Azione 23 del 6 giugno 2017

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Cooperativa Migros Ticino

G.A.A. 6592 Sant’Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXX 6 giugno 2017

Azione 23 -75 ping M shop ne 45-54 / 67 i alle pag

Società e Territorio Intervista a Lidia Ravera che ha da poco pubblicato Il terzo tempo in cui affronta il tema dell’invecchiamento

Ambiente e Benessere A 82 anni, Sylvia Earle, continua a immergersi, perché le barriere coralline spariscono, i ghiacci polari si sciolgono e pesci e mammiferi muoiono

Politica e Economia Lo scontro fra Usa e Germania formalizzato a Taormina è destinato a inasprirsi

Cultura e Spettacoli Il tragico destino dei Romanov in un avvincente romanzo dello storico Simon Sebag Montefiore

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di Eliana Bernasconi pagina 38

Carlo Borer, White Heart, 2013. (S. Spinelli)

Materie dell’arte contemporanea

Economy first per una America only di Peter Schiesser La minaccia diventa realtà, Donald Trump ha annunciato che gli Stati Uniti si ritirano dall’Accordo di Parigi sul clima firmato nel dicembre del 2015. In mezz’ora di discorso, fra gli applausi di molti giornalisti presenti nel Giardino delle rose della Casa Bianca, sono state infrante le già molto tenui speranze di contenere l’aumento della temperatura atmosferica entro i 2 gradi Celsius dall’inizio dell’era industriale. Il presidente degli Stati Uniti ha indorato il macigno che ha scagliato sul mondo affermando che si esce per negoziare un nuovo accordo, più fair per il suo Paese, al contrario di quello di Parigi che penalizza fortemente l’economia americana a vantaggio di quelle dei grandi inquinatori (Cina e India) e dei Paesi in via di sviluppo. Per Donald Trump, by the way, gli Stati Uniti (secondo «produttore» di CO2 al mondo, da poco superato dalla Cina) sono un Paese clean, persino le miniere di carbone americane sono pulite, ha affermato, e lui si batterà affinché lo rimanga («perché amo e difendo l’ambiente»); per far crescere l’economia del 3-4 per cento c’è tuttavia bisogno di far capo a tutte le energie fossili di cui il Paese

dispone. In sintesi: Economy first, se vogliamo avere America first, e il conto per l’ambiente e per il clima devono essere gli altri a pagarlo, con o senza un nuovo accordo. Paradossalmente, lo stesso giorno, gli azionisti della più grande società di petrolio e gas al mondo, l’americana Exxon Mobil, hanno accettato per la prima volta di valutare misure di contenimento delle emissioni di CO2. Una notizia che simbolizza l’impegno di una crescente parte del mondo economico statunitense nella lotta contro i cambiamenti climatici. Un impegno che si traduce in innovazioni tecnologiche e in posti di lavoro. Trump vuole aiutare chi lavora nelle miniere di carbone, tuttavia i dati del Dipartimento dell’energia americano indicano, ad esempio, che il numero di persone impiegate nel settore dell’energia solare è ormai doppio di quello dei minatori. Ma sono i minatori che votano per Trump. Sempre più dobbiamo constatare che America first significa America only. Con Trump, gli Stati Uniti prendono commiato dal ruolo di leader mondiale e si richiudono su se stessi. Per l’Accordo di Parigi questo può avere l’effetto di frenare ulteriormente chi non vi ha aderito con sufficiente convinzione, condannando il mondo a

un clima fortemente instabile per secoli, con crescenti cataclismi e conseguenti nuove ondate migratorie. Inoltre, abbandonando l’Accordo di Parigi Trump rende gli Stati Uniti un partner poco affidabile e meno credibile su più fronti – eppure la diplomazia americana ha bisogno di credibilità per potere difendere i propri interessi nel mondo. Donald Trump è convinto di riuscire a ottenere accordi migliori negoziando bilateralmente con ogni Paese, gettando sulla bilancia il peso della propria superpotenza. È un ritorno all’imperialismo ottocentesco. È un progressivo svuotamento dell’ordine mondiale liberale che gli stessi Stati Uniti hanno costruito dalla seconda metà del Novecento. Un ordine fatto di istituzioni mondiali quali l’ONU, la Banca mondiale, il Fondo monetario internazionale, la NATO, la World Trade Organization, che si regge su una fitta rete di alleanze (e queste affidabilità e credibilità), nato dalla consapevolezza che gli Stati Uniti possono prosperare solo se riescono a guidare la comunità internazionale verso i propri obiettivi (in primis il libero mercato, che richiede però stabilità politica). Ma gli Stati Uniti non si trovano sulla Luna e un disordine mondiale non può razionalmente essere nel loro interesse.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 6 giugno 2017 • N. 23

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Attualità Migros

M Le nostre strategie win win Energia Una Comunità che pensa al futuro, rispettando il più possibile l’ambiente

La filiale Migros Ticino di Taverne. (Ti-Press)

Migros riduce le sue emissioni di gas serra non solo grazie a una migliore efficienza energetica, bensì impiegando anche energie rinnovabili. Migros Ticino ha definito con l’Agenzia dell’energia per l’economia (AEnEC) degli obiettivi per la riduzione dell’impatto ambientale delle sue attività per l’anno 2022, su base 2013: l’aumento dell’efficienza energetica e la riduzione delle emissioni di CO2 sono fissate al 19,5%, rispettivamente al 25% nei punti di vendita e al 16,7%, rispettivamente all’80% per la sede centrale di S. Antonino. Le misure realizzate negli ultimi anni hanno permesso di aumentare l’efficienza energetica nei punti vendita del 2,8% e per la sede centrale del 37,9%; la riduzione delle emissioni

di CO2 è invece pari al 29% per i punti vendita e del 100% per la sede centrale (dati verificati e certificati dall’AEnEC). Migros Ticino, grazie alla pluriennale esperienza dell’Azienda Elettrica Ticinese e delle Aziende Industriali di Lugano nel partecipare attivamente allo sviluppo della produzione di energia rinnovabile nel cantone, realizzando e gestendo grossi impianti in grado di ottenere energia elettrica sfruttando la luce solare, gioca un ruolo di primo piano anche nel fotovoltaico: nel Sopraceneri un primo impianto fotovoltaico posto sul tetto della sede centrale di S. Antonino, composto da 1580 pannelli, garantisce una produzione annua di circa 400 mila kilowattora, pari al fabbisogno annuo di circa 110 eco-

nomie domestiche, mentre nel Sottoceneri un secondo impianto installato sul tetto del supermercato di Taverne produce circa 115 mila kilowattora per anno, pari al consumo di 25 economie domestiche. E altri progetti sono in cantiere. Inoltre, a inizio 2013, il centro commerciale di S. Antonino è stato allacciato al sistema di teleriscaldamento collegato all’impianto di termovalorizzazione di Giubiasco; il progetto si è poi sviluppato nel corso dell’estate dello stesso anno con il collegamento della sede centrale: ciò permette un risparmio annuo di 300 tonnellate di gasolio, rispettivamente di 795 tonnellate di CO2! A livello nazionale, Migros ha

poi ampliato ulteriormente l’impiego di energie rinnovabili: la potenza dei suoi impianti fotovoltaici è aumentata del 24% e alla fine del 2016 ammontava a 26’241 kilowatt picco (kWp). I 220 impianti solari producono ora circa 25’300 MWh di corrente all’anno, equivalente al consumo di elettricità medio di circa 8400 economie domestiche. La centrale solare più potente della Svizzera, con 7,8 megawatt picco (MWp), si trova sui tetti del centro di distribuzione Migros di Neuendorf. Nel 2016 l’impianto è stato esteso al tetto di un nuovo magazzino per i surgelati, aumentandone così del 18% circa la produzione elettrica. L’impianto copre 48’000 mq che corrispondono alla superficie di ben 185 campi da tennis!

Siamo un’isola dei prezzi alti?

Commercio al dettaglio P er valutare correttamente la situazione occorre prima o poi

osservare però anche l’influenza dei costi I costi del commercio al dettaglio in Svizzera sono fino al 50% superiori rispetto a quelli dei Paesi confinanti. Uno studio della BAK Economics AG di Basilea risponde con dei dati concreti alle ricorrenti critiche formulate da varie associazioni dei consumatori e da quegli organi di stampa che puntano il dito sul problema dei prezzi. Siamo sicuri che la maggior parte dei consumatori elvetici sono consapevoli del fatto che i costi di produzione e i costi fissi (affitti, trasporti, ecc…) in Svizzera sono decisamente superiori rispetto a quelli dei paesi limitrofi. A questo «handicap» iniziale si vanno a sommare gli effetti della politica agricola federale: in difesa della produzione interna si fissano contingenti alle importazioni e si impongono dazi su determinate categorie mer-

ceologiche, come ad esempio carni e formaggi. Ora però non sono più solamente i dettaglianti stessi a dichiararlo, cercando di «difendere» il proprio operato, ma lo conferma chiaramente anche un approfondito studio della BAK BASEL economic research & consultancy, agenzia specializzata in ricerche di mercato. Solo per fare un piccolo esempio, dallo studio si evince che, paragonati a quelli svizzeri, i costi dei negozianti della vicina Penisola sono inferiori in media del 35%, ciò che si traduce in termini reali in uno svantaggio competitivo di oltre il 50% per gli operatori ticinesi. Oltre ai costi derivanti dal personale, i due terzi dell’importante differenza sono rappresentati dai costi d’approvvigionamento, decisamente più onerosi. Vi è poi da notare che

Azione

Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch

Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni

La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni

Uno studio mostra lo svantaggio competitivo rispetto alle nazioni vicine. Editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino Telefono 091 850 81 11 Stampa Centro Stampa Ticino SA Via Industria 6933 Muzzano Telefono 091 960 31 31

dal 2000 ad oggi, in controtendenza rispetto al resto d’Europa, i prezzi nel nostro cantone sono scesi in media dell’8% e si attestano allo stesso livello di 25 anni fa. Altre critiche sono state formulate rispolverando il tema dell’esistenza di ampi margini di guadagno. Cogliamo dunque l’occasione per ricordare che la Cooperativa Migros Ticino, così come pubblicato sul nostro rapporto annuale, registra un franco di guadagno per ogni cento di cifra d’affari, per un totale di 4,4 milioni di franchi nel 2016. Questa cifra è prontamente reinvestita nel territorio, tramite commesse ad aziende locali, per continuare ad offrire alla propria clientela un servizio di qualità, oltre a punti vendita moderni, all’avanguardia nei loro servizi e nell’infrastruttura. Tiratura 101’614 copie Inserzioni: Migros Ticino Reparto pubblicità CH-6592 S. Antonino Tel 091 850 82 91 fax 091 850 84 00 pubblicita@migrosticino.ch

Migros news Una Web-serie tutta da gustare Per arricchire in modo divertente il proprio sito web dedicato all’estate Migros ha pensato quest’anno di realizzare una serie di telefilm pubblicati sul web. A scadenza settimanale quindi il portale www.ecco-lestate. ch proporrà, insieme alle ricette gustose, ai consigli su come trascorrere il tempo libero delle vacanze e ai concorsi, anche l’appuntamento settimanale con la Web-serie La Guancia. Ogni settimana potremmo seguire le avventure del manager Sean e di Perry, un ragazzo dalle doti molto speciali. La sua guancia infatti possiede la consistenza della carne cotta a puntino sul grill.

Prezzo del latte: Migros paga agli agricoltori il 10% in più della media Migros ha impostato il proprio rapporto di collaborazione con gli agricoltori svizzeri, e anche con i produttori di latte, sulla correttezza. Pertanto ritiene scontato attenersi agli accordi settoriali. A sottolineare il suo legame con l’agricoltura svizzera non sono solo contratti a lungo termine, ma anche il fatto che la Estavayer Lait SA (Elsa), la sua azienda di trasformazione del latte, paghi per questo prodotto un prezzo molto più alto della media. Dal 2016, il prezzo al produttore pagato da ELSA è in media 5,7 centesimi, pari al 10%, più alto di quello medio versato da altre aziende di trasformazione. E la Elsa utilizza esclusivamente latte svizzero. Il prezzo medio del latte di latteria viene definito sulla base del Rapporto sul mercato del latte pubblicato ogni mese dall’Ufficio federale dell’agricoltura (UFAG). Anche il giornale settoriale «Schweizer Bauer» sottolinea nel suo ultimo numero come Migros sia l’unica grande azienda di trasformazione del latte ad attenersi al prezzo indicativo di 65 centesimi/kg. «Alla luce di questo dato l’appello al boicottaggio di alcuni rappresentanti degli agricoltori è assurdo e prende di mira proprio l’azienda sbagliata. Per fortuna, non rispecchia la posizione degli agricoltori svizzeri, poiché diversi produttori di latte e rappresentanti del settore si sono rivolti a noi per distanziarsi da questa iniziativa» afferma Matthew Robin, CEO di Elsa. «Il problema non è il prezzo indicativo» afferma Robin, «ma il fatto che molte aziende semplicemente non lo pagano o applicano deduzioni ingiustificate. Non possiamo pertanto che accogliere favorevolmente la decisione di altri operatori di seguire l’esempio di Migros e pagare in futuro un prezzo più alto». Abbonamenti e cambio indirizzi Telefono 091 850 82 31 dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@migrosticino.ch Costi di abbonamento annuo Svizzera: Fr. 48.– Estero: a partire da Fr. 70.–


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 6 giugno 2017 • N. 23

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Società e Territorio Il lavoro si fa smart L’associazione Work Smart di Berna promuove nuove forme di lavoro flessibile

Una valle come laboratorio La Fondazione Valle Bavona compie 25 anni di attività e presenta un progetto di divulgazione e formazione pagina 6

Stereotipi per disegnare il mondo L’illustratore e graphic designer bulgaro Yank Tsvetkov è diventato una celebrità nel web con il suo Atlante dei pregiudizi pagina 8

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«L’amore nella terza età non è un tabù, gli stereotipi vanno impallinati». (Marka)

Vivere il terzo tempo

Intervista Invecchiare? Sì, ma come? Le riflessioni della scrittrice e giornalista Lidia Ravera Laura Di Corcia Invecchiare è difficile per tutti; per le donne, di più. Basta sfogliare un po’ di cronaca rosa per rendersene conto: si meravigliano tutti che il nuovo presidente francese Emmanuel Macron possa essersi innamorato (e continui a esserlo) di una «tardona», ma quando è il contrario, ovvero quando è la giovane donna a stare con un uomo più âgé, le parole verso chi è più stagionato diventano improvvisamente meno taglienti. Le donne non devono invecchiare, devono rimanere giovani e scattanti, oppure, se proprio la natura ha fatto il suo corso, ripiegare sulla mestizia, pensare solo alla casa, ai figli e ai nipoti, dire addio alla propria femminilità e guardare con occhi benevoli i coetanei che si fiondano ancora sulla giovinezza. Ne abbiamo parlato con una scrittrice tutto pepe, Lidia Ravera, autrice del famoso best-seller Porci con le ali, che recentemente ha aperto un blog sul tema, www.ilterzotempo.org e ha dato alle stampe un romanzo, sempre intitolato Il terzo tempo (Bompiani) in cui affronta i temi dell’invecchiare e dell’amore. A inizio libro lei dice che si è giovani tutti allo stesso modo, mentre si

invecchia in maniera diversa. Quanti sono, allora, i modi di invecchiare?

Le varie tipologie le elenco nella pagina stessa: ci sono i negazionisti, quelli che la vecchiaia non esiste e che credono di essere a-mortali, ci sono quelli che invece pensano che la vecchiaia esiste ma solo per gli sfigati, e che se sei carino o carina e ricco o ricca, non invecchierai – e invece non è vero, invecchiamo tutti, gli unici che non invecchiano sono quelli che muoiono giovani, ma nessuno li prende a modello. Ci sono quelli della dissociazione positiva, i vecchi fuori e giovani dentro, come se uno, superati i 60, fosse costretto a non essere più un intero; ci sono quelli che vivono con la testa perennemente voltata indietro, rimpiangendo il passato, i nostalgici; quelli lirici sono sopportabili, tutti gli altri no. La vita è sempre spinta verso il futuro, anche a 90 anni. Se vuoi davvero vivere, muoverti, cambiare, sperimentare, lo sguardo deve essere puntato in avanti. Come farlo in maniera creativa? Come riempire, per esempio, il tempo che arriva dopo la pensione?

Vivere è di per sé una straordinaria avventura. Chiaramente sono una privilegiata: scrivo da quando ho 12 anni e continuerò a farlo finché non

mi arriverà un coccolone di quelli seri. Sono avvantaggiata: la mia passione, che per tutta la vita è stata il mio lavoro, continuo e continuerò a coltivarla. Ma per le persone che svolgono un lavoro nella media, il suggerimento è solo uno: vivere. Se vi piace la vita, non c’è bisogno di avere l’hobby, andare a pescare o fare chissà che cosa, dovete solo continuare a vivere. Leggete, pensate, parlate con gli altri, fate domande, camminate, guardatevi attorno. Il lavoro spesso ruba energie e solo nei ritagli del tempo si riesce ad esercitare l’arte del vivere; a questo punto, liberandosi dagli impegni, ecco che la terza età diventa la più bella, perché l’esperienza aiuta a essere più forti, a decifrare il futuro. Nel passato ci siamo fatti i muscoli e ora finalmente possiamo utilizzare quanto appreso nella palestra della vita. L’esperienza apre gli occhi e disillude. L’amore, quindi, è ancora possibile?

Sei quello che sei a qualsiasi età. Se sei una persona capace di amare, seduttiva, civettuola, se ti piace molto il sesso, non smetti di farlo, di praticare l’amore, non c’è una scadenza. Una persona che invece non ha mai dato troppo peso alla relazione a due continuerà a pensare poco alle romanticherie. Dopo la terza

età c’è la quarta: parliamo di un tempo molto lungo, ognuno può riempirlo nei modi che gli o le risultano più consoni. Se vuoi utilizzare quegli anni per una, due o tre storie di amore, perché no? È tutto molto soggettivo ed individuale. Non tutti gli uomini sono così fragili da sentire la necessità di puntellarsi con una donna giovane: ce ne sono di più maturi, per fortuna. L’amore nel terzo tempo non è un tabù, è qualcosa di meno: un luogo comune. E gli stereotipi vanno impallinati uno per uno. È più difficile invecchiare per gli uomini o per le donne?

È chiaro che è molto più difficile per le donne che per gli uomini. Tanto per cominciare il corpo delle donne presenta una scadenza intermedia, la menopausa. È il primo momento in cui la donna fa i conti con il terzo tempo; se doveva essere oggetto del desiderio e madre, quando il ciclo mestruale si interrompe una delle due «funzioni» viene a cadere. Ci sono anche stereotipi che riguardano quasi esclusivamente le donne, alle quali viene richiesto di essere belle, in perfetta forma fisica, fresche come delle rose o come delle insalate. Sono costrette ad avere 23 anni per tutta la vita, ma 23 anni ce li hai solo una volta: il tempo corre, una mattina ti svegli e hai 60 anni.

Sei un uomo e hai quell’età? Poco male, perché se sei spiritoso, colto, intelligente, non ti lamenti e non parli sempre delle tue malattie, e se sei capace di guardare una donna e farle quattro complimenti in croce, ti porti a cena chi vuoi. Per una donna non vale la stessa cosa: lo sperimento io stessa. Corro tre volte alla settimana, faccio pilates, peso 52 chili e sono alta 1,62, non ho un filo di cellulite, non sono bella ma non lo sono mai stata, sono sempre stata carina e sfiziosa, ho quattro rughe, sono simpatica, colta, indipendente economicamente, ma non ho la fila alla porta. Se fossi uno scrittore maschio, avrei un bel numero di signorine giovani che vorrebbero fidanzarsi con me. Anche perché per gli uomini il fascino è un valore, per le donne no. Gli stereotipi vanno impallinati prima, probabilmente.

Io ci ho lavorato tutta la vita, e anche quando ero giovane mi ponevo il problema della vecchiaia. Trovo affascinante il fatto che siamo creature a termine, che passiamo di qua e andiamo via, tutti. Se gli altri hanno voglia di scappare e parlar d’altro tutta la vita, facciano pure. Ma chi affronterà meglio quel momento? Quelli che sono scappati o quelli che come me hanno affrontato il mostro? Staremo a vedere.


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Società e Territorio

Una ricetta per il lavoro intelligente Work Smart L’associazione nata dalla collaborazione tra aziende e istituzioni del settore pubblico e privato

promuove la creazione di condizioni lavorative stimolanti e di una nuova cultura professionale

Natascha Fioretti Si chiama Work Smart è di casa a Berna ed è un’iniziativa volta a promuovere nuove forme di lavoro flessibile in Svizzera. Formalmente è una associazione che – come ci spiega la coresponsabile del progetto Nadia Stillhart – «nasce dalla collaborazione tra aziende e istituzioni provenienti sia dal settore privato sia pubblico come Mobiliar, Witzig, SBB, Swisscom, Post, SRG SSR come anche Startup come Xing, PupupOffice, VillageOffice. L’iniziativa gode inoltre di un ampio patronato da parte di organizzazioni economiche, sindacati e scuole superiori. Lo scopo dell’iniziativa è quello di promuovere forme di lavoro flessibili. In particolare puntiamo ad aprire il mercato del lavoro, a creare condizioni lavorative stimolanti per i lavoratori e ad utilizzare in modo intelligente risorse e infrastrutture».

Equilibrio famigliare e lavoratori più stimolati e sereni, sono questi due degli obiettivi di Work Smart Se siete interessati trovate tutto sulla piattaforma online all’indirizzo worksmart-initiative.ch, qui iniziamo a vedere quali sono i vantaggi del lavoro flessibile per un’azienda e per i collaboratori. I vantaggi sarebbero di tipo ambientale, infatti, recita il sito, se 450’000 dipendenti in Svizzera stessero a casa un giorno a settimana praticando quello che si chiama Home office, ci sarebbero in circolazione 1400 tonnellate in meno di CO2, per un totale annuo di 67’000 tonnellate. Una maggiore flessibilità sul posto di lavoro, una misurazione del rendimento non più in ore e tempo ma in raggiungimento degli obiettivi e una maggiore mobilità, si tradurrebbero in un più salutare equilibrio famigliare e in lavoratori più motivati e sereni. Riuscire a gestire meglio il proprio management famigliare perché si è più liberi di scegliere luogo e orario di lavoro, almeno un giorno a settimana, crea nei dipendenti quello stato di benessere che li motiva a fare bene e di più. Ne consegue una mag-

giore produttività, misurata in percentuale in un più 12%. Introdurre forme flessibili di lavoro significa anche sfruttare l’andamento lavorativo della giornata adeguandosi alle ore in cui si è più produttivi, assecondando cioè il nostro bioritmo. Se dopo pranzo, ad esempio, si ha un calo della concentrazione e del rendimento è meglio sfruttare questo tempo per fare sport o altro. Orari e giorni flessibili hanno ripercussioni positive anche sull’utilizzo dei mezzi pubblici e sul traffico. Permettono, infatti, di distribuire meglio l’afflusso evitando sovraffollamenti su treni e bus nelle ore di punta e congestionamenti del traffico automobilistico che anche alle nostre latitudini conosciamo bene. E non sono solo teorie, diversi studi fatti da SBB e Swisscom nel 2013 provano di fatto che se tutti i pendolari delle ferrovie viaggiassero in orari flessibili, almeno due volte a settimana, il numero complessivo dei viaggiatori nelle ore di punta calerebbe del 7%. E se queste possono essere delle soluzioni sul piano pratico ce ne sono altre per potenziare e migliorare le modalità lavorative in azienda partendo dal presupposto che sia necessario promuovere una nuova cultura professionale. Si inizia dal sottolineare l’importanza di coltivare lo scambio e il dialogo sul posto di lavoro con il proprio team e i propri colleghi. È importante ritagliare dei momenti di incontro e condivisione come il pranzo o la pausa e al contempo sfruttare al meglio metodi di comunicazione mobili e veloci attraverso i servizi di instant messaging. Per favorire una nuova cultura aziendale il management deve fare la sua parte. È determinante sostituire una politica di controllo e di comando con una politica di lavoro basata sulla fiducia senza la quale non è evidentemente possibile promuovere forme di lavoro mobili e flessibili. Chi è leader sul posto di lavoro deve comportarsi come un coach in grado di fornire al proprio team linee guida, strumenti e motivazione per fare bene e raggiungere gli obiettivi preposti. Una buona, veloce ed efficiente comunicazione è fondamentale. A questo punto abbiamo chiesto a Nadja Stillhart se ci sono aziende in Svizzera che più di altre sono portate a cambiare la propria cultura aziendale

È importante ritagliare dei momenti di incontro e condivisione tra colleghi. (Keystone)

e a promuovere forme di lavoro flessibile. Ci risponde che secondo lo studio FlexWork 2016 «i rappresentanti dell’economia privata, in particolare fornitori di servizi nell’ambito della ricerca, dello sviluppo, della progettazione o delle telecomunicazioni, sono più avanti rispetto a quelle dell’amministrazione pubblica. Ci dice anche che le grandi aziende con più di 500 dipendenti tendenzialmente sono più inclini ad introdurre forme di lavoro flessibile e sono in particolare quelle aziende che si occupano di architettura, infrastruttura e tecnologia». Le abbiamo chiesto se le aziende mediatiche sono tra queste «la più grande impresa mediatica svizzera, la SRG SSR è tra i cofondatori dell’iniziativa Work Smart e dunque senz’altro orientata ad introdurre forme di lavoro più flessibili». Gran parte delle aziende che hanno aderito al progetto «provengono dalla Svizzera tedesca e sempre di più della Svizzera romanda, mentre non abbiamo ricevuto nessuna adesione dalla Svizzera italiana». C’è anche da dire che la piattaforma online e tutte le relative informazioni e documen-

tazioni sono accessibili soltanto in lingua tedesca e francese. Tra queste le più interessanti sono senz’altro lo studio FlexWork del 2016 condotto dalla Fachhochschule Nordwestschweiz (FHNW) secondo il quale su 4,65 milioni di lavoratori dipendenti nell’economia svizzera, 1,12 milioni lavorano in modo flessibile mentre 2,62 milioni non possono per via del tipo di professione, dell’infrastruttura a disposizione oppure perché il regolamento aziendale non lo permette. A costituire l’ostacolo maggiore all’introduzione di forme di lavoro flessibili e intelligenti è il lavoro di squadra che secondo molte aziende (54%) richiede la presenza sul posto di lavoro, altro tema sensibile è la protezione dei dati e la confidenzialità delle informazioni (38%) così come il regolamento sul posto di lavoro che non prevede soluzioni flessibili se non in casi eccezionali (36%). Insomma per cambiare la cultura aziendale e professionale, seppur la tendenza sembra prendere piede, c’è ancora strada da fare. Per chi fosse interessato Work Smart offre le sue competenze sia at-

hanno qui un ruolo fondamentale. Solo la pagina di sinistra è occupata dal testo (peraltro in formato grande e in stampatello, in coerenza con la collana «Leggo già» dedicata ai primi lettori), mentre la pagina di destra ospita ogni volta un’ immagine. Beisler Editore ha pubblicato molti dei suoi libri illustrati, e il primo titolo dedicato a Lester e Bob (Le avventure di Lester e Bob) ha vinto l’anno scorso il Premio Orbil per la narrativa 6-9 anni.

moglie sta sconfinando verso la follia: trasandato, in vestaglia e ciabatte bucate, insegue febbrilmente il desiderio di volare come un uccello. Si costruisce delle ali, vuole partecipare a una gara di volo, coinvolgendo anche la sua bambina, Lizzie. Il fulcro della storia è proprio in questo coinvolgimento di Lizzie, la quale, se da un lato si trova a dover assumere sulle sue piccole spalle la responsabilità di un ruolo «adulto» che non spetterebbe a lei, dall’altro ha la saggezza – diversamente dalla zia, che s’impunta sul voler ricondurre il papà alla ragione – di comprendere che a volte c’è bisogno di dare spazio ad un ascolto profondo dell’altro, anche nella sua componente irrazionale. E che forse, per aiutare il papà, occorre mettersi in gioco sul suo stesso terreno. Il loro diventa quindi un gioco simbolico, quasi un «facciamo che eravamo uccelli», che non a caso passa anche dalla costruzione di un nido in cucina, metafora efficace di un ricostruirsi come famiglia dopo il lutto. Viene in mente quella favola ebraica della tradizione chassidica Il principe che si credeva un pollo, in cui il saggio

traverso la sua piattaforma online sia attraverso consulenze personalizzate. Le aziende, i dipendenti e i professionisti interessati possono inoltre sottoscrivere una carta di intenti e di valori per promuovere una nuova cultura professionale in Svizzera. Sottoscritta fino ad oggi da 102 aziende, tra i primi firmatari figurano Microsoft Schweiz, Die Mobiliar, la Posta Svizzera, SBB, SRG SSR, Swisscom e Witzig the Office Company che offre un incredibile spazio di business e coworking alla stazione di Berna. Pure l’Amministrazione federale ha compreso l’importanza del progetto e il 23 marzo scorso ha dato la notizia della sua adesione e della firma della Carta Work Smart affermando in una nota che «è compito soprattutto dei superiori dare ai propri collaboratori la possibilità di ricorrere a forme di lavoro mobile e di integrarle nel quotidiano. Esse permettono non soltanto di migliorare la conciliabilità di vita professionale e vita privata, ma anche di pianificare con intelligenza il lavoro, riducendo il consumo energetico e decongestionando le strade e i trasporti pubblici».

Viale dei ciliegi di Letizia Bolzani Ole Könnecke, Le nuove avventure di Lester e Bob, Beisler Editore. Da 6 anni Bob è un orso, Lester un’oca. Ingenuo, lento, generoso Bob; furbo, intraprendente, fanfarone Lester. Complementari, amici nelle loro diversità. Come tutte le coppie del comico – del prototipo di Stanlio e Ollio, per intenderci – ci offrono piccole esilaranti avventure del quotidiano. Perché è dall’interazione tra i due che scaturisce l’effetto umoristico. I bambini sorrideranno sin dalla prima di queste avventure, Su Lester si può contare, quando, dopo un susseguirsi di «C’è da pulire il tubo della grondaia di Lester. Bob gli dà una mano. C’è da tagliare il prato di Lester. Bob gli dà una mano», la conclusione ribalta in modo lapidario la situazione: «C’è da mangiare la torta ai lamponi di Bob. Lester gli dà una mano». È quindi a posteriori che il titolo della brevissima storia acquista l’ironia. Il punto di vista è sempre quello di Bob, come inferiamo dai titoli e dalla prospettiva di narrazione: ad esempio

la terza avventura, Lester rimane a bocca asciutta, inizia così: «Per fortuna Lester non sa che oggi è giorno di dolci. Bob è stato furbo e non glielo ha detto». Invece Lester lo sa benissimo e travestendosi da controllore delle torte riesce a mangiarla quasi tutta. Ma noi lettori ci identifichiamo, è ovvio, con quell’adorabile tontolone di Bob. Il quale a volte, senza neanche rendersene conto, non ne esce poi così sconfitto, anzi. Del resto Lester sa essere un vero amico, «che si prende cura di te», come dimostra nell’ultima, poetica avventura. Lo svedese Ole Könnecke nasce come illustratore e infatti le illustrazioni

David Almond, Mio papà sa volare!, Illustrazioni di Polly Dunbar, Salani. Da 8 anni Un nuovo libro di Almond, questa volta dedicato a lettori più piccoli, ma percorso anch’esso da quella vena surreale – delicata e inquietante al contempo – che incide una salvifica crepa sulla superficie razionale del mondo. Anche stavolta, come già in Skellig, si parla di esseri alati, ma qui chi ha le ali non è una strana creatura venuta da un altrove, bensì un normalissimo papà. O meglio, l’uomo che una volta era un normalissimo papà, e che ora è una persona che dopo la morte della

riesce a «curare» il principe andando sotto il tavolo a becchettare insieme a lui, trovando il coraggio di raggiungerlo sul suo stesso terreno. Nel caso di Lizzie e del suo papà, una volta esaurito il «gioco» (con l’ovvio fallimento del volo, nonostante le bellissime ali), si può riscoprire la gioia del ritrovarsi insieme, condividendo un ricordo gioioso («È stato così bello!»), e apprezzando tutto il sostegno dell’amore, anche di quello più pratico e razionale della zia Doreen. Allora sì che si può ricominciare a festeggiare, danzando «come uccelli» intorno al tavolo.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 6 giugno 2017 • N. 23

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Società e Territorio

Una valle da toccare

Laboratorio Paesaggio È stato da poco presentato il progetto di divulgazione che valorizza il lavoro svolto

dalla Fondazione Valle Bavona in 25 anni di attività

Elia Stampanoni La Valle Bavona racchiude su una superficie di circa 124 km quadrati moltissime testimonianze di vita e cultura rurale tradizionale, a volte uniche in tutto l’arco alpino. Risalendo il fondovalle s’incontrano dodici frazioni, chiamate «Terre», che ancora esprimono tutto il loro carattere rustico, con tante pietre e sassi disposti con cura. Le rocce sono elementi caratteristici di tutta la valle, al punto che sotto alcune di esse l’abile agricoltore ha saputo ricavare ampi spazi da utilizzare in base alle proprie esigenze, gli splüi. Il territorio è poi ricco di ulteriori elementi antropici quali ripidi pascoli, prati e selve castanili, muri a secco e terrazzamenti, prati e orti pensili. L’eterogeneità della Valle Bavona che, tra Cavergno e la cima del Basodino in soli 20 km presenta un dislivello di oltre 2800 m, permette di offrire degli ambienti variegati a ridosso della corona delle alpi: la caratterizza un contrasto morfologico tra il verde e angusto fondovalle, le estese pareti rocciose quasi verticali che lo contornano e le valli sospese in quota. Paesaggi (e villaggi) rurali che mostrano come l’uomo abbia saputo anche qui, in questa valle apparentemente brulla e discosta, ritagliarsi lo spazio per sopravvivere. Con l’abbandono dell’agricoltura tradizionale, queste peculiarità sono state minacciate dall’abbandono, dall’avanzata del bosco e dall’incuria.

Fortunatamente ben presto ci si è accorti di questa situazione di degrado e, già nel 1983, la Valle Bavona venne iscritta quale oggetto nell’Inventario federale dei paesaggi, siti e monumenti naturali d’importanza nazionale. Un riconoscimento che è stato un primo passo per la creazione, nel 1990, della Fondazione Valle Bavona che si è incaricata di gestire e coordinare gli interventi di salvaguardia e valorizzazione del patrimonio territoriale. La Fondazione in questi oltre 25 anni d’attività ha quindi promosso e concluso molti interventi conservativi a favore di aspetti paesaggistici, componenti naturali, forestali o agricoli. Impegno che ha permesso alla Valle di salvaguardare gran parte del suo patrimonio naturale o edilizio secondo le condizioni fissate dall’inventario nazionale. Oggi questi sforzi sfociano nel Laboratorio Paesaggio, un’attività inaugurata in maggio a Mondada (una delle dodici Terre della Bavona) volta alla divulgazione e alla formazione. Lo scopo del nuovo settore, realizzato in stretta collaborazione con il partner principale Heimatschutz Svizzera e sostenuto finanziariamente anche dal Cantone, è dunque quello di rendere fruibile a tutti, soprattutto ai giovani, il paesaggio rurale tradizionale attraverso la partecipazione attiva. «Per i ragazzi si tratta di toccare con mano, di vivere esperienze, di creare un legame affettivo con il territorio – spiega Rachele Gadea Martini, coordinatrice della

Conoscere attraverso la partecipazione attiva. (Fondazione Valle Bavona)

Fondazione Valle Bavona – Vogliamo far scoprire il piacere di stare bene in Bavona, di amare quello che si fa risvegliando la curiosità e la voglia di approfondire le conoscenze per apprezzare e poi, magari, tornare con i famigliari. In occasione dell’inaugurazione del Laboratorio Paesaggio i ragazzi hanno per esempio preparato il pane di castagne (fiàscia) e lo hanno cotto nel forno a legna situato in uno splüi, si sono dati da fare nel raccogliere legna con la cadola e hanno preparato un prato pen-

sile per la coltivazione di barbabietole e cipolle». Per raggiungere i suoi molteplici obiettivi, il Laboratorio Paesaggio fa capo anche a collaboratori esterni, esperti in diversi ambiti quali natura e biodiversità, storia e cultura, architettura o letteratura. «Sì, le attività non si limitano a escursioni o gite in tema ambientale, ma comprendono serate di proiezioni, giornate di volontariato e, in autunno, sarà proposto un ciclo di attività per ragazzi attorno al mondo

della castagna», aggiunge la coordinatrice della Fondazione. Al programma per la popolazione, scaricabile dal sito www.bavona.ch, si aggiunge il Totem RSI Alta Vallemaggia, una piattaforma mediatica e itinerante disponibile per una consultazione gratuita. «Attualmente il Totem è consultabile presso il Museo Castello Sasso Corbaro di Bellinzona, dove fino al 23 luglio è allestita una mostra temporanea sulla Valle Bavona promossa da Heimatschutz Svizzera – precisa Rachele Gadea Martini – il Totem è un prodotto editoriale della Radiotelevisione svizzera di lingua italiana con l’obiettivo di facilitare la scoperta della memoria storica, sociale e culturale della Svizzera italiana di cui le teche RSI sono detentrici». Un altro metodo per riflettere sulla Valle Bavona e sulla vita di montagna è di certo il concorso letterario «Salviamo la montagna» che comprende il Premio letterario internazionale Andrea Testore – Plinio Martini (per adulti) e il concorso «Montagna Giovane» (per i ragazzi). Quest’ultimo viene presentato annualmente a docenti e allievi delle Scuole elementari e delle Scuole medie della Vallemaggia e il bando di concorso è già disponibile su www.bavona.ch. Informazioni

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Società e Territorio Quelle di Yanko Tsvetkov sono mappe per orientarsi nei luoghi comuni.

