Cooperativa Migros Ticino
G.A.A. 6592 Sant’Antonino
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXI 20 marzo 2018
Azione 12 -71 ping M shop ne 49-54 / 67 i alle pag
Società e Territorio Anche in Svizzera c’è chi rivendica il divieto legale delle punizioni corporali sui minori: intervista al professor Philip Jaffé
Ambiente e Benessere L’oncologa Simonetta Mauri dello IOSI parla del neonato Ambulatorio di Oncologia Integrata, dove oltre che «curare», ci si «prende cura» del paziente
Politica e Economia Il licenziamento del segretario di Stato Tillerman conferma la strategia irruente di Trump
Cultura e Spettacoli A Torino una mostra per l’artista Renato Guttuso, nel cinquantenario del ’68
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di Amanda Ronzoni pagina 11
Ronzoni
In Bolivia, il lago vicino al cielo
Paradossi da indossare di Alessandro Zanoli Tra gli esercizi di curiosità del vivere quotidiano c’è indubbiamente l’osservazione dei cambiamenti della moda. Luigi ci fa caso ma non da molto tempo, in verità. Dev’essere che col passare degli anni si evidenzia nelle persone una vena contemplativa. Lo colpisce in particolare questa curiosa voga del pantalone strappato sulla coscia. Da parte sua ricorda i brontolii di una nonna d’antan che era costretta dalle insistenze del nipote a rammendare all’inverosimile vecchie paia di jeans sbiaditi e martirizzati per l’uso. Nell’anno delle rievocazioni per il Sessantotto ci si dimentica forse di ricordare come quella temperie culturale fosse stata anche un importante spartiacque nel settore dell’abbigliamento. I giovani rifiutavano gli abiti «buoni», confezionati magari dalle sapienti mani delle donne di famiglia, per preferire indumenti alla moda acquistati nei grandi magazzini e utilizzati poi allo spasimo. Luigi ricorda ancora a distanza di decenni i suoi primi jeans, che andarono a sostituire i pantaloni grigi cuciti a mano con tessuto solido e affidabile, ma incomparabilmente meno affascinanti.
La rivoluzione sociologica di quegli anni portava a un’inattesa omologazione nel codice dell’abbigliamento. E alla fine, sentendosi molto originali, ci si vestiva tutti allo stesso modo: cadute (o apparentemente in procinto di cadere) le barriere di classe, nel grande calderone della nuova società libera che sembrava stesse nascendo tutti sarebbero evidentemente stati uguali, anche negli abiti. Certo, la convinzione traeva qualche spunto dalla freschissima rivoluzione cinese e dalla decisione dei leader di allora di uniformare in modo obbigatorio il guardaroba nazionale. I giovani europei del sessantotto avevano scelto un indumento da lavoro americano, il jeans, e lo avevano eletto a simbolo di libertà intellettuale, a espressione di una noncuranza per lo status espresso attraverso gli abiti. Allo stesso modo la scelta di indossare indumenti militari dismessi (e per quello si andava volentieri a saccheggiare il guardaroba di nonni, padri e zii) voleva indubbiamente rimarcare il desiderio di dissacrare la divisa, di umanizzare l’abbigliamento guerrafondaio, portandolo indifferentemente alle feste da ballo, a scuola, nei pomeriggi con gli amici. Il celebre «reporter» (quello più ambito aveva addirittura la scritta «USA
ARMY» sulla spalla) sdoganava, del resto, nella vita di tutti i giorni le giacche dei soldati americani in Vietnam che si vedevano ogni sera alla TV, nei drammatici resoconti del telegiornale. Il buco del pantalone di oggi come va interpretato, invece? Luigi propenderebbe per vederlo come un riferimento ad una società complessivamente omogenea, stilosamente stracciona, in cui ricchi e poveri hanno la stessa apparenza. Una società sessantottina di fatto, ma senza i correlati politico-sociologici sottostanti e senza l’idea insistente di una lotta di classe in corso. Ma forse sta esagerando: Luigi, nel suo piccolo, sospetta che si tratti piuttosto di espedienti utilizzati per mettere in mostra eventuali tatuaggi sottostanti. Con quel che costa farsi colorare la pelle, tanto vale lasciare degli spazi disponibili... Mentre ragiona di queste cose tra sé e sé Luigi viene avvicinato da una giovane vestita in modo quasi elegante, nel freddo della mattina siberiana. Si tratta in realtà di una mendicante, che, snocciolando le classiche sfortune, gli chiede un’offerta. Poco più in là ne vede un’altra rivolgersi a un’altro passante. Curioso. Anche loro fanno attenzione al dress code, ormai: solo i veri poveri per passare inosservati si vestono da finti ricchi...
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 marzo 2018 • N. 12
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 marzo 2018 • N. 12
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Società e Territorio Leggiamo insieme Il 23 maggio si svolgerà in Svizzera la prima Giornata della lettura ad alta voce
Fare del male e vivere bene Nel suo ultimo libro lo psicologo Albert Bandura analizza i meccanismi del «disimpegno morale» pagina 6
Investigare per professione Due investigatori privati attivi in Ticino ci raccontano il loro lavoro pagina 8
A due passi Con le sue passeggiate in giro per la Svizzera Oliver Scharpf ci accompagna all’isola di Peilz
Il futuro dell’impegno sociale Percento culturale Migros Intervista a Ramona Giarraputo, responsabile del settore Attività sociali
ad esempio nel progetto Generazioni al museo, che stiamo realizzando nella Svizzera italiana: qui lavoriamo con diversi musei locali, per rendere possibile l’incontro tra persone di diverse generazioni.
Yvonne Pesenti Salazar Il Percento culturale Migros è la maggiore istituzione privata per la promozione della cultura in Svizzera. Da decenni svolge anche un’ampia attività in ambito sociale. Con Ramona Giarraputo, responsabile del settore Attività sociali, abbiamo parlato dell’impegno sociale di Migros e della nuova strategia di intervento in questo campo.
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L’educazione senza violenza
Il Percento culturale Migros viene solitamente associato alla cultura – sostegno ad artisti e a progetti e manifestazioni culturali – quasi mai invece, perlomeno nella Svizzera italiana, a progetti in campo sociale. Quale ruolo attribuisce Migros all’impegno sociale?
Intervista Oggi anche in Svizzera si rivendica
il divieto legale delle punizioni corporali e della violenza psicologica nei confronti dei bambini. Il professore Philip Jaffé spiega i motivi
«I bambini di oggi non sanno più cosa vuole dire educazione» o ancora «un sano scapaccione non ha mai fatto male a nessuno!». Quante volte abbiamo sentito queste frasi? Ma è davvero questo il modo giusto per far sì che i più piccoli ubbidiscano ai genitori e che imparino a comportarsi? Un’associazione formata da professionisti ed esperti nel settore dell’educazione e della tutela dell’infanzia a livello svizzero si sta adoperando per promuovere, anche nel nostro Paese, l’introduzione di una legge che vieti le punizioni corporali e i maltrattamenti psicologici sui minori. L’iniziativa prevede una raccolta di firme online (www.keine-gewalt-gegen-kinder.ch) che mira a sensibilizzare il Consiglio federale e il Parlamento su questo tema. Ma quanto è dannosa una sculacciata? È davvero così importante che la Svizzera introduca il divieto nella Costituzione? Ce lo spiega Philip D. Jaffé, professore all’Università di Ginevra e direttore del centro interfacoltà in diritto dell’infanzia. Professor Jaffé, cosa occorre sapere per affrontare la questione del divieto delle punizioni corporali?
Occorre partire da un punto fondamentale ovvero dal fatto che gli psicologi osservano da tempo che le punizioni corporali hanno effetti negativi sullo sviluppo dei bambini. Vasti studi internazionali dimostrano il legame causale tra la pratica della sculacciata e problemi comportamentali e di socializzazione a lungo termine. Ecco perché i bambini hanno il diritto di beneficiare di un’educazione non violenta. Perché si ritiene che una sculacciata possa essere dannosa per un bambino?
La sculacciata non ha nessun valore pedagogico, ha il solo scopo di farsi ubbidire immediatamente. La ricerca scientifica dimostra che questo tipo di violenza fisica, se ripetuta, porta con sé conseguenze negative sull’autosti-
Nelle tesi che il fondatore di Migros Gottlieb Duttweiler ha stilato nel 1950 insieme a sua moglie Adele, ha messo in evidenza l’importanza dell’attività in campo sociale: «L’interesse generale deve prevalere rispetto all’interesse per la Cooperativa Migros (…). Alla nostra crescente potenza economica dobbiamo costantemente affiancare prestazioni in campo sociale e culturale di portata equivalente». Su questi principi si basa ancora oggi l’attività del Percento culturale Migros.
Il settore sociale ha recentemente messo a punto una nuova strategia. Con quali obiettivi? Quali sono state le riflessioni che vi hanno portato a darvi nuovi orientamenti?
ma dei bambini, genera un’attitudine all’aggressività o ancora insegna loro che il miglior modo di risolvere un problema è quello di usare la violenza. Inoltre, è umiliante per il bambino. Prova ne è che pochi adulti si sentono a loro agio di fronte a un genitore che educa il proprio figlio attraverso una punizione fisica o anche con un semplice schiaffone. È importante sapere che i genitori che usano le punizioni corporali sono quelli che tendono ad utilizzarla in maniera sistematica. Perpetuano un atteggiamento violento soprattutto quando sono loro stessi particolarmente stressati. Questo fa sì che il loro autocontrollo sia minore, aumentando notevolmente il rischio che il comportamento violento gli possa sfuggire di mano creando una situazione di notevole rischio.
Un genitore come può farsi rispettare senza usare la punizione fisica?
La maggior parte dei bambini sono per loro natura turbolenti e disubbidienti. È un modo, anche questo, per affermare la propria identità. Nessun metodo educativo cancellerà questa realtà umana. Quello che è certo è che l’autorità di un genitore può essere basata sul rispetto e non sulla paura. Fare la voce grossa, addirittura alzarla un po’ o una punizione che non sia fisica, rappresentano degli approcci molto più ragionevoli, soprattutto se sono contestualizzati e accompagnati da delle spiegazioni, magari anche semplici. I bambini imparano moltissimo attraverso l’imitazione ed è una lezione di valore inestimabile quella data dal genitore che si arrabbia senza perdere il controllo e dimostrando di saper spiegare le proprie ragioni per risolvere il conflitto. Non crede che i bambini oggi siano vittime di troppo permissivismo?
Sì, certamente. C’è il bambino re, il bambino tiranno. Tra qualche settimana pubblicherò un libro sul bambino tossico. È il risultato della società del post Sessantotto, seguita da un periodo dominato da una visione individuale ed egoistica del benessere. Ma non è generalizzabile, non tutti i bambini sono
Marka
Roberta Nicolò
Quali sono i differenti approcci e le principali sfide per quanto riguarda la Svizzera italiana?
despoti, e nella grande maggioranza delle famiglie i genitori esercitano il loro mestiere con grande intelligenza. Essere genitore è la più complessa sfida umana, secondo il filosofo Emmanuel Kant. Ma la risposta non può e non deve essere quella di guardare al passato e fare un passo indietro reintroducendo il dovere di correzione. Sarebbe forse immaginabile pensare di accettare come lecito che un marito possa picchiare la propria moglie come succedeva in passato? Evidentemente no. La nostra società si evolve e dobbiamo renderci conto che i bambini sono delle persone, con dei diritti, e occorre che li si tratti con rispetto e dignità.
Crede che sia veramente necessario inserire il divieto nella Costituzione? Non basterebbero delle raccomandazioni preventive?
Modificare la Costituzione non è necessario, ma trentadue Paesi in
Europa hanno adottato un articolo di legge civile che vieta tutte le forme di punizione corporale e maltrattamenti psicologici. L’Austria nel 1989, La Germania nel 2000 e il Liechtenstein nel 2008. Tutte hanno inserito questo articolo di legge e le loro società non sono implose. Nell’affrontare certi temi e taluni problemi noi Svizzeri non siamo abbastanza coraggiosi. Occorre mandare un messaggio di prevenzione ai genitori. Se ci pensiamo bene in fondo c’è la prevenzione stradale e leggi che vietano i comportamenti oggetti di prevenzione. Lo stesso andrebbe fatto per tutelare i diritti dei più piccoli. Quali sono stati i risultati ottenuti nei Paesi nei quali il divieto è già attivo?
Varia molto da Paese a Paese, non tutti sono stati molto diligenti in termini di raccolta dei dati. Quello che ad oggi è certo è che non sono state costruite
nuove strutture carcerarie per rinchiudere tutti i genitori che danno una sculacciata al proprio figlio. A parte gli scherzi, se prendiamo l’esempio della Svezia, un paese ricco ed organizzato come la Svizzera, che ha vietato ogni forma di punizione corporale già nel 1979, possiamo riscontrare un significativo abbassamento del tasso di maltrattamento e la scomparsa quasi totale dell’attitudine a usare violenza. I bambini che sono a rischio vengono identificati con maggiore facilità e i servizi sociali sono più performanti nella loro missione a sostegno della prevenzione. Io mi auguro vivamente che la Svizzera possa fare un regalo importante ai propri bambini vietando le punizioni corporali. Sarebbe un bel modo per celebrare i trent’anni della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dei bambini, che cadrà il 20 novembre 2019.
La società evolve rapidamente, e con essa cambia la rilevanza delle tematiche sociali. Globalizzazione, digitalizzazione, cambiamenti demografici e fenomeni migratori sono portatori di mutamenti epocali. Il nostro lavoro consiste nel creare attenzione attorno ai temi di maggiore importanza, verificandone costantemente l’attualità. Perciò cerchiamo di operare al di fuori di categorie rigide. Migrazione, rapporti intergenerazionali, salute, lavoro e società civile: questi concetti sono stati il fulcro della nostra attività, e continuano ad essere importanti. Nella nuova strategia partiamo però da problematiche che vengono formulate a un livello superiore e in modo più ampio. Ad esempio non parliamo più semplicemente di migrazione, ma di convivenza in una società caratterizzata dalla molteplicità. Il fenomeno migratorio continua a costituire un aspetto centrale, ma comprende anche temi quali i rapporti tra le generazioni e nuovi modelli familiari. Lo stesso vale per l’impegno civile e sociale: proprio in questo ambito, nel quale siamo attivi da molto tempo, si profilano molti cambiamenti. Nascono nuove forme di partecipazione e di volontariato sociale. Per capire quale sarà il futuro dell’impegno sociale abbiamo commissionato uno studio all’Istituto Gottlieb Duttweiler, i cui risultati verranno pubblicati il 28 maggio. Oltre a realizzare progetti concreti, con lavori di concetto come questo vogliamo fornire un contributo alla riflessione
Azione
Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni
I progetti del Percento culturale Migros promuovono la coesione sociale.
sui temi che assumeranno rilevanza sociale nei prossimi anni.
Quale pensate potrà o dovrà essere l’impatto della nuova impostazione del vostro lavoro, quali i cambiamenti che volete promuovere?
Il mondo è diventato molto più stratificato, più dinamico e più imprevedibile: la nostra vita quotidiana è dominata dalla complessità, dall’instabilità e dall’insicurezza. Queste condizioni quadro determinano il nostro lavoro e i nostri progetti. Perciò affrontiamo i temi in modo graduale, con un approccio multidisciplinare, e da diversi punti di vista. Mettiamo in rete i diversi attori, mettiamo in contatto le persone, collegando le idee in modo innovativo. Così è anche possibile sviluppare progetti modello, in grado di dare risposte puntuali a sfide concrete, coinvolgendo da subito gli operatori e i gruppi target più significativi. All’inizio di ogni nuovo progetto vi è sempre la stessa domanda: quali sono i bisogni sociali nelle diverse regioni della Svizzera? Poi inizia un processo iterativo: da una parte la messa in campo delle competenze specifiche nostre e di esperti e specialisti esterni, dall’altra i gruppi target, le cui istanze possono determinare lo sviluppo del progetto. Perché sono le persone e le organizzazioni locali attive sul piano locale, nei comuni e nelle città che sanno esattamente di cosa c’è bisogno. Questo rafforza l’efficacia dei nostri interventi, e nel contempo ci permette di raggiungere un obiettivo che consideriamo prioritario: il rafforzamento della coesione sociale in Svizzera. Come nascono e si concretizzano nella pratica le vostre attività sociali? Quali sono le riflessioni che vi guidano nel vostro lavoro?
Problematiche sociali complesse Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni
richiedono competenze multiple. Il nostro team si compone di collaboratrici e collaboratori con formazioni e background scientifici diversi: sociologhi e psicologi, ad esempio. Tutti con una solida esperienza nella realizzazione di progetti. I responsabili delle singole iniziative lavorano a stretto contatto con i gruppi di interesse dei rispettivi campi di attività, e sono perciò sempre informati sia sugli sviluppi più recenti che sulle questioni cruciali. Noi definiamo i temi in cui riteniamo ci sia una necessità di intervento – al momento ad esempio ci stiamo occupando delle «comunità di assistenza» (caring communities). Chi si prende cura delle persone oggi, in una società così individualista e frammentata – nel proprio quartiere, tra vicini? Come possiamo sostenere questo tipo di comunità – delle quali fanno parte anche i gruppi di anziani che si ritrovano per mangiare assieme? Quali modelli di promozione possiamo sviluppare per favorire la creazione di comunità locali a livello di quartiere? In questi temi sono già coinvolti numerosi attori: per noi è molto importante metterli in rete a livello nazionale, affinché si conoscano e sia possibile uno scambio reciproco – che si sappia chi fa che cosa, insomma – in modo da poter imparare gli uni dagli altri e dare visibilità a quanto esiste, evidenziando i migliori esempi tratti dalla pratica. Per il nostro lavoro abbiamo definito dei principi guida, ai quali si ispirano tutte le nostre attività. Innovazione sociale: sviluppare e diffondere modelli operativi; Attenzione sociale: interagire in modo consapevole con l’ambiente circostante; Sostenibilità sociale: pensare globale, agire locale; Partecipazione sociale e organizzazione autonoma: impegnarsi e promuovere le potenziaEditore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino Telefono 091 850 81 11 Stampa Centro Stampa Ticino SA Via Industria 6933 Muzzano Telefono 091 960 31 31
lità; Connessione sociale: promuovere l’incontro e la cooperazione.
I progetti del Percento culturale sono spesso frutto di collaborazioni molto ampie, che coinvolgono a volte disparati attori e operatori. In che misura e attraverso quali canali si struttura la collaborazione con istituzioni ed enti pubblici?
Le cooperazioni per noi sono fondamentali. Abbiamo bisogno di partner regionali e locali e di istituzioni come Pro Senectute, o la Commissione federale della migrazione, con cui realizziamo progetti in loco. A seconda dei temi, attori e gruppi target rilevanti possono assumere un ruolo nella conduzione del progetto. È necessaria la partecipazione di persone del posto, che conoscono bene l’ambiente. Come avviene
La nostra nuova strategia mette l’accento sulla realizzazione di progetti modello in tutte le regioni del paese. Negli ultimi due anni ci siamo concentrati sulla diffusione dei progetti nella Svizzera romanda e italiana – coinvolgendo direttamente diversi attori locali e regionali. Ciò ha evidenziato come la realizzazione di determinati progetti nella Svizzera italiana richieda alcuni adattamenti. Abbiamo constatato che reti sociali, competenze, responsabilità e strutture sono diverse rispetto alla Svizzera tedesca, a causa delle differenze socio-culturali. Il Movimento AvaEva, per esempio, è nato come parte del progetto nazionale Grossmütterrevolution (La rivoluzione delle nonne, ndr). Col tempo abbiamo assodato che AvaEva aveva bisogno di un maggior margine di autonomia per rispondere alle necessità della regione, per cui è stato staccato dalla struttura nazionale e oggi funziona molto bene come associazione autonoma. Ma anche nell’ambito delle politiche legate all’integrazione sociale vi sono discrepanze. Quali progetti intendete realizzare in futuro?
Attualmente abbiamo messo in atto numerosi progetti nella Svizzera italiana: Kebab+, Movimento AvaEva, Generazioni al museo, conTAKT citoyenneté, Tavolata e il centro di competenze Vitamina B. Stiamo elaborando iniziative in diversi ambiti e con focus diversi: la promozione della creatività nella prima infanzia, migranti e musei, caring communities, ma stiamo pure sviluppando modelli operativi innovativi legati a tematiche quali i rapporti di vicinato.
Progetti sociali di Migros in Ticino Il settore «Attività sociali» contribuisce alla coesione sociale in Svizzera attraverso diverse iniziative: progetti sociali, contributi di sostegno, progetti di cooperazione e altre forme di impegno sociale. In Ticino attualmente il Percento culturale è impegnato nel sostegno e nella realizzazione di questi progetti sociali: Tavolata: Rete di tavolate che si organizzano autonomamente. Kebab+: Programma per la promozione della salute degli adolescenti. Il mio equilibrio: Programma di promozione della salute per le persone con disabilità. conTAKT-citoyenneté: Impegno civile ad ampio raggio nell’ambito della migrazione e dell’integrazione. conTAKT-infanzia: Sostegno Tiratura 101’766 copie Inserzioni: Migros Ticino Reparto pubblicità CH-6592 S. Antonino Tel 091 850 82 91 fax 091 850 84 00 pubblicita@migrosticino.ch
all’educazione precoce per bambini provenienti da contesti migratori. conTAKT-net: Rete di informazione sulla quotidianità interculturale. GaM - Generazioni al museo: Iniziativa volta a promuovere incontri intergenerazionali nei musei. AvaEva: Piattaforma e laboratorio di idee per l’attuale generazione delle nonne. vitamina B: Centro di competenza per le associazioni di volontariato. Service Learning: Diffusione e promozione del metodo pedagogico-didattico «Service-Learning – apprendere attraverso l’impegno sociale». Informazioni:
info-soziales@mgb.ch, www.percento-culturale-migros.ch/sociali. Abbonamenti e cambio indirizzi Telefono 091 850 82 31 dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@migrosticino.ch Costi di abbonamento annuo Svizzera: Fr. 48.– Estero: a partire da Fr. 70.–
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 marzo 2018 • N. 12
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Società e Territorio Leggiamo insieme Il 23 maggio si svolgerà in Svizzera la prima Giornata della lettura ad alta voce
Fare del male e vivere bene Nel suo ultimo libro lo psicologo Albert Bandura analizza i meccanismi del «disimpegno morale» pagina 6
Investigare per professione Due investigatori privati attivi in Ticino ci raccontano il loro lavoro pagina 8
A due passi Con le sue passeggiate in giro per la Svizzera Oliver Scharpf ci accompagna all’isola di Peilz
Il futuro dell’impegno sociale Percento culturale Migros Intervista a Ramona Giarraputo, responsabile del settore Attività sociali
ad esempio nel progetto Generazioni al museo, che stiamo realizzando nella Svizzera italiana: qui lavoriamo con diversi musei locali, per rendere possibile l’incontro tra persone di diverse generazioni.
Yvonne Pesenti Salazar Il Percento culturale Migros è la maggiore istituzione privata per la promozione della cultura in Svizzera. Da decenni svolge anche un’ampia attività in ambito sociale. Con Ramona Giarraputo, responsabile del settore Attività sociali, abbiamo parlato dell’impegno sociale di Migros e della nuova strategia di intervento in questo campo.
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L’educazione senza violenza
Il Percento culturale Migros viene solitamente associato alla cultura – sostegno ad artisti e a progetti e manifestazioni culturali – quasi mai invece, perlomeno nella Svizzera italiana, a progetti in campo sociale. Quale ruolo attribuisce Migros all’impegno sociale?
Intervista Oggi anche in Svizzera si rivendica
il divieto legale delle punizioni corporali e della violenza psicologica nei confronti dei bambini. Il professore Philip Jaffé spiega i motivi
«I bambini di oggi non sanno più cosa vuole dire educazione» o ancora «un sano scapaccione non ha mai fatto male a nessuno!». Quante volte abbiamo sentito queste frasi? Ma è davvero questo il modo giusto per far sì che i più piccoli ubbidiscano ai genitori e che imparino a comportarsi? Un’associazione formata da professionisti ed esperti nel settore dell’educazione e della tutela dell’infanzia a livello svizzero si sta adoperando per promuovere, anche nel nostro Paese, l’introduzione di una legge che vieti le punizioni corporali e i maltrattamenti psicologici sui minori. L’iniziativa prevede una raccolta di firme online (www.keine-gewalt-gegen-kinder.ch) che mira a sensibilizzare il Consiglio federale e il Parlamento su questo tema. Ma quanto è dannosa una sculacciata? È davvero così importante che la Svizzera introduca il divieto nella Costituzione? Ce lo spiega Philip D. Jaffé, professore all’Università di Ginevra e direttore del centro interfacoltà in diritto dell’infanzia. Professor Jaffé, cosa occorre sapere per affrontare la questione del divieto delle punizioni corporali?
Occorre partire da un punto fondamentale ovvero dal fatto che gli psicologi osservano da tempo che le punizioni corporali hanno effetti negativi sullo sviluppo dei bambini. Vasti studi internazionali dimostrano il legame causale tra la pratica della sculacciata e problemi comportamentali e di socializzazione a lungo termine. Ecco perché i bambini hanno il diritto di beneficiare di un’educazione non violenta. Perché si ritiene che una sculacciata possa essere dannosa per un bambino?
La sculacciata non ha nessun valore pedagogico, ha il solo scopo di farsi ubbidire immediatamente. La ricerca scientifica dimostra che questo tipo di violenza fisica, se ripetuta, porta con sé conseguenze negative sull’autosti-
Nelle tesi che il fondatore di Migros Gottlieb Duttweiler ha stilato nel 1950 insieme a sua moglie Adele, ha messo in evidenza l’importanza dell’attività in campo sociale: «L’interesse generale deve prevalere rispetto all’interesse per la Cooperativa Migros (…). Alla nostra crescente potenza economica dobbiamo costantemente affiancare prestazioni in campo sociale e culturale di portata equivalente». Su questi principi si basa ancora oggi l’attività del Percento culturale Migros.
Il settore sociale ha recentemente messo a punto una nuova strategia. Con quali obiettivi? Quali sono state le riflessioni che vi hanno portato a darvi nuovi orientamenti?
ma dei bambini, genera un’attitudine all’aggressività o ancora insegna loro che il miglior modo di risolvere un problema è quello di usare la violenza. Inoltre, è umiliante per il bambino. Prova ne è che pochi adulti si sentono a loro agio di fronte a un genitore che educa il proprio figlio attraverso una punizione fisica o anche con un semplice schiaffone. È importante sapere che i genitori che usano le punizioni corporali sono quelli che tendono ad utilizzarla in maniera sistematica. Perpetuano un atteggiamento violento soprattutto quando sono loro stessi particolarmente stressati. Questo fa sì che il loro autocontrollo sia minore, aumentando notevolmente il rischio che il comportamento violento gli possa sfuggire di mano creando una situazione di notevole rischio.
Un genitore come può farsi rispettare senza usare la punizione fisica?
La maggior parte dei bambini sono per loro natura turbolenti e disubbidienti. È un modo, anche questo, per affermare la propria identità. Nessun metodo educativo cancellerà questa realtà umana. Quello che è certo è che l’autorità di un genitore può essere basata sul rispetto e non sulla paura. Fare la voce grossa, addirittura alzarla un po’ o una punizione che non sia fisica, rappresentano degli approcci molto più ragionevoli, soprattutto se sono contestualizzati e accompagnati da delle spiegazioni, magari anche semplici. I bambini imparano moltissimo attraverso l’imitazione ed è una lezione di valore inestimabile quella data dal genitore che si arrabbia senza perdere il controllo e dimostrando di saper spiegare le proprie ragioni per risolvere il conflitto. Non crede che i bambini oggi siano vittime di troppo permissivismo?
Sì, certamente. C’è il bambino re, il bambino tiranno. Tra qualche settimana pubblicherò un libro sul bambino tossico. È il risultato della società del post Sessantotto, seguita da un periodo dominato da una visione individuale ed egoistica del benessere. Ma non è generalizzabile, non tutti i bambini sono
Marka
Roberta Nicolò
Quali sono i differenti approcci e le principali sfide per quanto riguarda la Svizzera italiana?
despoti, e nella grande maggioranza delle famiglie i genitori esercitano il loro mestiere con grande intelligenza. Essere genitore è la più complessa sfida umana, secondo il filosofo Emmanuel Kant. Ma la risposta non può e non deve essere quella di guardare al passato e fare un passo indietro reintroducendo il dovere di correzione. Sarebbe forse immaginabile pensare di accettare come lecito che un marito possa picchiare la propria moglie come succedeva in passato? Evidentemente no. La nostra società si evolve e dobbiamo renderci conto che i bambini sono delle persone, con dei diritti, e occorre che li si tratti con rispetto e dignità.
Crede che sia veramente necessario inserire il divieto nella Costituzione? Non basterebbero delle raccomandazioni preventive?
Modificare la Costituzione non è necessario, ma trentadue Paesi in
Europa hanno adottato un articolo di legge civile che vieta tutte le forme di punizione corporale e maltrattamenti psicologici. L’Austria nel 1989, La Germania nel 2000 e il Liechtenstein nel 2008. Tutte hanno inserito questo articolo di legge e le loro società non sono implose. Nell’affrontare certi temi e taluni problemi noi Svizzeri non siamo abbastanza coraggiosi. Occorre mandare un messaggio di prevenzione ai genitori. Se ci pensiamo bene in fondo c’è la prevenzione stradale e leggi che vietano i comportamenti oggetti di prevenzione. Lo stesso andrebbe fatto per tutelare i diritti dei più piccoli. Quali sono stati i risultati ottenuti nei Paesi nei quali il divieto è già attivo?
Varia molto da Paese a Paese, non tutti sono stati molto diligenti in termini di raccolta dei dati. Quello che ad oggi è certo è che non sono state costruite
nuove strutture carcerarie per rinchiudere tutti i genitori che danno una sculacciata al proprio figlio. A parte gli scherzi, se prendiamo l’esempio della Svezia, un paese ricco ed organizzato come la Svizzera, che ha vietato ogni forma di punizione corporale già nel 1979, possiamo riscontrare un significativo abbassamento del tasso di maltrattamento e la scomparsa quasi totale dell’attitudine a usare violenza. I bambini che sono a rischio vengono identificati con maggiore facilità e i servizi sociali sono più performanti nella loro missione a sostegno della prevenzione. Io mi auguro vivamente che la Svizzera possa fare un regalo importante ai propri bambini vietando le punizioni corporali. Sarebbe un bel modo per celebrare i trent’anni della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dei bambini, che cadrà il 20 novembre 2019.
La società evolve rapidamente, e con essa cambia la rilevanza delle tematiche sociali. Globalizzazione, digitalizzazione, cambiamenti demografici e fenomeni migratori sono portatori di mutamenti epocali. Il nostro lavoro consiste nel creare attenzione attorno ai temi di maggiore importanza, verificandone costantemente l’attualità. Perciò cerchiamo di operare al di fuori di categorie rigide. Migrazione, rapporti intergenerazionali, salute, lavoro e società civile: questi concetti sono stati il fulcro della nostra attività, e continuano ad essere importanti. Nella nuova strategia partiamo però da problematiche che vengono formulate a un livello superiore e in modo più ampio. Ad esempio non parliamo più semplicemente di migrazione, ma di convivenza in una società caratterizzata dalla molteplicità. Il fenomeno migratorio continua a costituire un aspetto centrale, ma comprende anche temi quali i rapporti tra le generazioni e nuovi modelli familiari. Lo stesso vale per l’impegno civile e sociale: proprio in questo ambito, nel quale siamo attivi da molto tempo, si profilano molti cambiamenti. Nascono nuove forme di partecipazione e di volontariato sociale. Per capire quale sarà il futuro dell’impegno sociale abbiamo commissionato uno studio all’Istituto Gottlieb Duttweiler, i cui risultati verranno pubblicati il 28 maggio. Oltre a realizzare progetti concreti, con lavori di concetto come questo vogliamo fornire un contributo alla riflessione
Azione
Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni
I progetti del Percento culturale Migros promuovono la coesione sociale.
sui temi che assumeranno rilevanza sociale nei prossimi anni.
Quale pensate potrà o dovrà essere l’impatto della nuova impostazione del vostro lavoro, quali i cambiamenti che volete promuovere?
Il mondo è diventato molto più stratificato, più dinamico e più imprevedibile: la nostra vita quotidiana è dominata dalla complessità, dall’instabilità e dall’insicurezza. Queste condizioni quadro determinano il nostro lavoro e i nostri progetti. Perciò affrontiamo i temi in modo graduale, con un approccio multidisciplinare, e da diversi punti di vista. Mettiamo in rete i diversi attori, mettiamo in contatto le persone, collegando le idee in modo innovativo. Così è anche possibile sviluppare progetti modello, in grado di dare risposte puntuali a sfide concrete, coinvolgendo da subito gli operatori e i gruppi target più significativi. All’inizio di ogni nuovo progetto vi è sempre la stessa domanda: quali sono i bisogni sociali nelle diverse regioni della Svizzera? Poi inizia un processo iterativo: da una parte la messa in campo delle competenze specifiche nostre e di esperti e specialisti esterni, dall’altra i gruppi target, le cui istanze possono determinare lo sviluppo del progetto. Perché sono le persone e le organizzazioni locali attive sul piano locale, nei comuni e nelle città che sanno esattamente di cosa c’è bisogno. Questo rafforza l’efficacia dei nostri interventi, e nel contempo ci permette di raggiungere un obiettivo che consideriamo prioritario: il rafforzamento della coesione sociale in Svizzera. Come nascono e si concretizzano nella pratica le vostre attività sociali? Quali sono le riflessioni che vi guidano nel vostro lavoro?
Problematiche sociali complesse Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni
richiedono competenze multiple. Il nostro team si compone di collaboratrici e collaboratori con formazioni e background scientifici diversi: sociologhi e psicologi, ad esempio. Tutti con una solida esperienza nella realizzazione di progetti. I responsabili delle singole iniziative lavorano a stretto contatto con i gruppi di interesse dei rispettivi campi di attività, e sono perciò sempre informati sia sugli sviluppi più recenti che sulle questioni cruciali. Noi definiamo i temi in cui riteniamo ci sia una necessità di intervento – al momento ad esempio ci stiamo occupando delle «comunità di assistenza» (caring communities). Chi si prende cura delle persone oggi, in una società così individualista e frammentata – nel proprio quartiere, tra vicini? Come possiamo sostenere questo tipo di comunità – delle quali fanno parte anche i gruppi di anziani che si ritrovano per mangiare assieme? Quali modelli di promozione possiamo sviluppare per favorire la creazione di comunità locali a livello di quartiere? In questi temi sono già coinvolti numerosi attori: per noi è molto importante metterli in rete a livello nazionale, affinché si conoscano e sia possibile uno scambio reciproco – che si sappia chi fa che cosa, insomma – in modo da poter imparare gli uni dagli altri e dare visibilità a quanto esiste, evidenziando i migliori esempi tratti dalla pratica. Per il nostro lavoro abbiamo definito dei principi guida, ai quali si ispirano tutte le nostre attività. Innovazione sociale: sviluppare e diffondere modelli operativi; Attenzione sociale: interagire in modo consapevole con l’ambiente circostante; Sostenibilità sociale: pensare globale, agire locale; Partecipazione sociale e organizzazione autonoma: impegnarsi e promuovere le potenziaEditore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino Telefono 091 850 81 11 Stampa Centro Stampa Ticino SA Via Industria 6933 Muzzano Telefono 091 960 31 31
lità; Connessione sociale: promuovere l’incontro e la cooperazione.
I progetti del Percento culturale sono spesso frutto di collaborazioni molto ampie, che coinvolgono a volte disparati attori e operatori. In che misura e attraverso quali canali si struttura la collaborazione con istituzioni ed enti pubblici?
Le cooperazioni per noi sono fondamentali. Abbiamo bisogno di partner regionali e locali e di istituzioni come Pro Senectute, o la Commissione federale della migrazione, con cui realizziamo progetti in loco. A seconda dei temi, attori e gruppi target rilevanti possono assumere un ruolo nella conduzione del progetto. È necessaria la partecipazione di persone del posto, che conoscono bene l’ambiente. Come avviene
La nostra nuova strategia mette l’accento sulla realizzazione di progetti modello in tutte le regioni del paese. Negli ultimi due anni ci siamo concentrati sulla diffusione dei progetti nella Svizzera romanda e italiana – coinvolgendo direttamente diversi attori locali e regionali. Ciò ha evidenziato come la realizzazione di determinati progetti nella Svizzera italiana richieda alcuni adattamenti. Abbiamo constatato che reti sociali, competenze, responsabilità e strutture sono diverse rispetto alla Svizzera tedesca, a causa delle differenze socio-culturali. Il Movimento AvaEva, per esempio, è nato come parte del progetto nazionale Grossmütterrevolution (La rivoluzione delle nonne, ndr). Col tempo abbiamo assodato che AvaEva aveva bisogno di un maggior margine di autonomia per rispondere alle necessità della regione, per cui è stato staccato dalla struttura nazionale e oggi funziona molto bene come associazione autonoma. Ma anche nell’ambito delle politiche legate all’integrazione sociale vi sono discrepanze. Quali progetti intendete realizzare in futuro?
Attualmente abbiamo messo in atto numerosi progetti nella Svizzera italiana: Kebab+, Movimento AvaEva, Generazioni al museo, conTAKT citoyenneté, Tavolata e il centro di competenze Vitamina B. Stiamo elaborando iniziative in diversi ambiti e con focus diversi: la promozione della creatività nella prima infanzia, migranti e musei, caring communities, ma stiamo pure sviluppando modelli operativi innovativi legati a tematiche quali i rapporti di vicinato.
