Azione 24 del 12 giugno 2017

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Cooperativa Migros Ticino

G.A.A. 6592 Sant’Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXX 12 giugno 2017

Azione 24 M sh o alle p pping agine 41-49 / 6371

Società e Territorio Speed Debating, i giovani si confrontano con politici ed esperti

Ambiente e Benessere Le ricerche che Laura Signorile ha dedicato alle migrazioni antiche degli animali, quelle che hanno preceduto la nostra comparsa: da Pangea in poi

Politica e Economia Il gran rifiuto di Trump sul clima: una mossa che rinnega 25 anni di impegni per l’ambiente

Cultura e Spettacoli Venezia non è solamente Biennale: una lunga serie di eventi affolla la città

pagina 13

pagina 3

pagine 23 e 25

di Marcella Emiliani pagina 21

AFP

Fragore di scimitarre in Arabia

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Mezzo secolo all’ombra di una guerra di Peter Schiesser È stato celebrato sottotono, in Israele, il cinquantesimo anniversario della Guerra dei sei giorni (5-10.6.’67), in cui l’esercito con la stella di Davide sconfisse e umiliò i suoi nemici arabi, Siria, Giordania e soprattutto Egitto (che perse la quasi totalità dei suoi 420 aerei militari durante la prima mattina di guerra, distrutti al suolo), strappando loro la penisola del Sinai, Gaza, la Cisgiordania e le alture del Golan. La consapevolezza che la minaccia esistenziale per lo Stato ebraico non è bandita neppure dopo 50 anni (sono cambiati alcuni nemici, ma ce ne sono ancora, e la questione palestinese resta irrisolta) e le incognite insite in uno status quo ricco di contraddizioni e potenziali conflitti, non inducono a grandi festeggiamenti. Sintetizzando un articolo dell’intellettuale ebraico-americano Yossi Klein Halevi sul «New York Times» (7.6.2017), la popolazione ebraica oscilla fra un sentimento di paura e vulnerabilità, come vissuto nel mese precedente la Guerra dei sei giorni, e quella fiducia nella vittoria che portò al trionfo militare in giugno. Israele è un paese fin qui condannato a vincere tutte le guerre, senza riuscire ad agguantare una pace duratu-

ra, a vivere la permanenza di uno status provvisorio. E con esso i suoi abitanti di origine araba e i palestinesi a Gaza e in Cisgiordania. L’elemento scatenante della Guerra dei sei giorni era una fake news: come scrive in La guerra dei sei giorni Michael B. Oren, già membro del gabinetto Rabin, il 29 aprile 1967 il premier russo Kossygin, il ministro degli esteri Gromiko e altri funzionari informarono il presidente dell’assemblea nazionale egiziana Sadat, in visita a Mosca, che Israele aveva ammassato truppe e mezzi al confine con la Siria e si apprestava a marciare su Damasco. Non era vero, ma i sovietici intendevano tener alta la tensione in Medio Oriente, nella logica della Guerra fredda. Il presidente egiziano Nasser però ci credette e continuò a crederci, e con lui uno Stato maggiore dell’esercito desideroso di schiacciare Israele, anche quando le immagini aeree ottenute in seguito rivelarono che di truppe israeliane non c’era manco l’ombra. Nasser assembrò il suo esercito, ottenne il ritiro delle truppe ONU dal Canale di Suez, impose un blocco navale nel Golfo di Aqaba, rendendo impossibili i rifornimenti a Israele attraverso Eilat. A quel punto la guerra era inevitabile, e Israele fu più rapido (pur non potendo contare sull’appoggio di nessuno). Ma la guerra era

inevitabile fin da quando lo Stato ebraico vinse la prima, subito dopo l’indipendenza, perché per arabi e palestinesi il problema non era questo o quel confine, ma l’esistenza stessa di Israele. E se in passato tutti i paesi arabi volevano cancellare Israele, oggi lo Stato ebraico ha trovato modo di stabilire una pace o una convivenza con numerosi paesi arabi, ma c’è ancora chi non vuole una pace con gli israeliani: i palestinesi di Hamas, gli hezbollah libanesi, gli ayatollah di Teheran. La chiave, l’unica, per una pace con Israele, è questa: il riconoscimento del suo diritto all’esistenza. Finché lo Stato ebraico si sentirà assediato, oscillerà fra vulnerabilità e baldanza. Ciò che i palestinesi, nonostante le molte concessioni che nel tempo al Fatah ha fatto, continuano a pagare sulla propria pelle, costretti in un territorio sempre più esiguo, rosicchiato da sempre più numerosi insediamenti ebraici. Più passa il tempo e più l’intransigenza dei nemici di Israele riduce le speranze dei palestinesi di avere un proprio Stato, poiché da anni i governi israeliani di destra favoriscono un’espansione degli insediamenti in Cisgiordania, con il recondito sogno di occupare tutta la terra biblica, mentre gli israeliani che vorrebbero la pace – una pace in cambio dei territori – hanno sempre meno voce in capitolo.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 12 giugno 2017 • N. 24

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Attualità Migros

M Formarsi è immaginare

Scuola Club Migros Ticino Con la mezzosoprano Julia Gertseva, si è chiuso un nuovo ciclo di Living the room

alla sede di Via Pretorio a Lugano. Nuove proposte sono previste in autunno, nell’ambito dei festeggiamenti per i 60 anni della Scuola Club Con un appuntamento tutto dedicato alla bellezza si chiude un altro ciclo di Living the Room, gli eventi gratuiti e aperti a tutti, organizzati dalla Scuola Club di Migros Ticino. Nell’ultima serata, Julia Gertseva, mezzo-soprano di fama internazionale accompagnata dal coro di bambini «La Musica» da lei fondato, ha condotto per mano i presenti a compiere uno straordinario viaggio poetico-musicale. Attraverso il ricordo dell’architetto ticinese Domenico Trezzini incaricato da Pietro il Grande agli inizi del Settecento di progettare quella che sarebbe diventata una delle città più ammirate al mondo, Iulia Gertseva ha saputo creare magicamente un ponte tra il Ticino e San Pietroburgo. Dopo Selene Biffi e Gemma Martino, la Gertseva chiude un trio di eccezione. Sotto il segno di una cornice ambiziosa dal titolo «Le donne, il sogno, l’intrapresa» si sono alternate nella hall della sede luganese della scuola, tre figure coraggiose che hanno saputo tenere vivo il loro sogno e aperto strade inedite nei rispettivi campi di competenza. Selene Biffi, giovane imprenditrice e consulente di grandi organizzazioni internazionali, ha raccontato la sua determinazione nella creazione di startup a vocazione sociale, nel tentativo di dare risposte concrete a popolazioni in luoghi del mondo marginali, in stato di bisogno o di guerra. Gemma Martino, medico e seno-

Un momento della serata con Selene Biffi, moderata da Patrizia Cappelletti. (Stefano Spinelli)

loga, ha condiviso la sua battaglia per l’affermazione di punti di vista divergenti e mai scontati nell’ambito delle cure cliniche. Per decenni Martino ha promosso un sguardo nuovo sulla malattia e il corpo ferito, così da tradurlo in un movimento olistico e relazionale,

un prendersi cura dell’altro nella sua interezza. Infine, Julia Gertseva ci ha ricordato come il desiderio di armonia appartenga a tutti. Per questo la bellezza è un’energia capace di unire e coinvolgere, oltre ogni differenza.

Living the room – che vedrà in autunno nuovi momenti di proposta nel quadro dei festeggiamenti del 60esimo della Scuola Club di Migros Ticino – si inserisce nel solco di iniziative che stanno delineando una precisa idea di formazione. In piena sintonia con i valori

del suo ispiratore, Gottlieb Duttweiler. Quella emergente alla Scuola Club è una formazione che sa andare «oltre l’aula» per intercettare e rispondere a sempre nuovi bisogni sociali e culturali. Come il nome stesso vuole anticipare, «Living the room» si propone quale contesto vivo e continuamente animato dai suoi ospiti – protagonisti e pubblico – e incubatore di nuove relazioni, visioni e prospettive sul mondo. L’obiettivo della Scuola Club di Migros Ticino è ambizioso: offrire al territorio occasioni di pensiero e – perché no? – di trasformazione, a partire da un divano rosso, simbolo di un ascolto attento nei confronti di esperienze che hanno provato a suggerire nuovi modi di vivere il mondo. Il crescente numero dei partecipanti conferma l’aderenza della proposta alle attese del pubblico: in un tempo prolifico di informazioni ma forse povero di vera formazione, il valore di queste serate è dato dallo scambio che avviene tra tutte le persone coinvolte, uno scambio capace di suscitare rinnovata fiducia nella possibilità di agire un cambiamento. Con Living the Room la Scuola Club di Migros Ticino vuole fare proprie le parole di Albert Einstein che aprono a tutti, ma soprattutto a coloro che sono coinvolti nella formazione, interessanti scenari di lavoro e di senso: «La logica vi porterà da A a B. L’immaginazione vi porterà dappertutto».

Quando lavorare diventa un piacere Migros Ticino Mobilitazione dei collaboratori per sostenere

la crescita aziendale

Dal 15 gennaio al 25 marzo scorsi, i collaboratori della cooperativa hanno dato il meglio di loro stessi nell’ambito del progetto interno Avanti Insieme. Lo scopo dell’iniziativa era quello di met-

tersi in gioco, «riattivando le energie e la circolazione sanguigna» dei propri punti di vendita, lavorando in gruppo per generare entusiasmo e contribuire al sano sviluppo dell’azienda.

Una particolare divisa alla filiale di Sant’Antonino. (MAD)

Azione

Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni

Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni

A tutte le filiali è stato affidato un budget da gestire in completa autonomia e l’originalità e la creatività dei diversi team di vendita non sono di certo mancate! Alcuni colleghi hanno ad esempio creato una M gigante all’ingresso di una filiale con le scatole degli Zwieback, altri hanno creato un’aiuola davanti alla filiale con l’aiuto della popolazione, altri ancora hanno invece proposto ai clienti dei deliziosi biscotti scozzesi vestiti con tanto di Kilt e suonando la cornamusa. A fronte dell’ottimo risultato, è stato deciso di premiare le filiali che più si sono distinte per collaborazione e spirito di team, atipicità , fantasia, inventiva e genialità. Sul podio troviamo al primo posto i colleghi di Mendrisio, seguiti a ruota da quelli dell’OBI di S. Antonino e di Minusio. Medaglia di legno per la filiale di Agno e al quinto posto si è classificato il supermercato di Faido. Alle filiali vincitrici è stato consegnato un premio in base alla classifica e numero di collaboratori per un valore totale di 10 mila franchi. Ciascuna delle filiali potrà decidere come impiegare la relativa somma a suo piacimento. La scelta del premio deve essere demoEditore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino Telefono 091 850 81 11 Stampa Centro Stampa Ticino SA Via Industria 6933 Muzzano Telefono 091 960 31 31

I premiati in sede a S. Antonino. (Vincenzo Cammarata)

Una nuova aiuola a Biasca. (MAD)

cratica e tenere conto dei desideri della maggioranza dei collaboratori. Una menzione speciale per numero e varietà di attività proposte

la riceve poi il team di Biasca, che ha coinvolto molti partner locali, come ad esempio la locale squadra di hockey.

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Abbonamenti e cambio indirizzi Telefono 091 850 82 31 dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@migrosticino.ch

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Costi di abbonamento annuo Svizzera: Fr. 48.– Estero: a partire da Fr. 70.–


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 12 giugno 2017 • N. 24

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Società e Territorio Libri per ragazzi Stanno per iniziare le vacanze estive: ecco i nostri consigli per giovani lettori che hanno voglia di vivere emozionanti avventure pagina 5

La Comunità africana del Ticino La storica associazione compie 25 anni e il suo comitato si rinnova garantendo un futuro alle attività a favore dell’integrazione e a sostegno di chi si trova nel bisogno pagina 6

Uno scambio patecipativo Giovani Si è svolta a Lugano la prima

sessione ticinese di Speed Debating: una sequenza di brevi confronti su diversi temi fra piccoli gruppi di ragazzi e politici o esperti seduti allo stesso tavolo

Stefania Hubmann Un confronto breve, diretto e informale fra piccoli gruppi di giovani e politici o esperti seduti allo stesso tavolo a discutere di temi specifici, principalmente di interesse locale. È la formula dello Speed Debating, sperimentata per la prima volta anche in Ticino lo scorso 3 maggio per iniziativa del Parlamento dei Giovani della Città di Lugano. Un pomeriggio occupato da una sequenza di brevi dibattiti durante i quali si sono affrontate problematiche che riguardano tutti i cittadini e i giovani in particolare. Lo Speed Debating si è svolto in contemporanea in otto città svizzere, dove è stato apprezzato dai rappresentanti delle due parti in causa come possibilità di essere protagonisti della discussione da un lato e occasione per conoscere direttamente le esigenze delle nuove generazioni dall’altro. All’evento segue di principio un approfondimento delle proposte emerse, per poi sottoporne alcune alle autorità. Per avvicinare i giovani fra i 15 e i 25 anni alla vita pubblica tramite lo Speed Debating il comitato del Parlamento dei Giovani luganese ha puntato soprattutto sul rapporto diretto. Più di social network e volantini in questo caso hanno potuto le parole dei coetanei, che hanno convinto i compagni incontrandoli nelle classi, alle assemblee degli studenti e nei centri giovanili. «I partecipanti sono stati una quarantina – spiega Angela Botteon, copresidente del Parlamento dei giovani della Città di Lugano – suddivisi in sette tavoli. Anche la presenza di diversi interessati non iscritti è stata incoraggiante. Il successo di partecipazione ha ripagato l’intenso impegno richiesto a livello organizzativo». Il comitato ha infatti lavorato quasi tre mesi per mettere a punto i temi da trattare e cercare i relativi ospiti. Ogni tavolo ha inoltre beneficiato della presenza di un moderatore. Allo Studio Foce si è discusso di trasporti pubblici e spazi urbani, orari di apertura di bar e negozi, regolamentazione della canapa, cambiamenti legati alla riforma «La scuola che verrà»,

Alptransit, nuove tecnologie, manipolazione delle notizie, mercato locale e globalizzazione, giovani e politica. «Anche chi pensava che lo Speed Debating potesse essere un po’ noioso, oppure riservato a studenti competenti e preparati, si è ricreduto, apprezzando la formula dell’incontro che non richiede particolari doti ed è molto spontaneo». La copresidente, prossima alla maturità al Liceo di Lugano 1, aggiunge che i partecipanti erano per la maggior parte studenti fra i 16 e i 19 anni. Fra i feed-back del primo Speed Debating vi è quindi la necessità di riuscire ad allargare la partecipazione ai giovani già inseriti nel mondo del lavoro. Sì, perché l’intenzione è quella di riproporre l’appuntamento almeno una volta all’anno. Il Parlamento dei Giovani luganese ritiene che con questa formula si riesca a mobilitare un maggior numero di interessati rispetto alle attività precedenti basate su più giornate per un unico argomento. In questo modo si evita inoltre di far concorrenza al Consiglio cantonale dei giovani che già propone annualmente un ciclo di incontri volti a formulare proposte concrete al Consiglio di Stato. Per l’organismo luganese, fondato nel 2014, il progetto dello Speed Debating, suggerito dalla Federazione Svizzera dei Parlamenti dei Giovani, è infine più compatibile con le risorse a disposizione, risorse che si spera vengano rinnovate grazie all’adesione di nuove leve. Lo sviluppo dello Speed Debating è auspicato anche da parte del mondo politico, come ci conferma Cristina Zanini Barzaghi, municipale di Lugano che ha discusso con i giovani di mezzi di trasporto pubblici e spazi verdi in città. «Ho partecipato con molto piacere a questa manifestazione, apprezzando il fatto che i giovani si trovino al centro dell’attenzione. Essi hanno così la possibilità di svolgere una lezione di civica in modo molto pratico». Dal punto di vista dei politici, aggiunge la municipale luganese, «lo Speed Debating rappresenta un’occasione importante per conoscere meglio le esigenze delle nuove generazioni. Attraverso

I brevi dibattiti ai diversi tavoli si sono svolti per iniziativa del Parlamento dei Giovani della Città di Lugano. (www.dsj.ch)

questa innovativa forma di incontro si può inoltre far comprendere meglio alle ragazze e ai ragazzi come funziona la politica. Spero quindi vivamente che in futuro la si possa riproporre con regolarità estendendola alle altre scuole superiori». Accanto a Cristina Zanini Barzaghi, hanno animato i tavoli del primo Speed Debating ticinese il consigliere di Stato Manuele Bertoli, il sindaco di Lugano Marco Borradori, i giovani politici Tessa Prati di Lugano e Fabio Käppeli di Bellinzona, Claudia Sassi, direttrice aggiunta della Divisione della formazione professionale e il giornalista Giancarlo Dillena, già direttore del «Corriere del Ticino». Nell’insieme delle otto sessioni svizzere – oltre a Lugano hanno ospitato uno Speed Debating Ginevra, Losanna, Friborgo, Morges, Neuchâtel, Yverdon e Köniz – i giovani coinvolti sono stati oltre 170, mentre i politici e i professionisti circa 50. Per la Federazio-

ne Svizzera dei Parlamenti dei Giovani, centro di competenza politicamente neutrale impegnato nella partecipazione e formazione politica dei giovani secondo il principio «dalla gioventù per la gioventù», si tratta di un successo che indica la giusta via per fare in modo che l’interesse dei giovani per la politica, confermato da un’indagine della Federazione, si concretizzi in un impegno effettivo. Daniel Mitric, già attivo nel Consiglio cantonale dei giovani ed ora collaboratore in seno alla Federazione, precisa: «Il monitor politico easyvote, pubblicato a metà marzo, ha evidenziato che i giovani si impegnano più volentieri su temi concreti. La Federazione intende quindi sviluppare progetti che vanno in questa direzione, come appunto lo Speed Debating». Qual è l’idea all’origine di questa nuova opportunità di discussione? «In Svizzera lo Speed Debating è stato lanciato e sviluppato nel 2013 dal Parlamento dei giovani del canton Ginevra proprio per dar vita a

dibattiti politici vivaci, partecipativi e meno formali. Lo scopo è quello di un confronto di idee spontaneo e costruttivo su questioni di attualità». La chiave di questa nuova proposta che da Ginevra ha iniziato a diffondersi nel resto della Svizzera è la dinamicità, perfettamente in sintonia con il modo di essere dei giovani. Dalle discussioni svoltesi allo Studio Foce è emersa la loro sensibilità nei confronti dell’ambiente, sensibilità legata alla ricerca di una qualità di vita che passa da spazi verdi, zone pedonali, edifici ecologici e mezzi di trasporto più attenti alle loro esigenze. Il Parlamento dei giovani della Città di Lugano approfondirà ora le proposte raccolte per poi inserirle nella propria agenda e renderne partecipi le autorità cittadine. Informazioni

www.speeddebating.ch www.jugendparlamente.ch


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 12 giugno 2017 • N. 24

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Società e Territorio

Estate, tempo di avventure Libri sotto l’ombrellone Le lunghe vacanze estive sono alle porte, ecco i consigli per giovani lettori Letizia Bolzani Estate, tempo di avventure. Fuori e dentro i libri. Tra quelle en plein air, ogni bambino deve trovare la sua, mentre per quelle fatte di carta – che conducono comunque in emozionanti «altrove» – qualche consiglio potrà forse risultare utile. Terremo presenti anche quei libri usciti da un po’ e già fuori dalle vetrine, incalzati da un’editoria che compulsivamente rincorre il nuovo. Eppure, come diceva l’indimenticato Roberto Denti, della storica Libreria dei Ragazzi di Milano, «i libri saranno anche vecchi ma i bambini sono nuovi», e la frenesia di lanciare sempre nuovi libri sul mercato rischia di far perdere di vista dei piccoli capolavori, che rimangono in catalogo ma diventano meno visibili.

