesca sostenibile e certificata. Pesci e frutti di mare provengono unicamente da pesca selvatica. Migros è stato il primo dettagliante svizzero a proporre pesce e frutti di mare certificati MSC nelle proprie pescherie a servizio. MSC contribuisce a preservare le risorse, i pesci e il loro ambiente marino.
ASC è sinonimo di piscicoltura responsabile e certificata. Gli allevamenti devono essere conformi alle politiche ambientali e sociali. L’organizzazione di pubblica utilità Aquaculture Stewardship Council (ASC) è stata istituita su iniziativa del WWF e dal 2011 gode del sostegno della Migros.
Orata alla mediterranea Piatto principale per 4 persone Ingredienti 4 orate reali eviscerate di ca. 300 g ciascuna sale marino, pepe dal macinapepe 4 cucchiai d’olio d’oliva 4 spicchi d’aglio 150 g di olive verdi snocciolate 100 g di pomodori secchi ¼ di mazzetto di rosmarino 1 limone
Ricette di
www.saison.ch
Preparazione Scaldate il forno a 200 °C. Incidete più volte la pelle delle orate. Accomodate i pesci in una teglia foderata con carta da forno. Conditeli dentro e fuori con sale, pepe e olio d’oliva. Tagliate l’aglio e le olive a fettine, i pomodori a striscioline. Distribuite l’aglio, le olive, i pomodori e gli aghi di rosmarino staccati dai rametti sui pesci. Con un rigalimoni, prelevate delle striscioline di scorza di limone e distribuitele sulle orate. Spremete il limone
e spruzzate un po’ del succo sui pesci. Cuocete al centro del forno per ca. 20 minuti. Accompagnate le orate con un contorno di patate o riso. Tempo di preparazione ca. 15 minuti + cottura in forno ca. 20 minuti Per persona ca. 63 g di proteine, 31 g di grassi, 9 g di carboidrati, 2350 kJ/570 kcal
Migros-Bio è sinonimo di una piscicoltura sostenibile e rispettosa della natura, controllata e certificata da organi indipendenti. Pesce e frutti di mare vengono nutriti con mangime biologico e vivono in vasche di dimensioni adeguata in acqua dolce o salata.
Parte di
L’impegno Migros a favore della sostenibilità è da generazioni in anticipo sui tempi. Migros ha raggiunto il suo obiettivo: da inizio ottobre 2016 il 100% dell’offerta di pesci e frutti di mare in vendita alla Migros proviene da fonti sostenibili.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 31 ottobre 2016 • N. 44
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Idee e acquisti per la settimana
Fondue
Una miscela delicata
Già dopo il primo boccone la nuova varietà di fondue Cave d’Or conquista i palati con la sua inconfondibile fondevolezza. Le diverse variazioni di fondue sono pronte velocemente e accontentano ogni gusto
Visite improvvise? Le miscele per la fondue sono pronte in un attimo.
Le miscele di fondue esistono in tre varianti di gusto. Oltre alle varietà Moitié-Moitié e Tradition, che necessitano ancora di vino e Maizena, come novità è stata lanciata l’aromatica fondue pronta Cave d’Or. La stagionatura in una grotta di pietra naturale conferisce al formaggio un sapore particolarmente pronunciato. La miscela non necessita di altri ingredienti supplementari ed è pronta in tavola in solamente dieci minuti. A proposito: tutte le confezioni si possono ora aprire senza l’ausilio delle forbici. Più pratico di così…
Fondue Moitié-Moitié 400 g Fr. 8.20 600 g Fr. 12.20
Fondue Tradition 400 g Fr. 8.– Nelle maggiori filiali
Novità Fondue Cave d’Or pronta 600 g Fr. 14.90 Nelle maggiori filiali
M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche diverse Fondue.
Azione 20%
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Le Gruyère dolce (formato maxi escluso), per 100 g
20x PUNTI
Tutti gli articoli per il forno, gli ingredienti per dessert e le decorazioni Patissier per es. lievito in polvere, 4 x 15 g, 1.–
Pere Kaiser Alexander Svizzera, al kg
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6.60 invece di 9.50 Bresaola Gran Piemonte Italia, al banco al servizio, per 100 g
a partire da 3 pezzi
20%
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Tutte le tavolette di cioccolato di marca Frey da 100 g, UTZ Tutte le palline di cioccolato Frey in sacchetto da (M-Classic, Suprême, Eimalzin e confezioni 500 g, UTZ multiple escluse), a partire da 3 pezzi, per es. Giandor al latte, 8.60 invece di 10.80 20% di riduzione Migros Ticino Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli M-Budget e quelli già ridotti. OFFERTE VALIDE SOLO DALL’1.11 AL 7.11.2016, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
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4.95 invece di 7.30 Minestrone alla ticinese Svizzera, imballato, al kg
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. a z z e h c s e fr a ll e d o p m li Benvenuti nell’o 40%
M consiglia
1.25 invece di 2.10 Costolette di maiale Svizzera, in conf. da 8 pezzi, per 100 g
IL LIMONE È SEMPRE DI STAGIONE Accompagna l’orata con un bel risotto dall’aroma fresco e frizzante, grazie all’aggiunta di succo e scorza di limone. Il crescione d’acqua tritato, unito a cottura ultimata, regala una nota aromatica al risotto. Trovi tutti gli ingredienti per l’orata con risotto al limone e al crescione d’acqua alla tua Migros, la ricetta su www.saison.ch/it/ consigliamo.
