Azione 05 del 29 gennaio 2018

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Cooperativa Migros Ticino

Società e Territorio Siete spesso distratti? Attenti, perché chi sogna a occhi aperti aumenta il rischio di infortuni

Ambiente e Benessere L’Ufficio federale dell’ambiente ha quantificato il valore che la Natura rappresenta per l’uomo, in Svizzera

G.A.A. 6592 Sant’Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXI 29 gennaio 2018

Azione 05 Politica e Economia Il 20 gennaio è partita l’operazione turca «Ramo d’ulivo» contro i curdi siriani

Cultura e Spettacoli Al Museo Migros d’arte contemporanea di Zurigo una mostra dedicata al corpo

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di Luca Beti pagina 24

Keystone

La capitale degli alternativi

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Il presidente errante di Peter Schiesser Constatando che l’economia mondiale non si è contratta di fronte alle minacce di un ritorno al protezionismo, che non è scoppiata alcuna nuova guerra, che a tante parole spesso contraddittorie non sono seguiti i fatti, vien da chiedersi, dopo il primo anno di Trump alla presidenza, se i timori della vigilia non fossero esagerati. In fondo, la divisione dei poteri e quei checks and balances di cui gli statunitensi vanno fieri sembrano aver arginato la demagogia di un presidente pur recalcitrante a riconoscere i limiti del suo potere. E poi, la sua politica economica comincia a portare frutti: la riforma fiscale che riduce dal 35 al 21 per cento l’aliquota sui guadagni delle aziende, unita ad una tassa scontata sui capitali che rientrano dall’estero, sta spingendo diverse grandi società (fra cui Apple, vedi notizia a pagina 20) a riportare in patria i guadagni parcheggiati all’estero e a investire di nuovo negli Stati Uniti, creando nuovi posti di lavoro. Ma rallegrarsi di aver evitato la catastrofe è una cosa, considerare normale per gli Stati Uniti un presidente come Trump è tutt’altro. Dal capo della nazione guida dell’Occidente e garante fino a ieri di

un ordine e una stabilità mondiale, costruita più attraverso un soft power che con forza delle armi, ci si deve aspettare ben altro. Prima di tutto, uno staff presidenziale che funzioni in modo strutturato, una compagine governativa e amministrativa all’altezza dei compiti. Invece la «squadra del presidente» si muove in modo caotico (il capo di gabinetto John F. Kelly tenta di porvi rimedio) e in diversi ministeri molte posizioni sono ancora vacanti, in particolare al Dipartimento di Stato (gli esteri), ciò che impedisce alla diplomazia statunitense e alle numerose agenzie statali di operare all’altezza dei loro compiti. Non sono dettagli insignificanti, in un contesto mondiale in cui antagonisti come Cina e Russia moltiplicano i loro sforzi per recuperare un’influenza mondiale. Se poi vi aggiungiamo l’imprevedibilità della politica estera trumpiana (lo abbiamo visto nei confronti della Corea del Nord, del Qatar, dell’Iran), unita ad uno spirito senza dubbio più belligerante, c’è da essere tuttora preoccupati per l’immagine degli Stati Uniti nel mondo e ancor di più per la residua stabilità di un ordine mondiale in via di ridefinizione. Ma è lo stesso ufficio di presidente degli Stati Uniti a venire sminuito da un Donald Trump: il miliardario non incarna la dignità della

carica, non ne rispetta le forme e i toni, non persegue la missione di unire il paese, anzi lo divide maggiormente. E nessun presidente prima di lui ha avuto un entourage sospettato di collusione con la Russia nel tentativo di influenzare l’esito delle elezioni presidenziali. Tuttavia, se Donald Trump oggi è presidente, ciò è sì dovuto alle particolarità del sistema elettorale statunitense (Hillary Clinton ha avuto 3 milioni di voti popolari in più), ma anche e soprattutto al fatto che egli catalizza la crisi profonda che attanaglia quel ceto medio americano, bianco, che fino a ieri incarnava il sogno americano. La rabbia di Trump, la rozzezza, l’odio, l’arroganza che esprime sono un balsamo psicologico per quella fetta d’America sofferente, frustrata, in declino. Parallelamente, il presidente sta nominando numerosi giudici federali e ha ridato ai repubblicani la maggioranza nella Corte Suprema, cementando per i prossimi decenni i valori conservatori. I Democratici, guardano con fiducia alle elezioni di mid-term di novembre, sulla scia di alcune elezioni sorprendentemente vinte in Alabama, Virginia e Wisconsin: se recuperassero la maggioranza alla Camera azzopperebbero Trump. Ma con ciò non avrebbero ancora raddrizzato gli Stati Uniti. E poi Trump è un tipo coriaceo.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 29 gennaio 2018 • N. 05

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 29 gennaio 2018 • N. 05

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Società e Territorio Studenti in movimento L’attività dell’agenzia Movetia voluta da Confederazione e Cantoni

Videogiochi Sembra l’episodio di una serie tv, Hidden Agenda è un thriller poliziesco che si gioca con lo smartphone pagina 5

Il bosco sacro In Ticino il bosco protettivo sopra gli abitati ha storicamente diversi nomi, tra questi faura che proviene da fabula

Favorire la mobilità studentesca

pagina 6

Formazione Il primo anno di attività di Movetia, l’agenzia della Confederazione che promuove gli scambi di studenti

tra le diverse regioni linguistiche svizzere ma anche su scala europea e internazionale Roberto Porta pagina 3

Se crediamo di riuscire a fare attenzione allo smartphone e alla strada, la sicurezza è compromessa. (Marka)

Attenti ai sogni ad occhi aperti

Pubblicazioni Intervista a Steve Casner, ricercatore di psicologia per la NASA, che nel suo ultimo libro,

pubblicato negli Stati Uniti, spiega perché una mente distratta aumenta il rischio di infortuni e incidenti Stefania Prandi Sognare ad occhi aperti può essere pericoloso. La mente vaga, si perde il senso del presente, ed ecco il danno: si inciampa, si cade, ci si scotta, ci si taglia, si rovesciano tazze e bicchieri. Ma può succedere anche di peggio. Uno studio francese pubblicato sul «British Medical Journal», realizzato intervistando circa mille pazienti coinvolti in incidenti stradali, indica che la maggioranza dei guidatori, prima dello schianto, stava sognando ad occhi aperti. Da altre ricerche emerge che la mente tende a fantasticare di più quando ci sentiamo turbati e porta, in genere, a pensare a qualcosa di piacevole. Secondo Steve Casner, pilota di jet e di elicotteri, specializzato in scienze informatiche e sistemi intelligenti, ricercatore di psicologia per la NASA, dove si occupa proprio di questioni legate alla sicurezza, sogniamo ad occhi aperti quasi per metà del tempo in cui siamo svegli. Nel suo libro Careful! A User’s Guide to Our Injury – Prone Mind (Attento! Una guida per le mente a rischio incidente), pubblicato negli Stati Uniti, analizza le cause alla base delle disattenzioni. È vero che viviamo in una società ossessionata dalla

sicurezza, eppure gli infortuni e gli incidenti sono in aumento. Una delle responsabili è la tecnologia – persino con la lavatrice ci si può fare male – inclusi i cellulari che ci distraggono come mai niente prima nella storia dell’umanità. Poi ci sono gli errori di giudizio, come quando, in casa, si usano gli arnesi in modi improvvisati: il manico del coltello per rompere il ghiaccio nel freezer oppure il cacciavite per aprire, facendo leva, un cassetto incastrato. «Il problema è che immaginiamo il risultato se le cose andranno bene, e non se finiranno male», spiega il ricercatore. Spesso si parla di incidenti, ma si dovrebbe invece usare il termine «errore». «Azione» ha raggiunto Steve Casner per fargli qualche domanda su come comportarci meglio.

trollo. Una mente che vaga ci permette di riuscire a fare tutto.

Signor Casner, perché le persone sognano ad occhi aperti quasi la metà del tempo in cui sono sveglie?

Diversi studi indicano che l’idea di riuscire ad essere multitasking è sbagliata. Perché non riusciamo a fare più cose contemporaneamente?

Abbiamo delle vite piene di impegni. Quando ci capita di avere un momento libero, le nostre menti si dirigono in modo naturale verso altre questioni. Pensiamo: che appuntamenti ho oggi? Che cosa staranno facendo i miei figli? Cosa mangeremo per cena? Siamo i manager delle nostre vite e ci sono davvero molte cose da tenere sotto con-

Come si comporta la mente quando si distrae?

Dobbiamo considerare il mondo in cui viviamo. Le invenzioni tecnologiche ostacolano la nostra capacità di stare al sicuro. In passato, i rischi che circondavano gli esseri umani erano evidenti: il cattivo tempo, gli animali selvatici, gli oggetti affilati. Oggi sono più nascosti. Quando siamo davanti a un elettrodomestico, oppure ci troviamo a un incrocio, abbiamo bisogno di focalizzarci soltanto su quello. Se la mente smette di fare attenzione alla situazione in cui si trova, ecco che corriamo un rischio. Il problema è che continueremo a inventare dispositivi sempre più complicati e la situazione peggiorerà.

Anche se abbiamo due occhi e due orecchie, sfortunatamente abbiamo soltanto un certo numero di risorse cerebrali che ci permettono di elaborare quello che vediamo, sentiamo, udiamo, tocchiamo, annusiamo e anche immaginiamo. Chi ha avuto esperienza

di avere due bambini che si lamentano per due cose diverse nello stesso tempo, può capire sulla base dell’esperienza diretta cosa intendo. L’aspetto più inquietante è che la gente crede di riuscire a fare attenzione, nello stesso tempo, al proprio smartphone e alla strada che ha davanti. Gli studi, invece, ci dicono che quando cerchiamo di fare più cose insieme la nostra produttività al lavoro ne risente e la nostra sicurezza mentre camminiamo oppure guidiamo viene compromessa. Lei scrive che negli ultimi anni gli incidenti sono in aumento. A che cosa è dovuta questa tendenza?

Una possibile spiegazione può essere che il mondo sta diventando sempre più complesso e noi fatichiamo a riconoscere i rischi che ci circondano. Pensiamo di essere in grado di gestire tutte le distrazioni. Inghiottiamo pillole senza prestare troppa attenzione al contenitore. Dato che viviamo più a lungo, invece di prendere precauzioni per non inciampare oppure cadere, ci diciamo che avere ottant’anni non è molto diverso da averne sessantacinque. Ogni anno che passa abbiamo di fronte sempre più rischi, ma nessuno sembra farci particolarmente caso. E così aumentano gli infortuni, che in certi casi sono mortali.

Cosa ne pensa delle persone che guardano in continuazione lo smartphone mentre camminano?

Come esseri umani, non siamo bravi a renderci conto né delle nostre potenzialità né dei nostri limiti. Faccio un esempio: quando cento persone vanno a fare un colloquio di lavoro, tutte quante pensano di essere le candidate migliori per quel posto. Per definizione, però, il novantanove per cento sta sbagliando, dato che uno solo verrà assunto. Dispositivi come lo smartphone portano al limite la nostra soglia di attenzione e pochi di noi capiscono cosa siamo davvero capaci di fare e cosa no. In troppi danno per scontato che andrà tutto bene, fino a quando non si fanno male. Che consigli dà alle persone che tendono a sognare spesso ad occhi aperti? Come possono ridurre il rischio di farsi male?

Tutti noi dobbiamo conoscere meglio il modo in cui le nostre menti funzionano. Il mondo spinge la nostra attenzione di direzioni diverse, con conseguenti rischi, e noi pensiamo di essere dei supereroi che possono gestire tutto senza problemi. Quello che dobbiamo fare è riconoscere i limiti delle nostre menti. Mi rendo conto che è qualcosa di nuovo e strano, ma è necessario.

Si chiama Movetia e il suo nome la dice lunga. Questa è infatti la sigla di un’agenzia della Confederazione che mira a promuovere il movimento all’interno della Svizzera, l’Elvezia d’altri tempi. Non si tratta però di un’iniziativa che ha scopi turistici o sportivi. Movetia si prefigge di accrescere gli scambi e la mobilità studentesca all’interno del nostro Paese ma pure in un contesto più ampio, su scala europea e internazionale. Finanziata e sostenuta anche operativamente da diversi uffici dell’Amministrazione federale questa agenzia esiste dall’inizio del 2017 e ha dunque tagliato il nastro del suo primo anno di esistenza. Occasione per stilare un primo provvisorio bilancio, in un ambito, quello degli scambi studenteschi, di cui si parla molto ma in cui rimane ancora parecchio da fare. «Movetia è stata creata dalla Confederazione e dai Cantoni. Il suo scopo principale è quello di permettere ad ogni studente del nostro Paese di partecipare ad almeno un progetto di mobilità nel corso del suo percorso formativo – ci dice Kathrin Müller, portavoce di questa agenzia federale – I nostri servizi sviluppano e adattano i programmi di formazione necessari a raggiungere questo scopo. Tra i nostri obiettivi c’è anche quello legato alla comunicazione, riuscire cioè a far maggiormente conoscere i vantaggi della mobilità studentesca, sia dal punto di vista degli allievi, sia da quello dei docenti». Su impulso del Consiglio federale e del Parlamento, va ricordato, Movetia ha sostituito un’agenzia precedente, il cui operato era stato considerato insufficiente dalle autorità federali, in particolare perché non era riuscita a avere contatti regolari con le scuole e tra gli studenti. In questo primo anno di rodaggio la nuova istituzione ha così dovuto rilanciare l’intero settore, ricomponendo i cocci lasciati da chi l’aveva preceduta per tornare a promuovere in modo efficace la mobilità e gli scambi studenteschi. Obiettivo che, a detta anche delle autorità politiche, non deve limitarsi

Movetia ha lo scopo di permettere a ogni studente del nostro Paese di partecipare almeno a un progetto di mobilità nel corso del suo percorso formativo. (www.movetia.ch)

al solo apprendimento di una lingua, da scoprire ci sono anche altre culture, con la possibilità in futuro di trovare posti di lavoro interessanti. Obiettivi essenziali, in un Paese come il nostro basato sul multilinguismo e sul rispetto delle caratteristiche culturali di ogni comunità. Operando in un contesto prevalentemente giovanile, Movetia vuole dunque essere uno degli ingranaggi che permettono al federalismo svizzero e alla coesione nazionale di funzionare nel miglior modo possibile. «Gli scambi e la mobilità – ci dice ancora Kathrin Müller – permettono di vivere esperienze personali molto significative e di migliorare le proprie competenze linguistiche e interculturali. Aspetti che permettono anche un accesso più facile al mondo del lavoro, accrescendo anche, per quanto riguar-

da gli scambi all’estero, l’internazionalizzazione della nostra economia e del nostro sistema formativo. Per questo motivo Confederazione e Cantoni promuovono con forza e convinzione questo tipo di iniziative». Per la mobilità studentesca all’interno dei confini nazionali Movetia dispone di un budget pari a 400mila franchi all’anno, non molti se paragonati a quelli a disposizione del programma «Erasmus plus», gli scambi studenteschi al di fuori della Svizzera, a cui sono stati accordati 26 milioni di franchi all’anno. Dall’anno scorso anche questo tipo di attività, con soggiorni all’estero, viene organizzata a partire dalla piattaforma messa a disposizione da Movetia. «È importante sottolineare un aspetto – fa notare Kathrin Müller, portavoce dell’agenzia – Noi sostenia-

mo la mobilità anche dal punto di vista finanziario. I progetti di scambi studenteschi devono però essere presentati dalle singole persone o da una delle tante scuole del nostro Paese. Le persone interessate a questo tipo di esperienza devono in primo luogo rivolgersi all’istituto scolastico o universitario a cui sono affiliati». Non si tratta soltanto di scambi tra scolari – di una scuola media, ad esempio – o tra studenti liceali. Coinvolto in questa dinamica c’è anche chi segue una formazione professionale. In questo contesto ad esempio nel corso della prima metà del 2017 sono stati autorizzati più di mille scambi verso istituzioni formative europee, ciò che corrisponde ad un aumento del 18% rispetto agli anni che hanno preceduto la creazione di Movetia. Un risul-

svolge mansioni domestiche nell’appartamento del direttore. Eloda è un personaggio potente e centrale, ma anche altre figure femminili si stagliano con intensità nella storia: la gigantesca esuberante Boo Boo, un’altra detenuta con cui Cammie stringe un rapporto di affetto; o Reggie, la compagna di scuola tutta lustrini e apparenza, ma in fondo capace di comportarsi da amica; o ancora la madre del piccolo Andrew, un ulteriore modello materno da guardare con nostalgia. Il tema della madre assente è caro a Spinelli (che ne ha fatto il motivo centrale di Sonseray, un suo bel racconto ne La tessera della biblioteca), ma qui si incrocia con il tema dell’addio all’infanzia e del percorso di crescita attraverso l’adolescenza: l’estate in cui si svolge la storia è quella che precede la terza media e il compleanno che Cammie celebra è quello dei tredici anni. Diventa una teenager, non è più una bambina, e questa è la seconda battaglia, collegata alla prima, perché due congedi, quello dalla ma-

dre e quello dall’infanzia, si intrecciano e spingono Cammie a liberarsi dalla sua metaforica prigione: la prigione della Rabbia e della Tristezza, che da troppo tempo la tengono ingabbiata, costringendola nel ruolo di ragazzina irascibile e infelice. C’è questo e molto altro nel romanzo: sorprese narrative e profondità riflessive («esistono gli angeli?» aveva chiesto Cammie a suo padre, ottenendone un debole e scettico «certo», ma la notte in cui Cammie compie fino in fondo il riconoscimento della figura assente di sua madre, quel «certo» scettico «non aveva speranze contro la grandiosità delle stelle e della notte (...) Forse una mamma angelo ha bisogno di nascere, ha bisogno del respiro del suo bambino»). Un libro che è un omaggio alla vita e al potere delle storie lette, altro tema caro all’autore, perché «quando sei dentro la tua storia, non vedi le cose come se fossi un lettore. (...) Vedi solo un gran miscuglio – no, nemmeno. Non vedi, e basta.» A volte, leggere sto-

tato che è anche uno dei primi segnali del nuovo impulso dato dalle autorità federali e cantonali. In un contesto che rimane però in buona parte da costruire e da rilanciare perché molti sono gli ostacoli pratici da superare per forgiare un progetto di mobilità, anche solo all’interno dei confini nazionali. Una classe di scuola media, che intende offrire questa possibilità formativa ai propri allievi, deve dapprima riuscire a trovare i contatti giusti con una classe di un’altra scuola, in un’altra regione del Paese. E qui il docente ha un ruolo fondamentale, anche perché deve spesso riuscire a dar prova di perseveranza, visto che non sempre si riesce a trovare una soluzione ideale al primo tentativo. I contatti personali con gli insegnanti di altre regioni del Paese rivestono dunque un ruolo fondamentale. Movetia infatti promuove questi scambi, ha il compito di informare e diffondere nel Paese lo strumento della mobilità studentesca ma nel concreto si limita, si fa per dire, al finanziamento di queste esperienze formative. Scambi a cui partecipano regolarmente anche classi dal canton Ticino. Nel corso del 2017, dicono i dati messi a disposizione da Movetia, sono state 10 le classi – a livello scolastico, fino al liceo – che hanno partecipato ad un progetto di mobilità studentesca, coinvolgendo quasi 200 allievi. Anche USI e SUPSI hanno organizzato oltre 160 soggiorni formativi all’estero, attraverso il programma europeo «Erasmus plus». Programmi a cui partecipa anche, a livello di Amministrazione cantonale, la Divisione della formazione professionale. In altri termini non mancano le possibilità di andare oltre i propri confini regionali e nazionali, nella consapevolezza che esperienze formative in un altro ambito linguistico e culturale possono completare il proprio percorso formativo. E arricchire il proprio bagaglio di esperienze, in un contesto, anche professionale, sempre più aperto sul mondo intero. Informazioni

www.movetia.ch

Viale dei ciliegi di Letizia Bolzani Jerry Spinelli, La figlia del guardiano, Mondadori. Da 13 anni È tornato Jerry Spinelli, grande autore per ragazzi statunitense, già apprezzato dai giovani lettori in italiano soprattutto negli anni Novanta, quando era pubblicato nella storica collana Mondadori Junior (ad esempio Una casa per Jeffrey Magee, Guerre in famiglia, Tiro al piccione, Crash, La tessera della biblioteca), poi noto al grande pubblico dal 2000 per il successo soprattutto di Stargirl (e di altri romanzi come Misha corre o La schiappa). Ma da almeno dieci anni se ne sentiva la mancanza e finalmente l’attesa è stata premiata da un nuovo romanzo che non delude e che ha tutta l’intensità che da lui ci si poteva aspettare, questo The Warden’s Daughter, La figlia del guardiano (nella traduzione di Manuela Salvi): io narrante in un lungo flash-back (dal qui e ora del 2017 ai fatti narrati risalenti al 1959), Cammie, la figlia del direttore della prigione di Two Mills, in Pennsylvania, ci racconta di

quell’estate cruciale in cui sconfisse due mostri e ne uscì vincitrice. La prima battaglia di Cammie è l’elaborazione del lutto per la madre, morta quando lei era neonata, investita da un furgone mentre cercava di salvarle la vita spingendo via il passeggino. «Come si fa a essere figli di una madre che non si è mai conosciuta?»: Cammie ha bisogno di una figura materna da piangere, per elaborarne l’assenza, ma confrontarsi con il passato fa male e genera rabbia. Perciò è più facile trovare una madre sostituta e Cammie la cercherà caparbiamente nella figura di Eloda, una «detenuta di fiducia» che

rie così, anche molto lontane da noi, fa mettere meglio a fuoco la nostra stessa vita. Tutti i colori degli animali, De Agostini. Da 3 anni Un libro di grande formato che presenta non illustrazioni ma fotografie di animali (molto apprezzate di solito dai più piccoli), in ampie pagine divise per colore. Si resta affascinati dal variopinto mondo delle creature che abitano il pianeta. Da quelle più note a quelle più esotiche e lontane. Per imparare i colori, per indicare, nominare, ammirare, non smettere di stupirsi.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 29 gennaio 2018 • N. 05

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Società e Territorio Studenti in movimento L’attività dell’agenzia Movetia voluta da Confederazione e Cantoni

Videogiochi Sembra l’episodio di una serie tv, Hidden Agenda è un thriller poliziesco che si gioca con lo smartphone pagina 5

Il bosco sacro In Ticino il bosco protettivo sopra gli abitati ha storicamente diversi nomi, tra questi faura che proviene da fabula

Favorire la mobilità studentesca

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Formazione Il primo anno di attività di Movetia, l’agenzia della Confederazione che promuove gli scambi di studenti

tra le diverse regioni linguistiche svizzere ma anche su scala europea e internazionale Roberto Porta pagina 3

Se crediamo di riuscire a fare attenzione allo smartphone e alla strada, la sicurezza è compromessa. (Marka)

Attenti ai sogni ad occhi aperti

Pubblicazioni Intervista a Steve Casner, ricercatore di psicologia per la NASA, che nel suo ultimo libro,

pubblicato negli Stati Uniti, spiega perché una mente distratta aumenta il rischio di infortuni e incidenti Stefania Prandi Sognare ad occhi aperti può essere pericoloso. La mente vaga, si perde il senso del presente, ed ecco il danno: si inciampa, si cade, ci si scotta, ci si taglia, si rovesciano tazze e bicchieri. Ma può succedere anche di peggio. Uno studio francese pubblicato sul «British Medical Journal», realizzato intervistando circa mille pazienti coinvolti in incidenti stradali, indica che la maggioranza dei guidatori, prima dello schianto, stava sognando ad occhi aperti. Da altre ricerche emerge che la mente tende a fantasticare di più quando ci sentiamo turbati e porta, in genere, a pensare a qualcosa di piacevole. Secondo Steve Casner, pilota di jet e di elicotteri, specializzato in scienze informatiche e sistemi intelligenti, ricercatore di psicologia per la NASA, dove si occupa proprio di questioni legate alla sicurezza, sogniamo ad occhi aperti quasi per metà del tempo in cui siamo svegli. Nel suo libro Careful! A User’s Guide to Our Injury – Prone Mind (Attento! Una guida per le mente a rischio incidente), pubblicato negli Stati Uniti, analizza le cause alla base delle disattenzioni. È vero che viviamo in una società ossessionata dalla

sicurezza, eppure gli infortuni e gli incidenti sono in aumento. Una delle responsabili è la tecnologia – persino con la lavatrice ci si può fare male – inclusi i cellulari che ci distraggono come mai niente prima nella storia dell’umanità. Poi ci sono gli errori di giudizio, come quando, in casa, si usano gli arnesi in modi improvvisati: il manico del coltello per rompere il ghiaccio nel freezer oppure il cacciavite per aprire, facendo leva, un cassetto incastrato. «Il problema è che immaginiamo il risultato se le cose andranno bene, e non se finiranno male», spiega il ricercatore. Spesso si parla di incidenti, ma si dovrebbe invece usare il termine «errore». «Azione» ha raggiunto Steve Casner per fargli qualche domanda su come comportarci meglio.

trollo. Una mente che vaga ci permette di riuscire a fare tutto.

Signor Casner, perché le persone sognano ad occhi aperti quasi la metà del tempo in cui sono sveglie?

Diversi studi indicano che l’idea di riuscire ad essere multitasking è sbagliata. Perché non riusciamo a fare più cose contemporaneamente?

Abbiamo delle vite piene di impegni. Quando ci capita di avere un momento libero, le nostre menti si dirigono in modo naturale verso altre questioni. Pensiamo: che appuntamenti ho oggi? Che cosa staranno facendo i miei figli? Cosa mangeremo per cena? Siamo i manager delle nostre vite e ci sono davvero molte cose da tenere sotto con-

Come si comporta la mente quando si distrae?

Dobbiamo considerare il mondo in cui viviamo. Le invenzioni tecnologiche ostacolano la nostra capacità di stare al sicuro. In passato, i rischi che circondavano gli esseri umani erano evidenti: il cattivo tempo, gli animali selvatici, gli oggetti affilati. Oggi sono più nascosti. Quando siamo davanti a un elettrodomestico, oppure ci troviamo a un incrocio, abbiamo bisogno di focalizzarci soltanto su quello. Se la mente smette di fare attenzione alla situazione in cui si trova, ecco che corriamo un rischio. Il problema è che continueremo a inventare dispositivi sempre più complicati e la situazione peggiorerà.

Anche se abbiamo due occhi e due orecchie, sfortunatamente abbiamo soltanto un certo numero di risorse cerebrali che ci permettono di elaborare quello che vediamo, sentiamo, udiamo, tocchiamo, annusiamo e anche immaginiamo. Chi ha avuto esperienza

di avere due bambini che si lamentano per due cose diverse nello stesso tempo, può capire sulla base dell’esperienza diretta cosa intendo. L’aspetto più inquietante è che la gente crede di riuscire a fare attenzione, nello stesso tempo, al proprio smartphone e alla strada che ha davanti. Gli studi, invece, ci dicono che quando cerchiamo di fare più cose insieme la nostra produttività al lavoro ne risente e la nostra sicurezza mentre camminiamo oppure guidiamo viene compromessa. Lei scrive che negli ultimi anni gli incidenti sono in aumento. A che cosa è dovuta questa tendenza?

Una possibile spiegazione può essere che il mondo sta diventando sempre più complesso e noi fatichiamo a riconoscere i rischi che ci circondano. Pensiamo di essere in grado di gestire tutte le distrazioni. Inghiottiamo pillole senza prestare troppa attenzione al contenitore. Dato che viviamo più a lungo, invece di prendere precauzioni per non inciampare oppure cadere, ci diciamo che avere ottant’anni non è molto diverso da averne sessantacinque. Ogni anno che passa abbiamo di fronte sempre più rischi, ma nessuno sembra farci particolarmente caso. E così aumentano gli infortuni, che in certi casi sono mortali.

Cosa ne pensa delle persone che guardano in continuazione lo smartphone mentre camminano?

Come esseri umani, non siamo bravi a renderci conto né delle nostre potenzialità né dei nostri limiti. Faccio un esempio: quando cento persone vanno a fare un colloquio di lavoro, tutte quante pensano di essere le candidate migliori per quel posto. Per definizione, però, il novantanove per cento sta sbagliando, dato che uno solo verrà assunto. Dispositivi come lo smartphone portano al limite la nostra soglia di attenzione e pochi di noi capiscono cosa siamo davvero capaci di fare e cosa no. In troppi danno per scontato che andrà tutto bene, fino a quando non si fanno male. Che consigli dà alle persone che tendono a sognare spesso ad occhi aperti? Come possono ridurre il rischio di farsi male?

Tutti noi dobbiamo conoscere meglio il modo in cui le nostre menti funzionano. Il mondo spinge la nostra attenzione di direzioni diverse, con conseguenti rischi, e noi pensiamo di essere dei supereroi che possono gestire tutto senza problemi. Quello che dobbiamo fare è riconoscere i limiti delle nostre menti. Mi rendo conto che è qualcosa di nuovo e strano, ma è necessario.

Si chiama Movetia e il suo nome la dice lunga. Questa è infatti la sigla di un’agenzia della Confederazione che mira a promuovere il movimento all’interno della Svizzera, l’Elvezia d’altri tempi. Non si tratta però di un’iniziativa che ha scopi turistici o sportivi. Movetia si prefigge di accrescere gli scambi e la mobilità studentesca all’interno del nostro Paese ma pure in un contesto più ampio, su scala europea e internazionale. Finanziata e sostenuta anche operativamente da diversi uffici dell’Amministrazione federale questa agenzia esiste dall’inizio del 2017 e ha dunque tagliato il nastro del suo primo anno di esistenza. Occasione per stilare un primo provvisorio bilancio, in un ambito, quello degli scambi studenteschi, di cui si parla molto ma in cui rimane ancora parecchio da fare. «Movetia è stata creata dalla Confederazione e dai Cantoni. Il suo scopo principale è quello di permettere ad ogni studente del nostro Paese di partecipare ad almeno un progetto di mobilità nel corso del suo percorso formativo – ci dice Kathrin Müller, portavoce di questa agenzia federale – I nostri servizi sviluppano e adattano i programmi di formazione necessari a raggiungere questo scopo. Tra i nostri obiettivi c’è anche quello legato alla comunicazione, riuscire cioè a far maggiormente conoscere i vantaggi della mobilità studentesca, sia dal punto di vista degli allievi, sia da quello dei docenti». Su impulso del Consiglio federale e del Parlamento, va ricordato, Movetia ha sostituito un’agenzia precedente, il cui operato era stato considerato insufficiente dalle autorità federali, in particolare perché non era riuscita a avere contatti regolari con le scuole e tra gli studenti. In questo primo anno di rodaggio la nuova istituzione ha così dovuto rilanciare l’intero settore, ricomponendo i cocci lasciati da chi l’aveva preceduta per tornare a promuovere in modo efficace la mobilità e gli scambi studenteschi. Obiettivo che, a detta anche delle autorità politiche, non deve limitarsi

Movetia ha lo scopo di permettere a ogni studente del nostro Paese di partecipare almeno a un progetto di mobilità nel corso del suo percorso formativo. (www.movetia.ch)

al solo apprendimento di una lingua, da scoprire ci sono anche altre culture, con la possibilità in futuro di trovare posti di lavoro interessanti. Obiettivi essenziali, in un Paese come il nostro basato sul multilinguismo e sul rispetto delle caratteristiche culturali di ogni comunità. Operando in un contesto prevalentemente giovanile, Movetia vuole dunque essere uno degli ingranaggi che permettono al federalismo svizzero e alla coesione nazionale di funzionare nel miglior modo possibile. «Gli scambi e la mobilità – ci dice ancora Kathrin Müller – permettono di vivere esperienze personali molto significative e di migliorare le proprie competenze linguistiche e interculturali. Aspetti che permettono anche un accesso più facile al mondo del lavoro, accrescendo anche, per quanto riguar-

da gli scambi all’estero, l’internazionalizzazione della nostra economia e del nostro sistema formativo. Per questo motivo Confederazione e Cantoni promuovono con forza e convinzione questo tipo di iniziative». Per la mobilità studentesca all’interno dei confini nazionali Movetia dispone di un budget pari a 400mila franchi all’anno, non molti se paragonati a quelli a disposizione del programma «Erasmus plus», gli scambi studenteschi al di fuori della Svizzera, a cui sono stati accordati 26 milioni di franchi all’anno. Dall’anno scorso anche questo tipo di attività, con soggiorni all’estero, viene organizzata a partire dalla piattaforma messa a disposizione da Movetia. «È importante sottolineare un aspetto – fa notare Kathrin Müller, portavoce dell’agenzia – Noi sostenia-

mo la mobilità anche dal punto di vista finanziario. I progetti di scambi studenteschi devono però essere presentati dalle singole persone o da una delle tante scuole del nostro Paese. Le persone interessate a questo tipo di esperienza devono in primo luogo rivolgersi all’istituto scolastico o universitario a cui sono affiliati». Non si tratta soltanto di scambi tra scolari – di una scuola media, ad esempio – o tra studenti liceali. Coinvolto in questa dinamica c’è anche chi segue una formazione professionale. In questo contesto ad esempio nel corso della prima metà del 2017 sono stati autorizzati più di mille scambi verso istituzioni formative europee, ciò che corrisponde ad un aumento del 18% rispetto agli anni che hanno preceduto la creazione di Movetia. Un risul-

svolge mansioni domestiche nell’appartamento del direttore. Eloda è un personaggio potente e centrale, ma anche altre figure femminili si stagliano con intensità nella storia: la gigantesca esuberante Boo Boo, un’altra detenuta con cui Cammie stringe un rapporto di affetto; o Reggie, la compagna di scuola tutta lustrini e apparenza, ma in fondo capace di comportarsi da amica; o ancora la madre del piccolo Andrew, un ulteriore modello materno da guardare con nostalgia. Il tema della madre assente è caro a Spinelli (che ne ha fatto il motivo centrale di Sonseray, un suo bel racconto ne La tessera della biblioteca), ma qui si incrocia con il tema dell’addio all’infanzia e del percorso di crescita attraverso l’adolescenza: l’estate in cui si svolge la storia è quella che precede la terza media e il compleanno che Cammie celebra è quello dei tredici anni. Diventa una teenager, non è più una bambina, e questa è la seconda battaglia, collegata alla prima, perché due congedi, quello dalla ma-

dre e quello dall’infanzia, si intrecciano e spingono Cammie a liberarsi dalla sua metaforica prigione: la prigione della Rabbia e della Tristezza, che da troppo tempo la tengono ingabbiata, costringendola nel ruolo di ragazzina irascibile e infelice. C’è questo e molto altro nel romanzo: sorprese narrative e profondità riflessive («esistono gli angeli?» aveva chiesto Cammie a suo padre, ottenendone un debole e scettico «certo», ma la notte in cui Cammie compie fino in fondo il riconoscimento della figura assente di sua madre, quel «certo» scettico «non aveva speranze contro la grandiosità delle stelle e della notte (...) Forse una mamma angelo ha bisogno di nascere, ha bisogno del respiro del suo bambino»). Un libro che è un omaggio alla vita e al potere delle storie lette, altro tema caro all’autore, perché «quando sei dentro la tua storia, non vedi le cose come se fossi un lettore. (...) Vedi solo un gran miscuglio – no, nemmeno. Non vedi, e basta.» A volte, leggere sto-

tato che è anche uno dei primi segnali del nuovo impulso dato dalle autorità federali e cantonali. In un contesto che rimane però in buona parte da costruire e da rilanciare perché molti sono gli ostacoli pratici da superare per forgiare un progetto di mobilità, anche solo all’interno dei confini nazionali. Una classe di scuola media, che intende offrire questa possibilità formativa ai propri allievi, deve dapprima riuscire a trovare i contatti giusti con una classe di un’altra scuola, in un’altra regione del Paese. E qui il docente ha un ruolo fondamentale, anche perché deve spesso riuscire a dar prova di perseveranza, visto che non sempre si riesce a trovare una soluzione ideale al primo tentativo. I contatti personali con gli insegnanti di altre regioni del Paese rivestono dunque un ruolo fondamentale. Movetia infatti promuove questi scambi, ha il compito di informare e diffondere nel Paese lo strumento della mobilità studentesca ma nel concreto si limita, si fa per dire, al finanziamento di queste esperienze formative. Scambi a cui partecipano regolarmente anche classi dal canton Ticino. Nel corso del 2017, dicono i dati messi a disposizione da Movetia, sono state 10 le classi – a livello scolastico, fino al liceo – che hanno partecipato ad un progetto di mobilità studentesca, coinvolgendo quasi 200 allievi. Anche USI e SUPSI hanno organizzato oltre 160 soggiorni formativi all’estero, attraverso il programma europeo «Erasmus plus». Programmi a cui partecipa anche, a livello di Amministrazione cantonale, la Divisione della formazione professionale. In altri termini non mancano le possibilità di andare oltre i propri confini regionali e nazionali, nella consapevolezza che esperienze formative in un altro ambito linguistico e culturale possono completare il proprio percorso formativo. E arricchire il proprio bagaglio di esperienze, in un contesto, anche professionale, sempre più aperto sul mondo intero. Informazioni

www.movetia.ch

Viale dei ciliegi di Letizia Bolzani Jerry Spinelli, La figlia del guardiano, Mondadori. Da 13 anni È tornato Jerry Spinelli, grande autore per ragazzi statunitense, già apprezzato dai giovani lettori in italiano soprattutto negli anni Novanta, quando era pubblicato nella storica collana Mondadori Junior (ad esempio Una casa per Jeffrey Magee, Guerre in famiglia, Tiro al piccione, Crash, La tessera della biblioteca), poi noto al grande pubblico dal 2000 per il successo soprattutto di Stargirl (e di altri romanzi come Misha corre o La schiappa). Ma da almeno dieci anni se ne sentiva la mancanza e finalmente l’attesa è stata premiata da un nuovo romanzo che non delude e che ha tutta l’intensità che da lui ci si poteva aspettare, questo The Warden’s Daughter, La figlia del guardiano (nella traduzione di Manuela Salvi): io narrante in un lungo flash-back (dal qui e ora del 2017 ai fatti narrati risalenti al 1959), Cammie, la figlia del direttore della prigione di Two Mills, in Pennsylvania, ci racconta di

quell’estate cruciale in cui sconfisse due mostri e ne uscì vincitrice. La prima battaglia di Cammie è l’elaborazione del lutto per la madre, morta quando lei era neonata, investita da un furgone mentre cercava di salvarle la vita spingendo via il passeggino. «Come si fa a essere figli di una madre che non si è mai conosciuta?»: Cammie ha bisogno di una figura materna da piangere, per elaborarne l’assenza, ma confrontarsi con il passato fa male e genera rabbia. Perciò è più facile trovare una madre sostituta e Cammie la cercherà caparbiamente nella figura di Eloda, una «detenuta di fiducia» che

rie così, anche molto lontane da noi, fa mettere meglio a fuoco la nostra stessa vita. Tutti i colori degli animali, De Agostini. Da 3 anni Un libro di grande formato che presenta non illustrazioni ma fotografie di animali (molto apprezzate di solito dai più piccoli), in ampie pagine divise per colore. Si resta affascinati dal variopinto mondo delle creature che abitano il pianeta. Da quelle più note a quelle più esotiche e lontane. Per imparare i colori, per indicare, nominare, ammirare, non smettere di stupirsi.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 29 gennaio 2018 • N. 05