Tra i libri consigliati ce ne sono anche alcuni usciti da tempo, che rischiano di essere dimenticati nella «frenesia editoriale» Dicevamo estate, vacanze, aria aperta: possiamo partire da qui, poiché è su questi temi che s’impernia tanta letteratura per l’infanzia. Le vacanze estive si prestano a piccoli o grandi viaggi di formazione, in quanto sono un tempo privo del contenimento scolastico, con la sua scansione di orari e persone, sono un tempo diverso e libero in cui si può frequentare gente «altra» o tuffarsi nelle proprie profondità interiori, un tempo di socialità inedite o di grandi solitudini. Sono anche il tempo per sperimentare nuove autonomie ed eludere il controllo adulto (escursioni tra ragazzi, soggiorni dai nonni, fughe reali o immaginate, indagini nel mistero), affidandosi all’avventura. Quella che fa crescere, quella che a settembre ti lascia un po’ diverso da com’eri a giugno. Sì perché le estati finiscono, e anche capire questo ti fa diventare più grande. Lo sa bene il piccolo Pelle Melkerson, personaggio di quel meraviglioso romanzo d’estate che è Vacanze all’isola dei gabbiani, di Astrid Lindgren (Salani): per ogni giorno d’estate che è trascorso, lui stacca un dente del vecchio pettine, mentre il padre gli ricorda l’importanza di «godere il presente, le mattine radiose come quella, e allora la vita sarebbe stata pura felicità». Perché «le estati si conservano per tutta la vita nell’animo». Come destinata a rimanere nell’animo è la lettura di questo romanzo, dove avventura e formazione si intrecciano, coinvolgendoci nelle esperienze della famiglia Melkerson (padre e quattro figli) e di tutti i loro amici, immersi nella natura dell’isola «dei Gabbiani». Un altro capolavoro della Lindgren, uscito nel 1981, quasi una ventina d’anni dopo Vacanze all’isola dei gabbiani, è Ronja: perfetto per lettori

Leggere in vacanza aiuta a crescere e a scoprire emozionanti «altrove». (Marka)

che si affacciano all’adolescenza, Ronja è un romanzo che racconta come la crescita, la sete di giustizia, la voglia di ribellione, debbano passare per forza attraverso il conflitto generazionale. Ronja si scontra con il padre, ridimensiona l’immagine eroica che ne aveva da bambina, ma ciò non significa che lo ami di meno. Ronja è anche un potente romanzo di avventura e di amore, ambientato nella foresta, che parla di diversità e di tolleranza. Ronja è la figlia di un brigante, Birk è il figlio del brigante che capeggia la fazione avversa. Novelli Romeo e Giulietta boschivi, il loro amore è una sfida impossibile. I due ragazzi troveranno rifugio nella foresta, a primavera. Ma dopo la primavera verrà l’estate. E dopo l’estate... «Quest’estate la porterò dentro di me tutta la vita (...) Perché non è sempre estate nel bosco, perché non posso essere completamente felice?». Uscito recentemente, ma anch’esso incentrato sull’estate come tempo di crescita, è Black Hole, di Silvia Vecchini (San Paolo): qui il paesaggio è quello dimesso di un paese di provincia. Stra-

de assolate d’asfalto, passaggi a livello tra i campi, le angurie al chioschetto illuminato dalle lucine colorate, gli scivoli di un parco acquatico. E una casa diroccata in cui trova rifugio una ragazza, Samanta. La troverà Giulio, un ragazzino in vacanza da quelle parti, e sarà un incontro importante per entrambi. Un’estate tra i boschi e gli orsi marsicani del Parco Nazionale d’Abruzzo, dove degli adolescenti fanno amicizia e intraprendono un’indagine immersi nella natura selvaggia, è quella raccontata da Il passaggio dell’orso, di Giuseppe Festa, scrittore e naturalista (Salani): Viola e Kevin, entusiasta e dall’anima ecologica lei, più cinico, cittadino e tecnologico lui, dovranno, con l’aiuto dei guardaparco, scoprire chi minaccia gli animali. In estate le giornate a volte colano lente, sono meno strutturate, e i margini per capire meglio se stessi e il mondo sono maggiori. Quest’anno ha vinto il Premio Strega Ragazze e Ragazzi L’estate che conobbi il Che, di Luigi Garlando (Rizzoli), in cui a un ragazzino,

senza fare grandi viaggi, ma anzi restando per lo più nella stanza della clinica dove è ricoverato il nonno, si aprirà un mondo, quello della vita di Ernesto «Che» Guevara. Attraverso l’appassionante racconto del nonno, il giovane protagonista, e con lui il lettore, seguirà una storia che parla di ingiustizia e di ideali. Luigi Garlando, giornalista sportivo, celebre firma della «Gazzetta dello Sport», autore della notissima serie per ragazzi Gol!, ha scritto anche diversi importanti romanzi di impegno civile, tra cui questa storia del «Che». Si svolge d’estate, ma ci porta in tutt’altro mondo, pervaso di atmosfere fantastiche e da ghost story, Il giardino di mezzanotte, di Philippa Pearce (Salani): uscito nel 1958, è da considerarsi un classico della letteratura per ragazzi, che non ha perso un briciolo di fascino. Ambientato in Inghilterra, racconta di un misterioso giardino che appare solo di notte, quando la pendola batte una sorprendente tredicesima ora: Tom, il giovane protagonista, vi si inoltra, notte dopo notte, scoprendovi inspiegabili presenze. Il finale, che costituisce gran

parte del fascino di questo libro, è di quelli che non si dimenticano. Il giardino di mezzanotte è anche un omaggio a quell’altro grande classico di inizio Novecento, Il giardino segreto di Frances Hodgson Burnett. Il binomio estate e mare non significa solo ombrelloni e spiaggia, soprattutto se sei una ragazza del XIX secolo e ti ritrovi a dover attraversare l’oceano dall’Inghilterra all’America, sola su un veliero mercantile, con un rude equipaggio di marinai e il loro crudele capitano Jaggery come unici compagni di viaggio. È un estate per mare quella che vive la giovane Charlotte Doyle, in Le avventure di Charlotte Doyle, di Avi (Il Castoro). Attraversare il mare è un’ottima metafora di viaggio iniziatico, un po’ come il bosco nelle fiabe. Ma questo non è una fiaba, è invece un romanzo mozzafiato, che potrebbe benissimo diventare un film, tanto è il suo impatto visivo, a cominciare dalle scene che vedono l’eroina, all’inizio tutta pizzi e merletti, arrampicarsi sul pennone con il coltello tra i denti. Se parliamo di viaggio per mare, il pensiero non può non correre a quel re di Itaca di nome Ulisse che ne ha definito il canone nell’epica e nel mito. Tanti scrittori si sono cimentati nel raccontare l’Odissea ai ragazzi, noi ne citeremo uno per tutti, il grande Mino Milani, con il suo Ulisse racconta (Einaudi Ragazzi). Il mare è importante anche ne L’isola delle balene, di Michael Morpurgo (Il Castoro), ambientato a inizio Novecento, nelle isole Scilly, sulla costa della Cornovaglia: una storia avvincente, nella quale due ragazzini indagano sul mistero di un’isola maledetta, cercando al contempo di salvare delle balene. Sullo sfondo, il drammatico scenario della Grande Guerra. Ambientato nell’oggi, ma con uno sguardo a un capitolo storico troppo poco trattato nei libri per ragazzi, quello dei gulag staliniani, è il profondo romanzo di Anna Lavatelli, Non chiamatela Crudelia Demon (Piemme): la quattordicenne Katia, arrabbiata col mondo, si trova, all’inizio controvoglia, a fare da assistente a un’anziana signora. Quando ne scoprirà la storia, cambierà totalmente il suo approccio alla vita. Per chi invece pensa già al dopo estate, a quando a settembre si aprirà un altro mondo perché magari si cambia scuola, c’è – ed è ormai anch’esso un piccolo classico – quel bel romanzo epistolare scritto a quattro mani da due celebrità della letteratura per ragazzi, Roberto Piumini e Beatrice Masini: Ciao, tu (Bur). Ambientato in una prima superiore, mette in scena l’amicizia, e forse l’amore, tra due adolescenti. Infine, visto che l’estate è il tempo delle nuove esperienze, un manualetto appena uscito dal titolo ammiccante: Invece di fare i compiti. Sottotitolo: 27 idee e ½ per divertirsi come matti e scoprire un sacco di cose!, di Massimo Birattari (Rizzoli): attività multiformi per imparare sperimentando. Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 12 giugno 2017 • N. 24

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Società e Territorio

La nostra Africa

Integrazione La Comunità africana del Ticino compie 25 anni. Rinnovato e ringiovanito

il Comitato dell’associazione si impegna a rilanciare l’attività

Fabio Dozio Dall’Africa alla Svizzera per amore, dal Togo al Ticino. È il percorso del nuovo presidente della Comunità africana del Ticino (CAT). Lui si chiama Constant Nangbayadé Aharh, giurista quarantaduenne. È arrivato nel nostro Paese nel 2000, dopo aver conosciuto, in Africa, la ragazza ticinese che poi sarebbe diventata sua moglie. Si è laureato in legge in Francia, a Lille. Nei primi anni del Duemila ha lavorato come giurista al Soccorso Operaio Svizzero. Nel 2007 è tornato in Togo con la famiglia, ma adattarsi a un mondo molto diverso non è stato facile, sia sul piano famigliare sia su quello professionale. Era consigliere giuridico al ministero delle finanze, ma non è stato possibile abituarsi a un modo di lavorare troppo differente: «Si è confrontati con una politica tribale – spiega – le decisioni sono spesso prese in funzione degli interessi delle tribù». Modi di fare ormai troppo lontani per un giovane che si era già integrato in Europa. Constant Aharh ha assunto la presidenza della CAT in maggio, con l’obiettivo di rilanciare questa associazione di sostegno e di promozione degli africani che vivono da noi. Sono circa 1200 i residenti, poi c’è la realtà dei richiedenti asilo, che negli ultimi anni crea un nuovo bisogno di aiuto e di assistenza. La Comunità è nata 25 anni fa, fondata da Serge Nicolas N’zi. L’idea nacque quando un africano venne trovato nel suo appartamento, solo e abbandonato, a due settimane dalla morte. Lo scopo era prima di tutto assistere gli africani che si trovavano nel bisogno, con questo motto: «Unità nella diversità, solidarietà e tolleranza». Fa specie che la Comunità rappresenti l’intero continente, composto da 54 Stati e che conta più di 1,1 miliardo di abitanti.

L’associazione rappresenta la popolazione di 54 Stati diversi, negli anni si è adoperata a favore dell’integrazione e a sostegno di chi si trova nel bisogno «In effetti, qualche problema di coesistenza tra etnie diverse lo riscontriamo – afferma Constant Aharh – in Ticino c’è stata una spaccatura tra africani francofoni e anglofoni, noi cercheremo di superare queste divisioni. Lo scopo del nuovo Comitato

La Comunità africana del Ticino vuole creare contatti e relazioni attraverso incontri, dibattiti e feste per le famiglie. (Ti-Press)

CAT è avvicinarci a tutti gli africani, bisogna creare contatti e relazioni. Dobbiamo stare vicini e rompere il ghiaccio tra chi arriva e coloro che già risiedono qui da anni». In questi 25 anni la CAT ha svolto un gran lavoro per cercare di sostenere l’integrazione. Incontri e dibattiti, feste della famiglia e interventi per sostenere chi si trova nel bisogno. Il punto chiave di tutte le storie di migrazione è valutare le capacità di integrazione nel Paese d’arrivo. «Non dimentichiamo – ci dice Pedro da Costa, decano della CAT – che i migranti provengono da Paesi diversi, hanno culture, lingue, modi di vivere diversi. L’integrazione è una delle maggiori sfide di oggi e di domani, è un processo continuo e in continua evoluzione. È un modo di vivere al quale deve contribuire sia chi arriva, sia chi accoglie». «I membri della Comunità africana in Ticino – sostiene il Presidente – s’impegnano per un’integrazione senza troppi attriti. Sono in maggioranza cittadini che godono di un’ottima reputazione e riconosciuti per la loro buona condotta. Qualche volta alcuni non riescono a portare a buon fine il loro processo di integrazione. Uno degli obiettivi della CAT è appunto individuare in tempo queste persone e accompagnarle nel modo più adeguato».

Negli ultimi tempi la CAT ha attraversato una crisi di crescita. Il gruppo dei fondatori si è fatto da parte ed è stato rimpiazzato dalla generazione dei quarantenni. Il rinnovato Comitato e il nuovo Presidente intendono rilanciare l’Associazione: «Bisogna ripristinare la fiducia che è venuta a mancare tra i membri della comunità e l’organo dirigente, rinforzare la collaborazione con le istituzioni pubbliche e altre associazioni e infine dare più visibilità alla CAT. Dobbiamo risvegliare e suscitare il senso di appartenenza alla comunità». Negli ultimi anni il clima politico in Ticino è meno favorevole nei confronti degli immigrati. Gli africani che risiedono da noi da trenta o quarant’anni sono concordi nell’affermare che, una volta, c’era più tolleranza e disponibilità. Il Presidente Aharh ama ripetere un aneddoto: se un bianco corre verso il treno è perché è in ritardo, se lo fa un africano sembra che stia scappando e diventa sospetto… «Noi risentiamo di un certo clima antistranieri, – confessa il Presidente – certe persone non si nascondono più e non esitano a ricordarci che siamo diversi e che questa diversità dà loro fastidio. Peccato». Il rapporto e le relazioni con le autorità sono positivi. In primo piano c’è la Commissione cantonale per l’integrazione degli stranieri (CIS), presiedu-

ta per tanti anni da Mario Branda, sindaco di Bellinzona. All’assemblea della CAT, a maggio, Branda è intervenuto sottolineando l’importanza di impegnarsi per la comunità, promuovendo la fratellanza e gli scambi interculturali: «Va sviluppato il dialogo – ha detto – bisogna saper ascoltare e non solo prestar orecchio, aprirsi alla discussione e accettare la diversità e l’eterogeneità». Accanto alla CIS è operativo il Servizio per l’integrazione degli stranieri, diretto da Attilio Cometta, che promuove e sostiene i progetti per migliorare l’integrazione, partendo dal principio che «la convivenza, la comprensione tra culture diverse è un presupposto indispensabile per lo sviluppo sociale, culturale e anche economico della società». «Le autorità fanno un gran lavoro – afferma Aharh – ne siamo coscienti e ringraziamo. Tuttavia, la banalizzazione di certi atteggiamenti ci obbliga ad auspicare un maggior coinvolgimento nella sensibilizzazione contro le forme di discriminazione». Grazie al sostegno del Servizio per l’integrazione, la CAT spera di poter presto aprire una sede permanente a Bellinzona, uno sportello, gestito da volontari, per far sì che la Comunità sia riconoscibile e sempre raggiungibile. Un altro progetto che dovrà veder la

che sono quelle nel settore delle scienze, dell’informatica e della tecnologia. Eppure l’agricoltura, la terra sono ciò che da secoli determina la nostra qualità e il nostro stile di vita. Non dovremmo, seppur in un’era dell’accelerazione e della semplificazione con l’ausilio di macchine sofisticate, preservare l’essenza, la natura e lo spirito originario del lavoro agricolo? Sono rimasta affascinata quando, grazie al consiglio di una preziosa amica, mi sono imbattuta in una lettura che in pochi minuti mi ha riconsegnato la nobiltà e lo spirito di quello che il lavoro agricolo è stato nel passato. Si tratta di una ristampa del 2011 (fu stampato per la prima volta nel 1564) de «Le dieci giornate. Della vera agricoltura e piaceri della villa» di M. Agostino Gallo, agronomo bresciano. Qui si legge come

la cultura antica avesse personificato e divinizzato la terra nella figura della «grande madre», generatrice di tutti i beni, di tutte le erbe e di tutti i frutti necessari alla vita degli uomini e di tutte le risorse materiali e delle energie necessarie al progresso e allo sviluppo del genere umano. Ma anche del valore che l’agricoltura aveva nel Rinascimento. Nella sua opera Agostino Gallo tratta di quella che lui definisce «vera agricoltura», cioè un arte elevata, complessa, carica di profonde valenze culturali, con funzioni e finalità ben più ampie di quelle strettamente economicheproduttivistiche della comune tecnica agronomica. Un arte che ha il potere di promuovere un rinnovamento morale, economico, intellettuale della società, in particolare ai quei tempi, presso quei nobili, membri della classe dominante,

luce a breve è il miglioramento del sito web e la creazione di una pagina Facebook. Nel nuovo Comitato c’è una giovane studentessa della facoltà di comunicazione dell’USI che dovrebbe occuparsi di questo onere. Non mancano gli obiettivi più sociali. La CAT si occupa dell’assistenza e della formazione dei richiedenti asilo e di chi lo ha ottenuto: si insegna loro come gestire i soldi, per non spenderli in cose inutili e evitare indebitamenti. Affianca chi deve regolarizzare i permessi: per esempio, c’è un gruppo di donne africane che, dopo quindici anni di permanenza in Ticino, hanno ancora e solo il permesso F, rilasciato agli stranieri che, per decisione della Segreteria di Stato per la migrazione, vengono ammessi provvisoriamente in Svizzera. «Dobbiamo risolvere queste situazioni – annota Constant Aharh – speriamo che il Ticino dimostri apertura nei confronti di queste persone». «Integrazione – precisa il decano Pedro Da Costa – significa anzitutto accettare l’altro, con le sue differenze e i suoi valori. Un processo che vale sia per gli indigeni, sia per gli stranieri. Chi arriva in Svizzera deve dare il massimo per inserirsi, ma la popolazione residente deve partecipare attivamente allo sforzo. La mia impressione è che i ticinesi si impegnino ancora troppo poco».