Progetti sociali di Migros in Ticino Il settore «Attività sociali» contribuisce alla coesione sociale in Svizzera attraverso diverse iniziative: progetti sociali, contributi di sostegno, progetti di cooperazione e altre forme di impegno sociale. In Ticino attualmente il Percento culturale è impegnato nel sostegno e nella realizzazione di questi progetti sociali: Tavolata: Rete di tavolate che si organizzano autonomamente. Kebab+: Programma per la promozione della salute degli adolescenti. Il mio equilibrio: Programma di promozione della salute per le persone con disabilità. conTAKT-citoyenneté: Impegno civile ad ampio raggio nell’ambito della migrazione e dell’integrazione. conTAKT-infanzia: Sostegno Tiratura 101’766 copie Inserzioni: Migros Ticino Reparto pubblicità CH-6592 S. Antonino Tel 091 850 82 91 fax 091 850 84 00 pubblicita@migrosticino.ch
all’educazione precoce per bambini provenienti da contesti migratori. conTAKT-net: Rete di informazione sulla quotidianità interculturale. GaM - Generazioni al museo: Iniziativa volta a promuovere incontri intergenerazionali nei musei. AvaEva: Piattaforma e laboratorio di idee per l’attuale generazione delle nonne. vitamina B: Centro di competenza per le associazioni di volontariato. Service Learning: Diffusione e promozione del metodo pedagogico-didattico «Service-Learning – apprendere attraverso l’impegno sociale». Informazioni:
info-soziales@mgb.ch, www.percento-culturale-migros.ch/sociali. Abbonamenti e cambio indirizzi Telefono 091 850 82 31 dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@migrosticino.ch Costi di abbonamento annuo Svizzera: Fr. 48.– Estero: a partire da Fr. 70.–
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 marzo 2018 • N. 12
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Società e Territorio
La lettura che coinvolge
Famiglia Il 23 maggio si terrà per la prima volta la Giornata della lettura ad alta voce in collaborazione
con Famigros, ne abbiamo parlato con le organizzatrici per la Svizzera italiana
Alessandra Ostini Sutto Quando leggiamo una storia ad un bambino, lui si sente in un mondo altro. La vicenda e i suoi personaggi escono dalla pagina suscitando nel piccolo ascoltatore identificazione ed empatia, curiosità e partecipazione. Questa storia, come tutte quelle che il bambino avrà ascoltato e, successivamente, letto, gli resteranno dentro, contribuendo a costituire un patrimonio per leggere, e vivere, il mondo. Le storie ascoltate aiutano infatti ad elaborare conflitti e paure, oltre a stimolare l’immaginazione e promuovere la capacità espressiva. Quando il bambino è piccolo, la voce del genitore che gli racconta una storia è magia, ma l’elemento che più conta è lo stare insieme. Il fatto che la mamma o il papà gli dedichi il proprio tempo è ai suoi occhi altrettanto importante delle principesse, dei draghi o dei supereroi del suo racconto preferito. Grazie a questo tempo esclusivo, si rafforza la relazione del piccolo con l’adulto e se ne agevola lo sviluppo cognitivo. Per i più piccoli, la lettura ad alta voce rappresenta poi il primo incontro con la letteratura. I bimbi assorbono inconsciamente modelli narrativi e linguistici, che più avanti li aiuteranno a comprendere e interpretare i testi. Un’attività che va incentivata se si considera che, secondo recenti risultati dell’indagine internazionale PISA, in Svizzera almeno un giovane su sei al termine della scuola dell’obbligo non ha sufficienti competenze nella lettura. Leggere ad alta voce è un antidoto efficace e alla portata di tutti per contribuire a contrastare questo allarmante dato di fatto. I bambini a cui vengono letti regolarmente racconti e fiabe, acquisiscono senza sforzo un vocabolario più ricco, hanno una maggiore facilità nell’apprendimento della lettura e della scrittura e da adulti tenderanno a mantenere lo stimolo a leggere libri e giornali. Viste tutte queste implicazioni della lettura ad alta voce, anche in Svizzera è stata istituita una giornata
nazionale dedicata a questa tematica, con l’obiettivo che essa diventi un appuntamento annuale amato ed atteso, come avviene in altri paesi. La prima Giornata della lettura ad alta voce si terrà il 23 maggio su iniziativa dell’Istituto svizzero Media e Ragazzi in collaborazione con Famigros (il club per famiglie della Migros) e il quotidiano gratuito «20Minuti». L’iniziativa è sostenuta dall’Ufficio federale della cultura e da alcune fondazioni e associazioni attive nella cultura e nel sociale. Numerosi partner di rete contribuiscono a diffondere il messaggio della giornata. «All’idea di questa Giornata nazionale ha contribuito l’esperienza vissuta con la Notte del racconto, uno dei progetti più noti dell’Istituto, a cui, solo nella Svizzera italiana, partecipano con entusiasmo ogni anno più di 14 mila persone», afferma Fosca Garattini, direttrice dell’ISMR per la Svizzera italiana. La Notte del racconto è un evento di lettura ad alta voce che comprende proposte per ogni fascia d’età: dai più piccoli agli adulti, passando per gli adolescenti, non facili da conquistare. «Rispetto alla Notte del Racconto, questa nuova iniziativa dà anche ai privati la possibilità di diventare dei piccoli organizzatori di eventi, proponendo la propria idea ed aprendo, eventualmente, il proprio salotto o il proprio giardino al pubblico, oppure semplicemente leggendo ad alta voce ai propri figli, nipoti o vicini di casa in questa giornata dedicata alla lettura», continua Fosca Garattini. Il 23 maggio il nostro Paese sarà quindi palcoscenico di un vivace avvicendamento di attività di lettura: un’aula scolastica, un circolo di lettura, un centro ricreativo, una piscina, un parco sono luoghi ideali, ma non vengono posti limiti alla creatività e alla fantasia e se ne vedranno quindi delle belle. Privati, istituzioni scolastiche, organizzazioni e gruppi esistenti o nati per l’occasione possono fin d’ora registrare il proprio evento su www.giornatadellalettura.ch. «Ad una sola settimana dall’annuncio pubbli-
Esmeralda Mattei e Fosca Garattini.
co dell’iniziativa gli iscritti erano oltre 150», afferma Esmeralda Mattei, coordinatrice per la Svizzera italiana della Giornata di lettura ad alta voce, che continua: «attualmente stiamo contattando le associazioni presenti sul territorio e possiamo dire che la nostra proposta viene recepita molto bene, da un lato perché è totalmente no profit, dall’altro perché coinvolge tutti, grandi e piccoli». Come in ogni ambito di attività, anche nella lettura l’esempio resta importante: «Vedere un genitore che partecipa ad una simile iniziativa o che si prende del tempo per leggere o per creare un rituale della storia della buona notte è sicuramente uno stimolo. Al pari della famiglia, è importante il ruolo della scuola e del singolo docente nell’abituare i bambini all’ascolto di storie», commenta Fosca Garattini dell’ISMR, l’unico ente specializzato in Svizzera nella ricerca e promozione della letteratura per bambini e ragazzi, inclusi i nuovi media. «Tra i nostri progetti per la promozione della lettura, “Nati per leggere” – partito proprio dalla Svizzera italiana 12 anni fa – coinvolge le famiglie fin dai primi mesi
di vita dei bambini, sensibilizzandole in particolare sul ruolo della lettura ad alta voce nella creazione del legame tra genitori e figli», spiega Esmeralda Mattei. Il Libruco è un progetto pensato per le scuole dell’infanzia: alla sede che ne fa richiesta è dato in prestito, per un mese, un lungo bruco colorato dotato di capienti «tasche» nelle quali trovano posto una quarantina di albi illustrati e alcuni saggi per l’insegnante. Si rivolge invece alle elementari la Biblioteca Vagabonda: in una classe del secondo ciclo arrivano due bambini di un’altra sede con degli zaini contenenti circa 40 libri. L’insegnante, l’unico ad essere stato preavvertito, dà loro la parola affinché presentino il progetto e alcuni dei libri, che rimangono poi nella classe per un mese a disposizione degli allievi. Dopodiché si scelgono due allievi che porteranno a loro volta gli zaini con i libri in un’altra scuola. E se, nonostante questo tipo di iniziative o gli sforzi intrapresi in famiglia, la lettura dovesse non interessare? «Esistono dei corsi – organizzati anche dall’Istituto – per migliorare la lettura ad alta voce, oppure, sul sito
della Giornata, si trova un simpatico decalogo con suggerimenti per leggere in maniera più avvincente, creare un rituale, preparare uno spazio idoneo, ecc», spiega Esmeralda Mattei, «tra di essi, quello che mi ha sorpreso maggiormente è la constatazione di non dare per scontato che una volta conclusa l’età prescolare finisca il rituale della lettura ad alta voce in famiglia». Come più in generale le esperienze condivise, la lettura ad alta voce non conosce infatti limiti di età. «Come mamma posso dire che è normale che vi siano dei momenti in cui i ragazzi leggono più o meno volentieri, a dipendenza di vari fattori. Il piacere della lettura però non viene dimenticato – aggiunge Fosca Garattini – poi sta anche a noi; se vediamo un libro che potrebbe andar bene per il carattere o gli interessi di nostro figlio perché non farglielo trovare?». L’interesse resta, infatti, il principale criterio nella scelta di un libro: «La letteratura per l’infanzia è molto ricca e non trovo ci siano libri da demonizzare; l’importante è leggere con piacere, e per questo vanno trovati libri o collane che appassionino», continua la direttrice dell’ISMR. Ai bambini va lasciata la libertà di leggere quello che vogliono, controllando che quanto scelto sia idoneo all’età. Per trovare le proprie letture, le biblioteche per ragazzi, scolastiche e non, e le librerie del Cantone sono in genere ben fornite e il personale ben preparato. Esistono poi alcuni strumenti che possono aiutare a districarsi nell’universo della letteratura infantile: per esempio, sul sito della Giornata della lettura ad alta voce e di Nati per leggere si trovano degli spunti di lettura suddivisi per età (nel secondo caso vengono aggiornati mensilmente). «Il Folletto» è invece una rivista pubblicata dall’ISMR che si occupa di letteratura per l’infanzia; con le sue due uscite annuali si rivolge a insegnanti, bibliotecari, genitori, nonni, educatori ecc. per aiutarli nella scelta delle letture da consigliare a ragazzi di tutte le età.
Né Mac, né Win
Informatica Esiste un᾽alternativa ai sistemi operativi tradizionali? E funziona? Ugo Wolf C’è ancora gente che frequenta le edicole per acquistare riviste dedicate all’informatica. Se ne trovano molte, in barba alla presunta morte dell’editoria cartacea. Il fatto è ancora più curioso se si pensa che la grande rete trabocca di informazioni specifiche sull’argomento. Questi bei periodici, pieni di illustrazioni e a volte ben forniti di gadget digitali, forniscono consigli di vario genere per un uso ottimale dei
Anche le mamme possono usare Linux...
computer casalinghi. Spesso approfondiscono aspetti e funzionalità che i produttori trascurano di illustrare. Qui, a nostro avviso, è un punto davvero dolente dell’industria digitale. Se un tempo i computer casalinghi erano forniti di una documentazione persino esagerata, con manuali di istruzioni da migliaia di pagine, oggi le spiegazioni si limitano al minimo: in genere è un pieghevole striminzito a illustrare come funziona il «Quick Start». E d’altra parte, in un mercato in cui i sistemi operativi si aggiornano
con frequenza per ovviare a sempre più insidiose minacce, un manuale cartaceo sarebbe tutt’altro che utile. Eppure a volte si desidererebbe averlo, anche per informazioni minime, per capire meglio il funzionamento di base dei nostri PC. Ma torniamo alle riviste: negli ultimi mesi si assiste (perlomeno nell’editoria italiana) a un’offensiva molto intensa che promuove il sistema operativo gratuito Linux. «Smetti con Windows!», titola in modo provocatorio una delle testate del settore, mostrando l’immagine di un pacchetto di sigarette che ostenta il logo della Microsoft. Linux è un sistema operativo Open Source, cioè i cui codici di programmazione sono aperti e il cui uso è gratuito. È sul mercato da molti anni ma dubitiamo che gli utenti di informatica casalinga abbiamo mai minimamente compreso cosa offra e come sia possibile procurarselo. Per capirci: la classifica con le statistiche di uso per i vari sistemi operativi fornita dal sito www.statcounter.com vede come primo sistema operativo Android, usato dal 40,24 per cento degli utenti; segue Windows con il 36,58 per cento; iOS, usato da telefoni e tablet Apple è al 13,08 per cento, mentre OS
X che equipaggia i computer di casa Apple è al 5,43 per cento. Ultimo della classifica è proprio Linux, che esibisce un piccolissimo 0,67 per cento di utilizzatori. Attenzione però: Android, sistema operativo dei telefoni Samsung e di altri produttori, è un derivato di Linux… Se pensiamo inoltre che i sistemi operativi della Apple sono basati su Unix, sistema operativo e progenitore nobile di Linux, questo cambia un po’ i parametri di valutazione. Linux è una realtà solida, dal punto di vista tecnico. Nonostante sia molto apprezzato dai professionisti e in particolare dai gestori di server, per le sue doti di sicurezza e affidabilità, il suo uso però non si è diffuso perché, nonostante tutto, entrare nel «suo mondo» richiede una base di conoscenze specifiche piuttosto importante. L’installazione di un sistema Linux su un PC casalingo infatti è laboriosa e complessa. In prima istanza occorre capire quale versione si dimostra più adatta alla macchina che possediamo. Essendo un sistema operativo gratuito e aperto moltissimi sviluppatori si sono sbizzarriti a crearne varie versioni, chiamate «distribuzioni». Attualmente se ne contano quasi un centinaio, di cui una ventina le più
usate, ognuna con sue caratteristiche specifiche. Una volta individuata la distribuzione adatta, occorre scaricarla da internet e installarla con una procedura complicata, per cui è necessario l’intervento di un professionista. Dopo di che occorrerà la configurazione del sistema a seconda delle necessità individuali. Insomma: pensare di poter smettere con Windows al momento attuale è una vera illusione. D’altro canto, numerose prove pratiche mostrano che, una volta installato tutto il necessario, un utente casalingo medio potrebbe farcela senza problemi con Linux. Chi scrive ha proposto a una persona totalmente digiuna di conoscenze informatiche un PC equipaggiato con una versione denominata Lubuntu. Dopo un momento di inevitabile adattamento l’utente in questione si è orizzontato in pochissimo tempo. Bisognerà dunque vedere se in futuro i produttori di computer decideranno (come hanno fatto coi cellulari) di preinstallare sulle loro macchine dei sistemi Linux. Succede già oggi, del resto. A un passo del genere saranno spinti magari da considerazioni economiche: i PC con Linux costeranno sicuramente meno. Sarà questa scelta a fare la differenza.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 marzo 2018 • N. 12
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Società e Territorio
Nella mente dei cattivi
Com’è verde e bianca la mia valle
Psicologia Albert Bandura analizza i meccanismi che spingono
le persone al «disimpegno morale»
Libri I semplici appunti di Elia Spizzi
dedicati alla val Bedretto Orazio Martinetti
Che cosa porta una persona a compiere azioni cattive? A questa domanda, da secoli al centro di speculazioni filosofiche e letterarie, risponde Albert Bandura, il più citato psicologo vivente, nel suo ultimo libro, appena pubblicato in italiano: Disimpegno morale. Come facciamo del male continuando a vivere bene (Erickson). Nel saggio di seicento pagine, il celebre ultranovantenne, che ha insegnato all’università di Stanford e nel 2015 è stato premiato dall’ex presidente degli Stati Uniti Barack Obama con la National Medal of Science, analizza i meccanismi che portano le persone al «disimpegno morale», cioè a comportarsi in modo scorretto senza sentirsi in colpa. Come spiega Riccardo Mazzeo, autore con Zygmunt Bauman di Elogio della letteratura (pubblicato nei mesi scorsi da Einaudi), editor per la casa editrice Erickson e traduttore dell’ultima fatica di Bandura, «le persone compiono azioni cattive perché non si assumono la responsabilità di quello che stanno facendo. Mentono, autogiustificandosi in diversi modi. Ad esempio, ricorrono al cosiddetto confronto vantaggioso, cioè dicono a se stesse che anche se si stanno comportando male, gli altri fanno peggio. Oppure minimizzano, pensando “sì, ma in fondo che cosa sarà mai”, fingendo di non sapere quali saranno le conseguenze». Un ulteriore percorso mentale che porta a comportarsi da cattivi è la disumanizzazione degli altri, che vengono considerati esseri inferiori, che si meritano di essere trattati male. «Se nelle situazioni conflittuali ci si assolve dalla responsabilità e si scarica la colpa sulle vittime dei maltrattamenti, si può conservare il senso di rettitudine e la sensazione di essere nel giusto». Sentendosi superiori si riduce la capacità di provare empatia, e si pongono gli altri su un piano di valori diverso, estraneo al proprio. L’animo umano è complesso e funziona in modo contraddittorio. Non è detto, quindi, che chi compie azioni cattive sia malvagio in tutti gli ambiti della propria vita. Bandura scrive che può succedere che le persone siano, allo stesso tempo, spietate e benigne nei confronti di individui diversi, a seconda di chi includono ed escludono dalla loro categoria di umanità. Per illustrare il concetto di «selettività dell’impegno morale», cioè la scelta tra chi si merita il male e chi no, viene citata la vicenda di Amon Goeth, comandante nazista e criminale di guerra, responsabile della morte di migliaia di ebrei. Un giorno, mentre dettava una lettera piena di affetto e compassione per il padre malato, vide un prigioniero che gli sembrava non stesse lavorando abbastanza. Per punirlo e dare un esempio agli altri, prese la pistola e gli sparò con freddezza. «Questo comandante era sopraffatto dalla compassio-
In quale casella mentale collocare la val Bedretto, qual è la sua identità? Forse è solo un ramo ricurvo della Leventina, il suo intestino cieco (almeno d’inverno); una scapola staccatasi dallo scheletro cantonale, fredda, inospitale, minacciosa, sospesa tra l’idillio e l’angoscia. Elia Spizzi, nel volume che dedica alla sua valle, descrive, elenca, mette in fila date, nomi, attività, organizzazione interna. Sono semplici appunti, non una ricostruzione storica organica. Ma anche questo modo di raccontare è specchio di una provvisorietà che contraddistingue la valle fin dai primi insediamenti. Infatti non c’è periodo in cui la (scarsa) popolazione residente non si ponga la domanda esistenziale fondamentale: restare o partire? Affrontare a muso duro il lungo inverno oppure sloggiare per cercare una sistemazione altrove?
Marka
Stefania Prandi
ne e al tempo stesso tremendamente crudele». Per contenere la cattiveria non bastano le sanzioni esterne e le punizioni, come le multe oppure la prigione, che si possono evitare più o meno facilmente. I freni che impediscono davvero di compiere qualcosa di brutto contro gli altri sono: una morale altruista, avere valori etici, essere capaci di provare rimorso. Quando manca quest’ultimo aspetto, in particolare, tutto diventa possibile, e il confine tra giusto e sbagliato appare estremamente labile. In Disimpegno morale la teoria viene accompagnata dall’analisi dei grandi problemi del nostro tempo, come il terrorismo, il reato di tortura, la corruzione, il deterioramento dell’industria dell’intrattenimento, il possesso di armi, l’inquinamento ambientale. Viene data grande enfasi al modo in cui gran parte della popolazione mondiale non si cura minimamente delle conseguenze che abitudini e consumi hanno in termini di alterazione irreversibile degli ecosistemi, distruzione delle foreste, sofferenza ed estinzione degli animali. Il nostro presente non è particolarmente virtuoso. «Oggi si fa molta fatica a distinguere il bene dal male – dice Mazzeo. – Viviamo nella società cinica, erosa dalla moralità, desensibilizzati ai problemi del mondo. Sembrano contare soltanto il successo economico, la visibilità, la notorietà. Si è alla costante ricerca di fama, nonostante sia in genere piuttosto breve. Una volta si tendeva a pensare a sé come appartenenti a un gruppo sociale. Dagli anni Settanta,
con l’affermazione del neoliberismo, dell’ideologia del There Is No Alternative (Non c’è alternativa), dell’idea che bisogna farcela da soli, puntando solo su se stessi, i valori sono cambiati». Lo scenario poco confortante non deve però lasciare spazio al pessimismo. La storia è fatta di corsi e ricorsi, e se adesso il pendolo è da un lato, non è detto che presto non possa spostarsi. Ne sono un esempio alcune società che sono state in grado di trasformarsi nel corso del tempo, non certo «sotto il profilo genetico» (cambiato molto poco nell’ultimo millennio), ma nelle convinzioni, nei costumi, nei ruoli sociali e occupazionali. A differenza di altre specie programmate in modo innato per sopravvivere a particolari habitat, gli esseri umani sono in grado, attraverso «l’azione agentica», di organizzare il proprio operato, elaborando vissuti e conoscenze, perfezionando il comportamento per raggiungere certi obiettivi. Quando si pensa alla possibilità di un mondo migliore, è utile tenere a mente che la cattiveria umana non è soltanto un fatto individuale, ma dipende molto anche dall’ambiente esterno: il posto in cui si nasce e cresce ha un grande peso sullo sviluppo della personalità. Per questo nelle società con maggiore senso civico e rispetto degli altri sono più frequenti i comportamenti buoni, rispetto a quelli cattivi. Quando si è circondati da persone che vivono seguendo valori etici e rispettando il prossimo, infatti, è più difficile mettere in atto il meccanismo del disimpegno morale.
L’autore si sofferma sui transiti, sulle visite pastorali, sulle migrazioni e sull’incubo delle valanghe La val Bedretto è stata a lungo considerata dai vicini leventinesi come una loro colonia. Pascoli e alpeggi erano sfruttati intensamente dagli alpigiani delle vicinanze di Faido, Chiggiogna, Giornico; le loro mandrie arrivavano d’estate, felici di poter brucare un’erbetta fresca e saporosa, che spuntava fino alle soglie dei ghiacciai. Da quest’ampia riserva prativa uscivano prodotti caseari che poi prendevano la via dei mercati cittadini. Agli autoctoni rimaneva in tasca ben poco. L’autore si sofferma poi sui transiti, soprattutto verso la val Formazza attraverso il passo San Giacomo; sulle visite pastorali dei cardinali Borromeo (Carlo e Federico) in epoca moder-
na; sul fenomeno migratorio che vide i bedrettesi spingersi in Francia e colà sbucciare, rigirare e vendere caldarroste: «marchands de marrons» a Épinal, Troyes, Chaumont, un’attività svolta nei mesi invernali nelle piazze di una ventina di città transalpine. Buona parte del libro – e non poteva essere diversamente, data la morfologia del territorio – Spizzi la dedica al ricorrente incubo delle valanghe: evento atteso, temuto, dalle conseguenze imprevedibili. Una di queste masse di neve, tronchi spezzati e detriti fece nel 1863 trenta vittime, portandosi via case e stalle. Colpa della montagna, solcata da ripidi canaloni, ma colpa anche del disboscamento scriteriato che in quegli anni aveva denudato le pendici, privandole delle barriere naturali formate da larici e abeti. Si dice che la val Bedretto conosca solo due stagioni: un inverno breve e un inverno lungo. Pochi mesi verdi presto sostituiti da un interminabile rosario di mesi bianchi. Protagonista la neve, in tutte le sue fogge e manifestazioni, soffice o bagnata ma sempre smisurata: «di ora in ora, di giorno in giorno, la neve cresce, sono cristalli senza peso che si fondono e si alzano verso il davanzale delle finestre più basse. Il cumulo si alza come una siepe, una muraglia, oscura le cucine». Giovanni Orelli l’aveva vista di persona in gioventù quella neve che fiocco dopo fiocco diventava parete, torre, piramide soffocante. Metri, non centimetri. Curioso il campanile di Villa, eretto a difesa dal paese con una pianta pentagonale a mo’ di rompighiaccio. Il naturalista Luigi Lavizzari così lo descrisse nel 1926 in un capitolo delle sue Escursioni: «Il campanile è costrutto in particolar modo, di cinque lati in luogo di quattro e con un angolo acuto prolungato verso il fianco del monte, atto a rompere l’impeto delle valanghe che ivi sogliono precipitare con furore. Le croci di ferro poste nel cimitero per onorare le ceneri dei trapassati, vengono ogni anno in tempo ritirate dalle famiglie, attesoché le valanghe sogliono trasportarle e disperderle lungo la valle». Guai per tutti, per i vivi e pure per i morti. Eppure questo alto corridoio alpino non è mai stato completamente abbandonato, nemmeno nei momenti più bui. Segno che quella terra, quei boschi e quei pascoli destano emozioni profonde, inestirpabili. Vallata dolce e aspra, ricca di seduzioni e di repentine sventure. Uno spettacolo di «wilderness» in cui la natura non si è ancora del tutto arresa alla sferragliante civiltà moderna. Bibliografia
Elia Spizzi, Valle Bedretto. Appunti di storia, Patriziato e comune di Bedretto, Dadò editore, Locarno, 2017. Con contributi di Fabrizio Viscontini, Andrea Gigon, Floriano Beffa. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 marzo 2018 • N. 12
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Società e Territorio
Professione: investigatore
Incontri Come si diventa investigatori privati in Ticino? In quali campi si opera? È un lavoro pericoloso? Abbiamo
posto queste e altre domande a due professionisti titolari di agenzie investigative Guido Grilli «Come è iniziata la mia attività? Tutto ha preso il via da una passione: fin da piccolo coltivavo l’idea di diventare un investigatore privato e poi quando vedo di esserci riuscito e di svolgere questa attività da 15 anni provo una grande soddisfazione». Storia di Mario Arnaboldi, 52 anni, titolare della A.M. Investiazioni al numero 15 di via Balestra a Lugano.
Dal 2014 in Ticino per ottenere l’autorizzazione ad operare in qualità di investigatore privato è obbligatorio frequentare i corsi Cpsicur del Decs Sognava dunque presto o tardi di emulare Sherlock Holmes? «Sì, guardavo gialli e polizieschi sin da bambino. A partire dal tenente Colombo. È una professione molto variata. In genere lavoro solo, ma a dipendenza del mandato, mi avvalgo anche di alcuni collaboratori o collaboratrici». Entriamo nel vivo della sua attività. Investigatore privato viene subito associato al detective che indaga le infedeltà coniugali. Ma non è questo il vostro unico campo d’azione. «Esatto. Si va dall’investigazione pura a quella industriale. Dobbiamo ad esempio capire, nel caso di un’assunzione da parte di un dirigente, se questo è affidabile, se non ha ad esempio vizi di gioco o droga o altro. Se negli anni le indagini si sono ampliate, riceviamo ancora comunque a tutt’oggi una percentuale importante di mandati per infedeltà coniugale. Sono in maggioranza le donne a rivolgersi a noi, sono invece meno gli incarichi che riceviamo da parte degli uomini ma in ogni caso in un numero non trascurabile. Oggi, con lo sviluppo delle tecnologie (telefonini, whatsApp, socialnetwork, sms, video, ecc.) è più facile indagare. Riusciamo a ricostruire partendo ad esempio da messaggi cancellati, dispositivi di recupero dei dati». Ma la domanda sorge spontanea: con quale diritto potete intervenire ad indagare sui comportamenti delle persone? Quali diritti ha l’investigato? Vi sono dei confini, delle norme al proposito? «Chiaramente riceviamo un mandato firmato dal cliente. L’autorizzazione ad operare ci viene dal tesserino di investigatore privato rilasciato dalla polizia, per il cui ottenimento è obbligatorio possedere un certificato che si consegue al termine del corso apposito indetto dal Dipartimento edu-
Oltre ai classici appostamenti e pedinamenti per scoprire infedeltà coniugali sono molti i campi in cui operano gli investigatori, dalle truffe allo spionaggio industriale. (Keystone)
cazione cultura e sport (Decs) denominato Cpsicur, Corsi professionali della sicurezza». Non c’è dunque il rischio di infrangere il codice penale? «Naturalmente vanno osservati determinati comportamenti – risponde Arnaboldi –. La privacy deve essere rispettata, non posso ad esempio violare il domicilio della persona seguita né scattare foto in zona privata. Bisogna avere delle attenzioni, perché basta poco per superare il segno e cadere nel torto». Ma di quali altre tipologie di mandati vi occupate? «Nella divisione dei beni tra coppie separate o divorziate riceviamo ad esempio l’incarico di vedere se l’ex marito possiede un “tesoretto” per cui non paga la giusta somma di mantenimento alla moglie fingendosi al verde. Interveniamo inoltre in ambito commerciale, per cui può esserci un cliente che non paga la fattura sostentendo di non avere più soldi, invece si scopre che conduce una vita più che dignitosa». Prosegue il nostro detective: «Ogni tanto mi capita di essere contattato da qualche mamma che m’ingaggia per indagare sul proprio figlio o figlia allo scopo di fugare dubbi sull’eventuale
frequentazione di brutte compagnie». Tasto dolente: quanto costa l’intervento di un investigatore privato? «In media si richiede un centinaio di franchi all’ora. Ma molto più spesso, ai nostri clienti chiediamo di fissare un budget entro il quale sono disposti a spendere per risolvere il loro caso. Talora un caso si risolve in poche ore, altre volte servono più giorni. Talvolta in più investigatori si agisce con maggiore efficienza». Deve camuffarsi per riuscire nella sua indagine? «Sì, in certi frangenti occorre usare qualche parrucca. Specie se dobbiamo seguire una persona per più di una volta, proprio per non dare nell’occhio e non incorrere in sospetti. All’occorrenza, anche se raramente, cambiamo anche nome durante l’attività per tutelarci». E come misura il successo o l’insuccesso nel risolvere i diversi casi? «Bisogna distinguere: talvolta il sospetto di una donna che il marito la tradisca non trova riscontro perché questo è “un santo” contrariamente a come lo dipinga la moglie. E allora anche qui possiamo parlare di missione compiuta, dal momento che alla cliente portiamo le prove
di fedeltà dell’uomo non potendo provare il contrario. Proprio a questo proposito ho un caso di investigazione che dura da due anni assegnatomi da una moglie che non si capacita all’idea che il suo compagno non sia un traditore… e richiede che vada avanti nelle indagini. Alla fine di ogni incarico siamo tenuti a rilasciare ai nostri clienti un rapporto con orari e riscontri, positivi o negativi, dei nostri pedinamenti». Si riesce a sbarcare il lunario con questa attività? «In generale sì, alcuni mesi si lavora sodo altri una ventina di giorni. Bisogna però essere disponibili 24 ore al giorno, sabati e domeniche incluse. Negli ultimi tempi mi sto occupando di incarichi molto frequenti, le bonifiche ambientali e le installazioni di telecamere: la bonifica consiste in richieste da parte di aziende di un nostro intervento presso i loro uffici o le auto dei dirigenti per controllare che non vi siano microspie, installate da qualche maleintenzionato che intende attuare spionaggio industriale o concorrenza sleale. Capita raramente, ma è già successo di trovare microspie». Tra le molte indagini svolte, quella di maggior successo qual è stata? «Un
E se dal mondo politico ci arrivano messaggi deludenti, spia di una classe politica che non sa farsi interprete e portavoce dei bisogni reali di una società che chiede maggiore flessibilità e parità economico sociale, in Rete e sui social, vi sarete accorti anche voi, da qualche tempo ci sono diversi segnali che ci raccontano di una società attenta alle questioni di genere. Ricorderete tutti la campagna virale #Metoo contro le molestie sessuali, diventata un movimento premiato dalla copertina del «Time» come personaggio dell’anno. Ora, da qualche giorno, a far discutere gli utenti ci sono le nuove Barbie ispirate a grandi donne del passato e del presente come l’artista Frida Kahlo, la matematica della NASA Katherine Johnson, la prima donna pilota Amelia Earhart ma anche campionesse dello
sport come la snowboarder statunitense Chloe Kim. Sulle prime ho subito pensato al successo del libro Storie della buonanotte per bambine ribelli, un progetto appena tornato in libreria con il secondo volume che, proprio come l’operazione della Mattel, mira a dare alle nuove generazioni dei modelli di riferimento femminili emancipati e di successo a cui ispirarsi. Mentre però il libro è stato apprezzato da più parti, l’operazione della Mattel, in particolare sui social, è stata oggetto di svariate critiche. Se l’intento era quello di riprodurre donne vere esaltandone le peculiarità di ognuna, ci si è chiesti perché tutte le Barbie sono ugualmente magre. In particolare, ad essere criticata sui social a suon di hashtag #fridakahlo è stata la Barbie che riproduce l’artista messicana. Secondo i suoi famigliari la
paio di casi di pedofilia, che, come è mio obbligo, trattandosi di un reato, ho provveduto immediatamente a segnalare a chi di dovere». È un mestiere pericoloso? «Può esserlo a volte, se la persona da pedinare è un malvivente. Fortunatamente non mi è mai successo nulla. Se comunque sento che un mandato non è fattibile lo dico chiaramente al cliente». A Chiasso, invece, a capo della Minerva Investigazioni, attiva da un paio di anni, troviamo il detective Roganti, classe 1980, che del nome di battesimo svela solo l’iniziale: J. Di quali indagini si occupa? «Premetto che il mio lavoro principale è l’informatico, che comunque si lega molto alla professione di investigatore privato. I campi sono i più diversi: infedeltà coniugale, indagini in ambito aziendale, commerciale, assicurativo e altri settori ancora. Va evidenziato che ci sono limiti legali: va seguita la legge sulla privacy. Personalmente mi tutelo molto e seguo scrupolosamente il codice penale, le norme vigenti e l’etica. Al momento del contratto, valuto sempre attentamente il caso, e se ci sono zone d’ombra preferisco non accettare il mandato. Le maggiori richieste vengono dall’ambiente economico, soprattutto laddove c’è una perdita di soldi: truffe da parte di membri di società, truffe alle assicurazioni, concorrenza sleale, e servizi per combattere lo spionaggio industriale, ambito su cui la Confederazione ha tra l’altro emanato diversa documentazione e che troppo spesso si immagina confinato alla fiction, quando invece casi reali ne esistono anche alle nostre latitudini». Detective si nasce o si diventa? «Non so dire. Da piccolo mi appassionava Matula, la serie tv poliziesca tedesca intitolata Un caso per due». In Ticino si stima che i detective privati siano alcune decine, attiviti in tutto il Cantone e, se necessario, anche nel resto della Svizzera. Ad oggi non esiste un’ordinanza o una formazione, ma dal 2014 vi è un apposito corso (40 ore didattiche e esame finale), indispensabile e obbligatorio per ottenere l’autorizzazione a operare nel settore dell’investigazione e nella raccolta di informazioni inerenti le persone: il Decs delega all’Istituto della formazione continua l’organizzazione degli esami per i corsi il certificato Cpsicur – Investigatore privato. Per operare serve inoltre la fedina penale pulita e l’attestato dell’ufficio esecuzione e fallimenti, assicurati i quali la polizia a quel punto può rilasciare l’autorizzazione e consegnare all’aspirante Sherlock Holmes il tesserino. Ma sempre nel rispetto di leggi, giurisprudenza e… privacy.
