Azione 20 del 15 maggio 2017

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Cooperativa Migros Ticino

G.A.A. 6592 Sant’Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXX 15 maggio 2017

Azione 20 -75 ping M shop ne 49-55 / 70 i alle pag

Società e Territorio Conciliare famiglia e lavoro, un tema sempre aperto ma le idee innovative non mancano

Ambiente e Benessere Visita alla Sacra di San Michele, vicino a Torino, l’abbazia che ispirò Umberto Eco per il suo romanzo «Il nome della Rosa»

Politica e Economia Macron riscrive la storia politica della Francia. Quali rapporti avrà con la Svizzera?

Cultura e Spettacoli Festival di Cannes, settantesima edizione: e il tappeto rosso è di nuovo pronto a srotolarsi

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Non molliamo Riccardo Muti approda al LAC l’agroalimentare ticinese! con l’Orchestra Cherubini di Enrico Parola

di Lorenzo Emma, direttore di Migros Ticino

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Keystone

La collaborazione con aziende locali è per Migros Ticino un tema strategico. Nel corso degli anni la cooperativa ha sviluppato una collaborazione intensa e orientata al lungo termine con decine di aziende agroalimentari ticinesi. Tra queste figurava anche la Enzo Crotta SA, un’impresa che, come tutte quelle interessate a rifornire Migros Ticino, ha seguito un iter fatto di certificazioni, analisi e ripetuti controlli atti ad assicurare la fornitura di generi alimentari di qualità. Dopo aver superato queste verifiche, la Enzo Crotta SA di Muzzano, oltre a un’ispezione a sorpresa da parte del Laboratorio Cantonale avvenuta lo scorso 8 marzo, è stata oggetto di regolari verifiche pianificate su incarico di Migros Ticino, effettuate dal Servizio Qualità interno come pure da enti esterni: in totale quattro dal 2013, la quinta era prevista per agosto di quest’anno. Il fatto che questi controlli siano pianificati ha fatto parecchio discutere e dato spazio a illazioni. In realtà si tratta di una procedura diffusa a livello mondiale, in tutti i settori di attività, motivato dal fatto che si vuol far sì che il team d’ispezione (che può essere composto da 1 a 3 persone) possa svolgere il suo lavoro di controllo dei locali e delle istallazioni destinate alla produzione in presenza dei responsabili della produzione stessa e della qualità e che l’esame della documentazione che il fornitore deve allestire (in merito a produzione, manutenzione, pulizia, autocontrollo, ecc…) siano pronti e disponibili. L’obiettivo di questi controlli non è infatti quello di «sorprendere» il produttore in fallo, ma di seguirlo nella correzione di eventuali non conformità e nel miglioramento della qualità del prodotto. Le ispezioni di Migros effettuate presso la Enzo Crotta SA hanno sì rivelato alcune carenze, ma non critiche, per le quali sono state convenute una serie di misure correttive con relativi tempi di evasione in base alla gravità. Nel corso degli anni, l’azienda si è sempre dimostrata disponibile e pronta a correggere le mancanze riscontrate. Tuttavia, proprio in considerazione di alcune carenze, per sicurezza, abbiamo regolarmente provveduto a controllare le forniture: ad esempio negli ultimi 2 anni, oltre ai controlli d’entrata merce, sono stati prelevati numerosi campioni di prodotto dai nostri punti di vendita, i quali sono stati sottoposti ad analisi microbiologiche e chimiche di laboratorio. Nessuno di questi prelievi ha presentato irregolarità di rilievo. Per questo motivo, fino a dieci giorni fa, non si è mai ritenuto necessario applicare il livello di controllo superiore e cioè i controlli a sorpresa. Controlli che sarebbero invece certamente stati applicati se i campioni avessero presentato problemi e quindi ragionevoli sospetti di procedure irregolari. Nel servizio di Patti chiari dal titolo «Verdure indigeste» di venerdì 5 maggio 2017 sono apparse delle immagini che ritraevano situazioni assolutamente inaccettabili e per nulla corrispondenti a quanto riscontrato nelle nostre ispezioni. Al momento stiamo accertando i motivi di queste discrepanze. Questa brutta esperienza ci ha portato a riconsiderare i criteri a pagina 2

Invito ai soci per la votazione 2017 Gentile cooperatrice, egregio cooperatore, riceve in questi giorni il materiale di voto per la

votazione generale 2017 relativa all’esercizio 2016 della Cooperativa Migros Ticino, con l’invito a rispondere alla seguente domanda: «Approva i conti dell’esercizio 2016, dà scarico al Consiglio di amministrazione e accetta la proposta di riportare il risultato di bilancio all’esercizio nuovo?». Anche quest’anno è prevista una domanda consultiva, che riguarda l’offerta di Migros Ticino rispetto alla concorrenza. A questo numero di Azione è allegato il rapporto annuo 2016, che comprende i conti, il rapporto dell’Ufficio di revisione, la proposta del Consiglio di amministrazione di riportare il risultato di bilancio all’esercizio nuovo, così come il rapporto delle attività della Cooperativa. Questi documenti sono pure

a disposizione dei soci presso la nostra sede di Sant’Antonino. La scheda di voto sarà inviata per posta a tutti gli aventi diritto, in base al registro dei soci, al più tardi dieci giorni prima della scadenza della votazione. Eventuali reclami concernenti schede di voto non ricevute o inesatte sono da indirizzare all’Ufficio elettorale di Migros Ticino, 6592 Sant’Antonino, al più presto sei giorni lavorativi e al più tardi tre giorni lavorativi prima dello scrutinio. La votazione si svolge secondo le disposizioni dello Statuto e del Regolamento per votazioni, elezioni e iniziative. Questi documenti, unitamente al rapporto annuo, possono essere consultati presso le nostre filiali, presentando la quota di partecipazione o la tessera di socio. Secondo l’art. 30 dello Statuto, il Consiglio di amministrazione ha nominato un Ufficio elettorale che sorveglia lo svolgimento della votazione e che si compone delle seguenti persone:

Avv. Filippo Gianoni (presidente), Myrto Fedeli (vicepresidente), Roberto Bozzini, Pasquale Branca e Giovanni Jegen (membri). Vogliate compilare al più presto la scheda di voto e depositarla nelle apposite urne esposte nei nostri punti vendita. Così facendo ci aiutate a risparmiare spese postali permettendoci di offrirvi una tavoletta di cioccolato. Le urne sono a disposizione durante il normale periodo di apertura delle nostre sedi. Ultimo termine per la spedizione o consegna della scheda (giorno di votazione): SABATO 3 GIUGNO 2017. Con la vostra partecipazione non solo fate uso del vostro diritto, ma esprimete anche l’apprezzamento per l’impegno dei collaboratori di Migros Ticino. Vi ringraziamo in anticipo. Sant’Antonino, 15 maggio 2017 Cooperativa Migros Ticino Il Consiglio di amministrazione


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 maggio 2017 • N. 20

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Attualità Migros

StraLugano, un fine settimana di corsa

Edizione 2017 Al via sabato 20 e domenica 21 maggio, il dodicesimo appuntamento con la gara podistica

sulle rive del Ceresio propone molte novità

È quasi tutto pronto per accogliere oltre 5000 appassionati della corsa di tutte le età. Gli organizzatori da noi contattati ci hanno confermato con soddisfazione che gli iscritti alla StraLugano 2017, in tutte le categorie sono in aumento rispetto allo scorso anno. Questa tendenza testimonia che il programma convince, e che gli orari delle gare più gettonate della domenica con la mezza maratona, partenza ore 10.00, e della 10 km CityRun, partenza ore 13.00, soddisfano le esigenze logistiche di molti runner, soprattutto di coloro che raggiungeranno Lugano da oltre Gottardo e dall’estero. Una delle più importanti novità, riguarda la KidsRun che nelle precedenti edizioni chiudeva il programma delle corse domenicali mentre da quest’anno aprirà il programma delle gare. Sabato dalle 19.00, il palcoscenico sarà tutto per loro; le centinaia di giovanissimi protagonisti di questa manifestazione. Dai piccolissimi di età inferiore ai 6 anni che potranno essere accompagnati da un genitore, fino ai più preparati della categoria U16. In qualità di Main Sponsor, nell’ambito del progetto «Generazione M» (www.generazione-m.ch), Migros promuove attivamente il movimento e la pratica dello sport delle nuove generazioni. Per questo, offre in omaggio le prime 500 iscrizioni alla KidsRun. La promessa che Migros ha fatto nel 2015 e che scadrà nel 2019, ossia quella di permettere a più di 70’000 bambini di partecipare gratuitamente a numerose fra le più importanti corse popolari della Svizzera, è certamen-

Un’immagine della KidsRun 2016. (Mario Curti)

te ambiziosa; ci auguriamo che venga mantenuta. Correre o camminare regolarmente fa bene a tutte le età. All’insegna di questo salutare connubio, per farsi e per fare del bene, la partecipazione a Run4Charity che partirà sabato alle 21.00 è un impegno morale; 5 km sono proprio alla portata

di tutti! A beneficiarne saranno le 10 organizzazioni che aderiscono al programma charity della StraLugano. Lo scorso anno la Run4Charity ha contribuito a devolvere oltre 13’000 franchi. Per saperne di più sul programma delle gare e delle innumerevoli manifestazioni, ma soprattutto per iscriver-

Festa di compleanno a Tenero 50 anni Domenica 21 maggio dalle 10 alle 18 apertura straordinaria Esattamente mezzo secolo fa, nel maggio del 1967, Migros Ticino apriva il suo supermercato di via al Giardino a Tenero. Un punto vendita fortemente voluto dalla cooperativa, e che negli anni ha saputo adattarsi ai bisogni della propria clientela e integrarsi perfettamente nella realtà della regione. «Grazie alla sua posizione strategica, ai comodi posti auto gratuiti

davanti al negozio e agli estesi orari d’esercizio con apertura sul mezzogiorno, oggi la filiale di Tenero ricopre un ruolo molto importante per tutte le famiglie della zona, così come per i molti avventori di passaggio» spiega il gerente Fulvio Tirrito. Il negozio, completamente rinnovato nel 2014, gestito con il contributo di sedici collaboratori, è diventato un punto di

riferimento per tutta la comunità. Il motivo principale di questo successo è l’ampiezza dell’assortimento garantito dai 650 metri quadrati di superficie di vendita: «Da noi i clienti trovano tutti i prodotti di uso quotidiano. Riusciamo a soddisfare praticamente ogni richiesta. Da una parte proponiamo un’ampia gamma di prodotti freschi, alimentari e articoli bio a libero servizio, dall’altra una vasta scelta non food». Tirrito e il suo team sono felici di accogliere il pubblico la prossima domenica per festeggiare questi cinquant’anni di successo. Per sottolineare l’importante ricorrenza sono state previste otto ore di allegria e convenienza, per grandi e piccini. Tutti i dettagli sulle promozioni e sulle attività della giornata sono elencati in M-Shopping, alla p. 49 di questo numero di «Azione». Orari di apertura

Apertura eccezionale per la storica filiale di Tenero. (Ti-Press)

Azione

Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni

Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni

Lunedì-venerdì dalle 08.00 alle 18.30 (dal 12 giugno al 1° settembre chiusura alle 19.00). Giovedì dalle 08.00 alle 20.00. Sabato dalle 08.00 alle 18.00. Tel. 091 821 77 50. Editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino Telefono 091 850 81 11 Stampa Centro Stampa Ticino SA Via Industria 6933 Muzzano Telefono 091 960 31 31

si basta andare sul sito ufficiale www. stralugano.ch. La StraLugano fa parte del circuito «Serie Corse SportXX» (www.sportxx.ch/serie-corse) che annovera per quest’anno 10 fra le più importanti manifestazioni di corse popolari a livello nazionale. All’insegna di «corri e approfitta», gli appassionati

che parteciperanno a più corse, riceveranno interessanti buoni. Ci vediamo alla StraLugano! / RF

StraLugano, 20 e 21 maggio, Lugano

Si ristruttura a Stabio Filiali Dal 15 maggio al 21 giugno allestito

un punto di vendita temporaneo Aperta nel 1982, l’attuale filiale di Stabio necessita di un rinnovamento. Per garantire alla clientela i più alti standard qualitativi di Migros Ticino e la possibilità di usufruire di un supermercato moderno, al passo con i tempi, è quindi giunto il momento di un completo lifting dello spazio di vendita. Per garantire il

fabbisogno di generi di prima necessità durante il periodo dei lavori, sarà a disposizione della popolazione un negozio transitorio, ubicato in via Cantonale 18, a due passi dall’esercizio in rifacimento. Migros Ticino si scusa sin d’ora con la gentile clientela per il momentaneo disagio.

Non molliamo l’agroalimentare ticinese! da pagina 1

con i quali definiamo i livelli di controllo, in particolare per quanto concerne i fornitori locali mediopiccoli a conduzione famigliare e con produzioni di tipo artigianale o semi artigianale, che a causa delle loro dimensioni non sempre riescono a dotarsi delle più moderne infrastrutture tecniche e amministrative. Per noi sarebbe molto più facile e meno rischioso rifornirci solo da aziende leader più grandi (generalmente d’oltre Gottardo o estere) che lavorano con metodi e processi industriali. Così facendo limiteremmo però il nostro contributo all’economia

locale e non potremmo venire incontro alla richiesta di prodotti tipici a km zero. Per questo motivo, malgrado lo spiacevole incidente, intendiamo continuare la collaborazione con le aziende del nostro territorio, anche se piccole o piccolissime. La cooperativa si scusa nuovamente con la clientela per quanto successo e spera che ciò non abbia compromesso la fiducia dei consumatori nei suoi confronti e nei confronti del settore agroalimentare ticinese, già confrontato con una situazione di mercato difficile, che ha bisogno e merita il sostegno e la fiducia della popolazione. / LE

Tiratura 101’614 copie

Abbonamenti e cambio indirizzi Telefono 091 850 82 31 dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@migrosticino.ch

Inserzioni: Migros Ticino Reparto pubblicità CH-6592 S. Antonino Tel 091 850 82 91 fax 091 850 84 00 pubblicita@migrosticino.ch

Costi di abbonamento annuo Svizzera: Fr. 48.– Estero: a partire da Fr. 70.–


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 maggio 2017 • N. 20

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Società e Territorio Una giornata in carcere Un incontro con i detenuti che si dedicano ad attività lavorative e di formazione

L’intelligenza emotiva Perché l’empatia aiuta i bambini a crescere più equilibrati? Intervista a Elena Bernasconi-Tabellini esperta di comunicazione nonviolenta pagina 6

I lettori sostengono «Republik» La Svizzera tedesca assiste al successo della raccolta fondi per la creazione di una nuova testata online: una ribellione di più di 11mila lettori pagina 8

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Le mamme a volte faticano a trovare un equilibrio tra impegni lavorativi e accudimento dei figli. (Keystone)

Ritrovare un senso di comunità

Famiglia A Lugano è stato presentato 8Hz, un progetto di coworking dedicato ai genitori, un’idea innovativa

per conciliare impegni lavorativi e familiari Valentina Grignoli La conciliazione tra famiglia e lavoro è per molte mamme, ancora oggi, tema delicato. Lasciare il proprio bambino, sovente neonato, per poter continuare la propria attività professionale senza sensi di colpa non è facile. Spesso mancano le strutture adeguate, e molte volte non ci si sente legittimate a continuare il proprio percorso professionale. Proprio in nome di questa difficile conciliazione nasce 8Hz, un progetto particolarmente interessante di family coworking dedicato ai genitori che lavorano, che mira, come simbolicamente suggerisce il nome 8Hz (banda di frequenza nell’uomo con la quale il cervello attiva la creatività e un generale stato di benessere), a ridurre lo stress e creare sintonie. Come? Semplice, lavorando in una struttura, idealmente una vera e propria casa, insieme ai propri bambini, pensata e costruita per permettere a mamme e papà di svolgere le proprie attività da freelance, o tramite il telelavoro, mentre al piano di sotto i bambini giocano, mangiano e dormono, accuditi da personale qualificato. Quindi, senza la necessità di correre da un capo all’altro della città per lasciare o recu-

perare i bambini, per occuparsi di tutte le faccende pratiche legate alla gestione di famiglia e lavoro contemporaneamente. 8Hz pensa la sua sede a Lugano, mirando idealmente a una collaborazione attiva con il Comune . «L’idea è nata insieme ad altre due amiche neo mamme, Chiara Di Palma e Selva Varengo – collaboratrici del progetto – quando abbiamo iniziato l’esperienza dell’essere genitori. Insieme ci siamo ritrovate a condividere gioie e dolori della maternità, a sostenerci», ci racconta la promotrice di 8Hz Assunta Ranieri Bernasconi. Forti di un ritrovato senso di comunità e ispirate dalle riuscite esperienze in tal senso di Roma (www.lalveare.it) e Milano (www.pianoc.it), le tre donne hanno deciso di buttarsi in questa avventura. «Come promotrice e socia fondatrice di Spazio 1929, il primo coworking in Ticino, ho fiducia nella riuscita di questo progetto, forse utopico, ma certo realizzabile». Basti pensare che in grandi città come Parigi (www.coworkcreche.paris) o Berlino (www.coworkingtoddler.com) questa è già una realtà, e senza andare così lontano anche a Ginevra (www. soft-space.ch). «Parlandone, mi sono accorta

della necessità di uno spazio simile, e del bisogno di tornare a una vita più comunitaria», continua Assunta. In occasione della presentazione di 8Hz alla popolazione, molte neo famiglie si sono presentate con quesiti e proposte legati a questo innovativo progetto di coworking family. «È stato molto utile avere un’idea delle esigenze per capire come muoverci». La promotrice si dà tempo sino alla fine dell’anno per verificare la concreta fattibilità e per riuscire a raccogliere sostegni da enti e associazioni del territorio e adesioni di eventuali coworker interessati. Attualmente è inoltre in corso una campagna di crowdfunding sul portale wemakeit. L’esigenza di uno spazio del genere è, secondo Assunta Ranieri, «sempre più percepibile attorno a noi, tra le fila di quella generazione di uomini e donne con un figlio appena nato. L’esigenza di conciliazione si rivela sempre più spesso una problematica non facile da affrontare, anche a causa dei profondi mutamenti che la nostra società sta vivendo». Testimonia questo bisogno sul territorio anche la mostra in corso al Castelgrande La scoperta del mondo, un’iniziativa dell’associazione «Voce per la

qualità», incentrata sull’importanza dello sviluppo della prima infanzia, che propone uno sguardo a tutto campo sul mondo dei bambini. Corredata di esempi e cifre, illustra la situazione attuale delle famiglie e delle strutture in Svizzera in rapporto ai primi anni di vita dei bambini. Scopriamo, tra le tante cose, come in Ticino l’accudimento dei bambini in tenera età sia ancora soprattutto appannaggio esclusivo di genitori e nonni, per la mancanza di strutture adeguate forse, ma anche per un fattore culturale. La società cambia, si diceva, e così dovrebbe il ruolo della madre, che però a volte sembra faticare a rimanere al passo. Se da una parte infatti c’è la necessità, economica e di soddisfazione professionale, dall’altra esiste ancora radicato nelle madri il bisogno di accudire personalmente i propri figli, la difficoltà del distacco, e la visione di una struttura familiare tradizionale ancora tenacemente presente. Le madri d’oggi fanno spesso fatica a trovare un giusto equilibrio, sentendosi a volte sole. Ed è qui che quel senso di comunità citato da Assunta Ranieri riguardo l’esperienza del family coworking prende importanza: un luogo dove, oltre

che lavorare, famiglie diverse possano confrontarsi; una casa condivisa tra lavoro e famiglia, ma anche tra famiglia e famiglia, dove i figli possono crescere e imparare insieme. Non solo condivisione d’esperienza però, anche il sostegno da parte della società in cui viviamo e delle istituzioni che ci rappresentano sono fondamentali. E in questo senso il recente annuncio dello stanziamento di 100 milioni di franchi a sostegno delle famiglie che lavorano è un’ottima notizia. Seguendo il Consiglio degli Stati, il Nazionale ha infatti accolto il 2 maggio scorso un progetto del Governo che prevede lo stanziamento di questa cifra per cinque anni a titolo d’incentivo. Il dossier, pronto per le votazioni finali, propone di sostenere i Cantoni, affinché assieme ai Comuni possano aumentare i sussidi a favore degli asili nido ma anche di adeguare l’offerta di servizi di custodia ai bisogni dei genitori. Il progetto, sostenuto da Ppd, Socialisti e Verdi, dimostra come la stessa Confederazione non sia estranea alla tematica e anzi, si stia adoperando a rendere meno difficile l’esperienza della maternità per le donne che lavorano, legittimandole con il suo sostegno.


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Bermuda chino

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 maggio 2017 • N. 20

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Società e Territorio

Prepararsi alla vita in libertà

Carceri Una giornata trascorsa alla Farera e alla Stampa, con i detenuti che si dedicano ad attività

di lavoro e formazione

Sara Rossi Guidicelli Ho sentito dire che il carcere è la peggior cosa che ti possa capitare, che è troppo duro, che lì succede di tutto. Altri invece dicono che è troppo molle, che sembra un cinque stelle, che stai meglio lì che fuori. La verità sta nel mezzo, come quasi sempre? Forse sta semplicemente da un’altra parte. Mi permettono di trascorrervi una giornata, a vedere come si passa il tempo, qui, dalla mattina alla sera. Mi accompagna dappertutto Valentino Luccini, uno dei capi sorveglianti in forza alla struttura; è anche collaboratore alla formazione del personale, all’equipaggiamento delle guardie e responsabile antincendio. Scopro prima di tutto che entrare in un centro di detenzione significa entrare in una società, composta da persone; una società diversa da quella in cui vivo, ma che cerca di assomigliarle. Perché? Per un motivo che sta alla base di questa struttura: Luccini mi spiega che c’è un articolo di legge che per tutti quelli che lavorano nel suo ambito è più importante di qualunque altra cosa, l’articolo 75 del codice penale, che dice che il «compito del carcere è di preparare il detenuto alla vita in libertà». Anzi: che bisogna preparare insieme a lui la sua futura vita in libertà.

Da dieci anni si ha la possibilità di formarsi in carcere con la scuola In-oltre organizzata con la Spai di Locarno Per i carcerati c’è l’obbligo di lavorare. Si riceve uno stipendio di 33 franchi al giorno, che viene suddiviso in quattro parti: una per contribuire al proprio sostentamento; una che viene bloccata per il momento della liberazione; un’altra per le spese come cassa malati, risarcimento alle vittime, spese processuali; un’ultima infine per gli sfizi: sigarette e prodotti che si possono acquistare nel piccolo spaccio del carcere. Se qualcuno desidera avere la televisione o il computer in camera, deve pagarseli, con una quota giornaliera. «Siamo quasi un’autarchia», mi dice il direttore, Stefano Laffranchini. «C’è chi pulisce gli spazi comuni, chi aiuta in cucina, chi lava e chi stira; c’è la squadra che si occupa della manutenzione interna e gli orti coltivati dai detenuti collocati in sezione aperta». E poi ci sono i laboratori: lavori di cartonaggio, legatoria, stamperia, fale-

Il laboratorio di legatoria e stamperia all’interno della Stampa.

gnameria, lavanderia, che si eseguono per enti esterni, pubblici o privati. C’è chi lavora il vetro e chi lavora per ditte che producono giocattoli, mettendo insieme tutti i pezzi dei giochi nella scatola. Infine, importantissima conquista, fiore all’occhiello delle carceri ticinesi, ammirate per questo da tutti i colleghi degli altri cantoni svizzeri: la formazione. È Mauro Broggini l’ideatore e il coordinatore di questa scuola chiamata In-oltre, che è in pratica una sottosede della Spai di Locarno, ed è giunta al suo decimo anno di esistenza. La prima visita che faccio è a un gruppo di donne che sta imparando alcune basi dell’informatica. L’aula è allegra seppur semplice: alle pareti bellissimi disegni del corso di pittura, un sole che ride, uno che piange, composizioni floreali, poster di mostre d’arte, mappe dell’Europa. Alla lavagna, una frase di Albert Einstein: Presta le tue orecchie a tutti, la tua voce a pochi. «Il nostro insegnante Massimo è bravissimo!», mi dicono le ragazze. «Ti prego, parla bene di Elia, il maestro di disegno: è giovane, studia ancora, ma insegna qui da noi due volte alla settimana come volontario», esclama subito una di loro e un’altra aggiunge: «Io voglio dire bene di Tamara: viene il martedì e il venerdì, ci fa cucina. Possiamo cucinare le nostre cose e mangiare insieme. Siamo qui come salami, mi spiace dirlo, però non c’è posto per noi, stiamo sempre in cella da sole e non vediamo l’ora che arrivi martedì e venerdì per non mangiare da sole». Le donne infatti sono in condizioni diverse rispetto agli uomini: stanno alla Farera, che è il carcere preventivo,

in attesa della sentenza, dove si sta in cella 23 ore su 24 con un’ora d’aria. Una volta arrivata la sentenza, gli uomini vanno a scontare la pena alla Stampa, l’edificio a fianco, dove si muovono più liberamente, lavorano durante il giorno, hanno la possibilità di mangiare in un locale comune al piano della sezione, costruiscono il loro programma di «preparazione alla vita libera». Per le donne però non esiste più un carcere in Ticino, quindi vanno spostate nel canton Berna o nel canton Vaud, tranne che per pene brevi. Stanno più a lungo quindi alla Farera, seppur con un regime che consente loro di trascorre dalle 6 alle 7 ore fuori cella, e per loro le mattinate con gli insegnanti di In-oltre sono la luce nel tunnel di quel difficile periodo di vita. Mauro Broggini ha gli occhi intensi blu che scintillano mentre parla di come ha realizzato il suo sogno di aprire una scuola in carcere. Non ci sono mai stati problemi per la quindicina di insegnanti della Spai che vengono qui a completare il loro orario di lavoro. «Insegniamo le materie base, italiano, francese, inglese, informatica, cucina, creazione di azienda, cultura generale, pittura, e i detenuti possono scegliere al massimo tre mezze giornate a settimana di corso. In quei momenti ricevono solo la metà dello “stipendio” ma non per questo rinunciano in molti. L’anno prossimo vorrei introdurre il tedesco, perché alcuni me lo hanno chiesto». Ha portato oggi per la seconda volta un parrucchiere e vado a vedere il corso di coiffure: tre ragazzi stanno imparando e tre signori fanno da «cavie».

Per Luca, capoarte che dirige il laboratorio di cartonaggio, è più difficile. Non tutti quelli che lavorano da lui sono così disciplinati e entusiasti. «Sai, mi sono già sentito dire più di una volta “Se volevo lavorare, non ero qui”. Non è facile». Bisogna creare rapporti di empatia senza né ferire né essere feriti. Me lo spiega Valentino, che forma chi entra in carcere per avere a che fare con i detenuti, che siano agenti di custodia, capiarte, assistenti sociali o insegnanti. «Io sono stato tradito da alcuni di loro, a volte. Ci vuole equilibrio e tanta esperienza. Non diventiamo amici, ma cerchiamo di avere buoni rapporti, di rispetto e empatia, che è la parola principale». Mentre mi parla, usciamo all’aria aperta. Confesso al mio accompagnatore che mi immaginavo tutt’altro ambiente, in carcere. Vedere la realtà significa spesso estirpare preconcetti basati su film, fantasie o stereotipi. Quello che osservo alla Stampa è una società di persone che, mi rendo conto, non potrò capire in un giorno solo. Siamo ora nel cortile interno, vuoto, perché i detenuti sono tutti al lavoro o ai corsi, con il prato utilizzato anche per giocare a calcio, un rododendro rosso, il portico tutt’intorno e le quattro braccia dei dormitori. Su ogni piano vive un’unità di 15-16 persone, con un bagno, una cucina, un ufficio di sorveglianza. Ora la squadra di manutenzione interna sta eseguendo i lavori di restauro di una delle sezioni. Li segue e li dirige un agente di custodia con competenze in ambito edile. L’ultima visita del pomeriggio è nel laboratorio di lavanderia e stireria.

Chiedo al capoarte se ama il suo lavoro: «Sono trent’anni che lo faccio», mi risponde convinto. Lì ho la possibilità di conoscere e di intrattenermi con un gentiluomo colto e distinto, che prova a raccontarmi la sua esperienza dal suo arrivo alla Stampa a oggi. «Quando mi hanno arrestato, lei non ci crederà, ma sono stato sollevato. Ho capito che la mia vita precedente non sarebbe mai più tornata e ho sperato di avere un palazzo interiore sufficientemente ricco per abitarvi confortevolmente negli anni a venire». Niente più corse, niente più telefono, niente internet, ma tempo per riflettere, per studiare filosofia e storia dell’arte. Lui che un tempo frequentava i sarti per farsi confezionare vestiti su misura, ora rammenda i calzini degli altri. È un mestiere che si è inventato lui, e lo svolge a titolo puramente gratuito. «Non lo avrei mai fatto prima. Aiutare qualcuno così. Siamo una grande famiglia qui e mentre lavoro in lavanderia vedo i buchi, i capi da rammendare o da sistemare. Ho cercato di imparare da solo e dopo il lavoro mi occupo di cucire quello che c’è da cucire». È un artista e così, con arte, cerca di dare una seconda vita ai vestiti troppo usati. Qui, ritagliarsi uno spazio individuale è come una religione, mi spiega. «La ricerca di ciò che ti distingue dagli altri equivale a trovare la libertà». Certo, aggiunge, né lui né chi lo ascolta deve farsi illusioni: stiamo parlando di un carcere svizzero, non certo simile a certe prigioni in altri luoghi del mondo. Qui la vita non si spegne, anzi, può continuare ed evolversi, come nel suo caso. «Scrivo e traduco per gli altri. Dipingo per me stesso. Mi hanno legato le mani e le mie mani hanno cominciato a riposare e ora si muovono con più cuore, più cervello e più esperienza di prima. L’altro giorno ho letto Pinocchio a un ragazzo africano... Questa è una delle cose che rimarranno nel mio palazzo interiore, tra le più preziose». Finisce il pomeriggio, devo uscire. Saluto Valentino, saluto le mura, mi vengono parole che non so dire. Ho sbirciato un mondo di dolore e speranza, come tutti i mondi, e ora mi gira in testa solo una frase di Albert Camus: «Il carcere gli insegnò che la vera arte non può essere superiore alla vita». Torno a casa e scrivo, come promesso mando da rileggere. Il signore colto in detenzione mi dice solo: «Quelle parole attribuite ad Albert Einstein sono in realtà una parafrasi di Shakespeare». Controllo, è vero. È Polonio, il chiacchierone che verrà ucciso da Amleto, a consigliare a suo figlio Laerte di prestare orecchio a tutti, ma la voce a pochi.

L’emigrazione ticinese oltremare

Editoria È stato da poco pubblicato Cielo e terra, il nuovo lavoro dello storico Giorgio Cheda Piergiorgio Baroni L’emigrazione ticinese oltremare, dalla seconda metà dell’Ottocento, ha segnato fortemente i destini del nostro cantone. Oltre quarantamila ticinesi, sull’arco di un secolo (1850-1950), sono andati in California, in Sudamerica e in Australia. Il maggior contingente? Quello delle valli superiori (27mila in California), ai quali vanno aggiunti 12mila sottocenerini, emigrati in Argentina e nazioni limitrofe dell’area sudamericana, più un migliaio di nostri conterranei che avevano scelto la lontanissima Australia. Il «motore» di questa emigrazione epocale non è stato soltanto il Gold Rush, la corsa all’oro, e l’espulsione dall’Italia di diverse migliaia di ticinesi, decretata dal governo

austriaco all’epoca insediato nella Pianura Padana. Anche l’endemica povertà economica delle valli aveva fatto sì che le migliori forze lavorative venissero sottratte ai lavori «rupestri» per tentare l’avventura oltreoceano. Il professor Giorgio Cheda ha investito tempo ed energie per documentare (attraverso le lettere scritte dagli emigrati e quelle dei «rimasti» nelle valli) fatti e situazioni, inseriti nel contesto dall’emigrazione europea verso il Nuovo e il Nuovissimo continente. La recente pubblicazione dal titolo Cielo e terra (edizioni Oltremare) è la somma di una serie di libri che Cheda, con grande metodo e passione, ha dedicato al tema migratorio. Seguendo, attraverso gli scritti dei protagonisti, i percorsi che potevano durare mesi di navigazio-

ne, sui mari del globo terracqueo, prima di giungere a destinazione. Gli emigrati, in massima parte, grazie alle scuole cappellaniche e pubbliche, erano in grado di descrivere il vissuto, le fatiche dell’adattamento alla nuova situazione. Ma anche i momenti di incontro con altri emigrati, sogni e progetti per un futuro meno carico di difficoltà economiche. Il loro rapporto con i «rimasti» in valle era anche di sostegno, privato e pubblico, per il finanziamento di case, chiese, cappelle, asili e quanto poteva servire alla comunità dalla quale erano partiti. «Da ragazzo mi aveva sempre incuriosito il solido baule arrivato, con mio padre, dalla California (...) un vero e proprio gioiello, se paragonato alle bisacce di chi partiva». Una frase emblematica di Giorgio Che-

da, che mette in evidenza lo stimolo alla conoscenza, al «guardare oltre» che lo ha fisicamente portato, in California e Australia, a ricercare testimonianze sul posto, a rovistare nelle cancellerie, ad ascoltare gli emigrati di seconda e terza generazione. Cielo e terra è germogliato con la ristampa della Storia della Vallemaggia di don Martino Signorelli. «Un’opera – scrive Cheda – esuberante di informazioni riguardanti la millenaria tradizione cristiana che ha sollecitato una riflessione sull’evoluzione delle mentalità collettive e delle pratiche culturali di una minuscola comunità». Il cielo e la terra «sono i due poli dell’avventura umana, indispensabili per analizzare le concezioni religiose e le strutture materiali di ogni comunità e che riassumono le pe-

ripezie di quegli emigrati». Un quadro che esce rafforzato, soprattutto culturalmente. Le autorità politiche e scolastiche del nostro cantone dovrebbero, secondo l’autore, considerarlo in misura maggiore. Anche perché molti dei nostri giovani dovranno emigrare, per capire meglio i tempi che stiamo ora attraversando.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 maggio 2017 • N. 20

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Società e Territorio

Educare all’intelligenza emotiva

Bambini L’empatia aiuta i nostri figli a crescere più equilibrati, sereni, sicuri di sé e a essere più felici. I consigli

di Elena Bernasconi-Tabellini esperta di comunicazione nonviolenta Elisabetta Oppo La comunicazione empatica, e l’importanza dell’insegnamento della stessa ai bambini, è diventata, oggigiorno, un tema di stretta attualità. Attraverso l’apprendimento dell’empatia, infatti, si offre ai bambini un’occasione di crescita, la possibilità di gestire meglio i momenti di crisi e una maggiore preparazione nell’affrontare le difficoltà della vita. La pedagogia ha lavorato molto sulle tecniche per sviluppare l’empatia nei bambini, attraverso giochi di ruolo o semplicemente sistemi e tecniche educative. Abbiamo approfondito l’argomento con Elena Bernasconi-Tabellini, istruttore certificato presso il Centro di Comunicazione Nonviolenta. Signora Bernasconi-Tabellini, partiamo dal concetto di base, che cosa si intende per empatia?

L’empatia in generale è la capacità di mettersi nei panni dell’altra persona, sintonizzandosi con ciò che sente e attivandoci per prenderci cura dei suoi bisogni. Secondo la comunicazione empatica, che si ispira alla comunicazione nonviolenta sviluppata da Marshall Rosenberg, l’empatia fa parte della nostra natura. La cultura prevalente e il linguaggio che ci viene insegnato, purtroppo, ci fa però allontanare dalla nostra natura empatica. Nel linguaggio abituale, infatti, abbiamo appreso a dire cosa non va in noi o negli altri, a cercare i colpevoli del nostro disagio o di quello di altri. Differenze o conflitti vengono affrontati accusandoci a vicenda, con conseguente disagio, stress, distanza tra le persone, ribellione o mancanza di motivazione nel nostro agire. Attraverso la consapevolezza e la pratica della comunicazione empatica è possibile risvegliare il nostro naturale desiderio di contribuire al benessere di tutti. Perché è importante che i bambini imparino l’empatia già da piccolissimi?

Come sostiene l’ASPI: «Un bambino rispettato sarà un adulto rispettoso». Da varie ricerche risulta che una persona che riceve amore, protezione, affetto e comprensione nei primi anni di vita tenderà a sviluppare maggiormente la capacità di empatia rispetto a chi riceve

rifiuto, freddezza, indifferenza o abusi, che tenderà piuttosto a sviluppare comportamenti ostili e aggressivi verso gli altri. I piccoli possono apprendere la comunicazione empatica interagendo con adulti che l’adottano. Nei paesi nordici il sistema educativo sostiene lo sviluppo di queste competenze comunicative empatiche nei bimbi come accompagnamento nello sviluppo come esseri sociali. Il cuore del concetto della comunicazione empatica sono i bisogni e i valori universali, condivisi dall’intera umanità, indipendentemente dall’età, il genere o la cultura. I bambini apprendono ad ascoltare se stessi e gli altri e a sviluppare maggior creatività nella gestione delle differenze e dei conflitti.

Un bambino può avere una peculiarità innata che gli permetta di essere più empatico di un altro?

Non ho informazioni in merito all’esistenza di peculiarità innate. Quello che so è che, stando a delle recenti scoperte, tutti disponiamo dei cosiddetti «neuroni specchio» che ci permettono di «vivere» dentro di noi le sensazioni di quello che un’altra persona, che stiamo osservando, sta vivendo. Secondo la mia esperienza, basta offrire un paio di spunti e i bambini possono entrare facilmente in contatto con sentimenti e bisogni universali, molto più velocemente di noi adulti, dato che hanno meno strati di condizionamento culturale ed educativo. Quanto influisce l’ambiente familiare nella capacità di un bambino di sviluppare l’empatia?

La presenza di figure adulte comprensive e affettuose, che incoraggiano a coltivare valori sociali positivi quali l’espressione onesta, l’ascolto empatico e il rispetto reciproco, senza ricorrere a punizioni o premi, che esprimono in modo chiaro e assertivo i propri bisogni e considerano quelli dei bambini nella ricerca di soluzioni, può facilitare la crescita di bambini indipendenti, equilibrati e con una maggiore propensione alla risoluzione collaborativa di conflitti o differenze. Da adulto, di quali benefici può godere un bambino al quale è stata insegnata l’empatia, rispetto a uno che ne è rimasto estraneo?

Per i bambini e i ragazzi è essenziale stimolare una sana rete di amicizie e relazioni non mediate dalle tecnologie. (Marka)

I bambini potranno crescere con una buona autostima, sapranno esprimersi in modo autentico e rispettoso, sapranno essere più aperti all’ascolto, potranno sviluppare un senso di fiducia, collaborazione e creatività, con un conseguente benessere individuale nonché sociale. Agendo mossi da motivazioni intrinseche, tenderanno a essere più capaci di auto-regolarsi e ad avere maggiore auto-disciplina.

Quanto il contatto sempre maggiore con le nuove tecnologie ostacola nel bambino l’apprendimento dell’empatia?

Non ho dati in merito. Quello che mi sento di dire è che le nuove tecnologie sono appunto tecnologie e in quanto tali non ci aiutano a relazionarci con gli altri. Mi ricordo che qualche anno fa, durante un corso di comunicazione empatica con un gruppo di 17-18enni di Ancona, con mio stupore i ragazzi mi dissero che sapevano usare bene le nuove tecnologie, ma che loro volevano imparare a rompere il ghiaccio tra esseri umani, ossia in situazioni di relazioni non mediate dalle tecnologie. Il mio suggerimento pertanto è quello di offrire e stimolare possibilità di incontro di persona tra coetanei. Un invito accorato che faccio ai genitori è di ricreare una sana rete di amicizie

e sostegno reciproco tra famiglie, per facilitare gli incontri di gioco al di fuori della scuola.