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Società e Territorio

Un gioco che si ispira alle serie tv

Videogiochi H idden Agenda è un thriller poliziesco in cui un’agente e una procuratrice indagano su un serial killer,

ma la grande novità è che si gioca con lo smartphone Davide Canavesi Uno dei generi televisivi più in voga negli ultimi anni è il thriller poliziesco. Non si contano nemmeno più i vari CSI, Cold Case, Dexter, True Detective; la lista continua all’infinito. Un genere molto apprezzato da un pubblico variegato e di tutte le età. Hidden Agenda è un videogioco che propone questo genere sotto una luce del tutto nuova, almeno per quanto riguarda il modo in cui assistiamo agli eventi. L’intuizione geniale di Supermassive Games, uno studio con un talento per creare avventure con una forte componente narrativa, è stata quella di eliminare una delle più grandi barriere per l’accesso ai videogiochi. Hidden Agenda, uscito in esclusiva su PlayStation 4 Play Link, si gioca, infatti, con lo smartphone. Un device che tutti al giorno d’oggi sanno usare senza particolari problemi. Togliendo dall’equazione il gamepad in favore dello schermo di un iPhone o simili, non c’è più nessun ostacolo tra l’avventura e un giocatore principiante. Basta semplicemente installare il gioco sulla propria PlayStation 4 e scaricare l’app sul telefono per iniziare a giocare da soli o in compagnia. Ogni giocatore avrà un suo colore e un suo cursore sullo schermo della tv per interagire con la storia, collaborando nell’esplorare scene del crimine e nel decidere le risposte delle protagoniste del gioco, Becky Marnie e Felicity Grames. Becky è un’agente investigativo di

polizia di una grande città americana, Felicity invece è una procuratrice distrettuale. Entrambe sono alle prese con il caso di un brutale serial killer chiamato Il Manipolatore. Un caso apparentemente chiuso, dal momento che l’uomo è stato catturato in flagrante. Tuttavia, cinque anni dopo i fatti ed a poche ore dalla condanna a morte dell’uomo, qualcosa cambia. Il condannato inizia a professarsi innocente e una nuova serie di omicidi, contraddistinti dallo stesso modus operandi del Manipolatore, scuote la tranquillità della città. Alcuni agenti di polizia vengono uccisi da una bomba inserita all’interno di un cadavere abbandonato in una baita solitaria. Un delitto raccapricciante che fa sprofondare il distretto di polizia nel caos e che desta enormi preoccupazioni nella popolazione. Becky si ritroverà al centro della vicenda, costretta a collaborare con un collega ostile e a districarsi tra decisioni difficili. Allo stesso tempo, Felicity tenterà disperatamente di capire quanto verità ci sia dietro le parole del presunto Manipolatore e se dietro la sua condanna non si celi davvero un grave errore giudiziario. Quali terribili eventi si nascondono dietro la raccapricciante storia di abusi subiti all’orfanotrofio nel quale il Manipolatore ha passato lunghi anni della sua infanzia? Chi è davvero responsabile degli omicidi? Hidden Agenda è molto più simile ad una puntata di un serie televisiva che un vero e proprio videogame. Al

Il caso del serial killer chiamato Il Manipolatore sembrava chiuso... (Sony Interactive Entertainment)

contempo si tratta del suo più grande vantaggio e del suo maggiore difetto. I giocatori collaboreranno nel prendere decisioni che cambieranno in modo piuttosto radicale lo svolgersi degli eventi, determinando il destino dei protagonisti e influenzando il finale. Nelle circa due ore di gioco previste dovranno discutere degli elementi del caso, analizzare le prove, controllare i fatti e agire in modo fulmineo. Le scelte narrative si fanno sempre scegliendo tra delle risposte calme o aggressive, optando per un comportamento più prudente o spavaldo. La risposta col maggior numero di voti dei giocatori, sarà la vincitrice. Durante le sezioni di investigazione invece bisognerà scovare un determinato numero di indizi muovendo il cursore sullo smartphone per analizzare la scena del crimine. Hidden Agenda dalla sua ha una

realizzazione tecnica di prim’ordine e una recitazione davvero degna delle migliori serie televisive. Al netto di un doppiaggio italiano buono ma non ottimo, è in grado di coinvolgerci in modo efficace. Il problema è che la trama non è molto lunga e, a dipendenza delle nostre scelte, a volte è semplicemente troppo confusionaria. Non che questo fatto rovini in modo particolare l’esperienza ma lascia i giocatori un po’ confusi su cosa sia effettivamente successo. La scelta dello smartphone come sistema di controllo è efficace nell’avvicinare potenziali non giocatori a questa esperienza interattiva ma al contempo non è ottimale. Le fasi di analisi delle scene del crimine richiedono di agire molto in fretta e il sistema di gioco reagisce in modo troppo lento rispetto ad altri sistemi di controllo più tradizionali. Hidden Agenda non è un capola-

voro ma ha sicuramente i suoi pregi. In primis offre la possibilità ai possessori di PlayStation 4 di passare una serata in compagnia con un’attività diversa dal solito e, potenzialmente, in grado di coinvolgere l’intero nucleo famigliare. Volendo è anche possibile giocare con una modalità competitiva che assegna ai vari giocatori (per un massimo di quattro) degli obiettivi segreti da portare a termine durante la partita. Ma come ogni buon telefilm, anche la trama di Hidden Agenda ci sorprenderà solo la prima volta. Volendo rigiocare potremo arrivare a finali diversi ma il succo della trama resterà sempre il medesimo. Insomma, si tratta di un esperimento interessante che consigliamo agli amanti del genere thriller poliziesco in cerca di qualcosa di nuovo. Solo, non aspettatevi un assoluto capolavoro. Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 29 gennaio 2018 • N. 05

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Società e Territorio

La faura e gli alberi preziosi Ticino Il bosco sacro che protegge i villaggi, fra tradizione, decreti e poesia

Sara Rossi Guidicelli È successo in Val Chiavenna l’anno scorso: un incendio ha distrutto un bosco e meno di tre mesi dopo, durante le piogge primaverili, una frana ha devastato la montagna creando una valle che prima non c’era. I boschi sono importanti, e costituiscono il primo riparo valangario, quello più antico ma sempre attuale, soprattutto in queste settimane di forti nevicate. Ecco perché alcuni boschi sono sacri. Lo sanno tutte le regioni alpine, da sempre. Si liberano le aree destinate al pascolo e poi si lascia il bosco, cercando di conciliare le sue molteplici funzioni. In epoca pagana c’era un vero e proprio culto degli alberi, con zone boschive in cui non si poteva nemmeno raccogliere un rametto e, racconta l’antropologo James G. Frazer nel Ramo d’oro, in alcune parti del mondo c’erano boschi trattati come se fossero donne incinte. Come spesso accade, queste pratiche dall’apparenza «magica» avevano un fondamento ben radicato nella realtà: i boschi sopra i villaggi andavano custoditi con cura se si voleva sopravvivere. Il bosco protegge dalle frane, dalle valanghe, e se è ben conservato può servire in caso di catastrofe, perché costituisce una riserva di legname, mangime per gli animali e cibo per gli uomini; nel bosco possono anche esserci fiumi e sorgenti da preservare; ci sono i funghi, il fieno selvatico e l’erba; le conifere protette spesso fanno anche da barriera per salvare altri alberi utili come il castagno. Le prime testimonianze scritte di boschi protetti nel Cantone Ticino risalgono al tredicesimo secolo, negli statuti di Brissago con il termine di fabula iurata e negli stessi anni iniziano i decreti anche in tutti gli altri cantoni alpini della Svizzera.

Nell’arco alpino i villaggi hanno alle spalle una bella faura, cioè un bosco protettivo: l’esempio di Deggio. (Stefano Spinelli)

In Ticino si sono dati vari nomi, soprattutto dopo che le regolamentazioni sono diventate scritte e precise. faura è il nome più bello: viene da fabula, che in latino significa parola, e per estensione patto, norma, divieto. Uno dei decreti ufficiali più severi e articolati che ci sono stati tramandati è quello della faura sopra Airolo, risalente al Settecento. Visto che il bosco era ciò che di più prezioso le popolazioni dei villaggi avevano in quei tempi, la legge per antonomasia era quella che regolava il rapporto tra uomo e bosco. Ci sono altri nomi, per esempio faula in Valle Maggia, fabra in Valle di Blenio, mentre nel Sottoceneri si trovano maggiormente i termini gaggio o tensa. «Bosco sacro» è invece una definizione che spunta nei documenti comunali ottocenteschi, quando il bosco protetto diventa, con un cambio di prospettiva, il bosco che protegge; in quegli anni se ne parlò moltissimo a causa di un eccessivo disboscamento che si

andava verificando nelle valli. «Anche ai nostri giorni diamo lo stesso valore al bosco sacro, come un tempo», assicura Roland David, capo della Sezione Forestale del Canton Ticino. «Si considera che l’80% delle nostre foreste abbia una funzione di protezione e il 40-45% in modo diretto, perché si trova proprio sopra ai villaggi. Di diverso rispetto al passato c’è però che le regolamentazioni non sono più a livello comunitario bensì cantonale e federale». C’è un’altra parola bellissima legata al bosco: la manna. La manna, sostanza piena di proprietà curative e nutritive, si estrae in Sicilia dal frassino; da noi, dentro ai boschi sacri si prendeva invece la resina dai larici, dagli abeti rossi e da quelli bianchi e poi la si trasformava in trementina e pece. Il lavoro iniziava nei mesi primaverili al momento della ripresa del ciclo vegetativo: con un’accetta si intagliava il tronco e la linfa colava per mesi in recipienti di corteccia o di vimini legati all’albero.

A contatto con l’aria la linfa si solidificava. Il rasatore (questo il nome del mestiere, in siciliano il mannaruolo) la faceva seccare ulteriormente nel bosco, facendola cuocere in recipienti d’argilla. Il prodotto veniva poi venduto a fabbricanti di sapone, osti, birrai, cordai, calzolai, carrettieri, droghieri, o nei cantieri navali per calafatare le navi. Il bosco dà funghi, mirtilli, fieno selvatico, linfa, legna e protezione invernale: deve avere il suo equilibrio per crescere forte in certi punti e può servire d’inverno per far pascolare le capre. Ancora oggi si distingue tra bosco protettivo e altre aree boschive e una delle sfide più importanti delle politiche forestali è come conciliare tutte le funzioni del bosco; figuriamoci quando le sue risorse erano essenziali per la vita quotidiana. Di libri sui boschi nella Svizzera italiana ce ne sono alcuni molto belli, come quello di Giorgio Tognola Rossa, Augio e Santa Domenica, il saggio di Mark Bertogliati Dai boschi protetti alle foreste di protezione e quello di Ivo Ceschi: Il bosco del Cantone Ticino. E poi c’è Alina Borioli, poetessa di Ambrì, che ha intitolato Vos det la Faura una raccolta di sue poesie in dialetto; riguardo a questo termine scrive che in Leventina c’era un detto: Ves sü par la faura, per indicare una donna incinta, come a dire che anche lei in quel momento costituiva un luogo protetto. Vanni Bianconi, poeta di Locarno ma anche lui leventinese di Ambrì per parte materna, ha scelto la foresta per parlare del suo percorso di scrittura, nella sua prima silloge di poesie: La Faura dei morti, luogo tra qui e là, confine misterioso dove non ci si addentra, pena la morte. Ma la morte del poeta, così come la morte dell’uomo pagano, è solo un viaggio, un cambio di pelle, un andare di là per sapere qualcosa in più.

E non riveder le stelle

Libri Il giornalista Erminio Ferrari ricostruisce la tragedia di Robiei

in cui persero la vita 17 uomini Orazio Martinetti Libro di memorie, di testimonianze, di meditazioni personali, Cielo di stelle riapre una finestra listata a lutto dell’economia ticinese degli anni 60: la tragedia di Robiei, in cui persero la vita diciassette uomini, quindici operai e due pompieri. L’autore, Erminio Ferrari, all’epoca della disgrazia (1966) era un fanciullo settenne; non poteva dunque ricordare. Ma essendo un provetto alpinista, cresciuto ai piedi della Val Grande, era fatale che prima o poi finisse per imbattersi in quelle caverne impestate di gas mefitici. Accadde venticinque anni dopo, in occasione delle commemorazioni del 1991. Fu allora che prese ad inseguire le tracce, a cercare superstiti e discendenti (le vedove, gli orfani), a percorrere i sentieri della Valmaggia e della val Bedretto, ad esplorare i luoghi oggi invasi dalla boscaglia e dai rovi. Insomma, una paziente archeologia della tragedia, non per riesaminare gli atti del processo che ne seguì, ma per ridare un nome e una croce alle vittime. Il volume, insomma, è da leggere come un com-

Azione

Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni

mosso omaggio a quelle maestranze che negli anni dell’euforia economica scavarono nel bacino imbrifero della Maggia una ragnatela di cunicoli di captazione: l’oro blu da convogliare nelle centrali elettriche di un cantone affamato di energia. Era, e continua ed essere, un mestiere pericoloso quello del minatore, svolto prevalentemente da italiani. Fin dall’Ottocento, il secolo delle grandi costruzioni ferroviarie, il piemontese, il lombardo, il veneto erano sinonimo di tenacia, perizia, resistenza fisica. Tradizioni che si tramandavano nei paesi da una generazione all’altra, comunità di padri, figli, parenti che poi prendevano la via dell’emigrazione. Non tutti fecero ritorno; molti, moltissimi morirono sotto le volte delle gallerie, per crolli, infiltrazioni d’acqua, epidemie, esplosioni improvvise. Forse non sarà mai possibile stabilire con esattezza quanti morti e feriti richiese quell’accelerazione delle infrastrutture, dalle dighe alle strade. Valga, come «memento», Robiei, e l’anno prima (1965) la catastrofe di Mattmark. Ma Ferrari riporta il lettore anche

al clima dell’epoca, alla nascita dei movimenti xenofobi, alle prime iniziative anti-stranieri: escrescenze politiche di un’ansia reale, spia di uno smarrimento delle coscienze poste di fronte ad una crescita tanto rapida quanto impetuosa: città che diventavano agglomerati informi, campagne aggredite da elettrodotti e autostrade. Improvvisamente il paesaggio mutava sotto gli occhi, trascinando con sé il retaggio arcaico, lo scenario in cui ogni gesto aveva un suo significato e una sua precisa collocazione nell’agenda quotidiana. Sul piano locale, la decisione di catturare le acque dell’alta Valmaggia per trasformarle in energia elettrica diede luogo ad un dibattito che purtroppo non si tradusse in mobilitazione popolare. Le inquietudini serpeggiavano, eccome. Ferrari ricorda le accorate pagine di Plinio Martini, il timore che la valle morisse di sete, i fiumi prosciugati dai canali sotterranei; una sorta di furto legalizzato e benedetto dal grande capitale. Da una parte c’era un’economia povera, le capre, il latte; dall’altra, un gruppo di imprese lanciate alla conquista del petrolio alpino. Un passaggio di civiltà, dai

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latticini all’acqua domata, dal caseificio alle condotte forzate, dalla superficie (i pascoli, spesso impervi) al sottosuolo (i cunicoli). Forse non c’era alternativa a quel modello di sviluppo. Ma Erminio Ferrari ha fatto bene a ricordarne il dolente cammino, ripercorso con il passo svelto del giornalista-rocciatore. Bibliografia

Erminio Ferrari, Cielo di stelle. Robiei, 15 febbraio 1966, Casagrande editore, Bellinzona, 2017. Tiratura 101’766 copie Inserzioni: Migros Ticino Reparto pubblicità CH-6592 S. Antonino Tel 091 850 82 91 fax 091 850 84 00 pubblicita@migrosticino.ch

Notizie in breve I giovani e la formazione Nel 2015 il 90,9% dei giovani ha conseguito un titolo di studio del grado secondario II entro i 25 anni. Per i cittadini svizzeri nati in Svizzera questa quota ammonta al 94,0%. È quanto emerge dai risultati ottenuti dall’Ufficio federale di statistica (UST) che mettono in luce differenze importanti per quanto riguarda il genere, lo statuto migratorio, il tipo di Comune, la regione linguistica e il Cantone. La quota di prima certificazione del grado secondario II determina la proporzione di giovani che, dopo la scuola dell’obbligo, ottiene in Svizzera un primo titolo del grado secondario II entro i 25 anni. Si tratta di un indicatore centrale del sistema di formazione che funge da riferimento per valutare in che misura è realizzato uno degli obiettivi politici comuni definiti dalla Confederazione, dai Cantoni e dalle organizzazioni del mondo del lavoro, ovvero agire affinché il 95% dei giovani consegua un titolo del grado secondario II entro i 25 anni. Un titolo di questo tipo rappresenta, infatti, un fattore fondamentale per un inserimento positivo e duraturo nella vita sociale ed economica del Paese, poiché consente di accedere alle formazioni del grado terziario e al mercato del lavoro. I dati rivelano che il 65,2% corrisponde a titoli relativi alla formazione professionale di base (attestati federali di capacità AFC e certificati federali di formazione pratica CFP), mentre il 25,7% rappresenta quelli inerenti alla formazione generale (maturità liceale, ecc.). Nel complesso, la quota di donne (92,9%) supera di quattro punti percentuali quella di uomini (88,9%). Sono state, inoltre, rilevate divergenze importanti secondo lo statuto migratorio: per gli svizzeri nati in Svizzera, la quota è del 94,0%, mentre per gli stranieri nati in Svizzera è inferiore (86,2%) e per gli stranieri nati all’estero ammonta al 72,5%. Si registrano anche forti variazioni tra i distretti: nelle città nucleo questa quota ammonta all’86,7%, negli altri Comuni che fanno parte di un’agglomerazione al 90,8% e nei Comuni rurali e nelle città isolate al 94,1%. Nella Svizzera tedesca e romancia la quota di prima certificazione del grado secondario II è del 92,7%, nella Svizzera italiana dell’87,9% e nella Svizzera romanda dell’86,4%. Dal 5 al 10 marzo torna Espoprofessioni La tredicesima edizione di Espoprofessioni si terrà al Centro esposizioni di Lugano all’insegna dello slogan «da protagonista!». L’evento promosso dalla Divisione della formazione professionale del DECS ha lo scopo di orientare gli allievi delle scuole medie nella scelta della formazione postobbligatoria, ma non solo. L’edizione 2018 si rivolgerà, infatti, anche a un pubblico più vasto con il salone della formazione superiore, che mostrerà le possibilità che si presentano alla fine di un apprendistato o di una scuola professionale. Confermata, infine, l’iniziativa «A Tu per Tu», un pomeriggio di colloqui di lavoro durante il quale in 15 minuti i candidati apprendisti si presenteranno con tanto di CV alle aziende che offrono un posto di tirocinio. Abbonamenti e cambio indirizzi Telefono 091 850 82 31 dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@migrosticino.ch Costi di abbonamento annuo Svizzera: Fr. 48.– Estero: a partire da Fr. 70.–


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 29 gennaio 2018 • N. 05

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Società e Territorio Rubriche

L’altropologo di Cesare Poppi Altre storie, altri olocausti Il primo giorno di novembre 1995, nel corso della 42esima seduta plenaria delle Nazioni Unite, veniva votata la mozione 60/7 che dichiarava il 27 gennaio International Holocaust Memorial Day. Alla commemorazione delle persecuzioni nazifasciste contro gli ebrei, gli zingari, gli omosessuali e quant’altri vanno oggi ad aggiungersi altre commemorazioni di analoghe operazioni di quella che è entrata nella storia politica della modernità tarda come «pulizia etnica». Il britannico Holocaust Memorial Day Trust sottolinea i casi della Cambogia, del Ruanda, della Bosnia e del Darfur fra quelli che accompagnano la memoria recente. Altri casi – troppi per una storia del nostro divenire «moderni» che ancora si vorrebbe marcata dalla marcia trionfale del progresso – sono ormai (quasi?) solo testimoniati dai libri di storia, e fra questi forse dai meno letti. Era il pomeriggio del 29 gennaio 1863. Nella città di Franklin, nell’attuale Idaho, alcuni giovani della tribù degli Shoshoni stavano caricando sacchi

di grano acquistati dai coloni bianchi sui loro cavalli. Erano tempi critici per gli indiani: l’inverno era particolarmente rigido, la selvaggina scarsa per la presenza sempre più massiccia di agricoltori immigrati affamati di terre da arare a discapito di boschi e foreste. Nei villaggi Shoshoni si moriva di malattie polmonari e di stenti dovuti alla fame. Secondo la testimonianza di William Hull, che stava aiutando a caricare il grano, ad un certo punto venne avvistata una colonna di soldati di fanteria in marcia verso la città. Si trattava dei 40 uomini della Compagnia K del Terzo Reggimento dei Volontari della California al comando del Capitano Samuel Hoyt. Al seguito 15 carri di vettovaglie e munizioni e due cannoni da campagna – i famigerati Howitzer, per un totale di 80 uomini. «Hey, guardate! Arrivano i toquashes (nome che i Shoshoni davano ai soldati bianchi). Può essere che vengano ad ammazzarvi tutti!». Alle parole di Hull ribattè uno dei Shoshoni: «Può essere che anche i

toquashes vengano ammazzati!». Poi saltò sul suo cavallo senza aspettare di completare il carico e, seguito dai suoi compagni, sparì al galoppo all’orizzonte. I fanti erano solo l’avanguardia della spedizione punitiva contro gli Shoshoni guidata dal Colonnello Patrick Connor che seguiva a distanza la fanteria con 220 soldati a cavallo armati fino ai denti. Quando la notizia dei preparativi della spedizione era diventata pubblica, un editoriale del «Deseret News» aveva scritto: «Con un pizzico di fortuna i Volontari della California spazzeranno via gli Shoshoni. Noi vogliamo che la nostra comunità sia liberata da questa gente. Se la spedizione del Colonnello Connor avrà successo contro quella classe bastarda di esseri che giocano con le vite di cittadini onesti e rispettosi della legge noi non potremo far altro che essergli grati». I «cittadini» cari al «Deseret News» erano gli stessi che, a partire grossomodo dal 1847, in piena «conquista del West» avevano progressivamente espropriato i nativi delle

loro terre e devastato i terreni di caccia dai quali gli Shoshoni dipendevano. I tentativi degli Agenti Indiani di persuaderli a diventare agricoltori erano falliti. Per di più le prime avvisaglie di carestia fra i nativi avevano incontrato l’indifferenza delle autorità nonostante gli appelli lanciati dagli Agenti stessi. Fatto sta che le relazioni fra gli Shoshoni e i coloni – anche se molti di questi erano pacifici Mormoni – si erano progressivamente deteriorate. Spalle al muro per la mancanza di cibo, gli Shoshoni avevano prima venduto tutto il possibile, poi si erano dati al furto: di incidente in incidente e di vendetta in vendetta si era arrivati ad esecuzioni sommarie dei ladri e poi alle razzie da parte degli indiani. L’escalation era stata inevitabile e, quando nel dicembre 1862 otto minatori furono attaccati mentre si recavano in Montana lasciando uno di loro sul terreno, le autorità militari decisero che fosse ora di farla finita. In quel fatale 29 gennaio, Cacciatore di Orsi – il capo degli Shoshoni – aveva

disposto i suoi guerrieri in posizione difensiva. Sperava però ancora in una soluzione pacifica della questione, in quanto negoziati ad alto livello condotti dal Capo Sanpitch erano in corso a Salt Lake City. Poco dopo le sei del mattino, un primo attacco frontale nella neve in temperature polari non ebbe esito: i soldati furono respinti dal fuoco dei fucili antiquati e dalle frecce degli Shoshoni. Quando però il loro campo fu attaccato aggirandolo ai lati, il fronte si ruppe ed il combattimento fu condotto all’arma bianca. Inferociti dalla resistenza shoshone, i toquashes – così i rapporti ufficiali – «persero la testa»: donne, vecchi e bambini furono massacrati senza distinzione. Solo una manciata di indiani riuscì a fuggire. I soldati soffrirono 14 perdite e quarantanove feriti, nove dei quali morirono in seguito. Hans Jasperson, un colono danese, scrisse nelle sue memorie del 1911 di aver contato 493 morti fra le rovine fumanti del campo Shoshone. Quegli eventi sono ricordati come «Il Massacro del Fiume dell’Orso».

si se la sgrido, ma come fa a considerare le incoerenze del padre come un particolare da segnalare, nella sua lettera, all’ultimo minuto? Il comportamento di suo genero è gravissimo e rischia di compromettere per sempre il rapporto col figlio. Come suggerisce Françoise Dolto: «Dite quello che fate e fate quello che dite». Federico non è un pacco da ritirare dall’ufficio postale se e quando viene più comodo. È un soggetto in formazione, un embrione di uomo da rispettare e proteggere come e più di un adulto perché sta svolgendo il compito più importante: realizzare le sue potenzialità. In questa impresa deve sentire che voi non siete la controparte ma alleati forti e sinceri. Non serve cercare di dividerlo dalla madre quando litigano, in quei momenti di rabbia non capisce più niente. Meglio fare, con calma, qualche cosa insieme: leggere una favola, disegnare, accompagnarlo a uno spettacolo o a una mostra e soprattutto ascoltarlo. I bambini «sindacalisti di se stessi» sanno bene che cosa vogliono. A quattro anni i loro

bisogni di base sono due: sicurezza e fiducia. Evidentemente Federico non trova soddisfatti né l’uno né l’altro. La mamma sarà completamente coinvolta, come spesso accade, dal conflitto col coniuge e quest’ultimo non avrà ancora trovato l’equilibrio necessario per accettare una situazione ardua da gestire: non essere più marito pur continuando a essere papà. Non esistono ex figli. Prioritario è dunque l’intervento sul padre di Federico che, tornato adolescente, non comprende la gravità delle sue mancanze, le sofferenze provocate dalle sue contraddizioni. Credo che, a questo punto, sia auspicabile il ricorso a un Centro di mediazione familiare, un intervento che i Servizi sociali del Ticino ottemperano in modo ottimo.

anche dalle nostre parti, quando il piccolo schermo era amato, seguito, discusso. Non contava, però, soltanto per i suoi influssi sulla quotidianità individuale. La tv era diventata un tema affrontato e analizzato sul piano alto della cultura, della politica e della morale. Se ne occupavano, per citare i più famosi, Marshall McLuhan, Umberto Eco, e Karl Popper autore dello storico saggio Cattiva maestra televisione. Qualcuno, come il presentatore della Rai, Enzo Tortora, gli dedicò un pamphlet dal titolo maliziosamente dissacrante: O tivù dal cuore acceso, parafrasando una preghiera e sottintendendo che quella era una nuova religione. Fatto sta che sotto il peso di accuse, non del tutto immeritate, la tv fu considerata, appunto, una cattiva maestra, almeno in cerchie particolari di

cittadini, più sensibili al buon gusto e al buon senso. Ci furono genitori che scelsero la via rigorosa del rifiuto d’ordine educativo: niente tv per i loro figli. In generale, fra gli intellettuali prevaleva l’equazione tv=trash. Anche medici e psicologici denunciarono il pericolo di una dipendenza da piccolo schermo. Timori, del resto giustificati nei confronti di un mezzo che creava asservimento. E definiva esemplarmente il nemico di turno. A ben guardare, si tratta però di una costante, con cui ci si ritrova sempre a fare i conti. Adesso, i ragazzi hanno abbandonato il salotto con tv accesa. Preferiscono isolarsi in camera per connettersi, digitando tastiere di smartphone e tablet. E non mancano i genitori che proclamano: «A mio figlio niente telefonino».Un divieto per eliminare, o aggirare, un ostacolo?

La stanza del dialogo di Silvia Vegetti Finzi La separazione dei genitori, le insicurezze dei figli Cara Silvia, sono una nonna, una nonna materna preoccupata per il nipotino. Federico, di quattro anni, conteso tra madre e padre separati da un anno. Prima che i genitori si dividessero (il padre è andato a vivere da solo in una località vicina), Federico era un bambino sereno, tranquillo, pacioccone. Da quel momento ha cominciato invece a fare i capricci: rifiuta di mettersi le scarpe nuove, di mangiare a tavola quando è l’ora, di tornare a casa dal campetto dei giochi. Insomma tutto è un pretesto per opporsi alla mamma e a me che cerco di dividerli quando litigano. Ma faccio fatica a inserirmi nel loro conflitto perché Federico, come un galletto da combattimento, non mi ascolta, non mi vede neanche. Ah! Dimenticavo di dirle che Federico si rifiuta di andare col padre che, pur essendo buono, è sempre stato confusionario. Stabilisce di venire a prendere il bambino a un’ora e poi non si fa vedere. Dovrebbe telefonargli tutte le sere ma si dimentica. Gli promette questo e quello (ad es. di andare al cinema, di

portarlo a fare i salti sui gonfiabili) ma poi all’ultimo momento c’è un impegno imprevisto... Cosa posso fare per aiutare mia figlia e mio nipote? / Una nonna Cara nonna, quando ci troviamo in una situazione complicata, che sembra senza via d’uscita, la prima cosa che possiamo fare è capire. Innanzitutto capire i bambini che, dei nostri conflitti, sono le prime vittime. Se Federico, da «bambino buono» com’era, si è trasformato in «bambino cattivo» dobbiamo supporre che sia stato colpito da un trauma. Un trauma che probabilmente si chiama: separazione dei genitori. Inutile illudersi che, poiché era piccolo quando il padre è uscito di casa, non si sia accorto di niente. I bambini hanno mille antenne per cogliere le tensioni familiari e, non solo si sentono coinvolti, ma minacciati, perché capiscono benissimo che dipendono dagli adulti circostanti per la loro stessa sopravvivenza. I capricci dei bambini non sono cattive condotte da disciplinare con le buone o con le cattive ma richieste

di aiuto. Significa che suo nipote vive in un ambiente non adeguato alla sua crescita, in cui si sente spaesato e insicuro. La mente del bambino richiede molto tempo per cambiare il meno possibile. Rifiutandosi di calzare le scarpe nuove Federico cerca di dirvi che teme gli imprevisti, che ha bisogno di certezze. Se non vuole sedersi a tavola con la mamma sarà perché avverte un’angoscia che lo coinvolge senza sapere perché. Se si oppone a rientrare a casa dal giardinetto dopo un pomeriggio di giochi vorrà dire che, tra le pareti domestiche, nulla lo attrae e nessuno lo attende. Sono ipotesi da verificare attraverso l’osservazione, il dialogo, la riflessione e l’autoriflessione, come ho cercato di fare nella mia autobiografia d’infanzia Una bambina senza stella. Per capire i bambini non basta amarli, occorre conoscere noi stessi, rievocare gli stati d’animo dei nostri primi anni senza lasciarci spaventare dalla lontananza: tutto cambia ma il nucleo della vita resta sempre lo stesso. Il problema non è Federico, siete voi adulti. Mi scu-

Informazioni

Inviate le vostre domande o riflessioni a Silvia Vegetti Finzi, scrivendo a: La Stanza del dialogo, Azione, Via Pretorio 11, 6900 Lugano; oppure a lastanzadeldialogo@azione.ch

Mode e modi di Luciana Caglio Da tv a smartphone: il nemico di turno Ritratto di famiglia con tivù: così s’intitolava il volume, pubblicato dalla TSI nel 1998, per il suo quarantesimo. In quelle pagine si rievocava un itinerario, giustamente definito avventura: aveva, infatti, collaudato un linguaggio ancora da inventare, con tutti i rischi del caso. Non soltanto privilegiava l’immagine rispetto alla parola, ma lo faceva in modo tutto nuovo, con effetti imprevedibili. Per la prima volta, si coinvolgeva il grande pubblico, promovendolo a partecipante, addirittura a protagonista, o sollecitando la sua voglia di diventarlo. Si entrava nell’era di «Una Tv per vedere e per vedersi», come scrissi, allora proprio per le pagine di quel volume, in veste di testimone di un fenomeno, vissuto da vicino. Ero cresciuta nella stessa casa dove c’era un cinema. I loro proprietari, che ge-

stivano varie sale in Ticino, informavano mio padre, giornalista e critico cinematografico, a proposito di una minaccia, proveniente dagli USA , che incombeva sul grande schermo: la concorrenza del piccolo schermo, rivale vincente. A partire dagli anni 60, molte sale furono costrette a chiudere. Sembrava in via d’estinzione la categoria dei fedeli spettatori di film, per non parlare dei patiti da cineclub, verosimilmente attirati da un altro dispensatore di immagini e sogni. Tanto che, per rimediare clienti, i cinema proiettavano le trasmissioni televisive più popolari, cominciando dal «Lascia o raddoppia» di Mike Bongiorno. Si stava, effettivamente, assistendo a un passaggio di consegne, forse irreversibile: dalla sala pubblica al salotto di casa. Proprio qui, il tele-

visore conquistò un posto rilevante, anche fisicamente ingombrante, a cui spettarono funzioni insospettabili. Non soltanto come strumento di svago e informazione, ma come centro e collante della vita familiare, simbolo di un’unità affettiva. Rappresentava il focolare, nella versione XX secolo, con un ruolo destinato, a sua volta, al declino. Imposto, dalla tecnologia, che, nel giro di pochi decenni, mette fuori uso strumenti, gesti, abitudini. Si mette in moto un processo d’adeguamento che modifica persino valori e concezioni estetiche. Ecco che, a distanza di un ventennio da quella ricorrenza della TSI, il titolo Ritratto di famiglia con tivù può sembrare una forzatura nostalgica, un’immagine dai contorni sfocati, da album dei ricordi. In realtà, rifletteva un momento di vita, largamente condiviso,


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 29 gennaio 2018 • N. 05

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 29 gennaio 2018 • N. 05

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Ambiente e Benessere I vini della Germania Seconda puntata della serie di articoli dedicata alla tradizione enologica tedesca pagina 14

Cachi in cucina, dolcezza invernale Alcune ricette per scoprire o riscoprire un frutto tradizionale, apparentemente poco vistoso ma pieno di ottime qualità

Le elettriche a Las Vegas Alla fiera americana per l’elettronica di consumo ora partecipano anche le auto

La rabbia non è debellata Anche se in Svizzera il suo impatto è molto circoscritto la malattia va fronteggiata

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Le potenzialità di un logger Climatologia Uno strumento sofisticato per registrare il caldo e il freddo

Alessandro Focarile

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Val Müstair, Biosfera Engiadina: qui convivono natura, agricoltura e turismo. (Marco Martucci)

Come capitalizzare la natura?

Ecologia Anche l’Ufficio federale dell’ambiente (Ufam) ha allestito, in linea con le tendenze internazionali,

un elenco dei servizi ecosistemici; ad essi è dedicata la manifestazione Swifcob 18, il prossimo 9 febbraio a Berna

Marco Martucci Ciascuno di noi ha uno o più luoghi in cui si reca per ritemprarsi nel corpo e nello spirito. Io sono molto affezionato a un posto dove vado per camminare, correre, respirare aria pura, ammirare i prati fioriti, raccogliere un po’ di castagne o qualche fungo. Questi e altri innegabili benefici sono offerti dalla natura a me e agli altri che mi capita d’incontrare durante le mie camminate. È vero che la natura, dall’acqua fresca alle rocce, dagli alberi ai fiori dei campi, dal volo degli uccelli al canto dei grilli, ha un suo significato intrinseco, un valore indipendente dalla nostra esistenza. E anche come tale va salvaguardata. È altresì vero però che dalla natura ricaviamo, spesso senza sborsare un centesimo, vere e proprie prestazioni d’altissimo valore. In tal senso si parla da qualche anno di «servizi ecosistemici» che contribuiscono al benessere dell’umanità. Uno degli obiettivi della Strategia Biodiversità Svizzera è il rilevamento quantitativo dei servizi ecosistemici al fine di tenerne conto nel calcolo del prodotto interno lordo per la misurazione del benessere. Quanto valgono, anche in danaro, un lombrico, un faggio, un fiume, il suolo fertile, l’aria pura? Non si tratta di monetizzare la natura, il cui valore

trascende ogni discorso finanziario, ma di rendersi conto che essa ha, anche, un valore economico che contribuisce alla ricchezza e che rischia, oggi più che mai, d’andar perso per colpa nostra. Anche solo banalmente, le passeggiate nella natura potrebbero ridurre i costi per la salute, come il respirare aria incontaminata o bere acqua pura. È stato calcolato che, a livello mondiale, a causa del calo della biodiversità e dei suoi servizi ecosistemici, andrebbero persi dai 4mila ai 20mila miliardi di franchi l’anno. È dimostrato ed evidenziato anche nella Strategia Biodiversità Svizzera che la biodiversità nelle sue componenti di geni, specie ed ecosistemi è essenziale per garantire il pieno funzionamento dei servizi ecosistemici, che sono perciò servizi della biodiversità. L’Ufficio federale dell’ambiente (Ufam) ha allestito, in linea con le tendenze internazionali come il Millennium Ecosystem Assessment, un elenco dei servizi ecosistemici. Attraverso specifici indicatori si vuole calcolare il contributo del capitale naturale al nostro benessere. In questa lista si distinguono quattro categorie. Nella prima, i servizi ecosistemici di supporto, fondamento di ogni altra prestazione degli ecosistemi, troviamo fra l’altro il ciclo dell’acqua, la formazione del suolo, la produzione di ossigeno e lo stoccaggio

del CO2. Si tratta di processi naturali globali di vasta portata, nei quali la biodiversità è importante. Per esempio, superfici coperte da vegetazione diversificata assorbono, trattengono e distribuiscono l’acqua in maniera molto efficace. Alla formazione del suolo concorrono microorganismi, piante e animali come i lombrichi. La maggior parte dell’ossigeno sulla Terra è prodotta dal fitoplancton marino. Alla seconda categoria appartengono i servizi di approvvigionamento, forse i più evidenti. Ecco la produzione di alimenti, sfruttata per esempio in agricoltura e nella pesca, e la diversificazione dei generi alimentari, garanzia per il nutrimento di miliardi di esseri umani. Dalla natura, piante, animali, funghi, microorganismi ci arrivano migliaia di principi attivi per farmaci e di continuo se ne scoprono di nuovi. Piante e organismi del suolo sono garanzia per ottenere acqua pulita e potabile, una risorsa naturale sempre più rara. La natura ci fornisce legna per costruire e per scaldare e anche fibre, lino, cotone o lana. Fra i servizi ecosistemici di regolazione, la terza categoria, incontriamo la protezione contro le piene, la regolazione dei pericoli naturali, del clima (v. pag. 13), delle malattie e degli organismi nocivi e anche l’impollinazione, prestazione quest’ultima molto conosciuta:

un terzo dell’alimentazione mondiale è garantito da insetti impollinatori, non solo api domestiche ma anche api selvatiche e parecchie altre specie d’insetti (v. articolo di Daniele Besomi, pubblicato su «Azione» del 16.10.2017, ndr.). Rive di fiumi e torrenti ricche di vegetazione diversificata riducono l’erosione e proteggono dalle piene. Meno evidente, perché non soddisfa bisogni solo materiali, è la quarta categoria, quella dei cosiddetti servizi ecosistemici culturali che comprendono attività ricreative e turismo, contemplazione della natura, attrattiva dei paesaggi, formazione e ricerca, estetica. Il valore finanziario del paesaggio per il turismo svizzero è stato stimato in oltre 70 miliardi di franchi. Anche l’educazione ambientale ha bisogno di contatto diretto con la natura che, inoltre, è fonte di ispirazione per poeti, scrittori, pittori e musicisti. Dopo tutti questi esempi, ci si può chiedere quale sia la situazione attuale. Il concetto scientifico di «servizio ecosistemico» ha quasi vent’anni e fa ormai parte della realtà politica, ma nella pratica stenta a decollare. Il Forum Biodiversità Svizzera dedica la sua manifestazione annuale Swifcob (Swiss Forum on Conservation Biology) proprio ai servizi ecosistemici. Swifcob 18, il prossimo 9 febbraio a Berna, avrà come tema: «I

servizi ecosistemici: dal concetto scientifico alla messa in pratica». L’obiettivo: chiarire dove e come il concetto di servizio ecosistemico dovrebbe essere messo in pratica in Svizzera. Come sottolinea Daniela Pauli, della direzione del Forum Biodiversità Svizzera, «il concetto di servizio ecosistemico corre spesso il rischio di essere frainteso se non perfino abusato, per esempio quando si tratta di proteggere solo quelle specie di piante, animali e funghi di cui conosciamo l’utilità». Fra i relatori del convegno, Martin Schlaepfer, dell’Università di Ginevra, presenterà l’attività del gruppo di cui è coordinatore: «Il Gruppo GE-21, composto da specialisti delle alte scuole, della Città e del Cantone per mettere in pratica il concetto di servizio ecosistemico, con l’obiettivo di chiarire il legame fra natura sana e benessere». I relatori, altamente qualificati e provenienti anche dall’estero, contribuiranno a mettere a fuoco ogni sfaccettatura del concetto di servizio ecosistemico e a chiarire, come dice Daniela Pauli, «l’importanza di tutta la biodiversità per garantire anche a lungo termine le prestazioni degli ecosistemi».