La società connessa di Natascha Fioretti Frida Kahlo nella Rete Mentre l’Islanda, al primo posto del Global Gender Gap Report stilato dal World Economic Forum, legalizza la parità di salario tra uomini e donne, la Svizzera, dove il gap rimane a quota 18,1%, grazie all’opposizione da parte degli Stati, fa un passo indietro sulla revisione della Legge federale sulla parità che vorrebbe introdurre delle misure di controllo obbligatorie per le imprese. Non per niente il «Tages Anzeiger» l’8 marzo ha pubblicato in prima pagina una vignetta dal titolo Sparizione delle donne nei posti dirigenziali che mostra la classica riunione del CdA con 11 uomini seduti intorno al tavolo e una sola donna. Il perché della vignetta è presto spiegato, il «Tagi» si riferisce ai dati del rapporto annuale stilato dall’azienda del cacciatore di teste Guido Schilling
che per il 2018 decreta una diminuzione delle donne nei posti dirigenziali, meno 8% rispetto al 2017. Si tratta della prima recessione registrata dal 2009 su uno studio che ha interessato le 118 aziende più grandi della Svizzera. Non solo, l’altro dato allarmante riguarda le nuove acquisizioni femminili nei posti dirigenziali, dove dal 21% dello scorso anno si è passati all’8% di quest’anno. Poi qualcuno si chiede ancora perché dobbiamo lottare per la parità di genere. Pensiamo solo alle politiche di conciliazione lavoro famiglia, al congedo paternità e al congedo parentale che in Svizzera è ancora un miraggio rispetto a Danimarca, Islanda, Norvegia e Svezia ma anche Germania e Austria, dove un papà può stare a casa con i bimbi per uno, due mesi o anche per periodi più lunghi al 67% dello stipendio.
bambola non rappresenta fedelmente l’artista mentre l’attrice Salma Hayek e molte altre persone ne reclamano il sopracciglio marcato e continuo così come la disabilità. Dove voglio arrivare? Credo che la società connessa sempre più numerosa, giovane e rappresentativa che in Rete si esprime e dibatte in modo costruttivo e virtuoso andrebbe ascoltata maggiormente e non chiamata in causa soltanto quando insulta o fa danni. Credo anche, se vogliamo evitare un backlash epocale, che sia giunto il momento di far sì che in politica siedano uomini e donne capaci di farsi portavoce dei bisogni reali di una società in evoluzione che, come tutto il resto, cambia velocemente e deve poterlo fare in un quadro normativo, in un contesto civile all’altezza delle sue aspettative.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 marzo 2018 • N. 12
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Società e Territorio Rubriche
Lo specchio dei tempi di Franco Zambelloni Lunga vita, bella vita? Un uomo cammina per la strada ondeggiando con i fianchi, con le spalle e con le braccia, al ritmo di una musica che gli auricolari gli infilano direttamente nelle orecchie. Quello che mi colpisce non è tanto il suo andamento ballerino, quanto la sua età: lo direi sui quarant’anni e oltre. Anche il suo abbigliamento è curioso: jeans lacerati ad arte sulle ginocchia, scarpe da ginnastica, zaino sul dorso. E, sul capo, una vistosa cresta di gallo disegnata da capelli ritti, impomatati e dipinti. Mi è così venuto in mente che da pochi anni i dizionari della lingua italiana, compreso il Treccani, hanno legittimato l’uso di un neologismo espressamente coniato per designare una nuova categoria sociale: «adultescente». L’adultescente è una persona che per età non è certamente più un ragazzo, bensì un adulto, ma per mentalità e comportamento rimane ancora nell’adolescenza. Se è stato necessario inventare
un nuovo termine è perché, evidentemente, il fenomeno conta ormai un considerevole numero di esemplari. L’abbigliamento o la pettinatura non sono, di per sé, segnali straordinari: una moda dilaga in fretta e l’esigenza commerciale impone un incalzante rinnovamento. Invece, è lo stentare della crescita personale ad essere inquietante: che un individuo non voglia uscire dall’adolescenza per un lungo tratto della sua vita, che rimanga un fanciullo anche quando il suo organismo è adulto da tempo – tutto questo implica anche un rinvio sine die di quelle caratteristiche che in passato contrassegnavano l’età adulta: la maturità del giudizio, la normalità del comportamento, l’assunzione di responsabilità. I ritmi e le fasi dell’esistenza sono decisamente cambiati. L’infanzia dura poco, i ragazzi ne escono in fretta e passano all’adolescenza; poi, lì si fermano
a lungo. Si possono individuare molte ragioni alla radice del fenomeno: in primo luogo, la facilità di vivere oggi. In un passato non lontano, sotto la spinta delle necessità materiali, non si poteva perdere tempo, bisognava darsi da fare appena se ne era in grado. E non potevi adagiarti e sbagliare: se volevi realizzare qualcosa, raggiungere un traguardo, dovevi impegnarti con tutte le forze. E così crescevi. Ma oggi, che bisogno c’è di darsi da fare? Un ragazzino ha già tutto quel che gli serve e quel che desidera: e se desidera ancora qualcosa, basta che strilli e faccia capricci e prima o poi la ottiene. Faticare, studiare: perché? Tanto sei promosso, anche se non studi. E se – caso assai improbabile – ti capita di dover ripetere una classe, non è poi un gran danno: davanti a te c’è una lunghissima vita che ti aspetta. Certo, anche il prolungamento della vita è un fattore determinante. La storia passata insegna che anche qui
ci sono stati grandi cambiamenti. È vero che Noè, come si legge nell’Antico Testamento, visse ancora 350 anni dopo il diluvio; dunque, considerando che quando si mise a costruire l’arca aveva già 600 anni, visse in tutto quasi un millennio. Bella tempra! Però dai tempi suoi e degli altri patriarchi biblici la vita umana è andata degenerando: per Dante la «senettute» cominciava a 46 anni e ci furono periodi storici nei quali la speranza di vita non raggiungeva i cinquanta. Ma poi, a partire dal secondo dopoguerra, la tendenza al rialzo si è rafforzata e il nuovo corso va continuamente accelerando: dal 1900 ad oggi la speranza di vita in Svizzera è praticamente raddoppiata, passando da 46,2 a 80,5 anni per gli uomini e da 48,9 a 84,7 anni per le donne; uno studio del 2009 sull’invecchiamento nei Paesi industrializzati annunciava che un bambino su due dei nati allora sarebbe diventato centenario. Dunque,
che fretta c’è di crescere, perché darsi da fare? Le civiltà del passato segnavano con riti d’iniziazione il passaggio dall’adolescenza all’età adulta: una sorta di frattura nel tempo esistenziale, al di là della quale il giovane entrava a pieno titolo nella comunità assumendone pienamente diritti e doveri. Anche il servizio militare era un rito analogo; e al liceo c’erano gli esami di «maturità» (ha ancora senso chiamarli così?). Queste fratture sono quasi rimarginate. La lunghezza del percorso induce a segnare il passo e a indugiare in soste dilettevoli. Ma a me piace ancora la saggezza degli antichi, che vivevano meno a lungo, ma pienamente. Come Seneca, che al giovane Lucilio scriveva: «Guarda alla qualità della vita, non alla sua grandezza: non è la durata che conta, ma l’uso che ne fai. Non sono gli anni né i giorni a farci vivere a lungo, ma l’animo».
il porticciolo dove l’île de Peilz – che si pronuncia come pace in francese – sembra quasi a portata di mano. Alla fine più che isola o isolotto è tutta albero. Un tempo era a malapena uno scoglio che affiorava, poi nel 1797 gli abitanti di Villeneuve lo tramutano in un’isola di quaranta metri quadri. Tra gli alberi navali, si vede là non lontano, lungo la costa verso Montreux, il castello di Chillon. «Appena mi pareva più grande della mia cella» afferma Byron da quella posizione, per bocca del monaco incarcerato lì in un poema, Il prigioniero di Chillon (1816). C’erano altri due alberi prima, da anni il platano è rimasto solo e si è preso tutto il posto, impadronendosi dell’isola. L’unico pescatore professionista del luogo dice di essere come lui: «piedi nell’acqua, testa in aria». «Star europea» lo definiscono sul «24 heures», dopo essere stato il coprotagonista – assieme al platano millenario greco di Geroplatanos con le radici a mollo in una sorgente – di un documentario prodotto da ARTE. Un paio
di foto incantevoli scattate dal fratello del pescatore, Jean-Marc Fivat, attirano l’attenzione dei documentaristi durante il casting arboreo e arriva così il suo momento di gloria televisiva. Una webcam al club velico permette di osservare tutto l’anno, ad ogni ora, in lontananza, il platano-isola. L’isolaplatano non l’ho persa di vista un giorno, e appena una giornata di sole ha mostrato, sui rami spogli ultrasecolari, un indizio biancastro, eccomi di nuovo qui. Altri uccelli lacustri da repertoriare: le classiche anitre selvatiche note anche come germani reali, un sacco di folaghe eurasiatiche. Sullo sfondo, i Dents du Midi innevati, dominano il paesaggio. Prendo la striscia di porto che costeggia il canale a fianco della riserva naturale delle Grangettes, zona protetta dove sfocia il Rodano che segna il confine tra Vaud e Vallese. Vado fino in fondo al molo, mongomeri aperto, sciarpa slacciata: sono preda di un presagio di primavera. Bande di cormorani inquietanti mi osservano camminare a
passo di rumba. Non si scappa, è davvero notevole quest’isolatrompe-l’œil pseudo brinata e britannica a ottocento metri dalla riva. Esiste, adesso, forse solo per essere ammirata da una certa distanza, come una finzione teatrale. Il rosso shocking dei fistioni turchi entra in scena a pelo d’acqua, tra le barche. Un uomo sulla sua barca a vela ormeggiata, sull’appartenenza o meno dell’isola alla regina, sostiene che in fondo non si sa bene neanche se appartenga sul serio a Villeneuve o al vicino comune di Noville. Certi dicono persino che sia territorio di Territet, vale a dire Montreux. In ogni caso «è nostra» esclama. Visto che non abita qui a Villeneuve ma a Vouvry, credo di capire cosa voglia dire. È di chi la vede. Comunque la storia della regina è vera mi rivela il velista, gliela aveva raccontata suo nonno, patron dell’Etoile, café-restaurant che c’è ancora qui vicino. La verità è che «suo marito, Alberto di Sassonia-Coburgo-Gotha, l’ha persa la notte stessa al casinò di Montreux».
pressive e polizie segrete e assumendo persino il ruolo di una forza d’opposizione che si fa sentire. Democrazia è anche ridere, diceva Arpino. Non in tutte le democrazie, avviene. La libertà di fare non coincide, automaticamente, con la capacità di fare. Qualcosa che ci concerne da vicino, in un paese, benestante e ben funzionante: soltanto nelle statistiche. Nella realtà quotidiana, prevale la percezione opposta, che induce a compiacersi di guai che potrebbero diventare catastrofi: finanziarie, sociali, climatiche. È, insomma, il vizio, tipicamente elvetico, della seriosità, come denunciava, recentemente, sulla NZZ, un articolo dal titolo perentorio: «Mehr Witz, bitte!». L’autrice, Claudia Mäder, vi lanciava un SOS, destinato, innanzi tutto, agli addetti ai lavori della politica e dell’informazione, responsabili di un linguaggio piatto, improntato alla gravità, al moralismo, alla musoneria. E chiuso alla fantasia e alla leggerezza, fraintese banalità.
Tutto ciò ci sta privando della valvola di salvezza dell’umorismo. Un’arte che, a sua volta, non essendo esercitata rischia l’estinzione. In proposito, la situazione ticinese è particolarmente delicata. Ci si muove in dimensioni che limitano, materialmente e psicologicamente, lo spazio libero da interferenze, a disposizione degli umoristi. O, forse da noi, mancano gli umoristi, almeno quelli che si affidano alla parola parlata, che non è il nostro forte. La categoria, del resto, non abbonda neppure oltre frontiera. Anche in Italia, il rapporto politica umorismo segna il passo. Come si è visto durante l’ultima estenuante campagna elettorale i comici sono stati messi a dura prova. La ripetitività dei discorsi dei candidati in lizza non poteva che ripercuotersi, fatalmente, nelle imitazioni e nelle battute dei comici. Dopo la stagione di Crozza, un guizzo irridente è arrivato da Gene Gnocchi. Che la crisi, insomma, sia contagiosa: dall’economia all’umorismo?
A due passi di Oliver Scharpf L’isola di Peilz Il periodo migliore, per dare un’occhiata a questa minuscola isola all’estremità est del Lemano, possedimento reale britannico secondo alcune storie locali, è verso la fine dell’inverno. Il platano monumentale dell’isola sembra allora uno di quegli alberi fatati che s’incontrano al mattino nelle pianure brinate magari del Giura. In realtà, il Platanus hispanica piantato nel 1851, è coperto di guano. Opera di cormorani continentali arrivati qui a centinaia, in autunno, dall’Olanda e Danimarca. Anche il favolista danese Hans Christian Andersen è attratto da questo isolotto al largo di Villeneuve, lì ambienta il finale tragico della Vergine dei ghiacci (1861). Perciò un pomeriggio a metà marzo arrivo alla stazione di Villeneuve, comune al quale appartiene l’isola di Peilz. A meno che non sia ancora dei Windsor come sostengono alcuni: regalo del Vaud alla regina Vittoria che nel 1860 soggiornava da queste parti. Presto restituita per via di troppe imposte, dicono altri. Tutto dritto e in un batter
d’occhio sono all’imbarcadero. Eccola lì l’isola di Peilz (374 m): il biancore escrementizio volatile oggi si vede eccome, meno male. Settimana scorsa sono rimasto talmente deluso da abbandonare l’idea del pezzo o ritornarci casomai a nuoto, in estate. In un calo mentale ipotizzavo un cambio di rotta dei cormorani per svernare altrove o un’inspiegabile stitichezza. Aveva ragione quel signore che dava del pane secco agli anatidi: «dipende dalla luce». Oggi infatti con il sole, benché a sprazzi, grazie al cielo, è tutta un’altra storia. Il pontile dell’imbarcadero è occupato da un esercito di gabbiani. Di rado approda, di questi tempi, un battello di linea. Chiuso per lavori, l’ondata di freddo siberiano, e ora solo due crociere la domenica. Ci si passa accanto andando a St. Gingolph; mi sa però che da vicino perderebbe fascino, mistero, esotismo. Solo un birdwatcher coprofilo poi, vorrebbe metterci piede. Il battello con quest’isola non serve. Meglio avvicinarsi incamminandosi sul lungolago, verso
Mode e modi di Luciana Caglio Politici e umoristi: una lunga complicità «Democrazia è anche ridere»: s’intitolava un articolo di Giovanni Arpino, pubblicato su questo settimanale, tre decenni fa, e per niente invecchiato. Lo scrittore torinese raccontava i protagonisti della
politica di allora, proprio alla luce delle loro reazioni alla satira: un Kohl impassibile, un Mitterrand menefreghista, un Pertini collerico, e un Andreotti maestro della replica. Il più sotto tiro era stato Reagan, il quale, a sua volta, ricorreva a umoristi di professione che gli suggerivano le battute giuste per affrontare una schermaglia, tutt’altro che marginale. È, infatti, su questo terreno scivoloso, accettando o respingendo la satira, che i politici mettono alla prova la capacità o incapacità di svolgere un ruolo, eminentemente pubblico. Esposto, quindi, al rischio della presa in giro, che rappresenta, comunque, una forma di popolarità: gonfiata, ma non inventata dall’era mediatica. Ha, invece, radici antiche il rapporto fra politica e umorismo, che doveva lasciare segni indelebili nella letteratura, nel teatro, poi nel cinema e infine in tv. Mentre, sul piano dei comportamenti, doveva consolidare una sorta di complicità, reciprocamente utile. Sono,
infatti, i governanti, i detentori del potere, i dirigenti dei partiti a fornire, magari involontariamente, la materia prima ai professionisti della satira. Dal canto loro, vignettisti, caricaturisti, imitatori, attori comici, sull’osservazione maliziosa, o maligna, dei politici ci campano. Si stabilisce così una convivenza, o connivenza, che si manifesta in forme e con conseguenze ben diverse. Questione, evidentemente, di libertà e tolleranza, di cui battute, barzellette, caricature diventano indizi rivelatori: registrando, come un termometro, i gradi del clima circostante. I risultati confermano un’ovvietà, di cui andar fieri: è nei paesi democratici che la satira trova lo spazio più propizio. Ma è anche questione di talento. Non è scontato che i migliori umoristi, capaci di usare la penna, la matita, il gesto, la parola, per deridere e sfottere i potenti, appartengano al mondo libero. La vena umoristica riesce a scaturire anche nei regimi totalitari, sfidando leggi re-
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Ambiente e Benessere Tra inferno e paradiso A minacciare la natura della Bolivia, non solo miniere, ma anche i turisti
«L’ho visitato anch’io» Viaggiando ovunque per non rischiare di perdere il passato a causa dei grandi cambiamenti, ignoriamo le nuove realtà? pagina 15
Il problema neve Sono diverse le cause che complicano le attività di chi ha investito sulle Alpi pagina 17
I saggi giardinieri Un libriccino molto curato per interrogarci sul miracolo che il verde ci offre
Il Paradiso minacciato
Reportage Dagli incredibili paesaggi naturali alle misere condizioni dei minatori: la Bolivia
ha molti volti, sorprendentemente diversi tra loro Amanda Ronzoni, testo e foto pagina 11
pagina 23
Oncologia integrata
Medicina Lo IOSI all’avanguardia nel
porgere la mano alle terapie complementari e nella valutazione olistica del paziente
Maria Grazia Buletti «Io non sono il mio tumore: sono una persona fatta di anima e corpo, che sta combattendo e domanda di essere accolta in tutti i suoi bisogni», è la riflessione con cui ci accoglie all’Istituto Oncologico della Svizzera italiana (IOSI) l’oncologa Simonetta Mauri per parlare del neonato Ambulatorio di Oncologia Integrata. «Da oltre due anni abbiamo approfondito studi scientifici e linee guida internazionali sul tema dell’oncologia integrata: abbiamo visitato l’Istituto di medicina integrata dell’Università di Zurigo (e quello di San Gallo) cercando di capire come funziona, chi ha qualifiche riconosciute nell’ambito di questa dimensione e come poter collaborare nella analoga presa a carico del paziente oncologico che viene considerato come individuo, in tutti i suoi bisogni e le difficoltà nel corso della sua malattia, attraverso la coordinazione del suo percorso terapeutico». La pratica vale sempre più della grammatica e la dottoressa Mauri ci orienta sulle consulenze di medicina oncologica integrata ufficialmente iniziate allo IOSI dall’ottobre dello scorso anno, nell’ambito di un progetto pilota del quale oggi si possono trarre interessantissime osservazioni: «Per ora il nostro ambulatorio di oncologia integrata si trova all’Ospedale Italiano, ma stiamo sondandone l’interesse a livello cantonale, forti del fatto che, risultati alla mano, i colleghi coinvolti si sono convinti che questa filosofia di terapia integrata porta tangibili benefici al paziente». Per capire meglio questa sorta di evoluzione nell’ambito oncologico dobbiamo partire dal concetto evolutivo delle terapie oncologiche che si sono evolute verso prognosi sempre migliori, almeno per quanto attiene a parecchie neoplasie: «Ad esempio, la chemioterapia di un tempo disponeva di pochi mezzi per combattere efficacemente il tumore polmonare. Oggi disponiamo di terapie molto specifiche (a bersaglio molecolare) che portano a considerare questa neoplasia quasi come una malattia cronica, con una speranza di vita molto aumentata rispetto a una volta». La dottoressa Mauri spiega che se una ventina d’anni fa la diagnosi di un tumore polmonare a stadio avanzato equivaleva ad avere circa 6 mesi di
vita, oggi la situazione è cambiata: «Le terapie oncologiche adeguate e normative per la cura del tumore polmonare metastatico possono oggi assicurare al paziente anche anni di vita». Altro esempio è il carcinoma renale: «Una volta non aveva buona prognosi con una chemioterapia, oggi disponiamo di terapie (addirittura con pastiglie) che permettono di formulare prognosi molto migliori». Anche il melanoma si inchina all’evoluzione oncologica: «Le terapie biologiche hanno ampliato le possibilità e portato a trattamenti altamente personalizzati, ciò grazie all’uso degli anticorpi monoclonali che colpiscono punti cosiddetti bersaglio». Nella cura oncologica dei tumori, quel che venti anni or sono poteva sembrare fantascienza oggi è realtà. Come è insindacabile che, per assicurare chances di vita e, spesso, guarigione, i tumori devono essere curati attraverso queste terapie. Lo certifica un autorevole studio dell’università di Yale pubblicato ad agosto 2017 dal Journal of the National Cancer Institute: «Quando si ha un tumore, abbandonare le terapie mediche per rivolgersi a quelle «alternative» (dall’omeopatia a diete particolari) aumenta fino a sei volte il rischio di morte entro cinque anni». Non è saggio né vincente abbandonare le terapie oncologiche a favore di una medicina complementare. Ma potrebbe essere interessante, per l’appunto, integrare le due medicine nell’ambito di un percorso terapeutico coordinato, in modo da non creare eventuali conflitti fra sostanze terapeutiche, e mantenendo per contro i benefici che questo tipo di presa a carico comporta. La nostra interlocutrice, responsabile dell’Ambulatorio di oncologia integrata, ci illustra l’idea che sta a monte di questo progetto dagli obiettivi precisi (scientificamente testati dalle linee guida internazionale) e provati benefici per il paziente: «L’efficacia crescente delle terapie oncologiche le ha portate a essere inevitabilmente più complesse e accompagnate da possibili effetti collaterali a volte difficili da controllare, come nausea, stanchezza, dolori, vampate di calore e disturbi del sonno per citarne alcune. Ecco che, durante il percorso oncologico, per alleviare questi sintomi e migliorare la qualità della vita del paziente può essere utile integrare in modo corretto alcuni trattamenti complementari, quali l’agopuntura, la
La dottoressa Simonetta Mauri, oncologa dell’Ambulatorio di Oncologia Integrata allo IOSI. (Vincenzo Cammarata)
fitoterapia, la medicina antroposofica, varie tecniche di rilassamento e altro ancora». Ne risulta innanzitutto una collaborazione fra medico di famiglia, oncologo, diverse figure terapeutiche e oncologa coordinatrice dell’integrazione: «Questo permette di evitare eventuali conflitti fra agenti terapeutici, e fa sì che il paziente non si trovi a prendere iniziative che potrebbero portarlo a perdere tempo e soldi da terapeuti e terapie complementari non adatti al suo percorso (ndr: i trattamenti complementari eventualmente proposti sono coperti dall’assicurazione malattia di base LaMal e praticate da medici)». L’Ambulatorio di Oncologia Integrata nasce dunque a supporto dei pazienti oncologici che sempre più richiedono di associare delle terapie complementari alla propria terapia classica, in un sistema coordinato fra
curanti: «Ciò assicura una presa a carico ottimizzata e individualizzata, nella quale non viene considerato solo il tumore, ma in modo olistico la persona che ha una malattia, adeguatamente accompagnata nel suo percorso terapeutico». Gli incontri di questo ambito comportano: «Una valutazione globale del paziente e dei suoi disturbi, la costruzione di un progetto terapeutico integrato, efficace e sicuro che tiene conto delle sue esigenze (il tutto in stretta collaborazione con l’oncologo personale), trattamenti complementari dispensati da medici e terapisti qualificati e, infine, una valutazione della compatibilità di eventuali trattamenti complementari già in corso con le terapie oncologiche previste». Oggi la medicina va incontro a una visione olistica del paziente, nel suo insieme e nella sua unicità. La filosofia della medicina complementare è
permeata di ascolto e dalla focalizzazione sull’individuo e sulle cause della sua malattia. La condizione essenziale di ogni ambito terapeutico dovrebbe comportare questo approccio e questi elementi di accoglienza e buona cura. E oggi l’Oncologia Integrata, oltre che «curare», si «prende cura» del paziente.
Video intervista Sul canale Youtube di «Azione» e su www.azione.ch la videointervista all’oncologa Simonetta Mauri.
La Bolivia riesce a essere tanto vicina al cielo da sembrare il paradiso, quanto incarnare il volto dell’inferno. È un paese carico di storia, di eventi grandiosi e dolorosi al tempo stesso. Geograficamente remota per noi europei oggi, eppure così vicina per l’importanza che ebbero e che continuano ad avere le grandi risorse minerarie nascoste nel suo ventre. Un viaggio in Bolivia ha un che di dantesco. Ma al contrario. Lasciata la frontiera con l’Argentina, il Salar de Uyuni appare come una landa ultraterrena. Si trova tra i dipartimenti di Potosí e Oruro, a un’altezza di 3656 metri s.l.m. Manca il fiato, un po’ per la meraviglia di fronte allo spettacolo della natura, un po’ per l’altitudine. Le nuvole si riflettono nell’acqua che, nel periodo delle piogge tra dicembre e marzo, invade l’immensa distesa di sale: 10’582 chilometri quadrati, la più vasta al mondo. Tutto si duplica. E le persone fluttuano come sospese tra cielo e terra. La superficie del salar è così vasta e piatta, sovrastata da cieli così limpidi, che viene utilizzata dalla NASA per calibrare gli altimetri dei satelliti in orbita. Uno specchio bianco, abbacinante, che contiene una crosta di sale spessa da pochi centimetri a 10 metri, quel che resta di un lago preistorico, oggi ridotto a lago salato. Si calcola che ci siano 10 miliardi di tonnellate di sale (25mila estratte annualmente). E non solo. Magnesio, potassio e un terzo delle riserve conosciute di litio del pianeta (quel materiale che fa funzionare le batterie dei nostri computer, per intenderci). Il salar si trova in una cosiddetta zona di transizione climatica: gli enormi cumuli e cumulonembi tropicali, che si formano nella parte orientale del salar durante l’estate, non riescono a penetrare oltre le sue sponde occidentali, secche e asciutte, vicine al confine cileno. Gli unici che sembrano gradire il clima sono gli uccelli: ben 80 specie di migratori passano da queste parti, compresi tre tipi diversi di fenicotteri che qui si riproducono. Sulle poche isole che punteggiano il lago salato troviamo solo cactus. Atmosfera ancor più surreale tra gli scheletri dei vagoni che popolano il cimitero dei treni a Uyuni. Utilizzate fino agli anni Quaranta, le locomotive sputano solo nuvole, i convogli che un tempo servivano per l’industria mineraria oggi sono ruggine pura su binari che non portano più da nessuna parte. Il turismo, da queste parti, è una
Su www.azione.ch una galleria fotografica più ampia di questo splendido paesaggio.
voce importante dell’economia, ma come sempre la ricerca della sostenibilità è un’impresa difficile. Il deserto resta un ambiente fragile. La plastica vaga per chilometri sospinta dal vento, soffocando quel poco di vita che con fatica e tenacia cerca di affermarsi. Per questo nel 1973 fu creata la Riserva nazionale di fauna andina Eduardo Avaroa: un’area protetta di 7147 chilometri quadrati che coprono la regione più meridionale del paese, la quale ospita anche 23 specie di mammiferi, tra cui puma, volpi delle Ande e viscacce, alcune delle quali minacciate, come la vigogna, il suri, il condor delle Ande. La priorità qui è la salvaguardia del delicato habitat lagunare, fondamentale per la vita di molti uccelli, e la protezione dell’ecoregione della puna (steppa montana, semi-desertica, diffusa fra i 3000 e i 5000 m nelle alte regioni andine di Cile, Bolivia e Argentina) delle Ande centrali. Situata a un’altitudine tra i 4200 e i 5400 metri s.l.m., comprende alcune delle icone paesaggistiche della Bolivia. Si parte con la Laguna Colorada, sede di un National Wildlife Sanctuary, 60 chilometri quadrati, a 4278 metri s.l.m.
Colorata perché i microorganismi che vivono in superficie reagiscono in modo coreografico al vento e alla luce. L’acqua è bassa, appena un metro di profondità, sufficiente a sostenere le 40 specie di uccelli che si aggirano da quelle parti, ma soprattutto ricca di alghe rosa che nutrono i delicati fenicotteri di James, che vi scorrazzano in lungo e in largo. Si tratta di una specie a rischio, classificata come prossima alla minaccia, dopo che la popolazione mondiale, stimata in 100mila esemplari nel 2005, ha subito una forte riduzione a causa della caccia e dell’inquinamento che sta minacciando il suo habitat. Qui nella laguna Colorada ha uno dei suoi principali siti di riproduzione. A meno di venti chilometri da qui, troviamo un’insolita formazione di rocce isolata tra le dune di sabbia di Siloli, denominata Árbol de Piedra, scolpita dal vento e dall’erosione. Altro punto caldo, in tutti i sensi, è Sol de Mañana, un campo geotermale attivo che si estende tra i 4800 e i 5000 m.s.l.m. Pozze di acqua e fango bollente, colonne di vapore, sorgenti sulfuree. L’alba qui è particolarmente suggestiva.
Nei vari tour che le guide locali mettono a disposizione all’interno della riserva, si visitano anche la Laguna Verde e la Hedionda, circondate da montagne alte tra i 3500 e i 5000 metri, deserti colorati di sabbia e rocce pettinate dal vento, i vulcani imbiancati di neve, solo all’apparenza silenti. Nessuna meraviglia quindi se i
numeri dal punto di vista turistico sono sempre più importanti. Tuttavia, la scarsa regolamentazione e la disorganizzazione rischiano di tramutare un’opportunità in minaccia. La regione, a causa della sua posizione remota, è sempre stata una delle più depresse della Bolivia. La mancanza di guide formate opportunamente, l’utilizzo di mezzi 4x4 obsoleti e la scarsità di strutture sta mettendo a dura prova il territorio, già minacciato dall’industria mineraria che nel resto del paese resta un’attività economica portante (ci sono ben 61 concessioni minerarie attive lungo i confini della riserva). Negli anni Novanta l’area fu interessata dal programma PiP (Parks in Peril), promossa da The Nature Conservancy (TNC) per cercare di stimolare una sensibilità locale per la salvaguardia della biodiversità. Da allora le cose sono migliorate e sono tante le organizzazioni che si sono mobilitate a sostegno dei locali. Oggi si punta su fonti di energia rinnovabili, agricoltura e allevamento sostenibili, formazione di guardia parco e programmi di educazione ambientale per le comunità. Perché il paradiso non può attendere.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 marzo 2018 • N. 12
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 marzo 2018 • N. 12
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Ambiente e Benessere Tra inferno e paradiso A minacciare la natura della Bolivia, non solo miniere, ma anche i turisti
«L’ho visitato anch’io» Viaggiando ovunque per non rischiare di perdere il passato a causa dei grandi cambiamenti, ignoriamo le nuove realtà? pagina 15
Il problema neve Sono diverse le cause che complicano le attività di chi ha investito sulle Alpi pagina 17
I saggi giardinieri Un libriccino molto curato per interrogarci sul miracolo che il verde ci offre
Il Paradiso minacciato
Reportage Dagli incredibili paesaggi naturali alle misere condizioni dei minatori: la Bolivia
ha molti volti, sorprendentemente diversi tra loro Amanda Ronzoni, testo e foto pagina 11
pagina 23
Oncologia integrata
Medicina Lo IOSI all’avanguardia nel
porgere la mano alle terapie complementari e nella valutazione olistica del paziente
Maria Grazia Buletti «Io non sono il mio tumore: sono una persona fatta di anima e corpo, che sta combattendo e domanda di essere accolta in tutti i suoi bisogni», è la riflessione con cui ci accoglie all’Istituto Oncologico della Svizzera italiana (IOSI) l’oncologa Simonetta Mauri per parlare del neonato Ambulatorio di Oncologia Integrata. «Da oltre due anni abbiamo approfondito studi scientifici e linee guida internazionali sul tema dell’oncologia integrata: abbiamo visitato l’Istituto di medicina integrata dell’Università di Zurigo (e quello di San Gallo) cercando di capire come funziona, chi ha qualifiche riconosciute nell’ambito di questa dimensione e come poter collaborare nella analoga presa a carico del paziente oncologico che viene considerato come individuo, in tutti i suoi bisogni e le difficoltà nel corso della sua malattia, attraverso la coordinazione del suo percorso terapeutico». La pratica vale sempre più della grammatica e la dottoressa Mauri ci orienta sulle consulenze di medicina oncologica integrata ufficialmente iniziate allo IOSI dall’ottobre dello scorso anno, nell’ambito di un progetto pilota del quale oggi si possono trarre interessantissime osservazioni: «Per ora il nostro ambulatorio di oncologia integrata si trova all’Ospedale Italiano, ma stiamo sondandone l’interesse a livello cantonale, forti del fatto che, risultati alla mano, i colleghi coinvolti si sono convinti che questa filosofia di terapia integrata porta tangibili benefici al paziente». Per capire meglio questa sorta di evoluzione nell’ambito oncologico dobbiamo partire dal concetto evolutivo delle terapie oncologiche che si sono evolute verso prognosi sempre migliori, almeno per quanto attiene a parecchie neoplasie: «Ad esempio, la chemioterapia di un tempo disponeva di pochi mezzi per combattere efficacemente il tumore polmonare. Oggi disponiamo di terapie molto specifiche (a bersaglio molecolare) che portano a considerare questa neoplasia quasi come una malattia cronica, con una speranza di vita molto aumentata rispetto a una volta». La dottoressa Mauri spiega che se una ventina d’anni fa la diagnosi di un tumore polmonare a stadio avanzato equivaleva ad avere circa 6 mesi di
vita, oggi la situazione è cambiata: «Le terapie oncologiche adeguate e normative per la cura del tumore polmonare metastatico possono oggi assicurare al paziente anche anni di vita». Altro esempio è il carcinoma renale: «Una volta non aveva buona prognosi con una chemioterapia, oggi disponiamo di terapie (addirittura con pastiglie) che permettono di formulare prognosi molto migliori». Anche il melanoma si inchina all’evoluzione oncologica: «Le terapie biologiche hanno ampliato le possibilità e portato a trattamenti altamente personalizzati, ciò grazie all’uso degli anticorpi monoclonali che colpiscono punti cosiddetti bersaglio». Nella cura oncologica dei tumori, quel che venti anni or sono poteva sembrare fantascienza oggi è realtà. Come è insindacabile che, per assicurare chances di vita e, spesso, guarigione, i tumori devono essere curati attraverso queste terapie. Lo certifica un autorevole studio dell’università di Yale pubblicato ad agosto 2017 dal Journal of the National Cancer Institute: «Quando si ha un tumore, abbandonare le terapie mediche per rivolgersi a quelle «alternative» (dall’omeopatia a diete particolari) aumenta fino a sei volte il rischio di morte entro cinque anni». Non è saggio né vincente abbandonare le terapie oncologiche a favore di una medicina complementare. Ma potrebbe essere interessante, per l’appunto, integrare le due medicine nell’ambito di un percorso terapeutico coordinato, in modo da non creare eventuali conflitti fra sostanze terapeutiche, e mantenendo per contro i benefici che questo tipo di presa a carico comporta. La nostra interlocutrice, responsabile dell’Ambulatorio di oncologia integrata, ci illustra l’idea che sta a monte di questo progetto dagli obiettivi precisi (scientificamente testati dalle linee guida internazionale) e provati benefici per il paziente: «L’efficacia crescente delle terapie oncologiche le ha portate a essere inevitabilmente più complesse e accompagnate da possibili effetti collaterali a volte difficili da controllare, come nausea, stanchezza, dolori, vampate di calore e disturbi del sonno per citarne alcune. Ecco che, durante il percorso oncologico, per alleviare questi sintomi e migliorare la qualità della vita del paziente può essere utile integrare in modo corretto alcuni trattamenti complementari, quali l’agopuntura, la
La dottoressa Simonetta Mauri, oncologa dell’Ambulatorio di Oncologia Integrata allo IOSI. (Vincenzo Cammarata)
fitoterapia, la medicina antroposofica, varie tecniche di rilassamento e altro ancora». Ne risulta innanzitutto una collaborazione fra medico di famiglia, oncologo, diverse figure terapeutiche e oncologa coordinatrice dell’integrazione: «Questo permette di evitare eventuali conflitti fra agenti terapeutici, e fa sì che il paziente non si trovi a prendere iniziative che potrebbero portarlo a perdere tempo e soldi da terapeuti e terapie complementari non adatti al suo percorso (ndr: i trattamenti complementari eventualmente proposti sono coperti dall’assicurazione malattia di base LaMal e praticate da medici)». L’Ambulatorio di Oncologia Integrata nasce dunque a supporto dei pazienti oncologici che sempre più richiedono di associare delle terapie complementari alla propria terapia classica, in un sistema coordinato fra
curanti: «Ciò assicura una presa a carico ottimizzata e individualizzata, nella quale non viene considerato solo il tumore, ma in modo olistico la persona che ha una malattia, adeguatamente accompagnata nel suo percorso terapeutico». Gli incontri di questo ambito comportano: «Una valutazione globale del paziente e dei suoi disturbi, la costruzione di un progetto terapeutico integrato, efficace e sicuro che tiene conto delle sue esigenze (il tutto in stretta collaborazione con l’oncologo personale), trattamenti complementari dispensati da medici e terapisti qualificati e, infine, una valutazione della compatibilità di eventuali trattamenti complementari già in corso con le terapie oncologiche previste». Oggi la medicina va incontro a una visione olistica del paziente, nel suo insieme e nella sua unicità. La filosofia della medicina complementare è
permeata di ascolto e dalla focalizzazione sull’individuo e sulle cause della sua malattia. La condizione essenziale di ogni ambito terapeutico dovrebbe comportare questo approccio e questi elementi di accoglienza e buona cura. E oggi l’Oncologia Integrata, oltre che «curare», si «prende cura» del paziente.
Video intervista Sul canale Youtube di «Azione» e su www.azione.ch la videointervista all’oncologa Simonetta Mauri.
La Bolivia riesce a essere tanto vicina al cielo da sembrare il paradiso, quanto incarnare il volto dell’inferno. È un paese carico di storia, di eventi grandiosi e dolorosi al tempo stesso. Geograficamente remota per noi europei oggi, eppure così vicina per l’importanza che ebbero e che continuano ad avere le grandi risorse minerarie nascoste nel suo ventre. Un viaggio in Bolivia ha un che di dantesco. Ma al contrario. Lasciata la frontiera con l’Argentina, il Salar de Uyuni appare come una landa ultraterrena. Si trova tra i dipartimenti di Potosí e Oruro, a un’altezza di 3656 metri s.l.m. Manca il fiato, un po’ per la meraviglia di fronte allo spettacolo della natura, un po’ per l’altitudine. Le nuvole si riflettono nell’acqua che, nel periodo delle piogge tra dicembre e marzo, invade l’immensa distesa di sale: 10’582 chilometri quadrati, la più vasta al mondo. Tutto si duplica. E le persone fluttuano come sospese tra cielo e terra. La superficie del salar è così vasta e piatta, sovrastata da cieli così limpidi, che viene utilizzata dalla NASA per calibrare gli altimetri dei satelliti in orbita. Uno specchio bianco, abbacinante, che contiene una crosta di sale spessa da pochi centimetri a 10 metri, quel che resta di un lago preistorico, oggi ridotto a lago salato. Si calcola che ci siano 10 miliardi di tonnellate di sale (25mila estratte annualmente). E non solo. Magnesio, potassio e un terzo delle riserve conosciute di litio del pianeta (quel materiale che fa funzionare le batterie dei nostri computer, per intenderci). Il salar si trova in una cosiddetta zona di transizione climatica: gli enormi cumuli e cumulonembi tropicali, che si formano nella parte orientale del salar durante l’estate, non riescono a penetrare oltre le sue sponde occidentali, secche e asciutte, vicine al confine cileno. Gli unici che sembrano gradire il clima sono gli uccelli: ben 80 specie di migratori passano da queste parti, compresi tre tipi diversi di fenicotteri che qui si riproducono. Sulle poche isole che punteggiano il lago salato troviamo solo cactus. Atmosfera ancor più surreale tra gli scheletri dei vagoni che popolano il cimitero dei treni a Uyuni. Utilizzate fino agli anni Quaranta, le locomotive sputano solo nuvole, i convogli che un tempo servivano per l’industria mineraria oggi sono ruggine pura su binari che non portano più da nessuna parte. Il turismo, da queste parti, è una
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voce importante dell’economia, ma come sempre la ricerca della sostenibilità è un’impresa difficile. Il deserto resta un ambiente fragile. La plastica vaga per chilometri sospinta dal vento, soffocando quel poco di vita che con fatica e tenacia cerca di affermarsi. Per questo nel 1973 fu creata la Riserva nazionale di fauna andina Eduardo Avaroa: un’area protetta di 7147 chilometri quadrati che coprono la regione più meridionale del paese, la quale ospita anche 23 specie di mammiferi, tra cui puma, volpi delle Ande e viscacce, alcune delle quali minacciate, come la vigogna, il suri, il condor delle Ande. La priorità qui è la salvaguardia del delicato habitat lagunare, fondamentale per la vita di molti uccelli, e la protezione dell’ecoregione della puna (steppa montana, semi-desertica, diffusa fra i 3000 e i 5000 m nelle alte regioni andine di Cile, Bolivia e Argentina) delle Ande centrali. Situata a un’altitudine tra i 4200 e i 5400 metri s.l.m., comprende alcune delle icone paesaggistiche della Bolivia. Si parte con la Laguna Colorada, sede di un National Wildlife Sanctuary, 60 chilometri quadrati, a 4278 metri s.l.m.
Colorata perché i microorganismi che vivono in superficie reagiscono in modo coreografico al vento e alla luce. L’acqua è bassa, appena un metro di profondità, sufficiente a sostenere le 40 specie di uccelli che si aggirano da quelle parti, ma soprattutto ricca di alghe rosa che nutrono i delicati fenicotteri di James, che vi scorrazzano in lungo e in largo. Si tratta di una specie a rischio, classificata come prossima alla minaccia, dopo che la popolazione mondiale, stimata in 100mila esemplari nel 2005, ha subito una forte riduzione a causa della caccia e dell’inquinamento che sta minacciando il suo habitat. Qui nella laguna Colorada ha uno dei suoi principali siti di riproduzione. A meno di venti chilometri da qui, troviamo un’insolita formazione di rocce isolata tra le dune di sabbia di Siloli, denominata Árbol de Piedra, scolpita dal vento e dall’erosione. Altro punto caldo, in tutti i sensi, è Sol de Mañana, un campo geotermale attivo che si estende tra i 4800 e i 5000 m.s.l.m. Pozze di acqua e fango bollente, colonne di vapore, sorgenti sulfuree. L’alba qui è particolarmente suggestiva.