Come Matrioske Libri Silvia Vegetti Finzi riflette

sull’importanza dell’attesa: la gravidanza, che lega nonna, madre e figlia Sara Rossi Guidicelli

Un atlante per mostrare i pregiudizi Tempi moderni Nell’opera di Yanko Tsvetkov viaggiamo

tra gli stereotipi con cui vediamo il mondo Lorenzo De Carli L’uso di mappe per orientarsi nello spazio è assai recente. Nel mondo classico, le mappe svolgevano funzioni molto diverse da quelle che, oggi, riconosciamo loro. In quell’età, servivano per celebrare le ideologie imperiali, spiegare la creazione, descrivere l’aldilà e inquadrare le dottrine religiose. L’ultima delle mappe classiche risale al 1300. Disegnata su velino di vitello, progettata da un gruppo di religiosi che risiedevano nelle cattedrali di Lincoln e Hereford, in Inghilterra, mostra il mondo secondo le credenze del cristianesimo medievale. L’opera è nota come Mappa mundi di Hereford. Al centro esatto è collocata la città di Gerusalemme. L’Africa subsahariana è popolata di mostri, con i «Trogloditi» che scavano caverne, il velenoso «Basilisco», la tribù dei «Blemmi» che hanno «bocca e occhi nel torace», e quella dei «Filli» che «espongono i propri neonati ai serpenti». Al Nord c’è il giardino dell’Eden, all’estremo oriente si pratica il cannibalismo, oltre le Porte d’Ercole si estende il mare ignoto, ecc. Ma l’età delle esplorazioni stava per arrivare, e se alla fine del Trecento mappe come l’Atlante catalano mostrano ancora Gerusalemme al centro, cominciano anche ad emergere dettagli utili per chi avrebbe fatto rotta verso i paesi delle spezie.

La forza dello stereotipo semplifica e conferisce alla nostra visione culturale del mondo una forma distorta Rispetto alle coeve mappe occidentali, quelle prodotte in Oriente sembrano più attente al dettaglio geografico, come per esempio, la Mappa Kangnido, che rappresenta la penisola coreana all’inizio del 1400, e si estende sino a raffigurare l’Europa. Ma anche le mappe orientali sono l’evoluzione di una tradizione caratterizzata, anch’essa, da opere realizzate con lo scopo di rappresentare non tanto dei luoghi, quanto piuttosto dei punti di vista ideologici. È a questa antica tradizione che s’ispira il più famoso cartografo del web, il bulgaro Yank Tsvetkov, l’auto-

re del celebre Atlante dei pregiudizi. Le sue cartine, che rappresentano il mondo dal punto di vista ideologico di questo o quel paese, da anni stanno girando online (la casa editrice Rizzoli ha pubblicato la versione italiana). In quasi tutte le mappe disponibili, la Svizzera è identificata con i termini di «banca», «cioccolato», «neve», «soldi», «orologi». Siamo «soporiferi» nella cartina dell’Europa vista dalla Grecia nel 2011; «maleducati» nella visione dalla Spagna dello stesso anno; l’anno successivo, per i latinoamericani, siamo sineddoticamente «Heidi», e «stupidi» per l’Austria; mentre nella mappa che rappresenta l’Europa vista dalla Svizzera nel 2010 siamo semplicemente il «Mondo». La tendenza degli abitanti di una nazione a far coincidere i limiti geografici del proprio paese con quelli del «Mondo» cresce con la supposta o reale importanza della loro nazione. Le terre emerse viste dal punto di vista degli americani nelle rappresentazioni di Yanko Tsvetkov mostrano una tale centralità degli Stati Uniti, che pressoché ovunque, fuori dai loro confini, gli americani potrebbero scrivere «hic sunt leones». Ma ciò che Tsvetkov vuol mostrare non è tanto la distorsione prospettica di chi si sente al centro del mondo, quanto la forza e la specificità del pregiudizio. Dal punto di vista americano, il Brasile è semplicemente la «Terra del pube rasato», così come l’India è lo «Yoga»; e se il Madagascar è fatto coincidere con i «Pinguini» è perché Tsvetkov è bravo a farci capire che gli stereotipi, oggi, nascono anche da una fiction che crea un immaginario capace d’imporsi con forza sul reale – non per nulla la Nuova Zelanda è definita «La contea». Fotografo, scrittore, illustratore, graphic designer, bulgaro che ha studiato in tedesco, ha vissuto prima in Inghilterra e ora in Spagna, Yanko Tsvetkov dice d’essere innanzitutto un viaggiatore. Si sente un dilettante in ogni attività, sebbene come graphic designer riconosce di essere estremamente pedante. In pochi anni, è diventato una celebrità, e con le sue mappe continuamente aggiornate si prefigge il solo compito di fornire strumenti utili perché una comunità possa prendere coscienza di quanto peculiare sia il suo punto di vista sul mondo, sostenendo che «per quanto concerne l’e-

splorazione culturale, siamo ancora nel Medioevo». L’autore non ha altro scopo se non quello di richiamare l’attenzione sul fatto che «ciascuno di noi vede se stesso come un modello per l’intera razza umana». Un messaggio semplice ma anche imbarazzante, in un momento storico che vede la celebrazione del proprio territorio da parte di tutti i populismi: «trascuriamo consapevolmente il fatto che la mancanza di umiltà non è il difetto di una cultura in particolare, ubriaca di potere o immersa nell’ignoranza, ma è un problema comune al genere umano». In questa prospettiva, i molti video raccolti nel sito web «Who wants to be second?» (www.everysecondcounts.eu) perseguono le stesse intenzioni dell’Atlante di pregiudizi, usando però l’autoironia. Mentre, cioè, Tsvetkov disegna mappe che mostrano paesi contrassegnati da etichette che dichiarano il pregiudizio che su di essi hanno specifiche nazioni, i filmati usano ironicamente mancanza di umiltà denunciata da Tsvetkov, facendo la deliberata apologia dei luoghi comuni; espediente retorico il cui effetto viene amplificato dall’imitazione per antifrasi del celebre proclama di Donald Trump «America first!». Cosicché, se il neo presidente americano può ripetere logori luoghi comuni, dichiarando che il suo paese può tornare a primeggiare, perché mai non dovrebbe esserci dell’orgoglio ad essere secondi, facendo un’uguale apologia dei luoghi comuni del proprio paese? Cominciato nel 2009, il lavoro di Tsvetkov non si è più interrotto. L’autore continua a pubblicare nuove mappe: il mondo visto da Marine Le Pen, quello visto da Donald Trump, quello visto da qualunque utente di Facebook, la mappa dell’Europa islamizzata, quella dei disordini alimentari correlati alle nazioni, ecc. È uno sforzo costantemente rinnovato per far emergere gli stereotipi, ma anche per prefigurare come potrebbe essere il mondo se l’azione politica fosse solo guidata dal pregiudizio, senza sforzarsi di comprendere davvero quali sono le complesse interazioni che ci legano. «In questa società globale interconnessa, dove le informazioni viaggiano più velocemente dei pensieri, forse i pregiudizi non sono altro che un effetto collaterale della nostra pigrizia mentale».

Era il 1968 e Natalia Ginzburg diceva che i bambini nati quell’anno erano stati messi al mondo per allegria. Lena avrebbe dovuto finire gli studi, perfezionare l’inglese, prendere la patente, ma voleva un figlio. Il mondo attorno a lei si batteva per creare una società migliore, buttare via la vecchia e ricostruire con più amore. E il modo migliore per fare la rivoluzione, può proprio essere fare un bambino. Non è un romanzo quello di Silvia Vegetti Finzi, una delle psicologhe più conosciute d’Italia, che «Azione» ospita nelle sue pagine con la rubrica «La stanza del dialogo». È un libro che parla, in pratica e in teoria, del tempo della gestazione, quei nove mesi che servono a un embrione per uscire nel mondo e iniziare la sua vita, staccato dalla mamma. Lena è il filo rosso che accompagna il lettore nel racconto e nelle riflessioni su questo periodo delicato, fondamentale, e in un certo senso sacro. Chi lo ha vissuto lo sa: la gente ti guarda e ti dà un rispetto nuovo, un’attenzione speciale e sorride di fronte al miracolo che avviene con più frequenza sulla Terra. Secondo Silvia Vegetti Finzi, tuttavia, sta venendo a mancare la considerazione per questo primo momento della maternità: dagli anni Settanta le donne lavorano, studiano e sono autonome, ma sanno poco e hanno poche testimonianze della maternità e di come conciliare lavoro e figli. Le generazioni non convivono più: si perde il filo del racconto, che tramanda e insegna, rende le donne incinte meno sole, più attente e consapevoli. Da qui la necessità di questa scrittura, sfociata in un testo intenso di un centinaio di pagine, intitolato L’ospite più atteso, perché «vivere l’attesa in modo partecipe, trascriverla nella memoria, evocarla, e condividerla» è importante, non solo per la singola persona, ma per la specie intera. E la psicanalista, che in questo libro cita Shakespeare, la mitologia greca, scrittori e studiosi di psicologia del Novecento, Platone, la sua esperienza personale, e molto altro, prende in prestito le bellissime parole di José Saramago per dirlo in modo chiaro e netto: «...è la lunga interminabile conversazione delle donne... sembra una cosa da niente, questo pensano gli uomini: neanche loro immaginano che è questa conversazione che trattiene il mondo nella sua orbita. Se non ci fossero le donne che parlano tra loro gli uomini avrebbero già perso il senso della casa e del pianeta». (Da Memoriale del convento). «Fino a qualche decennio fa – racconta Vegetti Finzi – le persone più prossime si accorgevano che una donna era in stato interessante perché a loro dire aveva gli occhi scintillanti e un’espressione trasognata che l’estraniava dalla realtà circostante. Ma ora non c’è né spazio né tempo per cogliere un’esperienza così intima e segreta». Cosa ci è successo? Sono successe così tante cose dai tempi di Maria, duemila anni fa, così ben rappresentati nei ri-

La maternità, un’esperienza che si tramanda di generazione in generazione. (pixabay.com)

tratti dell’Annunciazione. La giovane donna, di solito al centro di una stanza piccola e appartata, sta in solitaria preghiera o lettura quando riceve una visita. Sullo sfondo si vede quasi sempre un giardino, a indicare l’atmosfera sospesa tra l’imprevisto e l’attesa. «È la primavera della vita», commenta l’autrice con uno dei voli poetici che ci regala in questo libro, che tanto ha dentro se stessa: Lena è infatti una voce di Silvia, e dalla sua testimonianza personale scaturiscono i pensieri elaborati negli anni di studi e di vissuto. Contrariamente a Maria, Lena è immersa nel traffico milanese quando sente per la prima volta un frullio nella pancia: suo figlio, tanto desiderato ma così nuovo e sconosciuto. Non è subito tutto facile: mente e corpo devono abituarsi a una convivenza più che ravvicinata. Le nausee mattutine indicano quanto sia difficile all’inizio riconoscere l’individuo che si porta in grembo, ma non è solo fisicamente che si cambia. La donna deve rivedere tutti i suoi progetti, deve «sospendere la continuità della propria storia, interrompere la narrazione che collega il passato al futuro, per far posto a un progetto radicalmente nuovo e in gran parte ignoto». La donna si figura una vita da neomamma in cui la protagonista continuerà a essere lei stessa: lei con il bambino da accudire, mostrare, coccolare... si accorgerà più tardi che il protagonista della sua vita per qualche tempo diventerà il suo bambino e ci vorrà un altro periodo di assestamento. I medici spiegano a Lena cosa le succede, le dicono come dovrà partorire: non la aiutano ad ascoltare dentro di sé, ma le danno informazioni e raccomandazioni tecniche, scientifiche, razionali, esterne. Per fortuna la creaturina nel suo ventre, ignara di tutti gli studi di psicologia e dei progressi della medicina, bussa alla mamma e dà inizio al loro rapporto privilegiato. E poi via via tutte le fasi, le domande, i dubbi, la paura di essere inadeguata, il senso di minaccia alla propria integrità, le differenze con il vissuto del consorte, la scelta del nome, la ricerca di un appoggio materno, per richiamare quel filo, quell’essere matrioske, una dentro l’altra in momenti diversi, ma per un attimo sempre... La nostra società sente un bisogno di tornare a sentire di più e fare di meno. Cerca anche i modi per supplire a quella mancanza di grande famiglia in cui prima di diventare madre tua nonna, tua mamma, le tue sorelle o cugine maggiori ti hanno già parlato di cosa significa e hai visto e toccato con mano. Prova ne sono le nuove figure come quelle della doula, sostegno emotivo e pratico dall’inizio della gravidanza fin dopo il parto, che incarna tutte le figure femminili di cui la neomamma ha bisogno; e prova ne è questo libro, scritto con speranza, dedicato alle nipoti e a tutti gli ospiti più attesi, a cui Silvia Vegetti Finzi vuol far sapere che «la maternità nasce da un sogno» e che la gravidanza è la semina di un’alleanza che dura per tutta la vita.


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Società e Territorio Rubriche

L’altropologo di Cesare Poppi La caduta di Costantinopoli Dice la leggenda che una settimana prima della caduta di Costantinopoli il 29 maggio 1453, un’eclisse parziale di luna avesse annunciato la fine. Quattro giorni dopo una fitta nebbia aveva avvolto la città, evento raro e per questo carico di significati oscuri: quando la nebbia si levò, una luce pallida e fredda fu vista levarsi dalla cupola di Santa Sofia e salire al cielo. Fra gli assediati, esausti e demoralizzati dalle notizie giunte dal mare secondo le quali i tanto sperati rinforzi dal resto della cristianità non sarebbero arrivati, cominciò a girare la voce che si trattasse dello Spirito Santo. Lasciava la cattedrale per non essere esposto all’oltraggio degli Ottomani pronti ormai per l’ultimo assalto. Il confronto si era annunciato impari fin dall’inizio: i difensori potevano contare su una forza totale stimata fra i settemila e i diecimila combattenti. Ai contingenti di soldati professionisti dell’impero andavano ad aggiungersi piccoli, seppur ben equipaggiati contingenti di truppe

Veneziane, Genovesi, Catalane, Siciliane e seicento soldati turchi – fedeli anche loro fino all’ultimo all’Imperatore Costantino XI Paleologo. Con le loro ventisei galee, i Bizantini si opponevano alle imbarcazioni ottomane stimate fra le settanta e le centoventi. Fonti storiche contrastanti sostengono che le truppe di terra del Sultano ventunenne Mehmet il Conquistatore variassero fra le 70 e le 200’000 unità. I Bizantini avevano dalla loro le mura più potenti del mondo e comandanti esperti proprio nella difesa di città assediate. Ma la strategia ottomana contrapponeva settanta cannoni. Fra questi, il micidiale Basilisco, una bombarda dal peso di due tonnellate trainata da un treno di sessanta buoi costruita da un ingegnere ungherese di nome Orban (Urbano) con l’aiuto di maestranze tedesche. Ironia della Storia: Orban aveva offerto di fondere l’ordigno all’Imperatore Costantino quando ormai si delineava lo scontro finale con gli Ottomani, offerta rifiutata per

mancanza di fondi in un impero ormai esausto. Ironia della Sorte: se il Basilisco fece la sua parte nell’aprire brecce nelle mura costantinopolitane, l’esplosione per surriscaldamento di uno dei tanti pezzi di artiglieria costruiti da Orban per gli Ottomani ne provocò la morte nel giorno stesso della caduta della città. Dopo una tregua di due giorni, l’assalto finale era cominciato il 29 maggio poco dopo la mezzanotte. Il primo assalto fu affidato alle truppe cristiane che combattevano per gli Ottomani contro i bizantini. Seguì poi un assalto di truppe irregolari ed anatoliche nella zona nordovest della città detta Blacherne: qui le mura erano più antiche e dunque più esposte al danno dell’artiglieria ottomana. I difensori riuscirono a contenere questa prima breccia, ma non la seconda che vide protagonista l’elite ottomana dei Giannizzeri, soldati reclutati in età adolescenziale dai villaggi balcanici cristiani che formavano una sorta di guardia pretoriana del Sultano. Il comandante

genovese delle truppe di terra, l’indomito Giovanni Giustiniani, rimase gravemente ferito ed ordinò il ripiegamento verso la zona portuale. Seguì il breve, efficace contrattacco da parte dei soldati greci guidati dall’imperatore in persona. Ma presto i Giannizzeri premevano da ogni lato e quando le bandiere ottomane furono viste garrire al vento su una delle porte minori della città il panico divenne generale e la difesa impossibile. Il sacco di Costantinopoli durò tre giorni. Il chirurgo veneziano Nicolò Barbaro narra di migliaia di abitanti passati per le armi, di torture e stupri – fino alla vendita in schiavitù o alla condanna all’esilio di trentamila persone: «Il sangue correva nelle strade come acque delle grondaie durante un grande temporale, e i corpi di turchi e cristiani galleggiano nel Bosforo come meloni nell’acqua». D’altro canto, si narra come il Sultano Mehmet scoppiasse in lacrime alla vista delle rovine in fiamme di quella che era stata per secoli una meraviglia del mondo: «Quale gran-

de città abbiamo permesso fosse preda di saccheggio e devastazione!». L’Imperatore Costantino XI, che aveva rifiutato un’offerta iniziale di resa agli Ottomani, morì guidando l’estremo, disperato contrattacco dei suoi soldati. Fonti successive sostengono che si fosse spogliato delle vesti imperiali per non diventare il primo bersaglio del nemico. Così, il suo cadavere non fu mai ritrovato. La leggenda che fu narrata all’Altropologo da un vecchio, irriducibile monaco del monastero di Xiropotamu vuole, tuttavia, che nel momento in cui gli Ottomani entravano in città, due angeli avessero trasformato l’imperatore in una statua di marmo. Nascosto in una caverna sotto la Porta d’Oro, Costantino attende il ritorno della città in mani cristiane per risorgere. «So bene che voi Latini a queste cose non credete. Ma nemmeno credevate che Costantinopoli potesse mai cadere. Siete stati smentiti allora, e sarete sbugiardati domani». Sic transit.

di modificare il modello di bellezza da realizzare facendo prevalere, alle componenti fisiche, quelle culturali. Se da giovani era importante sentirsi alla moda, conformi ai parametri dominanti, a settant’anni ci si può autorizzare a essere semplicemente se stesse, libere di seguire la fantasia, di ispirarsi ai personaggi della cultura che ci hanno particolarmente affascinato. Più la bellezza diventa spirituale, più si sottrae alla caducità del tempo. Ricordo che Rita Levi Montalcini, premio Nobel per la Medicina, indossava, più che ottantenne, splendidi abiti di Capucci, si pettinava con eleganza rinascimentale e il suo fragile corpo spariva dietro la magnificenza dell’immaginario. Lasci perdere Brigitte Macron, è l’eccezione che conferma la regola. Si chieda piuttosto: «come voglio sentirmi in armonia con me stessa e con gli altri?». E non tema neppure di essere ridicola. Se lei è convinta che quello che indossa va bene per lei, andrà bene per tutti. Per fortuna la moda non è mai stata più liberale, istintiva, anarchica pasticciona. Invitandoci a ibridare stili e tendenze, a contrapporre gli elementi

più che coordinarli, ci incentiva a fare altrettanto. Solamente il tentativo di negare il tempo può farci compiangere piuttosto che apprezzare. Molte signore di una certa età preferiscono attribuirsi più anni di quelli che hanno realmente per sentirsi dire: «che fortuna! non si direbbe». In fondo, ammettiamolo, vecchi davvero sono solo gli altri. Nel nostro cuore vive un’eterna bambina che gioca alle «età della vita» senza coincidere con nessuna di esse, come ci rammenta una nota ballata:

«troppo grassa / troppo magra (...)», ma decide che non ha tempo di risistemarsi e che uscirà di casa lo stesso. A quarant’anni Lei si guarda e si vede «troppo grassa / troppo magra (...)», ma dice: «almeno sono pulita», ed esce di casa lo stesso. A cinquant’anni Lei si guarda e si vede «esistere» e se ne va dovunque abbia voglia di andare. A sessant’anni Lei si guarda e ricorda tutte le persone che non possono più nemmeno guardarsi allo specchio. Esce di casa e conquista il mondo. A settant’anni Lei si guarda e vede saggezza, capacità di ridere e saper vivere, esce e si gode la vita. A ottant’anni non perde tempo a guardarsi. Si mette in testa un cappello color porpora, esce per divertirsi con il mondo.

attentato Isis annulla, automaticamente, quella di un episodio precedente, senza lasciare traccia. Come se l’abbondanza e la puntualità, con cui le immagini ci raggiungono, contribuissero a banalizzarle e attenuarne l’impatto emotivo. Certo, in questo rifiuto delle testimonianze visive di disastri irrisolvibili, ha la sua parte il cinismo, alla stregua di una forma di difesa, persino scaramantica, per proteggersi da minacce sempre incombenti. Come dire, se non le vedi, non ci sono. In verità, a determinare nuovi sentimenti e comportamenti, nei confronti della fotografia in generale, è stata un’evoluzione tecnologica dagli effetti portentosi e, in pari tempo, ambigui. Di cui si è diventati fruitori e vittime, come sempre succede. Grazie allo smartphone, sempre più raffinato, ci siamo sentiti abilitati a svolgere un ruolo, facile dal profilo materiale, che

però ci trovava impreparati, culturalmente e psicologicamente. Certo, ci offre la comodità e il piacere di registrare, in continuazione, la nostra quotidianità, attraverso volti di amici, sorrisi di bambini, scorci di paesaggi suggestivi, oggetti desiderabili, opere d’arte esposte in musei, e via dicendo: sono infinite le situazioni, considerate degne di uno scatto. Affidato, in particolare, al selfie, diventato il simbolo di una nuova forma di narcisismo che sta preoccupando educatori e psichiatri. Ed è lo scotto da pagare, quando si affrontano le derive che, paradossalmente, accompagnano ogni progresso tecnologico, scientifico, persino politico, mettendo a disposizione della collettività ambiti e obiettivi, un tempo riservati a pochi privilegiati. Le scorciatoie sono comode, attraenti ma illusorie. Tutti fotografi, ma come? Qui si aprono

La stanza del dialogo di Silvia Vegetti Finzi Belle a settant’anni Cara Silvia, mi trovo alla fatidica soglia dei settant’anni, a detta di tutti: portati bene. Ma a me non basta e se mi guardo allo specchio mi cadono le braccia. Quando mi lamento, mi sento rispondere che sono stata viziata. È vero, da giovane ero proprio bella e ammirata da tutti. I miei colleghi avevano l’abitudine di scegliere la più bella e quasi sempre toccava a me. Non mi resta che rassegnarmi: sono diventata invisibile. Mio marito mi vuol bene come sempre e credo che i miei figli non mi cambierebbero con nessun’altra ma c’è una parte di me che non si accontenta. Mi piacerebbe indossare ancora gonne corte (non proprio minigonne!), abiti sbracciati, calzoncini, due pezzi, tacchi a spillo o ballerine, ma... I «ma» sono molti e le mie coetanee li conoscono tutti. La signora Macron ha il coraggio di ispirarsi a Brigitte Bardot ma noi ticinesi non siamo spregiudicate come le parigine e devo tener conto del gusto locale. Però le confesso che mi va stretto. Che cosa mi consiglia? / Grazia Cara Grazia, quello che le sta capitando è un evento atteso da sempre. In fondo invecchiare

è un privilegio: molti non ce la fanno. La pretesa di eterna giovinezza è ritenuta diabolica da tutte le culture eppure costituisce, soprattutto per noi donne, una tentazione inevitabile, con la quale bisogna fare i conti. A settant’anni sarebbe il caso di sentirsi vecchi ma non sempre si riesce a essere così obiettivi. Quanto a me, confesso che non so quanti anni ho e mi capita di correre per prendere il tram pensando: «pazza! se cadi è finita». Tempo fa, almeno per il nostro sesso, la soglia della vecchiaia si collocava a quarant’anni. Ma ora non è più la fecondità a segnare il discrimine. È soprattutto lo stato di salute, soprattutto quello psichico, a risultare determinante. Innanzitutto incide negativamente la depressione ma anche il decadimento delle facoltà cognitive costituisce una causa d’invecchiamento, oltre che un sintomo. Per fortuna, cara Grazia, lei si trova in ottima forma ed è soltanto il lato estetico a preoccuparla. Può sembrare un problema futile ma non lo è, soprattutto quando la bellezza costituisce una componente essenziale della propria identità. Si tratta allora

Le donne...

A tre anni Lei si guarda e vede una Regina. A otto anni Lei si guarda e vede Cenerentola. A quindici anni Lei si guarda e vede una Brutta sorella («mamma non posso andare a scuola con questo aspetto qui»). A vent’anni Lei si guarda e si vede «troppo grassa / troppo magra / troppo bassa / troppo alta, con i capelli troppo lisci / troppo arricciati», ma decide che uscirà di casa lo stesso. A trent’anni Lei si guarda e si vede

Informazioni

Inviate le vostre domande o riflessioni a Silvia Vegetti Finzi, scrivendo a: La Stanza del dialogo, Azione, Via Pretorio 11, 6900 Lugano; oppure a lastanzadeldialogo@azione.ch

Mode e modi di Luciana Caglio Tutti fotografi: ma come? Quando si dice perfezionismo elvetico. Ne offre la conferma, una volta ancora, il Museo nazionale di Zurigo, con la mostra che riunisce le migliori immagini giornalistiche dell’anno, selezionate dalla Fondazione World Press Photo, fra ben 80mila scatti, provenienti da ogni parte del mondo. Ora, al di là dei valori, sul piano dell’estetica, dei contenuti, dell’efficacia (di cui aveva riferito, per «Azione», il collega Ovidio Biffi), queste opere giustificano anche una constatazione, per così dire, consolatoria. Stanno a dimostrare che la fotografia, mestiere, vocazione o arte che sia, esiste ancora. E diventa appunto, una scelta di vita, seria ed esigente: persino rischiosa, come nel caso dei reporter sui fronti caldi dell’attualità, o, intellettualmente e moralmente impegnativa, come nel caso dei cronisti «visivi», capaci di registrare ciò che, realmente, merita curiosità,

attenzione, commozione. Un’immagine azzeccata dice ben di più di un lungo articolo. Insomma, la fotografia trova qui un riscatto, più che mai urgente, nell’era dei «tutti fotografi» in cui siamo immersi, anzi sommersi da una sovrabbondanza di immagini, fine a se stessa. Susan Sontag, scrittrice e sociologa spesso discussa e discutibile, aveva denunciato, anzi presagito, proprio questo pericolo, in un saggio, ormai storico, Sulla fotografia, dove sosteneva che «l’eccesso di immagini scioccanti produce assuefazione». Si era nel 1977 e l’autrice aveva colto nel segno un fenomeno destinato ad allargarsi a dismisura: l’eccesso di immagini d’ogni genere e qualità, che finiscono per sovrapporsi e annullarsi reciprocamente. Provocando indifferenza da saturazione, e appunto, una sorta di assuefazione persino a sofferenze e scandali. La foto di un

interrogativi imbarazzanti, d’impronta persino reazionaria, come succede quando si mettono in dubbio i vantaggi della tecnologia. Infatti, come arginare il contagio della smania fotografica, come difendersi dai selfie, alzati a barriera davanti a un quadro famoso, come ribadire che sforzo e fatica sono inevitabili per riuscire, persino maneggiando uno smartphone? E, poi, che fine faranno queste immagini digitali che affollano l’orizzonte virtuale? In un passato, neppure lontanissimo, le fotografie che suggellavano ricorrenze particolari, erano poche e costose, e trovavano permanenza nelle pagine degli album. Erano scattate da fotografi professionisti o da familiari che avevano frequentato, diligentemente, i corsi della Scuola club Migros. Non ci s’improvvisava in un ruolo che, allora, non era di tutti. E forse non lo è neppure adesso.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 6 giugno 2017 • N. 23

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Ambiente e Benessere Addio al diesel? Volvo subisce la pretesa europea sulla riduzione di emissioni di anidride carbonica e NOX

Da Senorbì ad Arbatax Reportage dalla Sardegna, un viaggio sul «Trenino verde» che percorre la ferrovia turistica più lunga d’Italia con i suoi 159 chilometri

Ramen fatto in casa Una ricetta europeizzata della ricca zuppa appartenente alla tradizione giapponese pagina 19

Tra asini, muli, pony… Sabato 10 giugno è la Giornata cantonale del cavallo: porte aperte alle strutture equestri

pagina 17

pagina 14

pagina 21

In immersione all’interno di un mini sommergibile. (Mission Blue)

Sua profondità, la signora degli abissi Mondo sommerso Sylvia Earle, oceanografa di fama mondiale, si batte per la salvaguardia dei mari Stefania Prandi La signora degli abissi conosce il mare. Si è immersa nel fondo degli oceani per seimila ore, ha esplorato, scoperto, studiato, nuotato con balene, delfini e squali. Sylvia Earle, oceanografa di fama mondiale, non si lascia fermare nemmeno dall’età: a 82 anni continua a entrare in acqua e ad andare in giro per il mondo per portare il suo messaggio ecologista. In molte interviste spiega che i mari sono in pericolo. Le barriere coralline spariscono, i ghiacci polari si sciolgono, i mammiferi muoiono. Sotto accusa l’inquinamento e la pesca industriale. «Con Google Earth potete vederli al lavoro in Cina, nel Mare del Nord, nel Golfo del Messico, che scuotono le fondamenta del nostro sistema di supporto vitale, lasciandosi dietro scie di morte. Per ogni chilo di pesce venduto al mercato, più di dieci chili, a volte anche cento, vengono rigettati come scarto. È questa la conseguenza del nostro ignorare che ci sono limiti a ciò che possiamo prelevare dal mare. Nell’arco della mia vita, il novanta per cento dei pesci di grossa taglia sono stati sterminati. La maggior parte di testuggini, squali, tonni e balene sono state drasticamente decimate».

«Sua profondità», come è stata chiamata dal «New Yorker» e dal «New York Times», è la protagonista di un libro appena pubblicato, scritto da Chiara Carminati, vincitrice del Premio Strega ragazze e ragazzi 2016, e illustrato da Mariachiara di Giorgio, intitolato La signora degli abissi. Il testo ripercorre la vita della scienziata ed esploratrice da quando, ancora bambina, trascorreva giornate intere intenta a osservare e a catalogare la natura, alle prime immersioni e dopo la laurea, non ancora trentenne, partiva per una spedizione nell’Oceano Indiano, unica donna tra settanta uomini. Dopo il dottorato, la partecipazione al progetto Tektite II, a capo della spedizione di un equipaggio tutto al femminile: con altre quattro scienziate, abitò per due settimane in uno speciale studio sottomarino, a 15 metri di profondità. Finita la missione, le ricercatrici vennero accolte come eroine: era la prima volta che delle donne prendevano parte a un progetto simile. L’eccessiva attenzione al loro genere di appartenenza – la stampa usava appellativi come «casalinghe, sirenette, pescioline, acquablu» – infastidiva la scienziata perché sapeva che «non sarebbe stato riservato lo stesso trattamento ai suoi colleghi uomini».