Le regioni elevate delle Alpi rivestono una cruciale importanza strategica per la vita umana. Ad esempio per la costituzione e conservazione delle riserve idriche (che producono energia elettrica), per non parlare del cruciale problema neve per le strategie connesse all’industria degli sport invernali. Industria generatrice di elevati flussi economici, con un andamento irregolare e aleatorio da un inverno all’altro nelle differenti regioni alpine, e questo fatto, che molto preoccupa, ostacola la programmazione tecnico-finanziaria sul lungo periodo. Da questa constatazione deriva la necessità di acquisire un bagaglio di conoscenze numeriche sullo svolgimento di molti fenomeni fisici e biologici. Conoscenze dalle quali derivano le applicazioni pratiche perseguite dalle attività umane. In quanto gli interventi sul piano tecnico devono rispondere come detto a interessi economici e sociali finalizzati all’ottenimento di risultati il più possibile ottimali, che non sempre possono raggiungere il successo auspicato poiché intervengono fattori naturali (come il clima) che esulano dall’intervento umano a scala locale. Molti problemi di carattere pratico sono strettamente connessi con la conoscenza di precisi dati numerici. A tal proposito ci vengono in aiuto i logger, sofisticati strumenti di dimensioni ridotte che consentono elevate prestazioni tecnologiche con l’ausilio del computer. Essi possono testimoniare ed elaborare le temperature. Nel quadro di un programma internazionale, che ha coinvolto le istituzioni scientifiche di ben undici Paesi europei, i logger sono stati collocati a dieci centimetri di profondità in diciotto località poste al limite superiore della vegetazione e precisamente tra 900 e 2530 metri d’altitudine in funzione della latitudine. Dalla Scandinavia settentrionale (Finlandia, Svezia e Norvegia) al 69° parallelo Nord, fino alla Scozia, alle Alpi vallesane (Passo della Furka), all’Etna e alla Sierra Nevada (Spagna), al 37° parallelo Nord. Gli strumenti hanno registrato le temperature massime e minime con cadenza oraria nel corso di uno o più anni, elaborando anche le temperature medie. Siamo stupiti davanti a queste avveniristiche prestazioni tecniche, che consentono l’attuazione di ricerche impensabili fino a qualche decennio fa. E pensiamo con ammirazione e profonda gratitudine all’opera di Umberto Mòn-

Val Ferret, sullo sfondo le Grandes Jorasses, gruppo di cime granitiche a ridosso del Monte Bianco, Courmayeur, Aosta. (Giorgio Galeotti)

terin, il famoso scienziato del Monte Rosa, che saliva periodicamente ai 4552 metri della Capanna Margherita per il controllo e la lettura diretta degli strumenti ivi collocati. Lo strenuo lavoro scientifico comportò anche un notevole sforzo fisico che compromise la salute dello scienziato, deceduto a 53 anni. I cambiamenti climatici, particolarmente accentuati sulle Alpi, generano complessi fenomeni dinamici in permanente evoluzione, e che vanno numerizzati. Alcuni esempi. Il fenomeno delle valanghe è meglio compreso grazie alla conoscenza, prolungata nel tempo, delle temperature della neve nei differenti strati che costituiscono il manto nevoso a seguito delle successive nevicate. Dall’indagine fatta con i logger su scala europea si è venuto a conoscere un altro dato interessante. Gli strumenti collocati al limite degli alberi (tree-line) hanno registrato gene-

Informazioni

www.biodiversity.ch/SWIFCOB18

Lo strumento logger. (Fosco Spinedi, Meteo Svizzera, Locarno Monti)

ralmente temperature inferiori di quelle su terreno scoperto (steppa alpina). Quest’ultimo riceve più calore rispetto alle superfici più o meno coperte dagli alberi. E questa constatazione ha una notevole importanza pratica ai fini forestali. Si delinea la sequenza dei due fenomeni: l’aumento della temperatura in atto provoca l’innalzamento in quota del bosco, generando una più efficace protezione alle valanghe ove esse hanno origine. L’innalzamento del limite superiore degli alberi è un fenomeno già accaduto in passato durante l’optimum termico medievale (900-1300 anni or sono) quando gli alberi risalivano fino a 2400-2600 metri di altitudine, come è stato documentato dalle analisi polliniche in numerose torbiere alpine e dalle cronache che narrano le vicende dei passaggi degli alti colli alpini. A 2500 metri di altitudine (foto), nello strato superficiale di un suolo alpino, le temperature estreme sono risultate alquanto benigne, essendo comprese tra +22°C e –2°C. Questi valori sono stati registrati in Valle Ferret, Monte Bianco (ndr. rilevamenti effettuati dall’autore dell’articolo, Alessandro Focarile, tra il 1997 e il 1998), avendo finalità molto più modeste e impiegando strumenti ben più semplici dei logger. Sono temperature che testimoniano come la vegetazione erbacea e il mondo minuto (principalmente insetti e acari) possano vivere anche in alta montagna, soprattutto grazie al manto nevoso isolante. Considerata la quota in Valle Ferret, la neve è già presente all’inizio dell’autunno, e la sua presenza si protrae fino a maggio-giugno. In campo biologico, a quali basse temperature possono vivere molti invertebrati alto-alpini durante la

stagione invernale? I logger hanno documentato la soglia termica alla quale tanti minuti esseri sono in grado di popolare gli strati superficiali del suolo anche in condizioni estreme, fino a restare inglobati indenni nel substrato gelato a diversi gradi sotto zero e durante lunghi mesi. Un brillante successo fisiologico, in quanto le proteine antigelo da essi prodotte consentono notevoli soglie termiche di tolleranza.

L’aumento della temperatura provoca l’innalzamento in quota del bosco, generando una più efficace protezione dalle valanghe ove esse hanno origine Da questo impegnativo studio bioclimatico, realizzato lungo 3600 chilometri nell’Europa occidentale grazie all’impiego dei logger, sono emersi dei dati molto significativi e che hanno una vasta valenza pratica. 1. Il risultato più importante di questo studio a scala europea è stato quello di testimoniare la somiglianza di molte misurazioni, senza una sostanziale variazione legata al fattore latitudine. Per contro, le variazioni delle temperature minime sono da associarsi all’entità e alla durata della copertura nevosa nelle differenti località. Tuttavia, tutti i siti possono conoscere un inverno senza un congelamento del suolo a dieci centimetri di profondità. 2. Molte località mostrano un picco termico estivo interno ai +20°C. 3. Valori registrati dai logger sono variati entro un ambito termico compreso

tra –12°C e +20°C, con un’escursione di 32°C dalla Scandinavia al Mediterraneo. 4. La oceanicità (e cioè la maggiore umidità, come in Scozia) e il clima regionale sembrano essere importanti fattori quanto lo è la latitudine, anche nel determinare il regime della temperatura regionale della località dove sono stati collocati gli strumenti. 5. Alle alte latitudini, come in Scandinavia, la maggiore lunghezza delle ore di sole assicura un maggiore flusso di calore nel suolo e riduce il raffreddamento notturno. La lunghezza delle ore di sole in estate (luglio-agosto) è pari a 24 ore verso il Circolo polare artico. Mentre nelle Alpi è di 16 ore. La somma delle temperature positive è di circa 1300-2000°C a sud del 44° parallelo nord, confrontato con 800-900°C nell’estremo nord. È molto probabile che la ricca documentazione, raccolta grazie all’impiego dei logger, possa contribuire a ridimensionare molte teorie dogmatiche sulla climatologia e la biodiversità alpina. Detto altrimenti, possono venir messe in discussioni alcune teorie accademiche secondo cui per esempio durante le glaciazioni la fauna sarebbe andata tutta distrutta, e che il freddo glaciale abbia fatto morire ogni forma di vita vegetale. Potrebbero venir rielaborate le teorie sulle trasformazioni strutturali della vegetazione erbacea e arborea quale conseguenza dei cambiamenti climatici così come la dinamica dei suoli alpini permanentemente gelati (permafrost). Bibliografia

L. Nagy, G. Grabherr, Ch. Körner, D.B.A. Thompson (Editors), Alpine Biodiversity in Europe, 2003, Springer Verlag (Berlin, New York, Tokyo), 477 pp.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 29 gennaio 2018 • N. 05

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 29 gennaio 2018 • N. 05

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Ambiente e Benessere I vini della Germania Seconda puntata della serie di articoli dedicata alla tradizione enologica tedesca pagina 14

Cachi in cucina, dolcezza invernale Alcune ricette per scoprire o riscoprire un frutto tradizionale, apparentemente poco vistoso ma pieno di ottime qualità

Le elettriche a Las Vegas Alla fiera americana per l’elettronica di consumo ora partecipano anche le auto

La rabbia non è debellata Anche se in Svizzera il suo impatto è molto circoscritto la malattia va fronteggiata

pagina 15

Le potenzialità di un logger Climatologia Uno strumento sofisticato per registrare il caldo e il freddo

Alessandro Focarile

pagina 16

pagina 17

Val Müstair, Biosfera Engiadina: qui convivono natura, agricoltura e turismo. (Marco Martucci)

Come capitalizzare la natura?

Ecologia Anche l’Ufficio federale dell’ambiente (Ufam) ha allestito, in linea con le tendenze internazionali,

un elenco dei servizi ecosistemici; ad essi è dedicata la manifestazione Swifcob 18, il prossimo 9 febbraio a Berna

Marco Martucci Ciascuno di noi ha uno o più luoghi in cui si reca per ritemprarsi nel corpo e nello spirito. Io sono molto affezionato a un posto dove vado per camminare, correre, respirare aria pura, ammirare i prati fioriti, raccogliere un po’ di castagne o qualche fungo. Questi e altri innegabili benefici sono offerti dalla natura a me e agli altri che mi capita d’incontrare durante le mie camminate. È vero che la natura, dall’acqua fresca alle rocce, dagli alberi ai fiori dei campi, dal volo degli uccelli al canto dei grilli, ha un suo significato intrinseco, un valore indipendente dalla nostra esistenza. E anche come tale va salvaguardata. È altresì vero però che dalla natura ricaviamo, spesso senza sborsare un centesimo, vere e proprie prestazioni d’altissimo valore. In tal senso si parla da qualche anno di «servizi ecosistemici» che contribuiscono al benessere dell’umanità. Uno degli obiettivi della Strategia Biodiversità Svizzera è il rilevamento quantitativo dei servizi ecosistemici al fine di tenerne conto nel calcolo del prodotto interno lordo per la misurazione del benessere. Quanto valgono, anche in danaro, un lombrico, un faggio, un fiume, il suolo fertile, l’aria pura? Non si tratta di monetizzare la natura, il cui valore

trascende ogni discorso finanziario, ma di rendersi conto che essa ha, anche, un valore economico che contribuisce alla ricchezza e che rischia, oggi più che mai, d’andar perso per colpa nostra. Anche solo banalmente, le passeggiate nella natura potrebbero ridurre i costi per la salute, come il respirare aria incontaminata o bere acqua pura. È stato calcolato che, a livello mondiale, a causa del calo della biodiversità e dei suoi servizi ecosistemici, andrebbero persi dai 4mila ai 20mila miliardi di franchi l’anno. È dimostrato ed evidenziato anche nella Strategia Biodiversità Svizzera che la biodiversità nelle sue componenti di geni, specie ed ecosistemi è essenziale per garantire il pieno funzionamento dei servizi ecosistemici, che sono perciò servizi della biodiversità. L’Ufficio federale dell’ambiente (Ufam) ha allestito, in linea con le tendenze internazionali come il Millennium Ecosystem Assessment, un elenco dei servizi ecosistemici. Attraverso specifici indicatori si vuole calcolare il contributo del capitale naturale al nostro benessere. In questa lista si distinguono quattro categorie. Nella prima, i servizi ecosistemici di supporto, fondamento di ogni altra prestazione degli ecosistemi, troviamo fra l’altro il ciclo dell’acqua, la formazione del suolo, la produzione di ossigeno e lo stoccaggio

del CO2. Si tratta di processi naturali globali di vasta portata, nei quali la biodiversità è importante. Per esempio, superfici coperte da vegetazione diversificata assorbono, trattengono e distribuiscono l’acqua in maniera molto efficace. Alla formazione del suolo concorrono microorganismi, piante e animali come i lombrichi. La maggior parte dell’ossigeno sulla Terra è prodotta dal fitoplancton marino. Alla seconda categoria appartengono i servizi di approvvigionamento, forse i più evidenti. Ecco la produzione di alimenti, sfruttata per esempio in agricoltura e nella pesca, e la diversificazione dei generi alimentari, garanzia per il nutrimento di miliardi di esseri umani. Dalla natura, piante, animali, funghi, microorganismi ci arrivano migliaia di principi attivi per farmaci e di continuo se ne scoprono di nuovi. Piante e organismi del suolo sono garanzia per ottenere acqua pulita e potabile, una risorsa naturale sempre più rara. La natura ci fornisce legna per costruire e per scaldare e anche fibre, lino, cotone o lana. Fra i servizi ecosistemici di regolazione, la terza categoria, incontriamo la protezione contro le piene, la regolazione dei pericoli naturali, del clima (v. pag. 13), delle malattie e degli organismi nocivi e anche l’impollinazione, prestazione quest’ultima molto conosciuta:

un terzo dell’alimentazione mondiale è garantito da insetti impollinatori, non solo api domestiche ma anche api selvatiche e parecchie altre specie d’insetti (v. articolo di Daniele Besomi, pubblicato su «Azione» del 16.10.2017, ndr.). Rive di fiumi e torrenti ricche di vegetazione diversificata riducono l’erosione e proteggono dalle piene. Meno evidente, perché non soddisfa bisogni solo materiali, è la quarta categoria, quella dei cosiddetti servizi ecosistemici culturali che comprendono attività ricreative e turismo, contemplazione della natura, attrattiva dei paesaggi, formazione e ricerca, estetica. Il valore finanziario del paesaggio per il turismo svizzero è stato stimato in oltre 70 miliardi di franchi. Anche l’educazione ambientale ha bisogno di contatto diretto con la natura che, inoltre, è fonte di ispirazione per poeti, scrittori, pittori e musicisti. Dopo tutti questi esempi, ci si può chiedere quale sia la situazione attuale. Il concetto scientifico di «servizio ecosistemico» ha quasi vent’anni e fa ormai parte della realtà politica, ma nella pratica stenta a decollare. Il Forum Biodiversità Svizzera dedica la sua manifestazione annuale Swifcob (Swiss Forum on Conservation Biology) proprio ai servizi ecosistemici. Swifcob 18, il prossimo 9 febbraio a Berna, avrà come tema: «I

servizi ecosistemici: dal concetto scientifico alla messa in pratica». L’obiettivo: chiarire dove e come il concetto di servizio ecosistemico dovrebbe essere messo in pratica in Svizzera. Come sottolinea Daniela Pauli, della direzione del Forum Biodiversità Svizzera, «il concetto di servizio ecosistemico corre spesso il rischio di essere frainteso se non perfino abusato, per esempio quando si tratta di proteggere solo quelle specie di piante, animali e funghi di cui conosciamo l’utilità». Fra i relatori del convegno, Martin Schlaepfer, dell’Università di Ginevra, presenterà l’attività del gruppo di cui è coordinatore: «Il Gruppo GE-21, composto da specialisti delle alte scuole, della Città e del Cantone per mettere in pratica il concetto di servizio ecosistemico, con l’obiettivo di chiarire il legame fra natura sana e benessere». I relatori, altamente qualificati e provenienti anche dall’estero, contribuiranno a mettere a fuoco ogni sfaccettatura del concetto di servizio ecosistemico e a chiarire, come dice Daniela Pauli, «l’importanza di tutta la biodiversità per garantire anche a lungo termine le prestazioni degli ecosistemi».

Le regioni elevate delle Alpi rivestono una cruciale importanza strategica per la vita umana. Ad esempio per la costituzione e conservazione delle riserve idriche (che producono energia elettrica), per non parlare del cruciale problema neve per le strategie connesse all’industria degli sport invernali. Industria generatrice di elevati flussi economici, con un andamento irregolare e aleatorio da un inverno all’altro nelle differenti regioni alpine, e questo fatto, che molto preoccupa, ostacola la programmazione tecnico-finanziaria sul lungo periodo. Da questa constatazione deriva la necessità di acquisire un bagaglio di conoscenze numeriche sullo svolgimento di molti fenomeni fisici e biologici. Conoscenze dalle quali derivano le applicazioni pratiche perseguite dalle attività umane. In quanto gli interventi sul piano tecnico devono rispondere come detto a interessi economici e sociali finalizzati all’ottenimento di risultati il più possibile ottimali, che non sempre possono raggiungere il successo auspicato poiché intervengono fattori naturali (come il clima) che esulano dall’intervento umano a scala locale. Molti problemi di carattere pratico sono strettamente connessi con la conoscenza di precisi dati numerici. A tal proposito ci vengono in aiuto i logger, sofisticati strumenti di dimensioni ridotte che consentono elevate prestazioni tecnologiche con l’ausilio del computer. Essi possono testimoniare ed elaborare le temperature. Nel quadro di un programma internazionale, che ha coinvolto le istituzioni scientifiche di ben undici Paesi europei, i logger sono stati collocati a dieci centimetri di profondità in diciotto località poste al limite superiore della vegetazione e precisamente tra 900 e 2530 metri d’altitudine in funzione della latitudine. Dalla Scandinavia settentrionale (Finlandia, Svezia e Norvegia) al 69° parallelo Nord, fino alla Scozia, alle Alpi vallesane (Passo della Furka), all’Etna e alla Sierra Nevada (Spagna), al 37° parallelo Nord. Gli strumenti hanno registrato le temperature massime e minime con cadenza oraria nel corso di uno o più anni, elaborando anche le temperature medie. Siamo stupiti davanti a queste avveniristiche prestazioni tecniche, che consentono l’attuazione di ricerche impensabili fino a qualche decennio fa. E pensiamo con ammirazione e profonda gratitudine all’opera di Umberto Mòn-

Val Ferret, sullo sfondo le Grandes Jorasses, gruppo di cime granitiche a ridosso del Monte Bianco, Courmayeur, Aosta. (Giorgio Galeotti)

terin, il famoso scienziato del Monte Rosa, che saliva periodicamente ai 4552 metri della Capanna Margherita per il controllo e la lettura diretta degli strumenti ivi collocati. Lo strenuo lavoro scientifico comportò anche un notevole sforzo fisico che compromise la salute dello scienziato, deceduto a 53 anni. I cambiamenti climatici, particolarmente accentuati sulle Alpi, generano complessi fenomeni dinamici in permanente evoluzione, e che vanno numerizzati. Alcuni esempi. Il fenomeno delle valanghe è meglio compreso grazie alla conoscenza, prolungata nel tempo, delle temperature della neve nei differenti strati che costituiscono il manto nevoso a seguito delle successive nevicate. Dall’indagine fatta con i logger su scala europea si è venuto a conoscere un altro dato interessante. Gli strumenti collocati al limite degli alberi (tree-line) hanno registrato gene-

Informazioni

www.biodiversity.ch/SWIFCOB18

Lo strumento logger. (Fosco Spinedi, Meteo Svizzera, Locarno Monti)

ralmente temperature inferiori di quelle su terreno scoperto (steppa alpina). Quest’ultimo riceve più calore rispetto alle superfici più o meno coperte dagli alberi. E questa constatazione ha una notevole importanza pratica ai fini forestali. Si delinea la sequenza dei due fenomeni: l’aumento della temperatura in atto provoca l’innalzamento in quota del bosco, generando una più efficace protezione alle valanghe ove esse hanno origine. L’innalzamento del limite superiore degli alberi è un fenomeno già accaduto in passato durante l’optimum termico medievale (900-1300 anni or sono) quando gli alberi risalivano fino a 2400-2600 metri di altitudine, come è stato documentato dalle analisi polliniche in numerose torbiere alpine e dalle cronache che narrano le vicende dei passaggi degli alti colli alpini. A 2500 metri di altitudine (foto), nello strato superficiale di un suolo alpino, le temperature estreme sono risultate alquanto benigne, essendo comprese tra +22°C e –2°C. Questi valori sono stati registrati in Valle Ferret, Monte Bianco (ndr. rilevamenti effettuati dall’autore dell’articolo, Alessandro Focarile, tra il 1997 e il 1998), avendo finalità molto più modeste e impiegando strumenti ben più semplici dei logger. Sono temperature che testimoniano come la vegetazione erbacea e il mondo minuto (principalmente insetti e acari) possano vivere anche in alta montagna, soprattutto grazie al manto nevoso isolante. Considerata la quota in Valle Ferret, la neve è già presente all’inizio dell’autunno, e la sua presenza si protrae fino a maggio-giugno. In campo biologico, a quali basse temperature possono vivere molti invertebrati alto-alpini durante la

stagione invernale? I logger hanno documentato la soglia termica alla quale tanti minuti esseri sono in grado di popolare gli strati superficiali del suolo anche in condizioni estreme, fino a restare inglobati indenni nel substrato gelato a diversi gradi sotto zero e durante lunghi mesi. Un brillante successo fisiologico, in quanto le proteine antigelo da essi prodotte consentono notevoli soglie termiche di tolleranza.

L’aumento della temperatura provoca l’innalzamento in quota del bosco, generando una più efficace protezione dalle valanghe ove esse hanno origine Da questo impegnativo studio bioclimatico, realizzato lungo 3600 chilometri nell’Europa occidentale grazie all’impiego dei logger, sono emersi dei dati molto significativi e che hanno una vasta valenza pratica. 1. Il risultato più importante di questo studio a scala europea è stato quello di testimoniare la somiglianza di molte misurazioni, senza una sostanziale variazione legata al fattore latitudine. Per contro, le variazioni delle temperature minime sono da associarsi all’entità e alla durata della copertura nevosa nelle differenti località. Tuttavia, tutti i siti possono conoscere un inverno senza un congelamento del suolo a dieci centimetri di profondità. 2. Molte località mostrano un picco termico estivo interno ai +20°C. 3. Valori registrati dai logger sono variati entro un ambito termico compreso

tra –12°C e +20°C, con un’escursione di 32°C dalla Scandinavia al Mediterraneo. 4. La oceanicità (e cioè la maggiore umidità, come in Scozia) e il clima regionale sembrano essere importanti fattori quanto lo è la latitudine, anche nel determinare il regime della temperatura regionale della località dove sono stati collocati gli strumenti. 5. Alle alte latitudini, come in Scandinavia, la maggiore lunghezza delle ore di sole assicura un maggiore flusso di calore nel suolo e riduce il raffreddamento notturno. La lunghezza delle ore di sole in estate (luglio-agosto) è pari a 24 ore verso il Circolo polare artico. Mentre nelle Alpi è di 16 ore. La somma delle temperature positive è di circa 1300-2000°C a sud del 44° parallelo nord, confrontato con 800-900°C nell’estremo nord. È molto probabile che la ricca documentazione, raccolta grazie all’impiego dei logger, possa contribuire a ridimensionare molte teorie dogmatiche sulla climatologia e la biodiversità alpina. Detto altrimenti, possono venir messe in discussioni alcune teorie accademiche secondo cui per esempio durante le glaciazioni la fauna sarebbe andata tutta distrutta, e che il freddo glaciale abbia fatto morire ogni forma di vita vegetale. Potrebbero venir rielaborate le teorie sulle trasformazioni strutturali della vegetazione erbacea e arborea quale conseguenza dei cambiamenti climatici così come la dinamica dei suoli alpini permanentemente gelati (permafrost). Bibliografia

L. Nagy, G. Grabherr, Ch. Körner, D.B.A. Thompson (Editors), Alpine Biodiversity in Europe, 2003, Springer Verlag (Berlin, New York, Tokyo), 477 pp.


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Ambiente e Benessere

In Germania valgono altre regole

Bacco Giramondo – 2. parte Una mappa delle regioni vitivinicole tedesche, dove vigono classificazioni dei vini

diverse dal resto del mondo Davide Comoli Ancora lontana dalla legislazione vitivinicola della maggior parte dei Paesi europei, la Germania classifica i suoi vini in base alla quantità di zuccheri fermentescibili contenuti nel mosto, che vengono valutati in gradi Oechsle. Ciò dipende dalla maturazione delle uve e dall’epoca della vendemmia. Inoltre da un anno all’altro si possono verificare grandi variazioni. A causa del clima fresco, le uve hanno bisogno di un lungo periodo per maturare e vengono quindi raccolte molto tardi, normalmente tra ottobrenovembre. La legislazione tedesca individua quattro livelli qualitativi, Deutscher Wein ex Tafelwein, Wein mit geschützter geografischer Angabe o g.g.A. (cioè I.G.P.), Qualitätswein bestimmter Anbaugebiete (Q.b.A.), ovvero vino di qualità prodotto in regione determinata ed infine Prädikatswein (Q.m.P.) che corrisponde al livello più alto della classificazione, la quale prevede un’ulteriore suddivisione in 6 categorie. Esse sono: Kabinett, Spätlese, Auslese, Beerenauslese, dove vengono inseriti i famosi Eiswein (vini di ghiaccio) ed infine i Trockenbeerenauslese, dove le uve vengono colte solo a completo appassimento, con un peso specifico del mosto minimo di 150° Oechsle e titolo alcolometrico del vino di 5,5%, prodotti solo nelle migliori annate. Attenzione alle etichette, che sono in assoluto le più complete, ma molto

complesse e possono riportare altre indicazioni, le regioni viticole sono 13, suddivise in 39 distretti. I distretti vinicoli della Germania, Anbaugebiete sono geograficamente suddivisi in sottozone Bereiche in ognuna di queste troviamo una serie di Gemeinden o Ortsteile (comuni o paese viticolo), sull’etichetta possiamo anche trovare la parola Einzellage (posizione) che indica una tenuta con caratteristiche pedoclimatiche omogenee, mentre Grosslage raggruppa diversi Einzellage che hanno le medesime caratteristiche sia di clima che di terreno. In ogni caso per il non iniziato alla materia enologica o per l’estimatore della bevanda sacra a Bacco, la lettura delle etichette germaniche è molto spesso un grosso rompicapo. In Germania la viticoltura si situa a nord del Bodensee fino al fiume Ahr sopra Coblenza e nelle due aree intorno a Dresda e a sud di Halle. Il Baden si trova nel sud-est della Germania e forma una striscia che va dalle rive settentrionali del Bodensee attraverso la Foresta Nera fino a Karlsruhe; Heidelberg, poco sotto la confluenza fra il Neckar e il Reno, è la seconda area viticola germanica per estensione. Il Württemberg, i vigneti di questa regione si trovano sulle colline sopra il Neckar ed i suoi affluenti, è la più estesa regione per la produzione di vini rossi, infatti più della metà delle vigne è coltivata a varietà di uva nera. Hessische Bergstrasse, delimitata

In mezzo ai vigneti dell’abbazia di Eberbach, nel Rheingau, si mangia, si beve e si ascolta musica. (Keystone)

dal fiume Reno a ovest e dal bellissimo Odenwald ad est, gode di un terreno, il loess, eccellente per la produzione di vini bianchi. I vigneti del Franken si estendono sulle colline del fiume Meno, la regione è nota per il suo Steinwein di Würzburg, talmente popolare da dare il nome a tutti i vini della regione (Stein) e alle originali, ma poco pratiche bottiglie (Bocksbeutel) verdi. Rheinpfalz è l’area viticola più francese, tant’è che il vigneto più meridionale della regione, lo Schweigener Sonnenberg, si trova in realtà in Francia, ma grazie ad una storica eccezione, i viticoltori germanici possono utiliz-

zare il raccolto e produrre vini tedeschi. Rheinhessen, la regione vinicola fra Worm a sud e Mazonga a nord, si trova in un’ansa del Reno e del suo affluente Nahe, ed è di gran lunga la regione vinicola più estesa della Germania, ma seconda dopo Rheinpfalz in termini di produzione. A Nahe, situata a ovest di Rheinhessen sulle rive dell’omonimo fiume, su terreni grassi e sabbiosi, si producono dei vini che possono essere: aromatici come quelli della Mosella, delicati come quelli del Rheinhessen ed eleganti come quelli del Rheingau. Rheingau è il centro geografico della viticoltura tedesca ma è una re-

gione relativamente piccola. Le cime boscose del Taunus formano pendii digradanti verso il Reno, dando luogo ad un paesaggio indimenticabile. Il Rheingau è famoso per i suoi splendidi vini e per il ruolo di primo piano svolto nella storia vinicola tedesca. Il Mittelrhein, è un’ampia regione che si estende da Bingen a Coblenza fino a poco dopo la foce dell’Ahr. I vigneti si trovano su terrazze situate sulle due rive del Reno, con pittoreschi villaggi e splendidi panorami. Ahr è una delle aree più piccole per la viticoltura, si trova a sud di Bonn ed è un vero paradiso per gli amanti della natura, assolutamente da visitare la pian dell’Eifel e gustare un fresco bicchiere di Portugieser. Mosel-Saar-Ruwer: in questa nota area vinicola i vigneti si estendono su gli erti pendii lungo le rive della serpeggiante Mosella, tra paesaggi mozzafiato. Sachsen è una delle nuove aree viticole della Germania (ex Germania est), si trova ad est sulle rive del fiume Elba, si producono vini bianchi leggeri e delicati. Saale-Unstrut è una piccola area sotto Halle, la più settentrionale della Germania, dove le rigide condizioni climatiche obbligano i viticoltori ad una vendemmia molto precoce. Ottimi gli abbinamenti cibo-vino con i vini tedeschi, i quali hanno infatti una fresca acidità che si contrappone ai cibi grassi, anche perché sono poco alcolici e quindi non stancano eccessivamente. Annuncio pubblicitario

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Ambiente e Benessere

I modi migliori per gustarsi i cachi Allan Bay A causa della mia ormai nota distrazione, mi rendo conto che non vi ho mai parlato dei cachi, detti anche kaki, ma proprio mai! Rimedio subito. I cachi sono il frutto di un albero di origine asiatica (Giappone e Cina settentrionale) importato in Europa nel secolo 19esimo. Ne esistono due tipi principali: quello comune e il cachi-vaniglia o cachi-mela. Grande come un pomodoro e di colore gialloaranciato, il cachi comune si raccoglie da ottobre in avanti ancora immaturo, ma deve essere ammezzito (termine desueto che vuol dire far maturare un frutto, fino a renderlo morbido, quasi fradicio, procedimento che ne esalta il sapore) prima del consumo; il frutto acerbo, che si distingue per la polpa consistente, è infatti molto ricco di tannini e risulterebbe per questo motivo di gusto e azione astringenti, mentre quello maturo, invece, è morbido, con polpa gelatinosa e molto dolce.

Originari dell’estremo Oriente, importati in Europa nel XIX secolo, ne esistono due tipi principali Ricco di vitamine (A, B1 e B2) e zuccheri, il cachi comune viene solitamente privato della buccia e mangiato al naturale, aiutandosi con un cucchiaino. Può accompagnare yogurt, budini e formaggi cremosi come il mascarpone, essere trasformato in gelati, conserve, marmellate o dessert freddi, o ancora fatto seccare. In pasticcieria trova comunque un impiego limitato a causa della consistenza molliccia e della rapida deperibilità della polpa. Il cachi-mela, molto simile per aspetto al tipo comune, non necessita di ammezzimento: ha polpa soda che si può mangiare a morsi subito dopo

la raccolta, ed è meno dolce: anche se a farlo maturare un po’ non si sbaglia. Ecco alcune ricette. Cachi gelati. Ingredienti per 4 porzioni. Lavate con delicatezza e asciugate 4 cachi a giusta maturazione. Sbucciateli e raccogliete la polpa in una terrina. Spruzzatela con poco Kirsch e lasciatela macerare per 15’ circa. Mescolatela con 4 palline di gelato di frutta a piacer vostro. Distribuite il preparato in 4 coppe e sistematelo in freezer. Montate 1 dl di panna fresca (perché l’operazione riesca bene deve essere freddissima) con 1 cucchiaio e mezzo di zucchero a velo. Servite le coppe decorate con la panna e con poca granella di cioccolato. Semifreddo di cachi. Per 4/6 porzioni. Con 250 g di zucchero, 124 g di albumi e 50 g di acqua confezionare una meringa. A questa, quando sarà fredda, unite 500 g di polpa di cachi e 750 g di panna montata. Versate il composto in 4 o 6 stampi. Mettete a rassodare in congelatore per il tempo necessario. Confettura di cachi. Pelate al vivo 1 kg di cachi-mela e spezzettate la polpa. Mettete la polpa in una ciotola, aggiungete 1 quarto (di più o di meno a piacer vostro) del peso di zucchero e il succo di 1 limone. Fate riposare il tutto a temperatura ambiente per 8 ore, mescolando. Scaldate una casseruola, quando è bella calda aggiungete i cachi e fate cuocere a fuoco allegro per 5’. Spegnete, frullate col minipimer se ne avete voglia, poi invasate. Quando a temperatura ambiente, chiudete i vasi e conservate in frigorifero. Insalata di cachi e spinaci. Per 4. Tagliate 4 cachi-mela non troppo grossi a bastoncini lunghi 3 cm. Mescolate 250 g di tofu tagliato a bastoncini con 150 g di spinaci freschi e metteteli in una ciotola con i cachi. Aggiungete 4 cucchiai di sesamo macinato e 2 cucchiai di salsa di soia. Condite con poco olio di sesamo e regolate di sale. Al posto dei semi di sesamo potete usare il gomasio; in questo caso non è necessario salare.

Pxhere

Gastronomia Consigli utili e quattro fresche ricette

CSF (come si fa)

Esistono le ricette «perfette»? No, la cucina è anarchica, ci sono tanti modi per eseguire bene un piatto. Ma anche sì, poiché comunque esistono regole molto utili. Per esempio queste, per fare un hamburger «perfetto». Vediamo come si fa. Ingredienti per 4 persone: i tagli migliori per fare un perfetto hamburger sono 600 g di reale di manzo (attaccatura tra il collo e il taglio costata), con una proporzione parte magra e grassa

pari all’80%-20%, ma anche 30%: il grasso rende morbido l’hamburger. Oppure 600 g di sirloin (parte alta del controfiletto attaccato al posteriore del manzo posizionato sotto la schiena), con una proporzione parte magra e grasso: 85%-15%. Poi 200 g di pancarré (pari a 6 fette), 250 ml di latte, 12 g di sale e 4 g di pepe. Eliminate la parte esterna del pancarré, mettetelo in ammollo nel latte freddo e lasciate ammorbidire per almeno 10’. Mettete tutti i pezzi del tritacarne in frigorifero per garantire che la macinatura non scaldi la carne alterandola. Macinate la carne nel tritacarne due volte, mettetela in una terrina e condite con sale, pepe e il pane ammorbidito nel latte e poi scolato e strizzato. Lavorate velocemente con le mani in

modo che tutti gli ingredienti si uniscano, formate prima quattro polpette e poi schiacciate con i palmi della mano fino a ottenere la classica forma di hamburger; oppure formateli con l’aiuto di un coppa pasta. Disponete gli hamburger su una teglia con la griglia per staccare la carne dal fondo della stessa, se non avete carta da forno. Cuocete gli hamburger partendo da temperatura ambiente in forno a 195° per: 6’ per una cottura al sangue, 8’ per una cottura media, 12’ per una carne ben cotta. Togliete gli hamburger dal forno e lasciate riposare la carne a temperatura ambiente per 4’. Scottatene la superficie su una piastra molto calda 1’ da entrambe le parti. Poi serviteli su un piatto o nel classico panino, nappate con salse a piacere.