Nei vari tour che le guide locali mettono a disposizione all’interno della riserva, si visitano anche la Laguna Verde e la Hedionda, circondate da montagne alte tra i 3500 e i 5000 metri, deserti colorati di sabbia e rocce pettinate dal vento, i vulcani imbiancati di neve, solo all’apparenza silenti. Nessuna meraviglia quindi se i
numeri dal punto di vista turistico sono sempre più importanti. Tuttavia, la scarsa regolamentazione e la disorganizzazione rischiano di tramutare un’opportunità in minaccia. La regione, a causa della sua posizione remota, è sempre stata una delle più depresse della Bolivia. La mancanza di guide formate opportunamente, l’utilizzo di mezzi 4x4 obsoleti e la scarsità di strutture sta mettendo a dura prova il territorio, già minacciato dall’industria mineraria che nel resto del paese resta un’attività economica portante (ci sono ben 61 concessioni minerarie attive lungo i confini della riserva). Negli anni Novanta l’area fu interessata dal programma PiP (Parks in Peril), promossa da The Nature Conservancy (TNC) per cercare di stimolare una sensibilità locale per la salvaguardia della biodiversità. Da allora le cose sono migliorate e sono tante le organizzazioni che si sono mobilitate a sostegno dei locali. Oggi si punta su fonti di energia rinnovabili, agricoltura e allevamento sostenibili, formazione di guardia parco e programmi di educazione ambientale per le comunità. Perché il paradiso non può attendere.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 marzo 2018 • N. 12
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Ambiente e Benessere
Prima che scompaiano
I viventi al Book Pride
in una spinta al viaggio
dell’editoria indipendente torna a Milano
Viaggiatori d’Occidente Le situazioni di emergenza possono trasformarsi
«Last chance travel»: così molti organizzatori di viaggio etichettano alcune richieste sempre più frequenti della loro clientela. Il viaggiatore contemporaneo è consapevole che tra qualche anno soltanto potrebbe essere troppo tardi per vedere alcune parti del mondo, o alcuni popoli, quanto meno nel loro stato attuale. Diversi fattori congiurano alla scomparsa della bellezza. Da un lato naturalmente ci sono gli effetti dei cambiamenti climatici. Quando nel 1910 il Parco nazionale dei ghiacciai fu creato nel Montana, Stati Uniti, si contavano circa 150 ghiacciai; oggi ne rimangono solo un sesto. La situazione non è migliore in Alaska e nel Canada settentrionale (per non parlare delle nostre Alpi). Oppure potremmo pensare alla Grande barriera corallina (Great Barrier Reef), lungo le coste dell’Australia. Secondo un recente sondaggio, la motivazione principale di oltre il 70 per cento dei visitatori era «vederla prima che scompaia». Anche i viaggi naturalistici sono aumentati da quando si teme la scomparsa di alcuni habitat o l’estinzione di specie animali: il rinoceronte nero africano, preda ambita dei bracconieri, è un simbolo; ma le tigri d’Asia non se la passano meglio, se consideriamo che la popolazione attuale potrebbe essere il 10 per cento di quella storica. Nelle isole Galapagos, grazie alla straordinaria varietà di piante e animali, Charles Darwin elaborò la fondamentale teoria de L’origine delle specie. Oggi queste isole sono minacciate dall’aumento di temperatura degli oceani, dal bracconaggio, dall’arrivo di specie esogene grazie ai moderni mezzi di trasporto, dai troppi turisti. Per la tartaruga di Pinta Island è già troppo tardi: si è estinta nel 2012. L’impulso dietro questi viaggi dell’ultima spiaggia è comprensibile, se non condivisibile, ma le conseguenze sono paradossali nella misura in cui si traducono in nuovi viaggi, nuove emissioni di CO2 e quindi in un’accelerazione dei fenomeni in corso: non dimentichiamo che già ora la metà dei viaggi aerei internazionali si deve al turismo.
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Claudio Visentin
Eventi La fiera
Troppi turisti inoltre, con il loro impatto ambientale e sociale, possono accelerare il declino di quello stesso paradiso tanto desiderato. Sull’altro piatto della bilancia ci sono una maggiore consapevolezza dei problemi e naturalmente i proventi del turismo: se ben impiegati possono aiutare la protezione dell’ambiente, specie nelle aree più isolate. Altri viaggiatori temono invece gli effetti delle nuove tecnologie e della globalizzazione sulla diversità culturale. Per quanto tempo la Birmania o la Mongolia, da poco aperte al turismo internazionale, resteranno come sono? Nel percorso verso la modernità il cambiamento può essere sorprendentemente rapido. Lo ha spiegato anche Steve McCurry, statunitense, tra i più conosciuti fotografi di viaggio; il suo ritratto di una ragazza afgana, pubblicato sulla copertina di «National Geographic» nel giugno 1985, è diventato il simbolo di quella guerra infinita. In un’intervista recente McCurry ha raccontato: «Sono stato in Cina nel 1984. Era veramente un paese ai margini della carta del mondo, per quanto riguarda i rapporti con gli al-
tri. E guardate oggi! In poco meno di 35 anni la trasformazione è inimmaginabile». Ha poi ricordato le numerose popolazioni di contadini e pastori incontrati nei suoi progetti fotografici: «Un sistema di vita basato sulla pastorizia può scomparire in un paio d’anni. Se un tempo i pastori passavano il loro tempo con le greggi e i loro bambini, d’improvviso ogni giorno devono andare al lavoro». E una volta iniziato il percorso verso la modernità, non si torna più indietro. Anche la politica internazionale gioca un suo ruolo. La fine dei regimi dittatoriali è sempre buona cosa, ma può innescare una troppo rapida apertura al mondo. Fidel Castro è morto nel novembre 2016 e l’anno seguente i visitatori dell’isola sono saliti sino a quasi cinque milioni, nel timore che la vita cubana potesse perdere il suo colore e quella caratteristica ruvidezza. L’antropologo francese Claude Levi Strauss più di ogni altro si è interrogato sul senso di queste trasformazioni culturali, nel suo famoso libro Tristi tropici (1955), nel quale ha raccolto una vastissima esperienza sul
campo. Si chiedeva: «Quando sarebbe stato il momento migliore per visitare l’India? In quale periodo storico lo studio dei selvaggi brasiliani li avrebbe trovati nella loro condizione originaria?». Naturalmente più torniamo indietro nel tempo – quando la comunicazione e i contatti tra le diverse civiltà umane erano ridotti, così come la loro capacità di trasformarsi reciprocamente – più possiamo ritrovare le culture nella loro purezza. Al tempo stesso però i viaggiatori del passato erano incapaci di comprendere il significato e la ricchezza della diversità culturale, confusa ai loro occhi con la barbarie o l’ignoranza della vera e unica fede, come ciascuno giudicava la sua. Ma noi siamo poi meglio di loro? Mentre inseguiamo le ombre sfuggenti del passato, giustamente preoccupati del loro svanire, potremmo non accorgerci di nuove realtà che stanno prendendo forma dinanzi ai nostri occhi e che meriterebbero tutta la nostra attenzione. Al Viaggiatore d’Occidente si richiede di saper guardare in entrambe le direzioni: verso il passato, verso il futuro.
Quarta edizione di Book Pride, la fiera dell’editoria indipendente. La trovate dal 23 al 25 marzo (ore 10-20, ingresso libero) a BASE Milano (via Bergognone 34) e al vicino MUDEC-Museo delle Culture (via Tortona 56). «Tutti i viventi» è il tema 2018, declinato in otto percorsi. Le parole chiave: indipendenza, visionarietà, coscienza e incoscienza, orgoglio, laboriosità, prendersi cura. I libri dei piccoli editori non si trovano sempre in libreria e quindi c’è spazio per scoperte personali. Inoltre da qualche tempo proprio gli editori indipendenti propongono i titoli di viaggio più interessanti. Curiosate per esempio nel catalogo di Ediciclo o Exorma; cercate i viaggi nordici di Iperborea oppure le storie di mare di Magenes. Partecipano centocinquanta case editrici, in programma duecento incontri. La mia agenda personale registra lo scrittore britannico di origine etiope/ eritrea Saleh Addonia, autore di Lei è un altro paese (Casagrande), cinque racconti su crescere in un campo profughi (25.3, h.12); lo scrittore svedese Björn Larsson ed Edgardo Franzosini dialogano sui grandi personaggi letterari (25.3, h.14); merita poi sempre lo scrittore irpino Franco Arminio con le sue Cartoline dai morti (25.3, h.14); infine Marco Aime presenta l’Atlante delle frontiere di Bruno Tertrais e Delphin Papine (add), frontiere immaginarie o arbitrarie, politiche, economiche, culturali, quasi mai coincidenti con le frontiere internazionali (24.3, h.14); in programma anche un match di «Pugilato letterario» dedicato alla figura di Frankenstein, a 200 anni dalla prima uscita del romanzo di Mary Shelley, personaggio concepito sul Lago di Ginevra (24.3, h.19). Inoltre, come già lo scorso anno, uno spazio di «orgoglio svizzero» sarà proposto con Pro Helvetia: tra le molte iniziative, uno slam di traduzione in parole e immagini dell’opera della scrittrice Pascale Kramer (24.3, h.12) e un microlaboratorio di traduzione poetica insieme al pubblico di tre poesie di Thilo Krause (25.3, h.11). Perché ogni traduzione è un viaggio tra le parole. Annuncio pubblicitario
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Ambiente e Benessere
Sulle alpi si rimpiange la neve di un tempo Climatologia Quattro i fattori climatici attualmente in gioco – Seconda Parte
Panoramica su un mare di nuvole a Carì. (Francesco Stoppa)
Alessandro Focarile Perché parliamo di neve? Si tratta di un elemento climatico che ha assunto durante diversi decenni in Europa, e con un crescendo esponenziale, un’importanza vitale per l’economia e la vita sociale di intere regioni alpine, alimentando considerevoli aspettative. La neve è una materia prima che dà opportunità di lavoro diretto e indiretto a qualche milione di persone coinvolte nell’industria (che tale si può definire) degli sport invernali. La presenza di neve sempre più aleatoria e irregolare da un inverno all’altro, comincia a divenire fonte di forti preoccupazioni. È un capitale naturale che comincia a scarseggiare, non più sicuro ogni inverno, come lo era in passato. Ricordiamo che le Alpi, nel cuore dell’Europa occidentale, occupano una superficie di 220mila chilometri quadrati, e sono popolate da 11 milioni di abitanti suddivisi in sette Paesi: Francia, Italia, Svizzera, Liechtenstein, Germania (Baviera), Austria e Slovenia. I fattori climatici attualmente in gioco sono quattro. Anzitutto l’aumento della temperatura nel periodo autunno-invernale (evidenziato dalla diminuzione delle somme termiche inferiori a zero gradi nel periodo 19852014, e il documentato a Saint-Pierre, Aosta, 780 metri sml) condiziona l’epoca delle nevicate, e le conseguenti caratteristiche strutturali della neve, che può essere farinosa, leggera e contenente molta aria. Oppure pesante, densa e con molta acqua, quale risultato finale (primaverile), o a causa delle temperature elevate per la stagione. È una neve «vecchia», che ha subìto notevoli variazioni nella struttura dei cristalli che la componevano, fino alla loro scomparsa. Ciò che genera la conseguente caduta delle valanghe, risultato di una man-
canza di coesione tra i vari strati delle nevicate che si sono succedute nel corso della stagione invernale. Il secondo fattore è dato dall’aumento dei giorni di föhn (favonio) durante l’inverno, vento che accentua gli effetti della siccità e facilita lo scioglimento precoce (o fuori tempo) della neve (effetto Schnee-Frässer). Quale terzo fattore abbiamo la drastica diminuzione della qualità delle precipitazioni liquide e solide (pioggia, neve). Questo fenomeno ha quale conseguenza primaria l’impoverimento delle falde freatiche dei corsi d’acqua, e una diminuita capacità di ritenuta dei bacini lacustri montani, e anche dei maggiori laghi insubrici.
Le sempre più chiare tendenze climatiche del prossimo futuro aggraveranno la situazione già critica Infine, come quarto fattore, si riscontra una sensibile accelerazione, nel corso degli ultimi anni, di condizioni climatiche sfavorevoli per la formazione di un manto nevoso sufficiente come quantità e persistente nel tempo sotto la soglia critica di 1600-1800 metri. In conclusione, queste sono le tendenze climatiche che cominciano a delinearsi, e che ci aspettano nel molto prossimo futuro. Innanzitutto un’aggravarsi degli eventi meteorologici estremi (l’eccezionale nevicata del 10-12 dicembre 2017, che ha sconvolto l’Europa occidentale, ne è stato un clamoroso esempio), e la loro accentuata localizzazione geografica. Poi, una serie di fattori che agiscono in sinergia, acutizzando l’entità delle conseguen-
ze. Fa meno freddo durante l’inverno, soprattutto nelle minime. Questo fenomeno ritarda l’epoca delle nevicate e, nel contempo, le sposta verso la primavera con tutti i risvolti economici per gli sport invernali. Piove di meno: i corsi d’acqua sono in secca, e i bacini lacustri montani, ma anche i grandi laghi insubrici, perdono di volume. Meno acqua per i rifornimenti idrici umani, per la produzione di energia elettrica, per i pascoli, e anche per i cannoni da neve. L’aumento dei giorni di föhn (favonio) ha anche sensibili conseguenze sulla tenuta del manto nevoso, e aumenta il rischio degli incendi. Il limite altimetrico del permafrost (suolo gelato in permanenza) si sposta progressivamente verso quote più elevate, liberando suoli un tempo compatti, ma che attualmente tendono a scivolare verso il basso per gravità provocando frane, alluvioni di fango, profonde alterazioni dell’ambiente alpino. Il modello francese dell’organizzazione delle stazioni sciistiche alpine è stato progettato, realizzato, e finalizzato con robusti apporti da aggressive società immobiliari di Parigi e di Lione, che hanno acquistato intere montagne (pascoli e boschi). Spesso per cifre irrisorie (considerata l’entità delle superfici) da montanari ingenui e delusi dopo secoli di vita grama e difficile, e ben felici di poter scendere a valle, dove erano accolti dalle industrie elettro-chimiche. Queste entità imprenditoriali cittadine creavano dal nulla grandi complessi immobiliari dotati di impiantistiche d’avanguardia concepite unicamente per lo sfruttamento del capitale «neve». E che consentono al cliente di calzare gli sci fin davanti la porta di casa. Ma, durante l’estate, questi nuovi villaggi sono divenuti un altro tipo di deserto, estranei all’ambiente naturale che li ospita.
Occorre ricordare che questo modello francese era stato realizzato, con vero spirito pionieristico, già in Italia prima dell’ultima guerra. In Piemonte al Sestriere e in Valle d’Aosta, dove la famiglia Maquignaz di Valtournanche aveva venduto i suoi pascoli nella conca del Breuil (poi divenuta Cervinia). Questo cambio di proprietà aveva dato la possibilità di creare, anche qui dal nulla, quell’enorme discutibile complesso sciistico e immobiliare ai piedi del Cervino che conosciamo oggi dopo 80 anni. All’epoca, una cordata di imprenditori lombardi si era unita nell’avventura. Ma in Francia i montanari di Val d’Isère, di Mégève, dell’Alpe d’Huez (celebri stazioni) sono stati ignorati, e non hanno avuto più voce sul destino delle loro antiche terre. Il modello tirolese. I locali hanno conservato gelosamente le loro proprietà fondiarie. Essi si sono evoluti migliorando sempre di più la loro cultura di accoglienza e quindi l’economia dei luoghi nativi. Non sono fuggiti, e non hanno voluto perdere quello che era stato loro trasmesso dai loro avi: un bene che doveva rivelarsi prezioso. Una fitta rete di piccoli e medi alberghi a conduzione familiare (funzionanti durante tutto l’anno) caratterizza attualmente il turismo del Tirolo. I cui proprietari, strettamente locali, con una intelligente politica di efficiente accoglienza, hanno saputo fidelizzare la clientela che ritorna ogni anno. Molto tempo prima, si era creato e sviluppato questo tipo di organizzazione turistica in Svizzera, realizzando gli aspetti più clamorosi di successo a Zermatt, a Grindelwald (Alpi Bernesi) e soprattutto a Saint-Moritz. Qui gli antichi montanari di Praborna (Zermatt) si sono trasformati in oculati e sagaci ristoratori e albergatori, ospitando e trasferendo turisti provenienti da tut-
to il Mondo, sempre all’agguato delle ultime novità in fatto di impiantistica, acquistando per esempio un avveniristico impianto per la produzione di neve artificiale in Israele per la modica somma di un milione e 400mila franchi. Da Zermatt si sale ai 3000 metri del Gornergrat, e ai 3500 del Plateau Rosa ai piedi della Gran Becca. Tra i modelli descritti, si sono realizzate anche varie forme intermedie di gestione, grazie al razionale impiego delle opportunità offerte in loco. Come attraverso la costituzione di cooperative, che uniscono l’atavico buon senso dei montanari (che hanno conservato la proprietà fondiaria) con l’apporto culturale e spesso finanziario dei forestieri. «È giunta la bianca visitatrice» scrivevano un tempo i cronisti. Il 10 dicembre 2017 è arrivata la neve in quantità generose e tanto attese dagli operatori valdostani e non solo. Ma con una «geografia» molto contrastata: 50-60 centimetri nel centro valle, molti di più verso il Monte Bianco, e molti di meno nelle valli orientali (Gressoney, Ayas). Nel Cantone Ticino a forti nevicate nell’alta Leventina, ha fatto riscontro la modesta caduta a Carì (20 centimetri). Le massicce nevicate nelle Alpi occidentali sono soltanto un episodio, ma la retta tendenziale degli ultimi 25 anni è inesorabilmente rivolta verso il basso. Informazioni
La prima parte è uscita sul n° 8 di «Azione» del 19 febbraio 2018. Bibliografia
Giovanni Kappenberger & Jochen Kerkmann, Il tempo in montagna, Zanichelli (Bologna), 2004, 254 pp. Charles-Pierre Péguy, La Neige. Presses Universitaires de France (Paris), 1952, 119 pp.
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Ambiente e Benessere
Un arbusto scenografico
Mondoverde Ad arricchire di colori la stagione fredda sono i fiori
invernali della Camellia sasanqua
Stretta parente della più classica Camellia japonica con fioritura primaverile, la C. sasanqua si differenzia per i boccioli che si aprono dal mese di novembre fino a metà marzo. Arbusto sempreverde, ha anch’essa origini nipponiche e nella sua terra di origine, specie sull’isola di Okinawa, dove viene coltivata da secoli sia per scopi decorativi sia a fini alimentari, viene chiamata Sazankwa ovvero «fiore del tè di montagna». Appartenente alla famiglia delle Theaceae, raggiunge l’altezza di 3-4 metri se coltivata in piena terra, mentre in vaso tende a stabilizzarsi intorno ai 2 metri. Portata in Europa nel 1700 da Charles Maries, venne da prima coltivata in Inghilterra e poi nelle zone dei laghi del nord Italia e del Ticino, dove ricchi nobili inglesi comprarono ville e relativi giardini che riempirono con le piante da loro preferite, tra cui le camelie. Come tutte le camelie, anche questa dalla fioritura invernale necessita di un suolo acido, ovvero povero di calcio. Un terreno ad hoc si dovrebbe presen-
tare con un pH intorno al 5,5-6, ricco di sostanza organica e ben drenato. Se così non fosse , visto che la maggior parte dei terreni insubrici è di natura calcarea, si può intervenire eliminando la terra della buca sostituendola con qualche sacco specifico per acidofile, facilmente reperibile nei negozi di giardinaggio. Qualche precauzione è necessaria anche per i terreni argillosi (sono quelli molto compatti e poco drenanti): nella terra della buca si dovrà miscelare compost, torba, terriccio di foglie o un po’ di letame maturo, praticando uno strato di una decina di centimetri sul fondo con ghiaia o materiale drenante. L’esposizione migliore risulta essere quella a mezz’ombra: a sud ma riparata sotto le fronde di un grande albero caduco, in modo tale da lasciarla esposta all’irraggiamento diretto durante il periodo invernale e riparata nei mesi più caldi. Non ama gli angoli ventosi, ma in compenso una volta individuato il punto ideale dove piantarla richiede poche cure durante l’anno: basteranno due concimazioni (a marzo e a settembre) con un concime granulare a lenta cessione specifico per acidofile; irrigazioni bisettimanali se coltivate in vaso, mentre in piena terra basterà una volta
alla settimana nel periodo prima della fioritura per scongiurare la perdita dei boccioli fiorali. Uno strato di qualche centimetro di corteccia sulla terra e intorno al colletto della pianta fungerà sia da decorazione gradevole sia da protezione alle radici contro il freddo invernale o la calura estiva. I fiori grandi 3-4 centimetri, si presentano a petali semplici o composti. Le foglie medio piccole sono verde lucido, coriacee, persistenti e dalla forma ovale con margine seghettato, differenti da quelli ovali della C. japonica. Tra le molte varietà presenti in commercio vi sono «Cleopatra» con corolla semplice e dai petali rosa; «Hiryu» rosso vivo molto caratteristico negli inverni ricchi di neve; «Hino de Gumo» con fiori bianco candido, eleganti soprattutto se la pianta viene coltivata in un bel vaso con ciclamini o viole dello stesso colore. Molto appariscente la varietà «FLM» che si distingue grazie ai fiori a petali doppi dall’intenso colore rosa, mentre «Crimson King», una varietà ormai datata ma sempre molto scenografica, ha fiori rosso carico e una buona fragranza quando sono aperti.
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Ambiente e Benessere
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 marzo 2018 • N. 12
Oltre il nostro punto di vista
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Il seme nel cassetto Una raccolta di racconti incentrati sul giardino e spesso ispirati zen, 4 alla 3 saggezza 2
dove i personaggi dopo l’incontro con il verde cambiano prospettiva mentale
Laura Di Corcia Che cos’è il giardino? Nel corso di questa rubrica abbiamo dato risposte diverse a questo quesito e il libro che presentiamo questo mese, Racconti dei saggi giardinieri (L’ippocampo) continua ad aggiungere elementi al nostro bagaglio. Del resto, la domanda è inesauribile, ma quello che mi viene da pensare dopo essermi immersa nella lettura di queste storie, sapientemente selezionate da Pascal Fauliot e Patrick Fischmann e aventi come minimo comune denominatore lui, il giardino, è questo: che si tratti di saggezza giapponese o cinese, aborigena o medioorientale, il verde è quell’alterità radicale che ci permette di uscire dal nostro punto di vista sulle cose e di rifondare il senso.
Uno spazio verde è l’occasione per un incontro profondo anche con la nostra natura Da questo punto di vista, il giardino è un luogo, una dimensione da attraversare per poter guardare con occhi nuovi la realtà che ci circonda e il rapporto io-mondo. Parecchie delle storie contenute e presentate nel delizioso libriccino, molto curato da un punto di vista estetico e corredato di delicatissime immagini, sono da ascrivere alla saggezza zen e raccontano di personag-
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U N E A T O O R O 8 Vinci una delle 3 carteC regalo da 50 franchi con il6 cruciverba e una delle 2 carte regalo da 50 franchi con il- FEBBRAIO (N. 6 - Gatto orsino - Aèquello del pop corn) (N. 9 - ... arabo senza deserto il Libano) SUDOKU PER AZIONE 2 4 sudoku 92018 5 1
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G A T N. 5 FACILE O R O Schema L 9A 4 Soluzione: A M 5 Scoprire i3 Q U I Z L E 7numeri 8 corretti3 5 U daNinserire D B A R nelle 2 7 3 O caselle O colorate. L A N C 6 8 T C O R D E E P O 5P E A 6
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25. Una pausa nel film 27. Razza di gatto
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Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch
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ORIZZONTALI 1. Messaggero, banditore 6. Un Miguel cantante 9. Il nome dell’attore Frassica 10. Lo era Pietro il Grande 12. Le iniziali dell’indimenticabile cantante Daniele 13. Possessivo francese 14. Sono accanto alle cascine 15. Avverbio di tempo 16. Disseminato di difficoltà 18. Una tavola in movimento... 19. Un tipo di esame 20. Inconfutabili 21. La cerca il molesto 22. Nome maschile 23. Le iniziali del cantante Antonacci 24. Le iniziali dell’attore Siani
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aveva detto che l’unico modo per guarire il figlio malato fosse quello di fargli indossare la camicia di un uomo felice, lo cercò in ogni angolo del regno, trovandolo infine in un semplice giardiniere. E quando questi si tolse la camicia, tutto il mondo fu vestito da un giardino. Perché la felicità sta proprio in questo: fondersi nelle cose, rinunciare all’ego, che in queste storie appare come il personaggio prepotente che si affanna per dare concretezza plastica al proprio desiderio infantile, quello di dominare le cose. Wirth, un famoso tarologo svizzero, divise la sequenza dei Tarocchi in due segmenti conoscitivi: la prima, la via dell’azione, è quella che ci permette di far leva sulle nostre potenzialità per raggiungere i nostri obiettivi. La seconda è quella che ci aiuta ad affidarci, ad aprirci all’esperienza. Il giardino ci insegna questa strada e le storie raccolte in questo volume, pur provenienti da epoche e luoghi molto lontani, vanno tutte nella stessa direzione. Qui il verde è un microcosmo con le sue leggi, la possibilità di un viaggio Giochi per “Azione” - Febbraio 2018 nel quale scoprire nuove cose, fra odoStefania Sargentini ri inebrianti e bellezze che colpiscono i sensi quasi ferendoli. Una lettura consi(N. 5 - ... cavalieri sulle staffe in battaglia) gliatissima, per interrogarci ancora una 1 2 3 4 5 6 C A(pxhere.com) V A M P volta sul miracolo che il verde ci offre: «E quando il giardiniere felice si tolse la camicia, tutto il mondo fu vestito da un giardino». 7 8 9 quello di poterci fondere. A L I P E R 11 12 gi che, dopo aver incontrato il giardi- 10 più in basso, sotto, a tal punto che per I dino: perché l’immersione nel verde ci A T O S U no, cambiano prospettiva. Gli alberi, 13 attingervi 14bisogna grattare una pati- devia rispetto alle dinamiche dell’io e Bibliografia O R A L E R i fiori, le loro presenze mute proprio in na superficiale, una scorza che oscura permette al nostro esserci di sciogliersi Pascal Fauliot & Patrick Fischmann, 15 16 17 18 19 20 I L E S T A noi. R E virtù di questo silenzio ci parlano e ci 21 e deforma la visione. La mancanza e in un più profondo Ie intenso Racconti dei saggi giardinieri, L’Ippo22 23 24 25 O F mi manca, E T se A non percepisco I N raccontano di una verità che non è mai il desiderio che da essa si generano si F Cosa campo Edizioni, 2011, 240 pp. 26 27 28 29 30 31 sul pelo delle cose, ma affonda le radici svuotano al solo incontro con il giar- R una cose? Fu B frattura A T fra me I eTle E N così
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Cruciverba Forse non tutti sanno che l’unico Paese...? Trova il resto della frase a cruciverba ultimato, leggendo le lettere evidenziate! (Frase: 5, 5, 7, 1, 2, 6)
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N. 6 MEDIO che un re, al quale una vecchia maga
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R I S A T N 1 4 2 1 5 8 4 9 N S C O T 6T 7 8 3 7 5 4 A R3 I T 5 M 4 I E 6 7 2 1 5 6 3 Soluzione della settimana precedente TRISTE9VERITÀ – Tutti siamo a favore del progresso... Resto 2 4 6 9della 1 frase: 2
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(N. 10 - ... anemoni di mare dai tentacoli urticanti)
VERTICALI 1 2 3 4 1. Cavità nella roccia 2. Malvagie d’altri tempi 7 3. Rende irrequieti 4. Articolo 9 10 5. Un vizio 6. Le iniziali della showgirl Rodriguez 7. Fa bene 11anche ai sani 12 8. Costruito 11. Le iniziali del fisico della relatività 13 14. Figlia di Zeus e di Eris 15. Un contorno 18 19 conduttrice 17. Le iniziali della Lanfranchi 18. Simili 21alla seta I premi, cinque carte regalo Migros 23 24 del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno 26 fatto pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco.
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20. Si ripete nel brindisi 21. Logoro 22. Articolo spagnolo 5 23. Ton 6 insieme a lui è raffinato... 26.8Le iniziali di un noto Angelache non ci piace) «...È IL DOVER CAMBIARE CHE NON CI PIACE». (N. - ... è il dover cambiare N. 7 DIFFICILE della TV 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
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Vincitori27del concorso Cruciverba 28 su «Azione 10», del 05.03.2018 29
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Partecipazione online: inserire la 25
soluzione del cruciverba o del sudoku nell’apposito formulario pubblicato 27 sulla pagina del sito. Partecipazione postale: la lettera o la cartolina postale che riporti la so-
A N E M I C 1S E 4I N I LDCU DA IMO VE 5 LI CI AOA E R T 9I B O A T O 6 I 1 E OR TI L EI COO S TTA B O A 5 7 C R A I E L B E C O E3 1 TC H4 E LUE DN E IO N O 6 7 8 E RC NI OP I AP8 A4NPE6 RPDEE DAELI 6 I A O2 D E R S 8U D I C I C O N AS R E A S 2I 4A T I9 C O5 R I L N. 8O GENIT luzione, corredata da nome, cognome, 2 6 partecipante 8 indirizzo, deve R spedita UemailaTdel«Redazione R3Azione, I 9 6 essere Concorsi, C.P. 6315, 6901 Lugano». 7 1 3 9 Non si intratterrà corrispondenza sui N R 7 E 5A 9 1 T 4 concorsi. Le vie legali sono escluse. Non
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M1 3 I 2 5T 8 E 4 6 7 3 9 2 T 46 A87 52 L14 63C79 O 1 5 8 I N O L è possibile un pagamento in contanti 2 9 I vincitori 3 5 4saranno 6 1 avvertiti 8 7 dei premi. T iscritto. C O 1 I4 Il5 nome 8 7 6 2 sarà 3 per dei 9vincitori pubblicato su «Azione». Partecipazione 8 6 7 1 3 2 4 5 9 riservata a lettori che O 7 2esclusivamente 8A6 5I 3 9 1 4 9
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 marzo 2018 • N. 12
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Politica e Economia Londra contro Mosca L’attentato col nervino ai danni dell’ex spia Skripal congela i rapporti tra le due potenze
Una strategia che mira a dividere Le irruente decisioni di Trump, come il licenziamento di Tillerson, sembrano voler indebolire gli accordi multilaterali
La Milli Muslim League L’organizzazione pakistana, che è accusata di fiancheggiare il terrorismo, sarà alle elezioni
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In difesa dell’AVS Annunciate misure per garantire l’erogazione delle rendite nei prossimi decenni pagina 31
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Swiss-Image
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Cantoni di Destra, città di Sinistra
Politica nazionale In Svizzera si delinea un fenomeno interessante nella ripartizione del potere tra gli schieramenti
Marzio Rigonalli Le prime otto città svizzere, per il numero di abitanti, Zurigo, Ginevra, Basilea, Losanna, Berna, Winterthur, Lucerna e San Gallo, sono governate dalla sinistra, ossia dall’alleanza tra socialisti e verdi. Non è una situazione nuova, perché fino a poco tempo fa i centri cittadini guidati dalla sinistra erano già sette. Il 4 marzo scorso, dopo un’elezione comunale, a loro si è aggiunta Winterthur. Tra le otto città, il primato tocca a Losanna, dove la sinistra detiene ben sei seggi su sette. Seguono Ginevra con quattro seggi su cinque, Lucerna e San Gallo con tre seggi su cinque. Per trovare una città governata dalla destra, bisogna risalire al nono posto della classifica, che è occupato da Lugano. Il dominio della sinistra è stato recentemente confermato anche a Zurigo, la prima città svizzera con oltre 370’000 abitanti. Alle elezioni comunali svoltesi il 4 marzo, la sinistra ha conquistato sei seggi sui nove che compongono il Municipio ed ha
ottenuto la maggioranza assoluta nel Consiglio comunale. I partiti borghesi erano scesi in campo con l’intenzione di vincere cinque seggi e di ottenere, così, la maggioranza nell’esecutivo. Il tentativo è fallito e la sconfitta è stata sonora. Soltanto il PLR ha salvato i suoi due seggi; l’UDC si ritrova esclusa ed ha perso anche sei seggi nel legislativo; il PPD è stato praticamente cancellato e non è più presente in nessuno dei due organi comunali. La situazione politica nelle principali città è in chiaro contrasto con quanto avviene a livello nazionale e nei cantoni coinvolti. Come è noto, a livello federale, dopo le elezioni del 2015, l’asse politico si è spostato a destra, con l’avanzata dell’UDC ed il rafforzamento della linea conservatrice in seno agli altri due partiti borghesi. Oggi, UDC, PLR e PPD detengono la maggioranza sia nel Consiglio federale che nel Parlamento. I governi dei cantoni nei quali si situano le principali città, presentano pure una maggioranza borghese, con due eccezioni, il canton Vaud, dove socialisti e
verdi insieme hanno quattro seggi su sette e Basilea-Città dove la sinistra occupa pure quattro seggi su sette. Quali possono essere le cause di queste differenze politiche tra le città da una parte, i cantoni e la Confederazione dall’altra? Le ragioni principali sono probabilmente due: il cambiamento demografico avvenuto nelle città e le politiche adottate finora dalla sinistra. Le città hanno perso molti impieghi industriali, o legati al commercio ed hanno visto crescere il settore dei servizi. In particolare sono aumentati gli impieghi pubblici, legati all’amministrazione, alla scuola ed alla sanità. Per di più, la struttura della popolazione indigena ha subito importanti modifiche anche in seguito all’arrivo di numerosi cittadini provenienti da altre regioni e dall’estero. Sono cambiamenti che hanno agito sulla sensibilità politica degli abitanti e che sono stati favorevoli alla sinistra. Dal canto suo, socialisti e verdi hanno fatto delle scelte destinate a rafforzare la qualità della vita nei centri urbani. L’estensione dei trasporti pubblici, lo svi-
luppo delle piste ciclabili, la promozione di alloggi accessibili ad un gran numero di abitanti ed altre misure di carattere sociale, sono ben viste da quasi tutti i residenti e, quindi, anche dal ceto benestante, che in altre situazioni sarebbe forse, almeno in parte, portato a votare per un partito borghese. E reagendo alle decisioni della sinistra, la destra si è rinchiusa in una continua opposizione e non ha cercato di profilarsi con proposte coraggiose, capaci di raccogliere sufficienti consensi. Di fronte a questa situazione politica, pochi giorni fa c’è stata una reazione, proveniente dal PLR. Le sezioni liberali radicali delle otto città hanno lanciato un progetto, denominato «PLR Urbain». Scopo del progetto è di trovare risposte liberali ai problemi sociali ed economici della popolazione che vive nelle città. Le otto sezioni intendono lavorare insieme per proporre soluzioni possibilmente innovative. Per esempio, optando per le nuove tecnologie di trasporto, lasciando da parte la rivendicazione dei posteggi nei centri,
oppure puntando sulla riduzione della fiscalità, sulla costruzione di edifici ecologici, sulla promozione del commercio al dettaglio, o sull’amministrazione digitale. Le zone urbane sono molto importanti, perché vi vivono i ¾ della popolazione e perché rappresentano i più importanti centri economici del paese. Inoltre, la popolazione cresce più rapidamente che in altre regioni e offre la possibilità di conquistare suffragi supplementari. I partiti politici, dunque, hanno interesse a concentrare la loro attenzione e la loro presenza in queste zone. Con il progetto «PLR Urbain» i liberali radicali vogliono riconquistare il potere nelle città svizzere. Soltanto il futuro dirà se l’iniziativa avrà successo. Quello che sin d’ora è certo, è che il cammino verso la riconquista del potere sarà difficile, un po’ perché le sezioni cittadine del PLR potrebbero venir frenate nel loro slancio innovativo dai vertici cantonali e federali del partito, un po’ perché la posizione della sinistra nelle città è ben salda e ha radici consolidate.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 marzo 2018 • N. 12
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Politica e Economia
Tempi di guerra fredda
Caso Skripal Sale la tensione diplomatica tra Gran Bretagna e Russia, dopo l’attentato con gas nervino
Cristina Marconi La firma dietro al tentato omicidio dell’ex doppio agente russo Sergei Skripal e di sua figlia Yulia era chiara, troppo chiara per essere ignorata: se a un primo colpo d’occhio la vicenda ha subito richiamato alla mente quella di Sasha Litvinenko, avvelenato con del polonio-210 radioattivo versato nel té in un grande albergo di Londra, sono bastati pochi giorni perché gli scienziati del laboratorio di Porton Down, a pochi chilometri dal centro commerciale di Salisbury dove gli Skripal sono stati ritrovati riversi su una panchina (vedi foto), risalissero al tipo di agente nervino, un «Novichok» di fabbricazione militare russa, usato nell’attacco. Confermando i primi sospetti. La reazione di Theresa May non si è fatta attendere e dopo aver dato due giorni a Mosca per spiegare perché quella sostanza così potente e pericolosa fosse in circolazione nel Regno Unito – atto deliberato o colpevole negligenza? – la premier ha annunciato misure a tutto campo per reagire contro «l’uso illegale di forza» da parte della Russia: l’espulsione entro una settimana di ventitré diplomatici «individuati come agenti di intelligence»; la possibilità di bloccare alle frontiere chi ha in programma operazioni di Stato ostili e illegali passando al setaccio voli privati, dogane e trasporto merci; la sospensione di tutti i contatti bilaterali di alto
livello, incluso il ritiro dell’invito al ministro degli Esteri Sergei Lavrov e della partecipazione dei membri del governo e della famiglia reale ai prossimi mondiali di calcio; l’imposizione di sanzioni anche in risposta alle violazioni dei diritti umani e la lotta senza quartiere alle «élites corrotte» che hanno fatto di Londra la loro casa. I loro beni, all’occorrenza, potranno essere congelati. «Non c’è spazio per queste persone o per i loro soldi nel nostro paese», ha annunciato la May, che ai tempi della morte di Litvinenko, da ministro degli Interni di un governo molto cauto nei confronti della comunità russa – 100mila persone in tutto circa – e soprattutto degli oligarchi, tenne una linea ben più morbida. Era dal 1985, tempi di Guerra Fredda, che il Regno Unito non prendeva misure così drastiche contro Mosca, contro cui la May ha elencato un lungo cahier de doléances che va dall’annessione della Crimea alle accuse di interferenze nelle elezioni. «Molti di noi guardavano con speranza alla Russia post-sovietica. Volevamo una relazione migliore ed è drammatico che il presidente Putin abbia deciso di agire in questo modo», ha spiegato la May, secondo cui la Russia ha usato «sarcasmo, sprezzo e disdegno» nel rispondere alle legittime preoccupazioni di un governo che ha visto la salute dei suoi cittadini messa a repentaglio. Per la portavoce del ministero de-
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a un agente russo e a sua figlia, a Salisbury
gli Esteri russo, Maria Zhakarova, i britannici sono «veri bugiardi» senza né professionalità né doti diplomatiche e il ministero ha parlato di una «provocazione senza precedenti». «La temperatura delle relazioni tra Mosca e Londra è scesa a -23 gradi, ma non abbiamo paura del freddo», ha riferito il vivace account Twitter dell’ambasciata russa a Londra, con l’ambasciatore Alexander Yakovenko che ha spiegato che anche i diplomatici britannici verranno espulsi da Mosca e che, «com’è consuetudine diplomatica, ci saranno risposte dal lato russo». Visto il coinvolgimento di una cittadina russa come Yulia Skripal, l’ambasciata ha chiesto di avere un campione della
sostanza utilizzata - richiesta sostenuta unicamente dal leader laburista Jeremy Corbyn tra le proteste dei suoi deputati - e ha dichiarato che la questione andrebbe gestita dall’Organizzazione per il divieto delle armi chimiche. Pur parlando di «uso illegittimo di forza contro il Regno Unito», la May, che ha chiesto una riunione urgente del consiglio di sicurezza dell’Onu, non vuole certo una guerra, ma sta cercando il coinvolgimento di tutti per affrontare una questione che a suo avviso trascende l’incidente avvenuto il 4 marzo scorso a Salisbury, sonnolenta cittadina del Wiltshire famosa soprattutto per la sua cattedrale, quando l’ex colonnello russo Skripal e sua figlia venuta a visitarlo dalla Russia sono stati ritrovati collassati davanti ad un centro commerciale dopo aver mangiato in un ristorante, l’italiano Zizzi, e aver bevuto qualcosa nel frequentatissimo pub The Mill. I due sono in condizioni gravi ma stabili in ospedale, così come uno degli agenti intervenuti sul posto, il sergente Nick Bailey, cosciente ma ricoverato dopo essere stato contaminato in forma più forte delle altre venti persone circa che hanno accusato problemi di salute nelle prime ore dopo la vicenda. Skripal vive a Salisbury dal 2010, ovvero da quando è stato oggetto di uno degli scambi di spie più grandi dai tempi della Guerra fredda dopo essere stato in carcere dal 2006 per aver passato i nomi degli agenti russi nel Regno Uni-
to. Gli inquirenti hanno esteso le loro indagini anche alla morte della moglie Liudmila, mancata nel 2011, e del figlio morto l’anno scorso per cause non chiare durante un viaggio a San Pietroburgo. La mortalità degli esuli russi nel Regno Unito è da sempre un motivo di preoccupazione: ci sarebbero altri 14 casi di decessi sospetti su cui il governo britannico avrebbe finora taciuto per non incrinare troppo i rapporti con Mosca e qualche giorno fa il caso del ritrovamento di un ex dirigente Aeroflot, Nikolaj Glushkov, morto nel suo appartamento è stato passato direttamente all’antiterrorismo, visti i tempi. Lo stesso Vladimir Putin una volta ha dichiarato che i traditori «schiatteranno per aver venduto i loro fratelli» e per Londra, con le elezioni in vista, il presidente ha tutto da guadagnare dal dare l’immagine di una Russia costretta a difendersi contro gli attacchi di un occidente sempre più russofobo. Per la May è un problema di tutti, e oltre ad aver incassato il sostegno riluttante del presidente statunitense Donald Trump ha ottenuto anche quello di Germania e Francia, della Nato e di una Bruxelles a cui il paese, con la Brexit, sta voltando le spalle. Mosca non ha spiegato perché ha «un programma non dichiarato di armi chimiche in violazione della legge internazionale», ha messo in evidenza la May, per una volta decisa a fornire una «leadership forte e stabile» come promette da due anni. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 marzo 2018 • N. 12
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Politica e Economia
La strategia mira a dividere
USA contro EU Le iniziative di Trump sembra abbiano l’obiettivo di indebolire gli organismi sovranazionali
per ristabilire una contrattazione individuale tra Stati: l’attacco al multilateralismo è evidente Federico Rampini C’è un filo che lega la cacciata del segretario di Stato americano Rex Tillerson, e l’offensiva protezionista che Trump ha avviato contro il resto del mondo. Tillerson era stato chief executive della compagnia petrolifera Exxon, era quindi un pezzo di establishment capitalistico «prestato» alla Casa Bianca. L’innesto è andato male, come peraltro era successo all’ex presidente di Goldman Sachs, Gary Cohn, anche lui dimissionario perché contrario ai dazi e alle guerre commerciali. La goccia finale è stato l’Iran, almeno a sentire Trump. Il presidente ha spiegato la cacciata del suo segretario di Stato così: «Io penso che l’intesa sul nucleare con l’Iran sia terribile, a lui andava bene. Io voglio cancellarla o rifarla, lui aveva idee diverse». Di certo una divergenza sull’Iran è importante, ma in realtà era solo uno dei tanti conflitti tra il presidente degli Stati Uniti e il «presunto» capo della sua diplomazia. Tillerson proponeva una linea più moderata, tradizionalista, Trump lo sconfessava brutalmente con degli strappi continui. Sul ruolo della Nato o sui rapporti con Vladimir Putin, per esempio, Tillerson ha cercato di rassicurare fin dall’inizio gli alleati storici, mentre Trump li spaventava con i suoi attacchi e la minaccia di non difendere paesi che non spendono abbastanza per il bilancio militare. Sul Medio Oriente o sulla Corea, Tillerson ha tentato di salvare qualcosa della politica estera obamiana mentre Trump la demoliva con la forza di una ruspa. Sulla Corea alla fine Trump gli ha dato implicitamente ragione accettando l’incontro con Kim, però si è ben guardato di dare atto che Tillerson era stato il fautore del dialogo; inoltre il presidente si è buttato a capofitto nell’accettare l’invito nordcoreano senza minimamente consultare i diplomatici esperti dell’area. Paradossalmente, anche se Tillerson è un petroliere (ha fatto tutta la sua carriera come top manager della Exxon) perfino sugli accordi di Parigi per la lotta al cambiamento climatico, il segretario di Stato avrebbe avuto una posizione meno negazionista e più conciliante del suo capo. Ma anche la questione del protezionismo ha pesato, perché su quel terreno le multinazionali Usa sono in totale disaccordo con questo presidente. I dazi americani rimangono, del 25% sull’acciaio e del 10% sull’alluminio: anche quelli provenienti da paesi europei. Nessuna concessione all’Europa, malgrado la partnership strategica e le alleanze militari. Trump ha parlato a telefono con il presidente francese Emmanuel Macron – che in questo caso si è fatto portavoce dell’Unione intera – e con il premier giapponese Shinzo Abe. Gli scambi sono stati duri. Al premier nipponico Trump ha rinfacciato un deficit bilaterale di 100 miliardi di dollari che ha definito «iniquo e insostenibile, un problema a cui bisogna trovare soluzione». Macron a sua volta ha detto al presidente americano: «Noi rispettiamo le regole del commercio mondiale. L’Unione europea risponderà in modo proporzionale ad ogni azione unilaterale». Va ricordato che invece l’Amministrazione Usa aveva subito esentato Canada, Messico, Australia. Perché la loro «amicizia» vale più di quella europea? Nel caso di Canada e Messico c’è una spiegazione legata al Nafta: è in corso il negoziato per riformare le clausole del mercato unico nordamericano e Trump ha sospeso i dazi per usarli come uno strumento di pressione a quel tavolo. Non si capisce invece perché l’Australia abbia un rango di alleato superiore a quello degli europei. È pronto l’arsenale delle ritorsioni europee che colpirebbero importazioni made in Usa quali le moto, i jeans, il burro di arachidi.