La società connessa di Natascha Fioretti Dell’arte dell’agricoltura Ricordo ancora quando con i miei nonni d’estate trascorrevamo qualche settimana a Grundlsee, un ridente paesino austriaco che si affaccia sull’omonimo lago. Ma ancor più nitidamente ricordo quando la nonna alla sera mi portava alla stalla dietro casa dove un’anziana signora seduta su uno sgabello e con la schiena curva sotto la pancia della mucca mungeva a mano. Le davamo il nostro contenitore per il latte in alluminio e lo riempiva. Il nonno adorava il latte fresco appena munto. Ricordi di un tempo che fu, oggi si parla di stalle domotiche nella quali a mungere anche fino a 120 mucche c’è un robot. E tutto, ovviamente, si controlla tramite un computer e uno smartphone. Insomma anche il mestiere del contadino e del fattore non è più quello di una volta,

l’innovazione tecnologica anche qui e ormai da diversi anni a iniziare dall’uso del trattore ha cambiato modi e tempi di lavoro. Ma non sempre per il meglio. In Svizzera, ad esempio, dove ormai il numero delle fattorie e dei contadini si è dimezzato negli ultimi 40 anni, in molti lasciano perché sia fisicamente che psicologicamente non riescono a tenere il ritmo impresso dal mercato che richiede sempre maggiore velocità snaturando quelli che sono i tempi propri della natura. Altro fattore non meno importante è il calo di interesse da parte dei giovani per questo mestiere, le scuole ogni anno sfornano 300 giovani aspiranti agricoltori e tecnici del settore agrario in meno. Contadini e agricoltori si è con passione ma attirano di più le professioni del futuro, quelle in grado di offrire maggiori opportunità e risorse,

che dalla vita in città erano stati corrotti e traviati mentre un ritorno alla terra gli era di giovamento. Per l’agronomo bresciano l’arte della vera agricoltura consiste nell’accarezzare, nutrire, e abbellire la grande madre terra dimostrandole affetto, assecondando le sue vocazioni naturali e agendo nel modo più consono a suscitare la sua liberalità nell’offrire i frutti dell’abbondanza. E l’agricoltore in grado di esprimere quest’arte è una figura eccezionale che deve disporre di molte conoscenze, avere spiccate doti organizzative e, soprattutto, la saggezza dell’uomo giusto per l’equa distribuzione dei prodotti e delle risorse della terra tra i membri della comunità migliorando così la vita di tutti. Agostino Gallo aveva già capito tutto e senza l’ausilio della tecnologia e delle macchine.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 12 giugno 2017 • N. 24

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Società e Territorio Rubriche

Lo specchio dei tempi di Franco Zambelloni Democrazia della parola e dell’immagine «In principio era la Parola»: questo celebre inizio del Vangelo di Giovanni ha molto di vero anche in relazione con l’evoluzione dell’umanità. Non c’è dubbio che lo sviluppo di un linguaggio articolato consentì il grande balzo della civiltà e della cultura: la parola permise la trasmissione di tradizioni e conoscenze, la nascita di idee, la crescita dell’immaginazione. Ma ora pare che la parola sia in declino: l’immagine prende sempre più il sopravvento, grazie alla sua facile immediatezza e alla forza emotiva; il lessico s’impoverisce, la competenza di lettura si riduce; e nella comunicazione multimediale le faccine e le icone sostituiscono le frasi. La difficoltà di molti giovani a leggere le pagine di un quotidiano è ben documentata in molti Paesi, compreso il nostro. Dunque, la parola e il discorso cedono il posto all’immagine e allo spettacolo. «In principio era il Logos»: è questa la

citazione corretta dell’inizio del Vangelo di Giovanni nell’originale greco; e nella lingua greca «logos» significa «parola», certo, ma anche «pensiero». Parola e pensiero, per i Greci, sono tutt’uno, perché senza un linguaggio evoluto non è possibile neppure un pensiero evoluto; il che è senz’altro vero ancor oggi. In tempi recenti, Ludwig Wittgenstein scrisse: «Il linguaggio non è soltanto il veicolo del pensiero; ne è anche il conducente». Ma se il pensiero perde il conducente, c’è da chiedersi dove andrà a sbattere. Tra coloro che se lo chiedono – e sono tanti – c’è anche un ottimo politologo, purtroppo scomparso di recente: Giovanni Sartori, nel suo libro Homo videns, si dice convinto che siamo attualmente nella fase di una mutazione genetica che dal primato della parola ci sta riportando indietro, a quel primato della vista che caratterizzò la nascita dell’Homo sapiens. Ma questa tesi

diventa ancor più inquietante quando Sartori ne analizza le conseguenze in ambito politico. Non c’è dubbio che gran parte della gente attinga l’informazione non tanto dai giornali, quanto dalla televisione e dai nuovi mezzi multimediali. I giovani, in particolare, consultano Facebook, Youtube e altri siti del genere, dove immagini e filmati la fanno da padrone. E, naturalmente, non è detto che l’informazione che se ne ricava sia rigorosamente documentata – tutt’altro! Sulla disinformazione prodotta dalla Rete e sulle bufale che vi proliferano esiste già una sovrabbondante documentazione. Del resto il potere – là dove non ha alcun limite democratico – può sempre censurare o negare l’informazione anche in Internet: ne è un esempio la Turchia che, nel maggio scorso, ha bloccato l’accesso a tutte le versioni linguistiche di Wikipedia, l’enciclopedia libera della Rete.

Ma ci sono modi più blandi e ben più subdoli di manipolare l’opinione pubblica, sfruttando sondaggi per assecondare le aspettative dell’elettorato, creando personaggi mitici e facendone delle star (il caso di Trump è eloquente), in modo che la politica stessa diventi spettacolo e che alimenti una specie di tifo sportivo per un politico o per il suo antagonista: così poi si vota per il più simpatico, il più seducente, quello che calca meglio la scena. Però, gli stessi media che veicolano l’informazione spettacolarizzata ospitano anche lamentele frequenti sui populismi che avanzano, sulla scarsa partecipazione elettorale o sulla disinformazione che porta l’elettorato a scelte affrettate, che magari vengono poi ribaltate in una consultazione successiva. Si potrebbe dire che, in fondo, anche la parola, e non solo l’immagine, può essere uno strumento di seduzione delle masse: il successo di Hitler e di

Mussolini è da ascrivere anche alla loro indubbia eloquenza retorica. Entrambi sapevano affascinare l’uditorio evocando spettri paurosi e promettendo protezione. Ed è in particolare su questi temi che le parole del politico andrebbero soppesate: le parole, per comunicare davvero, dovrebbero anche evocare dubbi, pensieri, valutazioni. Quando leggiamo un libro o quando ascoltiamo un discorso li comprendiamo solo nella misura in cui ci inducono a pensare; quando invece prevale lo spettacolo, di solito quel che ne nasce non è un pensiero, ma una reazione emotiva. Certo, la democrazia resta pur sempre il sistema politico migliore; ma perché possa funzionare al meglio occorre sempre ricordare quanto scriveva Stefano Franscini: «La democrazia non è soltanto la maggioranza che vota, è anche la minoranza che pensa». Ora anche questa minoranza pensante sembra avviata a ridursi sempre di più.

Troesch. Rosso, di legno, stile Lofoten. Entro nella buvette per racimolare qualche notizia di prima mano e sapere se magari c’è ancora un angolo originario. Avevo visto alcune foto in biancoenero dove i bambini gestivano un piccolo negozio costruito da loro. Innaffiavano degli orticelli, ma soprattutto una immortalava un vecchio aereo da caccia fuori uso. I bambini arrampicati a bordo erano felici. Due donne e un uomo sono dietro al bancone, la buvette è vuota e triste. Non sanno minimamente di cosa sto parlando. Il tipo sembra quasi indispettito. Dice che non parla tedesco, solo schwitzerdütsch. Insisto a dirgli che è comunque importante sta storia del primo parco Robinson del mondo, ma non gliene frega niente. Lasciamo perdere. Il caffè brodaglia inoltre è da voltastomaco, esco a prendere un po’ d’aria. Tanto nella buvette del parco Robinson di Wipkingen (404 m), conosciuto anche colloquialmente come Robi, non ricavo grandi impressioni personali per il mio reportage. Ho quasi paura, questa

volta, con questo pezzo, di fare un buco nell’acqua. Mi consolano i due bambini che giocano ancora tra una capanna e l’altra. Due mamme con i passeggini chiacchierano vicino alle fontane tonde in beton P 175. Sono quattro, diversa altezza, comunicano tra loro tramite un canaletto. Non sono poi male, sempre opera di Troesch mi sa. Un po’ a metà strada tra le grandi foglie di Victoria amazonica e le fontane di Donald Judd a Winterthur. «Il gioco è altrettanto necessario del cibo, dell’abitazione e del vestire per il sano sviluppo della gioventù. In ogni quartiere residenziale dovrebbero esserci a disposizione sufficienti possibilità per i giochi più comuni: esse hanno la stessa importanza delle strade, dei parchi, delle autorimesse, degli impianti sportivi, e delle piscine» ha scritto Alfred Trachsel nell’introduzione allo splendido libro Campi di giochi e centri comunitari (1959). Vaglielo a spiegare a quel menefreghista frustrato ignorante e scortese della buvette. Perlustro ancora un po’ ma è rimasto ben

poco del parco giochi ideato da Trachsel e Ledermann per l’avventura cittadina. Le capanne fai da te saranno state smantellate e finite in qualche camino o usate per altro altrove. Ma chissà dov’è finito il caccia da gioco? In fondo però, come diceva Robinson Crusoe «tutte le sventure vanno giudicate insieme con il poco bene che recano in sé». Mi siedo in riva alla Limmat e penso allora a quel parco Robinson sardo snobbato per la sala giochi. Sorrido pensando a quei pomeriggi passati davanti a quei videogiochi estinti. C’erano due altri fissati che giocavano con me e mio fratello. Per battere tutti i record di Commando giocavamo in due. Uno aveva il compito di smanettare muovendo il soldato Super Joe, l’altro schiacciava come un matto il tasto per sparare. L’unica tregua, un breve tuffo in mare. Ora faccio un salto al Letten e mi butto nella Limmat, fare un pezzo d’acqua, male non fa. Anch’io come Robinson sull’isola deserta oggi devo costruirmi, con niente, il mio mondo.

per salvare le apparenze, senza nessun vantaggio concreto per la popolazione residente. Partiti gli ospiti, telecamere e reporter compresi, sarebbero stati rimossi. Così, com’era successo, in tante altre occasioni, che appartengono, ormai, a una vera e propria tradizione: scenari e sceneggiate per produrre uno spettacolo che è un inganno. Nel linguaggio popolare, si chiamano «villaggi Potemkin». Ciò che ne rivela l’origine. L’ideatore di questa messa in scena era stato proprio lui, il principe Grigorij Alessandrovic Potemkin, che l’aveva inaugurata, in occasione della visita di Caterina II, in Crimea, nel 1787. La zarina, di cui il giovane Grigorij aveva conquistato i favori, fu accolta in un clima fiabesco: fuochi d’artificio, orchestre lungo le rive del Dnjepr, deliziose contadinelle e robusti contadini, in abiti della festa, colorite facciate di cartapesta per camuffare le casupole malandate degli abitanti, mentre i personaggi erano attori

arrivati da Pietroburgo. Secondo lo storico Simon Sebag Montefiore, a denunciare l’inganno fu, vent’anni dopo, l’ambasciatore di Sassonia, Georg von Helbig: il primo a parlare di «villaggi Potemkin», strumenti di propaganda, e basta. L’espressione continua a essere attuale. Anzi, nel corso dei secoli, ha assunto i toni di una voce critica, di dissenso, in apparenza scherzosa, malvista dalle autorità. In realtà, rappresenta un’arma con cui i cittadini di un grande paese, passato da un imperialismo a un altro, dimostrano di essere gli spettatori consapevoli di un bluff. Come, a suo tempo, lo furono tedeschi, italiani, spagnoli, insomma i sudditi di regimi dittatoriali, dove il culto della facciata, del grandioso, del primato serve a camuffare la quotidianità alimentando sogni patriottici. Attualmente, l’esempio più rappresentativo è la Corea del Nord. Ma, anche da Washington arrivano segnali allarmanti. Il «villaggio Potemkin» non conosce confini.

A due passi di Oliver Scharpf Il parco Robinson di Wipkingen La prima volta che ho sentito parlare di parco Robinson è stato in Sardegna. Secoli fa, in un villaggio vacanze a Santa Margherita di Pula: per andare a colazione si passava via dal parco Robinson. Non ci ho mai messo piede. Era l’epoca e l’età delle sale giochi. Assieme a mio fratello si giocava in modo ossessivo a Space Invaders (1978) o Commando (1985). Del resto non sono mai stato molto parchi giochi, in Capriasca si andava nei boschi a costruire capanne sugli alberi. In fondo un po’ il concetto alla base del primo parco Robinson del mondo ideato, su ispirazione scandinava, nel quartiere zurighese di Wipkingen nell’estate 1954: traslare la grande libertà e la piccola avventura di un luogo selvaggio in città. Dare una possibilità robinsoniana ai cittadini in erba. Gli artefici sono due Alfred: Alfred Trachsel (1920-1995), un architetto specializzato in parchi giochi, e il giurista Alfred Ledermann (1919-2016) della fondazione Pro Juventute. Il posto prescelto, un prato ai bordi della Limmat. Tra la Breiten-

steinstrasse e l’Ampèrestrasse. È lì che mi dirigo salendo sul tredici. Curiosa l’assonanza tra questo luogo precursore e il primo vitaparcours scovato sempre a Zurigo, qualche anno fa. Una dozzina di minuti e scendo in Wipkingerplatz. E così, una mattina grigia di giugno, vado in cerca di un parco giochi battezzato con il nome del famoso personaggio spiaggiato su un isoletta cilena. Il naufrago per eccellenza, protagonista del libro di Daniel Defoe: La vita e le strane sorprendenti avventure di Robinson Crusoe (1719). In faccia, sull’altra sponda della Limmat, svetta presuntuosa l’inutile Prime tower. Beccato subito. In un angolo, nei recinti, ci sono delle capre, un maiale strano; quasi un cinghiale. Deve essere un minizoo per bambini. Due bambini sono aggrappati a una ragnatela bianca di corde intrecciate, tra due specie di capanne tipo palafitte. Non c’è molto altro. Mi cadono un po’ le braccia. Prende la scena l’edificio rettangolare risalente all’ampliamento del 1957 pianificato dall’architetto Hans

Mode e modi di Luciana Caglio Potemkin: le disavventure di un nome Per il pubblico di lingua italiana, l’associazione è persino automatica: se si sente dire Potemkin, si pensa a Paolo Villaggio, cioè a Fantozzi. E, precisamente, all’episodio in cui il personaggio, simbolo di angherie e

Il ragionier Fantozzi si esprime sulla corazzata Kotiomkin.

umiliazioni subite vilmente, si riscatta con una battuta, ormai storica: «Per me la corazzata Kotiomkin è una cagata pazzesca», grida parafrasando ironicamente il titolo originale. È la scena più esilarante e significativa della pellicola, diretta da Luciano Salce, e non va dimenticato, nel 1976. Cioè nel pieno dell’era dei cineclub, luoghi consacrati proprio al culto di quest’opera di Sergej Eisenstein, considerata «il più bel film di tutti i tempi», sia sul piano estetico che ideologico, e quindi destinata a svolgere una funzione educativa per i lavoratori. Come avviene, appunto, nell’azienda che impiega il ragionier Fantozzi, il travet per definizione sottomesso, che, però, inaspettatamente rompe un tabù. Rifiutando di sorbirsi l’ennesima proiezione con relativo dibattito, di un film imposto dalla dirigenza, si ribella «alla cultura che viene dall’alto». Sta di fatto che il gesto, compiuto da questo modesto impiegato, supera la finzione cinematografica, per entrare

nella realtà, innescando una polemica sempre aperta. Per i patiti di cinema, Eisenstein, che cadde poi in disgrazia, accusato di antistalinismo, rimane un intoccabile e, quindi, il Kotiomkin fantozziano, sarebbe soltanto una volgarità. Niente a che vedere con il vero Potemkin. Invece, ecco che il nome Potemkin subisce un’altra umiliazione. E, questa volta, attraverso un fatto di cronaca, che ha avuto un eco mondiale. L’episodio, infatti, si riferisce al Forum internazionale dell’Artide che, lo scorso marzo, aveva riunito ad Arcangelo, sul Mar Bianco, ospiti di riguardo: politici, scienziati, tecnici, ambientalisti, giornalisti. Per accoglierli, l’amministrazione locale aveva allestito passerelle antisdrucciolo, tratti di strade dal fondo impeccabile, ricoperto con strati di neve pulita cumuli di sporcizia: a testimoniare l’impegno dedicato allo sviluppo in una zona, climaticamente impervia. Si trattava, però, di interventi provvisori:


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Ambiente e Benessere Una ricetta estiva Frutti di mare e pomodori con tanti aromi tipici della cucina italiana pagina 14

Giornata della donazione di sangue Il 14 giugno nelle filiali Migros di Lugano e S. Antonino verrà organizzata una distribuzione di «Berliner», quale invito simbolico alla clientela a informarsi sulle possibilità di donare il sangue

Si parte, ma per dove? Una ricerca ha mostrato come arriviamo a scegliere la meta delle nostre vacanze

Fiori al posto del ghiaccio Sulle Alpi tornano le condizioni ambientali di mille anni or sono

pagina 15

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Fauna dell’era glaciale nel Nord della Spagna. (Mauricio Antón)

Animali a spasso e continenti in movimento

Paleontologia Molto prima di noi, gli animali hanno migrato percorrendo tutto il pianeta Lorenzo De Carli La scena forse più raccapricciante di Alien – il film che Ridley Scott realizzò nel 1979 – è quella, nella quale dal torace di Kane fuoriesce una creatura mostruosa, che gli si era sviluppata dentro, e che poi fugge via per l’astronave. Nella realtà, le cose non stanno molto diversamente, tanto che, studiando il comportamento di alcuni animali, c’è da chiedersi se non stiamo per caso vivendo in un pianeta orribile, popolato da creature ripugnanti. Si pensi, per esempio, alla Sacculina carcini, incubo e parassita di tanti granchi. Nella fase di larva, questo crostaceo s’insinua nelle parti più vulnerabili dei granchi – per esempio tra le articolazioni –, agganciandosi con tenacia alla sua preda. Successivamente, vi inietta alcune sue cellule, mentre la parte rimasta fuori muore. Quelle poche cellule depositate nel corpo del granchio si moltiplicano e si differenziano, diffondendosi nel corpo ospite come un cancro. Per via ormonale, la Succulina prende il controllo fisico e comportamentale del granchio, crescendovi dentro. In uno stadio successivo, essa produce un sacchetto esterno, dove si svilupperanno le uova. Maschio o femmina che sia, il granchio ne avrà cura,

trascurando se stesso. Mature sino al punto di essere fecondate, le uova si apriranno in modo tale da essere disponibili a ricevere l’esserino prodotto dalla Succulina maschio, che morirà subito dopo. «È come se durante l’atto sessuale di due esseri umani – ha scritto la zoologa Lisa Signorile –, subito prima della penetrazione, il pene prendesse vita, si staccasse ed entrasse nelle vie genitali della donna per fecondarla, mentre il resto dell’uomo degenera, dopo che gli sono esplosi gli occhi e gran parte degli organi è stata espulsa». E se vi sembra che sia una faccenda, sì, disgustosa ma, dopotutto, confinata al regno animale, che ne dite del candirù (Vandellia cirrhosa), il piccolo pesce gatto, «lungo al massimo 6 cm e largo massimo 1 cm» (scrive sempre la Signorile) che vive nel Rio delle Amazzoni e che, risalendo il flusso dell’urina, s’infila nell’uretra dei mammiferi che fanno pipì in acqua, sino ad arrivare nella vescica? Potrebbe essere una leggenda metropolitana (o «forestale»), «ma se proprio dovessi fare il bagno nel Rio delle Amazzoni, userei un costume da bagno corazzato in kevlar». Laura Signorile, che oggi si occupa di genetica delle popolazioni all’Imperial College di Londra, aveva raccolto descrizioni di molte creature

raccapriccianti con cui conviviamo in un blog, poi diventato libro, intitolato L’orologiaio miope. Nella sua attività di ricerca più recente, Laura Signorile si è dedicata allo studio di come gli animali hanno migrato per tutto il pianeta ben prima della nostra comparsa, dalla disgregazione di Pangea a oggi, lungo un periodo di circa 200 milioni di anni, vale a dire dal Triassico fino ai giorni nostri. Nel corso di questo lungo lasso di tempo, per un verso gli animali si sono spostati a causa di fenomeni migratori come sempre dovuti o alla pressione demografica o di mutamenti ambientali, per l’altro verso essi si sono spostanti su terre emerse che, esse stesse, scivolavano sulla Terra, generando a poco a poco la configurazione dei continenti che ci è nota. I marsupiali, per esempio, che tendiamo ad associare al continente australiano, provengono da una zona corrispondente all’attuale Cina, e nell’odierna Australia giunsero dopo un lungo viaggio cominciato nel Giurassico e finito nel Paleocene. Colonizzate prima l’Asia, poi l’Europa e quindi il Nord America quando i due continenti erano abbastanza vicini, i marsupiali approfittarono di quando, nel tardo Cretacico, i due continenti americani si unirono, andando verso

sud. Quindi arrivarono in Australia, passando per l’Antartide, continente allora molto vicino alla futura terra dei canguri. «Ripercorrere la strada tracciata dagli animali nella loro colonizzazione dei continenti» è il compito che Lisa Signorile si è prefissata con Il viaggio e la necessità. L’autrice ha avuto accesso alle più recenti scoperte, ma ciò nondimeno sono ancora tante le questioni che attendono d’essere risolte come, per esempio, la presenza di scimmie in Sud America già 25 milioni di anni or sono. Si potrebbe ipotizzare provenissero dal Nord America, sennonché i due continenti, allora, erano tanto lontani, da rendere quasi impossibile il passaggio da isola a isola; inoltre tutti i primati del Nord erano, allora, «dal naso umido» come i lemuri, mentre tutte le scimmie del Sud e del Centro America assomigliavano ai «parapitechi, scimmie vissute in Africa nell’Oligocene e ora estinte». Una seconda ipotesi è quella antartica: a lungo unita all’America del Sud, l’Antartide avrebbe potuto fare da ponte con l’Africa, permettendo alle scimmie del Vecchio mondo di migrare nel Nuovo, «un’ipotesi affascinante ma mancano le evidenze fossili perché il continente è oggi ricoperto dai

ghiacci». Non se la cava meglio la terza ipotesi, quella accreditata da Richard Dawkins, che prevede la migrazione via mare, su «zattere di mangrovia»: nessuna scimmia sarebbe stata in grado di sopravvivere ai cinquanta giorni necessari per passare da un continente all’altro via mare. C’è un momento nel quale lo studio della migrazione degli animali intercetta la migrazione del nostro genere. La documentazione fossile non lascia equivoci: in tutte le terre emerse, nelle nostre prime ondate migratorie abbiamo sterminato l’intera megafauna, incapace di sottrarsi alle nostre lance e ai nostri archi. Laddove siamo tornati successivamente, ci hanno pensato cani, gatti, ratti e manguste a far fuori le specie autoctone, incapaci di difendersi. Contrariamente a quanto si può pensare, l’importazione di animali provenienti da altri continenti riduce la biodiversità. Ecco, dunque, che il messaggio di Laura Signorile è chiaro: «è fondamentale limitare l’importazione di alloctoni ed eradicarli e controllarli laddove possibile (Homo sapiens incluso) per contenere i danni e rallentare l’inesorabile perdita di biodiversità nella speranza di sopravvivere un po’ più a lungo come specie e forse anche come individui».


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Ambiente e Benessere

Gamberoni al pomodoro

Migusto La ricetta della settimana

Piatto principale Ingredienti per 4 persone: 1 kg di pomodori per salsa, ad esempio Peretti · 1 dl d’olio d’oliva · 1 cucchiaino di zucchero · 1 cucchiaino di sale marino · pepe · 20 gamberoni interi · 2 spicchi d’aglio · 1⁄2 mazzetto di timo · 4 rametti di basilico.

migusto.migros.ch/it/ricette Per diventare membro di Migusto non ci sono tasse d’iscrizione. Chiunque può farne parte, a condizione che un membro della sua famiglia possieda una Carta Cumulus.

1. Tagliate i pomodori a dadini e metteteli in padella con la metà dell’olio, lo zucchero e il sale. Portate a ebollizione e poi continuate la cottura per circa due ore a fuoco basso, finché i pomodori si disfano completamente. Filtrateli e regolate di sale e pepe. Mettete quindi il concentrato di pomodoro momentaneamente da parte. 2. Sgusciate i gamberoni lasciando la testa e l’ultimo segmento della coda. Sciacquateli e asciugateli. 3. Scaldate l’olio rimasto in un tegame. Rosolate l’aglio, il timo e i gamberoni per circa 5 minuti a fuoco medio. Condite con sale e pepe. Trasferite i gamberoni nel succo di pomodoro. Guarnite con le foglie di basilico. Mescolate bene il tutto e accompagnate con pane bianco. Preparazione: circa 30 minuti + sobbollitura circa 2 ore. Per persona: circa 32 g di proteine, 25 g di grassi, 13 g di carboidrati, 1750

kJ/430 kcal.

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Ambiente e Benessere

Un gesto di generosa responsabilità

Giornata mondiale I Centri trasfusionali svizzeri della CRS invitano – soprattutto mercoledì 14 giugno –

a riflettere sull’importanza di donare il sangue Maria Grazia Buletti Riflettori accesi sul fabbisogno di sangue e sul suo approvvigionamento. È questo il tema che mercoledì 14 giugno sarà celebrato durante la Giornata mondiale della donazione di sangue. Un fabbisogno che deve affrontare la sfida quotidiana di poter disporre della donazione giusta, al momento giusto, nel posto giusto.

Chi ha il gruppo 0 negativo è un «donatore universale»: permette di fare trasfusioni in estrema urgenza «In Ticino organizzeremo una giornata delle porte aperte e di donazione del sangue nei tre Centri trasfusionali della Croce Rossa Svizzera a Lugano, Bellinzona e Locarno (orari su www. donatori.ch). Saranno distribuiti Berliner (ndr: dolci farciti di marmellata) che riserveranno una sorpresa per far riflettere sull’importanza della donazione e sulla mancanza di prodotti sanguigni, soprattutto in certi periodi dell’anno. Iniziativa a cui hanno aderito anche i supermercati Migros di Lugano e Sant’Antonino (v. box)», annuncia Mauro Borri, direttore operativo del Servizio trasfusionale CRS della Svizzera Italiana.

Una sacca di sangue frutto di una donazione. (Vincenzo Cammarata)

«Nei nostri centri trasfusionali consegneremo ad ogni donatore un asciugamano con disegnate le sacche di sangue rappresentanti i gruppi sanguigni e il messaggio Faccio parte di un gruppo esclusivo», spiega Borri che sottolinea come ogni individuo appartiene a uno dei gruppi sanguigni A, B, AB o 0 (zero), mentre un’altra caratteristica distintiva è il fattore Rhesus. «L’85 percento della popolazione svizzera è Rh positivo, il 15 percento Rh negativo; in caso di trasfusione di sangue è estremamente importante che il gruppo sanguigno e il fattore Rh di donatore e ricevente siano compatibili, altrimenti

Video intervista Sul canale Youtube di «Azione» e su www.azione.ch la videointervista al dr. Stefano Fontana e a Mauro Borri.

Da sinistra: un donatore, il dottor Stefano Fontana e Mauro Borri, direttore operativo del Servizio trasfusionale CRS della Svizzera Italiana. (Vincenzo Cammarata)

Questa, una delle campagne di sensibilizzazione in corso. (Vincenzo Cammarata)

il ricevente viene danneggiato», afferma il direttore medico del centro trasfusionale CRS di Lugano dottor Stefano Fontana, che a sua volta sottolinea come non tutti i gruppi sono chiamati a donare con la stessa frequenza, a causa del fabbisogno specifico dei pazienti: «I gruppi sanguigni più comuni in Svizzera sono A+ e 0+. Paradossalmente, nell’approvvigionamento di sangue, sono questi i gruppi più richiesti, in quanto i più diffusi: A+ (38 per cento) e 0+ (35 per cento). Inoltre, chi appartiene al gruppo 0 negativo è donatore universale e il suo sangue può essere utilizzato nelle emergenze vitali». Su quest’ultimo importante concetto gli fa eco Borri: «Il 6 per cento circa della popolazione appartiene al gruppo 0 negativo, considerato donatore universale e per questo tra i più richiesti perché permette di trasfondere il paziente in estrema urgenza vitale prima ancora di averne determinato il gruppo sanguigno. Ci viene spiegato che si tratta fortunatamente di casi rari («più o meno una decina o poco più all’anno in tutto il nostro cantone»), sebbene tutti gli ospedali dispongano di una piccola riserva di quattro sacche di 0 negativo sempre pronte per iniziare una terapia trasfusionale immediata. Il problema legato alla penuria di

sangue in certi periodi dell’anno ha diverse spiegazioni che i nostri interlocutori riassumono così: «Il sangue si conserva per 42 giorni e non se ne raccoglie in modo indiscriminato per evitare di buttarne via; capita perciò di dover convocare d’urgenza un donatore, perché quando un paziente necessita di una terapia trasfusionale ripetuta nel tempo, è possibile che contemporaneamente vi siano altri cinque o sei pazienti che necessitano pure una trasfusione dello stesso gruppo e allora è facile comprendere come la riserva possa esaurirsi velocemente». Borri puntualizza: «Siamo molto attenti nel convocare unicamente i donatori dei gruppi richiesti, nell’ot-

tica di una generale diminuzione della richiesta di sangue da trasfondere e di una più attenta suddivisione delle scorte per gruppo sanguigno». Fontana spiega che l’attenta e oculata gestione delle scorte deve altresì fare i conti con alcuni periodi in cui i donatori scarseggiano e le scorte diminuiscono pericolosamente: «Il periodo estivo è quello più a rischio, in quanto i donatori vanno in ferie, ma i pazienti che necessitano di trasfusioni restano costanti; non dimentichiamo anche che alcuni donatori si recano all’estero, in zone che comportano rischi di malattie endemiche e al ritorno dovranno osservare un periodo in cui non potranno donare il sangue». Dal canto suo, Borri aggiunge un’altra considerazione circa la mancanza estiva di sangue: «Se è vero che in estate gli interventi chirurgici elettivi programmati diminuiscono, con conseguente diminuzione di fabbisogno trasfusionale ad essi legato, d’altro canto abbiamo un aumento degli incidenti e il fabbisogno di sangue totale rimane perciò costante». Non è un caso che la campagna di sensibilizzazione prenda avvio sempre all’inizio del periodo estivo, ma donatori si può e si deve essere lungo il corso di tutto l’anno. «Un uomo può donare circa quattro volte l’anno, una donna circa tre e

Migros Ticino sostiene la campagna per la donazione di sangue Il 14 giugno, in occasione della Giornata mondiale della donazione di sangue, si terrà un’azione di sensibilizzazione. Nelle filali Migros di Lugano e S. Antonino verrà organizzata una distribuzione di «Berliner», quale invito simbolico alla clientela a informarsi sulle possibilità di donare il sangue. Due bancarelle animate da volontari

saranno quindi attive a partire dalle 16:00, sotto il motto di «SI N TA S L QU ND M NC (>SI NOTA SOLO QUANDO MANCA)». L’invito rivolto al pubblico è: «I nuovi donatori contribuiscono affinché i gruppi sanguigni non manchino neanche in futuro. Diventa donatore anche tu: trasfusione.ch».

la statistica ci indica che ogni donatore dona in media una volta e mezza all’anno», afferma il dottor Fontana che riassume le caratteristiche del donatore tipo: «Bisogna avere tra 18 e 65 anni, essere in buona salute, avere un peso superiore a 50 chilogrammi e presentarsi presso un servizio trasfusionale dove, attraverso un questionario medico, vengono valutati i molteplici aspetti clinici che potrebbero influenzare la sicurezza di donatore e ricevente». Questionario, controllo di polso, pressione e dell’emoglobina e colloquio con l’infermiere responsabile con il quale si possono chiarire tutte le domande del caso, determinano l’idoneità alla donazione. «Se uno o più di questi parametri non permettono di donare, consideriamo l’eventualità di un rinvio temporaneo per coloro i quali, per fare un esempio, sono stati il giorno stesso dal dentista e ciò potrebbe causare un rischio temporaneo che il sangue raccolto sia infetto; mentre parliamo di un rinvio definitivo, ad esempio per chi ha vissuto in Inghilterra nel periodo della vacca pazza, o chi presenta un problema cardiaco, perché ciò limiterebbe la tolleranza del sistema cardiocircolatorio nel gesto della donazione», spiega il dottor Fontana che invita a informarsi su tutte le condizioni cui bisogna ottemperare per essere donatore di sangue, senza incappare in rischi per se stessi o per il ricevente, perché la sicurezza della donazione e della trasfusione sono aspetti importantissimi che coadiuvano quello della compatibilità fra donatore e ricevente. Il prossimo 14 giugno sarà dunque un momento per riflettere sul fatto che tutti potremmo un giorno trovarci nel bisogno di ricevere una trasfusione; perciò parecchi di noi potrebbero fare un gesto di generosità verso il prossimo, andando a donare il sangue. Informazioni