40%
1.35 invece di 2.30 Orata reale 300–600 g d’allevamento, Grecia, per 100 g, fino al 5.11
40%
7.80 invece di 13.– Cosce di pollo Optigal, 4 pezzi Svizzera, al kg
50%
11.40 invece di 22.80 Pâté apéro di vitello prodotto in Svizzera, in conf. da 2 x 300 g/600 g
50%
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9.– invece di 19.–
–.90 invece di 1.80
Carne macinata di manzo Svizzera/Germania, in conf. da 2 x 500 g/1 kg
30%
3.75 invece di 5.40 Lombatina d’agnello M-Classic Nuova Zelanda/Australia/Irlanda/Gran Bretagna, per 100 g
Pancetta affumicata da cuocere TerraSuisse da 900 g a 1,1 kg ca., per 100 g
30%
2.95 invece di 4.30 Fettine di cervo Nuova Zelanda, imballate, per 100 g
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4.45 invece di 7.45 Prosciutto crudo San Pietro Rapelli in conf. da 2 Svizzera, per 100 g
Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DALL’1.11 AL 7.11.2016, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
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2.70 invece di 3.90 Prosciutto speziato M-Classic Svizzera, per 100 g
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4.80 invece di 6.95 Roastbeef cotto Svizzera/Germania, affettato in vaschetta, per 100 g
30%
6.40 invece di 9.25 Luganighetta Svizzera, in conf. da 2 x 250 g/500 g
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2.05 invece di 2.60 Lesso magro di manzo TerraSuisse Svizzera, imballato, per 100 g
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3.20 invece di 5.40 Tortelloni alla zucca Armando De Angelis in conf. da 250 g
conf. da 2
20% Focaccia alsaziana originale in conf. da 2 per es. 2 x 350 g, 7.80 invece di 9.80
30%
5.40 invece di 8.10 Kiri in conf. da 3 x 160 g
20%
3.90 invece di 4.90 Uva Italia Sélection Italia, al kg
20% Tutti i crauti e i cavoli rossi M-Classic e bio, refrigerati per es. crauti M-Classic, 500 g, 2.05 invece di 2.60
25%
2.85 invece di 3.80 Cachi Italia, imballati, 700 g
30%
2.50 invece di 3.80 Ananas Costa Rica, il pezzo
25%
25%
4.90 invece di 6.70
2.90 invece di 3.95
Zucca a cubetti Francia, imballata, al kg
Patate resistenti alla cottura Svizzera, busta da 2,5 kg
conf. da 2
20%
6.60 invece di 8.25 Mini Babybel retina, 18 pezzi, 18 x 22 g
20%
13.10 invece di 16.40 Fondue moitié-moitié in conf. da 2 2 x 400 g
Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DALL’1.11 AL 7.11.2016, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
25%
19.30 invece di 25.80 Marenda Gourmet a libero servizio, al kg
25%
2.25 invece di 3.– Insalata riccia Anna’s Best in conf. da 220 g
30%
2.50 invece di 3.80 Pomodori a grappolo Svizzera/Italia, al kg
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. te r e p io rm a p s ri e rt e Le nostre off conf. da 3
20% Tutto l’assortimento Oh! Greek Style per es. yogurt alla mora e al pink dragon fruit, 170 g, 1.45 invece di 1.85
M consiglia
33%
20%
6.20 invece di 9.30
Tutta la frutta e tutte le bacche, surgelate (Alnatura escluse), per es. lamponi M-Classic, 500 g, 6.20 invece di 7.80
Rocher e Carré Chocmidor in conf. da 3 per es. Carré, 3 x 100 g
IL SOLE D’INVERNO L’arancia regala una nota estiva alla crema di carote, sia col suo succo spremuto di fresco sia con la sua scorza grattugiata finemente nella panna. Trovi tutti gli ingredienti per la crema di carote gialle con panna all’arancia alla tua Migros, la ricetta su www.saison.ch/ it/consigliamo.
conf. da 2
20%
5.– invece di 6.30 Panna intera UHT Valflora in conf. da 2 2 x 500 ml
20%
7.20 invece di 9.– Uova svizzere, da allevamento all’aperto 15 x 53 g+
conf. da 3
25% Biscotti Walkers in conf. da 3 Chocolate Chip Shortbread, Belgian Chocolate Chunk Biscuits e Shortbread Highlanders, per es. Shortbread Highlanders, 3 x 200 g, 9.95 invece di 13.50
33% Nocciole e mandorle macinate M-Classic, 400 g per es. mandorle macinate, 4.80 invece di 7.20
conf. da 3
20%
11.70 invece di 14.70 Ravioli Anna’s Best in conf. da 3 per es. ricotta e spinaci, 3 x 250 g
Hit
4.20
Insalata autunnale Anna’s Best 250 g + 20% di contenuto in più, 300 g
OFFERTE VALIDE SOLO DALL’1.11 AL 7.11.2016, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
20% Bastoncini alle nocciole, fagottini alle pere e fagottini alle pere bio per es. fagottini alle pere, 3 pezzi, 225 g, 2.30 invece di 2.90
conf. da 2
20% Tutti i cake della nonna per es. cake al cioccolato, 420 g, 4.– invece di 5.–
20% Kellogg’s in conf. da 2 per es. Special K, 2 x 500 g, 7.60 invece di 9.50
50% Zucchero fino cristallizzato Cristal da 1 kg e da 10 x 1 kg per es. 1 kg, –.50 invece di 1.–
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3 per 2
3.10 invece di 4.65
6.15 invece di 12.30
Tondelli di riso allo yogurt e al cioccolato in conf. da 3 per es. al cioccolato, 3 x 100 g
20% Tutto l’assortimento Chop Stick, Namaste India e Al Fez per es. chips ai gamberetti Chop Stick, 75 g, 1.25 invece di 1.60
Tutti i prodotti a base di patate Delicious, surgelati per es. Duchesse, 600 g, 3.65 invece di 4.60
Tutto l’assortimento di prodotti di carta Cucina & Tavola e Duni per es. tovaglioli con motivo di cane Cucina & Tavola, 33 x 33 cm, 20 pezzi, 2.15 invece di 4.35, offerta valida fino al 14.11.2016
a partire da 2 pezzi
20% Tutte le minestre Bon Chef per es. crema di porcini, 75 g, 1.20 invece di 1.50
20%
Orangina in conf. da 6, 6 x 1,5 l regular e zero, per es. regular
50%
50%
7.05 invece di 14.10 Chicken nuggets Don Pollo, 1 kg, surgelati
OFFERTE VALIDE SOLO DALL’1.11 AL 7.11.2016, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
20%
1.–
di riduzione
