Azione 18 del 2 maggio 2017

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Cooperativa Migros Ticino

G.A.A. 6592 Sant’Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXX 2 maggio 2017

Azione 18 Ms alle hopping pag ine 41-4 8

Società e Territorio Villa Saroli ospita «Tu!», un percorso espositivo sulla diversità e l’inclusione

Ambiente e Benessere Le lesioni dell’articolazione del ginocchio e le nuove tecniche di chirurgia ortopedica

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Politica e Economia La leader dell’estrema destra Marine Le Pen è la candidata naturale di Putin e Trump

Cultura e Spettacoli Il sodalizio artistico e umano di Boetti e Salvo in mostra al MASI di Lugano

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Marka

Tutta la ricchezza delle emozioni

di Alessandra Ostini Sutto pag.6

Amletico governo di Peter Schiesser Sorpresa: il Consiglio federale non opporrà alcun controprogetto indiretto all’iniziativa RASA, che chiede di cancellare dalla Costituzione l’articolo 121a, introdotto con l’approvazione dell’iniziativa contro l’immigrazione di massa il 9 febbraio 2014. Simonetta Sommaruga ha annunciato mercoledì scorso che le due varianti messe in consultazione il 1. febbraio non raccolgono sufficienti consensi e non troverebbero una maggioranza in Parlamento. Lo ricordiamo brevemente: la prima variante prevedeva di completare l’articolo 121a con la specificazione che la gestione autonoma dell’immigrazione doveva tenere in giusto conto i trattati internazionali di importanza fondamentale per la Svizzera, come pure di stralciare la disposizione secondo cui l’iniziativa andava concretizzata entro tre anni; la seconda variante prevedeva solo lo stralcio del termine dei tre anni. La decisione di opporre un controprogetto indiretto derivava dal mal di pancia generato dal fatto che la legge di applicazione approvata dalle Camere prima di Natale non rispetta i dettami dell’iniziativa del 9 febbraio 2014 (contingenti, tetti mas-

simi di lavoratori stranieri), tantomeno risolve il dilemma giuridico generato dalla presenza nella Costituzione di due principi in contraddizione fra di loro (l’iniziativa del 9 febbraio 2014 impone di fatto una violazione degli accordi bilaterali I con l’UE, gli stessi sono però a loro volta protetti dalla Costituzione). Per cui è poco comprensibile che ora il Consiglio federale non ritenga più necessario cercare una via per ristabilire una certezza giuridica. Tuttavia, il fatto che il referendum contro la legge di applicazione dell’iniziativa sia fallito viene interpretato dal Governo come un chiaro segnale da parte della popolazione che la soluzione trovata, in fondo, va bene a (quasi) tutti. In realtà, il dietrofront del Consiglio federale non è una vera e propria sorpresa: già in febbraio si era mostrato poco compatto, addirittura il ministro dell’economia pubblica Schneider-Ammann aveva detto in un’intervista che la soluzione più elegante sarebbe che il Parlamento bocciasse il controprogetto del Governo. Non propriamente un segnale di una linea chiara e coerente da parte del Consiglio federale. A ben guardare, questa linea è mancata fin dal 9 febbraio 2014. Allora la consigliera federale Simonetta Sommaruga affermò che il dettame costituzionale introdotto con l’iniziativa andava rispettato piena-

mente e nel corso dei seguenti tre anni è più volte stato annunciato che un accordo con Bruxelles su una nuova interpretazione della libera circolazione (poiché formalmente una rinegoziazione veniva esclusa dall’UE) era ormai vicino. Vuoi per la concomitanza del voto sulla Brexit o per altro, l’accordo non è stato trovato e le castagne dal fuoco le ha cavate il Parlamento. Ora, per ottenere una chiarezza giuridica e per contrapporre un’alternativa credibile all’iniziativa RASA (nel caso non venisse ritirata), che chiarisca al contempo la direzione della politica europea elvetica, bisogna attendere che si muovano altri. Alcuni consiglieri agli Stati (il socialista bernese Stöckli, l’appenzellese liberale Caroni, il socialista zurighese Jositsch) vogliono elaborare un controprogetto, ma al momento in Parlamento non sembrano esserci i numeri. Piuttosto, chiarezza potrebbe venire presto, ma da un altro fronte: domenica l’Azione per una Svizzera neutrale e indipendente deciderà se lanciare un’iniziativa per l’abolizione della libera circolazione delle persone. Vedremo se i delegati oseranno compiere questo passo e se il testo sarà abbastanza chiaro da sgombrare il campo dalle ambiguità in cui ci troviamo oggi.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 2 maggio 2017 • N. 18

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Attualità Migros

M Sotto questo sole è bello pedalare...

Domenica 23 aprile si è svolta la settima edizione di slowUp Ticino sui 50 km di strade chiuse al traffico motorizzato fra Piazza Governo di Bellinzona e Piazza Grande di Locarno. Il sole non ha deluso le aspettative, per la felicità di oltre 35’000 partecipanti: già verso le 11 del mattino, un’ora dopo l’inizio della manifestazione, tratti di strade che attraversano il Piano di Magadino e pittoreschi passaggi quali per esempio il «Ponte Vecchio» a Giubiasco o la «stra-

dina rossa» che collega Muralto a Tenero, apparivano come fiumi in piena. Vi scorrevano ondate di pedalatori, pattinatori e podisti accomunati da sorrisi che esprimevano il piacere di esserci. Con il passare delle ore, la colonnina di mercurio è salita al punto di ispirare un gruppetto di ciclisti della domenica ad intonare la nota canzone di Francesco Baccini «… sotto questo sole bello pedalare, ma c’è da sudare…». Tutti i villaggi di slowUp attra-

versati dal tracciato si sono animati al punto da mettere a dura prova i volontari delle varie associazioni, indaffarati a servire piatti di pasta, croccanti costine e tante altre gustose pietanze. In ogni sosta, i tantissimi bambini hanno trovato da divertirsi. Castelli gonfiabili e giochi di ogni genere in molti casi, grazie agli sponsor, erano abbinati alla distribuzione di divertenti omaggi. Per rendere possibile e garantire la sicurezza in occasione di slowUp

M.Franjo

M.Franjo

Evento O ttimo successo per slowUp 2017 che ha coinvolto 35’000 appassionati della mobilità lenta

Ticino (ci permettiamo di lanciare un appello ad un maggior uso del casco protettivo da parte di ciclisti e di pattinatori), si è reso necessario un ingente dispiego di collaboratori. Un particolare ringraziamento va agli oltre 300 addetti alla sicurezza che hanno operato sul terreno durante tutta la giornata. L’appuntamento per l’ottava edizione è fissato per domenica 22 aprile 2018; nell’attesa su www.slowup.ch sono descritte le prossime 15 tappe di

slowUp in calendario da qui al 24 settembre. Un’occasione per programmare dei weekend in giro per la Svizzera all’insegna di un turismo sportivo e di una mobilità lenta che favorisce la conoscenza di luoghi e paesaggi del nostro paese.

slowUp Ticino, 23 aprile 2017

Quarantacinque Alta fedeltà Tanti sono gli anni che la mitica Gaby ha trascorso in azienda, unica donna che ha raggiunto questo

traguardo nella centrale amministrativa di Migros Ticino

Ci sono persone che chiamano regolarmente?

Luca Corti Gabriella Maggetti si definisce una persona emotiva, estroversa, solare e generosa. Dal 4 aprile del 1972 è la vedetta ufficiale di Migros Ticino: una donna che dalla sua postazione in ricezione mostra a tutti la filosofia e il DNA di un’intera cooperativa. Una donna che, oltre a rispondere al telefono, accoglie in sede indistintamente, giorno dopo giorno, con garbo ed eleganza d’altri tempi, sia collaboratori sia visitatori.

Certo che ci sono! Negli anni ho avuto degli interlocutori fissi, specialmente ex colleghi, che mi telefonavano spesso, anche solo per un saluto. Sono stati sempre molto carini, alcuni li sento ancora, mentre altri li ricordo con affetto. Quando il ristorante si trovava ancora qui in centrale ho conosciuto pure diversi clienti, che andavano a bere il caffè e mi venivano a trovare prima di andare via. Sono nate anche delle belle amicizie. Qual è la telefonata più strana che hai ricevuto?

Onestamente no. Sin dall’inizio ho pensato e creduto che la mia attività fosse variegata e stimolante, e sul posto di lavoro mi sono sempre sentita apprezzata e ben voluta da tutti. Per me è un po’ come stare in famiglia.

Cosa continua a motivarti dopo tutti questi anni?

Il continuo contatto con le persone, le sempre nuove conoscenze e non da ultimo il piacere di rientrare al lavoro

Azione

Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni

Stefano Spinelli

Nel corso di tutti questi anni hai mai pensato di cambiare lavoro?

dopo le ferie e sentirsi dire dai colleghi con un bel sorriso: «Bentornata Gaby!».

Quante chiamate ricevi al giorno?

Ormai non più molte... Il lavoro, con l’avvento della tecnologia, è radicalmente cambiato: ora ci sono le linee Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni

dirette, le email e i telefoni cellulari. Prima invece eravamo in due e sfioravamo il tetto delle 300 telefonate al giorno! In compenso ora svolgo diversi altri compiti, tra cui mi occupo di tutta la posta in entrata e uscita. Editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino Telefono 091 850 81 11 Stampa Centro Stampa Ticino SA Via Industria 6933 Muzzano Telefono 091 960 31 31

Mah… tutto sommato mi è andata piuttosto bene! Chiamate particolari devo dire di non averne fortunatamente mai ricevute. Scherzi telefonici e chiamate anonime nemmeno. Quando non sei al lavoro telefoni spesso?

Noooooooo! Diciamo che rispondo quando qualcuno mi chiama…

Nella vita privata sei stata altrettanto fedele?

Si. Posso dire di aver avuto molti Tiratura 101’614 copie Inserzioni: Migros Ticino Reparto pubblicità CH-6592 S. Antonino Tel 091 850 82 91 fax 091 850 84 00 pubblicita@migrosticino.ch

corteggiatori, ma nel cuore una sola persona… da ben quarant’anni!

Rimpianti?

Nessuno. Rifarei esattamente tutto e se dovessi scegliere ritornerei al cento per cento a lavorare qui… su questo non ho dubbi! Ho avuto e ho tuttora il piacere e l’opportunità di contribuire al successo della grande famiglia di Migros Ticino e questo mi gratifica molto.

Scheda Nome e cognome: Gabriella «Gaby» Maggetti. Professione: ricezionista-telefonista di Migros Ticino. Sede di lavoro: S. Antonino. No. parcheggio aziendale: 1. Domicilio: Brione s/M. Stato civile: nubile. Segno zodiacale: sagittario. Motto: «vivi giorno per giorno e lascia vivere». Abbonamenti e cambio indirizzi Telefono 091 850 82 31 dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@migrosticino.ch Costi di abbonamento annuo Svizzera: Fr. 48.– Estero: a partire da Fr. 70.–


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 2 maggio 2017 • N. 18

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Società e Territorio Sicurezza cibernetica Intervista a Valentina Piffaretti di MelAnI, il servizio della Confederazione che vigila su pericoli e minacce informatiche

Analfabetismo emotivo Saper riconoscere ed esprimere le proprie emozioni è una competenza fondamentale per i bambini pagina 6

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Archeologia industriale Ripercorriamo la storia del bell’edificio della Vecchia Biaschina ispirato allo stile architettonico della Secessione viennese

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L’esposizione propone anche un gioco di immagini di volti sovrapposti. (L’Ideatorio-USI)

Conoscersi per riconoscersi

Inclusione A Lugano Villa Saroli ospita «Tu!», un percorso sulla diversità sviluppato da L’Ideatorio e da Pro Infirmis

che invita a riflettere sulla società inclusiva

Loris Fedele Tu chi sei? E tu come mi vedi? Domande apparentemente normali, quasi banali, nella loro formulazione. Ma ognuna di queste domande non è affatto banale e ancor meno può esserlo la risposta, che nasconde grande complessità. E poi, cosa è da considerarsi normale? Se lo chiede, tra le altre domande ricche di sfaccettature, la mostra «Tu!», allestita alla Villa Saroli di Lugano da aprile a dicembre e che l’anno prossimo, da gennaio a giugno, si sposterà al Castelgrande di Bellinzona. In realtà non è una mostra convenzionale perché, come dicono gli organizzatori, non vi è nulla da mostrare. Quindi lo hanno definito «un percorso sulla diversità». Un percorso espositivo nato dal confronto di idee tra L’ideatorio/USI e Pro Infirmis Ticino e Moesano, che hanno dialogato con altri enti che si occupano di disabilità sul territorio. «Sosteniamo le persone affette da un handicap e le loro famiglie con prestazioni dirette, consulenze e altro», ci dice Michela Luraschi di Pro Infirmis, «ma da tempo volevamo rivolgerci a tutte le persone con un progetto che costituisse un avvicinamento alla società che vorremmo sia realizzata,

la cosiddetta società inclusiva. Adesso l’abbiamo concretizzato prendendo a prestito le competenze dell’Ideatorio, che da anni ha animatori che incontrano i ragazzi e sanno interagire con loro». Dal canto suo Giovanni Pellegri, responsabile de L’Ideatorio, annota: «Ognuno di noi, nel corso della propria vita, sperimenta l’incontro con la fragilità. In alcuni casi può divenire scoperta dei propri limiti, in altri, esperienza di disabilità… il percorso vuole essere una scuola di pensiero utile a scoprire sé stessi e a educarci alla relazione con l’altro». Questa forma di sensibilizzazione è realizzata attraverso giochi, testimonianze e video particolari, che inducono il visitatore a riflettere su questioni fondamentali che vanno dalla consapevolezza e dal riconoscimento della diversità esistente, che fa parte del mondo, alla comprensione di noi stessi come individui unici e pertanto diversi. La società inclusiva, a cui si vuole tendere, è uno spazio accogliente dove tutti possano esserci con le loro specificità e le loro risorse, per migliorare la vita di tutti. Dice il fascicolo di presentazione della mostra: «Lo sappiamo, ciò che facilita la vita di uno è benefico anche per gli altri. La scommessa è quella di creare

un “noi” che racchiuda tutti. Non basta dunque appellarsi a una distaccata idea di uguaglianza e libertà. Una società inclusiva impone di agire, di superare pregiudizi e barriere, di abbandonare tutte quelle imposture e mistificazioni che ci legano ancora a un mondo in cui il diverso è il “mostro” da mostrare, o il “poverino” da aiutare». Il percorso espositivo di «Tu!» si indirizza a tutti, ma la parte ludica è soprattutto rivolta ai ragazzi. Molte scolaresche ne stanno approfittando. Nell’intenzione dei promotori, considerato che l’obiettivo di una società inclusiva è grande e deve implicare un cambiamento mentale e culturale nelle persone, è importante partire dal bambino. Il suo sguardo nei confronti delle altre persone è spontaneo. I giovani, oggi più che in passato, sono abituati a vivere con le diversità senza averle ancora etichettate. Se confrontati con esempi positivi potranno felicemente diventare i costruttori delle società future. Il discorso introspettivo suggerito dall’esposizione sembra raccogliere un malessere che vive anche all’interno dello stesso disabile. Ma come si sentono loro? Con sistemi audiovisivi si dà voce ad alcuni personaggi. Quello che loro sentono e quello che loro dicono è un

bisogno di partecipazione alla vita, con l’esplicita richiesta di non essere solamente etichettate per quello che è il loro deficit o la loro malattia. Hanno voglia e bisogno di lavorare, di crescere. Ti dicono che hanno un nome, una storia, che sono una persona, vengono da una città, hanno una famiglia. Vogliono che l’interlocutore abbia voglia di incontrarle e di conoscerle e riconoscerle per quello che sono e per quello che valgono. Che in fondo è quello che chiediamo anche noi: non è l’abito, non è l’apparenza esterna che fa, bisogna andare un poco più in là. Qui scatta un meccanismo di riflessione e autocoscienza: siamo diversi dagli altri ma nell’intimo siamo anche uguali, con gli stessi sentimenti e le stesse fragilità. Poi succede che l’esperienza e il nostro vissuto ci plasmino e ci cambino continuamente, sia fisicamente che moralmente. E magari un incidente o una malattia ci creano improvvisamente, o addirittura fin dalla nascita, situazioni di difficoltà che ci fanno mettere nella categoria dei diversi. Può accadere a tutti e non è una colpa. Siamo fatti così. Quindi è giusto non crearsi barriere psicologiche nei confronti dell’altro, sia da una parte che dall’altra. Una delle persone che nell’e-

sposizione racconta la sua disabilità afferma per primo di esser lui che deve andare verso gli altri per evitare di alimentare quello sguardo prefabbricato che esiste sulle persone con disabilità. Questo perché la disabilità non è solo nelle persone che la portano, ma è legata allo sguardo di chi sta attorno, alla possibilità di accesso per tutti, al rispetto dei diritti di ognuno. Quando mancano queste attenzioni il deficit genera ulteriori svantaggi: «deficit + apparire + non partecipazione = handicap» sta scritto su una parete della mostra. La Svizzera nel 2014 ha ratificato la Convenzione dell’uomo sui diritti delle persone con disabilità: sono 50 articoli che sanciscono l’indipendenza, la libertà di scelta, l’uguaglianza di diritti e doveri, la dignità di tutte le persone. Si è dovuti arrivare a un documento del genere per vincere le paure e il pregiudizio. Ma è la strada verso la società inclusiva. Quanto alla pretesa normalità: non siamo tutti uguali, non dobbiamo negare la diversità, ma al mondo si può stare in più modi. Un geniale gioco di immagini di volti sovrapposti cerca di individuare quale dovrebbe essere il personaggio medio, il più normale. Risultato? Il singolo non riesce a riconoscersi e sicuramente preferisce essere diverso.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 2 maggio 2017 • N. 18

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Società e Territorio

Vigilanza attiva sulla rete Sicurezza cibernetica A colloquio con Valentina Piffaretti, una delle operatrici di MelAnI,

Alessandro Zanoli Il nome è semplice, facilmente memorizzabile. Decrittare la sigla che è la sua origine non lo è altrettanto, per un italofono in particolare, ma questo forse non è così importante. La traduzione dell’acronimo «Melde- und Analysestelle Informationssicherung», da cui discende MelAnI, è esattamente: «Centrale d’annuncio e d’analisi per la sicurezza dell’informazione».

Internet viene monitorato per misurare l’evoluzione dei fenomeni e prevedere strategie difensive Un’altra cosa non molto semplice è descrivere la galassia di servizi e uffici federali all’interno dei quali MelAnI opera. La rete di competenze in cui è iscritto questo servizio è infatti complessa ed estesa, all’incrocio tra l’interesse di tutela degli operatori istituzionali e l’ovvia necessità di sicurezza pubblica. Per una parte dei suoi compiti MelAnI dipende quindi dal Dipartimento federale delle finanze, per altri aspetti invece è incorporato nel Dipartimento della Difesa. «Nel 2012 il Consiglio federale ha approvato la “Strategia nazionale per la protezione della Svizzera contro i cyber-rischi” che definisce gli obiettivi strategici relativi, in primis, all’individuazione

Dalla Romanistica a Internet.

e alla valutazione dei rischi informatici, in modo da poter prevenire i rischi e minimizzare i danni. Altro aspetto considerato, nel caso di attacchi cibernetici, è l’incremento della resilienza delle infrastrutture critiche. Infine, ma non meno importante, vi è l’obiettivo di una riduzione della minaccia informatica». Ci spiega le caratteristiche di questo importante servizio Valentina Piffaretti, un’operatrice di MelAnI che opera da qualche anno all’interno della «squadra». Laureata in Romanistica, ha spostato il focus dei suoi interessi sull’informatica e su questo particolare settore di indagine altamente tecnologico. «All’interno dell’Amministrazione federale la sicurezza informatica è strutturata in diversi organi, ognuno dei quali ha delle competenze specifiche. MelAnI ad esempio si occupa di appoggiare sussidiariamente le infrastrutture critiche in Svizzera, specialmente laddove esse dipendono dal funzionamento delle reti di informazione e di comunicazione. A questo scopo MelAnI segue ed analizza l’evoluzione della minaccia informatica, rappresentandone lo stato attuale in forma di radar. Fornisce inoltre una prestazione per la popolazione pubblicando sul proprio sito internet (www.melani.admin.ch) informazioni su pericoli e misure legati all’impiego delle moderne tecnologie dell’informazione e della comunicazione. I suoi rapporti illustrano le principali tendenze ed evoluzioni sul tema degli incidenti e degli avvenimenti in ambito di tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC). Mette poi a disposizione un formulario di notifica che permette di annunciare eventi informatici che hanno colpito il singolo cittadino». Questa sembra essere già un’informazione interessante per tutti noi, utenti «medi» dell’informatica professionale e casalinga: esiste un organismo a cui rivolgersi per ottenere informazioni o denunciare casi sensibili. Molti, in effetti, si pongono spesso la domanda su come rendersi utili in questa battaglia contro la criminalità digitale. «Possono farlo in diversi modi» ci spiega Valentina Piffaretti. «Prima di tutto informandosi e applicando i consigli degli esperti in modo da minimizzare la possibilità di diventare vittime di un attacco informatico. Sul nostro sito www.melani.admin.ch

Marka

il servizio della Confederazione che opera un monitoraggio dei pericoli e delle minacce informatiche

pubblichiamo delle liste di controllo contenenti le principali misure di sicurezza, un bollettino d’informazione a cui è possibile abbonarsi e, due volte l’anno, un Rapporto semestrale (l’ultimo è uscito due settimane fa) che presenta i principali accadimenti informatici del periodo in osservazione». Per ciò che riguarda concretamente la reazione individuale ai tentativi di attacchi informatici uno dei modi possibili è segnalarli alle autorità competenti: «Ci si può rivolgere sia a MelAnI, attraverso il formulario d’annuncio che si trova sulla nostra pagina web (https://www.melani.admin.ch/ melani/it/home/meldeformular/formular0.html) sia alla Polizia federale (https://www.cybercrime.admin.ch/ kobik/it/home/meldeformular/meldeformular.html) e, se necessario, sporgendo denuncia alla Polizia cantonale del cantone di residenza». L’opinione di Valentina Piffaretti è che le vittime di un attacco informatico non dovrebbero cedere a eventuali ricatti, bensì rifiutarsi di pagare un riscatto che finanzia e rafforza l’infrastruttura degli estorsori accrescendone la determinazione. Infine, non va sottovalutato il ruolo informativo che ciascuno di noi può svolgere in rapporto alla propria cerchia di conoscenze. «Le vittime di attacchi possono contribuire alla prevenzione discutendo dell’accaduto con altri, sia in famiglia che in ambito lavorativo. Così da sensibilizzare co-

noscenti, collaboratori e parenti ed evitando loro di incappare a loro volta in truffe del genere» ricorda l’esperta. Come difendersi? Oltre a ricorrere ad antivirus o dispositivi protettivi (comunque necessari) la migliore strategia sembra mantenere un «atteggiamento mentale» aperto e attento. «Sulla sua pagina web MelAnI propone delle regole di comportamento semplici ma piuttosto complete che rappresentano un buon punto di partenza per evitare una larga fetta degli attacchi indirizzati al singolo» ci ricorda Valentina Piffaretti. «Come principio è importante rendersi conto che muoversi in rete comporta gli stessi pericoli di quando ci si muove in uno spazio fisico. Quindi, come si presta attenzione quando si è per strada e se possibile si mantiene una certa distanza dalle auto che sembrano non tenere correttamente la carreggiata, così anche in Internet una sana diffidenza può tenerci alla larga dai rischi». Di più: proprio utilizzando gli strumenti informatici più usuali, ci spiega l’operatrice di MelAnI, è opportuno usare sempre una certa prudenza: «Ad esempio, di fronte a una email proveniente da indirizzo sconosciuto. Ma anche quando se ne riceve una di cui si conosca l’indirizzo ma che per qualche motivo si ritenga sospetta. Nel dubbio vale la pena di verificare la fonte, contattando il presunto mittente tramite un canale differente, il telefono ad esempio. Non

cedere alla curiosità di seguire un collegamento o di aprire un documento se non si è certi della sua origine. E riflettere sempre attentamente prima di trasmettere delle informazioni confidenziali: nessun gestore di servizi serio chiederà mai la vostra password via posta elettronica». Ma c’è davvero gente che cade ancora nei tranelli tipo «Complimenti lei ha vinto un milione», viene da chiedere alla nostra interlocutrice. «Non teniamo statistiche su tentativi di truffa di questo genere», spiega Valentina Piffaretti, «ma sì, ci sono ancora persone che incredibilmente si lasciano accecare dai più comuni e palesi specchietti per allodole: dall’annuncio della falsa vittoria, alla dichiarazione d’amore da parte di sconosciute, passando per la cosiddetta truffa nigeriana. Mi sento però di dire che, in Svizzera quanto meno, si tratta di una minoranza. Anni di prevenzione hanno portato frutto e gli internauti hanno sviluppato una sorta di coscienza critica. D’altro canto assistiamo però all’evoluzione e al perfezionamento di stratagemmi messi in atto dai criminali informatici, che a loro volta sono diventati più scaltri». Piffaretti ci segnala ad esempio che in un caso osservato il truffatore per esercitare pressione sulla vittima aveva instaurato un contatto telefonico, spacciandosi per un servizio della Confederazione, e utilizzando proprio un numero dell’Amministrazione federale contraffatto. Appare ormai evidente che l’estensione di questi fenomeni è planetaria. Per organizzare delle difese la collaborazione internazionale è particolarmente importante. Chiediamo quindi a Valentina Piffaretti quali siano i canali di coordinamento. «Effettivamente gli attacchi informatici hanno spesso una componente internazionale. Per questo motivo è necessario uno stretto scambio di informazioni con l’estero. Esistono diverse piattaforme sovranazionali sia di carattere tecnico che strategico e MelAnI fa parte di diverse iniziative sia statali sia private. Esistono gruppi di lavoro che agiscono specificamente contro un particolare fenomeno: è il caso, ad esempio, di Antiphishing Working Group, che promuove lo scambio di informazioni e la prevenzione in relazione alla minaccia del phishing, il furto di dati sensibili per l’effrazione di conti bancari». Annuncio pubblicitario


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 2 maggio 2017 • N. 18

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Società e Territorio

L’alfabeto delle emozioni

Famiglia Saper riconoscere ed esprimere le proprie emozioni è una competenza fondamentale che permette

ai bambini di diventare adulti consapevoli e competenti. Intervista alla consulente educativa Nicoletta Ferri Alessandra Ostini Sutto Analfabetismo è l’incapacità di leggere e scrivere, dovuta per lo più ad una mancata istruzione o ad una pratica insufficiente. Traslato in campo sentimentale, il fenomeno diventa l’incapacità di riconoscere e gestire le proprie emozioni; le cause sono le stesse. In una società che va sempre più veloce e dove le relazioni sono spesso virtuali, l’analfabetismo emotivo è in crescita, tra i giovani e non solo. La ricchezza delle emozioni viene iconicamente ridotta agli emoticons e su Google è stato statisticamente dimostrato che i termini inerenti le emozioni vengono cliccati solo raramente. Eppure riuscire a dar voce a quello che sentiamo è importante e le emozioni dovrebbero essere usate come strumenti nella vita di tutti i giorni, tanto che l’Organizzazione mondiale della sanità pone le competenze emotive tra le life skills.

Nei primi anni di vita i bambini attraverso il rapporto con i genitori «disegnano» le proprie «mappe emotive» La mancanza di consapevolezza e, successivamente, gestione e controllo delle emozioni e dei comportamenti ad esse connessi, possono generare malessere e interferire con le nostre prestazioni. «Per quanto riguarda i bambini, un’eccessiva tensione emotiva può ripercuotersi sulle prestazioni scolastiche, inficiando alcuni meccanismi alla base dell’apprendimento, quali le capacità mnemoniche, di concentrazione e attenzione – spiega Nicoletta Ferri, titolare dello Studio NF Consulenze di Vacallo – attività di consapevolezza emotiva possono essere rivolte anche agli adulti, dal momento che riconoscere le proprie emozioni e quelle altrui permette di costruire relazioni sane e dare la giusta importanza a ciò che si prova, senza essere assoggettati alle emozioni, diventando più competenti in ambito emotivo-relazionale ma anche in altre aree del quotidiano». Ma «l’alfabeto» delle emozioni non dovrebbe essere oggetto di un apprendimento fisiologico? «Noi nasciamo con le sei emozioni scritte nel DNA, ma pure con delle caratteristiche specifiche, fisiche o caratteriali; oltre a ciò, sono l’ambiente e le relazioni ad influenzare il rapporto del bambino con le emozioni», continua Nicoletta Ferri, formatrice per adulti, consulente edu-

cativa e docente presso l’Istituto Ricerche di Gruppo di Lugano (nella formazione triennale di Arterapia). I primi tre anni sono un periodo chiave per molti aspetti della vita futura e anche per le emozioni. Nella sfera famigliare il piccolo fa le prime esperienze delle emozioni, con le carezze, l’accoglimento e gli sguardi. Oltre a ciò, i genitori devono insegnargli a «sentire il mondo» e a saperlo esprimere. I bambini apprendono infatti la vita attraverso i sensi, ma sono poi mamma e papà a caricare i concetti di una connotazione emotiva: «Un bambino conosce la mela attraverso il tatto, la vista, l’olfatto e il gusto, ma anche per mezzo della risposta emozionale che riceve dall’adulto. Se la mamma dice con aria schifata “Questa è una mela”, perché a lei non piace, il bambino assorbirà anche questa parte emozionale», spiega Nicoletta Ferri. Ovviamente poi, crescendo e vivendo le proprie esperienze, il bambino può mutare questa prima connotazione ricevuta dall’adulto. Nei primi anni di vita i genitori sono quindi i principali autori delle «mappe emotive» dei propri figli, aiutandoli a passare dal semplice impulso, che è fisiologico, all’emozione, fino ad arrivare al sentimento, che è anche una questione cognitiva. Le mappe emotive sono strumenti indispensabili per instaurare legami significativi e reagire ai vari eventi della vita in modo proporzionato. «I bambini piccoli hanno bisogno accanto a sé di un adulto che insegni loro l’auto-regolazione emotiva. Quando sentiamo delle emozioni, dobbiamo renderle accettabili come esternazione, anche quando ci troviamo confrontati a dei picchi, siano essi di euforia o di rabbia – continua Nicoletta Ferri – se le figure di riferimento sono in grado di dare questa risposta in maniera soddisfacente, il bambino svilupperà le proprie competenze che gli consentiranno di regolare correttamente le emozioni». Purtroppo ci sono delle situazioni in cui questo processo è ostacolato; si va da quelle più gravi – come nel caso in cui una neo-mamma soffra di depressione post-parto – a quelle più comuni, in cui i genitori, presi da tanti impegni, pur facendo del loro meglio, non riescono a far passare adeguatamente il messaggio. Senza voler dare colpe a nessuno, la mancanza di tempo e le routine sempre più frenetiche possono ripercuotersi sulla sfera emotiva dei nostri figli. «La società aumenta costantemente la richiesta di prestazioni, bisogna essere sempre più veloci e performanti, anche a livello di quantità; questo lo percepiscono anche i

Per aiutare i bambini a esprimere le proprie emozioni i libri e le fiabe sono uno strumento insostituibile. (Keystone)

bambini, tanto che sono sempre di più quelli ai quali le richieste della scuola pongono delle difficoltà – commenta la titolare dello studio Nf Consulenze – già alle elementari vi sono bambini che vivono situazioni di ansia o addirittura di panico quando devono svolgere un compito di matematica o leggere ad alta voce». Anche in assenza di stime precise, si può affermare che le difficoltà legate alle emozioni sono in aumento anche a causa della virtualizzazione della realtà, che ci rende meno capaci in quei compiti che prevedano abilità sociali. «Secondo me non è la quantità di emozioni a diminuire ma bensì la capacità di riconoscerle ed esprimerle. La società porta a ridurre le parole e a dare tutto per immagine. Prendiamo il telefonino: lo usiamo moltissimo per i messaggi, che sono fatti di poche parole, mentre tra i social network fra i giovani vanno per la maggiore Instagram o Pinterest, dove domina, appunto, l’immagine», continua Nicoletta Ferri. I nativi digitali sono bombardati da informazioni fin da quando non sono ancora sufficientemente maturi per gestire le emozioni che esse comportano; situazione che si traduce in un certo appiattimento del comportamento, osservabile, per esempio, in una diminuita ricchezza del vocabolario, soprattutto a livello di sfumature, che, in tema di emozioni, fanno la differenza. A tutto comunque c’è rimedio;

l’importante è essere consapevoli e avere la volontà di apportare un cambiamento. Innanzitutto i bambini necessitano di genitori che dedichino loro del tempo non solo di «qualità», ma anche di «quantità», dal momento che hanno bisogno di essere riconosciuti passo dopo passo, disegno dopo disegno, domanda dopo domanda. Per aiutarli a riconoscere ed esprimere le emozioni, libri e fiabe sono un valido e semplice strumento. È importante poi mettersi in condizione di sperimentare le emozioni e imparare a sorprendersi, e in questo ci offre un aiuto alla portata di tutti la natura. E non perdere occasione per «tirare fuori» le emozioni ai nostri figli, anche solo chiedendo loro cosa hanno provato in una determinata situazione. I genitori possono poi decidere di rivolgersi ad uno specialista che proponga al proprio bambino un’attività di «alfabetizzazione emotiva», la quale ha in genere uno scopo preventivo; l’idea che sta alla base è infatti quella che dei bambini emotivamente consapevoli saranno degli adulti più competenti. «Nei nostri interventi ci focalizziamo sul vivere e sentire le esperienze. L’obiettivo è quello di imparare ad ascoltarsi e a comprendere quali sono le cose che ci fanno stare bene e quelle che ci fanno stare male. Nel secondo caso, bisogna arrivare a cogliere i segnali che precedono le situazioni potenzialmente problematiche, i quali spesso corrispondo-

conto quanto la cultura del riuso e del riciclo sia tornata di moda. Caterina, foodblogger e mamma, nel suo primo weekend primaverile libero da marito e bimbe, ha voluto darmi prova di quel che mi aveva raccontato organizzando una cena Swap per le amiche. Sulle prime, quando ha annunciato l’evento nel nostro gruppo su Whatsapp mi sono chiesta se la solitudine le stesse facendo qualche strano effetto... Non ho, però, osato chiedere cosa significasse quella parola a me sconosciuta, perché le altre, a raffica, mandavano messaggi entusiasti. Allora sono andata in Rete e ho scoperto che Swap sta per share what you wear, condividi ciò che indossi. Lo swapping insomma è un fenomeno che negli ultimi anni – vuoi la crisi economica, vuoi l’eccesso di vestiti e oggetti accumulati quando si stava meglio – si è sempre più diffuso. Nato nei salotti di Manhattan frequentati da model-

le, attrici e fashioniste, lo swapping si è sviluppato come evoluzione del vintage e del baratto: non si comprano ma si scambiano vestiti insieme ad opere d’arte, gioielli, accessori e articoli di antiquariato. Si promuove insomma un riciclo eco-sostenibile. Il baratto può avvenire online su piattaforme dedicate come www.swapcycle.co.uk, www.zamaro.de o dal vivo in occasione di swap party privati o eventi pubblici (www.zerowasteswitzerland.ch). Quello di Caterina sarebbe stato uno Swap party privato che, come diceva il suo successivo messaggio, prevedeva qualche semplice regola per il baratto limitato non solo ai vestiti ma esteso anche allo scambio di ricette, di cibi freschi fatti in casa e di libri. Per me è stata un’esperienza unica e da ripetere: sono tornata a casa con una marmellata di lamponi dell’orto di Maria, una pagnotta di segale sfornata poche ore

no a delle sfumature di un sentimento, come può essere il fastidio, e imparare poi quali risorse attivare per fronteggiare il disagio», spiega Nicoletta Ferri, che ha recentemente proposto questo approccio, svolto in modo interdisciplinare con le sue colleghe (le arteterapeute Stefanie Pfister e Monica Gerli Onusti e la psicologa Veronica La Tona), con l’atelier L’alfabeto delle emozioni – combattiamo l’analfabetismo emotivo, uno degli eventi che gravitano attorno alla mostra itinerante La scoperta del mondo, visitabile fino 25 giugno al Castelgrande di Bellinzona. Oltre a questo lavoro di rafforzamento delle competenze affettive, in caso di difficoltà scolastiche, NF Consulenze propone una serie di incontri con la famiglia e i ragazzi denominata Impara ad imparare: «anche in questo caso si impara innanzitutto ad ascoltarsi, per conoscersi; dopodiché vengono individuati da un lato i propri punti di forza (per esempio la memoria visiva, la capacità di sintesi…) e dall’altro vengono forniti e illustrati strumenti (mappe concettuali, schemi, tabelle, software…), dal momento che in base alle caratteristiche personali si ricorrerà ad uno di essi piuttosto che ad un altro. Una volta presa coscienza di questi aspetti, si affinano le tecniche individuali, allo scopo di saperle applicare per rispondere in modo efficace e sereno ad una richiesta rivolta a scuola, che precedentemente procurava ansia».