Rex Tillerson: una diversa visione dei rapporti con l’Iran è il pretesto per il suo allontanamento. (Keystone)
L’export UE di acciaio verso gli Stati Uniti vale 5,3 miliardi di euro all’anno, quello di alluminio 1,1 miliardi. Una possibile via d’uscita da questa impasse: gli europei faranno proposte su come «uscire dalla situazione di sovraccapacità mondiale» e adottare «regole più severe contro i sussidi e le pratiche distorsive della concorrenza». Su questi temi però la pressione dovrebbe spostarsi sulla Cina: è lei che concentra la massima sovraccapacità produttiva nell’acciaio e nell’alluminio, e pratica da sempre aiuti di Stato e dumping (vendita sottocosto). Gli investitori non sono del tutto convinti che siamo al capolinea della globalizzazione. Nel mondo del business c’è la speranza che il protezionismo di Trump si possa smussare, attenuare. Le lobby industriali americane contrarie ai dazi (sono la maggioranza) studiano la possibilità di bloccarli in sede giudiziaria. Anche al Congresso i repubblicani contrari al protezionismo si stanno muovendo: è un senatore del partito del presidente, Jeff Flake, il primo a presentare un disegno di legge per svuotare la mossa dei dazi. Tenuto conto che alla vigilia della firma del decreto protezionista più di cento parlamentari repubblicani avevano firmato un appello al presidente contro i dazi, non si può escludere che proprio dentro il Grand Old Party si stia organizzando una resistenza efficace. Tradizionalmente è tra le file dei repubblicani che aveva messo radici più profonde il pensiero neoliberista, contrario alle barriere commerciali. È sulle colonne del «Wall Street Journal» – conservatore ma liberista – che si leggono gli attacchi più pesanti contro questa mossa del presidente. Un editoriale paragona i dazi su acciaio e alluminio alle leggi protezioniste che durante l’Amministrazione Hoover contribuirono a precipitare la Grande Depressione degli anni Trenta. Un editorialista autorevole come Greg Ip ridicolizza la giustificazione del protezionismo legata alla sicurezza nazionale con questa osservazione: Trump ha detto che vuole preservare la produzione nazionale di alluminio perché serve a fabbricare navi da guerra e aerei militari, ignorando che per produrre alluminio occorre la bauxite e l’America la importa al 100% dall’estero. La rivolta in seno al partito repubblicano e l’opposizione delle multinazionali hanno una spiegazione che risale alle origini di questa fase della globalizzazione: quando nasce la World Trade Organization (Wto) nel 1999 e due anni dopo viene cooptata al suo interno la Cina, gran parte dell’industria americana è felice di concedere ai paesi emergenti come Cina e India delle condizioni agevolate e asimmetriche, perché le multinazionali scommettono sulla delocalizzazione. Oggi se Trump dovesse estendere i dazi a settori davvero strategici come l’informatica, tasserebbe gli iPhone di Apple tutti fabbricati a Shenzhen. Compresi
quelli che si vendono qui in America. Altro esempio significativo riguarda l’industria dell’automobile. Trump ha ricordato – giustamente – che la Cina impone sulle auto made in Usa dei dazi che sono il decuplo rispetto a quelli reciproci (25% contro il 2,5% sulle auto cinesi vendute negli Stati Uniti). Vero, ed è uno dei tanti esempi di asimmetrìe. Ma fin dall’inizio le case automobilistiche americane decisero di andare a produrre in Cina, su quel mercato General Motors e Ford hanno fatto ricchi profitti. Non hanno interesse a rimettere in questione un assetto di regole che a loro ha giovato.
Per gli europei invece l’Amministrazione Trump continua a ripetere: ogni governo è libero di fare lobbying per conto proprio per tentare di dimostrare che è un buon alleato e che le sue esportazioni di acciaio non ledono gli interessi nazionali e la sicurezza degli Stati Uniti. Peccato che «ogni singolo governo europeo» non sia affatto libero di negoziare accordi commerciali separati con gli Stati Uniti. All’interno degli Stati Uniti non si è capito quanto sia illegittimo, dirompente, l’approccio che offre «clemenza» ai paesi europei, singolarmente presi, qualora dimostrino: 1) che stanno facendo abbastanza per la difesa comune (leggi: bilancio Nato) e 2) che le loro esportazioni di acciaio e alluminio non fanno concorrenza a produttori americani nei tipi di metalli che vengono usati per la produzione di armamenti. La stragrande maggioranza degli osservatori americani non capisce un pilastro dell’Unione europea. Fin dalle origini, quando ancora la chiamavamo Mercato comune oppure Comunità europea, si fondò sul principio che un grande mercato unico deve avere una sola politica commerciale verso i paesi terzi, il resto del mondo. Guai se l’Italia o la Francia o la Germania si mettessero a negoziare dazi e accordi commerciali in proprio, con gli Stati Uniti o con la Cina. Questo compito spetta alla Commissione europea che negozia condizioni applicabili a tutti gli Stati membri.
Ignoranza, incompetenza, o calcolo? Questa è una domanda importante. Trump è un dilettante, può benissimo ignorare l’abc dell’Unione europea. Meno scontato è il fatto che i suoi consiglieri lo ignorino, così come gran parte dei soggetti che sono intervenuti in questo dibattito all’interno degli Stati Uniti. Viene il sospetto che ci sia, almeno da parte di alcuni, un vero e proprio calcolo. L’ideologia «sovranista» di cui è impregnato il trumpismo, è ostile alle organizzazioni sovranazionali come l’UE. Agli strateghi del trumpismo, e al presidente stesso, non dispiacerebbe sfasciare l’Unione. Anche perché l’approccio delle trattative bilaterali, tra gli Stati Uniti e ogni singolo paese che vada a supplicare clemenza, sconvolge i rapporti di forze. Un conto è negoziare con l’America a nome dell’intera Unione, un insieme che ha forza economica paragonabile o superiore. Altra cosa è negoziare in ordine sparso: ogni nazione europea è molto più debole, se presa da sola, rispetto agli Stati Uniti. Questo vale in linea generale, non solo nei rapporti tra le due sponde dell’Atlantico. Dalla creazione del Wto, gli Stati Uniti sotto presidenze democratiche e repubblicane avevano accettato di essere leader e registi di una globalizzazione improntata di multilateralismo. Un’architettura dove le regole vengono concordate attorno a un tavolo comune, non in tanti bracci di ferro tra l’America e i singoli paesi. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 marzo 2018 • N. 12
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Politica e Economia
La «Milli Muslim League» ci sarà
Pakistan L’Alta corte di Islamabad permette al gruppo musulmano, chiaramente legato a organizzazioni
terroristiche, di partecipare alle prossime elezioni. Si attendono le reazioni internazionali Francesca Marino Ogni tanto il Pakistan si sveglia garantista e ligio alle libertà costituzionali. Il che avviene di solito, purtroppo, quando materia del contendere sono i cosiddetti «assetti strategici» orgoglio e vanto dei servizi segreti e dell’esercito. Quegli assetti strategici, tanto per essere chiari, che il resto del mondo, a cominciare dalle Nazioni Unite, definisce più semplicemente organizzazioni terroristiche. Come la Lashkar-i-Toiba e i suoi derivati, per fare dei nomi. Accade così che l’Alta Corte di Lahore, per l’ennesima volta, emetta una sentenza a dir poco scandalosa. Il 23 gennaio scorso, difatti, i giudici hanno deciso che il governo non può arrestare Mohammed Hafiz Saeed, fondatore per l’appunto della suddetta Lashkar-i-Toiba e capo di una serie di organizzazioni-ombra come la Jamaat-u-Dawa e la Falayat-iInsayat che sono nella lista delle organizzazioni terroristiche delle Nazioni Unite. Così come Saeed, d’altra parte.
La decisione rischia di fare entrare il Pakistan nella lista dei paesi sanzionabili, ma non è detto che ciò accada Il governo non può arrestare, nemmeno per finta come fa di solito, l’uomo accusato di aver pianificato la strage di Mumbai del 2008 perché agirebbe «dietro pressioni americane». Certamente non è la prima volta che accade, e non sarà l’ultima. Ma questa volta, il garantismo dei prodi giudici pakistani è andato oltre. L’Alta Corte di Islamabad ha difatti deciso che il partito della Milli Muslim League può partecipare alle prossime elezioni politiche. E la Milli Muslim League, che ha fatto man
bassa di voti alle elezioni amministrative di Lahore nella recente tornata, prima di essere bandita dalla Commissione elettorale, altro non è che l’ennesimo avatar di Hafiz Saeed e compagnucci di merende al tritolo. Per essere chiari, dopo le prossime elezioni esiste quindi la concreta possibilità che in Pakistan a capo del governo sieda un terrorista o, quantomeno, uno dei suoi uomini di paglia. O meglio, esiste la possibilità concreta che l’esercito e i servizi, stufi di dover tenere in riga con ogni mezzo i cosiddetti governi civili, adoperino il loro più fulgido assetto strategico per governare direttamente il paese con mezzi assolutamente democratici. Adoperando ancora una volta spregiudicatamente la democrazia per instaurare la più sinistra delle dittature. O meglio, per dirla con qualche generale, battendo l’occidente al suo gioco adoperando le sue stesse armi: i diritti civili. Secondo l’Alta Corte di Islamabad, quella stessa corte che manda senza prove la gente in galera per blasfemia e condona i delitti d’onore, la decisione della Commissione elettorale di bandire la Milli Muslim League perché affiliata a organizzazioni terroristiche è «irragionevole, illegale e contro la Costituzione e la legge». La Costituzione pakistana, puntualizzano i bravi giudici (quegli stessi giudici che giurano fedeltà ai nuovi padroni a ogni colpo di Stato), conferisce a ogni cittadino che non sia parte della pubblica amministrazione o dell’esercito il diritto di fondare un partito politico. Siccome non è specificamente previsto dalla Costituzione che a un cittadino sulla lista dei terroristi internazionali venga impedito di fondare un partito, ad Hafiz Saeed e ai suoi sgherri non può essere impedito di candidarsi. La sentenza anzi, le sentenze, dei giudici pakistani arrivano pochi giorni dopo la decisione, da parte della Fi-
Un video su Youtube mostra il Congresso organizzato a Lahore del 13 agosto 2017 dalla formazione politica. (Youtube)
nancial Action task Force (Fatf) di includere il Pakistan nella «grey list» di paesi a cui applicare restrizioni e sanzioni monetarie e finanziarie perché sospettati di finanziare il terrorismo. Sulla decisione della Fatf, che ha destato scalpore perché supportata anche da cinesi e sauditi che tradizionalmente hanno sempre sostenuto il Pakistan, avrebbe pesato il rifiuto reiterato di Islamabad di intraprendere azioni concrete contro la Lashkar-i-Toiba e la rete Haqqani. L’inclusione della Milli Muslim League nelle liste elettorali, assieme alla mancanza di azione contro le suddette organizzazioni potrebbe far finire il
Pakistan, in giugno, sulla «black list» anziché sulla grey list del Fatf con conseguenze potenzialmente pesantissime sulla disastrata economia del paese. Potrebbe. Perché in realtà queste decisioni dei giudici, e sono decisioni politiche importanti, sono perfettamente in linea con quella che è sempre stata la spregiudicata strategia pakistana fin dai bei tempi del generale Musharraf. Ogni volta che gli Stati Uniti e l’occidente tutto fanno pressione su Islamabad e minacciano di tagliare aiuti e di comminare sanzioni, aumentano gli attentati in Afghanistan ma non solo. Islamabad e i suoi assetti strategici agitano lo spauracchio dei terroristi
al governo e della Bomba islamica in mano ai jihadi, come se i militari che controllano la Bomba in questione non fossero della stessa pasta. E ogni volta Washington fa marcia indietro. Resta da vedere se la strategia funzionerà ancora una volta, e se la prossima riunione dell’Fatf in giugno confermerà le decisioni di febbraio. O meglio: se Donald Trump intende davvero andare fino in fondo e andare a scoprire una buona volta i bluff pakistani, o se davvero vedremo tra i banchi del Parlamento di Islamabad Hafiz Saeed e la sua armata di terroristi travestiti da assistenti sociali. Con buona pace della democrazia.
«È in prigione che si capisce l’Egitto»
Intervista A colloquio con Mahienour El Massry: l’avvocatessa lotta per i diritti civili e umani
e ha subito numerosi arresti per la sua attività Costanza Spocci «La prigione è il microcosmo della società», scriveva nella sua prima lettera dal carcere Mahienour El Massry, «I prigionieri discutono di ciò che succede nel paese, puoi trovarci l’intero spettro politico qui». Era il maggio del 2014 quando El Massry, avvocatessa di Alessandria e icona della lotta per i diritti umani e civili in Egitto, ritrovava lo specchio del paese nella cella 8, blocco 1, del carcere femminile di Damanhour. Quattro anni e tre condanne dopo, Mahienour che oggi ha 32 anni, è ancora convinta che la prigione sia un punto di osservazione privilegiato per capire cosa sta succedendo nell’Egitto
di Al Sisi. L’ultima incarcerazione come prigioniera politica l’ha scontata due mesi fa nella sezione femminile della prigione di Qanater, non lontano dal Cairo, da dove è stata rilasciata lo scorso 16 gennaio dopo aver vinto in appello. L’accusa era di aver partecipato a una manifestazione contro la decisione del governo di cedere all’Arabia Saudita il controllo sulle isole Tiran e Sanafir nel Mar Rosso. Dal novembre 2013 in Egitto vige una legge-anti proteste che prevede una pena dai 2 ai 5 anni di carcere per chiunque manifesti contro il governo. Anche per questo El Massry non perde tempo, e il giorno successivo alla sua scarcerazione ha ricominciato subito a lavorare. «Abbiamo più
È nata nel 1986 ad Alessandria d’Egitto. (Lilian Wagdy)
di 40.000 prigionieri politici in Egitto, alcuni di loro arrestati per la legge antiproteste, altri con accusa di terrorismo, per cui rischiano la pena capitale», dice Al Massry, «Stiamo facendo fronte a esecuzioni sistematiche, ormai abbiamo prigionieri politici impiccati ogni settimana». I processi per terrorismo vengono seguiti da corti speciali, istituite dalla legge marziale e gestite direttamente dallo State Security (intelligence). Non è previsto diritto all’appello per il reato di terrorismo: un capo d’imputazione che l’apparato estende non solo a jihadisti, ma anche Fratelli Musulmani, oppositori liberali o persone innocenti con le conoscenze «sbagliate». «A Qanater ero confinata con prigioniere politiche, alcune erano islamiste», racconta El Massry. Su molte di loro pendevano accuse fabbricate solo perché facevano parte dei Fratelli, o solo perché i loro mariti o familiari ne facevano parte. «Ho conosciuto donne che sono state condannate a morte e ho percepito quanto questo sia un’esperienza inumana» racconta. «Il giorno dell’esecuzione le guardie vengono sempre all’alba, molto presto, aprono le celle per prendere la donna di forza, la portano nella sala delle esecuzioni per impiccarla. Noi sentivamo le urla dalle nostre celle». Oltre a condividere gli ultimi momenti di donne condannate nel braccio della
morte, El Massry è stata imprigionata anche con detenute comuni e questo, dice, «mi ha permesso di vedere l’ingiustizia sistematica esercitata sulle persone ordinarie. Parlo di donne in prigione da dieci anni perché non potevano saldare i loro debiti». Nella prigione di Damanhour «eravamo 52 donne in una cella di 6 metri per 4», racconta: «per 18 ore al giorno ognuna di noi era costretta a vivere in uno spazio vitale di 40 cm, non avevamo nemmeno la possibilità e lo spazio di allungarci e facevamo i turni per dormire in un metro e mezzo di spazio. Molto spesso ci toglievano l’acqua per ore nelle celle, non c’era aria fresca, perché la cella non aveva finestre e non potevamo vedere il sole». El Massry racconta che per cinque ore al giorno potevano camminare in una stanza, non all’aria aperta, ma almeno potevano intravedere il cielo attraverso il filo spinato. «La nostra condizione era orribile; l’ospedale nella prigione di Damanhour non aveva dottori e medicine a sufficienza, e le guardie non permettevano alle detenute di correre in ospedale se c’era un’emergenza quando le porte delle celle erano chiuse. Nel nostro blocco di solito lo erano verso le 14.30. Quindi, se per esempio, una di noi aveva un’emergenza la notte, battevamo sulla porta per ore per far venire a prendere la persona che stava male». Nessuno però rispondeva. «Una donna ha partorito in cella
perché noi abbiamo continuato a battere sulla porta e nessuno ha aperto. Ci sono persone che sono morte perché era troppo tardi quando aprivano le porte». Al Massry racconta anche quello che è successo ad alcune sue compagne di cella, prigioniere politiche come lei: «La dott.ssa Basmaa è stata arrestata e torturata perché era andata alla stazione di polizia a chiedere notizie di suo marito; c’erano anche due sorelle, Sara e Rana: Sara, era stata condannata a morte ma poi le hanno ridotto la pena all’ergastolo; Rana ha preso tre anni. Entrambe sono state torturate dallo State Security con i cavi elettrici e sono state minacciate ripetutamente di stupro, solo per obbligarle a confessare crimini che non avevano commesso». La prigione è un posto orribile, ma lo è ancora di più per le classi inferiori, per chi non ha soldi a sufficienza per comprarsi da mangiare anche dentro la prigione. «Giustizia sociale»: Mahienrour El Massry ripete questo concetto come un mantra. Ha supportato la candidatura di Khaled Ali fino al momento del suo ritiro: «Sappiamo che non saranno elezioni libere, ma proveremo a far passare la nostra narrativa alla gente comune». Come? «Con un’alleanza di movimenti che hanno partecipato alla rivoluzione del 25 gennaio 2011: vogliamo per creare un programma, mostrare che c’è un’alternativa, e che stiamo provando a creare una piattaforma politica».
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 marzo 2018 • N. 12
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Politica e Economia
Pronto il nuovo progetto di riforma dell’AVS
Pensioni I pareri discordanti sono però ancora molti: se a sinistra non si vuole l’aumento dell’età
di pensionamento delle donne, a destra si temono costi troppo elevati, da coprire con l’IVA
Ignazio Bonoli Come promesso subito dopo la caduta in votazione popolare del progetto di riforma delle pensioni 2020, il consigliere federale Alain Berset, responsabile del settore sociale, ha avviato la riforma della sola AVS, staccandola da quella della previdenza professionale. L’obiettivo è quello di garantire le finanze dell’AVS fino al 2033. Il problema principale da risolvere diventa perciò quello di trovare i finanziamenti necessari, attraverso maggiori entrate.
L’assicurazione vecchiaia sarà riformata da sola, scorporandola dalla previdenza professionale Nel messaggio che il Consiglio federale proporrà al Parlamento, si prevede perciò un aumento dell’IVA che potrebbe raggiungere un massimo del 2 per cento. Con questo introito l’AVS potrebbe combattere le conseguenze dell’invecchiamento della popolazione, in particolare l’arrivo, nella schiera dei pensionati,dei nati negli anni del «baby boom». In parallelo si ripropone però anche l’aumento a 65 anni dell’età di pensionamento delle donne. Questa misura – combattuta dalla sinistra – richiederebbe una compensazione dai 400 agli 800 milioni di franchi, a seconda della variante da scegliere, anche fino a 1,1 miliardi di franchi. Ciò potrebbe facilitare alle donne un pensionamento anticipato e offrirebbe rendite migliori a quelle con reddito modesto. Anche il nuovo progetto – come il precedente – prevede una flessibilizzazione dell’età di pensionamento tra i 62
La riforma è necessaria perché dopo il 2030 il finanziamento delle pensioni non è garantito. (Keystone)
e i 70 anni, con possibilità di percepire in anticipo la rendita o di rinviarla di alcuni anni. Questo principio verrà introdotto anche per la previdenza professionale, la cui riforma verrà avviata più tardi. Per l’AVS si prevede anche la possibilità di proseguire l’attività dopo i 65 anni, mantenendo la franchigia di 1’400 franchi mensili per i contributi obbligatori. Quelli sui redditi superiori andranno a migliorare le rendite o a colmare eventuali lacune contributive. Circa i tempi di attuazione, si pensa di concludere la fase di consultazione del progetto dopo l’estate, in modo da permettere al Consiglio federale di pubblicare il relativo messaggio entro la fine dell’anno. Dopo l’approvazione del Parlamento, gli aumenti dell’IVA verrebbero applicati a partire dal 2021 integralmente. Il progetto precedente prevedeva un’applicazione per tappe dello 0,6 per cento, comprendente però anche la riforma della previdenza professionale. Ora il governo attende, per il secondo pilastro, un accordo fra l’Unione Svizzera degli imprenditori e l’Unione sindacale, promesso dopo il voto negativo sul progetto precedente. Secondo i primi commenti, anche questo progetto non sembra partire con il piede giusto. Come detto la sinistra (in particolare le donne socialiste e i sindacati) si oppone tuttora all’aumento dell’età di pensionamento delle donne e lo farà presumibilmente anche con le previste compensazioni, tanto più che il finanziamento di eventuali pensionamenti anticipati potrebbe necessitare di un leggero aumento dei contributi (0,13 per cento), in aggiunta al maggior gettito dell’IVA. Il partito socialista come tale si accontenterebbe però di «sostanziose» compensazioni. Sull’ammontare di queste compensazioni non c’è però chiarezza. Il PPD – che aveva sostenuto la precedente ri-
forma – dice che la soluzione proposta oggi è un prezzo troppo alto da pagare in cambio di quella precedente. Il costo di 6 miliardi di franchi, che pagherebbero i consumatori con l’aumento dell’IVA, crea qualche timore un po’ ovunque. La proposta odierna è comunque molto vicina a quella precedente del Consiglio federale (+1,5 per cento), poi ridotta dal Parlamento. UDC e PLR hanno subito precisato che un simile aumento dell’IVA sarebbe inaccettabile, poiché porterebbe il tasso normale al 9,4 per cento. L’Unione degli imprenditori parla perfino di un preventivo aumento di imposte, che potrebbe compromettere anche una moderata riforma dell’AVS, In sostanza, si rimprovera oggi a Berset di guardare troppo lontano, mentre una delle obiezioni rivolte alla precedente riforma era proprio quello di proporre risanamenti a troppo brevi scadenze. Su un punto l’accordo è generale: la riforma dell’AVS è necessaria, poiché con le tendenze attuali il suo finanziamento dopo il 2030 non è più garantito. Secondo calcoli attuali, le uscite supereranno le entrate e il principio di un fondo che garantisca almeno un anno di rendite non sarà più rispettato. Il rimprovero principale al Consiglio federale è quello di pensare soltanto ad aumentare le entrate dell’AVS, invece di pensare anche – per esempio – all’aumento dell’età di pensionamento. Di regola le possibilità di un progetto di superare i vari scogli istituzionali dipendono da molti fattori, ma soprattutto dall’equilibrio tecnico e politico delle proposte. Una riforma contenuta dell’AVS su alcuni anni, l’aumento dell’età di pensionamento delle donne, con una certa compensazione, potrebbe trovare una maggioranza in Parlamento, purché non provochi costi eccessivi.
Ora solare - ora legale, costi e benefici
Dibattito Prosegue la «fronda» nordeuropea contro il cambio d’ora biannuale (che avrà luogo il 25 marzo alle 02.00) Edoardo Beretta La discussione sull’opportunità (o meno) di avere un’ora aggiuntiva di luce per decisione politica – quindi, «artificiale» e non legata al ciclo solare – è da tempo al centro di un acceso dibattito. Più precisamente, risale al 29 gennaio 2018 la proposta di risoluzione presentata da alcuni membri nordeuropei del Parlamento EU, con la quale si è cercato ancora una volta di abolire la cosiddetta «ora legale», cioè il consueto cambio d’ora con cui si portano avanti gli orologi. Le argomentazioni a sostegno di tale proposta sono molteplici: esse vanno, ad esempio, dall’incremento in termini di inquinamento e di congestione del traffico nelle ore serali, all’impatto necessario per l’adeguamento dell’«orologio biologico» presente in ciascuno di noi. Secondo alcuni studi scientifici nelle settimane successive al cambiamento di orario si riscontrerebbe un rischio maggiore di infarti, insonnia o altri disturbi fisici. Un ulteriore argomento si appoggia sul fatto che le società post-moderne tendano ad essere sempre più slegate dal ciclo giorno-notte per quanto attiene il fabbisogno energetico. Ciò annullerebbe ogni potenziale beneficio apportato da un’ora aggiuntiva di luce.
Nel contempo, l’ora legale implicherebbe anche uno sforzo di adeguamento della strumentazione tecnologica, oltre che una sfida per il settore agricolo. Il funzionamento di quest’ultimo non è legato all’orologio ma piuttosto al ciclo giornaliero del sole. In altre parole, stando ai sostenitori di tale mozione (che trovano comunque un diffuso sostegno nella società civile), anche nella tarda primavera o nell’estate avanzata si dovrebbe mantenere l’ora solare, evitando di spostare avanti di un’ora le lancette dell’orologio. Al contrario, i supporter dell’ora legale vedono proprio nel maggiore numero di ore di luce un impatto non trascurabile in termini di rialzo dei consumi: essi rappresentano la voce più importante del PIL e, nel caso di quelli personali americani, ne raggiungono quasi il 70%. Senza contare i benefici per la salute dati dalla maggiore esposizione alla luce naturale. Per i favorevoli, il fatto che l’ora legale permetta un minore uso di luce artificiale farebbe registrare un decremento di incidenti e furti serali rispetto ai periodi più bui dell’anno. È comunque banale focalizzarsi – come avviene spesso – sul fatto che «si dorma un’ora in meno», dimenticando che ciò vale per una sola notte. Ora, se è difficile formulare considerazioni fondate su aspetti psicofisici, è indi-
scutibile che il mantenimento dell’ora legale permetta di sfruttare le miti ore serali tipiche del periodo estivo. L’impatto economico sarebbe immediato e «trainerebbe» la spesa stagionale, oltre a costituire un investimento in salute individuale grazie alla maggiore permanenza all’aria aperta delle persone. Al contrario, pare poco rilevante disporre di un’ora di luce in più al mattino, quando non si può fare a meno della luce artificiale ma ci si trova diretti al lavoro, quanto piuttosto alla sera, sul tragitto di ritorno. Se può essere rispondente al vero l’affermazione che oggi il fabbisogno energetico non dipende necessariamente dalla collocazione delle ore di luce quanto dall’abuso di elettricità (basta calcolare quanta ne viene usata anche solo per i condizionatori d’aria, in occasione di ogni minimo sbalzo di temperatura), è del resto inconfutabile notare come un giusto grado di luce naturale stimoli soddisfazione e motivazione individuale. Quella che nei mesi più bui dell’anno tende ad essere vissuta con minore intensità. A maggior ragione pare economicamente incomprensibile la ragione per cui il (pericoloso) gioco alla colpevolizzazione dell’ora legale, rea soltanto di essere stata decisa «per legge», trovi così largo sostegno.
Avanti o indietro? Avanti! (Marka)
Gli effetti per il settore turistico, enogastronomico e di ristorazione, per i trasporti, oltre che per il consumo in generale, sarebbero forse di difficile prevedibilità. Si situerebbero, più probabilmente, al ribasso rispetto al trend finora registrato. Ma se il problema fosse davvero il cambio d’ora, non si vede perché non ci si possa accordare per un’ora legale valida per tutto l’an-
no, tanto più che il calendario stesso è frutto di una convenzione secolare e a suo modo arbitraria. Al periodo primaverile-estivo è associato un risveglio economico-sociale, di cui nell’era di ottimizzazione, efficientismo e riflessione critica sui meccanismi economici, non si può fare a meno. In altre parole, meglio evitare di modificare l’estate per come la si conosce.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 marzo 2018 • N. 12
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Politica e Economia
Quale deduzione per pendolari potete far valere? La consulenza della Banca Migros
Jeannette Schaller
Aumento delle imposte in caso di distanza 2500 casa-lavoro di 30 chilometri (esempio: San Gallo)
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stabilito l’importo della deduzione delle spese di trasporto, la differenza tra le spese effettive e la deduzione massima viene calcolata come reddito fittizio. Di seguito illustriamo l’aumento aritmetico del reddito prendendo come esempio il Canton San Gallo. ■ Tragitto casa-lavoro: 30 chilometri, due viaggi al giorno.