Dal punto di vista pratico come si può insegnare l’empatia ai bambini?

L’ascolto attivo ed empatico si può praticare in silenzio, quindi anche con i neonati e i più piccoli. Basta osservare il non verbale e provare a chiedersi come si sentano e di cosa potrebbero aver bisogno. Se si vuole usare le parole, si può adattare il linguaggio alla comprensione dei bambini più piccoli. Ad esempio possiamo chiedere se per il bambino è importante «che tutti vengano trattati allo stesso modo», anziché usare la parola equità. Oppure se per lui o lei è importante «poter dire la sua», anziché parlare di scelta o espressione. I bambini, a volte, possono esprimere rabbia perché si sentono dipendenti, frustrazione perché non riescono a farsi capire, delusione perché si sentono incompresi. Di fronte a queste forti manifestazioni di disagio, come genitori possiamo prenderci un breve momento per gestire la nostra risposta interiore. Per esempio potremmo prendere atto che siamo stanchi e vorremmo averla più facile e poter andare a riposarci. Il solo prendere atto di questi sentimenti e bisogni dentro di noi può aiutarci verso

un ascolto sincero dei bambini. Dopo aver ascoltato, potremo a nostra volta esprimere i nostri sentimenti e bisogni riguardo alla situazione e chiedere loro di cercare insieme soluzioni che considerino i bisogni di tutti. I bambini apprendono così che il loro punto di vista non è l’unico valido, che altri hanno sentimenti, bisogni e idee differenti. Sulla base di queste esperienze possono sviluppare una capacità di comprensione e una disponibilità alla risoluzione collaborativa dei problemi.

Nelle scuole danesi si insegna l’empatia, anche qui in Ticino si iniziano a muovere i primi passi…

Credo che la scuola sia una «palestra di vita» in cui i bambini apprendono non solo nozioni, ma imparano anche a rapportarsi con gli altri, a comunicare, a gestire i propri stati d’animo e a sviluppare tutte quelle competenze relazionali che saranno loro utili nella vita. Sono felice di notare che in Ticino si sta facendo sempre di più in questo senso. Per quanto mi riguarda, attualmente collaboro con una classe di elementari dell’Istituto di Lugano con un itinerario di giochi e riflessioni per portare l’empatia in classe e propongo corsi nell’ambito dell’offerta di formazione continua dell’Istituto scolastico di Lugano. Annuncio pubblicitario

Fare la cosa giusta

Quando la povertà mostra il suo volto Per saperne di più su Sayed e sulla sua famiglia: www.farelacosagiusta.caritas.ch

Sayed Jamshidi (13) è fuggito in Svizzera senza i genitori


PUNTI. RISPARMIO. EMOZIONI.

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Gli Jarabe de Palo tornano sui palchi a festeggiare i 20 anni della loro carriera: La Flaca, Bonito, Agua, Dipende, reinterpretati in una nuova veste, insieme a qualche inedito, in un’unica successione di 90 minuti di grande musica e ritmo nello straordinario scenario della corte interna del Castelgrande di Bellinzona.

Il Festival internazionale di lirica e balletto ospita al Palazzetto Fevi tre eventi internazionali che, dopo aver conquistato migliaia di spettatori nel mondo, incanteranno il pubblico locarnese: l’opera La Traviata, il balletto Romeo e Giulietta e l’opera Madama Butterfly.

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Quattro meravigliosi eventi di musica classica da gustare all’Ascona Music Festival. – 20/27.5: trii di Beethoven (Robert Zimansky, Stephan Rieckhoff, Daniel Levy) – 3.6: opere di Mendelssohn e Schumann (Christoph Schiller, Dmitry Rasul-Kareyev, Daniel Levy) – 10.6: opere di Mendelssohn e Schumann (recital del pianista Daniel Levy)

Nel 2017 i ritmi e l’atmosfera di New Orleans conquisteranno Ascona per la trentatreesima volta, regalando al pubblico un’estate all’insegna della musica e dell’arte culinaria della Louisiana. Il festival offre più di 180 concerti in 10 giorni, jam session, omaggi a leggende, la finale dello Swiss Jazz Award e band di rilievo da New Orleans e dall’Europa.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 maggio 2017 • N. 20

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Società e Territorio Il giornalista Constantin Seibt con alcuni sostenitori di «Republik». (republik.ch)

Una finestra sul Mendrisiotto Testimonianze «L’Informatore»

ha pubblicato una raccolta di ritratti curati da Guido Codoni Roberto Porta

La ribellione dei lettori Media P iù di 11mila abbonati e quasi 3 milioni di franchi raccolti

con il crowdfunding: sono i numeri di «Republik» la nuova testata politica online, una novità nel mondo del giornalismo svizzero

Natascha Fioretti Da qualche giorno nel giornalismo svizzero la nuova parola d’ordine è «Republik». E il sentimento ad essa associato, per una volta, non è quello della disfatta ma della voglia di rivincita, la voce non è quella di un lamento funebre ma il grido appassionato di chi ancora crede in un giornalismo di qualità, indipendente, dei cittadini e per i cittadini. «Nel giornalismo svizzero c’è bisogno di una piccola ribellione» spiegavano all’inizio del progetto Constantin Seibt e Christof Moser, confondatori del magazine politico online pensato per l’era digitale. Poi è arrivato il successo inatteso della più grande campagna crowdfunding mai vista nel mondo del giornalismo, non solo Svizzero, che promette di fare storia. Se la piattaforma di giornalismo olandese «The Correspondent» nel 2013 raccolse circa 1,7 milioni di euro in una settimana, «Republik» stabilisce un nuovo record: 2,5 milioni di franchi (che vanno ad aggiungersi ai 3,5 milioni di franchi messi sul piatto dagli investitori) e oltre 10’000 abbonati in pochi giorni. Nel momento di grande sfiducia che il quinto potere sta vivendo, le persone, contro ogni previsione, hanno dimostrato di credere ancora in un giornalismo che promette informazione e approfondimento di qualità, libera dalle logiche dei grandi editori, senza pubblicità e, soprattutto, volto a restituire alla professione la legittimità, la dignità, l’autorevolezza e il ruolo che in una democrazia gli appartiene. La campagna prosegue fino a fine maggio, se volete prendere parte alla rivoluzione andate su www.republik.ch. Noi, in attesa che il magazine diventi realtà a inizio 2018, ne abbiamo parlato con Constantin Seibt che vi assicuro non è un idealista ma un pragmatico realista. Signor Seibt, quale titolo sceglierebbe se, come giornalista di un quotidiano e non come cofondatore, dovesse raccontare il successo di questa campagna?

La piccola grande ribellione dei lettori. Stando ai numeri della piattaforma crowdfunding siete a oltre undicimila abbonati e quasi 3 milioni di

franchi raccolti. La ribellione cresce a vista d’occhio, non crede?

Lo spero, questa ribellione deve crescere se vogliamo soddisfare l’aspettativa del nostro business plan di arrivare a 22’000 abbonati. Solo così potremmo camminare con le nostre gambe. Ci importano due cose: fare un magazine davvero strepitoso, che al tempo stesso diverta e abbia un senso, e creare un nuovo modello sostenibile per il giornalismo. Se saremo in grado, lo sapremo nel momento in cui il prodotto sarà redditizio sul mercato. Poi, dal momento che faremo utili, rappresenteremo anche un’alternativa alle altre testate e a quel punto anche i grandi editori svizzeri dovranno prenderci sul serio, non saremo più dei ribelli ma dei veri concorrenti. Si dice sempre che i lettori disposti a pagare sono una categoria in via d’estinzione, stando al vostro crowdfunding sembra una bufala, cosa dice?

È una vecchia malattia diffusa tra i giornalisti, e ancora di più tra gli editori, quella di pensare che i lettori non siano interessati a contenuti intelligenti e di spessore. Ci hanno sempre chiesto quale fosse il nostro pubblico di riferimento e noi abbiamo sempre risposto «i lettori». I lettori sono persone curiose, energiche disposte ancora a pagare qualcosa. Certo, dopo un simile successo, abbiamo il compito di non deludere le loro aspettative e la grande fiducia riposta.

Marc Walder, CEO di Ringier, in un’intervista sulla «Neue Zürcher Zeitung» ha detto che per un’azienda come Ringier puntare sul giornalismo è pericoloso e rischioso. Cosa ne pensa?

I grandi editori, per sopravvivere, devono realizzare grossi fatturati e grossi ricavi per gli azionisti e oggi con il giornalismo non si riescono più a soddisfare entrambe le condizioni. Per questo in molti abbandonano il campo. Credo però che si dimentichino di due elementi fondamentali: da un lato la loro responsabilità verso gli azionisti, dall’altra verso l’opinione pubblica. Gli editori hanno la responsabilità di produrre informazione assennata, vitale per una democrazia sana. Non è

pensabile dirigere aziende di queste dimensioni con un business model come il nostro, credo piuttosto che si debba pensare ad un giornalismo finanziato dalle fondazioni. L’informazione è come un nutrimento costante di cui non possiamo fare a meno, è necessario trovare altre strade. Uno scrittore svizzero mi raccontava che nel 1981 per un suo pezzo a tutta pagina la NZZ pagava sui 2000 franchi, oggi per lo stesso articolo ne offre 500. Voi avrete dei collaboratori esterni, che condizioni offrirete?

Ha avuto fortuna. Oggi a chi collabora con il «Feuilleton» della NZZ gli viene detto che è un privilegiato e i compensi oscillano tra i 200 e i 300 franchi, ad articolo. Significa che oggi il lusso di scrivere e di collaborare possono permetterselo solo le persone che vivono di un altro mestiere o di altre entrate. Noi pagheremo dei compensi giusti perché è l’unico modo per chiedere ai giornalisti e agli autori dei contributi di qualità. La qualità non è, e non può essere, solo una coincidenza. Come modello vi siete ispirati alla piattaforma giornalistica olandese «The Correspondent» che ora pubblica anche in inglese. Anche voi uscirete più lingue?

Per il momento pensiamo di allargare la nostra attenzione alla cultura, all’economia e di espanderci nella Svizzera romanda e, forse, in Germania. Prima però dobbiamo dimostrare di essere in grado di portare avanti il nostro progetto di partenza pensato per il mercato della Svizzera tedesca.

Una fotografia scattata dall’interno della masseria di Vigino, a Castel San Pietro. Oggi abbandonata e completamente in rovina, quella fattoria rappresenta uno dei simboli del Mendrisiotto contadino di un tempo. Un telo di plastica squarciato che ricopre una delle finestre andate in frantumi di quell’edificio. Oltre lo squarcio si intravvede un albero e poco più lontano uno scorcio dell’orizzonte momò. È l’immagine di copertina del volume Testimonianze, scritto da Guido Codoni e pubblicato sul finire dell’anno scorso dalle edizioni de «L’Informatore», lo storico settimanale di Mendrisio. «Scattata da Giovanni Luisoni, quell’immagine della fattoria di Vigino ci parla del passato, ma di un passato che attraverso quella finestra guarda al presente e al futuro», ci dice Guido Codoni. Ed è questo in filigrana il messaggio e il senso del suo libro: riavvolgere il filo della storia per capire meglio chi eravamo e chi siamo. E per affrontare le sfide del futuro ricchi di quella storia. Una storia che Codoni racconta attraverso una lunga serie di testimonianze, di interviste e di ritratti già apparsi tra il 2006 e il 2015 su «L’Informatore». «Mi è sempre piaciuto frugare nelle pieghe della storia – afferma Codoni, che non per nulla è un ex docente di storia, oggi in pensione – mi piace andare alla ricerca di personaggi e di luoghi che mi ricordano la mia gioventù, trascorsa a Chiasso, o che mi riportano a Stabio, dove vivo, o in altri angoli del Mendrisiotto. Sono andato per esempio a pescare personaggi che reputo interessanti come Luigi Luisoni, che fu il primo corridore professionista del ciclismo ticinese. Corse negli anni a cavallo tra le due guerre mondiali del secolo scorso, disputò diversi giri d’Italia, di Francia e di Svizzera. Fu a suo modo un personaggio. Trovo che sia importante non perdere queste testimonianze». Racconti raccolti non sempre attraverso i diretti protagonisti, ormai scomparsi, ma anche grazie ai ricordi di famigliari o di amici. Per parlare e ricordare il ruolo di diverse personalità – e personaggi – del Mendrisiotto ma anche per tornare in alcuni luoghi che hanno fatto la storia e segnato il territorio del distretto, come ad esempio il Mulino del Ghitello, la Filanda di Mendrisio o l’azienda agricola di Mezzana. C’è spazio anche per le società e gli enti, su tutti spiccano le processioni storiche di Mendrisio, e per un capitolo dedicato ad alcuni politici del distretto momò. «Personalmente ho notato che con il

passare degli anni riaffiorano parecchi ricordi – fa notare Guido Codoni – Il mondo oggi corre velocemente e si ha quasi il bisogno di tornare a vivere ciò che si era sperimentato da giovani, di tornare sui luoghi della propria vita e di incontrare chi ha segnato la realtà della regione in cui vivo. È una sorta di frenata, per proporre qualcosa del passato, con l’intento di poter essere utile». Il volume propone anche una ricca serie di fotografie, tutte in bianco e nero. Immagini di famiglia, ritrovate in album forse impolverati ma preziosi, perché in quegli scatti ci sono ricordi di vite intere e perché in quei tempi le fotografie erano rare. I «selfies» di oggi rendono ogni immagine quasi un «usa e getta», via una ce n’è subito un’altra. «Non sempre è stato facile ottenere queste fotografie – ci confida infatti l’autore del libro – perché per molti si tratta di veri e propri tesori di famiglia». Ne risulta un libro che è anche una sorta di album fotografico del Mendrisiotto di un tempo, per raccontarci le vicende, ad esempio, di Villa Argentina a Mendrisio, costruita sul finire del 1800 dalla famiglia Bernasconi, che aveva fatto fortuna proprio in Argentina e che a Mendrisio aprì anche la prima scuola dell’infanzia del Borgo. O di un’altra villa oggi abbattuta, chiamata Buenos Aires, e costruita a Castel San Pietro nel 1885 dall’architetto Luigi Fontana, anche lui emigrato, non in America Latina ma alla corte degli Zar di San Pietroburgo. Ci sono poi i ritratti, le interviste e le fotografie di personalità come Angelo Frigerio, «ul sciur maestru» o come Edmondo Cereghetti, classe 1935, anch’egli docente per quasi 40 anni in Valle di Muggio. O di sportivi come Ferdinando «Puci» Riva. «Le emozioni sportive che lui, il mitico Puci, mi ha fatto provare al Comacini non le ho mai più provate. Il Comacini!», scrive Guido Codoni nel capitolo dedicato al grande calciatore del Chiasso e allo stadio cittadino di quegli anni. Ma nel volume ci sono anche storie di immigrazione, di contrabbando, di lotte politiche e sociali. E ci sono infine anche i ritratti di due consiglieri di Stato, nati e cresciuti nel Mendrisiotto: Manuele Bertoli, introdotto da una foto scattata quando era bambino (in piscina), e Benito Bernasconi, classe 1923, che fu membro del governo per tre legislature. Luoghi e vite che ci parlano di un distretto, per riannodare il legame con la propria storia locale e con le proprie radici. Con quella finestra della fattoria di Vigino che divide e al tempo stesso tiene uniti il passato al presente della terra momò.

Quando con Christof Moser avete lasciato le vostre rispettive redazioni del «Tages-Angeizer» e «Schweiz am Sonntag» non avevate dei dubbi sulla riuscita del progetto? Avete pensato a un piano B?

Nel momento in cui si pianifica una ribellione e si è convinti di voler creare qualcosa di nuovo bisogna avere il coraggio di saltare dalla scogliera. Non serve avere un piano B ma avere sempre dinanzi agli occhi l’abisso a ricordarci dove possiamo finire. Abbiamo avuto il coraggio di saltare e con noi oltre 11’000 lettori. Ora stiamo a vedere dove atterreremo.

La copertina del libro: la foto è stata scattata dall’interno della masseria di Vigino.


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Società e Territorio Rubriche

Lo specchio dei tempi di Franco Zambelloni Saltando di cibo in cibo Nell’Italia meridionale risuonava spesso – e immagino che risuoni tuttora – l’espressione di golosità: «Pancia mia, fatti capanna!». Alla vista di cibi appetitosi e abbondanti, il commensale esortava così lo stomaco ad attivarsi e la pancia a farsi capiente quanto più possibile. Ma oggi, con la straripante offerta pubblicitaria di prodotti alimentari e di raffinatezze culinarie, una capanna non può più essere sufficiente: il detto va aggiornato, la pancia deve farsi palazzo, o magari anche grattacielo. E le novità si susseguono. Ultimamente i giornali hanno dato ampio spazio alla notizia che nuove normative elvetiche sulle derrate alimentari consentono, a partire dal 1° maggio, l’importazione, l’allevamento e la vendita a scopi culinari di larve della farina, grilli e locuste. Il ventaglio dell’offerta, dunque, si dilata. Era ora! Infatti occorre ricordare che Dio aveva

concesso al popolo d’Israele l’autorizzazione a mangiare cavallette già più di 3000 anni fa: nel libro del Levitico (la cui tradizione risale a circa 1200 anni prima di Cristo), tra le sovrabbondanti prescrizioni alimentari imposte da Jahvè, si legge (11, 20-23): «Sarà per voi in abominio anche ogni insetto alato, che cammina su quattro piedi. Però fra tutti gli insetti alati che camminano su quattro piedi, potrete mangiare quelli che hanno due zampe sopra i piedi, per saltare sulla terra. Perciò potrete mangiare i seguenti: ogni specie di cavalletta, ogni specie di locusta, ogni specie di acrìdi e ogni specie di grillo. Ogni altro insetto alato che ha quattro piedi lo terrete in abominio!». Ora è la FAO – l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura – che raccomanda gli insetti come cibo. Leggo infatti in un suo specifico rapporto che l’entomofagia

(l’alimentazione a base d’insetti, appunto) offre una serie ben nutrita (non è un gioco di parole) di vantaggi, sia per l’uomo, sia per l’ambiente: dall’elevato valore nutritivo di proteine, al fatto che la carne d’insetto trasmette malattie meno facilmente della carne d’animale; inoltre, l’allevamento d’insetti è ben poco oneroso, visto che possono nutrirsi di rifiuti organici e liquami animali, che vengono poi trasformati in proteine di alta qualità; il consumo d’acqua da parte degli insetti è enormemente inferiore a quello del bestiame e anche la loro produzione di gas serra è probabilmente più bassa. Insomma, ci sono abbastanza aspetti positivi per farsi entomofagi e ridurre o abbandonare il consumo di carne di bestiame. Penso che – una volta superata la diffidenza iniziale e il probabile disgusto – la pubblicità renderà presto appetibili questi piatti innovativi; è nella logica

della globalizzazione, del resto, che le preferenze alimentari delle tradizioni locali vengano spazzate via, e che nuovi gusti soppiantino quelli precedenti. Quando la cavalletta, la larva e il verme saranno acclamati come leccornie cesseranno di essere il cibo tradizionale dei Paesi dove si soffre la fame; anzi, il loro prezzo probabilmente salirà con la crescente richiesta di mercato, fino a farne raffinatezze da ristoranti a cinque stelle. E così, forse, per gli animali d’allevamento verranno tempi migliori. In passato, poche voci si sono levate in difesa degli animali e contro le loro sofferenze: Plutarco, filosofo del I secolo d.C., scrisse un trattatello – Del mangiare carne –, riproposto ancora recentemente in traduzione italiana, in cui deplora la pratica di chi «imbandendo mense di corpi morti e corrotti, diede altresí il nome di manicaretti e di delicatezze a quelle membra che

poco prima muggivano e gridavano, si muovevano e vivevano». Ma Plutarco, come il vegetariano Pitagora, fu presto dimenticato: la cultura occidentale ha dato ascolto alle parole rivolte da Dio a Noè, dopo la discesa dall’arca con gli animali salvati dal diluvio: «La paura e il terrore di voi sarà presente in tutti gli animali della terra, in tutti gli uccelli del cielo, in tutto quello che si muove sulla terra, e in tutti i pesci del mare. [...] Tutto ciò che si muove e ha vita vi servirà come cibo». In tempi recenti sono sempre più numerose e forti le voci che si levano in difesa degli animali, ed è possibile che ciò sia il segno di un progressivo innalzamento della morale civile. Possibile, ma non scontato: giova ricordare il paradosso di Hitler, che a pochi mesi dall’ascesa al potere fece promulgare una legislazione estremamente garantistica sui diritti degli animali. Subito dopo seguirono le leggi razziali.

cata la scoperta a Filadelfia, Banz e Bachmann vengono incoraggiati a organizzare un simposio sfociato poi in un libro intitolato Marcel Duchamp and the Forestay Waterfall (2010). Al contempo consacrano a Duchamp, davanti casa, il più piccolo museo del mondo aperto ventiquattro ore su ventiquattro. Una specie di uovo kinder gigante in rame smaltato con una vetrinetta alla quale il visitatore deve avvicinarsi bene per vedere le opere in miniatura in mostra: la Kunsthalle Marcel Duchamp di Cully. All’altezza del Garage de la Corniche, sotto il ponte stradale, ecco il Forestay che scorre un po’ striminzito. Dopo un altro ponte più antico, sparisce sotto le rotaie. Un cartello indica la località Bellevue, nel comune di Puidoux. Faccio una ventina di metri sulla strada e poi mi giro di colpo, eccola. La cascata Duchamp a Chexbres (576 m) in una giornata di pioggia e bel tempo a metà maggio. Il punto di partenza di un capolavoro supera le aspettative, a dire

il vero mi aspettavo una cascatucola enfatizzata poi un po’ collegandola all’Etant donnés per farsi pubblicità. E invece non è una cascata come tante altre e non è difficile immaginare l’inizio del labirinto mentale di Duchamp. Casca in tre fiotti, a tre altezze diverse, sopra pezzi atavici di molassa. Intorno una trasandata boscaglia, inedita per la zona perfettina, che s’infossa in un vallone. Al suo fianco delle case, tra le quali un ex mulino, mentre su una c’è una vecchia scritta: distillerie. Avanzo di qualche passo per guardarla da una prospettiva più voyeuristica, come nel diorama ermetico di Duchamp composto da quarantotto materiali diversi, tra i quali i mattoni in cotto per il muro dietro la porta oltre il quale, attraverso una breccia, si posa l’occhio. Peepshow alchemico che richiama il prospettografo di un’incisione di Dürer del 1525. E così ora, tra le fronde dei noccioli, occhieggia la cascata ispiratrice dell’opera concepita in segreto per vent’anni, mentre

tutti pensavano che avesse voltato le spalle all’arte per dedicarsi esclusivamente agli scacchi. Alle mie spalle, dall’altra parte della strada, sul curvone, c’è l’ex hotel Bellevue trasformato nell’hotel Baron Tavernier con spa eccetera. Da quelle stanze la vista lemanica dev’essere imprendibile come quei cinque giorni d’inizio agosto del 1946 quando Duchamp annota che «il lago cambia vestito ogni ora». Eppure il suo sguardo si distoglie verso una bellezza meno eclatante, più dimessa, modesta, introversa. Non stupisce da uno che giusto cent’anni fa ha messo al tappeto l’arte moderna capovolgendo un orinatoio in fontana. Torno sui miei passi per ritrovare in primo piano la cascata Duchamp. In paese mi hanno raccontato che un garagista in pensione, da anni, proprio lì nella pozza della cascata, pesca oggetti levigati e trasformati dall’acqua calcarea che cade a capofitto. Tipo molle del letto, bulloni, una ruota di bicicletta con forcella.

alla figura del turista connotati alterni e discutibili. Insomma, turisti sì, attesi, coccolati, indispensabili, o turisti no, invadenti, rozzi, spilorci, da mettere al bando, magari da multare? Proprio queste contraddizioni alimentano un tema ricorrente, addirittura una costante, nei nostri media, in un paese che coltiva, a giusta ragione, la prerogativa di zona a vocazione turistica. Dove, però, cresce vistosamente l’imbarazzo nei confronti dei turisti, di certi nuovi turisti, colti in flagrante, mentre facevano la pipì in piazza o in un parco pubblico, e debitamente multati. Episodi di per sé banali. E tuttavia indicativi di comportamenti ispirati a una diversa interpretazione della convivenza civile, della libertà individuale e che si stanno diffondendo attraverso l’incontrollabile contagio del cattivo esempio. Infatti, gli episodi avvenuti in Ticino ricalcano, in forma ancora attenuata, quel che accade nelle città d’arte italiane, afflitte da questo malcostume: a Roma,

dove si fa il pediluvio nella fontana di Trevi, si lasciano scarabocchi con lo spray sulle pietre del Colosseo, a Venezia, da questo punto di vista, la vittima più simbolica di un degrado, oltretutto disarmante. Qui sta il nodo del problema: con quali mezzi intervenire per scioglierlo? Multe, numero chiuso, regolatori d’accesso, tipo girello, ingresso a pagamento, raccomandazioni rivolte alle agenzie che organizzano visite ai luoghi cosiddetti fragili, musei famosi e scavi archeologici, cioè itinerari classici d’obbligo? A Venezia si deve pure andare, almeno una volta: è un sacrosanto diritto, di cui usufruiscono, dopo l’89, anche i cittadini dell’Europa orientale. E, d’altra parte, come contrastare la popolarità delle crociere per tutti, a bordo delle supernavi, che, nello scalo ad Atene, riversano sull’Acropoli migliaia di visitatori, costretti a sgomitare in una folla di persone e selfies che copre la visione del Partenone? Dietro a questi interrogativi, c’è una valenza d’ordine morale: si rischia di

frenare quella che è stata una conquista sociale che coincise con l’avvento delle ferie pagate a tutti. E quindi, tutti destinati a trovarsi, almeno una volta all’anno, nelle condizioni di turista, a svolgere un ruolo, sempre più attraente e impegnativo. Oggi, per sfuggire all’omologazione dei gruppi organizzati, c’è chi si avventura in luoghi dal fascino crudo, anche dal profilo climatico. Vanno di moda le mete estreme: è gettonato il tour sulle rocce a strapiombo dei fiordi norvegesi. Itinerario, ovviamente rischioso, che però gitanti sconsiderati affrontano calzando ciabatte infradito. A questo punto, è il caso di citare un addetto ai lavori: Jean-Didier Urbain, sociologo e antropologo francese, autore di un saggio che portava un titolo sibillino: L’idiot du voyage, sì proprio «l’idiota del viaggio». Fu, evidentemente, costretto a spiegare il termine: in base all’origine greca, significava «particolare», «non conoscitore», «estraneo». Come dire, il turista si trova sempre alle prese con una situazione delicata, da marginale.

A due passi di Oliver Scharpf La cascata Duchamp a Chexbres Sullo sfondo dell’ultima opera di Marcel Duchamp (1887-1968), visibile solo sbirciando da un buco in una porta di un vecchio fienile trovato a Cadaqués, si può notare una cascata. Un dettaglio che potrebbe passare inosservato ma è indicato nel titolo: Étant donnés: 1° la chute d’eau 2° le gaz d’éclairage… (1946-1966). L’illuminazione a gas invece è più evidente, si tratta di una vera lampada a gas tipo becco Auer sospesa in corrispondenza della cascata boschiva. Stretta nel palmo della mano di una donna nuda sdraiata su un mucchio di sterpaglie secche in una posizione che ricorda il cadavere di un delitto sessuale o L’origine du monde (1866) di Courbet, rischiara il paesaggio dipinto in lontananza come nei quadri rinascimentali. Il Lemano riempie gli occhi appena sceso alla stazioncina di Chexbres, comune viticolo del Lavaux il cui punto di vista panoramico si ritrova in diversi Hodler. La vista si spinge fino laggiù a La Tour-de-Peilz dove guardaca-

so muore Courbet. Da queste parti dovrebbe esserci la cascata dell’enigmatica installazione montata espressamente dopo la morte di Duchamp, seguendo il suo rigoroso manuale di istruzioni, al Philadelphia Museum of Art. La crea un fiumiciattolo di nome Forestay che segna il confine con il territorio comunale di Puidoux. È stata identificata qualche anno fa da Stefan Banz, artista e curatore classe 1961 di Sursee stabilitosi a Cully – cinque chilometri neanche da qui – con Caroline Bachmann, altra artista originaria di questo paesino in riva al Lemano. Calvin Tomkins, autore e critico del «New Yorker», nella sua biografia di Duchamp uscita nel 1996 presumeva che la cascata si trovasse in Svizzera, per via di un soggiorno di cinque settimane nel 1946. Essendo dati una foto in biancoenero scattata dallo stesso Duchamp conservata sempre a Filadelfia e cinque notti con la sua amante all’hotel Bellevue di ChexbresPuidoux, il rebus è risolto. Comuni-

Mode e modi di Luciana Caglio Tutti turisti: ma come? Non stiamo esagerando: questo «tutti», che può sembrare un’iperbole pubblicitaria, definisce una realtà, statisticamente accertata. Nel 2012, l’Organizzazione mondiale del turismo aveva, infatti, reso noto che, per la prima volta nella storia, oltre un miliardo di persone aveva viaggiato per il proprio piacere, insomma da turisti. Il dato si riferiva ai paesi evoluti, dove partire, quando e come si vuole, è ormai, un diritto acquisito per l’intera collettività. Mentre continua a essere un privilegio riservato alle élites, ultraricchi, celebrità, altolocati, nei paesi economicamente arretrati e politicamente repressivi. In altre parole, poter andarsene per proprio conto rappresenta una sorta di termometro per misurare il grado di libertà e di benessere: che però, con il passare del tempo, ha registrato effetti assurdi. Ecco che, il viaggio, vietato dall’ottusità politica o dalla povertà, assume nell’immaginario collettivo il plusvalore di un gesto ideale, persino eroico. Viceversa, se è agevolato da

incentivi d’ogni tipo, organizzativo, finanziario, culturale, come succede dalle nostre parti, rischia di appiattirsi in abitudine, addirittura in obbligo e diventare il bersaglio di critiche, perplessità, timori che fanno sempre più opinione. E, per finire, attribuiscono

Il turista è un cattivo viaggiatore?


COOPERATIVA MIGROS TICINO 2016 RELAZIONE ANNUALE

Andamento generale Per il commercio al dettaglio ticinese, il 2016 è stato caratterizzato da una flessione del mercato stimata tra il 2 e 3%. Un calo dovuto alla scarsa propensione al consumo, all’aumentata competitività del mercato (sviluppo superfici di vendita superiore alla crescita della popolazione) e per finire al franco forte e alla digitalizzazione del commercio, che hanno accresciuto a circa il 25% la quota degli acquisti effettuati dai consumatori fuori dai commerci convenzionali ticinesi, oltre frontiera e attraverso i canali online. In questa situazione Migros Ticino ha realizzato un fatturato di 476,8 milioni, in calo del 2,9% rispetto al 2015: una flessione dovuta anche ai lavori di ammodernamento straordinario effettuati nella filiale di Lugano Centro, che hanno fortemente penalizzato le vendite di una delle filiali più importanti della Cooperativa. Grazie all’oculata gestione delle risorse, la Cooperativa è tuttavia riuscita a chiudere i conti in termini soddisfacenti con un EBIT (Risultato prima degli interessi e imposte) di 6,4 milioni di franchi e un Risultato aziendale di 4,4 milioni di franchi (anno 2015 rispettivamente 7,3 e 4,9 milioni di franchi). Situazione finanziaria Il Cash Flow generato (19 milioni di franchi) ha permesso di finanziare interamente gli investimenti, (17,9 milioni di franchi contro i 18 milioni di franchi del 2015). La Somma di bilancio è passata da 161,2 a 168,4 milioni; grazie al Risultato aziendale di 4,4 milioni di franchi la quota di Capitale proprio è salita dal 34,4 al 35,6%. Stato delle ordinazioni e dei mandati e attività di ricerca e sviluppo In qualità di commercio al dettaglio, la Cooperativa non ha né ordinazioni né mandati rilevanti da commentare e non svolge particolari attività di ricerca o sviluppo. Eventi straordinari Nel corso dell’esercizio 2016 non si sono verificati eventi straordinari particolari da segnalare. Valutazione dei rischi Migros Ticino dispone di un processo di gestione dei rischi. Il Comitato di direzione (CD) informa regolarmente il Consiglio di amministrazione (CdA) sulla situazione di rischio dell’impresa. Quest’ultimo assicura che la valutazione dei rischi abbia luogo nei termini opportuni e adeguati. In base a un’analisi sistematica della situazione, CdA e CD hanno identificato i rischi potenziali, valutato le probabilità che si avverino così come le possibili conseguenze finanziarie. Appropriate misure adottate dal CdA permettono di evitare, diminuire o arginare questi rischi. I rischi potenziali che devono essere sopportati dalla Cooperativa vengono costantemente sorvegliati. Durante la verifica annuale della strategia aziendale il CdA li considera e li valuta adeguatamente. Il CdA ha valutato la situazione il 5.12.2016 e appurato che in linea di principio essi sono ben coperti dalle strategie, dai processi e dai sistemi. Prospettive Anche in futuro la situazione di mercato verrà influenzata dagli sviluppi della popolazione, del cambio franco-euro, delle superfici di vendita presenti sul mercato e per finire del commercio online. In previsione di un cambio stabile (base 1 euro + 1,1 franchi) e di una evoluzione degli altri fattori al livello del 2016, Migros Ticino prevede per i prossimi anni una moderata crescita del fatturato e il mantenimento di una redditività positiva grazie alla capitalizzazione di potenzialità a livello di qualità e attrattività dell’offerta in beni e servizi ed efficienza aziendale. Uno sviluppo che verrà sostenuto dalla collaborazione con la Federazione delle cooperative Migros (anche nel commercio digitale) e dall’avviamento di nuove attività di diversificazione, che andranno ad affiancare quella iniziata nel 2014 nel settore dei centri fitness (Activ Fitness).

Cooperativa Migros Ticino Via Serrai 1, Casella postale 468, CH-6592 S. Antonino tel. +41 (0)91 850 81 11 www.migrosticino.ch

Il tradizionale impegno di Migros a favore della sostenibilità è stato rafforzato dal 2012 con promesse vincolanti e obiettivi concreti – promossi con la campagna Generazione M nei settori del consumo, dell’ambiente, della società, della salute e dei collaboratori – il cui raggiungimento viene comunicato due volte l’anno.

CONSUMO

Con una diminuzione media dei prezzi dello 0,7% (-11,5% dal 2009) i clienti di Migros Ticino hanno potuto risparmiare 3,3 milioni di franchi. Gli oltre 300 prodotti che costituiscono l’assortimento di specialità agroalimentari locali dei Nostrani del Ticino – tra cui una quindicina di prodotti elaborati artigianalmente nei laboratori protetti delle fondazioni Diamante, La Fonte, OTAF e San Gottardo – hanno realizzato una cifra d’affari di circa 24 milioni di franchi, in aumento dell’1,8%. Nell’ambito solidale Migros Ticino ha inoltre sostenuto la start-up ticinese Project-Aqua (www.projekt-aqua.ch/africa). Trend positivo anche per i marchi con plusvalore ecologico e sociale: +18,9% per ASC (Aquaculture Stewardship Council), +11,2% per MSC (Marine Stewardship Council), +3,9% per FSC (Forest Stewardship Council) e +3,6% per Migros Bio. Ottimo inoltre l’andamento della linea di specialità Sélection, +29,6%. Nell’ambito dello sviluppo della rete di vendita è stato aperto un nuovo supermercato a Sementina e ristrutturato il negozio di Massagno, mentre si sono conclusi i lavori di rinnovo della filiale Lugano Centro, una delle più importanti della Cooperativa. A fine dicembre è infine stato aperto presso la stazione di Bellinzona un take away a insegna Frescotto, con un’ampia proposta di bibite e cibi freschi da asporto. La quota di fatturato realizzata dai membri del programma fedeltà Cumulus, che hanno beneficiato di sconti per un ammontare di 6,8 milioni di franchi, è aumentata a quasi il 79%. Famigros ha invece visto crescere a 15’500 il numero di membri (famiglie con figli). Buono il riscontro per PickMup, il servizio lanciato in primavera che permette di ritirare in filiale articoli ordinati sui siti online di diverse insegne della comunità Migros (Micasa, SportXX, Digitec, Ex Libris e Galaxus).

AMBIENTE

Migros Ticino ha definito con l’Agenzia dell’energia per l’economia (AEnEC) degli obiettivi per la riduzione dell’impatto ambientale delle sue attività per l’anno 2022, su base 2013: l’aumento dell’efficienza energetica e la riduzione delle emissioni di CO2 sono fissate al 19,5%, rispettivamente al 25% nei punti di vendita e al 16,7%, rispettivamente all’80% per la sede centrale di S. Antonino. Le misure realizzate tra il 2013 e il 2015 hanno permesso di aumentare l’efficienza energetica del 2,8% nei punti vendita, del 37,9% per la sede centrale; la riduzione delle emissioni di CO2 del 29% per i punti vendita, del 100% per la sede centrale (dati verificati e certificati dall’AEnEC). Migros ha introdotto nei suoi punti di vendita dei sacchetti monouso prodotti al 100% con materiale riciclato. Questi sacchetti sono in vendita al prezzo di 5 centesimi e sostituiscono quelli gratuiti: l’incasso che ne deriva è destinato alla promozione di progetti esterni a sostegno dell’ambiente. La valorizzazione di rifiuti e scarti generati dalla Cooperativa e depositati dai clienti nelle postazioni di raccolta presso i punti vendita, ha potuto essere ulteriormente migliorata, con una diminuzione del 5,3% del volume totale. Delle circa 3’920 tonnellate raccolte, la quota che viene consegnata ad aziende specializzate nel riciclaggio si è mantenuta al 65,5% del totale.

SOCIETÀ

L’impegno di Migros Ticino in ambito culturale, sociale, economico e formativo prevede per statuto che ogni anno l’equivalente dello 0,5% della cifra d’affari venga destinato a progetti e iniziative in questi campi, importo che nel 2016 è stato di circa 2,3 milioni di franchi, utilizzato per: – ridurre il prezzo dei corsi di formazione degli adulti (14’730 partecipanti, 2’670 corsi erogati da 250 formatori, per un totale di 291’000 ore di frequenza) organizzati dalla Scuola Club Migros Ticino. – sostenere e promuovere il centinaio di manifestazioni presentate nel programma del Percento culturale, che hanno richiamato oltre 100’000 spettatori. In ambito sponsoring sono inoltre stati sostenuti l’evento musicale Moon and Stars di Locarno e il Musical Titanic a Melide. Apprezzato come settimanale di informazione e cultura, Azione, l’organo ufficiale della Cooperativa redatto e stampato in Ticino, ha confermato il suo alto numero di lettori (118’000 unità, REMP 2016-2).

Il Gruppo integrato del Laboratorio Incontro 2 della Fondazione Diamante, attivo da 27 anni presso la sede centrale di Migros Ticino a S. Antonino, anche lo scorso anno ha permesso di inserire nel mondo del lavoro un gruppo di 12 utenti sotto la guida di due educatori. Un progetto di integrazione socio-professionale che affianca l’impegno della Cooperativa nel promuovere la commercializzazione di articoli elaborati artigianalmente in laboratori protetti delle fondazioni Diamante, La Fonte, OTAF e San Gottardo, cui vengono interamente riversati i proventi delle vendite. Nel quadro delle sue attività, Migros Ticino cerca di favorire aziende locali per la fornitura di merci e servizi. Nel 2016 questo impegno, unitamente ai salari, ha generato un indotto a favore dell’economia cantonale di 195 milioni di franchi, pari al 41,2% del fatturato.