La società connessa di Natascha Fioretti Dal Riesling agli Swap party A volte basta una piccola esperienza per aprirti dei mondi e metterti al centro di tendenze che ci sono da tempo ma non ti avevano mai toccato. Di recente, in un paesino tra le verdi colline toscane, degli amici mi hanno portato a teatro. Quale meraviglia quando ho scoperto che non si pagava il biglietto d’entrata ma veniva chiesto di portare prodotti agricoli, prodotti della terra come olio, vino e spezie. Non mi era mai capitato di entrare a teatro pagando con una bottiglia di vino. Presa un po’ alla sprovvista, cercando nella mia piccola cantina, mi sono imbattuta in una bottiglia di Riesling tedesco della Renania, il vino preferito di mia nonna. La signora Piera, Maremmana doc, cresciuta con il corposo e fruttato vino rosso delle sue zone, alla vista di quella bottiglia non smetteva più di chiedermi informazioni sulle qualità e

sulla storia di questo vino bianco tedesco che per lei era una novità. Io invece ho capito subito che le chiacchiere e le risate erano comprese nel biglietto, non solo perché la Signora Piera con quei suoi occhietti piccoli e furbi era golosa di storie, ma perché siamo tutti incuriositi dalla storia che caratterizza un oggetto o un prodotto e nel momento in cui ne veniamo a conoscenza rende più intenso il gesto del baratto, il valore dello scambio, ancorandolo forte al momento che stiamo vivendo. Entusiasta della signora Piera, dello spettacolo e di questo scambio, di ritorno a casa, pensavo di sbalordire le mie amiche con il mio racconto. Mi sbagliavo. Anche se nessuna di loro è mai entrata a teatro portando una bottiglia di vino, tutte hanno già partecipato o organizzato uno Swap party. Mi è bastato un pomeriggio tra videochiamate su Skype e Chat su Fb per rendermi

prima da Betty e un libro di poesie di Wislawa Szymborska che Lara aveva acquistato al mercato di antiquariato di Berlino. Ad entusiasmarmi non sono stati solo l’incontro con le amiche, la cena e il momento del baratto ma anche i momenti che hanno preceduto l’incontro nei quali mi sono chiesta cosa avrei potuto portare, quale vestito, tra quelli che non metto più, sarebbe potuto piacere alle altre, quale ricetta, tra le tante tramandatemi da mia nonna, avrei potuto condividere. Prepararsi, assaporare, cogliere l’attimo mettendoci del nostro, dando un diverso valore, peso e un diverso tempo alle cose e agli incontri. E quante storie ci siamo raccontate, quanti aneddoti dietro ad ogni oggetto e ricetta, quanti luoghi lontani e viaggi abbiamo evocato. Per un attimo eravamo tutte la signora Piera e mi son chiesta se le sarà poi piaciuto quel Riesling...


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 2 maggio 2017 • N. 18

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Società e Territorio

La lingua, strumento di integrazione Corsi L2 Le esperienze di associazioni, scuole, comuni e sindacati che si impegnano a favore della conoscenza

della lingua italiana tra gli stranieri che vivono e lavorano in Ticino

Paola Bernasconi Imparare la lingua del posto è il primo passo per integrarsi in un nuovo paese, a partire dalle piccole incombenze quotidiane sino ad arrivare al lavoro. Sono molte le associazioni, ed anche i sindacati, che si occupano di organizzare, secondo il Programma cantonale d’integrazione, i corsi di italiano L2 (ovvero, lingua acquisita per apprendimento, diversa dalla lingua madre), si tratta di CRS – Settore Corsi, Associazione AMICI, Comune di Paradiso, Associazione IL CENTRO, Comune di Massagno, Centro Formazione Professionale – OCST, Comune di Caslano, Fondazione ECAP, Comune di Tenero-Contra, Comune di Chiasso, Associazione MC – MC, Scuola Club Migros, Scuola ILI, Scuola Interlingue. È Attilio Cometta, responsabile del Servizio per l’integrazione degli stranieri all’interno del Dipartimento delle Istituzioni, a elencarceli. «Sono finanziati attraverso due leggi diverse, la Legge federale sugli stranieri (LStr) e la Legge federale sull’asilo (LAsi). In genere i corsi sussidiati dalle leggi hanno comunque dei prezzi speciali, accessibili ai partecipanti ai quali sono rivolti».

I Corsi di italiano sono finanziati attraverso la Legge federale sugli stranieri e la Legge federale sull’asilo A tenere i corsi sono formatori e formatrici professionisti (oltre a qualche volontario), a cui oltre che la qualifica per insegnare l’italiano come L2 vengono richieste una formazione specifica riguardo il metodo FIDE, la conoscenza del settore della migrazione e

I corsi sono aperti a tutti e le classi sono formate in base al livello di conoscenza della lingua. (Keystone)

la capacità di gestire i corsi seguendo criteri di qualità. Il metodo FIDE è un modello elaborato a livello federale, nel cui ambito viene fornito del materiale didattico costruito apposta per questo tipo di target, nelle tre lingue nazionali. Per capire meglio che cosa comportano i corsi per stranieri, quanto sono diversi da normali lezioni e l’incidenza del fattore migratorio sulla loro organizzazione, ci siamo rivolti a Giuseppe Rauseo, Centro di formazione professionale dell’Organizzazione Sindacale Cristiano Sociale (OCST). Il sindacato focalizza i suoi corsi nell’integrazione lavorativa. «Ci rivolgiamo prevalentemente ai datori di lavoro, i quali generalmente ci aprono con piacere le porte, ben capendo che un lavoratore che conosca bene la lingua

italiana, oltre che essere aggiornato professionalmente, sia più motivato». L’OCST ha individuato alcuni settori in particolare (edilizia, logistica, pulizie e ristorazione, sociosanitario) e oltre ad andare nelle aziende, ha organizzato anche dei corsi nelle sue sedi, sia rivolti a coloro i quali operano già nel ramo sia a chi vorrebbe farlo, «ma non ha ancora le competenze linguistiche per farlo». Per quanto sembri incredibile, ci sono persone che lavorano in Ticino ma parlano pochissimo la lingua. «È qualcosa che ha stupito anche noi – conferma Rauseo – Penso per esempio a una donna delle pulizie in una clinica, che nello svolgere il suo lavoro quotidiano non deve relazionarsi con nessuno, e poi si ritrova a non saper colloquiare al di fuori dell’orario di

lavoro». Nel caso specifico, come interviene OCST? «Oltre a insegnarle la lingua, coinvolgiamo un esperto nel settore, che svolgerà con lei alcune ore di aggiornamento professionale, che oltre ad essere utili sono tenute in italiano, in modo che si eserciti». «Avere persone integrate è un aiuto per tutti, dallo Stato sino al mercato del lavoro, oltre che per le persone interessate», continua Rauseo, soprattutto partendo dal fatto che non sono assolutamente solo i rifugiati a usufruirne, bensì, nel caso di OCST, degli stranieri che già lavorano. «E capita che non siano in grado di svolgere le attività basilari, quali scrivere e far di conto: aiutarli è utile anche ai datori di lavoro». In molti, comunque, dopo i corsi di L2, propongono agli stranieri altre offerte: Cometta ci parla di attività

pratiche nel tempo libero, quali la cucina, lo sport, il fai-da-te, il teatro, le gite sociali. Perché la sfida più difficile è integrare realmente le persone nel paese dove vengono a vivere, e magari far coesistere gente di nazionalità diverse. Infatti, precisa Cometta, «i corsi L2 sono aperti a persone di tutte le età, siano esse di sesso maschile o femminile e senza discriminazione riguardo il paese di provenienza. Le classi vengono realizzate in base al livello di conoscenza della lingua, al fine di ottenere la maggiore omogeneità possibile, rispettando l’obiettivo del PIC di integrare pubblici diversi». Rauseo aggiunge come qualche difficoltà possa nascere dal fatto di avere, seduti davanti alla stessa lavagna, etnie in guerra fra loro, anche se a suo dire «quando ci si ritrova attorno allo stesso tavolo e si condivide lo stesso sforzo si riescono a smussare eventuali pericoli legati alle differenze culturali, che vanno comunque tenuti in conto. Qui entra in gioco la bravura del formatore». In merito, abbiamo interpellato Corrado Scenini, formatore. A suo avviso, questi corsi sono «un’esperienza arricchente che permette di gettare uno sguardo disincantato non solo sulle realtà da cui provengono le persone in formazione, ma anche sulla nostra». Il passato migratorio non è secondo lui un problema, anzi a mettere semmai in difficoltà possono essere «la composizione eterogenea dei gruppi e i diversi livelli di scolarizzazione dei partecipanti». E l’utilità non è solo linguistica, «quanto per gli ambiti operativi e gli scenari che attingono direttamente alla realtà locale». Nell’ultimo periodo, i suoi allievi provengono in particolar modo da Eritrea e Afghanistan, e quando gli chiediamo se c’è una storia che lo ha toccato in modo particolare, risponde che «tutte le storie di chi è in fuga verso qualcosa sono toccanti».

Sulle tracce della Vecchia Biaschina

Archeologia industriale L ’edificio del 1911 si ispira allo stile architettonico della Secessione viennese Laura Patocchi Zweifel Nel canton Ticino, malgrado l’abbondante disponibilità di risorse idriche, il processo di evoluzione per il loro sfruttamento a scopi energetici fu piuttosto lento. Dopo la creazione del primo piccolo impianto idroelettrico a Faido nel 1889, seguito da altri sparsi qua e là nel cantone, il Gran Consiglio promulgò la «Legge sull’utilizzazione delle acque» il 17 maggio 1894 decretando che «le acque dei laghi, fiumi e torrenti non possono essere derivate o utilizzate a scopi industriali od agricoli senza previa concessione dell’autorità dello Stato». La domanda di concessione per lo sfruttamento delle acque della Biaschina fu inoltrata nel 1896 dall’ingegnere

Agostino Nizzola, pioniere dell’industria elettrica svizzera, per conto della Motor SA di Baden. Dopo un primo rifiuto giustificato dal fatto che la richiesta non era a norma di legge, le autorità cantonali accordarono la concessione della Biaschina a Nizzola alle condizioni da loro stabilite nel 1898, ma la regolamentarono solo nel 1905 con un decreto che stabiliva «l’utilizzazione delle acque del fiume Ticino fra le stazioni di Lavorgo e Bodio». Due motivi convinsero il Governo a rinunciare alla gestione pubblica delle acque della Biaschina e optare per la Motor SA. Da una parte la Motor aveva progettato di associare la produzione di energia idroelettrica alla realizzazione di industrie nella Bassa

La Vecchia Biaschina è stata interamente restaurata nel 2014. (Patocchi-Zweifel)

Leventina. D’altra parte il fatto che il Cantone non avrebbe potuto smerciare la produzione della Biaschina senza le industrie della Bassa Leventina dato che il servizio di distribuzione dell’energia elettrica era già nelle mani di aziende comunali e private. La Motor SA iniziò i lavori di costruzione degli impianti nella primavera del 1906 e li portò a compimento nel 1911 dopo aver incontrato non poche difficoltà costruttive. L’imponente edificio progettato dall’architetto milanese Ugo Monneret de Villard e dall’ingegnere Agostino Nizzola, si ispira allo stile architettonico della Secessione viennese e con i suoi raffinati motivi decorativi d’ispirazione klimtiana all’ingresso della facciata è unico nel suo genere in Ticino. Parteciparono ai lavori di costruzione del monumentale progetto la von Roll’sche Eisenwerke di Berna e la Darnay di Parigi per la fornitura delle paratie per le opere di presa, la Ferrum di Kattowitz-Zawodzie per le tubazioni, mentre la Escher Wyss & Co di Zurigo fornì le turbine a ruota Pelton accoppiate a generatori trifasici della Brown Boveri & Co di Baden. Le acque captate a Lavorgo venivano condotte alla centrale di Bodio attraverso un canale della lunghezza di 8,8 km perforato attraverso un sistema meccanico ad aria compressa di origine americana. Per la sua realizzazione si dovette costruire un impianto ausiliario sul torrente Ticinetto che doveva fornire l’energia occorrente ai lavori di

esecuzione dell’impianto principale, per la trivellazione delle gallerie, le funicolari di servizio, le pompe, i ventilatori e per l’illuminazione dei cantieri. L’opera complessiva comprendeva l’edificio di presa, il canale adduttore, il serbatoio e vasca di carico, la galleria di pressione e condotte forzate che portavano all’edificio motori, il canale di restituzione e la sistemazione dei terreni industriali. Già durante la costruzione della centrale a Bodio s’insediarono le Officine del Gottardo, un’emanazione della Motor, che fabbricava leghe metalliche, le Officine Diamantin specializzata in materiali smeriglianti, le Officine Nitrum SA di Zurigo e altre fabbriche sorsero più tardi. La centrale della vecchia Biaschina forniva corrente elettrica agli stabilimenti industriali e alimentava la ferrovia Biasca-Acquarossa. L’impianto rimase in possesso e sotto la gerenza della Motor SA dal 1911 alla fine del 1916. L’anno successivo la Motor creò le Officine Elettriche Ticinesi (OFELTI) e nel 1936 la fusione di quest’ultime con la Elektrizitätswerk Olten – Aarburg AG diede origine alla Aar e Ticino SA di elettricità (ATEL) con sede a Olten. Nel 1958 il Gran Consiglio riscattò la Biaschina e costituì l’Azienda Elettrica Ticinese (AET), dando inizio alla gestione pubblica delle acque con lo scopo di produrre e commerciare energia elettrica. L’impianto fu acquisito dal Cantone nel 1959 e affidato alla gestione della

neonata AET, che lo mantenne in esercizio fino al 1988 quale installazione di riserva dopo l’entrata in funzione della nuova Biaschina (1967). Nel 2014 l’edificio ha subito un restauro completo delle facciate con il rifacimento dell’intonaco, la lavatura degli elementi in pietra naturale, la verniciatura di parti in legno e in ferro delle facciate e il recupero degli elementi decorativi originali. Ancora oggi sono visibili numerosi elementi di questa importante testimonianza storica. Tra questi la robusta condotta forzata, alle spalle della centrale, mentre al suo interno sono stati mantenuti un raffinato quadro comando in marmo arricchito da curati dettagli in stile e un imponente generatore trifase Brown Boveri del 1911. L’edificio ospita attualmente l’officina meccanica dell’AET. Bibliografia:

AA VV, Dalla Olten-Aarburg alla Aar e Ticino: cinquant’anni di elettricità, Aar e Ticino, Società anonima di elettricità, 1945. Agostino Nizzola, Impianto idro-elettrico della Biaschina, Locarno, 1911. Franco Romerio, in Bodio dal villaggio rurale ala comune industriale – Cento anni di elettricità in un comune ticinese: il caso di Bodio, pp. 157-188, Comune di Bodio, 1997. Franco Romerio, 50 anni di energia per il Ticino, AET, 2009.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 2 maggio 2017 • N. 18

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Società e Territorio Rubriche

Lo specchio dei tempi di Franco Zambelloni Nuove età della vita Gli antichi, un tempo, ripartivano la vita in tre o quattro età: infanzia, giovinezza, maturità, vecchiaia. In un quadro allegorico del 1539 il pittore Hans Baldung le riduceva a tre: infanzia, giovinezza, vecchiaia. Noi, oggi, siamo ritornati a parlare della quarta età, situandola però dai settantacinque anni in su; e poiché la speranza di vita si prolunga costantemente, la senilità si dilata di conseguenza: nel 2014 gli ultra sessantacinquenni erano ben il 21,6 per cento di tutta la popolazione del nostro cantone. Così gli equilibri tra le generazioni si modificano, mentre i cambiamenti sociali e culturali inducono profonde modificazioni nei loro rapporti. C’è una fiaba dei fratelli Grimm che tratta di questo tema. Dice così: Dio dà vita a tutte le creature del mondo e a ciascuna assegna una specifica durata di vita. Ma l’asino, il cane e la scimmia implorano una riduzione; solo l’uomo

vuole un prolungamento. Dio allora asseconda tutte le richieste e attribuisce all’uomo gli anni rifiutati dalle tre bestie: così, dopo i suoi trent’anni da uomo, l’uomo vive da somaro, poi da cane e poi da scimmia. La fiaba è cattivella, ma le fiabe di una volta, tratte dalla tradizione popolare, non erano affatto quelle versioni mitigate ed edulcorate che più tardi sarebbero state rimaneggiate per i bambini: oggi noi ne assegneremmo molte, piuttosto, al genere horror. In ogni caso, per capire la versione dei Grimm, occorre considerare quale fosse in genere, nei secoli andati, la vita dopo i trent’anni. Non erano molti quelli che giungevano a 70 anni, e la soglia della vecchiaia era avvertita intorno ai 50. Servio Tullio – il più saggio dei sette mitici re di Roma – divise la popolazione in tre classi di età, fissando la vecchiaia dai 47 anni in avanti. Certo, c’erano le eccezioni (escludendo quelle improbabili della

Bibbia, come nel caso di Matusalemme – morto a 969 anni); ma è ipotizzabile che il deperimento fisico e mentale, dopo i 60 anni, fosse abbastanza diffuso da giustificare la fiaba dei Grimm. Erasmo da Rotterdam, nel suo Elogio della follia, lodava il fatto che l’avanzare dell’età facesse «rimbambire» – cioè, letteralmente, «tornare bambini» –, così che il peso degli anni fosse reso più sopportabile dall’obnubilamento mentale. Oggi le condizioni di vita, le precauzioni igieniche, le cure mediche e farmacologiche consentono un prolungamento della vita generalmente in buone condizioni. I progressi delle biotecnologie, poi, lasciano intravedere straordinarie possibilità di ritardare l’invecchiamento e compensare almeno in parte le perdite degenerative che si producono naturalmente nel corso della vita. Sembra una prospettiva allettante. Ma

affiorano anche dubbi, se ripenso a un racconto scritto negli anni Trenta del secolo scorso da Aldous Huxley che, come è noto, amava scrutare nel futuro con uno sguardo un po’ tetro. Nel racconto Dopo molte estati, lo scrittore immagina che estratti naturali di intestino di carpa siano capaci di prolungare enormemente la vita; purtroppo però la longevità risultante sfocia in un ritorno a una condizione di esistenza preumana, di tipo scimmiesco. Così, curiosamente, anche l’invenzione letteraria di Huxley si riannoda alla fiaba dei Grimm. Difficile fare previsioni attendibili. Chi vivrà, vedrà. Ci sono però anche letture diverse del cambiamento culturale che contrassegna le età della vita. Max Horkheimer – il celebre sociologo della Scuola di Francoforte – dopo la metà del secolo scorso riduceva a due le età della vita: «Lo sviluppo ha cessato di esistere. Il bambino è adulto dal

momento che sa camminare, e l’adulto resta di norma stazionario». Non è un giudizio positivo, perché nega che nella civiltà d’oggi abbia ancora luogo quella progressiva costruzione di sé che in passato caratterizzava le storie individuali. Horkheimer certo esagera nel suo enunciato così radicale; è però vero che la differenza tra giovani e adulti tende a ridursi, e la crescita interiore dell’individuo anche. La vita, per gli antichi, doveva essere un percorso verso una crescente saggezza; e il compito di chi già l’aveva raggiunta con l’avanzare dell’età era quello di guidare il giovane verso la stessa meta. È ancora così? Non ne sono certo, ma ho l’impressione che ai nonni sia affidata la parte dei baby-sitter, la cura dei bambini finché sono nell’infanzia; poi, una volta che il giovane è giunto all’adolescenza, le parti si invertono: «Vieni, nonno, che t’insegno a vivere in Rete!».

quei tempi, qui accanto alla pagoda, zampillava la fontana-arcobaleno; lo sfondo prediletto dalle spose, pare, per farsi fotografare nelle pause sigaretta dei pranzi nuziali al salone delle feste dell’hotel Plaza. Dove hanno cantato Mina, Celentano, Patty Pravo, I Dik Dik, I Camaleonti. L’hotel Plaza è ancora in piedi, ma l’unica nota gioviale è un glicine. Per anni, finita la festa a Consonnoland, è stata casa di riposo. All’orizzonte, sulla strada deserta da western, un uomo claudicante avanza e svolta a destra. In fondo a quella stradina c’è ancora la casa prefabbricata dove il conte Amen, come è stato ribattezzato dagli abitanti defraudati di Consonno, aveva sistemato quest’ultimi al pari di profughi a casa loro. Lì in un angolo c’è ancora l’impianto di betonaggio in rovina dell’Impresa Bagno. Infatti il progetto di questo Fitzcarraldo della domenica, è rimasto incompiuto. Come ha dichiarato laggiù, contro il parapetto del belvedere in compagnia del suo barboncino, alle cineprese

della Tsi, aveva in mente un campo da calcio, da tennis, «palla a canestro», minigolf, bocce, pattinaggio, luna park e «un grande zoo con bestie da parcogiardino e un ristorante popolare con orchestrine curiose». E soprattutto un inverosimile circuito automobilistico, indicando come luogo il monte spianato a suon di dinamite per ammirare meglio il manzoniano Resegone. Va citato anche il campo per il fantomatico tombarello, definito dal vaneggiante conte «uno sport che si svolgerà in declino». Non c’è traccia del cannone e delle sfingi comprate in saldo nei magazzini di Cinecittà che facevano capolino nei riquadri delle cartoline con cari saluti da Consonno (634 m). Sparito anche il tragicomico ponte medievaleggiante all’entrata, dove due guardie in costume da gladiatore romano facevano su e giù. Una piazzetta vicino alla chiesa sembra scampata un po’ al declino di Bagnopoli, la fontana è vuota, ma ci sono diverse panchine. Mi siedo per un picnic frugale: panini

con la bresaola e acqua frizzante. L’orologio del campanile della chiesetta di San Maurizio segna a vita l’ora del tè. A fianco c’è un’altra traccia non sepolta dell’ex frazione svenduta e svanita di Olginate: la canonica scalcinata con il tetto di coppi tremolanti e sconnessi che quasi rivaleggiano in bellezza con un Klee. Cinguettii, boschi di castagni intorno, un bastardino che fa la guardia al divertimentificio abbandonato. La scarpinata è valsa la pena per questo sprazzo d’irrealtà vera in cima a un colle. Ora si riconosce il cucù che mi ricorda sempre la prozia Ilda quando mi cantava «cucù cucù, l’aprile non c’è più, è ritornato il maggio al canto del cucù». Una ginestra rallegra lo sfacelo dei divertimenti, lo stemma nobiliare inventato di sana pianta è ancora ben visibile sul lastricato. Un paese distrutto per far posto persino a un campo impossibile di tombarello eccetera, è abbastanza tragico, d’accordo, eppure quella specie d’insensato minareto ornamentale che svetta là, è una meraviglia.

Sono all’ordine del giorno, gli impianti d’allarme, le serrature multiple, la videosorveglianza, le applicazioni sul cellulare per monitorare le abitazioni, mentre, nelle strade, le telecamere, per altro politicamente osteggiate, tengono d’occhio spostamenti insoliti. Cioè sospetti. Eccola la parola più rivelatrice per definire il clima politico e psicologico del momento: ci si trova, insomma, nel pieno della «cultura del sospetto», tenuta a battesimo dal filosofo Paul Ricoeur, che doveva aprire un dibattito sempre più attuale, sul piano del pensiero. In particolare, fu contestato da Zygmunt Bauman, il sociologo polacco recentemente scomparso, a cui si devono dichiarazioni ormai storiche, diventate aforismi: «La cultura del sospetto non è l’anticamera della verità». Anzi, «rappresenta un freno nelle relazioni interindividuali» e induce a sospettare di tutto e di tutti, persino del vicino di casa, Strangers at our door, stranieri alla nostra porta. Così s’intitolava un suo

saggio, dedicato appunto «al panico migranti», di cui anche noi, svizzeri e ticinesi in particolare, siamo i testimoni, disarmati, in balia a una «paura ufficiale» e a una «paura privata». Ora, proprio qui, si tocca un aspetto tipico del vivere elvetico. Ed è quel tradizionale riserbo, quell’abitudine di farsi i fatti propri, che incidono sui rapporti fra vicini, tutt’altro che intensi e cordiali. Anzi, come aveva denunciato, anni fa, il giornalista e scrittore Hugo Loetscher nel libro dal titolo spassoso Der Waschküchenschlüssel (La chiave della lavanderia), l’uso di questo locale di servizio era oggetto di frequenti dispute fra i coinquilini che, a volte, avevano strascichi in tribunale. Alla faccia, insomma, del buon vicinato e dell’aggregazione sociale. Tanto che, in varie città, si corse ai ripari organizzando, appunto, la festa dei vicini, che cade in maggio. Col favore di una serata primaverile e di una tavola imbandita, si cerca di creare un’amicizia che, oggi, deve fare i conti con diversità sempre più ac-

centuate. Se, prima, si trattava di nuovi arrivati, da oltre Gottardo o dall’Italia, con cui veniva poi spontaneo scambiarsi un saluto o un augurio, adesso è lo straniero, cioè l’estraneo vero e proprio, di cui non si sa nulla: da dove viene, che lingua parla, che mestiere fa. Sembra impersonare il bersaglio su misura, destinato alle supposizioni maliziose e persino malevole, che alimentano la cultura del sospetto. Del resto, dubitare sul conto di uno sconosciuto, che forse potrebbe giungere dal Kosovo o dalla Romania, che magari campa alle nostre spalle usufruendo dell’assistenza pubblica, potrebbe organizzare furti o peggio trame terroristiche, rappresenta persino un dovere civile. Le autorità di polizia raccomandano, giustamente, di segnalare movimenti sospetti nel nostro quartiere. Provocando, però, anche incresciosi abbagli. Ecco che l’ultimo arrivato, è di origini slave, ma parla italiano, persino un po’ di dialetto, lavora in un servizio pubblico, e ci invita a casa sua: «Da noi, usa così, fra vicini».

Passeggiate svizzere di Oliver Scharpf Consonno o il paese dei balocchi fantasma È più di un’ora che arranco su per uno stradone asfaltato in mezzo al verde in provincia di Lecco. Un cartello in aria come negli arrivi di montagna del giro d’Italia, ma di ferro e tutto arrugginito, a caratteri maiuscoli in rilievo, dice: Consonno è il paese più piccolo ma più bello del mondo (ne parla anche Claudio Visentin a p. 13 di questo numero, ndr). Sorto nel 1402 e raso al suolo nel 1962 dalle ruspe di Mario Bagno (19011995): imprenditore edile di Vercelli e sedicente conte di Valle dell’Olmo accecato da un sogno delirante tipo Las Vegas. A Consonno è sempre festa si legge poi a fatica alla fine di un tornante. La vista si apre e laggiù si vede l’andamento goffo dell’Adda. La cartellonistica smargiassa andata in malora continua comunicando ancora, a stento: Chi vive a Consonno campa di più. Odore forte di pini silvestri piantati ad arte genere prologhi dei villaggi turistici ed eccolo, lassù, come una fatamorgana, il minareto: emblema rimasto del paese dei balocchi fantasma. Sempre con il

naso all’insù si decifra l’ultimo proclama megalomane del conte Bagno: Qui a Consonno tutto è meraviglioso. Su in cima, in fondo allo stradone, si scorge il coro della chiesetta seicentesca, unica superstite del borgo medievale venduto dalle famiglie Anghileri e Verga al conte Bagno per ventidue milioni e mezzo di vecchie lire. Il filare di negozi in stile arabeggiante, ai piedi del minareto turchino con cupola di cemento accanto, è sventrato e assalito dalla vegetazione fuori controllo. Graffiti ovunque, alcuni neanche male. Se nel 1976 una frana scende sulla strada tagliando fuori dal mondo l’improbabile Las Vegas brianzola già un po’ disertata, il colpo di grazia è opera dei rovinosi rave anni duemila. Gironzolo tra le macerie ludiche. Ecco la pagoda cinese mezza divelta, ispiratrice del titolo del polemico reportage di Camilla Cederna uscito sull’«Espresso» agli albori di quello che all’epoca era chiamato Centro Turistico Internazionale: Una pagoda per Don Lisander, settembre 1968. A

Mode e modi di Luciana Caglio Più sicuri grazie al sospetto Lo confermano, incontestabilmente, tutti gli innumerevoli sondaggi, con cui, sul piano mondiale, si tasta il polso alle aspirazioni popolari: al primo posto, figura sempre e proprio la sicurezza. E si manifesta attraverso una richiesta di protezione da minacce reali, nei paesi cosiddetti a rischio, o soltanto ipotetiche, nei paesi meglio attrezzati contro le calamità, naturali o politiche che siano. Come dire, prevale lo smarrimento nei confronti di un futuro che sembra sfuggire di mano, ovunque. Succede persino da noi, in una Svizzera dove il tasso di disoccupazione oscilla fra il 3 e il 4 per cento, ma viene percepita, come si usa dire, in ben altro modo, alla stregua di una probabilità incombente. Da qui quel bisogno di sicurezza che, secondo le indagini d’opinione, concerne, innanzi tutto, il posto di lavoro, al riparo da cambiamenti e imprevisti. Per non parlare, poi, di altre garanzie, relative ad altri beni, oggi considerati in pericolo: la salute, il clima, la socialità, e, persino,

quella sorta d’incolumità dalle insidie della criminalità, un tempo vanto delle città elvetiche. In proposito, ricompare la stessa disparità fra dati ufficiali e reazioni popolari: statisticamente, i reati non dovrebbero preoccupare, ma, dal canto loro, i cittadini si mettono sulla difensiva. Come dimostrano nuovi e fiorenti settori commerciali.

La videosorveglianza è ormai all’ordine del giorno.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 2 maggio 2017 • N. 18

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Ambiente e Benessere Alla ricerca di città morte Una rassegna dei luoghi abbandonati più famosi e la nuova moda di volerli scoprire

La bellezza dei cotogni da fiore Arrivano fino a tre metri di altezza: i Chaenomeles sono piante originarie del Giappone e della Cina pagina 14

Un seme in tempo di guerra Teodor Cerić accompagna verso luoghi della normalità i lettori in fuga dai conflitti, ed è questo il bello nei suoi libri

Il pesce zebrato Curiosità, fisionomia, luoghi di fecondazione, habitat e tanto altro sul pesce persico

pagina 15

pagina 13

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Se il ginocchio fa male Salute Confronto con le nuove frontiere

della chirurgia ortopedica, che non sempre predilige il bisturi

Maria Grazia Buletti «Il futuro sta sulle ginocchia degli dei», «La gamba fa quel che vuole il ginocchio» e «Per stare in piedi occorre saper stare in ginocchio» sono solo alcune delle perle di saggezza popolare (l’ultima ben testimonia le esigenze professionali del prete Oreste Benzi) che dimostrano come le ginocchia sono fra le articolazioni più sollecitate del nostro corpo. Secondo una statistica della Suva, proprio ginocchia e caviglie sono fra le articolazioni più soggette a un grande numero di traumi, siano essi di sportivi o semplicemente di persone comuni. «Più andiamo in periferia, e più le articolazioni del nostro corpo diventano complesse per l’enorme mobilità che sono chiamate a offrire», così esordisce il dottor Christian Candrian, uno dei vice primario dell’Unità di ortopedia e traumatologia dell’Ospedale regionale di Lugano (sede Italiano) che incontriamo, insieme al suo omologo dottor Paolo Gaffurini, per parlare delle patologie che interessano le ginocchia, dell’approccio diagnostico, terapeutico e delle nuove tecniche chirurgiche, se e quando la chirurgia si rende necessaria. Emerge che il bisturi è una scelta che si pone raramente, solo al termine di un percorso diagnostico – terapeutico conservativo. Siamo nell’ambito di una branca iperspecialistica della chirurgia, quella dell’ortopedia, che studia l’apparato locomotore e le sue patologie, i cui medici ortopedici sono specializzati nella diagnosi e nel trattamento sia chirurgico sia non chirurgico dei problemi del sistema locomotore che comprende ossa, articolazioni, legamenti, tendini, muscoli e nervi (oltre ai tessuti molli che li rivestono).

Video intervista Sul canale Youtube di «Azione» e su www.azione.ch la videointervista con i medici Candrian e Gaffurini.

Parlare di queste patologie con gli specialisti Gaffurini e Candrian non significa però affrontare necessariamente gli aspetti chirurgici, anzi: «Di norma, quando il ginocchio fa male non bisogna rivolgersi immediatamente al chirurgo ortopedico: il medico di famiglia è la figura di riferimento ideale per affrontare la problematica che sarà valutata per l’intensità del dolore stesso, dall’eventuale evento traumatico e quant’altro». Candrian identifica le lesioni del ginocchio «in due tipi: quelle traumatiche (semmai con fratture), e i processi degenerativi, compresi quelli cartilaginei». Ci possiamo dunque trovare dinanzi a lesioni di menisco, legamento crociato anteriore, legamenti collaterali («lesioni spesso associate ad attività di sport di impatto come calcio, sci, stop and go» e concomitanti lesioni cartilaginee traumatiche, soprattutto nei pazienti molto giovani»). Mentre nel campo delle lesioni degenerative andiamo verso il deterioramento dei tessuti: «Con o senza un trauma, la cartilagine si deteriora generando un’artrosi (ndr: consumo cartilagineo) in cui l’attrito fra le ossa genera dolore». Alcuni elementi di ordine multifattoriale chiudono la carrellata sulle possibili cause dei dolori alle ginocchia: predisposizione famigliare, morfologico (ginocchia valghe o vare in cui il consumo cartilagineo è irregolare), insieme all’artrosi femoro-rotulea in caso di sovrappeso. Gli specialisti ribadiscono che sovente il miglior trattamento terapeutico è quello conservativo. «Per agire chirurgicamente ci deve essere una chiara indicazione e, ad esempio, la lesione del menisco oggi ha pochi presupposti chirurgici, perché i risultati dimostrano che chi si fa operare può incappare in un esito peggiore rispetto a quello della terapia conservativa a lungo termine», dice Gaffurini che pone l’accento sull’importanza del rapporto di fiducia fra medico e paziente e parla dell’approccio perseguito dal chirurgo ortopedico chiamato a individuare il migliore risultato terapeutico per ciascun paziente. «Non operiamo una radiografia o una risonanza magnetica (RMI), ma decidiamo di intervenire, solo se del caso, sul paziente con i suoi sintomi», spiega. Ed evidenzia l’innegabile importanza della diagnosi clinica da parte dello specialista: «L’eventuale indi-

Il dottor Paolo Gaffurini (a sin.) e il dottor Christian Candrian. (Vincenzo Cammarata)

cazione per ulteriori esami si pone solo in funzione di una diagnosi che non dà adito a una possibile terapia conservativa». Egli ribadisce: «Per decidere di operare ci deve essere un’indicazione assolutamente precisa, i cui esami diagnostici annessi devono servire allo specialista unicamente per valutarne la complessità». Dal canto suo, Candrian sottolinea l’importanza della responsabilizzazione del paziente nelle decisioni: «Egli ha spesso aspettative che non corrispondono al procedere e vede nell’intervento chirurgico “la” soluzione a tutti i mali». Certo, vi sono casi in cui è necessario intervenire, spiega Gaffurini: «Un’artrite settica (ndr: infezione del ginocchio) va operata perché evidentemente il paziente rischierebbe di sviluppare una setticemia; abbiamo l’ortopedia traumatologica che contempla situazioni come la sindrome compartimentale in cui un muscolo

si gonfia sempre di più e ciò comporta un’indicazione chirurgica assoluta». Quando l’intervento si rivela risolutivo parliamo di protesi o trapianto di cartilagine? È la domanda che poniamo al dottor Candrian, il quale ci spiega, in sintesi, i progressi chirurgici inerenti i trapianti cartilaginei che hanno il potenziale di risparmiare l’intervento protetico totale e di alleviare i sintomi nel corto e medio termine: «È possibile agire su una lesione isolata in cui la cartilagine non è tutta compromessa, con una riparazione cartilaginea attraverso differenti possibili modi d’azione». Uno di questi implica la coltivazione in laboratorio di tessuto del paziente stesso («prelevato con biopsia al ginocchio o dal naso»), tessuto coltivato in laboratorio e poi trapiantato nel ginocchio o in altre articolazioni dove le cellule moltiplicatesi rigenerano un tessuto simile a quello della cartilagine: «Si tratta del trapianto autologo

cartilagineo, ma abbiamo a disposizione altri tipi di metodiche con cui intervenire su pazienti che, malgrado la terapia conservativa, sono rimasti sintomatici». Movimento adeguato alla propria condizione ed età, qualità di vita, non essere in sovrappeso sono elementi consigliati dagli specialisti a titolo preventivo. Nell’ambito dell’imminente creazione del polo di riferimento dell’Unità di ortopedia e traumatologia dell’Ospedale Regionale di Lugano (che avrà sede principalmente all’Ospedale Italiano), il team multidisciplinare degli specialisti capitanato dai nostri interlocutori propone un ciclo di conferenze pubbliche (entrata libera) il cui primo appuntamento è: Nuove frontiere della rigenerazione cartilaginea del ginocchio, giovedì 11 maggio 2017, alle 18.00 presso l’Auditorio dell’Università della Svizzera italiana di Lugano.


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Ambiente e Benessere

Terra di nessuno

Lo sguardo cretese

Viaggiatori d’Occidente Il fascino dei luoghi abbandonati

Bussole I nviti a

letture per viaggiare «L’emozione della partenza. Un viaggio preparato per mesi che diventa realtà. (…) C’è il rito di scegliere un sasso da questa spiaggia con l’intenzione di conservarlo per tutto il viaggio e buttarlo dalla parte opposta dell’isola, nell’altro mare. C’è la consapevolezza, da viaggiatore, che non sarà un viaggio come gli altri. Ho viaggiato tanto… Ma questo sarà un viaggio speciale. Lo so. Perché lo so? Perché Creta è nel mio cuore come nessun altro luogo…»

Claudio Visentin Centoquarantamila like per una pagina Facebook sono tanti, soprattutto se dedicata a «I luoghi dell’abbandono». Non è neppure la sola di questo tipo e il loro numero si moltiplica passando dall’italiano all’inglese. È la prova di come questa passione si stia diffondendo in tutto il mondo, anche se spesso ciascuno dei praticanti crede di essere il solo, o uno tra pochi. Una rassegna dei luoghi abbandonati più famosi potrebbe cominciare dalla prigione di Alcatraz, costruita su un’isola nella baia di San Francisco e raccontata in tanti film (L’uomo di Alcatraz, 1962; Fuga da Alcatraz, 1979, ecc.). Il carcere federale fu aperto nel 1934 e qui furono rinchiusi criminali leggendari come Al Capone e Machine Gun Kelly. Nel 1963 le difficili condizioni ambientali e i costi crescenti portarono alla chiusura del penitenziario. Dieci anni dopo l’isola fu aperta al pubblico e l’affluenza fu subito enorme: soltanto nel primo anno si contarono cinquantamila visitatori, più di quanti vi avevano messo piede in tutti i secoli precedenti. Oggi il loro numero supera ampiamente il milione ogni anno.