Cercò però di approfittare dell’impatto sul grande pubblico per far conoscere al mondo l’importanza della ricerca e quanto la sopravvivenza della vita sulla terra fosse legata alla buona salute degli oceani: il cuore blu del pianeta, come lei stessa ama definirlo, va rispettato, e c’è ancora tantissimo da scoprire, solo il cinque per cento degli abissi è stato esplorato. Qualche anno dopo riuscì a fare «una passeggiata» sottomarina a 400 metri di profondità, mentre negli anni Ottanta raggiunse i 900 metri di profondità grazie a uno speciale sommergibile monoposto, che progettò lei stessa con un collega ingegnere. Durante le sue incursioni ha ascoltato lo scricchiolio dei pesci pagliaccio sul corallo, lo scatto dei gamberetti, il grugnito della cernia, il chiacchiericcio dei pesci scoiattolo. «Vivere sott’acqua è un’esperienza eccezionale. Io augurerei a tutti di poterlo fare almeno una volta nella vita, anche solo per un giorno: sono convinta che l’umanità sarebbe diversa e sarebbe evidente a tutti che dal rispetto dell’universo blu dipende la nostra esistenza» dice spesso «l’eroina dei mari», come l’ha definita la rivista americana «Time». «L’oceano è alla base del sistema ecologico della terra, è vivo. L’ossigeno è

prodotto da esseri viventi che sono parte del sistema, e le catene alimentari nel mare sono alla guida di questi sistemi. Togliete gli oceani e non avremo più un pianeta che funziona. Tutte le forme di vita hanno bisogno di acqua, ma anche di ecosistemi complessi, che hanno impiegato più di quattro miliardi e mezzo di anni per essere come sono adesso, cioè adatti alla vita umana. Abbiamo un punto di vista esclusivamente terrestre su ciò che dobbiamo fare per prenderci cura del mondo, come se l’oceano non avesse importanza. Sento ripetere che i pesci sono così resistenti che non c’è modo per sterminare una specie. Stiamo vedendo che non è così». Per riuscire a salvare il salvabile con l’Iucn, International Union for Conservation of Nature, Earle sta lavorando per aumentare il numero di Hope Spots, le aree protette istituite per preservare e ripristinare gli ecosistemi marini. Sono come dei parchi nazionali sulla terra ferma, dove le attività dannose sono limitate. Ci sono più di settanta Hope Spots e trecento nuove nomine in attesa. Tutti possono fare qualcosa per contribuire ad aumentare la consapevolezza, anche soltanto visitare il sito Mission Blue (www.mission-blue.org), organizzazione fondata da Earle. Altri suggerimenti di «sua profon-

dità»: ridurre il consumo di plastica, controllare da dove viene il pesce che si mangia, provare a limitarne il consumo (il miglior modo per rimettere in salute i mari è permettere che si ripopolino), scegliere cibo bio («eliminando l’uso di pesticidi evitiamo che fuoriuscite nocive entrino nei corsi d’acqua»), andare a piedi o in bicicletta, prendere i mezzi pubblici, usare il car sharing, dato che le emissioni globali di carburanti fossili sono la causa principale del riscaldamento e dell’acidificazione dei mari. Anche se la situazione è critica, bisogna cercare di non perdere la speranza e agire, senza mai farsi scoraggiare, proprio come Earle. Quando aveva tre anni è stata risucchiata da un’onda e per un attimo non ha visto più nessuno. La corrente l’ha rigirata come un ciottolo, poi un’altra onda l’ha scaraventata sulla battigia. «Invece di spaventarmi mi sono rialzata e ridendo mi sono tuffata di nuovo. Quello è stato l’inizio del mio amore per il mare, ma anche una delle prime prove della mia tenacia: per tutta la vita, quando gli eventi mi gettavano a terra, ho avuto la forza di reagire e gettarmi con slancio nell’onda successiva». Informazioni

www.mission-blue.org


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 6 giugno 2017 • N. 23

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Ambiente e Benessere

Mario Alberto Cucchi «Non svilupperemo più nuove generazioni di motori diesel». Lo ha anticipato Hakan Samuelsson, presidente del costruttore automobilistico Volvo, al quotidiano tedesco «Frankfurter Allgemeine Zeitung». Secondo il numero uno della Casa svedese, oggi di proprietà dei cinesi della Geely, l’attuale generazione dei propulsori diesel targati Volvo è destinata ad essere prodotta fino al 2023. Nel frattempo il costruttore si concentrerà su investimenti per l’elettrificazione: entro il 2025 ciascun modello della gamma avrà in dote una versione elettrica. Le ragioni dell’abbandono del diesel secondo Samuelsson vanno ricercate nei costi per la riduzione delle emissioni di ossido di azoto che in Europa stanno cominciando a diventare troppo onerosi. Un portavoce della casa scandinava si è affrettato a precisare che «la scelta di non avere modelli diesel in futuro è ancora una possibilità più che un progetto». Insomma «potrebbe essere ma non è certo». L’addio

al diesel ci sarà da parte di Volvo se resteranno invariate le pressioni da parte dell’Unione Europea sulla riduzione di emissioni di anidride carbonica e NOX. Come saranno le Volvo del futuro? In una prima fase di transizione il costruttore continuerà a investire sui motori a benzina che sono considerati più «puliti» per poi passare a motorizzazioni ibride e infine ad auto elettriche. Si sa già che Volvo produrrà la sua prima auto elettrica in Cina. Il nuovo modello – basato sull’architettura CMA (Architettura Modulare Compatta) di Volvo sviluppata per le auto di piccole dimensioni – sarà disponibile per la vendita nel 2019 e verrà esportato in tutto il mondo. «Volvo Cars condivide l’invito del governo cinese a impegnarsi per migliorare la qualità dell’aria secondo quanto previsto dall’ultimo piano quinquennale. Questo approccio è in perfetta sintonia con i nostri valori basilari di attenzione verso l’ambiente, la qualità e la sicurezza» ha dichiarato Hakan Samuelsson, CEO di Volvo Cars. «Riteniamo che l’elettrificazione

Hakan Samuelsson, CEO di Volvo Cars, al Forum Automotive.

sia la soluzione per garantire una mobilità sostenibile». Volvo si è impegnata a vendere complessivamente un milione di auto elettrificate – incluse le ibride e le tutte elettriche – entro il 2025. Obiettivi ambiziosi. Intanto il governo di Stoccolma ha in programma di costruire un centro nazionale specializzato nello sviluppo di modelli elettrici. La Svezia, confinante con una Norvegia che è la più virtuosa al mondo nel comparto, ha dunque preso la sua direzione «elettrica» alla luce del cambiamento epocale che attende l’automotive nella prossima decade. Il centro svedese per lo sviluppo delle EV potrebbe sorgere nei pressi di Goteborg. A pochi chilometri da questa città, per la precisione nello stabilimento di Torslanda, è stata appena avviata la produzione della seconda generazione della XC60. Tra i propulsori disponibili, la novità più importante è una motorizzazione ibrida: il T8 Twin Engine con powertrain ibrido plug-in da 407 cavalli che consente alla XC60 di accelerare da 0 a 100 orari in 5,3 secondi. «Entro il 2021 Volvo reciterà un ruolo di primissimo piano nel panorama globale delle auto elettriche». È quanto prevede Ferdinand Dudenhöfer, responsabile del centro ricerca automotive dell’Università di Duisburg-Essen. Sfruttando anche la consolidata partnership con la proprietaria cinese Geely, la Casa svedese lancerà le sue prime auto elettriche nel 2019 e due anni dopo secondo le previsione sarà già al vertice tra i costruttori premium. Se la Svezia accelera, la Germania frena. La Cancelliera Angela Merkel ha ammesso che la Germania non riuscirà a soddisfare il target originario di veder circolare sulle strade un milione di esemplari elettrici entro la fine della decade. Nonostante gli incentivi garantiti dalle autorità, lo scorso anno circolavano in Germania non più di 80mila vetture elettriche.

a quelli omerici per finire con quelli più moderni Ennio Peres Un divertente aforisma di Wilson Mizner asserisce: «Quando rubi da un autore è plagio, quando rubi da tanti è ricerca». Una graffiante affermazione del genere ironizza sull’attività di quegli autori che realizzano delle raccolte di citazioni, attingendo alla produzione di centinaia di scrittori diversi… Un raffinato modo di elaborare delle composizioni con materiale altrui, senza scadere nel plagio, è dato dall’antica tecnica del centone, che consiste nel creare un collage di frasi di autori diversi, unite a formare un’opera originale. Si conoscono numerosi esempi di centoni, fin dall’antichità. Ad esempio, il Centone nuziale di Ausonio (310-395), costituito esclusivamente da brani di Virgilio (70-19 a.C.), oppure i Centoni omerici, in greco, attribuiti a un vescovo del V secolo, di nome Patricius. Virgilio è il poeta a cui sono ricorsi con maggiore frequenza, in varie epoche, gli autori di centoni. In età cristiana, i centoni hanno avuto spesso un contenuto religioso. Si conoscono diverse vite di Cristo in centoni e, in particolare, si ricorda quella scritta dalla nobile romana Proba Falconia (322370), che in 694 versi descriveva l’Antico e il Nuovo Testamento, dalla creazione del Mondo fino all’Ascensione di Gesù. Tra le altre interessanti opere analoghe, vanno ricordate un’Eneide Sacra del canonico di Parigi, Etienne de Pleurre (1585-1635), e un Virgilii Evangelisantis Christiados del religioso scozzese Alexander Ross (1590-1654). Un appassionato di questo genere di letteratura è stato, in Italia, l’enigmista Anacleto Bendazzi, che ha scritto, tra l’altro, una Vita di Cristo narrata da Virgilio, costituita da un centone di 666 esametri virgiliani. Il testo del Bendazzi partiva da quelli di Proba Falconia e di Etienne de Pleurre, fondendoli e modificandoli con apporto di materiale nuovo. Il risultato ottenuto dall’autore ravennate presenta sicuramente una migliore aderenza al testo evangelico. Lontano da intenti sacrali, la tecnica del centone può avere anche delle applicazioni puramente ludiche. In particolare, si può comporre un brano

Bibliocologno

ma la Casa svedese ha deciso di puntare su un’intera gamma elettrificata

Giochi di parole D ai Centoni nuziali

di significato omogeneo, operando un collage di versi tratti da varie note canzoni. Il risultato ottenuto può essere utilizzato per eseguire una nuova canzone; ma può servire anche per proporre degli stimolanti quiz di cultura canzonettistica. Ad esempio, sapendo che il testo seguente è stato composto utilizzando i versi di otto noti successi musicali italiani, cercate di riconoscerli tutti, tenendo conto che ogni coppia di versi consecutivi proviene da una stessa canzone. Una brutta giornata, – chiuso in casa a pensare: / ripenso a quello che mi hai detto – e ho tanto freddo dentro al cuore. / Fuori c’è un tempo da cani, – la pioggia ha chicchi grandi come noci / e nei tuoi occhi di cielo – guizzano fiamme di gelo. / Scendi, scendi giù dalle nuvole, – non restar lassù lontano da me: / c’è un temporale, – possiamo uscire e raffreddarci insieme ormai. / Sotto un cielo di ferro e di gesso – l’uomo riesce ad amare lo stesso; / per ogni goccia che cadrà, – un nuovo fiore nascerà.

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In declino il diesel targato Volvo?

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 6 giugno 2017 • N. 23

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Ambiente e Benessere

Sul trenino verde Viaggiatori d’Occidente In Sardegna con le ferrovie secondarie Paolo Merlini, testo e foto Dopo aver letto Mare e Sardegna, sbarco a Cagliari sulle tracce di David Herbert Lawrence. Libro alla mano, voglio assaporate quello che è rimasto delle ferrovie sulle quali viaggiò il grande scrittore inglese quasi cent’anni fa, nel 1921. Partenza di sabato mattina all’alba, nella città deserta: incontro solo una guardia e due anziani turisti. La moderna metropolitana di superficie mi lascia dopo pochi minuti alla fermata di San Gottardo, vicina all’antica stazione ferroviaria di Monserrato, tutt’oggi sede di un grande deposito ferroviario, praticamente un museo a cielo aperto. Va in scena un’aurora poetica e commovente mentre prendo posto sull’attempata automotrice Diesel/ Elettrica ADe serie 90, che rumorosamente scalpita sul binario a scartamento ridotto posato nel lontano 1893. Qui comincia il mio viaggio sulla linea San Gottardo-Isili, alla scoperta di quella che Lawrence chiamava «la strana magia della Sardegna». Dal finestrino lo sguardo esplora una sterminata pianura coltivata a cereali che, dopo la trebbiatura, giace riarsa dal sole. Sullo sfondo riconosco le «catene di colline simili alla brughiera, irrilevanti, che corrono via, forse verso un gruppetto di cime drammatiche a sud-ovest». Uliveti, canneti, pinete e vigneti a perdita d’occhio assediano anche le piccole stazioni, malconce ma presidiate dal personale ferroviario in divisa d’ordinanza. Pancia a terra, il treno striscia lentamente col passo del giaguaro, fischiando di continuo per annunciare il suo passaggio. I due turisti del mattino mi hanno seguito sin qui; scopro che sono svizzero tedeschi, anche loro turisti ferroviari rapiti dalla bellezza del paesaggio, come davanti a un’opera d’arte. Lui, alto e segaligno, indossa un’elegante camicia da esploratore che un po’ gli invidio; lei, taciturna, annuisce ad ogni nostra frase. Questa tratta è ancora in uso e siamo tutti felici di aver scoperto che per fare un giro in questo paradiso terrestre basta un biglietto di pochi euro. Una leggera foschia si leva dal terreno: stazzi con capre al pascolo e irrigazione a goccia tra i filari dai quali penzolano copiosi grappoli d’uva in attesa della vendemmia. Alla stazione di Donori il Baedeker (ndr: guida turistica cartacea) dei miei nuovi amici svizzeri ci spiega che stiamo attraversando la fertile regione storica del Campidano

di Cagliari. Enormi piante di fichi d’india selvatici insidiano la scarpata ferroviaria contendendo lo spazio vitale al binario. Foreste di eucalipti annunciano la presenza di acqua nel sottosuolo. Dopo quaranta chilometri dalla partenza entriamo nella stazione di Senorbì, principale centro della Trexenta, altra regione storica di questo «continente» chiamato Sardegna. Alle 8.24 il treno arriva a Mandas. Quasi due ore per coprire poco più di sessanta chilometri: questa è una di quelle ferrovie dove la velocità commerciale è inversamente proporzionale all’emozione del viaggio. Ai tempi di Lawrence il servizio ordinario continuava sino ad Arbatax. Ma ora mancano i fondi (e la voglia?) per ammodernare queste vecchissime linee ferroviarie, tenuto conto dell’orografia del territorio, della scarsissima densità di abitanti della regione e del costo infinitamente minore del trasporto su gomma. La linea ferroviaria è stata però recuperata in chiave turistica e così in alcuni giorni è ancora possibile salire sul uso. Intorno solo carcasse di locomotive a vapore mangiate dalla ruggine e vecchi vagoni sconquassati che giacciono accoccolati sui binari morti... Sono dentro un film di Sergio Leone. Il «Trenino verde» è una vecchia automotrice del primo dopoguerra perfettamente restaurata. Niente concessioni alle lusinghe della modernità, dunque niente aria condizionata; ma non importa, viaggiamo bellamente con i finestrini abbassati dai quali entrano forti rumori metallici, stridenti suoni fuori sincrono sepolti nel DNA di ogni viaggiatore. Il binario inizia subito ad arrancare aggrappato al sedime attraversando una natura ostile, vinta «Trenino verde» per Arbatax; con i suoi 159 chilometri è la ferrovia turistica più lunga d’Italia. I macchinisti in servizio non si contano così come le targhe a ricordo del passaggio, il 6 gennaio del 1921, dello scrittore inglese che paragonò Mandas «alla Cornovaglia nelle sue parti più brulle o agli altipiani del Derbyshire». In compagnia dei coniugi elvetici esploro la stazione posta sul confine tra servizio pubblico e archeologia industriale. Tutto è originale: un vetusto banco di manovra a catena governa gli snodi ferroviari così come i macaco (deviatori) servono ancora per azionare a mano gli scambi. La «ritirata» è fuori

solo a suon di dinamite, pala e piccone. Il treno serpeggia, sbuffa, soffia, fischia e barcolla. Alla velocità massima di 30 km/h, gira e rigira tra colline boscose, cercando la via per Orroli, Arrubbiu, Nurri, stazioni fantasma che rivivono solo nei giorni in cui passa il trenino della nostalgia. Molto più a valle vedo il lago del Flumentosa solcato da un battello. Siamo nelle vicinanza del Nuraghe Arrubiu, alle spalle il Sarcidano e davanti alla Barbagia di Seulo. «Era meraviglioso correre nel luminoso mattino verso il cuore della Sardegna», scrisse Lawrence passando di qui. Una sosta alla casa cantoniera di Palamara, raggiungibile solo con la ferrovia, e poi giungiamo al cospetto del Monte Santa Maria, estrema propaggine meridionale del Gennargentu. Sull’altopiano di Sadali la vegetazione si fa più rada. Sono passate quasi tre ore da quando abbiamo lasciato Mandas. Poi alla stazione di Seui il treno si ferma. La linea è interrotta, per oscure ragioni burocratiche, mi pare di capire. A differenza di Lawrence, non arriverò sino ad Arbatax. Ma sono stanco e accolgo la notizia come un’amnistia. È l’ora di pranzo e di Seui so solo che qui fanno i migliori culurgiones dell’isola. I miei compagni svizzeri, ormai inseparabili, non conoscono i famosi ravioli ripieni ma si uniscono a me fiduciosi…


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 6 giugno 2017 • N. 23

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Ambiente e Benessere

La bevanda di Bacco attraverso i libri Il vino nella storia Tra medici, poeti e filosofi non furono pochi gli estimatori del succo d’uva fermentato

che gli dedicarono anche opere intere Davide Comoli Nel fervore del Rinascimento, quando la cultura generale incominciò a diffondersi attraverso i libri, non mancarono opere ispirate al vino e alla vite, oggetti di approfonditi studi. Arrivarono a esaminare i vari cloni, il terreno, le caratteristiche organolettiche e le attribuzioni più o meno salutari della bevanda cara a Bacco per mezzo di varie opere. Già Pier de Crescenzi nel suo Opus ruralium commodorum composto verso il 1305, spiegò le modalità di degustazione di un vino: per meglio apprezzare le qualità fra le molte variabili, essenziale è il cibo con cui il vino s’accompagna. A metà del 400, sarà la poesia con l’orvietano Simone Prudenzani a occuparsi di questa bevanda. In un sonetto del suo Modus placitus et mundus blandus elenca i vini più di moda in quel tempo: «Vernaccia di Corniglia, Trebbiano Marchigiano, il Greco, il Moscatello, il Gaglioppo, ecc. ecc». Al poeta fanno eco, nel secolo successivo, opere come De vini natura disquisitio di G.B. Confalonieri (1535); De diversorum vini generum natura di Giacomo Prefetto (1559); Discorso della natura del vino del medico fiorentino Paolo Mini. Interessante è un trattato di viticoltura intitolato De l’humore dovuto alla penna di Bartolomeo Taegio (1564), nel quale si spiega come il vino bianco vada bene per lo stomaco e i reni, mentre il rosso è indicato per la cura della gotta. Inoltre identifica i cinque punti più importanti per una degustazione di

vino: odore, colore, sapore, età, corpo. L’umanista cremonese Bartolomeo Sacchi detto Platina, nella sua colta opera De honesta voluptate e valetudine (1474), parla del vino in modo molto dottrinale e scrive: «La cena e il pranzo senza bevande non solo sono ritenuti poco gradevoli, ma anche poco salutari poiché il bere, per chi ha sete, è più dolce e più gradito di un cibo qualsiasi di chi ha fame». Domenico Romoli detto Panunto, nella sua opera La singolar dottrina (1560) che è un trattato sull’arte dello scalco, cioè il modo di tranciare e preparare le varie vivande, dedica diverse pagine alle bevande e a quelle che sono le mansioni del bottigliere che deve scegliere gli abbinamenti, ma che ha anche il compito di scegliere i bicchieri adatti per ogni tipo di vino. Alle grandi Corti rinascimentali il coppiere o il bottigliere veniva scelto con grande oculatezza essendo, come scrive il Panunto: «questo ufficio così nobile da richiedere a costui esperienza nell’esercizio della professione e requisiti personali ben precisi». Castore Durante fu archiatra (medico di corte) di Sisto V (1590), nelle sue opere troviamo dodici regole da seguire nel consumo del vino, la dodicesima è quella che noi preferiamo e dice: «Il vino deve essere negato ai fanciulli, concesso moderatamente ai giovani, largamente ai vecchi perché tempera la loro complessione fredda». Sia Vincenzo Cervio (1581) nel suo Il Trinciante, sia Cristoforo di Messisbugo (1557) nei I banchetti indicano una lista di vini che non dovrebbero

il Verbano che chiamano Maggiore e ha per affluente il Ticino, più sotto quello di Lugano e ancora più a sud i laghi di Gavirate e Monate, e il deliziosissimo Lario sotto le mura di Como». Dopo aver messo in evidenza le caratteristiche del territorio fa risaltare la felice disposizione dell’intera regione e la favorevole positura per una buona produzione d’ogni cosa oltre che la buona salute della popolazione. Dopo aver descritto di piante e frutti, il Bacci descrive i vini ivi prodotti: «I suoi vini, a dire il vero, non sono generosi, ma abbondanti e di medio vigore e anche di tipi diversi. L’agro Ticinese confina con il Novarese, più basso con il Vercellese e verso oriente con Como, produce tipi di vini simili a quelli propri di questi luoghi, alcuni vigorosi, per lo più fulvi di colore, altri rossi, di sapore leggermente restringente, secco e gradevole. Unitamente a questi ne produce alcuni altri che sono dolci, gradevoli quanto le Vernacce; altri ancora bianchi o anche neri un po’ deboli, di scarso vigore e molto adatti agli infermi e provengono dalle colline che sono situate più in alto verso le località montane». Con il termine Vernaccia si definiscono un numeroso gruppo di varietà tra loro anche molto differenti dal punto di vista ampelografico, che hanno in comune la caratteristica di dare origine a un vino dalle doti organolettiche simili. Il termine deriverebbe dal latino tardo Vermaculus con il quale si definiva tutto ciò che proveniva da un dato luogo, non importato, autoctono come la nostra Bondola.

Dipinto di Paolo Veronese: «Nozze di Cana». (Dal libro Il vino nella storia)

mai mancare (a quell’epoca) in cantina: La Malvasia dolce e garba (secca o aspra), il Greco, il Chiarello, il Sirvolo (vino delle Marche?), il Trebbiano, il Razzese, il Mazzacane, l’Asprino, il Lagrima, la Vernaccia sia bianca sia nera. E ancora ne parlarono Faria degli Uberti (1346), Andrea Palladio (1580) e il bresciano Agostino Gallo (1499-1570). Un altro citatissimo autore è Andrea Bacci (1524-1600), era un naturalista (botanico) e medico del pontefice Sisto V, scrisse due opere, una sul vino, De naturali vinorum historia (1596, in sette volumi), e una sull’acqua del Tevere, Della natura e bontà delle acque, ma la fama gli venne dal lavoro sul vino (avevate qualche dubbio?). Essendo medico guardava al vino

come rimedio, come un medico d’oggi potrebbe scrivere un trattato di farmacologia clinica. Sentite un po’ cosa scrive del Chiaretto di Cirella: «…che è gradevolissimo al palato e scende nelle vene fino ai reni, è molto nutriente e genera sangue buono e sottile, conduce alle loro vie naturali i residui degli umori, provoca sudore e l’urina e scaccia la renella». Prendendo in visione il sesto libro, dove si parte con i vini del Lazio per risalire vero l’Italia settentrionale, dove troviamo un capitolo che parla dei vini degli Insubri e a un certo punto il Bacci scrive: «Tra i monti ha cinque laghi bellissimi oltre alcune zone paludose. Tre di essi si trovano nell’agro di Milano alle falde degli stessi monti della Rezia,

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 6 giugno 2017 • N. 23

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Ambiente e Benessere

Il ramen di Allan

Gastronomia Sempre più di moda, la ricca zuppa tradizionale del Giappone può essere preparata

In Italia è esplosa la mania dei ramen, ricche zuppe della tradizione giapponese, che sono veri e propri piatti unici. La cosa, a chi come me ama tutte le cucine del mondo e in modo particolare quella giapponese, fa solo piacere. Parliamone.

D’origine cinese, la cultura nipponica lo ha arricchito o modificato regionalizzandolo con prodotti e ricette locali Tecnicamente sono un piatto a base di tagliatelle o spaghetti giapponesi serviti in brodo. La pasta, disponibile in numerosi formati, è preparata con farina, acqua e sale, con aggiunta di uova o più spesso di kansui, un’acqua minerale ricca di carbonato di sodio e di potassio, che come le uova dà alla pasta il caratteristico colore giallo. Il brodo, a base di carne o di pesce, può essere arricchito con pezzi di pollo o maiale e molluschi, uova e vari tipi di verdure cotte o crude. È un piatto di origine cinese, ma che nel corso del Novecento ha assunto un ruolo fondamentale nella cucina giapponese, che lo ha arricchito o modificato secondo ricette regionali o addirittura locali molto differenziate. Nel frattempo sono nati numerosi ristoranti dedicati (ramen-ya) che si contraddistinguono per proposte originali. In Giappone sono molto diffuse anche le preparazioni istantanee: scodelle dove si mette il preparato liofilizzato, si aggiunge acqua bollente e si ottiene così un piatto pronto in pochi minuti. Esistono anche gli aemen, molto simili sebbene la pasta sia più grossa in seguito all’impiego di un mix di grano tenero e grano saraceno. Di tutte le versioni, quella relativamente più diffusa prevede l’aggiunta di chashu, ovvero pancetta di maiale. An-

che qui le ricette sono tante. Ecco una ricetta base per preparare il chashu, in modo europeizzato. Prendete un pezzo di pancetta di maiale e arrotolatela bene su se stessa, legandola con spago da cucina. Scaldate in una casseruola un po’ di grasso, olio o burro, e rosolatela uniformemente da tutti i lati. Mettetela poi in una pentola che la contenga appena e copritela a filo con 3 parti di acqua, 1 parte di salsa di soia e 1 parte di vino bianco o, meglio, vermut dry. Lasciate sulla placca, coperto, a fuoco dolcissimo per 2 ore abbondanti. Levate il rotolo di pancetta, fatelo raffreddare e conservatelo in frigorifero. Altro canone è l’aggiunta di uova marinate. Fatele così. Mettete in una casseruola altrettante parti di salsa di soia e acqua, unite zenzero e aglio, fate sobbollire per 10’ poi spegnete e fate raffreddare. Cuocete le uova per 6’ in acqua bollente salata; sgocciolatele e immergetele in acqua e ghiaccio per 10’, poi sgusciatele. Mettete le uova sgusciate in un contenitore che le contenga appena, unite la riduzione filtrata e fate riposare in frigorifero per almeno tre ore. Ma ora vi propongo una mia ricetta realizzabile a casa, qui in Europa: del tutto non tradizionale. Il ramen di Allan. Per 1 persona. Fate un brodo con ossa di maiale e verdura da brodo (cipolla, sedano, carote, mazzetto guarnito). In una padella, saltate con poco grasso 60 g di petto di pollo tagliato a straccetti. Tagliate a fettine 60 g di chashu – se non l’avete fatto, tagliate a straccetti altrettanta pancetta fresca e rosolatela per qualche minuto. Scaldate il brodo e unite la carne, il pollo, 100 g di tagliatelle sbollentate per 2’ poi scolate, ½ porro tagliato ad anelli rosolati per pochi minuti, peperoni a filetti saltati in padella, bambù saltati in padella, cipollotto a fette, alga nori a pezzi e peperoncino. Mettete il tutto in una capiente ciotola, unite 1 uovo marinato tagliato a metà, regolate eventualmente di sale e servite. Meglio prendere gli ingredienti con delle bacchette o delle molle da cucina poi bere il brodo dalla tazza.

CSF (come si fa)

Miss Yasmina

Allan Bay

Pexels-photo

anche in varianti europeizzate

Vediamo come si fanno 5 antipastini esotici. Fave al sale. Togliete 500 g di fave dal baccello. Portate al bollore una pentola di acqua salata, gettatevi le fave e lasciate cuocere per 7’ a fuoco allegro. Appena la buccia comincia a rompersi scolate le fave e salatele mentre sono ancora calde. Servitele tiepide. È una versione occidentalizzata di un celebre piatto giapponese.

Olive profumate. Scolate 400 g di olive dalla salamoia, sciacquatele velocemente e sistematele in una ciotola. Unite 1 spicchio di aglio mondato e affettato molto sottilmente, 2 cipollotti tagliati a fettine sottili, la parte gialla (cioè la scorza privata del bianco) e il succo di 1 arancia, 1 grosso peperoncino fresco tagliato a metà nel senso della lunghezza, privato dei semi e tagliato finemente, una allegra dose di foglie di prezzemolo tritate, 4 cucchiai di olio di oliva, 1 schizzo di aceto meglio se di cocco o di riso e 1 cucchiaio di garam masala, che è una miscela di spezie dolci indiana. Mescolate bene e lasciate marinare per almeno 1 giorno. Mandorle alla paprika. Prendete 250 g di mandorle intere sgusciate e spellate, mettetele in una ciotola, unite 1 cucchiaino di olio di oliva, 1 cucchiaino

di paprica dolce, 1 cucchiaino di sale marino fine e mescolate bene. Crostini ai gamberetti. Saltate in padella con 1 spicchio di aglio e poco olio 100 g di gamberetti decongelati, i più piccoli che trovate. Spegnete, fate intiepidire e incorporate altrettanto burro, profumate con pepe e aromatizzate con prezzemolo tritato e cipollotti tritati. Tostate fette di pancarrè, tagliatelo in 4 pezzi e spalmate ogni quadrato con questo burro aromatizzato. Si può fare anche con le teste e i carapaci dei gamberi, ma pestateli molto, molto, molto bene. Vol-au-vent alla tzaziki. Emulsionate in una ciotola yogurt tipo greco con 1 cetriolo tagliato a dadini, aglio mondato e tritato, foglie di menta, aceto e sale. Mettete l’emulsione in un piccolo vol-au-vent.

Ballando coi gusti Oggi per l’ennesima volta vi propongo dei risotti: ma si sa che stravedo per il riso, che posso farci?

Risotto con le cozze

Risotto con finocchio e salmone

Ingredienti per 4 persone: 320 g di riso da risotti · 1 kg o più di cozze · 1 spicchio

Ingredienti per 4 persone: 320 g di riso da risotti · 1 finocchio · 1 cipolla · vino bianco secco · brodo vegetale · grana grattugiato · burro · sale e pepe.

Mondate e tritate la cipolla, cuocetela per 10’ con poca acqua poi frullatela. Mondate le cozze. Scaldate in un’ampia casseruola 1 filo di olio con l’aglio mondato, unite 2 bicchieri di vino, portate al bollore e fate bollire per 2’. Unite le cozze, coprite e fatele aprire. Quando saranno tutte aperte, scolatele, privatele del guscio e tenetele in caldo. Filtrate il fondo di cottura. Tostate il riso in una casseruola per 2’, poi unite 1 mestolo di fondo e la cipolla frullata. Portate il riso a cottura unendo il fondo necessario, se finisce unite acqua bollente. Quando il riso è cotto, regolate di sale e di pepe, unite 1 filo di olio, le cozze e il prezzemolo tritato, mescolate, coprite e lasciate riposare per pochi minuti a fuoco spento. Poi servite.

Mondate i finocchi eliminando le guaine più esterne, lavateli e tagliateli a spicchi sottili. Tagliate il salmone a piccoli pezzi. Spezzettate le guaine esterne del finocchio, mettetele in una casseruola, unite la cipolla mondata e spezzettata, bagnate con brodo e cuocete per 20’, poi frullate. In una casseruola scaldate il burro e fate insaporire i finocchi tagliati sottili per 2’. Bagnate con brodo e continuate la cottura coperto per 30’, aggiungendo brodo se necessario. Tostate il riso in una casseruola per 2’, poi unite 1 mestolo di brodo bollente e la crema di finocchi. Portate il riso a cottura unendo il brodo necessario. Quanto è pronto, unite i finocchi e il salmone saltato per un nonnulla in padella con burro e regolate di sale e di pepe. Mantecate con poco burro, coprite e lasciare riposare per pochi minuti a fuoco spento. Poi servite.

di aglio · 1 cipolla piccola · prezzemolo · vino bianco secco · olio di oliva · sale e pepe.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 6 giugno 2017 • N. 23

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Ambiente e Benessere Giochi per “Azione” - Giugno 2017 Stefania Sargentini

Cavallo, principe per un giorno

Mondoanimale Una giornata(N. di porte apertecaldo nelle strutture equestri che ospitano 21 - Vento e secco detto anche ze ro) i cavalli per scoprire

la loro appartenenza al territorio e cosa ancora si può fare per loro 1

Maria Grazia Buletti Viene riproposta in Ticino, sabato 10 giugno, la giornata di porte aperte delle strutture equestri (non di tutte, ma di parecchie) che ospitano gli equini nel nostro cantone (i cavalli nello specifico, senza però dimenticare la grande varietà di asini, muli, pony, bardotti che vivono sul nostro territorio). Promossa dalla Federazione ticinese degli sport equestri (Ftse), la settima edizione della Giornata cantonale del cavallo avrà come tema la valorizzazione del territorio ticinese attraverso questo animale, e permetterà alla popolazione di conoscerlo. Belli e domesticati da millenni, questi animali esercitano sempre un grande fascino sull’essere umano che continua a ricercare con loro un rapporto comunicativo. Una relazione, quella fra uomo e cavallo, che poggia su altri schemi rispetto a quelli della nostra specie, insieme a un fondamentale e antico rapporto di collaborazione (di lavoro, di compagnia e per sport nel tempo libero) che va sempre più delineandosi e integrandosi nella realtà sociale e urbanistica cantonale. Attorno al cavallo si rinnova e cresce l’interesse, nel contempo cambia il territorio e si modificano le esigenze di vita degli equini che meritano una riconsiderazione, una sorta di adattamento mirato al loro benessere. Stato di salute che, lo ricordiamo, è regolato in modo capillare a livello federale, attraverso la Legge sulla protezione degli animali. «Con la sua iniziativa della giornata cantonale del cavallo 2017, la Ftse vuole dunque avvicinare la popolazione, adulti e bambini, al mondo equestre, dando continuità al dialogo, alla

Giochi Cruciverba Tra fidanzati: «Caro, farò l’amore con te solo dopo il matrimonio!». Trova la risposta del fidanzato, a cruciverba risolto, leggendo nelle caselle evidenziate. (Frase: 2, 4, 6, 2, 5, 8)

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conoscenza, all’approccio verso questo 10 magnifico animale, nella conoscenza delle attività ad esso correlate e nella 13 14 15 comprensione della sua appartenenza al suolo ticinese come valore aggiunto 18 elemento 19di disturbo», 20 rie non come assume il presidente del sodalizio Stelio Pesciallo, 22nel presentare un nutrito programma che vede parecchie strutture equestri proporre visite, attività, giochi 25 e momenti ludici per tutta la giornata di sabato 10 giugno e in tutto il cantone (il programma dettagliato è su www.equiticino.ch). La Commissione cavallo e ambiente della Ftse ha già messo parecchia carne al fuoco in questa direzione, lungo 32 tutto l’arco dei due anni passati, attraverso la Campagna di sensibilizzazione Cavalli e carrozze nella circolazione stradale. «Si tratta di una campagna volta alla conoscenza delle regole di circolazione su sentieri, stradine e strade quando si incontra, si supera o si incrociano 2 3 l’avvoca4 cavalli o1una carrozza», spiega tessa Ester Camponovo, presidente della 7 8 abbiamo posto 9 Commissione, alla quale anche alcune domande per meglio comprendere, del 10poi, la contestualizzazione 11 cavallo sul nostro territorio e le basi legali che la regolano. 13 14 La premessa poggia sul fatto che la salvaguardia del territorio, con partico16 lare attenzione15 alle aree verdi, rappresenta una delle più importanti sfide dei nostri tempi. D’altro canto, per 21 22 23 quanto attiene al cavallo, Camponovo osserva che «il26rapporto ancestrale28fra esso e 27 29 l’uomo è sempre perdurato negli anni, ma l’avvento della meccanizzazione e 32 33 della tecnologia, nei tempi più recenti, ha fatto sì che questo animale trovasse

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impiego principalmente nello sport, anziché nel lavoro agricolo e solo grazie a persone appassionate di questa specie il cavallo ha potuto continuare ad essere una componente della nostra società 5fino ai6giorni nostri». Il cavallo è e rimane, in ogni caso, un animale cui di diritto spetta una vita in zone verdi e agricole, per sua natura e per i suoi bisogni psicofisici di movi12 mento e pascolazione. A beneficio di ciò, la modifica degli ultimi anni della legislazione federale sulla pianificazione del territorio (Lpt) ha segnato qualche passo 17 in avanti nei18 confronti del19 mondo20equestre, riconoscendo che il cavallo appartiene alla realtà rurale da ben 24 25 prima che la modernità e le nuove tecniche venissero impiegate in zona agricola, e da ben 30 31 prima che altri verdi comprensori venissero destinati all’insediamento di nuove 34 35 36 ci ricorda zone residenziali: «La storia infatti che questo animale ha contribu-

T I B O C C A cavallo “amatoriale” o “del tempo liI D O bero”?», G si chiede E Rla nostra S interlocutrice. «A voler ben vedere, non ci si può dall’osservare che tutte quelle C E C Oesimere N E Cdall’Ufficio raccomandazioni emanate federale di veterinaria circa la buona e E C Crispettosa E tenuta T del T cavallo O (segnatamente all’esigenza di movimento quotiA H Adiano)Rpossono essere A garantite L appieno unicamente consentendo l’edificazione queste destinate E I dica dell’equitazione A strutture Z con I alla pratiogni condizione E Fmeteorologica». R status E quoEè dunque caratteLo rizzato da un paradosso: si riconosce S Mil diritto I delRcavallo Ndi abitare E la zona agricola, suo habitat naturale di apparT I Rtenenza. O NelIcontempo D gliEsi vieta però

ito moltissimo alla vita e all’economia rurale della nostra società, e a questa realtà appartiene per propria natura». Nel disciplinare l’uso consentito delle singole superfici, la Legge e l’Ordinanza sulla pianificazione del territorio tentano di preservare il limitato suolo del nostro Paese e, per quanto attiene al cavallo, incappano quindi in una sorta di controsenso: «La legislazione vigente sancisce infatti che quelle attività che eccedono l’equitazione all’aperto sono destinate ad essere confinate in aree differenti» da quelle preposte e indicate alla tenuta stessa dei cavalli, rispettose delle loro esigenze e contestualizzate in zona agricola. «La Lpt rinvia infatti i detentori di cavalli alla zona edificabile». Ma al di là delle esigenze del cavaliere, che la sera rientra al proprio domicilio, «in che misura le esigente etologiche di un cavallo “sportivo” possono essere diverse da quelle del

di avere a disposizione le strutture adeguate e necessarie al suo movimento, dunque, alla sua salute e alle esigenze della specie che restano tali anche nel suo impiego accanto all’uomo. La legge dice che queste strutture andrebbero edificate soltanto in zona edificabile estensiva. Bisogna dunque fare ancora parecchia strada prima di permettere a queste strutture performanti di erigersi nell’ambiente stesso del cavallo: «L’allenamento di cavallo e cavaliere con qualsiasi tempo è imprescindibile; d’altronde anche chi pratica atletica, in caso di intemperie si allena in palestra e non di certo sulla pista esterna», precisa la presidente della Cca, rinnovando l’invito della Ftse a tutta la popolazione a partecipare alla Giornata cantonale dedicata al cavallo di sabato 10 giugno.