SALUTE

Anche nel 2016 una parte importante delle risorse utilizzate per la pubblicità e le attività marketing è stata destinata alla promozione di prodotti freschi e della regione offerti nei supermercati e nella ristorazione. L’assortimento a marchio aha! per persone soggette a intolleranze o allergie si è ulteriormente ampliato nel settore alimentare e in quelli per la cura del corpo e della casa, con una conseguente crescita del fatturato dell’11,1%. Una selezione di prodotti aha! è disponibile anche nella ristorazione, dove si mantiene ad alto livello anche la richiesta di menu equilibrati e dall’apporto calorico contenuto a marchio Délifit e Fourchette Verte. Ai numerosi corsi proposti dalla Scuola Club Migros Ticino negli ambiti movimento, benessere, alimentazione e salute, si affianca l’offerta dei centri Activ Fitness, a Losone, Lugano e – dal 2016 – a Bellinzona. L’azienda promuove tali ambiti anche con il sostegno di eventi sportivi popolari, tra i quali SlowUp Ticino, StraLugano, Marcheton a Biasca, Corsa della Speranza a Lugano, Gravesano Running, Corsa da Natal ad Ascona, Grand Prix Migros ad Airolo, Famigros Ski Day a Bosco Gurin e di manifestazioni gastronomiche quali Gusta il Borgo ad Ascona, che abbinano il cammino alla scoperta di tradizioni alimentari, natura e territorio.

COLLABORATORI

La Cooperativa impiega 1’665 collaboratori (il 90% dei quali è domiciliato nella Svizzera italiana), pari a 1’161 unità di lavoro a tempo pieno. 39 i giovani in formazione. Tra i 20 giovani che hanno concluso l’apprendistato si annoverano la miglior media cantonale nella gastronomia standardizzata e tre medaglie di bronzo. Migros Ticino è l’unica azienda della Svizzera italiana ad aver ottenuto il label Friendly Work Space®, un marchio conferito dalla Fondazione Promozione Salute Svizzera alle aziende che sostengono la prevenzione e la promozione della salute, la sicurezza sul posto di lavoro, così come uno stile di conduzione equo e partecipativo, orientato allo sviluppo dei collaboratori. A conferma dell’impegno dell’azienda nei confronti dei collaboratori e del loro benessere, nel corso dell’anno è in particolare stata promossa una serie di corsi destinata ai collaboratori con responsabilità di conduzione e mirata alla promozione del benessere psicofisico.

LO SAPEVATE CHE... Media clienti giornalieri Importo acquisto medio Articoli presenti in un supermercato Volume di merce venduta

numero scontrini

52 000

franchi

29

minimo 10 000 massimo 40 000 tonnellate/giorno

350

Riduzione delle emissioni di CO2 nei punti di vendita (base 2013)

percentuale

29%

Rifiuti e scarti riciclati

percentuale

65%

franchi

0,92

Utile netto ogni 100 fr. di incasso Indotto in Ticino per 100 fr. di incasso Collaboratori della Cooperativa Collaboratori che risiedono in Ticino

franchi

41,2

persone

1 665

percentuale

90%

Lettori di Azione

persone 118 000

Partecipanti a manifestazioni culturali e sportive sostenute da Migros Ticino

persone 180 000

Fondi destinati alla promozione culturale, economica e sociale Soci/proprietari della Cooperativa

mio. franchi

2,3

persone

95 795


I CONTI DEL 2016 CONTO ECONOMICO

BILANCIO – ATTIVI 2016

Ricavi netti Commercio al dettaglio Commercio all’ingrosso Ristorazione Scuola Club Prestazioni di servizio Ricavi netti da forniture e prestazioni (senza IVA) Altri ricavi d’esercizio Altri ricavi d’esercizio Totale ricavi netti Costi d’esercizio Costi delle merci Costi del personale Pigioni Manutenzioni/Riparazioni Energia/Materiali di consumo Pubblicità Spese amministrative Altri costi d’esercizio Ammortamenti d’esercizio Totale costi d’esercizio

(1)

(2)

(3) (4)

Risultato prima degli interessi e imposte (EBIT) Risultato finanziario (ricavi + / costi –) Risultato operazioni straordinarie, uniche e fuori perido (ricavi + / costi –)

2015

(in 1 000 CHF)

(in 1 000 CHF)

437 360 0 17 949 4 782 12 884 472 974

451 874 0 18 553 4 653 11 923 487 003

3 853 476 828

3 957 490 960

320 583 88 828 11 993 5 226 9 210 2 658 4 625 11 727 15 625 470 474

330 992 90 213 12 158 5 069 9 183 2 711 4 437 12 379 16 344 483 486

6 353

7 474

–233 171

–272 101

Risultato prima delle imposte

6 291

7 303

Imposte dirette

1 905

2 402

Utile

4 387

4 901

(5) (6)

ANNOTAZIONI

(2) Costi del personale Stipendi e salari Oneri sociali Istituti di previdenza professionali Altri costi per il personale (3) Altri costi d’esercizio Altri costi d’esercizio Tasse e tributi (4) Ammortamenti d’esercizio Terreni e immobili Installazioni tecniche e macchinari Altri impianti materiali investimenti immateriali (5) Risultato finanziario (ricavi + / costi –) Ricavi da interessi su capitali Ricavi da partecipazioni Costi per interessi su capitali Altri costi finanziari (6) Risultato operazioni straordinarie, uniche e fuori periodo Utile dall’alienazione di attivi fissi d’esercizio (7) Mezzi liquidi Mezzi liquidi terzi Mezzi liquidi Banca Migros (8) Ratei e risconti attivi Costi anticipati (9) Ratei e risconti passivi Ricavi Scuola Club Interessi Affitti Altre delimitazioni (10) Accantonamenti Rendita transitoria AVS Altri accantonamenti a lungo termine (11) Riserve libere da utile Riserve libere

ATTIVI CIRCOLANTI Mezzi liquidi

(7)

Crediti per forniture e prestazioni verso imprese del gruppo verso terzi Altri crediti a breve termine verso terzi Scorte merce Ratei e risconti attivi Totale attivi circolanti ATTIVI FISSI Partecipazioni a imprese del gruppo Impianti materiali terreni ed immobili installazioni tecniche e macchinari altri impianti materiali costruzioni in corso

31.12.2016

31.12.2015

6 723

6 146

6 923 1 252

3 627 1 218

905

801

17 937 0 33 740

(in 1 000 CHF)

Prima dell’impiego del risultato

(8)

674

31.12.2016

31.12.2015

180 23 453

173 19 753

Debiti finanziari a breve termine conti M-Partecipazione verso terzi

8 469 93

8 666 91

17 088

Altri debiti a breve termine verso terzi

6 788

6 980

2 28 881

Ratei e risconti passivi Totale capitale di terzi a breve termine

8 342 47 324

7 999 43 661

45 000 16 220 61 220

45 000 17 031 62 031

108 545

105 692

958 500 45 294 8 758 4 387 59 897

939 450 45 294 3 907 4 901 55 491

168 442

161 183

(in 1 000 CHF)

674

88 777 39 313 5 791 140

91 058 36 268 4 207 82

Investimenti immateriali Totale attivi fissi

7 134 702

14 132 303

Totale di bilancio

168 442

161 183

2015

CAPITALE DI TERZI A BREVE TERMINE Debiti per forniture e prestazioni verso imprese del gruppo verso terzi

CAPITALE DI TERZI A LUNGO TERMINE Debiti finanziari a lungo termine verso imprese del gruppo Accantonamenti Totale capitale di terzi a lungo termine

(9)

(10)

Totale capitale di terzi CAPITALE PROPRIO Capitale sociale Riserve legali da utile Riserve libere da utile Riporto dall’esercizio precedente Utile d’esercizio Totale capitale proprio

(in 1 000 CHF)

3 853 3 853

3 957 3 957

69 265 6 724 10 077 2 762 88 828

69 074 7 852 10 527 2 760 90 213

10 788 948 11 727

11 401 978 12 379

Informazioni relative ai principi utilizzati per l’allestimento dei conti annuali Questi conti annuali sono stati allestiti conformemente alle prescrizioni della legislazione svizzera, in particolare in base agli articoli del Codice delle obbligazioni relativi alla tenuta della contabilità commerciale e alla presentazione dei conti (art. 957-962). La presentazione dei conti esige dall’Amministrazione delle stime e delle valutazioni che possono avere un’incidenza sul valore degli attivi e dei debiti, come pure degli impegni eventuali alla data del bilancio, ma anche dei ricavi e dei costi del periodo di riferimento. Se del caso, l’Amministrazione decide, a propria discrezione, l’utilizzo dei margini di manovra legali esistenti in materia di valutazione e iscrizione a bilancio. Per il bene dell’azienda e nel rispetto del principio della prudenza, è possibile procedere ad ammortamenti, correzioni di valore, nonché alla costituzione di accantonamenti superiori a quanto il contesto economico richieda.

2 533 7 517 5 568 6 15 625

2 704 9 097 4 532 11 16 344

Informazioni, strutture dettagliate e commenti riguardanti alcune poste del conto economico e del bilancio. Le informazioni di singole posizioni del conto economico e del bilancio sono contenute nelle «annotazioni». 31.12.2016 31.12.2015

33 23 –284 –5 –233

22 23 –311 –6 –272

171 171

101 101

6 224 499 6 723

5 582 564 6 146

0 0

2 2

858 265 12 7 207 8 342

932 291 14 6 762 7 999

2 792 13 428 16 220

3 316 13 715 17 031

45 294 45 294

45 294 45 294

(in 1 000 CHF)

Partecipazioni rilevanti Federazione delle Cooperative Migros, Zurigo, capitale sociale CHF 15’000’000 Scopo: procacciamento di merci e servizi, nonché attività culturali Quota di capitale Quota dei diritti di voto ACTIV FITNESS Ticino SA, S. Antonino, capitale sociale CHF 100’000 Scopo: gestione centri fitness Quota di capitale Quota dei diritti di voto

3,83% 7,21%

(in 1 000 CHF)

3,83% 7,21%

Scadenza degli impegni finanziari a lungo termine Esigibili fra più di 5 anni Effettivi Collaboratori fissi Apprendisti Collaboratori a tempo parziale con retribuzione oraria Totale posizioni a tempo pieno

100% 100%

100% 100%

272 125 806

74 77 261

45 000

45 000

1 048 39 74

1 076 41 75

1 161

1 192

Eventi successivi alla data di bilancio Dopo la data di bilancio e fino all’autorizzazione di pubblicazione dei conti annuali da parte dell’Amministrazione della Cooperativa Migros Ticino, non sono avvenuti eventi importanti. Non risultano altri fatti che devono essere citati secondo l’art. 959c del Codice delle obbligazioni.

UTILIZZO DELL’UTILE DI BILANCIO 2016

SPESE DEL PERCENTO CULTURALE Cultura, sociale ed economia Formazione (Scuola Club) Totale 0,5% della cifra d’affari determinante

Utile Ammortamenti e correzione di valori di attivi fissi Utile dall’alienazione di attivi fissi d’esercizio Variazioni d’accantomanti Cash Flow Variazioni crediti a breve termine Variazione scorte merce Variazione ratei e risconti attivi Variazioni debiti a breve termine Variazioni ratei e risconti passivi Totale flusso di tesoreria dall’esercizio dell’attività Flusso di tesoreria da attività di investimenti Investimenti Impianti materiali Disinvestimenti Totale flusso di tesoreria di attività di investimenti Flusso di tesoreria da attività finanziarie Variazione debiti finanziari a breve termine Variazione capitale sociale Totale flusso di tesoreria di attività finanziarie

Verifica della variazione del fondo Mezzi liquidi al 1.1 Mezzi liquidi al 31.12 Variazioni mezzi liquidi

2015

(in 1 000 CHF)

(in 1 000 CHF)

4 387 15 625 –171 –811 19 030 –3 435 –850 2 3 514 344 18 605

4 901 16 344 –101 –378 20 767 681 697 2 –5 748 553 16 952

–18 024 171 –17 853

–18 083 101 –17 982

–194 19 –175

186 9 195

577

–835

6 146 6 723 577

6 981 6 146 –835

RELAZIONE DELL’UFFICIO DI REVISIONE

Onorari pagati all’organo di revisione Onorari di revisione 22* 113 Altre prestazioni di servizio 0 0 *dal 2016 una parte importante della revisione viene effettuata dalla revisione interna

Riporto dall’esercizio precedente Utile anno corrente Utile disponibile Scioglimento/Assegnazione al Percento cuturale Utile a disposizione dei soci Dotazione alle riserve libere Dotazione alle riserve legali Riporto all’esercizio nuovo

2016

Variazioni mezzi liquidi e attivi quotati in borsa detenuti a corto termine

Le partecipazioni indirette sono contenute nel rapporto annuo della Federazione delle cooperative Migros Altre informazioni Leasing non iscritti a bilancio Impegni per contratti d’affitto superiori ai 12 mesi

(11)

(in 1 000 CHF)

CONTO DEI FLUSSI DI TESORERIA

(in 1 000 CHF)

Il Consiglio di amministrazione eletto per il periodo 2016-2020, da sinistra: Gianni Roberto Rossi, Sharon Guggiari Salari, Roberto Klaus, Monica Duca Widmer (presidente), Sergio Recupero (rappresentante del personale), Daniele Lotti e Francesca Lepori Colombo (vicepresidente).

(in 1 000 CHF)

Prima dell’impiego del risultato

Totale di bilancio

ALLEGATO 2016

(1) Altri ricavi d’esercizio Altri ricavi d’esercizio

BILANCIO – PASSIVI

2015

(in 1 000 CHF)

(in 1 000 CHF)

8 758 4 387 13 145 0 13 145 –10 000 0 3 145

3 907 4 901 8 808 0 8 808 0 –50 8 758

RELAZIONE DELL’UFFICIO DI REVISIONE SUL CONTO ANNUALE In qualità di Ufficio di revisione abbiamo svolto la revisione dell’annesso conto annuale della Società Cooperativa Migros Ticino, costituito da bilancio, conto economico, conto dei flussi di tesoreria e allegato, per l’esercizio chiuso al 31 dicembre 2016. Responsabilità dell’Amministrazione L’Amministrazione è responsabile dell’allestimento del conto annuale in conformità alle disposizioni legali e allo statuto. Questa responsabilità comprende la concezione, l’implementazione e il mantenimento di un sistema di controllo interno relativamente all’allestimento di un conto annuale che sia esente da anomalie significative imputabili a frodi o errori. L’Amministrazione è inoltre responsabile della scelta e dell’applicazione di appropriate norme contabili, nonché dell’esecuzione di stime adeguate. Responsabilità dell’Ufficio di revisione La nostra responsabilità consiste nell’esprimere un giudizio sul conto annuale sulla base della nostra revisione. Abbiamo svolto la nostra revisione conformemente alla legge svizzera e agli Standard svizzeri di revisione. Tali standard richiedono di pianificare e svolgere la revisione in maniera tale da ottenere una ragionevole sicurezza che il conto annuale non contenga anomalie significative. Una revisione comprende lo svolgimento di procedure di revisione volte ad ottenere elementi probativi per i valori e le informazioni contenuti nel conto annuale. La scelta delle procedure di revisione compete al giudizio professionale del revisore, inclusa la valutazione dei rischi che il conto annuale contenga anomalie significative imputabili a frodi o errori. Nella valutazione di questi rischi il revisore tiene conto del sistema di controllo interno, nella misura in cui esso è rilevante per l’allestimento del conto annuale, allo scopo di definire le procedure di revisione appropriate alle circostanze, e non per esprimere un giudizio sull’efficacia del sistema di controllo interno. La revisione comprende inoltre la valutazione dell’adeguatezza delle norme contabili adottate, della plausibilità delle stime contabili effettuate, nonché un apprezzamento della presentazione del conto annuale nel suo complesso. Riteniamo che gli elementi probativi da noi ottenuti costituiscano una base sufficiente e appropriata su cui fondare il nostro giudizio. Giudizio di revisione A nostro giudizio, il conto annuale per l’esercizio chiuso al 31 dicembre 2016 è conforme alla legge svizzera e allo statuto. Altri aspetti Il conto annuale della Società Cooperativa Migros Ticino per l’esercizio chiuso al 31 dicembre 2015 è stato verificato da un altro ufficio di revisione che ha espresso un’opinione di revisione senza modifiche o limitazioni. RELAZIONE IN BASE AD ALTRE DISPOSIZIONI LEGALI Confermiamo di adempiere i requisiti legali relativi all’abilitazione professionale secondo la Legge sui revisori (LSR) e all’indipendenza (art. 906 CO congiuntamente all’art. 728 CO), come pure che non sussiste alcuna fattispecie incompatibile con la nostra indipendenza. Conformemente all’art. 906 CO, congiuntamente all’art. 728a cpv. 1 cifra 3 CO e allo Standard svizzero di revisione 890, confermiamo l’esistenza di un sistema di controllo interno per l’allestimento del conto annuale, concepito secondo le direttive dell’Amministrazione. Confermiamo inoltre che la proposta d’impiego dell’utile di bilancio sono conformi alla legge svizzera e allo statuto e raccomandiamo di approvare il presente conto annuale. PRICEWATERHOUSECOOPERS SA

744 1 534 2 278 2 277

753 1 812 2 565 2 352

Roberto Caccia Perito revisore Revisore responsabile Lugano, 6 marzo 2017

Roberto Buonomo Perito revisore


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 maggio 2017 • N. 20

15

Ambiente e Benessere Trasferta fuori porta Interessante da visitare a Torino, non solo in questo periodo, è anche la Sacra di San Michele

Un omaggio a Robert Pirsig È scomparso a 88 anni l’autore del celebre libro Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta

Campanule da decoro Usate anche nei giardini rocciosi o nelle fessure di pietra lasciate nei muretti a secco

pagina 18

pagina 17

Un’insalata tiepida Ricetta vegetariana pronta in poco tempo, perfetta per il pranzo o la cena leggera pagina 22

pagina 21

Saper chiedere aiuto Salute Nel manifestare o esprimere un

proprio disagio psicologico uomo e donna percorrono vie differenti Maria Grazia Buletti In Svizzera i disturbi psichici sono considerati malattie frequenti e in evoluzione. I dati del Rapporto dell’Osservatorio svizzero della salute (2015) indicano che quasi il 17 per cento della popolazione ne soffre: una persona su sei, che si traduce in circa sette miliardi di costi generati nell’ambito sanitario. «La donna tende a manifestare il proprio malessere attraverso disturbi ansioso-depressivi e disturbi legati all’alimentazione, mentre l’uomo tende a riprodurre atteggiamenti legati alle dipendenze, come ad esempio alcolismo, gioco d’azzardo, suicidio e disturbi della personalità», è la premessa della psicologa e psicoterapeuta FSP Nadine Maetzler, con la quale abbiamo approfondito il delicatissimo tema del saper chiedere un sostegno adeguato, donna o uomo che siamo, quando ci troviamo in difficoltà. Per meglio comprendere l’ambito di queste patologie dobbiamo risalire innanzitutto al cosiddetto modello biopsico-sociale: «Consideriamo la malattia come risultato multifattoriale di differenti dimensioni interdipendenti e possiamo distinguervi una componente biologica che ne indica una predisposizione, una componente psicologica che ha a che fare con il carattere, le emozioni, l’autostima, le proprie risorse e attitudini, l’abilità intellettiva, e infine abbiamo una componente sociale che ha a che vedere con la famiglia, il lavoro, la scuola, le relazioni e i contatti sociali». La specialista evidenzia in tal modo i tanti fattori interattivi che si muovono in un «processo molto dinamico» e fanno in modo che una persona potrebbe sviluppare una malattia piuttosto di un’altra. Le differenze fra i generi stanno sempre alla radice: «Per l’uomo il concetto di salute passa attraverso la mancanza di malattia, mentre

Video intervista Sul canale Youtube di «Azione» e su www.azione.ch la videointervista con la psicologa Nadine Maetzler.

per la donna essere sana significa vivere in un benessere psicofisico: avere buoni contatti, relazioni e sentirsi emotivamente stabile». La nostra interlocutrice focalizza in tal modo la diversità di manifestazione di un disagio psichico fra uomo e donna: «Dunque, l’uomo vede la malattia come una perdita di autonomia, di competenze e di indipendenza. Ciò fa sì che la sua manifestazione viri verso i disturbi distruttivi, l’alcol, il suicidio». È per questo che nell’uomo viene meno la ricerca di aiuto: «Chiedere di essere sostenuto significherebbe perdere quell’aspetto funzionale che egli, per cultura, deve avere; pensiamo ad esempio come viene definito un uomo e ci viene in mente performante, competitivo, decisionale, ha uno scopo, si sa imporre e via dicendo. Nel momento in cui egli si trova in difficoltà, tutti questi begli attributi vanno stemperandosi e si ritrova in un mondo difficile da sopportare, anche e perché non riesce ad esprimere una richiesta di aiuto». Altro discorso per l’universo femminile: «La donna tende ad esprimere il proprio disagio e prova a chiedere aiuto». Qui si parte dal presupposto che per la donna il fatto di stare bene, di sentirsi a proprio agio è vissuto come una quotidianità: «Il necessario benessere psicofisico femminile non è legato a un obiettivo, all’essere adeguata e performante come nell’uomo, ma passa attraverso un discorso di relazioni». Ecco spiegato il motivo che la spinge a chiedere aiuto e ad essere più espressiva: «Ne risulta una condivisione dei propri problemi e, non tenendosi tutto dentro, avrà l’opportunità di essere accompagnata e supportata». Insomma, uomo e donna in difficoltà psicologica prendono strade differenti. Due pesi e due misure, per spiegare i quali, bisogna ritornare al modello bio-psico-sociale: «Non sappiamo perché questo capiti, ma sappiamo che siamo dinanzi a fattori di rischio e fattori protettivi cui uomo e donna danno una differente interpretazione. Ad esempio, per l’universo maschile, il fatto di avere una compagna è dunque un fattore protettivo, con la conseguenza che una separazione o un divorzio risultino un vero fattore di rischio per l’uomo più che per la donna». D’altra parte: «I fattori protettivi per la donna passano attraverso contatti sociali e figure di riferimento che, se mancanti, la fanno sentire abbandonata a sé stessa con il rischio di cadere in depressione». Uscire dall’impasse e attivarsi per andare in controtendenza è possibile

La psicologa e psicoterapeuta FSP Nadine Maetzler. (Vincenzo Cammarata)

e il Consiglio federale, con la Strategia sanità 2020, mette in atto misure efficaci per prevenire e promuovere la salute: «Pensiamo alle Campagne di prevenzione legate al suicidio, alla depressione, come pure quelle legate all’ambiente di lavoro». Con queste azioni Confederazione e Cantoni si assumono il compito lungimirante di verificare a lungo termine i riscontri positivi delle azioni di prevenzione intraprese nei vari ambiti, ma è pure certo che il punto focale passa attraverso la responsabilizzazione dell’individuo, uomo o donna che sia: «Spesso piccoli gesti gratuiti, qualche sorriso, sforzandosi a vivere con meno astio, meno rimuginii, abbassando tutti quei fattori di rischio psicosociali, sono piccoli contributi individuali che si ripercuotono positivamente sul benessere della collettività».

Una «rivoluzione intellettuale» che dovrebbe portare l’uomo verso una maggiore richiesta di aiuto: «Non è un caso che sul territorio vi sia una maggiore disponibilità di presa a carico nell’ambito femminile: pensiamo agli sportelli e ai consultori che si fanno carico del sesso femminile piuttosto che di quello maschile». Nadine Maetzler avverte comunque uno spiraglio in controtendenza: «Dal mio piccolo osservatorio posso affermare che ragazzi e giovani uomini cominciano a rivolgersi a noi per provare ad affrontare alcuni problemi». Questa tendenza ad andare verso la ricerca di un aiuto anche da parte maschile può essere spiegata con il fatto che, oggi, tutti i giovani svizzeri, almeno una volta nella loro vita, vedono la figura dello psicologo nella visita di reclutamento

militare: «Questo è un fattore che fa ben sperare per una maggiore capacità nella ricerca di aiuto per essere presi a carico, anche per gli uomini». In buona sostanza, la psicologa è consapevole del fatto che questo inizio di rivoluzione intellettuale non annienterà la sostanziale differenza fra uomo e donna: «Il gender ci viene comunque dato, il ruolo sessuale è quello individuale socio-culturale: la donna ha specifici compiti e comportamenti e l’uomo ne ha di differenti». Questa maggiore apertura, unitamente alle Campagne di prevenzione e alla disponibilità all’ascolto, anche maschile, sono però un buon auspicio perché la tendenza all’aumento delle malattie psicosociali possa invertirsi. La strada passa dunque anche attraverso la capacità di saper chiedere aiuto.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 maggio 2017 • N. 20

17

Ambiente e Benessere

Dal libro al film, sino alla realtà Turismo fuori porta La Sacra di San Michele nel segno dello stupore in un saliscendi di scale

Domenico Scarano «Giunto al termine della mia vita di peccatore, mentre declino canuto insieme al mondo, mi accingo a lasciare su questa pergamena testimonianza degli eventi mirabili e tremendi a cui mi accadde di assistere in gioventù, sul finire dell’anno del Signore 1327. Che Dio mi conceda la grazia di essere testimone trasparente e cronista fedele di quanto allora avvenne in un luogo remoto a nord della penisola italiana, in un abbazia di cui è pietoso e saggio tacere anche il nome». Inizia con queste parole il film Il nome della rosa, tratto dall’omonimo romanzo di Umberto Eco. Non ci viene svelato il nome dell’abbazia dove avvennero i fatti, ma conosciamo a quale abbazia Eco si ispirò per scrivere il suo best-seller. Si tratta della Sacra di San Michele a Sant’Ambrogio di Torino, un imponente complesso architettonico costruito tra il 983 e il 987, che domina dalla vetta del Monte Pirchiriano l’imbocco della Val di Susa. Sembra che lo scrittore abbia preso spunto anche per l’episodio della biblioteca, che nel racconto viene distrutta dal fuoco, mentre nella realtà i testi sono andati persi durante il periodo di decadenza del XVII secolo, quando la Sacra venne praticamente abbandonata. Restando in tema di storie e di libri, il prossimo finesettimana in molti si recheranno proprio a Torino per la Fiera del libro, occasione perfetta per ritagliarsi il tempo di fare una visita alla Sacra di San Michele. Salendo da Avigliana l’abbazia, che dal 1836 è affidata ai Padri Rosminiani e dal 1994 è simbolo della regione Piemonte, sembra non volersi mostrare, salvo poi apparire all’improvviso in tutta la sua maestosità. Dopo aver lasciato l’auto, si percorre una stradina immersa nel verde lungo la quale s’incontrano i resti di una chiesetta eretta nel X secolo, sul luogo di un antico tempio pagano e dedicata a Santo Stefano. È chiamata «Sepolcro dei Monaci» perché nei dintorni avevano sepoltura. Coronata da merli ghibellini, risalendo si delinea la foresteria costruita nel XI secolo come ospizio per i pellegrini. Un viale porta a un complesso di torri e forti, nelle quali potevano alloggiare diversi difensori: costituiva un baluardo avanzato che assicurava il monastero dagli assalti nemici. L’ingresso è chiamato «Porta di ferro» in riferimento alle lamine che lo compongono. Al di là dell’uscio si salgono due ampie rampe di scale che ci portano allo spiazzo dove è possibile ammirare, posata nel settembre del 2005 su uno spuntone di roccia, la statua di San Michele Arcangelo dello scultore altoatesino Paul dë Doss-Moroder: in bronzo, è alta 5,20 metri e pesa 3400 chilogrammi. Un’ulteriore gradinata conduce al basamento alto 26 metri che sostiene

Le nicchie dello scalone. (D. Scarano)

Panoramica sulla Sacra di San Michele di Sant’Ambrogio di Torino. (Rita Morelli)

le absidi della chiesa, la maggiore della quali è sormontata da una loggia di 16 colonnine con capitelli, ognuno lavorato con diverso fregio. Varcato il portone di accesso, si trovano due rampe di scale tra le quali spicca un enorme pilastro alto 18,36 metri e che sostiene, con i suoi quattro archi disposti a croce, la piattaforma della chiesa sovrastante.

Le due rampe di scale guidano a un ripido scalone in pietra alla cui sommità è posto un portale. Sulla destra una massiccia roccia verdognola esce dalla parete per subito scomparire sotto i gradini. Nicchie, archi, pilastri e tombe adornano quello che è chiamato lo «Scalone dei morti». Qui infatti trovarono sepoltura abati e benemeriti. Fino al 1936 nella nicchia centrale erano visibili autentiche mummie ritte in piedi. A questo punto prima di affrontare la ripida scalinata viene da riflettere

sulla struttura dell’edificio: la roccia che compare altro non è che parte della cima del monte Pirchiriano. Da questo si deduce che la chiesa sovrastante è ampiamente più estesa della cima e che quindi per poter essere eretta, si è ricorsi alla costruzione del grande basamento dalla quale si accede. Grazie all’enorme pilastro e all’atrio è stato possibile creare un piano su cui stabilire la nuova chiesa. Nuova, perché di fatto, ne ha inglobato una preesistente più piccola che si trova tutt’ora sotto il pavimento, e alla quale si accede attraverso una scalinata nella navata centrale. Il portale posto in cima allo «Scalone dei morti» è detto «Porta dello zodiaco» poiché sulle sue colonne sono raffigurate le dodici figure delle costellazioni zodiacali. La porta conduce a un terrazzo posto sotto quattro archi rampanti (risalenti al 1937 e resi necessari per sostenere l’inclinazione della parete meridionale della chiesa, verificatosi dal sovraccarico impresso dalla pesante volta a botte del Seicento e sostituita a fine Ottocento). Dal parapetto a sinistra si gode di un magnifico panorama sulla pianura torinese, la Dora, i colli di Torino, di Rivoli e un tratto del lago Grande di Avigliana.

La scala a destra conduce alla porta d’ingresso della chiesa la cui abside è orientata verso il punto esatto in cui sorge il sole il 29 settembre, giorno della festività di San Michele. Di particolare curiosità è il primo pilastro della navata centrale che è appoggiato sulla cima del monte Pirchiriano di cui è possibile intravedere la roccia. Meritano menzione il trittico di Defenente Ferrari, il grande affresco dell’Assunzione e l’affresco della leggenda. L’antico portale dei monaci che in passato conduceva nel monastero sottostante, ora conduce a un vasto terrazzo che si affaccia su una spettacolare vista di tutta la Valle di Susa, coronata da alte cime innevate. Dallo stesso terrazzo si ha la vista sulle rovine dell’antico monastero, ultimo a essere stato costruito (XV sec.) e primo a essere caduto in rovina. Durante la visita si viene proiettati in una dimensione dove storia, leggenda e paesaggi mozzafiato si intersecano a formare un’unica emozione. I membri dell’Associazione volontari Sacra di San Michele, che conta 240 soci, si occupano di accogliere e guidare il viandante lungo il percorso. Non mancate di farvi raccontare le leggende del luogo come «la fondazione e con-

sacrazione della Sacra», «la Bell’Alda», «la scala dei sorci» e perché no anche qualche leggenda metropolitana, come quella della «Pietra bianca». La presidente dell’associazione con orgoglio ci ha spiegato che negli ultimi due anni è stato sviluppato un percorso per non vedenti, mentre già dal 2000 è attivo il percorso che consente la visita della chiesa per i diversamente abili. Durante il periodo estivo vengono organizzati concerti e visite «animate» notturne. Sono diversi, inoltre, i percorsi per soddisfare i più sportivi: come la via ferrata «Carlo Giorda», percorsi per mountain bike e diversi sentieri praticabili per chiunque. In particolare da Sant’Ambrogio di Torino e da Chiusa di San Michele partono sentieri che conducono fino alla Sacra in circa un’ora e mezza di cammino. Di certo sul sito ufficiale si trovano tutte le informazioni del caso: www.sacradisanmichele.com/it/ Non lontano da qui, e che merita una sosta, sorge il Castello di Rivoli, sede di un importante museo d’arte contemporanea.

Salone dei morti. (D. Scarano)

Statua di San Michele. (Rita Morelli)

Terrazza. (Rita Morelli)

Interno della chiesa. (D. Scarano)

La Sacra di San Michele ispirò Umberto Eco per l’ambientazione del suo romanzo Il nome della rosa divenuto poi film

Informazioni

http://www.sacradisanmichele.com/it/


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 maggio 2017 • N. 20

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Ambiente e Benessere

Il Buddha nella moto

A lezione di viaggio

Viaggiatori d’Occidente Un ricordo di Robert Pirsig, autore di Lo Zen

Bussole

e l’arte della manutenzione della motocicletta

Un laboratorio con Scuola Club Migros Lugano

Claudio Visentin Gli scrittori compaiono nei giornali due volte: prima nelle pagine della cultura, quando sono all’apice della fama, poi, a distanza di qualche decennio, nei necrologi. Qualche settimana fa questa sorte è toccata anche allo scrittore e viaggiatore Robert Maynard Pirsig, morto a 88 anni nel Maine. Pirsig ebbe una vita avventurosa e tormentata. Poco gli fu risparmiato: sperimentò le prepotenze dei compagni di scuola, l’espulsione dall’università, il servizio militare in Corea, il divorzio, la malattia mentale e l’elettroshock. La tragedia maggiore fu la morte a soli ventitré anni del figlio Chris, suo compagno nel viaggio attraverso l’America, accoltellato durante una rapina a San Francisco. Tra tante ombre, conobbe anche la benedizione di giornate luminose, grazie al successo del suo libro Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta. Era il resoconto di un viaggio di diciassette giorni, compiuto nel 1968 con Chris e una coppia di amici, attraverso gli Stati Uniti, dal Minnesota al Pacifico, da Minneapolis a San Francisco. Dopo esser stato rifiutato da oltre cento editori, nel 1974, quando fu infine pubblicato, il libro vendette un milione di copie; e altri cinque milioni furono acquistate nelle diverse traduzioni, nei decenni seguenti. Anche il titolo del libro ebbe una fortuna senza limiti. Pirsig si era ispirato a un testo difficile e raffinato, Lo Zen e l’arte del tiro con l’arco, del filosofo tedesco Eugen Herrigel: il racconto del faticoso percorso di avvicinamento allo zen di un occidentale. Ma dopo Pirsig, fu il diluvio. Scorrendo rapidamente i titoli di una libreria online si trova di tutto: Lo zen e l’arte di mangiar bene, Lo zen e l’arte di giocare a tennis, Lo zen e l’arte di innamorarsi… Al tempo del suo trionfale esordio, molti considerarono Pirsig l’erede di Jack Kerouac e del suo romanzo autobiografico Sulla strada (On the Road, 1951). Entrambi pensavano che il viaggio fosse più importante della meta, che

R.M. Pirsig con Chris, nella foto che fa da sfondo alla copertina del libro per le edizioni Adelphi e-book.

quel che conta è andare, non importa dove. Ma Pirsig non si limita a raccontare le sue peregrinazioni attraverso gli Stati Uniti. Il resoconto di viaggio è costellato di considerazioni personali e riflessioni, in dialogo con le filosofie orientali, ma senza scordare il fido Thoreau (Walden. Vita nel bosco è il solo libro che Pirsig porta con sé, oltre al libretto d’istruzioni per riparare la moto, naturalmente). Nel pensiero di Pirsig c’è uno sforzo di superare la distinzione tra quantità e qualità (la malattia dell’Occidente) e soprattutto di trovare una conciliazione con la tecnologia, attraverso la lezione appresa nella cura paziente e quotidiana della motocicletta: «Il Buddha, il Divino, dimora nel circuito di un calcolatore o negli ingranaggi del cambio di una moto con lo stesso agio che in cima a una montagna o nei petali di un fiore». È possibile amare la propria moto (in questo caso una Honda CB77 Super Hawk), comprenderne la personalità, quel che la rende diversa dagli altri modelli (ma anche dagli altri esemplari dello stesso modello), e al tempo stesso

godere la bellezza di una strada di campagna, anzi, godere la bellezza di una strada di campagna grazie alla motocicletta: «Se fai le vacanze in motocicletta, le cose assumono un aspetto completamente diverso… Hai un contatto completo con ogni cosa. Non sei più uno spettatore, sei nella scena, e la sensazione di presenza è travolgente». Come lo stesso Pirsig riconosceva, il suo libro ebbe soprattutto il merito di essere giunto al momento giusto. Gli hippy avevano messo in discussione il sogno americano, ma la loro alternativa libertaria era presto apparsa pittoresca, astratta e irrealizzabile. Molti americani avevano accettato la critica hippy al consumismo e al materialismo, ma cercavano un’alternativa diversa e più seria. Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta mostrava un traguardo positivo, un’estensione alla sfera spirituale dell’idea di successo. Suggeriva che si potesse desiderare qualcosa più di un buon lavoro e della tranquilla vita di ogni giorno. Proprio per lo stretto legame con il loro tempo, queste parti appaiono

oggi sempre interessanti, ma un poco più datate. E invece le pagine più vive ed efficaci restano quelle in cui Pirsig si limita a raccontare il grande viaggio, con la sua capacità di stupirsi sempre di nuovo a ogni tappa («Ho visto questi acquitrini mille volte, eppure ogni volta mi sono nuovi»). Diverse sue intuizioni fioriranno nel nostro tempo: il viaggio lento, a stretto contatto con la strada («Arrivare sulle Montagne Rocciose in aereo equivarrebbe a vederle solo come un bel panorama. Ma arrivarci dopo giorni di duro viaggio attraverso le praterie significa vederle come la meta, come la terra promessa»), il desiderio e il piacere di perdersi, la passione per le strade secondarie, perché «le strade migliori non collegano mai niente con nient’altro». Ma neppure qui tutto è luce. A tratti questo quadro sereno è insidiato da un’ombra, che Pirsig chiama Fedro: un altro sé, il ricordo di quando per tre lunghi anni era precipitato nell’abisso della malattia mentale. Anche nei luoghi più lontani, il volto dell’uomo che siamo stati ci scruta tra la folla…

In vista dei viaggi della prossima estate, prima della valigia, prepariamo l’occhio e la mente. In questa prospettiva «Azione» e Scuola Club Migros Lugano propongono una nuova edizione del laboratorio dedicato all’arte di viaggiare, per imparare a vivere e raccontare le vostre esperienze in una forma più curata e coinvolgente. Non una serie di regole, da applicare meccanicamente, ma piuttosto una riflessione aperta alla bellezza e alla varietà del mondo, insomma una «Scuola del Viaggio». L’insegnante sarà Claudio Visentin, curatore della nostra rubrica Viaggiatori d’Occidente che, settimana dopo settimana, propone riflessioni e spunti per viaggiare in modo più interessante e creativo. Il laboratorio inizierà spiegando come progettare un viaggio interessante, come prendere appunti strada facendo, come rielaborare quanto visto dopo il ritorno a casa. In seguito approfondiremo la scrittura di viaggio nelle sue diverse forme, dal racconto al reportage, alternando testo e immagini, anche con alcuni divertenti esercizi. Il laboratorio – che si svolgerà sabato 20 maggio 2017, dalle 9 alle 12 e dalle 13 alle 16 – è aperto a tutti: sono benvenuti i principianti al pari di chi ha già qualche esperienza di scrittura. Informazioni

Sede: Scuola Club Migros Lugano, via Pretorio 15. Il costo: CHF 144.– (sconto del 10% a chi porterà o citerà «Azione» al momento dell’iscrizione); a ogni partecipante verrà donato il taccuino della Scuola Migros. Numero chiuso: massimo 12 partecipanti, in ordine d’iscrizione. Per le iscrizioni: rivolgersi alla segreteria della Scuola Club Migros Lugano per telefono (091 821 71 50), via posta elettronica (scuolaclub.lugano@migrosticino.ch) o procedere direttamente sul sito www.scuola-club.ch. Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 maggio 2017 • N. 20

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Ambiente e Benessere

La bellezza delle campanule

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e apparentemente soffici contorni di aiuole Anita Negretti

È possibile moltiplicarle per divisione dei cespi o mediante talee di rametti basali lunghi 2-5 cm in aprile-maggio Inoltre se coltivate in vaso amano annaffiature regolari, senza ristagni, ma sono in grado di sopportare brevi periodi di siccità senza soffrirne troppo. Nella maggior parte dei casi, dopo il primo anno dal trapianto si regolano autonomamente con l’acqua piovana se in piena terra. Per quanto riguarda il pH del terreno, vi è una certa preferenza per quelli calcarei. Tra le più basse e compatte troviamo Campanula carpatica, C. punctata, C. portenschlagiana, C. poscharskiana, tutte alte dai 15 ai 40 cm. La C. carpatica, originaria dell’Europa occidentale e in particolare dei Carpazi, ad esempio, raggiunge i 30 centimetri di altezza e crea cuscini fitti e larghi fino a 60 centimetri. Ha fiori blu-viola, lavanda o bianchi in base alla varietà, come «Alba» e «Bressingham White», entrambe color latte; ama posizioni al sole, ma riesce a svilupparsi bene anche a mezz’ombra. Altre campanule raggiungono dimensioni maggiori, come C. persicaefo-

Un esemplare di Campanula lactiflora. (Lazaregagnidze)

Il produttore del vincitore del test

lia e C. medium che arrivano ai 90 centimetri, C. latifolia raggiunge il metro, e per chi vuole stupire e stupirsi c’è C. lactiflora di ben 150 centimetri di altezza e 60 centimetri di ampiezza. Le specie più alte vanno coltivate con l’ausilio di un tutore per evitare che i fusti si rompano e, per stimolare l’emissione di nuovi rametti da fiore, recidete quelli più carichi, utilizzandoli come fiori recisi. Il genere Campanula, della famiglia delle Campanulacee, comprende 300 specie, di cui la maggior parte sono rustiche e perenni. I vasi acquistati in vivaio si possono trapiantare direttamente in piena terra o per ottenere nuove piante si può provvedere alla semina in ottobre o in marzo-aprile, tenendo le seminiere in posizione ombreggiata e coprendole con un telo trasparente di plastica. È possibile inoltre moltiplicarle per divisione dei cespi durante i mesi primaverili o mediante talee di rametti basali lunghi 2-5 cm in aprile-maggio. Inoltre la maggior parte delle campanule coltivabili nelle nostre aiuole si auto disseminano, lasciando così mano libera alla natura e creando giardini poco formali e movimentati. Sarà sufficiente lasciare che le piante fiorite vadano a seme, evitando di tagliare i rami secchi prima che i semi maturi si liberino dalle capsule cadendo nel terreno. Dal secondo anno di vita le nuove piantine produrranno fioriture sempre più intense a patto di non diserbare le aiuole togliendo le nuove nate. Se le campanule più basse ben si accostano a erbacee perenni o ad arbusti come ortensie e ibischi, quelle più alte come C. glomerata, una campanula europea alta fino a 80 centimetri, si accompagnano molto bene con i cespugli di rose o i pergolati ricoperti di clematidi. Mescolate con rose antiche, gigli, alchemille e cespugli bassi di lavanda o margherite, creano veri dipinti in giardino.