Cosa ci richiama in questi luoghi? Forse ci sembra di poter leggere le vite quotidiane degli abitanti di un tempo I cercatori più raffinati si raccontano invece della stazione abbandonata della metropolitana di New York: City Hall a Lower Manhattan. Quando fu costruita nel 1904 era la prima in città e per questo si vollero realizzare eleganti decorazioni in stile liberty. Nel 1945 City Hall fu dismessa perché la sua forma curva rendeva difficili le manovre dei convogli, sempre più lunghi. Da allora, nonostante l’abbandono, si è conservata in buone condizioni. È possibile vederla con una visita guidata organizzata a intervalli regolari, oppure si può ricorrere a un piccolo trucco: restate sul treno n. 6 dopo l’ultima fermata di Brooklyn Bridge, quando tutti scendono, perché mentre inverte la sua direzione di marcia si attraversa la stazione abbandonata. Dall’altra parte del mondo, in Namibia, Kolmanskop è un piccolo insediamento risalente al tempo della colonizzazione tedesca, all’inizio del Novecento, legato allo sfruttamento di una miniera di diamanti. Quando la vena si esaurì, intorno al 1950, Kol-

Una delle case invase dalla sabbia a Kolmanskop in Namibia. (www.hammerfilms.com)

manskop fu abbandonato, ma oggi è un perfetto set fotografico con le sue case color pastello invase dalla sabbia. In Italia è sempre più conosciuta la struggente bellezza di Craco, un paese vicino a Matera deserto dal 1963, quando una frana completò lo spopolamento avviato dall’emigrazione. Craco ha avuto effimeri risvegli quando è stato il set di qualche film (per esempio La passione di Cristo di Mel Gibson), ma poi è rapidamente tornato al suo abbandono: strade deserte, chiese sconsacrate e case in rovina, dove gli alberi mettono radici nel pavimento e spingono le loro chiome attraverso il tetto. «La città che muore» per eccellenza è però Civita di Bagnoregio (Viterbo), circondata da un paesaggio che si sfarina e legata al mondo solo da un esile ponte pedonale sospeso sul baratro. Anche Paraloup, borgata alpina occitana in Valle Stura, ha una storia importante da raccontare. Qui dopo l’8 settembre 1943 si è formata la prima brigata partigiana di Giustizia e Libertà: uno strano esercito di studenti, operai, contadini e artigiani. La montagna ha vinto la guerra coi nazisti ma nel secondo dopoguerra ha dovuto soccombere alla sfida delle fabbriche, che in pochi anni hanno attratto in città la sua popolazione. Il terreno, un tempo coltivato e governato, è ora brado e selvati-

co. Paraloup significa «rifugio dei lupi» e qualche lupo in effetti è ricomparso, insieme a pochi uomini interessati alle tracce di un passato partigiano e contadino. Un poco glorioso fallimento è invece quello di Consonno, frazione di Olginate, in provincia di Lecco. Per lunghi secoli è stato solo un borgo raccolto attorno alla chiesa e all’osteria, alla bottega e al cimitero: mulattiere e torrenti, castagne e vino. Poi venne raso al suolo per essere trasformato nella Las Vegas della Brianza: edifici arabeggianti e pagode cinesi, sale da gioco e da ballo, una città dei balocchi che negli anni Sessanta e Settanta conobbe un’effimera fortuna. Ma già nel 1976 Consonno restò isolata dopo alcune frane lungo la strada di accesso. Dopo anni di degrado, accelerati da devastanti rave party, oggi alcune associazioni cercano di proteggere il poco rimasto tenendo aperto un bar e organizzando visite guidate. Altri luoghi abbandonati hanno meno ambizioni, come ristoranti, discoteche o i numerosi capannoni in disuso dopo che le produzioni industriali sono finite dall’altra parte del mondo. Il degrado di un edificio può essere molto rapido una volta che non è più abitato. In poco tempo compaiono persone in cerca di un riparo di fortuna,

mentre i vandali compiono la loro opera distruttrice. Ben presto un possibile restauro diventa troppo costoso, specie se l’edificio non ha particolari attrattive e così il declino accelera ancor più. Ma, a distanza di tempo, proprio questa condizione di abbandono comincia ad attirare i curiosi. Cosa ci richiama in questi luoghi? È difficile dare una risposta chiara. Forse, al di sotto della polvere e della ruggine, ci sembra di poter leggere le vite quotidiane degli abitanti di un tempo. Una vena di nostalgia, e una piacevole malinconia, sono i sentimenti prevalenti. In altri casi, anno dopo anno, vediamo la natura riconquistare luoghi un tempo riservati agli uomini, cancellando ogni traccia della loro presenza: un’anticipazione di come sarà il mondo dopo di noi. Anche per gli studiosi della società contemporanea queste esperienze sono una sfida. La visita dei luoghi abbandonati è chiaramente turismo, ma di tipo nuovo. Se l’esperienza turistica è per definizione leggera, piacevole, svagata, queste nuove mete rompono gli schemi e rimandano piuttosto a una versione morbida e attenuata di Dark Tourism, ovvero l’attrazione inconfessata per i luoghi di morte e disastri. Come sempre, il viaggio rivela lati nascosti della nostra personalità.

Nel raccontare la sua vita il poeta cretese Nikos Kazantzakis (1883-1957) immaginò di essere un soldato a rapporto dal suo superiore, il pittore cinquecentesco El Greco. A sua volta il camminatore Luca Gianotti ha immaginato la traversata a piedi dell’isola di Creta come un dialogo con Kazantzakis, a cominciare dalla sosta sulla sua tomba, sui bastioni veneziani della città di Iraklio, con il celebre epitaffio: «Non mi aspetto nulla, non ho paura di nulla, sono libero». Il libro racconta giorno per giorno un mese di cammino lento e profondo, quattrocentottanta chilometri da est a ovest, attraversando tre grandi catene montuose. Teoricamente siamo nel tratto finale del sentiero di lunga percorrenza E4, che attraversa l’Europa dalla Spagna a Cipro. Ma è un percorso tracciato seguendo criteri superati e poco segnalato; è percorribile solo da camminatori esperti attrezzati con bussola, altimetro, GPS e carte. Per questo Gianotti da diversi anni lavora a ridisegnare la «Via cretese» (www.cretanway.eu), incoraggiando la nascita di punti di sosta gestiti dalla comunità locale e individuando un percorso migliore, lontano dall’asfalto e dalle troppe costruzioni moderne. Ancora più importante ai suoi occhi è dare a questo camino un suo autonomo significato spirituale, sintesi tra la Grecia e Oriente: lo «sguardo cretese».

La copertina del libro di Gianotti. Bibliografia

Luca Gianotti, Rapporto a Kazantzakis. La traversata di Creta a piedi, Edizioni dei cammini, 2017, pp. 144, € 14.

Prospetti in Notizie scientifiche realtà virtuale Medicina e dintorni Hotelplan Occhiali

3d nelle filiali ticinesi Dal 4 al 6 maggio sarà possibile progettare le vacanze con occhiali per la realtà virtuale. I visori saranno disponibili da giovedì 4 a sabato 6 maggio 2017 nelle filiali Hotelplan di Bellinzona, (Viale Stazione), Lugano, (Via P. Peri e Via E. Bossi). Si possono sperimentare 150 diversi percorsi, «visitare» città, scoprire particolarità di luoghi e farsi un’idea reale di ciò che si vedrà da un promontorio o dell’interno della cabina di una nave da crociera. A tutti i clienti che visiteranno le filiali verrà consegnato un omaggio in collaborazione con Migros Ticino e melectronics. Info su www.azione.ch.

Marialuigia Bagni Gli occhiali «intelligenti» Studiati da una piccola azienda francese di Lione degli occhiali che permettono di fotografare o di filmare una scena e di diffonderla in diretta su Internet. È sufficiente premere un pulsante sulla montatura per ottenere la foto che un dispositivo, connesso in wi-fi o bluetooth, diffonde in rete per mezzo di un’apposita applicazione. Il costo si aggira sui 300 euro. Disoccupazione e diabete La paura della disoccupazione favorisce il diabete. Ne parla la rivista «CMAJ» riferendo di numerosi studi condotti in Europa e negli Stati Uniti su 140mila individui. Sviluppano la malattia oltre il 19 per cento di quanti si sentono minacciati dalla perdita del

lavoro rispetto a quanti hanno un impiego «sicuro». Se cresci nell’orto mangi legumi Si mangiano più legumi se si è fatto giardinaggio da piccoli. Era già noto da tempo l’effetto benefico dell’esperienza sui giovani che hanno fatto giardinaggio. Un nuovo studio americano, condotto su 1300 studenti di otto Università, dimostra come chi ha fatto giardinaggio continui ad amare frutta e verdura da adulto: il consumo è superiore del 17 per cento. Ne parla il «Journal of Nutrition and Diet». Oggi si può rimuovere la paura Un gruppo di ricerca dell’Università di Stanford e di Cambridge è riuscito a rimuovere la paura nel cervello di alcuni volontari con l’inserimento di un ricordo positivo. Questa «riprogramma-

zione cerebrale», che è stata realizzata mediante tecniche di visualizzazione e intelligenza artificiale, potrebbe aprire la strada a nuove terapie per superare traumi o fobie.

ha stabilito una ricerca pubblicata sul «Journal of Public Health». Incrementare il consumo di frutta e verdura renderebbe felici come trovare un buon lavoro.

Cammina in fretta che… ti passa Camminare veloce può permettere di vincere la depressione. Modificando il modo di camminare si agisce infatti sulla mente e si fa «autoterapia». Numerose ricerche, pubblicate sulla rivista «Biofeedback», hanno dimostrato che camminare con regolarità e a ritmo sostenuto ha un ottimo effetto antidepressivo, perché stimola la produzione di endorfine, responsabili delle reazioni di euforia.

In arrivo il pancreas artificiale Dopo accurate ricerche cliniche, l’Agenzia americana per il farmaco ha dato il via libera alla commercializzazione del pancreas artificiale per gli adulti. Il dispositivo non dà problemi di trapianto perché consiste in una scatola da infilare su una cintura esterna del paziente. Un captore sottocutaneo misura il livello di glucosio ogni cinque minuti e – a seconda della necessità – una pompa immette la corretta quantità di insulina tramite un ago. Inoltre uno schermo molto simile a quello dei telefoni portatili indica il tasso di glicemia e di insulina. Ne parla «Science et Avenir».

Frutta e verdura rendono «felici» Cinque tipi di vegetali a pasto aumentano il benessere fisico e psichico. Così


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Ambiente e Benessere

Cotogni da fiore

Mondoverde Cespugli rustici, con corolle semplici ma dai colori sgargianti

Anita Negretti I Chaenomeles, che appartengono alla famiglia delle Rosaceae, si compongono di tre specie e numerose varietà. Sono arbusti decidui, spinosi, alti da uno fino a tre metri e le varietà più precoci fioriscono da fine dicembre, come ad esempio Chaenomeles speciosa «Nivalis». Vigorosa e rustica, la Nivalis ha una crescita rapida, fiorisce fino alla fine di marzo con corolle bianco candido, simili a dei confetti, seguite a fine estate da frutti gialli. A gennaio si aprono i fiori di Chaenomeles x superba «Pink Lady» e la specie a cui appartiene questa varietà è un ibrido tra Chaenomeles japonica e Chaenomeles speciosa. Alta e larga non più di un metro, produce prima fiori rosa poi foglie lucide, ovali e a margine dentato, lunghe tra i cinque e i dieci centimetri. Queste belle e rustiche piante sono tutte originarie del Giappone e della Cina: una vecchia classificazione botanica li includeva nel genere Cydonia, a cui appartiene il cotogno. Da questa affinità deriva il nome comune «cotogno da fiore», anche se al momento dell’acquisto è sempre raccomandabile richiedere piante mediante il nome latino: non si avranno problemi di interpretazione. I Chaenomeles si caratterizzano per i fiori semplici, molto simili a quelli dei meli: singoli o doppi, portati in gruppetti sui rami spogli o con qualche nuova fogliolina verde brillante, hanno

Fiori di cotogno. (Shimizusatsuki)

petali color pastello, come Chaenomeles speciosa «Apple Blossom» che è in grado di raggiungere i due metri e ha boccioli fiorali rotondi che allo sbocciare si presentano bianchi bordati di rosa. Chaenomeles japonica dai fiori arancio scarlatto, larghi fino a quattro centimetri, raggiunge il metro di altezza e si allarga per un metro e mezzo, creando un denso cespuglio adatto sia per

aiuole fiorite sia per creare siepi miste. Se amate i fiori ricchi di petali, cercate Chaenomeles x superba «Cameo», una cultivar rosata in grado di sbocciare prima sui rami nudi e nuovamente tra aprile e maggio, dopo la comparsa delle foglie. Le esigenze dei cotogni da fiore sono molto semplici: si adattano a qualsiasi tipo di terreno, non temono il gelo invernale e prediligono esposizioni in

pieno sole. L’impianto lo si esegue da fine inverno a inizio primavera oppure da settembre e per tutto l’autunno; dopo la fioritura in maggio-giugno, si esegue una leggera potatura eliminando solo i rami secchi o rovinati. È consigliabile in autunno somministrare un fertilizzante organico e dopo la maturazione dei frutti in settembre-ottobre, è bene raccoglierli e non lasciarli sulla pianta per evitare

marciumi sgraditi. I frutti, simili a delle mele, si possono cucinare per fare marmellate o gelatine. In marzo si possono innestare i Chaenomeles sul biancospino, prelevando da un cotogno da fiore una porzione di ramo lunga dieci centimetri e dal diametro di tre centimetri. Si crea una punta a «V» mediante due tagli obliqui, per una lunghezza di due centimetri; si capitozza un biancospino (Crataegus oxyacantha) con un fusto dal diametro di tre centimetri, mediante un taglio orizzontale netto. Il biancospino sarà il nostro portainnesto e andrà inciso con un taglio centrale e verticale profondo 2,5 centimetri. Infine si inserirà il ramo di Chaenomeles nel taglio a «V» del portainnesto e lo si legherà con del nastro adesivo da innesto con l’aggiunta eventuale – se è il caso – di mastice. Per favorire la cicatrizzazione è consigliabile insacchettare la parte interessata all’innesto con un telo o con un sacchetto trasparente di plastica, che andrà tolto quando le gemme di Chaenomeles incominceranno ad ingrossarsi, circa un mese dopo l’operazione di innesto a spacco centrale. Vi consiglio di abbinare un cotogno da fiore dallo sviluppo medio, intorno ai 100-150 centimetri, con Prunus x subhirtella «Autumnalis», in fiore da novembre e per tutto l’inverno, ellebori e Camelia japonica: creerete una splendida aiuola fiorita che vi accompagnerà dai mesi più freddi fino ai primi tepori primaverili. Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 2 maggio 2017 • N. 18

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Ambiente e Benessere

Guardando l’erba crescere

Il seme nel cassetto Bisognerebbe sempre parlare di giardini, come suggerisce Teodor Cerić nel suo ultimo libro

Laura Di Corcia Dimenticatevi i giardini le cui bellezze cromatiche ricordino quadri di pittori fiamminghi, scordate le meraviglie degli accostamenti, da quelli più vieti a quelli più azzardati, accantonate le peripezie vegetali che creano panorami da mozzare il fiato, fate piazza pulita di tutto ciò che cerchiamo normalmente in un hortus conclusus separato dalle cose trite e quotidiane con le quali dobbiamo ahinoi fare i conti sempre. Il bello di Giardini in tempo di guerra di Teodor Cerić è che i luoghi nei quali porta il lettore lungo il suo viaggio in fuga dalla guerra (dietro il poeta bosniaco in realtà si nasconde Marco Martella, il direttore della rivista parigina «Jardins») sono in fondo posti normali.

«Non c’è niente di straordinario da scoprire, è semplice, a volte scontato o brutto» ed è questo il bello Queste pagine ci calano in un mare calmo, senza fondali tropicali, senza barriere coralline o sirene che annunciano incanti: qui non c’è niente di straordinario da scoprire, tutto è semplice, a volte persino scontato o brutto. Prendiamo per esempio il giardino brullo che appartenne a Samuel Be-

ckett, a Ussy-sur-Marne, in quell’angolo di Francia che Balzac aveva definito «deserto di cereali» e che dovette ricordare al drammaturgo la sua Irlanda e i campi di patate; un pezzo di terra, quello appartenente al fondatore del teatro dell’assurdo, «poco attraente», come si legge nel libro, e capace con straordinario piglio riassuntivo di farsi ipostasi di tutto quello che «un giardiniere degno di questo nome disprezza». Eppure in quel luogo, che lui soleva chiamare grounds anziché garden, Beckett lavorava per ore. Guardava l’erba crescere fra i sassi, aggrapparsi con la disperazione della vita alla distruzione, agli elementi secchi e ctoni del fenomenologico: la stessa acuta, umanissima disperazione con cui i suoi personaggi si aggrappavano all’esistenza, alla mancanza di senso, al vuoto, attendendo Godot e mescolando parole, singhiozzi e silenzi. Parlare di giardino è una forzatura. Dovremmo parlare sempre di giardini, perché ognuno di essi ha una propria e differente storia, ed è questo che ci suggerisce l’autore, portandoci per esempio nel giardino dove Derek Jarman passò i suoi ultimi giorni, prima che l’Aids lo stroncasse. A Prospect Cottage, nel Kent, Teodor Cerić non trova un Eden, piuttosto un cimitero: lì il regista dialogava con i suoi morti, i suoi amici anch’essi uccisi dal virus, e lì ogni sasso, ogni ramo era un altare dedicato a una vita strozzata. E la borragine? «I borrage bring

L’immagine che fa da sfondo alla copertina de Giardini in tempo di guerra di Teodor Ceric´.

courage» (verso di Derek Jarman, che significa, tradotto, «Io, borragine, porto coraggio»), perché, nonostante il gelo mattutino, lei si rialza, continua ad esistere. In quel giardino il regista, grande appassionato botanico, attese la morte, cercando, nel vivo del divenire che corrompe ogni cosa, di creare ancora più vita nella vita. Anche se solo per un attimo. In questo viaggio l’ombra è più interessante della luce: e così quella densa, fitta della notte, quella

che ricopre Monte Caprino, un luogo di incontri ambigui a Roma, diventa lo spazio giusto per sentirsi a casa. Molto più che di giorno, quando i raggi del sole feriscono il luogo e ce lo restituiscono troppo netto, troppo prosaico, senza più nascondigli o misteri da svelare. Ma che cosa promette, quindi, un giardino? Martella ce lo rivela alla fine: «Tornare alla terra, fare di nuovo corpo con essa, parlare finalmente la

sua lingua, anzi no, essere la sua lingua». Fra le stagioni, le passate, le presenti, e le future, dovremmo sempre ricordarci della borragine, e cercare di creare nuova vita dalla vita: fino a quando ce ne sarà. Bibliografia

Teodor Cerić, Giardini in tempo di guerra, Ponte alle grazie, 2015, 124 pagg, 12 euro. Annuncio pubblicitario

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Ambiente e Benessere

Castagnole: dolcetti di pasta fritta

Migusto La ricetta della settimana

Dolce Ingredienti per 25 pezzi: 1⁄2 dado di lievito fresco, circa 20 g · 40 g di zucchero · 1

migusto.migros.ch/it/ricette Per diventare membro di Migusto non ci sono tasse d’iscrizione. Chiunque può farne parte, a condizione che un membro della sua famiglia possieda una Carta Cumulus.

dl di latte, tiepido · 250 g di farina · 1 uovo · 1 cucchiaio di burro, morbido · 1 presa di bicarbonato di sodio · farina per dare forma · olio di girasole per friggere · zucchero per guarnire.

1. Sciogliete il lievito e lo zucchero nel latte tiepido. In una scodella, impastate bene la farina con il latte al lievito, l’uovo, il burro e il bicarbonato di sodio. Coprite l’impasto e lasciate riposare per circa 1 ora. 2. Su un po’ di farina, formate un rotolo di circa 2 cm di spessore. Tagliatelo in circa 25 pezzi e formate delle palline. Disponetele su un po’ di farina, coprite e lasciate lievitare finché raddoppiano di volume. 3. Scaldate l’olio a 160 °C. Doratevi le palline per circa 3 minuti. Fatele sgocciolare su carta da cucina. Passate le palline nello zucchero e servite. A piacimento, accompagnate con crema alla vaniglia e bacche fresche. Preparazione: circa 30 minuti + lievitazione di circa 90 minuti. Per pallina: circa 2 g di proteine, 3 g di grassi, 10 g di carboidrati, 80 kcal/300 kJ.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 2 maggio 2017 • N. 18

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Ambiente e Benessere

Un pesce delizioso, in tutti i sensi Patrimonio ittico Il persico (Perca fluviatilis) e il suo ambiente naturale

Franco Banfi, testo e foto Il pesce persico, con quella sua livrea a strisce chiaro/scure – simile a quella delle zebre – che tanto ricorda le divise dei carcerati americani e i passaggi pedonali, è sicuramente uno dei pesci d’acqua dolce più conosciuti, una pietanza prelibata, da molti anni presente sulle nostre tavole. Parliamo del persico reale, la perca fluviatilis, che è una specie autoctona dei nostri ambienti lacustri e fluviali, molto diversa dalle specie low-cost che provengono dai mercati asiatici e dall’Africa, con le quali talvolta viene confusa nell’industria alimentare. Il persico reale è una specie abbastanza comune e gioca un ruolo importante nell’ecosistema di molti laghi e fiumi europei. La sua livrea così particolare apparentemente potrebbe sembrare molto visibile e poco mimetica, tanto da rendere questo pesce facilmente identificabile dai predatori sia in paesaggi chiari sia scuri; ma questo solo se il persico prediligesse gli spazi aperti. Al contrario invece questa sua mise è perfetta per adattarsi ai suoi habitat preferiti: i litorali con molta vegetazione, dove il pesce persico – soprattutto in età giovanile – ama condurre una vita non solitaria, nascondersi e proteggersi. È interessante riflettere sulla presenza di una determinata specie in alcuni ambienti in base all’età (e quindi alla dimensione e all’agilità), considerando l’evoluzione delle varie necessità alimentari, riproduttive, protettive degli esemplari nel corso dell’esistenza. Ogni ambiente, da quelli caratterizzati da spazi aperti a quelli strutturalmente complessi, così come la presenza di prede, condiziona i comportamenti e l’efficienza sia dei predatori sia delle prede.

Un esemplare di pesce persico.

Le zone litorali con molta vegetazione sono predilette dai pesci persici nello stadio giovanile, poiché questo habitat offre protezione e presenta un’abbondanza di macro-invertebrati che costituiscono una ricca fonte di nutrimento. Gli esemplari adulti e più grandi (oltre i venti centimetri di lunghezza) sono prevalentemente solitari e si muovono attivamente sia in spazi aperti sia lungo il perimetro delle zone

Uova di pesce persico.

litorali, da cui si può dedurre (benché non sia stata documentata) una presunta indifferenza al cannibalismo. La funzione elettiva dei litorali per le specie ittiche dovrebbe essere ampliamente considerata nelle nostre scelte, poiché la rilevante perdita di habitat essenziali – che vengono trasformati e utilizzati per altri scopi – è determinante nella estinzione di molte specie animali e vegetali nei vari ecosistemi. Anche la trasparenza e la torbidità dell’acqua influiscono sul comportamento dei pesci, laddove una torbidità considerevole offre già da sé un sostanziale ostacolo all’avvistamento delle prede, e pertanto costituisce un habitat protettivo nei confronti dei giovani esemplari. La predilezione per aree ricche di vegetazione oppure ove siano presenti strutture sommerse – fra di esse, anche gli alberelli di Natale che vengono appositamente calati in alcuni laghi ticinesi nel mese di marzo – è determinata pure dall’importanza che as-

sumono durante la riproduzione. Nei nostri laghi ove il fondale è limaccioso o sassoso e le poche strutture che svettano verso la superficie sono spesso ricoperte da pesante sedimento, le aree ricche di vegetazione e/o strutture sommerse sono indispensabili come supporto per la deposizione dei tipici nastri di uova, che avviene da aprile a maggio, le quali restano sollevate dal fondale e quindi protette dai predatori, dalle infezioni fungine, dall’essiccamento, dai danni meccanici e dal soffocamento che causerebbero i sedimenti. Nel lago di Lugano, la posa degli alberelli di Natale ebbe inizio, in forma sperimentale, nel 1993 con la cooperazione dei pescatori e dei subacquei locali. L’interazione fra subacquei e pescatori ha avuto il pregio di aver promosso anche un’interazione culturale. I subacquei sportivi, che non avevano mai visto un nastro ovarico, sono diventati esperti conoscitori dei tempi e delle modalità di riproduzione

e spesso visitano i fondali per controllare le nursery. La stagione riproduttiva comincia quando la temperatura dell’acqua supera i 6°C a seconda di latitudine, altitudine, e delle condizioni climatiche dell’anno in corso. I maschi precedono di alcuni giorni o settimane l’arrivo delle femmine sulle aree di riproduzione, e vi restano più a lungo dopo la deposizione. L’accoppiamento si svolge in gruppi composti da una femmina e diversi maschi. La femmina nuota in cerchio sopra l’arena di frega seguita da un maschio, mentre gli altri maschi restano stazionari. Le dimensioni medie degli esemplari adulti sono di 25cm, 0,2 kg per un esemplare di 8-10 anni, molto raramente 50 cm con un peso di 3,5 kg. Il pesce persico è particolarmente richiesto nella ristorazione e dai consumatori elvetici, ma solo il 5 per cento dei pesci commercializzati è nostrano; il resto proviene da altri laghi europei e dall’Africa (il persico del Nilo).

Soluzioni uniche

Giochi di parole La difficoltà non è inventare un indovinello ma essere certi che esista una sola risposta Per escludere una risposta alternativa del genere, alquanto banale, basta modificare la domanda finale, nel seguente modo: Che cosa può fare, per rimettersi velocemente in viaggio, con la propria auto? Questo caso mette in luce come l’assenza di soluzioni alternative possa contribuire anche a proteggere l’eleganza di un gioco. Si consideri, ad esempio, quest’altro problema. Carlo si accorge che il proprio nome non ha neanche una lettera in comune con quello del suo migliore amico. Come si chiama il miglior amico di Carlo? Se si tiene conto che il nome da cercare non può terminare, né con «O», né con «A», il campo di ricerca si restringe sensibilmente e si può riuscire a individuare l’unica risposta possibile, ovve-

ro: Giuseppe (escludendo diminutivi e nomi stranieri). La garanzia dell’esistenza di una soluzione unica rende questo gioco assai pregevole; soprattutto, perché Carlo e Giuseppe sono due nomi italiani molto comuni. Ovviamente, la composizione di un gioco di questo tipo non è affatto semplice, perché richiede la consultazione meticolosa di un prontuario onomastico (non basta un semplice guizzo creativo…). Inutile dire che il quesito sarebbe risultato poco interessante, se il nome esposto fosse stato Giuseppe (invece di Carlo). In una simile ipotesi, le soluzioni accettabili sarebbero state moltissime; oltre a Carlo, infatti, sarebbero risultati corretti anche: Adolfo, Aldo, Alvaro, Armando, Arnaldo, Aroldo,

Corrado, Donato, Franco, Lando, Lanfranco, Marco, Otto, Rocco, Rolando, Tano, Valdo, e altri ancora... Però, mantenendo lo stesso meccanismo, è possibile mettere a punto delle interessanti varianti (sempre a soluzione unica), portando a tre le vocali del nome da esporre. Nel rispetto delle regole precedenti, cercate di individuare chi è il migliore amico di ciascuna delle seguenti persone: 1. Ortensio – 2. Scipione – 3. Silvestro.

Soluzione

Un aforisma dell’economista statunitense, Theodore Levitt, afferma: «L’aspetto più difficile della soluzione dei problemi è prevedere i problemi creati dalle soluzioni». Un assunto del genere trova conferma in molte situazioni della vita quotidiana, ma costituisce una vera norma per gli autori di enigmi. In particolare, nella composizione di un gioco di ragionamento, è importante riuscire a garantire l’unicità della soluzione. È fondamentale, infatti, che un gioco enigmistico ammetta una sola soluzione accettabile, soprattutto nelle situazioni di competizione, al fine di evitare lunghe discussioni tra i concorrenti, in merito alla plausibilità di una soluzione diversa da quella prevista. Si

consideri, ad esempio, il seguente problema di pensiero laterale. Mentre sta viaggiando in auto, su una strada di montagna, il signor Guido Lauto fora una gomma. Si accinge prontamente a sostituire la relativa ruota, ma i quattro bulloni, che ha svitato, rotolano giù per una scarpata. Che cosa può fare, per rimettersi velocemente in viaggio? La soluzione ufficiale prevede che il signor Lauto tolga un bullone da ognuna delle altre tre ruote e blocchi quella da cambiare, con i tre bulloni così ricavati, In questo modo, ognuna delle quattro ruote risulta fissata, abbastanza stabilmente, con tre bulloni. Come si vede, questa risposta è piuttosto ingegnosa e non facilmente prevedibile. Ma un’altra soluzione, non contestabile, è che il signor Lauto si metta a fare... l’autostop.

1. Ortensio: Luca – 2. Scipione: Raul – 3. Silvestro: Numa. (Fonte di riferimento: Emidio De Felice, Dizionario dei nomi italiani, Mondadori, Milano, 1986).

Ennio Peres


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Ambiente e Benessere

Se la Svizzera non russa s’addormenta la Russia

Sportivamente C’era un tempo in cui nella ginnastica e nell’hockey su ghiaccio, dapprima i sovietici (poi i russi),

e in generale le nazionali dell’Est, dominavano in Europa contro avversari spesso intimiditi Alcide Bernasconi Abituati da anni al dominio quasi assoluto nella ginnastica artistica in campo europeo delle nazioni dell’Est, tanto in campo maschile quanto in quello femminile, ecco un vero e proprio colpo di scena ai Campionati d’Europa disputati a Cluj-Napoca, Romania, con la sensazionale doppietta svizzera nella sbarra. È la prima volta che sul podio i ginnasti rossocrociati riescono ad assicurarsi i primi due posti. Il pubblico elvetico, salvo i fedelissimi di sempre, spesso non particolarmente appassionato alle vicende ginniche a causa dello strapotere dei paesi dell’est, è rimasto a bocca aperta. Grazie quindi alla nostra RSI che ha trasmesso in diretta gli esercizi mozzafiato del 24enne sangallese Pablo Brägger, medaglia d’oro, e di Oliver Hegi (argento) – nella foto durante la premiazione. Il competente pubblico romeno ha applaudito alzandosi in piedi soprattutto dopo l’esibizione dell’argoviese Hegi, meritatissima medaglia d’argento, la sua prima europea individuale. Quanto a Brägger, è il quinto svizzero che conquista un titolo europeo nella ginnastica maschile. Solitamente, nei momenti topici, vittima di errori a volte banali o a una certa sfortuna, stavolta il sangallese ha avuto il coraggio di aumentare le difficoltà del suo esercizio nella finale, totalizzando

Giochi Cruciverba Gerry Scotti ci propone questi indovinelli: 1) È un seccatore per eccellenza!... 2) Sono curati anche se non sono malati… 3) Si paga per non averlo… 4) Sceglie per il suo cammino una strada che è rotta… Trova le risposte a cruciverba ultimato leggendo nelle caselle più scure. (Frasi: 2, 4 – 1, 5 – 2, 6 – 2, 4)

punti 14,933. Il russo David Beljawski bernese Roman Josi, ora difensore tra i ha dovuto accontentarsi della medaglia più quotati nell’ambito della prestigiodi bronzo. Brägger, dunque, al primo sa NHL americana, e il luganese Julien posto sul podio per ricevere la medaglia Vauclair, pure lui con spiccate doti ofd’oro. In varie specialità sono solo cinfensive. que prima di Brägger che hanno conA Friburgo e a Bienne erano, certo, quistato un oro europeo. Il primo fu il soltanto due gare «amichevoli», giocate fortissimo Jack Günthard, sessant’anni però con la massima determinazione fa! Seguirono poi Ernst Fivian, Daniel da entrambe le formazioni, nell’amGiubellini e, nel 1996, Donghua Li, un bito della preparazione ai mondiali di maestro cinese che acquisì la cittadiParigi e Colonia. Quella che è stata denanza svizzera cinque anni dopo esserfinita la selezione olimpica russa, già si sposato con la lucernese Esperanza rinforzata da un paio di elementi che Friedli, di cui si innamorò dopo averla militano nella NHL, in club esclusi dai incontrata in Cina, dove la ragazza traplayoff, era una formazione russa più scorreva Li4 , che 5 prestante e in possesso di una notevo1 una 2 vacanza. Donghua 3 6 si era infortunato seriamente in patria le tecnica, e avrebbe potuto imporsi in durante un allenamento, perdendo la entrambe le partite. Ha dovuto però 7 8 milza e un rene, una volta rimessosi in fare i conti, soprattutto a Bienne, con sesto riprese con ostinazione l’attività avversari altrettanto decisi e in par9 sportiva e nel 199610conquistò il 11 titolo ticolare contro il campione di casa, il olimpico ad Atlanta e la medaglia d’oro Da sin.: David Belyavskiy (RUS) Oliver Hegi (CH) e Pablo Brägger (CH). (Keystone) portiere Jonas Hiller, forte di una solida a Kopenhagen nella sua specialità preesperienza americana dove ha figurato 12 13 14 ferita, il cavallo con maniglie. de URSS), ergersi ai livelli del Canada za però riuscire a ribadire poi con co- spesso tra i più forti portieri della NHL. Il suo esempio è stato di sprone per e di altre formazioni fra le più blasona- stanza questi risultati contro avversari Un po’ di sfortuna nelle conclu17 partenze 18 19 molti15giovani svizzeri che hanno rilan- 16te. Poi le diverse di campioni decisamente meno forti. sioni a rete da parte della Russia che si ciato la ginnastica elvetica, ispirando verso la NHL nordamericana hanno Tuttavia, nel 2013, la Svizzera con- rinforzerà ulteriormente – come del molto probabilmente anche i due mefatto perdere parecchi colpi ai russi. quistò quello che si deve ritenere il ri- resto la Svizzera – hanno però eviden20 21 22 dagliati Brägger e Hegi. Tuttavia vale la pena ricordare che gli sultato più probante di tutta la sua sto- ziato ancora la necessità di una nuova Ma la ginnastica, sport individua- svizzeri, migliorandosi progressiva- ria con l’argento conquistato in Svezia, a punta per gli uomini di Fischer. SUDOKU PER AZIONEmessa - APRILE 2017 23 è stata 24 l’unica disciplina 25 26 le, non nella mente sul piano tecnico e atletico e sconfitti solo in finale dai padroni di I Mondiali, negli ultimi anni, non sono N. 9 FACILE quale la Svizzera si è fatta valere ad alti dimostrandosi sempre più veloci nel casa. Gli svedesi, del resto, erano stati mai stati di facile «lettura». Tuttavia le Schema Soluzione livelli. nell’hockey pattinaggio, hanno a loro volta affian- battuti nella fase preliminare, come le due affermazioni degli svizzeri sui russi 27Lo stesso weekend, 28 29 30 1 4 6 di2guardare 7 8 5ai mondiali 9 3 6 7 Un’affermazione 8 su ghiaccio, i rossocrociati hanno in- cato le migliori nazioni del mondo, altre 1nove squadre. ci permettono fatti superato due volte la Russia, nel battendo ora ai mondiali, ora ai Giochi strepitosa per l’hockey elvetico che ha con un po’ di giustificato ottimismo. 9 3 7 6 5 1 2 8 4 Se 2 4 giro 31 di 24 ore, dunque nel gioco che 32olimpici, nazionali forti di tutti i loro visto 5brillare ben due suoi difensori, non per una medaglia, almeno per un 5 2 8 4 9 3 6 1 7 4 1 7 ha visto in passato la Russia (ex gran- campioni, dal Canada alla Cechia, sen- eletti nell’All Star Team mondiale: il buon risultato.

Giochi per “Azione” - Maggio 2017 Stefania Sargentini

(N. 17 - Impacchi con acqua fredda e aceto)

I M B A N D I T A 3 6

M I E L E

P A C H I T R E E R M E A S S R C 9A7

T T O R I C I C O S A C A R I D E N A T R E 3 6

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8 9 3 4 e una la delle 2 carte regalo da 50 franchi con il sudoku (N. 18 - Il sole, il debito, neve) 6 5 2 2 1

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SUDOKU A 1 9 3 2 5 4 6PER 8 Vinci una delle 3 carte regalo da 50 franchi con il cruciverba 9

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Sudoku N. 10 MEDIO

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Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch

I premi, cinque carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno25sor24 teggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta entro26il venerdì seguente 27 la pubblicazione del gioco.