SUDOKU PE (N. 22 - La medusa immortale, ringiovanisce sempre) N. 17 FACILE L A M Schema E D I U S A S 2 I M 6 3 4 M O R A3 1 N6 M 4 E L I T4 E E A D L O N2 T A N5 E4 R I N O S E 5 G3 S1 7 A I O V A N D I 5 3 8 Informazioni 4 1 S C O R I E www.equiticino.ch S E U L 6 1 5 37 38 I M P A S T O A R E 8 con il cruciverba 2 7 Vinci una delle 3 carte regalo da 509franchi una delle 2 carte regalo da 50 franchi2con5 il sudoku 8 9 (N. 23 - “Va bene, eappena ti sposi chiamami”) 1

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N. 18 V MEDIO E N T U R A

O9 B4 10 I6 R 12 Giochi per “Azione” - Giugno 2 L2017O Stefania Sargentini 17 Pze ro)E N N4 E5 (N. 21 Vento caldo e secco detto anche 19 20 I S E E 8 P6 V E N T I B O C C A 23 IE C L I O D O 1 GH E RIS E T C E C O N E C 26 27 3 7 H E CM TNE D C E IT TNO 29 A N C A H A R 1 AIL A E R O V E I A Z I 10

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E F R E E 2 5 31 25. Divinità egizia... nella mina 19. Alberi resinosi S M I R N E 26. Vasti, spaziosi 20. Osso del bacino 32 I SUDOKU R Oprecedente I PER D EAZIONE - GIUGNO 2017 28. Corridoio aereo con assistenza da terra 22. Retrovirus dell’AIDS Soluzione dellaTsettimana 29. Uno di famiglia 23. Anagramma di Pia ZOOLOGIA E LONGEVITÀ – Animale più longevo: N. 17 FACILE 1 2 3 4 5 6 7 8 9 VERTICALI 25.22Le-separa la «n» immortale, ringiovanisce LA MEDUSA IMMORTALE, RINGIOVANISCE SEMPRE. (N. La medusa sempre) Schema Soluzione 1. Velo francese 27. Le iniziali del cantante Zarrillo 1 2 3 4 5 6 10 11 2. Fiume della Spagna 8 9 2 6 3 4 1 7 5 L A 2 M6 E3 D4 I 7 8 9 3. Il primo navigatore 3 1 6 5 7 8 4 2 9 U3 S1 A6 S I M4 4. Ha un proprio servizio12 13 14 10 11 12 4 5 7 1 2 9 6 8 3 4 M O R A N M 5. Vivanda a base di carne ripiena 13 14 1 7 9 2 6 3 5 4 8 6. Imposta che non si paga Vincitori del concorso Cruciverba E L I T2 E E5 4 15 16 17 15 16 17 18 19 20 su «Azione 21», del 22.5.2017 10. Il soccorso del Pascoli 2 6 4 8 9 5 3 1 7 A D L O5 N3 T1 A7 N E A. Rizzini, F. Mascaro 12. Lo è... d’uomo chi è buono 21 22 23 E. Ottolini, 24 25 5 3 8 7 4 1 2 9 6 R5 3 I8 N 4 O1 S E G S 18di portata del fiume 19 20 13. Forte aumento 26 27 28 29 30 31 6 4 3 9 1 7 8 5 2 6 1 5 A I O V A N D I Vincitori del concorso Sudoku 14. Servono solo nascoste 32 33 34 35 36 15. È una21 vera macchietta... su «Azione 21», del 22.5.2017 9 8 1 3 5 2 7 6 4 S9 C8 O R I E2 7 S E U L 22 23 16. Particella negativa M. Grassi, D.E. Paggi 37 38 7 2 5 4 8 6 9 3 1 I M2 P5 A S8 T O9 A1 R E 17. Per … per gli inglesi 24 25 26 N. 18 MEDIO (N. 23 - “Va bene, appena ti sposi chiamami”) I premi, cinque carte regalo Migros Partecipazione online: inserire la luzione, corredata da nome, cognome, è possibile un pagamento in contanti 9 4email del 8 5 9 4 7 8 6 1 2 3 2 3 4 o del sudoku 5 6 del valore soluzione del1 cruciverba indirizzo, 27di 50 franchi, saranno 28 sor29 V Epartecipante N T U deve R A dei premi. I vincitori saranno avvertiti teggiati tra i partecipanti che avranno nell’apposito 7 formulario pubblicato essere spedita a «Redazione Azione, per iscritto. 6 8 7 6 Il1 nome 3 2dei 5vincitori 9 4 sarà 8 8 O B 6901 O ELugano». O N pubblicato su «Azione». Partecipazione fatto pervenire la soluzione corretta sulla pagina del sito. Concorsi, C.P. 6315, 2 4 10 2 3 8 4 9 1 5 7 6 30 la pubblica31 9 entro il venerdì seguente Partecipazione postale: la lettera 32 o Non si intratterrà I corrispondenza R E A sui L T riservata esclusivamente a lettori che 4 5 8 1 6 11 4 5in Svizzera. 3 8 1 9 2 6 7 zione del gioco. la cartolina postale che 12riporti la so- concorsi. Le vie legali sono escluse. Non risiedono 28

Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch

V I E T A

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ORIZZONTALI 1. Una Simona in tv 7. Strumento a fiato 8. Sul pulsante dell’accensione 9. Desinenza verbale 10. Arresta senza manette... 11. Articolo 12. Contiene l’acqua santa 13. Un tipo di 12 verticale 17. Dicesi di donne bellissime 18. Indicatore della Situazione Economica Equivalente 19. Precipitato chimico 21. La ninfa che amò Narciso 22. Pastore tedesco... 23. Le iniziali di Lincoln 24. Le iniziali del filosofo tedesco Hartmann

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(N. 24 - ... Prima ti fa l’esame e poi ti spiega la lezione) N. 19 DIFFICILE P R1 I M 7 A T O 8 5 T I ’ A L L’ O R A S E T I vincitori

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 6 giugno 2017 • N. 23

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Politica e Economia Elezioni generali in GB In vista del voto dell’8 giugno il Labour prosegue la sua rimonta sui Tories nei sondaggi

Intervista a Denis MacShane L’ex ministro britannico per l’Europa ci spiega perché la Brexit, che aveva previsto con largo anticipo, sarà un disastro per l’Inghilterra e il commercio europeo

La povertà nascosta In Svizzera vivono 600 mila persone al di sotto della soglia di povertà. Ritratto di una madre single con i suoi tre figli

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Affitti in calo? Il tasso di riferimento ipotecario scende dall’1,75 all’1,5 per cento. Gli inquilini possono chiedere una riduzione dell’affitto pagina 31

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Angela Merkel ha definito «vivace» l’incontro bilaterale con Donald Trump a Taormina. (AFP)

Rotta di collisione

Usa-Germania Gli attacchi del presidente Usa Trump al libero scambio, agli accordi sul clima di Parigi, alla Nato

e alla Germania stessa spingono Berlino a farsi carico del proprio destino di europei

Lucio Caracciolo Stati Uniti e Germania sono in rotta di collisione. I media si sono molto esercitati in questi mesi sullo scontro a puntate – la più recente al G7 di Taormina – fra Donald Trump e Angela Merkel, personalità che più diverse non si possono immaginare. Al di là dell’incompatibilità di carattere fra i due leader, quel che conta è la sostanza geopolitica e geoeconomica dello scontro. La quale consiste nel precetto americano per cui non è tollerabile che emerga in Europa un polo di potenza concorrenziale, o addirittura nemico. E parallelamente nella graduale ma evidente ricerca tedesca di un peso geopolitico proprio, che affranchi definitivamente la Bundesrepublik dal «passato che non passa» e ne faccia un paese maturo, «normale». Questa contrapposizione ha una lunga storia, che comincia almeno nel 1917, quando gli Stati Uniti sbarcano per la prima volta in Europa per sconfiggervi il Reich guglielmino. Operazione ripetuta nel 1944 con il D-Day in Normandia e completata con la liquidazione del Terzo Reich e l’occupazione

della Germania occidentale. Nel 1990 il presidente Bush, per la somma irritazione di Thatcher e Mitterrand, decide di appoggiare la riunificazione tedesca. Ma non per simpatia, quanto per razionale scelta geopolitica: gli Stati Uniti sono consapevoli che il cammino avviato da Kohl dopo il crollo del Muro è inarrestabile, perché l’Unione Sovietica ha cessato di esistere come impero (dal Natale 1991 come Stato). Dunque meglio intestarsi la Wiedervereinigung per vincolare a sé la Germania di Berlino e tenerne sotto controllo eventuali sogni di potenza. Oggi che alla Casa Bianca si è installato un nazionalista/protezionista che vede nella Germania un pericoloso, malevolo e disonesto competitore commerciale, che si rifiuta di pagare la sua «giusta quota» di contributi all’Alleanza Atlantica, fruendo a sbafo della protezione a stelle e strisce, il clima di sfiducia reciproca si è appesantito. Fino ad indurre la cancelliera a sostenere, non solo per raccogliere voti in vista delle elezioni di settembre, che d’ora in avanti Berlino dovrà prendere in mano il proprio destino.

Sono di fronte una grande potenza economica, quella con il massimo avanzo commerciale al mondo, e la superpotenza a tutto tondo, sia pure declinante, che è anche il Paese più indebitato del pianeta. Già sotto il profilo economico non si potrebbero immaginare due posture più differenti e difficilmente compatibili. Forse non arriveremo ai dazi minacciati da Trump, ma certamente qualche tipo di rappresaglia americana nei confronti dell’industria tedesca è da considerare probabile. Difficilmente queste pressioni potranno impedire alla Germania di proseguire il suo percorso di emancipazione dal grande fratello a stelle e strisce. Il superamento della linea d’ombra avviene in particolare su due fronti: quello monetario e quello militare. Entrambi votati a costruire di fatto un’Europa tedesca (Geuropa), inevitabilmente molto più autonoma da Washington e più disponibile alle intese con Mosca e forse anche con Pechino, come si conviene a una potenza centrale nel Vecchio Continente. In campo monetario, Berlino cer-

cherà di rafforzare l’Eurozona, anche concedendo qualcosa ai «latini», Francia in testa – ma solo dopo le elezioni, quando forse al ministero delle Finanze non ci sarà più il «cerbero» Schäuble. Nel caso questa integrazione dell’area monetaria non funzionasse su scala troppo larga, magari per il cedimento dell’Italia, il Piano B consiste nel Neuro, ovvero una Kerneuropa monetaria fondata sulla Germania ed estesa ai paesi pertinenti alla sua catena del valore industriale, più la Francia per obbligo (?) geopolitico. Sotto il profilo militare, avanza il progetto dell’Ankerarmee (esercito àncora). La Bundeswehr dev’essere rimessa in linea di galleggiamento e diventare il perno di un sistema strategico integrato fra Germania, Olanda e altri eurosoci minori. Insomma, la faccia militare del Neuro. Nessuno a Washington, tantomeno Trump, può tollerare una scalata tedesca, sia pure graduale e mascherata, alla potenza. Il duello è quindi destinato ad inasprirsi. Soprattutto, rischia di infragilire il fronte atlantico, impegnato nel confronto con la Russia

in seguito alla guerra ucraina. Gli Stati Uniti puntano sugli alleati dell’Est e del Nord, in particolare su polacchi e romeni, come punte avanzate dell’accresciuta deterrenza contro il percepito espansionismo russo. Germania e Italia, sia pure con accenti e peso diversi, si collocano su una posizione più cauta, mentre la Francia ha in corso una revisione del suo assetto strategico in conseguenza dell’avvento di Macron all’Eliseo e la Gran Bretagna è alle prese con la Brexit. Tutto congiura quindi a indebolire la solidarietà atlantica e il peso degli Stati Uniti in Europa. Sicché il «faremo da soli» di Merkel è meno velleitario di quanto possa apparire. Certo la Germania non vuole né può affrontare lo scontro aperto con gli Stati Uniti, che sono in grado di infliggerle dei colpi molto seri, in caso di necessità. Qualche segnale è già stato dato, persino sotto Obama, tra Dieselgate e spionaggio del cellulare della cancelliera. Di sicuro una resa dei conti in ambito euroatlantico è in vista. E in questo vasto campo di battaglia la contesa Stati Uniti-Germania occupa il posto centrale.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 6 giugno 2017 • N. 23

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Politica e Economia

Regno Unito disunito al voto

Elezioni anticipate L’8 giugno i cittadini britannici sono chiamati alle urne per delineare la composizione

Cristina Marconi Un’inversione a U sgraziata ha portato un brutto cambio di vento e di fortuna per Theresa May, la premier britannica che sperava di andare alle urne per uscirne rafforzata e che ora, a una settimana dal voto, è nel mezzo di una tempesta di polemiche e di un crollo di consensi. Qualche sondaggio – YouGov nella fattispecie – parla addirittura del rischio di un «hung parliament», con i Tories privi di maggioranza e un orizzonte di instabilità che, in tempi di Brexit, non piace ai mercati. E indipendentemente da quello che sarà il responso finale degli elettori, quello che è andato in scena nel Regno Unito nelle ultime due settimane è la riprova di come i britannici non amino chi dà troppo per scontato il loro voto ed esibisce il potere con una sicurezza troppo vicina all’arroganza. Quando Neil Kinnock nel 1992 gridò tre volte un vittorioso «Siamo a posto!» alla fine di un comizio, perse le elezioni anche se il Paese usciva da undici anni di Margaret Thatcher e i sondaggi lo davano in vantaggio. Forse per la May andrà meglio, ma gli errori accumulati hanno sicuramente intaccato in maniera grave il messaggio di «leadership forte e stabile» che aveva scelto come mantra elettorale. Quando il 18 aprile scorso ha annunciato le elezioni anticipate, la May immaginava di trascorrere sette settimane a consolidare la sua immagine di unica persona in grado di guidare il Paese attraverso i mari agitati dei negoziati sulla Brexit, la «donna maledettamente difficile» che avrebbe dato filo da torcere agli eurocrati intenzionati a punire il Regno Unito per impedire al Paese di avere successo dopo la sua uscita dall’Unione europea. Sembrava una scommessa ragionevole, soprattutto alla luce dei ventuno punti di vantaggio che ad

aprile i Tories avevano su un Labour segnato da una leadership debole e controversa come quella di Jeremy Corbyn. I problemi sono iniziati quando, appena un mese dopo, la May ha pubblicato il manifesto conservatore, annunciando una misura impopolare di politica sociale, la cosiddetta «tassa sulla demenza senile», che consiste nel detrarre i costi delle cure ricevute a domicilio dal valore della casa del malato. Un invito all’eutanasia, come l’ha definito qualcuno. Non solo l’annuncio ha intaccato l’immagine di leader solidale, attenta al sociale e alle famiglie che «ce la fanno appena», ma ha fatto infuriare anche la base conservatrice tradizionale di piccoli possidenti in età avanzata, terrorizzati di vedere lo Stato mettere le mani sulle loro proprietà. A fare scalpore, oltre alla misura in sé, uno dei rari passi falsi del potentissimo consigliere Nick Timothy, ma la maniera in cui è stata avanzata, senza consultare i ministri, creando una frattura all’interno dello staff della premier e un clima di sfiducia intorno a lei. E il fatto che la «dementia tax» sia stata fatta sfumare in un nube di confusione ha lasciato all’elettorato la sensazione che la Iron Lady Thatcher, per ora, non abbia successori e che non è detto che i negoziati sulla Brexit stiano meglio se lasciati in mano ad una personalità così imprevedibile. L’attentato di Manchester del 22 maggio ha distolto l’attenzione dal pasticciaccio della tassa, ma non ha dato alla May l’occasione per brillare. Il fatto che l’attentatore sia sfuggito ai controlli dei servizi segreti sebbene fosse stato segnalato ben tre volte da membri della comunità musulmana per le sue posizioni estremiste è diventato oggetto di un’indagine interna dell’MI5, ma questo non è bastato a risanare l’immagine di un governo che nonostante le manifestazioni di forza ha trascurato un dossier che aveva tutti i crismi per

Keystone

della Camera dei Comuni e la maggioranza parlamentare del futuro premier, in vista degli imminenti negoziati con Bruxelles per stabilire tempi, modi e costi dell’abbandono dell’Ue da parte di Londra

essere rilevante. Proprio perché ha radici profonde nel tempo, che risalgono alla guerra contro Muammar Gheddafi in Libia nel 2011, l’attentato di Manchester richiama il precedente ruolo svolto dalla May, che è stata ministro degli Interni dal 2010 al 2016. Manchester, con la sua reazione nobile e orgogliosa, ha mostrato un Paese diverso da quello spaventato e chiuso apparso nell’ultimo anno, più aperto e tollerante, e dall’altra parte dello spettro politico l’attentato ha permesso anche ad un’entità ormai in via di dissoluzione come Ukip, partito che una volta raggiunto l’obiettivo della Brexit ha perso molta della sua ragion d’essere, di ritornare ad attirare l’attenzione con le sue sparate anti-islamiche. Tutti elementi, questi, a cui si somma il fatto che Jeremy Corbyn, l’invotabile per antonomasia, è riuscito a dare un’immagine migliore, se non frizzante almeno rassicurante, meno tempestosa di quella della sua rivale. I britannici, popolo che ha in assoluto odio ogni forma di eccesso di potere, sembra aver messo da parte l’antipatia

nei suoi confronti per stemperare un po’ l’ascesa della May, i cui rating personali avevano raggiunto vette astronomiche, e farla eventualmente tornare a Downing Street con più umiltà e senza quella sensazione di poter rubare politiche a destra e a sinistra senza doversi porre il problema della coerenza. Undici giorni dopo le elezioni, il premier dovrà iniziare a negoziare con Bruxelles e questo, per i prossimi 22 mesi, sarà il tema dominante della politica del Paese, che dovrà vedersela con le inevitabili conseguenze di un calo dell’immigrazione già in corso e dannoso per le aziende e di un’economia che prima o poi inizierà a risentire del voto. Per chi ci crede ancora dopo le previsioni sballate alle elezioni del 2015 e al referendum del 2016, i sondaggi danno alla May in media una decina di punti di vantaggio ma mostrano un indebolimento progressivo che, in mancanza di svolte, rischia di diventare grave. Nel parlamento precedente, i Tories avevano 330 seggi contro i 229 dei laburisti, i 54 degli indipendentisti scozzesi e i nove dei LibDem. In totale, potevano

contare su una maggioranza di appena 17 seggi. Una campagna tutta incentrata sulla Brexit è stata dirottata da una serie di eventi che hanno dato l’immagine di un Paese fuori controllo, tra fallimenti di intelligence, attacchi informatici al servizio sanitario nazionale ed ex compagnie di bandiera incapaci di gestire un’emergenza rispetto alla quale solo le regole europee danno un po’ di tutela, infrangendo quell’atmosfera di idillio isolazionista che la figlia del vicario aveva costruito nei suoi mesi a Downing Street. Ma la principale ragione dell’indebolimento della May sta in un sospetto che si è fatto strada nella mente dell’elettorato e che Jeremy Paxman, il più implacabile intervistatore del Paese, ha brillantemente sintetizzato durante un dibattito televisivo dal format decisamente inusuale – i due leader dei principali partiti hanno prima risposto alle domande del pubblico e poi a quelle di Paxman, separatamente, visto che la premier aveva detto fin dall’inizio della campagna che non avrebbe voluto confronti televisivi – definendo la May «un pallone gonfiato che scoppia al primo sparo». Dopo che l’«Economist» l’aveva ribattezzata Theresa Maybe in una celebre copertina di gennaio, quella del giornalista rischia di essere una definizione ancora più dura a morire. Tanto più che appena due giorni dopo è caduta in un tranello teso con inusuale scaltrezza da Corbyn, che ha deciso all’ultimo momento di partecipare al dibattito televisivo dei partiti politici, lasciando solo lei a farsi rappresentare dal suo ministro degli Interni Amber Rudd. Corbyn è andato bene, come bene sono andati tutti gli altri. Nessuno ha perso l’occasione per sottolineare l’assenza della premier. Come dice un detto britannico, se non sei al tavolo, sei sul menù.

Brasile, nuovo massacro dei Senza terra

Paso doble Undici contadini sono stati assassinati dalla polizia mandata dal proprietario, un latifondista,

che voleva vendere allo Stato la proprietà in cambio di benefici concessi dalla legge a chi vende terra per partecipare alla riforma agraria Strage di contadini in un latifondo dello Stato amazzonico del Pará, nordest brasiliano. Undici persone sono state uccise e quattordici sono state ferite da agenti della polizia civile e militare in un agguato. Si sarebbe trattato di esecuzioni a freddo. I poliziotti hanno detto di essere stati accolti a fucilate al loro arrivo in una fazenda nel municipio di Pau d’Arco, ma tre testimoni sopravvissuti li smentiscono. Tra gli agenti non risulta esserci nemmeno un ferito. I contadini uccisi fanno tutti parte della Liga dos Camponeses Pobres. Accusavano i proprietari del terreno di aver occupato abusivamente 600 appez-

zamenti demaniali. Stavano occupando la fazenda perché la terra fosse restituita e ridistribuita. Tra gli uccisi c’erano anche i leader del comitato, Jane Julia de Oliveira e Antonio Pereira Milhomem. La Commissione pastorale della terra, legata alla Chiesa di base brasiliana, che ha fonti proprie in loco, non ha dubbi: è stato un massacro deliberato. Ha raccontato il presidente del Consiglio nazionale dei diritti umani, Darci Frigo: «Pioveva molto quella mattina. A causa del rumore della pioggia la polizia è riuscita ad arrivare senza essere vista. Dalle testimonianze dei sopravvissuti risulta che Jane Julia de Oliveira e Antonio Pereira Milhomem, i loro tre figli e due nipoti si erano nasco-

Keystone

Angela Nocioni

sti tra gli alberi. Sono stati uccisi dopo essersi consegnati inermi alla polizia. Gli agenti avevano chiesto informazioni, li hanno cercati, volevano espressamente loro». Gli avvocati che difendono il movimento dei Sem terra (e che spesso vengono fatti sparire insieme ai contadini) temono che gli altri testimoni siano stati terrorizzati dalle minacce. C’erano 28 persone nella fazenda al momento dell’assalto. Almeno tre sono testimoni diretti delle esecuzioni. Una di loro, nota solo con il nomignolo «Baixinha», è stata portata via dagli agenti e risulta al momento scomparsa. La polizia sostiene di essere intervenuta non per espellere gli agricoltori, ma per arrestare 16 esponenti della comunità di contadini accusati di essere coinvolti nell’omicidio di un guardiano. Fonti locali smentiscono: «Basta guardare i corpi delle vittime per capire che si è trattato di un’esecuzione». Negli ultimi quaranta giorni sono stati ammazzati 25 contadini nella guerra silenziosa per la difesa del latifondo in Amazzonia. I proprietari terrieri spesso dispongono della polizia locale come fosse un loro esercito privato. Lo stato di Pará è l’area dove al momento è più attiva l’organizzazione di base dei contadini senza terra contro i grandi latifondi di terre incolte e quello

dove è più feroce la repressione dei Sem terra. Anche in questo caso le foto della fazenda dove è avvenuta la strage testimoniano che la proprietà occupata era una fazenda da tempo abbandonata. Lo scorso primo maggio nel sud di Pará, a Santa Maria das Barreiras, quattro corpi di contadini sono stati trovati carbonizzati dentro un furgone. Due giorni prima i corpi bruciati di tre contadini erano stati trovati in un camioncino nello Stato di Rondonia, sempre Amazzonia. Il 19 aprile nove contadini sono stati massacrati a Colniza, nel nordest del Mato Grosso. Nel 2016, secondo la Commissione pastorale della terra, sono stati uccisi 61 agricoltori impegnati nella battaglia contro i grandi fazendeiros. Padre Paulo César Moreira, coordinatore della Commissione pastorale della terra del Pará, ribadisce: «Dopo la strage di 21 contadini a Eldorado del Carajás, nel 1996, si era deciso che fossero poliziotti di altre regioni ad eseguire gli sgomberi dei latifondi occupati. Invece, stavolta, si è deciso di mandare la polizia locale. Ed ecco le conseguenze». Il 17 aprile 1996 una manifestazione pacifica del contadini del Movimento dei senza terra diretta alla città di Bélem, nel Pará, venne fermata da uno schieramento della polizia militare. Dopo essersi tolti il tesserino identifica-

tivo dalle uniformi, gli agenti iniziarono a sparare. In quello che è passato alla storia come il massacro di Eldorado dos Carajás, vennero uccisi 21 contadini. Le autopsie confermarono che 10 delle prime 19 vittime furono raggiunte da colpi d’arma da fuoco esplosi da distanza ravvicinata. Le altre furono uccise con attrezzi da lavoro. Altri due contadini morirono pochi giorni dopo. Molti degli altri 69 feriti non poterono mai più lavorare a causa delle gravi menomazioni subite. Solo due dei responsabili del massacro di Eldorado dos Carajás sono stati processati: il colonnello Pantoja, condannato a 258 anni di carcere, e il maggiore Oliveira, condannato a 158 anni. Entrambi sono entrati in cella nel 2012, 16 anni dopo i fatti. Per gli altri esecutori materiali e per i leader locali che presero parte e incitarono al massacro, non c’è mai stata alcuna conseguenza sul piano penale. Dal 1996, nello Stato di Pará sono stati uccisi altri 271 contadini. Nell’arco di tempo che va dal 1964 al 2014, sono stati 974 i contadini, attivisti cattolici e avvocati al loro fianco uccisi nelle stragi in difesa del latifondo. Nel periodo in questione, 30 dei 40 comuni dello stato di Pará presentano un tasso di impunità del 100 per cento rispetto agli omicidi di contadini. Ecco perché le stragi continuano.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 6 giugno 2017 • N. 23

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Politica e Economia

Il dopo Brexit sarà doloroso Intervista Denis MacShane, l’ex ministro britannico per l’Europa dal 2002 al 2005 nel governo Blair

che aveva previsto il divorzio con grande anticipo, spiega che l’uscita della Gran Bretagna dall’Europa sarà un grande disastro Paolo A. Dossena La Brexit fu prevista ben prima che si verificasse. Denis MacShane, l’ex ministro britannico per l’Europa di Tony Blair dal 2002 al 2005, è stato l’unico, tra i più ragguardevoli sostenitori del remain, a prevedere correttamente il risultato del referendum del 23 giugno 2016. Lo ha fatto nel suo libro Brexit – How Britain Will Leave Europe (I.B. Tauris, gennaio 2015). Questo libro sulle relazioni del Regno Unito con l’Europa, è stato quindi ristampato dopo il referendum come Brexit – How Britain Left Europe. In Gran Bretagna, Denis MacShane è un ben noto analista politico. Come esperto di relazioni internazionali scrive per l’«Independent» e ha collaborato con il «Guardian». Signor MacShane, lei è molto europeista.

Sono pro-britannico e dato che due dei miei figli sono nati a Ginevra, e che membri della mia famiglia vivono nel canton Ginevra, sono pro-svizzero. Ma sia la Gran Bretagna sia la Svizzera sono beneficiarie di un’Europa unita e pacifica che rifiuta nazionalismo e xenofobia. I miei genitori ben sapevano cosa significasse crescere nell’Europa degli anni Trenta del secolo scorso, e dove forme estremiste di nazionalismo e xenofobia possano condurre. Coloro che non imparano dalla storia sono condannati a ripeterla. Dopo la Brexit la Gran Bretagna subirà un declino economico?

Possiamo osservare l’impatto della Brexit attraverso la considerevole svalutazione della sterlina e attraverso la significativa riduzione degli investimenti nell’industria automobilistica britannica, che è oggi posseduta principalmente da fabbricanti industriali asiatici. Molte banche e altre aziende finanziarie londinesi stanno trasferendo parte del loro personale e dei loro affari in Irlanda o sul continente per assicurarsi di rimanere all’interno dall’Unione Europea. I Lloyds di Londra, famosi a livello mondiale, hanno dovuto aprire una nuova, importante società consociata a Bruxelles. Le aziende svizzere venute a Londra negli anni Ottanta per stare nel mercato unico europeo hanno delle decisioni molto difficili da prendere. Se il Regno Unito si amputa completamene dal mercato unico europeo e dall’unione doganale europea, molti investitori stranieri non vedranno alcuno scopo nell’immettere denaro nella Gran Bretagna. Cosa sta per succedere in Scozia?

Gli scozzesi – sono nato a Glasgow e lì ho famiglia – sono molto arrabbiati del fatto che un voto dei nazionalisti inglesi abbia confiscato il diritto della Scozia di far parte della comunità delle nazioni dell’Unione Europea. È paradossale che il Partito nazionalista scozzese, pur proclamando il vivo desiderio di esser parte dell’unione delle nazioni dell’Unione Europea, voglia distruggere l’unione delle nazioni del Regno Unito. Questa

L’ex ministro per l’Europa Denis MacShane. (AFP)

contraddizione è ipocrita – sì all’unione in Europa, no all’unione nelle isole britanniche. Il fatto è che il voto della Brexit ha scatenato tre nuovi nazionalismi: il nazionalismo inglese, il nazionalismo scozzese e, nell’Irlanda del Nord, il nazionalismo cattolico irlandese.

i quotidiani più largamente diffusi, quelli con un gran numero di lettori, sostengono posizioni anti-europee. Durante la campagna per la Brexit, la BBC ha consentito che venisse trasmesso un gran numero di bugie confutabili senza cercare di metterle in dubbio o di correggerle.

Quale era la posizione dei partiti il 23 giugno 2016?

Il Partito Conservatore era spaccato esattamente a metà, con importanti e illustri ministri e con politici conservatori di punta come Boris Johnson che univano le forze con lo United Kingdom Independence Party e con Nigel Farage per condurre la campagna a favore della Brexit. C’erano altresì membri laburisti del Parlamento che sostenevano la Brexit, anche se il Partito e i suoi parlamentari più importanti erano nel complesso favorevoli alla permanenza nell’Unione Europea. Il Partito liberaldemocratico era contro la Brexit, ma, sfortunatamente, la sua decisione, nel 2010, di entrare nella coalizione del governo conservatore euroscettico e di imporre una serie di dure misure di austerità, ha significato che, salvo una manciata di loro, tutti i membri liberaldemocratici del Parlamento hanno perso i loro seggi alle elezioni del 2015. Il risultato è stato che i liberaldemocratici, che erano, in Parlamento e nel Paese (negli anni fino al 2010), una poderosa forza pro-europea, sono diventati un elemento molto più debole anche nella lotta contro la Brexit. Jeremy Corbin è favorevole all’Unione Europea dei suoi sogni, una Ue concentrata sui diritti dei lavoratori, sul sostegno ai sindacati e alle varie cause e ideologie della sinistra di tutto il

Accanto, le due versioni del libro di MacShane (prima e dopo la Brexit) che ha avuto tre edizioni.

mondo. Jeremy è un puro sessantottino, un sinistrorso al Bourbon che non ha imparato né dimenticato niente fin dagli anni Settanta. Ha rifiutato di cooperare con altri leader politici contrari alla Brexit e non ha trovato un linguaggio e l’energia per condurre la campagna per l’Unione Europea così come esiste oggi nel mondo reale. Lo UKIP (United Kingdom Independence Party) è sempre stato un partito ostile agli stranieri, con alcune dichiarazioni che sono crudamente xenofobe e talvolta misogine o razziste. Alla vigilia delle elezioni presidenziali francesi, l’uomo forte dello UKIP, Nigel Farage, dai microfoni della BBC ha incitato tutti i francesi a votare per Marine Le Pen, cosa che, credo, indichi a chi vadano le sue simpatie politiche. Ma il Partito conservatore si è appropriato del linguaggio e di molte delle richieste dello UKIP, così la gente non ha più bisogno di votare per lo UKIP e per Farage, dal momento che ora dispone di un Partito conservatore che si è spo-

stato piuttosto decisamente sulle idee anti-europee e anti-immigrati della destra nazionalista e populista di altre parti dell’Europa.

Quali sono state la posizione e l’influenza di Rupert Murdoch prima e durante il referendum?

Murdoch, cittadino americano, grazie alle sue televisioni e ai suoi quotidiani, è il più influente oligarca mediatico del Regno Unito. Conduce da più di vent’anni una campagna contro l’Europa con articoli e titoli eccessivi, esagerati e spesso falsi, miranti a creare un clima di disprezzo e di avversione verso l’Unione Europea. Ma non era il solo. Nel Regno Unito i proprietari dei principali quotidiani, come il «Daily» e il «Sunday Telegraph» o il «Daily» e «Sunday Mail», non pagano le tasse e sono vicini a quelle élite finanziarie britanniche che si oppongono a tutta la regolamentazione sovranazionale e alle leggi che cercano di controllare l’economia post-nazionale. Quindi, ogni giorno, dalla metà degli anni Novanta,

Nel suo libro lei scrive che «le élite pro-Europa di Londra sono profondamente desintonizzate con la massa dei cittadini britannici».

Un elemento chiave del voto favorevole alla Brexit è stata la percezione di un mancato miglioramento della qualità della vita da parte di quei cittadini che non sono stati beneficiati dalla moderna economia, che ha favorito solo chi è già abbiente e chi ha ricevuto un’istruzione che consente di trarre vantaggio dai moderni modelli economici. Troppi sono stati lasciati indietro, coloro i cui figli non hanno potuto trovare un lavoro ben retribuito o che non hanno potuto accedere ai sussidi statali per l’affitto concessi alle famiglie giovani. In Gran Bretagna, fin dalla catastrofe finanziaria del 2008/2009, per molti lavoratori c’è stata una stasi salariale. Quando vedi che le tue speranze economiche stanno svanendo è facile colpevolizzare la globalizzazione, o istituzioni impersonali sovranazionali come l’Unione Europea o dare la colpa agli immigrati europei che arrivano in Gran Bretagna. Le élite politiche ed economiche del Regno Unito, tanto sotto i governi laburisti quanto sotto David Cameron, hanno ignorato questi fattori di divisione e quelle tensioni sociali che sarebbero stati facilmente deviati in passioni antieuropee e anti-immigrati. Annuncio pubblicitario

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Politica e Economia

La povertà che non ti aspetti

Reportage Nel 2015, quasi 600mila persone vivevano nell’indigenza. Nella ricca Svizzera è una realtà che sorprende.

Per Gabriela Fankhauser, mamma single di Wangen an der Aare, significa lottare quotidianamente per arrivare a fine mese, a costo di grandi rinunce Luca Beti C’è povertà e povertà. C’è la povertà estrema di chi sopravvive con meno di 1,25 dollari al giorno. Quella che ti obbliga a frugare in mezzo alla spazzatura, a vivere sotto un tetto di stelle o di lamiera, ad andare a dormire con lo stomaco sempre vuoto. È la drammatica realtà di quasi 850 milioni di persone. Ma c’è anche la povertà di Gabriela Fankhauser, madre single di tre figli. Vive a Wangen an der Aare, nella ricca Svizzera. Con poco più di 4300 franchi al mese non riesce a volte a sbarcare il lunario. «Ho ricevuto una fattura imprevista della cassa malati. Ora non so proprio come fare per saldarla», ci dice con la voce rotta dalla preoccupazione e gli occhi che si fanno lucidi dietro agli occhiali. Ma finora Gabriela una soluzione l’ha sempre trovata. Lei e i suoi tre figli non hanno mai sofferto la fame, anche se di tanto in tanto le capita di non aver più un soldo per fare la spesa. «Con il passare degli anni ho sviluppato alcune strategie per superare le mie difficoltà economiche. Talvolta è il congelatore a salvarmi; lì conservo sempre qualcosa che potrebbe tornarmi utile a fine mese».