Ballando coi gusti Oggi vi propongo due focacce adatte per antipasti. Potete mangiarle sia calde sia a temperatura ambiente.

Focaccia con bresaola

Focaccia con cipolla

Ingredienti per 4 persone: 800 g di impasto per pizza · 150 g di bresaola · 1 con-

Ingredienti per 4 persone: 800 g di impasto per pizza · 2 cipolle bianche · 2 coste di sedano · farina · olio di oliva · sale e pepe.

fezione di Philadelphia da 150 g · 50 g di grana grattugiato · latte · farina · olio di oliva · sale e pepe.

Stendete la pasta sulla spianatoia infarinata e mettetela in una teglia larga e bassa unta di olio o coperta con carta da forno. Bucherellate la superficie e lasciate lievitare ancora per 20’. Comprate la bresaola già tagliata a fette sottili poi tagliatele ulteriormente e strisce. Emulsionate il Philadelphia con poco latte. Distribuite sulla pizza il formaggio, aiutandovi con una spatola, poi unite la bresaola tagliata a striscioline e il grana. Condite con un filo di olio e spolverizzate con poco sale e pepe. Cuocete in forno a 220° per circa 30’.

Stendete la pasta sulla spianatoia infarinata e mettetela in una teglia larga e bassa unta di olio o coperta con carta da forno. Bucherellate la superficie e lasciate lievitare ancora per 20’. Mondate la cipolla e il sedano e tagliateli a dadini. Sbollentateli in acqua leggermente salata per 1’, poi scolateli. Quando la pasta sarà lievitata, incorporatevi la cipolla e il sedano, poi tiratela con le mani a uno spessore di circa mezzo centimetro. Ungete la superficie con olio e spolverizzate con poco sale e pepe. Cuocete in forno a 220° per circa 30’.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 29 gennaio 2018 • N. 05

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Ambiente e Benessere

Le auto come elettrodomestici Motori Al CES, la fiera dell’elettronica di Las Vegas, partecipano ormai con piena dignità

anche vari modelli di veicoli ad alta tecnologia

Mario Alberto Cucchi L’inizio del 2018 ha portato con sé la 51esima edizione del CES, il Consumer Electronic Show. Ogni anno a gennaio si tiene a Las Vegas quella che è ritenuta da molti la più grande fiera del mondo dedicata all’elettronica di consumo e alla tecnologia. Una kermesse in cui sino a non molti anni fa non si vedevano automobili o quasi. Oggi i tempi sono cambiati e le quattro ruote sono diventate protagoniste anche al Consumer Electronic Show.

General Motor, Ford e KIA hanno esposto i loro modelli elettrici, tutti equipaggiati con una dotazione futuristica: all’orizzonte ci sono le «robocar» Ed ecco che a Las Vegas si è parlato di «robocar», così gli americani chiamano le auto a guida autonoma, di trasporto on-demand, ma anche di veicoli elettrici e ibridi. Proprio l’americana General Motors si è impegnata a ridurre il costo delle batterie di un terzo entro i prossimi tre anni. Semaforo verde anche per Ford, che prevede di lanciare 13 nuovi veicoli elettrificati entro il 2022. Tra questi la variante ibrida della sportiva Mustang. Nell’elenco dei mezzi compare il pick-up Ford F-150, ovvero l’auto più venduta negli Stati Uniti. La capitale dello Stato del Nevada è stata scelta anche da KIA per

l’anteprima mondiale del suo ultimo concept: Niro EV. Si tratta dell’evoluzione della crossover KIA Niro. Prima ibrido, poi plug-in ed entro il 2018 elettrico. Proprio così, l’intento della Casa automobilistica coreana è di presentare entro quest’anno la versione definitiva con motore elettrico di quello che ad oggi è ancora un prototipo. Il concept Niro EV protagonista dello stand di Las Vegas è alimentato da un propulsore di nuova generazione. L’energia è fornita da un potente pacco batterie ai polimeri di litio da 64 kWh abbinato a un motore elettrico da 150kW. L’autonomia è buona, ben 383 chilometri a emissioni zero, risultato ottenuto dall’innovativo gruppo propulsivo abbinato all’aerodinamica ottimizzata. Un’auto amica dell’am-

Si ereditano anche i traumi, oltre al Dna La scoperta è stata fatta all’Università di Zurigo: i traumi lasciano segni indelebili che possono essere trasmessi ai figli e ai nipoti, fino alla terza generazione. Questo spiegherebbe, per esempio, perché esistono malattie familiari, come il disordine bipolare, che non sono riconducibili ad un particolare gene.

La Niro EV, per ora ancora solo un prototipo. (CES, Las Vegas)

senza del mezzo. D’altronde le auto elettriche sono molto silenziose ed è davvero difficile accorgersi del loro arrivo. Molte sono le novità anche all’interno dell’abitacolo. L’utente viene riconosciuto attraverso uno scan facciale, mentre l’analisi della voce avviene grazie alle applicazioni Amazon

Rekognition e Amazon Polly. Stupisce il sistema di controllo del suono separato di Niro EV Concept. In pratica l’impianto stereo permette di separare gli ambienti all’interno dell’abitacolo attraverso otto altoparlanti installati nei poggiatesta che emettono suoni dedicati per ogni fila di sedili. Per eliminare le interferenze acustiche viene utilizzata la tecnologia di cancellazione del rumore. Insomma, ogni passeggero può avere la propria musica. Una soluzione che guarda non tanto all’auto di famiglia, ma a quella condivisa. A Las Vegas la KIA ha infatti ribadito l’intenzione di proporre anche su altri mercati il suo servizio di car sharing WiBLE lanciato in Corea nel 2017. Il servizio di mobilità condivisa, a cui è possibile accedere attraverso una App dedicata, verrà introdotto in alcune città europee entro la fine del 2018.

Profumi di Mediterraneo Vi proponiamo un itinerario ricco di stimoli che vi darà modo di concedervi dei bagni di sole primaverili lungo le coste del Mediterraneo, toccando mete affermate di grande interesse culturale, storico e artistico. Viaggiare molto spesso vuol dire coniugare il relax con la conoscenza di nuove culture. Questa crociera è l’ideale per chi vuole riposarsi senza rinunciare alla scoperta delle bellezze del passato. Visiterete Atene, una delle città più ricche di storia al mondo, importantissima per il suo patrimonio di arte e cultura; Dubrovnik nota per le sue bellezze artistiche ed architettoniche e infine Santorini e Corfù, due isole affascinanti, vere perle del Mediterraneo. Un viaggio che vi conquisterà e regalerà momenti indimenticabili.

Alzheimer, i problemi alle gengive ne aumentano il rischio Soffrire di parodontite, l’infiammazione delle gengive, aumenta del 70% la probabilità di contrarre il morbo di Alzheimer: Lo rivela uno studio dell’Università di Taiwan che ha osservato per 16 anni oltre 9000 volontari con problemi gengivali e 18’000 con gengive sane. La ricerca ha inoltre messo in luce che i problemi alle gengive aumentano anche il rischio di depressione e di disturbi al cuore.

valore l e d s o r rta Mig il 5.2.2018 a c 1 , cabina azioni entro a o i g g not ma M In o 50.– con pre di CHF

Desidero prenotare la crociera di Pasqua lungo le coste del Mediterraneo:

Nome Cognome Via NAP Località Telefono e-mail

La nave Costa Deliziosa

Equipaggiamento: le cabine spaziose dispongono di bagno o doccia/WC, climatizzazione, TV, telefono, mini-

Il programma di viaggio 1 giorno – Venezia imbarco ore 17.00 2 giorno – Bari 14.00 – 20.00 3 giorno – Corfù 09.00 – 14.00 4 giorno – Santorini 12.00 – 19.00

Ossigeno per risvegliare il cervello Mettere in camera iperbarica chi ha avuto un infarto si è rivelata una cura interessante: respirare ossigeno puro al 100%, e non al 21% come nell’ambiente, sembra infatti rilanciare la formazione di nuovi neuroni. Sono questi i risultati di esperimenti condotti all’Ospedale Pasteur di Nizza, in Francia, su una ventina di pazienti. Finora la camera iperbarica era stata usata per incidenti da decompressione nei subacquei e per patologie croniche come le piaghe dovute ai trattamenti di radioterapia.

Tagliando di prenotazione

Pasqua in Crociera Per i lettori di «Azione», Hotelplan organizza dal 1° all’8 aprile 2018

un interessante itinerario nel Mediterraneo

Medicina e dintorni

Marialuigia Bagni

L’interno della Niro EV. (CES, Las Vegas)

biente ma anche un mezzo dotato di molte tra le ultime tecnologie. Inedito l’Active Pedestrian Warning System (APWS). Come funziona? Attraverso i sensori e le telecamere di bordo l’auto è in grado di individuare pedoni e ciclisti sulla traiettoria del mezzo e di inviare un fascio di luce e un avvertimento sonoro per segnalare la pre-

Notizie scientifiche

5 giorno – Atene 07.30 – 14.00 6 giorno – Dubrovnik 08.00 – 13.00 7 giorno – Navigazione 8 giorno – Venezia sbarco ore 09.00

bar, cassaforte, asciugacapelli, servizio in cabina 24h/24. La nave offre 4 ristoranti (di cui 2 a pagamento su prenotazione), 11 bar, di cui un Cigar Bar e un Coffee & Chocolate Bar, 3 piscine (una con copertura semovente), 4 vasche idromassaggio, centro benessere. Momenti di svago: la sera spettacoli presso il teatro e musica nelle varie sale. Casinò e discoteca. Di giorno sono previste varie attività per adulti e bambini. Discipline sportive e benessere: pista di jogging, campo polisportivo. La Spa Wellness Samsara di 3500 mq su

Bellinzona

Lugano

Lugano

Viale Stazione 8a 6500 – Bellinzona T +41 91 820 25 25 bellinzona@hotelplan.ch

Via Pietro Peri 6 6900 – Lugano T +41 91 910 47 27 lugano@hotelplan.ch

Via Emilio Bossi 1 6900 – Lugano T +41 91 913 84 80 lugano-viabossi@hotelplan.ch

Sul sito web www.azione.ch/concorsi » continua il «Quiz Hotelplan gio viag ni buo In palio da 100.– franchi. Buona fortuna!

due piani, con palestra, piscina per talassoterapia, sale trattamenti, sauna, bagno turco e solarium UVA.

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Prezzi Prezzo per persona in cabina doppia interna Premium: CHF 1170.–. Prezzo per persona in cabina doppia esterna finestra Premium: CHF 1320.–. Prezzo per persona in cabina doppia esterna balcone Premium: CHF 1490.–. La quota comprende Trasferimenti in torpedone dal Ticino a Venezia e ritorno, sistemazione nella cabina prescelta, trattamento di pensione completa, utilizzo di tutte le attrezzature della nave e partecipazione

alle attività di animazione a bordo, tasse portuali. La quota non comprende Spese di dossier Hotelplan CHF 70.–, quote di servizio obbligatorie da pagare a bordo (€ 10 per persona al giorno); bevande ai bar e ai pasti; escursioni ed i tour organizzati; assicurazione annullamento CHF 91.– per persona, adeguamento carburante e valutario e ogni extra non menzionato nella voce «la quota comprende».


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 29 gennaio 2018 • N. 05

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Ambiente e Benessere

La rabbia non è debellata

Mondoanimale Si rinnova la campagna mondiale di lotta contro questo virus trasmissibile all’essere umano

Maria Grazia Buletti Si ritorna a parlare di rabbia. Lo fa ogni anno l’Organizzazione mondiale della sanità animale (Oie), sodalizio intergovernativo responsabile del miglioramento della salute e del benessere degli animali in tutto il mondo. Se ne parla non solo nel mese di settembre, quando l’Oie propone la Giornata mondiale contro la rabbia. Se ne parla sempre e a livello mondiale per sensibilizzare sul fatto che la rabbia è una malattia trasmissibile all’uomo, e per non dimenticare che è mortale ed è diffusa ancora in tutto il Mondo, anche se la Svizzera ne è indenne. Ne parliamo durante tutto l’anno anche nel nostro Paese ogni qualvolta ci troviamo nella condizione di viaggiare con i nostri animali da compagnia, cani, gatti e furetti. «Poiché questi animali possono contrarre la rabbia, per i viaggi con loro si applicano prescrizioni specifiche volte a prevenire la diffusione di tale malattia in Svizzera», così l’Usav (Ufficio federale sicurezza alimentare e veterinaria) invita a informarsi sempre attentamente e per tempo prima di intraprendere un viaggio con il proprio animale domestico. Una cosa deve essere assolutamente chiara: «La rabbia è una malattia mortale sia per gli animali sia per l’essere umano. Gli animali da compagnia come cani, gatti e furetti possono contrarla e trasmetterla ai loro proprietari. Se non è trattata tempestivamente, questa malattia ha pressoché sempre esito letale», afferma l’Usav senza mezze misure, confermando comunque che la Svizzera è indenne a tutti i tipi di rabbia, ad eccezione della

Giochi Cruciverba Qual è il nome dell’animale ritratto nella foto? Di dove è originario? Come si chiamano le sue corna? Avrai la risposta a tutte queste domande risolvendo il cruciverba e leggendo nelle caselle evidenziate! (Frase: 5 – 3, 5 – 8)

rabbia dei pipistrelli, che può comparire sporadicamente. Malgrado la buona notizia, in Svizzera non ci si può permettere di dormire sugli allori: «Sebbene il nostro Paese sia attualmente indenne dalla rabbia, in diverse nazioni, anche in Europa, vi sono rischi per il nostro animale di contrarla. Di conseguenza, l’introduzione di cani, gatti e furetti resta strettamente controllata e, in caso di viaggio, a seconda del rischio di rabbia presente nel Paese di destinazione, le regole applicabili all’uscita dal Paese possono differire dalle prescrizioni di rientro in Svizzera». L’Usav ricorda che, per la sicurezza dei proprietari, gli animali possono essere posti sotto sequestro se non soddisfano le disposizioni previste. Questo 1 2 confronti 3 4 una 5malattia rigore nei di letale è comprensibile e ci impone di informarci bene quando varchiamo 10 la frontiera con un nostro animale domestico, perché secondo il paese di destinazione (e poi di rientro in Svizzera) 12 13 vigono precise e insindacabili regole. Come destreggiarsi per non sba14 e soprattutto per non mettere 15 gliare a repentaglio la nostra salute e quella del nostro animale è presto 17 18detto: tramite il suo supporto online, l’Usav fornisce tutte le informazioni necessarie per 19 con il proprio anitornare in Svizzera male da compagnia senza imbattersi in spiacevoli inconvenienti. 20 Innanzitutto vale la pena consultare la lista dei Paesi dove la rabbia è ancora presente e21 le relative disposizioni 22 in vigore. Può venire in aiuto anche il Centro svizzero della rabbia il cui di23 rettore Reto Zanoni è responsabile della diagnosi della rabbia in esseri umani

Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch

Giochi per “Azione” Gennaio 2018 Stefania Sargentini

(Gioco di Capodanno inviato nel le dei gioch

(N. 1 - In Canada - Millenovecento trenta) 6

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I N C I S A 11 D I A N A I O L E N 16 L B A P E L E T A R All’estero è importante conoscere le disposizioni in vigore per gli animali. (Keystone) e animali, nonché della verifica siero- ad Ianimali sospetti Ndi aver Ocontratto T la A logica per la vaccinazione antirabbica rabbia. Più correntemente, il dottor Zanella medicina umana e veterinaria. In noni è a disposizione per delucidazioni A viaggi G all’estero I R E di caso di necessità, egli può dare consu- inerenti e al traffico lenza a medici, veterinari, autorità e animali con profilassi pre e post esposipersone coinvolte su tutte le tematiche zione Scheme). C (Pet TravelE TEgli ricorda N relative a questa malattia, e in parti- le regole più elementari, che comunque colare in relazione all’esposizione di si possono dapprima discutere con il esseri umani (in Svizzera e all’estero) veterinario I Ndi fiducia: T «Per E portare R in N

N I V E O

M O C C I O S A

A I E L O N N T

F E L P E

Vinci una delle 3 carte regalo da 50 franchi con il cruciverba SUDOKU PER AZ e una delle 2 carte regalo da 50 franchi con il sudoku (N. 2 - Okapi - Del Congo - Ossiconi) 1

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Soluzione:

4 2 9 Scoprire i 3 numeri corretti da inserire nelle 6 8 2 4 caselle colorate. SUDOKU PER AZIONE - DICEMBRE 2017

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N. 1 FACILE B R Schema O K E R

Sudoku

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ORIZZONTALI 1. Agente di Borsa 6. Insenatura costiera 7. Due di coppe 9. Dei ganci… sinistri 10. Nome femminile 11. A fin di bene 12. Il loro mare non piace... 13. Alberi simili a querce 17. Si metteva al collo dei condannati 18. Anagramma di gaio 19. Bosco tagliato periodicamente 20. Essenza cosmica nella filosofia cinese 21. È un raggio di luce 23. Le iniziali della conduttrice D’Amico 24. Simbolo chimico del cobalto 25. Valutazioni di beni 27. Privo di attitudine 28. Possono essere essenziali...

viaggio cani, gatti e furetti sono necessari almeno un passaporto per animali da compagnia, un contrassegno (microchip) e una vaccinazione antirabbica valida. Tuttavia, per essere in regola, è necessario osservare le prescrizioni del Paese di destinazione, mentre per il rientro in Svizzera devono essere soddisfatte le relative condizioni». Attenzione alla partenza, ma anche al ritorno che consente di far rientrare in patria un massimo di 5 esemplari (a titolo privato e non di commercio), eccezion fatta per animali da concorso internazionale per i quali devono essere prodotte le relative carte con l’autorizzazione dell’Usav. Precise sono pure le disposizioni circa l’importazione di cuccioli (relative all’età dell’animale) che entrano da Paesi terzi: «In ogni modo, gli animali devono essere obbligatoriamente prima contrassegnati correttamente, poi vaccinati contro la rabbia ed essere accompagnati dai necessari documenti». Al rientro da Paesi a rischio, si applicano altri oneri, fra cui esami del sangue, termini di attesa più lunghi, autorizzazioni di importazione. Prima di recarsi dalla Svizzera all’estero con il proprio animale bisogna perciò assicurarsi che siano soddisfatte tutte le condizioni di reimportazione, altrimenti si rischia che l’animale venga respinto alla frontiera. Infine, oltre alla preziosa consulenza del veterinario di fiducia, si può far capo a tutte le indicazioni delle condizioni di importazione e i necessari documenti elencati nell’aiuto online di USAV: Varcare la frontiera con cani, gatti o furetti (http://blv.bytix.com/ plus/dbr/default.aspx?lang=it%20).

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R A D A M I 5 4 3 N E 2 N. 45 FACILE L E C C I G 8 5 9 Schema O 3C E 4A7 G5 9 I 2 8 1 6 5 1 T A O L A S 4 9 13 9 3 4 6 S 6 2I 9 D 5 C O4 8 6 9 8 1 7 9 Giochi perI “Azione” Gennaio 9 T2018 T 3 O E 3 5N 1 7 Stefania Sargentini N. 2 MEDIO

I vincitori

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A G U 5 O G 3 Soluzione D U 4 7 67 5 3 6 3 9 4 2 8 7 E R S 7 41 2 8 4 6 5 1 6 5 2 8 7 9 T I M E 2 99 4 7 5 3 5 1 5 8 3 1 6 2 4 7 O 6 L 2I 3 4 8 6 5 9 2

2 1 3 6 4 5 8 Soluzione settimana (Gioco di Capodanno nelprecedente le dei giochi festivi) 7della inviato 6 2 9

VERTICALI 22. Un numero 1. Brevi composizioni musicali 24. Le iniziali dell’attore Eastwood PRIMI CLASSIFICATI! – Paese: IN CANADA – 1 4 6 2. Un metallo 26. dell’attore Lopez Anno: MILLENOVECENTOTRENTA. (N. Le 1 -iniziali In Canada - Millenovecento trenta) N. 46 MEDIO 3. Alati carmi 1 2 3 4 5 6 7 8 9 4. Finiscono la vodka I N C I2 S A 2 N A I F 10 1 Fiume2dell’Europa 3 centrale 4 5 6 7 11 8 5. 3 D6 I A N9 A M I E L E 8. Oggetti in coppia 12 13 2 7 1 I O L E N O V O L 3 10. 15 16 9 Auspicio per le feste 10 14 9L B A 12. Una gonna a campana Vincitori del concorso Cruciverba P E2 C E N P 17 3 2 su «Azione18 03», del 15.01.2018 13. Elementi del perimetro L1 E T 6 A4 R C O N T E L. Del 19 Signore, M. Bernasconi, 14. 11 L’arcipelago di Favignana 12 7 I N O T A5 I 15. Pronome dimostrativo U. Pongelli 5 20 3 6 2 A G I R E8 O Vincitori del concorso Sudoku 16. Due di cuori 13Si usa a scuola 14 15 21 22 17. su «Azione 03», del 15.01.2018 16 C4 E T 9N S 7 6 23M.G. Esposito, E. Albrici-Melera 19. Le iniziali dell’attore Amendola 5 T E1 R3 N A I N 21. 17 Scampò alla distruzione di Sodoma 18

(N. 3 - ... sessanta euro a seduta)

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 29 gennaio 2018 • N. 05

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Politica e Economia Miracolo alla portoghese Il premier Costa in due anni è riuscito a far decollare il Paese. Con grande sorpresa della Ue

Verso il 4 marzo italiano Nessuna delle forze in campo sembra per ora in grado di imporsi: poiché il consenso si divide in tre parti più meno equivalenti, centrosinistra, centrodestra e movimento Cinque stelle, è improbabile che una delle tre raggiunga una consistenza che possa permetterle di governare da sola

Diritti umani Il rapporto 2018 di Human Rights Watch (HRW) risuona come un monito contro autoritarismi e populismi, derive a livello planetario

SSR, futuro da reinventare Anche se la No Billag venisse respinta, la radiotelevisione pubblica dovrà tener conto di un contesto mediatico mutato

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AFP

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La battaglia di Afrin

Ramo d’ulivo Con l’operazione anti-Pkk in Siria, il turco Erdoğan conferma che la sua strategia geopolitica guarda

non all’Occidente ma all’Asia profonda. E che il legame con la Russia e l’Iran è la risposta all’ostilità americana Lucio Caracciolo Il 20 gennaio le Forze armate turche hanno scatenato un’offensiva contro la cittadina siriana di Afrin, nel nordovest del Paese (foto). Si tratta di una posizione strategica collocata a ridosso del confine turco e a una quarantina di chilometri da Aleppo. Afrin è attualmente difesa da circa 10 mila combattenti curdi, appartenenti alle Unità di protezione del popolo (YPG), a loro volta afferenti al Partito siriano dell’unità democratica (PYD): per Ankara nient’altro che locali travestimenti del Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK) operante in Anatolia, dunque organizzazioni terroristiche. I turchi si sono mossi in grande stile. Erdoğan ha mobilitato circa 40 mila uomini, con un imponente supporto di artiglieria e di aerei. Tutto lascia prevedere che la resistenza curdo-siriana sarà dunque vinta. Qual è il senso di questa operazione dal punto di vista di Ankara e come reagiscono le altre potenze coinvolte nel caos siriano? L’operazione «Ramo d’ulivo» – così

definita dal quartier generale delle Forze armate turche – su Afrin è stata decisa come extrema ratio da Erdoğan, che avrebbe voluto volentieri farne a meno. La scelta di intervenire è dovuta all’offensiva che in quella stessa zona era stata avviata dalle truppe di Damasco, con l’obiettivo di impadronirsi di un’area strategica e di alleggerire la pressione delle forze ribelli contro le zone controllate dal regime. Questo non poteva essere tollerato da Erdoğan. Il presidente turco, che già ha fallito nel tentativo di rovesciare il regime di Bashar al-Asad, e che anzi si è dovuto accomodare alla permanenza al potere del suo ex alleato siriano, non poteva perdere la faccia consentendo che formazioni terroriste curde costituissero un fronte unico con i loro confratelli in Anatolia. Prima di lanciare l’offensiva, Erdoğan ha mandato un suo inviato a Mosca per chiedere e ottenere dai russi di sgombrare la zona, dove avevano infiltrato alcuni reparti militari. Putin ha accettato, consapevole che in questo momento la Turchia è un utile alleato in funzione anti-americana. Anche gli

iraniani, che avrebbero voluto evitare questa nuova penetrazione turca in Siria, hanno dovuto prendere nota del fatto compiuto, solo chiedendo ai turchi di non andare oltre. Per l’Iran infatti il mantenimento del controllo indiretto sulla Siria, o meglio su ciò che ne resta, è assolutamente fondamentale: senza quel territorio l’«impero persiano» perde la connessione al Mediterraneo e agli alleati libanesi di Hezbollah. Si ricompone così la strana intesa del Gruppo di Astana, che vede insieme, paradossalmente, paesi non propriamente amici nella storia e sempre diffidenti gli uni degli altri, quali Turchia, Iran e Russia. Ma in questo momento le tre potenze hanno in comune la necessità di difendere le proprie posizioni rispetto alla presenza americana nell’area. Sul fronte interno turco, la propaganda batte la gran cassa per presentare la nazione come unita intorno al suo comandante in campo, il presidente Erdoğan. Per il quale l’avanzata su Afrin rappresenta comunque un modo per riunire un Paese che aveva diviso

con il referendum sul presidenzialismo, al punto di costringere anche il capo del principale partito d’opposizione (CHP) ad aderire all’impresa in nome della patria. Inoltre, in tal modo Erdoğan ha confermato agli americani che in questa fase la sua geopolitica non guarda all’Occidente ma all’Asia profonda. Il governo turco diffida della manipolazione americana dell’opposizione curda in chiave anti-Ankara e considera gli Stati Uniti, o quantomeno la loro intelligence, fattore determinante di appoggio alla resistenza curda. Come ha commentato seccamente il ministro degli Esteri russo Lavrov: «Le attività unilaterali degli Stati Uniti hanno fatto arrabbiare la Turchia». Occorrerà vedere nelle prossime settimane quali effetti la battaglia di Afrin potrà avere sugli assetti complessivi di ciò che resta dello Stato siriano. Attualmente il governo di Damasco controlla la maggior parte del territorio e si considera di fatto vincitore. Restano però le aree settentrionali e occidentali del Paese sotto controllo curdo e resistono anche alcune zone, sia pure minori,

in mano allo Stato Islamico. Inoltre sia a nord che a sud i ribelli di vario colore, alcuni dei quali sostenuti dagli Stati Uniti e dagli occidentali, continuano a minacciare la vasta area intorno a Damasco, ancora non perfettamente controllata dalle truppe governative. Né si può escludere che la battaglia di Afrin possa riaccendere i combattimenti nella stessa città di Aleppo, o di ciò che ne resta. Nel dicembre scorso il presidente russo Vladimir Putin ha dichiarato vittoria in Siria. Un successo di notevole importanza anche dal punto di vista domestico, considerando che fra un paio di mesi si vota per il presidente della Federazione Russa. Questa vittoria, sia pure parziale e provvisoria, non sarebbe stata possibile senza l’intesa con la Turchia. Turchi e russi non saranno mai veri alleati. Ma non si contano le occasioni nella storia quando paesi nemici o quantomeno non amici si trovano sullo stesso fronte in nome di interessi contingenti. Resta da capire come si collochi la Nato in questo frangente, visto che la Turchia ne resta parte, sia pure inaffidabile.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 29 gennaio 2018 • N. 05

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Politica e Economia

Il modello portoghese

Notizie dal mondo

Rinascita economica Il governo delle sinistre del premier António Costa in due anni

è riuscito quasi miracolosamente a risollevare il Paese quando era a un passo dal baratro, attirando l’interesse di Bruxelles

Gabriele Lurati A Lisbona nessuno avrebbe scommesso un solo centesimo sulla sua durata. Quando nel novembre 2015 l’ex sindaco della capitale lusitana, il socialista António Costa, formò il governo delle sinistre unite, lo scetticismo era largamente diffuso. In un Paese dove storicamente i vari partiti della sinistra sono sempre stati divisi e alle prese con guerre fratricide, la nascita di un esecutivo socialista sostenuto da tre componenti con anime diverse (i comunisti del PCP, il «Blocco di sinistra» e i Verdi) era visto con perplessità o persino deriso. L’opposizione di destra affibbiò al nascente governo il nome spregiativo di «geringonça» (una parola usata in genere per definire un aggeggio obsoleto e difettoso), tanto erano scarse le possibilità di riuscita di António Costa. Invece, a distanza di poco più di due anni, tutti i pronostici sono stati clamorosamente smentiti e il modello portoghese comincia a destare interesse in tutta Europa. Le alte sfere di Bruxelles stanno prendendo atto che il Portogallo si è ripreso sul piano economico con una ricetta diversa da quella dell’austerità tanto predicata dalla Commissione Ue, mentre i vari partiti della sinistra europea «invidiano» ai colleghi lusitani questa coalizione progressista compatta e vincente che rappresenta un’eccezione in un’Europa dove la maggioranza degli esecutivi è di altro colore politico. Costa è riuscito far dimenticare gli anni duri e la sensazione di umiliazione vissuta dal Paese con l’intervento della Troika (Ue, Bce e Fmi) che nel 2011 imposero misure di lacrime e sangue in cambio di un prestito di 78 miliardi di euro. Nei successivi quattro anni il governo del premier conservatore Pedro Passos Coelho applicò alla lettera le raccomandazioni della Troika basate essenzialmente solo sul rigore economico e su una politica di austerity (fatta di privatizzazioni di aziende pubbliche e durissimi tagli nel settore sociale e delle pensioni), fino a che nel 2015 gli è subentrato il leader dei socialisti António Costa, che sta seguendo anch’egli una politica economica rigorosa, ma differentemente distribuita. Il suo governo ha in effetti tenuto in ordine i conti pubblici, come chiedono le istituzioni europee, ma contemporaneamente ha adottato politiche progressiste e di sinistra, che hanno dato respiro ai settori della popolazione più colpiti dalla crisi. In soli due anni il governo di Costa ha così dimezzato la disoccupazione (portandola dal 17 all’8,2%), ha aumentato il salario minimo (da 485 a 557 euro), ha portato il deficit pubblico sotto il 2%, ha messo fine all’era delle privatizzazioni forzate (come quella della compagnia aerea di bandiera TAP) pur aprendosi ai capitali stranieri (in particolare a investimenti provenienti dall’America Latina, Cina

Il premier portoghese António Costa e Angela Merkel, insieme al summit europeo del 20 ottobre a Bruxelles. (AFP)

e Russia). Tutto ciò ha generato una forte ripresa economica (il Pil cresce del 2,5%) trainata dalle esportazioni e dal turismo che sta vivendo un proprio «boom»: nell’ultimo anno vi sono stati più di 12 milioni di turisti in un Paese che ha solo 10 milioni di abitanti. E proprio questo settore, oltre che essere un importante volano per l’economia lusitana, è stato recentemente al centro dell’attenzione di vari media. In effetti il Portogallo è diventato una sorta di «paradiso fiscale» per pensionati. Sono moltissimi i cittadini europei che, al termine della loro vita lavorativa, decidono di andare a vivere nel Paese lusitano grazie a una legge speciale che permette un’esenzione fiscale della durata di 10 anni. Più di 50’000 persone, di cui una buona parte è composta da coppie di italiani, hanno sfruttato al volo questa nuova opportunità. Il Portogallo è così diventato la terra promessa per gli «over 65» che vengono attirati dal clima mite, dal mare, dal buon pesce e dai prezzi bassi ma, soprattutto, dalla possibilità di poter incassare al lordo la loro pensione. Così facendo il Portogallo è riuscito a rilanciare anche il settore immobiliare che sta sperimentando di nuovo una crescita notevole, con i prezzi delle case che stanno ritornando ai livelli pre-crisi del 2007. A Lisbona, per esempio, il business dei lavori di ristrutturazione degli edifici si sta imponendo in buona parte della città, con buona pace di chi trovava la capitale lusitana affascinante proprio per quel suo tipico aspetto malinconico e decadente. Tuttavia è soprattutto lungo il litorale atlantico che si dirigono la maggior parte degli investimenti stranieri. In particolare è nell’estremo sud del Paese, nell’Algarve, dove il settore immobiliare sta ritrovando il dinamismo economico di dieci anni fa. L’artefice di questa rinascita economica è il ministro delle Finanze Mario Centeno, che è riuscito a cambiare il

paradigma classico dell’austerità, spostando l’attenzione dalla quantità alla qualità della spesa pubblica. In questi ultimi due anni di governo socialista non vi è stata perciò la necessità di tagliare i trasferimenti sociali o di ridurre la spesa sanitaria e pensionistica, ma si è ottenuto ugualmente un rilancio dell’economia. Anche sulla base di questi ottimi risultati, Centeno è dal 13 gennaio scorso il nuovo presidente dell’Eurogruppo, il centro di coordinamento europeo che riunisce i ministri delle Finanze dei 19 paesi che adottano la moneta unica, precedentemente guidato dall’olandese Jeroen Dijsselbloem. Centeno, con un profilo più tecnico che politico visto che è un economista che ha lavorato prevalentemente solo come alto funzionario dello Stato nel Banco de Portugal, è ora chiamato ad imprimere un’inversione di rotta alla politica economica dell’Eurozona dopo anni di politiche filotedesche. La sua nomina a capo dell’Eurogruppo è un altro aspetto di questa rinascita portoghese che sta mietendo successi anche a livello diplomatico internazionale. Da più di un anno infatti il veterano ex primo ministro António Guterres è il segretario generale dell’Onu Il Portogallo dunque, pur essendo un Paese considerato marginale in Europa e relativamente piccolo, è riuscito a esportare le sue migliori personalità politiche al di fuori dei suoi confini, mettendo due lusitani ai vertici di istituzioni di rilevanza mondiale come è il caso di Guterres o come è stato in passato con José Manuel Durão Barroso (per dieci anni presidente della Commissione europea, dal 2004 al 2014). Non mancano però i problemi strutturali in Portogallo che nemmeno le politiche del premier António Costa ha potuto risolvere nel breve periodo. Il debito pubblico rimane sempre molto alto (attorno al 130% del PIL), il sistema bancario è ancora traballante nono-

stante negli anni scorsi alcune banche siano state salvate grazie al ricorso a fondi europei, la creazione di impiego è di tipo precario (il 63% dei nuovi contratti sono a tempo determinato) e i salari bassi (la paga media è di 646 euro al mese). Anche le infrastrutture del Paese rimangono per certi versi obsolete. Un esempio è stata l’ondata di incendi scoppiata nell’estate scorsa che causarono più di un centinaio di morti ed evidenziarono le debolezze sistemiche del Portogallo. Il governo di Costa fu messo sotto accusa perché non seppe prevenire e gestire la tragedia. Il suo esecutivo e il suo partito furono messi in discussione ma, dopo aver superato una mozione di censura in Parlamento, hanno recuperato forza vincendo le elezioni municipali dell’ottobre scorso nei maggiori centri del Paese e adesso il partito socialista primeggia nei sondaggi in intenzioni di voto (42% contro il 27% dei conservatori del PSD). Il successo più importante di António Costa comunque è forse quello ottenuto in termini di immagine. In soli due anni è riuscito a cancellare l’idea di un Portogallo come pecora nera dell’Ue, convertendolo in un modello di riferimento di cui parlano i media internazionali e a cui si ispirano ora i partiti di sinistra di tutta Europa. Il Paese lusitano sembra inoltre indicare a quei partiti progressisti dell’Ue che in questi anni hanno preferito governare in coalizione con partiti di centro-destra perdendo però consensi (vedi Italia e Germania), che c’è ancora spazio per una vera politica di sinistra. L’esperimento della «geringonça» non è dunque fallito e funziona. E questo l’hanno capito per primi i mercati finanziari che stanno scommettendo da un anno sul Portogallo, tanto che lo spread portoghese ha raggiunto poche settimane fa i minimi storici. Questo è stato forse il suggello al coraggio innovatore di António Costa che ha saputo creare un piccolo miracolo economico.