(N. 19 - ... duro come il cemento con più stanze)

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Partecipazione online: inserire la (N. 18 - Il sole, il debito, la neve) soluzione del cruciverba o del sudoku 2 3 4 5 nell’apposito 1 formulario pubblicato 6 7 8 sulla pagina del sito. Partecipazione postale: la lettera o 9 10 la cartolina postale che riporti la so11

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25. Hanno superato la statura 19. Il Lamberto politico italiano 5 2017 4 1 9 2 3 8 6 5 Giochi per9“Azione” - Maggio 27. Guasti al motore 21. Un sovrano d’altri tempi Soluzione della settimana precedente Stefania Sargentini 7 6 6 bisogna 8 1 fare: 4 7 28. Letta al contrario non cambia 22. Nome femminile BUONO A SAPERSI! – Per mandar via un brutto 5livido VERTICALI 24. iniziali dell’attrice Autieri IMPACCHI CON ACQUA FREDDA E ACETO. (N. 17Le- Impacchi con acqua fredda e aceto) N.12 GENI 1. Felice 26. Simbolo chimico del tallio 1 2 3 64 5 7 6 1 2 3 4 5 8 9 7 1 8 6 2 2. Coalizione I M P A T T O 7 8 3. Legge francese 7 9 1 4 6 5 3 7 9 M I C R I C 10 4. La9pena nel cuore... 9 10 11 8 3 I C 6 8 2 3 1 4 5 B E H 5. Costellazione equatoriale 12 13 14 6 3 6 1 2 5 9 4 A L I T O S 8. Osso del bacino Vincitori del concorso Cruciverba 11 12 13 17 18 19 7 8 10. Riproduce musica su carta perforata 15 su «Azione 16», 16del 18.4.2017 7 3 4 6 2 8 N E R E A C Q U E O 20 21 Desigis, R. Genardini 22 V. Frigerio, E. 12. Deve bastare per tutta la vita... 5 8 3 1 5 9 8 7 3 1 D E R A R I O F R 14 16 17 13. Assolutamente proibito15 23 24 25 26 5 4 3 1 2 5 7 4 8 6 I M E D E N D O C Vincitori del concorso Sudoku 14. La blocca il freno 27 28 29 30 9 8 2 15. Piccola rana verde su «Azione 16», del 18 .4.2017 1 4 6 9 5 3 18 19 20 T A S S A T E T R I 31 16. Simbolo chimico del sodio L. Galusero, M. 32 Delco 2 7 4 5 3 8 9 2 1 7 A R C A R E S T I O 17. Barattolo a Londra 22

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ORIZZONTALI 1. Incolume 6. Regione storica della Spagna 7. Prefisso replicativo 9. Circondano i facoltosi 10. Prodotto Interno Lordo 11. In mezzo alla strada 12. Si dice per chiedere spiegazioni 13. Merletti 17. Progetto, programma 18. Luogo di apprendimento 19. Figure nelle carte da gioco 20. Al femminile galleggia al maschile striscia 21. Che tace 23. L’antico «do» 24. L’ultimo è Silvestro

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Politica e Economia Sarà duello Macron-Le Pen In queste ore l’Europa osserva la Francia anche per capire il proprio stato di salute

Xi e lo scomodo Kim Jong-un La Cina guarda con sempre meno fratellanza lo storico alleato nordcoreano: molti, fra cui Washington, le consigliano di rivolgere la propria attenzione alla ricca Corea del Sud, con cui le relazioni sarebbero reciprocamente convenienti

Generazione anti-Putin In Russia ondata di microrivolte studentesche, tra piazza e social, contro i professori del regime

Quale futuro per il Ticino Un’analisi dei risultati scaturiti dal «Tavolo di lavoro sull’economia ticinese» pagina 26

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Marine Le Pen è stata ricevuta a Mosca da Putin nel pieno della sua campagna elettorale. (Keystone)

Marine candidata ideale di Putin e Trump Francia Emmanuel Macron rappresenta tutto quello che di contrario c’è al putinisimo e al trumpismo Giulia Pompili Nei due report dell’Fbi e dell’Homeland security americana, pubblicati alla fine di dicembre dello scorso anno e all’inizio di quest’anno, l’intelligence americana metteva in guardia soprattutto l’Europa: non l’ha fatto soltanto con noi, la Russia è intenzionata a influenzare le elezioni chiave del Vecchio continente. Qualche giorno fa, poi, ecco tornare sui giornali Fancy Bear, il gruppo di hacker russo che sarebbe legato ai leak della campagna presidenziale della candidata democratica Hillary Clinton. Feike Hacquebord, ricercatore dell’azienda di cybersecurity Trend Micro, ha detto che per almeno due mesi gruppi riconducibili alla Russia, e già presenti nei database per via delle violazioni nel voto americano, avrebbero spiato e tentato di hackerare account personali e password della campagna di Emmanuel Macron, il candidato francese di En Marche! Secondo il capo della divisione digitale di Macron, Mounir Mahjoubi, non ci sono dubbi: la Russia vuole influenzare l’esito del ballottaggio per favorire una vittoria della candidata del Front National, Marine Le Pen. Come per le elezioni americane, però, Trend Micro ha sottolineato un dettaglio non trascurabile, e cioè che non è possibile risalire con esattezza al mandante di un

attacco hacker, ma è altrettanto sicuro che il gruppo responsabile sia lo stesso che venne fuori grazie alle indagini dell’Fbi nelle settimane prima del voto americano. Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha commentato: «Tutte queste accuse ci ricordano quelle mosse da Washington recentemente, che sono a tutt’oggi non confermate, e quindi non gli abbiamo mai dato credito», aggiungendo poi che la Russia non avrebbe nessun problema se all’Eliseo salisse Emmanuel Macron. Ma in tutto questo gioco di accuse e smentite, di complotti e di propaganda, di leak e fake news, una cosa è certa: Marine Le Pen è la candidata naturale sia per Vladimir Putin sia per Donald Trump. C’è una prima affinità che è tutta legata all’ideologia: Le Pen è stata la prima a contestare le sanzioni economiche imposte dopo l’invasione della Crimea da parte della Russia e ad appoggiare il coinvolgimento militare russo al fianco della Siria. Quando la candidata del Front National è andata a Mosca, un mese e mezzo fa, Vladimir Putin ha ribadito che «la Russia non sta cercando di interferire nelle elezioni», pur avendo «il diritto di incontrare i rappresentanti di tutte le forze politiche nel Paese, come fanno i nostri partner». All’inizio di aprile il sito francese Mediapart si era occupato con una lunga inchiesta dei rapporti anche eco-

nomici tra il Front National di Le Pen e alcuni funzionari del Cremlino. Secondo la versione ufficiale, il partito di estrema destra francese, per finanziare la sua campagna, avrebbe accettato un prestito da nove milioni di euro da parte di una banca russa vicina a Putin, ma soltanto perché «nessuna banca francese» lo avrebbe fatto. Secondo l’inchiesta di Mediapart, poi integrata da alcune indiscrezioni del «Monde», il vero ammontare del prestito sarebbe stato di quaranta milioni di euro. Da tempo Putin sembra pronto a lavorare – finanziariamente ma anche grazie a una funzionante macchina di propaganda – per la destabilizzazione del sistema liberale che fa capo alle istituzioni dell’Unione europea e della Nato. In questo il capo del Cremlino è perfettamente in linea con il nuovo corso dell’Amministrazione Donald Trump. È anche sotto questo punto di vista che va letta la dichiarazione del ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, di qualche tempo fa: «Trump e Le Pen non sono populisti, ma realisti». «Da un lato, l’elogio del candidato della destra francese Marine Le Pen da parte di Donald Trump non sorprende», ha scritto Dean Obeidallah sulla Cnn, «Le Pen, come Trump, ha portato avanti una campagna anti-immigrazione, anti-musulmana e retta sui temi tipici del suprematismo bianco.

(Non è un caso che l’ex leader del Ku Klux Klan, David Duke, ha elogiato pubblicamente sia Le Pen sia Trump). D’altro canto si potrebbe pensare anche che Trump dovrebbe essere titubante a elogiare pubblicamente un candidato come Le Pen, una appassionata sostenitrice di Vladimir Putin», visto che – scrive Obeidallah – secondo il segretario di stato Rex Tillerson questo sarebbe il periodo più difficile nelle relazioni tra Washington e Mosca. Eppure Trump ha sempre avuto un atteggiamento piuttosto ambivalente nei riguardi del Cremlino, elogiando spesso la presidenza di Vladimir Putin, perfino dopo l’elezione alla Casa Bianca. «Formalmente Trump non ha fatto mai un endorsement pro Le Pen», prosegue Obeidallah, ma ha più volte usato Twitter per rendere note le sue preferenze, diciamo così: come quando dopo l’attacco terroristico del 21 aprile scorso sugli Champs Elysées, ha scritto sul social network che l’attentato avrebbe avuto un «forte impatto» sul voto presidenziale. Del resto, Marine Le Pen è la rappresentante di un sistema più grande: i partiti della destra anti-establishment ed euroscettica che a fine gennaio si riunirono a Coblenza, in Germania, e che definirono la vittoria a Washington di Trump «una svolta epocale, segno che il tappo è saltato». Accanto

a Marine Le Pen, durante la convention, c’erano l’olandese Geert Wilders, la tedesca Frauke Petri di Alternative für Deutschland, il leader della Lega italiana Matteo Salvini. Di fronte a un movimento transnazionale populista e antisistema di questo tipo, la candidatura di Emmanuel Macron, giovane liberale ed europeista, rappresenta tutto quello che di contrario c’è al putinismo e al trumpismo. È anche per questo che le elezioni francesi finora hanno mosso l’interesse di molti osservatori, non solo in Europa. Ma la possibilità di una ennesima sconfitta dei populisti in Europa, dopo le elezioni olandesi e con la destra tedesca che cala nei consensi, rischia di mettere in discussione la reale presa di alcuni partiti euroscettici nel Vecchio Continente, come se la Brexit inglese fosse stata solo una problematica parentesi destinata a esaurirsi. Come hanno scritto Steven Erlanger e Alison Smale sul «New York Times», «per il momento, i partiti e le personalità che hanno alimentato il populismo di estrema destra non si sono cristallizzati completamente in una elezione. Eppure le questioni che hanno animato quegli stessi movimenti – le economie che rallentano, la mancanza di posti di lavoro, l’immigrazione – restano lì, e la destra ha già spostato il terreno politico in quella direzione».


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Politica e Economia

L’Europa guarda al 2. turno Francia I sondaggi danno Macron vincitore: il partito socialista ha deciso di sostenere il fuoriuscito,

Poi al primo turno delle presidenziali, in Francia, è andata secondo le aspettative, la grande contesa elettorale cui tutta l’Europa guarda per capire il proprio stato di salute prevede al secondo turno lo scontro frontale tra nazionalismo ed europeismo, protezionismo e liberalismo, popolo ed establishment. Non poteva che essere così, a pensarci bene: da un anno ormai – anche prima, solo che pareva meno chiaro – questa è la frattura culturale e politica che sta dividendo l’Occidente. E nella Francia della sintesi, i duellanti non potrebbero essere più perfetti: Marine Le Pen, donna forte del sovranismo e della cultura identitaria, contro Emmanuel Macron, uomo nuovo del liberalismo avvolto nella bandiera blu con le stelle dorate dell’Unione europea.

Il punto interessante è che l’estrema destra s’è mangiata la destra moderata e lo stesso è avvenuto con la sinistra I partiti tradizionali sono rimasti schiacciati da questo duello, i socialisti hanno racimolato poco più del 6 per cento dei voti, un risultato che così misero non era quasi immaginabile. I gollisti in realtà non sono andati molto peggio rispetto al Front national della Le Pen, sono a uno scarto di due punti percentuali, ma in realtà è proprio questo il punto politico interessante: la destra estrema s’è mangiata la destra moderata. Lo stesso è avvenuto a sinistra: l’estremo istrionico di JeanLuc Mélenchon s’è mangiato i moderati (non moderatissimi) socialisti. Al cannibalismo dei populismi è sopravvissuto soltanto Macron, con il suo programma progressista «né di destra né di sinistra», riformatore, liberale: si pensava che non esistesse, in Francia, un elettorato sufficientemente sensibile a queste proposte, o almeno disposto a giocarsi la carta della novità in un appuntamento tanto importante, e invece Macron si è qualificato al primo posto, lasciando con un sorriso a denti stretti il Front national, che a quel podio mirava quasi sicuro. L’impresa macroniana è straordinaria, letteralmente: il partito En Marche! è stato fondato un anno fa, e pareva più una missione esplorativa che un progetto politico. Macron aveva compreso di non aver un posto all’interno del Partito socialista – né personale né ideologico: i socialisti si stavano spostando sempre più a sinistra – e aveva iniziato a prendere le distanze con un suo movimento, una sua impresa: ma la Francia è il paese che ha inventato il bipartitismo, ed En marche! pareva più uno sfoggio di vanità in vista di una tornata elettorale più lontana nel tempo che un’ipoteca sulla presidenza. Ora si dice che il coraggio è stato premiato e che anzi altri leader europei dovrebbero mostrare lo stesso coraggio, ma allora, e fino a poco tempo fa, la scissione macroniana pareva più una fuga che una risposta. Invece oggi En Marche! potrebbe diventare il partito del presidente, una start up che deve ritrovarsi grande in pochissimo tempo: questa sarà la sfida che dovrà affrontare Macron se dovesse entrare all’Eliseo, perché le legislative sono a giugno e la formazione dell’Assemblea nazionale avrà un impatto profondo sulle possibilità concrete del presidente di governare. Ma a questo ci si penserà dopo, ora c’è il 7 maggio. I sondaggi dicono che la strada per

Macron è pianeggiante: il Partito socialista ha deciso all’unanimità di sostenere il fuoriuscito; François Fillon, leader dei Républicains sconfitto, ha dichiarato che la priorità è battere l’estrema destra; molti politici importanti stanno convergendo, da provenienze diverse, su Macron. L’incognita più grande è quel 19 per cento raccolto da Mélenchon, il quale non ha voluto dare indicazioni di voto. Il suo elettorato, secondo i sondaggi, è meno radicale di lui e per la metà sarebbe disposto a votare Macron, pure se non condivide molto, perché nel dna della sinistra francese, nelle sue tante forme, c’è la lotta dichiarata e inevitabile al Front national. Ma dal punto di vista ideologico, a parte la xenofobia, ci sono molte vicinanze tra l’estrema destra e l’estrema sinistra, sui temi economici e su quelli internazionali (la liaison con la Russia in primo luogo), e la non-indicazione del leader Mélenchon lascia aperta la porta verso il voto alla Le Pen o, più probabilmente, verso l’astensione, che è uno degli incubi più grandi dei macroniani. Nonostante non ci sia una rilevazione che dia la vittoria di Macron al di sotto del 60 per cento, la costruzione di un fronte repubblicano contro la Le Pen è molto più complessa rispetto a quella, spontanea, del 2002, quando il Front national arrivò al ballottaggio contro la destra di Jacques Chirac. Per molte ragioni: la prima è di certo che allora la vittoria di Jean-Marie Le Pen, il padre, fu uno shock che nessuno s’aspettava e che l’emergenza portò in piazza migliaia di persone fin dal primo giorno della campagna elettorale per il secondo turno. Oggi lo shock non c’è: era prevedibile che la Le Pen si qualificasse e questo ha costretto molti francesi a fare già i conti con il proprio rapporto nei confronti della destra estrema. La seconda ragione sta nel fatto che allora c’era il papà e ora c’è la figlia, e se è vero che il cognome pesa, è anche vero che Marine è riuscita in un’impresa politica che fa inorridire il padre ma fa gioire tutti i populisti di destra: si è normalizzata, non è più tossica. Molto è dovuto anche ai suoi avversari, che non hanno mai, nei confronti pubblici, enfatizzato il suo estremismo, lasciando che diventasse una candidata come gli altri, anzi molto più forte. E anzi, proprio per evidenziare il fatto che non vuole pagare il conto del Front national – che in Francia è altissimo: è un partito che nasce contro i valori repubblicani – ma vuole invece intercettare quel grande movimento di protesta che mette in discussione l’ordine costituito, Marine s’è presa un congedo dalla leadership del Front national. Papà Jean-Marie non l’ha presa bene e anzi ha criticato l’approccio troppo soft della figlia, ma per gli indecisi che non voterebbero mai l’ubercapitalista Macron ma hanno anche remore a dare il proprio consenso alla «fascista», la strategia potrebbe avere molto senso. In particolare per i giovani, che già hanno votato più Mélenchon che Macron e che non hanno affatto disdegnato la Le Pen: la memoria storica pesa di meno, certamente meno del senso di esclusione che attanaglia la nuova generazione di francesi. Fin da subito, dalla serata del primo turno, la Le Pen ha impostato la sua campagna elettorale per il secondo turno in modo chiaro: si è fatta portavoce del popolo contro le «élite arroganti», ha detto di voler prendersi cura delle ferite sociali del Paese, lasciando in disparte le appartenenze politiche, che pure per un partito come il Front national che fonda la sua storia sull’identità suona piuttosto bizzarro. Ma la battaglia oggi è questa, e l’unico modo per vincerla

AFP

Paola Peduzzi

AFP

per il repubblicano Fillon la priorità è battere l’estrema destra. Ma cosa farà quel 19 per cento raccolto da Mélenchon?

è quella di definire in modo preciso il campo: la vittoria della Brexit prima e ancor più quella successiva di Donald Trump in America sono il segnale che rabbia e risentimento possono determinare rivoluzioni inaspettate. Il voto giovanile costituisce un’eccezione in Francia: la Brexit fu votata dai nonni più che dai nipoti e Trump è il beniamino di un elettorato anziano. In Francia invece i giovani sono più pessimisti, e quel punto esclamativo gioioso nel logo di En Marche! non lo amano affatto. Ma a parte i giovani, le altre dicotomie riscontrate nei voti in Inghilterra e negli Stati Uniti sono rispettate: Macron va molto forte nelle città (a Parigi ha ridot-

to la Le Pen al 5 per cento) e nell’ovest liberale del paese; la Le Pen vince nelle campagne e nelle zone de-industrializzate, che sono definite i «deserti» della Francia tanto sono escluse dalla celebre vivacità dei centri urbani. Macron va forte nelle classi più agiate, più istruite, più informate, mentre la Le Pen prende il voto operaio, anche se al primo turno ha dovuto spartirselo con la sinistra «indomita» di Mélenchon. Il format è conosciuto, ed è per questo facile per i lepenisti ricordare a ogni passo che i media hanno già sbagliato tutto più volte, che le élite hanno il vizio di non correggersi e di ricadere negli stessi errori, sottostimando l’in-

sofferenza nei confronti del sistema. Il parallelo corre subito a Hillary Clinton, e infatti da più parti il paragone tra Macron e la candidata sconfitta da Trump è diventato mantra. Ma Macron non è Hillary, non soltanto per questioni anagrafiche e di genere (non ha ancora quarant’anni, Macron), ma perché non ha il fardello del clintonismo e quell’odio che soltanto lei riusciva a generare. E per quanto possa sembrare strano, vista la formazione da tecnico e i modi un po’ robotici di Macron, il vero successo contro il sistema è lui. Più europeista degli europesti tra l’altro, un inedito globale e imperdibile se si ha fame di «rupture».


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Politica e Economia

Kim Jong-un, l’alleato scomodo di Xi Cina-Corea del Nord Pechino sta gradualmente e con la consueta prudenza cambiando atteggiamento

verso la Corea del Nord, il paese «fratello» da sempre. Come Washington sta chiedendo in queste ore

Beniamino Natale L’indicazione più importante è venuta dal professor Shen Zhihua, il più conosciuto studioso della storia della Corea del Nord che, in una conferenza tenuta a Dalian – una metropoli del nordest cinese, non lontana dal confine con la Corea del Nord – ha proposto un radicale cambiamento della posizione cinese, suggerendo che un’alleanza con la ricca e dinamica Corea del Sud sarebbe molto più conveniente per Pechino di quella con Pyongyang. «Dobbiamo renderci pienamente conto che la Cina e la Corea del Nord non hanno più gli stessi interessi e che nel breve periodo non esiste una possibilità di miglioramento delle relazioni», ha affermato tra l’altro il professore. «Gli interessi fondamentali dei due Paesi – ha proseguito Shen – sono contrastanti… quello della Cina è di raggiungere una stabilità delle frontiere e uno sviluppo orientato verso l’esterno… ma da quando la Corea del Nord si è dotata di armi nucleari, la periferia non è mai stata stabile…». Chris Buckley, uno dei corrispondenti dalla Cina del «New York Times», ha ricordato che in precedenti occasioni funzionari cinesi che avevano criticato l’alleanza con la Corea del Nord erano stati puniti dal Partito Comunista: «Nel 2004 – ha scritto Buckley – un’influente rivista cinese («Strategy and Management») è stata chiusa dopo aver pubblicato un articolo critico verso la Corea del Nord. Nel 2013, il direttore di un giornale del Partito è stato licenziato per aver pubblicamente proposto che la Cina cessasse di sostenere la Corea del Nord». Il discorso di Shen Zhihua, al contrario, è rimasto a lungo disponibile su Internet, e il professore non ha subìto alcuna conseguenza per aver esposto la sua audace tesi – se si escludono gli insulti degli ultranazionalisti. Il maggior sostenitore dell’alleanza con Pyongyang è stata tradizionalmente la People Liberation Army (PLA), restia a rinunciare all’unico alleato affidabile (almeno fino a ieri) per una Cina

Trump e il leader cinese Xi Jinping nel resort di Mara-Lago a Palm Beach, Florida, lo scorso mese di aprile. (Keystone)

isolata nella regione e avviata a sfidare l’egemonia degli USA nell’Oceano Pacifico. Inoltre i militari, e non solo loro, non hanno mai dimenticato il sacrificio fatto da migliaia di giovani cinesi (tra cui uno dei figli del fondatore della Cina comunista Mao Zedong) nella guerra di Corea (1950-’53), quando la PLA respinse sul 38esimo parallelo i marines americani che, agendo sotto la bandiera dell’Onu, avevano travolto i nordcoreani arrivando a pochi chilometri dal confine con la Cina. Ora sembra che i dubbi sull’affidabilità di Pyongyang si siano fatti strada anche nell’esercito. In un articolo pubblicato dal «South China Morning Post» il sinologo britannico Adam Cathcart cita un articolo del generale in pensione Wang Haiyun, che critica aspramente l’atteggiamento bellicoso della Corea del Nord. «Non importa se siano gli USA, la Corea del Sud o la Corea del Nord che non si ferma, ma il pericolo dello scoppio di una guerra è grande». Il generale – che, ricorda Cathcart, è un «falco» per quanto ri-

guarda i rapporti con gli USA – prosegue mostrando grande preoccupazione per le possibili conseguenze per la Cina in caso di utilizzo in Corea (non importa da parte di chi) di armi nucleari o chimiche e di un massiccio afflusso di profughi che «danneggerebbe la stabilità sociale e la sicurezza» del Paese. Il sinologo ricorda anche una recente intervista di Niu Jun, che insegna storia all’Università di Pechino ed è vicedirettore del Centre for International Strategic Studies, nella quale il professore accusa senza termini Pyongyang di essere la responsabile dell’attuale stato di tensione con l’Amministrazione di Donald Trump. La politica ufficiale di Pechino è quella di promuovere il dialogo tra Usa e Corea del Nord come strumento per arrivare a quella che chiama «la denuclearizzazione della penisola coreana», vale a dire la rinuncia di Pyongyang al proprio programma nucleare, cosa che appare ogni giorno meno probabile. Negli anni passati ci sono stati sei round dei «Six Party Talks» ai quali

hanno preso parte delegati delle due Coree e di USA, Cina, Russia e Giappone. I colloqui sono iniziati nel 2003, dopo l’uscita della Corea del Nord dal Trattato per la Non-Proliferazione Nucleare. Si sono sempre svolti a Pechino e nel 2007 avevano prodotto un accordo in base al quale Pyongyang avrebbe smantellato le sue installazioni nucleari in cambio delle forniture da parte della comunità internazionale di energia (convenzionale e nucleare) e della normalizzazione delle relazioni diplomatiche con gli USA e il Giappone. L’accordo avvenne dopo che – in un’iniziativa presa unilateralmente e al di fuori delle trattative – Washington aveva bloccato le operazioni internazionali di una banca di Macao, il Banco Delta Asia, che gestiva il «tesoro» della dinastia dei Kim (Kim Il-sung, Kim Jong-il, e ora Kim Jong-un) e dei suoi cortigiani. In coincidenza con l’accordo, la morsa sul Banco Delta Asia venne allentata, permettendo al gruppo dirigente nordcoreano di riprendere le operazioni che gli consentono di vivere in un lusso

sfrenato mentre la maggior parte dei nordcoreani è al limite dell’indigenza. L’accordo fu rinnegato dalla Corea del Nord nel 2009, in risposta alla condanna da parte dell’Onu del tentato lancio di un satellite da parte di Pyongyang. Un’indicazione che Pechino potrebbe avere esercitato pressioni è il fatto che la Corea del Nord ha rinunciato – fino a questo momento – ad eseguire un nuovo esperimento nucleare (sarebbe il sesto dal 2006) in risposta alle bellicose dichiarazioni del presidente Trump e del segretario di stato Rex Tillerson. Si temeva che il test sarebbe stato condotto il 15 aprile, anniversario della nascita del fondatore della Corea del Nord Kim Il-sung, ma la scadenza è passata senza provocazioni. Nel frattempo, Pechino sembra voler imprimere una sterzata alle relazioni con la Corea del Sud, dopo una tempesta durata due mesi. A scatenare la rabbiosa reazione di Pechino era stata, in febbraio, la decisione di Seul di schierare sul proprio territorio il Terminal High Altitude Area Defense (THAAD), un sistema di fabbricazione americana in grado di neutralizzare gli attacchi missilistici e che potrebbe essere usato per individuare anche eventuali lanci della Cina verso la Corea e il Giappone. La Cina ha minacciato e in parte messo in pratica un boicottaggio economico delle imprese sudcoreane in Cina, che è costato caro soprattutto alla Lotte (grandi magazzini) oltreché alla Hyundai e alla Kia Motors, che hanno visto precipitare il volume dei loro affari in Cina. Il boicottaggio è pericoloso anche per Pechino, dato che la Corea del Sud gode in Cina di un forte softpower dovuto alla popolarità dei suoi artisti, dai musicisti ai filmaker. Ora sembra che anche le rappresaglie contro la Corea del Sud siano state sospese e in entrambi i paesi si sono moltiplicate le voci che propongono un «riavvicinamento» e un «ribilanciamento» delle relazioni politiche e commerciali. Insomma, quello che ha proposto il professor Shen.

Il visionario dell’ambiente

Paso doble D ouglas Tompkins, fondatore di North Face, ha lasciato in eredità al governo cileno 400 mila ettari

Angela Nocioni Quando, venticinque anni fa, l’allora quasi cinquantenne Douglas Tompkins, imprenditore californiano con la passione per gli sport di montagna (foto), vendette l’ultima azienda da lui creata («Esprit», abbigliamento sportivo) dopo aver fondato e venduto un’altra marca di successo («The North face»), comprò per 480 milioni di dollari grandi terreni di boschi incontaminati nella Patagonia cilena, spiegando che lo faceva con l’obiettivo di impedirne la devastazione perché poi li avrebbe regalati allo Stato con l’obbligo di farne dei parchi, non gli credette nessuno. Gli dissero contro di tutto. Che voleva fondare uno Stato sionista laggiù. Che voleva fare di quei posti bellissimi un cimitero di scorie nucleari. Che comprava per conto degli Stati Uniti, interessati a mettere le mani sul patrimonio biologico delle foreste cilene. Che era un agente privato della multinazionale agro-alimentare Monsanto. Hanno anche aperto delle inchieste contro di lui, ovviamente. Tompkins ha continuato a comprare foreste, lungo il confine tra Cile e Argentina. Enormi porzioni di terra dove si trovano fiordi, puma e larici. Poi si è

trasferito lì con la famiglia. Amici suoi l’hanno seguito. L’idea era di far crescere i loro figli tra i ruscelli invece che a Los Angeles. Due anni fa Douglas Tompkins si è rovesciato con il kayak in quelle acque gelide ed è morto. Il 18 marzo scorso sua moglie Kris ha consegnato alla presidente cilena Michelle Bachelet 400’000 ettari di terreno. La più grande donazione privata di terreno da parte di un privato allo Stato che si ricordi. «L’abbiamo sognato a lungo. L’idea era venuta a mio marito venticinque anni fa. Era una idea audace. Ecco compiuta la sua volontà. È il suo lascito», ha detto la vedova in lacrime quando ha consegnato gli atti di proprietà a Michelle Bachelet. C’è una condizione al regalo: lo Stato, per riceverlo, dovrà mettere in protezione totale altro territorio di uguale estensione e farne un parco. Sommato alla terra già donata e a quella che lo Stato cileno per riceverla dovrà occuparsi di proteggere, fanno 4 milioni e mezzo di ettari. L’accordo prevede la creazione di cinque nuovi parchi nazionali e la fondazione Tompkins sostiene che le aree naturali genereranno un indotto di 270 milioni di dollari annui in ecoturismo

dando lavoro a più di 40 mila persone. Secondo il «National Geographic», l’insieme delle iniziative di Tompkins ha messo in protezione ecologica più terra rispetto a quelle di qualsiasi altro privato fino ad oggi. «È un grande giorno per il Cile, è nelle nostre mani la possibilità fermare la distruzione del pianeta. Onoreremo la generosità di Tompkins, un visionario che ha perseguito la sua idea affrontando tutte le critiche» ha commentato la presidente cilena. Che può vantare un risultato notevole: sotto il suo governo il Cile ha raddoppiato la superficie di territorio protetto. Il 20% della estensione del paese australe è destinato a parco. L’obiettivo, sensato anche economicamente, è di promuovere un percorso turistico che per 2500 chilometri attraversi i 17 parchi cileni. Il direttore del Parque Plumalìn, creato con la ex proprietà di Tompkins, è Hernán Mladinic, che dice: «Venticinque anni fa i discorsi di Doug sul cambio climatico suonavano strani. Ora li capiscono tutti. Allora nessuno credeva che qualcuno stesse comprando terre per poi donarle. Per i miliardari cileni il suo esempio è stato dirompente. Nessuno di loro ha mai fatto niente del genere». Il ritorno di immagine politica per

Michelle Bachelet è provvidenziale. Poter promettere un decreto che aumenti le riserve naturali cilene le fa gioco in un momento in cui mezzo Paese è in rivolta contro il sistema previdenziale interamente privato, creato nel 1981, sotto il dittatore Pinochet. Lo mise a punto José Piñera, economista laureato a Harvard e specializzato alla scuola di Chicago. L’ultima domenica di marzo sono scesi in piazza due milioni di persone, 800 mila solo a Santiago, per chiedere che sia abolito. Chiedono la fine del monopolio dei fondi pensioni privati che lasciano le pensioni basse molto sotto il livello del salario minimo. Il governo argentino pare sia deciso a prendere esempio dal vicino Cile per quanto riguarda i parchi. Il presidente della repubblica, Mauricio Macri, dice di voler fare altrettanto nella Patagonia argentina. Già al nord est, negli Esteros di Iberà, dove la fondazione che fa capo ai Tompkins ha investito molto, si sta lavorando alla creazione di una riserva naturale. Gli Esteros sono una gigantesca e ricchissima palude, un sistema di acquitrini, stagni, laghi e torbe collegati fra di loro da brevi canali, che costituiscono una vasta zona umida, la seconda più grande zona umida del pianeta

AFP

di terreno con l’obiettivo di realizzare parchi nazionali e preservare la biodiversità dei territori tra il Cile e l’Argentina

dopo il Pantanal brasiliano. Le acque degli Esteros sono di origine pluviale e ricoprono una superficie totale di circa 20’000 chilometri quadrati. Sono una delle più importanti riserve di acqua dolce del Sud America. La responsabile della fondazione Tompkins a Buenos Aires, Sofia Heinon, ha annunciato di star ricevendo varie donazioni private per comprare altri terreni in Argentina e fare un nuovo parco nazionale. Questo è stato il suo commento: «L’esempio è stato importante. Spinge altri miliardari a decidere di fare qualcosa di bello con i loro soldi».


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 2 maggio 2017 • N. 18

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Politica e Economia

Millenials anti-Putin

Notizie dal mondo

Russia La rivolta nelle piazze e sui social degli studenti contro la corruzione del regime

si diffonde e diventa virale. Una sorpresa sia per i sostenitori che per i critici del governo

Il blogger antiPutin Alexey Navalny è stato arrestato per violazione dell’ordine pubblico e organizzazione di una manifestazione non autorizzata. (Keystone)

Anna Zafesova Il liceale della scuola numero 1 del villaggio Pogar, regione di Bryansk, non ha un nome, né una faccia, il video pubblicato su YouTube è stato filmato di nascosto sottobanco dai suoi compagni di classe. Ha solo una voce, ferma e decisa, mentre dichiara alla professoressa: «Io voglio vivere in un Paese libero». Che ne sai, incalza la docente, hai mai vissuto sotto un governo diverso? «No», ridacchia il ragazzo, «noi al governo abbiamo sempre la stessa persona».

La propaganda conservatrice e nostalgica non offre ai ragazzi modelli accattivanti Lo studente del Conservatorio di Mosca Daniil Pilchen invece ha un nome e una faccia, ormai famosi grazie a un filmato che ha fatto centinaia di migliaia di visualizzazioni, nel quale prende in giro la professoressa Farida Kulmukhametova che lo obbliga a leggere ad alta voce la lista dei «traditori della quinta colonna», attori, scrittori, politici in opposizione a Vladimir Putin. Il giorno dopo l’episodio Daniil è stato arrestato a Mosca, durante il corteo contro la corruzione organizzato il 26 marzo scorso da Alexey Navalny. Una manifestazione senza precedenti per partecipazione e diffusione – oltre alla capitale, migliaia di persone sono scese in piazza in almeno 80 città della Federazione Russa – e soprattutto per l’età dei partecipanti, con centinaia di ragazzi, studenti e liceali, convinti a mobilitarsi dal film-indagine del blogger d’opposizione sul patrimonio occulto del primo ministro Dmitry Medvedev. I Millenials russi, nati e cresciuti sotto il presidente Putin, sono usciti dal mondo virtuale in quello reale, rivelandosi una sorpresa

sia per i sostenitori che per i critici del governo. La reazione è stata immediata. Il liceale Maxim Losev è stato prelevato dalla polizia direttamente durante una lezione, dopo aver annunciato sui social la sua intenzione di unirsi al corteo di Navalny. Pilchen è stato minacciato di espulsione dal conservatorio (anche se dopo la polemica a licenziarsi è stata la professoressa). A Krasnoyarsk il professore Mikhail Konstantinov è stato cacciato dall’università dopo aver proiettato ai suoi studenti il film sulle ville e i vigneti toscani del premier. All’Istituto superiore di elettrotecnica di Pietroburgo, l’assistente della cattedra di sicurezza informatica Renat Halliulin durante la lezione ha denunciato Navalny come «agente dell’ambasciata Usa», spiegando ai ragazzi che non devono lamentarsi se in Europa si vive meglio: «Sono più grande di voi, ne so qualcosa. Rispetto alla Corea del Nord, per esempio, la Russia vive molto meglio, è una democrazia». Le professoresse di Bryansk hanno cercato di terrorizzare i liceali con l’«accerchiamento ostile» dell’Occidente, «viviamo peggio per colpa delle sanzioni europee». Il professore di fisica dell’università di Tomsk Nikolay Pichkurov è arrivato a difendere la corruzione: «Se in una nazione non si ruba vuol dire che non vale nulla, si ruba ovunque», e molti ragazzi hanno abbandonato l’aula in segno di protesta. Una controffensiva che non si può ascrivere soltanto alle iniziative di singoli docenti: gli episodi di «lezioni anti-Navalny» sono decine, e le argomentazioni straordinariamente simili: le manifestazioni in piazza «una provocazione», il leader dell’opposizione un «agente straniero» che ha come unico obiettivo «farsi pubblicità», i ragazzi sono troppo giovani per capire. La stessa retorica l’ha usata anche il presidente russo, sostenendo più volte che le denunce di corruzione «non servono a consolidare lo Stato, ma solo a far fare carriera ad alcuni politici, e poi producono la primavera araba

e il Maidan ucraino», due fenomeni che nella classificazione del Cremlino hanno una connotazione negativa. Il portavoce di Putin, Dmitry Peskov, ha poi esplicitamente accusato i ragazzi di essere andati in piazza «attratti da un premio monetario». In alcune regioni la contropropaganda nelle scuole è stata ordinata dai governatori: a Samara Nikolay Merkushkin ha commissionato e fatto proiettare nelle scuole il film No all’estremismo. Il liceale della scuola 114 Egor B., che si è permesso di contestare l’idea del filmato che equiparava le proteste in piazza all’estremismo, ha ricevuto un calcio dalla vicepreside Irina Gorbatenko, che gli ha intimato di «chiudere la bocca». Gli studenti espulsi e sospesi per aver partecipato alle manifestazioni sono decine, e decine sono i casi documentati di scontri nelle aule tra i ragazzi e i professori, che hanno trasformato all’improvviso le scuole russe in un terreno potenzialmente esplosivo. Alla Duma sono già arrivate proposte di legge per proibire ai minorenni di manifestare, e di utilizzare i social network (anche se il Ministero dell’interno l’ha già bollata come «irrealizzabile»). Ma le misure repressive potrebbero soltanto accentuare il conflitto generazionale. La propaganda conservatrice e nostalgica ha funzionato per le generazioni meno giovani, ma ai ragazzi offre modelli poco accattivanti, come le uniformi della Seconda guerra mondiale per bambini apparse nei supermercati russi alla vigilia della festa della vittoria sui nazisti, la presa dei Reichstag inscenata nei parchi giochi o il gioco di ruolo «Trova il terrorista» promosso dalla polizia nelle scuole di Murmansk. La militarizzazione e clericalizzazione della scuola negli ultimi anni pesca dall’arsenale sovietico, con la reintroduzione di «giochi militar-patriottici» e lezioni di «basi della cultura nazionale» che predicano la famiglia patriarcale e i «valori russi» da opporre a quelli «liberali e alieni» dell’Europa. La campagna mediatica contro le «chat della morte», che indurrebbero i ragaz-

zini al suicidio, mette in guardia i genitori contro Internet, mentre la chiesa ortodossa blocca la penalizzazione delle percosse ai figli, «ragionevole e amorevole misura educativa». Dopo il manuale unico di storia voluto da Putin è in arrivo quello sulla letteratura. E mentre in TV la senatrice Elena Mizulina – autrice della «legge anti-gay» e delle proposte di limitare o vietare divorzi e aborti – sostiene che «la lotta alla corruzione è pericolosa», in Rete Navalny racconta, con un linguaggio chiaro e prove che nessuno ha per ora contestato, come i figli nemmeno trentenni di ministri e deputati diventino top manager di banche e corporazioni. Un contesto culturale in cui alla naturale ribellione contro il mondo degli adulti potrebbero sommarsi vicepresidi che distribuiscono calci, poliziotti che trascinano a peso le studentesse e governatori che bollano ogni scontento come «estremista». A Serov, nella regione di Sverdlovsk, la preside Elena Shevalova ha istituito nel collegio medico un sistema di spionaggio totale, con i ragazzi che devono riferire gli «umori estremisti» dei compagni espressi sui social e nelle email. La definizione di «estremismo» è molto vaga: «Abbiamo rilevato studenti che seguono subculture giovanili, e che hanno amici di nazionalità diversa», spiega la preside, che sul territorio dell’istituto ha ordinato l’oscuramento del wi-fi. Può apparire un caso limite, ma il Ministero dell’interno vuole introdurre su scala nazionale un sondaggio del «potenziale estremista» già svolto in segreto in 40 istituti moscoviti. Tra i fattori di rischio, il tenore di vita del potenziale «estremista» e il suo grado di fiducia verso le autorità, «in particolare il leader», spiega la responsabile della sociologia dei giovani dell’Accademia delle scienze Yulia Zubok. «La fonte politica principale del ringiovanimento della protesta è il contesto in cui i ragazzi che devono vivere il futuro vengono trascinati intenzionalmente nel passato», scrive su Gazeta.ru il saggista Alexandr Arkhanghelsky.