«Non sono povera, ma riesco solo raramente a mettere da parte qualcosa per le vacanze o per gli imprevisti...» Gabriela vive con i figli Pascal (10 anni), Dominic (7 anni) e Mattias (5 anni) nella periferia di Wangen an der Aare, villaggio di poco più di 2000 abitanti nel canton Argovia. La famiglia vive in affitto in un appartamento di quattro stanze e mezza, situato a cinque minuti dalla stazione. Non è una stamberga. È una normale abitazione della classe media svizzera. L’arredamento è quello classico: divano e televisore in salotto, quadri e fotografie alle pareti e un po’ di naturale disordine per una famiglia con figli piccoli. «Non sono povera», ricorda Gabriela mentre si gode una pausa caffè. «Ho una macchina, i figli sono vestiti decentemente e in tavola c’è sempre qualcosa da mangiare».

E allora che cos’è questa povertà? La povertà che non ti permette di vivere dignitosamente nonostante si possa contare su 4300 franchi al mese? L’Ufficio federale di statistica definisce la povertà un’insufficienza di risorse – materiali, culturali e sociali – che impedisce alle persone di vivere secondo un tenore di vita minimo ritenuto accettabile in Svizzera. Stando ai dati statistici del 2015, il 7 per cento della popolazione, ovvero 570mila persone – poco meno degli abitanti delle città di Berna e Zurigo messi assieme – vive in povertà. Rispetto all’anno precedente, il tasso di povertà è leggermente aumentato. Nel 2014 era del 6,6 per cento. Nel 2015, il 15,6 per cento della popolazione svizzera si trovava sulla soglia di rischio povertà, ovvero più di una persona su sette. Nei 28 Stati dell’Unione europea, questo tasso era mediamente del 17,3 per cento. Nei Paesi confinanti, Francia con il 13,6 per cento e Austria con il 13,9 per cento registravano un tasso di rischio povertà inferiore, mentre Germania (16,7%) e Italia (19,9%) una quota superiore a quella elvetica. E proprio a questa categoria appartiene la famiglia Fankhauser. Per arrivare a fine mese Gabriela non può permettersi alcun colpo di testa con un salario di 2200 franchi e 2148 franchi di alimenti, per un totale di entrate mensili di 4348 franchi. Questo denaro le deve bastare per pagare l’affitto dell’appartamento (1600 fr.), i premi della cassa malati (716 fr.), le spese per l’economia domestica (1200 fr.) e altre fatture da pagare (500 fr.). A fine mese le rimangono poco più di 300 franchi. «Riesco solo in rari casi a mettere da parte qualcosa per le vacanze, per i regali di compleanno o di Natale, per uscire a pranzo o a cena con le amiche o semplicemente per gli imprevisti», indica la 37enne. E gli imprevisti sono il suo spauracchio. Mattias porta gli occhiali e soffre della sindrome da deficit di attenzione e iperattività, Dominic non ci sente da un orecchio e porta un apparecchio acustico. A scadenze regolari, la mamma deve recarsi con i figli a Berna per dei costosi controlli. La famiglia Fankhauser non ha diritto all’assistenza sociale. «Siamo appena al di sopra del minimo esistenziale, in una sorta di zona grigia e quin-

Gabriela Fankhauser, con i figli Pascal, Dominic e Mattias. (Marco Zanoni)

di non riceviamo alcuna prestazione», spiega Gabriela. Nel 2015, la soglia media di povertà era situata a 3984 franchi per due adulti con due figli. Come in una sorta di puzzle, la mamma single mette assieme i vari tasselli che l’hanno fatta scivolare lentamente nella situazione in cui si trova da alcuni anni. Nel 2012 si è separata dal marito e si è trasferita da un quartiere periferico di Berna a Wangen an der Aare per vivere vicino alla sorella. La separazione l’ha messa duramente alla prova. Nel primo anno, i bambini erano sempre ammalati e lei ha sofferto di una grave depressione. «Rimanevo ore

ed ore sul divano a piangere», racconta la donna, affermando che è riuscita a uscirne grazie a una terapia e ai medicamenti. «Ho imparato a concedermi delle pause per non finire di nuovo fuori giri». Per mantenersi a galla, oltre a essere mamma e casalinga svolgeva tre lavori diversi. Nei weekend liberi, quando i figli erano dal papà, lavorava di notte come infermiera in una casa anziani. Tre giorni alla settimana accudiva i bambini delle clienti e dei clienti di un centro fitness e, infine, durante due pomeriggi si occupava di un bambino come mamma diurna. Decisa-

mente troppo. Ora lavora due giorni a settimana per il servizio di assistenza e cura a domicilio Spitex. «Per fortuna ho imparato una professione che ha delle condizioni salariali decenti», dice Gabriela. «Appena i figli saranno più grandicelli intendo seguire dei corsi di specializzazione». Quello composto dalla 37enne di Wangen an der Aare è un puzzle rappresentativo. Nel 2015, delle 570mila persone colpite dalla povertà, 145mila erano attive professionalmente. Sempre stando agli ultimi dati dell’Ufficio federale di statistica, i gruppi sociali più esposti alla povertà sono i membri di famiglie monoparentali. Come i Fankhauser, nel 2014 anche il 22 per cento dei nuclei familiari con un solo genitore non disponeva di risorse sufficienti per trascorrere una settimana di vacanza all’anno lontano da casa. Anche se non è un fenomeno nuovo, la povertà in Svizzera viene monitorata solo da alcuni decenni. L’Ufficio federale di statistica ha pubblicato i primi dati nel 1990. Nel corso degli anni, questi ultimi hanno contribuito a comprendere le cause e le conseguenze della povertà. Nel 2014 è stato lanciato il Programma nazionale di prevenzione e lotta alla povertà che riunisce Confederazione, Cantoni, Comuni, parti sociali e organizzazioni non governative. L’iniziativa, che si concluderà nel 2018, intende creare nuove basi di lotta e prevenzione e sviluppare una piattaforma comune per tutti gli attori coinvolti. Infine l’Agenda 2030 per uno sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, firmata nel settembre 2015 da 193 Stati membri dell’ONU, tra cui anche dalla Svizzera, oltre ad essersi posta l’obiettivo di mettere fine ad ogni forma di povertà estrema, chiede di ridurre almeno della metà la percentuale di persone che vivono in povertà secondo le definizioni nazionali. Entro il 2030, la Svizzera dovrà riuscire ad affrancare quasi 300mila persone dalla povertà. È un traguardo ambizioso, ma che infonde coraggio a chi vive sempre in ristrettezze come la famiglia di Gabriela Fankhauser. La giovane madre si accontenterebbe di poco: di fare una breve vacanza con i figli per staccare la spina, di trascorrere un mese senza preoccupazioni economiche, di aprire la buca delle lettere senza la paura di trovarvi una fattura imprevista. Annuncio pubblicitario

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Politica e Economia

Il tasso di riferimento ipotecario scende all’1,5 per cento

Mercato immobiliare Le pigioni potrebbero diminuire di circa il 3%. Di regola solo un quinto dei locatari lo chiede.

Il livello degli affitti in corso è comunque inferiore a quello del mercato, dato dalle nuove locazioni

Ignazio Bonoli Il 1. giugno, l’Ufficio federale dell’abitazione ha pubblicato il nuovo tasso ipotecario, al quale ci si riferisce per il calcolo degli affitti. Il tasso pubblicato corrisponde alle aspettative del mercato immobiliare e si fissa all’1,5%, cioè il livello più basso da quando questo indice è stato creato. Alcuni esperti del settore avevano però già previsto questo livello nei calcoli per la pubblicazione dello scorso l. marzo, che però è rimasto all’1,75%. È stata così evitata una brusca discesa che avrebbe indotto parecchi locatari a chiedere una diminuzione della pigione. Cosa che potrebbe perciò avvenire nei prossimi giorni. Si sa però per esperienza che soltanto un quinto dei locatari chiedono una riduzione degli affitti, con riferimento al tasso pubblicato da Berna. Le statistiche dicono che in oltre settanta anni, gli affitti in Svizzera non sono mai diminuiti, salvo una volta. Ma si è trattato di una situazione particolare e cioè del periodo della seconda guerra mondiale, più precisamente nel 1941. L’Ufficio federale di statistica pubblica l’indice degli affitti in Svizzera dal 1939. In pratica il livello degli affitti in Svizzera in questo periodo si è decuplicato. La considerazione dei soli dati statistici si presta però spesso a interpretazioni lontane dalla realtà. Quest’ulti-

mo dato, per esempio, non tiene conto né dell’inflazione, né dell’aumento della superficie abitativa e del relativo comfort. C’è anzi chi ha calcolato che, tenendo conto di questi fattori, il prezzo reale del metro quadrato locato è perfino leggermente sceso, dalla seconda guerra mondiale in poi. Il capo del settore immobiliare dell’UBS Claudio Saputelli aggiunge in un’intervista che né il raddoppio della popolazione negli ultimi decenni, né il triplicarsi dei redditi delle economie domestiche hanno spinto al rialzo il prezzo reale dell’affitto per metro quadrato di superficie abitata. Il che può anche significare che il sistema svizzero che regola il mercato immobiliare e il livello delle pigioni funziona. Lo stesso indice, se da un lato, come conviene in questi momenti, frena l’adeguamento verso il basso, in momenti di boom congiunturale frena anche gli adeguamenti verso l’alto. Questo è pure uno dei motivi – probabilmente non il più importante – per cui il tasso di abitazioni in affitto in Svizzera continua a mantenersi a livelli più elevati che in altri paesi. Il buon funzionamento del mercato è anche una delle cause che possono spiegare il forte indebitamento ipotecario in Svizzera. Va anche precisato che in occasione del precedente forte ribasso del tasso di riferimento ipotecario all’1,75% nell’estate 2015, la riduzione dell’affit-

Secondo le statistiche, negli ultimi 70 anni gli affitti in Svizzera non sono mai diminuiti. (Keystone)

to per chi l’ha chiesta ha comportato all’incirca il 3%. Difficile dire se questo nuovo primato provocherà molte richieste di riduzione. Infatti, l’ondata di aumento delle pigioni degli scorsi mesi è rallentata parecchio, ma è anche aumentato il numero di appartamenti vuoti. Vi è quindi una certa pressione al ribasso, a causa dell’aumento dell’offerta. L’esperto zurighese del settore immobi-

liare Wuest Partner calcola una diminuzione dei prezzi dello 0,9% per gli appartamenti in offerta. Un effetto generale di riduzione dei prezzi, favorito anche dal nuovo tasso di riferimento, si potrebbe manifestare però soltanto fra un anno circa. Si tratta qui dei contratti d’affitto esistenti. Le nuove locazioni si orientano in base ai prezzi di mercato. Il tasso di riferimento ipotecario serve invece,

dal settembre 2008, da base di calcolo per le pigioni che sono state adeguate a seguito di variazioni del tasso ipotecario. Si ha quindi diritto di chiedere una riduzione della pigione quando l’affitto si basa su un tasso ipotecario superiore al tasso di riferimento. Dal canto suo il locatore può anche tener conto del rincaro e dell’aumento generale dei costi. Su un piano generale, l’appartamento in affitto può essere messo a confronto con l’alternativa di un’abitazione in proprietà. Soprattutto i bassi tassi di interesse hanno fatto crescere la domanda di abitazioni in proprietà. Attualmente in Svizzera vi sono 2,3 milioni di abitazioni in affitto, contro 1,3 milioni in proprio, con una leggera tendenza all’aumento (+8% dal 2000) delle case affittate e una più forte tendenza (quasi 25%) per la casa propria. Oggi però la tendenza è di nuovo cambiata a causa degli alti costi dell’edilizia. Il mercato dell’alloggio risulta invece diviso in due: quello dell’esistente e quello del nuovo. Quest’ultimo è poco dinamico, per cui il livello delle pigioni è rimasto in genere al di sotto dei prezzi di mercato. In effetti dal 2002, gli affitti dell’esistente sono aumentati del 9%, ma gli affitti di mercato del 25%. Situazione che induce gli inquilini a non cambiare casa e provoca spesso a una occupazione non ottimale delle abitazioni. Annuncio pubblicitario

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Politica e Economia Rubriche

Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Ancora sulla migrazione dei giovani Matteo Pronzini del MPS è uno tra i membri del Gran Consiglio più combattivi. Di recente ha avviato una polemica con Paolo Pamini, che in Gran Consiglio rappresenta un movimento di liberisti, sull’utilità per i giovani ticinesi di imparare il tedesco. Pamini sostiene che imparare il tedesco sia vantaggioso perché può facilitare ai giovani ticinesi, che non trovano un posto di lavoro nel cantone, la migrazione nella Svizzera tedesca. Pronzini non si oppone a che i giovani ticinesi imparino il tedesco. A lui disturba il fatto che essi debbano emigrare per cercare un posto. Sulla migrazione dei giovani ha deposto una mozione che si spera ottenga presto una risposta documentata. Per intanto Pronzini pensa che se i giovani ticinesi oggi devono emigrare è colpa del capitalismo. È un’analisi un poco affrettata. Si potrebbe infatti obiettare a Pronzini che se fosse così al capitalismo bisognerebbe riconoscere il merito di avere, verso la metà degli anni Cinquanta dello scorso secolo,

invertito una tendenza che durava da secoli, quella che, nel caso del Ticino, vedeva il saldo migratorio degli svizzeri essere sempre negativo. Si potrebbe anche aggiungere che i paesi che hanno conosciuto e conoscono il socialismo, come sistema economico hanno anche conosciuto e conoscono migrazioni interne importanti, non sempre volontarie. Ma non sarebbe che aggiungere pseudo-argomenti a una polemica che, posta così, non ha senso. Tanto più che, lo ripetiamo, fino a quando la mozione di Pronzini non avrà ricevuto risposta, non disponiamo dei dati che ci consentano di fare chiarezza sulle ragioni della migrazione dei giovani ticinesi verso l’interno della Svizzera. Quello però che possiamo affermare sin da ora è che i ticinesi non emigrano perché in Ticino manchino, in generale, i posti di lavoro. Le statistiche a disposizione dimostrano che 1) l’occupazione in Ticino cresce più rapidamente che nel resto della Svizzera e 2) che la disoccupazione da noi è più o meno uguale a

quella della Svizzera. Non vi è quindi carenza generale di posti di lavoro. E allora perché i giovani ticinesi partono? A questa domanda, da bravo economista, non posso rispondere che con ipotesi. Sarebbe veramente appropriato se chi sarà incaricato di stendere la risposta alla mozione Pronzini verificasse la portata delle stesse. Io penso che i giovani ticinesi lasciano il Ticino, in primo luogo, per ottenere un posto di lavoro più consono alla formazione che hanno ricevuto. Questa ipotesi dovrebbe valere in particolare per spiegare l’esodo dei giovani con formazione universitaria o specialistica. Se è vero, come ho affermato in precedenza, che in Ticino non vi è carenza di posti di lavoro in generale, è altrettanto vero che la nostra economia cantonale non è oggi in grado di creare il numero di posti di lavoro necessari per occupare tutti i giovani con formazione universitaria o specialistica. Faccio un solo esempio, quello degli avvocati. Dalle università svizzere escono annualmente circa 90 laureati

ticinesi in diritto mentre il numero di avvocati esercitanti la loro professione in Ticino è aumentato, nel corso degli ultimi dieci anni, di circa 10 unità per anno. Gli 80 laureati in diritto che non possono esercitare la loro professione in Ticino saranno obbligati o a cambiarla o a migrare oltre S. Gottardo. Quello che vale per gli avvocati, vale anche per gli architetti, per gli economisti e, forse, anche per i medici (non i dentisti però). Se vogliono lavorare è meglio che facciano le valigie. L’emigrazione dei giovani ticinesi, in particolare quella degli universitari, potrebbe, in secondo luogo, essere determinata dalla volontà di fare un’esperienza di lavoro, assumendo nuove conoscenze e creandosi una rete di rapporti interessanti, in un mondo del lavoro diverso da quello ticinese, pur pianificando di tornare in Ticino dopo qualche anno. Neanche per questa ipotesi ci sono dati pubblicati che possano consentirci di verificarla. Qualche anno fa, però, una giovane maturanda zurighese, di origine

ticinese, aveva presentato un lavoro di maturità sull’emigrazione ticinese nel quale, in base a una cinquantina circa di interviste, aveva potuto determinare che più o meno la metà degli emigrati ticinesi, di tutte le età, avevano l’intenzione di rientrare nel loro cantone natìo dopo aver lavorato per qualche anno a Zurigo. Che il rientro sia poi avvenuto o no, questo è un punto che evidentemente nella ricerca non ha potuto essere accertato. La terza ipotesi che mi permetto di avanzare è che la migrazione sia dovuta alla possibilità di guadagnare di più. Si sa che gli stipendi negli agglomerati urbani della Svizzera interna sono superiori a quelli del Ticino. Purtroppo però anche il costo della vita in queste città è significativamente superiore a quello del Ticino. Ragione per cui non è detto che lo scarto salariale sia un fattore molto importante. In conclusione: i fattori che influenzano le migrazioni di giovani ticinesi verso il resto della Svizzera possono essere diversi.

prendere una forma istituzionale. Per realizzare la «rivoluzione» che il presidente francese ha messo come titolo del suo libro-manifesto, è necessario che gli equilibri all’Assemblea nazionale vadano nella sua direzione. Ci sono state molte coabitazioni nella storia francese, ma l’esito spesso è stato più di stasi che di cambiamento, e la staticità non è nelle corde del nuovo inquilino dell’Eliseo (né serve alla Francia). Secondo un ultimo sondaggio pubblicato la settimana scorsa il partito del presidente, République En Marche (Rem), potrebbe ottenere la maggioranza assoluta, che è naturalmente lo scenario perfetto per Macron. Se così fosse, significherebbe che il progetto post sinistra-destra e di attrazione delle forze moderate di qualsivoglia provenienza starebbe funzionando alla grande – nella Francia che ha flirtato con il declinismo, poi. A sinistra, la lotta fratricida era già iniziata per le presidenziali e non si è

fermata, anche se la sconfitta disastrosa del Partito socialista ha convinto molti candidati locali a passare con i Rem, che al momento garantiscono ben più sicurezza del partito tradizionale della sinistra. A destra il tormento è ancora in corso: si pensava che i Républicains fossero ben saldi per le legislative, essendo di fatto l’unico partito ancora in vita (fuori dal ballottaggio presidenziale, certo, ma comunque non annientato) con una buona presenza territoriale. Ma lo scossone dei Rem risuona forte anche qui, e i Républicains sono molto divisi e molto litigiosi: c’è chi vuole andare con Macron (fare l’alleanza al secondo turno) e partecipare alla sua rivoluzione, come già avviene nel governo dove il premier e il ministro dell’Economia, tra gli altri, vengono dalla destra. C’è chi vuole resistere e fare opposizione e non mischiarsi con l’ibrido che vuole costruire il presidente: finiremmo per prendere soltanto

ordini senza avere voce in capitolo, dicono i sostenitori della resistenza. Ma i numeri al momento dicono che il rischio di una non-alleanza è forte. Nella cavalcata macroniana l’unico neo è costituito dal suo stesso governo, che si è ispirato a un’interpretazione molto ampia della «ouverture» ma che sta mostrando qualche pecca su uno dei fronti cui Macron tiene di più: la moralizzazione. Costruendo En Marche!, il presidente ha fatto sempre presente che la selezione «etica» dei candidati era al primo posto per lui, e avendo come avversario François Fillon e i suoi scandali il suo messaggio risuonava molto più forte. Ma ora due suoi ministri, di cui uno è un collaboratore strettissimo del presidente, sono già dentro a scandali di favoritismi e assegni parlamentari, e i media si stanno accanendo non poco: vogliamo vedere adesso, caro presidente, quanto è forte e indipendente il tuo senso per l’etica.

Kengtung stava nella sua atmosfera, nella sua pace, in quell’antico incedere senza affanno della vita». Quelle parole, oltre a confermare la somiglianza con il nostro passato, mi hanno anche fatto capire l’importanza della nostra attrazione turistica di mezzo secolo fa. Anche noi, pur senza avere «niente di fisico che togliesse il fiato», avevamo e potevamo offrire un fascino particolare; anche da noi c’erano atmosfere che attiravano e commuovevano turisti e visitatori, ma a poco a poco le abbiamo perse, barattate con una modernità che ha irrimediabilmente polverizzato l’«antico incedere senza affanno della vita» della nostra gente. Erano le atmosfere ancorate alla quotidianità delle nostre valli, spesso riflesse e rivissute in feste e incontri anche nei maggiori centri; erano situazioni di «fascino commovente» oggi reperibili quasi unicamente in vecchie fotografie o in opere di artisti ticinesi finiti nel dimenticatoio. Parlo di paesaggi, momenti di serenità e religiosità proposti, a volte

quasi in serie, dai vari Chiesa, Musfeld, Taddei, Salati, Filippini e da altri artisti a torto considerati minori: come lo xilografo Aldo Patocchi del mirabile Ciliegi in fiore, o gli straordinari cartellonisti, come Daniele Buzzi, o l’Aldo Crivelli che canta la Valle Maggia. E il pellegrinaggio? Era un espediente per evocare Terzani e la Birmania, o per rivisitare gli artisti «nostrani»? Niente affatto. Il pellegrinaggio è quello, ormai rituale in primavera, fatto il giorno dell’Ascensione e destinato a replicarsi, all’Alpe di Brusino. Già descritto anni fa, lo ripropongo con la speranza che anche qualche addetto dei vari «marketing» turistici afferri il messaggio: Mendrisiotto, Serpiano, una ventina di minuti rigorosamente a piedi tra i faggi, uno spiazzo con castagni secolari e tavoli di cemento, fascino commovente, polenta e tante cose, vino del grotto griffato e gerenti... da coccolare. Finché riusciremo a far sopravvivere miracoli come questo, anche il turismo, nonostante le crepe, avrà speranza.

Affari Esteri di Paola Peduzzi Alla prova l’azzardo macroniano Quanto è coraggioso Emmanuel Macron, mormorano nei palazzi europei diplomatici e leader politici, con qualche sospiro e un pizzico di invidia, dopo aver visto il neopresidente francese all’opera sulla scena internazionale. Al G7 di Taormina le strette di mano lunghe e forzute «per dare un messaggio» e le chiacchiere strette con la cancelliere tedesca Angela Merkel; a Versailles le discussioni «franche» con Vladimir Putin. La conferenza stampa con il presidente russo, attorno la meraviglia dell’ex palazzo reale, andrebbe vista e rivista e studiata perché era davvero tanto tempo che non ci si trovava di fronte a una scena così: molto dialogo, molta collaborazione, ma anche molta schiettezza. Macron, con di fianco Putin, ha detto che RT e Sputnik non sono organi di informazione ma organi «d’influenza», è propaganda non altro, e come tale va considerata. Putin abbassava gli occhi e sistemava l’aurico-

lare della traduzione, e per un attimo si è temuto che si spazientisse troppo, ma poi ha deciso di rispondere soltanto alle domande che gli interessavano, e anche quando Macron ha detto che in Siria il regime non deve più usare le armi chimiche altrimenti la reazione militare francese sarà «immediata», Putin ha scelto di non ribattere. Macron si è intestato la battaglia neoeuropeista durante la campagna elettorale per l’Eliseo e ora non ha alcuna intenzione di abbandonarla, anzi si sente rafforzato dalla Germania e dalla Merkel che dopo il G7 ha detto: non si può fare affidamento sull’America di Donald Trump e sul Regno Unito che corre verso la Brexit, «prendiamo in mano il nostro destino». Questo destino Macron lo deve costruire anche nella sua Francia, perché ora arrivano le legislative – primo turno l’11 giugno, secondo il 18 – che sono il momento in cui l’azzardo macroniano vuole

Zig-Zag di Ovidio Biffi Le crepe, il dromedario e il pellegrinaggio Ci risiamo: ogni volta che il turismo cantonale trova un garbuglio sulla sua strada, io devo fare un pellegrinaggio. Era accaduto qualche anno fa e si è ripetuto in questo maggio tutto sommato felice per il turismo in Ticino, oasi beata in un mondo che non si libera di drammi e violenze. Il garbuglio lo hanno appurato i controlli previsti dalla nuova legge cantonale. Da quanto ho appreso, leggendo Gianni Righinetti e Massimo Solari del «Corriere del Ticino», sembra che dalla sessantina di pagine delle verifiche sulla nuova struttura emerga «un quadro in chiaroscuro, nel quale i punti critici sono nettamente in vantaggio». Crepe in un edificio tutto nuovo, insomma; scoperte proprio dall’audit commissionato dal Governo per valutare il funzionamento della nuova agenzia cantonale (che ha sostituito l’Ente autonomo) e delle quattro organizzazioni regionali. Andando a spanne, almeno due punti esigono pronti interventi, oltre a qualche spiegazione sul ritardo accumulato dal documento (già, sono

passati sei mesi... ma si sa, certi allarmi è meglio rallentarli). Il primo riguarda i costi (leggi: seggiole, poltrone, divani di lavoro e di... amministrazione, aumentati a dismisura) che la riforma sta favorendo; l’altro, le implicazioni negative riscontrate a livello operativo (l’audit segnala soprattutto gestione del marketing e politiche ad essa collegate), in contrasto, pure, con le finalità promesse dalla riforma. A questo punto credo sia perlomeno inopportuno tranciar giudizi: meglio aspettare che l’audit faccia il suo corso, arrivando presto davanti... agli stessi politici (e agli stessi circoli interessati) che hanno generato, partorito e varato la nuova legge. Mentre scrivo queste note, paradossalmente, web e giornali riferiscono di dati confortanti per le affluenze durante il ponte dell’Ascensione. Forse è per questo che, leggendo dell’audit negativo, ho pensato a... un dromedario. Non perché ho sospettato che ce ne possa essere uno vero all’agenzia per il turismo cantonale o nelle

quattro sotto-sedi regionali, magari di riserva per «scarrozzare» ospiti arabi... No, quello apparso nella mia mente proviene dalla magistrale definizione dell’ineffabile Henry Kissinger: «Il dromedario è un cavallo disegnato da una commissione parlamentare». Un caustico aforisma che sintetizza l’altro suo giudizio: «Lo studio di un problema può essere un facile ripiegamento dalla necessità di fronteggiarlo». Passati in rassegna crepe e dromedario, resta da spiegare la presenza del pellegrinaggio nel titolo. È tutta un’altra storia. Inizia leggendo Un indovino mi disse di Tiziano Terzani e scoprendo che lo scrittore toscano era stato anche lui in una regione del nord della Birmania che, per atmosfere e paesaggi, mi aveva ricordato il Ticino degli anni Cinquanta. Terzani l’ha descritta con queste mirabili parole: «Non c’era niente di fisico che togliesse il fiato: non un monumento, non un tempio o un palazzo che potesse impressionare in modo particolare. Il fascino commovente di


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Cultura e Spettacoli Viceversa, e fanno 11 Il nuovo fascicolo di «Viceversa letteratura» offre come sempre uno sguardo sulla produzione letteraria della nazione pagina 37

Plasmare ad arte Il Museo d’arte di Mendrisio propone una serie di opere di autori contemporanei che in modi diversi si sono cimentati con la scultura

Tra i segreti vaticani Il capo restauratore del Vaticano Maurizio De Luca ha pubblicato un libro ricco di storia e arte

L’occhio di Dona De Carli Continua la ricerca della fotografa sull’affascinante Palazzo Tondü di Lionza

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Lo Zar Nicola II con le figlie e il figlio Alessio in una foto del 1. gennaio 1913. (Keystone)

Un secolo fa la caduta dei Romanov

Biografie Dagli zar rossi agli zar bianchi: la Storia con la maiuscola in un avvincente libro di Simon Sebag Montefiore Luciana Caglio Pietrogrado, 3 marzo 1917: nella capitale, ormai, nelle mani dei rivoluzionari bolscevichi, lo zar Nicola II è costretto ad abdicare. Tenta, però, di giocare un’ultima carta per salvare la dinastia dei Romanov cedendo il trono al fratello, il granduca Michele, figura marginale, politicamente meno compromessa. Ma, in un momento storico che aveva segnato la fine degli imperialismi autoritari, anche la vicenda dei Romanov, come poi quella degli Asburgo, era giunta al capolinea. Per oltre tre secoli, attraverso personaggi leggendari, dal precursore Ivan il Terribile a Pietro il Grande, alla Grande Caterina con la sua «anima gemella», il ministro Potemkin, ad Alessandro II, aveva gestito un impero di dimensioni inverosimili: copriva un sesto della superficie mondiale e racchiudeva un mosaico di 104 nazionalità e 146 lingue, dove i russi erano soltanto il 44 per cento. Una minoranza cui doveva spettare un ruolo egemone, sul piano politico e culturale, realizzando così le ambizioni di una grande potenza mondiale. Con la Russia zarista e poi sovietica ci si trovò sempre a fare i conti. E la partita rimane aperta. Un secolo ci separa dalla conclusione dell’era zarista che, tuttavia,

sotto mentite spoglie, ha lasciato tracce persistenti nella topografia politica attuale. La figura di Putin continua a esserne l’emblema. Qui sta la singolarità di un centenario, non paragonabile alle abituali celebrazioni imposte dal calendario: in altre parole, non soltanto si commemora ma si riflette sul nostro ieri e sul nostro oggi. Da qui è partito Simon Sebag Montefiore, storico, giornalista, romanziere inglese, con origini russe recuperate, per ricostruire l’itinerario di una dinastia che sembra riunire, addirittura simbolicamente, virtù e vizi del potere: tutto ciò in un volume di 800 pagine, The Romanovs (Weidenfeld&Nicolson), di cui è già uscita la traduzione tedesca e, prossimamente, sarà la volta di quella italiana. E via via, in decine di altre lingue. Sul piano editoriale Montefiore rappresenta una garanzia di successo, e in pari tempo, di seria professionalità, confermata dalla cattedra a Cambridge. Autore di biografie, che gli sono valse continui riconoscimenti (British Book Award, Los Angeles Time Award, Le Grand Prix de Biographie, ecc.) appartiene a quel filone della saggistica anglosassone che, sfidando le diffidenze degli storiografi accademici, propone un nuovo approccio: la realtà storica

affidata alla narrazione. Lo scrittore, insomma, attinge dagli archivi il materiale con cui, poi, raccontare la Storia con la maiuscola e, in pari tempo, le singole storie di protagonisti che, nel caso dei Romanov, furono vittime del loro strapotere. «Perché, osserva Montefiore, questo è anche un ritratto dell’assolutismo, in Russia, la parabola della follia e dell’arroganza provocate dal despotismo, abbinato però alla magnificenza. E sempre all’insegna di una deviante religiosità. Tanto che, alla fine, Nicola II credette persino di essere la vittima di una congiura ebraica». Effettivamente, ci fu di tutto alla corte di Pietrogrado. Vi andarono in scena protagonisti e comparse d’ogni sorta che, in queste pagine, fanno rivivere uno spettacolo affascinante, che sembra inventato. Invece è animato da attori reali. Filosofi e artisti, invitati da Caterina, architetti, fra cui Domenico Trezzini, incaricati da Pietro il Grande di rifare l’immagine della capitale, riformatori illuminati che indussero Alessandro II ad abolire lo schiavismo. Ma su questa stessa scena ebbero una parte, eccome, anche nani e ballerine, come dire il sottobosco di prostituti d’ambo i sessi, e non da ultimo guru e santoni, di cui Rasputin fu l’esemplare più tragicamente determinante. La

sua presenza, nelle vesti di presunto guaritore, a fianco della zarina Alessandra e del piccolo Alessio, malato di emofilia, contribuì a discreditare la famiglia imperiale agli occhi dell’opinione pubblica. Ormai su di loro gravava un’irremissibile condanna a morte. A Ekaterinburg, nella notte del 17 luglio 1918, in uno scantinato, l’intera famiglia imperiale, domestici compresi, undici persone, fu annientata da una grandinata di spari. Un colpo trafisse addirittura un componente della squadra degli esecutori, peraltro non tutti consenzienti. Si venne poi a sapere che alcuni si erano rifiutati di uccidere un bambino e quattro ragazze, colpevoli di essere le figlie dello zar. Queste ultime si erano illuse di riuscire a proteggersi cucendo dei diamanti nei corsetti. Qui, appunto, Montefiore rivela la magistrale capacità di arricchire i fatti storici con risvolti umani, curiosi e sconcertanti. Ecco, ad esempio, che proprio lo sfarzo degli abiti imperiali metteva a dura prova la resistenza delle zarine: letteralmente crollavano, svenute, sotto il peso di broccati intessuti con fili d’oro e argento, incastonati con pietre preziose, per non parlare degli orecchini, che deformavano i lobi delle orecchie, e tutto ciò in nome della gloria dei Romanov. Agli inizi di quest’e-

popea dinastica, le future imperatrici venivano reclutate fra giovanissime ragazze, quasi bambine, fatte arrivare da lontane province e sottoposte al giudizio estetico dello zar: insomma, una sorta di mercato delle schiave. Altro che i nostri concorsi per le miss. E, altro che lo scandalo di Clinton, nella sala ovale della Casa Bianca: una bazzecola in confronto alla relazione che unì, per decenni, Alessandro II, quarantenne, alla sedicenne Katia, alla quale lo zar dedicò migliaia di lettere (sarebbero addirittura 4000) e ritratti, ad alto contenuto erotico. Sotto forme diverse – omosessuali, lesbiche, legami a tre – l’erotismo era di casa, alla corte di Pietrogrado. L’autore non vi insiste con intenti pruriginosi. Si tratta, in ultima analisi, di proporre un’immagine il più possibile realista e attuale di personaggi passati, come si dice, dalla polvere agli altari. Infatti, il 17 luglio 1998, in occasione dell’ottantesimo anniversario dell’eccidio di Ekaterinenburg, Eltsin ruppe il silenzio: parlando di un «crimine mostruoso». Nel 2007, vennero scoperti e identificati i resti dei Romanov. E, decisione discutibile, nel 2000 la chiesa ortodossa proclamò la santificazione di Nicola II. Conclude Montefiore: dagli zar rossi si è passati agli zar bianchi.