Apple sfrutta il taglio delle tasse di Trump e riporta negli Usa 38 miliardi di guadagni all’estero La riforma fiscale di Donald Trump funziona. Per lo meno sta dimostrando la sua efficacia nel centrare i due obiettivi principali: aumento degli investimenti e rimpatrio dei profitti parcheggiati all’estero. L’ultima conferma arriva da una regina dell’economia digitale, Apple. L’azienda fondata da Steve Jobs e guidata da Tim Cook ha annunciato che pagherà ben 38 miliardi di dollari di tasse in «repatriation tax», l’imposta forfettaria ad aliquota ridotta che accompagna il condono per il rientro dei capitali negli Stati Uniti. L’ultimo dato ufficiale attribuisce all’azienda un tesoro estero di 252 miliardi di dollari, molti dei quali parcheggiati in Irlanda. La «tassa scontata» sul rimpatrio ha un’aliquota del 15,5%. È pagabile a rate, in otto anni. La convenienza è aumentata dall’opportunità di versare l’imposta solo al fisco americano – viste le condizioni favorevoli – avvalendosi così delle regole contro la doppia imposizione per sfuggire alle pretese del fisco europeo. Cook ha detto che intende investire negli Stati Uniti ben 350 miliardi in un quinquennio; e che i primi 30 miliardi di investimento andranno a creare 20’000 posti di lavoro, ivi compreso con la costruzione di una nuova sede («campus», secondo l’abitudine della Silicon Valley di usare il termine delle università). La riforma fiscale è stata varata subito prima di Natale, e già si susseguono questi annunci. Anche Sergio Marchionne ha annunciato che la sua Fca chiuderà un’attività produttiva in Messico per rimpatriarla negli Stati Uniti (Michigan) e anche in quel caso è stato citato l’impatto delle nuove regole fiscali. Che hanno ridotto anche l’aliquota sugli utili: dal 35% al 21%. Per il rimpatrio di capitali esteri il termine condono è usato per semplicità, ma in realtà i capitali si trovavano all’estero in modo legale, stanti le normative Usa. In base a una stima della banca Goldman Sachs, le società americane quotate in Borsa che compongono il listino S&P500 hanno 920 miliardi di dollari all’estero, parcheggiati in situazioni sostanzialmente «esentasse», ma che possono avere convenienza a sfruttare quest’opportunità di rientro. Per la Goldman Sachs almeno 250 miliardi sono destinati a rientrare, ma questa sua previsione era stata formulata prima dell’annuncio di Apple. Un’altra stima della Citigroup, che si riferisce alla totalità delle imprese Usa, arriva a calcolare 2500 miliardi di capitali all’estero. Anche un successo soltanto parziale del condono per il rimpatrio può dare alla crescita americana una marcia in più, proprio come promesso dal presidente che su questo è riuscito ad accordarsi con la sua maggioranza repubblicana al Congresso. (Dal Blog di Federico Rampini Estremo Occidente) Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 29 gennaio 2018 • N. 05

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Politica e Economia

Incognita elezioni

Italia Il 4 marzo si voterà per il rinnovo di Camera e Senato,

ma nessuno degli schieramenti sembra avere i numeri per prevalere: all’orizzonte ipotesi di improbabili coalizioni Alfredo Venturi Una campagna aspra e sovreccitata, piena di promesse impossibili da mantenere e di alleanze imposte dalle circostanze ma tutt’altro che indolori, sta portando l’Italia all’appuntamento del 4 marzo, quando si rinnoveranno Camera e Senato, mentre gli elettori di alcune regioni, fra le quali Lombardia e Lazio, eleggeranno anche gli organismi locali. Poiché il consenso si divide in tre parti più meno equivalenti, centrosinistra, centrodestra e Movimento cinque stelle, è improbabile che una delle tre raggiunga una consistenza che possa permetterle di governare da sola: anche se ovviamente tutti parlano di vittoria a portata di mano. E così sulle riluttanti alleanze pre-elettorali si sovrappone la prevedibile necessità di coalizioni postelettorali ancora più problematiche, alla quale si sottraggono solo i Cinque stelle, da sempre refrattari ad accordarsi con la «casta» dei partiti. Tuttavia anche loro si dicono pronti, oltre che a governare il paese in prima persona, a non rifiutare soccorsi esterni, insomma ad accogliere i voti di tutti coloro che ritengano di poter accettare singole proposte di legge. Nonostante questa timida apertura, la prospettiva del governo a Cinque stelle guidato da Luigi Di Maio, informale candidato alla presidenza del consiglio, suscita non poche perplessità. Per la prima volta uno dei maggiori paesi europei sarebbe guidato dalle forze anti-sistema, sia pure nel caso specifico ammorbidite dalla presa di distanza di Beppe Grillo, il padre fondatore che si è rifugiato in un blog tutto suo abbandonando quello del movimento. La possibilità che quest’ultimo agguanti il potere, oltre al declino della popolarità di Matteo Renzi, è fra gli elementi che hanno permesso a Silvio Berlusconi di uscire da anni di isolamento politico e riaffacciarsi alla ribalta italiana ed europea. Nella sua recente missione a Bruxelles si è presentato come argine all’insidia dei Cinque stelle, rassicurando i

vertici dell’Unione europea sulla fedeltà ai trattati e ai vincoli. Compreso il limite del tre per cento sul deficit di bilancio. Ma poiché questa è materia rovente che da sempre fa discutere, il suo principale alleato, il capo della Lega Matteo Salvini, lo ha prontamente contraddetto: il tre per cento? Se ci conviene sforare, sforeremo! È davvero una bizzarra alleanza quella che Berlusconi si sforza di tenere insieme. Poiché lui non è candidabile per via della nota situazione giudiziaria, il segretario della Lega, amico di Marine Le Pen e nemico di Europa e migranti, propone se stesso per la presidenza del consiglio. Facendo così balenare un’alternativa Salvini-Di Maio che certo non è fatta per esaltare Bruxelles. Berlusconi gli risponde che sarà Forza Italia a indicare il nome del capo del governo: i sondaggi non assicurano al suo partito un certo vantaggio sulla Lega? Molte cose dividono i due alleati: per esempio Salvini voleva includere nel programma l’abolizione della legge Fornero sulle pensioni, Berlusconi proponeva una semplice correzione. Alla fine ha ceduto: via la legge Fornero. Del resto l’alleato, che punta le sue carte sul tema esplosivo dei migranti, confida di sbaragliare il campo, persino in quel Mezzogiorno che la ex Lega Nord indicava un tempo come palla al piede dell’Italia. Il furore leghista sulla questione migratoria è tale da indurre Attilio Fontana, candidato alla presidenza della Lombardia, a parlare della necessità di difendere la razza bianca. Sta di fatto che il tema migranti, declinato da una parte come accoglienza, dall’altra come invasione, sta dominando la campagna elettorale.È vero che gli sbarchi sono diminuiti dopo gli accordi con la Libia e grazie all’attivismo del ministro dell’interno Marco Minniti, ma il problema resta scottante, così come la posizione geografica dell’Italia che ne fa il primo approdo per chi fugge dall’Africa, e dunque il paese che secondo l’intesa di Dublino deve sbrigarsela da sé.

Mentre Salvini promette che se andrà al governo una delle prime mosse sarà l’espulsione di centomila clandestini, sull’altro fronte si segnala la necessità di modificare la rotta, premendo sull’Unione Europea per un riequilibrio della gestione su scala continentale. L’Europa è l’altro grande tema sul quale si misurano i partiti. Nonostante il passo di Berlusconi a Bruxelles il centrodestra è appesantito dalle rigide posizioni leghiste, mentre lo schieramento opposto invoca maggiore flessibilità e sui migranti una maggiore attenzione al ruolo dell’Italia. Fra gli alleati del Pd c’è anche un movimento dichiaratamente europeista, guidato dall’ex commissaria ed ex ministra degli esteri Emma Bonino. Si chiama Più Europa e sottolinea la necessità di un aggancio senza remore ai destini dell’Unione. Quanto ai Cinque stelle, la concreta prospettiva della conquista di Palazzo Chigi li ha indotti a smorzare i toni euroscettici del passato. Fra i venti punti programmatici che Di Maio si propone di realizzare non c’è traccia di quel referendum per l’uscita dall’euro che fu tra i capisaldi della predicazione grillina. Azzimato e compassato, Di Maio sbaglia qualche congiuntivo ma veste i rassicuranti panni del moderato, sembra voler contraddire anche fisicamente l’immagine barricadiera che caratterizzava il movimento. Sa che la sua inesperienza personale e le inefficienze nei comuni amministrati dai suoi potrebbero penalizzarlo, eppure si dice sicuro del successo. Al tempo stesso, prendendo atto delle previsioni demoscopiche che gli negano la possibilità di governare in beata solitudine, rispetto alla posizione originaria dei Cinque stelle ha voluto la correzione che, pure escludendo la formula delle alleanze organiche, dice addio all’orgoglioso isolamento grillino. Intanto non esita a fare l’occhiolino alla Lega. Bisognerà pur governare in qualche modo, anche a costo di scontentare Grillo. Se l’alleanza di centrodestra, di

Beppe Grillo ha lasciato ai 5 Stelle il suo vecchio blog e ne ha aperto uno nuovo.

cui fanno parte anche Fratelli d’Italia, il partito post-fascista di Giorgia Meloni, e la cosiddetta quarta gamba formata da gruppi centristi, appare così litigiosa, anche l’opposto settore vive giornate febbrili. Con un Partito democratico che i sondaggi registrano in caduta libera, fino a sfiorare l’incubo del dimezzamento rispetto al 40 per cento del voto europeo di quattro anni or sono, gli alleati minori alzano la voce e bisticciano sull’assegnazione dei collegi previsti dalla nuova legge elettorale, un misto di proporzionale e maggioritario che mette a dura prova le strategie dei partiti. Fra i candidati al Senato sarà il segretario del Pd Renzi, che non ha mai fatto parte del parlamento, mentre l’attuale presidente del consiglio Paolo Gentiloni, uomo forte del momento in termini di popolarità, è sempre più considerato il successore di se stesso in caso di affermazione del centrosinistra. Puntando sul contrasto ai Cinque stelle, Gentiloni riconosce implicitamente la possibilità di un governo di coalizione, di cui «saremo il pilastro». Al tempo stesso si dice non interessato a farlo con il centrodestra. Nonostante questa precisazione la prospettiva latente della grande coalizione alla tedesca agita le acque in questa nervosa vigilia elettorale. Se il Pd di Renzi ha perduto consensi a sinistra, in buona parte lo deve al fatto che il suo asse si è nettamente spostato verso posizioni neoliberiste. Le stesse, più o meno, di Berlusconi che non a caso, pur attaccando il Pd e negando ogni intenzione

di «inciucio», riconosce a Renzi il merito di essersi liberato dei «comunisti». Cioè della vecchia guardia proveniente dal Pci, promotrice delle nuove formazioni che insidiano da sinistra il Pd. Una di queste è guidata dal presidente del Senato, l’ex magistrato Pietro Grasso, e appare in grado di ottenere buoni risultati. Naturalmente i Liberi e uguali, così si chiama la formazione di Grasso, contestano che quello di Renzi si possa ancora definire partito di sinistra. Per accalappiare un elettorato smarrito e riluttante, e contenere un’astensione che si preannuncia massiccia, i candidati fanno a gara nel promettere mari e monti. Se si volessero davvero realizzare i programmi sbandierati dai partiti il bilancio dello Stato già in affanno andrebbe a rotoli. Berlusconi parla di flat tax, un’imposta sui redditi con aliquota fissa al 23 per cento. Al ministro delle finanze Pier Carlo Padoan, che ironizza sulla voragine che questa misura aprirebbe nel bilancio, replica dicendo che la sua formula libererebbe risorse per gli investimenti e la domanda interna, e quindi alla fine farebbe aumentare il gettito fiscale... Renzi promette di ridurre di un quarto entro il 2020 l’enorme debito pubblico. I Cinque stelle parlano di reddito di cittadinanza per tutti. Grasso propone di eliminare le tasse universitarie. Fra tanti costosissimi impegni, Salvini promuove invece una misura di risanamento dei conti pubblici: riaprire le «case chiuse» facendo pagare le tasse alle prostitute.

Hu Shuli, si è dimessa la tigre del giornalismo Media La fondatrice di Caixin media era considerata la donna più influente e pericolosa della Cina:

si era forse spinta troppo nel criticare Xi

Giulia Pompili

AFP

La chiamano la Signora più pericolosa della Cina. Il problema è che forse, adesso, non lo sarà più. All’inizio di gennaio Hu Shuli (foto), una delle giornaliste più famose d’Asia, il cane da guardia del business e della politica cinese, si è dimessa. Sessantacinque anni, figlia d’arte, scuole d’eccellenza, la Hu è la fondatrice di Caixin media, un gruppo editoriale che sin dal gennaio del 2010 segue l’economia e la finanza cinese. Non sono ancora chiari i motivi delle sue dimissioni: secondo

un comunicato molto freddo diffuso qualche giorno fa dall’azienda, Hu verrà sostituita nel ruolo di direttore editoriale da Wang Shuo, che è stato il suo caporedattore e braccio destro per anni. «La fondatrice Hu continuerà a servire l’azienda con un ruolo più fumoso, ma manterrà l’incarico di amministratore delegato e di presidente. È la fine di un’èra», scrivono da giorni sui social network gli osservatori di affari asiatici. Perché Caixin in otto anni, e sotto la sua direzione, non solo è diventato uno dei media cinesi più famosi all’estero, ma anche il più temuto all’interno della Cina grazie agli scoop e agli scandali pubblicati senza paura dalla sua direttrice. Ed è riduttivo parlare soltanto di un giornale: fanno parte infatti del gruppo editoriale quattro magazine («Caixin Weekly», «Century Weekly», «China Reform» e «Comparative Studies») oltre a siti internet, incontri annuali e spazi televisivi. Una potenza di fuoco notevole per una donna che ha sempre mantenuto saldi i suoi rapporti con l’establishment cinese senza però mai smettere di criticarlo, o di evidenziarne le collusioni con il malaffare e le storture. Nata a Pechino, la passione per il giornalismo, Hu l’ha ereditata dalla famiglia. Suo nonno era Hu Zhangchi,

che era stato caporedattore dello «Shen Bao», un noto quotidiano di Singapore pubblicato tra la fine dell’Ottocento e la Seconda guerra mondiale. Sua madre, Hu Lingsheng, era caporedattrice al «Giornale dei lavoratori». In quello stesso giornale Hu fece un praticantato durante gli anni Ottanta, subito dopo la laurea in Giornalismo all’Università del popolo. E poi gli studi all’estero, la corrispondenza dall’America, finché non è arrivato il grande salto. Nel 1998 la Hu si inventa un nuovo magazine, specializzato nelle lunghe inchieste. Si chiama «Caijing» (significa Economia e finanza, in cinese), esce ogni due settimane e pur non avendo una grande diffusione finisce subito sulle scrivanie degli uomini che contano a Pechino. In una lunghissima intervista di Evan Osnos pubblicata nel 2009 dal «New Yorker», Hu racconta il giorno in cui l’editore, Wang Boming, uno dei pionieri del mercato finanziario cinese, le telefonò per dirle che la voleva alla direzione di un suo giornale. Hu gli pose due condizioni: non dovrai mai entrare negli uffici della redazione, e dovrò avere un budget di 250 mila euro per pagare i reporter investigativi. «Caijing» in quegli anni ha messo in pagina scandali e notizie che la stampa più vicina al governo di Pechino non

avrebbe mai pubblicato, e non è mai stato oggetto di censura. Nel 2008, per esempio, «Caijing» mostrò il devastante terremoto dello Sichuan, le carenze nei soccorsi e la pericolosità degli edifici costruiti con materiali non antisismici. Hu ricorda che il governo reagì male a quella pubblicazione, eppure nessuno fu mai punito. «Nel mondo dei giornalisti cinesi – o dei lavoratori delle notizie, come sono conosciuti nel Partito – Hu ha un profilo singolare», scrive Osnos. «È una sempre a caccia di notizie, nel 1989 fu sospesa per alcune sue simpatie per i dimostranti di Piazza Tienanmen, eppure ha coltivato una certa consuetudine con alcuni dei più potenti leader del Partito. Piccola e magra, con un taglio di capelli da folletto e un guardaroba di abiti coloratissimi, di solito si sente prima di essere vista. In redazione il suo arrivo è annunciato dal veloce clic-clac dei tacchi lungo il corridoio. Arriva, fornisce sentenze e idee, e poi esce di nuovo, improvvisa e impetuosa come una folata di vento». Poi nel 2009 le cose si fanno più difficili, il giornalismo «aggressivo» diventa oggetto di critiche da parte dei proprietari del giornale, e Hu Shuli se ne va insieme ad altri 60 membri dello staff. Neanche un anno dopo fonda finalmente Caixin media,

dove poter essere finalmente libera. «È sicuramente la giornalista più importante della Cina», dice Simone Pieranni, giornalista del «manifesto» e coautore del podcast sulla Cina «Risciò», «in teoria, dato che il suo successore è Wang Shuo che è stato caporedattore a lungo e ha forse tanti meriti quanti Hu nel successo di Caixin, non dovrebbe cambiare lo spirito combattivo della rivista. Non so se possa aver influito nell’avvicendamento la sua ultima battaglia, quella contro il miliardario in esilio Guo Wengui. Guo aveva accusato Hu Shuli di essere azionista occulta della società di brokeraggio che Guo tentò di scalare – cosa che poi gli venne impedita anche dagli articoli pubblicati da Hu Shuli. Lei, dal canto suo, di recente aveva chiesto alla corte di New York di “forzare” Guo a mostrare prove, se mai le abbia». In ogni caso, secondo Pieranni, la Hu è una donna che ha conquistato il potere e si è garantita il suo spazio cercando di occuparsi sempre della finanza, e mai di personaggi politici troppo esposti. «Una delle sue fissazioni era la lotta alla corruzione, per esempio, lei era la donna perfetta per la politica anticorruzione del presidente Xi Jinping». Chissà chi sostituirà, adesso, la Signora più pericolosa della Cina.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 29 gennaio 2018 • N. 05

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Politica e Economia

Resistere al populismo HRW È uscito il 28.mo rapporto annuale dell’Ong americana

che in 660 pagine documenta la situazione in 90 paesi del mondo

Manifestazione anti-Duterte: il presidente filippino, in nome della lotta a droga e corruzione, ha di fatto dato tutto il potere agli squadroni della morte. (AFP)

Luisa Betti Dakli Il rapporto stilato da Human Rights Watch (HRW) per il 2018 sulla situazione dei diritti umani nel mondo, presentato pochi giorni fa a Parigi, risuona come un monito esplicito contro autoritarismi e populismi che appaiono come un’ineluttabile deriva a livello planetario. Un avvertimento diretto ai leader politici, soprattutto di quei Paesi che fino a oggi sono stati la roccaforte di tolleranza e rispetto delle differenze, invitati ad allearsi con quei movimenti che oggi rivendicano un’azione politica contro una xenofobia e un razzismo dilaganti.

Secondo il presidente Kenneth Roth l’avanzata dei vari populismi è favorita da una politica tradizionale che sposa idee xenofobe e machiste Nella sua introduzione al Report Kenneth Roth, direttore esecutivo di HRW, indica apertamente gruppi politici con «programmi populisti autoritari» che cercano «di sostituire la democrazia – il governo eletto, limitato dai diritti e dallo Stato di diritto – con la loro interpretazione egoistica», facendola passare come «ciò che la maggioranza desidera». «La lezione centrale dell’anno scorso – afferma Roth – è che i diritti umani vanno protetti dal populismo. Oggi – continua – le reazioni popolari registrate in molti paesi, sostenute in alcuni casi da leader politici con il coraggio di difendere i diritti umani, ha reso molto più incerto il destino di molti di questi programmi populisti. Dove la reazione di contrasto è forte, i progressi populisti sono stati limitati. Ma dove ci si è arresi al loro messaggio di odio ed esclusione, questi stanno prosperando». In questo 28.mo rapporto annuale dell’Ong statunitense di 660 pagine che documentano la situazione in 90 paesi del mondo, si accusano esplicitamente diversi Stati occidentali, tradizionalmente difensori dei diritti, di aver vacillato dando così l’idea a regimi e a forze politiche xenofobe, di poter proseguire indisturbati su questo fronte. In particolare si fa riferimento alle politiche razziste, divisive e misogine del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, a cui però la società civile americana, composta anche di intellettuali, avvocati, giornalisti e giudici, ha risposto in maniera inequivocabile e dove il

movimento delle donne, iniziato con la marcia su Washington e poi con il movimento #metoo, è diventato un movimento globale contro molestie, violenza e discriminazione. In Europa il Regno Unito, secondo HRW, ha confermato con la Brexit il suo disimpegno verso il resto del mondo e in generale l’Unione europea non è stata capace nel suo insieme di arginare la crescita del consenso alle destre estreme in diversi paesi con le loro politiche populiste razziste e misogine, incrinando così il tradizionale ruolo di difensori di un modello democratico in linea con i diritti umani. HRW accusa nello specifico l’Ue di aver fatto finta di niente quando il presidente Recep Tayyip Erdogan ha «decimato il sistema democratico della Turchia», e questo per avere in cambio il suo aiuto ad arginare i rifugiati diretti in Europa. Un’Europa dove «governi populisti autoritari», come quelli di Ungheria e Polonia, continuano il loro processo di limitazione delle libertà dei cittadini a cui fanno fronte le proteste di piazza, come quelle delle donne polacche che continuano a manifestare per porre un freno ai tentativi di togliere di mezzo la già limitata possibilità di accesso all’interruzione di gravidanza. Un vuoto che ha dato la possibilità a Vladimir Putin e a Xi Jinping di mettere in atto indisturbati e senza alcuna critica un altro pericoloso giro di vite per limitare le libertà di espressione che in Cina è stata fortissima nei confronti dei giornalisti. «La loro elusione dalla supervisione pubblica – spiega Roth – attrae l’ammirazione dei populisti e degli autocrati occidentali, e la regressione di molti governi che avrebbero potuto difendere i diritti umani, ha lasciato campo libero ai leader assassini e ai loro sostenitori». Un atteggiamento di disinteresse e disimpegno che in Yemen, Myanmar, Filippine, Sud Sudan, Siria, e tanti altri paesi in cui continuano massacri e persecuzioni, lascia impuniti i crimini commessi. Ci sono però anche esempi virtuosi: primo fra tutti il presidente Emmanuel Macron che, con la sua campagna liberale contro il Fronte nazionale di Marine Le Pen, ha arginato la deriva populista dell’estrema destra in Francia, e paesi piccoli come il Liechtenstein che malgrado il diniego russo nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, ha creato una coalizione facendo passare l’istituzione di un meccanismo per la raccolta di prove atte al perseguimento dei crimini di guerra in Siria; o i Paesi Bassi che, a capo di una coalizione con Canada, Irlanda e Lussemburgo, ha

preteso l’apertura di un’inchiesta Onu sulle aggressioni saudite contro i civili in Yemen. Accanto a loro c’è il primo ministro del Canada, Justin Trudeau, che ha fatto della inclusività e dell’uguaglianza di genere uno dei focus della sua politica, mentre in Tunisia, Giordania e Libano, sono state cancellate norme che permettevano agli stupratori di sposare le vittime per non essere giudicati; ma anche i governi olandese, belga e scandinavo che hanno creato un fondo internazionale per supplire ai tagli statunitensi ai finanziamenti per i programmi di salute riproduttiva per le donne nel mondo. Ma i segnali di ribellione dei movimenti e gli esempi di paesi o leader coraggiosi che HRW elenca come reazione alle derive autoritarie, non sono sufficienti: «Nessuno di questi esempi di resistenza al populismo – dice Roth – è garanzia di successo. Una volta in carica, i populisti hanno il considerevole vantaggio di essere in grado di sfruttare il potere dello Stato. Eppure la resistenza mostra che c’è una lotta in corso e che molte persone non staranno in silenzio mentre gli autocrati attaccano i loro diritti e le loro libertà fondamentali». Roth precisa che la demagogia usa soprattutto il malcontento dovuto alla disuguaglianza economica e sociale causata dalla globalizzazione, la paura dell’invasione culturale e la minaccia terroristica, per alimentare xenofobia, islamofobia e ogni tipo di discriminazione, compresa quella verso le donne e i gruppi sociali più vulnerabili, e per cancellare i valori di tolleranza e rispetto che sono il cuore dei diritti umani ma anche della democrazia. E se l’avanzata di politici e gruppi che demonizzano le minoranze e minano le istituzioni democratiche potrà essere arginata da leader illuminati e da movimenti della società civile, la differenza la farà comunque la politica tradizionale che accettando messaggi di odio, continuerà a facilitare il prosperare di populismi e autoritarismi che sembrano già prendere piede in ogni caso. «Un’equa valutazione delle prospettive globali sui diritti umani – conclude Roth – dovrebbe rappresentare una chiamata all’azione piuttosto che un grido di disperazione. La sfida consiste nel cogliere le considerevoli opportunità che restano per respingere coloro che vogliono distruggere i progressi fatti. Ognuno di noi ha una parte da giocare. L’anno passato dimostra che i diritti possono essere protetti dagli assalti populisti. La sfida ora è quella di rafforzare quella difesa e invertire l’ondata populista».

Messico, record di omicidi

70 al giorno La decapitazione dei grandi

cartelli narcos ha scatenato una vera guerra per riconquistare territori lasciati scoperti Angela Nocioni Mai tanti morti ammazzati in Messico come nel 2017. La media nell’ultimo anno è stata di 70 assassinii al giorno: 25’339 omicidi denunciati in dodici mesi. Una media di tre sequestri quotidiani, 5649 casi di estorsione, una media di 35 stupri denunciati al giorno e 26 rapine con violenza ogni sessanta minuti. Il dato più interessante riguarda l’aumento degli omicidi. È il paradosso della lotta messicana al narcotraffico: da quando ha cominciato ad ottenere risultati la strategia militare contro il narcotraffico, con l’arresto di grossi latitanti, il numero dei morti ammazzati si è moltiplicato. È successo che si è rotto il relativo equilibrio che governava il mondo dei narcos, la spartizione del territorio considerata finora non è più valida e i vari cartelli hanno scatenato una guerra tra loro per aggiudicarsi nuove fette di mercato da sottrarre ad altri. Tra gli arresti e gli omicidi eccellenti quelli dei quattro fratelli Beltrán Leyva (Arturo, Alfredo, Carlos e Héctor), di La Tuta, di Miguel e Omar Treviño Morales. Oggi uomini come Joaquín Guzmán e organizzazioni transnazionali come il Cartello di Sinaloa simboleggiano il passato: in Messico il mercato della droga è fatto ora da gruppi criminali di medio-piccole dimensioni. La transizione è cominciata negli anni Novanta. I principali cartelli dell’epoca (quello di Sinaloa, di Juárez, del Golfo, dei Beltrán Leyva) avevano sentito il bisogno di dotarsi di milizie proprie. Los Zetas, in origine braccio armato del Cartello del Golfo, erano guidate e composte da ex militari dell’esercito messicano. La militarizzazione dei cartelli e la parziale autonomia concessa a questi corpi di difesa hanno finito col ribaltare gli equilibri interni della criminalità organizzata: i professionisti della violenza hanno acquisito sempre più peso degli esperti del contrabbando, fino a rivoltarsi contro i padroni e rendersi indipendenti. I cartelli del Golfo, dei Beltrán Leyva, di Juárez e di Tijuana, ma anche gli Zetas, la Familia Michoacana e i Cavalieri Templari, sono stati frammentati in più bande. Guardando le statistiche ufficiali l’anno peggiore per quantità di omicidi in Messico era finora il 2011, un periodo in cui si sono moltiplicati gli uccisi nel Paese. L’anno scorso il record è stato superato. Sfogliando i dati pubblicati dal governo si nota che negli ultimi 12 mesi, mentre si moltiplicavano gli arresti e le notizie di morte dei grandi capi, il numero degli omicidi denunciati nel Paese andava crescendo. Questo dato è stato usato dal governo di destra di Peña Nieto per an-

nunciare la decisione di formalizzare in norme l’uso già abituale dell’esercito per svolgere compiti di polizia. È quanto prevede la nuova Legge di sicurezza interna, una normativa di emergenza che è stata fortemente criticata da molte associazioni civili, dalle Nazioni Unite e dall’Organizzazione degli Stati americani che denunciano una eccessiva restrizione delle libertà costituzionalmente garantite. Il mondo dei narcos si è riorganizzato di fronte all’offensiva militare del governo, supportata sia tecnicamente che finanziariamente dalla Dea, l’antinarcotici americana. La decapitazione dei grandi cartelli narcos ha provocato una atomizzazione delle bande criminali. Chi uccide oggi alla spicciolata in Messico, per strada, sono essenzialmente piccole bande, frammenti delle grandi organizzazioni che si sono sempre spartite il gigantesco affare della droga. Sono in corsa per affermarsi e intanto cercano di ramificare l’attività criminale. Non solo traffico di droga, quindi, ma anche estorsione, rapina a mano armata, tratta di persone. Il mito dell’esistenza di oasi relativamente tranquille in un Paese squassato dalla violenza armata si è ormai infranto. La leggenda che Città del Messico fosse impermeabile alle grandi azioni militari è definitivamente tramontata l’estate scorsa, quando la parte meridionale della megalopoli è stata paralizzata dal trambusto causato dall’uccisione di un boss. Non sono considerabili più come luoghi estranei al far west quotidiano nemmeno la Bassa California del sud, la perla del Pacifico (negli ultimi cinque anni il numero degli omicidi si è moltiplicato per quattro: dai 35 assassini del 2012 ai 560 dell’anno scorso), e Cancún: omicidi triplicati in un anno solo, dagli 86 del 2016 ai 220 del 2017. Si sono moltiplicati anche i reati direttamente legati al narcotraffico. Nel 2017, per esempio, si sono stati denunciati 5649 casi di estorsione, 1000 in più che nel 2011. Anche i sequestri sono aumentati. La media è di tre al giorno esclusi i sequestri express solitamente realizzati per portare i malcapitati a fare il giro dei bancomat in poche ore per estrarre tutto il denaro disponibile e liberati subito dopo. Le statistiche del governo messicano riguardo agli omicidi partono dal 1997. In quell’anno gli assassini denunciati sono stati 46 al giorno in media. Numero destinato a salire, fino ai 61 al giorno del 2011. Poi inizia un lieve calo. Curiosamente l’anno con il dato totale di omicidi più basso è il 2014, anno che all’estero si ricorda per la notizia di due stragi che ha fatto il giro del mondo: la sparizione di 43 studenti a Ayotzinapa e l’uccisione di 15 civili da parte dell’esercito a Tlatlaya.

Da quando è iniziata la guerra al narcotraffico, i morti si sono moltiplicati. (AFP)


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Politica e Economia

Importante, ma da ripensare

Servizio pubblico – 3. parte I social media non possono sostituire l’informazione professionale, né dei giornali

né della SSR. La radiotelevisione pubblica dovrà tuttavia tener conto di un contesto mediatico ormai radicalmente mutato, anche se il 4 marzo dovesse superare indenne la prova dell’iniziativa «No Billag»

Enrico Morresi Qualcuno si sarà accorto, tra i lettori di questi miei articoli che inquadrano l’iniziativa popolare «No-Billag», che non ho mai citato né Facebook, né Twitter, né altri siti sui quali pure circola molta informazione e di cui si dice che la gioventù sia attenta più che ai media tradizionali. Se li usa Trump, e pure i nostri consiglieri di Stato, come mai io non ne tengo conto? La risposta è che di questo tipo di informazione diffido, anzi ritengo – come sostiene l’ultimo libro di Stephan Russ-Mohl: Die informierte Gesellschaft und ihre Feinde (Köln, 2017) – che sia un’insidia per la democrazia. Come l’ottimo professore dell’USI, ritengo che i media «classici» siano ancora da promuovere, anzi: che a loro tocchi l’ingrato compito di certificare la correttezza del mainstream informativo, verificando in particolare se quanto circola in rete sia fake, cioè falso, una manipolazione, o anche solo dipendente da fonti non verificate. Di tale compito si fanno carico ormai molti giornali, radio e televisioni di servizio pubblico, Non è dunque indebolendo uno di questi sostegni, la SSR (sarebbe questa la conseguenza dell’accettazione dell’iniziativa), che si fa un buon servizio alla corretta informazione. I social media non possono sostituire l’informazione professionale.

«Mi pare giusto che con la nuova concessione il Consiglio federale intenda concentrare l’impegno maggiore sull’informazione» Stabilito così il principio – e toccato ferro circa il risultato della votazione del 4 marzo – è giusto che il ruolo spettante alla SSR e alle altre emittenti di servizio pubblico sia ripensato. Senza entrare nei particolari, perché sarebbe prematuro, mi pare giusto che la nuova concessione che il Consiglio federale intende dare alla SSR voglia concentrare l’impegno maggiore sull’informazione. È vero infatti che per lo svago, l’intrattenimento (cui peraltro pure si riferiscono le concessioni vigenti) vi sono oggi infinite altre possibilità di accesso, sia pure a pagamento. Già ora, una fetta di programmi che non si possono dire di puro svago (come lo sport)

Il moderatore di «Arena» Jonas Projer durante l’edizione dedicata all’iniziativa No Billag: dare spazio al dibattito politico è uno dei compiti della SSR. (Keystone)

sono dagli organizzatori delle manifestazioni venduti a imprese di telecomunicazione private, per ricevere le quali bisogna pagare a parte. Così pure per il cinema: le stazioni di televisione «classiche» hanno sempre più difficoltà a programmare pellicole recenti e di successo. Constatando tutto questo non intendo sostenere una vecchia rivendicazione degli editori privati: che alla SSR vada tolto tutto quanto esula dai servizi informativi. Gli stessi giornali, soprattutto i periodici, si reggono su un mix di informazione in senso stretto e di rubriche di ambiente, di moda, di varietà. La SSR svolge inoltre un compito importante di sostegno alla cultura: organizza stagioni musicali, finanzia la produzione di film, incoraggia la formazione professionale alle arti. Sono tutte attività in perdita, che se il servizio pubblico venisse meno le comunità politiche (Confederazione, Cantoni, Comuni) dovrebbero finanziare con le imposte, non bastando in un piccolo Paese come il nostro il mecenatismo privato. È necessario infine disporre di un grado di professionalità all’altezza di certi impegni: guardando ai carri di produzione e agli impianti di ripresa messi in campo per la mes-

sa d’inaugurazione della Cattedrale restaurata mi sono francamente domandato: chi potrebbe farsene carico se non la RSI? Ripensando alla Televisione dei miei esordi come documentarista (bisogna risalire all’inizio degli anni Ottanta del Novecento!) constato l’inevitabile rinuncia a molte ambizioni troppo superiori alle forze di una piccola televisione regionale. Comprendo che molto di quel regionalismo che talvolta mi irrita nella RSI sia la conseguenza di un ripiegamento inevitabile. Ma alcune storture, dovute alla ancora notevole disponibilità di mezzi, si devono poter evitare. Un episodio narrato di recente in pubblico da Aldo Sofia aiuta a capire che cosa intendo. Il giornalista dell’allora TSI aveva prodotto un documentario sul console svizzero a Budapest, Karl Lutz, che durante la guerra salvò dalla deportazione migliaia di ebrei. Avendolo proposto alla TSR (romanda) e alla SF (svizzero tedesca) si sentì dire: grazie, ne facciamo uno anche noi. Si tratterà dunque, anche per la RSI, di dare di più con meno mezzi: l’obiettivo del «piano B» di cui si sente parlare per «il dopo 4 marzo». Ma anche con i tagli si dovrà essere prudenti. Sarebbe un errore ritirarsi ancora di

più nel guscio protettore del regionalismo, per esempio sopprimendo gli uffici di corrispondenza. Il Ticino ha tutto da guadagnare se mantiene una squadra a Palazzo federale. Non dev’essere richiamato il corrispondente da Bruxelles, anche se l’UE ci è antipatica: anzi, gli dobbiamo essere grati perché ci ha spiegato, la sera dell’indignazione collettiva per l’ultimo sgarbo usatoci, che non siamo in ballo solo noi nelle scelte di politica estera dell’Unione. La RSI deve continuare a offrire condizioni di lavoro in corrispondenza delle funzioni (talora specialistiche) che la produzione esige. In cambio va pretesa una professionalità di tipo alto (che non significa: senza errori). Non necessariamente un’inchiesta sulla caccia deve piacere ai cacciatori, né un’insistenza sui preti pedofili essere interpretata come un attacco alla Chiesa. «Se la ricerca è essenziale al giornalismo, in una certa misura la soggettività è implicita» (Le buone regole del giornalismo corretto, ed. Consiglio della Stampa, p. 90). Ma è vero che le regole per i giornalisti del servizio pubblico sono più strette: per esempio essi devono presentare «fedelmente» gli avvenimenti, cioè «in modo corretto», riflettendo la pluralità delle opinioni

(art. 23 Cst.; art. 93 della legge federale). Esistono autorità che giudicano il rispetto di queste norme, senza che sia da rimasticare il chewing gum dell’obiettività. Contano le decisioni dei mediatori e quelle dell’AIRR (l’Autorità indipendente di ricorso in materia radiotelevisiva). Per i giornalisti del servizio pubblico valgono, come per i giornali, la «Dichiarazione dei doveri del giornalista» e le pronunzie del Consiglio Svizzero della Stampa. Infine, le raccomandazioni dei Consigli del pubblico. Dovrebbe bastare. Premesso tutto questo, rimane un bel lavoro quello del giornalista (e in generale del collaboratore al programma) impiegato dal servizio pubblico. La maggiore durata della vita media consente oggi a molti usciti da quella scuola di arricchire con l’esperienza acquisita la società nel suo insieme. In questo senso, davvero, una radiotelevisione di servizio pubblico, specialmente in una piccola realtà come la Svizzera italiana, rappresenta a mio avviso un tesoro da custodire e da migliorare. Informazioni

Gli articoli precedenti sono stati pubblicati il 15 e il 22 gennaio 2018. Annuncio pubblicitario

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Politica e Economia

Reitschule, amata e odiata Berna Il centro culturale e politico autonomo della città ha festeggiato l’anno scorso i suoi 30 anni

di attività. Per qualcuno è semplicemente un terreno di scontro e la roccaforte dell’estrema sinistra. Per il sociologo Ueli Mäder è invece una palestra di apprendimento Luca Beti Osservata dall’alto, la Reitschule fa spesso scuotere il capo ai passeggeri dei treni che raggiungono da est la stazione centrale di Berna. «È un obbrobrio, un pugno in un occhio, una brutta carta da visita». Il centro autonomo della capitale federale si trova sulla destra, qualche decina di metri sotto il viadotto ferroviario. L’imponente edificio eretto alla fine del 19° secolo è stretto in un groviglio di strade, è coperto di graffiti e balza all’occhio per la sua diversità rispetto al paesaggio urbano bernese, caratterizzato dal grigio della pietra arenaria. «È una macchia vergognosa, amata e testarda», si legge nella pubblicazione 30 Jahre Reitschule Bern. E come dare torto alle due autrici del testo introduttivo. Da trent’anni, dal 1987 è il cuore pulsante della scena autonoma e alternativa della capitale. «È opposizione e rivolta e arte e cultura», scrivono più avanti Christine Blau e Agnes Hofmann. Nella trentina di pagine, accompagnate da un album di illustrazioni, ripercorrono gli ultimi dieci anni della Reithalle, come viene anche comunemente chiamato l’ex maneggio della capitale. Per il resto della Svizzera, invece, il centro autonomo di Berna è soprattutto un terreno di scontro, la roccaforte della contestazione di estrema sinistra e il luogo in cui si spaccia e consuma droga. Già, perché di solito il nome Reitschule rimbalza da un quotidiano all’altro quando nelle immediate vicinanze si verificano manifestazioni che sfociano in scontri con la polizia. Che cos’è allora, per davvero, la Reitschule? «Chi la osserva solo dall’esterno è portato a pensare che sia davvero una vergogna per la capitale federale», dice Ueli Mäder, professore emerito di sociologia presso l’Università di Basilea e coautore dello studio Berner Reitschule – Ein soziologischer Blick. «Per molti bernesi, però, il centro autonomo arricchisce la città da un punto di vista culturale e culinario. Ci sono anche singoli membri del Consiglio nazionale o degli Stati che dopo il dibattito in Parlamento vi trascorrono le serate e si lasciano deliziare dai piatti della sua cucina. Chi lo guarda unicamente da fuori queste cose non le può certo sapere». Infatti, le mura a graticcio e le torrette della ex scuola di equitazione celano un cinema, un teatro, una tipografia, una falegnameria, una biblioteca, un locale per concerti, uno spazio per sole donne, un ristorante, vari bar e una sala polivalente. La Reitschule è un centro giovanile, un contenitore per la subcultura cittadina, uno spazio autonomo per attivisti, operatori culturali, operai. È il risultato di trent’anni di storia, attività culturale e politica. Costruita nel 1897, come ricorda la data incisa sulla facciata sotto il tra-