Il Venezuela più isolato lascia l’Osa La ministra degli Esteri del Venezuela Delcy Rodriguez ha annunciato il ritiro del Paese dall’Organizzazione degli Stati Americani (Osa), dopo la convocazione a Washington di un vertice straordinario dell’organismo regionale per discutere la crisi a Caracas, mentre nelle piazze del Venezuela proseguono le proteste antigovernative. «L’Osa ha insistito con le sue azioni intrusive contro la sovranità della nostra patria e dunque procederemo a ritirarci da questa organizzazione», ha detto Rodriguez, aggiungendo che «la nostra dottrina storica è segnata dalla diplomazia bolivariana della pace, e questo non c’entra niente con l’Osa». L’iniziativa del vertice straordinario è stata approvata con 19 voti a favore, 10 contrari, una astensione e un assente. Subito è scattata la ritorsione di Maduro, ormai sotto assedio su tutti i fronti, che ha annunciato che darà inizio alle pratiche per lasciare l’organizzazione. Somalia a rischio estinzione La Somalia è il paese al mondo che più di ogni altro rischia l’estinzione. Almeno secondo il Fragile States Index (Fsi) 2016, un rapporto annuale pubblicato dal 2005 dalla think tank statunitense Fund for Peace e dal magazine «Foreign Policy». Il Fsi compila tutti gli anni una graduatoria dei paesi più fragili al mondo, considerando una serie di fattori, divisi in tre categorie: sociali (4 indicatori), economici (2) e politici (6). In ognuno degli indicatori il singolo paese riceve un punteggio in una scala da 0 a 10, dove 0 indica la massima stabilità e 10 il massimo rischio. Il rapporto si basa sulla raccolta di articoli e report processati da un software elettronico. Nel ranking del 2016, il paese in testa – quindi più fragile – è la Somalia, che ha scalzato dal primo posto il Sud Sudan. Subito dietro la Repubblica Centrafricana, il Sudan, lo Yemen e la Siria. Dietro molti Stati africani, ma non solo: Chad, Repubblica democratica del Congo, Afghanistan, Haiti, Iraq, Guinea, Nigeria, Pakistan, Burundi, Zimbabwe. Il paese più stabile è la Finlandia, unico Stato definito «molto sostenibile». L’indice divide i paesi in 11 categorie in base al loro punteggio totale. Dopo l’unico Stato «molto sostenibile», ci sono quelli «sostenibili»: i migliori dopo la Finlandia sono Norvegia, Nuova Zelanda, Danimarca, Svizzera e Australia. C’è poi la categoria degli Stati «molto stabili», in cui rientrano Regno Unito, Stati Uniti e Giappone. Si passa poi a quelli «più stabili»: tra questi figura anche l’Italia, tra i peggiori nell’Ue. Ci sono poi i paesi «stabili», quelli «preoccupanti» e i paesi in cui esiste una «preoccupazione elevata». Tra questi ultimi risultano anche Israele, Cina, India, Turchia e Messico. Più preoccupante è la situazione dei paesi in cui l’allarme è ancora più alto, rientranti nella fascia di punteggio totale tra gli 80 e i 90 (il massimo dell’allerta è 120). Si passa poi alla vera e propria allerta. Sopra i 100 punti ci sono 16 paesi: otto di questi rientrano nell’«alta allerta» e altri otto con una «allerta veramente alta». La Somalia ha un indice di 114 su 120, risultando un paese ad alto rischio in tutte le 12 categorie (mai sotto i 9 punti su 10). Vicinissimo è poi il Sud Sudan, con 113.8. Le dodici categorie prese in considerazione e su cui viene dato un punteggio sono: pressione demografica, rifugiati, tensioni tra gruppi, fuga di cervelli, sviluppo economico non livellato, povertà e declino economico, legalità dello Stato, servizi pubblici, diritti umani, apparato di sicurezza, élite divise.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 2 maggio 2017 • N. 18

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Politica e Economia

Una chiara ripartizione dei compiti per consolidare le finanze dei cantoni

Costi dello Stato Il professor Schaltegger dell’Università di Lucerna prevede forti pressioni sulle finanze cantonali.

Chiede che i Cantoni non tendano a scaricare oneri su altri, ma rivedano la struttura delle loro spese e finanze Ignazio Bonoli I vari Cantoni stanno annunciando risultati d’esercizio per il 2016 generalmente migliori del previsto. Anche il canton Ticino riesce a ridurre il disavanzo di preventivo di una quarantina di milioni. In parte questi risultati sono dovuti a eventi straordinari (per esempio l’utile della Banca Nazionale o gli effetti dell’amnistia), ma in parte anche a contenimenti delle spese e ad aumenti di imposte. Sono probabilmente i primi sintomi di profondi cambiamenti che si prospettano per le finanze cantonali dei prossimi anni. In ogni caso sono finiti i tempi propizi per riduzioni di imposte o finanziamenti di grandi opere di investimento. Tempi che fino a pochi mesi fa erano nutriti, globalmente, dalla crescita dell’economia, dalle vendite di oro della Banca Nazionale, dalla distribuzione degli utili della stessa, nonché da un inatteso aumento degli utili delle imprese. Un ciclo che, anche secondo il professor Christoph Schaltegger, docente di economia politica all’Università di Lucerna, sta finendo. Il ritorno a una situazione «normale» potrebbe perciò provocare forti riduzioni di spese e aumenti di imposte. Il prof. Schaltegger cita l’esempio del canton Lucerna: le

riduzioni di imposte hanno reso il cantone attraente per famiglie o imprese. Questo ha provocato un aumento eccezionale dei redditi, facendo salire il Cantone nella classifica federale delle risorse, il cui indice serve alla compensazione finanziaria. Lucerna supera così altri Cantoni, che beneficiano della compensazione finanziaria a sue spese. Questo succede nella metà dei Cantoni che hanno preso parte attivamente alla concorrenza fiscale per attirare attività economiche e hanno così creato un margine negativo nella compensazione finanziaria. Una situazione che non può durare a lungo e deve essere risolta anche per poter mantenere un certo grado di attrattività per buoni contribuenti. Queste considerazioni hanno permesso di affrontare il più vasto tema della compensazione finanziaria fra Confederazione e cantoni. Secondo il professore lucernese, i problemi maggiori si riscontrano nella soluzione di problemi comuni, soprattutto nel settore della salute e in quello della sicurezza sociale. Il fatto è che questi problemi, che comportano compiti e responsabilità condivisi e non sono attribuiti con chiarezza a un solo livello istituzionale, provocano talvolta incentivi e soluzioni sbagliati. Questo crea una tendenza a ribaltare i costi in parte al livello superiore o inferiore.

Lucerna ha approfittato della concorrenza fiscale fra i Cantoni, ora questo periodo sembra volgere al termine. (Keystone)

Sarebbe perciò necessaria una chiara suddivisione dei compiti. La nuova perequazione finanziaria, adottata una decina d’anni fa, prevedeva questa separazione e avrebbe dovuto applicare il principio di sussidiarietà. Questa suddivisione di competenze e responsabilità non è però riuscita. Di conseguenza – secondo il professor Schaltegger – sarebbe ora necessario riformare il sistema. La soluzione di compiti comuni, per i quali un organismo dirige e l’altro ne sopporta gli oneri, provoca un blocco operativo e delle riforme. Un esempio probante è quello delle prestazioni complemen-

tari alle rendite AVS/AI, troppo basse. Con circa 5 miliardi di franchi oggi l’onere di queste prestazioni è perfino superiore a quello dell’esercito. Cantoni e Comuni non decidono e diventano semplici uffici di pagamento. Le singole competenze andrebbero più chiaramente divise. Ma anche il problema delle cure della salute ha implicazioni più vaste. Dal 1990 le spese globali dei Cantoni sono aumentate più del prodotto interno lordo. Accanto alla sicurezza sociale, la cui percentuale è salita dal 12 al 20%, le spese per la salute sono quelle con il maggior incremento. Qui non si

tratta certo di risparmiare, ma sicuramente di frenare il ritmo di crescita eccessiva delle spese. Una delle maggiori componenti di queste spese è quella per gli ospedali. Qualcuno pensa di privatizzarli, ma il problema è essenzialmente quello dell’efficienza delle cure. Per i cantoni è importante non limitarsi ad assumere i rischi, ma praticare una vera politica ospedaliera. Una politica che tenga anche conto dell’invecchiamento della popolazione e che decida quindi di aumentare l’età di pensionamento, in modo da aumentare i contributi alle opere sociali. La statistica delle finanze indica che i Cantoni si finanziano principalmente attraverso le imposte sulle persone fisiche. La loro importanza sul totale del gettito varia dal 94% di Appenzello Interno al 64% di Zugo. Solo i Cantoni con grandi agglomerati cittadini come Zurigo, Basilea o Ginevra godono di un gettito delle persone giuridiche superiore al 20%. Fanno eccezione Zugo e il Ticino. Comunque i Cantoni non cerchino di ribaltare oneri su altri e sulla Confederazione: è bene – conclude il professore lucernese – che conservino un buon margine di libertà nelle loro gestioni finanziarie. Essi sono un laboratorio di innovazioni che deve essere rivitalizzato ed è un compito della Conferenza dei governi cantonali. Annuncio pubblicitario

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Politica e Economia

Dal dire al fare

Dibattito Il «Tavolo di lavoro sull’economia ticinese» ha concluso i lavori e presenta la sua visione

sullo sviluppo futuro dell’economia cantonale identificando alcuni ambiti di intervento Fabio Dozio Studi, analisi, programmi, ricerche, libri bianchi, riflessioni, rapporti, saggi. In Ticino sono disponibili montagne di carta che affrontano, da punti di vista diversi, il tema della politica di sviluppo economico e delineano le misure di intervento. La teoria non manca, l’azione, invece, è più difficile da mettere a fuoco. Il padre di tutti gli studi è il rapporto presentato nel luglio del 1964 dal professor Francesco Kneschaurek, dal titolo: Stato e sviluppo dell’economia ticinese: analisi e prospettive. Conteneva proposte lungimiranti, dalla programmazione economica allo sviluppo del sistema educativo, dal promovimento dell’industria al piano direttore che avrebbe dovuto salvaguardare il territorio. Alcuni di questi progetti sono stati realizzati in questi cinquant’anni, altri no.

Il padre di tutti gli studi è il rapporto Kneschaurek del 1964, alcune proposte vennero attuate, altre no La scorsa fine di gennaio il Dipartimento delle finanze e dell’economia ha pubblicato i risultati del «Tavolo di lavoro sull’economia ticinese». La premessa è chiara: «Il Cantone Ticino necessita di condivisione tra le sue componenti e di convergenza attorno a una visione futura comune: una sorta di “patto di paese” fondato sul dialogo, la coesione, la pace e il partenariato sociale». Attorno al Tavolo si sono seduti i capigruppo in Gran Consiglio, i rappresentanti dell’economia e del sindacato, tre professori dell’USI. Mancavano solo i contadini. Il Tavolo, coordinato da Sigfried Alberton, professore alla SUPSI, fa riferimento ad alcuni studi recenti: L’analisi dei settori ticinesi, del 2014, curato

da BAKBASEL, Ticino Futuro dei professori Maggi e Mini dell’Istituto di ricerche economiche, e soprattutto Oltre metà del guado curato nel 2015 dal professor Baranzini. Fra le proposte contenute in quest’ultimo lavoro figurava appunto «l’istituzione di una commissione governativa per l’economia, composta di personalità dell’imprenditoria, della ricerca, dell’insegnamento universitario, del sindacato, della comunicazione, ma svincolate da obblighi formali di rappresentanza e di difesa di interessi particolari». (vedi Da rimorchio a locomotiva, «Azione» 23.11.15.) Già nel 2012 il deputato Sergio Morisoli, di Area liberale, invitava a realizzare un «patto economico di Paese» chiedendo al Governo di «aprire formalmente un cantiere strutturato, organizzato e operativo per il rilancio economico», ammettendo – cosa inusuale per un liberista – «che l’economia da sola non basta e lo Stato da solo non può farcela». Il recente rapporto del «Tavolo di lavoro», prima di mettere a punto le aree tematiche su cui si propone di intervenire, cita alcuni dati significativi per conoscere lo stato dell’economia cantonale. Le aziende sono complessivamente 37’523: il 3% nel settore agricolo, il 15% nell’industria e ben l’82% nei servizi. I posti di lavoro sono 184’057, quasi tre quarti dei quali nei servizi. Nella graduatoria svizzera, per quanto riguarda il potenziale di innovazione, il Ticino si situa al nono posto. Il salario mediano lordo è di 5485 franchi mensili, mille franchi in meno rispetto al dato nazionale. Importiamo più di quanto esportiamo e merita di accennare al fatto che ben il 58,2% delle importazioni proviene dall’Italia. Anche il Ticino è chiamato a fare i conti con la «quarta rivoluzione industriale» e in particolare con la digitalizzazione. Per cogliere le opportunità di questa «sfida epocale» vengono individuate cinque aree tematiche e una serie di misure. 1. Ticino imprenditoriale. L’obiettivo è di costruire un’economia altamente competitiva e imprenditoriale. So-

Il «Tavolo di lavoro» ha identificato cinque aree tematiche in cui intervenire e una serie di misure concrete. (Ti-Press)

stenere e assistere le start up, creando strumenti per il loro finanziamento e promuovere le nuove idee con incentivi fiscali. Favorire la diffusione di una cultura imprenditoriale in tutti gli ordini scolastici, stimolando la formazione continua e garantendo la riqualifica professionale ai lavoratori penalizzati dall’evoluzione tecnologica. 2. Ticino competitivo. Affiancare le aziende favorendo l’aumento della produttività e la creazione di posti di lavoro qualificati. Creare un unico portale informativo a sostegno dell’imprenditorialità, premiare coloro che intendono trasformare e riorientare l’attività aziendale. Rafforzare i legami nella rete

«Una cultura imprenditoriale non la si crea per decreto» Siegfried Alberton, coordinatore del Tavolo, professore SUPSI Responsabile Centro competenze inno3-DEASS, si dice soddisfatto dei risultati raggiunti.

Considerata la composizione eterogenea del gruppo di lavoro e gli interessi, logicamente differenziati, dei suoi membri, ritengo che quanto raggiunto rappresenti un traguardo importante. Lo spirito che è regnato durante i lavori è stato molto costruttivo e l’impegno profuso da tutti i partecipanti encomiabile. Da non dimenticare l’importante successo, sia in termini di partecipazione – anche di importanti personalità dell’Amministrazione federale, ma non solo – che in termini di riflessioni prodotte, avuto dalle tre giornate di approfondimento organizzate appositamente sui temi della fiscalità e della competitività, dell’innovazione e dello sviluppo regionale e, infine, del lavoro e della formazione. Non mancano i pareri critici. Angelo Rossi ha scritto che si tratta più di riflessioni che di soluzioni.

L’obiettivo dichiarato del tavolo consisteva nell’identificazione di alcuni assi strategici e di misure concrete per renderli operativi. Ne sono uscite cinque aree tematiche e una trentina di misure, in parte già operative, in

parte ancora da sviluppare. Direi che si tratta di qualcosa di più che solo riflessioni che, ovviamente, non sono mancate, soprattutto nelle fasi iniziali dove il gruppo si è chinato anche sui risultati degli studi prodotti negli ultimi decenni sull’economia cantonale. L’imprenditrice Fides Baldesberger critica la capacità del Ticino di fare impresa. Lei ci crede?

Bisogna essere realisti e rendersi conto di quanto è realmente e oggettivamente raggiungibile nel presente e nel futuro. Una cultura imprenditoriale non la si crea per decreto. Necessita di tempi lunghi e di un impegno costante su più fronti, compreso quello dell’educazione e della formazione, professionale e universitaria. La cultura del lavoro dipendente sta evolvendo, per forza di cose a suon di mutamenti economici, tecnologici e del mondo del lavoro, in una cultura sempre più votata anche al lavoro indipendente, per scelta o per necessità. Non è così chiaro cosa e quanto debba fare lo Stato e quanto i privati.

La concretizzazione di molte misure e, di conseguenza, delle cinque aree tematiche in opportunità di sviluppo non può prescindere da un lavoro partecipativo e condiviso dalle diverse componenti della società civile. Ognu-

no – individui, società, imprese, Stato, enti di ricerca e istituti di formazione, sindacati, associazioni imprenditoriali, ecc. – può e deve giocare il proprio ruolo attivamente. Il centro di competenze sulle tecnologie digitali, per esempio, potrà nascere, svilupparsi e, quindi, fornire servizi tecnologici e gestionali solo grazie a forme di partenariato pubblico e privato, dove imprese (e associazioni imprenditoriali), mondo della formazione, della ricerca e dell’innovazione, mondo finanziario e Stato giocano di concerto all’interno di un sistema regionale dell’innovazione coerente e coeso. Come vede i tempi di realizzazione dei progetti indicati?

Difficile dire. È importante sottolineare come nel frattempo alcuni importanti progetti siano già partiti ed altri partiranno presto. Ci riferiamo per esempio al centro competenze sulle tecnologie digitali (in discussione) nell’ambito dell’area tematica Ticino digitale e il sostegno alle start up nell’ambito dell’area tematica Ticino imprenditoriale attraverso misure quali ad esempio l’accesso coordinato ai vari servizi dedicati alle start-up, un nuovo acceleratore cantonale, incentivi per coaching CTI, la defiscalizzazione di investimenti privati nelle start-up, ed altre ancora.

dell’innovazione a livello nazionale («Innosuisse»). Favorire e promuovere gli incontri fra politica, imprese e popolazione per sensibilizzare su tutti gli aspetti economici. Migliorare la comunicazione per sostenere la piazza finanziaria e, infine, introdurre riforme fiscali per dotare il Cantone di un quadro legislativo moderno sia per le persone giuridiche, sia per le persone fisiche. 3. Ticino interconnesso. L’apertura di Alptransit, così come la futura galleria del Monte Ceneri, permettono una maggiore interconnessione tra i poli urbani cantonali e consolida la «Città Ticino». Inoltre va sviluppato e rafforzato il legame con il resto della Svizzera e in particolare con l’area zurighese. 4. Ticino digitale. Per affrontare la sfida della rivoluzione digitale va creato un centro di competenza specifico e vanno definiti nuovi percorsi formativi orientati alle nuove tecnologie. Avviare la collaborazione con «Digital Switzerland» che ha l’obiettivo di rendere la Svizzera uno dei principali poli dell’innovazione digitale. 5. Ticino sostenibile. Su questo tema il rapporto è lapidario: «Il Ticino è attento ai principi dello sviluppo sostenibile e della responsabilità sociale delle imprese». Ci sono proposte concrete, come quella di introdurre sperimentalmente il telelavoro nell’Amministrazione pubblica o procedere con le riversioni nel settore idroelettrico o, ancora, rivitalizzare gli stabili dismessi. Ma soprattutto, si sottolinea l’importanza del partenariato sociale per far fronte ai cambiamenti nel mondo del lavoro. Come valutare il rapporto? Un bel catalogo di buone intenzioni, che devono solo essere messe in pratica. Alcuni strumenti sono già disponibili, come la Legge cantonale sull’innovazione, o la Fondazione Agire, che sta puntando sullo sviluppo e il sostegno delle start up, le giovani aziende innovative. Si insiste molto sull’innovazione e su un’imprenditorialità coraggiosa, aspetti che non sempre sembrano metabolizzati dal sistema economico ticinese. E dal rapporto pubblicato, che è una concisa sintesi del lavoro del gruppo, non è facile desumere come debbano venir ripartiti i com-

piti tra pubblico e privato. Sul ruolo dello Stato va detto che il Dipartimento dell’economia e delle finanze si sta muovendo, sui compiti dell’economia privata rimangono aperti molti interrogativi. Un’imprenditrice di successo, pluripremiata a livello internazionale, Fides Baldesberger, titolare della Outils Rubis di Stabio, azienda specializzata nella produzione di strumenti di acciaio di altissima precisione, non è stata particolarmente tenera nel descrivere cosa significa «fare impresa» in Ticino: «Il Ticino purtroppo non ha una tradizione industriale né è terra di imprenditori. – ha dichiarato al «Corriere del Ticino» – Ci sono troppe leggi e condizioni sempre più difficili, compreso il franco forte, per fare impresa. Manca una cultura imprenditoriale. E anche quella del rischio. Si dice che la mente umana funzioni come un paracadute, cioè quando è aperto. E il paracadute del Ticino è chiuso». L’economista Angelo Rossi – nella sua rubrica su questo giornale (30.1.2017) – ha sottolineato che il risultato del Tavolo offre «più riflessioni che soluzioni». Ritiene che si sia valutata più la situazione immediata che la prospettiva di lungo termine. «Un rapporto finale – scrive Rossi – che si limita a elencare una serie di misure assomiglia di più al risultato di un brainstorming con il quale avviare la discussione, che alla valutazione ponderata sul da farsi elaborata da una commissione che ha lavorato per più di un anno». E che dire al capitolo della sostenibilità? Partenariato sociale e responsabilità delle imprese sono, per usare un eufemismo, sotto pressione in Ticino. Un Cantone in cui le condizioni del mercato del lavoro sono confrontate con abusi di ogni genere, dumping salariale, falsi contratti, precariato. In queste condizioni il concetto di «patto di Paese» suona retorico. Gli interessi dei sindacati, del mondo imprenditoriale e delle grandi banche, tutti rappresentati al Tavolo, riescono a trovare denominatori comuni? In modo che – come dice il rapporto – si realizzi «una crescita economica equilibrata, in grado anche di assicurare un’occupazione di qualità»?


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 2 maggio 2017 • N. 18

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Politica e Economia

Divorzio: dal 2017 divisione più equa dei capitali previdenziali La consulenza della Banca Migros Jeannette Schaller

Jeannette Schaller, responsabile della pianificazione finanziaria alla Banca Migros

Il Consiglio federale ha modificato le regole della divisione dei capitali previdenziali in caso di divorzio, migliorando notevolmente la situazione dei coniugi che non hanno lavorato o hanno lavorato solo a tempo parziale durante il matrimonio. Le nuove disposizioni di legge e le modifiche delle relative ordinanze sono entrate in vigore il 1° gennaio 2017. Hanno come scopo una divisione più equa del capitale della previdenza professionale in caso di divorzio tra coniugi o di scioglimento di un’unione domestica registrata. Le rendite già concesse in virtù di sentenze di divorzio potranno, a determinate condizioni, essere convertite in rendite

previdenziali secondo il nuovo diritto entro un anno. Con il nuovo disciplinamento vengono aboliti diversi svantaggi. Il principio sinora in vigore, secondo il quale i capitali previdenziali sono divisi a metà tra i coniugi, è sempre valido, ma nella ripartizione del capitale il momento determinante per il calcolo sarà quello in cui viene promossa la procedura di divorzio e non più quello in cui essa termina. Inoltre, il fatto che il conguaglio della previdenza avviene anche se uno dei coniugi è già pensionato o invalido rappresenta un notevole miglioramento. Sinora in questi casi non veniva suddiviso il capitale, bensì versato un indennizzo una tantum. Con la modifica in base alla qua-

le gli istituti di previdenza e di libero passaggio devono notificare periodicamente tutti i titolari di capitali

Nuove regole dall’1.1.2017 Regola Sinora Nuovo Momento della divisione

Termine della procedura di divorzio

Avvio della procedura di divorzio

Uno dei coniugi riscuote già una rendita (di pensione o d’invalidità)

Nessuna divisione della rendita

Divisione della rendita

Obbligo di notifica all’Ufficio centrale del 2° pilastro

Nessuna notifica

Notifica annuale

Adesione all’istituto collettore LPP

Non possibile

Possibile

Fonte: basato su una presentazione del Vermögenszentrum

previdenziali all’Ufficio centrale del 2° pilastro viene eliminata un’altra lacuna. Il pretore controlla che non siano stati sottratti capitali di previdenza alla divisione. Altre disposizioni garantiscono che durante il matrimonio non sia versato alcun avere di previdenza a un coniuge all’insaputa dell’altro e che in caso di conguaglio della previdenza venga trasferita una quota equa dell’avere di vecchiaia nella parte obbligatoria della previdenza professionale. Un altro passo avanti è rappresentato dalla possibilità che le persone non affiliate a una cassa pensioni al momento del divorzio aderiscano all’istituto collettore LPP. Ciò consentirà loro di convertire il capitale in una rendita in futuro.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 2 maggio 2017 • N. 18

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Politica e Economia Rubriche

Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Regioni di montagna, dove investire? La nuova politica regionale della Confederazione è entrata nel suo decimo anno e, stando almeno agli appelli che stanno facendo i suoi responsabili, sembra sia minacciata dalle misure di risparmio. D’altra parte l’idea che lo Stato intervenga a sostegno delle regioni di montagna continua ad essere osteggiata in particolare da chi pensa che l’avvenire di queste regioni debba essere deciso dalle forze del mercato. Ricordiamo che la politica regionale federale è passata per due fasi. Nella prima, sviluppatasi tra il 1975 e il 2008, il suo obiettivo era quello di rafforzare l’attrattiva di tutte le regioni di montagna investendo soprattutto nella realizzazione di infrastrutture, in particolare quelle dei trasporti e quelle turistiche. Nella seconda, iniziatasi per l’appunto nel 2008, si è adottato invece un obiettivo maggiormente selettivo. Da sviluppare sarebbero solo quelle regioni nelle quali possono nascere iniziative di produzione di beni e servizi in grado di affermarsi sul mercato. Le altre sa-

rebbero abbandonate al loro destino. Oggi, con la crisi del turismo invernale e le limitazioni che conosce la costruzione di residenze secondarie, è difficile trovare dove queste iniziative potrebbero svilupparsi. La politica in favore delle regioni di montagna è così entrata in crisi. Le difficoltà che la stessa conosce sono date, non da ultimo, dal fatto che nelle regioni di montagna – che rappresentano pur sempre il 14% del territorio nazionale – vive (e vota) solamente il 6,1% della popolazione. C’è quindi sempre chi trova che per i quattro gatti che continuano ad abitare queste regioni non occorrano aiuti, perché tanto il santo non vale la candela. I lettori si ricorderanno forse della polemica, scoppiata qualche anno fa, sugli aiuti alle stazioni sciistiche ticinesi. Una perizia aveva concluso che, in Ticino, la stagione invernale non aveva futuro e quindi era inutile aiutare le stazioni esistenti. Allora i politici di casa decisero diversamente. Ora l’argomento della convenienza degli

investimenti nell’infrastruttura delle regioni di montagna è stato ripreso in una pubblicazione critica di Avenir Suisse. Rispolverando il concetto di costo di opportunità, il think tank zurighese disapprova in particolare i costosi progetti realizzati in diverse di queste regioni nel corso degli ultimi due decenni. Il costo di opportunità di un investimento è rappresentato dalle differenze in redditività che si potrebbero realizzare se, con i mezzi destinati allo stesso, se ne finanziassero altri più redditizi. Avenir Suisse cita, per esempio, il caso delle circonvallazioni realizzate in Prettigovia. Nel corso degli ultimi venti anni, sono stati spesi circa 750 milioni di franchi per realizzare le circonvallazioni di Klosters, Saas e Küblis. Con la metà di questa somma, affermano i ricercatori zurighesi, si sarebbe potuto realizzare un secondo campus a Coira per il dipartimento di turismo e economia della scuola universitaria professionale. Avenir Suisse sembra suggerire quindi che per lo sviluppo delle

regioni di montagna dei Grigioni una scuola di turismo «rende» di più che tre circonvallazioni. Secondo noi il confronto con altre varianti di investimento – posto che ce ne siano e che i mezzi finanziari possano essere deviati verso la variante più redditizia – è certamente da raccomandare. Ma non bisogna fermarsi a considerare il costo. Occorre anche quantificare i benefici dell’investimento e, siccome parliamo di politica regionale, specificare quali sono le località che ne traggono beneficio. Se il problema di sviluppo si manifesta, per fare un esempio, ad Airolo, non ha molto senso criticare il progetto di investimento da realizzare in questa località, argomentando che a Lugano vi sarebbe la possibilità di utilizzare i mezzi finanziari in gioco in modo più redditizio. Ci si può poi chiedere perché solamente i progetti di infrastruttura da realizzare nelle regioni di montagna debbano essere sottoposti al test del costo di opportunità. Che dire dei milioni che gli enti

pubblici hanno investito negli aeroporti regionali, nei musei, nei teatri e in altre infrastrutture culturali, per non parlare delle decine di miliardi spesi nella rete stradale e ferroviaria delle nostre regioni urbane? Sono stati tutti redditizi? Due parole infine sul catalogo di misure suggerito da Avenir Suisse: non brilla certo per originalità; ha però il merito di citare esempi che hanno avuto successo in altre regioni (secondo il principio in voga della buona pratica), come l’idea di mobilitare i proprietari di residenze secondarie per stimolare gli investimenti in attività economiche locali, oppure quella di realizzare «cluster» di attività artigianali che possano collaborare con scuole che promuovono le attività di ricerca e sviluppo. Nonostante la bontà di questi consigli, l’impressione finale è che all’autore di questo studio di Avenir Suisse prema di più sollecitare la ritirata dello Stato dai progetti di investimento in favore delle regioni di montagna che trovare nuove possibilità di sviluppo per queste regioni.

per odio al Kaiser che spediva le reclute nella Prussia orientale o in Slesia. È la grande provincia francese del pastis e del riesling, dei giochi di bocce sotto i platani e della choucroute. Che non consuma brunch ma pantagruelici pranzi della domenica, non si rimette in forma con il pilates ma con il riposino, non studia il cinese ma parla dialetto. E quel che per i parigini è oleografia, per i provenzali o i piccardi è identità. Non luoghi comuni; abitudini. Molti elettori della Le Pen protestano contro l’immigrazione di massa, con cui devono lottare per la casa popolare, il posto all’asilo nido, il letto in ospedale, a volte anche il lavoro. Ma per molti altri il problema non è certo il marocchino che porta il latte o la posta, bene o male integrato. È la vecchia fabbrica del paese chiusa, smontata e rimontata in Polonia (proprio come si vuole fare ad Amiens della Whirpool). È il grano

che non vale più nulla. È il vino di media qualità mandato fuori mercato dai concorrenti argentini, australiani, sudafricani. È la sensazione di essere sorvolati dai cambiamenti, esclusi dalle novità, circumnavigati dalla corrente della storia. È la disperata volontà di difendere l’«eccezione francese», termine coniato per spiegare un’economia che tutto sommato regge nonostante l’immane peso dello Stato, ma anche il mistero di uno tra i Paesi più longevi al mondo nonostante un’alimentazione a base di burro e grasso d’oca; almeno in provincia, dove il sushi e la quinoa non hanno ancora soppiantato del tutto la brandade e il pane. Marine Le Pen non è ovviamente la soluzione. Ma può essere la consolazione. Perché è l’unica, o quasi, a dire che la vecchia Francia non è spacciata, che l’Europa può essere distrutta, che il futuro non è ineludibile. L’altra faccia

del lepenismo è Mélenchon, con la sua versione gauchiste del nazionalismo, del protezionismo, dell’euroscetticismo; non a caso è stato il solo leader a rifiutarsi di appoggiare Macron al secondo turno, rompendo il fronte repubblicano. Domenica 7 maggio il ballottaggio imporrà una semplificazione al limite della torsione. E, a meno di clamorose sorprese, aprirà le porte dell’Eliseo alla Francia liberale, europeista, ottimista di Macron; così come cinque anni fa le aveva spalancate al partito socialista. Ma anche la vittoria dell’ex enarca ed ex banchiere, beniamino dei media e dei mercati, può essere per l’establishment più consolatoria che risolutoria. La Francia profonda resterà all’opposizione. E i numeri finali per Macron non saranno certo il 62-38 annunciato dai sondaggi effettuati nella notte del primo turno.

costellazione positiva prodotta dalla difesa spirituale per contrastare la minaccia nazifascista; ciclo che proseguì nel dopoguerra, negli anni del grande gelo Est-Ovest, favorendo la nascita del monopolio televisivo. Oggi il confronto sul trasporto pubblico, e in particolare sulle FFS, si è acquietato. Per due motivi: 1) perché il consenso popolare di cui gode l’impresa rimane elevato, quasi granitico; 2) perché solo la Confederazione può permettersi di riversare ingenti capitali nel miglioramento della rete e nel rinnovo del materiale rotabile. In compenso è cresciuta la conflittualità nel mondo dei media, specie nel settore televisivo, il medium più costoso ma anche più influente, oggetto concupito dalle grandi aziende editoriali nazionali ed estere. La partita che in futuro si giocherà intorno al monopolio televisivo sarà decisiva, non soltanto per l’ammontare del canone e la sua di fatto imposizione «erga omnes», ma anche per il destino

delle minoranze e per la serietà/fondatezza dell’informazione. Quando negli anni 70 nacquero le radio libere molti gioirono. Si parlò di libertarismo, di contro-potere e contro-informazione, dell’avvento della «società della trasparenza» (Gianni Vattimo). Purtroppo questa stagione ebbe vita breve, subito fecero irruzione gli interessi commerciali, affossando gli ideali libertari. Della rete, di Internet, all’inizio si pensò la stessa cosa: massima apertura, niente controlli, nessuna censura. Purtroppo, anche qui, le cose sono andate diversamente. Anche la rete è controllabile e di fatto controllata, o da grandi aziende come Google, o dal controspionaggio delle maggiori potenze. Ancora una volta, chi controlla l’informazione controlla la politica. Ecco perché intaccare il monopolio della SSR-SRG è diventato un obiettivo strategico da parte di numerosi attori collegati ai grandi gruppi privati.