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Ambiente e Benessere

I dubbi di chi parte

Un manuale per scrivere di viaggio

Viaggiatori d’Occidente La scelta della meta è sempre più lunga e complicata

Claudio Visentin La data della partenza si avvicina, eppure molti non hanno ancora deciso dove trascorreranno le prossime vacanze. Ogni anno arriviamo sempre più tardi a questo appuntamento. Al tempo dei nostri genitori sarebbe stato impensabile. Negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso la vacanza al mare d’agosto era d’obbligo: l’ultimo giorno si confermavano la pensione e l’ombrellone per l’anno seguente, poi si salutavano amici (e amori) con la certezza di rivederli. Nel 1963 il bagnino di Cervia Piero Focaccia azzecca la canzone dell’estate sintetizzando efficacemente la questione: «Per quest’anno, non cambiare / stessa spiaggia, stesso mare». Nel 1968 invece Riccardo Del Turco spopola cantando le pene di un innamorato inquieto perché non vede arrivare la ragazza con la quale vuole riallacciare la relazione dell’estate precedente: «Ma perché, in riva al mare, / non ci sei, amore amore, / ma perché non torni / è luglio da tre giorni / e ancora non sei qui…» (spoiler: poi lei arriva). Ogni tanto quasi rimpiangiamo queste certezze, questo piacere di essere tutti insieme nello stesso posto, nello stesso periodo: la vacanza come condivisione, come rito sociale. Ma è troppo tardi; siamo sempre più individualisti, vogliamo distinguerci e anche ai viaggi chiediamo la piena espressione della

nostra personalità. Solo che in questo modo tutto si complica, a cominciare dalle scelte. A inizio anno una ricerca di Expedia, la popolare agenzia di viaggi in rete, ha mostrato come arriviamo a scegliere la meta delle nostre vacanze, utilizzando dati raccolti in Gran Bretagna, Stati Uniti e Canada. Funziona così: all’inizio cerchiamo un’idea, un’ispirazione, ma questa fase di vuoto dura molto poco. Ben presto le suggestioni si moltiplicano e il mondo dispiega dinanzi ai nostri occhi tutte le sue attrattive: tante, troppe, quasi infinite. La lista dei desideri prende rapidamente dimensioni imponenti e alla fine decidiamo soprattutto dove non andare: sfogliamo la margherita togliendo un petalo dopo l’altro e l’ultima ipotesi rimasta sarà quella vincente. In questa gara a eliminazione non siamo soli, continua Expedia. Dapprima ci rivolgiamo a parenti, amici e conoscenti, le cui indicazioni sono molto ascoltate. Anche con il loro aiuto mettiamo meglio a fuoco i nostri desideri. Contrariamente all’immagine romantica del viaggio («I veri viaggiatori partono per partire… senza sapere perché, sempre dicono: Andiamo!», Baudelaire), le scelte d’impulso sono rare. Dopo aver ridotto la lista di possibilità, cominciamo a raccogliere informazioni, soprattutto in rete. Il 75 per cento dei navigatori consulta regolarmente siti di viaggi e turismo, dedi-

candovi ogni anno sempre più tempo; e certo c’è qualcosa di paradossale in questo desiderio di viaggio che si traduce in lunghe ore immobili davanti a uno schermo. Cerchiamo informazioni sempre più precise sui trasporti, sulle possibilità d’alloggio, sul clima o sulle attività proposte. Sui siti delle compagnie aeree ipotizziamo itinerari, su TripAdvisor leggiamo migliaia di recensioni di altri viaggiatori. Lungo tutto questo percorso – ma soprattutto nelle prime fasi – siamo fortemente influenzati dalla pubblicità turistica, palese o spesso anche occulta. Il processo non è lineare. Di settimana in settimana la scelta si allarga e si restringe; esploriamo in parallelo possibilità anche molto diverse tra loro e alcune di quelle scartate ritornano a galla alla luce di nuove informazioni. Molto dipende anche dall’umore del momento, se ci orientiamo verso la sicurezza e la comodità di un villaggio vacanza o subiamo piuttosto il fascino dell’avventura. Naturalmente, avvicinandosi alla scelta finale, la questione del costo diventa sempre più importante. Cominciamo allora a confrontare possibilità simili, ma con un occhio al budget. Dopo aver soppesato tutti i pro e contro, infine decidiamo, prenotiamo e tiriamo un sospiro di sollievo: anche per quest’anno è fatta! Ma in fondo quasi un po’ ci spiace. Infatti questa fase esplorativa si prolunga per settimane e mesi anche perché molti la con-

siderano la parte più divertente dell’esperienza, quando viviamo il viaggio nelle nostra immaginazione, al sicuro dalle disillusioni della realtà. Se questa prospettiva non vi piace, se vi sembra troppo complicata e faticosa, potete sempre partire senza pensarci troppo e affidarvi alla saggezza della strada, come i viaggiatori On the Road della Beat Generation americana. Qualcosa di interessante prima o poi succederà. Per parte mia invece ultimamente coltivo il vuoto, in chiave zen. Rinuncio ai propositi di viaggio e mi dedico interamente a migliorare la mia vita quotidiana a casa, accettando la sua routine. Scaccio i dubbi con i grandi critici del viaggio, a cominciare dal poeta latino Orazio («Coloro che si spingono al di là del mare cambiano il luogo, ma non il loro animo») o il critico d’arte inglese John Ruskin: «Nessuno spostamento a centocinquanta chilometri l’ora ci renderà di un solo briciolo più forti, più felici o più saggi… La gloria dell’uomo non consiste nell’andare, ma nell’essere». Per qualche tempo funziona poi a un certo punto, inevitabilmente, il desiderio di partire si fa sentire con intensità accresciuta dal digiuno. L’immagine di una terra lontana bussa prepotente alla mente, portando con sé l’idea che là e solo là troveremo la risposta a quella domanda che ci tormenta. Niente dubbi questa volta. E a quel punto non resta che partire.

Bussole I nviti a

letture per viaggiare

«Se scriviamo per passione cosa cerchiamo? La penna è bacchetta di rabdomante, intercetta acque sotterranee, è antenna che riceve segnali, è bacchetta magica che crea finzioni a partire da realtà, finzioni che a loro volta diventano reali. Scrivere di viaggio è viaggiare due volte, la seconda volta lasciando che dai depositi di memorie, impressioni e riflessioni venga fuori qualcosa di nuovo…» Questa settimana abbiamo parlato del tempo che precede la partenza, quando immaginiamo e prepariamo il nostro itinerario. Ma anche il tempo dopo il ritorno può offrire l’opportunità per rivivere a distanza il nostro viaggio, dare un senso a ciò che abbiamo visto, trovare ispirazione per nuove avventure e soprattutto raccontarlo e condividerlo con gli altri in varie forme, a cominciare dai social network, senza annoiare e perdersi in discorsi da salotto. Il nuovo manuale della Scuola del Viaggio, il primo di questo genere, è lo strumento che mancava; pagina dopo pagina spiega le tecniche, propone esercizi, condivide suggerimenti pratici e trucchi del mestiere su tutte le forme di racconto inclusi video, disegno e fotografia. E proprio alla fotografia di viaggio è dedicato il classico manuale Lonely Planet, finalmente disponibile in traduzione italiana. È un libro ben bilanciato tra tecnica e contenuti; prende per mano il dilettante ai primi passi, armato di un semplice smartphone (se ben utilizzato consente comunque risultati sorprendenti!), e lo conduce sino alla soglia della fotografia di viaggio professionale. I numerosi esempi rendono gradevole la lettura, alleggerendo le sezioni più tecniche.

Vincenzo Cammarata

Bibliografia

Andrea Bocconi e Guido Bosticco, Raccontare il viaggio. 30 lezioni dalla scrittura all’immagine, Touring Club Italiano, 2017, pp.192, € 14,90. Richard l’Anson, Guida Lonely Planet alla fotografia di viaggio, EDT, 2017, pp. 376, € 23,50.

Enigmi incrociati

Giochi di parole N on solo sforzo mnemonico, ma anche ragionamento

Soluzione

Orizzontali: 1. Uno a zero – 7. Dolce romanzo – 13. Scopone scientifico – 15. Sapere antico – 16. Esercizio di spirito – 17. Comportano tempi lun-

ghi – 18. Bella, questa! – 19. Principio di snobismo – 20. Parità sanitaria – 21. Agili note – 22. Andato, tempo fa – 23. Tesi senza pari – 24. Successione di versi acuti – 25. Responsabile di geniali trasmissioni – 26. Rombo significante – 28. Tema di concetto – 30. Affettati di prima classe – 32. Periodo vissuto in Inghilterra – 33. Scrittura automatica. Verticali: 1. Capo estremo – 2. Piccola stanza dei bottoni – 3. Giro di boa – 4. Spinta non comune – 5. Grazie tante – 6. Tettoia senza tetti – 7. Baca il baco – 8. Non finisce qui – 9. Legato a grappoli – 10. È comune nei Pirenei – 11. Fissò, per primo, il Sole e le stelle – 12. Rinomato luogo di ritrovo – 14. Passa tutti i giorni per Washington – 18. Lo stato dei castori – 20. Atlante dell’antica Roma – 21. Calcolo operato – 22. Umanità eschimese – 24. Facoltà di passaggio – 25. Assegnati di fatto – 27. Tanto è lo stesso – 28. Cuscinetto inglese – 29. Aria francese – 31. Fine del piacere…

Confrontando ogni parola da inserire nello schema, con la corrispondente definizione, dovrebbe emergere facilmente il relativo gioco di parole utilizzato.

Come ho già avuto modo di affermare in queste pagine, gli enigmisti più intransigenti non amano molto il gioco del cruciverba (o delle parole incrociate) perché, a loro parere, il relativo procedimento risolutivo non richiede alcun tipo di ragionamento, ma solo uno sforzo mnemonico. Una tale posizione è facilmente contestabile, in quanto, ricorrendo a delle espressioni di ambigua interpretazione, è sempre possibile trasformare una qualsiasi definizione in un piccolo enigma da risolvere. A tale proposito, vorrei sottolineare che la capacità di cogliere i potenziali doppi sensi delle frasi è una peculiarità umana che l’Intelligenza Artificiale non è ancora in grado di simulare. Una decina di anni fa, alcuni studiosi della Facoltà di Informatica di Siena realizzarono un programma, denominato WebCrow, che era in grado di

compilare dei cruciverba, leggendo le definizioni assegnate e rintracciando le possibili soluzioni su Internet, tramite potenti motori di ricerca. A me chiesero di mettere a punto alcuni schemi per testare l’efficienza dei loro algoritmi. Quelli che proposi, però, si rivelarono troppo ardui per le loro potenzialità, in quanto presentavano troppe ambiguità da decifrare e non permettevano, quindi, di individuare, in maniera lineare, le varie parole da inserire. Riporto qui di seguito un cruciverba infarcito di doppi sensi, affrontabile solo da una mente umana (anche se con un certo impegno…). Cercate di risolverlo, assaporando l’incommensurabile piacere di superare con la vostra genuina intelligenza reale, un prodotto dell’Intelligenza Artificiale.

Orizzontali: 1. Rasato – 7. Nougat – 13. Aspirapolvere – 15. Scire – 16. Osteria – 17. Ere – 18. Otero – 19. SN – 20. Ana – 21. Crome – 22. Ito – 23. TS – 24. Poema – 25. DNA – 26. Losanga – 28. Paura – 30. Aristocratici – 32. Season – 33. Editor. Verticali: 1. RAS – 2. Ascensore – 3. Spira – 4. Aire – 5. Tre – 6. OA – 7. Nosema – 8. Oltre – 9. Uveo – 10. GER – 11. Aristarco – 12. Teano – 14. Potomac – 18. Oregon – 20. Atlas – 21. Conto – 22. Inuit – 24. Pass – 25. Dati – 27. SIA – 28. Pad – 29. Air – 31. RE.

Ennio Peres


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 12 giugno 2017 • N. 24

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Ambiente e Benessere

L’orto sinergico Anita Negretti Emilia Hazelip ci ha lasciati nel 2003 a soli 66 anni. Agricoltrice attenta e studiosa, ha elaborato una concezione di coltivazione dell’orto che si basa su concetti vecchi di centinaia di anni ma spesso dimenticati. Nata a Barcellona nel 1937, la Hazelip ha legato il suo lavoro al libro La rivoluzione del filo di paglia di Masanobu Fukuoka e ai suoi metodi naturali (permacultura), facendo propri i concetti, ma adattandoli al contesto mediterraneo.

Una forma di orticoltura che non ostacola il corso della natura, grazie a concetti e principi antichi Nasce così l’agricoltura sinergica, in cui si sviluppa una stretta cooperazione fra la terra, la pianta e l’uomo. L’agricoltura classica prevede la creazione di orti a parcelle dalle forme regolari («imposizione» derivante dai romani che utilizzavano forme strutturate sia per edificare nuove città, sia per creare gli orti degli accampamenti). Inoltre prevede un’aratura o vangatura annuale e il reintegro delle sostanze nutritive mediante concimazione. Nell’orto sinergico tutto questo viene stravolto sintetizzando la coltivazione in quattro principi fondamentali: nessuna lavorazione del suolo, nessun

apporto di fertilizzanti, nessun trattamento di sintesi e nessun compattamento del suolo. Si parte dalla scelta del luogo adatto che dev’essere il più soleggiato possibile per fare in modo che avvenga nelle migliori condizioni sia la fotosintesi sia di conseguenza lo sviluppo delle piante. Si procede poi con la creazione di bancali, ossia letti di semina o aiuole di coltivazione distanti 50 centimetri l’uno dall’altro. Ogni bancale avrà una forma trapezoidale, con una larghezza alla base del terreno di 120 centimetri, 80 centimetri alla sommità e sarà alto dai 40 ai 50 centimetri per evitare che venga calpestato. In fase di allestimento si aumenta l’altezza delle aiuole con la terra di riporto, il compost o il letame maturo (e solo in quest’ultimo caso verrà introdotto del concime). Lasciando spazio alla fantasia, i letti di semina, lunghi quanto si desidera, possono assumere forme simili a cerchi concentrici o a spirali. Per l’irrigazione è bene affidarsi a un delicato metodo goccia a goccia, anche artigianale. Si può, ad esempio, stendere un tubo di gomma, forato ogni 10 centimetri, sopra a ogni bancale. I vari tubi, collegati tra loro e a un serbatoio rialzato, garantiranno acqua a tutte le piantine. Ottenuti aiuole e impianto d’irrigazione, si procederà coprendo tutta la superficie dell’orto con una pacciamatura naturale con lo scopo di mantenere l’umidità del suolo e proteggerlo dai raggi diretti del sole. Per coprire l’orto la prima volta, l’ideale è procurarsi una bal-

CeGall

Mondoverde Come curare le proprie piantine rispettando i tempi e i principi della natura

la di fieno o di paglia, che dovrà essere inumidita e, in seguito, accuratamente distribuita sulla superficie; a quel punto si potranno utilizzare scarti vegetali o malerbe per coprire il terreno. L’idea di utilizzare un pacciame naturale ha avuto origine dall’osservazione di foreste e boschi, dove il suolo è costantemente ricoperto da uno strato di foglie secche e altri residui vegetali, al di sotto del quale si trova un terreno soffice, scuro e ricco di humus. Contrariamente all’agricoltura tradizionale, in cui si utilizza un telo di plastica nero quale protezione, coprendo le piantine con il pacciame si otterrà un orto inospitale per le infestanti e soprattutto un suolo ricco di humus.

Anche le piante infestanti avranno un diverso trattamento. Non verranno strappate e gettate nella compostiera, ma avranno un ruolo importante e dunque verranno tagliate all’altezza del terreno. Lasciando le radici nel suolo, infatti, lo arieggeranno e lo sminuzzeranno, così che la parte aerea depositata sul terreno si decomporrà in maniera naturale apportando elementi nutritivi fondamentali. Nel caso in cui si decida di abbracciare i principi dell’agricoltura sinergica, consiglio di cominciare con la coltivazione di ortaggi a crescita rapida, come ravanelli o insalate, e passare poi solo in un secondo secondo tempo (l’anno successivo) a integrare pomo-

dori, cetrioli, melanzane, fagiolini e patate. L’orto sinergico può avvalersi anche di una stretta collaborazione con animali utili per limitare e contenere i danni di lumache, bruchi, talpe e topi che possono depredare l’orto. Per poterne approfittare, si potrebbe, ad esempio, attirare rospi nell’orto creando piccole zone umide; i ricci, invece, nidificheranno se avranno a disposizione una piccola legnaia coperta; pure i pipistrelli possono essere attratti, semplicemente ricordando che gradiscono le cassette appese agli alberi. Per concludere, come si è cercato di dimostrare, tutti i metodi biologici sono ben accetti all’interno di questo tipo di agricoltura. Annuncio pubblicitario

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T I B O C C A 19 I D O G E R S 13 14 15 16 17 Ambiente e Benessere C E C O N E C 18 19 20 21 E C C E T T O 22 23 24 A H A R A L 25 26 27 E I A Z I 28 29 E F R E E 30 31 M I Rosa R N E SUDOKU PER Biodiversità Dopo diversi secoli tornano32i fiori al Colle del Teòdulo, 3317 metri sulS Monte T I N. R 17 O FACILE I D E Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 12 giugno 2017 10 • N. 24

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Quel che resta dopo il ritiro dei ghiacciai alpini Alessandro Focarile Come tutti i colli alpini oltre i tremila metri, fino a un recente passato coperti da calotte glaciali (testimonianza di antiche transfluenze da un’alta valle all’altra), anche il Colle Teòdulo (tra la conca del Breuil e Zermatt), con l’attuale affioramento roccioso a 3317 metri ha perso dieci metri di ghiaccio rispetto alla quota indicata nelle carte di 80 anni or sono. Con il progressivo e imponente ritiro in atto dei ghiacciai alpini, nuove terre si stanno scoprendo, permettendo il ritorno della vita vegetale e animale, condizione ambientale che le Alpi avevano conosciuto durante l’optimum termico medievale tra l’anno Mille e il 1350-1400. Nell’ambito del permanente pendolo climatico che conosce la Terra, vi è stato un periodo storico durato dal 1500 al 1870 circa, durante il quale si è sviluppato un considerevole aumento del glacialismo sulle Alpi: la cosiddetta «piccola era glaciale». Una recrudescenza delle temperature e un forte incremento delle precipitazioni invernali, sono stati fenomeni climatici che hanno influenzato in misura incisiva, e drammatica, anche le vite umane. Prima del 1300, l’uomo occupava le alte terre alpine grazie a un clima benigno durante lunghi decenni. Ricordando il precedente «optimum termico di epoca romana». A Prarayer nell’alta Valpelline in Valle d’Aosta, a 2000 metri si coltivava l’orzo e la segale, macinati nel prossimo Place Moulin. E il villaggio era abitato durante tutto l’anno.