Il centro autonomo nasce sulla scia delle agitazioni giovanili che scossero Zurigo, Basilea, Berna e numerose città europee nella primavera del 1980. (Keystone)

dizionale orso che mostra la lingua, per quasi un secolo la Reitschule è un maneggio e un deposito. Con l’avvento dell’automobile, nel cuore di Berna il suono sordo degli zoccoli sulle strade lastricate viene sostituito dal rombo dei motori. Gli ultimi cavalli lasciano l’edificio novecentesco nel 1981. Il 16 ottobre dello stesso anno l’ex scuola di equitazione viene occupata per la prima volta. È il periodo delle rivolte giovanili. Nella primavera del 1980 scoppiano disordini in varie città europee. La protesta coinvolge anche la Svizzera: prima Zurigo, negli scontri ricordati come l’Opernhauskrawall, poi Basilea, Bülach, San Gallo, Winterthur, Lucerna, Losanna. A Berna, il movimento di contestazione si mobilita il 20 giugno 1980: i giovani rivendicano un centro giovanile autonomo, prima presso il vecchio deposito dei tram, il Tramdepot, poi consegnano al governo una petizione, firmata da oltre 4000 persone, in cui reclamano per sé la Reitschule. La città approva la trasformazione dell’ex maneggio in uno «spazio culturale e di aggregazione autonomo». Il 16 ottobre 1981 si svolge la festa d’apertura dell’«Autonomes Begegnugszentrum». Sei mesi dopo, la polizia lo sgombera poiché le autorità cittadine e gli autonomi non sono riusciti a trovare un accordo sulla sua futura gestione. Per alcuni

Più volte teatro di disordini e violenze, per alcuni è una spina nel fianco. (Keystone)

La Reithalle è un contenitore per la subcultura cittadina, ma non soltanto. (Keystone)

anni, i giovani occupano abusivamente alcune case in città, in seguito l’area della centrale del gas, ai bordi dell’Aare, nel quartiere Marzili, conosciuto ancora oggi come il Paese di Zaffaraya, in cui viene sperimentato uno stile di vita alternativo. A riaccendere la miccia della protesta sono la volontà del consiglio comunale di sfollare gli abitanti del Paese di Zaffaraya e il lancio di un’iniziativa popolare del partito Azione nazionale, oggi i Democratici svizzeri, volta ad abbattere la Reitschule e a realizzare al suo posto un centro sportivo. Il 24 ottobre 1987, un migliaio di persone riconquista l’ex scuola di equitazione. Una settimana dopo viene organizzato uno «sciopero culturale» a cui aderiscono vari gruppi ed istituzioni della città. 10mila persone assistono ai concerti di tredici band, tra cui quelle di Stephan Eicher, Polo Hofer, Züri West. Inizia un braccio di ferro tra la comunità di interessi centro culturale Reitschule (Interessengemeinschaft Kulturraum

Reitschule) e l’autorità cittadina. Inizialmente il centro autonomo ha il permesso di aprire solo occasionalmente e per singole giornate o serate i suoi portoni. Nel 1993 viene firmato un contratto di sfruttamento tra la città e gli autonomi, dal 1° gennaio 2004 viene sottoscritto il primo contratto di prestazione, rinnovato ogni quattro anni. Nel maggio 2016, il parlamento approva l’accordo per il periodo 20162019. L’intesa regola i diritti e i doveri del centro alternativo bernese. In cambio la città si assume i costi di locazione e quelli accessori per un importo di 1,5 milioni di franchi. A trent’anni dall’occupazione definitiva, la Reitschule rimane ancora un pomo della discordia, un terreno di scontro politico. Sul parcheggio Schützenmatte e sul Vorplatz, gli spazi nelle immediate vicinanze del centro autonomo, si ripetono a scadenze regolari atti di violenza. Nell’aprile del 2017, la polizia cantonale bernese informa il municipio che dalla metà del 2015

ha registrato oltre 200 reati: traffico di droga, aggressioni, danneggiamenti e furti. «Nei fine settimana si riuniscono migliaia di giovani sul piazzale davanti alla porta d’entrata della Reitschule. Anch’io mi augurerei meno scene di violenza. D’altra parte mi sorprende che non siano più frequenti. Tuttavia sbagliamo se colleghiamo il centro autonomo solo alla violenza e allo spaccio di droga. La Reitschule è ben altro», indica il sociologo Ueli Mäder. «È uno spazio di socializzazione molto importante per i giovani. In città e negli agglomerati urbani ci sono sempre meno edifici autogestiti. Sono palestre d’apprendimento di grande valore che purtroppo vengono chiuse per fare spazio al traffico urbano o per essere sfruttate commercialmente». E i bernesi sono ben consapevoli del valore del centro. Nonostante ne abbiano abbastanza dei ricorrenti episodi di violenza, negli ultimi trent’anni hanno dimostrato un grande attaccamento alla Reitschule. Finora la popolazione di Berna si è espressa sul suo destino in cinque occasioni, prendendone sempre le difese. Nella primavera di quest’anno dovrà nuovamente andare al voto per decidere sulla concessione di un credito di tre milioni di franchi per dei lavori di ristrutturazione; credito contro cui l’UDC locale ha lanciato il referendum. «Bisogna ricordare – conclude Mäder – che negli ultimi tre decenni, tantissimi bernesi hanno frequentato il centro autonomo. Molti hanno un legame personale con i suoi locali visto che vi hanno trascorso innumerevoli serate. La chiusura della Reitschule significherebbe dire addio a un importante centro culturale e di aggregazione. Pecca di ingenuità chi crede che serrando i suoi portoni si risolverebbe il problema della violenza e dello spaccio di droga; verrebbe semplicemente spostato altrove in città». Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 29 gennaio 2018 • N. 05

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Politica e Economia

Un ingannevole utile eccezionale

Banca Nazionale Svizzera La rivalutazione delle riserve in euro è stata determinante. Si riaprono le discussioni

sul bilancio dell’istituto, che quest’anno può raddoppiare il versamento alla Confederazione e ai Cantoni

Ignazio Bonoli La Banca Nazionale deve l’utile del bilancio 2017, secondo i primi risultati provvisori, di 54 miliardi di franchi, a due fattori: la forte ripresa del mercato azionario e l’indebolimento del franco, soprattutto rispetto all’euro. Per quanto ciò possa apparire assurdo, i miliardi di riserve in euro, le cui quotazioni sono migliorate, tradotte in franchi e aggiunte a quelle di altre monete hanno generato 49 miliardi di utili. Aggiungendo il miglioramento delle quotazioni del portafoglio della banca e quelle dell’oro (3 miliardi), nonché le posizioni in franchi (date soprattutto dagli interessi negativi di 2 miliardi), si raggiunge l’utile eccezionale citato. Il risultato permette alla BNS di raddoppiare la distribuzione degli utili alla Confederazione e ai Cantoni, nella solita misura di un terzo e due terzi. Al canton Ticino toccheranno 56 milioni di franchi, che contribuiranno a migliorare i bilanci del 2018. Questi risultati confermano una tendenza già in atto da qualche tempo e hanno contribuito ad aumentare la domanda dei titoli della BNS. Quest’ultima è, infatti, una società anonima, ma con uno statuto particolare e con la maggior parte dei titoli in mano ai Cantoni. Titoli che, dopo essersi mossi per anni vicino ai 1000 franchi, hanno toccato il vertice di 4720 franchi lo scorso settembre. Gli azionisti riceveranno comunque un dividendo massimo del 6%, pari a 15 franchi, dopo di che i sostanziosi resti

andranno alle riserve valutarie. Data la forma particolare della società, tra l’altro con i diritti di voto degli azionisti privati limitati a 100, i titoli della banca vengono paragonati ai prestiti della Confederazione. Viste le quotazioni, la rendita attuale sarebbe dello 0,35%. A fare incetta di titoli della BNS è un investitore tedesco, che possiede il 7% del capitale. Non si vede perché questi titoli debbano oggi essere così attrattivi. A parte la sicurezza dell’investimento circolano ora voci secondo cui questi titoli potrebbero presto venire riacquistati. Va però notato che nei mesi scorsi le azioni della BNS sono finite perfino in liste di raccomandazioni di titoli. In effetti, per cittadini tedeschi che vogliono diversificare il loro patrimonio all’estero, i titoli BNS offrono garanzie almeno pari a quelle dell’oro. Benché una banca centrale quotata in borsa sembri una cosa fuori dal tempo, qualcuno specula sulla possibilità che questi titoli vengano riacquistati da chi li ha emessi. Infatti, la Banca Centrale europea ha proceduto al riacquisto di suoi titoli, alla fine del secolo scorso, concedendo al possessore un lauto plusvalore. Le azioni della BNS sono abbastanza liquide e reagiscono prontamente a queste voci. Ci si può però chiedere perché alcuni professionisti le raccomandano. La loro scarsità sul mercato, potrebbe infatti ampliare il movimento delle loro quotazioni verso l’alto (come ora), ma anche verso il basso. Il massiccio acquisto di divise in difesa del franco ha creato di fatto un

Volti distesi alla BNS. Da sinistra, vicepresidente, presidente e un membro del direttorio, oltre al portavoce. (Keystone)

grosso fondo d’investimento. I suoi attivi, che erano di circa 100 miliardi nel 2008, sono saliti ora a 800 miliardi di franchi. Ma questo non è lo scopo della Banca Nazionale, i cui attivi del resto possono essere soggetti a forti oscillazioni. Sotto questo aspetto l’utile 2017 è veramente eccezionale. Esperti del settore propongono di valutare una media pluriennale, che darebbe un utile annuale di circa 9 miliardi di franchi. Al di là di questi movimenti speculativi, ma di portata limitata, è giusto chiedersi che cosa si debba fare con questi miliardi. Proprio alla luce del brillante risultato torna ad affacciarsi l’idea di un «fondo sovrano», da gestire e da utilizzare per vari scopi, dopo

l’assegnazione degli utili alle riserve e a Confederazione e Cantoni. Cosa che però la Banca Nazionale non vede di buon occhio, poiché non compatibile con il mandato della banca, che è quello di praticare una politica monetaria favorevole al franco, di garantire la stabilità dei prezzi e creare le condizioni ottimali per la crescita economica e non di creare fondi di investimento. Anche nell’ambito di questa politica, le riserve valutarie possono subire forti variazioni, come si è visto anche negli ultimi anni. I risultati più recenti lasciano però intravedere la possibilità di un utile medio di 15 miliardi di franchi all’anno a breve scadenza. Anche da un punto di vista finanziario ciò

corrisponderebbe a una rendita annua del 2%. Se però – come si prevede – l’aumento dei tassi di interesse farà scendere il corso dei titoli obbligazionari, anche gli utili della Banca Nazionale potrebbero scendere. Negli ultimi anni – comunque – la BNS ha migliorato la propria quota di capitale proprio, che resta però modesta (circa 16%). Un aumento al 20% esigerebbe utili tra i 30 e i 35 miliardi, prima della ripartizione. Per il momento il versamento a Confederazione e Cantoni (e il suo raddoppio come quest’anno) è già un elemento regolatore, previsto fino al 2020. Dopo questa data, a seconda della situazione momentanea, riprenderanno certamente discussioni e proposte. Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 29 gennaio 2018 • N. 05

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Politica e Economia Rubriche

Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Come lo Stato riduce le ineguaglianze Viviamo in un’epoca in cui l’opinione pubblica si interessa con grande attenzione all’evoluzione della distribuzione del reddito e della ricchezza. Ogni anno un periodico d’oltre S. Gottardo ci propina la sua classifica delle persone ricche e ogni anno possiamo constatare che a questa o quella persona, a questa o quella famiglia, è riuscito di aumentare la propria sostanza del 10, del 20%, o anche di più, mentre il nostro salario, per non parlare della nostra pensione, sono restati quelli che erano l’anno scorso. È vero che ci sono anche i ricchi che perdono. Anche se, in qualche caso, si tratta di perdite di centinaia di milioni di franchi di fatto queste persone continuano a restare ricche. Passano semplicemente dai primi posti della classifica ai secondi. Di ricchi di ieri che siano costretti a cercare la carità, oggi, non se ne vedono in giro. Avvertitemi se doveste incontrarne uno. Passando

dalla sostanza al reddito (che sono due concetti molto diversi anche se molti commentatori tendono a confonderli nel termine generico di ricchezza) c’è poi, da noi, il discorso della distribuzione, con la litania dei ricchi che diventano sempre più ricchi e dei poveri che diventano sempre più poveri. E, in mezzo al sandwich della distribuzione del reddito, il mantra della classe media che starebbe sgretolandosi. Come dimostrano le statistiche, in Svizzera il reddito medio aumenta, la deviazione standard, ossia, in parole molto spicce, la differenza tra i più ricchi e i più poveri, non sembra aumentare, e la classe media (misurata con il reddito) non ha, per il momento, perso di importanza. Da questo punto di vista, il nostro paese rappresenta forse la grande eccezione tra i paesi economicamente avanzati, i quali, nel corso degli ultimi trent’anni hanno invece visto aggravarsi le dispa-

rità di reddito. Tuttavia è necessario rilevare che se è così, ossia se le disuguaglianze nella distribuzione del reddito non si aggravano, lo si deve all’effetto redistributivo che esercitano la tassazione progressiva del reddito imponibile, da un lato, e la spesa dello Stato, in particolare quella sociale, dall’altro. Dovessimo cambiare il sistema di tassazione, in particolare dovessimo diminuire, come viene auspicato da molti, le aliquote per i redditi più elevati, oppure, dovessimo diminuire le somme che lo Stato ridistribuisce ai titolari di redditi bassi, allora senza dubbio anche da noi varrebbe il postulato che i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Lo provano, tra l’altro, le statistiche fiscali pubblicate da Confederazione, Cantoni e città. Prendiamo due casi per illustrare il nostro argomento. A Lugano, nel 2013, i 258 contribuenti più ricchi, quelli cioè che

hanno pagato in imposte (imposta sul reddito, sulla sostanza e altre imposte personali) più di 50’000 franchi, hanno versato alle casse della città circa 27,5 milioni di franchi. In altre parole questi contribuenti, che rappresentavano lo 0,6% dell’effettivo di contribuenti della città, hanno pagato un montante di imposte pari al 14,3% del totale delle imposte percepite. Se prendiamo una classe di ricchi più ampia, quella rappresentata dai contribuenti che hanno pagato più di 10’000 franchi di imposta troviamo che la stessa, che rappresenta il 5,8% dell’effettivo di contribuenti, ha versato un montante di imposte pari al 37,5% del totale incassato dalla città. A livello nazionale disponiamo dei risultati di una ricerca, svolta da Christian Frey dell’Università di Lucerna che riguarda il totale delle imposte pagate alla Confederazione, ai Cantoni e ai Comuni e l’anno 2014. I risultati presentati

da Frey ci dicono che lo 0,5 dei contribuenti più ricchi hanno pagato il 18,72% dell’effettivo totale, mentre che il 5% dei contribuenti più ricchi hanno versato il 42,83% del totale degli importi incassati dagli enti pubblici a titolo di imposte sulle persone, nell’anno ricordato qui sopra. I due esempi dimostrano che le aliquote progressive, applicate da Comuni, Cantoni e Confederazione nella tassazione, sono strumenti di ridistribuzione estremamente potenti. Quando si parla di ineguaglianze nella distribuzione del reddito non si dovrebbe quindi dimenticare di citare che le stesse sono corrette, in modo efficace, dalle aliquote di tassazione applicate nella determinazione delle imposte dirette. Certo si potrebbe fare di più. Ma i tempi (politici) non sembrano essere favorevoli a riforme fiscali che aumentino la tassazione progressiva del reddito e della sostanza.

cere. Se tra Lega e Forza Italia è in corso una competizione interna a chi propone l’aliquota più bassa per la flat tax, il Pd vagheggia di abolire il canone Rai. A tutti piacerebbe pagare solo il 23% di Irpef – ma perché non il 20? O il 15? – e non pagare il canone; ma quasi nessuno ci crede, perché sa che sono promesse irrealizzabili, a meno di non tagliare drasticamente la spesa pubblica e non chiudere la tv di Stato; e i primi a non crederci sono coloro che le formulano. Per tacere dei Cinque Stelle, che propongono di fatto lo smantellamento del fisco, o della trovata di Grasso sulle tasse universitarie, in realtà già legate al reddito familiare. A giudicare anche dalle lettere che arrivano al «Corriere», l’irritazione per la promessa facile e irresponsabile si tocca con mano. Ma non è vero che il voto non interessi a nessuno. Certo, molti cittadini non ci credono più. Sono disinteressati a una politica che non detiene più il potere vero, evaporato a favore dei padroni della rete e della finanza internaziona-

le, degli Zuckerberg e dei Soros. Sono nauseati dal ritorno dei privilegi: i primi sostenitori dell’antipolitica sono i senatori che non prendono in considerazione la legge per ridurre i vitalizi, i consiglieri regionali che lasciano tacitamente scadere i tagli e si ripristinano gli emolumenti. Nonostante i sentimenti di estraneità e di rigetto, molti elettori però percepiscono ancora il voto come un impegno civico, un dovere di partecipazione. Sono disposti ad ascoltare, a discutere, a decidere, a patto che siano affrontati gli argomenti della loro vita di tutti i giorni: lavoro, pensioni, scuola, sanità. Come creare posti non precari, come sostenere l’aumento dei trattamenti minimi, come attuare o cambiare le riforme del governo Renzi, come affrontare il dramma delle liste d’attesa negli ospedali; e come risolvere la questione salariale, con il crollo del potere d’acquisto seguito alla crisi. Se un leader si occupasse in modo serio e concreto di questi argomenti, i sondaggi di questi giorni

potrebbero rivelarsi scritti sull’acqua, e l’esito delle elezioni potrebbe ancora cambiare. Tutto però lascia credere che l’Italia indecisa ma non disinteressata resterà senza interlocutori. Alla fine tanti resteranno a casa. La maggioranza andrà ancora alle urne. Come già accadde nel 2013, com’è successo anche con Trump, Brexit, Macron, negli ultimi giorni si creerà comunque una tendenza sotterranea, che i sondaggi non riusciranno a intercettare. E forse alla fine premierà chi avrà saputo essere più serio, o meno fatuo. Resta da capire chi sarà il presidente del Consiglio. Berlusconi – al momento ineleggibile – sogna di essere riabilitato dalla Corte di Strasburgo in tempo per tornare a Palazzo Chigi: ma la prospettiva appare remota. Sembra difficile però che l’attuale premier Gentiloni possa sopravvivere a una netta sconfitta del Pd. Berlusconi pensa a un moderato come Tajani; ma Salvini vorrebbe un nome che assomigliasse un po’ più al suo.

racconto: prima basato sull’analisi dei fatti in corso; poi si progetta un prodotto finale, dedotto dai fatti, ma supportato con analisi e approfondimenti che andranno al giornale in carta. Il direttore della «Stampa» non lo dice, ma v’è da credere che nelle varie fasi si inseriscano, e dettino regole, anche le tre finalità editoriali: nella prima l’attenzione giornalistica prioritaria sarà l’edizione elettronica, cioè i vari siti o servizi online dell’editore; nella seconda subentra un primo approfondimento che consente di trattare l’argomento con scelte operative e valutazioni riguardanti la qualità e l’importanza della notizia, utili anche per l’individuazione dei potenziali indirizzi nelle fasi successive. Infine, terza fase, si approda al giornalismo di qualità (approfondimenti, inchieste, interviste ecc.) e riguarderà principalmente la carta stampata. Alle due fasi prettamente tecniche o editoriali, l’editore norvegese ha aggiunto anche una terza linea che completa il suo programma editoriale: il coinvolgimento dei lettori. Lo realizza con apposite app

che consentono interazioni nelle due precedenti fasi e favoriscono lo scambio di opinioni e esperienze in tempo reale, sino a formare una sorta di giudizio esterno utilissimo non solo per il lavoro dei giornalisti, ma anche per la ricerca pubblicitaria e le parallele attività del marketing. Dimentichiamo Harvard e Schibsted e torniamo alle difficoltà della carta stampata. Nella sua breve risposta Tiziano Molinari conferma che «l’industria dell’informazione sta attraversando una fase di rinnovamento destinata a rafforzarla come vettore di contenuti, qualità e interazione». Queste parole suggeriscono un duplice interrogativo: visto che a spingere il mondo è sempre più il digitale (dai tweet di Trump agli impulsi che muovono sonde perse nello spazio), come mai la carta stampata resiste o perlomeno continua ad avere un futuro? E come mai le «fasi di rinnovamento», pur durando più a lungo di altre crisi, si succedono senza che nessuno trovi risposte o soluzioni? Seguendo un po’ quel che capita nell’e-

ditoria mondiale la tesi più sensata da seguire resta ancora quella di Jonathan Franzen che collegava la crisi della carta stampata a quello che lui considera il più grande blogger «ante litteram», Karl Kraus: avendo intuito che il giornalismo moderno si diffondeva, ma perdeva le caratteristiche buone del giornalismo senza guadagnare quelle migliori della letteratura, «Kraus scelse di schierarsi col funzionalismo tedesco, piuttosto che con l’estetismo francese. Secondo lui una macchina doveva essere funzionale, non bella». Oggi, giocando la carta della funzionalità ineguagliabile della carta stampata, per cercare di sopravvivere editori e giornalisti devono impegnarsi a smuovere un pubblico sempre più connesso, rendendolo consapevole che al posto della solita robaccia effimera, offerta gratuitamente e che crea dipendenza (quando non induce in errore), può avere anche roba funzionale sulla carta stampata, meno bella, ma più sicura. Pensate: perché la radiotelevisione ha dovuto far capo alla carta stampata per allentare la morsa della No Billag?

In&outlet di Aldo Cazzullo Chi vincerà e chi sicuramente perderà A un mese delle elezioni, il quadro politico italiano è pessimo. Si sa con sicurezza solo chi perderà: la sinistra. Divisa, litigiosa, senza speranza. Il Pd ha governato benino ma rischia di andare malissimo, a secco di collegi uninominali fuori da Toscana, Emilia Romagna e grandi città. Liberi e Uguali conseguirà l’obiettivo minimo – far perdere Renzi – ma non ha certo il vento nelle vele. Il vero dubbio è se il centrodestra riuscirà a sfondare al Sud, superando il 40% e quindi raggiungendo la maggioranza assoluta in modo da poter governare da solo, o se invece i Cinque Stelle terranno. In questo caso costruire una maggioranza sarà molto difficile. Probabilmente neppure Pd e Forza Italia avranno i numeri. Resta la possibilità del «governo del presidente», di cui ha parlato per primo Massimo D’Alema: un governo tecnico appoggiato da chi ci sta. Ma è un’operazione molto simile a quella del governo Monti, che (per usare un eufemismo) non ha lasciato agli italiani un buon ricordo.

L’astensione sarà molto alta. Non è vero però che all’Italia non importi nulla delle prossime elezioni e in genere della politica. C’è un’Italia profonda che magari non la segue, anche perché ha altro da fare, ma non la disprezza. Un’Italia che ascolterebbe volentieri, se qualcuno le parlasse. Che ha le idee chiare su cosa le servirebbe, ma non trova un interlocutore disposto a dialogare, anziché turlupinarla con promesse impossibili. Non ci sono mai stati tanti indecisi come adesso. Tramontate le ideologie, indeboliti i leader, allentati i legami personali e clientelari (se non altro per l’esaurimento delle prebende da distribuire ai clienti), i voti in libera uscita sono quasi la metà del totale. Perché allora i partiti li disdegnano, e si rivolgono solo a chi è già convinto? Finora la campagna elettorale è diretta più a rinfocolare i tifosi che a conquistare coloro che esitano a schierarsi. I capi partito hanno l’atteggiamento del centravanti che aizza la curva, non del regista che prepara gli schemi per vin-

Zig-Zag di Ovidio Biffi I giornali e il futuro alle spalle Con regolare frequenza, e ormai da anni, notizie, articoli o saggi ci aggiornano sulla crisi che attanaglia l’editoria, in particolare la carta stampata. Il giornale sta morendo, il digitale è in crisi, meglio la carta del display ecc. ecc. La più recente di queste notizie riguarda l’impegno, collegato a sforzi per individuare soluzioni alla crisi, messo in mostra dalla Business School dell’università di Harvard. Ne ha riferito il direttore de «la Stampa» di Torino, Maurizio Molinari, rispondendo a un lettore che lo interrogava su come l’industria dei giornali stia fronteggiando l’attuale fase di trasformazione del mercato mediatico. Dell’università bostoniana Molinari ha citato le ricerche focalizzate sulle scelte adottate dall’editore scandinavo Schibsted. Stampatore del maggiore quotidiano norvegese, ma attivo anche in iniziative editoriali diffuse in più continenti (un po’ come da noi fa l’editore Ringier, costretto a chiudere una tipografia lucernese licenziando oltre 150 dipendenti), Schibsted ha avviato una ristrutturazione del suo

gruppo seguendo tre principali vie. La prima riguarda la pubblicità, vale a dire quella che, in tutto il mondo, continua ad essere la principale fonte di entrate per gli editori di giornali. Schibsted – ma questa non è una grande novità – ha deciso di coordinare la raccolta con altri cinque quotidiani norvegesi non concorrenti, mirando così a moltiplicare il pubblico e allargare il mercato, traendone, sia pure a lunga scadenza, miglioramenti economici. Più innovativo il secondo intervento che riguarda più direttamente il giornalismo, visto che tocca la sequenza nella divulgazione dei contenuti. In questo cambiamento il prodotto editoriale, che prima veniva elaborato senza particolari distinzioni riguardo alla qualità, ora viene confezionato seguendo il principio dei «tre strati». Inizialmente per il flusso di notizie viene approntato un racconto istantaneo dei fatti in corso, anche solo con singole frasi, puntando a far partecipare i lettori ad eventi in diretta. Segue, naturalmente se notizia o tema lo consentono o lo suggeriscono, un


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 29 gennaio 2018 • N. 05

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Cultura e Spettacoli Arte di rottura: i Crackers Un gruppo che si è distinto per una ricerca materica provocatoria e anche ecologista

Lo strano fascino di Fargo Il film dei fratelli Cohen ha fatto scuola, ispirando una serie televisiva e il gusto per le storie americane di periferia

Una Bovary viennese Ripubblicato un romanzo di Stefan Zweig, Angoscia, inquietante storia d’amore

pagina 31

pagina 30

Recensioni discografiche Parliamo del nuovo album degli U2 e di una produzione ticinese recente, Pierino e i lupi pagina 35

pagina 34

Ai Weiwei, Fairytale People, 2007. (Lorenzo Pusterla)

L’arte del figurante

Mostre Il Museo Migros di arte contemporanea di Zurigo propone fino al 4 febbraio

un affascinante itinerario attorno a un fenomeno centrale nella pratica artistica contemporanea Sebastiano Caroni Gli storici dell’arte Tomaso Montanari e Vincenzo Trione, in un recente saggio edito da Einaudi dall’eloquente titolo Contro le mostre denunciano, con parole anche molto dure e con affilato cinismo, gli inutili eccessi di cui si sono rese protagoniste molte mostre contemporanee, soprattutto in Italia. I due autori discutono lo spettacolarismo ostentato, gli accostamenti improbabili (come quelli fra classici e contemporanei, spesso privi di qualsiasi logica che li renda pertinenti), e altre scelte stilistiche dettate da meccanismi finanziari piuttosto che da una ricerca seria e approfondita aderente ai valori di un’arte autentica. Ingredienti che, cosa assai preoccupante, compaiono spesso in modo congiunto in molte mostre e esibizioni contemporanee in musei e gallerie che vanno per la maggiore in Italia e nel resto del mondo. Lontano da queste atmosfere che

finiscono per declassare l’arte a mero intrattenimento estemporaneo, senza peraltro incoraggiare una riflessione sulla società in cui viviamo, fino al 4 febbraio il Migros Museum di arte contemporanea di Zurigo ci offre un’interessante, intrigante e assai penetrante esposizione che si interroga sull’utilizzo che l’arte contemporanea fa dei «figuranti». Il termine, un francesismo che viene dal mondo teatrale, si riferisce a coloro che si prestano come comparse in opere teatrali, in film, in opere fotografiche e, più in generale, nel mondo dell’arte. Come figuranti, questi soggetti si integrano e aggiungono un tocco specifico alle opere culturali a cui prendono parte. Un figurante può essere chiamato a interpretare una professione (un muratore, un poliziotto) una condizione sociale (madre, figlio) una posizione di responsabilità (leader di un movimento politico, proprietario di una multinazionale) e così di seguito. Come è noto, negli universi di

finzione quali il teatro, la televisione, e in parte in fotografia e nell’arte, generalmente chi interpreta un dato personaggio non svolge quel ruolo nella vita di tutti giorni. Ma può capitare che, in determinate circostanze, si venga chiamati e impersonare nientemeno che noi stessi, oppure una parte del nostro corredo identitario, magari legato ad alcune caratteristiche fisiche. Ecco che allora si «figurerà» come giovane, come anziano, come uomo, donna, bambino, o come rappresentante di una data etnia. L’origine dei ruoli che svolgiamo giornalmente, le aspettative, le responsabilità, i margini di libertà ma anche i divieti e i limiti ad essi correlati trovano origine nella società. Per usare una metafora particolarmente attuale, una società può essere considerata come una rete molto estesa di ruoli interconnessi che si definiscono vicendevolmente e che contribuiscono al buon funzionamento della vita collettiva. Partendo da queste

premesse, le opere dell’esposizione Extra Bodies – The Use of the «Other Body» in Contemporary Art mettono il visitatore di fronte a importanti interrogativi e riflessioni. Infatti l’arte, che qui incoraggia appieno la riflessione, la consapevolezza, e nutre l’occhio critico, grazie alle opere esposte mette in primo piano i nodi e le intersezioni lungo le quali la cultura, la psicologia, e la biologia collaborano a fare società. Ed ecco che allora, di fronte alla fotografia di un migrante che non ha più una patria, a tu per tu con l’immagine di un corpo stigmatizzato o di un fisico estetizzato, di fronte ad un filmato che mostra un gruppo di detenute che, per un giorno, diventano protagoniste di una sfilata di moda, è opportuno fermarsi per riflettere su come in fondo, come affermava Michel Foucault, il corpo è uno dei «luoghi» – simbolici e reali – in cui la società iscrive le sue regole. Il corpo è una superficie complessa su cui emergono i valori, ma anche

le contraddizioni e le derive della società: quelle, per esempio, legate alle logiche capitalistiche che sovente riducono il corpo a mera forza lavoro. Per utilizzare una locuzione resa popolare grazie a Freud, si potrebbe dire che in modo molto discreto l’esposizione orchestra e agevola il ritorno del rimosso, facendo riaffiorare vuoi alcuni nodi problematici, vuoi alcune incoerenze, oppure una trama di pregiudizi che abitano la nostra società e che molto spesso tolleriamo; perché l’abitudine ci rende invisibile ciò che invece, forse, dovremmo vedere più spesso. Ma, per fortuna, l’arte serve anche a questo: ad aprirci gli occhi. Dove e quando

Limmatstrasse 270, 8005 Zurigo. Ma/Me/Ve 11.00-18.00; Gio 11.0020.00 (gratis 17.00-20.00); Do 10.0017.00. Fino al 4 febbraio. www.migrosmuseum.ch


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 29 gennaio 2018 • N. 05

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Cultura e Spettacoli Carlo Rizzetti, Emicrania, 2001, plastica.

Lugano, una «Città aperta» Intervista A colloquio con Moreno

Bernasconi, per parlare dell’iniziativa promossa dalla Fondazione Federica Spitzer Ada Cattaneo

Rompere con l’arte Mostre Alla Must Gallery di Lugano una collettiva

dedicata ai Crackers

Alessia Brughera Nel 1993, a Biella, nasceva il collettivo artistico Cracking Art. Un manifesto, definito dagli stessi membri «di fine millennio», ne decretava l’ideologia di base fondata «sullo studio e sull’analisi delle origini antropologiche delle materie fossili, il petrolio, e l’utilizzo in forma artistica dei suoi derivati plastici», mentre una mostra dal titolo «Epocale», allestita a Milano con la curatela di Tommaso Trini e Luca Beatrice, ne sanciva il pubblico debutto.

La plastica è il materiale prediletto da questo gruppo che vuole far riflettere e sorprendere il proprio pubblico Uno dei fondatori del movimento, e uno dei suoi teorici fino al 2008, è stato Omar Ronda, scomparso poche settimane fa, artista e prima ancora gallerista, fin dagli anni Sessanta attivo nell’organizzazione di importanti rassegne che hanno avuto il merito di portare in Italia, fra gli altri, i lavori degli esponenti internazionali della Pop Art e del Minimalismo. Il gruppo è attualmente composto da Alex Angi, Kicco, Renzo Nucara, Carlo Rizzetti, William Sweetlove e Marco Veronese, uniti dal comune intento di «cambiare radicalmente il mondo artistico attraverso un forte impegno sociale e ambientale e l’uso rivoluzionario di materie plastiche diverse ed evocative di un rapporto sempre più stretto tra vita naturale e realtà artificiale». Un messaggio, questo, racchiuso nel nome stesso che gli artisti hanno scelto per definire il loro percorso collettivo, espressione della volontà di infrangere le regole dell’arte proponendo idee innovative strettamente legate alla contemporaneità. Nella decisione di chiamare il movimento Cracking Art

non c’è solo l’esplicito richiamo all’atto di rompere, spezzare, incrinare («to crack»), ma anche un riferimento a quel processo che trasforma il petrolio grezzo in plastica, definito in gergo chimico «cracking catalitico». Proprio la materia plastica, inorganica e facilmente plasmabile, diventa componente d’elezione per le opere dei Crackers, simbolo del mondo odierno in continuo mutamento e caratterizzato da una profonda contrapposizione tra biologico e sintetico. Consapevoli dell’inesorabile incedere dell’artificiale, i membri della Cracking Art uniscono all’attrattiva per un materiale dalle grandi potenzialità formali il desiderio di salvaguardare l’elemento naturale a partire da un approccio esteticamente responsabile: «Rigenerare la plastica significa sottrarla alla distruzione tossica e devastante per l’ambiente donandole nuova vita», affermano gli artisti, «farne delle opere d’arte significa comunicare attraverso un linguaggio estetico innovativo esprimendo una particolare sensibilità nei confronti della natura». La dimensione corale del gruppo trova espressione nelle grandi installazioni in polietilene concepite per invadere piazze, centri commerciali, autostrade ed edifici pubblici, contesti urbani popolari scelti perché è proprio lì che si annida la convenzionalità del quotidiano: rane, tartarughe, chiocciole, suricati, pesci, rondini e coccodrilli, esagerati nelle misure, stilizzati nelle forme e vivaci nei colori, diventano lo strumento per sollecitare ludicamente la città ridisegnandone gli spazi e modificandone il percepito. Accanto al lavoro collettivo, ciascun componente porta avanti anche un’intensa ricerca individuale che gli permette di rielaborare e declinare in maniera personale tutti gli elementi condivisi a livello comunitario. Una mostra allestita nelle sale della Must Gallery di Lugano si sofferma proprio sul cammino che i sei artisti hanno intrapreso in maniera indipendente rivelando come ognuno di loro sia ap-

prodato a esiti peculiari. Attraverso un nucleo di opere realizzate nei primi anni Duemila la rassegna rivela infatti come l’amore per le tinte sgargianti, l’utilizzo pressoché esclusivo di materiali plastici e la predilezione per un’estetica insofferente nei confronti delle regole contraddistinguano sì le creazioni di tutti gli artisti, ma trovino nei lavori delle singole personalità un modo differente per manifestarsi. Ecco allora le «giungle» e i «virus» plastici di Angi, dinamiche e coloratissime strutture che sembrano propagarsi nello spazio; le «molecole» di Kicco, microcosmi artificiali popolati da fiori e animali, vere e proprie stratificazioni di materia e di significati; i «resinfilm» di Nucara, in cui piccoli oggetti di recupero si mescolano a pigmenti e resine dando vita ad animati universi fluttuanti; le rigogliose sculture in plastica di Rizzetti, decorate con un’esuberanza senza limiti che sa ironicamente fondere cultura e ordinaria quotidianità per generare nell’osservatore un effetto straniante; le clonazioni animali di Sweetlove in resina epossidica, ricercati allestimenti che richiamano un mondo sempre più in bilico tra biologico e sintetico; le raffinate «contaminazioni» di Veronese, luoghi quasi spirituali dove immagini prelevate dai capolavori della storia dell’arte del passato vengono condotte in un inedito contesto dalla forte valenza allegorica. Le opere di questi artisti esortano a interpretare la realtà in un nuovo modo, tra il gioco e la contestazione, tra la ricerca simbolica e quella estetica, tra la brama di un ritorno alla natura, sempre evocata, e l’accettazione del suo ineluttabile soccombere all’avanzata dell’artificiale. Dove e quando

Crackers. Opere scelte degli artisti di Cracking Art. Must Gallery, Lugano. Fino al 28 febbraio 2018. La galleria è visitabile su appuntamento. www.mustgallery.ch

Era il 1938 quando, in Italia, il Gran consiglio del Fascismo adottò una serie di norme, note come «leggi razziali», ispirate a quelle che erano tristemente applicate già da alcuni anni nella Germania nazista. Un momento drammatico che ebbe forti ripercussioni anche a livello locale, proprio nella Svizzera Italiana. Quello che successe in Ticino durante gli anni del secondo conflitto mondiale rimane ancora oggi, per molti versi, in quella zona di penombra, quando il ricordo privato si sovrappone alla Storia. È un tema difficile da accettare e per un motivo semplice: molti fra coloro che furono respinti alle nostre frontiere non trovarono scampo altrove e morirono per mano dei nazifascisti. Nonostante ciò, in diversi casi ci fu, invece, qualcuno che comprese la tragedia che si stava consumando e di fronte a persone alla ricerca di una via di salvezza, seppe trovare una soluzione tanto giusta quanto audace. A ottant’anni dalla promulgazione delle leggi razziali italiane, nasce in Ticino il progetto «Lugano Città Aperta» e a promuoverlo, insieme alla Città di Lugano, è la Fondazione Federica Spitzer. Il suo presidente, Moreno Bernasconi, lo illustra ai lettori di «Azione». Come nasce il progetto «Lugano Città Aperta»?