In&outlet di Aldo Cazzullo Una Francia spaccata in due Emmanuel Macron ha avuto un ottimo risultato domenica sera, ma ha sbagliato a dare l’impressione di aver già vinto. Un candidato senza partito, senza territorio (pure gli operai della sua Amiens gli si sono rivoltati contro), senza organizzazione, ha bisogno di mobilitare il voto d’opinione, di suonare l’allarme contro il populismo alle porte. Invece ha dato l’impressione di essere rilassato, anche troppo. E la cena di festeggiamento nella brasserie di Montparnasse, in compagnia di vecchi arnesi come Jacques Attali e Daniel Cohn-Bendit, è apparsa senz’altro prematura. La mobilitazione vista nel 2002 contro Le Pen padre non ci sarà. Mélenchon rifiuta di dare indicazioni per Macron. E la Francia appare divisa in due, tra città e campagna. Dietro il consenso per Marine Le Pen non ci sono soltanto la paura del terrorismo o il rigetto dell’immigrazione. Nella città più

colpita dal terrorismo e con il maggior numero di immigrati, Parigi, Macron è al 35%, Marine Le Pen al 5. A Lione il «candidato del sistema» supera il 30, la «candidata del popolo» non arriva al 9. A Nizza, piegata dalla strage del 14 luglio, vicina alla frontiera calda di Ventimiglia, è in testa il povero Fillon. Marine non sfonda neppure nelle banlieues. Vince Macron sia nella periferia occidentale di Parigi, dove vivono i ricchi che di solito votano a destra, sia in quella orientale, dove vivono i poveri che votavano a sinistra, e talora hanno premiato semmai Mélenchon (primo a sorpresa anche a Marsiglia). Eppure nella maggioranza dei dipartimenti è in testa Marine. Che supera il 30% nel Nord delle miniere e delle fabbriche chiuse, nel Sud dell’idilliaca Valchiusa che ispirò Petrarca, e a Est, in Alsazia e Lorena, sulle rive del Reno e della Mosella, dove si è francesi d’elezione anche

Cantoni e spigoli di Orazio Martinetti Servizio pubblico: un’idea pragmatica Circoscrivere oggi il servizio pubblico non è facile. La definizione tradizionale, canonica, si fondava su una dicotomia semplice, basica, immediatamente comprensibile: pubblico/ privato, ciò che non era pubblico era privato e viceversa. Oggi assistiamo allo slittamento dei confini anche in questo perimetro, l’antica contrapposizione si è stemperata in una progressiva compenetrazione-commistione tra le sfere, un processo osmotico instabile e fluttuante, senza più fisse barriere o rigide paratie. Molti gli ambiti interessati. Ricordiamone alcuni: acqua, energia, scuola, trasporti, informazione, spazio ricreativo (parchi, giardini), sanità, polizia, pompieri, rifiuti, credito (Banca Stato, Banca nazionale). Subito si capisce che non tutti gli ambiti hanno la stessa valenza politica, sociale e simbolica. Alcuni settori sono più sollecitati di altri. Storicamente la scuola ha sempre rappresentato un terreno di conflitto tra i due

campi, specchio di un più vasto dissidio d’ordine filosofico e religioso, a sua volta generato da opposte concezioni dell’educazione dell’infanzia e in ultima analisi della vita associata (laicità/ confessionalismo). Oggi il fronte si è spostato sulla sanità, un settore meno gravato da ipoteche ideologiche ma più allettante da un’ottica economica, visti l’incremento della spesa sanitaria e l’invecchiamento della popolazione. Anche l’informazione (il sistema dei media) è attraversata da linee di faglia poco appariscenti fino a qualche decennio fa. Altri ambiti sono meno esposti perché meno interessanti, come la polizia, i pompieri, le guardie carcerarie, la gestione dei rifugiati. Nel caso svizzero, l’esperienza vissuta quotidianamente dalla popolazione ha sicuramente disvelato valore e portata del servizio pubblico più delle definizioni astratte. Il caso delle ferrovie si può considerare esemplare. Nate come imprese private, le cinque

principali compagnie ferroviarie furono nazionalizzate a cavallo tra Otto e Novecento dopo un lungo e aspro dibattito politico. Il timore principale era che tale passo potesse aprire al paese un’era di «socialismo di stato», evoluzione che non piaceva nemmeno al partito di maggioranza relativa, il «Freisinn» liberale, fautore del liberismo e della concorrenza. Anche il fatto che da quel momento in poi si dovesse fare i conti non con tanti piccoli sindacati divisi e frammentati, ma con un’organizzazione unica di ferrovieri strutturata sul piano nazionale, dotata di organismi interni e giornali, impensieriva parecchio le classi dirigenti dell’epoca. La votazione del 1898, che appunto stabiliva le tappe del passaggio dal privato al pubblico, fu vinta solo perché anche le cerchie cattolico-conservatrici assicurarono il loro appoggio. A partire dagli anni 30 del Novecento, il servizio pubblico – dalle ferrovie alla radiofonia – poté beneficiare della


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 2 maggio 2017 • N. 18

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Cultura e Spettacoli Una visione della realtà Grande successo e importanti spunti all’ultima edizione di Visions du Réel di Luciano Barisone pagina 33

Tra danza e drammi cupi Mirko D’Urso porta in scena una cruda pièce di Anthony Neilson mentre manca poco all’atteso appuntamento della Festa Danzante

Gli scritti di Carrère Adelphi ha appena pubblicato Propizio è avere dove recarsi del grande scrittore francese

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I giochi seri di Boetti e Salvo Mostre L’amicizia dei due artisti italiani

raccontata in un’esposizione al LAC fino al 27 agosto

Emanuela Burgazzoli Torino, fine anni Sessanta: sono gli anni della contestazione, ma anche del rinnovamento dei linguaggi artistici con l’affermarsi del gruppo dell’Arte povera, secondo la definizione del critico Germano Celant, movimento che riportava gli artisti italiani alla ribalta internazionale. In corso Principe Oddone al numero 88 c’è lo studio di Alighiero Boetti, giovane torinese di famiglia aristocratica approdato all’arte da autodidatta dopo aver abbandonato gli studi di economia. Nel 1967 aveva già tenuto la sua prima personale alla galleria Christian Stein. Autodidatta è anche il poco più che ventenne Salvo (nome d’arte per Salvatore Mangione) che condivide l’atelier con Alighiero. Trasferitosi con la famiglia a Torino nel 1956 dalla provincia di Enna, Salvo fino a qualche anno prima si manteneva dipingendo ritratti, paesaggi e copie da opere di Rembrandt e Van Gogh. La sua prima personale è nel 1970 alla galleria di Gian Enzo Sperone, punto di riferimento per i «poveristi». Nelle fotografie della sezione «cronache private» vediamo i due complici sorridere, suonare e fumare, davanti a opere divenute poi famose. Vivere lavorando giocando è la frase scelta come titolo della mostra allestita al LAC, che grazie a 150 opere documenta l’amicizia fra questi due protagonisti dell’arte italiana del Secondo Novecento. Una citazione di Salvo – spiega la curatrice Bettina della Casa – che così riassumeva quel

periodo di intenso scambio artistico e intellettuale con Boetti, non scevro di uno spirito di sana competizione. Non a caso sulla copertina del catalogo, arricchito da testi e documenti inediti, campeggia una fotografia che vede Salvo e Boetti giocare a braccio di ferro. L’allestimento della mostra, pur evidenziando rimandi e affinità, mantiene le distanze, creando itinerari paralleli che documentano con rigore filosofico gli sviluppi del percorso di Salvo e Boetti, anche dopo la loro separazione, che coincide con il trasferimento di Boetti a Roma, nel 1972, quando – come racconta il gallerista Massimo Minini – «la vita divide, i due amici per la pelle crescono, ognuno ha i propri interessi». Fino a quel momento temi e modalità espressive si intrecciano: il tema dell’immagine del sé, inteso come doppio per Boetti (Gemelli), mentre Salvo lo interpreta come moltiplicazione del sé, che passa da un ruolo all’altro (Benedizione di Lucerna), non senza una vena ironica e dissacratoria, che si ritrova nella celebre serie delle «lapidi», su cui, quali epigrafi, si ritrovano frasi autocelebrative come «Amare me» e «Io sono il migliore». Anche Boetti incide frasi, o meglio le ricama nelle trame dei suoi primi arazzi («Ordine e disordine» o «Segno e disegno»), in cui esprime già la fascinazione per la permutazione e le possibilità combinatorie offerte dalla parola. Da veri artisti concettuali praticano la tautologia: ne è un esempio il ciclo di opere che Salvo realizza gio-

Salvo, 57 pittori italiani, 1975. (Eredi Colnaghi. Foto Agostino Osio, Milano)

cando con le lettere del suo nome tracciate con i colori del tricolore italiano; per Boetti, la serie dei colori industriali (ciò che si vede, è ciò che è menzionato) e i «Cimenti». Anche il rapporto con il tempo e con lo spazio per Salvo diventa una nuova declinazione del suo gioco di mitizzazione del sé; dai fotomontaggi con il suo volto sostituito a quello dei protagonisti di alcuni scatti storici, ora il suo volto si ritrova sostituito a quello dell’eroe di soggetti classici dell’iconografia come San Giorgio e il drago. Se Salvo riflette al tempo della storia dell’arte, aiutato dalla sua prodigiosa memoria e da una conoscenza enciclopedica, Boetti indaga invece il tempo che scorre – quello segnato dai contatori, dagli orologi e dai calendari. Se la Sicilia è lo spazio di Salvo, Boetti guarda al mondo, cominciando a realizzare quelle «mappe» che diventeranno delle icone, ricamate da donne afghane. E qui per Alighiero comincia la pratica della delega alla realizzazione, con la quale l’autore si

sottrae a se stesso, come per l’opera quasi programmatica – a cominciare dal titolo – Mettere al mondo il mondo (1973), una delle prime opere in cui si utilizza la penna a biro (quale altro strumento più anonimo della Bic?), con un tratteggio monocromo che riempie i due fogli giustapposti, eseguiti da un uomo e da una donna seguendo la regola compositiva inventata dall’artista. Salvo invece torna alla pittura, in anticipo sui tempi della Transavanguardia; dapprima con una serie che rivisita celebri soggetti di maestri antichi e in seguito paesaggi che rimandano alla classicità (Rovine, 1976) in un’ambientazione quasi metafisica, fino ai più enigmatici e abbaglianti paesaggi degli anni Ottanta «dinanzi ai quali – scrive l’artista e amico Giulio Paolini – ci si veniva a trovare spaesati (…) attirati in un’ottica ancora da scoprire». Anche Boetti «scopre» i colori a Roma, ma con le sue opere pensa il presente: Anno 1988 testimonia ancora una volta la critica all’autorialità e la

sua bulimia per le immagini, in questo caso le immagini d’attualità ricalcate da copertine di riviste internazionali. Il mondo – o meglio l’immagine della molteplicità mondo – sembra essere catturato anche nelle trame multicolori degli arazzi degli ultimi anni (Everything). Per completare questo sguardo ravvicinato su due personalità artistiche per certi versi enigmatiche, allo Spazio –1 è stata allestita in parallelo un’esposizione che documenta il contesto artistico a Torino a cavallo degli anni Sessanta e Settanta, con una selezione di opere significative – provenienti dalla Collezione Olgiati ma non soltanto – dei protagonisti di quel periodo: da Paolini a Merz, da Fabro ad Anselmo, da Penone a Pistoletto, da Zorio a Gilardi. Dove e quando

Boetti / Salvo. «Vivere lavorando giocando», Lugano, LAC. Fino al 27 agosto 2017. Orari: ma-do 10.00-18.00; gio 10.00-20.00; lunedì chiuso.


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Cultura e Spettacoli

Guardando la realtà l’umanità diventa cinema

Festival L ’ultima edizione della kermesse cinematografica Visions du Réel diretta da Luciano Barisone

(poi il testimone passerà ad Emilie Bujès) si è concentrata sul concetto allargato di famiglia

Muriel Del Don A Nyon, piccola ma culturalmente ricchissima cittadina vodese, l’arrivo della primavera è immancabilmente segnato dal Festival Visions du Réel (21-29 aprile). Un festival dedicato al cosiddetto «cinema del reale», che offre ogni anno il meglio della cinematografia svizzera e internazionale. Visions du Réel si è trasformato nel tempo – grazie anche alla personalità carismatica del suo ultimo direttore artistico Luciano Barisone – in uno degli appuntamenti imperdibili per i cinefili e i professionisti del settore cinematografico. Sì perché il Festival di Nyon non è solamente un palcoscenico (ma forse in questo caso sarebbe meglio parlare di immensa sala cinematografica) internazionale dove registi venuti da tutto il mondo possono presentare al pubblico le loro opere (per la maggior parte in prima mondiale) ma anche uno dei mercati cinematografici più importanti per quanto riguarda il cinema documentario. Parallelamente al festival stesso si svolge infatti a Nyon il prestigioso DOCM (Doc Outlook International Market), avvenimento ricco di attività dedicate a tutti i professionisti del settore cinematografico e non solo: registi, tecnici, produttori e distributori, senza dimenticare i curatori d’arte contemporanea o i direttori di fondazioni d’arte. Il festival di Nyon vuole scoprire e mettere in avanti nuovi registi, culture e approcci al fine di aprire delle porte su un nuovo modo di fare e vedere il cinema. La programmazione e il mercato del film di Visions du Réel diventano un supporto e una guida fondamentali per registi a volte alle prime armi che possono, grazie al sostegno di professionisti internazionali, sviluppare la loro identità artistica. Come detto da Gudula Meinzolt, direttrice del DOCM, a proposito dei giovani registi presenti

a Visions du Réel: «non vogliamo assolutamente formattarli ma aprirgli delle porte, dargli delle piste, orientarli e fornirgli gli strumenti necessari per presentare e sostenere le loro idee». Visions du Réel è un festival globale dove registi affermati e giovani talenti si incontrano per scambiarsi punti di vista e considerazioni sul mondo del cinema attuale. Poco importa il formato o il genere, quello che conta è la qualità dell’opera stessa: sempre ambiziosa e accompagnata da una visione artistica unica. A VDR il cinema del reale non si limita al genre documentario nel senso stretto (e oseremmo dire ormai antiquato) del termine ma si apre invece a nuovi supporti (si pensi al documentario web, alla realtà virtuale o ai transmedia) e nuovi approcci. Audacia, una visione artistica singolare e uno stato di emergenza interiore che spinge ad affrontare la realtà di petto, ecco le caratteristiche che trasformano molti film selezionati a Nyon in veri e propri viaggi artistici, sempre in bilico tra sperimentazione ed estetismo. Per la sua 48esima edizione il Festival di Nyon ha messo la famiglia (nel senso largo del termine) sotto i riflettori offrendo al pubblico scorci di vita spesso diversi tra loro: tragici, travolgenti, sorprendenti o divertenti ma sempre intrisi di umanità. La nozione di famiglia, in particolare di «nuova famiglia», si impone come filo conduttore di tutta la programmazione mostrandoci quanto la solidarietà tra esseri umani sia portatrice di forza e speranza. I film presenti a Visions du Réel «utilizzano» il legame famigliare tra membri della stessa famiglia ma anche tra amici, sportivi, portatori di handicap, innamorati, ecc. per affrontare le situazioni di crisi con rinnovata linfa vitale. Visons du réel ha accolto quest’anno 179 film provenienti da 55 paesi tra i quali 105 prime mondiali e 25 prime internazionali in un’atmosfera rilassata e sorprendentemente famigliare. Lu-

Un momento dell’onirico film Lida della svedese Anna Eborn. (youtube)

ciano Barisone, il suo direttore artistico che dall’anno prossimo e dopo ben sette edizioni passerà il testimone a Emilie Bujès, ha spinto il festival in questa direzione: apertura, incontri e umanità. Anche per questa nuova edizione, oltre al tema della famiglia, un tema più generale avvolge la programmazione: «l’amore per l’umanità», come definito da Barisone stesso. L’amore si ritrova in tutte le storie raccontate a Visions du Réel, in ogni piano, nel ritmo deciso o meravigliosamente statico del montaggio o ancora nella bellezza mozzafiato delle immagini. Il cinema unisce e dà soffio vitale a delle realtà multiple che diventano un tutt’uno. Tra questi l’elegante e sorprendente Encordés dello svizzero Frédéric Favre nel quale delle micro famiglie si uniscono per affrontare una delle sfide alpinistiche più esigenti: la Patrouille des Glaciers, il toccante ed esteticamente sublime Les Grandes traversées di David Maye

che affronta con coraggio, accompagnato dai membri della sua famiglia e dalla sua videocamera, la malattia della madre, o ancora A Campaign Of Their Own di Lionel Rupp e Michael David Mitchell, testimonianza indispensabile, girata nello stile del cinema diretto, di una rivoluzione pacifica capitanata dal candidato Bernie Sanders. Tra i pionieri di un cinema indubbiamente underground che difende fieramente la propria indipendenza troviamo l’americano Lech Kowalski con il suo I Pay For Your Story, sorta di omaggio crudo e senza concessioni ad un’America tristemente dimenticata dove le minoranze pagano caro gli effetti devastatori dell’ultraliberalismo. Lech Kovalski dà voce a coloro che tacciono, conferendo al cinema quella forza e quella magia che da sempre gli appartengono. Anche i protagonisti (affetti dalla sindrome di Down) del toccante ed esilarante The Grown-Ups della giovane regista cilena

Maite Alberdi sono privati della loro indipendenza, del loro potere decisionale: cosa fare quando sono gli altri a decidere per noi? cosa significa vivere «normalmente»? Ecco le domande sollevate dal suo primo lungometraggio, testimonianza toccante di un mondo segreto. Sublime e commovente (ma mai melodrammatico) Lida della giovane regista svedese Anna Eborn, nel quale la «diversità» è incarnata da una misteriosa Babouschka che sta passando sola, in una casa di riposo, gli ultimi anni della sua vita. La regista ci permette, grazie al mezzo cinematografico, di entrare nel suo mondo fatto di luci, sensazioni, ricordi. Quest’ultima edizione è stata degna della reputazione di Visions du Réel, un festival che permette al cinema di aprire delle finestre sul mondo, con coraggio e una sana dose di sfacciataggine. Spetta ora a Emilie Bujès prendere le redini di una manifestazione ormai irrinunciabile.

Un festival ringiovanito

Cannes 2017 Quasi del tutto scoperte le carte di un festival diventato più fresco e vicino al presente Fabio Fumagalli Non ne fa mistero Thierry Frémaux: quella di quest’anno è stata una selezione lunga e laboriosa. Ma non si tratta di mettere le mani in avanti. Conoscendolo, la confessione del navigato Delegato generale del Festival di Cannes non sottintende scelte deludenti. Il più importante degli incontri cinematografici mondiali può infatti compiere degli sbagli (è già successo); ma ha tutto ciò che desidera, purché dispo-

nibile in tempo per le sue date (17-28 maggio 2017). E un’occhiata al programma (perfettibile fino all’ultimo per i ritardatari, purché illustri…) basta a sciogliere molti dubbi. All’edizione 2017 mancano quasi del tutto gli abbonati al tappeto rosso, come li definiscono i malevoli: i Loach, Dardenne, Von Trier, Coen, Almodovar, Jarmusch, Moretti, ecc. Ma un’assenza di Grandi Vecchi (senza dimenticare che, come dice giustamente Frémaux, è proprio la presenza ripetu-

Thierry Frémaux e Pierre Lescure davanti alla locandina del Festival. (Keystone)

ta dei vari Bergman, Fellini, Coppola, Tarkovski, Wenders, Altman, che ha fatto grande Cannes) dimostra quanto una nuova generazione d’autori si stia affermando. Intanto, i maestri non mancano. Come il Michael Haneke delle due grandi Palme d’Oro del 2009 e 2012, Il nastro bianco e Amour; ancora con la coppia Huppert-Trintignant per affrontare con Happy End il dramma epico attuale della migrazione. Poi, a sottolineare le modifiche in atto nel consumo delle immagini, David Lynch (16 anni dopo Mullholland Drive) e Jane Campion. Ambedue non con dei lungometraggi da Palma d’Oro; ma, fuori concorso, il prosieguo delle loro due serie televisive straordinarie. I due episodi della nuova stagione attesa da anni di Twin Peaks; e la seconda stagione integrale del magnifico Top of the Lake della neozelandese. Ma a stimolare le attese saranno le presenze di un numero impressionante di nuovi talenti, di mondi poetici da mettere ancora pienamente in luce. In questo senso, Cannes 2017 promette un’inedita e certamente salutare rinfrescata. Un primo esempio proviene da dove meno te lo aspetti, dagli americani. Dapprima con Todd Haynes, alla sua terza competizione con Wonderstruck, sempre con la deliziosa Julianne Moore, ma ancora da finalmente consacrare.

Se il suo Lontano dal Paradiso del 2002 (l’omaggio postmoderno al maestro del melodramma Douglas Sirk, scomparso tra l’altro nel 1987 a Lugano nella nostra beata ignoranza) è infatti il film da portare con sé sull’isola deserta, i cinque episodi di Mildred Pierce hanno costituito la prima serie televisiva definibile capolavoro. Carol, poi, visto a Cannes un anno fa, eravamo in molti a volerlo Palma d’Oro. Più nota al grande pubblico Sofia Coppola, per il cognome e il suo fortunatissimo Lost in Translation: questo The Beguiled annunciato glamour (Colin Farrell, Nicole Kidman, Kirsten Dunst, Elle Fanning) potrebbe bissarne il successo. Sorprendente, e forse chiaroveggente la selezione di Good Time: i marginali fratelli Safdie, autori del circuito indipendente nuovaiorchese, rinsaviscono con un giallo interpretato da Robert Pattinson? E, infine, che dire di Nicole Kidman: clamoroso il suo andirivieni di quest’anno sul tappeto rosso. Direttrice di una scuola femminile nel film della Coppola, sempre in Concorso e ancora con Colin Farrell in The Killing of a Sacred Deer del greco Lanthimos. E una terza volta, ma fuori gara, in una commedia musicale firmata dal John Cameron Mitchell di Shortbus. Cinefili intransigenti? Appare sofisticata la selezione dall’est europeo. Pensiamo al russo Andrei Zvyaguint-

sev con l’allegoria politica Loveless; aveva esordito a Cannes nel 2003 con un indimenticabile Il ritorno. O all’ucraino Sergei Loznitsa, autore del documentario Maidan sulla piazza di Kiev celebre per i moti contro il regime. O infine all’ungherese Mundruczo, eccentrico regista di Johanna, Delta e White God, che attende forse di recidivare in questo Jupiter’s Moon annunciato come film… fantastico sui rifugiati. Poi, due grandi coreani, Bong Joon-ho, con Tilda Swinton e Jake Gyllenhaal; e Hong Song-Soo che ormai gira tre film all’anno. E la giapponese Noemi Kawase, presente per la quinta volta, con Hikari. L’inglese Lynne Ramsay di Ratcatcher e della durissima riflessione sull’amore materno di E ora parliamo di Kevin. Mancano l’Italia (Sergio Castellitto è al Certain Regard) e il Sudamerica. Ma fra le Proiezioni Speciali c’è addirittura un Kiarostami, oltre che un Inarritu nel nuovo formato in VR, realtà virtuale. Sui padroni di casa ritorneremo con il film di apertura, Les Fantômes d’Ismael, di Arnaud Desplechin. Ma basta l’elenco dei convocati nelle varie sezioni a testimoniare la forza del cinema d’autore francese: Ozon, Doillon, Hazanavicius, Amalric, Cantet, Depardon, Lanzmann, Varda. E alla Quinzaine, Garrel, Dumont, Claire Denis. Sarà anche sciovinismo, ma averne…


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 2 maggio 2017 • N. 18

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Cultura e Spettacoli

È duro l’amore ricucito

Arte guardata

In scena Cruda drammaturgia contemporanea ma anche un grande e atteso

appuntamento con la danza

Giorgio Thoeni Sul finire del Novecento la scena anglosassone ha vissuto un’importante svolta ad opera di alcuni giovani drammaturghi controcorrente che hanno realizzato lavori dai temi particolarmente scioccanti e che potevano urtare la sensibilità del pubblico. Diversi comunque dal mainstream anche più audace della tragedia moderna. Per intenderci, fra gli esponenti di quella corrente chiamata «in-yerface», va ricordata la londinese Sarah Kane, morta suicida nel 1999 a soli 28 anni e autrice di cinque testi che riflettono la disperazione di una generazione caratterizzata da un forte disagio esistenziale. Fra gli autori di spicco va però anche annoverato lo scozzese Anthony Neilson. Figlio di un’attrice e di uno scenografo, Neilson vive il teatro come esperienza emozionale e provocazione. Amore ricucito (Stitching) scritto nel 2002 ne è un perfetto esempio sotto vari aspetti. Il testo è stato scelto da Officina Teatro di Mirko D’Urso per una versione che ha debuttato con successo al Teatro Foce di Lugano: con lui in scena Ylenia Santo per la regia di Gaddo Bagnoli.

Al Foce Mirko D’Urso ha portato in scena una pièce molto dura ma allo stesso tempo convincente

Concorsi

Un linguaggio crudo, triviale e cinico, percorso da venature british avvolge un dialogo dal ritmo incalzante distribuito in una serie di quadri che ricostruiscono il legame fra Abbie e Stuart, una coppia unita dalla perversione sessuale, dalla sofferenza per l’assenza di un figlio mancato ma anche dall’amore. Una dimensione che si specchia in Chi ha paura di Virginia Woolf? di Edward Albee dove ricordiamo il burrascoso rapporto di George e Martha, tra l’altro appena andato in scena al Teatro Sociale di Bellinzona: un classico caso di serendipity. Ad Amore ricucito, spettacolo che al Foce è stato vietato ai minori di 18 anni, può risultare scioc-

giochi@azione.ch

Libri Roberto

Cotroneo si occupa di chi osserva l’arte nei musei italiani

Stefano Vassere

La locandina 2017 della Festa Danzante. (tanzfest.ch)

Dal 3 al 7 maggio torna la Festa Danzante sostenuta, fra gli altri, dal Percento culturale Migros. La sua 12esima edizione coinvolge 29 città svizzere che aderiscono al progetto condotto dalla rete nazionale della danza (RESO) e coordinato nella nostra regione da Tiziana Conte con Natascia Bandecchi. Caratterizzato da numerose attività, il programma propone corsi, performance, spettacoli, film, party e progetti nazionali

inediti oltre alla collaborazione dei vincitori dei Premi svizzeri di danza. «È un evento complesso», ci ha detto Tiziana Conte, «dove l’ideale è il coinvolgimento di tutti: operatori, centri culturali ma anche luoghi insoliti con il fine di invogliare la danza a mettersi in gioco, a trasformarsi in un evento collettivo e popolare». Anche quest’anno per un intero fine settimana si potrà infatti danzare nei teatri, negli spazi pubblici, nelle strade: dall’hip-hop al tango, dalle danze folcloristiche a quelle contemporanee dove tutti potranno diventare protagonisti. La Festa avrà il suo epicentro a Lugano con irradiazioni a Massagno, al Museo Vela di Ligornetto, alla Ghisla Art Collection di Locarno, a Bellinzona, a Poschiavo. L’anteprima avrà luogo la sera del 29 aprile al Lux Art House di Massagno (in collaborazione con il CISA) per celebrare la giornata mondiale della danza con la proiezione di Womb di Gilles Jobin e una dimostrazione-spettacolo di Fi-

lippo Armati. A partire dal 3 maggio inizierà il carosello di eventi (l’elenco dettagliato al sito www.dastanzfest. ch) fra i quali segnaliamo l’installazione interattiva Creatures #5, un progetto visivo di Pier Giorgio De Pinto e Katja Vaghi ma anche Temporaneo Tempobeat della compagnia Aiep di Ariella Vidach e Claudio Prati, una performance itinerante a stazioni per corpo e voce. Fra gli appuntamenti teatrali sono da vedere i 10 miniballetti, spettacolo visionario e poetico di Francesca Pennini in scena al Foce. Ma anche Souffle della compagnia DA MOTUS! (Premio svizzero della Danza 2015) del ticinese Antonio Bühler e di Brigitte Meuwly e la presentazione al Museo Vela del libro di Anne Davier e Annie Soquet sulla storia della danza contemporanea in Svizzera (già recensito su queste pagine). Infine non dimentichiamo Mi presento, un momento speciale dedicato alle scuole di danza, dove si muovono i primi passi…

LuganoInScena Mariti e mogli Sala Teatro LAC, Lugano Mercoledì 10 maggio, ore 20.30

Swiss Chamber Concerts Planet Telemann Conservatorio, Lugano Martedì 9 maggio, ore 19.00

Tra Jazz e Nuove Musiche Steve Gadd Band Teatro del Gatto, Ascona Lunedì 8 maggio, ore 20.30

Biglietti in palio

Sette coppie di biglietti in palio

Cinque coppie di biglietti in palio

Il cinema di Woody Allen ispira il teatro. Tratto dal film omonimo, Mariti e mogli è una comica commedia teatrale in cui le relazioni amorose diventano intricate. Con Monica Guerritore (attrice e regista), Francesca Reggiani, Pietro Bontempo, Antonio Zavatteri, Alice Spisa, Enzo Curcurù, Lucilla Mininno e Angelo Zampieri

In programma musiche di Georg Philipp Telemann, Elliott Carter, Bettina Skrzypczak, Heinrich Ignaz, Franz Biber, Johann Sebastian Bach.

Steve Gadd batteria Walt Fowler tromba e flicorno Michael Landau chitarre Kevin Hays tastiere Jimmy Johnson basso

www.luganoinscena.ch

www.swisschamberconcerts.ch

www.rsi.ch/jazz

Regolamento Migros Ticino offre ai lettori biglietti gratuiti per le manifestazioni sopra menzionate.

Massimo due biglietti per economia domestica. La partecipazione è riservata a chi non ha beneficiato di vincite in occasione di analoghe promozioni nel corso degli scorsi mesi.

Per aggiudicarsi i biglietti basta scrivere un’email indicando il titolo dello spettacolo scelto, il vostro nome, cognome ed indirizzo. I vincitori estratti a sorte riceveranno un’e-mail di conferma. Buona fortuna!

cante per le evocazioni di pratiche sessuali spinte, innaturali, va tuttavia riconosciuta la perfetta architettura drammaturgica di Neilson. I due attori in scena sono molto bravi e credibili. Dalla calibrata ironia di Mirko D’Urso per i maniacali e rabbiosi giochi proibiti di Stuart alla sofferenza di Abbie che Ylenia Santo trasforma in cupe emozioni femminili e sogni di maternità. Tutto esaurito alla prima luganese e numerose chiamate. Risvegliamo i nostri sensi con la danza

Felix Renggli, flauto Ilya Gringolts, violino Daniel Haefliger, violoncello Martin Müller, clavicembalo

Biglietti in palio per gli eventi sostenuti dal Percento culturale di Migros Ticino

Una collaborazione Jazz Cat Club. Nell’ambito della rassegna di RSI Rete Due Diretta radiofonica su Rete Due

«Poniamolo come un teatro, una scena dove gli attori entrano sul palcoscenico artistico, o si preparano a farlo. Le sale di un museo d’arte prevedono un pubblico che guarda le opere, ma non un pubblico che osserva un pubblico». Allora, bisognerebbe fare uno schema. Tre per tre di Giulio Paolini è un’opera d’arte che sta al Maxxi di Roma. In pratica sono tre statue in una stessa opera, identiche e disposte a triangolo nello spazio: un personaggio sta seduto, in posa; un altro lo osserva e ne disegna probabilmente un ritratto; un terzo, di lato, osserva a sua volta la scena. Ecco, Tre per tre è l’opera simbolo di questo libro del giornalista e critico Roberto Cotroneo, che si intitola Genius Loci. Nel teatro dell’arte ed esce in una pregiata collana dell’editore Agenzia Contrasto tutta dedicata al rapporto tra fotografia e altre rappresentazioni artistiche, letteratura in primis. Un’immagine simbolica di questo libro; anche perché l’opera di Paolini è fatta perché qualcuno, e siamo almeno al terzo livello, la osservi al museo e il fotografo, eccoci al quarto, ritragga tutto questo. E noi che abbiamo in mano il libro, quinti della serie, approfittiamo di questa infinita mise en abyme, della vertigine semiotica di tutti questi strati di osservazione sovrapposti. Ogni pagina di questo elegante volume ha almeno una fotografia: di un’opera d’arte, ma anche del suo contesto, di dove è appesa o dove è esposta, come è collocata rispetto alle altre, di regola nel vivo dell’esposizione stessa, soprattutto in certi musei della modernità: quindi con la gente che la osserva o che semplicemente ci passa accanto, accorgendosene o per i fatti suoi. Opera e pubblico, i quali, secondo immaginifica tesi dell’analisi critica anni Settanta, ma anche secondo buon senso comune, contribuiscono insieme all’effetto estetico dell’arte, dalle belle arti alla musica, alla letteratura, alla stessa fotografia. Quindi, posture, espressioni, gesti, capolini dallo stipite di una porta, precipitose corse di turista verso i divanetti al centro della sala dopo peregrinazioni estenuanti fuori e dentro i musei delle grandi città. Il repertorio di Controneo è in questo senso mutevole e vario, le occasioni per osservazioni e commenti sono in gran numero. Le fotografie, opera dello stesso autore, tengono conto delle collocazioni del pubblico, che può essere individuale o consistere in più persone, può avere lo sguardo più o meno rivolto verso l’opera oppure guardare direttamente nella camera che lo sta ritraendo. La fotografia di due impiegate del museo accanto a nota opera di Ferdinando Scianna ha almeno un paio di protagoniste che guardano verso il fotografo: la prosperosa venditrice di polipo bollito della foto fotografata e una delle guardiane, che ha appunto espressione sospettosa; «e lì c’è la domanda di sempre: perché questo sconosciuto sta puntando l’obiettivo verso di me?». Quale delle due ci colpisce di più? Quale delle due ci sta interrogando, come direbbe Barthes? Qualsiasi saggio sul significato della fotografia e sulla ricerca del punctum centrale non prescinde mai dall’omaggio implicito o esplicito al Maestro. E al suo indimenticabile e fascinoso La camera chiara. Saggio sulla fotografia, che si respira in tutte le «metadidascalie» di Cotroneo, fino ad accoglierne la meritata e annunciata citazione nelle pagine finali. Bibliografia

Roberto Cotroneo, Genius Loci. Nel teatro dell’arte, Roma, Agenzia Contrasto, 2017.


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Cultura e Spettacoli

Misteriosamente folgorati

Pubblicazioni Adelphi ha appena dato alle stampe un’imponente raccolta di scritti dello scrittore di culto francese

Emmanuel Carrère

Mariarosa Mancuso Propizio è avere ove recarsi, recita il titolo. Propizio sarebbe anche prestare orecchio, quando si traduce, non solo alla corrispondenza tra parole ma anche ai registri linguistici. L’originale Il est avantageux d’avoir où aller suona infatti un tantino più dimesso della traduzione. O forse è la lingua dell’oracolo cinese – Emmanuel Carrère ha detto e ridetto di aver sciolto le indecisioni consultando I Ching – a cozzare con la lingua dell’Adelphi, e la bella copertina azzurro polvere (più la foto dello scrittore che tanti anni fa cominciò scrivendo un racconto intitolato Baffi – un uomo si taglia i baffi e nessuno se ne accorge).

Emmanuel Carrère, che in gioventù rimase folgorato da Lovecraft, è da sempre attratto da processi e omicidi Il francese suona un tantino più dimesso, e molto più invitante. Per noi, perlomeno, che tolleriamo l’oracolo cinese solo se lo scrittore di Limonov e L’avversario fa da tramite. Noi che ancora non ci siamo riavuti dagli onori tributati a Robert Pirsig, e al suo Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta: best seller anni 70, libro di culto per più di una generazione, nulla che somigli alla filosofia o alla letteratura (sostengono inoltre i nostri orientalisti di riferimento che le storie zen sono cattive e quasi sempre vince il male, lontanissimi dalle storielle che in occidente vengono spacciate per tali).

Il grande scrittore francese.

Non che avessimo bisogno di inviti pressanti, per leggere un libro con il nome di Emmanuel Carrère sulla copertina. Lo leggiamo anche se l’altro nome è Calais, e si tratta di un reportage sul campo dei rifugiati più grande d’Europa. Per crisi di astinenza, abbiamo cominciato a soffrirne dopo Il Regno (sempre Adelphi, 2015). Per sfortuna nostra avevamo già letto in tempi remoti la biografia di Philip K. Dick, Io sono vivo e voi siete morti. Ne aveva mandato una copia in carcere a Jean-Claude Romand, l’uo-

mo che massacrò la famiglia pur di non confessare che non si era mai laureato e non lavorava da decenni al CERN di Ginevra. Quando Carrère capì che il titolo era una clamorosa gaffe il pacchetto era già nella buca delle lettere. Così comincia L’avversario, che appunto racconta la vicenda. I processi e gli omicidi attraggono Emmanuel Carrère come i suoi colleghi Emile Zola e Charles Dickens, che addirittura lavorava come cronista giudiziario (un bellissimo resoconto delle

fascinose relazioni tra giustizia e letteratura si trova in La borsa di Miss Flite di Bruno Cavallone, professore di diritto processuale civile e in gioventù traduttore dei Peanuts e di Pogo per la rivista Linus). Con tre casi di cronaca nera inizia il libro, che raccoglie testi sparsi e d’occasione. La prefazione scritta per lo straordinario romanzo dell’ungherese Ferenc Karinthy Epepe – un linguista diretto a Helsinki sbaglia aereo e sbarca in una metropoli dove parlano una lingua indecifrabile, e non ne capiscono nessun’al-

tra, quando la fantascienza fa davvero paura. O un brevissimo testo intitolato Idiota! Warren è morto! dove si racconta come nasce la vocazione di uno scrittore. Lo folgorò, a dodici anni, un racconto di Lovecraft trovato nella biblioteca dei suoi genitori (la mamma di Emmanuel Carrère è la slavista Francese Helen Carrère d’Encausse, il libro lo aveva regalato uno zio dimenticando che la signora preferiva i classici russi e la storiografia). Era intitolato La dichiarazione di Randolph Carter, il narratore rievocava i suoi rapporti con un misterioso Warren dedito alle scienze occulte. Frase finale: «Idiota! Warren è morto!». Carrère ricorda come era impaginata nel libro, in corsivo. Ricorda che la sognò di notte, immaginando che faceva parte di una storia talmente spaventosa da uccidere il lettore che avesse avuto l’ardire di leggerla fino in fondo. «Per molto tempo per me scrivere è stato avvicinarmi alla frase che uccide» – confessa Emmanuel Carrère – «e nello stesso tempo rallentare lo scivolone che mi portava giù. Sì, se c’è un mantra che ha determinato la mia vocazione è questa frase assurda: “Idiota! Warren è morto!”». Frase da mettere vicino alla fabbrica di lucido da scarpe dove il piccolo Charles Dickens fu mandato dal padre a lavorare, o alla manata sul didietro che spinse Edward Morgan Foster a scrivere Maurice. La vocazione non si sa mai da dove può arrivare. Né quanto lontano può andare. Vi abbiamo raccontato poche decine di pagine su un libro che ne conta 400 (e tra le altre cose contiene articoli scritti da Carrère per una rivista femminile italiana, lo cacciarono perché tendeva al porno). Immaginate i piaceri che attendono il lettore che leggerà la raccolta da cima a fondo.

Quasi una Cenerentola Personaggi A colloquio con la soprano russa Anna Netrebko, artista dall’incredibile talento e dalla personalità

focosa e straripante, reduce da un recente trionfo alla Scala con La Traviata Enrico Parola Da Cenerentola a regina. Prima che sui palcoscenici dei più importanti teatri del mondo, Anna Netrebko ha vissuto la sua favola nella vita reale. Oggi è uno dei soprani più applauditi del pianeta, per tanti è forse l’unica vera diva della lirica, ma tutto cominciò lavando i pavimenti del Mariinskij Teatr di San Pietroburgo. «Ero una ventenne che sognava di far la cantante, non avevo ancora avuto nessuna chance anche se dal mio paesino di Krasnodar mi ero trasferita a San Pietroburgo per studiare; cercavano una donna delle pulizie e mi feci avanti: per respirare l’aria del teatro, per conoscerne da dentro i meccanismi». L’agiografia l’ha ritratta intenta a cantare china sui pavimenti, scopa e strofinaccio in mano; il direttore del

Mariinskij che passa casualmente di lì, la sente, ne rimane stregato e ovviamente… «Sarebbe stato molto romantico ma non andò così,» sorride «mentre lavoravo continuavo a studiare, nel 1993 vinsi il concorso di Mosca, tornata sulle rive della Neva feci un’audizione per interpretare Barbarina nelle Nozze di Figaro, lì sì che li colpii e mi offrirono il ruolo principale, Susanna». E lì inizio iniziò la sua irresistibile ascesa. Una carriera dove al talento artistico si è unita una personalità straripante: interpretazioni memorabili come le sue seconde nozze, oltre 4 milioni di dischi venduti (una cifra esorbitante per l’asfittico mercato classico dove già superare quota mille è un’impresa) e l’amore talvolta addirittura compulsivo per lo shopping, l’esibizione alla cerimonia inaugurale delle Olimpiadi

Nata in Russia nel 1971, ha assunto poi la nazionalità austriaca. (annanetrebko.com)

di Sochi e la vita quotidiana col figlio autistico, vent’anni di vita sotto i riflettori scanditi da una metamorfosi anche fisica. Qualche settimana fa ha trionfato alla Scala in Traviata, fasciata dalle morbide crinoline disegnate da Liliana Cavani; un look quanto mai lontano dalla minigonna aderente che indossava quando affrontò la sua prima Violetta, nel 2005 al Festival di Salisburgo. Allora incantava anche per il volto e il fisico da top model, oggi le forme si sono decisamente ammorbidite: «Da quando mi sono sposata con Yusif (il tenore azero Yusif Ayvazov, ndr.) immancabilmente trovo qualcuno che mi chiede se sono incinta; no, è solo un po’ di pancetta; mangio sano e senza eccessi, ma niente diete perché fanno male alla voce. Purtroppo per gli impegni da oltre un anno non sono entrata in una palestra e non posso fare addominali perché per cantare bene devo lasciare questi muscoli più morbidi possibile». Come sono lontane quelle serate in cui, poco più che trentenne, dopo aver cantato Rigoletto a fianco di Placido Domingo «andavamo a casa sua a mangiare la paella e si tiravano le cinque del mattino a ridere e scherzare». In mezzo, e soprattutto al centro della sua vita, è entrato Tiago, avuto dal primo marito, il baritono Erwin Schrott: «Quando ho scoperto che era autistico mi sentii morire, poi cercai di capire come aiutarlo al meglio. Vedo tante mamme che non accettano che i propri figli abbiano dei problemi e cercano

di nasconderli, a sé stesse e al resto del mondo; col risultato che, invece di curarli, da quando hanno 4 anni aspettano che ne abbiano 12, con conseguenze pessime. Mi informai, mi dissero che i migliori specialisti sono in America e così ho deciso di fargli frequentare le scuole a New York», dove Netrebko ha un attico a Manhattan. «I maestri gli danno compiti e materiale anche quando mi segue in giro per il mondo, non riesco a star tanto lontana da lui. Quando sono a casa mi piace cucinare, accompagnarlo a scuola, andare al supermercato, cose normali insomma». Se abbastanza normale è anche lo shopping talvolta sfrenato («davanti a certi negozi non so resistere; quando canto a Milano ad esempio… Ho abbandonato lo stile classico, i grigi e i piumini tutti uguali, opto per vestiti coloratissimi, fogge anche folli; sono nata nel sud della Russia, non sono certo lo stereotipo della russa glaciale»), fuori dal normale sono state le nozze con Ayvazov a fine 2015. Aveva aperto la stagione della Scala cantando Giovanna d’Arco di Verdi sotto la direzione di Riccardo Chailly (era già stata protagonista del Sant’Ambrogio scaligero come Donna Anna nel Don Giovanni diretto da Barenboim e lo sarà anche il prossimo 7 dicembre, debuttando in Andrea Chénier), il 29 il matrimonio da favola: la cerimonia nel palazzo Coburg a Vienna, il diadema in oro bianco 18 carati e diamanti simile a quello indossato da Kate Middleton quando sposò il principe William, il

trasferimento in carrozza al castello di Belvedere per il ricevimento con 180 invitati e i fuochi d’artificio. «Ci eravamo conosciuti nel 2014 a Roma, cantavamo nella Manon Lescaut diretti da Riccardo Muti. Mi sentivo impreparata e in quei giorni studiavo da mattina a sera, lui non sapeva chi fossi perché era da poco arrivato nella ribalta maggiore; quando cercò miei video su youtube mi diede della pazza perché affrontavo ruoli troppo diversi tra loro, da Mozart a Prokof’ev; era gentile, aveva senso dell’umorismo, a differenza mia era ed è un romanticone e nonostante lui abbia sei anni in meno di me è scoccata la scintilla. Prima o poi arriverà anche un figlio, Yusif mi sembra un padre perfetto, è un orsacchiottone e vedo come sta con Tiago». In mezzo a tutto questo, il segreto del suo successo, come sempre nella classica, è uno solo: cantare divinamente. Grazie al talento, certo, ma anche a una disciplina ferrea e al senso della misura: nonostante alla Scala sia stata applaudita come la miglior Violetta oggi esistente, farà Traviata una volta sola ancora, a Parigi, e poi più: «Sento di poter dare oggi a questo ruolo molto più di quello che trasmettevo dieci anni fa, ma ogni personaggio ha una sua età, non posso continuare a fare la ragazzina sul palcoscenico se non lo sono più nella vita». Allo stesso modo ha rifiutato, suscitando clamore, di essere Norma a Londra: «Un grande ruolo, ma che non riesco ad amare; e se il mio cuore non palpita è meglio che rinunci».