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■ Numero di giorni lavorativi/anno civile: 220. ■ Base: 0,70 franchi per chilometro ■ Costi totali: 9240 franchi. Considerando la deduzione massima di 3000 franchi per le imposte federali risulta un reddito fittizio di 6240 franchi. A livello di imposte statali e comunali, data la possibilità di
Fonte: autorità fiscali cantonali
Jeannette Schaller è responsabile della pianificazione finanziaria alla Banca Migros
Quanto possono dedurre i pendolari nella dichiarazione fiscale per il tragitto casa-lavoro? In seguito all’accettazione dell’iniziativa popolare «Finanziamento e ampliamento dell’infrastruttura ferroviaria», denominata in breve «progetto FAIF», dal 2016 i lavoratori possono dedurre al massimo 3000 franchi per l’imposta federale diretta. I cantoni hanno invece la possibilità di decidere autonomamente l’importo massimo della deduzione accordata ai pendolari per quanto riguarda le imposte statali e comunali. Secondo la Confederazione, la maggior parte dei cantoni ha nel frattempo fissato un limite massimo. Finora solo Basilea-Città ha ripreso il limite federale di 3000 franchi. Nel Canton San Gallo il limite ammonta a 3655 franchi. La maggior parte degli altri cantoni ha deciso di concedere una maggiore deduzione. Nel Canton Zurigo vige, ad esempio, un limite massimo di 5000 franchi dal 2018. Per il 2017 non esiste tuttavia ancora alcuna limitazione. La limitazione della deduzione per i costi di trasporto si ripercuote soprattutto sulle costellazioni di veicoli aziendali. Per i lavoratori che utilizzano un veicolo aziendale anche a livello privato, il trattamento fiscale in vigore comporta notevoli svantaggi in alcuni cantoni. Pertanto, per i cantoni che hanno già
deduzione di 3655 franchi, si calcola invece un importo pari a 5585 franchi che va ad aggiungersi al reddito imponibile. Informazioni
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 marzo 2018 • N. 12
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Politica e Economia Rubriche
Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Tutti a sinistra! La politica, si sa non è una scienza, nel senso che i suoi esiti non sono prevedibili. Ne sono una riprova i risultati delle elezioni comunali nelle città del Canton Zurigo e, in particolare, nella capitale. Nessuno tra coloro che seguono le vicende politiche a livello dei Cantoni e dei Comuni aveva infatti anticipato la significativa vittoria della sinistra in queste elezioni. Durante il turno elettorale del 4 marzo socialisti, verdi e altre liste di sinistra hanno non solo consolidato le loro posizioni di maggioranza negli esecutivi, ma hanno anche conquistato nuovi seggi nei legislativi cittadini a scapito dei partiti borghesi, in particolare dell’UDC. Le aspettative degli esperti stando alle quali il fronte dei partiti borghesi avrebbe fatto cadere la maggioranza di sinistra – che dura da 28 anni – a Zurigo e conquistato seggi addizionali a Zurigo e in altri parlamenti cittadini non si sono invece realizzate. Come
sempre capita, quando le previsioni si rivelano sbagliate, risulta difficile trovare una spiegazione. In sede di commento improvvisato, qualche politologo ha formulato una spiegazione tanto razionale da sembrare quasi ovvia. La sinistra aveva vinto perché governava bene e l’UDC aveva perso perché non era in grado di provare di essere disposta a governare con altri partiti, in particolare con quelli della sinistra. Potrebbe anche darsi, ma questa spiegazione non ci dice perché l’ostilità dell’elettorato urbano contro la destra si sia manifestata proprio ora e non in consultazioni elettorali precedenti. Per rispondere a questo quesito i rappresentanti dei partiti borghesi hanno suggerito, sempre in sede di commento immediato dei risultati, che le loro perdite erano da considerarsi come un effetto collaterale della votazione federale sull’iniziativa «No Billag». Secondo loro la votazione
federale aveva mobilizzato l’elettorato, soprattutto quello dei partiti di sinistra, aiutandoli così a conseguire uno splendido risultato anche nelle elezioni comunali svoltesi contemporaneamente. Potrebbe darsi se non fosse che, di solito, l’elettorato si mobilizza in misura maggiore per elezioni comunali che per votazioni federali. In altre parole il colpo di mano per vincere la contesa è più probabile che l’abbiano date le elezioni comunali alla votazione federale che viceversa. L’ipotesi resta naturalmente da verificare ma non si può escludere dal novero degli argomenti che potrebbero spiegare cosa sia accaduto. A bocce ferme, ossia nei commenti della stampa che seguirono durante la settimana postelettorale, ha cominciato ad emergere una nuova spiegazione. La sinistra aveva vinto le elezioni nei centri urbani maggiori del Cantone non tanto perché governava bene, quanto perché rispondeva
meglio a quelle che possono essere le aspettative di un elettorato urbano che, nel corso degli ultimi anni, si è notevolmente ringiovanito. Non la ragione, ma l’emozione aveva avuto l’influenza maggiore nella scelta politica degli elettori. Insomma le maggioranze di sinistra, uscite dalle recenti elezioni comunali zurighesi, erano dovute al fatto che oggi, nei centri urbani, la sinistra è «in». I temi sui quali si batte, ossia la qualità della vita, la riduzione del traffico automobilistico, l’alloggio con affitti contenuti, una vita culturale intensa e diversificata, un concetto di società aperta all’apporto di etnie diverse dalla nostra, l’attenzione alla ricerca scientifica e alle sue applicazioni, la protezione del paesaggio, della natura, dell’equilibrio ecologico ma anche delle minoranze sociali, sono temi che incontrano l’approvazione di larghe cerchie di cittadini nei centri urbani del nostro paese. La sinistra, sostengo-
no questi interpreti del risultato elettorale di inizio marzo, ha saputo inserirli nel suo programma. Non solo li ha fatti propri ma li ha addirittura trasformati in un marchio di fabbrica. Proprio come l’UDC ha saputo fare per temi come l’Europa o l’immigrazione di lavoratori e rifugiati. Ai partiti borghesi non resterebbe quindi che accettare la situazione e cercare di aprire maggiormente i loro programmi ai temi urbani monopolizzati dalla sinistra. Le prime reazioni dei liberali e del PPD (grande perdente di queste elezioni) sembrano per l’appunto voler andare in questa direzione. L’UDC invece ha promesso di indurire la sua opposizione: se, fino a ieri, diceva no, domani dirà due volte no. A giudicare da queste prime reazioni tutto quello che si può dire è che sarà difficile che, tra quattro anni, il cartello dei partiti borghesi per le elezioni nei maggiori centri del Canton Zurigo venga rinnovato.
l’autoritarismo che va tanto forte in paesi potenti come la Cina e la Russia possa instaurarsi anche nel nostro occidente sazio di pace e di prosperità. Il fuoco di Sunstein è l’America: l’arrivo di Donald Trump, presidente fuori dagli schemi e dalle istituzioni animato da un’improvvisazione quasi patologica, fa temere che, tra twitt, licenziamenti spettacolari, cambi di strategia improvvisati, la democrazia americana stia scivolando nelle braccia di un uomo forte, un dittatore eletto. Nel saggio c’è molto allarmismo: la comunità degli esperti – qui lo sono soprattutto di legge e di Costituzione – è molto preoccupata del deterioramento dei pilastri dei sistemi democratici, compresi la disaffezione nei confronti delle elezioni (bassa affluenza, in America abbastanza cronica), la polarizzazione dei media e dei social media, la creazione di «bolle» non comunicanti (che era il tema del libro di Sunstain prima di questo). Ci sono alcuni paralleli storici – l’ascesa di Napoleone III – e la certezza che l’avanzata di un leader autoritario sarebbe comunque molto lenta, ma non sfugge il fatto che molti
analisti anche altrove stanno dicendo, pur magari senza condividere l’analisi, che l’antidoto migliore al populismo finora trovato è proprio il leader autoritario. Se a questa constatazione si aggiunge il fascino che l’uomo forte ha ricominciato a esercitare sull’elettorato, in quel cortocircuito pericoloso per cui un leader saldo e determinato e democratico – come un Macron per dire – viene criticato perché troppo potente, diventa più credibile anche il continuo allarmismo. La stragrande maggioranza degli esperti continua però a pensare che il sistema democratico americano contenga gli anticorpi all’autoritarismo: a volte si può pensare che uno scossone come Trump sia senza precedenti, ma è pur vero che la scansione temporale ravvicinata delle elezioni – quest’anno ci sono le mid-term, e ancora non abbiamo digerito il 2016 – e un dialogo istituzionale solido hanno tutto il potenziale per risultare infine decisivi come argine al caos programmatico del presidente. Secondo l’«Economist», è molto più a rischio un paese come il Regno Unito, che pure è convinto di avere
«un’immunità contro l’estremismo»: i prossimi cinque anni possono testare i limiti di questa immunità, scrive il magazine britannico (è la rubrica Bagehot, scritta da Adrian Wooldridge). C’è l’attacco al sistema elitario del Labour di Jeremy Corbyn, che ha reintrodotto nel dibattito inglese la miccia della lotta di classe; c’è il dominio della «volontà popolare» ribadito dai sostenitori della Brexit, che ribalta gli equilibri di potere dei rappresentati del popolo; c’è la vulnerabilità nei confronti degli choc globali, acuita dal negoziato sull’uscita dall’Ue che impedisce, tra le tante cose, di ridefinire il ruolo del Regno nel mondo. La proporzione di inglesi che sostiene un uomo forte oggi è passata dal 25 per cento nel 1999 al 50 per cento, e la nuova generazione di elettori è visibilmente più portata a criticare la democrazia, a sottolinearne i limiti, rispetto ai propri genitori. Può dunque accadere qui che l’autoritarismo abbia il sopravvento? La risposta è sì, più a Londra che a Washington, anche se non è un processo repentino, tempo per accorgersi delle derive, e contrastarle, ancora c’è.
loro da una rete capillare di trasporti pubblici. Ogni confine svanisce, per lasciare il posto ad una macchia in continua espansione. Città-diffusa che da noi ha preso il nome di città-Ticino, piccola Los Angeles cresciuta ai piedi delle Alpi. La strada è dunque segnata. Ma questo cantone così ridisegnato e riempito sarà anche un cantone in cui sarà ancora piacevole vivere? Purtroppo i segnali non sono incoraggianti, come l’episodio di Gordola ha dimostrato. Piero Bianconi era pessimista. Lo era già negli anni 80 del secolo scorso. Consiglierei ai lettori di riprendere in mano qualche sua pubblicazione. Per esempio Ticino ieri e oggi, volume del 1982 edito da Dadò che accosta pagina dopo pagina gli stessi scorci colti in momenti diversi. La fotografia riportata sul risvolto di copertina mostra uno sconsolato Bianconi con le mani nei ca-
pelli, impegnato ad osservare il sinistro traliccio di una gru. E poi, subito dopo, il solito, enorme cucchiaio intento a scavare, spostare, ammucchiare terra e calcinacci, porte e finestre scardinate. Ne esce un confronto impietoso, che genera tristezza, la visione di «una veloce degradazione dello sfortunato nostro paese, svenduto e tradito da una parte (la nostra) e sempre più invaso e deturpato (dall’altra)». Non è questione di nostalgia o di altro sentimento rivolto al passato, quando il mondo ancora appariva in pace con se stesso. Si tratta di misurare il venir meno di una coscienza storica, che è, inevitabilmente, anche coscienza dei luoghi e del patrimonio materiale. È la storia che i nostri antenati ci hanno consegnato incorporandola nelle opere architettoniche, ville, palazzi e oratori magari costruiti con i risparmi accumulati negli anni dell’emigrazione. È il passato
che rivive nelle pietre squadrate, nelle travi, nei coppi; è l’estro, è l’inventiva che pittori e decoratori hanno riversato negli affreschi. Scriveva Virgilio Gilardoni nel 1964 inaugurando la sezione dei costumi tradizionali nel castello di Sasso Corbaro: «Abbiamo bisogno, oggi più che mai, di sentire che sotto e dietro di noi c’è pure una Storia, e che la nostra vita, il nostro modo di pensare, di agire, di sentire, che le nostre virtù e i nostri difetti, hanno profonde radici, nei secoli, che vogliamo conoscere». Ecco, la conoscenza: abbattere una cappella votiva equivale a demolire la memoria storica e dunque una parte di noi, della comunità in cui viviamo. È qualcosa che scompare e che non tornerà più. Il vuoto mnemonico, le amnesie, l’assenza di consapevolezza sono i migliori alleati degli speculatori: spiana loro la strada togliendo di mezzo ogni opposizione.
Affari Esteri di Paola Peduzzi Populismo o autoritarismo? La vittoria in Italia della Lega e del Movimento 5 Stelle ha riaperto il dibattito sul futuro delle democrazie occidentali. L’elezione di Emmanuel Macron in Francia ci aveva fatto credere che il pericolo fosse superato, abbiamo accantonato le discussioni sul futuro dell’Europa e ci siamo coccolati con un rinnovato ottimismo europeista, comunitario, moderato. Non c’è stata eccessiva leggerezza – anche se la tentazione a non tormentarsi troppo con gli agenti destabilizzatori è sempre alta – ma una nuova consapevolezza: se riusciamo ad andare alle origini del populismo, a curare le cause della protesta, il rischio di implosione sarà disinnescato. Poi è arrivato il voto italiano, laboratorio innovativo di una convergenza inedita tra populismi di destra e di sinistra, e ci siamo ritrovati ancora a riflettere e dibattere sull’essenza stessa della democrazia e delle sue dinamiche, nel momento in cui il centro moderato riformatore progressista s’è scoperto disabitato. Si parla molto di un libro uscito in America con il coordinamento di Cass Sunstein, professore di Chicago gran-
de amico di Barack Obama (fu anche il suo «zar delle regolamentazioni») considerato uno dei massimi esperti dell’economia comportamentale, quella branca dell’economia fresca di Nobel che si occupa dei comportamenti e dei loro effetti, e di come si possono orientare. Sunstein ha raccolto diciassette contributi in un libro intitolato Can it happen here? Authoritarianism in America che analizzano come si stanno evolvendo le democrazie, e se
Il politologo americano Cass Sunstein. (Wikipedia)
Cantoni e spigoli di Orazio Martinetti La ruspa, la cappella, la memoria Un braccio meccanico che si protende come un tentacolo, un artiglio che si posa sul colmo e infine uno sbuffo di polvere: la decisione di abbattere una cappelletta nel comune di Gordola per far posto a un condominio ha giustamente indignato la popolazione. I responsabili di quel gesto inconsulto dovranno rispondere dei danni e provvedere alla ricostruzione. Bene. Ma non è questo il punto. L’atto è un segno dei tempi, l’immagine plastica di una furia iconoclastica che non conosce più ostacoli o remore. Per i signori delle ruspe anche le testimonianze della devozione popolare sono ormai solo un ingombro sulla via luminosa del progresso. Nelle nostre città e nei nostri borghi poco è rimasto in piedi del passato; chiese, camposanti, cappelle sono le ultime vestigia ancora visibili, spazi peraltro circondati da fabbricati d’ogni foggia
e stile, fungaie nate sull’onda del boom edilizio. Ci sarà da qualche parte un limite a questa progressione, a questa marea di cemento ed asfalto che tutto invade e livella? Fino a qualche anno fa, chi osava sollevare dubbi sull’eccessivo consumo di suolo non trovava ascolto, era il solito ecologista, sinonimo di conservatore e nemico della rendita immobiliare. Ora, di fronte a tanti scempi, a tante offese, la sensibilità per le sorti del nostro habitat è un po’ migliorata, anche se il richiamo del mattone ancora seduce autorità pubbliche e promotori privati, categorie che volentieri cooperano per edificare ad oltranza, possibilmente su terreni vergini, aree prima destinate all’agricoltura, e poi si vedrà. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Gli specialisti chiamano questo fenomeno «città-diffusa», insieme di manufatti disseminati, collegati tra
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 marzo 2018 • N. 12
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Cultura e Spettacoli Ecologia a letteratura Il professor Niccolò Scaffai agli Eventi del Monte Verità parlerà del ruolo dell’ecologia in letteratura
Milano, parlano i numeri La seconda edizione di Tempo di Libri, la Fiera che insidia Torino, è stata un successo pagina 42
La generazione di Caine Il leggendario attore inglese Michael Caine racconta la sua generazione, i suoi esordi e la «swinging London» pagina 43
I misteri di Nasca Il museo Rietberg di Zurigo si dedica al grande mistero dei geoglifi peruviani
pagina 45
pagina 41
Arte e rivoluzione
Mostre Renato Guttuso alla Galleria d’arte
moderna di Torino
Gianluigi Bellei Il tempo è un galantuomo, si diceva citando Voltaire. Non è sempre vero. Sembra che lo sia per Renato Guttuso, nome che forse oggi dirà poco o niente, soprattutto ai giovani, ma che fino ad alcuni decenni fa era considerato un artista potente e rinomato. Amico di Pablo Picasso e di Roberto Longhi, di Pier Paolo Pasolini, di Alberto Moravia; frequentava Giulio Andreotti e il Cardinal Angelini. Ai suoi funerali nel 1987 salirono sul palco Alberto Moravia, Alessandro Natta e Carlo Bo. Cofondatore nel 1947 del Fronte nuovo delle arti, ottiene il premio per la pace nel 1950 e il Premio Lenin nel 1972 a Mosca, riconoscimento già assegnato a Pablo Neruda, Rafael Alberti, Pablo Picasso. Membro del Comitato centrale del Partito comunista italiano, senatore della Repubblica, editorialista dell’«Unità», del «Corriere della Sera», de «la Repubblica». Mostre al Museo Puškin di Mosca e al Museo Stedeljk di Amsterdam… Ma se cercate il suo nome nelle varie storie dell’arte e nei libri correlati non lo troverete. Per due semplicissime ragioni: era un pittore e per giunta figurativo, ma soprattutto non ha rispettato le regole del mercato. Sì, perché non gli interessavano né le gallerie d’arte, né i mercanti, né i musei. Vendeva i suoi quadri direttamente, senza intermediari, con prezzi che variavano secondo l’acquirente. Così tutta quella pletora di personaggi che gestiscono il mondo dell’arte – dai galleristi, ai mercanti, ai direttori dei musei – se ne sono disinteressati. Poi c’era l’annosa questione del linguaggio estetico e dei suoi significati. Dopo la Seconda guerra mondiale gli artisti, riprendendo le tesi di inizio secolo, si sono concentrati sull’uso dei nuovi linguaggi pensando che il concetto di rivoluzione sia insito nell’idea del cambiamento radicale. I colori e le tele diventano così sinonimo di conformismo e restaurazione mentre tutto ciò che non è tradizionale assume un’allure contestativa. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: poverismo, concettualismo e via discorrendo sono il nuovo conformismo a cui bisogna guardare per non sembrare fuori dalla realtà. I rivoluzionari poveristi e concettuali sono corteggiati dal mercato e dai musei diventando essi stessi parte dell’odiato establishment.
Fra le varie accuse rivolte a Guttuso vi è ancor oggi quella di essere stato comunista e che solo grazie al Partito, e non per suoi meriti, abbia potuto lavorare e diventare così potente. Probabilmente è vero, ma non è altrettanto vero che gli attuali mostri sacri dell’arte lo sono grazie agli industriali del lusso e ai banchieri? Quello che è certo in tutta questa diatriba è che se non conosci Palmiro Togliatti o François Pinault rischi l’anonimato. Altrettanto certo è che il mercato dell’arte oggi si sta riposizionando verso manufatti più duraturi e tradizionali. Via, quindi, legnetti o sassolini vari, video o foto, per riscoprire tutto quello che ancora può fruttare in termini economici, meglio se dimenticato o pompier. La Galleria civica d’arte moderna e contemporanea di Torino dedica in questi mesi un’esposizione a Renato Guttuso, curata da Pier Giovanni Castagnoli, presentando una sessantina di opere che vanno dalla fine degli anni Trenta alla metà degli anni Settanta del secolo scorso. Carolyn Christov-Bakargiev, direttrice della Galleria, scrive che la vicenda di Guttuso ci deve portare «a riflettere sul rapporto che intercorre tra artista, mondo e potere. Si può vedere ora cosa fosse, cosa rimane, e cosa sia futuribile nella sua arte? Certamente, alla luce delle installazioni video di denuncia della povertà e del razzismo nell’arte dell’era globalizzata, installazioni che incarnano una forma di realismo documentarista e che sono presenti già alla fine degli anni Novanta nelle grandi rassegne come Documenta 10 del 1997 ed esplose come tendenza nell’ultima edizione di Documenta 14 nel 2017; alla luce di tutto questo, sembra che i temi affrontati apertamente da Guttuso siano di nuovo in grande evidenza, sebbene le tecniche artistiche siano profondamente diverse». Insomma, conclude, è giunto il momento di guardare con altri occhi la sua realtà e la sua pittura «nelle mani, nell’abbraccio, nel pennello, nei pigmenti, nella canapa, nell’olio, nello zolfo, nel rame, nell’ossigeno, nella terra». La mostra inizia con la Fucilazione in campagna del 1938. Quadro-manifesto dipinto pensando all’assassinio di Federico Garcia Lorca da parte dei franchisti e che ha come modello El 3
Renato Guttuso, Gli addii di Francoforte (1968). (Collezione privata)
de mayo de 1808 en Madrid di Francisco Goya. Per arrivare agli Addii di Francoforte del 1968 che affronta in modo intimista la sua partecipazione al maggio francese. Fra queste due opere possiamo trovare la Dama alla finestra del 1942, con un impasto secco e terroso e dai toni che ricordano vagamente Georges Braque; La zolfara del 1953 pieno di forza e dai colori accesi e La battaglia di Ponte dell’ammiraglio del 1955 con Giuseppe Garibaldi che incita alla pugna i soldati con i volti di Luigi Longo, Gian Carlo Pajetta e Antonello Trombadori. Poi il grande quadro del 1972 dedicato ai Funerali di Togliatti. Un dipinto in bianco e nero costellato dal rosso delle bandiere. Guttuso ritrae i volti dei suoi amici,
le donne, gli uomini, i bambini e Lenin. Presente fra la folla, ora giovane ora vecchio. Perché era lì, idealmente, in mezzo a loro. Un lavoro ad acrilico, veloce, fatto con collage di carta ritagliata, immagini ottenute proiettando delle foto direttamente sulla tavola, ritratti; al centro il profilo di Togliatti fra una corona di fiori. Poi nudi, interni, nature morte, uno studio per la Crocifissione. Mancano alcuni dipinti fondamentali come, per esempio, la Crocifissione del 1941 e la Vucciria del 1974, ma probabilmente non rientravano, almeno la Vucciria, nel tema dell’esposizione. Due i casti nudi che sono relegati in un boudoir seminascosto. Quasi come se al neorevisionismo artistico fosse
associato un neopuritanesimo strisciante. Ne sono testimonianza i recenti casi di censura, fortunatamente rientrati, nei confronti di Hylas and the nymphs di John William Waterhouse del 1896 alla Manchester Art Gallery e la petizione contro Thérèse Dreaming di Balthus del 1938 al Metropolitan Museum di New York. Dove e quando
Renato Guttuso. L’arte rivoluzionaria nel cinquantenario del ’68. A cura di Pier Giovanni Castagnoli. Galleria civica d’arte moderna e contemporanea. Torino. Fino al 24 giugno. Catalogo Sivana editoriale, in preparazione www.gamtorino.it
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 marzo 2018 • N. 12
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Cultura e Spettacoli
Narrare per agire
Incontri Niccolò Scaffai, professore di italiano, direttore del CIEL dell’Università di Losanna e autore
di Letteratura e ecologia, sarà ospite agli Eventi letterari del Monte Verità
soggetto è l’altro, è anche una metafora politica.
Simona Sala Quello della natura è un tema sempre più attuale, anche se spesso ciò avviene non per scelta ma per necessità, ad esempio quando siamo a chiamati a tirare le somme di una catastrofe naturale in termini di vittime umane e di danno economico. La natura si guadagna giorno dopo giorno le copertine dei giornali e degli special televisivi, ma cosa accade all’interno della produzione letteraria globale? In quale modo l’impellenza ambientale entra nell’arte (che, per definizione, è anche portavoce del disagio, dell’urgenza) e più in particolare nella letteratura? A questo proposito l’indiano Amitav Ghosh (intervistato per «Azione» il 20.11.2017) ha scritto recentemente un libro-manifesto, in cui la denuncia dell’atteggiamento dei più è inequivocabile già nel titolo: La grande cecità. Gli Eventi letterari del Monte Verità quest’anno si occuperanno dell’Utopia della natura, affrontandola con approcci diversi. Niccolò Scaffai parlerà con Paolo Di Stefano del suo recente Letteratura ed ecologia, forme e temi di una relazione narrativa. Niccolò Scaffai, nel suo libro analizza l’approccio all’ecologia da parte della letteratura. Come è strutturato questo lavoro?
Nel libro prendo in considerazione con un impianto comparatistico la presenza del tema ecologico nella letteratura, soprattutto in quella moderna e contemporanea. Esso si inserisce nel filone di studi dell’ecocritica, e offre almeno due nuovi tratti specifici. Il primo indaga come il tema sia organizzato all’interno della struttura dei testi, cioè come agisca con le forme narrative. L’altro aspetto è una ricostruzione storica di come il tema della natura si sia evoluto nella letteratura dall’antichità alla modernità, e in che modo il pensiero sulla natura sia diventato pensiero ecologico in senso maturo. Oltre a un capitolo di discussione critico-teorica e uno di ricostruzione storica, il libro presenta due capitoli di approfondimento di due aree tematiche. La prima riguarda il tema dell’apocalisse, che naturalmente nella letteratura più recente si traduce in un’apocalisse anche ecologica, la seconda prende in considerazione il tema dei rifiuti e della spazzatura. Per quanto riguarda l’Italia pensiamo a Calvino, che a questo tema
Al Monte Verità di Ascona affronterà questo argomento?
In dialogo con Paolo Di Stefano torneremo su queste riflessioni, da un lato prendendo in considerazione il romanzo distopico, dall’altro analizzando l’utopia della natura vista come un idillio rispetto al quale l’ecologia deve agire. Spero che ciò possa aiutare ad accrescere la sensibilità… i riscontri ricevuti mi mostrano che qualcosa comincia a muoversi.
Lei indaga lungo altri filoni di ricerca?
Niccolò Scaffai, classe 1975, sarà ad Ascona il 24 marzo.
dedica uno dei racconti delle Città invisibili. Nella letteratura americana è un tema importante, come dimostra Underworld dello scrittore statunitense Don De Lillo, forse una delle «bibbie» della letteratura contemporanea americana, in cui il tema è di rilievo anche per la ricostruzione della storia americana del secolo scorso. L’ultimo capitolo del libro è una messa a fuoco sul caso italiano, su come sia stata portata avanti dagli scrittori italiani nell’arco del Novecento la riflessione attorno a natura, paesaggio ed ecologia. Mi soffermo su alcuni autori come il già citato Calvino, ma anche Pier Paolo Pasolini, Mario Rigoni Stern, Anna Maria Ortese e Paolo Volponi.
L’antropologo e scrittore indiano Amitav Ghosh lamenta come la letteratura si faccia troppo raramente portavoce dell’impellenza di un cambiamento di pensiero in ambito ecologico. Perché l’ecologia non rappresenta una forza ideologica?
La grande cecità di Gosh è un libro interessante che ho utilizzato anche per il mio lavoro. In particolar modo il romanzo è un genere che tradizionalmente tende a concentrarsi sulle vicende private individuali di un soggetto, mettendo in evidenza dei fatti relativi alla normalità del quotidiano borghese. Ghosh osserva come ci troviamo in un tempo in cui gli elementi di normalità del vivere quotidiano rischiano di essere condizionati e stravolti da eventi che su-
perano la dimensione del singolo, poiché riguardano gli allarmi climatici di cui tutti noi sappiamo e leggiamo, e di cui, in parte, cominciamo a vivere le conseguenze anche qui in Europa. È ora che la letteratura e il romanzo recepiscano questi cambiamenti e si concentrino su queste grandi svolte, e non più soltanto su elementi di ritmo normale della vita. L’invito di Ghosh è da accogliere anche da parte del critico letterario attraverso la riflessione e l’analisi dei libri che si occupano di questi temi. In alcuni casi gli allarmi sono raccontati con modalità indirette, che non rientrano nel solco del grande realismo del romanzo europeo, oggi infatti la letteratura può esprimere valori ecologici anche attraverso il genere fantastico.
Quali sono gli autori contemporanei particolarmente sensibili alle tematiche ambientali?
Tra gli autori importanti delle ultime generazioni possiamo citare Margaret Atwood che in alcuni saggi racconta la transazione climatica, spiegando come non si tratti solo di fantascienza, ma di un altro modo di narrare le urgenze del nostro presente. Ai già citati De Lillo e Ghosh si aggiunge il britannico Ian McEwan, sebbene in Solar si sia chinato sul tema in modo un po’ ambivalente, facendo ironia sugli eccessi ideologici di certo ecologismo. Un autore che mi preme citare come modello di nuova fantascienza basata su un’idea di eco-
logia è invece l’americano Jeff VanderMeer, di cui in italiano è stata tradotta la Trilogia dell’area x. Per quanto riguarda gli italiani contemporanei, sul versante apocalittico ci sono romanzi recenti come Le cose semplici di Luca Doninelli, o scrittori che ne parlano non come trasfigurazione distopica, vedi Violazione di Alessandra Sarchi, in cui si affronta il tema degli abusi edilizi che distruggono il paesaggio. Questo accade anche nella descrizione della Terra dei fuochi di Saviano. I nomi che lei ha fatto però si contano sulle dita di una mano… riconosce un certo disinteresse da parte del mondo letterario?
Certo, ho questa sensazione. In quest’ambito la letteratura americana è forse la più sensibile. Purtroppo il tema ecologico è ancora vittima di un pregiudizio di naturalezza: si pensa troppo spesso che il tema della natura coincida con l’idillio, la rappresentazione del paesaggio ideale. Ma quando si parla di natura c’è anche l’altra faccia della medaglia, costituita da minacce, crisi e rischi. Purtroppo questo tema non è ancora universalmente accettato e diffuso, anche a causa di pregiudizi ideologici. L’interesse all’ecologia da alcuni viene ritenuto come un’evasione dall’ideologia in senso politico e sociale, ma in realtà non è così, perché i temi ecologici, la rappresentazione del rapporto tra l’io e le altre creature, tra il
Mi sono occupato di poesia moderna e contemporanea, concentrandomi in particolare su poeti italiani del 900 come Eugenio Montale, Vittorio Sereni e Giorgio Caproni. In anni recenti ho creato un polo di ricerca sull’italianità con la storica Nelly Valsangiacomo: cerchiamo di individuare gli stereotipi e i valori dell’italianità che si trovano nella letteratura o negli altri campi delle discipline sociali e umanistiche. Mi interessa anche il nesso tra letteratura e storia nel Novecento, in particolar modo Primo Levi, su cui da anni porto avanti delle ricerche. Che tipo di ricerche?
Mi sono occupato dei suoi racconti fantastici o fantabiologici, cercando di dimostrare come non rappresentino soltanto una tendenza all’evasione rispetto al grande tema dell’opera di Primo Levi, ma siano un altro modo di rappresentare il tema della Shoah. Levi comprese presto come occorresse narrare in maniera non solo testimoniale ma anche fittiva, ricorrendo ad esempio perfino alla fantascienza per evitare il rischio dell’assuefazione al tema. L’assuefazione è dunque uno dei rischi legati alla narrazione di un disagio che colpisce l’umanità?
Indubbiamente, e nel caso della Shoah questo è evidente. A partire dagli anni 90, con successi cinematografici (sebbene di indubbio valore) come Schindler’s List, il rischio dell’assuefazione o della stereotipizzazione diventa sempre più grande. Gli intellettuali dovrebbero riflettere su questo fatto. Dove e quando
Niccolò Scaffai e Paolo Di Stefano, Letteratura e ecologia: utopie narrative ed effetti di natura. Monte Verità, 24 marzo 2018, ore 18.00. www.monteverita.org
Greta Gerwig, dai mumblecore agli Oscar
Cinema Probabilmente senza l’affare Weinstein il film della pur brava regista californiana non avrebbe
fatto tanta strada Fabio Fumagalli
**(*) Lady Bird, di Greta Gerwig, con Saoirse Ronan, Laurie Metclaf, Tracy Letts, Lucas Hedges (Stati Uniti 2017) Fra generali osanna, Lady Bird conferma la personalità di Greta Gerwig, classe 1983 e al suo primo film da regista. L’attrice è cresciuta in seno al mum-
blecore, movimento indipendente del cinema americano nato all’inizio dei Duemila, che ci ricorda come si possa girare qualcosa di significativo nel paese di Hollywood anche se si hanno solo quattro soldi. Porta il nome della Garbo, Greta Gerwig, ma è nata a Sacramento, la capitale della California, che lei ricorda con la concittadina romanziera Joan Didion: «chiunque
Saoirse Ronan, di origini irlandesi, è molto convincente. (Wikipedia)
parli di edonismo californiano non ha mai trascorso un Natale a Sacramento». Greta s’iscrive a letteratura e filosofia, si afferma in danza classica, recita in un musical. Scopre il cinema: dopo un film modesto di John Travolta finirà per amare Fellini, Truffaut e il cinema francese. Cresce, sempre in attesa di fuggire a Londra o New York, e nel frattempo diventa – e sono sempre in più a notarlo – quanto di meglio succeda al cinema indipendente americano. Un’attrice vieppiù carismatica ma inserita in un filone tuttofare, che la porta ad essere anche sceneggiatrice, co-regista e produttrice. Partendo dai piccoli film di Swanberg e Duplass presto è con Natalie Portman in Sex Friends; nel 2012 poi è protagonista del film forse più deludente di Woody Allen, To Rome With Love. Il passo da musa tuttofare del mumblecore è però compiuto: diventata nel frattempo la compagna di Noah Baumbach, Greta incanta nel suo
ottimo Frances Ha. Prima di sedurre Al Pacino in The Humbling; e di apparire in un ruolo comico alla Berlinale, con Julianne Moore in Maggie’s Plan. Seguirà lo splendido Jackie di Pablo Larrain, nel 2016; quand’era ormai giunto il tempo di passare dall’altra parte della cinepresa. Non è di certo insolito che un attore si affidi al proprio vissuto esordendo alla regia; ancor meno, che scelga di raccontare il passaggio sempre delicato all’età adulta. Più clamoroso, che Lady Bird si affermi dapprima ai Golden Globes come miglior commedia e migliore attrice protagonista; finendo poi, come capita, per ottenere ben cinque nomination agli Oscar. E ricordandoci allora come, nell’arco di 89 anni, la corsa a quella della Miglior Regia sia stata accordata a una donna per sole misere quattro volte: a Lina Wertmüller, Jane Campion, Sofia Coppola e Kathryn Bigelow. La sola a tra-
sformarla nell’Oscar del 2010 grazie a The Hurt Locker. Un percorso, quello del piccolo Lady Bird, rallegrante: ma che forse, senza la faccenda Weinstein, sarebbe andato altrimenti. Questa simpatica storia di formazione deve troppo alle due attrici che reggono bravamente il confronto madre/figlia. La protagonista Saoirse Ronan è una fonte continua di disinvolta leggerezza; e Laurie Metcalf, nel ruolo della madre tutt’altro che scostante e testarda come appare, l’altra rivelazione. Senza la loro freschezza e quella di tutto il cast, il pluridecorato teen movie non si sarebbe discostato più di tanto da quelli che l’hanno preceduto da generazioni. Difficoltà nel comunicare e ballo di fine anno, sogni di grandezza e perdita della verginità, l’amica che tradisce e l’amico che si rivela gay, i crocefissi alle pareti dell’educazione cattolica: tutto rispettabile e sincero, ma tanto da sfiorare l’Oscar?
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Cultura e Spettacoli
Torino vs Milano, a colpi di libri Fiere D opo un inizio deludente quest’anno Tempo di Libri, il nuovo appuntamento lombardo con l’editoria,
ha registrato quasi centomila presenze: ci si chiede ora come andare avanti
Mariarosa Mancuso Quasi centomila visitatori. Difficile dire se la pioggia abbia aiutato la seconda edizione di Tempo di Libri (diluvia, non si fa il fine settimana fuori che per i milanesi è quasi obbligatorio). Oppure l’abbia danneggiata, facendo cambiare idea ai lettori che hanno preferito la lettura di un romanzo sul comodo divano di casa alla passeggiata tra i padiglioni dove gli editori hanno messo in mostra la mercanzia.
Milano ha lanciato l’esca a Torino, ma quest’ultima sembra voler proseguire sulla propria strada Il sessanta per cento in più di visitatori rispetto all’anno scorso garantisce il futuro della manifestazione. Scongiurati i problemi dell’edizione 2017, che ormai vale come numero zero funestato dalle date sbagliate, dalla Fiera sbagliata (per arrivare a Rho serviva mezz’ora di metropolitana, i padiglioni del Portello sono accanto ai grattacieli di Isozaki e Hadid), dal mancato coinvolgimento delle scuole, dalla smania di anticipare il Sa-
lone del Libro di Torino che si tiene a maggio. Nel 2019 il direttore sarà ancora Andrea Kerbaker, che vanta una lunga esperienza nell’organizzazione di eventi culturali per le aziende, e ha organizzato gli appuntamenti in giornate tematiche. Ha aiutato l’inaugurazione fissata per l’otto marzo, giornata della donna (delle mimose parliamo un’altra volta, anzi non parliamo affatto: dodici ore di festeggiamenti, di discorsi, e ora anche di hashtag, che grondano scarsissima convinzione). Le altre giornate erano dedicate alla ribellione, son passati 50 anni dal 68. E poi Milano, le immagini, il digitale. Per l’anno prossimo sono già annunciati i peccati capitali. Sarebbero sette, ma verranno ridotti a cinque. Il primo a cadere, ne siamo sicuri fino a scommetterci qualcosina, sarà l’invidia. La partecipazione del pubblico, gli 850 incontri con 1200 tra scrittori e presentatori dei medesimi, le scolaresche arrivate in massa (sedicimila, saranno i lettori di domani, anche se per ora leggono solo Sofia Viscardi o Iris Ferrari, creatura del web che saluta i fan con «ciao unicorni») lasciano però in sospeso una questione. I rapporti con il Salone del libro di Torino, che l’anno scorso si era preso la bella sua rivincita su un Tempo di Libri frettolosamente organizzato.
La fiera milanese già alla seconda edizione ha registrato un grande successo.
Anche chi negli anni precedenti aveva mosso critiche (costruttive, per carità, sempre costruttive) sulla manifestazione torinese e sul suo difficile cambio di direzione dopo gli anni magnifici di Ernesto Ferrero, l’anno scorso ha affollato il Lingotto. In segno di solidarietà contro i grandi editori milanesi – Mondazzoli e il gruppo Gems – che volevano una fiera tutta loro. Perché Milano è la capitale dell’editoria italiana, e perché puntavano a una manifestazione fatta per gli addetti ai lavori, oltre che per il pubblico.
Da qui il gemellaggio con la Buchmesse di Francoforte. E l’attenzione al MIRC, Milan International Rights Center: 170 operatori stranieri e 130 italiani, impegnati in speed date per far circolare gli scrittori italiani all’estero. Tutti con la non troppo segreta speranza di trovare una nuova Elena Ferrante, che tra poco avrà una miniserie tutta sua, intitolata L’amica geniale: la sta girando a Caserta Saverio Costanzo. Qualche giorno fa si sono viste le prime immagini di Lila e Elena, detta Lenù, da piccole e da grandi.