Si tratta di un lavoro di memoria fatto in funzione del presente: quando ci si occupa degli anni più bui del Novecento, uno dei secoli forse più barbari della storia dell’uomo a causa dei milioni di morti prodotti dai totalitarismi, si sottolinea giustamente l’efferatezza di quanto fu compiuto, ma spesso si considerano quelle vicende un unicum nella storia. Purtroppo, se consideriamo soltanto quanto è successo dall’inizio del secondo millennio ad oggi, ci accorgiamo che le cose non stanno così. Il lavoro di memoria che proponiamo parte dall’ottantesimo anniversario delle leggi razziali contro gli ebrei in Italia, perché diedero il via all’esodo di persone perseguitate a causa della loro appartenenza razziale e religiosa. Molte di loro, tra il 1938 e il 1945, trovarono un rifugio qui nella neutrale Svizzera e in un Ticino pur molto esitante, timoroso e contraddittorio nei confronti del nazifascismo. Sappiamo infatti che l’atteggiamento della Svizzera italiana non fu cristallino. Eppure, proprio allora, pur nell’incertezza e nei timori, la tradizione umanitaria di questa città emerse in un modo straordinario e a noi interessava, come Fondazione Spitzer, sottolineare il ruolo avuto da figure speciali che in questa situazione drammatica seppero rispondere con un gesto di umanità. Stiamo quindi parlando della capacità di accoglienza emersa in Ticino?

Sì, di aiuto concreto a persone che in Italia sarebbero state arrestate e inviate nei campi di sterminio (purtroppo molti dei respinti alle nostre frontiere finirono ad Auschwitz). Ciò che il progetto intende comunicare è che la coscienza di ogni essere umano può fare tantissimo nei momenti in cui il male sembra irrimediabile. È un’intuizione di Federica Spitzer: nel suo libro e nelle sue testimonianze agli studenti delle scuole ticinesi affermava che, anche nelle circostanze più tremende della storia, c’è un’irriducibile capacità di resistenza al male da parte degli esseri umani, capaci di compiere grandi gesti di umanità e di «trasformare una tragedia umana in un trionfo». Mettendo al centro del loro agire un gesto di umanità senza aspettare che governi o interessi diplomatici determinino le condizioni. Per questo

motivo abbiamo deciso di inserire nel progetto un gesto concreto, cioè realizzare un «Giardino dei Giusti» al Parco Ciani di Lugano per rendere omaggio a coloro che in epoche diverse si sono distinti per questo tipo di atteggiamento. Sarà un segno che permetterà alla città di riconoscere una sua tradizione di apertura e di accoglienza e di trasformarla in una consapevolezza condivisa e in un’occasione di crescita per tutta la popolazione. Vorrei chiederle di spiegare ai nostri lettori il concetto di «Giardino dei Giusti», che rimarrà come segno permanente nel principale parco della città.

La Fondazione Spitzer segue da alcuni anni l’operato dell’associazione GARIWO – Gardens of the Righteous Worldwide, fondata e presieduta da Gabriele Nissim, che istituisce i Giardini dei Giusti come luoghi per rendere omaggio a figure che si sono distinte nel salvare delle vite o nell’aiutare dei perseguitati. Da qui è nato il desiderio di creare anche a Lugano qualcosa che si ispirasse a questi luoghi che già esistono in Israele, in Polonia, in Italia, in Palestina, in Armenia e in molte parti del mondo. Come si svolgerà in concreto il progetto?

I soggetti organizzatori sono la Fondazione Spitzer e la Città di Lugano (in particolar modo l’Archivio storico diretto da Pietro Montorfani). Ma sono numerosi i partner, fra cui il Cantone, l’Università della Svizzera Italiana, l’Associazione Svizzera-Israele. Le figure scelte per il Giardino dei Giusti di Lugano sono: Guido Rivoir, pastore valdese di fede socialista, che si prodigò negli anni Settanta per l’accoglienza cittadini cileni perseguitati sotto la dittatura di Pinochet; Francesco Alberti, sacerdote cattolico amico di Don Sturzo, direttore di «Popolo e Libertà» e antifascista impegnato. E, da ultimo, Carlo Sommaruga e sua moglie Anna Maria Valagussa. Diplomatico presso l’ambasciata Svizzera a Roma, per il suo impegno a protezione degli ebrei perseguitati Carlo Sommaruga era sulla lista di proscrizione dell’autore dell’eccidio delle Fosse Ardeatine Herbert Kappler. I personaggi scelti verranno commemorati con un tributo civico e con un approfondimento storico?

Fra febbraio e marzo verranno dedicate ad ognuna di queste personalità serate pubbliche alla Biblioteca cantonale, alla Biblioteca Salita dei Frati e all’Università per illustrare il contesto storico e il loro operato. In aprile l’Istituto studi italiani diretto dal professor Stefano Prandi organizza il Convegno scientifico «Lugano al crocevia: esuli, esperienze, idee». Il progetto si concluderà il 26 aprile, con l’inaugurazione del Giardino dei Giusti, in presenza del Consigliere federale e capo del dipartimento degli esteri Ignazio Cassis, il capo del Governo cantonale e le autorità diplomatiche italiane. A conclusione della giornata, è in programma uno spettacolo al LAC dal titolo Serata colorata – curato ed ideato da Viviana Kasam, giornalista e co-ideatrice del progetto Lugano Città Aperta – che con interpreti di grande richiamo internazionale riproporrà intrattenimenti teatrali e musicali che si svolgevano nei campi di internamento fascisti in Italia. Il pubblico luganese – l’evento è in cartellone di LuganoInscena – potrà condividere quel clima di ironia, di tristezza ma anche di speranza che caratterizzava questi spettacoli di cabaret. Informazioni e programma:

www.luganocittaaperta.ch.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 29 gennaio 2018 • N. 05

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Cultura e Spettacoli

Ricetta di successo

Fargo Da film di culto a serie TV, con il benestare dei fratelli Coen:

i drammi grotteschi della provincia americana affascinano

«La ricchezza mescola le stirpi»

Massimario classico B riciole di saggezza

dalla letteratura del passato

Mariarosa Mancuso Ci vuole coraggio a misurarsi con i fratelli Ethan e Joel Coen. Ancor di più con il bellissimo film Fargo. Più di vent’anni sono passati, ricordiamo la statua del montanaro con l’accetta e la camicia a scacchi e sotto la scritta «Welcome to Brainerd». Ricordiamo Frances McDormand poliziotta incinta, l’unica che non ha rivolgimenti di stomaco osservando le scene del crimine. Ricordiamo il gangster Steve Buscemi che cerca di far sparire un cadavere triturandolo nella macchina per far la segatura (un piede rimasto fuori serve da pestello per agevolare l’operazione). Pausa. Fermi tutti. Già sembra di sentire la domanda: c’è bisogno di tanta violenza? Corollario: basta con queste serie americane, non esistono storie più edificanti da proporre? Andiamo con ordine, la violenza. Disse il serissimo studioso Jan Kott del Tito Andronico by William Shakespeare: «Un altro atto, e comincerebbero a morire gli spettatori delle prime file». Nei cinque atti precedenti, il catalogo è questo: mani mozzate, una lingua tagliata, un pasticccio di carne umana, sgozzamenti e ammazzatine con ritmi che oggi diremmo – sbagliando – da videogioco. Lo chiamiamo classico perché lo è, perché i cattivi sono sempre più interessanti dei buoni – a confermarlo ci sono secoli di letteratura. Non è una buona idea, detto per inciso, neppure togliere gli occhi dalle fiabe: poi va a finire che non si riconoscono quando li hai davanti nella vita. Quanto alle serie americane, ultimo bersaglio prediletto da chi pensa «stavamo meglio prima» – sognando come Umberto Eco un mondo dove per fare serata viene buono Kant – in questi decenni ci hanno regalato grandi storie. I Soprano è a tutti gli effetti un grande romanzo americano contemporaneo. Lost con tutti i suoi difetti è stata l’ultima delle «robinsonate» che hanno riproposto il fascinoso mito del naufrago. Il racconto dell’ancella ha riproposto un romanzo quasi dimenticato di Margaret Atwood, facendone la bandiera delle donne contro Donald Trump. Fargo – intendiamo la serie ispira-

Elio Marinoni

Nel 1997 Frances McDormand vinse l’Oscar come miglior attrice protagonista.

ta al film, la terza stagione in onda sulla RSI dal 10 gennaio scorso – va inquadrata così. Ora sappiamo che è riuscita benissimo, come le due precedenti. All’inizio fu una scommessa rischiosa. I fratelli Coen diedero il beneplacito al copione, già scritto dal coraggioso Noah Hawley. Se ancora avete dubbi sul fatto che gli sceneggiatori – vale per le serie ma anche per i film – siano scrittori a tutti gli effetti provate a leggere Prima di cadere, il suo romanzo pubblicato da Einaudi (e molto ben tradotto da Marco Rossari, anche lui scrittore). Provateci quando avete tempo a disposizione: difficile staccarsi dalla storia del jet privato che precipita al largo di New York, con eccellenti passeggeri a bordo. L’astuto Noah Hawley ha deciso per una serie antologica, a ogni stagione cambiano i personaggi e anche l’epoca, la vicenda si esaurisce in una decina di puntate. Scelta accolta con gioia dagli spettatori che non hanno troppa pazienza (iniziare certe serie può essere un impegno di mesi, non fatevi trascinare dal binge watching ora di moda, finisce come Woody Allen: fa un corso di lettura veloce per leggere Guerra e pace e poi sa dire solo «parla della Russia»). Nonché – tecnicamente – dettata dall’alto tasso di mortalità dei personaggi.

Fargo (la serie) conserva le atmosfere di Fargo (il film). Perfettamente imitate, per parlare di cinema, anche dallo strepitoso film di Martin McDonagh Tre manifesti a Ebbing, Missouri (ne ha già parlato su queste pagine Fabio Fumagalli). Era tanto che non si ammirava una storia tanto ben scritta e ben recitata – da Frances McDormand candidata all’Oscar, in zona premi sono anche Sam Rockwell e Woody Harrelson. Era tanto che non si ammiravano personaggi tanto complessi. È uno dei motivi chi ci hanno fatto rifugiare nelle serie, ma torniamo volentieri al grande schermo quando ne vale la pena. La prima stagione di Fargo era ambientata nel 2006, la seconda stagione faceva un salto indietro fino al 1979, sotto la presidenza di Ronald Reagan. La terza, con Ewan McGregor che si sdoppia nel gemello cattivo e nel gemello buono – già premiato con un Golden Globe – è ambientata nel 2010 (sempre in Minnesota). Il manifesto mostra una serie di francobolli – leggi: il bottino agognato. Nelle stagioni precedenti erano un quadretto a piccolo punto e un lavoro a maglia – leggi: le virtù casalinghe e la tentazione del denaro facile, già intrecciate nel racconto di Mark Twain L’uomo che corruppe Hadleyburg.

Con questo aforisma si conclude un distico elegiaco del poeta greco Teognide (VI sec. a.C.), che per intero suona così: «Tengono in onore le ricchezze; e così l’uomo eccellente sposa donna di vili origini, / e il vile donna eccellente. La ricchezza mescola le stirpi» (vv. 189-190). L’aristocratico Teognide guarda con disprezzo alla formazione di una ricchezza di origine mercantile («borghese», per modernizzare), che rendeva ormai superata l’originaria equazione tra agiatezza e nobiltà; rimpiange la decadenza economica (oltre che politica) di una parte almeno dei ceti aristocratici e assiste con preoccupato disappunto al fenomeno dei matrimoni «misti» tra aristocratici e nuovi ricchi. Il timore di una contaminazione della stirpe sarà condiviso, circa un secolo più tardi, dal patriziato romano nel tentativo di opporsi all’approvazione del nuovo diritto matrimoniale proposto dal tribuno delle plebe Gaio Canuleio, che legittimava i matrimoni misti tra patrizi e plebei (lex Canuleia de maritandis ordinibus). Le motivazioni addotte dai consoli (patrizi) contro la proposta di legge, così come sono riferite da Livio (Dalla fondazione di Roma, IV, 2, 5-6), agitano lo spauracchio della «contaminazione del sangue» e della conseguente impossibilità, per i patrizi, di conservare la propria identità: «Un’ibrida mescolanza di genti [...], ecco la novità che Canuleio vorrebbe introdurre perché non rimanga niente di puro, niente d’incontaminato [...].

Quale altra efficacia infatti potrebbero avere i matrimoni misti, se non quella di diffondere gli accoppiamenti fra i plebei e i patrizi, quasi a guisa di bestie? Cosicché i figli ignorerebbero quale sia il loro sangue [...]; sarebbero per metà patrizi, per metà plebei, senza essere d’accordo neppure con se stessi» (trad. di C. Moreschini, con qualche adattamento). La legge sui matrimoni misti fu infine approvata (445 a.C.), ma – anche se dopo la tragica esperienza nazifascista ogni discorso sulla purezza razziale suona ancora più sinistro – la storia dimostra che è difficile affrancarsi definitivamente da certe strutture mentali e dai pregiudizi radicati nelle abitudini sociali. Il Sudafrica solo recentemente e a prezzo di dure e diuturne lotte, e dell’eroismo di uomini come Nelson Mandela, si è liberato del vergognoso regime di apartheid; e negli Stati Uniti non sembrano del tutto vinte quelle diffidenze nei confronti dei colored che alcuni decenni orsono trovarono mirabile espressione nel film Indovina chi viene a cena. Oggi si fa un gran parlare di società e di cittadinanza multietnica, ma proprio l’intensificarsi dell’afflusso di masse di migranti – fenomeno che pone certamente gravissimi problemi di accoglienza – sta dando vita, in una parte almeno dei paesi europei che sono la meta di tale movimento, a un rigurgito, se non di vero e proprio razzismo, certo di nazionalismo e, come oggi si dice, di «sovranismo». Forse aveva ragione Montale ad affermare che «la storia non è magistra / di niente che ci riguardi».

Scena da un simposio dell’antica Grecia. (Wikimedia)

Lingue e casa loro Editoria Nella bella serie che l’editore Carocci dedica agli articoli della Costituzione italiana, un saggio

di Valeria Piergigli a proposito dello storico articolo sulla tutela delle minoranze linguistiche Stefano Vassere «Un gruppo numericamente inferiore al resto della popolazione di uno Stato o comunque in posizione non dominante, i cui membri – essendo cittadini dello Stato – posseggono caratteristiche etniche, religiose o linguistiche che differiscono da quelle del resto della popolazione, e mostrano, quanto meno implicitamente, un senso di solidarietà inteso a preservare le loro culture, tradizioni religiose, lingue». Che la Costituzione italiana viva un momento di popolarità almeno come brand è sicuramente fuori di dubbio. Più che le operazioni, che pure si sono date in questi anni, di pubblicazione un po’ in tutti i modi del semplice suo testo, e anche più della serie di recite teatrali, non-stop televisive, letture di piazza e simili, più di tutto ciò insomma, è quindi sacrosanta e profittevole la serie che la collana delle «Sfere Carocci» dedica a un buon numero di suoi articoli, i primi. Come per esempio questo Art. 6 La

Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche, curato dalla costituzionalista e docente di diritto pubblico Valeria Piergigli. Il rinvio alla tutela delle minoranze linguistiche, oggi tanto di moda, è presenza piuttosto sporadica nei testi costituzionali internazionali fino alla metà del Novecento e l’articolo 6 può per certi aspetti essere considerato un’avanguardia. C’erano – è vero – il contesto storico e il milieu ideologico dell’immediato secondo dopoguerra, quando i confini a nord e a nord-est in particolare rappresentavano ancora emergenze fumanti da riordinare sul piano politico e legislativo, e le comunità tedesche dell’Alto Adige, slovena del confine a ridosso con la Iugoslavia e francese della Valle d’Aosta rappresentarono territori di autentiche rivendicazioni separatistiche. Tant’è: l’esercizio dei costituenti fu senza dubbio virtuoso e pose le basi per uno spirito di tutela ben generoso, tuttora in forte potenziale espansione. Il testo della Piergigli è molto dif-

fuso proprio sui travagli memorabili della Costituente e sugli Statuti regionali che, a loro volta, si trovarono a tutelare, a riordinare e a legiferare. Certo è, poi, che la Repubblica dovette attendere quasi cinquant’anni prima di disporre di un testo di applicazione del mandato costituzionale, una Legge nazionale del 1999 che anche i linguisti hanno studiato in lungo e in largo e che protegge e valorizza, oltre alle comunità linguistiche di quelle tre regioni originali, altre minoranze storiche: il sardo, il grecanico, le colonie albanesi del sud del Paese, il catalano di Alghero, il ladino, il friulano, le minoranze croate, franco-provenzali e occitane. La Legge enuncia all’articolo 1 l’italiano come lingua ufficiale della Repubblica; non l’aveva fatto la Costituzione, perché «il riconoscimento dell’italiano come lingua ufficiale dello Stato avrebbe potuto a suo tempo assumere un sapore nazionalistico, evocando regimi totalitari e repressivi nei confronti del pluralismo linguistico e culturale che il legislatore costi-

che qualche lezioncina sulla portata tutt’altro che circoscritta del mandato costituzionale; il quale apre alla tutela di comunità che alla Legge del 1999 era stato rimproverato (dai linguisti) di avere tralasciato: le lingue delle comunità rom e sinti, le lingue delle nuove immigrazioni, le stesse lingue tutelate a livello personale indipendentemente dall’insediamento di pertinenza storico. Quest’ultima nuance sembra secondaria, una semplice gradazione di colore legislativo: in effetti non è così, perché la normativa linguistica tende in questo modo a poter essere estesa ai parlanti una lingua tutelata anche fuori dal proprio territorio. Qualcuno, decenni fa, ci avrebbe potuto almeno pensare per l’italiano in Svizzera, anche quello nelle altre Svizzere. L’argomento è delicatissimo e infastidisce taluni: citus mutus, come si dice da noi, quindi. tuente ha voluto, invece, riconoscere e garantire». In questo benvenuto volumetto viene data ai poveri linguisti an-

Bibliografia

Valeria Piergigli, Art. 6 Costituzione italiana, Roma, Carocci editore, 2017.


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Cultura e Spettacoli

Per conoscere l’altro non bastano i fatti

In scena Un apologo di Alberto Moravia sul rapporto tra i sessi, proposto dal Teatro OutOff di Milano

Giovanni Fattorini Non ho dati certi al riguardo, ma credo che Alberto Moravia, attualmente, non sia tra gli autori più richiesti nelle librerie e nelle biblioteche italiane. Sono certo, invece, che non figura tra i drammaturghi più rappresentati sulle scene del paese in cui è stato per decenni uno scrittore e un intellettuale importante, famoso anche fuori dei confini nazionali. Che cosa ha indotto Lorenzo Loris – interessato da sempre alla drammaturgia contemporanea – a riproporne un testo del 1986 che s’intitola L’angelo dell’informazione? Un certo peso, nella scelta, l’ha sicuramente avuto il singolare accostamento del termine «angelo» (che significa «messaggero», e reca con sé un’idea di luce, bellezza e verità) al termine «informazione», che molti oggi associano al concetto di menzogna più che a quello di verità, e che designa comunque una realtà complessa e controversa.

Scritto nel 1986, L’angelo dell’informazione, prende il pretesto dall’attualità per poi parlare della coppia Ma veniamo al testo. L’immagine iniziale è quella di Matteo – giornalista e politologo – che sta battendo a macchina un articolo sulla crisi dei rapporti tra Stati Uniti e Unione Sovietica provocata dall’abbattimento di un jumbo in acque giapponesi. Poco dopo, parlando con Dirce, sua moglie – che lui chiama «il mio angelo dell’annunciazione», sicché lei gli si presenta, la mattina, con indosso un camicione e un giglio in mano – Matteo asserisce: «Ci sono due maniere di nascondere la verità. O non dare alcuna informazione, che è la maniera, diciamo così, tradizionale. Oppure darne troppe, con tutti i mass-media di cui disponiamo, che è la maniera

veramente moderna». (Nel 1986 non si parlava ancora di fake news, che sono sempre esistite, ma non proliferavano e si diffondevano col rigoglio e la velocità che sono propri della rete). La cosa certa – sostiene Matteo – è che le informazioni riguardanti avvenimenti come l’abbattimento del jumbo, per quanto numerose, non possono dirci la totalità delle concause, e men che meno l’intima verità di chi vi è coinvolto. Questo convincimento troverà conferma anche nella sfera domestica, in seguito alla confessione di Dirce di avere un amante che si chiama Vasco e fa il pilota. Dopo i primi sussulti, dopo uno scatto di rabbia, Matteo si mostra curioso, avido di informazioni, e lei – che assicura di continuare ad amarlo – non gli lesina i particolari sulle sue performance sessuali al di fuori del matrimonio. La disinvoltura con cui Dirce descrive la fisiologia del rapporto adulterino è in stretta relazione con l’atteggiamento del marito: se in lei, infatti, c’è una vena di sadismo, in lui, sicuramente, c’è una disposizione masochistica. Ma non si deve credere che L’angelo dell’informazione sia una commedia psicologica: qui non si danno personaggi sfaccettati, bensì posizioni dimostrative. Il lungo atto unico di Moravia è infatti un apologo dialogato – a tre voci e in tre parti – sul rapporto tra i sessi. Quali conclusioni si possono trarre (ma forse dovrei dire: quali conclusioni ho tratto) dalle parole e dai gesti del triangolo medio-borghese formato da Matteo, Dirce e Vasco? La prima è che quand’anche se ne conoscano con dovizia di particolari i comportamenti, il partner (uomo o donna che sia) rimane inconoscibile nella sua più intima realtà; ragion per cui l’assoluta trasparenza fra i componenti una coppia non è in alcun modo realizzabile. La seconda è che le dichiarazioni d’amore e i congiungimenti carnali non possono ovviare alla sostanziale separatezza degli individui. La terza è che la gelosia di chi ha il sospetto o la

Da sinistra: Antonio Gargiulo, Silvia Valsesia, Daniele Gaggianesi. (OutOff)

certezza del «tradimento» del partner (uomo o donna che sia) non viene alimentata e acuita – almeno per quanto riguarda la maggioranza dei soggetti intellettualmente evoluti come Matteo – dalla convinzione presuntuosa di avere diritto al possesso esclusivo del suo corpo, bensì dal pensiero tormentoso e a volte intollerabile del piacere che «l’infedele» prova e procura nel rapporto fisico con un’altra persona (lo ha detto benissimo Shakespeare in Otello, e lo ha detto non meno bene Proust nella Recherche). La quarta è che tra le coppie di una certa borghesia

è più facile addivenire a una strumentalizzazione concordata e reciproca dei corpi. Lorenzo Loris non ha cercato in alcun modo di mascherare il didascalismo del testo, evidente soprattutto nella prima e terza parte: quelle cioè in cui Matteo e Dirce intessono un dialogo serrato fatto prevalentemente di domande e risposte che a tratti possono sembrare pornografiche. Non ha cercato neppure di alleggerirlo, chiedendo agli attori (Antonio Gargiulo, Silvia Valsesia e Daniele Gaggianesi) di essere quanto più possibile sciol-

ti, naturali (come lo furono, nel 1986, Giorgio Albertazzi e Ombretta Colli nei ruoli di marito e moglie). Ha voluto invece evidenziarlo, e direi quasi esaltarlo attraverso una recitazione dai toni assertivi e a voce alta, che a volte produce effetti volutamente comici, e più spesso si lascia sfuggire le occasioni di sottile ironia che il testo offre non di rado. Dove e quando

Milano, Teatro OutOff, fino al 4 febbraio.

Buon interprete fa buon film Filmselezione La straordinaria prova di Gary Oldman va a tutto vantaggio del biopic L’ora più buia,

mentre sembra un po’ appannata la Napoli di Ozpetek Fabio Fumagalli ** L’ora più buia (Darkest Hour), di Joe Wright, con Gary Oldman, Kristin Scott Thomas, Ben Mendelsohn (Gran Bretagna 2017)

Il regista inglese Joe Wright non è l’ultimo venuto: a partire dal 2005 di Orgoglio e pregiudizio, seguito da Atonement e Anna Karenina, abbiamo sempre ammirato la sua voglia di sfidare progetti impegnativi, grazie a un talento espressivo superiore alla norma. In quanto a Gary Oldman, il protagonista di La talpa (2011) e, prima ancora, i diversi Harry Potter, i film di Christopher Nolan e, a ritroso, il Dracula di Coppola o il JFK di Oliver Stone del 1991, hanno reso comprensibile l’ammirazione suscitata ora universalmente da questo suo Churchill. Straordinario, per la facoltà di assimilazione gestuale da parte del protagonista, incredibile per l’impegno profuso. Ma Darkest Hours rischia di vivere quasi esclusivamente in ragione di quest’ultimo. Ogni mattina, ci rac-

contano, l’attore si è sottoposto a tre ore di trucco per assimilare le varie protesi che lo identificano in modo impressionante al vecchio leone. Grazie alle intuizioni dell’attore, impressionano allora l’incedere così particolare del famoso statista, la cadenza delle sue celebri bat-

tute, la leggendaria qualità della sua arte oratoria. Basta, tutto ciò, per ridarci l’intensità drammatica di quello snodo determinante della Seconda Guerra Mondiale? Nella semioscurità di quegli scantinati antibellici sotto

Tre ore di trucco ogni giorno per somigliare a Churchill. (Universal Pictures)

Westminster basta l’imbronciata, anche se come sappiamo pure discussa, facondia del personaggio a rappresentarne la grandezza? La simpatica bonarietà scontrosa del Churchill casalingo che seguiamo fin dalle mattinate in pigiama costituisce certamente una delle ragioni del successo di L’ora più buia. Annacquare lo stile ambizioso ma pure incisivo del cineasta Joe Wright rappresentava però l’unica soluzione per riandare alle leggendarie esitazioni di quelle ore? Accettare i dubbi, pavidi fino all’ambiguità, dei Chamberlain e Halifax sull’opportunità di continuare la guerra; oppure ricorrere alla mediazione di Mussolini, con l’illusione di limitare il sacrificio delle vite; auspicare il compromesso di un’inutile, ulteriore sconfitta morale con Hitler? Si tratta d’interrogativi storici; riproporli a tanti anni di distanza rinviano un po’ nel vago quell’impressione di modernismo con la quale avevamo accolto i primi film di Joe Wright. Dimenticando forse il fatto che la dram-

maturgia del suo precedente Anna Karenina nasceva dal magistero della penna di un Tom Stoppard. * Napoli velata, di Ferzan Ozpetek, con

Giovanna Mezzogiorno, Alessandro Borghi, Anna Bonaiuto, Peppe Barra, Biagio Forestieri, Lina Sastri, Luisa Ranieri (Italia 2017)

È una storia di fantasmi, che inizia però con una sequenza di sesso più che concreta. Il guaio dell’ultimo film di Ozpetek è che quell’incipit, pure accattivante, esaurisce subito il confronto fra l’onnipresente e volonterosa Giovanna Mezzogiorno e l’atletico sub (Alessandro Borghi) dagli apparenti interessi non solo amatori. Mentre il film arrischia immediatamente di perdersi nella ragnatela inestricabile d’insinuazioni narrative. Certo, dietro c’è la Napoli dalle relative, infinite suggestioni a fior di pelle; oltre al mistero debordante ma presto inevaso, di un thriller che si vorrebbe mentale. Che una sceneggiatura ambiziosa quanto abnorme conduce allo sfinimento.


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Cultura e Spettacoli

Quasi una Madame Bovary viennese Editoria – 1 Esce da Passigli la nuova traduzione di Angoscia, racconto lungo di Stefan Zweig

Luigi Forte L’ebreo Stefan Zweig non smise di sognare la felix Austria rievocata nell’autobiografia Il mondo di ieri, anche se il mito della sicurezza era ormai tramontato da tempo. Quella realtà era stata per lui, viennese della generazione dei vari Broch, Kraus, Musil, sinonimo di saldezza in cui tutto aveva una sua norma, un peso e una misura. Fu il paladino sentimentale e un po’ retorico di un passato mitteleuropeo riesumato con affetto, ma anche con la tragica consapevolezza di chi, dopo la prima guerra mondiale, scorgeva ormai di fronte a sé solo l’incertezza del presente.

I turbamenti di una donna dell’alta società: un romanzo psicologico dallo scioglimento inaspettato Eppure nella sua scrittura sapeva ancora catturare il respiro della storia. Era capace di fissare in poche pagine un grande avvenimento o di dare vita a squisite biografie, tra cui quelle di Erasmo e Magellano, Maria Stuarda e Maria Antonietta. Oppure si lasciava attirare dall’estro e dalla curiosità fiutando imprevisti, capricci della sorte che hanno talvolta contrassegnato, in vario modo, non solo il destino di singoli individui, ma svolte epocali. Come nella singolare raccolta di medaglioni storici, Momenti fatali. Leggendo però il lungo racconto Angoscia pubblicato nel 1920, che l’editore Passigli propone ora nell’ottima versione di Vittoria Schweizer, si scopre uno Zweig del tutto diverso, raffinato e ineguagliabile maestro della novella e divulgatore del freudismo in letteratura, che negli anni Venti aveva scritto bestseller con vendite da capogiro. Anche lui, l’ostinato e ricco umanista senza futuro, che non esitò

ad aiutare finanziariamente l’amico Joseph Roth, all’avvento del nazismo, andò esule in vari paesi e alla fine sgusciò fuori dal proprio tempo con un definitivo salto nel buio: a sessant’anni, nel febbraio del 1942, si avvelenò con la sua seconda moglie a Petropolis in Brasile. L’atmosfera dei suoi racconti, il chiaroscuro di coscienze obnubilate non segnalano solo le inquietudini e le disfatte di singoli individui, ma il clima di un’intera epoca, gli abissi e le solitudini di una società alla deriva. Una passione inafferrabile che il tempo vanifica, un amore febbrile che si stempera in un gioco di ombre, in un sentimento esangue fa spesso da sfondo, come nel bellissimo racconto Il viaggio nel passato del 1929, a una forte tensione fra desiderio e disincanto. Ad essa non si sottrae nemmeno Irene Wagner, madre di due figli e moglie apparentemente felice di un noto avvocato della ricca borghesia viennese. La protagonista del racconto psicologico Angoscia non è una madame Bovary che cerca di sfuggire con l’adulterio alla mediocrità della vita di provincia. È piuttosto una signora che frequenta la buona società della capitale, appagata in apparenza dal suo matrimonio e dalla vita comoda e agiata che conduce. Ma una certa routine e l’attenzione verso l’inesplorato la spingono fra le braccia del giovane musicista Eduard. Del resto – ricorda lo stesso autore – «la sazietà non è meno eccitante della fame, e quella vita sicura e priva di pericoli aveva acceso in lei la curiosità per l’avventura». E le sorprese non mancano perché dopo uno degli incontri con l’amante la donna viene apostrofata da una sconosciuta che inizia a ricattarla. Il meccanismo del racconto è in apparenza piuttosto semplice: il ricatto sembra non aver fine, la donna cede per paura, paga a tace. Interrompe senza esitazioni il suo rapporto adulterino, ma non trova il coraggio di confessare ogni cosa al marito. Anzi, decide di farla

Dalla novella è stato tratto un film con Ingrid Bergman, per la regia di Roberto Rossellini. (Keystone)

finita: a questo punto la storia ha una svolta imprevista e forse non del tutto plausibile. Ma quel finale, che lasciamo alla legittima curiosità del lettore, è il momento culminante di una fortissima tensione che quasi ribalta il racconto in una sorta di thriller psicologico. Zweig opera con la sua solita magia: rende imprevedibile anche l’intreccio più semplice. I fatti veri e significativi non sono però legati alla realtà, ma alle reazioni che essa genera nella mente e nella coscienza di Irene. Il suo mondo interiore è la vera scena di Angoscia, i suoi turbamenti, l’abisso in cui è caduta, fra vergogna e profondo senso di colpa, che potrebbe annientare ogni speranza di ritorno. Fin dall’inizio quel legame non le crea che ansia

e ogni volta si congeda dall’amante in preda ad un’agitazione incontrollabile: le ginocchia le si irrigidiscono in una morsa di ghiaccio mentre il battito del cuore sembra arrestarsi. Non c’è gioia né felicità – sembra intuire la giovane donna – al di fuori della norma e la sua stessa vita familiare, all’ombra del ricatto, si è trasformata in un incubo e nell’incapacità di rimettere ordine nel proprio mondo. Zweig spinge quel processo fino in fondo per dare infine un senso al disorientamento: bisogna vincere l’estraneità che ci pervade e interrogare le nostre stesse certezze. Proprio il senso del pericolo che la circonda spinge Irene a guardare nel suo passato «come in un abisso». E cosa scopre? Che l’apparente sicurezza della sua vita le ha alienato

gli stessi familiari, anzi le ha reso estranea «la sua essenza più intima, così come lo era quella dei propri figli». Forse ci voleva quella fatale infrazione per ritrovare un rapporto fra le cose, riallacciare veri legami e scoprire verità. Non senza l’aiuto segreto e misterioso di quel marito sensibile ma pericolosamente solerte che tutto aveva già intuito, vero deus ex machina di un epilogo in cui la sofferenza trova la strada verso la felicità. Uomini così c’erano forse solo nell’Austria felix sognata dal grande Stefan Zweig. Bibliografia

Stefan Zweig, Angoscia, traduzione di Vittoria Schweizer, Passigli editori, Bagno a Ripoli, p. 106, € 10,00.

Quegli svedesi emigrati a Jerusalem Editoria – 2 Selma Lagerlöf, prima donna ad essere insignita del Nobel, è l’autrice di un romanzo avvincente Marco Horat Ci sono dei libri che non vorreste finissero mai, tanto vi prendono il cuore e la testa; oppure che una volta girata l’ultima pagina vi lasciano come in estasi, impedendovi di pensare ad altro che alla storia che avete appena vissuto. Per me uno di questi libri è Jerusalem di Selma Lagerlöf, appena ripubblicato da Iperborea a distanza di vent’anni. Una saga straordinaria ambientata sul finire dell’800 quando il mondo aspirava a una rinascita spirituale, pubblicata dalla grande scrittrice svedese nel 1902. Qualche tempo dopo, nel 1909, Selma Lagerlöf veniva insignita, quale prima donna, del Premio Nobel per la Letteratura e pochi anni più tardi entrava a far parte dell’Accademia svedese. Moriva a Sunne nel 1940 all’età di 82 anni. Due curiosità: a lei è dedicato l’asteroide 11061 scoperto nel 1991, mentre il suo volto compare sulle banconote da 20 corone del suo paese. Ma la sua attualità non si esaurisce qui: pensiamo a quanto succede oggi in quella parte tormentata del mondo e al fatto che molti, dentro e fuori la sfera delle religioni, sentono il bisogno di un’alternativa al materialismo contemporaneo che impoverisce l’uomo. Jerusalem racconta la straordinaria vicenda di una piccola comunità di Näs, nel Värmland, che decide di la-

sciare il paese natale vendendo terreni, pascoli, fattorie e animali, per trasferirsi a Gerusalemme e unirsi a una setta americana che si ispira a ideali cristiani di uguaglianza, fratellanza, concordia, castità e povertà; e che vive nella millenaristica attesa del ritorno di Cristo.

Una scelta drammatica, sofferta, che lacera le famiglie e che porterà molti dei partecipanti e dei parenti rimasti a casa, a percorrere sentieri spirituali inesplorati che cambieranno le loro vite, tra pulsioni idealistiche e debolezze terrene. Una storia vera che Selma

La scrittrice in un ritratto del 1908 di Carl Larsson. (Wikimedia Commons)

Lagerlöf narra di prima mano essendo anche lei andata in Palestina in compagnia della sua amica e collega Sophie Elkan, per vedere con i propri occhi come vivevano questi suoi compaesani trapiantati in un mondo così lontano da quello nel quale erano cresciuti. Un gruppo di fedeli invasati ma in buona fede che cercavano la Gerusalemme celeste, «la città di Dio dalle mura dorate e dalle porte di cristallo», le strade che il piede di Gesù aveva calcato, i luoghi della Passione che Sant’Elena aveva stabilito a pro’ dei pellegrini di tutto il mondo che sarebbero accorsi in quella capitale di tre religioni dove si respirava un’aria mistica unica al mondo. E cosa avevano invece trovato loro (o meglio la stessa Lagerlöf )? Pregiudizi, miseria, malattie, morte e soprattutto una città divisa da lotte tra paesi coloniali e fazioni religiose che cercavano di screditarsi l’un l’altra al fine di conquistare più anime alla propria causa, dove «tutti si odiano e si combattono a maggior gloria di Dio». Miserie umane, bilanciate dalla speranza nella salvezza divina. Da grande scrittrice quale era, Selma Lagerlöf trasfigura il contrasto tra mito e realtà, questo mondo in grande fermento, complesso e contraddittorio, in un racconto mitico, in un’epopea che qualcuno ha addirittura paragonato a un poema omerico. Marguerite Yource-

nar non aveva forse detto che la Lagerlöf era la più grande scrittrice dell’800? Si susseguono nel romanzo pagine di straordinaria forza narrativa, nelle quali si alternano i sentimenti umani più profondi, si incrociano i destini dei molti protagonisti (dai nonni ai nipoti) alla ricerca di se stessi, ma si agitano anche le antiche leggende che popolavano la campagna della Dalecarlia con le figure magiche o inquietanti della sua tradizione. Momenti indimenticabili come quando la Lagerlöf narra la vendita all’asta della fattoria degli Ingmarsson, la famiglia che fa da filo conduttore alla vicenda, che costituirà uno dei momenti chiave di tutto il racconto; o ancora il viaggio notturno attraverso le strade di Gerusalemme di Halvor per riportare a casa la bara dispersa della figlioletta morta. O infine la storia d’amore, contorta quanto infinita, tra Ingmar e Gertrud. Una frase conclusiva, riportata sulla quarta di copertina: «Niente è tanto strano quanto pensare a come Dio governa il mondo. No, proprio niente è tanto strano». Bibliografia

Selma Lagerlöf, Jerusalem, traduzione di M. Ettlinger Fano, Iperborea editore, pp. 512, € 19,50.