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Cultura e Spettacoli

Che volto dare a Riccardo III d’Inghilterra? Teatro U n personaggio shakespeariano che ci ripugna e ci affascina

Giovanni Fattorini Gobbo, sciancato, e con un braccio «secco e vizzo come uno stecco morto», nel monologo di apertura della tragedia di cui è protagonista il futuro Riccardo III così parla di sé: «[…] io che sono deforme, non finito, mandato anzi tempo in questo spirante mondo, […] dal momento che non riuscirei davvero a fare l’innamorato […] ho deciso di assumere, per contro, la parte del cattivo e di portare ogni sorta di invido odio agli oziosi piaceri di questo tempo». È quel che si dice: una reazione compensatoria. Ne aveva già parlato Freud in Alcuni tipi di carattere tratti dal lavoro psicanalitico (1916). L’amarezza e la precisione con cui Riccardo descrive la sua deformità – dice Freud – sono tali da farci avvertire – anche se siamo consapevoli di quanto sia malvagio – un senso di comunanza e di simpatia nei suoi confronti. «Riccardo è lo smisurato ingrandimento di qualche cosa che troviamo anche in noi stessi. Tutti crediamo di avere motivo di rancore verso la natura e il destino per le menomazioni congenite e infantili; tutti pretendiamo una riparazione che ci indennizzi delle precoci frustrazioni del nostro narcisismo e egoismo». Ben diversa è la lettura offerta da Jan Kott nel celebre saggio Shakespeare nostro contemporaneo: «Riccardo è impersonale come la storia. Mette in moto

il rullo compressore della storia, dopo di che il rullo lo stritola. Riccardo non è neanche crudele. Non rientra in nessuno schema psicologico. È la storia pura. Non ha volto». Ma necessariamente, «l’attore che recita Riccardo deve avere un volto». Il volto che per me si associa indelebilmente alla figura di Riccardo – ben più di quello così spesso in primo o primissimo piano di Al Pacino, protagonista e regista di Looking for Richard (1996) – è quello di Laurence Olivier, nel film da lui diretto e uscito nel ’55. Confesso di essermi avviato verso il Teatro Strehler di Milano – dove è andato in scena per tre soli giorni il Richard III firmato da Thomas Ostermeier, direttore della Schaubühne di Berlino – avendo ancora negli occhi e negli orecchi, dopo aver rivisto il film, la sobria, magnetica espressività facciale di Olivier e i suoi mirabili effetti di «staccato» e di «legato» nel pronunciare i pentametri giambici di cui si compone quasi per intero la tragedia. Nel testo shakespeariano abbondano i monologhi e gli «a parte» in cui il protagonista, rivolgendosi al pubblico con varia intonazione, anticipa verbalmente i suoi propositi delittuosi e manifesta senza remore la sua natura di simulatore. Di conseguenza, Laurence Olivier ha ritenuto necessario che Riccardo parlasse allo spettatore guardandolo negli occhi, per «agganciarlo», per renderlo testimone consapevole e qua-

si complice dei suoi pensieri e dei suoi atti criminali. Si rivolge quindi direttamente alla macchina da presa, che lo fronteggia, lo segue o lo accompagna, docilmente, come se fosse lui, Riccardo, a guidarla, per indirizzare lo sguardo dello spettatore verso ciò che intende fargli vedere. Anche il Riccardo III interpretato da Lars Eidinger si rivolge spesso direttamente al pubblico. Fino a quando è soltanto il duca di Gloucester – prima cioè dell’intronizzazione – Riccardo sembra un incrocio fra un ciondolante giovinastro «diversamente abile», un rockettaro agitato e un cabarettista che di tanto in tanto afferra un microfono che penzola a mezz’aria, munito di una lampadina che gli illumina fortemente il volto e di una mini-telecamera che ne proietta l’immagine ingrandita e sfocata sulla parete di fondo. Beffardo, cinico, spietato, vuole apparire disponibile e diretto nei modi e nel linguaggio, un tipo anche scherzoso, non diversamente da certi leader populisti dei giorni nostri. Ci vorrebbe parecchio spazio per analizzare le componenti (a cominciare dalla traduzione e dall’adattamento del drammaturgo Marius von Mayenburg) di uno spettacolo a tratti avvincente, che nell’insieme, però, mi è sembrato di una complessità decisamente meno grande di quella del testo shakespeariano, anche a causa di

Il regista e attore berlinese Lars Eidinger nei panni di Riccardo III.

certe scene ad effetto. Mi limito a due note conclusive. 1) Poche ore prima della morte, il Riccardo III di Lars Eidinger si specchia in un piatto di lucido metallo dopo essersi imbiancato il viso con una crema che gli confonde i lineamenti: diventa cioè l’impersonale Riccardo senza volto di cui parla Jan Kott nel capitolo sui re. 2) Nella tragedia di Shakespeare, nei film di Lauren-

ce Olivier e di Al Pacino, la seduzione di Lady Anna è affidata al fascino delle parole e al simulato trasporto con cui vengono pronunciate da Riccardo. Nello spettacolo di Ostermeier, il futuro re d’Inghilterra mette completamente a nudo il proprio corpo. Più che sulla fascinazione verbale e vocale, punta forse sull’esibizione di ammennicoli che non sono neppure king size? Annuncio pubblicitario

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Cultura e Spettacoli

Ladri, furti, plagi e ruberie nell’undicesimo «Viceversa» Recensioni È uscito il fascicolo 2017 della rivista del Service de Presse Suisse

Pietro Montorfani La lingua franca del latino, e non l’onnipresente inglese, offre il titolo alla rivista del Service de Presse Suisse, edita oramai da undici anni, tra aprile e maggio, sotto la limpida insegna di «Viceversa letteratura» (il secondo termine declinato invece nelle lingue nazionali). Erede della storica «Feuxcroisés», pubblicata dal 1999 al 2006 e già quella dedicata a «littératures et échanges culturels», «Viceversa» ha continuato sulla medesima linea di chi l’aveva preceduta, potenziando però la sua presenza sul digitale e instaurando nuovi rapporti con editori locali.

«Viceversa» stimola anche una riflessione sulla questione della massa critica degli scrittori svizzeri Il fascicolo 2017, che guarda in realtà, come ogni annuario, ai dodici mesi precedenti, è faccenda di furti e ruberie: Al ladro! recita infatti il titolo nell’edizione italiana, curata da Matteo Ferrari e pubblicata a Bellinzona da Casagrande. I furti sono per lo più metaforici: di «prestiti», più che di «plagi», si parla solitamente in letteratura, e «ladro» è parola che si attaglia sia a un

Alberto Nessi, poeta in cerca di frammenti da rubare alla realtà di ogni giorno (Ladro di minuzie è una sua recente antologia poetica), sia al concetto stesso del tradurre, che anche quest’anno è giustamente al centro delle attenzioni della rivista. Montati attorno a materiali comuni, ma dosati diversamente a seconda delle lingue e del diverso pubblico di lettori, i tre fascicoli di «Viceversa» sono sempre simili ma non identici. Lasciamo ai lettori curiosi (e poliglotti) il compito di esplorare le edizioni tedesca e francese, per concentrarci su quella italiana, che si apre con alcuni inediti di Matteo Terzaghi (intervistato da Magda Mandelli), di Irena Brezna (già apprezzata ospite di Chiassoletteraria e Piazzaparola lo scorso anno) e di Philippe Rahmy (autore anarchico e proudhoniano, qui non a caso con una prosa intitolata I monarchi). A Emmi Hennings e Friedrich Glauser, nel centenario del dada, è dedicata la sezione «Qui e altrove», che si chiude sulle tracce di Maurice Chappaz e Charles Ferdinand Ramuz; mentre il «Quaderno di inediti» ospita testi di una decina di autori svizzeri, tra cui Stefano Marelli, Yari Bernasconi, Odile Cornuz, Rolf Hermann, Dana Grigorcea e altri. Senza nulla togliere agli sforzi di scrittori e traduttori, ciascuno con una propria voce e una propria visione del mondo, la preferenza di chi scrive va ai versi di Thilo Krause, poeta di Dresda attivo da

È forse giunta l’ora di un’apertura per «Viceversa letteratura»?

qualche tempo nella Svizzera tedesca, anche grazie alla splendida traduzione di Roberta Gado: «Qui passa di mano in mano / un bicchiere di latta / mentre sotto i piedi / vola la ghiaia. / […] /

Qui il giorno sferraglia verso la fine». Davvero quella dei traduttori, lo si ripete spesso, è la chiave d’accesso alle letterature svizzere, anche di esportazione: Markus Roduner, domiciliato

nei paesi baltici, traduce in tedesco dal lituano (si veda il bel dossier su di lui alle pp. 198-205). Non ci si dovrebbe però limitare a questo, pena il rischio, specie per le lingue di minoranza, di una certa retorica da riserva indiana. È difficile montare un fascicolo che proponga ogni anno a lettori svizzerotedeschi e romandi produzioni originali in italiano e romancio, per il semplice fatto che la massa critica degli scrittori in queste lingue non sempre giustifica lo sforzo, indipendentemente dalla bontà dei singoli contenuti. Anche tra le pagine di questo fascicolo di «Viceversa» circola insomma, qui e là, un po’ di aria di chiuso (una redattrice di Casagrande intervista un editor di Casagrande per una rivista di Casagrande…) e uno sguardo oltreconfine, chissà, potrebbe rappresentare in futuro una valida alternativa, almeno per la minuscola parte italiana. Per ribadire come le frontiere da attraversare non siano soltanto quelle interne (linguistiche), ma anche esterne (politiche), e per ricordarci, soprattutto, in quale misura le letterature svizzere continuino a nutrirsi del confronto con le molte culture linguistiche cui di fatto, ibridamente, appartengono, al crocevia di una delle zone più vivaci e interessanti d’Europa. Bibliografia

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Cultura e Spettacoli

Le metamorfosi del plasmare Mostre Al Museo d’arte di Mendrisio uno sguardo alla scultura contemporanea

Eliana Bernasconi Fondato nel 1982, il Museo d’arte di Mendrisio dispone di una collezione che spazia dal XVI al XX secolo, organizza tre manifestazioni all’anno e recentemente anche altre mostre fuori dai suoi spazi, come le esposizioni fotografiche di Casa Pessina. Si è inoltre recentemente inaugurato nella Casa Croci il Museo del Trasparente, dedicato alle storiche processioni notturne della «Settimana santa» mendrisiense. Radicato nel territorio, il Museo d’arte di Mendrisio si interessa degli aspetti poco indagati delle varie correnti o dei singoli artisti, ha uno sguardo attento alla scultura antica e moderna, alla grafica, all’arte svizzera e ticinese, alla presentazione di artisti poco conosciuti ma presenti sulla scena internazionale. L’esposizione in corso si snoda negli antichi spazi che nel 1200 e 1500 ospitarono il convento dei frati Umiliati e Serviti: con una scelta di opere di 24 artisti di diverse generazioni, noti e meno noti, coglie perfettamente lo spirito della contemporaneità, evidenziando un nodo nevralgico del nostro presente, dove la rappresentazione e la relazione degli esseri umani con la natura e con il proprio corpo ha subito una mutazione irreversibile. All’inizio del 900 i materiali classici della scultura erano l’argilla, la pietra, il legno e il bronzo. Lo sviluppo tecnologico della nostra epoca introduce nella quotidianità prodotti artificiali, nuovi tipi di plastiche e di metalli, plexiglas, silicone, vetro acrilico. Tali nuove co-

noscenze dischiudono agli artisti dimensioni sconosciute e forniscono loro nuovi strumenti per penetrare nella profondità della materia, a tutto ciò va aggiunto l’avvento della rappresentazione virtuale, l’attuale dominio del digitale. Le opere esposte ben dimostrano quale interazione forzata, quale contaminazione tra la natura madre e la tecnica figlia della modernità si sia attuata nella nostra era. Daniele Agostini, co-curatore della mostra, scrive inoltre che le sculture e le installazioni dei 24 artisti contemporanei si caratterizzano per il loro porsi al confine tra il bizzarro e l’ordinario: «vengono proposte come il frutto di un accumulo collezionistico di eredità cinquecentesca, come nelle Wunderkammer, o gabinetti di curiosità, proliferati nel Cinquecento, luoghi dove venivano raccolti ed esposti i più curiosi oggetti provenienti dal mondo naturale (naturalia) e artificiale (artificialia)». Il percorso di Metamorfosi è stato attuato in collaborazione con gli artisti, citeremo solo qualche opera invitando chi entra a lasciarsi stupire, a volte divertire da continue, imprevedibili scoperte. Alcuni artisti hanno realizzato appositamente un lavoro per la mostra, ad esempio l’opera, intensamente ed emotivamente materica di Julia Steiner Ground listening (Ascoltando la terra) in argilla, legno e lacca, o Landscape di Benedetta Mori Ubaldini, dove incredibili meduse in rete metallica galleggiano nello spazio vuoto. Fra gli artisti storici Meret Oppenheim che con dei tagli su una forma in bronzo evoca il sesso femminile, o Serge Brignoni che in una

Benedetta Mori Ubaldini ha realizzato Landscape. (Stefano Spinelli)

scultura lignea quasi totemica fonde elementi animali e vegetali, mentre la sintesi formale fra corpo umano e natura si opera in Jean Arp. Una stratificazione ritmica di piani dinamici e un processo di astrazione avviene invece nell’opera del famoso Tony Cragg. Non si può non rimanere colpiti dalla grande installazione in materiale tessile animata da un meccanismo artificiale lunga 8 metri: White Heart di Carlo Borer, è realizzata

con strumenti altamente tecnologici, una stampante 3D crea ogni giorno un cuore di dimensioni naturali e l’enorme pulsante organo umano in perenne movimento è una macchina che allude agli incredibili progressi in campo medico-scientifico. L’opera in porcellana policroma del cinese Ai Weiwei è una forma allungata, insieme uno scettro cerimoniale buddista e un fungo sacro modellato in forma di interiora umane

che simbolizzano la nostra vulnerabilità. La ricerca di Loris Cecchini è legata alla scienza, originata da un modulo che è base del suo lavoro e può per questo riprodursi sempre o trasformarsi in pianta rampicante in acciaio cromato. Anche l’installazione di Penelope Margaret Mackworth-Praed, Pleiades. The other side of the sky (Costellazione delle Pleiadi), che pure realizza opere avvalendosi di basi numeriche merita di essere vista: una luce ultravioletta nel buio rivela a intervalli impercettibili strutture metalliche geometriche. Parassita, di Lorenzo Cambin, è un susseguirsi di leggerissimi elementi uguali ma non identici dove metallo, legno e terracotta si saldano in un’inedita struttura. Nel suggestivo chiostro secentesco del museo troviamo l’opera più intensa e misteriosa: Garofani, carnations, non calpestare le aiuole di Luisa Figini & Rolando Raggenbass, presentata nel 2003 ai Sotterranei di Monte Carasso: in un ambiente dove la luce è quasi inesistente un sonoro brusio di api pervade l’ambiente e degli elementi plastici, fiori in poliuretano, ricoprono il pavimento. Raggenbass ci ha lasciato, ma l’installazione contiene e trasmette, intatto e presente, tutto il senso dell’originalissima poetica di questo grande artista. Dove e quando

Metamorfosi. Uno sguardo alla scultura contemporanea. Fino al 25 giugno 2017. Orari: ma-ve 10.00-12.00 / 14.00-17.00; sa-do 10.00-18.00. www. mendrisio.ch/museo

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 6 giugno 2017 • N. 23

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Cultura e Spettacoli

Croisette a una svolta epocale?

Azione

Festival di Cannes Molte polemiche

sulla forma, forse a scapito dei contenuti

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Se dovessimo scegliere un’immagine che riassuma il Festival del Settantesimo, sarebbe proprio quella del suo compleanno. Vi si vedono schierati, praticamente abbracciati sull’ormai abusato tappeto rosso, tante figure dalla rigorosa tenuta di gala. Sono i festeggiati, i laureati in gran parte gloriosi, i registi e attori della storia di Cannes. Monumenti dell’arte cinematografica, qualcuno un po’ corroso dal tempo, quasi tutti di sesso maschile. Profili granitici: con attorno, o meglio ai loro piedi, la folla munita di smartphone.

La Palma d’Oro va a The Square di Ruben Östlund; migliore regista è Sofia Coppola con il suo Le prede Da una parte la celebrazione dei grandi nomi che hanno contribuito all’egemonia di Cannes; dall’altra l’agitazione isterica, ma anche l’immenso potenziale rappresentato da milioni di spettatori sparsi nel mondo. Cannes ha voluto (in parte dovuto) fare a meno quest’anno della presenza di coloro che – un po’ perfidamente – vengono definiti i suoi abbonati. Con risultati più che dubbi. Perché i più celebri fra i presenti hanno, chi più chi meno, deluso; presentando opere involute, meno compiute delle precedenti, anche se illuminate talvolta da ispirate intuizioni. Il confronto tra la selezione di quest’anno, già definita un po’ imprudentemente «laboriosa» dal direttore Thierry Frémaux, e quella formidabile del 2016 con la sua mezza dozzina di capolavori e altrettante rivelazioni, è impietoso. Questo anche perché i film dei vari Michael Haneke, Todd Haynes, Jacques Doillon, Sergei Loznitsa, Kornel Mundruczo e dello stesso Roman Polanski (seppure fuori concorso), hanno dimostrato come la presenza di qualche maestro affermato non rappresenti ormai più la soluzione di ogni magagna. Anche per Cannes, assieme a tutto ciò che finora abbiamo definito cinema, è giunto il tempo di affrontare decisioni radicali anche se dolorose. Non a caso, infatti, il sentimento dominante è stato quello di una sorta d’indifferenza, se non di rassegnazione nei confronti di quelle che forse sono state solamente sfortunate scadenze di calendario. L’aspetto per così dire disfunzionale del festival è però ben più profondo, affligge infatti il sistema stesso. Nei festival cinematografici ci

sono sempre state dispute intorno alle «stellette», di per sé già controproducenti per la credibilità di tutto un ambiente. Succedeva così che la stessa pellicola si vedesse assegnare, a seconda di umori, provenienze culturali o politiche, etichette che variavano dal capolavoro al disastro. L’interrogativo che più o meno subdolamente sembra nascere tra gli addetti ai lavori non concerne più la relatività o i rischi dei giudizi dei critici, quanto più le probabilità che un film avrà di essere distribuito e dunque visto. Alimentato dalla polemica su Netflix della quale ci siamo già occupati nei numeri precedenti, è ormai chiaro quanto il problema della distribuzione e del consumo del prodotto cinematografico sia ormai giunto al cuore di manifestazioni dal successo apparentemente garantito come i festival. Il destino assurdo dei film (e parliamo della maggior parte!) è che solo pochi li vedranno: centinaia di progetti o pellicole addirittura già terminate non troveranno mai la via della distribuzione. Prigioniero di regole e prescrizioni che lo condizionano assieme ai suoi operatori dai tempi remoti dell’avvento della televisione (e che ne influenzano l’estetica stessa), il cinema è costretto a snellire in modo drastico e velocemente il percorso che lo conduce fino al consumatore. Queste considerazioni pratiche hanno ridimensionato i litigi artistici. Le delicate questioni della relativa modestia della qualità della competizione, in aggiunta alla dispersione dei film nelle varie sezioni e rassegne di una manifestazione pachidermica, hanno infatti finito per passare in secondo piano «grazie» alle molte difficoltà logistiche. Archiviate nei numeri precedenti parte delle opere premiate (a cominciare dalla Palma, giustamente assegnata allo spasso ma pure all’intelligenza di The Square) occorre sottolineare il controverso ritorno di Sofia Coppola con L’inganno, sensibile indagine dell’animo femminile. Riuscita è anche la non facile trasposizione in commedia disinvolta di un personaggio ostico come Godard – operazione che dobbiamo a Michel Hazanavicius che a Cannes ha presentato Redoutable. Vi è poi stata l’esplosione formale, ma soprattutto l’interpretazione di un incredibile Joaquin Phoenix ingrassato di trenta chili, di You Were Never Really Here di Lynne Ramsey. Oppure la brillante disinvoltura estetica, per quanto non esattamente gratuita, di François Ozon in Amant double. O ancora, per finire, l’intimismo inimitabile nell’approccio al presente di Noemi Kawase in Radiance.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 6 giugno 2017 • N. 23

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Cultura e Spettacoli

I segreti degli affreschi

Storia dell’arte In un libro di Maurizio De Luca, i retroscena dei grandi cantieri di restauro del Vaticano,

che svelano tecniche e «debolezze» dei grandi maestri

Emanuela Burgazzoli «Anche i muri parlano, sì ma bisogna saperli ascoltare». Dalle parole del professor Maurizio De Luca traspare la grande passione per il suo lavoro: una carriera decennale – oltre quarant’anni – trascorsi nei Musei Vaticani, cominciando come apprendista fino ad assumere la carica di ispettore e capo restauratore dei laboratori di Restauro. Una posizione che ne fa il privilegiato testimone di molti grandi cantieri di restauro delle pitture murali in Vaticano. Poter salire sui ponteggi e osservare da vicino i dettagli di un affresco – o meglio della pittura «a fresco», una tecnica di pittura difficile perché stesa sull’intonaco ancora molle e umido, contrapposta alla pittura stesa «a secco» – significa leggere le innumerevoli tracce che rivelano i segreti non soltanto delle tecniche sviluppate da alcuni maestri, come Raffaello e Michelangelo, ma anche i segni che raccontano la quotidianità delle botteghe d’arte con decine di maestranze che si contendevano anche per anni gli spazi nelle cappelle e negli appartamenti papali. «La professione di restauratore si fa con tutti i sensi, la vista, ma anche il tatto e l’olfatto», ribadisce De Luca. E in questo «corpo a corpo con le opere» il maestro restauratore raccoglie veri e propri tesori confluiti in un volume pubblicato nel 2016 per Artemide intitolato Verità nascoste sui muri dei maestri. Michelangelo, Raffaello, Pintoricchio e gli altri in Vaticano, recentemente

presentato dall’autore alla Supsi di Trevano. Il «fresco» è un vero e proprio documento a muro, una fonte d’informazione cruciale per ricostruire la storia di quelle immagini, complementare ad altre importanti fonti iconografiche e testuali, come le Vite del Vasari. «Per scoprire per esempio quante mani fossero all’opera sui muri dei palazzi Vaticani, basta osservare le mani, che insieme ai piedi sono le parti del corpo più difficili da dipingere», ricorda De Luca; si possono così identificare stili, ma anche capacità tecniche, molto diversi fra loro. Avvicinando l’occhio alle pareti e osservando le gallerie di ritratti sugli affreschi ci si accorge che i maestri del Quattrocento erano attenti alla resa di ogni dettaglio, dalle piume di un pennacchio, al vento che muove i capelli, alle ciglia nere dipinte a secco, fino alle labbra livide sui volti di fanciulli pallidi che denotano patologie cardiache o al rossore degli occhi irritati da una congiuntivite. Gli artisti di epoche successive, come Michelangelo, si mettono invece nei panni dello spettatore a metri di distanza dall’affresco, limitandosi a evidenziare e definire pochi ed essenziali tratti, quelli necessari a essere riconoscibili da lontano. Ma le sorprese non finiscono qui: ingrandendo lo sfondo di alcuni affreschi emergono altri particolari sorprendenti – come una figurina che ne spinge un’altra facendola precipitare da un dirupo, una testa di animale celata in un frammento di muro – ammiccamenti ironici e scherzosi di chi

era all’opera su quei muri sacri, e a ben guardare, rivela il professor De Luca, gli affreschi nascondono anche scherzi scurrili che i pittori si facevano fra loro, ma che «non era il caso di pubblicare». Nel volume di Maurizio De Luca si scopre che Sisto IV – il papa da cui prende il nome la Cappella Sistina – fra le varie botteghe al lavoro sceglie quella di Cosimo Rosselli, preferito per il suo largo utilizzo dell’oro, tanto che gli altri dovranno adattarsi al gusto del pontefice (più che discutibile, come commenta il Vasari) e ritoccare, così «guastandoli», molti dei loro affreschi. Anche Pintoricchio (soprannome che accenna alla statura del pittore o alla sua effettiva abilità di pittore?) abbonda con i rilievi di stucco dorati nelle stanze di Alessandro VI, tanto da essere accusato di «eresia artistica»; in realtà – spiega De Luca – questa enfasi era un richiamo voluto allo splendore dei retablo spagnoli. Il papa Giulio Farnese chiama invece Raffaello a decorare le pareti della Stanza di Eliodoro: il grande maestro del Rinascimento vi dipinge in particolare l’episodio della liberazione di Pietro. Scena che osservata da vicino rivela una straordinaria capacità di trattare la luce: Raffaello infatti fa convivere con giochi di proiezioni e ombre sullo stesso affresco ben cinque fonti luminose – dalla luce della luna all’aura dell’angelo. Un ultimo capitolo De Luca lo riserva però alla Cappella Paolina, la più intima e la più privata fra tutti i luoghi di culto dei Palazzi Apostolici, e al suo

Un particolare del libro di Maurizio De Luca, edito da Artemide.

restauro, terminato nel 2009 e che ha personalmente supervisionato. Paolo III Farnese commissiona negli anni Quaranta del Cinquecento due murali a un Michelangelo già anziano, reduce dall’impresa del Giudizio universale, ormai stanco e nel mezzo di una crisi spirituale. «Dipingerò di malanimo e farò cose di malanimo», scrive infatti il Buonarroti. Tutto questo si riflette nei due affreschi, che richiederanno otto anni di lavoro, in cui il pittore raffigura la conversione di San Paolo e la Crocefissione di San Pietro, scena in cui è stato scoperto da De Luca anche un nuovo autoritratto di Michelangelo. Affreschi che costituiscono una sorta di testamento spirituale del maestro; ormai liberato dalle pressioni che subiva mentre era al lavoro sul Giudi-

zio universale nella Cappella Sistina e affrancato dalla preoccupazione del virtuosismo tecnico, Michelangelo dà prova di una pittura dolente, ma attraversata da intuizioni potenti e soluzioni formali ardite. A proposito di Cappella Sistina, conclude il professore De Luca, fra i sogni rimasti nel cassetto c’è la mancata scoperta degli affreschi del Perugino ancora celati dietro i muri affrescati da Michelangelo. Grazie al suo libro però molti visitatori possono ora oltrepassare virtualmente le porte chiuse di molte stanze in Vaticano, provando la sensazione di poter vedere e ascoltare, almeno per qualche momento, l’ambiente frenetico e rumoroso di quei cantieri che ci hanno lasciato patrimoni artistici inestimabili. Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 6 giugno 2017 • N. 23

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È uno dei miglior violoncellisti al mondo; è stato il pupillo del più grande cellista dell’ultimo secolo, Rostropovich; e nel suo girovagare tra i principali teatri del mondo ha scelto Lugano come sua base. Lui torinese orgoglioso delle sue radici (anche juventine) ma allo stesso tempo innamorato del Ticino. «Ci venivo da giovane per studiare, non in Conservatorio ma a Ponte Capriasca, è stato un piacere tornarci non saltuariamente ma prendendo casa con mia moglie e mio figlio». Enrico Dindo è uno dei grandi nomi che il Conservatorio luganese annovera tra i suoi docenti, titolare di una masterclass ambita da giovani talenti di tutta Europa. L’attività solistica e di direttore è frenetica: ha inciso il Doppio Concerto di Brahms con Chailly e la Gewandhaus di Lipsia, i due Concerti di Haydn con i Solisti di Pavia, formazione che lui stesso ha formato, ora guida l’orchestra di Zagabria («stiamo preparando la nona sinfonia di Beethoven»), eppure non rinuncia a insegnare. «Perché spiegare a qualcuno aiuta innanzitutto me a chiarirmi le idee, a capire in modo più lucido quello che magari mi viene da fare per istinto». Istinto esercitato già a sei, sette anni «perché in casa mia, così volevano i miei genitori, tutti dovevano suonare uno strumento; il primo violoncello dell’orchestra Rai di Torino era un amico di famiglia, studiò le mie mani e disse ai miei che gli sembravano fatte per il violoncello; così iniziai». La scintilla scoccò suonando assieme alla sorella, violinista: «Quando fui in grado di eseguire passaggi non solo elementari mia sorella mi coinvolse in un quartetto; lei è più grande e suonava già da vari anni, così gli altri due archi; io facendo le poche note dell’accompagnamento del basso entravo in una dimensione molto più grande e bella di quanto non mi consentissero le mie capacità d’allora, mi sentivo catapultato senza passi intermedi in un mondo tutto nuovo: suonavo poche note, ma allo stesso tempo stavo suonando un brano enorme, complesso, bellissimo, un Quartetto di Haydn o uno di Mozart. E da allora non ho più smesso di fare musica da camera». Lo fa tuttora, anche in Conservatorio, suonando assieme a Massimo Quarta, virtuoso del violino di fama internazionale, alla prima viola scaligera Danilo Rossi e ad alcuni studenti; «e anche il mio essere direttore non è dittatoriale, ma cerco una dimensione cameristica, un dialogo con i professori per arrivare a una visione comune e condivisa». A 22 anni il grande salto: «Partecipai al concorso di primo violoncello

al teatro alla Scala. Passai l’estate in un monolocale a Milano: un caldo pazzesco, a quei tempi il condizionatore era un lusso». Arrivò il giorno del concorso «e su suggerimento di mio padre mi presentai con la divisa da carabiniere – avevo appena fatto il servizio militare ed ero stato scelto in quel corpo – perché secondo lui l’uniforme dà importanza e incute rispetto. Quando mi ritrovai dentro il più importante teatro d’opera al mondo, in quella sala tutta stucchi, ori e velluti, sul palco dove avevano cantato la Callas e Pavarotti, vedendo gli altri candidati, trovandomi davanti Riccardo Muti e guardandomi vestito da carabiniere, mi vergognai tantissimo!». Eppure Muti, al tempo direttore musicale della Scala, scelse proprio lui, «Dieci anni come primo violoncello, talvolta con ruoli solistici, ma iniziavo a scalpitare, avrei voluto qualcosa di più». L’occasione avvenne dieci anni dopo «quando andai a Parigi da un liutaio e vidi nel suo studio la locandina del concorso Rostropovich: mi licenziai dalla Scala e mi preparai per vincerlo. Ora mi rendo conto dell’incoscienza di allora: mi ero appena sposato e avevo appena rinunciato a uno stipendio sicuro…». La sfrontatezza giovanile fu anche il voler portare in finale il primo Concerto di Shostakovich, scritto e dedicato proprio a Rostropovich, ovviamente a capo della giuria: «Ma mi venne bene, alla fine il grande Slava mi trovò nei corridoi, mi corse incontro e abbracciandomi urlò “viva l’Italia!”; non sapeva ancora il mio nome». Lo imparò in fretta, visto che Dindo ne divenne il pupillo. «Studiavamo insieme ma soprattutto lui mi trasmetteva non solo le sue idee ma la sua storia; mi raccontò di quando lesse su un giornale che Shostakovich aveva composto un concerto per violoncello; lui si era arrabbiato perché erano anni che gliene chiedeva uno; andò a casa sua e Shostakovich gli spiegò che temeva di non aver fatto un’opera all’altezza dell’interprete e gli fece vedere il manoscritto. Rostropovich si immerse nella lettura, lo suonò col compositore a fare al pianoforte la parte dell’orchestra; tornò a casa che era quasi l’alba, dopo tante note, risate e tanti brindisi con la vodka». Proprio Rostropovich gli ha suggerito un concetto tutto suo di verità musicale: «Sono cresciuto con le sue interpretazioni: le Suite di Bach, i due concerti di Shostakovich, ma ad esempio quando consultai l’edizione critica del Concerto di Dvorak scoprii che certi passaggi che lui suonava forte erano indicati in piano dall’autore, e in effetti aveva una sua logica a un suo fascino. Slava li suonava dunque in modo sbagliato, ma il risultato era così bello!»


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 6 giugno 2017 • N. 23

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Cultura e Spettacoli

Esplosione di intimità

Fotografia Al Museo Regionale Centovalli e Pedemonte le immagini scattate da Dona De Carli

al Palazzo Tondü di Lionza

Giovanni Medolago I Tondü di Lionza era il titolo di un libretto ESG (Edizioni Svizzere per la Gioventù) che stava con molti altri opuscoli in fondo all’aula delle elementari frequentate – tanti anni fa – dal vostro cronista. Un titolo inquietante, ai miei occhi di bambino che non sapeva chi fossero i Tondü e nemmeno dove stava Lionza. Ricordo pure una puntata di «Radioscuola» (allora immancabile appuntamento del venerdì pomeriggio) in cui si rievocava la leggenda dei due fratelli, Andrea di 13 anni e Antonio di nove. Partiti dalle Centovalli per aiutare il babbo spazzacamino verso il 1630, rimasero orfani nella loro prima stagione all’estero e vennero adottati da una ricca famiglia di Parma, che poi lasciò loro in eredità parte dei proprî beni. Nel giro di pochi anni, i due fratelli fecero fortuna non più spazzando camini, bensì occupandosi del commercio di tessuti pregiati. La nostalgia di casa, tuttavia, restava forte anche a distanza di anni e così attorno al 1650 i Tondü decisero di tornare al paesello natio. Non solo fecero erigere «ul palazz», ma promisero agli abitanti di Lionza che la loro ricchezza avrebbe portato lavoro e serenità in tutto il contado. Alla famiglia Tondü, estintasi da anni, è sopravvissuto il loro Palazzo, che però – dopo oltre quattro secoli – è piuttosto malridotto. Di recente è stata

varata (sotto l’egida di Enti Nazionali, Cantonali e Comunali; ma si spera anche nella generosità di tanti sponsor privati) un’opera di conservazione e restauro volta a porre in evidenza i pregevoli elementi strutturali del Palazzo, in cui la rusticità vallerana si abbina a dettagli decorativi e architettonici raffinati, senza dubbio importati dall’Italia.

Dona De Carli ha realizzato il suo lavoro in due tappe, dapprima armata di camera oscura, poi di iPhone La fotografa locarnese Dona De Carli, la quale nutre un vivo interesse per luoghi costruzioni e oggetti dimenticati, ha documentato gli ultimi anni del Palazzo: in una prima occasione, nel 2009, aveva girato per il Palazzo armata solo di una rudimentale camera oscura. «All’atto del fotografo che scatta per impossessarsi subito di un’immagine ha preferito quello di chi – attraverso una tecnica poco controllabile – attende che l’immagine si riveli quasi da sola» (M. Snider Salazar). Il frutto di quell’esperienza, con il titolo Esilio, era poi stato proposto al Museo Regionale delle Centovalli e del Pedemonte a Intragna.

Dittico di Dona De Carli, 2017. (Dona De Carli)

La stessa sede ospita adesso il risultato della seconda ricerca svolta a Lionza dalla De Carli. Nonna camera oscura, anche a causa del minor tempo a disposizione, ha lasciato il posto al suo ultimo nipotino: un iPhone 5! Balza subito agli occhi la grande differenza tra le due mostre: nel 2009 Dona usava – giocoforza, con la camera oscura! – solo il bianco e nero e le sue

foto denunciavano anche crudamente il degrado che ha colpito il Palazzo nel corso dei secoli. Adesso i suoi dittici sono talvolta un’esplosione di colori, talaltra presentano ricercati accostamenti cromatici, dove le tinte si fanno più sfumate e tenui. Più in generale, dai dettagli architettonici alle stratificazioni degli intonaci o, addirittura, dal verde delle muffe sugli assi delle

porte tenute insieme da chiodi arrugginiti, emergono una grazia e un’eleganza del tutto assenti nella prima esposizione. «C’è una crepa in ogni cosa, ma da lì entra la luce» cantava Leonard Cohen. Dona De Carli scava dentro queste crepe, reali o metaforiche, con la pazienza del ricercatore che cerca di far rivivere storia, passato, personaggi e ricordi che in quelle mura hanno trascorso una vita o forse solo pochi giorni (gli illustri ospiti della famiglia Tondü). «A volte guardare una fotografia è come trovare una vecchia agenda dimenticata in un cassetto, un piccolo libretto di cui avevamo perso le tracce e poi sfogliando le sue consunte pagine ritroviamo un nome, forse un volto o forse solo l’immagine di una carezza, qualcosa che toglie il respiro – ha osservato Reza Khatir durante il vernissage della mostra – e Dona ci invita ad andare vicino alle sue immagini, a cercare di ascoltarle, ci permette di entrare nella sua intimità e di sentire il battito del suo cuore. Ogni suo dittico è una domanda e una risposta. O Forse una domanda e un’altra domanda… chi lo sa?» Dove e quando

Dona De Carli, Fotografie, Museo Regionale delle Centovalli e del Pedemonte, Intragna. Tutti i giorni (tranne il lunedì) dalle 14.00 alle 18.00. Fino al 20 agosto. Annuncio pubblicitario

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In collaborazione con Migros. * Si esclude il ricorso alle vie legali. Non è possibile un pagamento in contanti. Sono esclusi dalla partecipazione i collaboratori della ditta KELLOGG e delle ditte coinvolte, nonché i loro familiari. Partecipazione consentita a partire da 18 anni. I dati personali vengono utilizzati esclusivamente allo scopo dello svolgimento del concorso. La partecipazione è indipendente da un acquisto, nelle maggiori filiali Migros tramite cartolina di partecipazione o per posta a Conaxess Trade Industriestrasse 9, 4623 Neuendorf, parola chiave: Kellogg’s. Termine ultimo di partecipazione: martedì 12.06.2017. I vincitori verranno informati per iscritto.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 6 giugno 2017 • N. 23

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Idee e acquisti per la settimana

shopping Delizie nostrane in rosso

Attualità Le gustose fragole ticinesi coltivate in campo aperto sono apprezzatissime

dai consumatori

Attraggono lo sguardo con il loro bel colore rosso e conquistano il palato di tutta la famiglia con il loro intenso sapore zuccherino. È passato poco più di un mese dall’introduzione delle fragole maturate al sole del Ticino e già hanno riscosso un grandissimo successo tra i clienti di Migros Ticino. Questi succosi frutti rossi sono coltivati a S. Antonino dall’Azienda Agricola di Manuela Krauss. «La coltivazione di fragole è stata una nuova sfida per la mia azienda, ma i buoni risultati ci hanno dato ragione», ci racconta l’orticoltrice sopracenerina che coltiva anche diversi altri ortaggi tradizionali. Le fragole crescono in piena terra su una superficie di 13’000 metri quadri. Dal momento della raccolta a mano fino alla consegna alla Migros passano pochissime ore. «Grazie alle condizioni meteorologiche favorevoli di cui abbiamo potuto beneficiare finora la qualità del prodotto finale è davvero ottima», conclude Krauss. Le fragole nostrane sono ancora disponibili per alcune settimane nei maggiori supermercati Migros nella vaschetta da 250 grammi.