Campanula portenschlagiana. (Wouter Hagens)

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Vi sono piante simili per portamento e fioritura a ballerine solitarie, delle primedonne che attirano tutti gli occhi su di loro. Basti pensare ad esempio alle rose: regine indiscusse di aiuole e giardini. Poi vi sono altre piante più discrete, ma altrettanto belle: queste ultime sono piante ricche di un fascino delicato, ideali per accompagnare e valorizzare altre fioriture. Le campanule fanno senz’altro parte di questo gruppo: dalle tinte azzurre, viola, bianche o rosate, con colori tenui e morbidi, fiori mai troppo grossi e quasi sempre riuniti in gruppetti, regalano alle aiuole un’eleganza discreta, specie se mescolate con piante erbacee o con arbusti. Fioriscono dalla tarda primavera per tutta l’estate, senza richiedere cure. Tra le più note nel vasto gruppo delle campanule, senz’altro vi sono quelle con un portamento a cuscino: usate nei giardini rocciosi o nelle fessure di pietra lasciate nei muretti a secco, sono l’ideale anche come piante copri suolo. Facilissime da coltivare, si adattano a diversi tipi di terreno a patto che vi sia un buon drenaggio del suolo unito a una umidità costante. L’ideale è dunque fornire all’aiuola una buona dotazione di sostanza organica, ad esempio uno strato di compost vegetale.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 maggio 2017 • N. 20

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Ambiente e Benessere

Broccoli e romanesco con uovo sodo

Migusto La ricetta della settimana

Piatto principale – Insalata tiepida

migusto.migros.ch/it/ricette Per diventare membro di Migusto non ci sono tasse d’iscrizione. Chiunque può farne parte, a condizione che un membro della sua famiglia possieda una Carta Cumulus.

Ingredienti per 4 persone: 4 uova · 1,5 kg di broccoli · 1 kg di romanesco · qb sale · 2 cucchiai di semi di girasole · 1 mazzetto d’erbe aromatiche miste, ad esempio: prezzemolo e poco levistico · 1 dl di olio di colza · 1 spicchio d’aglio · 6 cucchiai d’aceto alle erbe · qb pepe. 1. Cuocete le uova per 6-7 minuti e lasciatele raffreddare. Sgusciate, tagliatele in quattro e mettetele da parte. Tagliate i broccoli e il romanesco a pezzetti grossi come bocconi e lessateli in abbondante acqua salata, mantenendoli croccanti. Mettete da parte quattro cucchiai d’acqua di cottura e scolateli. Tenete i broccoli in caldo. 2. Nel frattempo, tostate i semi di girasole in una padella senza aggiungere grassi, finché si dorano lievemente. Tritate finemente le erbe e mescolatele con l’olio e i semi di girasole. Unite l’aglio schiacciato, l’aceto e l’acqua di cottura messa da parte. Condite la salsa con sale e pepe e versatela sulle verdure tiepide. Servite le uova messe da parte e accompagnate con patate, pane o riso. Preparazione: circa 30 minuti. Per persona: circa 24 g di proteine, 29 g di grassi, 16 g di carboidrati, 2050

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B E H I C Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 maggio 2017 • N. 20 23 A L I T O S 15 16 17 18 19 N E R E A C Ambiente Q U E eOBenessere 20 21 22 D E R A R I O F R 23 24 25 26 I M E D E N D O C 27 28 29 30 T A S Scontro A E T R I Sportivamente Dopo cinque vittorie consecutive e un pareggio (2-2) a Cornaredo il TBasilea, 31 32 SUDOKU PER A A R C A R E S T I O il FC Lugano ora punta alla qualificazione europea 12

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Gli occhi lucidi di un presidente Alcide Bernasconi Dai cassetti del FC Lugano pare sia saltata fuori una vecchia cartolina: quella di uno stadio di Cornaredo affollato, forse per una partita degli anni Sessanta. Il presidente Angelo Renzetti toglie un po’ di polvere col palmo della mano. Non aveva mai giocato una partita con la squadra bianconera, ma era stato un buon portiere (e capitano), con il Locarno, l’AC Bellinzona, il Giubiasco e ha avuto anche una parentesi in Italia, nelle fila del Monza. Insomma, di calcio ne sa abbastanza per discuterne con cognizione di causa con ogni allenatore e cerca di far prevalere innanzitutto le sue idee sul gioco, ben radicate nel tempo. Ma Renzetti sa ascoltare, soprattutto avendo scelto personalmente il tecnico che deve portare stavolta la squadra non soltanto verso il traguardo della salvezza.

Il FC Lugano ha finalmente ritrovato il pubblico (oltre seimila spettatori) delle grandi occasioni La notizia coi particolari della cartolina impolverata è soltanto un’immagine che ci aiuta, forse, a comprendere meglio quella che ci appare qualcosa di più di una simpatia, o di un calcolo di un imprenditore che ci ha messo parecchio del suo per il rilancio di un club fondato nel 1908 e con un passato tutt’altro che trascurabile in Svizzera.

Quella fotografia, che pure deve averlo fatto sognare prima del suo ritrovo, deve aver toccato nel profondo il presi1 dente italiano, spesso con gli occhi lucidi a testimonianza della sua emotività. È chiaro comunque che senza di lui6il Lugano avrebbe rischiato di finire, se 9 non per sempre, per lungo tempo nella mediocrità, o addirittura nell’anoni11 mato. E si aggiunga che nessun imprenditore ticinese s’era fatto vivo per dargli una mano! 13 14 15 16 Renzetti, impegnato senza soste nel suo studio18 di architettura a Lugano, e alla testa del club cittadino, se andasse 20 21 in porto attualmente il progetto di un nuovo stadio, potrebbe recuperare un po’ di liquidità, 23 oltre ai soldi per 24la dolorosa cessione delle due stelle d’attacco, Ezgjan Alioski e Armando Sadiku, che 27 rischiamo quindi di non vedere mai più in maglia bianconera. Dopo i cinque successi di fila (Grasshoppers 1-0, YB 2-1, Thun 2-1, Sion 4-2 e Lucerna 2-0) ecco il pareggio contro il Basilea (2-2), laureatosi con largo anticipo campione 3 4 svizzero, tanto1 che 2i luganesi possono ora sperare in un finale di stagione spu9 che si trovano in quarmeggiante, visto ta posizione a un sol punto dai vallesani, dunque con 11 tanto di qualificazione 12 all’Europa League a portata di mano. A portare i bianconeri su15un bi14 nario più agevole, dapprima verso la salvezza, quindi di… 18 con la possibilità 19 tornare in Europa (se l’auspicio di Angelo Renzetti21verrà22esaudito da una squadra che ha incantato nelle ultime partite i suoi sostenitori), è stato indub24 25 biamente il nuovo allenatore Paolo Tramezzani, al termine di un lungo27 corteg26 giamento. Senza dimenticare l’apporto

(N. 18 - Il sole, il debito, la neve) 2

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Lugano, 7 maggio 2017 - Angelo 25 Renzetti a inizio partita, durante 28 l’incontro tra il Lugano e il Basilea. (CdT Crinari)

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L9 L E S O E O7 N R I G I 5 1P 3 I L A2 C I 7O E P I 2 A N 6O D O3 N N E I T T O L 6 4 2 3 N A L T I 4 5 7 I E A L A 8 1

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N. 14 MEDIO zera di calcio. Una condizione che, sen-

decisivo sul fronte d’attacco delle due to esaurirsi nell’ambito del club invece 5 6 7 8 stelle citate sopra. d’essere divulgato, non si sa bene come Tale giudizio non è però gradito e da chi. Ciò fece temere ai tifosi bian10 tecnico, che sottolinea i meriti di dal coneri che il pericolo di un divorzio era tutta la formazione. piuttosto concreto. Dopo una brutta sconfitta a Thun, Niente di tutto ciò. E i risultati suc13 1 Renzetti non le ha mandate a dire alla cessivi che abbiamo elencato sopra hansquadra e al16tecnico, no cambiato completamente 17 il quale, di sua 4 5l’atteginiziativa, per essere più chiaro circa le giamento della squadra che sin qui ha attese 20 del club e quelle proprie, aveva disputato un esaltante girone di ritorno. 4 convocato i suoi «ragazzi» il mattino Per la prima volta dopo tanti anni presto in una fabbrica. «Così si deve la- d’attesa, anche Vecchio Tifoso è al set23 vorare anche nel calcio quando diventa timo cielo, mentre il presidente Renzetuna professione!», aveva sottolineato ti si augura di riempire più volte ancora Tramezzani. Tutto ciò a insaputa del spalti e tribune di uno 2 stadio glorioso presidente il quale non la prese bene, vi- ma destinato a sparire per accontentasto che il litigio fra i due avrebbe dovu- re, prima di tutto, la Federazione sviz7 Giochi per “Azione” - Maggio 2017 Stefania Sargentini

il suo rispetto, battersi per entrare D U O L O R Oza Csarebbe E inutile. in…C Europa Oltre al calcio sta mantenendo sulO R M E P I Lle spine A VecchioDTifoso, la Nazionale rossocrociata di hockey, con presta6 C I O E R O Izioni non sempre M Edel tutto convincenti alla dei confronti contro gli av1 vigilia A N T R O Vversari Opiù Iautorevoli. R 9 Molti impegni, dunque, per tifosi vecchi e giovani, C I R O N EdonneT3 T2 Ache attendono il8riencomprese, tro di Roger Federer, dopo la pausa preR O M A P I annunciata in vista dei tornei del Roland Garros sulla terra rossa e sul verde U´ S O T A Z di7Wimbledon, dove6l’erbetta è stata 3 per ´ anni una fan dell’elvetico, come le ultiN O Q U I Z me palline giù3in Australia. 28 A L T E R N A 8 2 1 Vinci una delle 3 carte regalo da 50 franchi con il cruciverba (N. 17 - Impacchi con acqua fredda e aceto) 6 il sudoku 5 e una delle 2 carte regalo da 50 franchi1con (N. 20 - Mangio ogni ben di Dio e poi speroI inM un miracolo) P A T T O 2

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Tra amiche: «Sai cara, sto facendo la dieta del religioso» – «Davvero e in cosa consiste?». Trova la risposta dell’amica leggendo a soluzione ultimata le lettere evidenziate. (Frasi: 6, 4, 3, 2, 3, 1, 3, 5, 2, 2, 8)

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VERTICALI 1. Si segue... senza raggiungerla 2. Si perde con la dieta 3. Giungono in centro 4. Famoso film con Rita Hayworth 5. Nome femminile 6. Le iniziali del politico Brunetta 7. Vendono di più in estate 8. Fu amata da Vasco de Gama 9. Soccorsi 11. Nera a Parigi 14. Non riesce a pronunciare alcune

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consonanti 17. Profumata 18. Fa girare la testa 20. Antico copricapo conico 21. Fiume francese 23. Lo modellano i bambini 24. Immobile

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Sudoku A NI CO N. 15 G DIFFICILE I O R G I A BM E H A OL D I TG O SN I Soluzione: L B E9 N4 I Scoprire i 3 numeri N E R E A C Q 8U E O corretti daIinseB I OO L F DR I L E U DD E R A R rire nelle caselle 4 3 I AM P E O D EL N I D colorate. D O EC C A S T T A S S A T E T R2 I 6 E A SUDOKU D RE E R AAZIONE O T2017 I A R C S T I O -PMAGGIO PER 5 S FACILEO S 4 E P I L1 A F N. 13 E BSchema R O5 C O L L Soluzione I2 E R I L L E S O 9 1 2 9 6 7 5 8 1 N7 E OL E O CN8 U R NI E 1O 93 7 6R91 A 7 4 2 4 5 1M3 2I 6 N5 A1 3SA GO3I 1PB I GL O 4 8 A R A C I O E 2 7 8 9 1 6 2 4 3 7 5 8 L A O3 S I2 N AE6 N P CI5 AI N O O 7 T AR R 7 1 9 2 8 6 3 6 7 M I

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Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch

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ORIZZONTALI 1. Smazzata a carte 4. Ha inciso l’album Oronero 10. Ordine del Giorno 11. Niente per Cicerone 12. Indispensabili se di prima necessità 13. Preposizione 14. Massimo attore 15. Moneta rumena 16. Non ha cittadinanza 18. Nei titoli di coda del film 19. Ha foglie palmate 20. Barattolo a Londra 22. Un film vietato 23. Riso rosolato e cotto al forno 25. Fiume della Spagna 27. Prende in giro il 18 verticale 29. Spicca sulla pelle 30. Macchina semplice che serve per spaccare 31. Le iniziali di Arbore 32. Si arriccia senza toccarlo 34. Dispari nel bagno 35. Sono appesi a un filo 36. Albero da frutto 37. Stato del sud-est asiatico

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(N. 19 - ... duro come il cemento con più stanze)

Giochi Cruciverba

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´ Vincitori del concorso Sudoku 27 su «Azione 18», del 2.5.2017

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Politica e Economia Macron all’Eliseo Il Piccolo Principe, nel suo azzardo folle e consapevole insieme, è riuscito in un anno a riscrivere la storia della Francia pagina 27

Trump-Fbi-Russiagate Questo lo scenario politico americano del momento riguardo al quale molti editorialisti di sinistra si dicono favorevoli a una procedura di impeachment: la realtà è molto complicata e non si è mai presentata in tempi moderni

La Russia e i diritti civili Gay e testimoni di Geova perseguitati, studenti in carcere e ora il nuovo scandalo degli inquilini sfrattati

Ai ferri corti Le relazioni diplomatiche indo-pakistane non sono mai state a un punto così basso

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Macron e SchneiderAmmann, in occasione del loro ultimo incontro a Parigi, nell’aprile 2015, da ministri dell’economia. (Keystone)

Un presidente da scoprire Francia-Svizzera Pur suscitando reazioni positive in molti ambienti elvetici, resta da capire quale impatto

avrà l’elezione di Emmanuel Macron sulle relazioni fra Berna e Parigi, in particolare in materia fiscale e finanziaria

Marzio Rigonalli L’elezione di Emmanuel Macron ha suscitato molte reazioni positive in Svizzera. I consiglieri federali che detengono i principali dossier dei rapporti con la Francia, ossia Didier Burkhalter per gli esteri, Johann Schneider Ammann per l’economia e, ovviamente, Doris Leuthard, nella veste di presidente della Confederazione, hanno avuto parole di compiacimento e di simpatia. Come tanti altri leader politici sulla scena internazionale, sono stati impressionati dal rapido percorso politico di Macron, dalla sua audacia, dalla sua capacità di rompere gli steccati partitici tradizionali ed a creare qualcosa di nuovo, nonché dalla sua giovane età. Tra le espressioni di simpatia si è intravista anche un po’ di prudenza, suggerita dalla nuova situazione creatasi a Parigi e dai due nuovi ostacoli che Macron dovrà superare nelle prossime settimane: la formazione di un nuovo governo, capace di preservare lo slancio ricevuto dall’elezione popolare, e le elezioni legislative, attraverso le quali il nuovo presidente può ottenere la maggioranza parlamentare necessaria per governare. Se supererà con successo anche questi

due ostacoli, Macron avrà coronato l’opera che iniziò un anno fa e avrà dato una nuova prospettiva al futuro che attende la Francia e tutta l’Europa. Quali saranno le relazioni della Francia di Macron con la Svizzera? Non ci sono certezze, perché il nostro paese non è stato menzionato nel suo programma elettorale e nelle poche interviste in cui ne ha parlato, non è andato oltre la sottolineatura dei buoni rapporti storici e di vicinato. Per trovare alcuni punti di appiglio, conviene distinguere le relazioni bilaterali dal dossier Europa. L’intreccio dei rapporti tra la Svizzera e la Francia è molto intenso. I due paesi sono legati da una lingua comune e da valori fondamentali condivisi, come la libertà e la democrazia. Hanno una frontiera comune di circa 600 chilometri, che ogni giorno vien attraversata da 160’000 cittadini francesi che vengono a lavorare in Svizzera. In Francia risiedono 200’000 cittadini svizzeri, che costituiscono la comunità elvetica più importante all’estero. La Francia è il nostro quarto partner commerciale dopo la Germania, gli Stati Uniti e l’Italia. L’importante mappa di interessi,

talvolta comuni, talvolta opposti, ha originato un’attività diplomatica che le due parti definiscono cordiale, ma che presenta anche alcuni problemi. I due principali settori in cui si sono manifestate delle divergenze riguardano la battaglia contro l’evasione fiscale ed i frontalieri. Per le questioni fiscali, basta ricordare le tensioni sorte con la vicenda che ha avuto come protagonista Hervé Falciani, l’informatico che aveva rubato i dati sui conti segreti di 100’000 clienti della banca HSBC di Ginevra e che li aveva trasmessi alle autorità fiscali della Francia e di altri paesi. Oppure la lunga trattativa in vista di un’intesa concernente la fiscalità applicabile nell’area dell’EuroAirport di BasileaMulhouse, sfociata in un accordo intergovernativo firmato lo scorso mese di marzo. L’accordo è importante per lo sviluppo di tutta la regione, ma bisognerà vedere se verrà effettivamente applicato. Attualmente, vi è il conflitto con l’UBS in Francia, accusata di aver aiutato clienti francesi ad evadere il fisco. La banca ha rifiutato di sottoscrivere un accordo extragiudiziale di 1,1 miliardi di euro e dovrà difendersi davanti ai tribunali. Vi sono divergenze anche sull’imposizione forfettaria, di

cui possono godere i cittadini francesi che risiedono in Svizzera e che non vi esercitano un’attività lucrativa. Il fisco francese tassa fortemente questi suoi nazionali e mette a dura prova l’accordo bilaterale di doppia imposizione. Per quanto riguarda i frontalieri, infine, vi sono problemi che riguardano le assicurazioni sociali, in particolare l’applicazione dell’assicurazione contro la disoccupazione. In questi ultimi anni, Berna ha sperimentato le difficoltà a negoziare con un governo, prima quello di Sarkozy e poi quello di Hollande, messo sotto pressione dal bisogno di trovare soldi e convinto che la Svizzera non s’impegnava sufficientemente nella lotta contro l’evasione fiscale. Resta da vedere se Emmanuel Macron, ex banchiere, saprà dimostrarsi più aperto e conciliante sulle questioni fiscali e finanziarie, o se confermerà la linea seguita finora dalla diplomazia francese. Il cambiamento più importante con l’arrivo all’Eliseo di Macron potrebbe avvenire nei nostri rapporti con l’Unione europea. Macron vuole rilanciare l’asse Parigi-Berlino, un asse fondamentale per la pace e la stabilità in Europa. Si propone anche di rafforzare la zona euro con la creazione di

un bilancio della zona e di un ministro dell’economia comune. Infine, vuol proteggere l’economia europea dalla concorrenza degli altri colossi economici mondiale, come gli Stati Uniti e la Cina. È una strategia che tende a rafforzare l’Unione europea ed a ridefinire i suoi rapporti economici con il resto del mondo. Per ora siamo ancora nell’ambito delle intenzioni, ma se il progetto troverà consensi tra gli alleati europei, nonché un’applicazione pratica, due conseguenze almeno potrebbero risultare per la Svizzera. In primo luogo, Macron potrebbe contribuire a rendere duro il negoziato sulla Brexit, vanificando la speranza di chi sosteneva che con una Brexit non troppo amara, la Svizzera avrebbe trovato nuove possibilità e strade innovative nei suoi rapporti con l’UE. In secondo luogo, il rafforzamento e la protezione della zona euro potrebbero rendere più difficile l’accesso al mercato unico. Un accesso che, per quanto riguarda la Svizzera, l’UE vuole regolamentare con un accordo istituzionale. Se questa ipotesi si rivelerà giusta, la Svizzera dovrà prepararsi a subire ulteriori pressioni, tese a farle accettare un accordo, che almeno per ora, non è disposta a sottoscrivere.


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Politica e Economia

La Francia del Piccolo Principe Eliseo Emmanuel Macron ha battuto Marine Le Pen con trenta punti percentuali di vantaggio,

abbastanza per dire che il nuovo presidente francese è riuscito a creare il suo fronte anti nazionalisti Paola Peduzzi «Tutti dicevano che eravamo pazzi, ma non conoscevano la Francia!», ha urlato Emmanuel Macron dal palco allestito sotto la piramide del Louvre, nella notte in cui ha festeggiato la vittoria del suo azzardo folle e consapevole assieme, superare il sistema e diventare presidente della Repubblica francese. Marine Le Pen è stata battuta, con trenta punti percentuali di vantaggio, abbastanza per dire che anche Macron è riuscito a creare il suo fronte anti nazionalisti, non grande come quello del 2002, ma sono passati quindici anni, e nel frattempo è cambiato tutto. Macron è riuscito in un anno esatto a riscrivere la politica della Francia, il bipartitismo schematico, le procedure rigide di costruzione di una leadership: ha lanciato un nuovo partito dal nulla, s’è avvolto nella bandiera europea, ha dato alla Le Pen il referendum sulla globalizzazione che «il popolo» andava cercando (e l’ha vinto lui), e poi a quel popolo ha parlato direttamente, distinguendo tra la Le Pen e i suoi elettori, rivendendosi come un riformatore sì, ma anche come uno in grado di curare le ferite del Paese. Questa cosa, in Francia ma anche in molte altre parti del mondo, non si era mai vista, e che a incarnarle sia un piccolo principe che a dicembre compirà quaranta anni rende la rivoluzione ancora più sorprendente.

L’elezione di Macron ha confermato che la sua è la formula vincente, i tiepidi europeisti non hanno scampo e vengono mangiati I commentatori si sono affrettati a dire: ora comincia la parte difficile. Ed è vero naturalmente, governare non è come rincorrere attenzioni ai comizi elettorali, ma questa frenesia di vedere Macron all’opera, vogliamo sapere di che cosa sei capace davvero, non può cancellare i significati profondi dell’impresa macroniana – per la Francia e per l’Occidente intero, che al voto francese ha appeso ben più di una speranza. En Marche!, il partito del presidente, è nato nell’aprile del 2016 da un calcolo che allora sembrava un po’ di rimessa e che invece si è rivelato il più visionario di tutti: allora Macron era ministro dell’Economia e aveva varato una legge per le liberalizzazioni che portava il suo nome e che era stata duramente contestata in Parlamento. Il governo era dovuto intervenire con la forza istituzionale che gli è consentita – ma che è comunque percepita come una forzatura, appunto – per far passare una versione ad ogni modo annacquata del progetto. Da quegli scontri, Macron capì che il Partito socialista – cui lui non apparteneva formalmente ma era pur sempre un ministro di un governo socialista – si stava radicalizzando e che si sarebbe spostato sempre più a sinistra per combattere la contestuale ascesa del radicalismo di destra. In quel partito, in quella radicalizzazione, Macron non poteva avere un posto, senza contare che allora si pensava che il presidente in carica, François Hollande, si sarebbe con tutta probabilità ricandidato per un secondo mandato, com’è sempre accaduto nella storia recente della Francia. Non c’era posto per la persona e non c’era posto per le sue idee, per questo Macron fondò il suo movimento «d’esplorazione», militanti in marcia per conoscere il Paese e ascoltarlo, e si pensava che avrebbe trovato uno sfogo nel 2022. Quando poi Macron ha deciso di

Macron con la moglie Brigitte, 24 anni di differenza. (Keystone)

candidarsi alla presidenza, alla fine dell’anno scorso, le primarie socialiste non si erano ancora tenute: lo scontro era tra François Fillon, leader dei neogollisti, e la sempre presente Le Pen, e Fillon era considerato il futuro presidente di Francia. Anche il secondo azzardo di Macron, insomma, si basava sulla sua convizione: se la contesa sarà tutta a destra, con un Fillon liberale in economia ma molto conservatore sulla società, il centro progressista resterà comunque sgaurnito. Quando i socialisti hanno preferito il più radicale Benoit Hamon al «macroniano» ex premier Manuel Valls, s’è iniziato a capire che Macron aveva visto più lungo degli altri. Il collasso della candidatura di Fillon, tra scandali e furberie, ha fatto il resto, e naturalmente la fortuna ha aiutato Macron nella corsa più pazza della Francia della V Repubblica, ma il suo calcolo iniziale, quando tutti lo trattavano come un ragazzino bruciato dalla sua stessa ambizione, restava corretto. L’ultima scommessa è stata quella di lanciare una campagna puramente progressista ed europeista, senza temere gli attacchi di chi gli diceva che era troppo elitario e troppo establishment per poter invertire la rotta dei populismi, nel Paese più pessimista d’Europa

poi. Macron ha occupato quel posto rimasto sguarnito, lasciando che i francesi – e tutti noi – si interrogassero sulla loro natura: quanto possiamo essere europeisti? Quanto possiamo essere liberali? C’era il candidato rivoluzionario, ma non si sapeva se c’era un elettorato disposto a seguirlo, mentre anche dall’altra parte della Manica il politico che più assomiglia a Macron, ma è di un’altra epoca e ha avuto una traiettoria del tutto diversa, Tony Blair, insisteva: non si combattono i populisti inseguendoli sul loro terreno. L’elezione di Macron ha confermato che questa è la formula al momento vincente, i tiepidi europeisti non hanno scampo, vengono mangiati – e anche che sì, non conoscevamo la Francia. Ora inizia la parte più difficile: dare sostegno istituzionale e poi politico a questa presidenza. Macron deve formare il suo governo e deve dare forma partitica a En Marche!, in vista delle legislative dell’11 giugno (il secondo turno è il 18 giugno) che non saranno delle elezioni tradizionali: sarà il momento in cui questa nuova Francia prende forma. I partiti esclusi dal secondo turno delle presidenziali – in particolare i Républicains, il Partito socialista e la France insoumise di Jean-Luc Mélenchon – si stanno attrez-

zando per avere una voce nell’Assemblea nazionale e fare opposizione alle «esagerazioni» del presidente. Anche la Le Pen vuole riorganizzarsi: nel discorso della sconfitta ha annunciato una «rifondazione completa» del Front national, che molto probabilmente avrà a che fare con un parricidio definitivo dell’eredità del padre Jean-Marie. Idealmente, che piaccia o no, la Le Pen è la prima forza d’opposizione del Paese, anche se il suo cognome e un sistema elettorale studiato apposta per arginare gli estremismi non giocano affatto a suo favore. Di questa debolezza strutturale si vogliono approfittare gli altri partiti, in particolare i Républicains che al momento sono i più favoriti alle legislative, essendo un partito storico e avendo una presenza territoriale consolidata nel tempo. I socialisti, annicchiliti al 6 per cento delle presidenziali, hanno un compito ben più difficile, perché sono stati rosicchiati in modo forse irrimediabile al centro e all’estrema sinistra: Macron attira i progressisti e i moderati, Mélenchon i più radicali. Proprio quest’ultimo, che ha covato anche la speranza di una sorpresa «insoumise» alle presidenziali, è il più agguerrito: fin dalla notte della vittoria di Macron ha detto di essere contento che il Front

national aveva subito una battuta d’arresto, ma ha anche sottolineato che questa presidenza è la più «lamentable» della storia della V Repubblica. Una specie di «fronte sociale» anti Macron ha già organizzato manifestazioni nella Piazza della Repubblica, dove si erano tenuti i comizi di Nuit début, la prima rivolta, in termini temporali, paramarxista contro il sistema. La piazza si formerà intorno a quel mondo radicale più di sinistra che di destra che fa capo a Mélenchon, alla retorica anti capitalismo e anti uberizzazione della società. Il «popolo», di cui la Le Pen diceva di avere il «monopolio» si distribuirà attorno a queste diverse offerte politiche, per ribaltare il paradigma macroniano: la Francia non è liberale, la Francia non è europeista. L’esito di questo scontro sarà importante per i destini del prossimo inquilino dell’Eliseo, che intanto si gode la sua rivoluzione, partita ascoltando Chopin nel salotto della nonna che per prima gli ha insegnato la letteratura e la cultura del «post» socialismo, e celebrata in una delle piazze più belle del mondo, con le note europee dell’Inno alla gioia, e una dichiarazione che più rassicurante di così non potrebbe essere: vi dirò la verità, vi servirò con amore.


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Politica e Economia

Trump taglia la testa all’Fbi

James Comey Il presidente americano licenzia il capo dell’ente investigativo federale perché non avrebbe svolto bene

il suo lavoro in relazione alle email segrete di Hillary. Nessun accenno al Russiagate, l’altra scottante inchiesta dell’Fbi Tutto potrà cambiare se i democratici riconquisteranno Camera e Senato nel novembre 2018. (AFP)

Federico Rampini Dopo la travolgente vittoria di Macron e la disfatta di Marine Le Pen, diventa legittimo avanzare l’ipotesi che sia stata la vittoria di Trump a segnare l’apice dei populismi. E che dopo di lui, forse per causa sua, sia iniziato un riflusso. In parte già la vittoria di Brexit aveva provocato un «pentimento»: molti elettori inglesi (giovani in testa) che erano rimasti a casa il giorno del referendum, capirono in seguito di avere fatto un errore e che le conseguenze di Brexit le avrebbero pagate anche loro. L’avvento di Trump alla Casa Bianca ha avuto un impatto ancora più forte sulle opinioni pubbliche progressiste o anche moderato-centriste, in ogni caso globaliste. Vedere Trump in azione ha fatto misurare con mano agli europei quale può essere l’impatto di un iper-populista al governo. Fasce di cittadini che si erano distaccati dalla partecipazione politica ed erano delusi dai rispettivi partiti, hanno preso atto che un’alternativa c’è, ma non di loro gradimento. Lo spettacolo dei primi mesi di Amministrazione Trump, pur galvanizzando alcuni dei suoi elettori (che erano comunque in minoranza l’8 novembre) ha spaventato molti altri: l’incompetenza, l’improvvisazione, i primi rovesci subiti, tutto ciò ha fatto uscire i populismi dalla realtà virtuale e li ha resi terribilmente concreti. Dopo Trump si è votato in Olanda e in Francia, e ambedue le consultazioni hanno segnato battute d’arresto dei populismi europei. Gli scenari sul voto d’autunno in Germania sembrano indicare un ridimensionamento della minaccia dell’estrema destra, il ritorno a un’alternativa più tradizionale, tra cristiano-democratici e socialdemocratici. Le ragioni che alimentano i populismi restano valide (i danni della globalizzazione, le tensioni della società multietnica) però il personale politico che essi esprimono sta provocando disillusioni. È ancora presto per formulare bilanci definitivi. I problemi che hanno contribuito a eliminare Hillary Clinton l’8 novembre – dalle disegua-

glianze sociali all’impoverimento della middle class americana – restano tutti irrisolti. Quello che comincia a logorarsi è il fascino del dilettante che promette soluzioni facili. Lo si è visto anche nella pasticciata vicenda in cui Trump ha decapitato l’Fbi, licenziando in tronco il suo capo, il potente e controverso James Comey. L’America precipita verso una crisi costituzionale, denuncia l’opposizione democratica. Il capo dei senatori democratici Chuck Schumer accusa il presidente d’intralciare un’inchiesta che lo stava accerchiando: sul Russiagate. Trump offre un commento secco sull’ex-capo dell’Fbi: «L’ho cacciato perché non stava facendo un buon lavoro». È rarissimo però che un presidente interrompa il mandato decennale di un capo dell’Fbi, che istituzionalmente non deve obbedire a ordini politici (l’unico precedente di un licenziamento fu con Bill Clinton nel 1993).

In soli quattro mesi di presidenza questa è solo l’ultima di una lunga serie di crisi, ma a parlare di impeachment ce ne corre e il procedimento risulta molto complicato L’atmosfera di veleni diventa ancora più pesante quando si scopre un retroscena: poco prima di essere licenziato Comey aveva chiesto nuovi mezzi per portare avanti l’indagine sul Russiagate. È sempre il capo dei senatori democratici Schumer a insinuare: «Quell’indagine si stava avvicinando troppo al presidente?» In effetti l’Fbi continuava a stringere il cerchio attorno ai collaboratori più intimi di Trump e probabilmente allo stesso capo dell’esecutivo. Si accumulano le testimonianze – nelle audizioni parlamentari – che lo stesso Trump era al corrente dei traffici con Mosca da parte di Michael Flynn, il generale che lui volle come massimo con-

sigliere per la sicurezza nazionale, per poi «scaricarlo» in seguito allo scandalo. Le gole profonde della Casa Bianca da tempo descrivono un presidente infuriato perché il clamore su quella storia non si placa. Sullo sfondo c’è – nelle parole di Schumer – «il sospetto che la Russia abbia impropriamente aiutato Trump a farsi eleggere». Se all’ingerenza russa si aggiunge il fatto che Trump l’8 novembre ebbe tre milioni di voti in meno di Hillary Clinton, la legittimità di questo presidente è la più fragile nella storia degli Stati Uniti. Ora che fine farà l’indagine sul Russiagate? Anzi le due indagini: quella di intelligence e polizia giudiziaria condotta per l’appunto dall’Fbi; e le audizioni già iniziate al Senato (che dipende però dall’Fbi in quanto alla raccolta di prove). I democratici a questo punto chiedono una vera e propria commissione d’inchiesta indipendente, con la nomina di un procuratore speciale che non abbia legami con l’esecutivo né con la maggioranza repubblicana. Per divincolarsi dalla morsa dei sospetti, Trump ha usato contro Comey le stesse accuse che Hillary Clinton e il partito democratico hanno rivolto all’Fbi. Nella lettera di licenziamento al superpoliziotto non compare il Russiagate. Gli si rimprovera invece un «abuso di potere» nell’altra indagine politicamente scottante dell’Fbi: quella sulle «email segrete» di Hillary. Sia quando decise di chiudere le indagini nel luglio 2016, sia quando le riaprì inopinatamente pochi giorni prima dell’elezione, Comey avrebbe agito al di fuori del proprio mandato. In effetti la stessa Clinton ancora la scorsa settimana in una lunga intervista-confessione alla Cnn ha attribuito all’Fbi una parte di responsabilità nella sua sconfitta. Va ricordato anche il fatto che Comey era un repubblicano, mosse i primi passi della sua carriera sotto la guida di due personaggi di destra, Rudolph Giuliani alla procura di New York e poi John Ashcroft ministro della Giustizia di George W. Bush. La crisi c’è, l’ennesima di una lunga serie in solo quattro mesi di presiden-

za Trump. Ma di qui a parlare di impeachment, ce ne corre. Non è un caso se nessun presidente americano ha mai subito un vero impeachment. Solo due ci arrivarono vicini, Andrew Johnson (1868) e Bill Clinton (1998), ma anche loro alla fine si salvarono. Nixon si dimise da solo, per lo scandalo Watergate. Il fatto è che il procedimento che sfocia nell’interdizione è complicato. La Camera – che oggi ha una solida maggioranza repubblicana – deve chiedere la nomina di un super-procuratore («independent prosecutor» o «special counselor») che avvii un’indagine istruttoria sul presunto reato del presidente. In questo caso l’ipotesi più scabrosa e inaudita potrebbe essere alto tradimento, se Trump ha consapevolmente lasciato che i suoi collaboratori tramassero con Vladimir Putin per influenzare la campagna elettorale, nominando poi uno dei putiniani nell’incarico strategico di guidare il National Security Council. Ma il supermagistrato incaricato dell’indagine verrebbe comunque designato dal Dipartimento di Giustizia, che obbedisce allo stesso Trump. Se l’istruttoria del procuratore punta verso la colpevolezza, è di nuovo un voto della Camera che deve incriminare il presidente. A quel punto il processo passa al Senato che diventa un tribunale. Presieduto da un giudice vero, per l’occasione: il capo della Corte suprema. Anche lui repubblicano, guarda un po’. E perché l’impeachment scatti, alla fine il Senato stesso dovrà votare la condanna del presidente con una supermaggioranza dei due terzi. Oggi il Senato ha una maggioranza repubblicana, 52 seggi su 100 appartengono al partito del presidente. L’idea che gli stessi repubblicani vogliano disfarsi di Trump è suggestiva. I segnali di insofferenza si moltiplicano. La vecchia destra conservatrice – che già aveva subìto con orrore questo candidato outsider e anti-establishment – non tollera che sia stato eletto con l’aiuto dei russi, i nemici di sempre. Però di congiure repubblicane per eliminare Trump si è fantasticato durante

tutta la campagna elettorale. Al dunque lui ha sempre avuto la meglio sugli avversari. La base più militante continua a preferire lui rispetto ai notabili dell’establishment. Una congiura di palazzo sarebbe probabilmente un suicidio politico per il Grand Old Party. Per smorzare gli entusiasmi di chi vede un’impeachment dietro l’angolo, ancora due dettagli. Primo: il capo dell’Fbi era inviso ai democratici, la sua gestione dell’indagine sulle email segrete di Hillary fu dissennata; se oggi fosse lei presidente probabilmente lo avrebbe licenziato. Secondo: l’America non è una Repubblica parlamentare, niente ribaltoni dei premier né elezioni anticipate, il mandato presidenziale dura comunque quattro anni. Se dovesse sparire Trump, a fine mandato ci arriva il vicepresidente Pence, più reazionario di lui. Molte cose possono cambiare fra 18 mesi. Nel novembre 2018, se alle elezioni legislative di mid-term i democratici saranno capaci di un’avanzata travolgente, riprendendosi una maggioranza nei due rami del Congresso, i nuovi rapporti di forze renderebbero meno inverosimile lo scenario dell’impeachment. Anche qui, però, attenzione all’aritmetica: il Senato si rinnova solo per un terzo dei seggi, rendendo ardua l’ipotesi di una super-maggioranza democratica. Certo, una volta avviato il procedimento dell’impeachment, quand’anche non arrivasse al termine, servirebbe a tenere il presidente sulla graticola, riducendone autorità e capacità di manovra. Un vero procuratore indipendente avrebbe di che sbizzarrirsi con indagini a 360 gradi. Il Russiagate è solo uno dei terreni d’indagine, poi ci sono i molteplici conflitti d’interessi tra il capo-azienda e il capo della nazione; le dichiarazioni fiscali mai divulgate che possono trasformarsi in miniere di notizie. Però ci vogliono altri rapporti di forze al Congresso, e i democratici se li devono prima conquistare tra gli elettori. Per ora la sinistra non ha né la nuova leadership che occorre né una strategia chiara che non si limiti a denunciare le malefatte di Trump.