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Cultura e Spettacoli

Gli U2 e la forza dell’abitudine

L’eredità del clown

eppure ancora in grado di ricreare un poco della magia del passato

inesauribile di stile in scena al Sociale

CD1 Il nuovo Songs of Experience mostra una band ormai dedita all’autocitazione,

Benedicta Froelich Già da molto tempo, nell’ambito del pop-rock internazionale, sembra purtroppo ormai assodata la persistenza di un seccante assioma: quello secondo il quale, una volta raggiunto il successo mondiale e la parossistica ricchezza personale, anche le migliori band musicali finiscano inevitabilmente per perdere il «fuoco sacro» e convertirsi infine al genere più commerciale e mainstream. Ahimè, da diversi anni i celeberrimi (e multimiliardari) U2 sembrano soffrire di tale sindrome; al punto da spingere diversi critici musicali a suggerire che, a questo punto, il gruppo capitanato dal furbissimo Bono Vox farebbe bene a seguire l’esempio dei coetanei R.E.M. e decidersi infine per lo scioglimento dell’ormai quarantennale formazione. Ma il gruppo irlandese sembra, in realtà, non averne la minima intenzione, e anzi, continua a sfornare imperterrito dischi perlopiù poco emozionanti. Questo nuovo CD, annunciato e atteso ormai da parecchio, rientra in tale categoria – e, fin dal titolo, si presenta come un’ideale prosecuzione del precedente Songs of Innocence (2014), tanto da riprenderne molte delle tematiche cruciali, nonché i principali difetti. Dopo una traccia d’apertura interessante (l’onirica ballata elettronica Love Is All We Have Left), risulta infatti difficile negare la risaputa banalità di pezzi come Love is Bigger Than Anything in its Way, irritante fin dal titolo («l’amore è più grande di qualsiasi cosa si metta sulla sua strada»), o dell’innocuo Ordinary Love (Extraordinary Mix) – il quale, in barba alla dichiarazione tra parentesi, di straordinario non ha proprio nulla; e se la situazione sembra risollevarsi non poco con Lights of Home e la grintosa Get Out of Your Own Way, lo si deve più che altro agli interessanti riff di chitarra dal sapore quasi hard rock in-

Sulla copertina, Elijah, il figlio di Bono, e Sian, figlia di Edge.

tessuti dall’abile The Edge. Un discorso a parte merita American Soul, cavalcata rock nata come «costola» di XXX, brano già inciso dal rapper statunitense Kendrick Lamar: una collaborazione interessante, che tuttavia non riesce davvero a emozionare fino in fondo, nonostante la presenza dell’ennesimo recitativo «socialmente impegnato» propinatoci da Bono e compagni. Sfortunatamente, come accade ormai da tempo con gli album degli U2, anche Songs of Experience presenta troppi brani, per così dire, senza infamia e senza lode – niente più che semplici «fillers», o riempitivi: esercizi easy listening dal gusto pseudo-romantico come You’re the Best Thing About Me,

o tendenti all’esistenzialismo d’accatto – come nel caso del mediocre The Showman (Little More Better) o del ritmato ma insipido rock di The Blackout – non lasceranno alcuna traccia nella memoria collettiva, né verranno, probabilmente, mai eseguiti dal vivo; per contro, però, la band può ancora ricorrere al cosiddetto «effetto nostalgia», che garantisce di salvare, almeno in parte, la tracklist di questo disco. Ecco quindi che uno dei brani migliori è senz’altro 13 (There is a Light), il quale non è che un riferimento a Song for Someone, pezzo già presente in Songs of Innocence, con il quale condivide il medesimo ritornello. E non solo: autocitazioni meno

dichiarate, ma comunque evidenti, permeano pezzi come Red Flag Day (che potrebbe passare per un’outtake di War o di un altro album tipicamente anni 80 degli U2), mentre Book of Your Heart e Summer of Love richiamano da vicino le sonorità di Achtung Baby – di fatto, il primo album a mostrare la virata della band da uno stile rock più intimista e cantautorale verso una sorta di «hard pop» tipicamente anni 90, peraltro non apprezzato da tutti; e seppure l’effetto déjà-vu sia quasi risibile, farà senz’altro contenti i più nostalgici tra i fan del gruppo. Anche perché bisogna dire che, perfino nelle tracce meno originali, è ancora possibile, a tratti, riscontrare momenti di perfezione lirica che richiamano gli U2 «rivoluzionari e arrabbiati» di un tempo – come accade con The Little Things That Give You Away («sometimes the end is not coming / the end is here»); in tal senso, il caso più interessante è certo il toccante Landlady, brano dal sapore autobiografico e di argomento relativamente atipico (in fondo, dà ancora sollievo constatare come, almeno saltuariamente, la band sia in grado di uscire dal seminato delle classiche storie d’amore a due). In definitiva, ciò che Songs of Experience sembra dimostrare una volta di più all’ascoltatore è che l’hubris degli U2 non accenna, ahimè, ad attenuarsi: prova ne è il fatto che questo disco avrebbe più che beneficiato dell’eliminazione di qualche traccia di troppo, operazione tuttavia frenata dalla superbia artistica di Bono e dei suoi. Eppure, è altrettanto innegabile come, qua e là nel CD, si ritrovino ancora sprazzi dell’antica maestria di una band che, per una manciata di anni, ha incarnato quanto di meglio il rock anglosassone potesse offrire; ed è proprio in questo strano, tragico contrasto, che risiede il dramma attuale non solo degli U2, ma di molte altre formazioni dell’attuale scena musicale.

Teatro L a tradizione

Giorgio Thoeni Camilla Pessi e Simone Fassari (in arte Compagnia Baccalà) sono degni eredi di un’arte antica, semplice, efficace, soprattutto quando dimostra di avere tutta la serietà, la dedizione e l’onestà necessarie: doti indispensabili. Solo se ci viene raccontata così quest’arte potrà continuare a trovare spazio e difendere la sua tradizione, una lezione che non vogliamo vedere soffocare sotto il peso delle mode e della superficialità liquida. L’unico vero nemico è infatti costituito dall’ignoranza o da sciocche presunzioni sulla figura del clown nella sua dimensione teatrale. Un timore che era stato espresso molto chiaramente nel corso della conferenza stampa di presentazione di Oh oh, lo spettacolo coprodotto dal Teatro Sociale il cui palcoscenico ha tenuto recentemente a battesimo il suo debutto davanti a un pubblico delle grandi occasioni riscuotendo un grande e meritato successo. Dopo aver condiviso in platea il divertimento e le emozioni di quella prima assoluta, va ora detto che ciò a cui abbiamo assistito ha avuto il merito di essere un risultato eccezionale, dove forme e contenuti sono il frutto di un affiatamento unico che solo una preparazione accurata e rigorosa permette di esprimere. A ciò hanno certamente contribuito Valerio Fassari e Louis Spagna, registi che hanno avuto il difficile compito di rigenerare una coppia reduce da Pss Pss, uno spettaco-

Un film musicale senza immagini

CD Pubblicato di recente Pierino e i lupi, originale album tra folk e improvvisazione Alessandro Zanoli Combinare l’amore per la musica popolare con la profonda sensibilità verso il jazz: a pochi musicisti riesce di creare un repertorio originale partendo da tali presupposti. Originale, in questo senso, è il termine più importante. Sta a indicare la capacità di un musicista di imporre la propria personalità a un materiale sonoro. Senza forzarlo, senza snaturarlo, riuscire ad esprimere la propria visione della materia musicale e far sì che il pubblico, ascoltando, riconosca una fisionomia, identifichi un sound individuale. A chi conosce Peter Zemp, multistrumentista lucernese di nascita ma ticinese d’adozione, riuscirà facilissimo ritrovare il suo stile nelle note di questo Pierino e i lupi, album autoprodotto, pubblicato di recente. Zemp milita in numerosi gruppi di vario indirizzo musicale ma vi ha sempre portato una predilezione spiccata per i progetti con una marca estetica fuori dagli schemi. Il suo approccio all’interpretazione è decisamente unico; Zemp sa realmente unire le sue radici nordalpine a una profonda comprensione per il folk italiano. In lui coesistono in qualche modo il ländler e la monfrina: li mescola con una infarinatura di Miles Davis e Bill Frisell. Dall’incontro nasce una musica lieve-

mente malinconica, tranquilla, tutta rischiarata d’ironia. I venti brani di Pierino e i lupi sono una serie di quadretti, fotografie da ascoltare, che in prevalenza propongono piccole gite nel paesaggio. Il loro titolo lo indica: Chiasso, Romoos, Torno, Hitzkirch, invitano all’immaginazione, alla ricostruzione acustica di quelle località. Zemp dice di non essersi reso conto della caratteristica «geografica» del suo disco, ma di averla scoperta a posteriori. Racconta che l’album è nato un po’ per caso, sulla base delle

insistenze di amici. Lui ha colto la sfida anche perché gli dava l’occasione di incidere brani composti nel corso degli anni (Linus e Didi e Gogo li aveva già registrati molti anni fa). Alla fine si è accorto però che la scaletta dei pezzi seguiva una sorta di filo conduttore. Pierino e i lupi è diventato quindi una sorta di «concept album», pieno di richiami interni, di allusioni, quasi con un’ambizione narrativa. Oltre che un viaggio nello spazio, il disco è una proposta di viaggio nel tempo. Le sue sonorità vintage sembrano

Musiche di Peter Zemp per una band di «quasi jazzisti». (www. pierinolupi.ch)

anche un po’ un bricolage di suoni: giocattoli, carillon, campanelli, richiamano il mondo dell’infanzia. Importante del resto l’allusione a Pierino e il lupo, composizione che da bambino Zemp ascoltava in un album con figure colorate. E il disegno di copertina del giovane illustratore Nino Christen sembra ispirarsi ai disegni di quel vecchio disco. «Le cose si sono un po’ messe in movimento da sole, una volta iniziato il progetto» ci racconta Zemp. I musicisti che hanno realizzato il disco collaborano con lui da molti anni: Simone Mauri ai clarinetti è un po’ l’alter ego alla fisarmonica di Zemp. Il dialogo melodico che si costruisce tra i due ricorda alla lontana la collaborazione tra Gianni Coscia e Giancarlo Trovesi. Ma la musica di Zemp si pone su un piano più sperimentale, tutto sommato. Le percussioni di Santo Sgrò, la chitarra di Giancarlo Nicolai introducono elementi di sano disordine free che scompiglia gli eccessi di malinconia. Clara Zucchetti al vibrafono e Zeno Gabaglio al violoncello nei loro interventi offrono un raffinato contributo all’insieme. Il disco, apparentemente semplice e understated, è in realtà registrato con cura e raffinatezza da Stefano Pagani nella sala di Jazz in Bess a Lugano: un sound davvero casalingo ma di più che soddisfacente consistenza.

Simone Fassari e Camilla Pessi sono la Compagnia Baccalà.

lo che ha replicato 800 volte in oltre 50 paesi nei cinque continenti. Un lavoro che ha conquistato riconoscimenti prestigiosi come il Premio svizzero della scena nel 2016. Insomma, non dev’essere stata un’impresa facile restituire una sorta di «verginità» teatrale a due artisti che la critica ha definito come gli eredi di Dimitri. E a ben vedere lo sono. In loro vive infatti la secolare maestria del circo, con il clown bianco e l’Augusto, ma anche quella dei suoi acrobati accanto alla memoria di figure care al mondo di Fellini e specchio delle maschere di Keaton, di Chaplin. Certi confronti non incutono soggezione: Camilla e Simone sono straordinari nel rendere affascinanti e sorprendenti situazioni classiche, ricucite per una nuova e sorprendente vita. I due clown ci prendono per mano sin dal primo istante. La loro ingenuità, i loro occhi sgranati sul mondo, i dispetti e le ripicche diventano sale e pepe del loro amore. Ci accompagnano in un sogno fantastico dove convivono eleganti acrobazie, dramma e comicità, indimenticabili mimiche facciali e magistrali silenzi. Una bravura di cui andar fieri, ancora una volta trionfale ambasciatrice d’arte.


Perché ciò che facciamo noi è più buono: il tè freddo del mio negozio. Yannick D., proprietario della Migros

La Migros è della gente. Per questo conosce i gusti della Svizzera meglio di chiunque altro. Con più di 10’000 prodotti che la Migros produce lei stessa nel nostro Paese. migros.ch/proprietari


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Idee e acquisti per la settimana

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shopping

50 anni di genuinità tutta ticinese Novità Gli gnocchi Di Lella si presentano in nuova veste

Azione 25% Di Lella Gnocchi di patate 500 g Fr. 2.25 invece di 3.05 dal 30.1 al 5.2

Marka

Di Lella Gnocchi di riso nostrani 500 g Fr. 4.70

Nuovo look, ma stessa apprezzata qualità di sempre: gli gnocchi del Pastificio Di Lella deliziano il palato dal 1968, anno di fondazione di questo laboratorio artigianale situato a Sementina. Ancora oggi l’azienda ha una conduzione famigliare: «La qualità della nostra produzione è il risultato di una sinergia riuscita tra approccio artigianale fedele alla tradizione e tecniche produttive avanzate», spiega Yaël Nessi, direttrice dell’azienda bellinzonese, «senza dimenticare un’attenzione particolare alle economie domestiche locali e alla sostenibilità. Inoltre i nostri gnocchi sono lavorati “a caldo”, una tecnica che permette di ottenere un prodotto soffice, gustoso, con una consistenza che si mantiene a lungo e si lega alla perfezione con vari condi-

menti: ragù, pesto, sughi tipici come matriciana o arrabbiata, o un semplice burro e salvia». Tra i prodotti firmati Di Lella troviamo gli gnocchi di patate tradizionali, le cicche del nonno e gli gnocchi stagionali di castagne. Inoltre, si fanno spazio accanto a tutte queste prelibatezze anche gli gnocchi di riso nostrani: «Sono a base di farina di riso ticinese della varietà “Loto” coltivato nel locarnese. Rispetto agli gnocchi classici, risultano più leggeri e digeribili e sono naturalmente privi di glutine, pertanto indicati anche per coloro che soffrono di celiachia», conclude Yaël Nessi. Inoltre coloro che seguono una dieta vegana troveranno deliziosi tutti questi prodotti che sono realizzati senza l’utilizzo di uova.

Gnocchi di patate al sugo di pomodorini freschi Ingredienti per 4 persone 1 kg di gnocchi di patate 500 g di pomodorini freschi 2 spicchi d’aglio 5 foglie di basilico fresco Olio di oliva extra vergine q.b. Sale q.b. Peperoncino q.b. Pecorino stagionato q.b. Mise en place Lavare i pomodorini freschi sotto l’acqua fredda, asciugarli e tagliarli in quattro. Sbucciare l’aglio e tritarlo. Togliere i gambi del basilico e lavarlo.

Di Lella Cicche del nonno 500 g Fr. 4.05

Preparazione Versare l’olio in una padella e soffriggere lentamente l’aglio con il peperoncino. Aggiungere i pomodorini e il sale e cuocere a fiamma bassa per 20 minuti. Aggiungere le foglie di basilico negli ultimi minuti di cottura. Cuocere gli gnocchi in acqua salata e scolarli man mano che vengono a galla. Mantecarli nel sugo e servire ben caldo con l’aggiunta di pecorino grattugiato. Di Lella Gnocchi di castagne 500 g Fr. 4.10


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Morbido e saporito collo di maiale Attualità Un taglio di carne che conquista tutti i commensali

La ricetta

Cosa ne direste di una succosa tagliata di collo maiale glassata al succo di mele?

Azione 33% sull’Arrosto di collo di maiale Svizzera, imballato, 100 g Fr. 1.40 invece di 2.10 La carne di maiale

La carne di maiale è tra le preferite dagli svizzeri. E non è un caso: questa aromatica carne, oltre ad essere conveniente, si distingue per la sua versatilità e semplicità di preparazione. Si presta bene per i più svariati piatti, come cotture lunghe, in padella, al forno oppure per le sempre gettonatissime pietanze alla griglia, costine per prime. Tutta la carne di maiale deve sempre essere cotta a puntino.

Il collo di maiale

È un taglio apprezzato per la sua bella marezzatura di grasso che in cottura rende la carne particolarmente succosa, saporita e sorprendentemente tenera. Da questa parte del suino si ottengono l’arrosto, ideale per essere cotto intero; le fettine, perfette p.es per la preparazione di succulenti cordon bleu, oppure bistecche cotte al salto.

Origine svizzera

Nell’assortimento di carne della Migros viene data la priorità a quella di provenienza svizzera. Anche la quasi totalità della carne di maiale proviene da aziende indigene che prediligono allevamenti rispettosi della specie. Il risultato: una carne che soddisfa i consumatori per il suo gusto delicato e l’elevata qualità.

Per 4 persone: far ridurre in una pentola 3 dl di succo di mele a 0,5 dl e lasciar raffreddare. Aggiungere 1 cucchiaio di senape granulosa, 1 cucchiaio di miele, sale e pepe e mescolare bene. Spennellare bene 2 bistecche di collo di maiale da 250 g l’una con un po’ di questa marinata. Rosolare la carne in olio di colza per 5-7 minuti per lato e spennellarla di nuovo con la marinata. Togliere la padella dal fuoco e lasciar riposare la carne 5 minuti. Estrarre la carne, tamponare il fondo della padella con carta da cucina per assorbire il grasso. Mettere in padella 1 cucchiaio di burro e qualche foglia di timo. Far schiumare il burro e passarvi la carne. Tagliare le bistecche a fette e servire subito con un’insalata o dei rösti.

dal 30.01 al 05.02

Non c’è niente di più salutare e rinfrescante di una spremuta d’arance appena preparata! Bevendone un bel bicchiere a colazione ci si assicura l’energia giusta per affrontare la giornata con brio, naturalmente senza dimenticare che gli agrumi favoriscono il benessere generale. Ciò si deve all’alto contenuto di vitamina C, sostanza particolarmente utile durante la stagione fredda, che aiuta sia a rafforzare il sistema immunitario e contrastare i virus dell’influenza e del raffreddore, sia a mantenere sani vasi sanguigni e gengive. Con lo spremiagrumi presente al reparto frutta di alcuni supermercati Migros selezionati (vedi a lato), ognuno potrà prepararsi la propria spremuta d’arance in modo semplice e pratico. È sufficiente posizionare la bottiglia da mezzo o un litro messe a disposizione sotto l’apparecchio e premere il pulsante. Una volta riempita, basta richiudere con il tappo e passare alla cassa.

Azione 20% Spremuta d’arance fresca 0,5 l Fr. 3.20 invece di 4.– 1 l Fr. 5.60 invece di 7.– Dal 30.1 al 5.2 Nelle filiali Migros di S. Antonino, Agno, Locarno, Lugano, Serfontana, Bellinzona e Molino Nuovo

Flavia Leuenberger Ceppi

La tua scorta quotidiana di vitamina C


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Dedicata ai bimbi

Attualità La marca propria «Mibébé»

propone un assortimento ampio e variegato di alimenti bio per bebè

Lanciata lo scorso autunno nelle maggiori filiali, la marca Migros di alimenti per bebè «Mibébé» ha saputo conquistare in poco tempo la fiducia della clientela grazie ad un assortimento completo che si distingue per l’ottimo rapporto qualità/prezzo e per la qualità biologica delle materie prime utilizzate. La marca comprende una ventina di prodotti sviluppati a partire da ingredienti genuini e pregiati sottoposti a severi controlli qualitativi. Inoltre tutti gli articoli sono privi di zuccheri aggiunti dal momento che contengono solo gli zuccheri naturalmente presenti negli ingredienti. La scelta spazia da golose

pappe da preparare con acqua o latte, a vasetti di frutta ideali come spuntino. Sono pure disponibili ghiotti menù in vasetto con verdura e carne, deliziosi succhi pronti da bere e irresistibili snack, apprezzati anche dagli adulti, per la merenda fuori casa. Sull’etichetta di ogni prodotto sono riportate divertenti immagini di animaletti e le indicazioni sull’età, in modo che i genitori possano riconoscere immediatamente l’alimento adeguato ad ogni fase di crescita del proprio bambino. Tutti gli articoli rispettano le direttive Migros Bio, quindi provengono da un’agricoltura sostenibile, rispettosa della natura e degli animali. Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 29 gennaio 2018 • N. 05

40

Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 29 gennaio 2018 • N. 05

41

Idee e acquisti per la settimana

Pane stagionale

Un versatile pane invernale Bruno dorato e croccante all’esterno, morbido e leggermente dolce all’interno: è questo il pane invernale alle patate, disponibile in filiali selezionate. È adatto per la prima colazione così come accompagnamento nel corso della giornata

Maggiori informazioni sul tema pane: www.migros.ch/ pane

Testo Claudia Schmidt; Foto Veronika Studer, Gaetan Bally

patate è adatto sia per la colazione, sia per preparare i panini da portare sulle piste da sci e per la fondue in baita. Ciò è particolarmente apprezzato dai clienti, come sa Florine Gisler, responsabile del reparto presso la filiale Schönbühl LU: « Provano interesse per i pani stagionali, perché apprezzano assaggiare qualcosa di nuovo, in particolare se in inverno ben si accompagna alla fondue, come è il caso del pane alle patate».

Serie Specialità dalle panetterie Migros Attualmente: pane invernale alle patate

Florine Gisler (26) è responsabile del settore pane presso la filiale Migros Schönbühl a Lucerna.

Florine Gisler

«Per me fa parte di ogni pasto» Il pane invernale alle patate è un pane stagionale. Qual è la particolarità dei pani stagionali?

Spesso hanno nomi che rimandano al periodo dell’anno, come la focaccia d’estate o, appunto, il pane invernale alle patate. Completano l’assortimento standard con tipi di pane che si adattano particolarmente bene alla stagione. In estate, per esempio, un pane stagionale è idoneo ad accompagnare una grigliata. Come vengono percepiti dai clienti i pani stagionali?

Provano interesse per i pani stagionali, perché apprezzano assaggiare qualcosa di nuovo, in particolare se in inverno ben si accompagna alla fondue, come è il caso del pane invernale alle patate.

Pane invernale alle patate 340 g Fr. 3.70

Foto e Styling Veronika Studer

Il pane invernale alle patate è particolarmente croccante e ciò è da ricondurre all’aggiunta di semola, di cui è cosparso. La mollica ha una porosità fine ed è morbida, grazie alle patate contenute nel pane, che ne garantiscono la freschezza per lungo tempo e che conferiscono una leggera dolcezza all’impasto misto grano. E poiché molte pietanze traggono beneficio da una nota di dolcezza, il pane invernale alle

Quali sono le varietà di pane preferite alla Migros Schönbühl?

La treccia al burro, il pane delle alpi e il pane alla ticinese sono i classici del nostro assortimento e di conseguenza i preferiti. I clienti apprezzano però parecchio anche il pane di patate con le noci. In generale i clienti gradiscono il pane fresco e caldo.

Come si organizza per offrire pane caldo e fresco?

Inforno ogni ora pane fresco, in modo che le varietà presenti sugli scaffali siano sempre calde. Quale pane le piace di più?

In assoluto la mia varietà preferita è la ciabatta croccante Pain Création. Come già il nome suggerisce, è un pane croccante che a me piace molto. Prepara il pane anche a casa?

Sì, talvolta sperimento delle nuove ricette di pane. Cosa è importante per lei per un buon pane?

Deve essere croccante, naturalmente fresco e preferibilmente caldo. Il pane è per lei irrinunciabile perché…

... mangio pane quotidianamente. Mattino, mezzogiorno e sera: per me fa parte di ogni pasto. Mi sazia, di conseguenza ho sempre un bel po’ di energia.


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Idee e acquisti per la settimana

Pane stagionale

Un versatile pane invernale Bruno dorato e croccante all’esterno, morbido e leggermente dolce all’interno: è questo il pane invernale alle patate, disponibile in filiali selezionate. È adatto per la prima colazione così come accompagnamento nel corso della giornata

Maggiori informazioni sul tema pane: www.migros.ch/ pane

Testo Claudia Schmidt; Foto Veronika Studer, Gaetan Bally

patate è adatto sia per la colazione, sia per preparare i panini da portare sulle piste da sci e per la fondue in baita. Ciò è particolarmente apprezzato dai clienti, come sa Florine Gisler, responsabile del reparto presso la filiale Schönbühl LU: « Provano interesse per i pani stagionali, perché apprezzano assaggiare qualcosa di nuovo, in particolare se in inverno ben si accompagna alla fondue, come è il caso del pane alle patate».

Serie Specialità dalle panetterie Migros Attualmente: pane invernale alle patate

Florine Gisler (26) è responsabile del settore pane presso la filiale Migros Schönbühl a Lucerna.

Florine Gisler

«Per me fa parte di ogni pasto» Il pane invernale alle patate è un pane stagionale. Qual è la particolarità dei pani stagionali?

Spesso hanno nomi che rimandano al periodo dell’anno, come la focaccia d’estate o, appunto, il pane invernale alle patate. Completano l’assortimento standard con tipi di pane che si adattano particolarmente bene alla stagione. In estate, per esempio, un pane stagionale è idoneo ad accompagnare una grigliata. Come vengono percepiti dai clienti i pani stagionali?

Provano interesse per i pani stagionali, perché apprezzano assaggiare qualcosa di nuovo, in particolare se in inverno ben si accompagna alla fondue, come è il caso del pane invernale alle patate.

Pane invernale alle patate 340 g Fr. 3.70

Foto e Styling Veronika Studer

Il pane invernale alle patate è particolarmente croccante e ciò è da ricondurre all’aggiunta di semola, di cui è cosparso. La mollica ha una porosità fine ed è morbida, grazie alle patate contenute nel pane, che ne garantiscono la freschezza per lungo tempo e che conferiscono una leggera dolcezza all’impasto misto grano. E poiché molte pietanze traggono beneficio da una nota di dolcezza, il pane invernale alle

Quali sono le varietà di pane preferite alla Migros Schönbühl?

La treccia al burro, il pane delle alpi e il pane alla ticinese sono i classici del nostro assortimento e di conseguenza i preferiti. I clienti apprezzano però parecchio anche il pane di patate con le noci. In generale i clienti gradiscono il pane fresco e caldo.

Come si organizza per offrire pane caldo e fresco?

Inforno ogni ora pane fresco, in modo che le varietà presenti sugli scaffali siano sempre calde. Quale pane le piace di più?

In assoluto la mia varietà preferita è la ciabatta croccante Pain Création. Come già il nome suggerisce, è un pane croccante che a me piace molto. Prepara il pane anche a casa?

Sì, talvolta sperimento delle nuove ricette di pane. Cosa è importante per lei per un buon pane?

Deve essere croccante, naturalmente fresco e preferibilmente caldo. Il pane è per lei irrinunciabile perché…

... mangio pane quotidianamente. Mattino, mezzogiorno e sera: per me fa parte di ogni pasto. Mi sazia, di conseguenza ho sempre un bel po’ di energia.


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Idee e acquisti per la settimana

Arance bionde

Naturalmente non trattate L’aroma leggermente amarognolo degli agrumi dipende principalmente dalla scorza. Da novembre 2017 Migros offre solo arance bionde spagnole, che dopo il raccolto vengono trattate con cere naturali, per esempio cera d’api. Di conseguenza la buccia dei frutti può essere utilizzata senza alcun problema. Lo stesso è previsto dalla prossima stagione per le arance semisanguigne e sanguigne. Buono a sapersi: nulla cambia per quanto riguarda il prezzo. Va da sé che dopo la raccolta tutti i frutti bio vengono trattati unicamente con cere naturali.

Stuzzicanti ricette con le arance su migusto.ch

Grattugiata, la scorza di arance e limoni affina dessert e salse.

La scorza di limone essiccata può essere utilizzata per preparare artigianalmente il pepe al limone. Conferisce ai piatti di pesce una saporita nota speziata con un aroma di agrumi.

Arance Bionde Rete, 2 kg

Un pezzetto di scorza di arancia affina l’aroma del riso al latte. A tale scopo la scorza viene fatta cuocere con il riso al latte e poi tolta prima di servire. La scorza aromatizza anche lo zucchero. Mescolare un po’ di scorze con lo zucchero e lasciar riposare in un barattolo di vetro chiuso.

Extra Arance Bionde al libero servizio

Anche i seguenti limoni e limes non vengono trattati dopo il raccolto.

Limoni al pezzo

Limes vaschetta, 300 g Nelle maggiori filiali


Azione 25%

50% Batterie di pentole Titan e Deluxe della marca Cucina & Tavola per es. padella a bordo alto, Ø 28 cm, indicata anche per i fornelli a induzione, il pezzo, 34.95 invece di 69.95, offerta valida fino al 12.2.2018

40%

3.40 invece di 5.70 Arance Tarocco Italia, rete da 2 kg

35%

3.55 invece di 5.50 Formentino Svizzera/Francia, 150 g

2.70 invece di 3.65 Mini filetti di pollo Optigal Svizzera, imballati, per 100 g

20%

5.95 invece di 7.75 Prosciutto crudo S. Pietro prodotto in Ticino, affettato in vaschetta, per 100 g

50% 20% Raccard Tradition a fette, 10 pezzi, e in blocco nonché Raccard bio a fette per es. in blocco maxi, per 100 g, 1.75 invece di 2.20

20% Tutto l’assortimento Farmer per es. Soft Choc alla mela, 290 g, 3.60 invece di 4.50, offerta valida fino al 12.2.2018

Migros Ticino Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli M-Budget e quelli già ridotti. OFFERTE VALIDE SOLO DAL 30.1 AL 5.2.2018, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

Tutto l’assortimento Handymatic Supreme (sale rigeneratore escluso), per es. detersivo in polvere All in 1, 1 kg, 3.95 invece di 7.90


. o z z re p o im tt o , a z z e h c s e fr Massima conf. da 5

50%

7.10 invece di 14.25 Wienerli M-Classic in conf. da 5 Svizzera, 5 x 4 pezzi, 1 kg

20%

20%

Tutti i tulipani per es. M-Classic, mazzo da 10, gialli-rossi, disponibili in diversi colori, il mazzo, 5.50 invece di 6.90

4.55 invece di 5.70 Racks d’agnello Nuova Zelanda / Australia, imballati, per 100 g

20%

3.40 invece di 4.25 Arrosto di vitello cotto Svizzera, affettato in vaschetta, per 100 g

20%

6.90 invece di 8.65 Carne secca dei Grigioni affettata in conf. speciale Svizzera, 95 g

Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 30.1 AL 5.2.2018, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

20%

5.95 invece di 7.80 Fettine di fesa di vitello fini TerraSuisse imballate, per 100 g

50%

1.90 invece di 3.80 Petto di pollo Optigal in conf. speciale Svizzera, per 100 g

33%

1.40 invece di 2.10 Collo di maiale Svizzera, imballato, per 100 g

33%

Gamberetti tail-on cotti, bio, in conf. speciale d’allevamento, Ecuador, per 100 g

Pollo intero Optigal, 2 pezzi Svizzera, al kg

3.60 invece di 5.20 Salmone affumicato Atlantico ASC Norvegia, in conf. da 75 g

Luganighetta Svizzera, in conf. da 2 x 250 g / 500 g

5.35 invece di 6.70

6.60 invece di 9.50

30%

6.15 invece di 9.25

20%

30%

30%

6.30 invece di 9.– Filetto di sogliola limanda Atlantico nord-orientale, per 100 g, offerta valida fino al 3.2


. o z z re p o im tt o , a z z e h c s e fr Massima conf. da 5

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conf. da 6

35%

2.50 invece di 3.90 Finocchi Italia, al kg

15% Minirose Fairtrade, mazzo da 20 disponibili in diversi colori, lunghezza dello stelo 40 cm, per es. arancioni, il mazzo, 10.95 invece di 12.90

30%

3.40 invece di 4.90 Cuori di carciofo Italia, imballati, 400 g

30%

3.40 invece di 4.90 Mele Jazz Svizzera, al kg

25%

2.90 invece di 3.90 Fragole Spagna, in conf. da 250 g

Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 30.1 AL 5.2.2018, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

30%

2.15 invece di 3.20 Peperoni misti Paesi Bassi, 500 g

20%

1.90 invece di 2.40 Avocado Cile/Spagna, il pezzo

50%

1.65 invece di 3.30 Yogurt M-Classic in conf. da 6, 6 x 180 g per es. alla mela e al mango, alle fragole, ai mirtilli

20%

1.85 invece di 2.35 Grana Padano grattugiato in conf. da 120 g

20% Crème Fraîche per es. al naturale Valflora, 200 g, 2.05 invece di 2.60

20%

1.10 invece di 1.40 Tilsiter dolce per 100 g

20%

1.60 invece di 2.– Le Gruyère Surchoix AOP in self-service, per 100 g

20%

1.60 invece di 2.05 Gambe di dama 7 pezzi, 7 x 30 g

20%

1.60 invece di 2.– Formaggella ticinese 1/4 grassa prodotta in Ticino, in self-service, per 100 g


conf. da 6

35%

2.50 invece di 3.90 Finocchi Italia, al kg

15% Minirose Fairtrade, mazzo da 20 disponibili in diversi colori, lunghezza dello stelo 40 cm, per es. arancioni, il mazzo, 10.95 invece di 12.90

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3.40 invece di 4.90 Cuori di carciofo Italia, imballati, 400 g

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Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 30.1 AL 5.2.2018, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

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. a tt e p s a ti o li g fo a rt o p a lv a La spesa s Hit

3.90

Berliner 6 pezzi, 6 x 70 g

20% Tutti i dessert Tradition per es. Crème Caramel , 175 g, 1.– invece di 1.30

2. –

di riduzione

10.– invece di 12.– Tutte le capsule Café Royal in conf. da 33, UTZ Lungo, Lungo Forte, Espresso e Espresso Forte, per es. Lungo

CONSIGLIO

IL GUSTO RADDOPPIA

Cos’è meglio di una pizza? Due pizze! Disponibili in confezione doppia, le pizze Anna’s Best sono subito pronte. Da accompagnare a formentino e arance in insalata per allontanare i rimorsi di coscienza . Trovate la ricetta su migusto.ch

conf. da 2

20% Pizze Anna’s Best in conf. da 2 per es. Margherita, 2 x 400 g, 9.40 invece di 11.80

Le marche che abbiamo solo noi: 33% La mia Migros. 5.20 invece di 7.80 Entrecôte e bistecca di scamone di manzo TerraSuisse in conf. speciale per es. entrecôte, per 100 g

OFFERTE VALIDE SOLO DAL 30.1 AL 5.2.2018, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

conf. da 3

20% Spätzli Anna’s Best in confezioni multiple per es. spätzli all’uovo in conf. da 3, 3 x 500 g, 6.70 invece di 8.40

20% Pasta Anna’s Best in confezioni multiple per es. fiori al limone in conf. da 3, 3 x 250 g, 11.70 invece di 14.70

a partire da 2 confezioni

–.60

di riduzione l’una Tutti i biscotti Tradition a partire da 2 confezioni, –.60 di riduzione l’una, per es. Petit Gâteau aux Carottes, 150 g, 3.10 invece di 3.70

Hit

1.50

Pipe M-Classic 500 g + 50% di contenuto in più, 750 g

a partire da 2 pezzi

20%

Tutte le tavolette, le palline e tutti i Friletti Frey Suprême, UTZ a partire da 2 pezzi, 20% di riduzione

20% Zampe d’orso da 760 g, bastoncini alle nocciole da 1 kg e sablé al burro da 560 g per es. bastoncini alle nocciole, 1 kg, 6.70 invece di 8.40

10%

5.95 invece di 6.80 Nutella in barattolo di vetro da 1 kg

30%

9.80 invece di 14.15 Branches Classic Midi Frey in conf. speciale, UTZ 650 g


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conf. da 2

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9.80 invece di 14.15 Branches Classic Midi Frey in conf. speciale, UTZ 650 g


50% Pommes Chips M-Classic in conf. speciale alla paprica o al naturale, per es. alla paprica, 400 g, 3.– invece di 6.–

conf. da 8

8 per 6

7.80 invece di 10.40 Rivella in conf. da 8, 8 x 50 cl rossa o blu, per es. rossa

40%

7.20 invece di 12.– Succo di mela M-Classic in conf. da 10, 10 x 1 l

a partire da 2 pezzi

20%

Tutte le conserve di pesce Rio Mare e Albo a partire da 2 pezzi, 20% di riduzione

conf. da 2

20% Prodotti di ovatta Primella in conf. da 2 per es. dischetti, 2 x 80 pezzi, 3.– invece di 3.80, offerta valida fino al 12.2.2018

Hit

12.50

Carta igienica Soft in confezioni speciali, FSC Antarctic o Soft Cloud, 24 rotoli, per es. Soft Cloud, offerta valida fino al 12.2.2018

conf. da 2

50%

5.70 invece di 11.45 Sminuzzato di petto di pollo M-Classic al naturale in conf. da 2 surgelato, 2 x 350 g

conf. da 3

20%

a partire da 2 pezzi

20%

6.70 invece di 8.40

Tutte le minestre e le zuppe Bon Chef a partire da 2 pezzi, 20% di riduzione

Funghi prataioli e misti M-Classic in conf. da 3 3 x 200 g, per es. funghi prataioli, tagliati

a partire da 2 confezioni

33% Tutte le acque minerali Aproz in conf. da 6 per es. Classic, 6 x 1,5 l, 3.80 invece di 5.70

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–.80

di riduzione l’una Tutti i tipi di riso M-Classic, 1 kg a partire da 2 confezioni, –.80 di riduzione l’una, per es. risotto S. Andrea, 1.75 invece di 2.55

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Tutto l’assortimento di alimenti per gatti Vital Balance per es. Adult con pesce, 4 x 85 g, 3.90

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29.– invece di 58.– Contenitore con rotelle in conf. da 2 offerta valida fino al 19.2.2018


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7.80 invece di 10.40 Rivella in conf. da 8, 8 x 50 cl rossa o blu, per es. rossa

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conf. da 2

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Pane e latticini

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 29 gennaio 2018 • N. 05

56

Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 29 gennaio 2018 • N. 05

57

Idee e acquisti per la settimana

Ellen Amber

Azione 40% sull’intero assortimento di reggiseni e di biancheria intima e per la notte da donna dal 30.01 al 05.02

Belli e comodi La biancheria per la notte di Ellen Amber non solo è comoda da indossare, ma è anche proposta in differenti modelli dal design moderno. Ogni donna troverà il look più idoneo anche a un pigiama party. Oltre a ciò l’intero assortimento evidenzia le sue qualità che contano: tutti i prodotti sono morbidi a contatto con la pelle e hanno un buon rapporto qualità-prezzo. Pigiami, camicie da notte e i pigiami corti di Ellen Amber sono disponibili in cotone certificato o in viscosa a marchio eco.

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Ellen Amber camicia da notte viscosa taglie S - XL Fr. 29.80

Ellen Amber Pigiama corto Migros-Bio-Cotton taglie S - XXL Fr. 24.80

Ellen Amber camicia da notte Migros-Bio-Cotton taglie S - XL Fr. 29.80

Il programma eco della Migros è sinonimo di una produzione tessile sostenibile per l’ambiente, socialmente responsabile e tracciabile.

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Con il suo impegno per la sostenibilità Migros è da generazioni in anticipo sui tempi.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 29 gennaio 2018 • N. 05

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