Frullato di fragole Ingredienti per 4 persone 400 g di fragole 1 banana 2 cucchiai di miele 200 g di sorbetto al limone o gelato alla vaniglia 5 dl di latte freddo Manuela Krauss è fiera delle sue fragole. (Giovanni Barberis)

Preparazione Mettere da parte 4 fragole per la decorazione. Tagliare le rimanenti

in quarti. Ridurre a pezzetti la banana. Frullare con gli altri ingredienti fino a ottenere una consistenza cremosa. Versare il frullato nei bicchieri. Intagliare leggermente le fragole messe da parte e sistemarle sul bordo del bicchiere. Servire subito. Tempo di preparazione ca. 5 minuti


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Idee e acquisti per la settimana Idee e acquisti per la settimana

Chiare, fresche e dolci... bibite Attualità Che sia al lago o al fiume, con i Nostrani del Ticino c’è più gusto!

*Azione 20% sulla Gazosa ai mirtilli Nostrana, sulla Tisana Nostrana e sullo Sciroppo di sambuco Nostrano dal 6 al 12 giugno

4

*solo filiali con degustazione

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Flavia Leuenberger

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Gazosa ai mirtilli 28 cl Fr. –.85

Aquaciara 50 cl Fr. –.55 1,5 l Fr. –.70

Sciroppo di sambuco 35 dl Fr. 6.90

3

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9

Tisana Nostrana Bio 50 cl Fr. 1.90

Aperitivo ticinese 6 x 10 cl Fr. 4.20

Sciroppo di uva americana 35 cl Fr. 6.90

2

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8

Gazosa al sambuco 28 cl Fr. –.85

Gazosa ai lamponi 28 cl Fr. –.85

Gazosa al limone e mandarino 50 cl Fr. 1.50

L’estate è arrivata in anticipo con i suoi primi caldi. Non c’è migliore occasione per ritagliarsi un momento di svago e relax che andare al fiume o al lago. Un frigo box e una selezione di bibite genuine, 100% locali e a chilometro zero, non possono mancare per rinfrescarsi mentre si godono i raggi del sole. La scelta tra i Nostrani del Ticino della Migros è vasta e comprende bibite e sciroppi che vanno incontro a tut-

ti i gusti. Tra queste, diverse bevande della Sicas di Chiasso. Come la Tisana Nostrana, prodotta con un mix di erbe e dall’ottimo potere dissetante, e le classiche gazose disponibili in bottiglie da 2,8 dl, oppure nelle bottiglie da 50 cl per i gusti limone e mandarino. Chi ama i gusti meno dolci può sempre stappare un buon aperitivo ticinese. Per coloro che invece vogliono poter dosare da sé il grado di dolcezza

della propria bibita ci sono sempre gli Sciroppi Nostrani, come quelli al sambuco e all’uva americana. Perché non diluirli con una buona acqua di sorgente, una tra le acque più pure della Svizzera? L’Aquaciara, che sgorga dalle pendici del Monte Tamaro, spicca per il grado di mineralizzazione basso, molto vicino ai valori massimi di purezza. Imbottigliata dalla Tamaro drinks di Sigirino, si

trova in bottiglie da 50 cl (solo frizzante), oppure da 1,5 litri nelle varianti frizzante o naturale. Per conservare al meglio le qualità organolettiche di questa ottima acqua è bene conservarla al fresco e lontano da fonti di calore. Un’acqua buona e salutare insomma, che, come recita l’etichetta: «Se ta vö saltá vía trii scarín bév l’aquaciara da Sigirín! Tégnal da mént, l’è l’aqua San Clemént!». / Luisa Jane Rusconi

Nostrani del Ticino in degustazione Fino al 17 settembre 2017 ogni giovedì, venerdì e sabato vi aspettano golose degustazioni di prodotti Nostrani del Ticino per tutti i gusti, nelle filiali di Agno, Locarno, Serfontana, Grancia, S. Antonino e Lugano. Non perdetevi questo appuntamento con il buongusto!


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Idee e acquisti per la settimana

Un pazzo giugno a Migros Lugano Centro

Attualità Per tutto il mese ogni giorno tante sorprese presso il punto vendita Migros di via Pretorio 15

Nome

TiPress

Cognome

Via/n°

Inaugurato in una veste completamente rinnovata lo scorso mese di dicembre, il centro commerciale Migros di Lugano nel corso dei mesi ha saputo diventare un punto di riferimento di qualità, competenza e convenienza per tutti coloro che cercano lo shopping a 360 gradi nella città più grande del Ticino. Ambienti accoglienti e funzionali, un vastissimo e completo assortimento di food e non food, un reparto melectronics all’avanguardia, un De Gustibus pronto a soddisfare gli sfizi di ogni buongustaio, una scelta selezionata di articoli

Micasa, SportXX e Do it + Garden, come pure l’Activ Fitness per il benessere quotidiano e la Scuola Club per chi ha fame di sapere… sono solo alcuni dei fattori che hanno decretato il successo del punto vendita Migros cittadino. Un mese folle

Per sottolineare degnamente i primi sei mesi di attività della Migros Lugano Centro totalmente ristrutturata, abbiamo allestito un ricco calendario di offerte e attività che si protrarranno ogni giorno fino a venerdì 30 giu-

gno. Oltre ad un grandissimo concorso che mette in palio una fiammante Seat Ibiza del valore di 20’000 franchi – a cui potete partecipare compilando e imbucando in negozio il tagliando a lato – sono previste incredibili promozioni anche nei più disparati settori, dai giocattoli al reparto carne e pesce, dal reparto frutta e verdura ai coloniali, passando per il melectronics fino al De Gustibus; senza dimenticare alcune giornate con la ruota della fortuna dove potreste vincere la vostra spesa quotidiana. Venite a trovarci e approfittatene!

NPA/località

Telefono

Imbuca questo tagliando nell’apposita urna presso il supermercato Migros di Lugano Centro (Piano –1) entro venerdì 30 giugno 2017. Condizioni di partecipazione: nessun obbligo d’acquisto, la partecipazione è riservata a maggiorenni, sono esclusi ricorsi a vie legali, non è prevista alcuna corrispondenza. I collaboratori di Migros Ticino sono esclusi dalla partecipazione. Il premio non può essere corrisposto in contanti.

Naturalmente buono Tagliando.indd 1

Pane al lievito naturale 300 g Fr. 3.90 In vendita dal lunedì al venerdì alla Migros Agno. Il ricavato delle vendita è interamente destinato alla Fondazione La Fonte

24.05.2017 16:33:2

Attualità La specialità di giugno della Fondazione

La Fonte è il «Pane al lievito naturale»

Flavia Leuenberger

A Migros Agno ogni mese un pane diverso della Fondazione La Fonte

Gusto deciso, fragranza inconfondibile, ottima digeribilità e lunga conservazione: queste sono le particolarità che rendono ineguagliabile il pane proposto questo mese dalla Fondazione La Fonte al supermercato Migros di Agno. Ma il «Pane al lievito naturale» si distingue anche per la mollica ariosa e soffice, risultato dall’impiego nell’impasto di pregiato lievito madre. Grazie alle sue caratteristiche, questo pane è ideale e versatile durante la calda stagione: accompagna magnificamente affettati e formaggi di tutti i tipi per un fresco

aperitivo, non disdegna le croccanti insalatone ed è ottimo anche per preparare deliziosi sandwich da portare con sé durante le scampagnate fuoriporta. Il «Pane al lievito naturale» sarà disponibile solo fino al 30 giugno al reparto pane di Migros Agno, dal lunedì al venerdì. Tutte le specialità mensili della Fondazione La Fonte sono prodotte nel loro laboratorio di Agno in cui, con perizia e sapienza, tre panettieri qualificati con il contributo di alcuni utenti a beneficio di una rendita d’invalidità sfornano pane gustoso e fragrante.


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Idee e acquisti per la settimana

M-Classic

Pronta da servire

*Azione 20% di sconto su tutte le salse per insalata non refrigerate di M-Classic dal 6 al 12 giugno

M-Classic French Dressing 700 ml Fr. 2.05* invece di 2.60

Con un’insalata già lavata e pronta da condire con una delle salse M-Classic e l’aggiunta di qualche verdura ed erba aromatica, si può approntare in un istante un’insalatiera ricca di vitamine.

Spesso a mezzogiorno si è così di fretta che quasi non si ha neppure il tempo per preparare un’insalata. Per fortuna ci sono le insalate pronte da servire di M-Classic e i relativi condimenti. Con qualche ingrediente ricco di proteine, come tonno, formaggio, fagioli, mais o uova, magari accompagnato da un panino integrale, l’insalata diventa un pasto completo. Consigli per la spesa della famiglia: L’insalata Iceberg di M-Classic è ora disponibile anche in confezione maxi da 400 grammi.

M-Classic Joghurt Dressing 700 ml Fr. 3.10* invece di 3.90

M-Classic Insalata Iceberg 400 g Fr. 3.80

M-Classic Lattuga cappuccio 220 g Fr. 3.90


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Idee e acquisti per la settimana

Piacere del gusto

Il tocco viene dai germogli

Per giugno i panettieri delle filiali Migros hanno deciso di creare un «Pane del mese» davvero speciale: una soffice pagnotta Vital con germogli di frumento. Si distingue per il sua pronunciata fragranza di pane e per la sottile crosta croccante

Maggiori informazioni sul gusto: www.piacere-delgusto.ch

Serie Il sapore del Pane del mese A giugno: Pane Vital

Testo Jacqueline Vinzelberg

Denis Züger fa il panettiere nella filiale Migros Schweizerhof di Lucerna. È uno dei circa 900 panettieri che più volte al giorno sfornano pane in una delle 130 panetterie di filiale. Grazie a loro, in ogni angolo del Paese c’è sempre il pane fresco.

La sorpresa di questo pane bianco sta nei germogli di frumento freschi integrati nell’impasto. Non solo contengono vitamine preziose e aminoacidi essenziali, ma influenzano anche il gusto. Accentuano, infatti, il già intenso aroma di pane ed emanano una lieve nota acidula. Un altro tratto caratteristico è la piacevole umidità della mollica, soffice e dalla grossa alveolatura. È questo il motivo per cui resta fresco a lungo. Grazie al suo sapore equilibrato il pane Vital è adatto per abbinamenti sia dolci che salati. L’ideale è una combinazione di entrambi, come ad esempio con formaggio dell’alpe e fragole.

Denis Züger (29 anni)

«Nel pane si riconosce la mano del panettiere» Cosa le piace del Suo mestiere? Mi piace molto lavorare con le mani e di conseguenza del mio mestiere mi piace l’aspetto artigianale. Inoltre l’attività è molto variegata. Non c’è un giorno uguale all’altro. Perché il lavoro manuale è così importante per fare il pane? Nel pane si riconosce la mano del panettiere. L’arte trasmessa da una generazione all’altra è decisiva per la forma, l’aroma, il volume e la freschezza del pane.

Consiglio per servirlo

I nostri esperti di Migusto hanno assaggiato il pane Vital e raccomandano il seguente abbinamento:

Che tipo di pane preferisce? Il Pane Bio della fattoria del sole. Ha un aroma delicato e si conserva bene fresco. Lo preferisco con formaggio e prosciutto crudo. Mi piace molto anche a colazione con burro e miele.

Foto Veronika Studer (food); Consiglio di portata Regula Brodbeck

Formaggio d’alpe e fragole Farcite le fette di pane con formaggio dell’alpe e fragole tagliate a fette sottili. A piacere, insaporite con un po’ di pepe e guarnite con qualche foglia di menta.

Quale pane inventerebbe? Il pane «due in uno». Ossia due tipi di pane uniti in un’unica pagnotta. Così avremmo una nuova varietà senza allargare l’assortimento.

I cereali TerraSuisse provengono sempre da agricoltura svizzera sostenibile, che crea spazi vitali per gli animali selvatici e le piante rare. Si rinuncia all’uso di diverse sostanze chimiche. Parte di

Nel suo impegno a favore della sostenibilità, la Migros è da generazioni in anticipo sui tempi.

Pane Vital 360 g Fr. 3.20 Disponibile in tutte le filiali Migros con annessa panetteria


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Idee e acquisti per la settimana

Piacere del gusto

Il tocco viene dai germogli

Per giugno i panettieri delle filiali Migros hanno deciso di creare un «Pane del mese» davvero speciale: una soffice pagnotta Vital con germogli di frumento. Si distingue per il sua pronunciata fragranza di pane e per la sottile crosta croccante

Maggiori informazioni sul gusto: www.piacere-delgusto.ch

Serie Il sapore del Pane del mese A giugno: Pane Vital

Testo Jacqueline Vinzelberg

Denis Züger fa il panettiere nella filiale Migros Schweizerhof di Lucerna. È uno dei circa 900 panettieri che più volte al giorno sfornano pane in una delle 130 panetterie di filiale. Grazie a loro, in ogni angolo del Paese c’è sempre il pane fresco.

La sorpresa di questo pane bianco sta nei germogli di frumento freschi integrati nell’impasto. Non solo contengono vitamine preziose e aminoacidi essenziali, ma influenzano anche il gusto. Accentuano, infatti, il già intenso aroma di pane ed emanano una lieve nota acidula. Un altro tratto caratteristico è la piacevole umidità della mollica, soffice e dalla grossa alveolatura. È questo il motivo per cui resta fresco a lungo. Grazie al suo sapore equilibrato il pane Vital è adatto per abbinamenti sia dolci che salati. L’ideale è una combinazione di entrambi, come ad esempio con formaggio dell’alpe e fragole.

Denis Züger (29 anni)

«Nel pane si riconosce la mano del panettiere» Cosa le piace del Suo mestiere? Mi piace molto lavorare con le mani e di conseguenza del mio mestiere mi piace l’aspetto artigianale. Inoltre l’attività è molto variegata. Non c’è un giorno uguale all’altro. Perché il lavoro manuale è così importante per fare il pane? Nel pane si riconosce la mano del panettiere. L’arte trasmessa da una generazione all’altra è decisiva per la forma, l’aroma, il volume e la freschezza del pane.

Consiglio per servirlo

I nostri esperti di Migusto hanno assaggiato il pane Vital e raccomandano il seguente abbinamento:

Che tipo di pane preferisce? Il Pane Bio della fattoria del sole. Ha un aroma delicato e si conserva bene fresco. Lo preferisco con formaggio e prosciutto crudo. Mi piace molto anche a colazione con burro e miele.

Foto Veronika Studer (food); Consiglio di portata Regula Brodbeck

Formaggio d’alpe e fragole Farcite le fette di pane con formaggio dell’alpe e fragole tagliate a fette sottili. A piacere, insaporite con un po’ di pepe e guarnite con qualche foglia di menta.

Quale pane inventerebbe? Il pane «due in uno». Ossia due tipi di pane uniti in un’unica pagnotta. Così avremmo una nuova varietà senza allargare l’assortimento.

I cereali TerraSuisse provengono sempre da agricoltura svizzera sostenibile, che crea spazi vitali per gli animali selvatici e le piante rare. Si rinuncia all’uso di diverse sostanze chimiche. Parte di

Nel suo impegno a favore della sostenibilità, la Migros è da generazioni in anticipo sui tempi.

Pane Vital 360 g Fr. 3.20 Disponibile in tutte le filiali Migros con annessa panetteria


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Idee e acquisti per la settimana

Tipi di pomodori

Menta Gli oli essenziali della menta trasmettono ai pomodori ramati un pizzico di freschezza, che ne esalta ulteriormente il gusto acidulo.

Piacere del gusto

Così rossi, così diversi I tempi in cui i pomodori erano tutti rossi e rotondi sono ormai lontani. Alla Migros ce ne sono di ogni forma e colore. Vi spieghiamo come abbinare nel modo migliore i vari tipi di pomodori

Succosi e onnipresenti

Maggiori informazioni sul gusto: www.piacere-delgusto.ch

Con i loro variegati profili aromatici, i pomodori sono estremamente versatili. Quelli particolarmente dolci sono addirittura usati dai pasticceri per preparare torte e salse chutney.

Foto Veronika Studer/Flavia Leuenberger

I pomodorini ciliegini misti sono dolci come lo zucchero e hanno vari colori. Sono onnipresenti nella cucina estiva: dalle insalate ai piatti di pasta.

Parmigiano Vigoroso, salato e leggermente agro-dolce: con il suo largo spettro di aromi questo formaggio a pasta dura si abbina perfettamente all’acidità dei pomodori ramati.

Vedat Guner, responsabile del reparto Frutta & Verdura della filiale Migros di Lugano, sa fare bene il proprio mestiere.

Vedat Guner

«Un cioccolatino dell’orto»

Il delizioso pomodoro Intense nostrano mantiene colore e struttura anche dopo cottura. È particolarmente buono grigliato brevemente.

Olive Il sapore salato-terroso delle olive arricchisce la dolcezza fruttata dei pomodori carnosi.

La specialista di ortaggi Vedat Guner sa tutto sui pomodori, che gli piacciono talmente tanto da mangiarli ogni giorno

Vedat Guner, quante varietà di pomodori offrite nella vostra filiale di Lugano?

Attualmente abbiamo all’incirca una decina di tipi diversi di pomodori. Alcuni sono già confezionati, ideali per uno spuntino al volo. Alcune varietà li proponiamo anche in versione biologica. Qual è la differenza tra i datterini e i ciliegini?

Secondo me, i pomodorini datterini sono più saporiti. Il gusto dolce e la forma bislunga fanno sì che siano molto presenti ai party, come se fossero dei cioccolatini dell’orto. I ciliegini sono i pomodori più piccoli, hanno un alto contenuto di zucchero. Un sugo fatto in casa ha un gusto speciale. Quali sono i pomodori più adatti?

Per un buon sugo sono particolarmente appropriati i San Marzano e i cosiddetti pomodori carnosi. Chi invece desi-

dera preparare una salsa chutney o del ketchup fatto in casa può senz’altro usare anche i ciliegini. Qual è il modo corretto per conservare i pomodori?

La temperatura di conservazione ottimale si situa fra i 12 e i 16°, perciò i pomodori non dovrebbero stare in frigorifero. È inoltre importante che non siano conservati assieme ad altra frutta e verdura. I pomodori, infatti, rilasciano gas etilene, responsabile del processo di maturazione. Ciò potrebbe velocizzare la maturazione di altri ortaggi e frutti. Quale varietà le piace di più?

Sicuramente i ciliegini. Li mangio spesso tra un pasto e l’altro oppure in insalata. Come preferisce mangiare i pomodori?

Adoro l’insalata caprese. I pomodori più grossi li taglio a fette sottili, mentre i ciliegini li taglio a metà. E per la pasta mi piace preparare un buon sugo al pomodoro fatto con i San Marzano della regione.

Basilico Pepato ed aromatico, un po’ come il mentolo, il basilico aiuta i datterini – piuttosto dolci – ad avere un gusto più corposo.

Prezzemolo I pomodori carnosi sono dei veri e propri pesi massimi, anche dal punto di vista aromatico. Abbinati a un partner come il prezzemolo, acquisiscono un sapore leggermente aspro e terroso.

I pomodori ciliegini o cherry ramati sono molto versatili nella cucina estiva: da soli, nelle insalate oppure per i piatti di pasta.

Lamponi Il sapore acidulo-fruttato dei lamponi incontra l’aroma dolce-salato dei pomodori datterini. Ed entrambi ne guadagnano. Dalla forma allungata, i San Marzano Mini sono proposti da Migros con l’etichetta «Sélection». Ottimi per sughi, chutney e insalate.


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Idee e acquisti per la settimana

Tipi di pomodori

Menta Gli oli essenziali della menta trasmettono ai pomodori ramati un pizzico di freschezza, che ne esalta ulteriormente il gusto acidulo.

Piacere del gusto

Così rossi, così diversi I tempi in cui i pomodori erano tutti rossi e rotondi sono ormai lontani. Alla Migros ce ne sono di ogni forma e colore. Vi spieghiamo come abbinare nel modo migliore i vari tipi di pomodori

Succosi e onnipresenti

Maggiori informazioni sul gusto: www.piacere-delgusto.ch

Con i loro variegati profili aromatici, i pomodori sono estremamente versatili. Quelli particolarmente dolci sono addirittura usati dai pasticceri per preparare torte e salse chutney.

Foto Veronika Studer/Flavia Leuenberger

I pomodorini ciliegini misti sono dolci come lo zucchero e hanno vari colori. Sono onnipresenti nella cucina estiva: dalle insalate ai piatti di pasta.

Parmigiano Vigoroso, salato e leggermente agro-dolce: con il suo largo spettro di aromi questo formaggio a pasta dura si abbina perfettamente all’acidità dei pomodori ramati.

Vedat Guner, responsabile del reparto Frutta & Verdura della filiale Migros di Lugano, sa fare bene il proprio mestiere.

Vedat Guner

«Un cioccolatino dell’orto»

Il delizioso pomodoro Intense nostrano mantiene colore e struttura anche dopo cottura. È particolarmente buono grigliato brevemente.

Olive Il sapore salato-terroso delle olive arricchisce la dolcezza fruttata dei pomodori carnosi.

La specialista di ortaggi Vedat Guner sa tutto sui pomodori, che gli piacciono talmente tanto da mangiarli ogni giorno

Vedat Guner, quante varietà di pomodori offrite nella vostra filiale di Lugano?

Attualmente abbiamo all’incirca una decina di tipi diversi di pomodori. Alcuni sono già confezionati, ideali per uno spuntino al volo. Alcune varietà li proponiamo anche in versione biologica. Qual è la differenza tra i datterini e i ciliegini?

Secondo me, i pomodorini datterini sono più saporiti. Il gusto dolce e la forma bislunga fanno sì che siano molto presenti ai party, come se fossero dei cioccolatini dell’orto. I ciliegini sono i pomodori più piccoli, hanno un alto contenuto di zucchero. Un sugo fatto in casa ha un gusto speciale. Quali sono i pomodori più adatti?

Per un buon sugo sono particolarmente appropriati i San Marzano e i cosiddetti pomodori carnosi. Chi invece desi-

dera preparare una salsa chutney o del ketchup fatto in casa può senz’altro usare anche i ciliegini. Qual è il modo corretto per conservare i pomodori?

La temperatura di conservazione ottimale si situa fra i 12 e i 16°, perciò i pomodori non dovrebbero stare in frigorifero. È inoltre importante che non siano conservati assieme ad altra frutta e verdura. I pomodori, infatti, rilasciano gas etilene, responsabile del processo di maturazione. Ciò potrebbe velocizzare la maturazione di altri ortaggi e frutti. Quale varietà le piace di più?

Sicuramente i ciliegini. Li mangio spesso tra un pasto e l’altro oppure in insalata. Come preferisce mangiare i pomodori?

Adoro l’insalata caprese. I pomodori più grossi li taglio a fette sottili, mentre i ciliegini li taglio a metà. E per la pasta mi piace preparare un buon sugo al pomodoro fatto con i San Marzano della regione.

Basilico Pepato ed aromatico, un po’ come il mentolo, il basilico aiuta i datterini – piuttosto dolci – ad avere un gusto più corposo.

Prezzemolo I pomodori carnosi sono dei veri e propri pesi massimi, anche dal punto di vista aromatico. Abbinati a un partner come il prezzemolo, acquisiscono un sapore leggermente aspro e terroso.

I pomodori ciliegini o cherry ramati sono molto versatili nella cucina estiva: da soli, nelle insalate oppure per i piatti di pasta.

Lamponi Il sapore acidulo-fruttato dei lamponi incontra l’aroma dolce-salato dei pomodori datterini. Ed entrambi ne guadagnano. Dalla forma allungata, i San Marzano Mini sono proposti da Migros con l’etichetta «Sélection». Ottimi per sughi, chutney e insalate.


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Idee e acquisti per la settimana

Ice Tea

Rinfrescante alle erbe I nuovi tè freddi Organic, realizzati con una miscela di tè alle erbe, si differenziano dai tè freddi tradizionali. Le varietà Organic frutti e erbe e Organic erbe e fiori di tiglio contengono zucchero. Assolutamente senza zucchero è invece la varietà alle erbe delle Alpi, un ottimo consiglio per tutti coloro che gradiscono il tè freddo non zuccherato. Le nuove bevande fredde vengono preparate di volta in volta con vere erbe da infusione e con frutti. Sono disponibili in bottiglie di 50 cl in PET, pratiche da portare con sé.

Organic Ice Tea, Tè freddo alla frutta e alle erbe aromatiche 50 cl* Fr. 1.20

Organic Ice Tea, Tè freddo alle erbe alpine, senza zucchero 50 cl* Fr. 1.20

Organic Ice Tea, Tè freddo alle erbe e tiglio 50 cl* Fr. 1.20

*Nelle maggiori filiali

Il nuovo Organic Ice Tea alle erbe offre un’esperienza rinfrescante.

M-Industria crea molti prodotti Migros. Tra questi c’è anche l’Organic Ice Tea.


Azione 40%

20%

3.20 invece di 5.40

2.80 invece di 3.50

Albicocche Spagna/Francia, al kg

25%

4.65 invece di 6.20 Fragole Svizzera, vaschetta da 500 g

15% Grana Padano per es. in bustina, grattugiato, 120 g, 1.85 invece di 2.20

Fettine di pollo à la minute Optigal Svizzera, imballate, per 100 g

35%

2.95 invece di 4.70 Lamponi Spagna/Portogallo, vaschetta da 250 g

50% Tutti i tipi di Aproz e Aproz Plus in conf. da 6, 6 x 1,5 l e 6 x 1 l per es. Aproz Classic, 6 x 1,5 l, 2.85 invece di 5.70

Migros Ticino Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli M-Budget e quelli già ridotti. OFFERTE VALIDE SOLO DAL 6.6 AL 12.6.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

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2.30 invece di 2.90 Insalata Alice Anna’s Best conf. da 250 g

40% Carta igienica Hakle in confezioni speciali, FSC per es. pulizia generosa, 24 rotoli, 15.– invece di 25.05, offerta valida fino al 19.6.2017


. to a rc e m l a e m o c a z z e h c La fres 40%

3.45 invece di 5.75

Consiglio

Filetto di maiale TerraSuisse per 100 g

30%

33%

3.35 invece di 4.80

6.10 invece di 9.30

Bistecche di manzo TerraSuisse Svizzera, imballate, per 100 g

Luganighetta Svizzera, conf. da 2 x 250 g / 500 g

MAIS ALLA GRIGLIA CON TOPPING Le pannocchie grigliate sono un evergreen. Dorate e croccanti, diventano ancora più gustose se accompagnate da topping diversi, per esempio a base di formaggio e mandorle o di pancetta e cipolle. Trovate la ricetta su migusto.ch, e tutti gli ingredienti freschi alla vostra Migros.

25%

5.85 invece di 7.80 Pannocchie di mais Anna’s Best con 4 porta pannocchie in conf. da 2 al kg

30% Petto di pollo affettato finemente e affettato di pollame M-Classic in conf. speciale per es. petto di pollo affettato finemente, Brasile, 187 g, 3.90 invece di 5.60

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1.60 invece di 2.30 Pancetta da grigliare affettata TerraSuisse in conf. speciale per 100 g

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30% Cosce di pollo Optigal in conf. speciale al naturale o condite, Svizzera, per es. al naturale, al kg, 9.– invece di 13.–

30%

6.15 invece di 8.80 Mostbröckli dell’Appenzello affettato finemente in conf. speciale Svizzera, per 100 g

30%

1.45 invece di 2.10 Costolette di maiale Svizzera, conf. da 4 pezzi, per 100 g

50%

9.40 invece di 18.80 Prosciutto crudo di Parma Ferrarini Italia, affettato, vaschetta da 2 x 90 g / 180 g

35%

9.95 invece di 15.60 Hamburger di vitello Svizzera, conf. da 4 x 100 g / 400 g

30% Filetti di salmone con e senza pelle per es. senza pelle, d’allevamento, Norvegia, per 100 g, 3.20 invece di 4.60

30%

9.– invece di 13.10 Cordon bleu di pollo prodotti in Svizzera con carne di pollo dal Brasile/ Argentina, conf. da 4 x 150 g / 600 g


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Filetto di maiale TerraSuisse per 100 g

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Bistecche di manzo TerraSuisse Svizzera, imballate, per 100 g

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MAIS ALLA GRIGLIA CON TOPPING Le pannocchie grigliate sono un evergreen. Dorate e croccanti, diventano ancora più gustose se accompagnate da topping diversi, per esempio a base di formaggio e mandorle o di pancetta e cipolle. Trovate la ricetta su migusto.ch, e tutti gli ingredienti freschi alla vostra Migros.

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22.50 invece di 30.10

3.30 invece di 5.50

San Gottardo Prealpi prodotto in Ticino, in self-service, al kg

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33%

1.75 invece di 2.65 Gnocchi freschi Di Lella conf. da 500 g

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3.80 invece di 4.70 Formaggio fresco Cantadou in conf. da 2 2 x 125 g

Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 6.6 AL 12.6.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

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30%

2.70 invece di 3.90

5.50 invece di 6.90

Büscion di capra prodotti in Ticino, conf. da 2 x 150 g

–.90

1.30 invece di 2.20

20%

25%

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Ciliegie bio Spagna, conf. da 500 g

Pomodori a grappolo Ticino, al kg

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3.75 invece di 5.40 Mozzarella Galbani in conf. da 3 3 x 150 g

20% Tutti i tipi di crème fraîche per es. Valflora al naturale, 200 g, 2.– invece di 2.55

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3.50 invece di 5.90 Funghi prataioli Svizzera, imballati, 500 g

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2.30 invece di 2.90 öv nostrán (uova nostrane d’allevamento al suolo) Ticino, conf. da 6 pezzi, 53 g+


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. a z n ie n e v n o c a ll e d Il bello – .5 0

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Consiglio

Tutti i tipi di pane Pain Création per es. baguette alle olive, 380 g, 3.40 invece di 3.90

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25% La Pizza in conf. da 2 per es. 4 stagioni, 2 x 420 g, 11.20 invece di 15.–

conf. da 2

15% Blévita in conf. da 2 con contenitore in omaggio, disponibili in diverse varietà, per es. al sesamo, 2 x 228 g, 5.65 invece di 6.70

ACCOPPIATA ESTIVA Il modo migliore di gustare i leckerli in estate è insieme a una bibita rinfrescante, per esempio un drink ai ribes e alla menta servito con tanto ghiaccio tritato. Trovate la ricetta su migusto.ch, e tutti gli ingredienti freschi alla vostra Migros.

20% Tutte le torte non refrigerate per es. torta di Linz M-Classic, 400 g, 2.40 invece di 3.–

Hit

10.60

Leckerli finissimi 1,3 kg

20% Tutte le millefoglie per es. M-Classic, 2 pezzi, 2 x 110 g, 2.30 invece di 2.90

OFFERTE VALIDE SOLO DAL 6.6 AL 12.6.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

20% Tutti gli yogurt bio (yogurt di latte di pecora esclusi), per es. al naturale, 180 g, –.45 invece di –.60

conf. da 2

20% Oh! Yogurt Greek Style in conf. da 2 per es. mirtilli-vaniglia, 2 x 170 g, 2.95 invece di 3.70

a partire da 2 pezzi

– .5 0

di riduzione l’uno Tutte le salse Agnesi a partire da 2 pezzi, –.50 di riduzione l’uno, per es. al basilico, 400 g, 2.40 invece di 2.90

30%

5.35 invece di 7.65 Crocchette di rösti Delicious in conf. speciale surgelate, 1 kg

20% Tutte le salse per insalate e le vinaigrette già pronte non refrigerate per es. French Dressing M-Classic, 700 ml, 2.05 invece di 2.60

30% Farina bianca TerraSuisse 1 kg o in conf. da 4, 4 x 1 kg, per es. 1 kg, 1.25 invece di 1.85

a partire da 3 pezzi

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Tutti i tipi di caffè, in chicchi e macinato a partire da 3 pezzi, 33% di riduzione

a partire da 2 confezioni

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Tutti i biscotti in rotoli a partire da 2 confezioni, 40% di riduzione


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20% Tutte le noci e le miscele di noci Sun Queen Premium salate per es. noci di anacardi, 170 g, 3.20 invece di 4.–

Cartucce Brita, M-Classic e Cucina & Tavola in conf. da 3 per es. Brita Classic, 3 x 2 pezzi, 23.70 invece di 35.60, offerta valida fino al 19.6.2017

Tutti gli Ice Tea in bottiglie di PET in conf. da 6, 6 x 1,5 l per es. all’aroma di limone, 4.05 invece di 8.10

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20% Snacketti o Graneo Zweifel in conf. da 2 per es. Paprika Shells Snacketti, 2 x 75 g, 3.10 invece di 3.90

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Barrette Mars, Snickers e Twix in conf. da 12 10 pezzi + 2 gratis, per es. Snickers, 12 x 50 g, 4.30 invece di 5.15

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20% Tutto l’assortimento Kellogg’s per es. Special K Classic, 500 g, 3.80 invece di 4.75

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Tutto il cioccolato Ragusa e Torino per es. Torino al latte, 5 x 23 g, 3.50

1.50

di riduzione Tutti i detergenti Potz in conf. da 2 per es. Calc, 2 x 1 l, 8.30 invece di 9.80, offerta valida fino al 19.6.2017

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9.– invece di 18.– MegaStar in conf. da 12 alla mandorla, alla vaniglia e al cappuccino, surgelati, per es. alla mandorla, 12 x 120 ml

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33% Tavolette di cioccolato Frey da 200 g in conf. da 3, UTZ disponibili in diverse varietà, per es. al latte finissimo, 3 x 200 g, 7.80 invece di 11.70

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15% Detersivi per i piatti Handy in conf. da 3 per es. Classic, 3 x 750 ml, 4.55 invece di 5.40, offerta valida fino al 19.6.2017

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20% Detersivi per capi delicati Yvette in conf. da 2 per es. Fibre Fresh in busta di ricarica, 2 x 2 l, 17.80 invece di 22.40, offerta valida fino al 19.6.2017


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Altre offerte. Pesce, carne e pollame

Fiori e piante

Olio per il corpo Bi-Oil, 60 ml e 125 ml, per es. 60 ml, 13.– Novità **

Near Food/Non Food

Lozioni per il corpo Nivea Sensual, Cherry Blossom e Vanilla, per es. Cherry Blossom, 200 ml, 4.50 Novità **

Salmone affumicato al limone bio in conf. speciale, d’allevamento, Norvegia, 200 g, 13.30 invece di 19.– 30%

Bouquet di peonie Linda, rosa, il mazzo, 14.90 Hit

Tutto l’assortimento di alimenti per gatti Selina, per es. stick per gatti con trota e salmone, 6 x 6 g, 1.55 invece di 1.95 20%

Altri alimenti

Pane e latticini

30% Tutto l’abbigliamento da donna e da uomo (intimo, calzetteria, borse, cinture e articoli SportXX esclusi), per es. abito da donna, royal, tg. M, 24.35 invece di 34.80

30% Tutto l’assortimento di borse e valigie e di accessori da viaggio Travel Shop per es. trolley Titan Go, a 4 ruote, 68 cm, antracite, 68.60 invece di 98.–, offerta valida fino al 19.6.2017

Toast soleil TerraSuisse, 500 g, 1.60 invece di 2.40 30% dall’8.6 al 10.6.2017

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Novità

Tutti i fagioli, i piselli e le taccole (Alnatura esclusi), surgelati, per es. fagiolini Farmer’s Best, 750 g, 2.85 invece di 3.60 20% Tutti i biscotti in rotoli, a partire da 2 confezioni 40%

Fetta di torta di yogurt alla greca Sélection, 135 g, 3.90 Novità ** Docciaschiuma Raspberry Rhubarb Nivea, 200 ml, 3.50 Novità **

**Offerta valida fino al 19.6 Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 6.6 AL 12.6.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

Da giovedì 8.6 fino a sabato 10.6.2017 conf. da 3

Tutto l’assortimento Covergirl a partire da 2 pezzi, 40% di riduzione

Prodotti Axe in confezioni multiple per es. gel doccia Africa in conf. da 3, 3 x 250 ml, 8.40 invece di 10.50, offerta valida fino al 19.6.2017

5.90 invece di 11.80 Piatto per il grill Rapelli Svizzera, 505 g, offerta valida dall’8.6 al 10.6.2017

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RAM da 8 GB, SSD da 128 GB

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111.– invece di 199.– Huawei Mediapad T1 silver schermo da 10", Wi-Fi, 16 GB di memoria, il pezzo, offerta valida fino al 19.6.2017

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Tutto l’assortimento Hygo WC a partire da 2 pezzi, 50% di riduzione

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Maglia lunga da donna Ellen Amber, Bio Cotton disponibile in diversi colori e misure, per es. rosa antico, tg. M, offerta valida fino al 19.6.2017

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Processore Intel Core™ i3-7100U (2,4 GHz), Wi-Fi AC, 1 presa HDMI, 1 presa USB 3.1 tipo C, Windows 10, fino a 11 ore di autonomia – 7981.726

Processore Intel® Atom™ x3-C3200RK (fino a 1,2 GHz), RAM da 1 GB, webcam, lettore di schede, Bluetooth® 4.0, Miracast™, Android 5.1.1 (Lollipop) – 7981.222

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 6 giugno 2017 • N. 23

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Idee e acquisti per la settimana

Delizio

Il sapore dell’Italia Azione 20X Punti Cumulus per Delizio Edizione Italiana fino al 12 giugno

Il caffè è un piacere in Italia e Delizio propone le apprezzate varietà Espresso, Ristretto e Lungo in qualità di gusto ben differenziate e riconoscibili nella sua nuova linea «Edizione Italiana». I chicchi di caffè, durante il processo di torrefazione, subiscono la fase di tostatura: quelli di «Edizione italiana» hanno un grado di tostatura più scuro, che rafforza il sapore del caffè, rendendo «Edizione Italiana» sorprendente soprattutto per l’aroma intenso ed il gusto deciso di Espresso e Ristretto. Concorso: Vincete un viaggio in una città italiana e altri allettanti premi www.migros.ch/concorso-caffe

Delizio Edizione italiana Espresso 12 capsule Fr. 5.30

Delizio Edizione italiana Ristretto 12 capsule Fr. 5.30 Nelle maggiori filiali

Espresso Pronunciati aromi di torrefazione con componenti aromatiche di cacao scuro, malto scuro, pepe nero e peperoncino. Intensità 4/5

Assieme ad Espresso, Ristretto e Lungo in Italia spesso si servono i cantucci o gli amaretti.