Può un paese come l’Italia, con livelli di lettura bassi rispetto al resto d’Europa, permettersi due fiere del libro a poca distanza l’una dall’altra? I piccoli editori hanno detto subito di no, il gioco non vale la candela. Molti, come Iperborea o Sellerio, hanno scelto senz’altro Torino. Non bastasse, Milano dal 23 al 25 marzo ospita al Mudec Bookpride, la fiera dell’editoria indipendente (più mirata su un pubblico di lettori forti e dai gusti non mainstream, meno costosa per gli editori, e certo danneggiata dal colosso che le hanno piazzato quindici giorni prima). I grandi editori cominciano a rifletterci ora. Tempo di Libri 2018 è andata bene, ma le vendite non sono state esaltanti. Tranne per lo stand del Libraccio, che vendeva libri usati, prime edizioni e volumi fuori catalogo, sempre affollato e con i registratori di cassa tintinnanti. Partecipare a due Fiere risulta piuttosto costoso, anche per i grandi gruppi. Da qui la proposta di organizzare la manifestazione un anno a Torino – che l’anno scorso, edizione del trentennale diretta da Nicola Lagioia, ha totalizzato più di 160 mila visitatori – e un anno a Milano. I milanesi hanno lanciato l’esca, i torinesi hanno continuato a lavorare al programma che dai primi annunci risulta piuttosto ghiotto. Annuncio pubblicitario
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Cultura e Spettacoli Un’intensa immagine del grande attore inglese. (Keystone)
Di angeli e fuorilegge Musica Il rocker americano Ezra Furman
stupisce con un suggestivo concept album
Benedicta Froelich
Follie londinesi
Incontri Michael Caine ha dato la propria voce e testimonianza
a My Generation, documentario sugli anni della mitica «Swinging London»
Blanche Greco «“Se attraversi l’inferno, non ti fermare, continua a camminare”, ha detto una volta Winston Churchill, e io nei tempi duri della mia gioventù, ho sempre tirato dritto, malgrado tutto. Mio padre faceva il facchino al mercato del pesce, mia madre la domestica, eravamo cockney poveri in canna, e io, a vent’anni, finito il militare, di giorno mi guadagnavo da vivere come operaio in una fabbrica di burro; di notte mi dannavo per fare l’attore, senza troppe illusioni. Poi vennero gli anni 60, l’epoca in cui i sogni potevano avverarsi», ci ha raccontato Sir Michael Caine, che abbiamo incontrato alla Mostra del Cinema di Venezia: testimonial, autore e voce fuori campo di My Generation, il documentario sull’Inghilterra degli anni 60, la cultura pop, e i cambiamenti sociali, girato da David Batty sul filo delle memorie di questo celebre attore. Ottantaquattro anni, lo sguardo ceruleo e vellutato alla Alfie ancora intatto, Michael Caine ci ha parlato del suo passato come di uno stupefacente romanzo di avventure, con ironia e una leggera sfumatura di rabbia: «L’Inghilterra di quell’epoca era snob, classista, chiusa a livello culturale e sociale. La Radio, era solo la BBC, dove i giornalisti leggevano i notiziari in abito scuro e cravatta; e la musica pop era bandita. Per ascoltarla dovevi sintonizzarti su Radio Lussemburgo, o sui programmi della Radio delle Forze Armate americane di stanza a Berlino. Al cinema, i miei amici e io andavamo a vedere i film di guerra americani, perché i protagonisti erano soldati, mentre in quelli inglesi erano sempre storie di ufficiali, e noi non potevamo identificarci. Altrettanto succedeva per i film d’amore inglesi, che proponevano idilli di borghesi innamorati, con attori di mezza età. Agli inizi degli anni 60 Peter O’Toole divenne una star facendo il soldato cockney in uno spettacolo teatrale, poi dovendo girare un film, chiesero a me di sostituirlo e con un buon successo, ma per la versione cinematografica non
chiamarono O’Toole, la star, e neppure me, che ero stato un vero soldato cockney, ma Laurence Harvey, un immigrato lituano!». L’Inghilterra degli anni 50 emerge dalle parole di Michael Caine come un paese distrutto e in bancarotta, un «deserto», che aveva «vinto la guerra, ma non la pace»: l’Impero si stava dissolvendo; la società stava andando incontro a una grande trasformazione, ma il «sacro» sistema delle classi era intatto e teneva rigidamente «tutti al loro posto». «All’epoca quando uscivamo la sera, la scelta era, come prima della guerra, tra un pub e una friggitoria di fish and chips», continua Michael Caine, «poi qualcuno inventò i coffee bar, non era per cockney, ma per australiani all’inizio. Il caffè costava poco e c’era sempre qualcuno che cantava, così ascoltai per la prima volta Shirley Bassey, che era sul lastrico, e lì si guadagnava onorevolmente da vivere». Lui tuttavia non si perse d’animo, e dopo aver cambiato il suo cognome in Caine e domato il suo spiccato accento cockney grazie al teatro, fece l’incontro che gli avrebbe cambiato la vita: era il 1964 e il regista americano Cy Endfield, in cerca di protagonisti per il suo colossal Zulu, lo scelse per interpretare un ufficiale britannico: «Nove anni di teatro mi avevano reso camaleontico: ero in grado di rifare qualsiasi accento alla perfezione. Ma nessun regista inglese, neppure di dichiarata fede marxista, si sarebbe mai azzardato ad affidare un ruolo simile a un figlio del popolo, un vero cockney londinese!», ricorda divertito Sir Michael Caine che due anni dopo ebbe una nuova grande occasione. «Sono un uomo molto fortunato, oltre ad essere della stessa generazione di John Osborne e Harold Pinter: sono diventato famoso con Alfie, la storia di un donnaiolo che apparteneva alla classe operaia. Nessuno aveva mai scritto, prima di allora ruoli simili, o per attori come me». Il cambiamento in Inghilterra era in atto e dal palcoscenico londinese che si andava allargando a dismisura,
emersero quei protagonisti che sarebbero diventati le icone della scena culturale e sociale internazionale, da Dame Shirley Bassey, «voce» di Goldfinger, a Sean Connery, un altro figlio del popolo a cui 007 portò fortuna, passando per Marianne Faithfull, i Beatles, Mary Quant, Twiggy e David Bowie, e Londra di colpo diventò «swinging», il centro di ogni moda, il cuore pulsante dell’arte moderna, dove tutti volevano essere la rampa di lancio verso la notorietà e l’America. La musica di quegli anni era la naturale espressione di quel rivolgimento epocale, di quell’effervescenza che accompagnava la nuova libertà. «Passammo improvvisamente dal “niente”, al “tutto”», ci ha confessato lapidario Michael Caine, «facevo provini di continuo e così conobbi David Bowie che all’epoca faceva l’attore ed era commesso in un negozio di Kings Road. Alcuni anni prima, invece avevo fatto amicizia con Sean Connery, che era nel gruppo di nerboruti di bell’aspetto che il musical americano South Pacific, in trasferta a Londra, aveva trovato nelle palestre più famose della città per una scena con delle affascinanti ballerine. Il coro inglese, non particolarmente virile, cantò nascosto dietro a quei giovanotti muscolosi, fra cui c’era anche Sean Connery, già Mister Edinburgh che si preparava al concorso di Mister Britain. La sua chiave per il mondo dello spettacolo furono i muscoli. Qualche anno dopo ci reincontrammo, in coda per il sussidio di disoccupazione, poi ci saremmo rivisti ancora». Ma questo non c’è, non tutti i ricordi di Sir Michael Caine sono in My Generation, poiché non doveva essere un film su di lui, ma sugli anni 60: «Qualcuno doveva cominciare a raccontare ai giovani di oggi, che hanno la possibilità di vedere e ascoltare tutto ciò che vogliono», ha concluso Sir Michael Caine, «cosa abbiano rappresentato quei fantastici anni 60 a livello culturale e sociale: è stata una rivoluzione vera e propria che ha cambiato il mondo per sempre e, fortunatamente, anche il mio destino.»
Si sa, negli ultimi quindici-vent’anni l’idea stessa di «originalità compositiva» sembra essersi per lo più eclissata dalla scena pop-rock angloamericana. Eppure, malgrado non accada spesso, a volte capita ancora di imbattersi in sforzi discografici che, seppur non contraddistinti da eccessiva audacia stilistica, mostrano comunque un notevole vigore espressivo e lirico: l’esempio più recente è la nuova opera solista di Ezra Furman, trentunenne performer americano (già leader del quartetto indie rock Ezra Furman and the Harpoons), oggi intenzionato a far rivivere in musica i fasti narrativi della letteratura di genere pulp, ispirandosi a maestri quali il grande William Burroughs e intessendo atmosfere musicali reminiscenti della scuola hardboiled. Questa sua nuova e azzardata opera, dall’esotico titolo di Transangelic Exodus, si presenta come un concept album dalla trama, in realtà, degna di una dime novel dell’epoca transgender: una storia d’amore tra un «normale» essere umano e un angelo dalle grandi ali, entrambi perseguitati dal governo a causa di un legame che il sistema considera innaturale e illegale, e quindi costretti a una disperata fuga attraverso l’America. La vicenda si dipana così attraverso tracce che passano da un sound quasi hard rock (e, in diversi casi, dagli accenti perfino punk), fino ad atmosfere delicate rievocanti il più classico pop anni 90, in un continuo gioco di citazioni stilistiche e musicali che accompagnano la determinazione dei protagonisti – i quali, nelle liriche, parlano in prima persona – a rischiare la propria vita e incolumità personale pur di continuare a godere del grande sentimento che li unisce («non mi importa se ci rimetto le gambe o la vita, / mi sono costruito una casa dentro i suoi occhi e non intendo lasciarla»). In effetti, musicalmente parlando, il disco sembra costituire quasi una sorta di compendio del rock angloamericano degli ultimi quarant’anni, «rimasticato» e traslato dall’eccentrica reinterpretazione di Ezra – al punto che, tra un brano e l’altro della tracklist, vi sono ampie differenze stilistiche: ciò è evidente fin dalla traccia d’apertura, l’energica Suck the Blood from My Wound, reminiscente di molto rock internazionale, dagli exploit anni 70 del Patti Smith Group al più tardo britpop di band quali Embrace e Manic Street Preachers; per contrasto, l’inciso di Driving Down to L.A. offre invece più di un evidente punto di contatto con il materiale solista di David
Transangelic Exodus di Ezra Furman è un lavoro dai molti stili.
Byrne, ex cantante dei Talking Heads – benché, pur all’interno della medesima canzone, il ritornello sembri invece ricordare il glam rock più vintage, nonché certo punk dello stesso periodo. Una dicotomia riscontrabile anche in pezzi duri come il nichilista No Place, a cavallo tra il rock imbizzarrito di Iggy Pop e le atmosfere più dark di band come Cure e Placebo, o negli efficaci e trascinanti The Great Unknown (che, di nuovo, deve più di qualcosa a David Byrne) e Maraschino-Red Dress $8.99 at Goodwill. Ma altri pezzi rifulgono invece di una delicatezza struggente e sincera, come ad esempio avviene con il solenne God Lifts Up The Lowly, dall’ottimo accompagnamento a base di archi (apprezzabile anche in un pezzo più uptempo come l’irresistibile Love You So Bad), e con i lenti Compulsive Liar e Psalm 151, non troppo dissimili da classiche ballate intimiste di stampo cantautorale. Al successo e alla disinvoltura di una simile varietà di generi e sonorità contribuisce non poco anche la versatilità dell’intonazione vocale di Furman, che, a tratti roca e intensa, suona come quasi disperata, e può considerarsi degna di cantanti dal timbro particolarmente rauco del calibro di Shane MacGowan e Tom Waits; del resto, l’influenza di quest’ultimo si fa particolarmente evidente in diversi momenti del CD – su tutti, in tracce come From A Beach House e Come Here Get Away From Me, che potrebbero provenire direttamente da album quali Swordfishtrombones o il celeberrimo Rain Dogs. In effetti, l’unico vero limite di quest’opera risiede proprio nelle continue citazioni stilistiche che ne popolano ogni brano, e che sembrano fare di Furman una sorta di «bigino vivente» del pop-rock di lingua inglese; dalle pressoché onnipresenti distorsioni vocali agli inserti audio cinematografici, l’innegabile estro creativo di Ezra sembra soffrire di una commistione di generi e stili che rende difficile comprendere quale sia davvero la firma personale di questo camaleontico performer. Ciononostante, il disco mostra una forza emotiva non da poco, in grado di animarne i testi visionari e i toni tormentati e struggenti, dando così vita a un’esperienza di ascolto dalla grande carica emotiva: il che, dopotutto, al di là del semplicistico intrattenimento, dovrebbe essere il vero scopo della musica popolare di spessore – ovvero, quello di raccontare storie in grado di coinvolgere profondamente l’ascoltatore attraverso una sapiente unione tra parola e musica. In questo senso, Furman è già, a modo suo, un autentico professionista.
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Cultura e Spettacoli
Oltre i famosi geoglifi di Nasca Mostre Al Museo Rietberg di Zurigo un’esposizione inedita si china su un grande mistero
Marco Horat Nasca o Nazca che scriver si voglia. Come dire quelle linee tracciate, giocando sul colore delle pietre, secoli or sono su di un altopiano arido che si estende per una ottantina di chilometri nel sud del Perù, da una popolazione ancora poco conosciuta dagli archeologi. Oltre 13’000 linee che formano più di 800 disegni, geometrici, labirintici o con i profili stilizzati, perfettamente proporzionati, di animali comuni nell’area come il pappagallo, la lucertola lunga più di 180 metri, il colibrì, il condor, la balena, l’enorme ragno lungo circa 45 metri e tanti altri, compresa una curiosa figura di «astronauta». Pressoché invisibili a occhio nudo da terra; spesso sovrapposti gli uni agli altri. Uno dei tanti segreti che il passato custodisce gelosamente sottraendolo alle attenzioni dei ricercatori moderni. Chi le ha tracciate, come ha fatto e soprattutto perché, dal momento che presumibilmente a cavallo della nostra era l’uomo non aveva ancora inventato né aerei né palloni aerostatici e che quindi quelle figure risultavano impossibili da vedere ai comuni mortali? Quasi, perché intorno alla pampa de San José vi sono colline e montagne che permetterebbero una visione dall’alto almeno di certe rappresentazioni. Molte domande o, per qualcuno, misteri. E si sa, dove c’è mistero la fantasia interpretativa si scatena. Ecco allora chi ha parlato di extraterrestri scesi dal cielo e di piste di atterraggio per astronavi, chi di ingegneri spaziali in possesso di tecniche e strumenti avveniristici o di tavole astronomiche. La scienza invece procede più lentamente e con fatica, cercando di prospettare scenari plausibili, domande sensate e soprattutto di dare risposte accettabili, partendo dalla realtà dei fatti. Gli archeologi hanno così cominciato a indagare nei dintorni dell’altipiano e hanno scoperto nel corso degli anni che tra il III secolo a.C. e i primi secoli della nostra era fino al VII secolo, una civiltà dai tratti originali aveva la-
Bottiglia d’argilla a doppio collo risalente al periodo Nasca intermedio (300-450 d.C.). (Collezione privata, Lima © Daniel Giannoni)
sciato molte tracce di sé oltre alle linee: molta ceramica decorata con figure di animali, piante ed esseri umani stilizzati, tessuti ricchi di motivi ornamentali dai colori sgargianti, oggetti di culto e di uso quotidiano, strumenti musicali, maschere in oro, resti di corredi e offerte votive in sepolture. Un universo fantastico riemerso alla luce dopo secoli di oscurità, con immagini riconducibili forse anche alle misteriose linee attraverso collegamenti possibili. Forse. Già nel 1999 il Rietberg aveva organizzato una mostra per presentare reperti precolombiani provenienti dal Perù attraverso prestiti da importanti musei svizzeri, tedeschi, americani e da collezioni private; una mostra che aveva fatto sensazione per la qualità dei manufatti. Ora, a distanza di quasi vent’an-
ni, il museo (il curatore svizzero è Peter Fux, Conservatore delle Collezioni americane) approfondisce e allarga il discorso avvalendosi di nuovi oggetti di straordinaria bellezza e di grande interesse scientifico, di proprietà del Museo de Arte di Lima esposti per la prima volta in Europa e frutto di recenti scoperte. La mostra è arricchita dall’impiego di moderne tecniche visive in tre dimensioni e immagini girate apposta per l’occasione mediante droni. Lo scopo è quello di tuffare il visitatore nell’ambiente suggestivo dell’antico mondo dei Nasca ma nel contempo di fargli oltrepassare la parete del mistero per entrare nel mondo reale dell’archeologia, senza con questo dover rinunciare al piacere estetico che danno gli straordinari reperti esposti. Viene presentata la vita
quotidiana di un popolo che non veniva dallo spazio ma che viveva in una zona fertile compresa tra la Cordigliera delle Ande e il deserto che lo separava dall’Oceano Pacifico. Svanito nel nulla come altri popoli dell’America latina dopo la Conquista, per fortuna ci ha lasciato una traccia che ci aiuta oggi a conoscerlo meglio e a ricostruire la sua cultura. Restano le domande iniziali sul significato dei geoglifi, sempre in attesa di risposte... se mai ce ne saranno di sicure. Che si potessero tracciare, anche secoli fa, con strumenti semplici non è un mistero. Che in diversi momenti della storia si possa pensare che li abbia progettati una casta sacerdotale che governava il popolo dei Nasca, è plausibile; di qui l’idea espressa da qualche studioso che ha parlato di sentieri rituali, mentre altri hanno pensato a una non meglio specificata colonizzazione simbolica dello spazio, a significati astronomici o legati al culto dell’acqua, elemento fondamentale per la vita in quelle regioni aride. Sul perché delle linee e dei disegni il discorso rimane più che mai aperto. Mi piace pensare al fatto che i sacerdoti di tutte le religioni hanno sempre cercato di proteggere la loro divinità (se di culti si tratta) sottraendola alla vista dei comuni mortali e al contatto con la impura quotidianità: rinchiudendo il simulacro in un sancta sanctorum accessibile solo alla casta, oppure proibendo addirittura di nominare e rappresentare dio che è perfetto e quindi non accessibile all’uomo, perfino all’interno dei suoi templi. Ingigantendo le figure di animali totemici o sacri (nei pressi delle linee si sono trovati dei depositi votivi) il risultato era più o meno lo stesso: renderli visibili solo a chi stava nell’alto dei cieli, Viracocha per esempio, che comunque non volava con un’astronave! Dove e quando
Nasca. Perù: alla ricerca di tracce nel deserto, Museum Rietberg, Zurigo. Fino al 15 aprile 2018 www.rietberg.ch
I due re di Elfriede Jelinek
Teatro La Premio Nobel austriaca per la letteratura ha portato in scena alla Schauspielhaus
di Zurigo una pièce convincente in cui le protagoniste sono attrici Marinella Polli Accogliendo l’invito della Schauspielhaus che propone in prima svizzera Am Königsweg («Sul cammino del re», ma anche «La strada maestra» o «La regola d’oro»), l’ultima fatica di Elfriede Jelinek, i numerosi fan hanno colto la magnifica occasione di immergersi nella sua «Weltanschauung» e in quel fuoco d’artificio che è il suo linguaggio. Classe 1946, enfant terrible della letteratura austriaca fin dagli Anni Sessanta e subito profilatasi nell’ambito letterario tedesco come autrice non catalogabile, la Jelinek polemizza spesso con politici di ogni colore, attaccando con uno stile anche aggressivo le istituzioni e i com-
portamenti austriaci in lavori che smascherano alla grande la demagogia populista e xenofoba. La scrittrice, Premio Nobel della letteratura nel 2004 ha conseguito la fama di provocatrice per eccellenza; una fama consolidata negli anni Settanta da impegno politico e adesione nel 1974 al Partito comunista austriaco, da cui uscirà nel 1991. E ha dunque sempre dedicato la massima attenzione ai fenomeni sociali, ma allo sperimentalismo altresì, in quanto la sua ricerca estetica muove, come detto, dal linguaggio e in particolare dagli schemi linguistici del mondo odierno. Am Königsweg non è forse il suo lavoro migliore, ma è come sempre sarcastico, visionario, di grande
Isabelle Menke e Julia Kreusch; proiezione: Elisa Plüss, Henrike Johanna Jörissen. (Tanja Dorendorf / T+T Fotografie)
attualità, insomma un po’ alla Thomas Bernhard, i cui insoliti parametri l’autrice sembra voler riprendere: per esempio il virtuosismo linguistico, il vortice di metafore, il senso dell’umorismo, con cui riesce a trasfondere leggerezza a pur scabrosi temi. In questo suo ultimo lavoro, una desolata panoramica sul nostro tempo, la Jelinek si spinge con la solita enfasi verbale nel confronto di due re, entrambi in mano a forze esterne, entrambi ciechi perché non in grado di vedere la verità, uno perché non la vuole trovare, l’altro che la cerca invano da tempo: il primo un neonato anziano dai capelli biondo-arancio, stupido, ricco, aggressivo, l’altro l’Edipo della mitologia (la Jelinek si serve spesso dei classici, indagandone i ragionamenti). Nel corso di un monologo recitato da una veggente cieca (la stessa autrice, l’intellettuale), veniamo a sapere come il mondo sia un abisso, ciò che ci viene confermato, in modi differenti, da tutti gli altri personaggi (reiterazioni o variazioni sul primo, sempre l’intellettuale Jelinek) interpretati – niente male per una prima che ha avuto luogo l’8 marzo – da sole donne. Queste portano spesso sul davanti un burattino fatto muovere ora realisticamente ora nello stile dei Muppet (Kermit, Miss Piggy, nonché
Statler e Waldorf, i due anziani criticoni che commentano dalla galleria sono onnipresenti). Il populismo di destra, dunque, e (Melania compresa) Trump, il quale tuttavia non viene mai nominato, in un’impagabile descrizione fra il cabarettistico, il grottesco e il tragico; metafora dell’impotenza di tutti, intellettuali inclusi, di fronte al disastro di una democrazia ormai preda della politica-intrattenimento e di un governo in puro stile «fast-food», ma con i suoi bravi meccanismi di offuscamento e accecamento. Un collage di suoni, testo ed immagini in un vortice di fantasia e ritmo forsennato. E il pubblico zurighese gradisce, anche grazie alle opportune scelte registiche di Stefan Pucher che, sempre mantenendo la struttura frammentata e ironica del testo, si avvale della strabiliante scenografia di Barbara Ehnes, dei costumi e dei burattini di Annabelle Witt e del video design di Chris Kondek. Resta ancora da dire delle musiche eseguite in scena pure da due donne: Réka Csiszer e Becky Lee Walters. Battimani interminabili per tutto il team e per le sei arcibrave, straordinarie attrici Sandra Gerling, Henrike Johanna Jörissen, Julia Kreusch, Miriam Maertens, Isabelle Menke ed Elisa Plüss. Si replica fino al 26 aprile 2018.
Magico Mehldau Jazz Splendido
concerto in chiusura del festival di Chiasso
In un recensione a concerto tenuto nel 2003 da Brad Mehldau con il suo «storico» trio al Cittadella di Lugano, ci era capitato di annotare come la strabiliante preparazione tecnica del pianista lo facesse somigliare in tutto e per tutto a un computer. Perfetto e implacabile, preciso come un sequenzer elettronico, il pianista americano continua a stupire il pubblico con una capacità musicale che pare sovrumana. «È il secondo più bravo al mondo» commentava parlando con gli amici un signore seduto vicino a noi, nei posti in balconata del Teatro di Chiasso, due domeniche fa. Stilare classifiche, in questi casi, è un gioco difficile. Anche perché onestamente non abbiamo capito chi fosse il primo (Keith Jarret? Herbie Hancock? Chic Corea? Hiromi? Fred Hersch?). Senza dubbio Mehldau, con la sua algida e classicissima compostezza non somiglia a nessuno di loro. Non è paragonabile. La metafora informatica per descrivere lo stile che lo caratterizza non è azzardata. Il pianista sembra possedere una capacità razionalissima e selettiva di ordinare nella sua testa nientemeno del repertorio musicale «globale», da Bach ai Nirvana e oltre. Ciò gli permette di contare su un repertorio sterminato su cui interviene «per distillazione». Come se scegliesse di ogni brano un certo numero di note che gli interessano e se le palleggiasse tra le mani, ora sul registro alto della tastiera ora su quello medio e basso, in un alternanza di virtuosismo indiscutibile ma non funambolico. Il senso della misura (implacabile) gli impedisce fughe precipitose sui tasti. L’interpretazione di Mehldau è riflessiva e intensa, non vorticosa. Insistente, a tratti, quando esplora le possibilità armoniche di un arpeggio ripetuto all’infinito a centro tastiera, mentre con l’altra mano punteggia con note «ben scelte» dalla melodia la sua improvvisazione. Non che il suo rimanga un lavoro astratto. Quando attacca a swingare Mehldau è irrefrenabile, da far rizzare i capelli. Ma il ragazzo sembra proprio che lo voglia evitare: rimane più attento alla selezione verticale delle note che a quella orizzontale del fraseggio. Detto questo, il piacere del suo concerto sta tutto nella riconoscibilità dei temi: cosa che gli guadagna non poca gratitudine da parte degli appassionati. Quando suona Misty, Lover man, The song is you, si riconoscono senza problemi. In questo, il suo gioco è classicamente jazzistico, pura prassi esecutiva, da Fats Waller in poi. Noi strabiliamo e ci emozioniamo però quando Mehldau attacca senza avvertirci In a Gadda da Vida degli Iron Butterfly, o, meraviglia delle meraviglie, Hey Joe di Jimi Hendrix. Solo lui può farlo, solo lui lo fa. Allora perché soltanto «il secondo»? /AZ
È nato nel 1970. (bradmehldau.com )
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 marzo 2018 • N. 12
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Cultura e Spettacoli Rubriche
In fin della fiera di Bruno Gambarotta Tu chiamale, se vuoi, emozioni Credevo di essere refrattario alle emozioni, così tanto che per una lunga stagione della vita mi sono sentito costretto in qualche caso a simularle per adeguarmi al comportamento di chi mi stava accanto. Fabio Fazio mi invitava talvolta come ospite nel suo programma Quelli che il calcio..., in qualità di tifoso del Torino, che in effetti è la mia squadra del cuore, fin da quando ero un bambino. Com’è noto, è possibile cambiare religione, moglie, partito, solo la squadra è per sempre. Ebbene ogni volta mi arrivavano dalla regia rabbiose sollecitazioni a manifestare smisurata gioia o profonda disperazione in caso di goal fatti o subiti, mentre la mia indole sarebbe stata quella di registrare la notizia con marmorea impassibilità. Ebbene, mi sono ricreduto quando ho scoperto in edicola l’Atlante delle emozioni umane di Tiffany Watt Smith; sono 156 in ordine alfabetico, alcune addirittura senza un corrispondente termine italiano. L’ho divorato con trepidazione nella speranza di trovarne qualcuna nella quale
potermi riconoscere e fugare il dubbio di non essere normale. La notizia che farà piacere a molti lettori è che mi sono specchiato in un discreto numero di emozioni. Ne cito qualcuna in ordine sparso. Il «Sentirsi sommerso» dalla quantità di informazioni; l’estate scorsa a Santa Margherita Ligure ho invidiato un signore che all’edicola ha chiesto di comprare «un quotidiano che per quel giorno non avesse supplementi». Vorrei essere anch’io capace di un simile gesto, così da non sentirmi in colpa quando butto nella raccolta differenziata un supplemento senza averlo letto. Pensavo che l’alluvione di carta stampata fosse un portato dei tempi moderni, ma l’autrice dell’Atlante mi smentisce citando una frase di Samuel Johnson (1709-1784): «Forse gli scrittori si moltiplicheranno fino a quando non esisteranno più i lettori». Prima ancora di lui Erasmo da Rotterdam (1466-1536): «Esiste forse un posto al mondo che sia immune da questi sciami di nuovi libri?». La «Paranoia» è l’emozione provata quando nutriamo
sospetti su quali siano le reali intenzioni degli altri: non è per caso che Milano, dopo aver tentato lo scippo del Salone del Libro di Torino, vuole adesso usarci come schermo per ottenere le olimpiadi invernali? Il «Furore da imballaggio» è quando non riesco a togliere il cellophane dalle scatole dei surgelati o dai cd. La giapponese «Ijrashii» è la commozione provata nel vedere che qualcuno, partendo svantaggiato, riesce a compiere un’impresa contro ogni aspettativa. Speculare a quest’ultimo, la tedesca «Schadenfreude», la gioia maligna provocata dalla sconfitta di politici che detesto o nell’assistere alla punizione di chi fa il furbo, come vedere i controllori multare chi viaggia a sbafo sul tram. Molti di noi praticano «L’impulso all’Accumulo», dei vecchi dischi, dei fumetti, dei quaderni di scuola, delle vecchie agende, dei verbali delle multe. Con il suo contraltare: mi decido dopo infinite sollecitazioni dei famigliari a svuotare un cassetto, salvo scoprire il giorno dopo che ho buttato via, nel furore liberatorio, le ricevute di
pagamento dei contributi della colf che potevo detrarre dalle tasse. Il «Sollievo» è l’emozione provata alla vista di uno scampato pericolo, nel mio caso scoprire che non mi hanno ancora rubato la nuova bicicletta (protetta da due micidiali antifurto). La «Fiducia in se stessi» consiste nell’avere fede nelle proprie capacità, con il corollario di un’esortazione: «Fingi finché non ci riesci». Per quello che mi riguarda, compiere le seguenti azioni mentre mi sento osservato: stappare una bottiglia di vino tenendola stretta fra le ginocchia, friggere una frittata senza farla bruciare, rimettere insieme i pezzi del cellulare caduto a terra. Ci sono emozioni che ignoravo finché non le ho trovate sull’atlante. La tailandese «Greng Jai» è la riluttanza provata nell’accettare l’offerta di aiuto da parte di qualcuno per il disagio provato, come quella volta che sono caduto lungo disteso dopo essere inciampato nella lastra sporgente del marciapiede. Si è fermato un tram, metà dei passeggeri sono scesi per farmi rialzare e l’altra metà ha fotografato la
scena per metterla in rete e diffonderla nell’orbe terraqueo. Mi specchio nella finlandese «Kaukokaipuu» che, come tutti sanno, è la nostalgia per un posto in cui non siamo mai stati. La provo per San Pietroburgo leggendo i libri di Jan Brokken e le opere di Iosif Brodskij. Condivido con gli Inuit la «Iktsuarpok», letteralmente «lo scrutare le distese di ghiaccio per avvistare la slitta in arriva con gli ospiti» e per quanto mi riguarda, essendo in attesa di una telefonata, controllare di continuo se l’apparecchio funziona. Dal Giappone prendo volentieri la «Mono no aware», la tristezza e la serenità che derivano dall’ammissione dell’inevitabilità di un cambiamento, il lutto preventivo al pensiero di perdite future. Infine la più importante, la «Gratitudine», che consiste nello riuscire sempre a «considerarsi fortunati», essere contenti di quello che già abbiamo, sconfiggendo le tentazioni consumistiche. Per farlo è sufficiente guardarsi attorno e il consiglio da seguire è compilare ogni giorno «un diario della Gratitudine».
il 21, quando la vecchia festa di San Benedetto non troverà alcuna rondine sotto il tetto, e comunque non ci sarà bisogno della sapienza di Aristotele per dire che «una rondine non fa primavera»: non ci saranno ancora rondini (il proverbio è proprio trascritto in una delle sue Etiche, per dire che non basta che un atto sia compiuto una volta perché diventi un ethos, un abito o costume o consuetudine). Tra crisi di malinconia, scuotimenti di testa, malumori da dolori articolari, non resta che cercare altri elementi positivi. Egoisticamente, posso dire per esempio di provare soddisfazione per la durata del brutto tempo: con i saldi avevo comprato una borsa di pelo, aggiungiamo poi che un’amica mi aveva regalato per il compleanno un cappotto vintage pesantissimo, se fosse arrivata subito la primavera come avrei potuto sfruttare i nuovi acquisti? Ma capisco che siano pensieri poco consolanti, soprattutto per chi non gode né della borsa pelosa né del cappottone antigelo. Proviamo
con qualcosa d’altro: quando due giorni fa per qualche ora è spuntato un bel sole degno di aprile, bisognava vedere la felicità nei volti e nelle email. Il godimento della bella giornata è stato molto più intenso grazie alle piogge precedenti e, ahimé, seguenti. Un’intuizione che fu già di Socrate, come leggiamo nel Fedone: l’anziano filosofo, prigioniero e in attesa della condanna a morte, è tenuto incatenato come un criminale comune. Poco prima di fargli bere la cicuta, i carcerieri gli tolgono le catene, che evidentemente stringevano la caviglia del prigioniero. Grande è il sollievo, «quanto è mai strano questo che gli uomini chiamano piacere e in quale straordinaria maniera si comporta verso quello che pare il suo contrario, il dolore!». Sono come due che non vogliono mai stare insieme, eppure se prendi uno sei costretto a prendere anche l’altro, se godi del piacere soffrirai per la sua fine o per la sua vanità, se soffri a causa del dolore, godrai anche solo del suo attutirsi o del suo scomparire.
Piacere e dolore non vogliono fare pace, il dio avrebbe legato i loro estremi a un solo capo e, «così, dove compare l’uno, subito dopo segue anche l’altro». Non va bene abituarsi ai giorni di sole, se ne gode di più quando se ne è sofferta la mancanza. È esperienza quotidiana: attesa, delusione, carenza, sono tutte realtà che fanno molto più apprezzare ciò che manca. Ovviamente non può nemmeno diventare una fissazione, come aveva un’amica con cui andavo a camminare in montagna. Il pranzo va guadagnato, diceva, nemmeno un sorso d’acqua o un morso al panino finché non si è abbastanza faticato. I panini venivano certo goduti, ma le ore precedenti sapevano più di esercitazione che di scampagnata. E poi, perché si deve soffrire per godere? Non è meglio pensare ai prati che saranno più verdi, al grano che crescerà, all’umidità che fa arricciare vieppiù i bei capelli ricci, all’estate che forse non sarà torrida, alla favola bella che ieri m’illuse, che oggi t’illude, o Ermione?
Parise, hanno sempre chiamato Dudù: «La creazione nasce dalla forza dell’immaginazione e crea chiare immagini significanti, fantastiche metafore conoscitive, invenzioni verbali illuminanti, un suo proprio linguaggio. La cattiva letteratura rassomiglia alla buona come l’ottone rassomiglia all’oro…». Bello, no? Bello. Quando pensa al suo modo di scrivere, La Capria immagina lo stile dell’anatra, che vediamo nuotare leggera sull’acqua ma ottiene quella leggerezza muovendo instancabilmente sott’acqua le zampette palmate. Anche la vecchiaia non è più quella di una volta? Ascoltando quel che ne dice La Capria, la vecchiaia purtroppo è sempre uguale, e non è facile viverla con la leggerezza dell’anatra: «L’idea della morte diventa sempre meno astratta e a volte si tiene vicina e ti fa compagnia come una gatta. L’idea della morte ti accompagna insieme a quella delle persone care, che ci hanno voluto bene e che hai amato. Unito a loro il pensiero della
morte diviene più familiare, lo accetti. Insomma ho un’accettazione vitale della vecchiaia». Quella che aveva Gillo Dorfles, il critico d’arte, pittore, filosofo morto a Milano il 2 marzo scorso, poco prima di compiere 108 anni (che diviso il voto, 6, fa 18, l’età in cui Gillo ballava a Trieste in casa di Italo Svevo). Il segreto della vita, per Dorfles, era semplice: dormire, lavorare, mangiare, svegliarsi. Soprattutto svegliarsi, naturalmente. Non ci si sveglia più come una volta. Perché la prima cosa che si fa al risveglio, ancor prima di fare pipì e di bere il caffè, è correre a guardare le email, i WhatsApp, i social. «Non mi piace ricordare il passato, preferisco ricordare il presente e vorrei tanto ricordare il futuro, ovviamente», diceva Gillo. In effetti, la longevità si può anche misurare dalla capacità di ricordare il futuro, cioè di arrivare un giorno a ricordare ciò che oggi è futuro. Anche il futuro non è più quello di una volta. È appena uscito per l’editore Cor-
tina un libro del filosofo francese Edgar Morin, classe 1921. Titolo Conoscenza ignoranza mistero, è uno straordinario libriccino che ci riporta al senso e alla radice della vita, con pagine da incorniciare (6). «La coscienza – scrive Morin – dovrebbe essere l’avvenire dell’umanità». La trinità Scienza-Tecnica-Economia è il motore che spinge il vascello Terra verso il futuro: quale futuro? Da una parte verso il disastro dell’ambiente, la crescita delle armi nucleari, il degrado della speculazione finanziaria e le disuguaglianze, la deriva delle chiusure etniche, dei rancori e delle frustrazioni di intere popolazioni povere. D’altra parte quella stessa trinità ci conduce verso risultati impensabili sul piano della medicina, al punto che forse arriveremo a essere immortali (o meglio amortali) e i robot ci permetteranno di liberarci del lavoro. Saremo post-umani: cioè non saremo più quelli di una volta. Più felici? Inutile chiederselo. Anche la felicità probabilmente non sarà più quella di una volta.
Postille filosofiche di Maria Bettetini Piacere e dolore non fanno pace Gli umori sono pessimi. Eppure ci sarebbe da essere anche contenti: l’uomo con i capelli a lunga spazzola ha detto che almeno per un po’ interromperà gli esperimenti nucleari; le paralimpiadi sono un segno di grande civiltà globale; la futura principessa Meghan è proprio carina e Melania sta punendo il marito traditore con silenzi e musi lunghi, applaudita dalle femmine di mezzo mondo. Ma gli sguardi sono torvi, o almeno tristi, i sorrisi di convenienza. Che cosa succede? Presto detto: piove. E non solo su «le tamerici salmastre ed arse», non solo «su i pini, scagliosi ed irti», «su i mirti divini, su le ginestre fulgenti di fiori accolti, su i ginepri folti di coccole aulenti». Fosse così, pazienza, l’acqua fa bene al bosco. E non avrà fatto male a Gabriele D’Annunzio e a Eleonora Duse, usciti a passeggio nella pineta toscana e sorpresi, forse era il 1902, da un temporale. I volti silvani, le mani ignude, i vestimenti leggieri, «i freschi pensieri che l’anima schiude novella» volentieri
si lasciano impregnare di pioggia, fino a portare i due amanti a identificarsi con la natura, «una favola bella che ieri t’illuse, che oggi m’illude, o Ermione». Il dolce soprannome di Eleonora è in verità il nome di un personaggio mitologico sanguinario come tutti quelli legati al ciclo della guerra di Troia. Ermione è la bella figlia di Menelao ed Elena, sposata a Neottolemo figlio di Achille. Quando però Neottolemo accoglie tra le schiave e amanti anche la prigioniera Andromaca, vedova di Ettore, Ermione non la può sopportare e uccide direttamente il marito, con l’aiuto di un altro figliolo dal coltello facile, Oreste matricida, figlio di Agamennone e Clitennestra, suo cugino e poi sposo. Ma abbandoniamo i miti, rimandando all’Ovidio delle Lettere di Eroine per trovare la richiesta di aiuto di Ermione a Oreste, abbandoniamo Eleonora Duse e la pineta, torniamo alle nostre giornate uggiose. Piove e pioverà, le previsioni crudeli sostengono nubi e diluvi fino alla fine del mese, anche dopo
Voti d’aria di Paolo Di Stefano La fortuna di ricordare il futuro Si dice che la cultura non è più quella di una volta. Neanche le stagioni sono quelle di una volta, il tempo meteo non assomiglia a quello degli anni Cinquanta, e neanche la famiglia; i figli e i padri non ne parliamo, i maestri e gli allievi sono molto cambiati, la scuola del Duemila non è più quella di De Amicis e di Pestalozzi, i giornali sono stravolti e il mondo in generale non è il mondo di un secolo fa o di mezzo secolo fa o di trent’anni fa. Non ci sono più la macchina da scrivere e la carta carbone, sono spariti i gettoni telefonici e anche le cabine, i bambini non portano più la banana in testa, gli uomini non girano più con il borsetto sottobraccio e nemmeno con l’autoradio estraibile in mano, il gel ha sostituito la brillantina e il bocchino è un oggetto d’altri tempi, il pennino e la stilografica sono cimeli per collezionisti, è quasi sparito il francobollo, un tempo si poteva fumare al cinema, a scuola, nei bar e persino in ospedale. Francesco Guccini, che non è più quello della Locomotiva (6), ha scritto qualche
anno fa un paio di dizionari delle cose perdute (5- di stima) scavando nei bauli della memoria. Anche i bauli, ovviamente, non sono più quelli di una volta e tanto meno la memoria degli esseri umani, sconvolta dalla memoria digitale. Per lo scrittore napoletano Raffaele La Capria (5½), che ha compiuto 95 anni in ottobre: «Senza memoria non siamo niente. Se non so chi sono stato non posso capire chi sono». E la letteratura? «La letteratura – dice La Capria – è la memoria delle nostre emozioni». Una bellissima definizione consegnata al numero 303 de «l’immaginazione», il mensile dell’editore Manni di Lecce fondato e diretto nel 1984 da Anna Grazia Doria. Anche le riviste non sono più quelle di una volta, ma alcune rimangono quel che erano, e tra queste c’è «l’immaginazione» (6-). Dove si possono leggere vere e proprie recensioni critiche (le recensioni sui giornali, ovvio, non sono più quelle di una volta), saggi, interviste. Come quella a La Capria, che gli amici, da Moravia a
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 marzo 2018 • N. 12
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Idee e acquisti per la settimana
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shopping
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Le colombe regionali
Attualità Le squisite colombe provenienti dalla Svizzera italiana non possono mancare sulla tavola di Pasqua.