Tutti i collutori Listerine (confezioni multiple escluse), a partire da 2 pezzi, 20% di riduzione, offerta valida fino al 14.11.2016
Tutte le chips Zweifel da 170 g, 280 g o 300 g per es. alla paprica, 280 g, 4.70 invece di 5.70
10.20 invece di 14.60 Tortine al formaggio M-Classic in conf. da 2 surgelate, 2 x 12 pezzi
Carta igienica Hakle in confezioni speciali per es. pulizia delicata, 24 rotoli, 15.85 invece di 22.65, offerta valida fino al 14.11.2016
conf. da 2
conf. da 2
30%
30%
50% Tutti i tipi di Pepsi e Schwip Schwap in conf. da 6, 6 x 1,5 l per es. Pepsi Max, 5.50 invece di 11.–
Hit
9.80
Cuscino con noccioli di ciliegie a forma d’asino Carlos il pezzo, offerta valida fino al 25.12.2016
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Fiori e piante
Burt’s Bees Hand Cream Honey & Grapeseed, 73,7 g, 14.50 Novità **
Tutto il caffè Chicco d’Oro (escl. capsule), 250 g e 500 g, per es. macinato, 250 g, 4.55 invece di 5.70 20%
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Risoletto e Mahony in confezioni multiple, UTZ, per es. mini Risoletto Classic, 840 g, 11.45 invece di 16.40 30%
Sapone liquido all’arancia e al frangipani I am Natural Cosmetics, Limited Edition, 300 ml, 3.– Novità **
Prodotti Axe e Rexona in conf. da 2 e da 3, per es. deodorante aerosol Africa Axe in conf. da 2, 2 x 150 ml, 7.40 invece di 9.30 20% **
Pizza Antipasti Casa Giuliana in conf. da 2, surgelata, 2 x 350 g, 5.90 invece di 11.80 50%
Tutto l’assortimento di prodotti Milette per la cura del bebè, a partire da 2 confezioni 20% **
Siero intensivo per il viso I am Natural Cosmetics, 30 ml, 10.80 Novità **
Cioccolato da cucina M-Classic da 200 g in conf. da 3, UTZ, 3 x 200 g, 2.90 invece di 4.35 33%
Tutti gli snack per cani e gatti, a partire da 3 pezzi 20%
Acqua detergente micellare I am Natural Cosmetics, 200 ml, 6.50 Novità **
Tutto l’assortimento di tè Tetley, per es. English Breakfast, 25 bustine, 2.05 invece di 2.95 30% Red Bull Standard in conf. da 24, 24 x 250 ml, 27.70 invece di 39.60 30% Dado da brodo Knorr in conf. da 2, per es. brodo di verdure, 2 x 109 g, 6.50 invece di 8.20 20% Tutto l’assortimento Wasa, per es. Original, 205 g, 1.35 invece di 1.70 20%
Detersivo Total Classic e Color in conf. speciale, 7,5 kg, per es. Classic, 24.10 invece di 48.20 50% ** Little Swimmers e DryNites Huggies, per es. DryNites Huggies, 4–7 anni, confezione, 10 pezzi, 10.20 invece di 12.80 20% ** Collutori Listerine in conf. da 2, per es. protezione per denti e gengive, 2 x 500 ml, 8.30 invece di 10.40 20% **
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Minirose Fairtrade, mazzo da 10, lunghezza dello stello 40 cm, in diversi colori, per es. rosse, 5.85 invece di 6.90 15%
Les Dragées Mix Frey, UTZ, 1 kg, 10.20 invece di 12.80 20%
Olio trattante antietà per il viso I am Natural Cosmetics, 30 ml, 8.90 Novità **
Dentifricio Elmex Sensitive Professional Repair & Prevent, 75 ml, 7.50 Novità ** Manhattan Fresher Skin Foundation, 25 ml, 11.90 Novità ** Gel doccia mini Pure Sensitive I am Natural Cosmetics, 50 ml, 1.50 Novità ** Raccard affumicato, Special Edition, 225 g, 5.20 Novità ** Yogos Grecque Pecan, 180 g, –.95 Novità ** Cavolo piuma Anna’s Best, 200 g, 3.90 Novità **
Tutti i succhi di mela da 1,5 l e da 6 x 1,5 l, per es. succo di mela diluito frizzante TerraSuisse, 1,5 l, 1.75 invece di 2.20 20%
Pigiama per bambini o bebè, 2 pezzi, e tutina per bebè disponibili in diverse misure, per es. pigiama per bebè, bianco grezzo, tg. 68, il pezzo, offerta valida fino al 14.11.2016
Crema per le mani Pure Sensitive I am Natural Cosmetics, 75 ml, 4.30 Novità **
Spiraloni Tradition con miscela di spezie alla napoletana, 530 g, 2.95 Hit
Biscotti Savoiardi Classico in conf. da 2, 2 x 200 g, 2.70 invece di 3.40 20%
12.90
Burt’s Bees Squeezable Lip Balm Blister, 9,92 g, 5.90 Novità ** Balsamo doccia Magia di fiori I am Natural Cosmetics, Limited Edition, 200 ml, 3.90 Novità **
Near Food/Non Food
Fleischkäse TerraSuisse affettato finemente, per 100 g, 1.40 invece di 2.– 30% Tutto l’assortimento di polleria fresca Optigal, per es. pollo, Svizzera, in conf. da 2 pezzi, al kg, 7.60 invece di 9.50 20%
Tutto l’assortimento Nescafé, per es. Cappuccino, 125 g, 3.15 invece di 3.95 20%
Christmas Cake, 180 g, 3.70 Novità ** Shrimp nuggets Pelican, surgelati, 300 g, 6.30 Novità *,** Yogurt Saison al panpepato, 180 g, –.70 Novità **
Schupfnudeln con verdure, surgelati, 600 g, 5.20 Novità *,** Patate fritte al forno M-Classic, surgelate, 240 g, 1.90 Novità *,**
Ora
199.–
Hit
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Cuscino regginuca Karin il pezzo, 50 x 70 cm, offerta valida fino al 14.11.2016
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a partire da 2 pezzi
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Detersivo delicato Yvette a partire da 2 pezzi, 20% di riduzione
OFFERTE VALIDE SOLO DALL’1.11 AL 7.11.2016, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
50% Detersivi Total in flacone da 5 l per es. 1 for all, 19.75 invece di 39.50, offerta valida fino al 14.11.2016
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RAM da 8 GB, disco rigido da 1 TB
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Aspirapolvere UltraOne ZUOORIGWR+ 800 W, 66 dB, con spazzola per pavimenti duri, bocchetta Silent 3 in 1 (bocchetta a lancia, bocchetta per poltrone e pennello per la polvere) – 7171.599 Le offerte sono valide dal 31.10 al 7.11.2016 e fino a esaurimento dello stock. Trovi questi e molti altri prodotti nei punti vendita melectronics e nelle maggiori filiali Migros. Con riserva di errori di stampa e di altro tipo.