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Politica e Economia Oltre ai gay, anche i Testimoni di Geova sono perseguitati: un tribunale russo li ha proclamati fuorilegge. (AFP)

Moon Jae-in: presidente di «tutti i coreani» Seul P roviene da una famiglia dalla Corea

del Nord, ha combattuto la dittatura militare

L’Angela dei gay

Diritti civili In Russia, la persecuzione degli omosessuali in Cecenia

è stata sollevata dalla Merkel all’incontro con Putin

Anna Zafesova Aslan, Ismail, Akhmed: i nomi sono tanti, tutti inventati, e nessuno ha un volto, perché i protagonisti sono tutti terrorizzati, e hanno incontrato giornalisti occidentali e operatori di Ong di nascosto, dopo essere fuggiti dalla Cecenia. Tutti però raccontano più o meno la stessa storia: erano entrati in una chat per omosessuali, si erano scambiati messaggi e foto, si erano dati appuntamento in un appartamento di Grozny. All’arrivo, avevano trovato poliziotti armati, che li hanno spogliati, legati e picchiati, torturati per giorni con la corrente elettrica e minacciati di morte se non avessero rivelato i nomi dei loro amici gay. La maggioranza degli uomini sono stati poi consegnati ai loro familiari, ai quali i poliziotti hanno rivelato che erano gay e hanno chiesto di «provvedere», in altre parole, di procedere con un omicidio d’onore. Quasi tutti sono riusciti a fuggire dalla Cecenia grazie all’aiuto di una rete di volontari russi. Ora raccontano ai giornalisti che insieme a loro nella prigione improvvisata c’erano diversi altri uomini, e le Ong confermano che almeno 100 omosessuali ceceni sono stati sequestrati e torturati dalle forze di sicurezza della piccola repubblica caucasica che fa parte della Federazione Russa. Almeno tre uomini sono morti: uno non ha retto le torture, altri due sono stati uccisi dalle proprie famiglie per lavare il «disonore». La tragedia dei gay ceceni è stata resa pubblica dal giornale d’opposizione «Novaya Gazeta». Il nuovo caso di violazione dei diritti umani ha attirato l’attenzione dell’Europa, e Angela Merkel – che qualche giorno fa ha incontrato Vladimir Putin a Sochi, dopo due anni in cui non metteva piede in Russia – ha chiesto al presidente russo «di esercitare la sua influenza per la protezione dei diritti delle minoranze». Non solo dei gay. Pochi giorni prima un tribunale russo ha dichiarato fuorilegge i Testimoni di Geova, proclamati una organizzazione «estremista» al pari dell’Isis. E l’ondata di arresti dei manifestanti che protestavano contro la corruzione ha spinto la cancelliera a ricordare al suo collega del Cremlino «l’importanza del diritto a manifestare in una società civile». Il presidente russo ha replicato asciutto che «la Russia non si permette di interferire negli affari interni di altri paesi». Il Cremlino ha negato ufficialmente il fatto stesso dei raid anti-gay in Cecenia, accettando la versione dei fatti fornita dal leader ceceno Ramzan Kadyrov, il più appassionato sostenitore di Putin, secondo il quale la denuncia delle violazioni dei diritti degli omosessuali è una «provocazione dei nemici della Russia». La smentita del suo

portavoce Alvi Karimov suona ancora meno rassicurante: «Il problema non esiste perché in Cecenia non esistono omosessuali. Se esistessero persone del genere, le forze dell’ordine non dovrebbero fare nulla, perché sarebbero i loro parenti a mandarli in un luogo dal quale non si torna». Anche la responsabile per i diritti umani della Cecenia, Kheda Satarova, sostiene di non aver ricevuto una sola denuncia dagli omosessuali maltrattati: «E se mi fosse arrivata, non l’avrei accolta. Nella nostra società chiunque rispetti la cultura e le tradizioni darebbe la caccia a queste persone, per fare in modo che non esistano più». Un raduno di 15 mila persone nella gigantesca moschea di Grozny ha invece dichiarato «nemici del popolo ceceno» i giornalisti che hanno rivelato i sequestri e le torture. Ma dopo che Angela Merkel in pubblico ha richiamato l’attenzione al problema, il presidente russo ha chiesto all’incaricata per i diritti umani della Federazione Russa, Tatiana Moskalkova, di indagare su eventuali violazioni dei «diritti delle persone di orientamento non tradizionale», come vengono definiti in Russia. Moskalkova è apparsa meno propensa a credere a Kadyrov, proponendo di offrire ai gay ceceni che vogliono denunciare il loro presidente la protezione garantita ai testimoni di reati importanti. Il leader ceceno è stato costretto a promettere la sua collaborazione sulla «presunta persecuzione di persone che in Cecenia non esistono». Non è la prima volta che Kadyrov mette in imbarazzo Mosca: ha minacciato apertamente diversi oppositori dello schieramento liberale, e le tracce di due omicidi clamorosi, quello della giornalista Anna Politkovskaya – che lavorava per la «Novaya Gazeta» – e del politico Boris Nemzov – portano in Cecenia. Kadyrov ha imposto alla sua repubblica – già dominata da tradizioni estremamente patriarcali – una islamizzazione molto rigida, costringendo le donne al velo. Ma è un sostenitore importante, come la chiesa ortodossa, che da anni cerca di impedire l’attività in Russia di gruppi religiosi alternativi. Ad aprile la giustizia russa ha vietato i Testimoni di Geova, i cui membri ora vengono schedati dalla polizia come «estremisti» accanto a jihadisti e neonazisti. Paradossalmente, il giudice ha considerato pericoloso proprio il rifiuto della violenza del gruppo religioso, i cui membri si rifiutano di fare il servizio militare e di votare: «Una posizione antipatriottica e antistatale», recita la sentenza. Il caso dei Testimoni di Geova – che venivano perseguitati e rinchiusi nel Gulag all’epoca sovietica – è stato un altro dossier sollevato dalla cancelliera Merkel a Sochi, per ora, a quanto pare, senza risultati. Per la legge russa i religiosi sono «estremisti», e la

legge anti-estremismo, nata per contrastare il terrorismo islamista e i movimenti xenofobi russi, oggi viene usata contro qualunque tipo di dissenso religioso e politico. Perfino gli studenti scesi in piazza nei cortei anti-corruzione organizzati dal leader dell’opposizione Alexey Navalny oggi vengono indagati per «estremismo», e i casi di ragazzi espulsi dalle scuole o incriminati ormai si contano a decine. A finire nel mirino non sono solo però i diritti politici. Nel lessico dei moscoviti da qualche settimana è apparsa una parola nuova, «renovazia», rinnovamento, un termine ingrombrante dietro al quale si nasconde la più imponente operazione immobiliare del postcomunismo. Il fine dichiarato è quello di trasferire gli inquilini dei vecchi palazzi prefabbricati a 5 piani, le famigerate «krusciovke» (dal nome di Nikita Krusciov che grazie a queste case piccole e rudimentali risolse il problema abitativo del dopoguerra), ormai fatiscenti, in residenze nuove. Ma la portata dell’esodo – che dovrebbe interessare circa 1,6 milioni di abitanti della capitale, uno su dieci – e i contorni poco chiari del trasferimento hanno suscitato preoccupazione in molti moscoviti. Il sindaco Serghey Sobianin promette che la demolizione potrà essere bloccata dal «niet» di un terzo degli inquilini di ogni stabile, che si dovranno esprimere entro il 15 giugno su un sito apposito. Chi non voterà verrà considerato automaticamente favorevole. E soprattutto, i proprietari verranno trasferiti in altre case assegnate dal comune, equivalenti per spazio ma non per valore. In altre parole, lo Stato requisirà i loro alloggi, senza fornire una compensazione, con regole talmente poco trasparenti da permettere, scrive il direttore dell’«Ezhenedelny Zhurnal» Alexandr Ryklin, «la nascita di decine di nuovi miliardari». Il potenziale economico della «renovazia» è però pari al suo rischio di immagine: gli inquilini a rischio hanno già convocato una manifestazione di protesta, e il Cremlino ha chiesto maggiore cautela nel promuovere l’iniziativa, ritenuta pericolosa nell’anno che precede le elezioni presidenziali. Dall’inizio della crisi economica, nel 2014, il numero delle proteste dei lavoratori è aumentato del 40%, espandendosi in diverse regioni e in vari settori, inclusi quelli a finanziamento pubblico. E l’esperto del lavoro Piotr Biziukov non esclude che la rabbia dei proprietari di case – uno dei pochi risvolti della privatizzazione postcomunista avvertiti come positivi dalla popolazione – possano coagulare le decine di microcontestazioni – dei medici, pensionati, camionisti, insegnanti, operai e perfino contadini, per anni assenti dalle piazze – in un’esplosione di protesta senza precedenti.

La tensione con il vicino del nord sarà solo uno dei problemi che il nuovo presidente sudcoreano Moon Jae-in (foto) si troverà ad affrontare nei prossimi mesi e anni. Ex-leader della rivolta studentesca contro la dittatura militare e poi avvocato impegnato nella difesa dei diritti umani, Moon è entrato in politica tardivamente, quando è morto il suo amico e mentore politico, l’expresidente Rooh Moo-hyun, che si è suicidato nel 2009 dopo essere stato accusato di corruzione. Di Rooh è stato un ascoltato consigliere e tutto lascia prevedere che cercherà di far rivivere la cosiddetta «sunshine policy» verso la Corea del Nord, cioè il riconoscimento del regime di Pyongyang e la pacifica coesistenza in cambio della rinuncia da parte del dittatore nordcoreano Kim Jong-un al suo programma nucleare. L’ostacolo più imponente per il rilancio di quella politica – fallita quando, nel 2006, Pyongyang effettuò il suo primo test nucleare – è proprio Kim. Gli osservatori sono infatti unanimi nel ritenere difficilissimo se non impossibile che il dittatore rinunci al suo arsenale atomico. Dopo quello del 2006 la Corea del Nord ha infatti condotto altri quattro test atomici, tre dei quali da quando il giovane Kim (ha circa 33 anni) è al potere. L’arsenale atomico è diventato per il dittatore il principale strumento per tenere unito il gruppo dirigente nordcoreano e oggi il disarmo nucleare è molto più problematico di quanto fosse fino al 2011, quando il Paese era nelle mani di suo padre Kim Jong-il. Questo non impedirà a Moon di giocare la carta della distensione, una mossa che sarà sostenuta anche da Pechino, che sta cercando di rilanciare i colloqui di pace bloccati ormai da otto anni. Il nuovo leader sudcoreano dovrà anche vedersela col presidente americano Donald Trump, che fino a questo momento ha scelto la «linea dura» verso Pyongyang. In un colloquio telefonico svoltosi subito dopo le elezioni, Trump e Moon si sono reciprocamente impegnati a «collaborare strettamente» di fronte «alle minacce nordcoreane». Muovendosi tra i due fuochi di Pechino e di Washington, Moon dovrà anche dire una parola definitiva sul Terminal High Altitude Aerea Defense (THAAD), il sofisticato sistema antimissilistico americano che è stato schierato in tutta fretta nelle settimane che hanno preceduto le elezioni presidenziali. Pechino, che teme possa essere usato per contenere le sue ambizioni regionali, vorrebbe che fosse eliminato,

mentre Trump e i militari americani lo considerano parte essenziale della loro strategia anti-Corea del Nord. Dopo aver vinto le elezioni con un largo margine (oltre il 40%), Moon ha affermato di voler essere il presidente di «tutti i coreani» e ha parlato di rilancio dell’economia senza accennare al THAAD. Nel corso della campagna elettorale ha criticato la presidente che l’ha preceduto Park Geun-hye (attualmente in prigione per corruzione), accusandola di aver acconsentito all’installazione del sistema senza consultare i cittadini. Sarebbe però un errore ritenere che le relazioni con la Corea del Nord siano la principale preoccupazione dei cittadini sudcoreani. In un sondaggio condotto poco prima del voto, solo il 23% degli elettori ha indicato «la situazione internazionale» come la loro preoccupazione principale. Per la maggioranza, i timori riguardano l’economia, che ristagna, e la disoccupazione, che è arrivata all’11,3% secondo le statistiche ufficiali. Moon proviene da un famiglia di profughi dalla Corea del Nord (è nato nel 1953, poco dopo che i suoi genitori avevano raggiunto il sud) e una parte della sua famiglia è rimasta al nord. Non sorprende che i rapporti con Pyongyang occupino un posto importante nel suo programma. Ma per i giovani nati dopo la fine della guerra, la Corea del Nord è un paese incomprensibile e sono preoccupati prima di tutto per l’economia e per il persistere di una struttura sociale in larga parte paternalista e feudale. Espressione economica di questa arretratezza è il potere che tuttora detengono le «chaebol», le grandi conglomerate familiari, la cui struttura e filosofia impediscono l’emergere di nuovi talenti. Moon ha promesso nel corso della campagna elettorale una politica espansiva, che dovrebbe creare circa 800mila nuovi posti di lavoro nel settore pubblico, e una profonda riforma delle «chaebol». La riforma, come ha dichiarato l’economista Olivier Salomon al settimanale «Nikkei», dovrebbe «incoraggiare un rafforzamento della “corporate governance” e della competizione» e «una migliore allocazione delle risorse che promuova l’efficienza e che funga da catalizzatore per una crescita della competitività sul lungo periodo». La vecchia struttura economica ha portato ad un mercato del lavoro spaccato in due, tra i pochi privilegiati che hanno un posto di lavoro garantito e i nuovi arrivati sul mercato, la cui posizione è sempre più debole e che sono buona parte dell’elettorato di Moon.

AFP

Beniamino Natale


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 maggio 2017 • N. 20

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Politica e Economia

Aria di estremismo crescente India-Pakistan Le relazioni diplomatiche fra i due Paesi, a causa della ripresa del conflitto in Kashmir

e delle varie offensive di primavera dei talebani in Afghanistan, non possono che peggiorare. Mentre la comunità internazionale resta a guardare

Francesca Marino La decapitazione di tre militari indiani che piantonavano la LoC, la linea di confine tra India e Pakistan, riporta a un nuovo minimo, come se ce ne fosse bisogno, le ormai più che disastrose relazioni tra India e Pakistan. L’episodio, l’ultimo di una serie piuttosto nutrita di incidenti simili, ha scatenato via media e social media la solita tempesta di accuse, dinieghi e promesse di ritorsioni «a tempo debito» tra i due Paesi e riportato il gelo più totale nelle relazioni diplomatiche, già ai minimi storici nei giorni scorsi a causa della condanna a morte, in Pakistan, di un signore chiamato Kalbushan Jadhav. Una pericoloso spia indiana, secondo Islamabad, a capo di un network di spie che agiva in Balochistan per finanziare la guerriglia separatista. La storia, come spesso accade a queste latitudini, sembra uscita direttamente da un romanzo di terza categoria ed è tutto tranne che chiara. Coinvolge non soltanto l’India ma anche l’Iran, con cui però il Pakistan non ha alcuna intenzione di cominciare una guerra diplomatica. I fatti accertati sono più o meno questi: Jadhav, nato e cresciuto in India, è stato arruolato per quindici anni nella marina militare indiana come ingegnere. Dopo, si è trasferito in Iran, a Chabahar, dove ha messo in piedi un business di trasporti via mare di fertilizzanti che, a quanto pare, non andava per niente bene. In suo possesso sono stati trovati due passaporti indiani, entrambi falsi, a nome di Hussain Mubarak Patel e Husain Patel. Jadhav aveva anche un passaporto iraniano, con cui secondo l’ISI viaggiava in Pakistan. A fare il nome di Jadhav come capo di una rete di spie della RAW è stato un notorio criminale di Karachi, Uzair Baloch, che a quanto pare si è servito dell’informazione per mercanteggiare libertà e compensi con le forze dell’ordine pakistane.

A spalleggiare il Pakistan si è messa anche Pechino decisa a rinunciare alla dottrina di non intervento Jadhav è stato preso, e tempo dopo l’ISI ha rilasciato un video in cui il prigioniero ammetteva di essere una spia indiana, di essere ancora in servizio attivo nella marina militare e di essere stato inviato in Pakistan sotto copertura per finanziare la guerriglia Balochi. Nei giorni scorsi Jadhav è stato condannato a morte da un tribunale militare: nei mesi della sua prigionia non è stato accordato il permesso di incontrare il prigioniero alle autorità consolari indiane né alla famiglia, l’avvocato di cui disponeva Jadhav è stato scelto dal tribunale stesso, gli atti del processo non sono stati resi pubblici. Il Pakistan ha dichiarato più o meno ufficialmente che la sentenza non sarà eseguita nell’immediato futuro, anche perché tempo dopo è scomparso dal Nepal un membro dei servizi pakistani in pensione che si dice sia stato catturato dall’intelligence indiana per essere probabilmente usato come pedina di scambio, ma tra i due Paesi è sceso il gelo più totale. Secondo gli indiani, Islamabad avrebbe inventato la spia Jadhav: e in effetti non è chiaro perché una spia, a meno che non si tratti di un allievo dell’ispettore Clouseau, dovrebbe circolare non con uno ma due passaporti

I funerali dei soldati indiani uccisi dal Pakistan il 2 maggio lungo la linea ufficiosa di confine indo-pakistano. (AFP)

falsi del Paese per cui sta spiando, ad esempio. Risulta più plausibile che il nostro fosse una spia iraniana, teoria avanzata da più parti, ma l’ipotesi di una spia iraniana non fa comodo al Pakistan quanto questa. Perché Islamabad è ormai frenetica nel cercare prove e indizi che riescano a convincere la comunità internazionale del fatto che l’India finanzierebbe non solo i separatisti baluchi ma anche i talebani del Tehrik Taliban-i-Pakistan e tutti coloro che attentano alla pace di quell’idilliaco paese chiamato Pakistan che, e questo sì è stato provato da decine di governi e think-tank internazionali, dell’allevare ed esportare terroristi come strumento di politica estera ha fatto il suo marchio di fabbrica. L’atmosfera del «Paese dei Puri» è resa più pesante anche dall’incertezza delle relazioni diplomatiche con gli Usa dovute alla quasi totale imprevedibilità dell’ineffabile Donald Trump. Così, Islamabad cerca di rafforzare vecchi legami e crearsi nuovi cappi al collo mandando il generale Raheel Sharif a comandare agli ordini dei sauditi la cosiddetta «Nato islamica», la Islamic Alliance, mentre diventa ormai sempre più dipendente sia economicamente che politicamente dalla Cina. Mentre l’India continua con un certo successo a proseguire la sua strategia di isolamento diplomatico del Pakistan, cominciata da un paio d’anni. A essere onesti, certo, gran parte del successo della strategia diplomatica indiana si deve ai clamorosi autogol dei pakistani stessi: che, incapaci di uscire da vecchie logiche, forniscono sempre nuove occasioni a New Delhi per uscirne a testa alta. Incursioni sul confine, barbariche decapitazioni di soldati e, soprattutto, la ripresa in grande stile del conflitto in Kashmir. Conflitto che Islamabad cerca disperatamente e con ogni mezzo di internazionalizzare con offensive diplomatiche, discorsi alle Nazioni Unite e soprattutto con una capillare offensiva di cosiddette Ong finanziate dai servizi segreti, Ong che mirano a mettere in risalto le violazioni dei diritti umani compiute in Kashmir dall’esercito indiano. L’esercito indiano d’altra parte ci mette del suo, come dimostra un recente e sconvolgente video di un ragazzo legato su una camionetta militare per impedire che i suoi compagni tirassero pietre alla camionetta sud-

detta e nessun governo indiano, tantomeno questo, è riuscito a dare a Srinagar e dintorni una risposta che non sia il trattare i propri cittadini come abitanti di un territorio occupato.

A spalleggiare il Pakistan, in modo del tutto inedito, si è messa anche Pechino che sembra ormai decisa a rinunciare alla tradizionale dottrina del «non-intervento»: non soltanto

mettendo bocca nella questione del Kashmir in cui, come dichiarato di recente da un giornale cinese, la Cina ha «interessi legittimi» e l’intenzione più o meno dichiarata di mediare tra India e Pakistan. Per via del CPEC, del corridoio economico tra Cina e Pakistan che passa per un paio di zone contese, come lo stesso Kashmir e il GilgitBaltisan, che l’India è decisa a contrastare per diverse ragioni. Così, tanto per rendere la situazione più distesa, la Cina è intervenuta sulla faccenda «confini disputati» con una iniziativa ulteriore: non contenta di rilasciare visti diversi da quelli per gli indiani agli abitanti del Kashmir, riconoscendo implicitamente la zona come non facente parte dell’India, ha rinominato alcune zone della regione indiana (i cui confini sono soggetti a un’annosa disputa tra Cina e India) dell’Arunachal Pradesh, battezzandole «South Tibet». Qualcuno, da questa parte del mondo, comincia a sentire (o a sperare, dipende dai casi) venti di guerra. Con l’arrivo della buona stagione le relazioni diplomatiche tra India e Pakistan, a causa della ripresa del conflitto in Kashmir e anche delle varie offensive di primavera dei talebani in Afghanistan, non possono che peggiorare. E la comunità internazionale, a quanto pare, ha di meglio da fare che occuparsi della tensione crescente tra due Paesi che possiedono armi nucleari. Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 maggio 2017 • N. 20

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Politica e Economia

«Due velocità» non sono una soluzione Eurozona Se il dibattito sulla flessibilizzazione delle politiche economiche europee non è nuovo,

lo è l’urgenza contingente. Quali le opzioni di riforma?

Edoardo Beretta Dopo anni, in cui i policymaker europei si sono fatti portatori della «bandiera unica» data da Eurozona ed Unione Europea nella loro attuale configurazione ‒ e, di converso, delle relative politiche economiche ‒ da qualche tempo ormai si assiste ad un susseguirsi di appelli provenienti da più parti affinché si preveda maggiore flessibilità a livello di bilancio o, persino, un’Europa «a due velocità». A questo punto, sorge spontanea la domanda sul «come», essendo il «perché» (conseguenza di disomogeneità strutturale all’interno dei 19 Paesi membri dell’Area Euro) è ormai noto. Di primo acchito, quindi, la proposta avanzata dapprima sommessamente durante la crisi acuta del debito europeo (2009-) e oggigiorno meno timidamente di creare un «Euro del nord» ed un «Euro del sud» è forse la più oltranzista. Altre meno azzardate prevederebbero, invece, l’applicazione più soft delle regole comunitarie ‒ perlopiù, allentando la disciplina di bilancio attualmente vigente ed estrapolando alcune voci di spesa ingenti ai fini del calcolo del rapporto fra deficit pubblico e PIL. Per entrambe le proposte antipodali possono, però, valere le stesse considerazioni: la sopra citata separazione «fantaeconomica» ‒ pare difficile, infatti, immaginare che gli organi europei rimangano a guardare ‒ fra

una moneta europea per i Paesi membri del nord ed un’altra per quelli del sud sarebbe sin dagli albori destinata a naufragare. Al di là delle conflittualità economico-politiche o d’immagine, che sarebbero implicate nolens volens da un’eventuale decisione su quale fra le due monete assumere, prevedibilmente l’Euro del sud sarebbe da subito sottoposto a pressioni al ribasso. Queste ultime creerebbero sì le premesse per un rilancio di export o turismo (entrambi ambiti di rilievo in molte Nazioni sudeuropee), ma nel breve-medio periodo si avrebbero anche le condizioni per un ulteriore allontanamento di tale blocco di Paesi dal «modello» nordeuropeo. Tali premesse costituirebbero un ulteriore incentivo (peraltro, già oggi massicciamente esistente) di fuga di capitali dal basso verso l’alto. Ripiegare, invece, sulla cosmesi contabile per «limare» qualche inezia percentuale di rapporto fra disavanzo pubblico e PIL ‒ come alcuni Governi cercano periodicamente di raggiungere nella «contrattazione» con la Commissione europea ‒ pare invece sbagliato. La questione, infatti, è piuttosto di principio e, per affrontarla, ci deve essere chiarezza su come rispondere alla seguente domanda «cardine»: gli accordi comunitari e, in particolare, l’Euro sono da difendersi «costi quel che costi» (citando un’affermazione «ad effetto» del Presidente BCE Mario Draghi risalente all’estate 2012)? Op-

pure no? In tal caso, si dovrebbe venire «allo scoperto» al più presto per evitare ulteriori investimenti di centinaia di miliardi di Euro nel consolidamento di criticità. In caso contrario, cioè in cui si ritenga l’Euro imprescindibile (ed una sua disfatta ancor più deplorevole), la flessibilità da adottarsi dovrebbe essere di natura strutturale e non meramente contingente.

Preso atto che i 19 Paesi membri sono ben lungi da costituire un cosiddetto «spazio monetario omogeneo» le politiche economiche ‒ anche in termini di tassi di interesse fissati ora dalla BCE ‒ dovrebbero perdere sempre più que1 sapore «monogusto» (one size fits all nel gergo economico) e divenire maggiormente plasmabili sulle loro necessità. Se il problema è davvero

Disequilibri macroeconomici infra-europei* Pil Debito Tasso Rendimenti Tasso pro capite pubblico d’inflazione obbligazionari di disoccupati (2013, €) (2015, mld. €) (2016, %) (2016, %) (2016, %) 32’200 290,8 +1,0 +0,4 6,0 Austria Belgio 29’500 434,0 +1,8 +0,5 8,0 Cipro 16’400 19,0 –1,2 +3,8 13,3 – 6,2(2015) Estonia 9’800 2,0 +0,8 Finlandia 16’400 133,1 +0,4 +0,4 8,8 27’600 2’097,6 +0,3 +0,5 9,9 Francia Germania 30’200 2’157,9 +0,4 +0,1 4,1 Grecia – 311,7 +0,0 +8,4 24,9(2015) Irlanda 36’200 201,1 –0,2 +0,7 8,0 Italia 22’400 2’172,7 –0,1 +1,5 11,9(2015) Lettonia 7’100 8,9 +0,1 +0,5 9,7 Lituania 8’500 16,0 +0,7 +0,9 8,0 Lussemburgo 62’400 11,3 +0,0 +0,3 6,3 Malta 13’800 5,6 +0,9 +0,90 4,8 Paesi Bassi 32’300 440,6 +0,1 +0,3 6,0 Portogallo 14’300 231,6 +0,6 +3,2 11,2 Slovacchia 9’500 41,3 –0,5 +0,5 9,7 Slovenia 14’800 32,1 –0,2 +1,2 7,9 Spagna 20’100 1’073,2 –0,3 +1,4 19,6 * http://ec.europa.eu/eurostat/de/data/database

complesso per essere affrontato esaustivamente, è perlomeno sufficiente menzionare l’esempio forse più attuale: avendo la Germania raggiunto nel gennaio 2017 una crescita dei prezzi ormai pari all’1,9%1, cioè perfettamente in linea con il monomandato della BCE di stabilità dei prezzi below, but close, to 2%2 , è evidente che il banchiere centrale ‒ attenzione: rischio di spoiler, cioè di conoscere anticipatamente il finale della vicenda! ‒ possa essere più precipitosamente costretto a rientrare dal programma di acquisto di titoli prima del previsto e provocare un rialzo dei tassi di interesse (anche sulla scia della Fed americana). La pressione economico-politica diverrebbe, quindi, eccessiva anche per la stessa BCE, che ‒ non è da sottovalutarsi ‒ ha le sue sedi a Francoforte sul Meno. Il problema di dover giungere ad una soluzione (che potrebbe per accontentare molti scontentare altrettanti altri) si porrà altrimenti sempre ‒ vedasi, anche assai recentemente, il nuovo round di trattative per il rifinanziamento greco. 1. https://www.destatis.de/EN/ PressServices/Press/pr/2017/02/ PE17_051_611.html;jsessionid=874B9 D9B25B5E466A8C009B22149F1AA. cae2 2. https://www.ecb.europa.eu/mopo/ strategy/pricestab/html/index. en.html Annuncio pubblicitario

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Politica e Economia

A chi fa gola la Banca Nazionale Svizzera?

Azione

Finanza Sorpresa in borsa per un

improvviso aumento della domanda di azioni della BNS. Un privato tedesco è riuscito però a raccogliere soltanto il 6,72% del capitale Ignazio Bonoli Dopo aver chiuso i bilanci 2016 con un utile d’esercizio di 24 miliardi di franchi, la Banca nazionale Svizzera ha annunciato un utile di 7,9 miliardi di franchi anche per il primo trimestre del 2017. Così come l’utile 2016 era costituito per ben 19 miliardi dalle posizioni di valuta estera, anche l’utile trimestrale nel 2017 è dovuto per ben 5,3 miliardi alle posizioni in valuta estera. Per sottolineare l’importanza di questa voce nel bilancio della BNS, basti notare che i proventi per interessi e dividendi hanno generato 2,7 miliardi. Sulle quotazioni dei titoli in portafoglio, i titoli e strumenti di debito hanno registrato una perdita di 1,6 miliardi mentre i titoli e strumenti di capitale hanno fruttato 6,3 miliardi, grazie all’andamento positivo della borsa. Le perdite di cambio sono state di 2,2 miliardi. Questo per ribadire che il bilancio della BNS dipende molto da quanto avviene nelle divise estere (in particolare l’euro) e le sue riserve servono per operare sui mercati a favore del franco svizzero, e non necessariamente per realizzare un utile. Come dire che la Banca Nazionale è una banca molto particolare. Tuttavia ha la forma giuridica di una società anonima, ma a causa del suo ruolo particolare è soggetta ad alcuni limiti. Per esempio il diritto al dividendo è limitato al 6%, cioè a 15 franchi per azione di 250 franchi nominali. Con l’utile la BNS deve far alcuni accantonamenti e distribuire il rimanente alla Confederazione (1 terzo) e ai cantoni, che sono anche i maggiori azionisti. Per questo, il fatto che le azioni dell’istituto abbiano subito a inizio maggio forti spinte al rialzo ha sollevato molta curiosità alla borsa di Zurigo. Da metà aprile il titolo è salito da 1650 franchi a 1900 franchi. Perché e da dove viene questa spinta? Va forse premesso che le azioni della Banca nazionale vengono spesso considerate alla stregua dei prestiti pubblici svizzeri. Godono cioè di un elevato grado di sicurezza e – in questo particolare momento – offrono anche un buon dividendo. Il dividendo del titolo BNS, limitato come detto al 6% del valore nominale di 250 franchi, in base alla quotazione attuale, si traduce in una rendita dello 0,8%, mentre per esempio la rendita dei prestiti a 10 anni della Confederazione è oggi dello 0,17%. L’obbligazione della Confederazione viene restituita al 100% dopo la

REXONA

IL No 1

scadenza dei dieci anni e non è sempre facile trovare alternative comparabili. Ma non è la prima volta che i titoli della Banca Nazionale fanno gola. Per esempio nel 1977 corsero voci di una partecipazione degli azionisti all’utile derivante dalla rivalutazione delle riserve d’oro e le quotazioni del titolo salirono a 1800 franchi. Scesero però a 700 franchi quando la BNS annunciò che, a causa delle perdite sulle riserve d’oro, non avrebbe distribuito il dividendo. Come si vede le azioni BNS non seguono l’andamento dell’economia, per cui non vengono considerate nelle valutazioni degli analisti. Inoltre è oggi sicuro che quando la riserva per la distribuzione dell’utile raggiunge il livello prescritto, l’utile viene versato a Confederazione e cantoni. Del resto una valutazione del valore della sostanza, secondo i metodi usati per le imprese, non sarebbe possibile per la BNS. Si correrebbe il rischio che in certi momenti le elevate riserve di divise e di oro darebbero luogo a quotazioni dei titoli di parecchie migliaia di franchi. Infine, si deve tener conto che un mercato molto ridotto dei titoli BNS provocherebbe forti oscillazioni e quindi elevati rischi di perdite, subito dopo eventuali guadagni. Alla fine dell’anno scorso e all’inizio del nuovo sono corse voci in borsa, secondo cui un grosso azionista privato avrebbe fatto incetta di titoli della BNS, pagandoli 1900 franchi l’uno. Ci si è però subito chiesti che scopo potesse avere questa operazione, al di là della sicurezza del titolo e del dividendo costante. Ovviamente senza però poter incidere sulla gestione del capitale della banca. Infatti per gli azionisti privati il diritto di voto è limitato a 100 azioni. Si è poi saputo che l’interessato era l’imprenditore (e anche professore) tedesco Theo Siegert. Alla fine dello scorso anno era riuscito a racimolare solo il 6,72% del capitale, superando di poco la partecipazione finora più importante del canton Berna con il 6,63%. L’insieme dei cantoni svizzeri possiede oggi il 74,7% del capitale e dei diritti di voto. Le 17’626 azioni con diritto di voto rimanenti sono in possesso di 2’188 persone. Sono inoltre in circolazione altre 30’253 azioni senza diritto di voto. In sostanza, la BNS, fondata nel 1905 su un’idea di un siciliano, nel contesto odierno ha una costruzione un po’ strana, ma è un’ulteriore conferma del federalismo del sistema politico svizzero.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 maggio 2017 • N. 20

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Politica e Economia

Ipoteca fissa o Libor? La consulenza della Banca Migros

Christoph Sax

Andamento dei tassi ipotecari (valori medi in Svizzera) Andamento dei tassi ipotecari (valori medi in Svizzera) 5%

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Christoph Sax, capo economista della Banca Migros

2%

Tasso dell’ipoteca Libor (fissazione del

la BNS aumenterà i tassi non prima della fine del 2018, dall’altro i tassi delle ipoteche Libor cominceranno

Fonti: BNS, Reuters

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Tasso dell’ipoteca Libor (fissazione del tasso 3 mesi, durata 5 anni)

Tasso dell’ipoteca fissa a 5 anni

teranno, ma il sovrapprezzo rispetto tasso 3 mesi, durata 5 anni) ai tassi attuali dovrebbe rimanere limitato. Da un lato si prevede che

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Il calo dei tassi che si protrae ormai da anni sembra aver lentamente raggiunto il punto di svolta inferiore. La banca centrale statunitense ha aumentato il suo tasso di riferimento di altri 0,25 punti percentuali a metà marzo, portandolo così a 0,75 punti percentuali sopra il minimo raggiunto dalla crisi finanziaria. Anche la Banca centrale europea (BCE) dovrebbe irrigidire un po’ la sua politica monetaria oltremodo espansiva a partire dal prossimo anno, riducendo gradualmente gli acquisti di obbligazioni. In base al nostro scenario i tassi a lungo termine sconteranno lentamente questa inversione di rotta della politica monetaria a partire dalla seconda metà del 2017 e saliranno di poco. Per le obbligazioni della Confederazione a dieci anni ipotizziamo un rialzo del rendimento di 0,25 punti percentuali entro un anno. Ciò significa che anche i tassi ipoteche Andamento dei tassidelle ipotecari (valorifisse medisiinallontaSvizzera) neranno lentamente dai loro minimi 5% storici. Per i debitori meno propensi al rischio sembra dunque giunto il momento giusto per stipulare un’ipoteca ei tassi ipotecari (valori medi in Svizzera) fissa. Il sovrapprezzo delle ipoteche 4% fisse rispetto alle ipoteche Libor è attualmente molto esiguo, ma in uno scenario di rialzo dei tassi a lungo termine si amplierà lentamente. 3% Per i debitori più propensi al rischio il passaggio a un’ipoteca fissa non è necessariamente indicato. Tra duetre anni è presumibile che anche per 2% le ipoteche Libor gli interessi aumen-

a tendere decisamente verso l’alto quando il Libor tornerà in territorio positivo. Annuncio pubblicitario

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Politica e Economia Rubriche

Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Tra flessibilizzazione e precariato Cinquant’anni fa, quando ho cominciato ad occuparmi, come ricercatore, del mercato del lavoro, gli imprenditori si preoccupavano per il continuo «turnover» di lavoratori nelle loro aziende e cercavano misure per ritenerli il più a lungo possibile. Per far questo garantivano ai loro lavoratori il tempo pieno, un buon salario e un’occupazione e tempo indeterminato che poteva durare anche l’intera vita lavorativa. Oggi, con il progredire della quota dei lavoratori a tempo parziale nel totale dell’occupazione, la situazione è radicalmente cambiata. Specie nel settore dei servizi, il legame del lavoratore con la sua azienda si è di molto affievolito. Non certo solamente per colpa del lavoratore. In Svizzera il lavoro a tempo parziale ha fatto la sua apparizione negli anni Ottanta dello scorso secolo. Non che prima di questa data non esistesse. Ma la sua

portata non era tale da interessare la statistica ufficiale. Da allora ad oggi la quota dei lavoratori a tempo parziale non ha fatto che crescere, a livello nazionale come nel Cantone. Ha fatto quindi bene l’USTAT a dedicare uno studio a questo fenomeno, che sta trasformando completamente il nostro mercato del lavoro (si veda USTAT, Flessibilità del lavoro, edizione 2017). Si tratta di un quadro statistico in sei schede dedicate ciascuna all’esame di un aspetto particolare della problematica. Un’analisi di molto interesse il cui unico neo è purtroppo quello di essere limitata all’effettivo dei lavoratori residenti, escludendo quindi i frontalieri. L’anno a cui si riferiscono i dati rilevati è il 2015, un anno in un certo senso atipico per la nostra economia per via della forte rivalutazione del franco. I risultati di quell’anno an-

dranno quindi verificati. Per il 2015 ci dicono che la quota delle persone che lavorava a tempo parziale nel totale dei lavoratori residenti in Ticino era pari al 32%. Quasi tre quarti di questo effettivo di lavoratori era formato da donne. A questo proposito va ricordato che la diffusione del lavoro a tempo parziale venne, almeno all’inizio, salutata con favore proprio perché consentiva la possibilità di conservare un’attività di lavoro alle donne con bambini piccoli. Ma oggi l’occupazione a tempo parziale non sembra più rispondere alle loro esigenze di lavoro. Lo studio dell’USTAT ci rivela infatti che quasi un terzo dei lavoratori a tempo parziale non sono soddisfatti del loro tempo di lavoro e dichiarano di essere pronti a lavorare più a lungo. Il 69% di questo effettivo di lavoratori che considerano il loro tempo di lavoro troppo corto è formato da

donne. A questo punto il fenomeno di flessibilizzazione del mercato del lavoro che l’economista, di principio, considera di buon’occhio, si scontra con il fenomeno del precariato, ossia dell’occupazione insufficiente, che, ovviamente, andrebbe eliminato. Bisognerebbe dunque che i posti di lavoro a tempo pieno ricominciassero ad aumentare. Stando al consigliere di Stato Vitta è quello che sta succedendo in Ticino. In un suo articolo pubblicato di recente dal «Corriere del Ticino», Vitta segnala che nel corso degli ultimi dieci anni i posti di lavoro a tempo pieno sono aumentati del 15,7%. È probabile che questa percentuale si riferisca alla quota dei lavoratori con tempo pieno nell’intera occupazione, frontalieri compresi. L’occupazione complessiva, però, è aumentata, nel corso degli ultimi dieci anni (2005-2015) del 24,7%. Nel

corso del periodo osservato, dunque, l’occupazione a tempo parziale, riferita al totale degli occupati, residenti e frontalieri, deve essere cresciuta a un tasso certamente superiore al 24,7% (probabilmente vicini al 50%) e quindi più rapidamente dell’occupazione a tempo pieno. Che a crescere più rapidamente sia attualmente l’effettivo degli occupati a tempo parziale lo dimostra anche il fatto che, stando alla pubblicazione dell’USTAT, tra il 2002 e il 2015, gli occupati residenti in Ticino sono aumentati di 18’000 unità. Di queste, però, ben 16’000 erano lavoratori occupati a tempo parziale. Se la progressione del tempo parziale dovesse continuare, tra una quindicina di anni i posti di lavoro a tempo pieno saranno in minoranza. È probabile allora che per vivere bisognerà lavorare a tempo parziale in più di un’azienda.

ricani della General Electric. Il 36% del capitale delle prime quaranta società quotate alla Borsa di Parigi è all’estero: un terzo della Francia è straniero. Nel 2007 i gruppi francesi controllavano il 5% della capitalizzazione complessiva delle Borse. Oggi, dopo la grande

crisi, la percentuale è scesa al 2,8%: la Francia pesa nel mondo poco più della metà. Ma la questione non è solo economica. L’Esagono, nonostante il verdetto di domenica, resta di cattivo umore perché sente di non contare più nulla, e quasi di non essere più nulla. Vede la propria identità secolare diluita in un mondo dove mantenere 5 milioni e 650 mila funzionari pubblici è diventato un lusso insostenibile, l’Armée saltabecca da una crisi africana all’altra mentre l’Isis che ha assassinato 238 compatrioti mantiene la sua roccaforte di Raqqa, la francofonia arretra dal Marocco all’Indocina, «la cultura è in mano agli anglosassoni» come denuncia Houellebecq, «il cinema ha dieci sole star e parlano tutte inglese» come lamenta Depardieu. Si è cantato in inglese e in arabo anche sul palco della festa di Macron, mentre Sarkozy aveva intonato la Marsigliese con Mireille Mathieu, e Hollande aveva fatto suonare a un violinista La vie en rose ballando con la povera Valérie. Eppure la celebrazione della vittoria al Louvre ha offerto un colpo di scena.