e si conserva nelle fessure. Schemasi deposita Nel corso di diversi decenni, la ra-

Il limite superiore del bosco giungeva a oltre 400 metri rispetto alle quote (N. 22 - La medusa immortale, ringiovanisce sempre) attuali. All’Alpe di Tza de Tzan, sempre in Valpelline, a 2760 metri vi sono 2 2 3 4 5 6 tuttora i1ruderi del più elevato insediaL A M E D I mento pastorale conosciuto sulle Alpi. 3 1 6 7 8 9 Diversi colli oltre i 3000 metri tra Valle U S A S I M d’Aosta e il Vallese erano frequentati da 10 11 12 4M mercanti, ecclesiastici, reggitori d’affari M O R A N pubblici, e pastori che utilizzavano i pa13 14 scoli di altitudine. E L I T E E Erano logiche vie di transito da 15 16 17 18 19 20 una valle all’altra, senza essere obbliA D L O N T A gati a scendere in basso e23 risalire, onde 21 22 24 25 evitare pedaggi e angherie dei signoR I N O 5S 3E 8 rotti locali. «Non erano rare carovane 26 27 28 29 30 31 di 25-30 muli, che passavano dalla Val- Saxifraga oppositifolia. (Alina Focarile) A I O V 6A N D le di Gressoney (la 33 valle di mercanti34= 32 35 36 Kramer-Tal) attraverso la Bettaforca, 4554 metri, il più elevato rifugio alpino di S C specie O diRsassifraghe, I E di andròsaci, S E il colle delle Cime Bianche e il Teòdulo d’Europa. minuarzie e di sileni che possono rag9 8 37 38 per portarsi a Praborna, l’attuale ZerRisultato: 400mila preziosi IdatiM giungere P AancheSi 60Tcentimetri O di diaA matt» (Mònterin 1938). Tutte testimo- ottenuti al prezzo di un eroico lavoro metro oltre i 3500 metri, come sul Naso 2 5 nianze inconfondibili dell’assenza di di oltre 15 anni! Grazie allo studio del- del Lyskamm nell’alta Valle d’Ayas. - “Va Avvalorate bene, appena ti sposi chiamami”) ghiacciai (N. lungo23 il percorso. le fonti bibliografiche e di documenti Sono tutti fiori che hanno realizanche con i ritrovamenti di punte di d’archivio, Mònterin acquisiva tangibi- zato, nel corso della loro lunga storia 1 4 sulla parallela 5 6 lancia in bronzo, di ferri da cavallo e 2di 3li prove diminuzione dei evolutiva, un efficiente e razionale mecT Ual monete, offerte votive dei viandanti per ghiacciai in epoca medievale; e la con- canismo per V vivere,Eche N li ha messi 9 7 Pen, 8 propiziarsi la benevolenza del dio commitante facilità di transito degli riparo dai possibili concorrenti per 4 lo Ofiori,BcheO E il nume tutelare delle Alpi Pennine. alti colli delle Alpi Pennine: dalla Valle spazio. Questi si sviluppano 10 Umberto Mònterin, il 9grande d’Aosta al Vallese e viceversa. a cuscinetto, utilizzano i positivi effetti I R Eentro6la quaA scienziato di Gressoney-la Trinité in Oltre alle alghe e ai licheni, in alta fisici di una micro-serra, 11 ba12 Valle d’Aosta, al quale dobbiamo montagna le prime manifestazioni di le si creano elevate temperature, grazie L verde-oliva O 2 scuro P deiI silari conoscenze sulla climatologia e vita vegetale sono offerte dalla presenza anche al colore 13 14 15 16 17 la glaciologia del massiccio del Monte di piante superiori munite di fiori, che serpentini e delle pietre verdi, il moti4F del5 P E voNdominante N Edella litologia AMonte T Rosa (versante italiano), aveva orga- si insediano nelle fessure e negli anfrat19 nizzato 18 e assicurato il funzionamento ti delle rocce, creando20«rupi fiorite». Rosa. Le radici sono a diretto contatto I co-S con E la roccia E circostante P Oche le8 SingloA 6 di una rete meteorologica scaglionata Esse spiccano con un tocco di vivaci 22 23 del mondo mineda 1800 21 metri a D’Ejola (Gressoney-la lori tra la dominanza ba.Si aggiunge una sufficiente conE C servazione O H I (dalla Trinité), attraverso il Col d’Olen (2900 rale circostante. dell’acqua pioggia, 1R T 24 25 26 27 metri) fino alla Capanna Margherita, Sono i vistosi cuscinetti di diverse e dallo scioglimento della neve), che

N. 18 MEDIO Bibliografia

R A Mònterin, Il clima delle Umberto Alpi ha8 mutato in epoca storica? Le O Nvie di comunicazione attraverantiche so gli elevati valichi alpini, Consiglio LNazionale T della Ricerca (Roma),81938, 309-358. 4 ARasetti, I fiori delle Alpi, LFranco Accademia Nazionale dei Lincei 8 1 6 E (Roma), 1980, 316 pp. + 572 fotocolor. Elias Landolt et al., Notre flore alpine, I5du Club Alpin Suisse (Ber1 Editions ne), 2015, 359 pp. + 138 planches en A L coleurs. 9 N H M I N 3 7 A M P I Giochi per “Azione” - Giugno 2017 28 29 Sargentini A E regalo R Stefania O V I A Zcon I ilOcruciverba Vinci una delle 3 carte da 50 franchi 1 5 3 7 e(N.una delle 2 carte regalo da 50 franchi con il sudoku 21 - Vento caldo ti e secco dettola anche ze ro) (N. 24 - ... Prima ti fa l’esame e poi spiega lezione) 2 5

Giochi Cruciverba

dice principale può raggiungere fino a due 6 centimetri 3 4di diametro. Il cuscinetto crea l’inizio di uno strato di terriccio sul quale si formerà progressivamente 4 una cotica erbosa. Inoltre, il cuscinetto funge da collettore di tutta la massa di nutrimento organico (pollini, semi, detriti vegetali, insetti) convogliata 2 correnti ascensionali 5 4 dalle di aria calda, fino alle quote più elevate. La pianta «a cuscinetto» 5è un3organismo 1 vege7 N E tale ottimale, che assorbe molto calore, e conserva l’acqua dove è intensa la G S4 1 traspirazione a causa della secchezza dell’aria I in alta montagna, e5dove tutto intorno1 non c’è che la nuda e inospitale roccia. Un U L vero successo biologico. Anche Umberto 2 7Mònterin, sensibile alle R E espressioni della Natura alpina, sarebbe8 gradevolmente 9 stupito nell’ap1 prendere che sono ricomparsi i fiori sul Teòdulo dopo tanti anni.

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L’esperienza è il tipo d’insegnamento più severo … Trova il resto del proverbio risolvendo il cruciverba e leggendo le lettere evidenziate. (Frase: 5, 2, 2, 1, 5, 1, 3, 2, 6, 2, 7)

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V E N T I B O C C A Sudoku P R I M A T I F O N. 19 DIFFICILE I L I D O G ET R O S 11 Soluzione: EA T L CL’E O C O R NA E C 1 7 S E T8 5 S Scoprire i 3 T E D E C C E T T O 13 14 numeri corretti E S E T N C nelle AA D H AA R A M L daAP inserire A Z I caselle colorate. E I A U RE A F R EP E O S T E R I 6 2 8 20 E T I S M RI RAN S T A O A T I R 7 O I DPERE AZIONE 9 3 6 23 PN. 17I FACILE T SUDOKU E S T O - GIUGNO G D2017 (N. 22 - La medusa immortale,26ringiovanisce sempre) 25 2 A Schema L F O N S O ASoluzione L E A L A M E D I 29 3 8 9 2 6 3 4 1 2 6 3 46 Z E I M O R U S A S AI MG I 3 1 6 5 7 8 4 3 1 6 4 31 32 M O R A N M 15 B 7 1 I 2 9E 6 4 Z I S A S A 4B E L I T E E 1 7 9 2 6 3 5 2 5 4 8 2I 6 O 4 A N RE M E A TD A L TO59N3 T 16E 4 8 N9 5E 3 7 10

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ORIZZONTALI

1. Superiorità, supremazia 7. Malattia infettiva 10. L’avverbio di chi racconta 11. Si anima girando... 12. La scrittrice Negri 13. Mie a Monte Carlo 14. Le iniziali del matematico Torricelli 15. Brezza poetica 17. Future generazioni 18. Una consonante 19. Un tipo di treccine 20. Vocali in coda 21. È noto quello greco 22. Contenuto di uno scritto 23. Iniziali dell’attore Depardieu 24. Nome maschile 25. L’incerto di ogni impresa 27. Ai piedi delle ragazze 28. Circondano i facoltosi 29. Posto in basso 30. Isabella per gli amici 31. Possono essere anche mobili... 33. Stato francese 34. Opera di Gioacchino Rossini VERTICALI 1. Vescovo di Roma 2. Le iniziali della Lanfranchi della tv Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch

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3. Tutt’altro che mesti 4. Si segue senza raggiungerla... 5. Pappagallo americano 6. È finita in fondo... 7. Si può perdere anche se è sempre lì 8. Il settentrione d’Italia 9. Particola 11. Antico nome del compasso 13. Fermenta nelle botti 14. Famoso re di Galilea 16. Vantaggio, profitto 17. Valichi montuosi 19. Un Francesco cantante 21. Alienate 22. Si fa col pan carré 23. Corpo sferico 25. Primo elemento di parole composte

che significa «due»

I premi, cinque carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco.

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R I N O S E G S 5 3 8 7 4 1 2 9 6 5 3 8 4 1 26 27 28 29 30 31 A I O V A N D I 26. Superfici circoscritte 6 4 3 9 1 7 8 5 2 6 1 5 32 33 34 35 36 S C O R I E S E U L 29. Già in latino 9 8 1 3 5 2 7 6 4 9 8 2 7 37 30. Come finisce comincia... 38 Soluzione settimana I M P della A S T O precedente A R E 7 2 con 5 te 4 solo 8 dopo 6 9il matri3 1 2 5 9 1 – «Caro, farò l’amore 31. Le iniziali dell’attrice Rocca ASPETTANDO IL 8 MATRIMONIO 32. Preposizione monio!». Risposta risultante: «VA BENE, APPENA TI SPOSI CHIAMAMI!». (N. 23 - “Va bene, appena ti sposi chiamami”) N. 18 MEDIO

N.20 GENI

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I vincitori

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Vincitori del concorso Cruciverba 15 16 17 su14«Azione 22», del 29.5.2017 A. Pelloni, A. Minotti, B. Raineri 19 22

Vincitori del concorso Sudoku 25 26 27 su «Azione 22», del 29.5.2017 M. Cremonesi, S. Pellanda29

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V8 E N 6 1 O B O 2 4 I R E 4 5 8 L1O P E 8N 6 N E 5 F 1 I S E E P O E 3C 7O H I 4 R 1 5 3 7 N H M I N 2 A E R O V I A

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N. 19 DIFFICILE (N. 24 - ... Prima ti fa l’esame e poi ti spiega la lezione) 1 7 8 5 cognome, Partecipazione online: inserire la luzione, corredata da nome, è possibile 1 9 un7 pagamento 3 4 8 in5 contanti 2 6 1 2 3 4 5 6 7 8 9 soluzione del cruciverba o del sudoku indirizzo, email del partecipante deve dei premi. I vincitori saranno avvertiti P R I M A T O T I 8F 2O 6 1 5 9 7 4 3 nell’apposito formulario 11pubblicato essere spedita a «Redazione Azione, per iscritto. Il nome dei vincitori sarà 10 ’ 6 2 8 ’ L 6315, L O 6901 R ALugano». S Epubblicato T 5 3Ssu 4«Azione». 6 2 Partecipazione 7 8 1 9 sulla pagina del sito. Concorsi,A C.P. 12 13 14 9 A3corrispondenza Partecipazione postale: la lettera o Non7 si intratterrà esclusivamente 7E 8 4 6 che 1 P D A 6 M sui E Sriservata T 2 9 3 5a lettori 15 16 la cartolina postale17che riporti la so- concorsi. Le vie legali sono escluse. Non risiedono in Svizzera. 2 8 4 1 9 7 6 2 3 5 8

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 12 giugno 2017 • N. 24

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Politica e Economia Afghanistan nel caos Per il presidente afghano Ghani il Pakistan è il vero responsabile dei recenti attentati

Clima: il gran rifiuto di Trump Dall’Europa alla Cina, c’è un pericoloso autocompiacimento che in realtà maschera tante inadempienze. Lo stesso succede anche negli Stati Uniti, dove tutti si ergono a difensori dell’ambiente, ma nella realtà hanno comportamenti distruttivi per il clima. E da molto prima che ci fosse Trump alla Casa Bianca

Moutier cambia cantone? Il 18 giugno i cittadini del comune del Giura bernese decideranno se aderire al canton Giura

La consulenza finanziaria I consigli agli inquilini dell’esperto della Banca Migros dopo la riduzione dei tassi

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Trump agita le acque del Golfo

Medio Oriente Il presidente americano ha

applaudito all’iniziativa di Riad di isolare diplomaticamente ed economicamente il Qatar, accusato di finanziare i gruppi islamisti legati all’Iran. Ma all’origine del blocco vi è la storica rivalità tra le due super-potenze regionali: Arabia Saudita e Iran, di cui Teheran sta facendo le spese dopo l’attacco al parlamento e al mausoleo di Khomeini

Marcella Emiliani Per l’Iran gli attentati che il 7 giugno scorso hanno colpito il parlamento e il mausoleo dell’imam Khomeini a Teheran sono stati l’equivalente di quelli alle Torri gemelle e al Pentagono per gli Stati Uniti del fatidico 11 settembre del 2001. Non per il numero di morti: negli Usa le vittime furono quasi 3000, a Teheran 13. Ma lo shock che hanno provocato, mutatis mutandis, è stato lo stesso, soprattutto per il valore altamente simbolico degli obiettivi presi di mira. Il Majlis, il parlamento iraniano, fin dalla rivoluzione del 1979 è sempre stato propagandato dal regime degli ayatollah come il simbolo più alto della «democrazia islamica», l’unico esempio anzi di democrazia islamica, che con la democrazia che conosciamo noi non ha davvero niente a che spartire, ma ne rispetta comunque i riti e le scadenze sotto la ferula di una cupola religiosa che monopolizza tutto il potere reale riassunto nella Guida della Rivoluzione, l’ayatollah Ali Khamenei. La formula della democrazia islamica come il suo principio ispiratore, il diritto del clero a governare (velayet-efaqih), sono state solo due delle «luminose» invenzioni dell’icona della rivoluzione stessa, l’ayatollah Khomeini, il cui mausoleo a Teheran è diventato il terzo luogo santo dello sciismo dopo quelli di Ali e Hussein, rispettivamente a Najaf e Kerbala in Iraq. L’Iran inoltre è stato colpito proprio nel momento in cui poteva presentarsi alla comunità internazionale come una potenza regionale ormai consolidata, in grado di influenzare le sorti della stabilità del Medio Oriente dopo aver contribuito

a combattere in prima persona l’Isis e a mantenere al potere in Siria il regime di Bashar al-Assad assieme agli Hezbollah libanesi e alle milizie sciite addestrate ed armate da Teheran in Iraq che – volente o nolente – gravita nella sua orbita fin dal 2003. Dietro la lotta al terrorismo sunnita dell’Isis, anzi, l’Iran ha creato la sua Mezzaluna sciita che si disegna sull’arco IraqSiria-Libano col favore della Russia di Putin, altro poderoso puntello di Bashar al-Assad, e grazie alla riconciliazione internazionale seguita all’Accordo sul nucleare del 2015 siglato coi 5+1 (Stati Uniti, Francia, Regno Unito, Russia, Cina e Germania). L’Iran, insomma, aspettava solo di godere i frutti di tanti sforzi compiuti per affrontare a piè fermo lo scontro che più lo impensierisce, quello con l’Arabia Saudita per la supremazia nel Golfo. E invece gli attentati del 7 giugno scorso, compiuti da squadre di kamikaze e rivendicati dall’Isis, hanno mostrato la sua vulnerabilità che può essere foriera di ulteriori conflitti nello stesso Iran e in tutto il Medio Oriente. Sul fronte interno a farne le spese nell’immediato sarà il neo-rieletto presidente Rouhani, che intendeva aprire ulteriormente il Paese sul piano internazionale e salvaguardare – per quanto possibile con Trump alla Casa Bianca – proprio l’Accordo sul nucleare e il ritiro completo delle sanzioni. L’economia iraniana, infatti, è in grave sofferenza e, con l’aria che tira, difficilmente gli investitori si affretteranno a investire in un Paese che rischia di entrare in un periodo di pesanti turbolenze. Ma soprattutto si farà ancora più duro lo scontro tra Rouhani e il clero conser-

Doha è accusata di fiancheggiare il terrorismo islamico e di essere troppo accomodante nei confronti dell’Iran. (AFP)

vatore, uscito sconfitto dalle elezioni del 19 maggio scorso, che affinerà le armi in vista delle uniche elezioni che contano davvero in Iran, quelle della Guida della rivoluzione per designare il successore di Khamenei ormai anziano e gravemente malato. Sicuramente si inasprirà, infine, anche il braccio di ferro con l’anima militare del regime rappresentata dal lider maximo dei Pasdaran, Qasem Soleimani, capo delle brigate Quds e della macchina da guerra iraniana in tutta la regione. Fin dalla campagna elettorale di Trump, Soleimani intendeva alzare i toni e mostrare i muscoli contro gli Stati Uniti, ora sarà difficile tenergli testa dopo che l’immarcescibile presidente Usa, nel suo recente viaggio a Riad, non solo ha cementato l’alleanza americana con l’Arabia Saudita, ma ne ha fatto proprie le priorità indicando nell’Iran il peggior pericolo per la stabilità del Medio Oriente e il principale sponsor del terrorismo islamico. D’altronde è significativo che il 7 giugno scorso mentre ancora i terroristi dell’Isis venivano braccati dentro l’edificio del Majlis, i

parlamentari cantassero all’unisono: «Morte agli Stati Uniti!». Certamente non si può accusare Trump di avere «spinto» l’Isis a compiere attentati in Iran. Da tempo il Califfato promette morte al regime degli ayatollah e molto probabilmente è riuscito ad arruolare terroristi o all’interno della minoranza araba del Khuzestan iraniano o della minoranza baluchi del Sistan iraniano da anni in guerra col regime. È ancora presto per dirlo. Ma è innegabile che la demonizzazione dell’Iran operata da Trump ha «tranquillizzato» l’Arabia Saudita. Arabia Saudita che sull’onda della visita del presidente americano ha deciso di serrare le fila della compagine sunnita mediorientale in funzione antiiraniana (la cosiddetta Nato araba) provvedendo a tagliare i ponti con il piccolo Qatar, accusandolo non solo di finanziare e armare il terrorismo islamico sunnita e sciita (leggi Isis, Hamas, Fratelli musulmani in specie egiziani e Hezbollah libanesi), ma anche e soprattutto di intendersela con l’Iran. E ha letteralmente imposto l’isolamento del