33%
1299.–
Notebook Pavilion Performance 17-ab036nz Processore Intel® Core™ i5-6300HQ, NVIDIA® GeForce ® GTX960M con RAM da 2 GB, RAM da 8 GB, SSD da 128 GB, AC Wi-Fi, B&O Play, masterizzatore DVD, lettore di schede, 2 prese USB 3.0, Windows 10 – 7981.433
melectronics.ch
Intel, Intel Logo, Intel Inside, Intel Core, e Core Inside sono marchi dell’Intel Corporation con sede negli USA e in altri Paesi.
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*In vendita nelle maggiori filiali Migros. **Offerta valida fino al 14.11 Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DALL’1.11 AL 7.11.2016, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
Altre offerte. Pesce, carne e pollame
Tutte le rose al pezzo Fairtrade con gambo da 60 cm, disponibili in diversi colori, per es. rosse, 3.50 invece di 4.90 20%
Altri alimenti
conf. da 3
30% Tutti i pantaloni da donna e da uomo per es. jeans da donna Ellen Amber, blu marino, tg. 36, il pezzo, 34.90 invece di 49.90, offerta valida fino al 14.11.2016
Hit
Pane e latticini
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Boxer aderenti da uomo in conf. da 3 o pigiama corto da uomo, 2 pezzi, John Adams disponibili in diversi colori e misure, per es. boxer aderenti in conf. da 3, neri, tg. M, offerta valida fino al 14.11.2016
Tutte le corone del sole bio, 360 g, –.40 di riduzione, per es. corona del sole, 2.50 invece di 2.90 Panini al burro M-Classic TerraSuisse, per es. panini al burro, 3 pezzi/285 g, 2.20 invece di 2.80 20% Cornetti alla crema, 140 g, 2.55 invece di 3.20 20%
Hit
24.90
Pigiama o camicia da notte da donna Ellen Amber, Bio Cotton disponibili in diversi colori e misure, per es. pigiama, grigio, tg. S, il pezzo, offerta valida fino al 14.11.2016
Cake Generoso e Mini Cake Generoso, per es. Cake Generoso, 380 g, 4.– invece di 5.– 20%
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Fiori e piante
Burt’s Bees Hand Cream Honey & Grapeseed, 73,7 g, 14.50 Novità **
Tutto il caffè Chicco d’Oro (escl. capsule), 250 g e 500 g, per es. macinato, 250 g, 4.55 invece di 5.70 20%
Burt’s Bees Hand Repair Cream Shea Butter, 50 g, 11.80 Novità **
Risoletto e Mahony in confezioni multiple, UTZ, per es. mini Risoletto Classic, 840 g, 11.45 invece di 16.40 30%
Sapone liquido all’arancia e al frangipani I am Natural Cosmetics, Limited Edition, 300 ml, 3.– Novità **
Prodotti Axe e Rexona in conf. da 2 e da 3, per es. deodorante aerosol Africa Axe in conf. da 2, 2 x 150 ml, 7.40 invece di 9.30 20% **
Pizza Antipasti Casa Giuliana in conf. da 2, surgelata, 2 x 350 g, 5.90 invece di 11.80 50%
Tutto l’assortimento di prodotti Milette per la cura del bebè, a partire da 2 confezioni 20% **
Siero intensivo per il viso I am Natural Cosmetics, 30 ml, 10.80 Novità **
Cioccolato da cucina M-Classic da 200 g in conf. da 3, UTZ, 3 x 200 g, 2.90 invece di 4.35 33%
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Acqua detergente micellare I am Natural Cosmetics, 200 ml, 6.50 Novità **
Tutto l’assortimento di tè Tetley, per es. English Breakfast, 25 bustine, 2.05 invece di 2.95 30% Red Bull Standard in conf. da 24, 24 x 250 ml, 27.70 invece di 39.60 30% Dado da brodo Knorr in conf. da 2, per es. brodo di verdure, 2 x 109 g, 6.50 invece di 8.20 20% Tutto l’assortimento Wasa, per es. Original, 205 g, 1.35 invece di 1.70 20%
Detersivo Total Classic e Color in conf. speciale, 7,5 kg, per es. Classic, 24.10 invece di 48.20 50% ** Little Swimmers e DryNites Huggies, per es. DryNites Huggies, 4–7 anni, confezione, 10 pezzi, 10.20 invece di 12.80 20% ** Collutori Listerine in conf. da 2, per es. protezione per denti e gengive, 2 x 500 ml, 8.30 invece di 10.40 20% **
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Minirose Fairtrade, mazzo da 10, lunghezza dello stello 40 cm, in diversi colori, per es. rosse, 5.85 invece di 6.90 15%
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. s o r ig M a tu a ll a à it Nov
Magra, morbida e ricca di proteine.
6.40 Carne secca di petto di tacchino M-Classic Ungheria, per 100 g
L’alternativa vegana ai bastoncini di pesce.