Emmanuel Macron che percorre da solo la Cour Carrée, illuminato da un fascio di luce, accompagnato dall’inno europeo, è un’immagine che resterà; se non altro perché inedita. Il Louvre ha visto ben altro. Però i francesi, che con entusiasmo o con scetticismo hanno scommesso su un giovane, sull’Europa, sul futuro, per una notte hanno avuto l’impressione che la storia fosse tornata a passare sui tetti d’ardesia di Parigi. Sempre che negli anni Macron sappia costruire di sé un ricordo migliore di quello degli ultimi due presidenti. Per il momento, la sua vittoria è un sospiro di sollievo più che un inno alla gioia. Continuare come se nulla fosse, pensare che la nottata sia finita, dare per sconfitto il populismo sarebbe un grande errore; come si vedrà tra un mese alle elezioni legislative, quando Marine Le Pen potrebbe portare un centinaio di deputati all’Assemblea nazionale (oggi ne ha due), cui se ne aggiungeranno molti altri di estrema sinistra. Se il presidente imporrà la svolta liberale promessa, lo attende una fortissima opposizione sociale, anche violenta.

Che fare allora nel campo della formazione? Qui si fronteggiano due concezioni educative. Per gli uni, la scuola deve rimanere uno spazio autonomo, un’isola di libertà non asservita alle leggi dell’economia; il sistema scolastico deve formare innanzitutto cittadini nel senso pieno del termine, e non semplici produttori/consumatori. Per gli altri è illusorio credere che la scuola possa ignorare le esigenze del mondo della produzione; la preparazione dev’essere funzionale, aderire alla domanda, se non lo fa diventa soltanto una fabbrica di disoccupati. Si comprendono quindi perfettamente le incertezze, i dubbi, i dilemmi che assillano le famiglie nell’atto di decidere l’avvenire dei figli. E tuttavia è bene evitare di farsi troppo condizionare dai segnali che attualmente giungono dall’universo dei lavori. Una formazione solida e seria è sempre il miglior viatico, qualunque sia

l’indirizzo scelto, sia esso scientifico o umanistico. La sapeva bene Francesco De Sanctis, chiamato nel 1856 ad insegnare letteratura italiana a tecnici ed ingegneri nel neocostituito Politecnico federale di Zurigo: «Secondo l’ordinamento dell’Università politecnica federale, questi studi non sono obbligatorii. […] Il governo ve ne dà i mezzi: se non volete giovarvene, se non sentite come uomini l’obbligo morale di educare la vostra mente ed il vostro cuore, sia pure: vostro danno e vergogna. […] La letteratura è il culto della scienza, l’entusiasmo dell’arte, l’amore di ciò che è nobile, gentile, bello: e vi educa ad operare non solo per il guadagno che ne potete ritrarre, ma per esercitare per nobilitare la vostra intelligenza, per il trionfo di tutte le idee generose». Una lezione che vale ancora, nell’anno in cui cade il bicentenario della nascita dell’illustre critico letterario irpino.

In&outlet di Aldo Cazzullo Un sospiro di sollievo In tre anni le imprese straniere hanno investito in Francia 178 miliardi di euro. Non a caso, il Club Med è cinese, Alcatel (telefonini) finlandese, Lafarge (edilizia) svizzera; il primo azionista di AccorHotels è cinese, il secondo è il Qatar; Alstom è controllata dagli ame-

AFP

Ogni volta che il lavoro mi porta in Francia mi chiedo come si possa spiegare il «grand malaise» che da anni percorre la terra con più turisti al mondo – 83 milioni, 27 milioni più dell’Italia – e con più neonati in Europa: l’anno scorso sono nati 785 mila bambini, 311 mila più che in Italia. La seconda economia del Continente, la terza potenza nucleare del pianeta. Raccontata dalle statistiche, la Francia può apparire un malato immaginario, degno di una commedia di Molière. La globalizzazione è un’opportunità per un Paese che esporta cose belle e buone, e che continua ad attirare capitali dall’estero, anche perché l’alternanza al potere non pregiudica la stabilità politica. La netta vittoria di Macron si spiega anche così: una Francia di buon senso, spinta da una massiccia mobilitazione dei media e dell’establishment, è ormai persuasa che per una nazione vecchia e gloriosa l’unico modo per sopravvivere oggi è indurre cinesi e indiani, sceicchi e oligarchi a investire qui. Il che può essere un vantaggio; ma implica un costo, in termini di potere decisionale e di orgoglio nazionale.

Cantoni e spigoli di Orazio Martinetti La lezione di Francesco De Sanctis Maggio, gli esami di fine ciclo sono ormai dietro l’angolo. Aumentano, nelle biblioteche pubbliche, le ragazze e i ragazzi chini su libri e appunti. Molti di loro – i liceali soprattutto – dovranno affrontare non solo la prova di maturità ma anche il patema legato alla scelta dell’università e della facoltà. Quale indirizzo appare più promettente, in grado di assicurare un futuro sul mercato del lavoro? E se proprio la strada imboccata non rispecchia le proprie inclinazioni/vocazioni, ci sarà almeno una gratifica in termini di sicurezza e di retribuzione? Domande ricorrenti, alle quali è difficile rispondere con suggerimenti precisi e persuasivi. Per le generazioni nate negli anni 50 e 60 non era così. Parecchi studenti avevano un contratto in tasca ancor prima di terminare gli studi; per medici, avvocati, ingegneri, architetti la strada era tutta in discesa. Lo sviluppo della piazza finanziaria assorbiva come

una spugna economisti e ragionieri, segretarie e sportellisti; anche la scuola e l’amministrazione pubblica offrivano numerose opportunità ai laureati dell’area umanistica; spesso, anzi, la domanda superava l’offerta, al punto di reclutare insegnanti nella vicina Italia. Questa età dell’oro non è più tra noi. Oggi le matricole sanno che al termine del cammino potranno trovare porte chiuse, promesse vaghe e soprattutto una formula un tantino beffarda: «le faremo sapere». Lettere di risposta che spesso non arriveranno mai. Cos’è successo? È successo che l’iter formativo non riesce più ad agganciarsi al mondo produttivo, la cui velocità di mutamento ha assunto una progressione mai conosciuta prima; un ciclone che nel suo turbinare falcia impieghi senza creare un solo posto. Si tratta, come ognuno sperimenta quotidianamente, di una dinamica innescata dallo sviluppo vertiginoso delle

tecnologie digitali, un’azione combinata di intelligenza artificiale, reti telematiche, burotica e robotica che ha reso sempre più superfluo l’intervento umano. Il percorso scolastico deve quindi fare i conti con questi scenari cangianti, una galassia di mansioni prive di un profilo preciso, mutevoli nel tempo, mai fissate una volta per tutte. Lo smarrimento investe soprattutto l’area umanistica: le lingue antiche, la letteratura, la storia, l’archeologia, l’antropologia, la psicologia. Per queste discipline il datore di lavoro principale è sempre stato il settore pubblico e parapubblico, con i diversi ordini di scuola, gli uffici dei beni culturali, gli archivi, i musei, le biblioteche, i centri di ricerca, l’informazione radio-televisiva. Ma ora anche qui il vento è cambiato: con il varo dei programmi di risparmio, anche lo Stato ha cessato di assumere. Meno risorse, meno personale.


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Cultura e Spettacoli Ceramica ad Agra La Galleria Buchmann presenta i lavori di sette artisti accomunati da questa tecnica

Un bulldog alla batteria Steve Gadd, uno dei più importanti musicisti nella storia del jazz, del pop e del blues, ha suonato ad Ascona la scorsa settimana

Gertrude e Parigi Una nuova edizione per la sua biografia: la Stein vi ritrae anche il suo celebre salotto letterario pagina 41

Intervista a Greg Zglinski Esce in Svizzera nei prossimi giorni il film Animals del regista svizzero-polacco

pagina 40

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Pissarro superstar Mostre A Parigi l’utopia anarchica

del guru di Éragny-sur-Epte

Gianluigi Bellei Questa primavera a Parigi va in scena Camille Pissarro. Contemporaneamente due mostre espongono la sua opera e il suo pensiero. Sì, perché Pissarro è un artista molto amato dai parigini che vedono in lui una sorta di guru della vita agreste, di innovatore e di patriarca un po’ distaccato e burbero. Due mostre, dicevamo, diverse una dall’altra, per taglio e qualità. La prima al Musée Marmottan Monet è un’esposizione monografica che comprende sessanta lavori: spaziano dalla sua giovinezza alle Antille sino agli ultimi paesaggi urbani di Parigi, Rouen, Dieppe e Le Havre. Un’esposizione simpatica, tutta da vedere per avere in un colpo d’occhio la visione completa del suo lavoro. Una visione parziale, però. Perché la mostra strizza l’occhio al visitatore puntando unicamente sull’aspetto bucolico delle sue opere. Al contrario il Musée du Luxembourg propone le opere dell’ultimo periodo, quando l’artista si stabilisce con la famiglia a Éragnysur-Epte, a pochi chilometri da Parigi. Quindi dal 1884 al 1903, anno della sua morte. Pur essendo un percorso parziale i curatori ne centrano l’aspetto più importante: quello che fa comprendere i suoi dipinti… perché Pissarro era anarchico. A questo punto si potrebbe aprire una querelle senza fine sulla problematica legata al pensiero politico di un intellettuale in stretto rapporto con la sua opera. Dibattito recentissimo, come sta a dimostrare l’interesse suscitato dalla pubblicazione nel 2014 degli Schwarze Hefte, i Quaderni neri, di Martin Heidegger contenenti forti connotazioni antisemite. Già si sapeva dell’adesione di Heidegger al nazismo, ma gli Schwarze Hefte gettano forse nuova luce sulla problematica. Se per il pensiero di Heidegger il nazionalsocialismo sembra teoreticamente non influire sulle sue costruzioni filosofiche, per Pissarro, al contrario, l’adesione all’anarchismo è fondamentale per

comprenderne l’opera. Tacerla dimostra un approccio non particolarmente scientifico. Di Pissarro si ricordano i 28 disegni delle Turpitudes Sociales dedicati alle due nipoti Alice ed Esther che vivevano a Londra. Nell’immagine del frontespizio si nota chiaramente sullo sfondo attorno al sole nascente la parola «anarchie», mentre in primo piano un vecchio filosofo con la falce in spalla osserva la scena. Durante tutta la sua vita l’artista collabora con la stampa anarchica, prima con «La Plume», poi con Le Révolté di Jean Grave nei suoi cambiamenti di testata: La Révolte e «Les Temps Nouveaux» per il quale disegna pure la copertina della conferenza di Pëtr Alekseevič Kropotkin. Proprio di quest’ultimo, e probabilmente del volume La conquista del pane, scrive: «ho appena letto il libro di Kropotkin. Bisogna confessare che, se è utopico, in ogni caso è un bel sogno. E poiché abbiamo avuto spesso l’esempio di utopie divenute realtà, niente ci impedisce di credere che sarà possibile un giorno, a meno che l’uomo non ritorni alla barbarie completa». In una lettera al figlio Lucien, datata Éragny 8 luglio 1891, scrive: «Sto leggendo in questo momento Proudhon. È assolutamente d’accordo con le nostre idee, il suo libro La giustizia nella Rivoluzione deve essere letto dall’inizio alla fine». I teorici del movimento anarchico, in ogni caso, si muovono in due direzioni contrapposte. Da un lato l’esasperazione dell’ignoto, il nuovo, quello che non si conosce e non si può prospettare, né spiegare. Dall’altro la tendenza a ripiegare verso il noto. In questa direzione vi è la riscoperta, per esempio, delle corporazioni medievali. Pissarro si muove in tutte e due le direzioni. Sul piano formale è alla ricerca del nuovo sperimentando il puntinismo e gli accordi cromatici basati sulle ultime teorie della luce. Almeno all’inizio, e con un certo scetticismo. Fino al 1890 quando scrive a Lucien: «non è più il punto, che ho interamente abban-

Camille Pissarro, Gelée blanche, jeune paysanne faisant du feu, 1888. (© Rmn-Grand Palais/Photo H. Lewandowski)

donato, per rimettermi alla divisione dei colori puri». Tutto il contrario, per esempio, di Courbet – comunardo e amico di Proudhon che gli dedica Du principe de l’art et de sa destination sociale – il quale con il suo realismo antiaccademico si muove nel solco della tradizione. Dal punto di vista dei soggetti rappresentati, invece, Pissarro si rivolge verso il passato. Quel passato rappresentato dai contadini, tanto amati da Kropotkin, che assurgono a emblema di una nuova arcadia. Non c’è sofferenza nei loro volti, fatica nei loro gesti, angoscia nel loro idilliaco mondo. Ma una sorta di rivendicazione del bello e del buono. La mostra al Musée du Luxembourg racconta di questo incontro con la natura. La pittura all’aria aperta, lo sbocciare dei fiori ad aprile, l’estasi dell’autunno con le foglie che cadono. «La casa è stupenda e non cara, mille franchi, giardino e prati compresi», scrive a Lucien il 1. marzo 1884. «Ma ecco che la primavera inizia, i prati sono verdi, i profili nitidi in lontananza». I giardini, gli alberi, le case, i paesaggi spogli o lussureggianti sono al centro dei suoi dipinti. Ma anche i lavori nei campi come nello splendido olio Gelée blanche, jeune paysanne faisant du feu del 1888 o La Cueillette des pommes dello stesso anno. Pissarro non rimane sempre a

Éragny, ma si sposta per trovare nuovi stimoli pittorici con altri paesaggi e soprattutto per recarsi a Parigi per incontrare il suo mercante e gallerista: tale Paul Durand-Ruel che definisce speculatore e sciacallo. Nel 1894, dopo l’assassinio del presidente Marie-François Sadi Carnot a Lione da parte dell’anarchico Sante Caserio, si rifugia per un breve periodo in Belgio in compagnia degli anarchici Théo Van Rysselberghe ed Élisee Reclus. In questi anni dipinge dieci quadri per volta per cercare di sopravvivere e mantenere la numerosa famiglia composta da sei figli piccoli; ma è una lotta impari e difficilmente riesce a vendere qualcosa. Si imbarca pure in un’avventura editoriale artigianale assieme al figlio Lucien: la Eragny Press che pubblica 33 volumi ispirati esteticamente al movimento inglese Art & Crafts di William Morris. Libri ricercati, stampati in poche copie, con una grafica raffinata e pulita. Fra questi Hérodias di Gustave Flaubert, lo scrittore che denuncia l’ipocrisia della morale borghese, ma pure l’Histoire de la Reine du Matin et de Soliman Ben Daoud, Prince des génies di Gérard de Nerval o Choix de sonnets di Pierre de Ronsard. Il commissario della mostra Richard Brettell, direttore de l’Edith o’Donnell Institute of Art History / The University of Texas at Dallas, scrive che

«Pissarro non illustra la teoria anarchica ma le dà forma nell’arte». Al Luxembourg possiamo ammirare un centinaio di opere fra dipinti, acquarelli, guazzi e litografie oltre naturalmente alla cartella originale delle Turpitudes Sociales (i disegni interni invece sono visibili tramite uno schermo luminoso) e alle edizioni dell’Eragny Press. Durante il viaggio per Parigi potete documentarvi leggendo i volumi Camille Pissarro. Grafica anarchica di Benito Recchilongo e Camille Pissarro. Mio caro Lucien. Lettere al figlio su arte e anarchia a cura di Eva Civolani e Antonietta Gabellini. Dove e quando

Pissarro. Le premier des impressionistes. Musée Marmottan Monet, Parigi. A cura di Claire Durand-Ruel e Christophe Duvivier. Fino al 2 luglio. Catalogo Hazan, euro 29. www.marmottan.fr Pissarro a Éragny. La nature retrouvée. Musée du Luxembourg, Parigi. A cura di Richard Brettel e Joachim Pissarro con la collaborazione di Lionel Pissarro. Fino al 9 luglio. Catalogo Réunion des musées nationaux, euro 35, album euro 10. www.museeduluxembourg.fr www.grandpalais.fr


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Cultura e Spettacoli Ferdinando Bruni, una recitazione «gridata». (Laila Pozzo, elfo.org)

Sette modi di creare con la ceramica Mostre Alla Galleria Buchmann

di Agra ci si confronta con l’antica tecnica

Eliana Bernasconi

Poesie e racconti in bianco e nero

Teatro Uno spettacolo con attore solista, video e musica

in omaggio a Edgar Alla Poe, scritto e illustrato da Ferdinando Bruni e Francesco Frongia

Giovanni Fattorini Una stagione all’inferno e Papà respiro addio: così s’intitolavano gli spettacoli con cui Ferdinando Bruni, nel 1990 e nel ’97, volle rendere omaggio a due poeti che gli erano particolarmente cari: Arthur Rimbaud e Allen Ginsberg: il primo, un fuoriclasse; il secondo, un autore significativo ma non di prima grandezza. Ora è la volta di Una serie di stravaganti vicende, «un omaggio a Edgar Allan Poe» come recita il sottotitolo «scritto, diretto e illustrato da Ferdinando Bruni e Francesco Frongia» (Bruni è anche l’interprete). Rimbaud, Ginsberg, Poe: tre scrittori che in diversa misura hanno avuto fama di «artisti maledetti»: la qual cosa significa, fra l’altro, che l’interesse del comune lettore per le loro opere è inscindibilmente connesso con il fascino esercitato dalle loro biografie (anche se Ginsberg, morto a settant’anni, ha avuto il tempo di smorzare il suo urlo beat, diventare una venerata icona hippy, essere nominato Chevalier des Arts et des Lettres). Quanto al «maledettismo» di Poe (l’uomo e l’artista), condivido ciò che ha scritto Leslie Fiedler in Amore e morte nel romanzo americano (1960).

Dopo avere reso omaggio artistico a Rimbaud e Ginsberg, Ferdinando Bruni si dedica a Poe «[…] le figure che Poe creò nella sua opera non furono mai convincenti al pari di quella costituita dalla sua vita. […] Manca a Poe, come scrittore, il senso del peccato, e perciò egli non può elevare i suoi personaggi al livello faustiano, il solo che possa conferire di-

gnità al genere macabro. […] Poe non ci dà se non ciò che Wallace Stevens chiamerebbe una Esthétique du Mal. Se pare che la sua vita stessa faccia provare un brivido più genuinamente metafisico, questo non si deve a lui, ma alla coscienza puritana di Grinswold [suo esecutore letterario e velenoso detrattore], che ne ha fatto una specie di Faust a buon mercato per gli americani, proprio come Baudelaire [che lo dipinse come “una vittima dell’America e un secondo Cristo, la cui croce era l’alcol”] ne fece un poète maudit per i francesi». Circa un anno fa, lo spettacolo di Bruni e Frongia venne preannunciato col titolo Finché esista il sole della mia ragione: una citazione da Berenice, che sembrava alludere al proposito di focalizzare la liaison dangereuse (così Gesualdo Bufalino ha definito il rapporto Baudelaire-Poe) fra lo scrittore americano e i suoi protagonisti maschili – in gran parte anonimi, psicotici o psicopatici – che raccontano di sé in prima persona. Il nuovo titolo, Una serie di stravaganti vicende – che riferito ai racconti di Poe pare frutto di un eccessivo understatement (è forse anch’esso una citazione?) – suona più «oggettivo», e sembra dichiarare l’intenzione di rendere manifesta – trascurando la figura dell’autore – la compiutezza e l’autosufficienza dei suoi racconti e dei suoi personaggi. Un’intenzione realizzata? Diversamente snelliti, nello spettacolo sono presenti Eleonora e Il cuore rivelatore, nonché l’incontro-scontro finale di William Wilson (nome fittizio) col proprio sosia-antagonista: episodio difficilmente comprensibile per chi non conosca l’intero racconto, la cui tensione drammatica deriva dal rinnovarsi degli incontri in località diverse. Esili storie in versi si possono considerare anche le ballate Annabel Lee e Ulalume, nonché la celebre poesia Il corvo, che Bruni e Frongia hanno

frammentato, facendone una sorta di tema ricorrente all’interno di un copione che allinea testi in prima persona, pronunciati da più personaggi maschili, senza nome e di imprecisabile aspetto, che sembrano camuffamenti di un unico personaggio, coincidente col loro allucinato creatore. Al centro dell’apparato scenografico low budget c’è una lunga cassapanca coperta da un telo scuro, che fa pensare a una bara e sulla quale, all’inizio, indossando uno spolverino luttuoso e con due grandi ali nere aperte, Ferdinando Bruni, a piedi scalzi, bofonchia cavernosamente, in lingua originale, la prima strofa del Corvo. Perderà abbastanza presto le ali e metterà piede a terra per proseguire il suo one-man-show, visibile attraverso dei veli trasparenti su cui viene proiettato un video con immagini disegnate in bianco, grigio e nero, che fanno pensare a cieli percorsi da nuvole in fuga, lande brumose e desolate, tetre magioni secolari. A un certo punto, come balzata fuori dalla lugubre cassapanca, appare un’orrorosa figura femminile, nera e scheletrita, che evoca la defunta moglie di Poe e le ossessionanti giovani donne morte che si ritrovano in diverse opere dello scrittore americano. Effetti poco sorprendenti. Sorprendente, e per me incomprensibile, è invece il fatto che per buona parte dello spettacolo la scrittura di Poe, già costellata di locuzioni interiettive e di iperboli, sia smodatamente enfatizzata dalla recitazione in sopratono, ringhiosa e digrignante (vorrei dire «incazzata»), di Ferdinando Bruni – microfonato come al solito – e dalle sottolineature musicali di Theo Teardo. Dove e quando

Milano, Teatro Elfo Puccini, fino al 21 maggio.

Nelle sue innumerevoli tecniche, forme, applicazioni, come terracotta, maiolica, grès, porcellana, raku e altro ancora, la ceramica è presente nella storia di tutti i popoli, dalla Grecia Antica al Giappone, dall’era preindustriale ai nostri giorni. In un’esposizione interamente dedicata a questa pratica la Galleria Buchmann di Agra evidenzia come nelle mani dei singoli artisti la tecnica possa diventare linguaggio autonomo, sfociare in risultati assolutamente diversi, adattarsi a ogni interpretazione, stile espressivo, visione. Dopo aver aperto i battenti nel 1975 a San Gallo proponendo artisti svizzeri emergenti ed essere passata poi ai grandi nomi della scena internazionale, la Galleria Buchmann ha oggi una sede a Berlino, partecipa ad ArtBasel (Basilea e Miami Beach) e ai maggiori eventi di arte contemporanea mondiale. Dal 1998-2000 si trova anche ad Agra e dal 2013 nel centro di Lugano. Fra le figure che compongono il sistema dell’arte contemporanea, il «vero» gallerista ha un ruolo essenziale, anche se certo non sono molto pochi quelli che riescono a operare seguendo rigorosamente questi criteri: in primo luogo individuare l’artista, promuoverlo, seguirlo organizzandogli mostre, nel contempo quindi influenzando e determinando le tendenze di gusto del pubblico. La gallerista Elena Buchmann lavora da anni con un limitato numero di artisti internazionali, fra i quali i due ticinesi Felice Varini e Alex Dorici. Tra quelli che segue da sempre vi sono i sette artisti che presenta alla mostra tematica di Agra. Il nome più appariscente è sicuramente quello di Toni Cragg: una sua opera, Munster, fa parte della Collezione permanente al piano inferiore del LAC. Si tratta di oggetti di recupero, di scarti industriali che ritrovano nuova funzione e si fanno ad esempio guglie di cattedrali. Il percorso artistico di questo grande artista di enorme versatilità plastica è una continua trasformazione. Da legno, pietra, marmo e bronzo trae risultati che ogni volta sorprendono, evidenziando sempre nascoste strutture di forme che si sciolgono contenendo emozioni. Ad Agra, Cragg espone alcuni lavori degli anni 90 e piccole sculture più recenti. In due ceramiche fortemente cromatiche, rivestite di argento satinato e di bianco, il dinamismo dei piani si libera nello spazio. Accostati alle sue opere, sospesi su strutture metalliche in acciaio ci sono gli elementi geometrici in argilla smaltata della tedesco-iraniana Bettina Pousttchi. Nel suo lavoro questa artista usa video e installazioni, interviene su vasta scala in edifici urbani con significative proiezioni fotografiche. In particolare con l’allineamento in spazi pubblici di grandi orologi allude al tempo, mentre il suo totale interesse per l’ambiente urbano traspare in altri lavori

Bettina Pousttchi, NYT (particolare), 2016. (buchmanngalerie. com)

particolari, costituiti da piccole «casette», elementi seriali in argilla smaltata. Anche in Thomas Virnich, il noto artista inglese che nelle sue opere sa spiazzare abilmente i nostri processi percettivi assemblando, tagliando, capovolgendo oggetti colorati e restituendoli in sorprendenti visioni ludiche, è sempre presente il riferimento alle abitazioni dell’uomo. Ci presenta il Duomo di Milano con alcuni piccoli frammenti esterni e con un’opera che ha il candore e il fascino della ceramica smaltata, con tratti lineari e segni impressi sulla superficie. Vèronique Arnold è invece un’artista di Strasburgo, In una sua mostra precedente ricamava parole con ago e filo rosso e bianco su lunghi rotoli di lino. Qui presenta un bianco delicato kimono in «georgette» di seta appeso alla parete. Su di esso ha posato delle foglie di incredibile leggerezza, quasi impalpabili realizzate in porcellana di Limoges. L’effetto dell’insieme, di suggestiva e silenziosa poesia richiama la cultura del Giappone e forse allude allo scorrere del tempo. In semplice primordiale terracotta di colore naturale sono invece i lavori di Martin Disler, pittore, scultore e poeta svizzero dalla fortissima ribelle personalità. Morto prematuramente non ancora cinquantenne, ha lavorato anche in Ticino. Le sue grandi tele di indomita gestualità e di un quasi selvaggio espressionismo potevano richiamare Francis Bacon: la potente carica di essenzialità, la violenta sintesi che caratterizza le sue terrecotte sembrano riportare lo spettatore ai territori dell’infanzia. Alberto Garutti è conosciuto per la sua collocazione artistica radicale e concettuale, per gli interventi di arte pubblica realizzati in città e musei di tutto il mondo. Nella sezione «Parcours» di Art Basel era presente proprio con la Galleria Buchmann. Per questa mostra ha realizzato appositamente delle ceramiche dove a una struttura totalmente geometrica si contrappongono parti di colore puro. Infine nella zona espositiva esterna della Galleria, nella luminosità della Collina d’oro, il luganese Alex Dorici, che pure opera nell’ambiente urbano attingendo anche lui materiale di scarto nei centri di riciclaggio, ha creato un singolare ambiente. Azulejos Luce, Azulejos Light, è un’installazione ispirata alla forma del cubo e all’«azulejo», la piastrella in ceramica appartenente alla tradizione architettonica del Portogallo. Bianche e azzurre, di dimensioni variabili queste piccole ceramiche costruiscono uno spazio sorprendentemente magico, sono percorse da un filo di luce e vogliono anche illuminare la notte. Dove e quando

Ceramica. Agra, Galleria Buchmann. Fino al 31 maggio 2017. www.buchmanngalerie.com/.


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Cultura e Spettacoli

La Carnia, la lingua, l’emigrazione Personaggi Un ricordo di Leonardo Zanier, poeta in lingua friulana e animatore culturale

attivo per anni nel nostro Paese Orazio Martinetti Il lavoro, le migrazioni, il sindacato, la formazione, i viaggi... e poi l’opera poetica. Leonardo Zanier, per tutti Leo, da poco scomparso, si è mosso in questo quadrante, dalla Carnia – dov’era nato nel 1935, precisamente a Maranzanis, frazione di Comeglians – al Marocco, da Zurigo a Roma, da Udine a Riva San Vitale. Personaggio vitale, esuberante, incontenibile, Zanier è stato uno dei protagonisti delle campagne

antirazziste degli anni 60 e 70 del Novecento, nel clima cupo delle iniziative Schwarzenbach. Tecnico edile di formazione, Leo era un agitatore d’idee; l’aspetto era quello di un anarchico dell’Ottocento, il cappello a tesa larga, la voce profonda, arrochita dal fumo delle sigarette, la risata fragorosa. Nel triangolo industriale svizzero spirava una brezza ostile; le famiglie operaie, perlopiù di origine meridionale, scendevano dai treni privi di nozioni linguistiche e professionali, per ammas-

sarsi nei sobborghi urbani, spesso privi di servizi, di ritrovi, di scuole. Da queste emergenze sociali scaturì impetuoso il bisogno di reagire, non soltanto per contrastare le campagne xenofobe, ma anche per mettere in cantiere un progetto di emancipazione fatto di recupero scolastico, corsi serali, riqualificazione professionale, in collaborazione con la Federazione delle Colonie libere e con la Cgil, sindacato che nel campo formativo già vantava una lunga esperienza. Fu così

Era nato a Maranzanis, in Carnia, nel 1935. (A. Ruchat)

possibile tessere una rete di proposte sotto l’egida dell’Ente confederale per l’addestramento professionale (Ecap). Zanier, vulcanico come sempre, non mancava mai di insistere sulla formazione, sulla conoscenza, sulla cultura, gli unici strumenti in grado di sconfiggere l’ignoranza e preparare il riscatto. Come detto, Zanier proveniva dalla Carnia, zona montagnosa del Friuli, regione di spopolamento, case svuotate dall’emigrazione: «una cjasa dos cjasas / dis cjasas scieradas...». Non c’è idillio, nel poetare di Zanier, ma l’arida elencazione dei mali che hanno dissanguato la montagna, scaraventando i contadini carnici nel vasto mondo. Disperazione, fuga, ma anche volontà di cambiare, anche motivo per alimentare una coscienza collettiva e, in ultima analisi, un programma politico. Che cos’è l’emigrazione? Ecco la domanda battente, l’interrogativo che s’infila nei versi, negli articoli, nelle conferenze, dalle poesie di Libers... di scugnî lâ del 1960-1962 alle Risposte ai ragazzi di Fagagna, del 1973, ristampato dalle edizioni Alternative nel 1975. Interrogativo semplice, risposta complessa: «quello che ho cercato di dirvi / è solo uno schema della realtà / la realtà si muove / anche grazie a voi / la muoviamo assieme / si muove anche in Friuli». Nessuna rassegnazione: «non serve piagnucolare / sull’emigrazione / né dobbiamo permettere / a nessuno di piangerci sopra». Molte le opere apparse sul filo de-

gli anni, tra opuscoli, antologie, raccolte e libriccini, testi ripresi riscritti ripensati riveduti, testimonianza di un impegno costante e tenace, da montanaro cresciuto tra le capre, sempre a cavallo di qualche confine, visibile o invisibile. E il tema della frontiera, del cippo, del termine («cjermin»), poi trapassato in quello, oggi ossessivamente presente, dell’identità, che Zanier evoca in numerose liriche ma che finisce per condannare come artificioso. «Sa dire le cose con un’icasticità robusta – ha osservato Carlo Sgorlon dopo aver letto Libers... di scugnî lâ –, sa infondere nel suo verso un ritmo iterativo e scolpito, una cadenza forte che possiede il gusto della contrapposizione, della frase secca costruita con modi epigrammatici, incisivi, taglienti». Il «termine» non è un ostacolo ma un’interfaccia, un’occasione d’incrocio, di contaminazione, di trasgressione. Di qui il ricorso al friulano carnico non come semplice lingua del cuore, intima ed esclusiva, ma come grembo destinato ad accogliere le parole dell’altro. Ecco che allora il vernacolo diventa linguaggio universale, capace di integrare altre lingue, altre espressioni, dal tedesco al francese allo sloveno, sull’onda di uno slancio vitale che ricorda il gramsciano ottimismo della volontà. Perché «doman non è una peraula / doman a è la speranza», domani... «non è una parola, domani è la speranza, non abbiamo che lei, usiamola, facciamola diventare mani, occhi e rabbia e vinceremo la paura».

Nel laboratorio alchemico di Steve Gadd Jazz I l batterista americano protagonista di un concerto memorabile al Teatro del Gatto di Ascona,

nell’ultima serata della rassegna di Rete Due «Tra jazz e nuove musiche» Parlando dei grandi musicisti che hanno segnato la storia del jazz si rischia spesso di cadere nell’iperbole. D’altra parte, occorre ammettere che alcuni di loro possiedono tratti vagamente sovrumani. Prendiamo ad esempio Stephen Kendall Gadd, detto Steve, classe 1945. La sua biografia somiglia, senza alcun dubbio, più a una mitologia che a una normale sequenza di dati cronologici. A sette anni sale per la prima volta su una batteria. A undici suona con l’orchestra di Dizzy Gillespie. Siamo solo al 1956. Le ulteriori orme del suo passaggio attraverso la storia del jazz, si intersecano con le esperienze con alcuni dei suoi maggiori protagonisti, ma soprattutto lo vedono compiere il duro apprendistato del batterista da Big Band, in cui Gadd apprende il senso stretto della disciplina, l’ascolto attento del contesto musicale in cui è immerso, la precisione e affidabilità della scansione ritmica. Negli anni 70, dopo aver bordeggiato diverse formazioni, essersi avventurato senza nessuna preclusione in vari stili musicali, prende una decisione quasi monastica. Decide di dedicare il suo genio alla sala di registrazione. Diventerà il più richiesto batterista da studio d’incisione d’America. In questo modo gli capiterà di finire in migliaia di dischi: basta dare una sommaria occhiata alla sua più semplice discografia wikipediana per scoprire che ha suonato in almeno cinquantaquattro formazioni diverse. A chiunque di noi, scorrendo quella lista, può capitare di scoprire che in qualcuno dei propri album preferiti ha ascoltato, senza saperlo, la batteria di Steve Gadd. Un elenco di nomi è sempre stucchevole, ma in questo caso è più che

giustificato. Cos’hanno in comune Simon&Garfunkel, Dr. John, Paul McCartney, Kate Bush, James Brown, George Benson, Grover Washington Jr., Al di Meola, Michel Petrucciani, Milt Jackson, Art Farmer, Chet Baker, i Manhattan Transfer, Eric Clapton, B.B. King, gli Steely Dan? Nulla, verrebbe da dire conoscendo i rispettivi ambiti e personalità musicali. In realtà hanno approfittato tutti delle abilità musicali di Gadd, artista in grado non soltanto di destreggiarsi nei loro repertori, ma di diventare anche fonte di ispirazione e di imprimere alle varie composizioni una fisionomia nuova, sorprendendo gli stessi creatori. La domanda, ora, è: in questa straordinaria, proteica esistenza musicale, dove si trova il «vero» Steve Gadd? Dov’è l’individualità artistica che reca l’impronta del suo genio personale? Da alcuni anni sembra concretizzarsi perlomeno in un gruppo, la Steve Gadd Band, in cui il batterista ha voluto raccogliere i partner più fedeli e più affini alla sua poetica. La band, non c’è dubbio, possiede una dote rara: la capacità di mantenersi perfettamente in equilibrio sul confine tra generi musicali. Viene da dire che il tratto caratterizzante la SGB è il saper distillare gli elementi essenziali di blues, jazz, rock, country, una sorta di elisir postmoderno in cui tutto si abbina a tutto, tutto si accomoda con tutto. Il risultato quindi non è né jazz, né blues, né country, ma probabilmente musica classica moderna, se con questo si intende una forma colta, matura e meditata di espressione musicale che trascende l’intrattenimento per farsi veicolo di una riflessione estetica ambiziosa. Steve Gadd come musicista classico? Certo l’idea è un’esagerazione, ma

È nato nel 1945 e suona da quando aveva undici anni. (fotopedrazzini.ch)

perlomeno sembra rispecchiare una prassi esecutiva che può incuriosire: il repertorio della Steve Gadd Band, da diversi anni, infatti, sembra apparentemente fermo su sé stesso. Tanto che i brani che occupano la sua più recente edizione discografica, Way back Home del 2016 (ma registrato nel 2015) sono esattamente gli stessi che abbiamo potuto ascoltare la scorsa settimana al Teatro del Gatto di Ascona, nell’ultimo concerto della stagione di Rete Due, «Tra Jazz e nuove musiche», sostenuta dal Percento Culturale di Migros Ticino. A distanza di tre anni il gruppo (e Youtube lo conferma) suona e risuona sempre le stesse canzoni. Gadd ha l’indubbio vantaggio di aver creato un nucleo di solisti (al bas-

so Jimmy Johnson, alla chitarra Michael Landau, alla tromba Walt Fowler e il tastierista Kevin Hays, che ha preso il posto del bravissimo Larry Goldings) stabile e affidabile, a garanzia di una qualità della performance in linea con il senso della precisione e della pulizia sonora proprio al batterista newyorkese. Come bandleader, insomma, Gadd assomiglia molto a un Ellington, tanto che i suoi musicisti sembrano attenti alle sue bacchette come fossero quelle di un direttore d’orchestra. Il concerto di Ascona è stato uno splendido esempio di perfezione e leggerezza. La scelta del repertorio di per sé è assai particolare, visto che spazia attraverso rielaborazioni di brani di Keith Jarret (scelta davvero molto rara

tra musicisti), attraverso alcune interessanti composizioni originali di Landau (uno dei più raffinati chitarristi moderni americani) e di Goldings, oltre ad altri brani, ben scelti e calibrati. Pure se ormai parte di un canovaccio acquisito e rodato, i cinque sanno proporre l’esecuzione con maestria e divertimento, cosa che suscita immediatamente una calda partecipazione del pubblico. Steve Gadd si sta divertendo ancora molto a suonare questa musica: è un po’ il passatempo che riempie le pause tra un palco e l’altro, tra una tournée e l’altra con i grandissimi. E noi abbiamo avuto la fortuna di poter gustare il liquore di questo piccolo alambicco musicale che è la sua band. /AZ


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Cultura e Spettacoli

Una scrittrice a Parigi

Editoria Torna in libreria Autobiografia di tutti, un diario in cui la scrittrice americana

Gertrude Stein ritrae anche i famosi artisti che frequentavano il suo salotto

Mariarosa Mancuso Per chi ha visto Midnight in Paris di Woody Allen, Gertrude Stein è la tozza signora con i capelli corti a cui Owen Wilson porta il manoscritto del suo romanzo, implorando una lettura e una perizia (l’attrice era Cathy Bates). Accadeva a Parigi, 27, Rue de Fleurus. Uno dei salotti letterari che sarebbe stato bello frequentare. Assieme al circolo londinese Bloomsbury, in Gordon Square: oltre a Virginia Woolf e a suo marito Leonard c’erano John Maynard Keynes con la ballerina russa sua moglie, Vanessa Bell, Lytton Strachey che scriverà Eminenti vittoriani (poi, con la mano sinistra, un raccontino scollacciato dal titolo Ermyntrude e Esmeralda). Sarebbe stato bello passare qualche sera anche chez madame du Deffand, sempre a Parigi ma nel Settecento, tra gli ospiti anche Jean Jacques Rousseau (tra i due fu antipatia a prima vista, noi stiamo con la signora). Prima di girare il film, Woody Allen aveva scritto Memorie degli anni venti, riunito con altre piccole delizie in Saperla lunga. La vecchia traduzione era firmata Alberto Episcopi e Cathy Berberian, moglie di Luciano Berio; poi ha rifatto tutto il comico Daniele Luttazzi, ma noi restiamo affezionati alla prima versione, uscita quando Woody Allen non era famoso come oggi (lo scovò Umberto Eco, che nel 1973 lavorava alla Bompiani e firmò la prefazione). In Midnight in Paris un cancello da varcarsi a mezzanotte conduce lo sceneggiatore di Hollywood (in crisi e con ambizioni da romanziere, come tutti) negli anni venti della Lost Generation: americani espatriati, avanguardie artistiche, tutti i sabati sera da Gertrude Stein. Lo pseudo-memoir alleniano – scritto da uno che potrebbe essere Fitzgerald, se non per il fatto di infila-

Teatro Il matrimonio

sotto la lente di Woody Allen

re i guantoni e fare a pugni con Ernest Hemingway che immancabilmente gli rompe il naso – si immagina in presa diretta. Come L’autobiografia di Alice Toklas, dove Gertrude Stein racconta la sua vita parigina nascondendosi dietro il nome dell’amante (e compagna, e segretaria, e musa, nonché editor e cuoca sopraffina: fecero conoscenza nel 1907, rimasero insieme quasi 40 anni, le ricette sono in I biscotti di Baudelaire, Bollati Boringhieri).