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 2 maggio 2017 • N. 18

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Cultura e Spettacoli Rubriche

In fin della fiera di Bruno Gambarotta Apriti testamento «A egregie cose il forte animo accendono i testamenti, o lettore di Azione»… Sfruttiamo Ugo Foscolo per parlare di una mostra itinerante di testamenti di grandi italiani del passato. Dicono molto, sia sulla personalità dei testatori che sull’ambiente sociale nel quale hanno vissuto e operato. Molti si dilungano nel dettare le regole dei funerali, ignorando il fatto che, come sottolinea uno dei curatori della mostra, l’apertura del testamento è in genere una cerimonia successiva alle esequie, a giochi fatti insomma. In tutti i casi il pensiero dominante in questi casi è quello di evitare pomposità e sfarzo a una cerimonia che serve ai superstiti come fiera della vanità. Non sempre le disposizioni sono attuate. Il 9 settembre 1881, nove mesi prima di morire, Giuseppe Garibaldi scrive: «Il mio cadavere sarà cremato con legna di Caprera nel sito da me indicato con asta di ferro. (…) Al Sindaco né a chiunque si parteciperà la mia morte senonché finita la cremazione». Sappiamo com’è finita: funerali solenni a Roma, da 12 anni capitale del regno d’Italia. Le ultime

volontà di Luigi Pirandello furono rispettate. Espresse in quattro stupendi e sintetici paragrafi che iniziano con l’intimazione «Sia lasciata passare in silenzio la mia morte». Al quarto: «Bruciatemi. E il mio corpo, appena arso, sia lasciato disperdere, perché niente, neppure la cenere, vorrei avanzasse di me». Andrea Camilleri racconta come andò: un’improvvisa folata di vento arrivò dal mare e inondò di ceneri pirandelliane il mesto corteo che, in piedi su una roccia, stava per spargerle in mare. In quanto alla lunghezza si va dai testamenti telegrafici a veri romanzi. Campione di sintesi è Giovanni Pascoli; il 3 aprile 1912, tre giorni prima di morire detta: «Nomino mia erede universale mia sorella Maria detta Mariù». Il legame fra i due era leggendario: dormivano in due stanze separate da un muro sottile, provvisto di un foro per permettere il passaggio di un filo che legava i pollici della mano destra di entrambi in modo che a ognuno fosse sempre possibile durante la notte avvertire la presenza dell’altro. Fra i legati più lunghi e dettagliati troviamo

quello di Giuseppe Verdi; per tutta la sua lunga vita investì i guadagni comprando terre e poderi fino a diventare un grande proprietario terriero, quasi per riscattare le misere condizioni della sua nascita. Una discreta parte del suo epistolario – più di 20mila lettere – contiene istruzioni ai suoi fattori per la gestione delle imprese agricole. Il 20 maggio 1900, pochi mesi prima di morire il 27 gennaio 1901, il grande musicista destina le sue proprietà, una per una, ad enti benefici, privilegiando la Casa di Riposo dei Musicisti di Milano. Da Giuseppe Gioacchino Belli, l’immortale autore dei 2200 sonetti in romanesco, non ci aspetteremmo toni drammatici. È incalzato dal timore di «essere prevenuto dalla morte senza aver disposto delle mie cose e provveduto alla futura sorte del mio carissimo figlio Ciro, costituito e presente in età pupillare e già orbato di madre». Redige il testamento il 18 agosto 1837, «negli attuali momenti in cui il flagello del Colera asiatico principia a percuotere questa città». La sua paura è giustificabile poiché, nato il 7 settembre

1791, Belli perse il padre nel 1802 in un’epidemia di colera; orfano all’età di 11 anni fu affidato agli zii. Perciò vuole prevedere un tutore per il figlio che si trovasse ancora nella minore età «accadendo la mia morte nella presente o in una futura calamità pubblica». Ancora non gli basta «imprevedibile essendo il numero e le persone delle vittime di un popolare contagio». Perciò «potrebbe sventuratamente perire altresì colui che io nominassi a detta tutela, ed anche un altro e un altro che chiamassi a succedergli». Di conseguenza ne nomina ben dieci, destinato ciascuno a succedere al precedente nella classifica. Per la cronaca Belli sarebbe poi morto nel 1863, 26 anni dopo e tutto quel corteo si sarebbe per fortuna rivelato un’inutile precauzione. (Almaviva, ossia L’inutile precauzione era il titolo originario de Il Barbiere di Siviglia, adottato per non urtare la suscettibilità degli ammiratori di Paisiello autore 26 anni prima di un Barbiere). I dettagli dei testamenti svelano il carattere degli estensori e la loro pretesa di guidare le vite degli altri anche dall’al-

dilà. Il generale Alfonso La Marmora nomina erede il nipote Tommaso e in particolare gli assegna la considerevole somma di lire 2 milioni (nel 1876!) «nel solo caso e non altrimenti che esso abbia figli legittimi e che questi a lui sopravvivano e possano succedere alla sua morte, nel capitale stesso». Alcuni si preoccupano di trovare un erede per ogni quisquilia. Giuseppe Zanardelli scrive: «Lascio all’avvocato Fausto Massimini uno degli anelli che porto» e poi «Lascio a Gerardo Lana l’altro degli anelli che porto». Molti prevedono un qualche lascito per la servitù, a condizione che le persone siano ancora al servizio della casa al momento del trapasso. Scrive il conte di Cavour: «Lascio al mio cameriere Vedel l’intero mio guardaroba con tutti gli abiti e la biancheria». La storia non ci dice se questo cameriere avesse la stazza di una botticella come il suo padrone. Un valletto di Carlo d’Inghilterra ha l’incarico di spalmare il dentifricio sul suo reale spazzolino. Un giorno che ci auguriamo lontanissimo quello spazzolino andrà in eredità al valletto.

racconta che dieci ispettori, estratti a sorte a loro volta tra i cinquecento, si occupano della pulizia della città, con impegni ben curiosi. Innanzitutto gli ispettori «sorvegliano che le suonatrici di flauto, di lira e di cetra non ricevano un compenso superiore alle due dracme e, se più persone cercano di accaparrarsi la stessa musicista, tirano a sorte e l’assegnano al sorteggiato». Quindi la «pulizia» incomincia dalla gestione delle prostitute, chiamate musicanti non, o non solo, per ipocrisia, ma proprio perché gli strumenti musicali venivano suonati solo da saltimbanchi e prostitute. Poi gli ispettori «sorvegliano che gli addetti alla nettezza urbana non gettino lo sterco entro un raggio di dieci stadi dalle mura», e qui siamo già nel campo dell’igiene. Infine «portano via i cadaveri di coloro che sono morti per strada con l’ausilio degli schiavi pubblici». Dimentichiamo l’immagine idealizzata delle vie intorno al Partenone: altro che

marmi bianchi, abiti candidi, aria da città alla De Chirico: servivano ispettori per gestire la rimozione di cadaveri, che evidentemente con normalità erano sparsi dove qualcuno era morto per strada. E nel resto del mondo, dove non c’erano ispettori? Doveva essere davvero sgradevole passeggiare, mai però come nelle città dell’Europa industriale a partire dal Settecento fino al secolo scorso. Alla non abitudine ai bagni si sommava il dramma dell’affollamento, quindi dei mendicanti, di coloro che vivevano per strada e non per scelta: il tutto in città ancora prive di luce artificiale, con le vie strette e utilizzate come fogne. Chiudiamo cancellando questa brutta immagine tornando all’antico, ai Romani che a differenza di tutti si lavavano ogni giorno – se pur senza sapone, nelle case dei benestanti e nei bagni pubblici, nelle grandi città e nei paesini di campagna, dove ancora oggi è possibile trovare i resti di piccole graziose terme.

tomila visitatori! E sarà un trionfo. Quest’anno, l’idea (geniale) che reggeva il tutto era l’alfabeto: A come Jane Austen, G come Giro d’Italia, T come Totò… L’anno prossimo toccherà ai numeri? 1 come «Uno nessuno centomila» o «Uno Mattina» (fa lo stesso), 2 come le gemelle Kessler o i fratelli Grimm, 3 come i porcellini dei fratelli Grimm, 4 come i Ricchi e Poveri o come le gambe totali delle due gemelle Kessler, 5 come le Cinque Terre o come le Cinque Giornate di Milano o come il Cinque Maggio, 6 come Sei bellissima di Loredana Bertè eccetera. Il gigante berlusconiano Mondadori – che oltre a essere padrone della Mondadori detiene Einaudi, Electa, Rizzoli, Bur, Fabbri, Sperling & Kupfer, Piemme, EL, Frassinelli, Le Monnier – probabilmente sarà felicissimo della seconda edizione di «Tempo di Libri», di certo sarà soddisfatto. O forse a Milano è tempo di Moda, di Design, di «Food» (non dite cucina,

per carità!), ma semplicemente non è tempo di libri se pur di non parlare di libri, alla fiera del libro, bisogna ricorrere ai cantanti, ai cuochi, ai musicisti, agli attori che ballano, saltano, pattinano, pedalano… Cioè fanno tutto tranne che scrivere libri, anche perché pur avendo il proprio nome in copertina, spesso e volentieri i cuochi e gli attori i libri se li fanno scrivere da ghostwriter («scrittori fantasma») ben pagati per l’occasione. Fatto sta che mai si è sentito parlare di un fallimento alla Settimana della Moda, del Design o del Food… Sempre affluenze record e fuori-saloni affollati in qualsivoglia «location» (non dite luogo, per carità!, a Milano si dice «lochèscion»). A proposito, a «Milano Food City» (non dite città, per carità!), la fiera del mangiare e del bere che si terrà dall’8 all’11 maggio, non si prevedono saltimbanchi, cantanti, ballerini né, tanto meno, scrittori: soltanto cuochi, e si parlerà solo di cibo. Sarà una cosa seria (6 di stima).

Postille filosofiche di Maria Bettetini Lavarsi è necessario? Adesso sembra molto fine parlare delle docce. Non le docce di cemento, che coprono quel che di un edificio non si deve vedere; non le docce emozionali, con l’acqua che cambia colore secondo le leggi della cromoterapia. Docce: quante al giorno, a settimana? Dipende, risponde il buon senso. Tante, diceva la fissazione postmoderna per l’igiene. Pochissime, chiude l’appassionato di natura-rispetto-umanità, intesi in senso fisico. La polemica è filosofica, non mondana. D’accordo, Brad Pitt e Raz Degan sostengono di lavarsi poco. È l’ultima moda. Essendo una moda, ecco i dermatologi a dire sì, la pelle non ama essere lavata troppo e i medici tutti a sostenere il valore dell’autodifesa. Per carità, non le dovete insegnare ai filosofi queste cose, che per quanto si sappia non hanno brillato come campioni dell’acqua e sapone. Pensiamo ai Cinici, contenti di vivere appunto come kynoi, cani, indifferenti al freddo e al caldo,

senza esigenza che non potesse essere risolta dalla vita di strada. Diogene è ricordato vestito con una botte o anche nudo, che chiede ad Alessandro Magno solo un favore: spostati, mi fai ombra. Non sembra uno stile di vita amante dell’acqua calda né a rischio rupofobia, l’ossessione per il pulito, le cui conseguenze vanno dall’evitare i mezzi pubblici al non dare la mano al lavarsi in maniera ossessiva. Sul versante opposto, i filosofi. Non solo per quella propensione ai capelli incolti e alla barba non curata, così amata anche ai nostri giorni, ma proprio per la teorizzazione dell’inutilità, o addirittura della cattiveria, del concedersi spesso a acqua e sapone – che poi il sapone esiste in Europa solo da un paio di millenni, ed è diffuso da molto meno tempo. Si legge nella Storia naturale di Plinio il Vecchio che il sapone è un’invenzione dei Galli, molto utile «per dare una tinta rossastra ai capelli», quindi non certo

per lavarsi. Scopriamo poi la ricetta gallica: «Questa sostanza è preparata da sego e dalle ceneri, le migliori per lo scopo sono le ceneri di faggio e il grasso di capra: ce ne sono due generi, il sapone duro e quello liquido, entrambi molto usati dalla gente della Germania, gli uomini, in particolare, più delle donne». Ma, nella pratica, come si è evoluto, o come è arretrato, il concetto di igiene, che oggi non è più tanto di moda? In Grecia è noto che non fosse considerato un bisogno primario: solo gli atleti, uomini, si «pulivano» ricoprendosi di olio che poi veniva tolto dalla pelle con uno strumento simile a quello con cui ancora oggi si strigliano i cavalli. Anche nei momenti culmine della civiltà greca, nulla si dice dell’igiene personale, perfino l’attenzione di Aristotele è esclusivamente per la pulizia della città. Nella Costituzione degli Ateniesi, tra le funzioni del Consiglio (dei cinquecento, estratti a sorte), Aristotele

Voti d’aria di Paolo Di Stefano Che soddisfazione questo minestrone! È andato in scena il primo salone milanese dell’editoria: «Tempo di Libri» (3+). Cinque giorni annunciati come il Grande Riscatto di Milano, la capitale dell’industria culturale italiana, contro la fiera torinese che impera (o arranca) da trent’anni tra trionfi (ideali) e tonfi (economici). Milano vs. Torino. La polemica che ha infiammato le pagine culturali estate-autunno-inverno ha avuto il suo esito nei giorni tra Pasqua e la festa della Liberazione: fallimentare o quasi. 60 mila visitatori tra mercoledì e domenica, neanche quanto l’affluenza allo stadio Meazza per un derby di metà classifica. Gli organizzatori ne prevedevano molti di più, almeno il doppio, come quelli dell’ultima edizione del Salone di Torino. Invece, è andata male, anche se tutti si dicono «soddisfatti»: «soddisfatto» il sindaco Beppe Sala, «soddisfatto» il presidente degli editori Federico Motta, «soddisfatta» la presidente dell’ente organizzativo Renata Gorgani… Come dopo una sconfitta (onorevole) in cam-

pionato o nelle elezioni politiche, tutti si dichiarano «soddisfatti», soprattutto i perdenti. «Che soddisfazione, questo minestrone…» è una bella canzone di Paolo Conte (5+). Si dirà: ma in fondo, cosa importa? Perché giudicare dai numeri una manifestazione editoriale? Giustissimo. Liberiamoci dal ricatto dei numeri e andiamo a valutare la qualità, il bilancio culturale, l’unico che conta davvero, magari quello diffuso nel sito internet di «Tempo di Libri» al termine della cinque giorni. Eccolo: «Abbiamo ballato insieme a Gabbani, abbiamo visto Filippo Timi andare su un triciclo e ascoltato il Maestro Beppe Vessicchio raccontare di quando gli Elio e le storie tese gli organizzarono un incontro a sorpresa con degli attori porno. Abbiamo ascoltato le lezioni di vita dello chef Cannavacciuolo, ascoltato le parole di Sepulveda… e poi all’improvviso… è domenica sera. Ma come di già?». Di già. Peccato davvero. Abbiamo capito bene? Sì, abbiamo

capito bene. Il bilancio della manifestazione milanese dedicata al libro e all’editoria, in tutta evidenza nel sito ufficiale, è proprio questo (1+ d’incoraggiamento): avete visto ballare il vincitore dell’ultimo Festival di Sanremo, avete ammirato un (bravo) attore pedalare su due ruote, avete ascoltato gli aneddoti di un musicista e arrangiatore, avete appreso la filosofia gastronomica di uno cuoco stellato… Incredibile ma vero. E il libro? E la letteratura? Ah già, se vi è avanzato tempo c’era pure la possibilità di ascoltare uno scrittore, un certo Sepulveda… Ovviamente è già stata garantita la seconda edizione (6 a prescindere): «Studieremo meglio le date», ha detto, soddisfatto, il sindaco, senza minimamente accennare alla qualità dell’offerta. Dunque, nella seconda edizione avremo: Cannavacciuolo in triciclo, il barbuto Maestro Vessicchio che balla, il cantante Gabbani che dà lezioni di vita, Timi che gioca a calcio… L’importante sarà azzeccare le date giuste, per avere duecen-


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Idee e acquisti per la settimana

shopping Filetto di maiale (nel senso del Purscell)

Settimane del gusto Fino al 14 maggio alcuni noti ristoranti del cantone prendono

parte alla rassegna gastronomica dedicata alla carne svizzera della Migros. Il ristorante Cereda di Sementina è uno di questi e per l’occasione propone una ricetta «afrodisiaca» Una sera, molti mesi fa, discutevamo tra amici nella solita osteria, dell’influenza che hanno sull’amore i vini e certi cibi. Pareri discordi, il desiderio di sapere di più e comuni esperienze, mentre sott’occhi si osservano le caviglie di una signora seduta di fronte a noi, che ostentava di sapere degustare un buon vino invecchiato. Così cominciai ad allungare la mano, vincendo la mia pigrizia, su qualche libro che giaceva in modo disordinato sugli scaffali della mia libreria. Presi seriamente l’impegno, annotando e preparando cosine buone, naturalmente innaffiati da un buon vino: come si potrebbe incominciare un’avventura d’amore, esser pronti alle sue emozioni e alle sue audacie dopo aver sorseggiato una tazza di camomilla calda? Il risultato interessante di questa ricerca, è stato che non c’è bisogno di ricorrere a polverine magiche provenienti da paesi lontani, difficilmente reperibili, ma elementi gastronomici necessari a una dieta erotizzante, che potete trovare anche alla Migros, sotto casa vostra. È nata così una ricetta con l’aiuto di scritti e di personaggi vissuti qualche secolo fa come: Baldassarre Pisanelli (1583) medico bolognese e il suo: Della natura dè cibi et del bere, Domenico Romoli (Panunto) nobile fiorentino (1560) ed il suo: Trattato del reggimento della sanità, Castore Durante (1597) medico, e la sua opera: Il tesoro della sanità Herbario Nuovo. Elemento principale della ricetta è il maiale, celebrato con rispetto e stima in tutti i tempi: o meglio il «Porco» definito da Cirillo vescovo di Gerusalemme (IV sec.) nelle sue Apologie morali un edonista e secondo quanto confermano i dizionari, l’edonismo non è altro che: «un atteggiamento etico motivato alla ricerca e dalla esaltazione del piacere». Procediamo ora con l’elencare le proprietà degli altri ingredienti della nostra ricetta, ossia «Filetto di maiale nel senso del purscell in eccitazione di spugnole su letto di tagliolini allo zafferano», che potrete assaggiare presso il ristorante Cereda di Sementina fino al 14 maggio. La senape, secondo un’opinione popolare del Medioevo, possiede virtù eccitanti. Il miele, consigliato da Ippocrate (V sec. a.C.), come stimolante energetico. La mandorla, alla corte di Carlo Magno, era considerata un afrodisiaco e ricordava l’organo sessuale femminile. Il pistacchio, il medico arabo Avicenna (X sec.) scrive: «usansi pistacchi nei cibi e nelle medicine che si fanno per madonna Venere». Chiodo di garofano, nel cinquecento a questa spezia, s’attribuì la capacità di «aumentare mirabilmente le forze di Venere». La cannella: i medici

A sinistra Luca Merlo, chef del ristorante Cereda di Sementina, a destra l’enogastronomo Davide Comoli. (TiPress)

della Scuola Salernitana scrivevano di questa spezia che: «eccita e aumenta gli stimoli dell’amore». Lo zenzero: sempre la Scuola Salernitana contribuì alla nascita di una pozione, composta da cannella, zenzero, chiodi di garofano ed acqua di rose, per rinvigorire le prestazioni sessuali. Allo zafferano, secondo Dioscoride e anche secondo Plinio il Vecchio, venivano attribuite virtù afrodisiache… Per ciò che riguarda la menta fresca, leggende latine ricordano che ai legionari di Roma, ne era vietato l’uso perché li avrebbe resi schiavi dell’eros. Infine ecco l’Olio santo, olio al peperoncino, per la sua stimolante nota piccante. Con l’augurio che la nostra ricetta, solo in parte, riesca a far sì che risotti, arrosti e vino, non vengano allontanati prima dei certami amorosi: a scapito magari di certe poltiglie e bevande figlie della chimica. / Davide Comoli www.carnemigros.ch

La ricetta «afrodisiaca» proposta dal ristorante Cereda durante la rassegna: Filetto di maiale nel senso del purscell in eccitazione di spugnole su letto di tagliolini allo zafferano. La ricetta è anche su www.migrosticino.ch. (TiPress)

Una sala interna del ristorante Cereda. (Flavia Leuenberger)


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Idee e acquisti per la settimana

Il pane con plusvalore sociale

Attualità La «Corona ai semi» della Fondazione La Fonte è protagonista a maggio nel supermercato Migros di Agno

A Migros Agno ogni mese un pane diverso della Fondazione La Fonte

Flavia Leuenberger

• Gli ingredienti impiegati per produrre la Corona ai semi sono semplici e genuini: farina di frumento bianca, acqua, sale, olio di girasole e lievito. La superficie viene infine cosparsa di semi di papavero e di sesamo per quel tocco di delicatezza in più. La specialità è costituita da sette micche facilmente staccabili con le mani. • La Corona ai semi conquista il palato grazie al suo aroma caratteristico dato dai semi di papavero e sesamo. La mollica è morbida e possiede un gusto equilibrato, leggermente dolce. Queste caratteristiche rendono la corona perfetta per accompagnare affettati in generale, ma soprattutto formaggi a pasta molle. È una vera delizia trasformata in panini imbottiti di salmone affumicato. • Come tutti i pani della Fondazione La Fonte proposti mensilmente presso il supermercato Migros di Agno, anche la Corona ai semi è disponibile solamente dal lunedì al venerdì. Tutto il ricavato realizzato dalla vendita di queste specialità viene restituito alla fondazione stessa per progetti utili alla reintegrazione delle persone disabili. • La Corona ai semi è prodotta ad Agno all’interno della panetteria artigianale del laboratorio protetto della Fondazione La Fonte. La produzione è affidata a tre panettieri qualificati, i quali possono contare sulla preziosa collaborazione di tre utenti beneficiari di una rendita d’invalidità. L’intento del panificio è quello di offrire agli utenti un’esperienza intermedia tra laboratorio protetto e mondo del lavoro reale, gettando così le basi per un potenziale reinserimento professionale.

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Attualità Le miscele di noci e semi

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Idee e acquisti per la settimana

Consulenza gratuita per il vostro giardino Attualità Sabato 6 maggio, presso il Do it + Garden Migros di Agno, e sabato 13 maggio in quello di Losone,

sono previste due giornate informative alla presenza di uno di specialista della Compo Gesal

Avete domande legate alla cura del giardino, delle piante o del tappeto erboso? Oppure non sapete come intervenire contro i parassiti o le malattie che hanno colpito le vostre piante da frutta e il vostro orto? In questi casi non potete perdere le due giornate di consulenza gratuita fitosanitaria Do it + Garden Migros (6.5 Agno e 13.5 Losone), organizzate in collaborazione con uno specialista della Compo Gesal, azienda da oltre cinquant’anni leader nel settore dei prodotti specifici per la cura e la protezione del giardino. Per l’occasione non esitate a portare eventuali campioni di piante malate o parassiti, come pure fotografie, affinché il tecnico Compo Gesal possa trovare la soluzione più mirata al vostro problema. Infine, coloro che visiteranno lo stand, potranno scoprire un nuovo prodotto naturale e innovativo della Gesal contro i coleotteri e i bruchi molesti. Il prodotto contiene il principio attivo Spinosad e risulta particolarmente efficace contro la Piralide del Bosso e altri parassiti come Cimici asiatiche, Antonomo dei Lamponi, Carpocapsa del Melo e molti altri.

Belle con Acqua alle Rose Vinci un set di prodotti Acqua alle Rose

Acqua alle Rose offre attualmente una gamma completa di prodotti per la cura del viso nell’inconfondibile profumazione agli estratti di rose nobili. Dallo storico tonico la scelta si è ampliata ad una selezione di efficaci prodotti per la pulizia e l’idratazione al fine di offrire a tutte le donne la loro coccola di bellezza quotidiana: dal gel detergente all’acqua micellare, dalla crema viso lenitiva alla crema notte, passando per la crema viso antirughe, le salviettine struccanti fino al latte detergente e alla crema viso rivitalizzante. Acqua alle Rose è in vendita nelle maggiori filiali di Migros Ticino.

Concorso Vinci prodotti Acqua alle Rose per un valore di Fr. 182.40! Migros Ticino offre ai lettori di «Azione» un set di prodotti per la cura del viso Acqua alle Rose. Il concorso è riservato a chi non ha beneficiato di vincite nel corso degli scorsi mesi. Per partecipare basta andare sul sito www.azione.ch/concorsi e seguire le istruzioni. Il vincitore sarà estratto a sorte tra tutti i partecipanti e riceverà una conferma via e-mail. Buona fortuna!


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 2 maggio 2017 • N. 18

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 2 maggio 2017 • N. 18

45

Idee e acquisti per la settimana

Piacere del gusto

Con dolci aromi tostati

Maggiori informazioni sul gusto: www.piacere-delgusto.ch

Un lungo riposo della pasta conferisce al soffice Zwirbelino il suo intenso sapore di pane. Semi di girasole, lino e sesamo danno in aggiunta una dolce e delicata nota tostata Testo Jacqueline Vinzelberg

Eric Schorro è responsabile della panetteria della casa presso la filiale Migros di Bergières, Losanna. È uno dei circa 900 panettieri che sfornano prodotti più volte al giorno nelle 130 strutture presenti nei punti vendita Migros, per garantire ai clienti pane fresco fino all’orario di chiusura.

Questo pane attorcigliato a mano a base di farina di frumento si caratterizza per il suo sapore molto equilibrato. Il leggero aroma amarognolo e maltato dei cereali si sposa a meraviglia con quello dolciastro della crosta sottile e friabile. La superficie è inoltre cosparsa di semi di girasole, lino e sesamo: aspetto quest’ultimo che durante la cottura conferisce al pane il suo gusto tostato. Internamente spicca per la sua sofficità e per la consistenza umida. È una delizia gustato come sandwich, sia con ingredienti dolci che salati. Accompagnamenti molto saporiti, come prosciutto crudo affumicato o Sbrinz piccante, valorizzano il suo sapore. Un olio all’erba cipollina regala invece una nota piccante. www.migros.ch/pane

Eric Schorro, 40 anni

«Le nostre mani sono strumenti preziosi, che ci permettono di valutare se il risultato è davvero perfetto» Qual è il suo ricordo più bello legato al pane? Mio padre gestiva un ristorante. Nei giorni di festa preparava il pane che poi mangiavamo insieme in famiglia. Adoravo quei momenti, quando ero solo con lui nell’immensa cucina del ristorante. È lì che è nata la mia passione per la panetteria, ne sono certo. Perché il lavoro manuale è così importante? Le nostre mani sono strumenti preziosi! Sentire l’impasto tra le dita ci permette di valutare con certezza se ha la consistenza giusta per garantire un risultato perfetto. Qual è il suo pane preferito? La corona classica, un pane ideale da condividere con la famiglia. Mi piace non troppo cotta, da accompagnare con un formaggio dal gusto deciso come il Tête de Moine o il Kaltbach e un bel bicchiere di vino della regione. Mentre la domenica non può mancare la treccia.

Serie Il sapore del pane del mese Attuale in maggio: Zwirbelino

Che pane le piacerebbe inventare? Il pane svizzero! Gli darei una forma a croce e, perché no, un colore rosso ottenuto con un colorante naturale a base di barbabietola.

Consiglio

I nostri esperti del gusto di Migusto hanno degustato lo Zwirbelino e consigliano la seguente ricetta:

Olio all’erba cipollina e Sbrinz

Tagliare finemente due mazzetti di erba cipollina e triturarla in un mortaio con l’aggiunta di una presa di sale grosso e un cucchiaio di olio di qualità. Aggiungere altri 3-4 cucchiai di olio e mischiare bene il tutto. Servire sul pane con scaglie di Sbrinz.

TerraSuisse è sinonimo di un’agricoltura naturale e rispettosa degli animali e si basa sulle direttive IP-Suisse.

Parte di

L’impegno Migros a favore delle sostenibilità è da generazioni in anticipo sui tempi.

Pane Zwirbelino 350 g Fr. 3.20 Disponibile solo nelle filiali Migros di S. Antonino e Serfontana


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Idee e acquisti per la settimana

Piacere del gusto

Con dolci aromi tostati

Maggiori informazioni sul gusto: www.piacere-delgusto.ch

Un lungo riposo della pasta conferisce al soffice Zwirbelino il suo intenso sapore di pane. Semi di girasole, lino e sesamo danno in aggiunta una dolce e delicata nota tostata Testo Jacqueline Vinzelberg

Eric Schorro è responsabile della panetteria della casa presso la filiale Migros di Bergières, Losanna. È uno dei circa 900 panettieri che sfornano prodotti più volte al giorno nelle 130 strutture presenti nei punti vendita Migros, per garantire ai clienti pane fresco fino all’orario di chiusura.

Questo pane attorcigliato a mano a base di farina di frumento si caratterizza per il suo sapore molto equilibrato. Il leggero aroma amarognolo e maltato dei cereali si sposa a meraviglia con quello dolciastro della crosta sottile e friabile. La superficie è inoltre cosparsa di semi di girasole, lino e sesamo: aspetto quest’ultimo che durante la cottura conferisce al pane il suo gusto tostato. Internamente spicca per la sua sofficità e per la consistenza umida. È una delizia gustato come sandwich, sia con ingredienti dolci che salati. Accompagnamenti molto saporiti, come prosciutto crudo affumicato o Sbrinz piccante, valorizzano il suo sapore. Un olio all’erba cipollina regala invece una nota piccante. www.migros.ch/pane

Eric Schorro, 40 anni

«Le nostre mani sono strumenti preziosi, che ci permettono di valutare se il risultato è davvero perfetto» Qual è il suo ricordo più bello legato al pane? Mio padre gestiva un ristorante. Nei giorni di festa preparava il pane che poi mangiavamo insieme in famiglia. Adoravo quei momenti, quando ero solo con lui nell’immensa cucina del ristorante. È lì che è nata la mia passione per la panetteria, ne sono certo. Perché il lavoro manuale è così importante? Le nostre mani sono strumenti preziosi! Sentire l’impasto tra le dita ci permette di valutare con certezza se ha la consistenza giusta per garantire un risultato perfetto. Qual è il suo pane preferito? La corona classica, un pane ideale da condividere con la famiglia. Mi piace non troppo cotta, da accompagnare con un formaggio dal gusto deciso come il Tête de Moine o il Kaltbach e un bel bicchiere di vino della regione. Mentre la domenica non può mancare la treccia.

Serie Il sapore del pane del mese Attuale in maggio: Zwirbelino

Che pane le piacerebbe inventare? Il pane svizzero! Gli darei una forma a croce e, perché no, un colore rosso ottenuto con un colorante naturale a base di barbabietola.

Consiglio

I nostri esperti del gusto di Migusto hanno degustato lo Zwirbelino e consigliano la seguente ricetta:

Olio all’erba cipollina e Sbrinz

Tagliare finemente due mazzetti di erba cipollina e triturarla in un mortaio con l’aggiunta di una presa di sale grosso e un cucchiaio di olio di qualità. Aggiungere altri 3-4 cucchiai di olio e mischiare bene il tutto. Servire sul pane con scaglie di Sbrinz.

TerraSuisse è sinonimo di un’agricoltura naturale e rispettosa degli animali e si basa sulle direttive IP-Suisse.

Parte di

L’impegno Migros a favore delle sostenibilità è da generazioni in anticipo sui tempi.

Pane Zwirbelino 350 g Fr. 3.20 Disponibile solo nelle filiali Migros di S. Antonino e Serfontana


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Idee e acquisti per la settimana

Noi firmiamo. Noi garantiamo.

«Nel mio bagaglio avevo due Japonais»

Da sempre Aline Jermann (90) prepara la torta Japonais seguendo una ricetta di famiglia che viene gelosamente tramandata di generazione in generazione. L’ingrediente più importante: la star della settimana, la Branches classic della Migros

Star della settimana

Testo Thomas Tobler; Foto Paolo Dutto

Dolci testimoni Sono molte le storie che possono essere raccontate sulle classiche branches della Migros. Sono da decenni tra i cioccolatini preferiti in Svizzera. Li si trovano in frigorifero pronti per la merenda oppure utilizzati dalle nonne per la preparazione di dolci fatti in casa. Per questo motivo potete tranquillamente trovarli anche nella confezione gran formato da 50 pezzi.

Yvonne Wacker, responsabile dell’impianto di produzione, posa davanti alle sue branches nella sala di lavorazione della Chocolat Frey.

Si prestano anche alla preparazione di prelibatezze fatte in casa, che danno un tocco di magia ai vostri dessert, come è il caso con la crema al cioccolato. Tra gli esempi dei prodotti che si possono acquistare alla Migros, non si può invece non menzionare il Cake della nonna, preparato con le branches.

Concorso

Chocolat Frey

Una riserva con molta esperienza

Quando Aline Jermann prepara la sua torta Japonais, si fa aiutare dalla pronipote Sina (2) a finire la crema di burro al cioccolato.

Signora Jermann, quante torte Japonais ha già preparato?

(ride) Guardi, non lo saprei dire. Proprio qualche anno fa ho pensato che avrei dovuto fare una tacchetta per ogni torta. Ho una famiglia numerosa e un’ampia cerchia di conoscenti. Con quattro figli, undici nipoti e quattro pronipoti, se ognuno di loro per il compleanno desiderasse una torta Japonais si arriverebbe già a un bel numero. Non importa dove vado e da chi sono invitata, la mia Japonais è sempre molto apprezzata. Alcune settimane fa sono andata in treno nell’O-

berland Bernese, regione in cui sono cresciuta, e nel mio bagaglio avevo due Japonais. Da dove arriva la ricetta?

Dalla mia vicina di casa. E’ stata assente per un lungo periodo, durante il quale abbiamo curato la sua casa e il suo giardino. Un giorno abbiamo ricevuto questa torta come gesto di ringraziamento. Inizialmente i miei figli scherzavano sulla torta. Dicevano che sembrava una focaccia. Poi l’abbiamo provata e l’abbiamo trovata eccezionale. Il giorno dopo

ho chiesto la ricetta e da allora è inimmaginabile non associarla alla nostra famiglia. L’origine della ricetta però non la conosco.

Non ne è risultato nulla di buono. Da allora ho sempre utilizzato le branches della Migros, ingrediente indispensabile della torta.

Qual è il segreto della ricetta?

Quando ha preparato questa torta per la prima volta?

Devo sbilanciarmi? Chiaramente le branches della Migros. La torta è così buona proprio grazie a questo cioccolato. Lo hanno notato anche i miei ragazzi. Cucino con molto piacere e mi piace sperimentare. Così, una volta, per la preparazione della crema di farcitura ho adoperato un altro tipo di cioccolato.

Non me lo ricordo con precisione. Deve però essere stato ai tempi in cui il mio figlio più giovane andava ancora a scuola, quindi sicuramente oltre 30 anni fa. Quali sono i suoi ricordi legati alla torta?

Sono ricordi dei miei figli, della mia famiglia, dei miei amici e conoscenti. Nipoti e pronipoti partecipano sempre alla sua preparazione, guardano e assaggiano. Mi fa molto piacere, soprattutto il fatto che la torta sia ancora apprezzata dopo tutto questo tempo. Per Natale ho regalato la ricetta a mia nipote, che ha oggi 35 anni. E per il mio 90esimo compleanno lei e sua sorella mi hanno preparato una Japonais. Con un rapporto del 10 per cento torta e 90 farcitura al cioccolato. Tutti hanno apprezzato poiché più c’è farcitura e meglio è.