5.90 Bastoncini croccanti vegani alla marinara Cornatur 300 g
Senza zuccheri aggiunti.
6.20 Twin Latte Macchiato non dolcificato 16 capsule
Autunnale e vegana.
4.60 Zuppa di zucca bio Anna’s Best, vegana 500 ml
Dall’intenso sapore di aglio orsino.
5.60 Burger all’aglio orsino Finest* surgelati, 4 x 90 g
Igiene orale con ra una sferzata di pu freschezza.
3.30 Dentifricio Candida Fresh Apple Star Limited Edition, 75 ml
* In vendita nelle maggiori filiali Migros. Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli M-Budget e quelli già ridotti. OFFERTE VALIDE SOLO DALL’1.11 AL 14.11.2016, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
Dal sapore dolce e nocciolato.
4.60 Vellutata di patate dolci Anna’s Best 500 ml
Una combinazione di carne e patate fritte.
5.90 California Chili Fries* surgelate, 450 g
Dall’amabile profumo di giglio. Sapone Lily Breeze I am da 300 ml e in busta di ricarica Limited Edition, per es. 300 ml, 2.90
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Idee e acquisti per la settimana
Cucina & Tavola
Una calda compagnia
Sempre più spesso consumiamo strada facendo tè o caffè. Preparato a casa o acquistato in un Take Away, grazie ai bicchieri termici da asporto – disponibili in diversi colori, forme e grandezze - il calore si mantiene per ore
Stabilità • Una ventosa impedisce che si rovesci • Coperchio con chiusura a vite e beccuccio integrato Cucina & Tavola Bicchiere antirovesciamento 0,4 l Fr. 29.80
Praticità • Grazie al coperchio a pressione può essere aperto con una sola mano • In acciaio inossidabile Cucina & Tavola Bicchiere isolante* nero, 0,45 l Fr. 19.80
Versatilità • Filtro per tè amovibile • Bicchiere esterno per bibite fredde 0,65 l • Bicchiere interno per bibite calde 0,34 l Cucina & Tavola Bicchiere multifunzionale* Fr. 39.80
Sicurezza • In acciaio inossidabile • Ermetico al 100 percento • Coperchio con chiusura scorrevole • Protezione antigraffio sul fondo Cucina & Tavola Bicchiere isolante* bianco, 0,38 l Fr. 19.80
*Nelle maggiori filiali
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 31 ottobre 2016 • N. 44
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Idee e acquisti per la settimana
Da sapere
Novità nel reparto surgelati della Migros: Gipfel al prosciutto, prugne, crocchette di rösti di qualità Migros-Bio.
L’ABC del congelatore
Cena
Colazione
I nuovi gipfel al prosciutto di qualità Bio
sono già spennellati con il giallo d’uovo e quindi pronti per essere infornati. Scaldate brevemente i fagiolini con la cipolla, innaffiate con un po’ di brodo e cuocete delicatamente.
Chi ha voglia di un buon müesli ai lamponi può ricorrere durante
tutto l’anno alle bacche surgelate. Si possono scongelare rapidamente nel microonde oppure basta lasciarle in frigorifero durante la notte.
Molti consumatori non sono sicuri se bisogna scongelare i prodotti surgelati prima della cottura. È meglio scongelare i grossi pezzi di carne e di pesce lasciandoli nel frigorifero, senza imballaggio ma all’interno di un recipiente chiuso. In questo modo non assorbono gli odori di altri alimenti in frigorifero. Non scongelate mai a temperatura ambiente, altrimenti la salmonella e altri batteri si riproducono. Scolate immediatamente il liquido fuoriuscito. Spuntini come i Gipfel al prosciutto, le patatine fritte, la pizza o altri prodotti di panetteria non vanno scongelati e possono finire direttamente nel forno. Anche la verdura può passare direttamente dal congelatore alla padella.
Bio
Un amore gelido
Resti di pietanze preparate con prodotti surgelati, possono essere congelati nuovamente senza problemi.
I generi alimentari surgelati sono pratici, facili da suddividere in porzioni e veloci da cucinare. La Migros vende 40 prodotti biologici che vengono dal freddo e assicurano pasti variegati per tutta la giornata
Quando fate la spesa mettete nel carrello i prodotti congelati alla fine, poi recatevi subito alla cassa. Per non interrompere la catena del freddo, si consiglia di trasportarli a casa all’interno di una borsa frigorifera o isotermica.
Merenda
Pranzo
Per fare la torta di prugne
Mettete gli hamburger a scongelare in frigorifero.
bisogna mettere i frutti congelati direttamente sulla pasta spianata. Diventa una vera prelibatezza se si cosparge l’impasto con le nocciole e un pizzico di cannella.
Se avete fretta, potete immergerli in acqua fredda lasciandoli nell’imballaggio di plastica. Mai però in acqua calda, perché la carne si cuoce leggermente e diventa secca. Migros-Bio è sinonimo di agricoltura in armonia con la natura. L’assortimento Bio annovera oltre 1300 prodotti.
Parte di
Negli ultimi due anni l’assortimento Migros-Bio è stato continuamente ampliato e ora comprende 40 generi alimentari. Oltre ai prodotti da forno, sono disponibili in qualità biologica anche diversi frutti e ortaggi. Tagliata, lavata e suddivisa in porzioni, durante l’inverno la verdura surgelata è una pratica fonte di vitamine, perché queste rimangono in gran parte intatte grazie al congelamento.
Tutti i prodotti sono disponibili nelle maggiori filiali
Migros-Bio Fagiolini svizzeri 500 g Fr. 3.20
Nuovo Migros-Bio Prugne 600 g Fr. 3.70
Nuovo Migros-Bio Gipfel al prosciutto 210 g Fr. 4.90
Migros-Bio lamponi senza zucchero, 300 g Fr. 4.35
Migros-Bio Hamburger di manzo 2 x 100 g Fr. 4.80
Migros-Bio Misto di verdure svizzere 500 g Fr. 4.50
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Idee e acquisti per la settimana
Da sapere
Novità nel reparto surgelati della Migros: Gipfel al prosciutto, prugne, crocchette di rösti di qualità Migros-Bio.