Qatar anche ad Egitto, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, cui si sono aggiunti lo Yemen del presidente Hadi (non certo quello controllato dagli Houthi), il governo libico di Tobruk e le Maldive. In realtà il Qatar nei confronti dell’Iran mantiene da anni rapporti estremamente pragmatici perché condivide col paese degli ayatollah immensi giacimenti di gas nel Golfo. Quello che davvero oppone Riad a Doha è il ruolo di «battitore libero» che l’emiro del Qatar, Tamin bin Hamad al Thani – wahhabita tanto quanto i Saud, ma più moderno e machiavellico della gerontocrazia saudita – si è ritagliato nella regione, non ultimo col soft power della sua creatura mediatica: al Jazeera. Quanto a finanziare il terrorismo islamico, scagli la prima pietra chi non l’ha fatto tra Arabia Saudita, Iran e Qatar, per non parlare degli Emirati Arabi Uniti. Resta il fatto che, mentre l’Isis sta per essere sconfitto a Raqqa e Mosul, riesce a colpire impunemente in Europa, Asia e Medio Oriente. Con gli attentati in Iran, poi, ha acceso una miccia che rischia di incendiare l’intero Golfo.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 12 giugno 2017 • N. 24

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Politica e Economia

La strategia del caos

Afghanistan La strage di Kabul dimostra che la guerra si sta inasprendo, ma Stati Uniti ed Europa preferiscono

far finta di niente. Dietro le quinte, ma non troppo, il Pakistan, accusato di armare i terroristi della Rete Haqqani Francesca Marino «Il Pakistan sta conducendo una guerra non dichiarata contro l’Afghanistan»: così il presidente afghano Ashraf Ghani apriva a Kabul il cosiddetto «Kabul Process», un meeting d’emergenza convocato dal governo afghano per discutere di sicurezza, antiterrorismo e politica. Un meeting che riuniva i rappresentanti di ventitré paesi, l’Unione Europea, le Nazioni Unite e la Nato, convocato all’indomani dell’attacco, che ha lasciato sul terreno centocinquanta morti e diverse centinaia di feriti, all’enclave diplomatica di Kabul. Si è trattato, secondo le cronache, dell’attacco peggiore mai portato a termine negli ultimi anni. Per di più, ad aggiungere la beffa al danno, si tratta di un attentato senza obiettivo e senza altro scopo che non fosse quello del puro terrore. Un terrore senza nome e senza rivendicazioni. L’Ambasciata più colpita è stata quella tedesca, ma non è certo che si trattasse del target stabilito o addirittura che ci fosse un target. Ma non è finita qui. Subito dopo l’attentato difatti la popolazione, e i capi dell’opposizione, sono scesi in piazza a protestare contro l’incompetenza del governo e contro le politiche del poco amato Ghani. Durante gli scontri con la polizia sono state uccise quattro persone. Altri quattro civili, e uno era il figlio di un senatore. Ai funerali del ragazzo sono esplose altre tre bombe lasciando sul terreno altre quindici persone e una serie di doman-

de scottanti. L’attacco, nessuno degli attacchi a dire il vero, non è stato rivendicato, nemmeno dalla solita Daesh (o Isis, per adoperare la sigla più usata in Occidente) che rivendica ormai anche gli scontri tra biciclette ma in questo caso continua a tacere. I talebani si sono affrettati a emanare un comunicato stampa per dissociarsi in modo netto. Il portavoce del Ministro degli Interni afghano Sediq Siddiqi ha invece dichiarato che secondo dati in possesso dell’intelligence afghana a compiere l’attentato nell’enclave diplomatica sarebbero stati alcuni appartenenti al network Haqqani, su mandato dell’Isi, i servizi segreti pakistani. Il Pakistan si è ovviamente affrettato a smentire ogni coinvolgimento. Non è la prima volta che il governo afghano accusa Islamabad di finanziare jihadi che operano in Afghanistan, e i due Paesi sono da un po’ di tempo ai ferri corti: scambi di fucilate e colpi di mortaio sul confine stanno diventando abituali, così come le accuse reciproche di finanziare terroristi che agiscono da una parte o dall’altra della Linea Durand. Il presidente Ghani aveva tempo fa dichiarato che: «le relazioni con il Pakistan costituiscono per l’Afghanistan una sfida di molto superiore all’esistenza di gruppi come Al Qaeda e i talebani». Secondo Ghani, e secondo molti analisti, è difatti dal Pakistan che continuano ad arrivare jihadi di vario genere. Gli afghani, e non sono i soli, sostengono che Islamabad si aggrappa ormai ai talebani come ultima risorsa in suo

potere per continuare a mantenere un controllo di qualche tipo su Kabul e contrastare la sempre crescente presenza e influenza indiana sul territorio. A Quetta, in questi giorni, mullah e affini raccolgono attivamente risorse per finanziare la guerra dei fratelli afghani. Che hanno in mano loro i tre quarti del territorio e che, come hanno dichiarato più volte, hanno dalla loro un’arma formidabile: il tempo. Che gioca dalla loro, così come gioca a loro favore lo stato deprimente del governo di Kabul. Intanto mentre Ghani teneva il suo discorso e apriva il Kabul Process, un missile veniva lanciato verso la residenza dell’Ambasciatore indiano a Kabul senza provocare vittime. Poche ore dopo, a Herat, l’ennesimo attentato suicida appena fuori della Jama Masjid provocava sette morti e quindici feriti. «La tragedia di oggi dimostra che il conflitto afghano non sta affatto diminuendo di intensità ma si sta al contrario inasprendo, in un modo che dovrebbe allarmare la comunità internazionale» dichiarava Amnesty International dopo l’attacco di Kabul, ma la comunità internazionale preferisce far finta di nulla. Daesh, Al Qaeda, i Taliban, l’Isis e tutta la galassia jihadi che popola il paese vengono considerati più o meno incidenti di percorso da tenere buoni in sostanza con operazioni di polizia. Trump ha promesso l’invio di nuove truppe, tra le tre e le cinquemila unità. Intanto, è andato a stringere la mano a coloro che il terrorismo islamico finanziano e indottrinano da anni,

Scontri fra polizia e dimostranti dopo l’attentato di Kabul. (AFP)

mentre l’Occidente tutto vende ancora armi a chi poi arma Taliban e jihadi vari. Come diceva il grande Alberto Sordi, finché c’è guerra c’è speranza. E mentre Washington discute dell’invio delle nuove truppe, senza alcuna strategia che non sia quella ormai consolidata di tamponare le falle e tirare avanti in attesa che succeda il miracolo, l’Afghanistan diventa sempre più una polveriera a cielo aperto pronta a deflagrare con conseguenze disastrose. Il fatto è che i giocatori del Nuovo Grande Gioco sono diventati tanti, troppi, e la maggioranza gioca con carte truccate. Tutti vogliono stabilizzare l’Afghanistan, crocevia geostrategico degli interessi

di mezzo mondo, ma vogliono che sia stabilizzato alle loro condizioni e che sia manovrabile dall’esterno. Intanto, la strategia del caos ha funzionato fino a questo momento e continua a funzionare. «L’esplosivo adoperato nell’attentato di Kabul era di tipo militare», ha dichiarato sempre il solito Ghani chiedendo a gran voce un accordo sulla sicurezza regionale. Ribadendo le accuse verso Islamabad, che più di tutti avrebbe interesse a mantenere l’Afghanistan nel caos per poi pacificarlo sotto l’egida dei talebani gestiti dai servizi segreti e guidarlo verso la nuova «pax cinese» che segue le strade maestre del One Belt-One Road. Annuncio pubblicitario

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Politica e Economia

Nessuno ha la coscienza pulita

Ambiente Se da una parte l’uscita dagli accordi di Parigi decisa da Trump dimostra tanta arroganza da parte

di questo presidente, dall’altra è stridente l’ipocrisia di un mondo (non solo americano) cosiddetto progressista che nella realtà dei fatti non è per niente ambientalista

C’è voluta una settimana di agitate reazioni, dopo l’annuncio di Donald Trump che l’America «esce» dagli accordi di Parigi, prima che il «New York Times» ricordasse un dettaglio banale eppur decisivo. Gli Stati Uniti non possono uscire da quegli accordi! Non ora. È prevista la possibilità di sottrarsi a quel patto solo nel novembre 2020. Guarda caso sarà la scadenza del primo mandato presidenziale di Trump. E qualora Trump non venisse rieletto, basterebbe un preavviso di poche settimane al suo successore per reintegrare gli Stati Uniti dentro l’accordo di Parigi. Da qui alla fine del 2020 la delegazione americana continuerà a partecipare a tutti i summit mondiali sull’applicazione di quegli accordi. Tuttavia c’è qualcosa di poco convincente, perfino di francamente ipocrita, nella levata di scudi contro Trump. Mi spiego: non c’è nulla di condivisibile nella sua decisione, che a mio avviso è deleteria e dettata da calcoli politici meschini (su cui torno più sotto). Quello che non mi convince è la rappresentazione che si è imposta, la narrazione dominante su questo evento: siamo un mondo di ambientalisti uniti contro un presidente cattivo? Anche in America, a leggere i media progressisti, si direbbe che siamo una maggioranza in favore della lotta al cambiamento climatico, e lui ci ha traditi. La mia esperienza di vita americana da 17 anni m’insegna che la realtà è ben diversa da questa rappresentazione di un presidente estremista e quasi isolato. In realtà Trump esprime a modo suo – cioè con un sovrappiù di rozzezza e di arroganza – un modello di vita e un sistema di valori che gli americani praticano quotidianamente. Anche tanti di noi che si considerano ambientalisti, hanno dei consumi che vanno nella direzione opposta. Gli esempi sono innumerevoli. Chi di voi conosce l’America anche solo da turista, capirà di cosa parlo. A New York, dove io abito, è cominciata la stagione del golf di lana. Con l’arrivo dell’afa newyorchese bisogna uscire di casa con un maglione. Più fa caldo fuori più fa freddo dentro: in ufficio o in aereo, al ristorante o al cinema, e perfino nel metrò, si entra in atmosfere polari. Guai ad arrivare impreparati, dal forno esterno entri in un freezer, ogni volta che passi attraverso un portone è come se cambiassi latitudine, dai tropici all’Artico. Aumenta perfino il rumore già assordante di Manhattan: ora si aggiunge il rombo stagionale di tutti i condizionatori d’aria. Orribile spreco d’energia, inquinamento inutile. Già, però il nostro sindaco Bill de Blasio è stato veloce a condannare Trump e a proclamare che New York andrà avanti sulla strada degli accordi di Parigi per la lotta al cambiamento climatico. Lo stesso ha dichiarato il governatore dello Stato di New York, Andrew Cuomo, democratico come de Blasio. Belle parole, ma costano poco. Il più importante pronunciamento è venuto dalla California governata anch’essa da un leader di sinistra, Jerry Brown: ha ribadito fedeltà agli accordi di Parigi. Poiché la California è il più grosso degli Stati Usa, e con un Pil superiore alla Francia starebbe dentro il G7 se fosse una nazione indipendente, la sua decisione è considerata come una sfida formidabile contro Trump. Però l’ultima volta che ho fatto una passeggiata per le vie di Los Angeles ho avuto paura di essere arrestato. Ero l’unico pedone, mi sentivo a disagio, gli automobilisti mi osservavano come un individuo sospetto. Anche se il supermercato o la scuola dei bimbi dista un quarto d’ora a piedi, una mamma di Los Ange-

les guida un Suv che potrebbe trasportare una squadra di pallavolo. Nel mio appartamento di New York – come in tanti grattacieli – non c’è neppure il contatore dell’elettricità, tanto costa poco, per semplificarci la vita si paga la luce in modo forfettario nelle spese condominiali: un incentivo allo spreco, visto che non sai neppure quanto consumi. La raccolta differenziata non sappiamo cosa sia, guardate le montagne di sacchi di plastica neri che si accumulano sui marciapiedi di Manhattan: è tutta «indifferenziata». Alla luce di questi esempi concreti, tratti dal nostro stile di vita quotidiano, non mi convince l’indignazione con cui gli americani progressisti hanno reagito alla decisione di uscire dagli accordi di Parigi. Trump è un ignorante. La buona coscienza degli altri, però, mi sembra ipocrita. Ad ogni angolo di strada, ad ogni gesto banale della vita quotidiana, da quando abito in America osservo un popolo sprecone, energivoro, che dell’ambiente se ne frega. Dalle loro auto ai loro camion con le ciminiere fumanti, dall’iper-riscaldamento invernale all’iper-raffreddamento estivo, dall’agro-business all’edilizia, basta aprire gli occhi per capire che Trump è solo più volgare e prepotente, ma è l’espressione di una cultura nazionale. Figlia anche di una nazione che ha sempre avuto – e in parte ha tuttora – troppo spazio, troppa natura, troppe risorse a propria disposizione. Gli Stati Uniti sono uno spazio molto vasto, solo in poche aree lungo le due coste c’è una forte densità abitativa; la maggior parte del territorio nazionale è ancora semi-vuoto, questo crea l’illusione che si possa continuare a sprecare senza pagarne le conseguenze. Questo presidente regala a «noialtri» una coscienza impeccabile che non ci meritiamo affatto. Ho lo stesso timore quando allargo lo sguardo al resto del pianeta. Virtuosa la Germania? Ma se Volkswagen truccava i dati dell’eurodiesel, molto più inquinante del dovuto, colossale impostura ai danni dell’ambiente? Lo stesso è vero, peraltro, di FiatChrysler. Virtuosa la Cina che resta «dentro» Parigi? Ci ho vissuto cinque anni e ci torno regolarmente: a Pechino il governo nasconde o falsifica i dati sull’inquinamento, per conoscere la verità sull’aria che si respira bisogna consultare il sito dell’ambasciata americana. Il peggior pericolo a cui Trump ci espone è questo autocompiacimento, quest’illusione troppo comoda che il problema sia lui. Tra l’altro nella dichiarazione con cui Trump annunciò di voler ripudiare Parigi, c’era nascosta una verità molto sgradevole. Come spesso accade, in mezzo a tante nefandezze questo presidente «infila» degli scampoli di verità. In questo caso si tratta delle condizioni transitorie che Obama concesse alla Cina e all’India: per loro gli accordi di Parigi prevedono un periodo ancora molto lungo in cui continueranno ad aprire nuove centrali elettriche a carbone. Quindi i due colossi emergenti continueranno ad aumentare le proprie emissioni carboniche ancora per molti anni, prima di cominciare a ridurle. Se mai lo faranno. Vengo alle motivazioni di politica interna che hanno ispirato la mossa di Trump. È un gesto provocatorio, gratuito, perfino inutile. Avrebbe potuto scegliere la linea dell’ipocrisia, come consigliava sua figlia Ivanka: mantenere un’adesione di facciata a quegli accordi, che nei fatti lui ha già svuotato. Nei suoi primi 100 giorni infatti il presidente aveva firmato una raffica di ordini esecutivi per cancellare le riforme ambientaliste di Obama, liberalizzare le trivellazioni, autorizzare nuovi oleodotti, abrogare i limiti alle emissioni carboniche per auto

Donald Trump annuncia il ritiro dagli accordi di Parigi nel Giardino delle Rose della Casa Bianca. (AFP)

e centrali elettriche. Poiché gli accordi di Parigi non prevedono sanzioni per gli inadempienti, l’America trumpiana avrebbe potuto fare il doppio gioco, perseguire la restaurazione fossile pur fingendo di restare nel concerto delle nazioni. Trump ha scavalcato a destra perfino il suo segretario di Stato, Rex Tillerson, fino a poco tempo fa chief executive della compagnia petrolifera Exxon Mobil. Tillerson, che propendeva per la «linea della furbizia» di Ivanka, non voleva arrivare a questa rottura. La stessa

Exxon si era pronunciata per la conferma di Parigi. Come tutte le multinazionali del Big Oil, anche la Exxon ormai ha diversificato i suoi investimenti, nel portafoglio delle sue attività figurano pure le energie rinnovabili. Gran parte dell’industria americana e mondiale ha incorporato gli accordi di Parigi negli scenari futuri, per avere un quadro di certezze, pianificare le proprie strategie in un mondo gradualmente post-carbonico. Tra le lobby del capitalismo americano c’è poi tutta l’industria del solare, dell’eolico, dell’auto elettrica sulla quale

investono Tesla, Apple, Google, nonché Ford e General Motors. Quindi Trump ha obbedito solo a un istinto politico, non a una convenienza economica. Cancellare Parigi sembra un’inutile provocazione verso il resto del mondo, ma è un gesto che viene percepito in modo ben diverso dalla base elettorale di Trump. Questo presidente, assediato dall’inchiesta sul Russiagate che colpisce il cerchio dei suoi intimi, è di nuovo in campagna elettorale. Perciò sente il bisogno di rimanere fedele al «negazionismo ambientale»: troppe volte nei suoi comizi Trump disse che il cambiamento climatico è «una bufala inventata dai cinesi (sic) per danneggiare l’industria americana». Il negazionismo climatico, insieme con la sfiducia verso la scienza, la diffidenza verso gli esperti, sono pezzi portanti dell’universo immaginario della destra, quella bolla di fakenews che sono diventate veri e propri collanti identitari. Non si buttano via a cuor leggero certezze su cui si è investito a lungo, che fanno parte del patrimonio «emotivo» su cui la tribù della destra si compatta. Lo stesso vale per quel simbolo malefico che sono gli «accordi internazionali». Qualsiasi cosa sia stata sottoscritta in una sede multilaterale, un G7 o un G20 o peggio ancora sotto l’egida delle Nazioni Unite, è sospetto agli occhi della destra americana. America First, lo slogan più popolare di Trump, è la promessa di un nazionalismo che rigetta ogni cessione di sovranità. Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 12 giugno 2017 • N. 24

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Politica e Economia L’accordo di Parigi è stato firmato il 22 aprile 2016, in occasione della Giornata mondiale della Terra, alle Nazioni Unite a New York, da 175 Paesi.