Giorgio Thoeni

Woody Allen l’ha rievocata nel suo racconto Memorie degli anni venti e nel suo bel film Midnight in Paris Autobiografia di tutti è il seguito. Subito notiamo l’impegno della scrittrice modernista – «una rosa, è una rosa, è una rosa» risulta fascinoso quanto ostico – nello scardinare le certezze dell’autobiografia (un altro passetto lo farà Jamaica Kincaid con Autobiografia di mia madre). Di solito al modernismo si accoppia il flusso di coscienza, o monologo interiore. Qui il monologo tanto interiore non è: le pagine hanno il ritmo sincopato della chiacchiera, che qualche volta rende difficile la lettura. È il paradosso numero uno, quando si cerca la naturalezza: a furia di imitare la realtà, il disegno diventa incomprensibile (capita spesso con i film in 3D). Tradotto da Fernanda Pivano e ora riproposto da Nottetempo, Autobiografia di tutti alterna pettegolezzi e fissazioni (anche cosmiche) alla cronaca di un ritorno negli Stati Uniti per un giro di conferenze, e non mancano un paio di storie su ombrelli smarriti. Gertrude Stein – a cui il pittore più tardi farà un celebre ritratto – racconta anche di Pi-

Una brava Guerritore in un triplo ruolo

La Stein (a destra) con la compagna Alice B. Toklas in una foto del 1944 scattata nel sud della Francia. (Keystone)

casso che medita di scrivere versi. E poi troviamo Charlie Chaplin, Thornton Wilder, Dashiell Hammett. «A cosa serve essere giovani se si pensa da vecchi», diceva Gertrude Stein, instancabile sostenitrice oltre che di Picasso anche di Matisse (i due però non si intendevano moltissimo, capita quando hai un salotto troppo pieno di celebrità). Picasso porta con sé un dibattito sul carattere nazionale degli spagnoli – preventivamente preso in giro da Woody Allen, che fa il verso alla «rosa che è una rosa che è una rosa» inanellando tautologie e banalità. La vera Gertrude Stein invece ripensa alla sua infanzia, senza trovarci nulla di infelice, al punto da chiedersi: «A che cosa serve avere qualcosa di

infelice?» (il fratello Leo, collezionista d’arte che per primo arrivò a Parigi, è meno apodittico al riguardo). È una delle sue frasi da Maria Antonietta – non hanno pane? mangino brioches – pronunciate senza rispetto per il principio di non contraddizione: ora celebra l’avarizia, ora le gioie dello spendere. Quanto ai giornali, dice che esagerano sempre: «le cose non sono così drammatiche quando si vivono» (porta come esempio le inondazioni). Era davvero un’atleta della divagazione, e in una divagazione riesce in qualche modo a teorizzarlo: «A furia di stare attenti – scrive – siamo così concentrati che di sicuro finiamo per inciampare».

«Era una notte buia e tempestosa…» È l’incipit dei romanzi battuti a macchina sul tetto della cuccia di Snoopy, il brachetto delle strisce di Charles M. Schulz. E l’atmosfera che Monica Guerritore ha creato per rileggere la commedia Mariti e mogli di Woody Allen in un certo senso sembra uscire dalle strisce di Peanuts. Con un umorismo tagliente, talvolta cinico, l’adattamento e la regia dell’attrice, anche protagonista in scena, rispolvera la pellicola di Allen del 1992, realizzata – manco a farlo apposta – nel pieno della crisi che avrebbe decretato la fine del suo matrimonio con Mia Farrow. La trama ruota attorno a Jack e Sally che annunciano agli amici Judy e Gabe la decisione di separarsi. Con loro ci sono altri amici, comparse riunite nella sala di un ristorante dismesso che si trasforma in balera per accogliere le confessioni di coppie in crisi e amanti frettolosi mentre fuori infuria il temporale. Emergono frustrazioni, sogni impossibili, illusioni e ipocrisie con, ovviamente, quella dose di sesso subliminale che accompagna le ossessioni dell’autore di Io & Annie. E c’è anche musica, con gustosi momenti di danza collettiva, numeri di swing e fox-trot sulle voci di Louis Armstrong e Etta James, come per esorcizzare la tragedia e ritrovare un improbabile affiatamento. L’atmosfera che si respira è quella degli amati Strindberg e Bergman, i modelli fra cinema e teatro a cui Allen fa spesso riferimento per un suo «giro-

Le poesie burlesche di Anton Maria Borga

Editoria Ristampata, a cura di Tano Nunnari, un’edizione Agnelli del 1760 Pietro Montorfani A scadenze più o meno regolari le Edizioni dello Stato del Cantone Ticino aggiungono un nuovo tassello alla benemerita collana dei «Testi per la storia della cultura della Svizzera italiana». Sarà che siamo oramai giunti al tredicesimo titolo, sarà che il colore e la forma (in taluni casi anche il contenuto) ricordano quelli dei mattoni di cotto, ma l’impressione, davanti allo scaffale della libreria, è di una casa che si vada costruendo pian piano; con al centro, sfuggente e misteriosa, radicata nella geografia eppure fluida nel tempo, la nostra identità di abitanti e di lettori delle terre italofone della regione alpina. Dopo gli esametri latini del bleniese Giacomo Genora, che avevano inaugurato la collana nel 2004, e a cui hanno fatto seguito gli scritti linguistici di Carlo Salvioni, alcune opere di Soave, Chiesa e Franscini, per non dire dei carteggi del Ciceri o di Giampietro Riva, è ora la volta di un oscuro scrittore di versi burleschi, originario di Rasa nelle Centovalli, che risponde al nome di Anton Maria Borga, nato e morto ben lontano dai perimetri estremi del secolo diciottesimo (1722-76). La cura del volume, dotato di introduzioni, note e apparati degni di tale nome, è di Tano Nunnari, un giovane studioso ticinese – è insegnante al Liceo di Mendrisio – che già si era segnalato per acu-

me e competenza, alcuni anni or sono, con un lavoro certosino attorno alle fonti storiche dei Promessi sposi. Nunnari cambia secolo ma non abbandona la sua proverbiale acribia e prima di entrare nel merito dell’opera letteraria (in realtà «dopo», perché la nota biografica è inspiegabilmente in fondo al volume) si tuffa in una ricerca archivistica per ricostruire le tappe dell’intricata vicenda terrena di Borga: dai natali ticinesi all’infanzia trascorsa in Val

Immagine del frontespizio: l’edizione Agnelli riporta Amsterdam come luogo di stampa. (Repubblica e Cantone Ticino)

Brembana, poi il seminario a Bergamo e i primi soggiorni milanesi, infine la vita sofferta e maledetta di «curato di montagna», tra Zogno, Cavernago e Lepreno in Val Serina. Firenze, Roma, Milano e Venezia, i centri della cultura d’allora, sono lontani anni luce, eppure dalle sue parrocchie d’alta quota Borga riesce con la sola forza della volontà, e un pizzico di sfacciataggine, a inserirsi nella società letteraria e a dialogare quasi alla pari con i massimi scrittori ed eruditi del tempo: Parini, Baretti, Serassi, i fratelli Gozzi. Letti oggi, i suoi versi «piacevoli» (burleschi, leggeri, non impegnati) pagano il dazio di un continuo occhieggiare a diatribe letterarie morte e sepolte, invecchiate presto e circoscritte a un genere comunque minore. Restano una notevole perizia e inventiva metrica, che fu sempre un suo vanto (sonettesse, madrigalesse, capitolesse), e soprattutto la descrizione caustica, al limite dello sberleffo, della vita di parrocchia nelle valli bergamasche: «La mia prebenda è vicina alla Luna, / ed ha montagne e monti d’ogni parte: / la greggia è tutta nera, non che bruna, / [...] / Infra le donne non ce n’è pur una, / che non facesse abassar l’arme a Marte: / se le vedessi ti farian paura» (p. 31). Tolto un passaggio a Rasa nel 1744, per la morte della madre, i contatti di Borga con il Ticino paiono limitarsi alle visite della tipografia Agnelli, con cui stampò i suoi Versi piacevoli nel

1760 sotto il falso luogo di Amsterdam. Nonostante la fittizia attestazione di amicizia con lo stampatore, la vera ragione della destinazione luganese del manoscritto, in una terra più libera da censure, sarà da ricercare nei versi non del tutto ortodossi, specie nelle insistite descrizioni stereotipe di cui sono vittima alcuni ordini religiosi («Se tu, lettor, se’ frate, all’altrui spese / possa tu viver sempre allegramente», p. 21; «Tenete un po’ le mani / sul breviale, o frati, e andate in coro, / e lasciate i prussian pe’ fatti loro», p. 56). Alla fine, conti alla mano, si potrebbe riprodurre insomma anche per Borga, con pochi ritocchi, il giudizio espresso a suo tempo da Giovanni Orelli per un altro poeta «ticinese» del Settecento, Giuseppe Fossati (1759-1811): «morcotese di origine, ma veneto per tutto il resto». Se Borga è potuto entrare, prima che in una storia della letteratura bergamasca, in una collana ticinese è perché per secoli non ci si è chiesti chi fossero i «nostri» e chi i «loro», pacificamente consapevoli di essere tutti aggrappati (con le unghie e con i denti, nel nostro caso) al grande fiume della letteratura e cultura di lingua italiana. Bibliografia

Anton Maria Borga. Alcuni versi piacevoli. Edizioni dello Stato del Cantone Ticino 2016. 279 pagine.

Monica Guerritore e Pietro Bontempo.

tondo» in bilico fra un piano d’ascolto nordico, schnitzleriano e mitteleuropeo, e primi piani dai toni cechoviani. Con l’aggiunta, indispensabile, di dialoghi serrati, molto «americani». Il pregio dell’invenzione della Guerritore è anche quello di farci credere che tutto sia parte di un copione scritto per sorprenderci, giocato su equilibri precari in cerca di lieto fine. Ma contrariamente ai Mariti e mogli in celluloide, con questa trasposizione teatrale si sorride di più. Con le intoccabili citazioni di Allen dei suoi «guru». Oltre agli autori già citati ritroviamo Dostojevskij, Simone de Beauvoir, Yeats, Shelley, Kurosawa, Shakespeare… tutti all’ombra di Freud. La danza delle tipologie di coppia e dei difficili rapporti coniugali è corollario per lo spegnimento di passioni e di ritrovate unioni: Jack e Sally ritroveranno l’amore mentre a separarsi saranno proprio Gabe e Judy. Molto bravi gli attori in scena e applauditi nelle due serate in cartellone al LAC. Con Monica Guerritore (Sally) un’ottima Francesca Reggiani (Judy), uscita dal cliché televisivo. Altrettanto bravi ed efficaci i comprimari Pietro Bontempo (Jack) e Antonio Zavattieri (Gabe). Completano il cast Alice Spisa, Enzo Curcurù, Lucilla Mininno e Angelo Zampieri.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 maggio 2017 • N. 20

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Cultura e Spettacoli

L’animale che è in noi Incontri A colloquio con Greg Zglinski, regista dell’affascinante

Animals, presentato in prima mondiale alla Berlinale e la cui uscita nelle sale svizzere è prevista per inizio ottobre

Rimescolare le carte, un’arte tutta nuova?

Filmselezione S ’inaugura mercoledì

il settantesimo Festival del cinema di Cannes Giorgia Del Don Come detto da Greg Zglinski stesso, la multiculturalità che lo contraddistingue (è nato in Polonia ma cresciuto in Svizzera) gli regala una preziosa libertà che lo trasforma in narratore di storie universali. Storie che parlano ad ognuno di noi al di là delle nostre presunte differenze. A partire dal magnifico Tout un hiver sans feu del 2004, che riscosse un immenso successo di pubblico e critica (Premio Cinemavvenire e Grand Prix Signis per il miglior film alla Mostra di Venezia nonché Miglior film al Premio del cinema svizzero 2005), Greg Zglinski non smette di mettere a nudo la sensibilità dei suoi personaggi che evolvono sullo schermo come ballerini su una scena, parlando non solo attraverso le parole ma anche e soprattutto attraverso i loro corpi, ricettacoli di una sensibilità impossibile da arginare.

Il film Animals racconta la storia d’amore tra Anna e Nick, che slitta progressivamente verso dimensioni parallele Il suo ultimo film, Animals, presentato quest’anno alla prestigiosa Berlinale nella sezione Forum, non fa di certo eccezione, anzi, da questo punto di vista sembra spingersi ancora più in là, oltre la realtà sensibile fino a sfiorare l’astrazione. Animals trasforma i sentimenti dei suoi protagonisti in colori, impalpabili ma estremamente vividi. Quello che però non tutti sanno è che dietro l’intrigante storia raccontata nel film si nasconde un altro geniale regista: l’austriaco Jörg Kalt, suicidatosi prima di portare a termine il progetto che è rimasto allo stadio embrionale di sceneggiatura. Affascinato da questa storia tanto atipica quanto universale, Greg Zglinski decide di dare vita al film sul quale plana immancabilmente il fantasma di Kalt. Alla luce del suicidio del regista e giornalista austriaco, Animals, che parla fatalmente dei limiti della percezione umana e dell’onda d’urto che le nostre emozioni espandono ben al di là del mondo palpabile che ci attornia, brilla di una luce ancora più misteriosa. L’ultimo film di Zglinski racconta una storia d’amore, quella fra Anna e

Nick, che slitta progressivamente verso dimensioni parallele mettendo in dubbio le certezze di ognuno e facendo risuonare le voci dei protagonisti come echi lontani. E se l’amore fosse davvero la chiave di lettura di un mondo ben più vasto rispetto a quello che i nostri sensi percepiscono? Come una sonnambula Anna si lascia guidare da una forza sconosciuta che prende tanto le sembianze di un pesce rosso scarlatto quanto quelle di un agnello sacrificale, di un uccellino disorientato o di un gatto che parla. Uno stato di grazia spaventoso e allo stesso tempo sublime. Greg Zglinski, come è nata la sua passione per il cinema e quali sono le sue referenze cinematografiche?

Il cinema mi accompagna sin dall’infanzia. Adoravo andarci con la mia baby-sitter ed era un’attività che preferivo di gran lunga all’asilo. Mi piaceva anche molto guardare Zorro alla televisione. Detto questo il mio film «iniziatico» è stato L’impero colpisce ancora (Star Wars: episodio V). Dopo averlo visto ho sentito il bisogno di scoprire come è fatto un film. Ho letto tutto quello che ho trovato sul soggetto e ho cominciato a girare dei piccoli film Super 8. In che modo le sue origini – polacche e svizzere – influenzano la sua sensibilità di cineasta?

La mia esperienza multiculturale mi aiuta sicuramente a mantenere una certa distanza rispetto alle altre culture. Questo mi permette di raccontare delle storie più universali. Le differenti lingue usate nei miei film non hanno, secondo me, una grande importanza, perché i miei film sono fatti innanzitutto d’immagini e situazioni. Per quanto mi riguarda i dialoghi sono elementi aggiuntivi alla narrazione. Come è nata l’idea di dare vita all’ultimo script di Jörg Kalt? Possiamo parlare di un film realizzato in binomio o piuttosto di un adattamento libero?

Sono entrato in contatto per la prima volta con la sceneggiatura originale di Animals nel 2007 mentre mi trovavo a Zurigo come membro della commissione della Zürcher Filmstiftung. Siamo rimasti tutti affascinati dall’originalità della costruzione del film. Poco dopo ho saputo che Jörg era morto e ne sono rimasto scioccato. Da allora la storia non mi ha più abbandonato e quando con Stefan Jäger, produttore di Animals, abbiamo deciso di fare un film insieme, gli ho subito chiesto

se credeva fosse possibile dare vita a questa sceneggiatura.

Animals sembra sezionare all’infinito la nostra realtà sensibile spingendoci a vedere i limiti della nostra percezione. Allo stesso tempo il film non si trasforma mai in pura astrazione e resta sempre legato a una narrazione di certo «fantastica» ma ciò nonostante verosimile. Come è riuscito a destreggiarsi tra questi due aspetti, sperimentazione e narrazione?

La sceneggiatura originale era più formale, più sperimentale. L’ho riscritta insistendo maggiormente sulla psicologia dei personaggi e sviluppando le relazioni fra i protagonisti. Se il pubblico perde la logica narrativa allora non deve perdersi in quella delle emozioni. Dal mio punto di vista le emozioni devono essere sempre comprensibili, altrimenti si corre il rischio di perdere lo spettatore, la sua attenzione. Cosa vuole raccontarci attraverso il complesso gioco di specchi che compone il film?

Penso che il nostro mondo sia molto più vasto di quello che percepiamo, non solo in senso fisico ma anche metafisico. I nostri cinque sensi sono molto limitanti. La nostra esistenza materiale non ci dà accesso che a una piccola porzione di realtà. Il film cerca di superare questi limiti.

La componente coreografica è molto presente nel film dove i corpi, così come i colori e la luce, hanno significati molteplici. Come ha lavorato sulla scenografia?

Abbiamo studiato la concezione visiva in funzione della progressione della storia e dell’atmosfera che volevamo creare. I miei collaboratori sono stati straordinari: l’operatore alla macchina Piotr Jaxa è molto sensibile ai colori e alla luce e Gerald Damovsky, scenografo oggi scomparso, mi ha suggerito molte soluzioni formidabili. Come avete scelto i tre attori principali: Birgit Minichmayr, Philipp Hochmair e Mona Petri?

Birgit e Philipp mi sono stati proposti dalla direttrice di casting a Vienna, Lisa Olah. Appena li ho visti ho saputo che sarebbero stati i candidati ideali per il ruolo. Ero felicissimo quando hanno accettato. Per Mona è stato diverso, volevo lavorare con lei da molto tempo ma nella sceneggiatura il suo personaggio era più giovane. Improvvisamente mi sono detto: ma perché? Non no trovato un motivo valido per non sceglierla malgrado tutto, e questo ha dato il via alla nostra collaborazione.

Il regista durante la presentazione a Berlino del film. (berlinale.de)

Un fotogramma di Les fantômes d’Ismael, che aprirà la rassegna. (allocine.fr)

Fabio Fumagalli La prima impressione nei confronti dell’imprescindibile monumento cinematografico che s’inaugura dopodomani (17-28 maggio) è di trovarsi confrontati a un mostro dalle varie teste. Un paradosso, ricco di tre anime che tentano di convivere, una a dispetto dell’altra. La prima è quella dei festival in genere, che gode di una invidiabile, apparentemente inscalfibile salute. Ma già la seconda, quella che concerne il consumo che facciamo delle loro immagini, è in una condizione più precaria. In quanto alla terza, il Cinema (beninteso, quello con la maiuscola) sta decisamente peggio. A tal punto, che non sono in pochi a considerarlo moribondo. Per contradditorio che sia, l’equivoco è spiegabile. I festival prosperano (Cannes in particolare; ma l’esempio più eclatante rimane Locarno) poiché, in una società fusa solo in apparenza dalla tecnologia globalizzante, è viva l’esigenza di un incontro vero, fisico, psicologico, finanche affettivo. Al polo opposto, ecco però l’assottigliarsi dello spazio ritenuto da sempre indispensabile alla fruizione di un’arte collettiva come il cinema. La sala, destinata da quella stessa evoluzione tecnologica e sociale a mutare, se non proprio a scomparire: in un luogo multifunzionale d’incontri e di eventi, termine fra i più abusati in circolazione. Fra quelle due entità dalle fortune opposte ciò che sta in mezzo è destinato a mutare: l’uso e la qualità dell’audiovisivo, sempre più ad immagine del consumo che lo condiziona, sbrigativo e banalizzante. Nella sua forza, ma in modo quasi impercettibile, Cannes 2017 riflette questa situazione. Come abbiamo intitolato un primo commento al programma, c’è la sorpresa di un festival ringiovanito. Ma nel contempo, a poche ore dal film di Arnaud Desplechin Les fantômes d’Ismael che ha l’onore talora infido di dettare il tono alla lunga serie che seguirà, ecco emergere altri segni che sottolineano il desiderio (o la necessità?) per il festival dell’ambitissimo tappeto rosso di adeguarsi a quanto sopra. Da un lato, l’esuberante selezione di nomi casalinghi rigorosamente firmati da Autori: ma quante, e quando, le pellicole dirette dagli Ozon, Doillon, Amalric, Cantet, Depardon, Garrel, Dumont, Denis finiranno per essere visibili sugli schermi internazionali? Ecco allora l’altro aspetto di Can-

nes. Tra gli avvenimenti probabilmente più attesi c’è il primo film, Carne y arena, girato nella tecnica inedita VR, la «realtà virtuale», dal grande Alejandro Inarritu: nulla a che vedere con il tradizionale lungometraggio dall’abituale durata. Quindi, e forse soprattutto, ecco il ritorno quasi insperato di uno dei maestri del cinema moderno, David Lynch; e della prima e unica regista femminile che abbia mai vinto una Palma d’Oro, la neozelandese Jane Campion di Lezioni di piano (1993). Ma non si tratta di un ritorno al passato: con, rispettivamente, i due episodi attesi da anni, come seguito al mitico Twin Peaks, e la seconda stagione dello splendido Top of the Lake eccoci proiettati nel campo (certo, a livelli fra i più sopraffini) delle popolarissime serie televisive. Un settore dal successo ormai imperante, ma non solo: la possibilità di un nuovo linguaggio, di una sorta di slow food della scrittura in immagini che, forte della sua durata praticamente illimitata, sta conquistando una schiera sempre più importante di cineasti, anche fra i più esigenti. Tutti sedotti dalle possibilità concesse da tempi d’immedesimazione, nei personaggi come nelle situazioni, del tutto impensabili in epoca di lungometraggi per lo più affannosamente accelerati. In epoca di visionamenti di pochi minuti al telefonino non sarà la soluzione universale. Tanto più che non priva di pericoli di altra specie, come abbiamo potuto constatare da una insperata proiezione anticipata di Blade of the Immortal, il film (fuori concorso) firmato da un grande del cinema asiatico, Takashi Miike. Questa lunga vicenda, dovutamente ambientata nell’epoca mitica dei samurai, era attesa freneticamente in Giappone non tanto per la fama d’autore di Miike; ma per essere tratta da una popolarissima serie manga, in auge dal 1993 al 2015. Ebbene, il risultato conferma il virtuosismo straordinario del cineasta, che culmina in un’allucinante sequenza dove al protagonista, solo con la propria spada, riesce l’impresa (storica, pare) di stendere al suolo la bellezza di 100 colleghi spadaccini. Ma la drammaturgia della pellicola, costretta a concentrare nei suoi 140 minuti tanti anni di personaggi e accadimenti cari ai suoi lettori, finisce per afflosciarsi desolatamente. Mescolare le carte per giocarle su più fronti: tutta un’arte nuova che forse meglio riuscirà sulla Croisette.


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Cultura e Spettacoli

Riccardo il Moro a Lugano

Incontri Il grande direttore d’orchestra Riccardo Muti il 4 giugno dirigerà la sua Orchestra Cherubini

in un atteso concerto al LAC

Enrico Parola Gergiev con San Pietroburgo e Haitink con la Mozart, Dutoit con la Royal e Pappano con Santa Cecilia. Lugano Musica sta abituando il pubblico del LAC alle grandi bacchette internazionali e alle loro corazzate sinfoniche; ma c’è un nome che luccica più di tutti gli altri: Riccardo Muti, che il 4 giugno sbarcherà sulla sponda ticinese del Ceresio per dirigere la sua orchestra Cherubini nella quinta sinfonia di Ciajkovskij e nella Tragica di Schubert.

«La musica e la cultura non sono un lusso, ma cibo per l’anima; chi le combatte, combatte anche la storia e quindi la nostra identità» Mito vivente del podio, a 75 anni continua ad essere richiesto in tutto il mondo; nel 2010 è diventato direttore a Chicago e per dargli il benvenuto hanno riprodotto una sua gigantografia su un grattacielo. Ci sono le sue foto con papi, governanti, re e regine, ma quando lo invitarono per un concerto a Buckingham Palace ponendogli troppi vincoli, rifiutò piccato domandando se volessero un direttore o in saltimbanco. Nato a Napoli «perché papà volle così: la famiglia è di Molfetta, ma papà sosteneva che se qualcuno fosse diventato famoso dire di essere nato a Molfetta non sarebbe stato elegante» sorride. Fu però proprio il padre ad avviarlo alla musica: «Era medico e girava col calesse; a ognuno dei cinque fratelli fece studiare uno strumento, per cultura e elevazione spirituale; a me toccò il violino, a sette anni; me lo regalò il 6 dicembre, io avrei preferito un giocattolo, ma improvvisamente iniziai a leggere le note: mi sembrava di assistere a un miracolo, entrare un mondo nuovo. A otto suonai un concerto di Vivaldi in pubblico, ma non pensavo di fare il musicista; e papà sperava diventassi avvocato».

La svolta a 15 anni, grazie a Nino Rota, l’autore delle colonne sonore per Fellini: «Avevo iniziato a studiare seriamente pianoforte e feci l’esame da privatista a Bari. Alle due di pomeriggio si affacciò un ometto non alto ma con due occhi brillanti come stelle, sul volto stampata una serenità e un’innocenza incredibili. Mi portò nella sua stanza, mi fece suonare, alla fine mi disse: la commissione ti ha dato dieci e lode non per come hai suonato, ma per come potrai suonare. Era Rota. Io pensavo di studiare privatamente, lui insisteva perché frequentassi il conservatorio e dovette convincere mio padre; fu convocato a un consiglio di famiglia con tutti i membri, fratelli compresi: sembrava un film di Tornatore. Alla fine convinse tutti e fu a Bari che iniziai a vedere e ascoltare quello che è un’orchestra». Rota fu presente al matrimonio di Riccardo con Cristina «che conobbi al Conservatorio di Milano; stavo studiando in sala Puccini, lei fece irruzione in modo chiassoso; le feci segno di andarsene, ma qualcosa in lei mi attirava e le chiesi chi fosse: mi confessò che mi voleva conoscere perché incuriosita dal mio soprannome, il Moro per via dei capelli neri e la carnagione scura». Dunque il giorno del matrimonio a Ravenna, 1969, ci fu una sfida pianistica tra Rota e Richter, uno dei massimi virtuosi del ’900: «Una meraviglia, ma a un certo punto io dissi che volevamo andare, era la nostra prima notte di nozze… Allora Nino ci suonò “Ritorna vincitor” dall’Aida». Rota segnò ancora le vicende familiari: «Mia figlia ha sposato David Fray, un pianista che conoscemmo quando lo diressi proprio in Rota». La figlia si chiama Chiara, i figli Francesco e Domenico: «Il riferimento ad Assisi non è casuale. Sono radicato nel terreno della nostra tradizione religiosa, per me Natale non sarà mai la festa di luci e Babbi ma la nascita di Gesù; facevo il presepe da bambino e l’ho fatto da padre, inserendo ogni anno una statuina nuova. Dopo gli attentati di Parigi ho suonato con la Cherubini nella Basilica superiore di Assisi: fu un’emozione incredibile suonare in quel luogo, circondato dagli

L’orchestra Cherubini diretta da Muti eseguirà brani di Ciajkovskij e Schubert. (Keystone)

affreschi di Giotto e sapendo che sotto, nella cripta, c’era la tomba di Francesco». Fu un concerto blindato, con l’esercito e i metal detector all’ingresso: «Vissi quella situazione come una grande contraddizione, san Francesco avrebbe voluto l’esatto opposto, ma è il tributo che dobbiamo pagare a quella che acutamente papa Francesco ha definito la terza guerra mondiale a pezzi. Però stiamo attenti: vedo tanti chiedere la pace ma in modo egoistico, limitandola a uno star bene nel proprio piccolo senza preoccupazioni; invece bisogna pensare alla società universale, magari ricordando quello che fecero certe figure del passato come san Francesco, che andò in Egitto e dialogò coi musulmani, o a come fa il papa». E come ha fatto lui stesso: «Nel 2004 andai col Ravenna Festival in Si-

ria; tenni una lezione agli studenti del conservatorio di Damasco: conoscevano perfettamente la musica occidentale, che divenne il nostro linguaggio comune; la musica è scuola di dialogo e in generale una società con più cultura è sempre una società meno violenta». Muti ne ha dato saggio creando «Le vie dell’amicizia», concerti in luoghi simbolo come Gerusalemme, Ground Zero, Erevan, Sarajevo: «La musica e in generale la cultura non sono un lusso, ma realmente un cibo per l’anima; chi non vuol sostenere la cultura combatte anche la nostra storia e quindi la nostra identità: conoscere il passato è indispensabile per comprendere il presente e pensare al futuro». Proprio per questo nel 2004 ha fondato l’orchestra Cherubini, formata da talenti under 30 personalmente selezionati dal ma-

estro: «Un mio modo per ringraziare l’Italia di tutto quanto ho ricevuto e per trasmetterlo ai giovani; un conto è saper suonare uno strumento, altro è essere un buon orchestrale: ci vuole un bagaglio di conoscenze ed esperienze specifico, in cui rientra anche un senso etico e morale innanzitutto verso la musica». Prima di insegnarlo l’ha dovuto imparare lui stesso: «Studiando direzione con Votto, che era assistente di Toscanini alla Scala; per loro era necessaria la fedeltà alla partitura, il rispetto all’idea dell’autore; troppo spesso si tagliano parti o si eseguono seguendo gusti personali o le strampalate idee di registi che magari poco o nulla capiscono di musica. Con questi giovani voglio innanzitutto andare al cuore degli autori che suoniamo».

Un’idea di libro

Pubblicazioni Il futuro dei libri e della lettura nella serie di ritratti di grandi editori del passato

curata da Cesare De Michelis Stefano Vassere «L’editoria “secondo Roberto Calasso” è, insomma, assai più un’arte che un’industria, una missione che un progetto, un divertimento che una professione: non so se tutto questo possa sul serio essere vero, ma sono certo che è molto, molto bello, e, quindi, conserviamolo intatto, teniamocelo il più vicino possibile, perché conforta e consola in tempi peraltro assai grami». Tre cose chiamano subito a prendere in mano questo Editori vicini e lontani. La prima è materiale: il libro, come tutta la collana nella quale è inserito, ha un vestito molto tradizionale, nella grafica, nella scelta del carattere e dei corpi, nell’impaginazione, nella carta e nella confezione; tanto che viene venduto intonso, con le pagine dei sedicesimi non ancora tagliate, come si faceva una volta. La seconda cosa riguarda il nome della casa editrice, che si chiama «Italo Svevo» come lo scrittore triestino. La ter-

za è che si tratta di una serie di ritratti di editori, scritta da un editore non secondario del panorama editoriale italiano come Cesare De Michelis, che è il presidente della casa editrice Marsilio, quella stessa Marsilio che era entrata nel gruppo RCS Mondadori ed era stata poi ricomprata, con gesto eroico, dalla stessa società di famiglia. Per i motivi qui descritti, da un libro del genere ci si attendono anche una presa di posizione, un atteggiamento, quasi un impegno politico, e comunque un atteggiamento non neutrale di fronte alla funzione che la lettura ha in una società. All’idea di libro, ancora prima che alla sua materialità e quindi un po’ ancora al di qua delle polemiche su carta e digitale, questa posizione associa i valori storici di libertà, di partecipazione democratica, della vicenda non solo sociale ma anche culturale di un paese e del mondo. I profili di editori sono circa una ventina, l’arco di tempo si estende dal napoletano Giuseppe Maria Galanti,

che operò nella seconda metà del Settecento, a Gian Arturo Ferrari, che è stato direttore dei libri Mondadori ed è presidente del «Centro per il libro e

Non solo di contenuto si vive, come dimostra l’ottima veste grafica del libro.

la lettura» (gli si deve un libro, Libro, pubblicato in una collana dai titoliparola dell’editore Bollati Boringhieri qualche anno fa); in mezzo i Salani, Bemporad, Bompiani, Mondadori, Bollati, Calasso, altri. A percorrere figure e situazioni per necessità storica molto differenti c’è la ricerca ostinata dell’identità dell’editore, che si fa più faticosa in questi anni delle concentrazioni feroci, della riproducibilità del prodotto su Internet e della conseguente liquidazione della proprietà sull’opera. Il libro è per sua essenza sia materiale che immateriale, è un oggetto ma è anche un’istituzione, un valore, «proprio come la vita dell’uomo ha un corpo e un’anima, né è immaginabile senza l’uno o l’altra». Così, la speranza per gli editori tradizionali piccoli o grandi è che possano resistere, del loro mestiere, i valori meno quantificabili e più simbolici, quelli che sorreggono l’idea diffusa di libro ancora prima che la sua industria. Tra le originalità di questo Edi-

tori vicini e lontani c’è anche che sta, come quinta puntata, in una collana che si chiama «Piccola biblioteca di letteratura inutile»; collocazione che per un libro che dichiara e quasi impone il valore civile della letteratura suona un po’ snob. Le avanguardie di estimatori del valore-libro sono però come vedette: stanno lì, convinte di avere tra le mani uno strumento potentissimo ma di questi tempi decisamente sottovalutato e dileggiato. Hanno fiducia e lo considerano una specie di fiume carsico, temporaneamente sotto terra ma pronto a riemergere e a determinare i destini degli uomini e del mondo: starà forse perdendo materialità, dicono, certo si starà trasformando; ma la sua funzione socioculturale è ancora lì, intatta, a tracciare i nostri destini. Bibliografia

Cesare De Michelis, Editori vicini e lontani, Trieste – Roma, Italo Svevo, 2017.