L’ABC del congelatore
Cena
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I nuovi gipfel al prosciutto di qualità Bio
sono già spennellati con il giallo d’uovo e quindi pronti per essere infornati. Scaldate brevemente i fagiolini con la cipolla, innaffiate con un po’ di brodo e cuocete delicatamente.
Chi ha voglia di un buon müesli ai lamponi può ricorrere durante
tutto l’anno alle bacche surgelate. Si possono scongelare rapidamente nel microonde oppure basta lasciarle in frigorifero durante la notte.
Molti consumatori non sono sicuri se bisogna scongelare i prodotti surgelati prima della cottura. È meglio scongelare i grossi pezzi di carne e di pesce lasciandoli nel frigorifero, senza imballaggio ma all’interno di un recipiente chiuso. In questo modo non assorbono gli odori di altri alimenti in frigorifero. Non scongelate mai a temperatura ambiente, altrimenti la salmonella e altri batteri si riproducono. Scolate immediatamente il liquido fuoriuscito. Spuntini come i Gipfel al prosciutto, le patatine fritte, la pizza o altri prodotti di panetteria non vanno scongelati e possono finire direttamente nel forno. Anche la verdura può passare direttamente dal congelatore alla padella.
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Un amore gelido
Resti di pietanze preparate con prodotti surgelati, possono essere congelati nuovamente senza problemi.
I generi alimentari surgelati sono pratici, facili da suddividere in porzioni e veloci da cucinare. La Migros vende 40 prodotti biologici che vengono dal freddo e assicurano pasti variegati per tutta la giornata
Quando fate la spesa mettete nel carrello i prodotti congelati alla fine, poi recatevi subito alla cassa. Per non interrompere la catena del freddo, si consiglia di trasportarli a casa all’interno di una borsa frigorifera o isotermica.
Merenda
Pranzo
Per fare la torta di prugne
Mettete gli hamburger a scongelare in frigorifero.
bisogna mettere i frutti congelati direttamente sulla pasta spianata. Diventa una vera prelibatezza se si cosparge l’impasto con le nocciole e un pizzico di cannella.
Se avete fretta, potete immergerli in acqua fredda lasciandoli nell’imballaggio di plastica. Mai però in acqua calda, perché la carne si cuoce leggermente e diventa secca. Migros-Bio è sinonimo di agricoltura in armonia con la natura. L’assortimento Bio annovera oltre 1300 prodotti.
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Migros-Bio Fagiolini svizzeri 500 g Fr. 3.20
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Migros-Bio lamponi senza zucchero, 300 g Fr. 4.35
Migros-Bio Hamburger di manzo 2 x 100 g Fr. 4.80
Migros-Bio Misto di verdure svizzere 500 g Fr. 4.50
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Idee e acquisti per la settimana
Noi firmiamo. Noi garantiamo.
Dalle bolle di sapone al quark magro
Da sei momenti Migros sono stati tratti altrettanti giochini per l’App della Migros. Bisogna far scoppiare delle bolle di sapone oppure curare persone con scottature solari. Gli aneddoti correlati ai «Momenti Migros. Il gioco» provengono da clienti come Alexandra Zbinden o Petra Kähli Testo Thomas Tobler; Foto Paolo Dutto
Gioia infantile Spesso non ci vuole molto per far felici i bambini. Nel caso di Petra Kähli (35 anni) bastava un recipiente pieno d’acqua e un po’ di Handy, il popolare detersivo per stoviglie della Migros. La donna è cresciuta con i suoi tre fratelli in una fattoria di Wattwil (SG) e l’Handy era sempre a portata di mano nella stalla. I suoi genitori lo adoperavano per fare lo shampoo alle mucche. «Il nostro obiettivo, però, era di fare più schiuma e bolle di sapone possibili», ricorda Petra Kähli. «Ogni tanto facevamo una porcheria indescrivibile». Quando però si formavano bolle di tutti i colori possibili, allora per i fratellini diventava un piccolo momento di grande gioia. «Appena riuscivamo a far librare nell’aria una bolla di sapone, i nostri occhi brillavano per un paio di secondi… finché la bolla esplodeva». Vari anni dopo, Petra Kähli ha descritto questi ricordi d’infanzia su www.momenti-migros.ch e la Migros ne ha fatto un mini gioco per la sua App, il cui obiettivo è di far scoppiare il maggior numero di bolle di sapone nel minor tempo possibile. «Non sono una gran appassionata di video-giochi, ma forse ora lo diventerò grazie alle mie bolle di sapone. Comunque, uso già regolarmente l’applicazione Migros per informarmi sulle offerte speciali». E a casa di Petra il detersivo Handy è ancora regolarmente in servizio. Suo figlio ci pulisce il suo trattoregiocattolo, suo marito i cerchioni dell’auto e alla sera Petra lo adopera per lavare i piatti. «E così ci accompagna durante tutta la giornata e, quando alla Migros passo davanti allo scaffale dell’Handy, mi vengono in mente le bolle di sapone nella nostra stalla».
Anche da adulta le piace far volare le bolle di sapone fatte con l’Handy: Petra Kähli.
Il gioco
Partecipa e vinci anche tu
Dagli oltre 1500 aneddoti inviati dai clienti, ne sono stati scelti sei per essere sviluppati come mini-games. E sull’App della Migros è nato «Momenti Migros. Il gioco». Oltre a far scoppiare le bolle di sapone ed a spalmare di quark magro i bagnanti stesi al sole (foto), c’è anche da gonfiare le ruote dell’autobus della Migros, compiere una discesa in slitta senza incidenti, pulire un bebè con la faccia imbrattata di cioccolato e riempire di monetine un maialino salvadanaio.
Anche senza scottature all’orizzonte, il quark magro di M-Budget è sempre presente a casa di Alexandra Zbinden.