Una di queste è prodotta dalla Panetteria-Pasticceria Poncini di Maggia
La domenica di Pasqua volete stupire i vostri ospiti con una specialità tipicamente locale? Allora non potete rinunciare alle colombe sfornate da alcuni piccoli produttori della Svizzera italiana: sono disponibili sugli scaffali dei maggiori supermercati di Migros Ticino. Tra i vari tipi di colombe, segnaliamo ad esempio quella firmata Poncini, azienda famigliare fondata a Maggia oltre un secolo fa e oggi gestita alla quarta generazione da Luca Poncini. «Mio bisnonno Augusto aprì la panetteria-pasticceria nel lontano 1904», spiega Luca, «ed è poi passata successivamente a nonno Plinio e a mio padre Sandro. Nel 1985 sono subentrato io alla gestione, apportando importanti ammodernamenti alle infrastrutture che si sono poi susseguiti regolarmente negli anni». Il laboratorio valmaggese negli ultimi quarant’anni ha saputo distinguersi per i suoi prodotti artigianali realizzati in occasione delle festività più importanti dell’anno, tanto che specialità sfornate da Luca quali il panettone e la colomba sono apprezzate ben oltre i confini cantonali: «La colomba è sicuramente uno dei nostri cavalli di battaglia. Per produrre un dolce di qualità ineccepibile ci vuole molto impegno, pazienza – ben due giorni di lavorazione – e ottimi ingredienti, come il lievito madre naturale “curato” costantemente da noi, burro genuino e tante uova che ne garantiscono una freschezza duratura». Inoltre tutti i prodotti Poncini non contengono nessun tipo di colorante né conservante. Per apprezzare fino all’ultima fetta il delicato sapore, l’intenso profumo e la tipica morbidezza della colomba Poncini, è consigliabile conservare il prodotto in un luogo fresco e al riparo della luce, portandolo a temperatura ambiente 3 ore prima del consumo.
Le altre colombe regionali: Colomba Poncini 500 g Fr. 20.–
Colomba Buletti 500 g Fr. 18.60
Colomba Buletti 1 kg Fr. 34.40
Luca Poncini all’opera.
Flavia Leuenberger Ceppi
Colomba ai marroni Cuoco 500 g Fr. 20.–
Colomba al gianduia Dolcemonaco 500 g Fr. 20.50
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Idee e acquisti per la settimana
L’insalata delle feste
Attualità Questa settimana potete approfittare di un prezzo vantaggioso sul formentino
nostrano di qualità bio
Se da noi in Ticino lo conosciamo con il nome di formentino, nella vicina Italia ha diverse denominazioni: soncino, valerianella, gallinella o anche dolcetta. Questa pianta erbacea con foglie a rosette, resistente al freddo, permette di preparare un’insalata molto apprezzata per la sua tenerezza e il delicato aroma dolce-nocciolato, soprattutto se consumata da sola. Il formentino ha molta affinità con il succo di limone e l’olio di noci, meno con l’aceto, e può essere gustato anche cotto come gli spinaci. Per un piatto ricco e gustoso, accompagnatelo con qualche gheriglio di noce, uova sode, dadini di pancetta arrostita o funghi prataioli. Il formentino nostrano bio in vendita da Migros Ticino proviene dall’Orticola Locarnini di Sementina, azienda con oltre vent’anni di esperienza nella produzione biologica. Tutti i prodotti dell’azienda sono coltivati senza l’uso di fitofarmaci e fertilizzanti artificiali, ricevono solo concimi organici e vengono impiegati sistemi naturali per combattere parassiti e malattie.
I prodotti bio sono coltivati da agricoltori in sintonia con l’ambiente, non contengono nulla se non quello offerto dalla natura e sono di qualità eccellente.
Distinzione per l’Angolo del Buongustaio
Per la tavola pasquale
Attualità Le raffinate proposte pasquali
dei banchi gastronomia Migros sono davvero irresistibili
La consegna del riconoscimento ad una delle filiali premiate: Sinisa Metikos, gerente di Migros Agno (a sinistra), riceve l’attestato da Jean-Marc Bassani, Capo Dipartimento Marketing e Vendita Migros Ticino. (Flavia Leuenberger Ceppi)
Lo scorso 5 marzo, alla Salumi del Pin SA di Mendrisio, azienda produttrice dei prelibati salumi targati Nostrani del Ticino, sono state premiate le sei filiali Migros che, nell’ambito dell’Angolo del Buongustaio, si sono maggiormente
distinte per «creatività, impatto merce, impegno e iniziativa». L’importante riconoscimento è andato ai supermercati Migros di Agno, Biasca, Serfontana, Radio, Mendrisio Sud e Grancia. Ricordiamo che l’Angolo del Buongusta-
io è lo spazio allestito all’interno delle macellerie di Migros Ticino, dedicato all’alta gastronomia, in cui i buongustai possono trovare un ventaglio di specialità appositamente selezionate dai nostri esperti.
Come consuetudine, in occasione delle festività più importanti dell’anno, i banchi gastronomia dei nostri supermercati propongono un ampio assortimento di prelibatezze particolari per mettere in risalto i momenti di festa e di buongusto. Anche a Pasqua le specialità esclusive non mancano. La scelta attuale comprende, per esempio, i vasetti misti al vitello tonnato, ai gamberetti o all’insalata russa. Per un antipasto d’effetto, l’aragosta o il salmo-
ne in bellavista sono un’ottima scelta, come pure i cubetti e gli stampini misti con pesce. Altra stuzzicante alternativa sono inoltre i vol-au-vent nei più svariati gusti. Altre golosità sono ancora la torta pasqualina, le insalate di mare oppure la finissima selezione di paté. Tutti i prodotti sono preparati artigianalmente ogni giorno da esperti gastronomi con l’utilizzo di ingredienti freschi, di qualità e comprovata provenienza.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 marzo 2018 • N. 12
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Idee e acquisti per la settimana
Il Gottardo stagionato in grotta Attualità Una vera prelibatezza per estimatori di formaggi dal sapore corposo
Azione 20% di sconto sul Gottardo Grotta Ticino, al banco al kg Fr 22.– invece di 27.50 dal 20 al 26 marzo
Sono tre gli ingredienti che servono per produrre il delizioso formaggio Gottardo Grotta: buon latte vaccino di montagna fornito da alcuni piccoli agricoltori della regione che alimentano i loro animali secondo tradizione, la sapiente maestria dei casari del Caseificio dimostrativo del Gottardo di Airolo indispensabili per la lavorazione della preziosa materia prima, e il clima particolare delle cantine a volta naturali di Rodi-Fiesso, dove le forme di formaggio maturano almeno 60 giorni prima di essere immesse sul mercato. Il risultato è un formaggio che si caratterizza per la sua pasta semidura, dal colore giallo-fiore, con tipico e piacevole sapore forte, leggermente nocciolato, conferito dalla lunga stagionatura in un ambiente esclusivo. Grazie a queste peculiarità, al Gottardo maturato in Grotta è stata assegnata la medaglia d’oro nel 2013 in occasione del concorso svizzero dei prodotti regionali. Per apprezzare al meglio le sue complesse sfumature aromatiche, si consiglia di accompagnare il formaggio con del croccante pane scuro, della marmellata di cipolle o anche del miele nostrano di castagne.
È arrivata la collezione delle Giochi e divertimento per bambini figurine Panini Russia 2018 I collezionisti delle mitiche figurine Panini sono avvertiti: da venerdì 23 marzo alla Migros sono disponibili l’album del Campionato mondiale di calcio Russia 2018 e le figurine. Il calcio d’inizio dell’attesissimo evento si terrà il 14 giugno a Mosca, con la partita RussiaArabia Saudita, mentre la finale è prevista il 15 luglio, sempre a Mosca, allo stadio Lužniki, dopo che le 32 squadre partecipanti si saranno date battaglia per la conquista del nuovo titolo mondiale detenuto dalla Germania. Per la gioia dei fan rossocrociati anche la Nazionale Svizzera sarà della partita. L’esordio dei 24 giocatori convocati è previsto il 17 giugno a Rostov contro il Brasile. Le altre squadre sfidanti dello stesso gruppo sono il Costa Rica e la Serbia. Album figurine Panini Russia 2018 Fr. 3.40 Figurine Panini Russia 2018 5 figurine Fr. 1.– Box 100 figurine Panini Russia 2018 Fr. 90.–
Sabato 24 marzo, dalle ore 11.00 alle 17.00, il prato adiacente il Centro Migros S. Antonino ospiterà una tappa del «Bimbo Fun on Tour», evento che vedrà protagonisti i bambini e le loro famiglie. Per l’occasione sono previste differenti attività gratuite molto attrattive per un divertimento a tutto tondo. Ci saranno il trucca viso e i giochi gon-
fiabili, bolle di sapone, toro meccanico, la magia e le marionette e persino il divertentissimo rullo acquatico: ovviamente sono previsti palloncini per tutti i partecipanti. Ogni bimbo riceverà inoltre un buono per gustare un delizioso gelato Lilibiggs Tobi. Segnaliamo infine che in caso di maltempo l’evento verrà annullato.
Una voce unica Noi umani ci salutiamo chiamandoci per nome. Per i delfini non è molto diverso: ogni cucciolo di tursiope sviluppa un fischio individuale che utilizza per avvicinare gli altri animali e comunicare con loro. Anche dopo decine di anni i delfini si ricordano la voce dei loro vecchi compagni di mare. Per altre meraviglie: mari.wwf.ch
Proteggiamo le meraviglie della natura.
SPINAS CIVIL VOICES
Chiamarsi con un fischio, una meraviglia dei mari
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 marzo 2018 • N. 12
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Concorso a premi
Avventure per tutta la famiglia!
«Azione» ed Europa-Park di Rust (Germania) mettono in palio 12 giornate nel parco dei divertimenti, compresi pernottamenti e colazione in uno dei cinque alberghi 4 stelle con parcheggio, e due carte giornaliere per famiglia fino a 4 persone. In più si possono vincere 200 biglietti singoli
Colpo di fortuna
Concorso
Condizioni e termini di partecipazione
Qui sopra il «Voletarium», il più grande teatro d’Europa.
Azione e Famigros estraggono a sorte 12 soggiorni da sogno per 4 persone all’Europa-Park, con pernottamento e prima colazione in un hotel tematico 4 stelle e i biglietti d’entrata al parco per 2 giorni. Ogni soggiorno ha un valore di 700 franchi. In palio ci sono anche 200 entrate singole del valore di 60 franchi ciascuna. Come si partecipa: Basta rispondere esattamente alla seguente domanda: Come si chiama il più grande teatro volante d’Europa?
La stagione estiva 2018 si apre con nuove attrazioni ed offre esperienze indimenticabili all’interno di ricercate aree tematiche. Azione ed Europa Park mettono in palio 12 soggiorni da sogno all’Europa-Park, con pernottamento e prima colazione in un hotel a tema 4 stelle e i biglietti d’entrata al parco per 2 giorni. Ogni soggiorno è valido per un massimo di 4 persone e ha un valore di 700 franchi. Saranno estratte a sorte anche 200 entrate singole del valore di 60 franchi ciascuna. Ci sarà molto da scoprire: Jim Bottone e Luca il macchinista accompagneranno il visitatori in un viaggio avventuroso a bordo della loro locomotiva Emma. Rifacendosi all’attuale adattamento cinematografico del racconto per bambini di Michael Ende,
l’isola di Coloropoli potrà essere vissuta in prima persona all’Europa-Park. Un’altra esperienza eccitante per tutta la famiglia è il «Voletarium»: il più grande teatro volante d’Europa. Su gigantesche cabine sospese scivolerete attraverso famosi paesaggi e città del nostro continente. La brezza che vi accarezza il volto e i profumi caratteristici delle varie regioni vi daranno la sensazione di volare. In seguito Schellen Ursli vi inviterà a fare un giro su un ottovolante molto particolare tra le montagne dell’Engadina: con l’aiuto di occhiali speciali, davanti ai vostri occhi si materializzeranno delle realtà digitali, mentre percepirete il vento e i movimenti come in una corsa reale. Anche in questa nuova stagione c’è molto da scoprire a proposito di
Paddington, il simpatico personaggio amato dai bambini. Il grazioso orsacchiotto accoglie e intrattiene i visitatori come protagonista principale di un nuovo spettacolo sul ghiaccio. La rappresentazione di mezzora, vivacissima e interattiva, si svolge nel quartiere greco ed è garanzia di divertimento. Complessivamente, l’EuropaPark propone ogni giorno ai visitatori oltre 23 ore di spettacoli d’intrattenimento. Dopo aver trascorso nel parco una giornata entusiasmante vi aspettano un’infinità di ristoranti con un’offerta gastronomica eccezionale. E nei cinque alberghi a tema anche la notte diventa un’avventura: che si pernotti nel Colosseo romano o in un castello portoghese oppure in un faro americano... ognuno trova la pro-
pria dimensione. Chi invece preferisce qualcosa di più avventuroso, nel Camp Resort può trascorrere la notte una tenda indiana, in un carro coperto o nella capanna-dormitorio. A proposito: arrivando all’Europa-Park si passa davanti al nuovo hotel tematico, il «Krønasår», e al gigantesco cantiere del nuovo parco acquatico «Rulantica», che sarà inaugurato nel 2019. Date di apertura
Durante la stagione estiva 2018, l’Europa-Park è aperto ogni giorno dal 24 marzo al 4 novembre, dalle 9 alle 18 (orario prolungato durante l’alta stagione). Infoline CH: 0848 37 37 37. Per maggiori informazioni: www.europapark.com
Modalità di partecipazione: Per telefono: chiama il numero 0901 560 019 (1 fr./chiamata) e comunica la tua risposta, assieme a nome e indirizzo. SMS: invia un SMS al numero 920 (1 fr./SMS) con la parola VINCERE, la risposta, il tuo nome e indirizzo. Per esempio: VINCERE, la risposta, Maria Rossi, Via Maestra 1, 9999 località Cartolina postale: invia una cartolina (posta A) con la risposta, nome e indirizzo a Migros-Magazin/ Azione, «Europa-Park», Casella postale, 8099 Zurigo Online: www.azione.ch/concorsi Temine d’invio: 25 marzo 2018. I vincitori saranno informati per iscritto. Il soggiorno premio non è valido per i mesi di agosto e ottobre. I premi non saranno corrisposti in denaro. Si esclude il ricorso alle vie legali. Non si tiene alcuna corrispondenza inerente al sorteggio. I collaboratori della stampa Migros non possono partecipare al concorso. Eventuali partecipazioni multiple non sono consentite e saranno invalidate. I premi non riscossi dai vincitori entro tre mesi dall’estrazione scadono senza possibilità di sostituzione.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 marzo 2018 • N. 12
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Idee e acquisti per la settimana
Mondo animale
Le migliori cure per i denti dei cani Completamente normale per gli esseri umani, vale anche per una buona qualità di vita del cane: la cura dei denti. Il veterinario Gottfried Morgenegg spiega come riconoscere i denti con problemi e i motivi per cui anche i cani dovrebbero avere uno spazzolino da denti sso i redazione pre d a ri ta re g e s ), ler (43 Nicolette Trind esi) s, e Vegas (9 m ro ig M a p m ta s la
Perché è importate curare i denti dei cani? Il mio cane
Di corsa oltre la siepe «Vegas è un davvero una piccola peste. Dopo aver passeggiato per almeno una decina di volte nello stesso luogo, ho provato a lasciare il cucciolo libero, senza guinzaglio. Era la prima volta, che errore! È entrato di corsa in un giardino e attraverso una finestra aperta è balzato in un appartamento. Per me è stato imbarazzante, ma per fortuna chi ci abitava l’ha presa sportivamente. Da quattro mesi Vegas vive con me, il mio amico e l’altro nostro cane, Tyson, che ha già 17 anni. Per fortuna se la intende bene con il nuovo arrivato. Sono entrambi trovatelli, giunti a noi tramite la protezione animali. I miei cani significano tutto per me. Sono amici per la vita. E per me è importante poter andare tutti i giorni a passeggiare con loro per due ore. Dopo l’incidente della finestra porto ancora Vegas in quel luogo, comunque rigorosamente al guinzaglio.»
Analogamente a quanto succede agli esseri umani, anche nei cani i denti, le gengive e il tessuto parodontale si ammalano, se non vengono curati. Contrariamente all’uomo, per il cane la carie non è un grosso problema, ma lo sono le malattie delle gengive e del parodonto. Se non trattati, possono portare alla perdita di massa ossea dentale. Per giungere fino a quel punto, il processo è molto doloroso. Quali le giuste cure dentali per il cane?
La cosa migliore è lavargli i denti con lo spazzolino. Per farlo si deve prestare attenzione a due punti: lo spazzolino deve essere morbido o molto morbido, con setole arrotondate. Attenzione perché le setole più a buon mercato sono solitamente tagliate. Inoltre, il dentifricio non deve contenere fluoro. Il fluoro in realtà andrebbe bene per i denti del cane, ma non se lo ingoiano. Gli appositi bastoncini e le ossa da masticare, le soluzioni di risciacquo, eccetera possono completare la cura. Come si riconoscono i denti problematici di un cane?
La corona del dente deve essere intatta, quindi senza punti di rottura, e le gen-
Gottfried Morgenegg è veterinario, specializzato in medicina dentaria.
give rosate. Se le radici sono visibili o l’alito è cattivo, bisogna agire. Perché solo una bocca malata puzza. Ho sviluppato un’App gratuita * per accompagnare i proprietari dei cani durante un breve controllo. Quando bisogna portare il proprio cane da un dentista per animali?
Per una semplice pulizia dei denti si può andare dal veterinario. Per esami più dettagliati, che richiedono valutazioni più complesse e radiografie dentali, è necessario consultare uno specialista: per esempio nel caso di trattamenti ortodontici o alle radici. * Download da http://scoring.evds.org
I denti dei cani rispetto a quelli dell’uomo L’uomo deve unicamente morsicare e masticare. Il cane invece deve catturare la preda, addentarla attraverso pelo e pelle, rompere le ossa. I denti si sono adattati a questi compiti. I denti dei cani hanno radici più lunghe e forti. Lo smalto è invece molto sottile.
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20% Tutto l’assortimento di sottaceti e di antipasti Condy per es. cetrioli alle erbe aromatiche, 270 g, 1.50 invece di 1.90
conf. da 2
20%
17.60 invece di 22.– Nescafé Gold De Luxe e Finesse in conf. da 2 in bustine, 2 x 180 g, per es. De Luxe
20x PUNTI
Tutti i prodotti di Pasqua Smarties per es. uovo di Pasqua con Smarties, 50 g, 1.75
20% Tutto l’assortimento Kellogg’s per es. Special K Classic, 500 g, 3.85 invece di 4.85
20x PUNTI
35%
25.90 invece di 40.80 Red Bull in conf. da 24, 24 x 250 ml standard o sugarfree, per es. standard
OFFERTE VALIDE SOLO DAL 20.3 AL 26.3.2018, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
5.60
Coniglio di Pasqua Celebrations oppure uovo di Pasqua M&M’s & Friends per es. coniglio di Pasqua Celebrations, 215 g
20% Tutto l’assortimento di bevande da aperitivo (birra analcolica esclusa), per es. Tonic Water, 6 x 50 cl, 5.25 invece di 6.60
20% Gran Pavesi in confezioni speciali e multiple per es. cracker salati, 560 g, 5.25 invece di 6.60
50% Tutti i tipi di acqua minerale Aquella in conf. da 6, 6 x 1,5 l (Aquella Taste esclusa), per es. con poca anidride carbonica, 1.65 invece di 3.30
a partire da 2 pezzi
20%
Tutte le conserve di tonno M-Classic, MSC a partire da 2 pezzi, 20% di riduzione
conf. da 2
20% Maionese, Thomynaise e senape dolce Thomy in conf. da 2 per es. senape dolce, 2 x 200 g, 2.70 invece di 3.40
conf. da 3
15% Detersivo per i piatti Handy in confezioni multiple per es. Power Orange in conf. da 3, 3 x 500 ml, 6.10 invece di 7.20, offerta valida fino al 2.4.2018
conf. da 2
a partire da 2 pezzi
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Altre offerte. Pesce, carne e pollame
Panino ticinese e panino ticinese di sils TerraSuisse, per es. panino ticinese, 90 g, –.80 invece di 1.– 20% Baguette cotta su pietra, 260 g, –.40 di riduzione, 2.10 invece di 2.50
Fiori e piante Cordon bleu di pollo Don Pollo, prodotto in Svizzera con carne di pollo dall’Argentina/Brasile/Ungheria, in conf. da ca. 300 g, al kg, 16.– invece di 21.90 25% Foie gras Delpeyrat, Francia, blocco da 160 g, 17.– invece di 24.50 30% Cervelas TerraSuisse, Svizzera, in conf. da 3 x 2 pezzi / 600 g, 4.20 invece di 7.05 40%
a partire da 2 pezzi
50%
Racks d’agnello, Australia / Nuova Zelanda, al banco a servizio, per 100 g, 4.40 invece di 5.50 20%
Tartare Finest con salsa, surgelata, 285 g, 9.65 invece di 12.10 20% ** Tartare Finest speziata, surgelata, 4 x 70 g, 11.25 invece di 14.10 20% ** Gamberetti Butterfly Costa, ASC, surgelati, 250 g, 9.35 invece di 11.70 20% **
Near Food/Non Food
Phalaenopsis, 3 steli, decorata, in vaso di ceramica da 12 cm, disponibile in diversi colori, il pezzo, per es. gialla, 23.90 invece di 29.90 20% **
Altri alimenti
Pane e latticini
Body per bebè in conf. da 2, disponibile in diversi colori e misure, per es. giallo, tg. 62/68, 14.90 Hit ** Tutto l’assortimento di alimenti per cani, non refrigerati, a partire da 2 pezzi 20%
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12.90
Calzini da uomo John Adams in conf. da 5 disponibili in nero o antracite, numeri 39–42 o 43–46, per es. neri, numeri 43–46, offerta valida fino al 2.4.2018
Pain Sarment in conf. da 3, TerraSuisse, 6 pezzi, 3 x 300 g, 6.95 invece di 8.70 20%
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Calzini da donna Ellen Amber in conf. da 3 disponibili in grigio o nero, numeri 35–38 o 39–42, per es. neri, numeri 35–38, offerta valida fino al 2.4.2018
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Detersivi Elan a partire da 2 pezzi, 50% di riduzione, offerta valida fino al 2.4.2018
Prodotti Cornatur in conf. da 2, per es. fettine di quorn al pepe e al limone, 2 x 220 g, 8.80 invece di 11.– 20% Berliner alla crema, 2 pezzi / 200 g, 2.40 invece di 3.– 20%
Tutte le salse liquide e in bustina Bon Chef, a partire da 2 pezzi 20% Biscotti Rocher o Carré ChocMidor in conf. da 3, per es. Carré, 3 x 100 g, 6.20 invece di 9.30 33% Capesante alla bretone Pelican, MSC, surgelate, 2 x 110 g, 5.40 invece di 6.80 20% ** Lumache alla borgognona Pelican, surgelate, 89 g, 5.25 invece di 6.60 20% ** Gianduiotto classico Pernigotti, 150 g, 3.90 invece di 4.90 20%
Colomba S. Antonio in scatola, 500 g e 1 kg, per es. 500 g, 6.– invece di 7.50 20%
Fazzoletti di carta in scatola quadrata Linsoft, il pezzo, 1.90 Novità **
Shampoo Coco Water Fructis, 250 ml, 3.55 Novità ** Prodotti per la cura dei capelli Elseve Total Repair 5, per es. shampoo, 250 ml, 3.55 Novità ** Manhattan Insta Range, per es. Strobe & Highlight, 25 ml, 9.50 Novità **
20x PUNTI
Menu con ravioli all’aglio orsino Anna’s Best Vegi, 400 g, 7.80 Novità ** Salsa allo yogurt e alla menta M-Classic, 250 ml, 2.90 Novità **
Gratin Dauphinois in conf. da 3, 3 x 750 g, 9.20 invece di 13.20 30% Tutte le tortine pasquali, 2 pezzi (Sélection escluse), per es. con cioccolato, 2 x 75 g, 2.05 invece di 2.60 20%
Perle da bagno «Seele baumeln lassen» Kneipp, menta acquatica / yuzu, 150 g, 4.50 Novità **
Colovista L’Oréal, Washout #burgundy, Spray #grey ed Effect Brunette, per es. Spray #grey, 75 ml, 11.50 Novità **
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Tutto l’assortimento Handymatic Supreme (sale rigeneratore escluso), a partire da 2 pezzi, 50% di riduzione
Prodotti per la doccia «Sei frei, verrückt und glücklich» Kneipp, quadrifoglio/arancia, 200 ml, 5.50 Novità **
Bull’s Eye Steakhouse Sauce, 235 ml, 3.60 Novità ** Pane del montanaro, cotto su pietra, 250 g, 2.10 Novità ** Sacchetti profumati Migros Fresh in conf. da 3, Sensual Flower o Blue Fresh, 5.50 Novità ** Ricarica Orange Blossom per Automatic Perfumer Migros Fresh, 30 ml, 4.90 Novità **
Heinz American Steak Sauce, 220 ml, 2.95 Novità ** Olio all’aglio orsino bio, 25 cl, 8.40 Novità ** Crostini all’aglio orsino, 140 g, 3.55 Novità ** Couscous bio, aha!, senza glutine, 375 g, 2.90 Novità **
Sapone a base di olio vegetale Kneipp, cura-pelle ai fiori di mandorlo, 150 g, 4.90 Novità **
Gamberetti Cocktail Costa, ASC, surgelati, 300 g, 9.60 Novità *,**
Sapone per le mani Gioia di vivere Kneipp, busta di ricarica, 400 ml, 5.50 Novità ** Home Fragrances Kneipp, sandalo/ patchouli, il pezzo, 11.50 Novità **
I SportXX Bike I filiali Preisflyer Migros Magazin 204 x 78 mm I DU: 07.03.2018 I Erscheinung: März *InAnz vendita nelle maggiori Migros.I **Offerta valida finoI alItalienisch 2.4 Migros ITicino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 20.3 AL 26.3.2018, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
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30% Carta igienica Hakle in confezioni speciali per es. pulizia delicata, FSC, 24 rotoli, 15.85 invece di 22.65, offerta valida il 2.4.2018
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Tutte le offerte sono valide dal 13.3 al 16.4.2018, fino a esaurimento dello stock.
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Altre offerte. Pesce, carne e pollame
Panino ticinese e panino ticinese di sils TerraSuisse, per es. panino ticinese, 90 g, –.80 invece di 1.– 20% Baguette cotta su pietra, 260 g, –.40 di riduzione, 2.10 invece di 2.50
Fiori e piante Cordon bleu di pollo Don Pollo, prodotto in Svizzera con carne di pollo dall’Argentina/Brasile/Ungheria, in conf. da ca. 300 g, al kg, 16.– invece di 21.90 25% Foie gras Delpeyrat, Francia, blocco da 160 g, 17.– invece di 24.50 30% Cervelas TerraSuisse, Svizzera, in conf. da 3 x 2 pezzi / 600 g, 4.20 invece di 7.05 40%
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 marzo 2018 • N. 12
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Idee e acquisti per la settimana
Soja Mousse
Cremosità per ogni uso Dessert fruttati a strati, salse vaporose o burro alle erbe: molti classici della cucina contengono derivati del latte, come crema di formaggio, panna o burro. Un’alternativa è la Soja Mousse «aha!» di produzione svizzera. È interamente vegetale e si adatta sia alla dieta vegana che a quella priva di lattosio. Per i vegani non ci sono limitazioni nelle creazioni con la Soja Mousse che, grazie alle sue molteplici possibilità di utilizzo, conquista anche i flexitariani.
aha! Soja Mousse Nature 180 g Fr. 3.90
M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche la Soja Mousse.
Azione 20X Punti Cumulus sulla Soja Mousse dal 20 al 26 marzo
Il V-Label dell’Unione vegetariana europea (EVU) certifica prodotti adatti a un’alimentazione vegetariana o vegana. Tutti gli ingredienti e gli additivi sono vegetariani o vegani.
Il marchio aha! contraddistingue i prodotti particolarmente indicati per chi soffre di allergie o intolleranze.
Ora su iMpuls
Cucinare vegano è così facile Per molti prodotti di origine animale ci sono ottime alternative. Suggerimenti e astuzie su www.migros-impuls.ch/ alimentazione
Suggerimento
Per un veloce dessert al bicchiere: mescolare la Soja Mousse con scorza grattugiata di lime e zucchero vanigliato, nel mezzo uno strato di lamponi frullati.
Per preparare un companatico, tritare finemente le erbette aromatiche e mescolare con la Soja Mousse. Aggiustare di sale e pepe. iMpuls è l’iniziativa della Migros in favore della salute.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 marzo 2018 • N. 12
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 marzo 2018 • N. 12
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Idee e acquisti per la settimana
aha!
È permesso approfittare Migros si impegna in favore delle persone con allergie o intollerante ampliando costantemente l’assortimento «aha!». Si rinuncia all’utilizzo di glutine, frumento o lattosio ma non alla varietà e al gusto Testo Melanie Michael; Foto Yves Roth; Styling Mirjam Käser
Dalla cucina del Maghreb
Apprezzati non solo dai bambini
Novità aha! Bio Couscous senza glutine, senza frumento, 375 g* Fr. 2.90
aha! Chicken Nuggets impanati senza glutine, senza frumento, senza lattosio, senza latte 300 g* Fr. 5.10
Per saperne di più
Sviluppo per e con i clienti La collaborazione tra Migros e il Centro Allergie Svizzera aha! ha preso avvio dieci anni fa. Da allora l’assortimento Migros per persone con allergie e intolleranze riporta il marchio «aha!». I controlli dei prodotti è assicurato dall’organismo indipendente di certificazione del Centro Allergie Svizzera.
Pronti in un attimo
185 gli articoli «aha!» attualmente disponibili alla Migros, tra cui cosmetici e prodotti per la pulizia. Il più popolare è il latte UHT parzialmente scremato senza lattosio. Nel 2017 è stato venduto oltre 4,7 milioni di volte. Un ruolo di primo piano nello sviluppo dei prodotti «aha!» lo giocano i feedback dei clienti: giungono alla Migros via M-Infoline, social media o dal Centro Allergie Svizzera aha!. I clienti con intolleranza al glutine, per esempio, a lungo chiedevano un pane che non dovesse essere cotto in forno o tostato. A settembre 2017 è stato introdotto in assortimento il pane paesano, che soddisfa questi desideri.
aha! Spätzli senza glutine, senza frumento, senza lattosio 300 g* Fr. 3.90
Azione 20X Punti Cumulus su tutto l’assortimento «aha!»
Un biscotto a forma di cuore
dal 20 al 26 marzo
aha! Cookie con chia e avena senza glutine, con avena, senza frumento, senza lattosio 50 g* Fr. 2.10
Il marchio aha! contraddistingue i prodotti particolarmente indicati per chi soffre di allergie o intolleranze.
iMpuls-Consigli di lettura
Il 22 marzo è la giornata nazionale delle allergie
Per preparare panini aha! Pane paesano senza glutine, senza frumento, senza lattosio 200 g Fr. 3.30
*Nelle maggiori filiali
Una leccornia – con o senza senape aha! TerraSuisse Bratwurst di vitello senza lattosio, senza latte 280 g* Fr. 5.60
Esotica cremosità aha! Kokos Coyog Mango - Frutto della passione senza lattosio, senza latte 120 g Fr. 1.85
Apprezzato da tutti
Informazioni utili su sintomi, diagnosi e tipi di trattamenti delle allergie alimentari si trovano su www.migros-impuls.ch/aha
aha! Latte parzialmente scremato UHT senza lattosio 1 l Fr. 1.95
iMpuls è l’iniziativa della Migros in favore della salute.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 marzo 2018 • N. 12
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 marzo 2018 • N. 12
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Idee e acquisti per la settimana
aha!
È permesso approfittare Migros si impegna in favore delle persone con allergie o intollerante ampliando costantemente l’assortimento «aha!». Si rinuncia all’utilizzo di glutine, frumento o lattosio ma non alla varietà e al gusto Testo Melanie Michael; Foto Yves Roth; Styling Mirjam Käser
Dalla cucina del Maghreb
Apprezzati non solo dai bambini
Novità aha! Bio Couscous senza glutine, senza frumento, 375 g* Fr. 2.90
aha! Chicken Nuggets impanati senza glutine, senza frumento, senza lattosio, senza latte 300 g* Fr. 5.10
Per saperne di più
Sviluppo per e con i clienti La collaborazione tra Migros e il Centro Allergie Svizzera aha! ha preso avvio dieci anni fa. Da allora l’assortimento Migros per persone con allergie e intolleranze riporta il marchio «aha!». I controlli dei prodotti è assicurato dall’organismo indipendente di certificazione del Centro Allergie Svizzera.
Pronti in un attimo
185 gli articoli «aha!» attualmente disponibili alla Migros, tra cui cosmetici e prodotti per la pulizia. Il più popolare è il latte UHT parzialmente scremato senza lattosio. Nel 2017 è stato venduto oltre 4,7 milioni di volte. Un ruolo di primo piano nello sviluppo dei prodotti «aha!» lo giocano i feedback dei clienti: giungono alla Migros via M-Infoline, social media o dal Centro Allergie Svizzera aha!. I clienti con intolleranza al glutine, per esempio, a lungo chiedevano un pane che non dovesse essere cotto in forno o tostato. A settembre 2017 è stato introdotto in assortimento il pane paesano, che soddisfa questi desideri.
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Un biscotto a forma di cuore
dal 20 al 26 marzo
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Il 22 marzo è la giornata nazionale delle allergie
Per preparare panini aha! Pane paesano senza glutine, senza frumento, senza lattosio 200 g Fr. 3.30
*Nelle maggiori filiali
Una leccornia – con o senza senape aha! TerraSuisse Bratwurst di vitello senza lattosio, senza latte 280 g* Fr. 5.60
Esotica cremosità aha! Kokos Coyog Mango - Frutto della passione senza lattosio, senza latte 120 g Fr. 1.85
Apprezzato da tutti
Informazioni utili su sintomi, diagnosi e tipi di trattamenti delle allergie alimentari si trovano su www.migros-impuls.ch/aha
aha! Latte parzialmente scremato UHT senza lattosio 1 l Fr. 1.95
iMpuls è l’iniziativa della Migros in favore della salute.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 marzo 2018 • N. 12
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Idee e acquisti per la settimana
Farm Chips
Un croccante messaggero della primavera
Farm Chips all’aglio orsino 150 g Fr. 3.20 Nelle maggiori filiali
Quando nei boschi se ne sente l’odore, è di nuovo il tempo delle Farm Chips all’aglio orsino. L’erbetta primaverile speziata viene raccolta a mano e proviene dalla Svizzera, analogamente a tutti le materie prime delle Farm Chips. Le patate vengono lavorate in-
tere, con la buccia, e tagliate spesse, ciò che rende le chips particolarmente croccanti. Grazie al sapore dell’aglio orsino si prestano perfettamente per un aperitivo primaverile. Le chips all’aglio orsino sono disponibili per un breve periodo.
M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche le Farm Chips.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 marzo 2018 • N. 12
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Idee e acquisti per la settimana
aha!
Piacere naturale
Azione 20X Punti Cumulus sui prodotti «aha!» dal 20 al 26 marzo
Il marchio aha! contrassegna quei prodotti particolarmente indicati per chi soffre di allergie e intolleranze.
Solo trent’anni anni fa chi voleva evitare i prodotti a base di latte di mucca in favore di quelli vegetali era piuttosto limitato nelle scelte. Oggi, al contrario, i buongustai – indipendentemente dalle loro preferenze alimentari – non hanno che l’imbarazzo della scelta grazie all’assortimento a base di soia di aha!. Il Sojadrink è indicato sia per il caffè del mattino, sia come base per müesli, shakes e smoothies. Il prodotto Soja Cuisine, invece, conferisce ai piatti la giusta cremosità, proprio come se fossero preparati con la panna. Con la linea Soja il piacere per tutti è assicurato.
aha! Sojaline Drink Nature Bio 1 l Fr. 1.90
iMpuls è l’iniziativa della Migros in favore della salute.
aha! Sojaline Cuisine 500 ml Fr. 2.80
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