Le Branches classic sfilano praticamente ogni giorni davanti a Yvonne Wacker. Ha un lavoro «cioccolatoso», dice ridendo la collaboratrice di lunga data della Chocolat Frey AG di Buchs (AG). Nel vero senso della parola. La tre volte mamma ha infatti iniziato 24 anni fa a lavorare presso l’industria di produzione Migros. All’inizio all’imballaggio, poi presso la preparazione di popcorn, per approdare infine alla produzione delle branches. «Nel frattempo sono diventata responsabile dell’impianto. Ciò significa che controllo gli apparecchi di produzione, intervengo quando ci sono problemi e sono responsabile di assicurare che tutto funzioni». Grazie alla sua pluriennale esperienza Yvonne Wacker dà un aiuto anche in altri settori. «In realtà vado ovunque ci sia bisogno di me». Apprezza questa flessibilità, la responsabilità e l’indipendenza della sua attività. «Sono una riserva con molta esperienza». Due sveglie per Wacker

Yvonne Wacker e i suoi colleghi producono mezzo milione di branches nel corso di tre turni di lavoro. Un turno dura otto ore. «Preferisco lavorare di notte. In tal modo mi resta molto tempo libero durante il giorno e non necessito di molto sonno». E quando dorme, Yvonne Wacker carica sempre due sveglie. «Nei

miei 24 anni alla Chocolat Frey mi sono svegliata troppo tardi una sola volta. Tutti mi stavano aspettando perché l’avvio delle macchine era mio compito. È stato molto imbarazzante». Da allora accanto al letto della responsabile dell’impianto ci sono due sveglie. La produzione delle branches dura circa 50 minuti, dal travaso della massa di cacao nel grande serbatoio fino all’impacchettamento dei bastoncini di cioccolato. Il confezionamento avviene ancora manualmente, mentre tutte le altre fasi di produzione sono automatizzate. «Oggi produciamo quantità molto maggiori rispetto a quelle dei miei inizi. Ma la qualità dei prodotti non ne deve soffrire, per questo motivo è importante disporre di moderni impianti di produzione». Altrettanto importante è la regolare degustazione delle branches nel corso della produzione, attività che rientra nel profilo professionale di Yvonne Wacker. «È qui che sono diventata così golosa di cioccolato. Anche se ho a che fare ogni giorno con il cioccolato, ne mangio senza problemi anche nel tempo libero». E quando Yvonne Wacker passa davanti alle «sue branches» mentre gira tra gli scaffali di un negozio Migros, «allora sono abbastanza orgogliosa del fatto che i bastoncini di cioccolato sono qui anche grazie al mio lavoro».

Su www.noifirmiamonoigarantiamo.ch/classicbranches trovate un indovinello sulla star della settimana. Tra i partecipanti saranno sorteggiati i vincitori di una carta regalo Migros, per un valore complessivo di 150 franchi.

M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche le Branches classic.


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«Nel mio bagaglio avevo due Japonais»

Da sempre Aline Jermann (90) prepara la torta Japonais seguendo una ricetta di famiglia che viene gelosamente tramandata di generazione in generazione. L’ingrediente più importante: la star della settimana, la Branches classic della Migros

Star della settimana

Testo Thomas Tobler; Foto Paolo Dutto

Dolci testimoni Sono molte le storie che possono essere raccontate sulle classiche branches della Migros. Sono da decenni tra i cioccolatini preferiti in Svizzera. Li si trovano in frigorifero pronti per la merenda oppure utilizzati dalle nonne per la preparazione di dolci fatti in casa. Per questo motivo potete tranquillamente trovarli anche nella confezione gran formato da 50 pezzi.

Yvonne Wacker, responsabile dell’impianto di produzione, posa davanti alle sue branches nella sala di lavorazione della Chocolat Frey.

Si prestano anche alla preparazione di prelibatezze fatte in casa, che danno un tocco di magia ai vostri dessert, come è il caso con la crema al cioccolato. Tra gli esempi dei prodotti che si possono acquistare alla Migros, non si può invece non menzionare il Cake della nonna, preparato con le branches.

Concorso

Chocolat Frey

Una riserva con molta esperienza

Quando Aline Jermann prepara la sua torta Japonais, si fa aiutare dalla pronipote Sina (2) a finire la crema di burro al cioccolato.

Signora Jermann, quante torte Japonais ha già preparato?

(ride) Guardi, non lo saprei dire. Proprio qualche anno fa ho pensato che avrei dovuto fare una tacchetta per ogni torta. Ho una famiglia numerosa e un’ampia cerchia di conoscenti. Con quattro figli, undici nipoti e quattro pronipoti, se ognuno di loro per il compleanno desiderasse una torta Japonais si arriverebbe già a un bel numero. Non importa dove vado e da chi sono invitata, la mia Japonais è sempre molto apprezzata. Alcune settimane fa sono andata in treno nell’O-

berland Bernese, regione in cui sono cresciuta, e nel mio bagaglio avevo due Japonais. Da dove arriva la ricetta?

Dalla mia vicina di casa. E’ stata assente per un lungo periodo, durante il quale abbiamo curato la sua casa e il suo giardino. Un giorno abbiamo ricevuto questa torta come gesto di ringraziamento. Inizialmente i miei figli scherzavano sulla torta. Dicevano che sembrava una focaccia. Poi l’abbiamo provata e l’abbiamo trovata eccezionale. Il giorno dopo

ho chiesto la ricetta e da allora è inimmaginabile non associarla alla nostra famiglia. L’origine della ricetta però non la conosco.

Non ne è risultato nulla di buono. Da allora ho sempre utilizzato le branches della Migros, ingrediente indispensabile della torta.

Qual è il segreto della ricetta?

Quando ha preparato questa torta per la prima volta?

Devo sbilanciarmi? Chiaramente le branches della Migros. La torta è così buona proprio grazie a questo cioccolato. Lo hanno notato anche i miei ragazzi. Cucino con molto piacere e mi piace sperimentare. Così, una volta, per la preparazione della crema di farcitura ho adoperato un altro tipo di cioccolato.

Non me lo ricordo con precisione. Deve però essere stato ai tempi in cui il mio figlio più giovane andava ancora a scuola, quindi sicuramente oltre 30 anni fa. Quali sono i suoi ricordi legati alla torta?

Sono ricordi dei miei figli, della mia famiglia, dei miei amici e conoscenti. Nipoti e pronipoti partecipano sempre alla sua preparazione, guardano e assaggiano. Mi fa molto piacere, soprattutto il fatto che la torta sia ancora apprezzata dopo tutto questo tempo. Per Natale ho regalato la ricetta a mia nipote, che ha oggi 35 anni. E per il mio 90esimo compleanno lei e sua sorella mi hanno preparato una Japonais. Con un rapporto del 10 per cento torta e 90 farcitura al cioccolato. Tutti hanno apprezzato poiché più c’è farcitura e meglio è.

Le Branches classic sfilano praticamente ogni giorni davanti a Yvonne Wacker. Ha un lavoro «cioccolatoso», dice ridendo la collaboratrice di lunga data della Chocolat Frey AG di Buchs (AG). Nel vero senso della parola. La tre volte mamma ha infatti iniziato 24 anni fa a lavorare presso l’industria di produzione Migros. All’inizio all’imballaggio, poi presso la preparazione di popcorn, per approdare infine alla produzione delle branches. «Nel frattempo sono diventata responsabile dell’impianto. Ciò significa che controllo gli apparecchi di produzione, intervengo quando ci sono problemi e sono responsabile di assicurare che tutto funzioni». Grazie alla sua pluriennale esperienza Yvonne Wacker dà un aiuto anche in altri settori. «In realtà vado ovunque ci sia bisogno di me». Apprezza questa flessibilità, la responsabilità e l’indipendenza della sua attività. «Sono una riserva con molta esperienza». Due sveglie per Wacker

Yvonne Wacker e i suoi colleghi producono mezzo milione di branches nel corso di tre turni di lavoro. Un turno dura otto ore. «Preferisco lavorare di notte. In tal modo mi resta molto tempo libero durante il giorno e non necessito di molto sonno». E quando dorme, Yvonne Wacker carica sempre due sveglie. «Nei

miei 24 anni alla Chocolat Frey mi sono svegliata troppo tardi una sola volta. Tutti mi stavano aspettando perché l’avvio delle macchine era mio compito. È stato molto imbarazzante». Da allora accanto al letto della responsabile dell’impianto ci sono due sveglie. La produzione delle branches dura circa 50 minuti, dal travaso della massa di cacao nel grande serbatoio fino all’impacchettamento dei bastoncini di cioccolato. Il confezionamento avviene ancora manualmente, mentre tutte le altre fasi di produzione sono automatizzate. «Oggi produciamo quantità molto maggiori rispetto a quelle dei miei inizi. Ma la qualità dei prodotti non ne deve soffrire, per questo motivo è importante disporre di moderni impianti di produzione». Altrettanto importante è la regolare degustazione delle branches nel corso della produzione, attività che rientra nel profilo professionale di Yvonne Wacker. «È qui che sono diventata così golosa di cioccolato. Anche se ho a che fare ogni giorno con il cioccolato, ne mangio senza problemi anche nel tempo libero». E quando Yvonne Wacker passa davanti alle «sue branches» mentre gira tra gli scaffali di un negozio Migros, «allora sono abbastanza orgogliosa del fatto che i bastoncini di cioccolato sono qui anche grazie al mio lavoro».

Su www.noifirmiamonoigarantiamo.ch/classicbranches trovate un indovinello sulla star della settimana. Tra i partecipanti saranno sorteggiati i vincitori di una carta regalo Migros, per un valore complessivo di 150 franchi.

M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche le Branches classic.


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Idee e acquisti per la settimana

Noi Firmiamo. Noi Garantiamo

Le star prodotte in Svizzera

Questa settimana sotto le luci dei riflettori ci sono le branches della Frey. Risplendono assieme a molti altri apprezzati prodotti creati dalle industrie Migros

Azione 15% di sconto sull’M-Classic Cottage Cheese 200 g e il Cottage Cheese Bio 250 g, per es. M-Classic Cottage Cheese Nature 200 g Fr. 1.10 invece di 1.35

Azione 50% di sconto sulle Pommes Chips M-Classic Paprika e Natur nella confezione speciale, per es. M-Classic Pommes Chips Paprika 400 g Fr. 3.– invece di 6.–

Azione 20% di sconto sulla mezza panna Valflora UHT in duo-pack, 2 x 500 ml Fr. 3.80 invece di 4.80 Azione 50% di sconto sui Frey Branches Classic nella confezione da 50 pezzi, 50 x 27 g Fr. 11.– invece di 22.25

Azione 30% di sconto su tutti i succhi e nettari Sarasay da 50 cl, 75 cl e 1 l a partire da due pezzi

Azione 20% di sconto su tutti i prodotti pH Balance in confezione multipla, per es. pH Balance Gel doccia confezione ricarica, duo-pack, 2 x 500 ml Fr. 8.30 invece di 10.40 Azione valida dal 2 al 15 maggio, fino a esaurimento scorte

Azione 50% di sconto sui gelati alla crema su bastoncino nella confezione speciale, vaniglia, cioccolato o fragola, 24 pezzi, per es. Gelati Vaniglia 24 x 57 ml Fr. 7.20 invece di 14.40

Azione 50% di sconto sui cornetti al prosciutto Happy Hour nella confezione speciale, 24 x 42 g, congelati, Fr. 6.05 invece di 12.10

Azione 40% di sconto sulle cosce di pollo Optigal, speziate, nella vaschetta in alluminio, per kg Fr. 9.– invece di 15.–

Azioni valide dal 2 all’8 maggio fino a esaurimento scorte


La natura sa cosa fa bene.

20%

3.– invece di 3.75 Cervelas bio Svizzera, 2 pezzi, 200 g

20%

–.95 invece di 1.20 Yogurt al naturale bio 500 g

20%

1.80 invece di 2.30 Carne di manzo macinata bio Svizzera, per 100 g

20% Tutte le bevande bio (Alnatura escluse), per es. tè freddo alle erbe delle Alpi svizzere, 1 l, 1.25 invece di 1.60

a partire da 2 confezioni

– .5 0

di riduzione l’una

20% Tutti i cereali in chicchi, i legumi, la quinoa e il couscous bio (Alnatura esclusi), per es. ceci, 500 g, 2.15 invece di 2.70

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di riduzione Tutti i tipi di pane fresco bio per es. corona del sole, 360 g, 2.40 invece di 2.90

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®KELLOGG Company USA © 2017 KELLOGG Company

Drachenzähmen – Die Insel © 2017 DreamWorks Animation L.L.C.

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Maggiori informazio ni a partire dalla 4a pagina.

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1.45 invece di 1.85

1.80 invece di 2.30

Gruyère piccante per 100 g

Carne di manzo macinata bio Svizzera, per 100 g

35%

Hit

2.50 invece di 3.90

1.85

Pere Abate Fetel Sudafrica/Italia/Cile, al kg

Costolette di maiale Svizzera, in conf. da 8 pezzi, per 100 g

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Mango Perù, al pezzo

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Tutti i detersivi Total a partire da 2 pezzi, 50% di riduzione


. o z z re p o im tt o , a z z e h c s e Massima fr 50%

4.90 invece di 9.80 Filetto di manzo Irlanda, imballato, per 100 g, dal 3.5

– .5 0

di riduzione Tutti i tipi di pane fresco bio per es. corona del sole, 360 g, 2.40 invece di 2.90

Hit

6.80

Prosciutto crudo S. Daniele Italia, affettato in vaschetta, per 100 g, dal 3.5

Hit

6.20

Filetto di sogliola limanda Atlantico nord-orientale, per 100 g, fino al 6.5

Hit

3.25

Mini filetti di pollo Optigal Svizzera, imballati, per 100 g

Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 2.5 ALL’8.5.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

50%

3.95 invece di 7.90 Carne secca prodotta in Svizzera con carne dalla Germania, affettata in vaschetta, per 100 g

30%

2.70 invece di 3.90 Prosciutto speziato M-Classic Svizzera, per 100 g

Hit

5.90

i Raviöö (ravioli con ripieno di brasato o di mascarpone e spinaci) prodotti in Ticino, in conf. da 250 g

45%

35%

1.35 invece di 2.50

4.20 invece di 6.90

Pomodori datterini bio Spagna/Italia, vaschetta da 250 g

Hit

1.55

Foglia di quercia verde o rossa Ticino, imballata, al pezzo

50%

9.65 invece di 19.30 Formagín ticinés (formaggini ticinesi) prodotti in Ticino, in conf. da 2, al kg

Asparagi verdi Spagna, il mazzo, 1 kg

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2.90

Patate novelle Egitto/Israele, imballate, 1,5 kg

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19.80

Caseificio Gottardo prodotto in Ticino, a libero servizio, al kg

50%

2.90 invece di 5.80 Fragole Spagna, cassetta da 1 kg

15%

5.85 invece di 6.90 Tulipani M-Classic, mazzo da 10 disponibili in diversi colori, per es. rossi, il mazzo


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4.90 invece di 9.80 Filetto di manzo Irlanda, imballato, per 100 g, dal 3.5

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di riduzione Tutti i tipi di pane fresco bio per es. corona del sole, 360 g, 2.40 invece di 2.90

Hit

6.80

Prosciutto crudo S. Daniele Italia, affettato in vaschetta, per 100 g, dal 3.5

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6.20

Filetto di sogliola limanda Atlantico nord-orientale, per 100 g, fino al 6.5

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Mini filetti di pollo Optigal Svizzera, imballati, per 100 g

Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 2.5 ALL’8.5.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

50%

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5.90

i Raviöö (ravioli con ripieno di brasato o di mascarpone e spinaci) prodotti in Ticino, in conf. da 250 g

45%

35%

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4.20 invece di 6.90

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15% Cottage Cheese M-Classic, 200 g, e Cottage Cheese bio, 250 g per es. al naturale M-Classic, 200 g, 1.10 invece di 1.35

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4.80 invece di 7.20 Landjäger M-Classic in conf. speciale Svizzera, 4 x 2 pezzi, 400 g

50%

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conf. da 2

20% Tutti gli yogurt bio (yogurt di latte di pecora esclusi), per es. al naturale, 180 g, –.45 invece di –.60

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20% Tutto l’assortimento Coco Ice-Land surgelato, per es. Coco & Chocolate, 6 x 76 ml, 4.60 invece di 5.80

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Noci Sun Queen Premium in conf. da 2 per es. arachidi al gusto di wasabi, 2 x 150 g, 5.80 invece di 7.30

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Branches Classic Frey in conf. da 50, UTZ 50 x 27 g

20% Tutti i praliné in scatola e gli Adoro Frey, UTZ per es. Adoro al latte, 200 g, 6.55 invece di 8.20, offerta valida fino al 15.5.2017

a partire da 2 pezzi

30%

Tutti i succhi e i nettari Sarasay da 1 l, 75 cl e 50 cl (confezioni multiple escluse), a partire da 2 pezzi, 30% di riduzione

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10.40 invece di 13.– Ammorbidenti Exelia in conf. da 2 per es. Fresh Morning, 2 x 1,5 l, offerta valida fino al 15.5.2017

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30%

7.85 invece di 11.25 Bastoncini di merluzzo Pelican, in conf. da 3, MSC surgelati, 3 x 300 g

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Tutto l’assortimento di tessili per la cucina e la tavola Cucina & Tavola a partire da 2 pezzi, 50% di riduzione, offerta valida fino al 15.5.2017

Tutte le olive in bustina, vasetto e scatola (Alnatura escluse), per es. olive spagnole Hojiblanca, 150 g, 1.85 invece di 2.35

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20% Tutte le bevande bio (Alnatura escluse), per es. mirtilli rossi Plus Biotta, 500 ml, 3.80 invece di 4.80

OFFERTE VALIDE SOLO DAL 2.5 ALL’8.5.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

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di riduzione l’una Tutta la frutta secca e tutte le noci bio (Alnatura escluse), a partire da 2 confezioni, –.50 di riduzione l’una, per es. pinoli, 100 g, 6.– invece di 6.50

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15% Praline Raffaello e Giotto per es. Raffaello, 230 g, 3.55 invece di 4.20

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Tutto l’assortimento di barrette di cereali Farmer a partire da 2 confezioni, 25% di riduzione

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Tutto l’assortimento di posate Cucina & Tavola a partire da 2 pezzi, 50% di riduzione, offerta valida fino al 15.5.2017

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Tutti i prodotti per la purificazione dell’acqua invece di 13.20 Brita, Cucina & Tavola e M-Classic nonché gli Carta per uso domestico Twist apparecchi e le bottiglie SodaStream per es. cartucce per filtro Maxtra Brita, 3 pezzi, 13.85 Recycling Deluxe in conf. speciale 4 strati, 12 rotoli, offerta valida fino al 15.5.2017 invece di 19.80, offerta valida fino al 15.5.2017

a partire da 2 pezzi

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Tutti i coltelli da cucina e le forbici Cucina & Tavola e Victorinox a partire da 2 pezzi, 50% di riduzione, offerta valida fino al 15.5.2017


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Altre offerte. Frutta e verdura

Pane e latticini

Mirtilli/Lamponi, Spagna, 2 x 250 g, 5.80 invece di 8.70 33%

Altri alimenti

Bastoncini alle nocciole in conf. da 2, 8 pezzi, 2 x 220 g, 4.40 invece di 6.60 33%

Pesce, carne e pollame

Panino dal forno a pietra scuro, 75 g, –.70 invece di –.90 20%

Tutto l’assortimento Finizza, prodotti surgelati, per es. pizza al prosciutto, 330 g, 2.80 invece di 4.– 30%

Piña Colada Crème d’or da 200 ml e 750 ml, surgelati, per es. 200 ml, 3.50 Novità ** Fun Factory Vibrator Little Paul, il pezzo, 34.80 Novità **

Near Food/Non Food

Deodorante Blue Sapphire I am, Limited Edition, 150 ml, 3.30 Novità **

Fiori e piante

Hit

20x PUNTI

Novità

Gamberetti tail-on Sélection, ASC, d’allevamento, Vietnam, per 100 g, 6.90 Novità ** Cervelas bio, Svizzera, 2 pezzi, 200 g, 3.– invece di 3.75 20%

3.95

Spezzatino di vitello TerraSuisse, imballato, per 100 g, 3.25 Hit

Fazzoletti Linsoft in conf. speciale, FSC 42 x 10 pezzi

Dipladenie in vaso, 10 cm, disponibili in diversi colori, per es. fucsia, la pianta, 5.50 invece di 6.90 20%

Bratwurst di vitello Olma, Svizzera, in conf. da 4 pezzi/160 g, 9.95 Hit

Prodotti Kneipp in confezioni multiple, per es. compresse effervescenti magnesio, calcio e D3, 20 pezzi, 13.90 invece di 17.40 20% **

Tofu alla mediterranea Alnatura, 200 g, 3.20 Novità ** Fiori bio al limone e al timo, 250 g, 5.40 Novità ** Fior di latte & framboise Crème d’or, surgelato, 750 ml, 7.80 Novità ** Crème de la gruyère, meringues & abricot Crème d’or, surgelato, 750 ml, 8.80 Novità **

*In vendita nelle maggiori filiali Migros. **Offerta valida fino al 15.5 Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 2.5 ALL’8.5.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

Da giovedì 4.5 fino a sabato 6.5.2017 conf. da 5

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12.75 invece di 17.– Cleverbag Herkules in conf. da 5 35 litri, 5 x 20 pezzi

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20% Docciaschiuma Nivea in confezioni multiple per es. Creme Soft in busta di ricarica, in conf. da 2, 2 x 500 ml, 6.95 invece di 8.70

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6.– invece di 7.10 Prodotti Elseve in conf. da 2 per es. shampoo Color-Vive, 2 x 250 ml

2.– invece di 4.–

Bistecca di lonza di maiale TerraSuisse marinata in conf. speciale per 100 g, offerta valida dal 4.5 al 6.5.2017

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14.90 invece di 19.80 Calzini per il tempo libero Puma in conf. da 2 2 x 3 paia, disponibili in nero e nei numeri 35–46, per es. numeri 39–42

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249.–

30% Tutto l’assortimento di borse e valigie e di accessori da viaggio travel shop per es. trolley Titan Easy, 4 ruote, 75 cm, nero/oliva, 83.30 invece di 119.–

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20% Salviettine umide per bebè Milette in conf. da 4 per es. Ultra Soft & Care all’olio di mandorla, 4 x 72 pezzi, 9.30 invece di 11.80

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Aspirapolvere DC62+ Spazzola elettrica stretta, spazzola per pavimenti duri supplementare, tubo separabile, supporto murale, fino a 20 min. di autonomia – 7171.670

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 2 maggio 2017 • N. 18

63

Idee e acquisti per la settimana

Squice

Gelati… mostruosamente buoni Il divertimento è doppio grazie ai due nuovi gelati da spremere Squice. Questo finissimo gelato cremoso al gusto di vaniglia o cioccolato addolcisce le calde giornate estive dei bimbi, mentre la busta da spremere con le immagini di divertenti mostriciattoli farà la gioia dei genitori: nessuna macchia, addio alle mani appiccicose e anche gli abiti resteranno puliti. Il tappo grande rende l’apertura un gioco da ragazzi. I piccoli golosi devono solo fare attenzione che nessuno rubi il loro mostro preferito!

Con Squice mani appiccicose e macchie appartengono al passato.

Squice Vanilla 60 g/110 ml Fr. 2.–

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M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche Squice.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 2 maggio 2017 • N. 18

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Idee e acquisti per la settimana

Momenti Migros

Dal giro in motorino alla corsa popolare Per un mese i clienti hanno potuto inviarci via Internet i loro «Momenti Migros». Tra le migliaia di testi pervenuti sono stati estratti a sorte 500 vincitori, la cui storia è stata stampata su un manifesto pubblicitario. Vi presentiamo sei aneddoti e i rispettivi protagonisti Testo Estelle Dorsaz, Thomas Tobler; Foto Paolo Dutto, Mirko Rhis

Armin Egger e Debi

Conoscersi sul monte della Migros Il Gurten, la montagna di casa dei Bernesi, è noto in tutta la Svizzera per il festival musicale che vi si svolge ogni anno. Ed è proprio qua, che nel 2014 si sono conosciuti Armin Egger e Debi. Fu un incontro casuale, avvenuto nel contesto festivaliero. Da qualche settimana i due sono andati a vivere assieme in un nuovo appartamento. Nelle sue immediate vicinanze è appeso il manifesto pubblicitario con la torta Monte Generoso della Migros

e la scritta «Gurten». «Mi sembra un accostamento azzeccato. Sia il Gurten che il Monte Generoso sono montagne della Migros», spiega Armin Egger. Sul Gurten, infatti, non si svolge solo il celebre open-air, ma c’è anche uno dei quattro parchi Prato Verde della Migros. Così come la gestione delle infrastrutture del Monte Generoso è finanziata sin dal 1941 dal Percento culturale Migros.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 2 maggio 2017 • N. 18

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 2 maggio 2017 • N. 18

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Idee e acquisti per la settimana

Marcel Holzer e Lena Céline e Corinne Creffield

Una botta d’energia grazie al Risoletto Siccome non poteva incoraggiare personalmente la sua figlioccia Lena durante un meeting di atletica, Marcel Holzer affidò questo compito a un Risoletto, che doveva infonderle una carica di motivazione e d’energia. E fu così che Lena – con le sue amiche del club di atletica leggera di Thun – vinse la sua prima medaglia in una gara sportiva. «Quando ho

Non c’è vacanza senza Blévita

letto della campagna di affissioni della Migros, ho subito capito che avrei dovuto inviare il ricordo di Lena e della sua grande prestazione legata a un Risoletto». E a giugno, Lena e il suo padrino correranno per la prima volta assieme al Gran Prix di Berna. Ovviamente, non senza essersi caricati con un Risoletto prima della partenza.

Ogni volta che la famiglia Creffield partiva in vacanza, si portava dietro i famosi pacchi di Blévita blu. Memorabile è rimasto un giro della Svizzera di una decina d’anni. «Appena il veicolo si mise in moto, la prima cosa che mio fratello ed io facemmo fu di aprire un pacchetto di Blévita». Siccome girarono la Svizzera in lungo

e in largo, poterono far rifornimento in diversi negozi Migros. Ancora oggi, ogni volta che Céline va in vacanza porta con sé i Blévita, perché li ritiene perfetti per ogni occasione. «Ho voluto ricordare a mia madre quei bei momenti. Ho scelto di piazzare il manifesto vicino al suo posto di lavoro, come per farle l’occhiolino».

Cartoline postali

Tanti saluti con i Momenti Migros Migliaia di clienti di tutta la Svizzera hanno condiviso i loro «Momenti Migros» su cartelloni personalizzati. Ora il tuo momento speciale è disponibile anche in forma di cartolina postale con i saluti personalizzati.

Henry e Elisabeth Löw

In Vallese in motorino Nell’estate del 1981, Henry Löw e il suo amico inforcarono i loro motorini e, dopo aver impacchettato le provviste necessarie, partirono per un viaggio di tre settimane alla volta del Vallese. Attraversarono passi alpini e strade di campagna. Naturalmente la loro scorta di viveri non bastava, così si rifornirono

Il gruppo podistico

strada facendo presso i leggendari camion di vendita della Migros. «Ci nutrimmo soprattutto di cioccolata Tourist», ricorda ridendo Henry Löw. Arrivato a destinazione, Henry incontrò Elisabeth. Si scambiarono i numeri di telefono e poi iniziarono a scriversi delle lettere. Oggi sono felicemente sposati. Tutto grazie a un giro in motorino in Vallese.

Il triathlon del martedì sera

Giorgio e Nadia Gada-Barenco

Picnic sul Lago Maggiore L’amore portò Giorgio GadaBarenco a valicare il Ceneri per trasferirsi dal Ceresio al Verbano. La ragione di questo trasloco a Locarno si chiamava Nadia. Ed è con lei e i loro due figli che oggi Giorgio va regolarmente a

fare dei picnic sul lago di «questa fantastica regione». «Della compagnia fa sempre parte anche il thè freddo al limone della Migros». Il manifesto di Giorgio per sua moglie Nadia rappresenta un bel ricordo di questa tradizione.

Il triathlon ingloba tre discipline sportive: nuoto, ciclismo e corsa. Ogni martedì sera questo ordine viene un po’ stravolto dai dieci «corridori del martedì» – tutti ex atleti –, che corrono per dieci chilometri lungo la Limmat. Al termine della corsa, però, avviene

una sostituzione delle altre discipline sportive. Invece di mettersi a nuotare e a pedalare, la combriccola cucina e gioca a carte. E tradizione vuole che mentre si gioca a Jass ci sia sempre un grosso pacco di Zampe d’Orso della Migros a portata di mano.

Funziona così: Scegli il soggetto di una cartolina su www.momenti-migros.ch. Scrivi un messaggio che sia bello e divertente oppure insolito, inserisci l’indirizzo del destinatario e spediscilo.

M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui quelli dei cartelloni e delle cartoline postali.


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Marcel Holzer e Lena Céline e Corinne Creffield

Una botta d’energia grazie al Risoletto Siccome non poteva incoraggiare personalmente la sua figlioccia Lena durante un meeting di atletica, Marcel Holzer affidò questo compito a un Risoletto, che doveva infonderle una carica di motivazione e d’energia. E fu così che Lena – con le sue amiche del club di atletica leggera di Thun – vinse la sua prima medaglia in una gara sportiva. «Quando ho

Non c’è vacanza senza Blévita

letto della campagna di affissioni della Migros, ho subito capito che avrei dovuto inviare il ricordo di Lena e della sua grande prestazione legata a un Risoletto». E a giugno, Lena e il suo padrino correranno per la prima volta assieme al Gran Prix di Berna. Ovviamente, non senza essersi caricati con un Risoletto prima della partenza.

Ogni volta che la famiglia Creffield partiva in vacanza, si portava dietro i famosi pacchi di Blévita blu. Memorabile è rimasto un giro della Svizzera di una decina d’anni. «Appena il veicolo si mise in moto, la prima cosa che mio fratello ed io facemmo fu di aprire un pacchetto di Blévita». Siccome girarono la Svizzera in lungo

e in largo, poterono far rifornimento in diversi negozi Migros. Ancora oggi, ogni volta che Céline va in vacanza porta con sé i Blévita, perché li ritiene perfetti per ogni occasione. «Ho voluto ricordare a mia madre quei bei momenti. Ho scelto di piazzare il manifesto vicino al suo posto di lavoro, come per farle l’occhiolino».

Cartoline postali

Tanti saluti con i Momenti Migros Migliaia di clienti di tutta la Svizzera hanno condiviso i loro «Momenti Migros» su cartelloni personalizzati. Ora il tuo momento speciale è disponibile anche in forma di cartolina postale con i saluti personalizzati.

Henry e Elisabeth Löw

In Vallese in motorino Nell’estate del 1981, Henry Löw e il suo amico inforcarono i loro motorini e, dopo aver impacchettato le provviste necessarie, partirono per un viaggio di tre settimane alla volta del Vallese. Attraversarono passi alpini e strade di campagna. Naturalmente la loro scorta di viveri non bastava, così si rifornirono

Il gruppo podistico

strada facendo presso i leggendari camion di vendita della Migros. «Ci nutrimmo soprattutto di cioccolata Tourist», ricorda ridendo Henry Löw. Arrivato a destinazione, Henry incontrò Elisabeth. Si scambiarono i numeri di telefono e poi iniziarono a scriversi delle lettere. Oggi sono felicemente sposati. Tutto grazie a un giro in motorino in Vallese.

Il triathlon del martedì sera

Giorgio e Nadia Gada-Barenco

Picnic sul Lago Maggiore L’amore portò Giorgio GadaBarenco a valicare il Ceneri per trasferirsi dal Ceresio al Verbano. La ragione di questo trasloco a Locarno si chiamava Nadia. Ed è con lei e i loro due figli che oggi Giorgio va regolarmente a

fare dei picnic sul lago di «questa fantastica regione». «Della compagnia fa sempre parte anche il thè freddo al limone della Migros». Il manifesto di Giorgio per sua moglie Nadia rappresenta un bel ricordo di questa tradizione.

Il triathlon ingloba tre discipline sportive: nuoto, ciclismo e corsa. Ogni martedì sera questo ordine viene un po’ stravolto dai dieci «corridori del martedì» – tutti ex atleti –, che corrono per dieci chilometri lungo la Limmat. Al termine della corsa, però, avviene

una sostituzione delle altre discipline sportive. Invece di mettersi a nuotare e a pedalare, la combriccola cucina e gioca a carte. E tradizione vuole che mentre si gioca a Jass ci sia sempre un grosso pacco di Zampe d’Orso della Migros a portata di mano.

Funziona così: Scegli il soggetto di una cartolina su www.momenti-migros.ch. Scrivi un messaggio che sia bello e divertente oppure insolito, inserisci l’indirizzo del destinatario e spediscilo.

M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui quelli dei cartelloni e delle cartoline postali.


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Idee e acquisti per la settimana

Migros Bio Cotton

Bio… logicamente! Migros Bio Cotton Magliette per maschietti conf. doppia, taglie 104-140 Fr. 15.–

Il cotone biologico conviene a tutti La Migros è impegnata a favore della coltivazione sostenibile del cotone. La preferenza accordata ai prodotti biologici non giova solo all’ambiente, ma anche ai contadini. E naturalmente, alla fine ne approfittano i clienti della Migros Testo Heidi Bacchilega; Foto Thomas Eugster

Migros Bio Cotton Magliette per maschietti conf. doppia, taglie 104-140 Fr. 15.–

Soltanto l’uno percento del cotone mondiale è coltivano in modo biologico. Il 75 percento del cotone bio proviene dall’India.

Migros Bio Cotton Magliette per bambine conf. doppia, taglie 104-140 Fr. 15.–

Il cotone è la principale fibra vegetale del mondo. Da oltre 8000 anni è usata per fabbricare tessuti. I principali paesi produttori sono l’India, la Cina e gli Stati Uniti. Il cotone è una delle piante che hanno più bisogno di acqua e sostanze nutritive. Nella coltivazione convenzionale vengono impiegate grosse quantità di pesticidi antiparassitari, che possono causare gravi malattie delle vie respiratorie, tumori e allergie. Altri effetti collaterali della coltivazione convenzionale sono l’inaridimento e la salinizzazione dei terreni coltivabili, la contaminazione dell’acqua potabile e il prosciugamento

delle sorgenti. La Migros punta sul cotone biologico. A questo scopo, lavora con una cerchia di fornitori selezionati, che acconsentono a sottoporsi a una certificazione rigorosa. Affidabilità, fiducia e costanza recitano un ruolo importante. In linea di principio, nella coltivazione biologica si evita l’uso di pesticidi. Come alternativa vengono impiegati metodi di protezione naturali. Ciò non solo preserva l’ambiente, ma protegge anche i contadini, che non vengono più in contatto con sostanze tossiche. E la stessa cosa vale per la pelle di coloro che poi indossano il cotone lavorato.

Migros Bio Cotton Magliette per bambine conf. doppia, taglie 104-140 Fr. 15.–

Uno dei requisiti della produzione di cotone biologico è la raccolta a mano.

Migros Bio Cotton Magliette per bambine conf. doppia, taglie 104-140 Fr. 15.–

Parte di

Migros Bio Cotton Magliette per bambine conf. doppia, taglie 104-140 Fr. 15.–

Il programma Eco della Migros garantisce che i tessuti siano prodotti in modo assolutamente ecologico, socialmente sostenibile e tracciabile.

L’etichetta Bio Cotton certifica il cotone proveniente da coltivazione biologica, rispettosa dell’uomo e dell’ambiente.

Nel suo impegno a favore della sostenibilità, la Migros è da generazioni in anticipo sui tempi.


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Migros Bio Cotton

Bio… logicamente! Migros Bio Cotton Magliette per maschietti conf. doppia, taglie 104-140 Fr. 15.–

Il cotone biologico conviene a tutti La Migros è impegnata a favore della coltivazione sostenibile del cotone. La preferenza accordata ai prodotti biologici non giova solo all’ambiente, ma anche ai contadini. E naturalmente, alla fine ne approfittano i clienti della Migros Testo Heidi Bacchilega; Foto Thomas Eugster

Migros Bio Cotton Magliette per maschietti conf. doppia, taglie 104-140 Fr. 15.–

Soltanto l’uno percento del cotone mondiale è coltivano in modo biologico. Il 75 percento del cotone bio proviene dall’India.

Migros Bio Cotton Magliette per bambine conf. doppia, taglie 104-140 Fr. 15.–

Il cotone è la principale fibra vegetale del mondo. Da oltre 8000 anni è usata per fabbricare tessuti. I principali paesi produttori sono l’India, la Cina e gli Stati Uniti. Il cotone è una delle piante che hanno più bisogno di acqua e sostanze nutritive. Nella coltivazione convenzionale vengono impiegate grosse quantità di pesticidi antiparassitari, che possono causare gravi malattie delle vie respiratorie, tumori e allergie. Altri effetti collaterali della coltivazione convenzionale sono l’inaridimento e la salinizzazione dei terreni coltivabili, la contaminazione dell’acqua potabile e il prosciugamento

delle sorgenti. La Migros punta sul cotone biologico. A questo scopo, lavora con una cerchia di fornitori selezionati, che acconsentono a sottoporsi a una certificazione rigorosa. Affidabilità, fiducia e costanza recitano un ruolo importante. In linea di principio, nella coltivazione biologica si evita l’uso di pesticidi. Come alternativa vengono impiegati metodi di protezione naturali. Ciò non solo preserva l’ambiente, ma protegge anche i contadini, che non vengono più in contatto con sostanze tossiche. E la stessa cosa vale per la pelle di coloro che poi indossano il cotone lavorato.

Migros Bio Cotton Magliette per bambine conf. doppia, taglie 104-140 Fr. 15.–

Uno dei requisiti della produzione di cotone biologico è la raccolta a mano.

Migros Bio Cotton Magliette per bambine conf. doppia, taglie 104-140 Fr. 15.–

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Migros Bio Cotton Magliette per bambine conf. doppia, taglie 104-140 Fr. 15.–

Il programma Eco della Migros garantisce che i tessuti siano prodotti in modo assolutamente ecologico, socialmente sostenibile e tracciabile.

L’etichetta Bio Cotton certifica il cotone proveniente da coltivazione biologica, rispettosa dell’uomo e dell’ambiente.

Nel suo impegno a favore della sostenibilità, la Migros è da generazioni in anticipo sui tempi.


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Idee e acquisti per la settimana

Zoé e Sun Look

Efficacia immediata Due novità per il viso e per il corpo completano le linee di protezione solare Zoé Sun e Sun Look. Il «Face Fluid» di Zoé Sun è un fluido molto leggero, opacizzante e idratante per la pelle del volto matura. Finora il prodotto era disponibile unicamente con fattore di protezione solare 50, mentre adesso c’è anche il fattore 30. Applicato regolarmente, riduce le prime rughe e previene la formazione della pigmentazione cutanea indotta dalla luce. Agli sportivi Sun Look propone una protezione solare in formato spray ad elevata idrorepellenza. Si può distribuire facilmente sul corpo e viene assorbita immediatamente. Entrambi i prodotti sviluppano il loro effetto protettivo subito dopo l’applicazione.

Zoé Sun Face Fluid SPF 30 30 ml Fr. 10.50 Nelle maggiori filiali

M-Industria crea molti prodotti Migros, tra cui anche le linee di protezione solare Zoé Sun e Sun Look.

Sun Look Sport protect Sun Spray SPF 30 200 ml Fr. 14.–


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Orari di gioco dalle 9.00 alle 13.00 e dalle 14.00 alle 18.00


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