Un toccasana Quando il sole scotta e si è dimenticata la crema solare, a casa Zbinden si versa sulla pelle arrossata un bel po’ di quark magro MBudget. «Mi ricordo che da piccola mi pigliai un’orrenda scottatura e mia mamma mi cosparse gambe e braccia di quark», racconta Alexandra Zbinden (30 anni). Da allora questo prodotto della Migros è sempre presente a casa sua e delle sue sorelle. Una vero e proprio rimedio segreto contro le scottature – utile anche in vacanza – che
nel frattempo è già stato trasmesso alle ultime generazioni. «Se un giorno mio figlio si dovesse scottare, lo spalmerei di quark», dice convinta Alexandra. Questo tipo di ricotta ha infatti un effetto rinfrescante e allevia il dolore. «L’importante è lavare a fondo la pelle una volta che il quark si è seccato, altrimenti permane un odore acido», precisa. Naturalmente, non si dovrebbe trascurare l’uso delle creme solari a favore del quark. Eppure la crema da sole viene dimenticata da un’infinità di bagnanti che, nel gioco tratto dal «Momento
Migros» di Alexandra, prendono il sole sulla spiaggia e devono essere spalmati di quark. «È incredibile che possa giocare con un mio ricordo d’infanzia». Comunque, a casa della famiglia Zbinden il quark magro M-Budget non viene usato solo per combattere le scottature solari, ma ovviamente anche in cucina. «La mia salsa preferita è fatta con formaggio fresco, quark magro M-Budget ed erbe aromatiche fresche», racconta Alexandra. E così questo quark è proprio un toccasana: da un lato allevia le scottature, dall’altro soddisfa l’appetito.
Dopo ogni mini gioco si ottengono dei punti e chi alla fine totalizza uno dei 100 migliori punteggi, può vincere carte regalo del valore di 100 franchi. Il gioco dura dal 18 ottobre al 14 novembre e può essere giocato solo sull’applicazione della Migros.
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Dalle bolle di sapone al quark magro
Da sei momenti Migros sono stati tratti altrettanti giochini per l’App della Migros. Bisogna far scoppiare delle bolle di sapone oppure curare persone con scottature solari. Gli aneddoti correlati ai «Momenti Migros. Il gioco» provengono da clienti come Alexandra Zbinden o Petra Kähli Testo Thomas Tobler; Foto Paolo Dutto
Gioia infantile Spesso non ci vuole molto per far felici i bambini. Nel caso di Petra Kähli (35 anni) bastava un recipiente pieno d’acqua e un po’ di Handy, il popolare detersivo per stoviglie della Migros. La donna è cresciuta con i suoi tre fratelli in una fattoria di Wattwil (SG) e l’Handy era sempre a portata di mano nella stalla. I suoi genitori lo adoperavano per fare lo shampoo alle mucche. «Il nostro obiettivo, però, era di fare più schiuma e bolle di sapone possibili», ricorda Petra Kähli. «Ogni tanto facevamo una porcheria indescrivibile». Quando però si formavano bolle di tutti i colori possibili, allora per i fratellini diventava un piccolo momento di grande gioia. «Appena riuscivamo a far librare nell’aria una bolla di sapone, i nostri occhi brillavano per un paio di secondi… finché la bolla esplodeva». Vari anni dopo, Petra Kähli ha descritto questi ricordi d’infanzia su www.momenti-migros.ch e la Migros ne ha fatto un mini gioco per la sua App, il cui obiettivo è di far scoppiare il maggior numero di bolle di sapone nel minor tempo possibile. «Non sono una gran appassionata di video-giochi, ma forse ora lo diventerò grazie alle mie bolle di sapone. Comunque, uso già regolarmente l’applicazione Migros per informarmi sulle offerte speciali». E a casa di Petra il detersivo Handy è ancora regolarmente in servizio. Suo figlio ci pulisce il suo trattoregiocattolo, suo marito i cerchioni dell’auto e alla sera Petra lo adopera per lavare i piatti. «E così ci accompagna durante tutta la giornata e, quando alla Migros passo davanti allo scaffale dell’Handy, mi vengono in mente le bolle di sapone nella nostra stalla».
Anche da adulta le piace far volare le bolle di sapone fatte con l’Handy: Petra Kähli.
Il gioco
Partecipa e vinci anche tu
Dagli oltre 1500 aneddoti inviati dai clienti, ne sono stati scelti sei per essere sviluppati come mini-games. E sull’App della Migros è nato «Momenti Migros. Il gioco». Oltre a far scoppiare le bolle di sapone ed a spalmare di quark magro i bagnanti stesi al sole (foto), c’è anche da gonfiare le ruote dell’autobus della Migros, compiere una discesa in slitta senza incidenti, pulire un bebè con la faccia imbrattata di cioccolato e riempire di monetine un maialino salvadanaio.
Anche senza scottature all’orizzonte, il quark magro di M-Budget è sempre presente a casa di Alexandra Zbinden.
Un toccasana Quando il sole scotta e si è dimenticata la crema solare, a casa Zbinden si versa sulla pelle arrossata un bel po’ di quark magro MBudget. «Mi ricordo che da piccola mi pigliai un’orrenda scottatura e mia mamma mi cosparse gambe e braccia di quark», racconta Alexandra Zbinden (30 anni). Da allora questo prodotto della Migros è sempre presente a casa sua e delle sue sorelle. Una vero e proprio rimedio segreto contro le scottature – utile anche in vacanza – che
nel frattempo è già stato trasmesso alle ultime generazioni. «Se un giorno mio figlio si dovesse scottare, lo spalmerei di quark», dice convinta Alexandra. Questo tipo di ricotta ha infatti un effetto rinfrescante e allevia il dolore. «L’importante è lavare a fondo la pelle una volta che il quark si è seccato, altrimenti permane un odore acido», precisa. Naturalmente, non si dovrebbe trascurare l’uso delle creme solari a favore del quark. Eppure la crema da sole viene dimenticata da un’infinità di bagnanti che, nel gioco tratto dal «Momento
Migros» di Alexandra, prendono il sole sulla spiaggia e devono essere spalmati di quark. «È incredibile che possa giocare con un mio ricordo d’infanzia». Comunque, a casa della famiglia Zbinden il quark magro M-Budget non viene usato solo per combattere le scottature solari, ma ovviamente anche in cucina. «La mia salsa preferita è fatta con formaggio fresco, quark magro M-Budget ed erbe aromatiche fresche», racconta Alexandra. E così questo quark è proprio un toccasana: da un lato allevia le scottature, dall’altro soddisfa l’appetito.