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Cultura e Spettacoli Rubriche

In fin della fiera di Bruno Gambarotta Antiche rivalità tra cuochi Il mobbing e le rivalità fra gli chef non sono un’invenzione recente. Ne fa fede la storia tragica di un grande cuoco, fino a poco tempo fa pressoché sconosciuto. Ad Asti c’era un tempo e forse c’è ancora, un quartiere malfamato. In ogni città ce n’è uno, il suo nome è deciso dagli abitanti degli altri quartieri. Il capro espiatorio di Asti è stato per lungo tempo il rione di San Rocco. In quel quartiere nasce il 29 marzo 1796 Teofilo Barla; suo padre Jean Baptiste, nizzardo, quando lui ha due anni, sorpreso a pescare di frodo le carpe, ingaggia una rissa con i doganieri, cade nel Tanaro e, non sapendo nuotare, annega. Sua madre Margherita Occhiena si risposa nel 1810 con Filiberto Bodritti, del Corpo Reale degli ingegneri al servizio di casa Savoia. Nello stesso anno il patrigno gli trova lavoro come «sguattero» (che allora stava per «aiutante») nelle cucine di casa Savoia; prosegue per 37 anni finché Carlo Alberto, apprezzando una confettura da lui ideata, lo nomina Maître Pâtissier et Confiseur Royal alle dirette dipendenze di Giovanni Vialar-

di, Capo di Cucina, che in quell’occasione è promosso Capo cuoco e pasticcere. Da notare che Vialardi, nato a Salussola l’8 febbraio 1804, era più giovane di otto anni di Barla; aveva iniziato a lavorare come suo sottoposto e aveva finito per scavalcarlo nella gerarchia di cucina. L’incidente che segna una svolta in senso negativo del destino di Teofilo accade nel febbraio 1851: durante un banchetto nel castello di Garessio per una battuta di caccia condotta da Vittorio Emanuele II, re da due anni, il nostro cuoco prepara una polenta alla moda della valle d’Aosta. La conosciamo con il nome di polenta concia: dopo aver fatto rassodare la polenta la si taglia a strati orizzontali inserendo fra uno e l’altro fette del formaggio Fontina e poi la si rimette al forno per farla gratinare. È un’ottima idea per i giorni freddi del mese di febbraio. Nel servirla, Teofilo, purtroppo per lui, la rovescia su sette commensali: possiamo immaginarci quelle nobili gambe impiastricciate dalla polenta e dalla fontina. Come nel gioco dell’oca, Barla per punizione deve tornare alla

casella di partenza, il re lo rimanda a fare lo sguattero. Pensando di riscattarsi scrive Il confetturiere, l’alchimista, il cuciniere piemontese di real casa Savoia, con 100 ricette. Lo dedica al Re e a Giovanni Vialardi citandolo come «pria discepolo poscia maestro». Lo pubblica a sue spese, nel 1854. Ma ignora che pochi mesi prima lo stesso Vialardi stava pubblicando il suo celebre Trattato di Cucina, Pasticceria moderna, Credenza e relativa Confettureria, con oltre 2000 ricette, conosciuto come «Il Vialardi» e consultato ancora oggi. Non c’è posto sul mercato per due ricettari, provenienti per di più dalla stessa cucina e quello di Barla è destinato a soccombere: le cento copie da lui destinate in omaggio alla biblioteca reale sono mandate al rogo, non si sa per ordine di chi. L’insuccesso incide sul carattere di Barla che si mostra indolente e litigioso guadagnandosi una seconda retrocessione a «stalliere di lettiera». Per integrare i magri guadagni, pratica la pesca di frodo sulle rive del Sangone (uno dei quattro fiumi di Torino); scoperto

e inseguito dai carabinieri, cade in acqua e annega, subendo la stessa sorte toccata al padre. È il 29 agosto 1872 e in quello stesso giorno muore Giovanni Vialardi, ricco e famoso, circondato dai sette figli e dai tanti nipoti. Nella misera tana dove Barla si era ridotto a vivere, gli inquirenti trovano molte centinaia di copie del suo libro rosicchiate dai topi e le bruciano. È come se il lavoro del Barla non fosse mai esistito. Finché nel dicembre 2004, visitando il Salone del Libro Usato a Milano lo studioso Bruno Armanno Armanni ne rintraccia una copia, forse l’unica esistente: «Era in deplorevole stato di conservazione, sbrindellato, privo di numerose pagine, con vista tipografica dimessa e di insolito formato». A lui dobbiamo non solo la trascrizione del testo ma tutte le notizie sopra riportate sulla vita dell’autore. Il libro è stato pubblicato con tutti gli apparati nel 2011 dall’editore Arnaldo Forni di Bologna, come numero 37 della collana «Testi antichi di gastronomia ed enologia». Sulla lunga distanza il Vialardi era destinato a vincere, non

solo per il rapporto di 2000 ricette contro 100, ma anche perché lui usa già il sistema metrico decimale che una legge promossa da Carlo Alberto ed entrata in vigore il 1. aprile 1850 rendeva obbligatorio, mentre Barla usa ancora le vecchie unità di massa e di capacità in uso a Torino. Si tratta di una trilogia, come si desume dal titolo. Il confetturiere tratta «del modo di confettare frutti diversi in diverse maniere», ossia marmellate e dolci; L’alchimista, tratta «del modo d’ottenere diversi elixir in diverse maniere», ossia liquori e distillati, fra i quali un «Elixir di Coca e Cola» che anticipa la bevanda nata ad Atlanta; infine Il cuciniere tratta «del modo di cucinare diverse carni di terra di aria e di acqua». L’autore divide le preparazioni e le cotture in ordinarie e in sublimi, in base alle difficoltà di esecuzione e al livello sociale dei convitati. Teofilo Barla non manca mai di sottolineare, quando è il caso, gli effetti afrodisiaci delle sue ricette. È la prova che conosceva bene le inclinazioni dei suoi augusti padroni.

nostri amici hanno servito una roba che sembrava una composizione di Damien Hirst e invece erano fiorentine alte una spanna che avevano visto il fuoco solo di passaggio). Certo, se mi fosse proposta sempre ben cotta, ben condita, morbida, credo che mi farei meno problemi, lo confesso. D’altra parte non è che tutti i filosofi abbiano preteso l’astensione dalle carni, con certezza si sa di Pitagora – di cui peraltro non sappiamo nulla con certezza, perché su di lui abbiamo solo moltissime «Vite» leggendarie, potrebbe anche non essere mai esistito ed essere il nome di un gruppo di filosofi e matematici, fondatori di una scuola esoterica ma volta all’attività politica. Infatti la scuola di Crotone fu bruciata dai cittadini che mal sopportavano le ingerenze di questi strani asceti nelle loro beghe. Si dice anche che Pitagora avesse ingiunto ai discepoli di non mangiare le fave. Chissà perché, si colgono e si mangiano senza versare sangue, ma dicono che il filosofo sapesse che sarebbe morto in un campo

di fave, quindi non voleva averne intorno. Fu scappando dall’incendio che, corri corri, si ritrovò in una coltivazione del micidiale legume, dove i crotonesi lo raggiunsero e uccisero. Leggende, appunto. Le religioni invece hanno sempre regolamentato l’assunzione di carne. Per il cristianesimo era proibita di venerdì, giorno della Passione, poi in tutta la Quaresima e in Avvento. Così è ancora in alcune comunità ortodosse, nonché nelle regole di alcuni ordini religiosi, mentre nel nostro mondo secolarizzato le indicazioni ecclesiastiche chiedono l’astensione dalle carni solo nei venerdì di Quaresima, per il resto Carne-vale. Le regole dell’ebraismo sono severe, riguardano sia la modalità di macellazione, sia l’obbligo di non usare le stesse pentole, posate, stoviglie per preparare e servire la carne e latte e suoi derivati, che non vanno mai mescolati assieme. Si possono mangiare solo alcuni animali (sì la mucca no il maiale, sì la giraffa no il cavallo, le differenze sono negli zoccoli

e nel ruminare). La macellazione degli animali poi deve avvenire con un taglio netto che provochi dissanguamento, secondo un rituale che se non seguito alla perfezione rende la carne impura, quindi non mangiabile, così come un qualche difetto o malattia scoperto dopo la morte della bestiola. L’Islam ha mutuato dalla Torah le modalità di macellazione, con alcuni piccoli cambiamenti nel rito. Guardo il biglietto con lo sconto «segreto»: riuscirò a consumare 10 euro di carne, se pur proveniente da macelli «gentili», sia perché non religiosi, sia per come gentilmente stordiscono l’animale che terrorizzato intuisce la fine vicina? Non so. Detesto le regole «inutili», no a questo no a quello, ma detesto anche la sofferenza inutile: perché la simpatica – e ben senziente – mucca deve essere cosciente fino all’ultimo e morire lentamente? Forse c’era un motivo anche igienico per operare in questo modo, nel secondo millennio avanti Cristo. Ma adesso?

che provoca una decina di feriti. Che cosa fa la gente? Dorme, mangia, beve, ama, lavora? No no, la gente filma, va in giro con lo smartphone incollato agli occhi in modo da poterlo azionare al momento opportuno e soprattutto al momento non opportuno. Va in giro senza tregua a filmare tutto ciò che le capita sotto il naso e se in quel «tutto» che filma accade qualcosa di strano, corre a casa per divulgare su internet quel «qualcosa di strano» che ha filmato e che poi verrà visto da milioni di utenti: e quanto più i video sono cretini, tanto più si moltiplicano i clic. Nulla sfugge all’occhio digitale: soprattutto le cose incredibili e cretine, incredibilmente cretine o cretinamente incredibili. Una volta si diceva che la notizia del giornalismo classico non è il cane che morde l’uomo (banale), ma l’uomo che morde il cane (eccezionale!): e già era un principio molto discutibile su cui si sono aperti mille dibattiti pubblici. Oggi la

grande notizia (video web), su cui non si aprono dibattiti di alcun tipo, è l’uomo che morde il coccodrillo (vivo), il pulcino di sei chili che ride, l’elefante sbranato dalla coccinella, il neonato che tiene una lezione universitaria, la prof universitaria che tiene la lezione di astrofisica in topless, l’incidente d’auto da cui saltano fuori due teste mozzate (una non basta), il dodicenne che guida in autostrada a trecento all’ora (un tredicenne sarebbe banale), il mangiatore di banane che ne mangia una cinquantina in mezz’ora (con la buccia, perché senza sarebbe banale). Il tutto filmato e postato su youtube, trionfalmente diventato virale e rimbalzato nei siti dei grandi e piccoli giornali di tutto il mondo. Naturalmente, negli stessi siti dei grandi giornali, tra cosce, seni al vento, posteriori in bella vista, modelle arrapanti e attrici in deliquio, amori folgoranti, non mancano gli editoriali pensosi sui destini dell’universo, gli allarmi sullo

stato dell’ambiente, dell’istruzione e della scuola, le interviste mostruose al ministro dell’economia, le inchieste civili sui migranti, le denunce sulla corruzione dilagante, e soprattutto: le approfondite analisi sulla cultura digitale che ammazza lo spirito critico… Già, lo spirito critico. Dimenticavo: va da sé che nel miscuglio indifferenziato di teste mozzate, di neonati sfracellati, di migranti naufragati, di rom arsi vivi, di bagnanti sbranati, di suicidi assistiti, di malati terminali, di corpi travolti dal tornado, ogni video – sia esso comico-grottesco o tragico – è debitamente preceduto da allegri, sfavillanti, bellissimi spot pubblicitari: il dopobarba prima del bambino sfracellato, il suv prima delle teste mozzate, il collant prima dell’incidente mortale. Al tempo dell’uomo che mordeva il cane si sarebbe detto, con Humphrey Bogart: «È la stampa, bellezza». Oggi si direbbe: «È il marketing, bellezza». Anche il bambino che precipita.

Postille filosofiche di Maria Bettetini Dilemmi dietetici La commessa – ci conosciamo da anni – allunga lo scontrino, il buono omaggiocapestro (uno sconto solo se ti presenti domani, e solo domani, in questo negozio, e solo questo, e compri almeno molti euro di spesa). Mi strizza l’occhio mentre mi consegna i bollini, me ne regala sempre uno in più. I bollini, eterna perversione delle casalinghe. Ogni tanto l’ennesimo tagliere, o la quarta paletta per le torte, o i sei bicchieri che mai si accompagneranno a quelli che fanno già il loro dovere sulla nostra tavola, insomma ogni tanto questi oggetti turbano un po’ la parte maschile della vita. Pazienza. Col mio bottino, soddisfatta perché come una citrulla ho l’impressione di essere venuta non a spendere, ma a ricevere regali (così ogni volta, da sempre), sto per andarmene. Pssst! Mi richiama la cassiera amica. Mi avvicino, mi piego verso di lei, cosa mai vorrà confidarmi, non siamo mai arrivate alla conversazione con la folla che c’è. «Questo è uno sconto», sussurra infilando il biglietto

piegato nella mia mano avida. «Uno sconto per» si guarda intorno, abbassa la voce «per la carne». Silenzio. «Se spende 10 euro, gliene rendono 9,81». Continuo a tacere, anche lei si insospettisce. Nove e ottantuno per dieci di spesa? Diciannove centesimi per dieci euro di carne? Beh, è andata proprio così. A Milano mangiare carne è un’azione poco praticata, di dubbio gusto ma soprattutto eticamente molto molto scorretta. Così la cassiera mi consegna l’incredibile sconto del novantotto per cento come se mi stesse mettendo in mano un gioiello rubato, una dose di droga, insomma qualcosa di cui avere un po’ vergogna. Si espone in effetti al rischio che il cliente opponga un gran rifiuto, magari a voce alta, ma come si permette lei, prendermi per uno che mangia carne, un assassino, un cannibale, mica siamo tutti come lei. In verità io ne mangio pochissima, non tanto per virtù, quanto perché non mi piace, e a volte mi fa impressione (per esempio l’estate scorsa a Firenze che i

Voti d’aria di Paolo Di Stefano Era la stampa, bellezza «Bambino precipita dal balcone, la ragazza prova a prenderlo al volo ma…»: la scena è stata filmata in Cina da una telecamera di sicurezza (ovviamente va a finire male). «Corsa folle in auto di due giovani donne rivali in amore (con finale tragico)»: è accaduto a Cardiff e il finale tragico è un colossale crash. «Un grosso orso (molto arrabbiato) rincorre i ciclisti nel bosco»: in Slovacchia, la scena è stata documentata da una telecamera piazzata sul casco di uno dei mountain biker. «La lotta all’ultimo sangue tra due alligatori giganti sul campo da golf»: la sequenza in Florida è stata registrata con il cellulare da un giocatore. «Pescatore britannico cattura lo squalo di otto metri e 680 chili»: la «battaglia», ripresa nei suoi momenti cruciali, è durata 90 minuti (come una partita di calcio), ma poi il pescecane è stato liberato. Lo squalo va fortissimo: c’è la modella che si cala dentro una gabbia in un mare affollato di pescecani e naturalmente, mentre viene

recuperata sanguinante e in lacrime, c’è qualcuno che si preoccupa di zoomare la gamba straziata; c’è on line la lotta a mani nude nell’oceano di Sidney tra un pescatore e uno squalo che lo ferisce a sangue (lo zoom stavolta si sofferma sulla schiena); c’è lo squalo che sbrana un leone… C’è di tutto (voto collettivo: 1 politico). E tutto è incredibilmente filmato in diretta: l’autobus russo che viaggia con le ruote anteriori sollevate; il guardalinee che vomita durante la partita; il drone che cade sul ciclista che pedala; l’allenatore che confessa ai suoi giocatori di essere trans; il mostro di Loch Ness avvistato da due turiste; in Alabama una donna che sfonda a calci il parabrezza dell’auto del fidanzato che la tradisce; i giocatori di ping pong che giocano senza racchette ma con la fronte; il bimbo di tre mesi in Ohio che dice alla mamma «I love you»; il pitone che mangia il coccodrillo e muore di indigestione; al luna park turco un incidente


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 maggio 2017 • N. 20

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Idee e acquisti per la settimana

shopping Un anniversario ricco di promozioni Attualità Grande festa domenica 21 maggio in occasione del 50esimo del supermercato Migros di Tenero

Il gerente di Migros Tenero Fulvio Tirrito (secondo da sinistra) e il suo team di collaboratori vi aspettano ai festeggiamenti di domenica 21 maggio. Sotto: uno scorcio interno del negozio. (Giovanni Barberis)

GRANDE CONCORSO

TENERO In palio 10 fantastiche «carte regalo Migros» del valore di CHF 100.– l’una! Nome

Cognome

Via/n°

Il supermercato Migros in via al Giardino a Tenero festeggia i suoi primi 50 anni di attività. E lo farà in grande stile, grazie ad un’apertura straordinaria prevista per domenica prossima dalle 10 alle 18 con in programma numerose attività rivolte a grandi e piccini. Si comincia con uno sconto speciale del 15 percento su tutto l’assortimento del negozio, un’occasione imperdibile per risparmiare in modo concreto sulla propria spesa settimanale. Inoltre, appositamente per

questo giubileo, sono stati selezionati alcuni prodotti con un incredibile sconto del 50 percento. In caso di bel tempo, tutti coloro che faranno visita al supermercato potranno gustare gratuitamente sul mezzogiorno un piatto di deliziosi gnocchi, preparati in collaborazione con la società di carnevale locale. Anche i più piccoli non sono stati naturalmente dimenticati: per loro previste alcune divertenti animazioni, tra cui, un castello gonfiabile per saltare in tutta sicu-

rezza, spassosi momenti proposti da un divertente clown, come pure palloncini omaggio per tutti. Non poteva nemmeno mancare un concorso (vedi tagliando a lato da ritagliare e imbucare sul posto), con in palio ben 10 carte regalo Migros del valore di Fr. 100.– l’una. Infine, ad allietare questa speciale giornata di festa, sarà presente un gruppo di musica folcloristica. Segnate sull’agenda questa apertura straordinaria e approfittatene!

NPA/località

Telefono

Imbuca questo tagliando nell’apposita urna presso il supermercato Migros di Tenero domenica 21 maggio 2017 dalle ore 10.00 alle 18.00. Condizioni di partecipazione: nessun obbligo d’acquisto, la partecipazione è riservata a maggiorenni, sono esclusi ricorsi a vie legali, non è prevista alcuna corrispondenza. I vincitori saranno avvisati per iscritto entro il 10.6.2017. I collaboratori di Migros Ticino sono esclusi dalla partecipazione. Il premio non può essere corrisposto in contanti.


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Idee e acquisti per la settimana

Impossibile resistere

Attualità L’entrecôte di manzo TerraSuisse è l’ideale per preparare un delizioso roastbeef alla griglia

Roastbeef al Merlot ticinese Azione 50%

Per 4 persone

Entrecôte di manzo TerraSuisse Svizzera, 100 g Fr. 3.80 invece di 7.60

Ingredienti 1 kg ca. di entrecôte di manzo Sale Pepe Paprica Merlot ticinese

Dal 16 al 22 maggio

Preparazione Salare e speziare la carne massaggiandola bene. Rosolare il pezzo di carne alla griglia a fuoco alto su tutti i lati per qualche minuto. Diminuire il calore alzando la griglia e cuocere lentamente per circa un’ora, spennellando la carne regolarmente con il merlot. È consigliabile la misurazione della temperatura a cuore per ottenere il livello di cottura desiderato: 48 °C - Cottura «molto al sangue»: interno rosso/rosa. 52 °C - Cottura «al sangue»: interno rosa. 58 °C - Cottura «media»: interno grigio/ poco rosa. 72 °C - Cottura completa: interno completamente cotto/grigio, sconsigliato per un roastbeef, poiché rimane asciutto e stopposo.

Già dal primo boccone si sente la differenza: l’entrecôte di manzo TerraSuisse conquista il palato grazie alla sua tenerezza, succosità e all’aroma intenso. Frollato per almeno tre settimane, è uno dei tagli più nobili del bovino, insieme allo scamone e al filetto. Ben

marmorizzato, è ottenuto dalla parte lombare dell’animale, ed è noto anche come lombata o controfiletto. L’entrecôte è adatto alle cotture brevi – internamente dovrebbe essere sempre al sangue o leggermente rosato – e se cotto intero si trasforma in un saporitissimo roastbeef.

Carne di qualità TerraSuisse

Il marchio TerraSuisse è garanzia di carne svizzera di prima qualità ottenuta nel rispetto degli animali e della natura. I contadini allevano i bovini secondo le severe direttive IP-Suisse. Gli animali vivono in stalle che rispondono ai loro bisogni, possono

muoversi liberamente e uscire all’aria aperta quando lo desiderano. Anche l’alimentazione specificatamente adattata alle loro esigenze contribuisce in modo determinante alla qualità della carne. I contadini IP-Suisse promuovono inoltre la biodiversità grazie a diverse misure ecologiche mirate.

Cioccolato gianduia al 100 per cento Novità Il Gianduiotto Pernigotti classico è arrivato sugli scaffali di Migros Ticino

La celebre pralina di cioccolato al gianduia Pernigotti delizierà tutti coloro che apprezzano i sapori tipici della nobile tradizione piemontese. Preparato con la ricetta antica e tradizionale, senza latte né derivati, è fatto con il 100 per cento di irresistibile cioccolato gianduia ed è particolarmente ricco di nocciole per un gusto ancora più morbido e cremoso. Contiene inoltre solo i grassi naturali del cacao e delle nocciole ed è privo di aromi artificiali e glutine, per un vero piacere del gianduia dedicato a tutti. Da oltre 150 anni Pernigotti offre prodotti di elevata qualità, frutto di un’accurata selezione delle materie prime, della passione e del saper fare dei suoi collaboratori. Il tutto con l’intento di offrire ogni giorno ai consumatori momenti di piacere memorabili, deliziandoli con molteplici esperienze di gusto.

Pernigotti Gianduiotto classico 150 g Fr. 4.90 In vendita nelle maggiori filiali Migros


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Idee e acquisti per la settimana

Concorso Deborah Milano

Attualità Diventa anche tu una Everyday

Diva con Deborah Milano e vinci un corso di make-up professionale

Il famoso marchio Deborah Milano, leader in Italia nel settore del makeup, celebra ancora una volta la bellezza delle donne con un concorso che mette in palio un corso di make-up presso la Scuola Club Migros e una selezione di prodotti del marchio (vedi specchietto). Sin dal 1962 Deborah Milano è considerato un marchio d’eccellenza del Made In Italy. Creatività, bellezza, passione, cura del dettaglio e gusto regalano ad ogni donna un momento quotidiano in cui prendersi cura del proprio viso. La lunga esperienza dei laboratori di ricerca e sviluppo garantisce sempre prodotti sicuri, formulazioni all’avanguardia e performance testate. I prodotti Deborah Milano sono inoltre dei veri e propri oggetti di design per il make-up, studiati da designer di fama internazionale. L’attenzione si rivolge oltre che all’estetica anche al prezzo; perché la bellezza deve essere un sogno accessibile ad ogni donna. Deborah Milano è in vendita nelle maggiori filiali di Migros Ticino in un’ampia gamma di prodotti.

Concorso Vinci un corso di make-up presso la Scuola Club Migros e una selezione di trucchi Deborah Milano

Migros Ticino e Deborah Milano offrono ad una lettrice di «Azione» la possibilità di vincere un corso di make-up* e una selezione di 10 prodotti Deborah Milano da scegliere comodamente in filiale. Il concorso è riservato a chi non ha beneficiato di vincite nel corso degli scorsi mesi. Per partecipare basta andare sul sito www.azione.ch/concorsi e seguire le istruzioni. La vincitrice sarà estratta a sorte tra tutte le partecipanti e riceverà una conferma via e-mail. Termine di partecipazione: domenica 21 maggio alle ore 24.00. Buona fortuna! (*Secondo disponibilità, da effettuare entro il 30.11.2017 presso una Scuola Club Migros in Ticino. Nel caso il corso non dovesse aver luogo il valore dello stesso non potrà essere corrisposto in denaro.)

Ritiro: Fornello per fondue Nouvel

Avviso di ritiro per prodotto difettoso

Il fornello per fondue e grill rotondo Nouvel «Hot Pot», articolo 7174.558, in vendita da melectronics, è soggetto alla possibilità di un guasto. Un difetto di fabbricazione nel termostato, può condurre in singoli apparecchi a un surriscaldamento eccessivo del circuito termico. Ciò può comportare a sua

volta una fuoriuscita di metallo fuso dall’apparecchio. Sussiste dunque pericolo di bruciature e di incendio. Per questo motivo si deve assolutamente evitare di usarlo. Gli apparecchi in questione possono essere riportati alla più vicina filiale melectronics e verranno rimborsati, anche in mancanza della ricevuta d’acquisto.

Ritiro: Bici elettrica Crosswave Ezy-E

Avviso di ritiro per prodotto difettoso

Migros richiama l’accumulatore sostitutivo della e-bike Crosswave Ezy-E (ED1.2) art. n. 4901.595. Tali accumulatori erano già stati richiamati dallo stesso produttore nel 2015 e sostituiti. Si è però verificato che anche negli accumulatori sostitutivi, in particolari condizioni, possono registrarsi difetti

di tenuta stagna. La sicurezza del prodotto non può dunque più essere garantita. Migros prega i clienti di non utilizzare più da subito questa bicicletta e di tenerla parcheggiata in luoghi aperti. I proprietari possono riportare bicicletta con accumulatore, apparecchio di carica e chiavi al servizio clienti della più vicina filiale SportXX. Sarà loro rimborsato il prezzo d’acquisto.


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Idee e acquisti per la settimana

Gold

Frutta liquida

I succhi di frutta Gold portano il marchio Fairtrade Max Havelaar. Ciò significa che la frutta proviene dal commercio equo, un sistema che permette di migliorare in modo incisivo le condizioni di vita dei contadini e delle loro famiglie nelle zone di coltivazione

Gold Fairtrade Max Havelaar Succo Multivitaminico 25 cl Fr. –.70

Max Havelaar sostiene i contadini e le loro famiglie. I contadini ricevono, oltre ad un maggior prezzo per la loro frutta, anche un premio in denaro da investire nelle coltivazioni.

Gold Fairtrade Max Havelaar Succo d’arancia 1 l Fr. 1.95

Le arance provengono da 100 aziende agricole, i pompelmi da 35. Bina (Bischofszell Alimentari SA) trasforma in succo il concentrato di frutta proveniente dal Brasile e dal Messico.

Gold Fairtrade Max Havelaar Succo d’ananas 1 l Fr. 1.95

15 litri di succo viene consumato pro-capite ogni anno in Svizzera. I succhi Gold preferiti sono quelli alle arance e multivitaminico.

Foto Véronique Högger; Illustrazioni Vectorstock

Migros vende ca. 150 prodotti certificati Fairtrade. Di questi fanno parte una ventina di succhi di frutta.

Gold Fairtrade Max Havelaar Succo di pompelmo rosa 1 l Fr. 1.50

Fairtrade Max Havelaar contrassegna quegli articoli prodotti e commercializzati in modo sostenibile.

Parte di


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Idee e acquisti per la settimana

Alla ricerca del nuovo gusto

Sulla piattaforma online Migipedia i clienti Migros possono da subito scegliere il candidato preferito fra i tre gusti banana (con il pappagallo), nocciola (con lo scoiattolo) e limone (con la farfalla). Tutte e tre le varietà sono già state in vendita alla Migros nel passato per un certo periodo. Il favorito scelto dal pubblico sarà nuovamente disponibile nell’estate 2018. Vota adesso: www.noifirmiamo-noigarantiamo.ch/ gelato-alla-panna-vaniglia

Noi firmiamo. Noi garantiamo.

Il guardiano delle foche

Il momento della verità: il responsabile di settore Jost Zentner verifica ogni ora forma, gusto e consistenza del gelato.

Sono circa 30 milioni i gelati da passeggio alla panna prodotti ogni anno da Midor, impresa Migros. I suoi impianti di produzione devono di conseguenza essere all’altezza di simili quantitativi. Jost Zentner è responsabile affinché i gelati con la foca vengano prodotti senza difetti e con il loro caratteristico sapore Testo Thomas Tobler; Foto Paolo Dutto

Banana/pappagallo: in assortimento dal 2001, nei congelatori Migros per una stagione.

Probabilmente proviamo tutti un po’ di invidia per Jost Zentner. Per lo meno durante le calde giornate estive. Innanzitutto perché il luogo in cui lavora è sempre refrigerato. Secondariamente perché qui, ogni ora, i gelati vengono assaggiati per motivi professionali. Jost Zentner è responsabile di settore presso Midor a Meilen ZH, un’azienda dell’industria Migros, luogo di nascita del gelato con la foca al gusto di vaniglia e delle altre tre varietà nella confezione con gli animali – scimmia, orso e koala. I regolari controlli di qualità, come vengono ufficialmente chiamati gli «assaggi», sono importanti per verificare sapore e consistenza dei gelati. «Devo conoscere il gusto dei nostri gelati. È un genere di test che non può essere fatto in laboratorio», dice Jost Zentner. Aggiornamenti come per uno smartphone

Limone/farfalla: in assortimento dal 2008 e per tre anni.

Da dodici anni lavora per Midor e naturalmente la sua attività non si limita al consumo dei prodotti fabbricati. Si occupa principalmente dello sviluppo continuo e della manutenzione dell’impianto di produzione con cui si elaborano i gelati della foca. A ciò si aggiunge la formazione dei collaboratori che lavorano sulla linea. «L’impianto viene continuamente regolato e ottimizzato. Come uno smartphone, quando vengono regolarmente scaricati gli aggiornamenti». Per un’apparecchiatura che produce 9600 gelati in 20 minuti, gli «aggiornamenti» consistono in realtà in regolazioni molto accurate. Può succedere per esempio che il bastoncino del gelato da passeggio viene spinto con troppa pressione dalla macchina, o se la durata del bagno di cioccolato deve essere regolata, al millesimo di secondo. Oltre a ciò Midor è l’unico fabbricante di gelato al mondo che confeziona i suoi prodotti con la carta. Anche di questa

particolarità va tenuto conto nel corso della produzione meccanica. Un nuovo impianto di produzione per l’anniversario

A partire dal quarantesimo anniversario della dolce specialità con la foca, due anni fa, i gelati da passeggio vengono fabbricati con un nuovo impianto. Consegnato in singole parti, il suo montaggio presso Midor ha richiesto un mese. «Vivere da vicino questo assemblaggio ha sicuramente contribuito a una maggiore comprensione tecnica delle procedure e dei processi di produzione. Abbiamo avuto l’opportunità di acquisire una grande esperienza», dice Jost Zentner. Il nuovo impianto produce 6000 gelati con la foca in più ogni ora rispetto al modello precedente. «Questo perfezionamento tecnologico, l’aggiornamento continuo e lo scambio con il team fanno del mio lavoro un’attività molto appassionante». E a breve Jost Zentner dovrà nuovamente regolare gli apparecchi, dal momento che ogni nuova ricetta richieste leggeri adattamenti delle macchine: nel corso dell’estate 2018 un’antica varietà di gelato della Midor tornerà infatti in produzione e andrà ad ampliare l’attuale quartetto. Quale gusto verrà prodotto tra un anno da Midor lo decidono i clienti Migros tramite votazione online sulla piattaforma Migipedia (vedi colonna a sinistra) scegliendo tra i gusti limone, nocciola e banana. «Della produzione del gelato al limone mi ricordo ancora, risale ai miei primi tempi qui alla Midor. A titolo personale voterei però per il gusto nocciola». Ma una cosa è sicura: qualsiasi scelta faranno i consumatori, dall’estate 2018 ogni ora Jost Zentner avrà un ulteriore gusto di gelato da controllare durante il suo lavoro all’impianto di produzione di gelato alla Midor.

La star della settimana

Una mitica delizia gelata Dal 1950 l’impresa di produzione Migros Midor di Meilen ZH produce gelati. 25 anni dopo vengono creati i mitici gelati alla panna, le cui confezioni riportano i caratteristici disegni di animali. Le bozze sono state realizzate dal grafico zurighese Hans Uster, che nel 1975 assunse il ruolo di responsabile del nuovo reparto di «packaging creativo». Quale animale abbinare al singolo gusto venne definito in modo assolutamente casuale al momento dell’introduzione sul mercato dei prodotti. L’attuale star della settimana, il gelato alla vaniglia griffato con la foca, appartiene quindi alle varietà originarie di queste specialità alla panna, esattamente come cioccolato e fragola. Nel 1987 si è aggiunta la moca. Ogni anno a Meilen vengono prodotti circa 30 milioni di pezzi delle quattro varietà di gelato. Maggiori informazioni sulla star della settimana su: www.noifirmiamo-noigarantiamo. ch/gelato-alla-panna-vaniglia

Nocciola/scoiattolo: disponibile alla Migros dal 2003 al 2006.

M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche i gelati di Midor.


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Idee e acquisti per la settimana

Alla ricerca del nuovo gusto

Sulla piattaforma online Migipedia i clienti Migros possono da subito scegliere il candidato preferito fra i tre gusti banana (con il pappagallo), nocciola (con lo scoiattolo) e limone (con la farfalla). Tutte e tre le varietà sono già state in vendita alla Migros nel passato per un certo periodo. Il favorito scelto dal pubblico sarà nuovamente disponibile nell’estate 2018. Vota adesso: www.noifirmiamo-noigarantiamo.ch/ gelato-alla-panna-vaniglia

Noi firmiamo. Noi garantiamo.

Il guardiano delle foche

Il momento della verità: il responsabile di settore Jost Zentner verifica ogni ora forma, gusto e consistenza del gelato.

Sono circa 30 milioni i gelati da passeggio alla panna prodotti ogni anno da Midor, impresa Migros. I suoi impianti di produzione devono di conseguenza essere all’altezza di simili quantitativi. Jost Zentner è responsabile affinché i gelati con la foca vengano prodotti senza difetti e con il loro caratteristico sapore Testo Thomas Tobler; Foto Paolo Dutto

Banana/pappagallo: in assortimento dal 2001, nei congelatori Migros per una stagione.

Probabilmente proviamo tutti un po’ di invidia per Jost Zentner. Per lo meno durante le calde giornate estive. Innanzitutto perché il luogo in cui lavora è sempre refrigerato. Secondariamente perché qui, ogni ora, i gelati vengono assaggiati per motivi professionali. Jost Zentner è responsabile di settore presso Midor a Meilen ZH, un’azienda dell’industria Migros, luogo di nascita del gelato con la foca al gusto di vaniglia e delle altre tre varietà nella confezione con gli animali – scimmia, orso e koala. I regolari controlli di qualità, come vengono ufficialmente chiamati gli «assaggi», sono importanti per verificare sapore e consistenza dei gelati. «Devo conoscere il gusto dei nostri gelati. È un genere di test che non può essere fatto in laboratorio», dice Jost Zentner. Aggiornamenti come per uno smartphone

Limone/farfalla: in assortimento dal 2008 e per tre anni.

Da dodici anni lavora per Midor e naturalmente la sua attività non si limita al consumo dei prodotti fabbricati. Si occupa principalmente dello sviluppo continuo e della manutenzione dell’impianto di produzione con cui si elaborano i gelati della foca. A ciò si aggiunge la formazione dei collaboratori che lavorano sulla linea. «L’impianto viene continuamente regolato e ottimizzato. Come uno smartphone, quando vengono regolarmente scaricati gli aggiornamenti». Per un’apparecchiatura che produce 9600 gelati in 20 minuti, gli «aggiornamenti» consistono in realtà in regolazioni molto accurate. Può succedere per esempio che il bastoncino del gelato da passeggio viene spinto con troppa pressione dalla macchina, o se la durata del bagno di cioccolato deve essere regolata, al millesimo di secondo. Oltre a ciò Midor è l’unico fabbricante di gelato al mondo che confeziona i suoi prodotti con la carta. Anche di questa

particolarità va tenuto conto nel corso della produzione meccanica. Un nuovo impianto di produzione per l’anniversario

A partire dal quarantesimo anniversario della dolce specialità con la foca, due anni fa, i gelati da passeggio vengono fabbricati con un nuovo impianto. Consegnato in singole parti, il suo montaggio presso Midor ha richiesto un mese. «Vivere da vicino questo assemblaggio ha sicuramente contribuito a una maggiore comprensione tecnica delle procedure e dei processi di produzione. Abbiamo avuto l’opportunità di acquisire una grande esperienza», dice Jost Zentner. Il nuovo impianto produce 6000 gelati con la foca in più ogni ora rispetto al modello precedente. «Questo perfezionamento tecnologico, l’aggiornamento continuo e lo scambio con il team fanno del mio lavoro un’attività molto appassionante». E a breve Jost Zentner dovrà nuovamente regolare gli apparecchi, dal momento che ogni nuova ricetta richieste leggeri adattamenti delle macchine: nel corso dell’estate 2018 un’antica varietà di gelato della Midor tornerà infatti in produzione e andrà ad ampliare l’attuale quartetto. Quale gusto verrà prodotto tra un anno da Midor lo decidono i clienti Migros tramite votazione online sulla piattaforma Migipedia (vedi colonna a sinistra) scegliendo tra i gusti limone, nocciola e banana. «Della produzione del gelato al limone mi ricordo ancora, risale ai miei primi tempi qui alla Midor. A titolo personale voterei però per il gusto nocciola». Ma una cosa è sicura: qualsiasi scelta faranno i consumatori, dall’estate 2018 ogni ora Jost Zentner avrà un ulteriore gusto di gelato da controllare durante il suo lavoro all’impianto di produzione di gelato alla Midor.

La star della settimana

Una mitica delizia gelata Dal 1950 l’impresa di produzione Migros Midor di Meilen ZH produce gelati. 25 anni dopo vengono creati i mitici gelati alla panna, le cui confezioni riportano i caratteristici disegni di animali. Le bozze sono state realizzate dal grafico zurighese Hans Uster, che nel 1975 assunse il ruolo di responsabile del nuovo reparto di «packaging creativo». Quale animale abbinare al singolo gusto venne definito in modo assolutamente casuale al momento dell’introduzione sul mercato dei prodotti. L’attuale star della settimana, il gelato alla vaniglia griffato con la foca, appartiene quindi alle varietà originarie di queste specialità alla panna, esattamente come cioccolato e fragola. Nel 1987 si è aggiunta la moca. Ogni anno a Meilen vengono prodotti circa 30 milioni di pezzi delle quattro varietà di gelato. Maggiori informazioni sulla star della settimana su: www.noifirmiamo-noigarantiamo. ch/gelato-alla-panna-vaniglia

Nocciola/scoiattolo: disponibile alla Migros dal 2003 al 2006.

M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche i gelati di Midor.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 maggio 2017 • N. 20

70

Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 maggio 2017 • N. 20

71

Idee e acquisti per la settimana

Da sapere

Un classico per intolleranti

Aha!

Garanzia senza glutine

aha! Miscela di farina per pane scuro senza glutine, senza frumento, senza lattosio 1 kg* Fr. 6.30

Le porzioni di pane precotto sono in confezione singola e dotate di carta da forno per essere subito cotte. Chi preferisce preparare da sé il proprio pane senza glutine utilizza miscele di farina senza frumento e senza glutine

Azione 20X Punti Cumulus su tutti i prodotti dell’assortimento aha! dal 16 al 22 maggio

Testo Sonja Leissing

Chi soffre di un’intolleranza, alla Migros può fare scorta in tutta serenità di prodotti da forno e miscele di farina. Alcuni tipi di pane classici, come i panini di Sils, i Weggli o il Fior di pane sono disponibili anche senza frumento e senza glutine. Grande praticità: i panini sono dotati di pellicola resistente alla cottura e quindi possono passare direttamente dal congelatore al forno. Così si dispone sempre di pane appena cotto. E chi si mette in viaggio, può far scongelare il pane nella pellicola e poi gustarselo. La Migros è impegnata a favore delle persone che soffrono di un’allergia o di un’intolleranza alimentare. Per questa ragione l’assortimento per allergici viene costantemente ampliato. Sono già oltre 160 gli articoli certificati e raccomandati da aha! Centro Allergie Svizzera. Sono tutti testati e certificati dall’ufficio di certificazione indipendente Service Allergie Suisse (SAS).

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L’etichetta aha! certifica prodotti particolarmente indicati anche per soggetti che soffrono di intolleranze e allergie.

Suggerimento Impuls

La celiachia va presa sul serio

aha! Panino di Sils senza glutine, senza frumento, senza lattosio, surgelato, 65 g* Fr. 1.60

Ci sono persone che non sopportano il glutine nonostante i test medici non lo confermino. Scoprirete di più sulla piattaforma Impuls: migros-impuls.ch aha! Panino senza glutine, senza frumento, senza lattosio, surgelato 75 g* Fr. 1.70

*Nelle maggiori filiali

IMpuls è la nuova iniziativa della Migros in favore della salute.


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Idee e acquisti per la settimana

Da sapere

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Testo Sonja Leissing

Chi soffre di un’intolleranza, alla Migros può fare scorta in tutta serenità di prodotti da forno e miscele di farina. Alcuni tipi di pane classici, come i panini di Sils, i Weggli o il Fior di pane sono disponibili anche senza frumento e senza glutine. Grande praticità: i panini sono dotati di pellicola resistente alla cottura e quindi possono passare direttamente dal congelatore al forno. Così si dispone sempre di pane appena cotto. E chi si mette in viaggio, può far scongelare il pane nella pellicola e poi gustarselo. La Migros è impegnata a favore delle persone che soffrono di un’allergia o di un’intolleranza alimentare. Per questa ragione l’assortimento per allergici viene costantemente ampliato. Sono già oltre 160 gli articoli certificati e raccomandati da aha! Centro Allergie Svizzera. Sono tutti testati e certificati dall’ufficio di certificazione indipendente Service Allergie Suisse (SAS).

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 maggio 2017 • N. 20

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Idee e acquisti per la settimana

Yogos

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Con gli yogurt Yogos la preparazione degli amati Frozen Yogurts è un gioco da ragazzi. Basta riempire di Yogos alcuni stampini per ghiacciolo con le forme desiderate e lasciarli una notte nel congelatore. Prima di servire lasciare scongelare un paio di minuti. Il rinfrescante piacere può finalmente iniziare. Foto e Styling Claudia Linsi

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Idee e acquisti per la settimana

Aha! Soja

Possibilità sconfinate Azione 20X Punti Cumulus su tutti i prodotti aha! fino al 22 maggio

L’etichetta aha! certifica prodotti particolarmente indicati anche per soggetti che soffrono di intolleranze e allergie.

Chi deve – o semplicemente desidera – nutrirsi senza lattosio o in modo vegano, oggi non deve più privarsi del piacere di bere e mangiare. Ed è facile con i prodotti aha!: ad esempio, la bevanda di soia sostituisce il latte vaccino, mentre prodotti come Soja Cuisine danno ai piatti tradizionali quella cremosità e quel senso di abbondanza, che solo la panna riesce a dare. Da tempo, poi, il tofu ha il suo posto fisso nella cucina asiatica e vegetariana, non da ultimo perché trova sempre più sostenitori anche tra i mangiatori di carne.

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Matthias Sempach re della lotta svizzera

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