Ristretto Cremoso e piacevolmente persistente al palato; aroma intenso di affumicamento; schiuma marrone, densa e cremosa. Intensità 5/5

Lungo Note dolciastre di liquirizia, mandorla e marzapane; acidità moderata; gusto piacevolmente persistente e armonioso. Intensità 3/5

Delizio Edizione italiana Lungo 12 capsule Fr. 5.30

M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche i caffè Delizio.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 6 giugno 2017 • N. 23

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Idee e acquisti per la settimana

Diego Bryner, direttore della Divisione Nutrizionale del Gruppo Mibelle, fa simbolicamente scorta di margarina Kokos. Come cuoco qualificato ne apprezza l’aroma quando prepara i dolci.

Azione 20X Punti Cumulus sulla margarina Kokos dal 6 al 19 giugno

Diego Bryner

«Questa margarina è una vera novità»

Ora alla Migros troverete la prima margarina a base di noce di cocco prodotta in Svizzera. Diego Bryner, direttore della Divisione Nutrizione del Gruppo Mibelle, racconta gli sforzi aziendali necessari a produrre la prima margarina senza olio di palma Testo Dora Horvath; Foto Daniel Winkler

Che sapore ha la nuova margarina Kokos?

È molto buona. Mi piace il suo aroma di cocco, raffinato e discreto, che deriva dall’olio di noce cocco pressato a freddo. A chi la raccomanda?

A tutti coloro che per la prima colazione amano spalmare qualcosa sul pane oppure vogliono cuocere al forno e cucinare con la margarina al posto del burro. Inoltre, è adatta ai vegani e alle persone intolleranti al lattosio o allergiche alle proteine del latte. Per quanto riguarda la versatilità, la margarina di noce di cocco tiene il passo in tutto e per tutto con il resto del nostro assortimento di margarine. Io preferisco la margarina soprattutto per cuocere prodotti da forno. Perché è così speciale?

Si tratta di una novità assoluta per ben due ragioni. È la prima margarina a base di noce di cocco della Svizzera ed è anche l’unica senza olio di palma. Oltre a un 38 percento d’olio di colza svizzero, contiene il 26 percento di grassi di cocco idrogenati (induriti) e un cinque percento di olio di noce di cocco biologico pressato a freddo. Cosa sono i grassi di cocco idrogenati?

A temperatura ambiente, solo il grasso di palma mantiene una consistenza compatta come quella del burro. Per questo motivo viene spesso usato per le margarine. Il grasso di noce di cocco, invece, ha un punto di fusione più basso di quello di palma. Quindi, per poterlo usare per produrre margarina bisogna prima indurirlo. Il grasso di cocco fonde già tra i 24 e i 26° centigradi, diventando olio (di cocco). Se lo usassimo senza prima indurirlo per produrre margarina, quest’ultima si liquefarebbe velocemen-

te una volta in tavola. Il grasso di cocco idrogenato è invece duro come il sasso. E mischiandolo con degli oli raggiunge la consistenza del burro. Perché la margarina Kokos arriva sul mercato solo adesso?

Francamente, abbiamo riflettuto a lungo se valesse la pena lanciare questa margarina. La nostra esitazione era dovuta ai pregiudizi riguardanti gli oli idrogenati. Molti consumatori continuano a confonderli con quelli parzialmente idrogenati, che qualche anno fa sono caduti in disgrazia poiché possono contenere acidi grassi trans. In realtà, però, il processo di indurimento non dà origine a grassi trans. Del resto, in linea di massima, gli oli parzialmente idrogenati non possono più essere impiegati nei prodotti Migros. Con 0,8 tonnellate per ettaro, l’olio di cocco ha una resa molto minore di quello di palma, che raggiunge una produttività di 3,7 tonnellate. Così facendo non si sposta semplicemente il problema della deforestazione su una specie vegetale che richiede una superficie agricola ancora maggiore?

In linea di principio si tratta di un’affermazione corretta, perché la palma da cocco viene coltivata nelle stesse zone o comunque in regioni con un ecosistema simile. Tuttavia, a differenza delle piantagioni di palme, si tratta di una coltura mista. Siccome il nostro fabbisogno è infinitesimale a livello mondiale, la nostra margarina di cocco non ha alcun impatto su un’ulteriore deforestazione. Una sostituzione globale dell’olio di palma con quello di cocco non avrebbe alcun senso e aggraverebbe addirittura il problema. È a causa della domanda relativamente bassa che la margarina di

cocco è più sostenibile di una fatta con olio di palma?

No. A causa dell’elevata resa delle piantagioni, l’olio di palma presenta un bilancio ecologico nettamente migliore di quello di altri oli. Tuttavia, ciò è vero solo nel caso in cui l’olio di palma sia coltivato ed estratto secondo gli standard della RSPO (Roundtable on Sustainable Palmoil). La margarina di cocco, però, soddisfa la preferenza di molti clienti per prodotti senza olio di palma.

Aha! Kokos Margarina senza latte, senza lattosio 200 g Fr. 2.95 Nelle maggiori filiali

Come viene garantita la produzione sostenibile di olio di noce di cocco?

Attualmente acquistiamo nelle Isole Salomone, l’arcipelago dei Mari del Sud, l’olio di cocco che usiamo per l’idrogenazione. Proviene da piantagioni la cui sostenibilità ambientale e rispetto degli standard di lavorazione sono verificati dall’organizzazione «The Forest Trust» (TFT). Per quanto riguarda l’olio di cocco, non esiste ancora un’etichetta di sostenibilità analoga, ad esempio, alla RSPO per l’olio di palma. Tuttavia, l’olio di cocco pressato a freddo che aggiungiamo a questa margarina corrisponde alle prescrizioni sul commercio equo di Max Havelaar ed è anche certificato con il marchio Migros Bio. Quest’olio proviene dallo Sri Lanka. E dove vi rifornite della materia prima usata per le margarine d’olio di palma?

Naturalmente, la prendiamo da piantagioni certificate, che attualmente si trovano perlopiù nelle Isole Salomone e a Papua Nuova Guinea. L’olio che se ne ricava reca l’etichetta RSPO. Migros è uno dei membri fondatori della RSPO con il WWF. Assieme hanno stabilito i criteri di sostenibilità. Inoltre, le piantagioni sono controllate dalla citata organizzazione TFT.

M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche la margarina Kokos.

Il V-Label dell’Unione vegetariana europea (EVU) certifica prodotti adatti ad un’alimentazione vegetariana o vegana. Tutti gli ingredienti e gli additivi sono vegetariani o vegani.

Il marchio aha! contrassegna quei prodotti particolarmente indicati in caso di intolleranze e allergie.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 6 giugno 2017 • N. 23

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Idee e acquisti per la settimana

Diego Bryner, direttore della Divisione Nutrizionale del Gruppo Mibelle, fa simbolicamente scorta di margarina Kokos. Come cuoco qualificato ne apprezza l’aroma quando prepara i dolci.

Azione 20X Punti Cumulus sulla margarina Kokos dal 6 al 19 giugno

Diego Bryner

«Questa margarina è una vera novità»

Ora alla Migros troverete la prima margarina a base di noce di cocco prodotta in Svizzera. Diego Bryner, direttore della Divisione Nutrizione del Gruppo Mibelle, racconta gli sforzi aziendali necessari a produrre la prima margarina senza olio di palma Testo Dora Horvath; Foto Daniel Winkler

Che sapore ha la nuova margarina Kokos?

È molto buona. Mi piace il suo aroma di cocco, raffinato e discreto, che deriva dall’olio di noce cocco pressato a freddo. A chi la raccomanda?

A tutti coloro che per la prima colazione amano spalmare qualcosa sul pane oppure vogliono cuocere al forno e cucinare con la margarina al posto del burro. Inoltre, è adatta ai vegani e alle persone intolleranti al lattosio o allergiche alle proteine del latte. Per quanto riguarda la versatilità, la margarina di noce di cocco tiene il passo in tutto e per tutto con il resto del nostro assortimento di margarine. Io preferisco la margarina soprattutto per cuocere prodotti da forno. Perché è così speciale?

Si tratta di una novità assoluta per ben due ragioni. È la prima margarina a base di noce di cocco della Svizzera ed è anche l’unica senza olio di palma. Oltre a un 38 percento d’olio di colza svizzero, contiene il 26 percento di grassi di cocco idrogenati (induriti) e un cinque percento di olio di noce di cocco biologico pressato a freddo. Cosa sono i grassi di cocco idrogenati?

A temperatura ambiente, solo il grasso di palma mantiene una consistenza compatta come quella del burro. Per questo motivo viene spesso usato per le margarine. Il grasso di noce di cocco, invece, ha un punto di fusione più basso di quello di palma. Quindi, per poterlo usare per produrre margarina bisogna prima indurirlo. Il grasso di cocco fonde già tra i 24 e i 26° centigradi, diventando olio (di cocco). Se lo usassimo senza prima indurirlo per produrre margarina, quest’ultima si liquefarebbe velocemen-

te una volta in tavola. Il grasso di cocco idrogenato è invece duro come il sasso. E mischiandolo con degli oli raggiunge la consistenza del burro. Perché la margarina Kokos arriva sul mercato solo adesso?

Francamente, abbiamo riflettuto a lungo se valesse la pena lanciare questa margarina. La nostra esitazione era dovuta ai pregiudizi riguardanti gli oli idrogenati. Molti consumatori continuano a confonderli con quelli parzialmente idrogenati, che qualche anno fa sono caduti in disgrazia poiché possono contenere acidi grassi trans. In realtà, però, il processo di indurimento non dà origine a grassi trans. Del resto, in linea di massima, gli oli parzialmente idrogenati non possono più essere impiegati nei prodotti Migros. Con 0,8 tonnellate per ettaro, l’olio di cocco ha una resa molto minore di quello di palma, che raggiunge una produttività di 3,7 tonnellate. Così facendo non si sposta semplicemente il problema della deforestazione su una specie vegetale che richiede una superficie agricola ancora maggiore?

In linea di principio si tratta di un’affermazione corretta, perché la palma da cocco viene coltivata nelle stesse zone o comunque in regioni con un ecosistema simile. Tuttavia, a differenza delle piantagioni di palme, si tratta di una coltura mista. Siccome il nostro fabbisogno è infinitesimale a livello mondiale, la nostra margarina di cocco non ha alcun impatto su un’ulteriore deforestazione. Una sostituzione globale dell’olio di palma con quello di cocco non avrebbe alcun senso e aggraverebbe addirittura il problema. È a causa della domanda relativamente bassa che la margarina di

cocco è più sostenibile di una fatta con olio di palma?

No. A causa dell’elevata resa delle piantagioni, l’olio di palma presenta un bilancio ecologico nettamente migliore di quello di altri oli. Tuttavia, ciò è vero solo nel caso in cui l’olio di palma sia coltivato ed estratto secondo gli standard della RSPO (Roundtable on Sustainable Palmoil). La margarina di cocco, però, soddisfa la preferenza di molti clienti per prodotti senza olio di palma.

Aha! Kokos Margarina senza latte, senza lattosio 200 g Fr. 2.95 Nelle maggiori filiali

Come viene garantita la produzione sostenibile di olio di noce di cocco?

Attualmente acquistiamo nelle Isole Salomone, l’arcipelago dei Mari del Sud, l’olio di cocco che usiamo per l’idrogenazione. Proviene da piantagioni la cui sostenibilità ambientale e rispetto degli standard di lavorazione sono verificati dall’organizzazione «The Forest Trust» (TFT). Per quanto riguarda l’olio di cocco, non esiste ancora un’etichetta di sostenibilità analoga, ad esempio, alla RSPO per l’olio di palma. Tuttavia, l’olio di cocco pressato a freddo che aggiungiamo a questa margarina corrisponde alle prescrizioni sul commercio equo di Max Havelaar ed è anche certificato con il marchio Migros Bio. Quest’olio proviene dallo Sri Lanka. E dove vi rifornite della materia prima usata per le margarine d’olio di palma?

Naturalmente, la prendiamo da piantagioni certificate, che attualmente si trovano perlopiù nelle Isole Salomone e a Papua Nuova Guinea. L’olio che se ne ricava reca l’etichetta RSPO. Migros è uno dei membri fondatori della RSPO con il WWF. Assieme hanno stabilito i criteri di sostenibilità. Inoltre, le piantagioni sono controllate dalla citata organizzazione TFT.

M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche la margarina Kokos.

Il V-Label dell’Unione vegetariana europea (EVU) certifica prodotti adatti ad un’alimentazione vegetariana o vegana. Tutti gli ingredienti e gli additivi sono vegetariani o vegani.

Il marchio aha! contrassegna quei prodotti particolarmente indicati in caso di intolleranze e allergie.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 6 giugno 2017 • N. 23

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 6 giugno 2017 • N. 23

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Idee e acquisti per la settimana

Migros Mania

I rischi della realtà virtuale

Virtual Reality (VR)

Una costruzione imponente

Come la realtà virtuale inganna il cervello 1. Display

Il 4° jolly in evidenza

Al centro commerciale Glatt si sta realizzando una M Migros alta 4,5 metri con i piccoli mattoncini della collezione Migros Mania. La costruzione può essere ammirata non solo sul posto, bensì anche tramite l’app Migros Play

Carrello della spesa

Testo Ralph Hofbauer; Foto Roger Hofstetter; Illustrazioni Mira Gisler

2. Lenti

La percezione spaziale della realtà è resa possibile dalla visione stereoscopica. In pratica l’occhio destro e sinistro vedono gli oggetti da un’angolazione leggermente diversa: da questa differenza il cervello calcola la posizione degli oggetti nello spazio. Gli occhiali VR simulano la differenza stereoscopica mostrando a ogni occhio un’immagine da una prospettiva leggermente diversa.

Le lenti biconvesse degli occhiali VR rendono possibile la visione di immagini nitide anche quando i display sono direttamente di fronte ai nostri occhi. Attraverso le lenti lo spazio virtuale sembra inoltre più lontano.

3. Occhi

Mercoledì 7 giugno è disponibile il mini carrello della spesa per la tua Migros. La collezione Migros Mania permette di costruire una filiale Migros personalizzata con i mattoncini compatibili con i Lego. Per poter fare gli acquisti sia nelle piccole che nelle grandi filiali, mercoledì 7 giugno è disponibile un carrello della spesa con due mattoncini (per ogni 60 franchi di spesa, massimo 3 pezzi).

Eventi nella virtual reality Lena e Malik posano le fondamenta della grande M di Migros. Sotto: il bozzetto della costruzione finita.

Virtualmente al Glatt La costruzione di una grande M al centro commerciale Glatt può essere seguita con l’app Migros Play (scaricabile gratuitamente da App Store Apple e da Google Play Store): concluso il progetto, un video realizzato in modalità accelerata mostrerà l’intera sequenza dei lavori. Anche gli spettacoli dal vivo che accompagnano la costruzione della grande M al centro commerciale Glatt possono essere comodamente seguiti da casa. Usando gli occhiali virtual reality della Migros le esibizioni regalano emozioni particolarmente intense: grazie ai video a 360 gradi si è infatti parte dell’evento anziché semplici spettatori. www.migrosmania.ch

Lena (6) e Malik (7) sono a casa, impegnati a costruire la loro filiale Migros con i mattoncini della Migros Mania. I mattoncini compatibili con i Lego con i quali stanno costruendo il negozio sono gli stessi che si trovano al centro commerciale Glatt. I mattoncini sono il materiale di costruzione della M Migros alta 4,5 metri che si sta realizzando al Glatt. Al termine dei lavori la grande M risulterà composta da oltre 250’000 mattoncini. Il progetto di costruzione si conclude l’8 luglio. Con l’app Migros Play sarà poi possibile visionare il video che illustra lo svolgimento dei lavori.

4. Il centro di controllo della vista

Quando nella realtà guardiamo un oggetto a distanza ravvicinata, la curvatura del cristallino aumenta (processo di accomodazione). Allo stesso tempo la direzione dello sguardo si concentra verso l’interno (processo di convergenza). Nella VR i due processi sono disgiunti: l’accomodazione non è infatti necessaria, dal momento che tutti gli oggetti presenti sugli schermi sono alla stessa distanza. Tuttavia gli occhi sono sottoposti a una forte convergenza, considerato che le immagini sui due schermi sono molto vicine tra loro.

5. Corteccia motoria

Gli occhiali VR modificano le impressioni visive in sincronia con i nostri movimenti. Anche quando ci muoviamo all’interno della VR, il controllo da parte della corteccia motoria risulta necessario. Le vie nervose collegate alla corteccia visiva, infatti, si coordinano con le impressioni visive sulla base della serie di movimenti che compiamo.

I nervi ottici trasmettono al cervello le immagini registrate dalla retina. È nel cervello, nella corteccia visiva, che i segnali provenienti dai due occhi si congiungono: da qui si genera l’illusione di trovarsi in un ambiente.

«Molti effetti non sono ancora stati studiati» Quale influsso ha la realtà virtuale (VR) sul nostro cervello? Dal momento che la tecnologia è ancora molto recente, attualmente non è possibile valutare in modo definitivo se un utilizzo prolungato della VR può influenzare lo sviluppo del cervello. E’ tuttavia dimostrato scientificamente che la VR ha un impatto sul cervello e che può influenzare il comportamento umano anche dopo aver lasciato l’ambiente VR. La VR è più rischiosa per i bambini che non per gli adulti? Molte indicazioni lo affermano, mancano tuttavia dati scientifici di conferma. Molti degli effetti della VR non sono ancora stati esaminati e di ciò i genitori devono essere consapevoli. Cosa consigliare alle persone che vogliono fare esperienza della VR? Di usare la VR con moderazione e di non trascurare le vere interazioni sociali.

6. Organo dell’equilibrio

II nostro organo dell’equilibrio è composto da sensori che orientano il cervello sulla posizione e i movimenti della testa. Il cervello riceve nel contempo informazioni dal centro di controllo della vista. Nella VR questi segnali sono a volte contrastanti: ciò può comportare vertigini e nausea. Per esempio durante una gara automobilistica VR, quando il senso della vista «suggerisce» che ci stiamo muovendo velocemente, mentre l’organo dell’equilibrio dice che siamo fermi.

Avvertenze di sicurezza nell’uso degli occhiali Migros VR: • Fate regolarmente delle pause. • Lasciate usare gli occhiali VR ai bambini solo sotto supervisione di un adulto. • Interrompete l’uso in caso di vertigini o di problemi agli occhi.

Esclusivi eventi dal vivo

Roadshow con borsa di scambio

La costruzione della grande M al centro Glatt è accompagnata da spettacoli dal vivo, tra i quali quello della band Schtärneföifi (7.06), dei clown Pepe & Tommy (14.06), del giocoliere Kaspar Tribelhorn (21.06) e del duo di cabaret Interrobang (28.06).

Dal 29 maggio all‘8 luglio in 21 filiali Migros si svolgono i roadshow della Migros Mania (dal 5 all’8 luglio a S. Antonino). La borsa di scambio permette il baratto delle ambite componenti della collezione. Informazioni dettagliate su www.migrosmania.ch

Il 5° jolly in evidenza: cassa con sedia

Partecipare e vincere Il concorso Migros Mania richiede creatività: chi costruisce la filiale Migros più originale? In palio un montepremi di oltre 5000.– franchi. Partecipa subito su www.migrosmania.ch

Chi vuole completare la collezione e la sua filiale Migros Mania segni in agenda il termine di mercoledì 14 giugno. In tale data sarà infatti disponibile una piccola cassa Migros abbinata alla sedia e a due mattoncini (per ogni 60 franchi di spesa, massimo 3 pezzi).

Michael Madary, neuroetico all’Unversità di Magonza e ricercatore sul tema VR.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 6 giugno 2017 • N. 23

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Idee e acquisti per la settimana

Migros Mania

I rischi della realtà virtuale

Virtual Reality (VR)

Una costruzione imponente

Come la realtà virtuale inganna il cervello 1. Display

Il 4° jolly in evidenza

Al centro commerciale Glatt si sta realizzando una M Migros alta 4,5 metri con i piccoli mattoncini della collezione Migros Mania. La costruzione può essere ammirata non solo sul posto, bensì anche tramite l’app Migros Play

Carrello della spesa

Testo Ralph Hofbauer; Foto Roger Hofstetter; Illustrazioni Mira Gisler

2. Lenti

La percezione spaziale della realtà è resa possibile dalla visione stereoscopica. In pratica l’occhio destro e sinistro vedono gli oggetti da un’angolazione leggermente diversa: da questa differenza il cervello calcola la posizione degli oggetti nello spazio. Gli occhiali VR simulano la differenza stereoscopica mostrando a ogni occhio un’immagine da una prospettiva leggermente diversa.

Le lenti biconvesse degli occhiali VR rendono possibile la visione di immagini nitide anche quando i display sono direttamente di fronte ai nostri occhi. Attraverso le lenti lo spazio virtuale sembra inoltre più lontano.

3. Occhi

Mercoledì 7 giugno è disponibile il mini carrello della spesa per la tua Migros. La collezione Migros Mania permette di costruire una filiale Migros personalizzata con i mattoncini compatibili con i Lego. Per poter fare gli acquisti sia nelle piccole che nelle grandi filiali, mercoledì 7 giugno è disponibile un carrello della spesa con due mattoncini (per ogni 60 franchi di spesa, massimo 3 pezzi).

Eventi nella virtual reality Lena e Malik posano le fondamenta della grande M di Migros. Sotto: il bozzetto della costruzione finita.

Virtualmente al Glatt La costruzione di una grande M al centro commerciale Glatt può essere seguita con l’app Migros Play (scaricabile gratuitamente da App Store Apple e da Google Play Store): concluso il progetto, un video realizzato in modalità accelerata mostrerà l’intera sequenza dei lavori. Anche gli spettacoli dal vivo che accompagnano la costruzione della grande M al centro commerciale Glatt possono essere comodamente seguiti da casa. Usando gli occhiali virtual reality della Migros le esibizioni regalano emozioni particolarmente intense: grazie ai video a 360 gradi si è infatti parte dell’evento anziché semplici spettatori. www.migrosmania.ch

Lena (6) e Malik (7) sono a casa, impegnati a costruire la loro filiale Migros con i mattoncini della Migros Mania. I mattoncini compatibili con i Lego con i quali stanno costruendo il negozio sono gli stessi che si trovano al centro commerciale Glatt. I mattoncini sono il materiale di costruzione della M Migros alta 4,5 metri che si sta realizzando al Glatt. Al termine dei lavori la grande M risulterà composta da oltre 250’000 mattoncini. Il progetto di costruzione si conclude l’8 luglio. Con l’app Migros Play sarà poi possibile visionare il video che illustra lo svolgimento dei lavori.

4. Il centro di controllo della vista

Quando nella realtà guardiamo un oggetto a distanza ravvicinata, la curvatura del cristallino aumenta (processo di accomodazione). Allo stesso tempo la direzione dello sguardo si concentra verso l’interno (processo di convergenza). Nella VR i due processi sono disgiunti: l’accomodazione non è infatti necessaria, dal momento che tutti gli oggetti presenti sugli schermi sono alla stessa distanza. Tuttavia gli occhi sono sottoposti a una forte convergenza, considerato che le immagini sui due schermi sono molto vicine tra loro.

5. Corteccia motoria

Gli occhiali VR modificano le impressioni visive in sincronia con i nostri movimenti. Anche quando ci muoviamo all’interno della VR, il controllo da parte della corteccia motoria risulta necessario. Le vie nervose collegate alla corteccia visiva, infatti, si coordinano con le impressioni visive sulla base della serie di movimenti che compiamo.

I nervi ottici trasmettono al cervello le immagini registrate dalla retina. È nel cervello, nella corteccia visiva, che i segnali provenienti dai due occhi si congiungono: da qui si genera l’illusione di trovarsi in un ambiente.

«Molti effetti non sono ancora stati studiati» Quale influsso ha la realtà virtuale (VR) sul nostro cervello? Dal momento che la tecnologia è ancora molto recente, attualmente non è possibile valutare in modo definitivo se un utilizzo prolungato della VR può influenzare lo sviluppo del cervello. E’ tuttavia dimostrato scientificamente che la VR ha un impatto sul cervello e che può influenzare il comportamento umano anche dopo aver lasciato l’ambiente VR. La VR è più rischiosa per i bambini che non per gli adulti? Molte indicazioni lo affermano, mancano tuttavia dati scientifici di conferma. Molti degli effetti della VR non sono ancora stati esaminati e di ciò i genitori devono essere consapevoli. Cosa consigliare alle persone che vogliono fare esperienza della VR? Di usare la VR con moderazione e di non trascurare le vere interazioni sociali.

6. Organo dell’equilibrio

II nostro organo dell’equilibrio è composto da sensori che orientano il cervello sulla posizione e i movimenti della testa. Il cervello riceve nel contempo informazioni dal centro di controllo della vista. Nella VR questi segnali sono a volte contrastanti: ciò può comportare vertigini e nausea. Per esempio durante una gara automobilistica VR, quando il senso della vista «suggerisce» che ci stiamo muovendo velocemente, mentre l’organo dell’equilibrio dice che siamo fermi.

Avvertenze di sicurezza nell’uso degli occhiali Migros VR: • Fate regolarmente delle pause. • Lasciate usare gli occhiali VR ai bambini solo sotto supervisione di un adulto. • Interrompete l’uso in caso di vertigini o di problemi agli occhi.

Esclusivi eventi dal vivo

Roadshow con borsa di scambio

La costruzione della grande M al centro Glatt è accompagnata da spettacoli dal vivo, tra i quali quello della band Schtärneföifi (7.06), dei clown Pepe & Tommy (14.06), del giocoliere Kaspar Tribelhorn (21.06) e del duo di cabaret Interrobang (28.06).

Dal 29 maggio all‘8 luglio in 21 filiali Migros si svolgono i roadshow della Migros Mania (dal 5 all’8 luglio a S. Antonino). La borsa di scambio permette il baratto delle ambite componenti della collezione. Informazioni dettagliate su www.migrosmania.ch

Il 5° jolly in evidenza: cassa con sedia

Partecipare e vincere Il concorso Migros Mania richiede creatività: chi costruisce la filiale Migros più originale? In palio un montepremi di oltre 5000.– franchi. Partecipa subito su www.migrosmania.ch

Chi vuole completare la collezione e la sua filiale Migros Mania segni in agenda il termine di mercoledì 14 giugno. In tale data sarà infatti disponibile una piccola cassa Migros abbinata alla sedia e a due mattoncini (per ogni 60 franchi di spesa, massimo 3 pezzi).

Michael Madary, neuroetico all’Unversità di Magonza e ricercatore sul tema VR.


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Idee e acquisti per la settimana

Ellen Amber

Eleganti per la spiaggia

La nuova moda da bagno di Ellen Amber regala il piacere dell’estate. Tutti i costumi da bagno sono realizzati con microfibra che asciuga velocemente; si distinguono per il loro confort e per come possono essere abbinati tra loro a piacimento Ellen Amber Camicetta da donna disponibile in rosa e blu taglie S-XXL* Fr. 24.80

Grazie ad un’accurato e intelligente taglio dei capi, ogni donna può trovare tra i costumi da bagno alla moda di Ellen Amber il modello adatto alla propria figura. Il nuovo concetto si basa su principio di combinazione «Mix & Match»: i singoli pezzi possono essere liberamente combinati per colore, taglia e disegno. I tagli e le misure dei modelli di base sono unificati, affinché si possa procedere tranquillamente alla creazione di bikini o Tankini originali e personalizzati. Ciò è molto pratico, perché permette ad esempio di comprare il proprio capo preferito anche in un altra variante. Il materiale che li compone è stato migliorato. La nuova microfibra è particolarmente leggera e morbida. In questo modo può asciugarsi in un attimo. E per i maschietti? Anche loro fanno la loro bella figura con le t-shirt da spiaggia e i calzoncini da bagno di John Adams, oggi nuovi disponibili in quattro diverse lunghezze.

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Ellen Amber Bikini Forma Nina taglie 36-44 Coppa B* taglie 36-46 Coppa C* Fr. 19.80

Ellen Amber tappetino da bagno disponibili in turchese e rosa* Fr. 17.80

Ellen Amber Tankini Forma Doris taglie 38-48* Fr. 34.80

Ellen Amber Borsa per bikini bagnato idrorepellente disponibile in blu, turchese e rosa* Fr. 12.80

Foto Yves Roth; Styling Miriam Vieli-Goll

Ellen Amber costume intero taglie 36-46* Fr. 39.80

Azione 30% sulla moda da bagno per adulti di Ellen Amber e John Adams fino al 12 giugno Ellen Amber Bikini Forma Nadia taglie 36-44 Coppa B* taglie 38-46 Coppa C* Fr. 24.80

*Nelle maggiori filiali


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 6 giugno 2017 • N. 23

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 6 giugno 2017 • N. 23

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Idee e acquisti per la settimana

Ellen Amber

Eleganti per la spiaggia

La nuova moda da bagno di Ellen Amber regala il piacere dell’estate. Tutti i costumi da bagno sono realizzati con microfibra che asciuga velocemente; si distinguono per il loro confort e per come possono essere abbinati tra loro a piacimento Ellen Amber Camicetta da donna disponibile in rosa e blu taglie S-XXL* Fr. 24.80

Grazie ad un’accurato e intelligente taglio dei capi, ogni donna può trovare tra i costumi da bagno alla moda di Ellen Amber il modello adatto alla propria figura. Il nuovo concetto si basa su principio di combinazione «Mix & Match»: i singoli pezzi possono essere liberamente combinati per colore, taglia e disegno. I tagli e le misure dei modelli di base sono unificati, affinché si possa procedere tranquillamente alla creazione di bikini o Tankini originali e personalizzati. Ciò è molto pratico, perché permette ad esempio di comprare il proprio capo preferito anche in un altra variante. Il materiale che li compone è stato migliorato. La nuova microfibra è particolarmente leggera e morbida. In questo modo può asciugarsi in un attimo. E per i maschietti? Anche loro fanno la loro bella figura con le t-shirt da spiaggia e i calzoncini da bagno di John Adams, oggi nuovi disponibili in quattro diverse lunghezze.

Ellen Amber Shorts da donna disponibili in rosa e blu taglie S-XXL* Fr. 19.80

Ellen Amber Bikini Forma Nina taglie 36-44 Coppa B* taglie 36-46 Coppa C* Fr. 19.80

Ellen Amber tappetino da bagno disponibili in turchese e rosa* Fr. 17.80

Ellen Amber Tankini Forma Doris taglie 38-48* Fr. 34.80

Ellen Amber Borsa per bikini bagnato idrorepellente disponibile in blu, turchese e rosa* Fr. 12.80

Foto Yves Roth; Styling Miriam Vieli-Goll

Ellen Amber costume intero taglie 36-46* Fr. 39.80

Azione 30% sulla moda da bagno per adulti di Ellen Amber e John Adams fino al 12 giugno Ellen Amber Bikini Forma Nadia taglie 36-44 Coppa B* taglie 38-46 Coppa C* Fr. 24.80

*Nelle maggiori filiali


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Idee e acquisti per la settimana

Le Gruyère DOP

Sempre con te

Gruyère Sticks 5 x 20 g Fr. 3.50

I nuovi sticks di Gruyère DOP sono l’ideale per uno spuntino! Sono facili da portare con sé perché già tagliati in porzioni da 20 grammi e confezionati singolarmente. Insomma, proprio la grandezza perfetta per uno snack tra i pasti o come deliziosa farcitura per il panino della merenda. Sono cinque gli sticks confezionati in una singola retina: in questo modo la pausa Gruyère fuori casa diventa un momento saporito, pratico e pulito.

Gruyère, pane, qualche noce, frutta secca e fette di mela: non serve altro per un buon picnic.

M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche il Gruyère.


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Idee e acquisti per la settimana

Zoé Aqua Crema-gel ultra leggera 50 ml* Fr. 15.80

Zoé Zoé Aqua Crema giorno protettiva SPF 15, 50 ml Fr. 15.80

Una sferzata di freschezza per la pelle Aqua di Zoé è linea curativa appositamente sviluppata per i bisogni della pelle delle ragazze a partire dai 20 anni. I prodotti vengono assorbiti velocemente e forniscono un’alta idratazione. In aggiunta sostengono la naturale funzione protettiva della cute contro gli influssi ambientali dannosi e donano freschezza.

Zoé Aqua Vitamin Booster Serum 30 ml* Fr. 14.80

Zoé Aqua regala alla pelle idratazione e cura.

Photo Yves Roth; Styling Mirjam Käser

Zoé Aqua Maschera curativa Detox 2 x 7,5 ml* Fr. 3.50

*Nelle maggiori filiali

M-Industria crea numerosi prodotti, tra cui anche quelli di Zoé.



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