Dopo ogni mini gioco si ottengono dei punti e chi alla fine totalizza uno dei 100 migliori punteggi, può vincere carte regalo del valore di 100 franchi. Il gioco dura dal 18 ottobre al 14 novembre e può essere giocato solo sull’applicazione della Migros.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 31 ottobre 2016 • N. 44
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Idee e acquisti per la settimana
Buono a sapersi
Ellen Amber
Non solo tengono caldo
Morbide fibre per un calore che dura La linea di prodotti «Keep Warm» di Ellen Amber è creata con un innovativo filato misto, che fornisce un calore duraturo senza far sudare. Questo filato si asciuga molto in fretta e inoltre è piacevolmete morbido.
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Benché siano fini, le ghette sono l’accessorio ideale per le giornate più fresche e fredde. E a dispetto della loro finezza si smagliano e si raggrinziscono molto meno facilmente dei modelli convenzionali. Ellen Amber Maglia a maniche lunghe Keep Warm taglie S-XL* Fr. 24.80 Ellen Amber Leggings Keep Warm taglie S-XL* Fr. 24.80
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Keep fresh: Grazie alla proprietà antimicrobatterica del materiale, si riduce l’odore del corpo. La funzione Quick-Dry fa sì che l’umidità del corpo venga trasferita all’esterno, procurando il tal modo una sensazione di freschezza. Keep comfortable: Gli articoli non si sformano nemmeno dopo ripetuti lavaggi. L’alta elasticità garantisce una tenuta perfetta. Keep antistatic: I prodotti non si caricano staticamente. Così, quando li indossate e ve li togliete non vi si rizzano più i capelli in testa.
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Ellen Amber Ghette Keep Warm taglie S-XL* Fr. 17.80
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Buono a sapersi
Ellen Amber
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Migros Plus
Pulito sostenibile
Chi punta sull’ampio assortimento della linea Migros Plus per fare il bucato e lavare le stoviglie contribuisce a preservare l’ambiente. I prodotti si basano, infatti, su materie prime rinnovabili e sono biodegradabili almeno al 95 percento
Patrick Achermann è sviluppatore di prodotti imballati alla Mibelle Group Mifa AG.
Intervista
«Proteggere l’ambiente e lavare a fondo non è una contraddizione» Signor Achermann, ecologia e pulito profondo rappresentano una contraddizione? No. I prodotti a base di materie prime vegetali possono competere con i comuni detersivi e detergenti. I prodotti Migros Plus sono rispettosi dell’ambiente.
Il detersivo per capi colorati garantisce un bucato pulito grazie all’estratto naturale di Sapindus saponaria. Migros Plus Detersivo per capi colorati 1,5 l Fr. 11.50
Il detersivo completo pulisce a fondo i tessuti bianchi grazie al carbonato di sodio che scioglie grasso e sporcizia preservando l’ambiente. Migros Plus Detersivo completo 1,875 kg Fr. 11.50
Quali altre proprietà hanno? Grazie alle materie prime vegetali, i prodotti ecologici dimostrano una tollerabilità sulla pelle e sui materiali tendenzialmente migliore. Oggi vanno per la maggiore i detersivi profumati. I detersivi di Migros Plus soddisfano la richiesta di una freschezza profumata? Sì. Inoltre, le fragranze basate su oli essenziali naturali sono più delicate. I detersivi per lavastoviglie della linea Migros Plus sono senza fosfati. Come agiscono? Le sostanze attive detergenti agiscono in modo che lo sporco sulle stoviglie venga dapprima sciolto e poi rimosso con il risciacquo. Lo sbiancante a base di ossigeno pulisce le stoviglie, mentre le sostanze ausiliari legano il calcare presente nell’acqua.
Le mini pastiglie per lavastoviglie sono ideali per i programmi brevi a partire da 40°, prevengono i depositi di calcare e grazie al basso dosaggio hanno un impatto particolarmente basso sulle acque.
Novità Il brillantante per lavastoviglie contenente acido citrico naturale che combatte le macchie d’acqua, le incrostazioni di calcare e la patina.
Migros Plus Mini Tabs 40 pezzi Fr. 7.80
Migros Plus Brillantante 500 ml Fr. 3.20
M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui i detersivi per lavatrici e lavastoviglie di Migros Plus.
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Esthetic
Per un corpo che profuma di sensualità Oltre che con un imballaggio dal nuovo design, i prodotti per la cura del corpo della linea Esthetic si presentano con formule arricchite e fragranze davvero speciali. Ad esempio, la lozione per il corpo India Bliss sorprende per i suoi accenti di legno e spezie, mentre la schiuma di sapone Asia Bloom è caratterizzata da un intenso profumo floreale. Il delicato peeling per il corpo emana un delicato aroma di vaniglia e mandorle. Il gel doccia richiama invece i profumi che aleggiano nella foresta tropicale.
Esthetic Vanilla Almond Sugar Oil Peeling 200 ml* Fr. 7.90
Azione 20X Punti Cumulus su tutti i prodotti della linea Esthetic fino al 7 novembre
Esthetic India Bliss Cream Oil Body Lotion 250 ml Fr. 7.90*
Esthetic Amazon Forest Shower Gel 250 ml Fr. 4.20
Chiodi di garofano, cisto, legno di sandalo e altre sostanze aromatiche conferiscono un profumo fragrante alla lozione per il corpo.
Esthetic Asia Bloom Foam Soap 250 ml Fr. 4.20
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M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui quelli per la cura del corpo della linea Esthetic.
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