Arrivano da Mosca i giochi del suicidio Blue Whale Si sta diffondendo sui social

network e spingerebbe gli adolescenti a togliersi la vita Anna Zafesova

25 anni di (dis)accordi Da Rio a Parigi Era il 1992 quando le delegazioni di 154 Paesi

si sono riunite in Brasile per redigere la Convezione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Da allora, fino all’appuntamento di Parigi nel 2015, è passato un quarto di secolo segnato da grandi conferenze e accordi disattesi Alfredo Venturi La storia ama ripetersi, come insegnava Giambattista Vico. Ecco una conferma di stretta attualità: nel 1997 il Protocollo di Kyoto, al termine della terza Conferenza delle parti sul clima, impegna i governi a ridurre le emissioni responsabili dell’effetto serra in quantità definite per ogni paese. Gli Stati Uniti dovrebbero abbassarle del sette per cento in dieci anni ma il Protocollo, firmato dal presidente democratico Bill Clinton, non viene ratificato dal Congresso, per essere poi definitivamente respinto nel 2001 dal repubblicano George W. Bush. E così il presidente texano, il secondo della dinastia dei Bush, stabilisce un precedente. Con vichiana esattezza lo schema si ripropone una quindicina di anni più tardi: ecco un presidente democratico, Barack Obama, che smentendo il predecessore sottoscrive il nuovo accordo varato a Parigi nel 2015 e un successore repubblicano, Donald Trump, che brutalmente lo getta alle ortiche. Precede i due voltafaccia climatici un altro precedente: poco meno di un secolo fa gli Stati Uniti non vollero far parte di quella Lega delle Nazioni che proprio il presidente Woodrow Wilson aveva caldeggiato. Della necessità di controllare il clima impazzito si parla ormai da venticinque anni, da quel giugno 1992 in cui i rappresentanti di 172 paesi riuniti a Rio de Janeiro in quello che fu chiamato il «vertice della Terra» decisero che la misura era colma. Finalmente l’allerta degli scienziati aveva raggiunto l’orecchio fin qui distratto dei governanti: l’effetto serra sta surriscaldando il pianeta, un delicato equilibrio si va rompendo, i ghiacciai si sciolgono, cicloni devastanti si avvicendano, il livello delle acque si alza e vaste aree costiere rischiano di finire sommerse. La causa è la nostra ingombrante presenza, l’umanità che tratta il pianeta senza riguardi, in particolare avvelenando il cielo con le combustioni di carbone e petrolio. Per scongiurare il peggio la soluzione è una sola: ridurre le emissioni che provocano l’effetto serra, dunque bruciare il meno possibile combustibili fossili, puntare sull’energia prodotta dalle cascate, dal vento, dal sole, dalle maree, dall’idrogeno. Il quarto di secolo seguito all’intesa di Rio conferma come i fatti si discostino facilmente dalle belle parole, dagli impegni solenni, dalle facili promesse. Da Rio a oggi si sono celebrate sotto l’egida dell’Onu ventidue Conferenze delle parti, e mentre i valori dell’inquinamento atmosferico continuavano a peggiorare la comunità internazionale

ha fatto qualche timido passo avanti. Dopo Kyoto, fra i più importanti quello compiuto a Durban nel 2011: per ridurre le emissioni non più semplici raccomandazioni, ma accordi vincolanti. Questo impegno è alla base dell’accordo di Parigi che Trump ha clamorosamente sabotato. Raggiunto il 12 dicembre 2015, firmato alcuni mesi più tardi a New York dai capi di Stato e di governo di 195 paesi, è entrato in vigore nel novembre 2016 dopo la ratifica di 55 paesi, responsabili di almeno il 55 per cento delle emissioni. L’impegno è ambizioso: contenere il riscaldamento medio entro i due gradi, possibilmente un grado e mezzo, rispetto ai livelli precedenti la rivoluzione industriale. Due gradi è la misura oltre la quale il mondo scivolerebbe verso la catastrofe. Si tratta di stabilire obiettivi di riduzione dei gas a effetto serra e verificarne l’attuazione ogni cinque anni a partire dal 2023. L’accordo impegna inoltre i paesi ricchi a varare entro il 2020 un fondo di cento miliardi di dollari destinato ad aiutare gli Stati in difficoltà. A Parigi si perfeziona un risultato politico di estrema importanza, l’adesione di Stati Uniti e Cina. I due giganti dell’economia sono i massimi produttori di gas nocivi, fin qui piuttosto restii a impegnarsi nel controllo climatico. Purtroppo il cambio della guardia a Washington ha annullato l’adesione americana. Bizzarrie del calendario: lo scorso sette novembre comincia a Marrakech la ventiduesima conferenza delle parti, che dovrà elaborare le modalità di realizzazione dell’accordo di Parigi. I delegati non possono sapere che proprio il giorno dopo gli elettori americani spediranno alla Casa Bianca l’uomo che porrà un formidabile ostacolo sul cammino del salvataggio planetario. Non lo può sapere nemmeno la delegazione americana: sulla scia dello slancio ecologista di Obama è tra quelle che s’impegnano a raggiungere l’obiettivo delle «zero emissioni» nel 2050. Marrakech rinvia alla ventitreesima conferenza, in programma a Bonn il prossimo autunno, e alla ventiquattresima che si terrà in Polonia nel 2018, il compito di perfezionare i meccanismi di applicazione dell’accordo. La bomba della defezione americana esplode proprio quando sembrava rimossa la controversia che per anni ha frenato ogni progresso. Si fonda sull’asimmetria fra il mondo sviluppato, che ha raggiunto i suoi livelli di benessere lasciando che si accumulassero i veleni della crescita industriale, e i paesi ancora impegnati nelle fasi iniziali dello

sviluppo, che dunque sono riluttanti ad accettare sacrifici. Proprio da questo nascono i programmi di compensazione: i paesi sviluppati aiuteranno gli altri a far fronte alla sfida. Ora ci si chiede che cosa accadrà dopo l’annuncio di Trump che per quanto previsto (ne aveva fatto uno dei cardini della campagna elettorale) ha gettato il resto del mondo nella costernazione. I paesi dell’Unione Europea fanno sapere che non defletteranno dagli impegni di Parigi, così la Cina e l’India, fra i massimi inquinatori. C’è incertezza sulle conseguenze pratiche del gran rifiuto di Trump. Lo svincolo dal trattato richiede quattro anni, ma gli Stati Uniti potrebbero interrompere subito ogni forma di collaborazione con le parti impegnate nel controllo climatico. Il presidente ha già adottato misure di rilancio dei combustibili fossili, come la riapertura di alcune miniere di carbone o la costruzione del grande oleodotto dall’Alaska al Golfo del Messico, che Obama aveva bloccato. Trump è portatore di una visione decisamente obsoleta: più minatori, più petrolio, meno investimenti sulle energie del futuro. Per quanto riguarda gli altri paesi, si teme che il perdurare di situazioni di crisi possa distogliere risorse dalla riconversione attraverso le fonti alternative. Inoltre la decisione americana comporta un vantaggio concorrenziale per i produttori degli Stati Uniti, che avranno a disposizione più energia «sporca» a buon mercato. Fortunatamente l’America non è certo compatta alle spalle del suo controverso presidente. I governatori di New York, California e Washington, una trentina di sindaci compresi quelli delle metropoli maggiori, un’ottantina di università e un centinaio di imprese si sono mobilitati per concordare con le Nazioni Unite la possibilità di rispettare, nonostante Trump, i vincoli negoziati a Parigi. Alla testa di questo movimento di resistenza ecologista l’ex sindaco di New York Michael Bloomberg: secondo lui i singoli Stati dell’Unione, le grandi città e le imprese potrebbero, votandosi alle energie alternative, permettere agli Stati Uniti di raggiungere ugualmente gli obiettivi negati dalla Casa Bianca. Ma al momento non esiste una normativa che estenda oltre la dimensione statale la possibilità di agire a livello di Nazioni Unite. Intanto Bloomberg annuncia che la sua fondazione intende versare all’agenzia Onu per il controllo climatico quattordici milioni di dollari. È la quota che sarebbe toccata agli Stati Uniti per il prossimo biennio.

In Russia ormai le «chat della morte» sono state proclamate fuori legge dalla Duma, e mentre nel resto del mondo comincia a propagarsi il panico di genitori, tutori dell’ordine e educatori per il fenomeno delle «balene blu», o Blue Whale, in patria la creazione di gruppi in rete che propagandano il «gioco al suicidio» tra i ragazzi può essere punito con 3-6 anni di reclusione, anche in assenza di un tentativo di togliersi la vita, e fino a 8 anni se esiste una vittima.

Galina Mursalieva è stata la prima giornalista russa che in un’inchiesta pubblicata nel maggio del 2016 ha denunciato l’esistenza del macabro gioco La vicenda di Blue Whale è esplosa un anno fa, dopo la pubblicazione dell’inchiesta di Galina Mursalieva (foto) sulla «Novaya Gazeta». L’articolo è stato letto in pochi giorni da milioni di lettori, e la reputazione del giornale di denuncia reso famoso da Anna Politkovskaya ha aggiunto credibilità all’agghiacciante vicenda che raccontava: in Russia sarebbe in corso un’epidemia di suicidi dei ragazzi entrati nelle chat delle «balene». I genitori delle vittime, spacciandosi per teenager, si erano infiltrati nelle chat, scoprendo un terribile gioco a 50 livelli, in cui misteriosi «curatori» virtuali guidavano i ragazzi da «prove» abbastanza innocenti, come disegnare balene e farfalle, scrivere poesie tristi e guardare video horror, a sfregiarsi e infine suicidarsi, con un metodo che veniva comunicato l’ultimo giorno con un sms con il codice specifico. Secondo l’inchiesta, gli spietati «curatori» avevano già indotto a togliersi la vita 130 teenager, e decine di altri venivano preparati a compiere il passo fatale, con tanto di mappa piena di simboli arcani che indicava le città delle prossime tragedie. Un anno dopo, i casi di suicidio o tentato suicidio, riportati a decine dai media come risultati del gioco in Rete, di regola non trovano conferma ufficiale, anche se i magistrati di Pietroburgo sostengono di poter collegare 15 morti ai gruppi delle «balene». L’unico incriminato per le chat è Filipp Budeikin, un musicista 21enne della provincia di Mosca: dopo sei mesi in carcere durante i quali aveva negato ogni responsabilità ora si ora vanta di aver contribuito alla morte di 28 ragazzi, «spazzatura biologica», li definisce. L’altra eroina delle chat, con l’inquietante nickname di Eva Reich, nella vita reale si è scoperta essere una goffa tredicenne, che a fianco della mamma ha sostenuto di aver voluto istigare i

coetanei al suicidio per «ripulire l’umanità dai deboli». È stata rimandata a casa perché sotto i limiti di età della responsabilità legale. Gli altri indiziati, tutti ragazzi, sono stati rilasciati per mancanza di prove. E la polizia ha dovuto ammettere la scoraggiante verità: la rete di maniaci non esisteva, sono gli stessi ragazzi a giocare a Blue Whale, chi come «balena» diretta verso la spiaggia della morte, chi come «curatore» che la istiga, spesso anche invertendo i ruoli dopo qualche mese. Nel frattempo l’ente di controllo della Rete russo ha chiuso qualche migliaio di chat e pagine dei social network legati a Blue Whale. I presidi hanno convocato genitori mettendoli in guardia: se i loro figli disegnavano balene, se si sfregiavano, se non dormivano la notte ed esprimevano pensieri depressi, se «erano negativi verso il governo, la religione e le feste nazionali e familiari», come recita un popolare opuscolo, significa che sono a rischio. La paura di Blue Whale, che ha accomunato genitori in rottura generazionale con i figli adolescenti assorbiti dal mondo a loro sconosciuto della Rete, è stata alimentata anche da un contesto politico in cui le autorità cercano da tempo di limitare Internet. Politologi e deputati hanno sostenuto che Blue Whale fosse un’operazione dei servizi occidentali per distruggere a distanza i bambini russi. In Ucraina, al contrario, si pensa di bloccare i social russi per il sospetto che siano i servizi di Mosca a istigare al suicidio i ragazzini di Kiev. Il clamore sollevato dalla caccia alle «balene» ha funzionato da grancassa: un anno dopo, le chat Blue Whale sono onnipresenti, ci giocano classi intere. Il numero dei suicidi di minori in Russia resta uno dei più alti al mondo – 720 vittime nel 2016, secondo i dati presentati alla Duma, tre volte sopra la media europea – ma non risulta in aumento per colpa delle chat suicide, anche perché il tasso dei ragazzini che si tolgono la vita è molto più alto nelle province poco digitalizzate. Gli esperti di folclore urbano dell’Istituto delle scienze sociali qualificano Blue Whale come «un nuovo episodio di leggenda metropolitana, generato dalla paura dei genitori di perdere il controllo sui figli». Potrebbe trattarsi in effetti di un gioco, seppure macabro, come testimoniano i forum degli stessi ragazzi che raccontano di aver falsificato con Photoshop i tagli sulle braccia, o addirittura di aver commesso un «suicidio virtuale» sui social il 50simo giorno, per poi osservare le reazioni da una pagina creata sotto falso nome. Il rischio, come per tutte le attività borderline, e che qualcuno, più debole o sensibile, prenda il «gioco» di Blue Whale troppo sul serio. Ma perfino il Comitato di indagine russo è scettico sull’inserimento di Blue Whale nel codice penale, e teme che il divieto non farà che aumentarne la popolarità.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 12 giugno 2017 • N. 24

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Politica e Economia

Per chi batte il cuore di Moutier?

Questione giurassiana Domenica 18 giugno gli aventi diritto di voto di Moutier, città nel cuore del Giura bernese,

decideranno se rimanere con il canton Berna o se unirsi al canton Giura Luca Beti Incastonata tra due corone di montagne, Moutier ti attende all’uscita di un tunnel ferroviario. È una città uguale a tante altre, se non fosse per la sua recente storia. Chiusa tra le porte del Giura nella valle della Birsa, la piccola città industriale dovrà decidere domenica prossima, 18 giugno, se rimanere con il canton Berna o se unirsi alla Repubblica e al canton Giura. È un venerdì sera e per le strade della cittadina di poco più di 7500 abitanti c’è l’abituale via vai di gente e di macchine. Nessuna bandiera alle finestre, né giurassiana né bernese. Solo alla fermata dei bus è affisso un manifesto pro-giurassiano. L’aria profuma soltanto di primavera. Negli anni Settanta, lo spirito che si respirava era ben diverso, ci ricorda un’anziana signora incontrata durante il congresso della Force démocratique, organizzazione pro-bernese nata negli anni Cinquanta. «C’erano negozi e ristoranti per separatisti e per anti-separatisti. Era davvero terribile». Erano anni di scontro aperto, di atti di violenza tra i Béliers e il Front de libération du Jura da una parte e i Sangliers dall’altra. Dalle parole si passava in fretta alle botte. Oggi, nella città nel cuore del Giura le passioni si sono in parte sopite, nonostante la domanda rimanga la stessa: in quale cantone mi sento a casa? «Si tratta soprattutto di una questione identitaria», indica Marc Bühlmann, politologo e direttore dell’“Annéé politique suisse” dell’Università di Berna. «Sarà

un voto di pancia e non di testa nonostante i due campi tentino di vincere la partita con argomenti razionali». Fino al 2013, i Prévôtois – questo il nome degli abitanti di Moutier, termine risalente al periodo in cui la città era il capoluogo di una prepositura, baliaggio del principato vescovile di Basilea – hanno sempre votato a favore dello status quo, ossia per il canton Berna. Lo scarto di voti era sempre minimo: nel 1974 erano 70, mentre nel 1998 erano 41. Il 24 novembre 2013 dalle urne è però scaturito un risultato diverso: il 55,4 per cento dei votanti di Moutier si è detto favorevole all’apertura di un processo volto a riunire la città al canton Giura; un processo che si concluderà domenica prossima. In quell’occasione i voti di differenza sono stati 389. Solo altri quattro comuni – Belprahon, Grandval, Crémines e Sorvilier – hanno votato come Moutier, mentre il 71,8 per cento dei cittadini giurassiani del canton Berna hanno ribadito la loro volontà di rimanere dove sono. Il Giura ha visto così svanire il sogno di vedere un cantone che si estende «dal lago di Bienne fino alle porte della Francia», come recita il suo inno ufficiale, la Nouvelle Rauracienne. Nel corso dei decenni, i Prévôtois non sono mai riusciti a decidere definitivamente da che parte stare. Le ragioni di questa loro indecisione sono di varia natura. «Da un punto di vista geografico, Moutier non appartiene né al canton Berna né al canton Giura», spiega il politologo Marc Bühlmann. «Anche confessionalmente, la cittadina

La questione giurassiana 1815: con la caduta dell’Impero napoleonico, il congresso di Vienna attribuisce i sette distretti giurassiani dell’ex principato vescovile di Basilea al canton Berna. 1947: origine della questione giurassiana con l’affare Moeckli e con la conseguente creazione del Rassemblement jurassien. 1974-1975: serie di plebisciti per l’autodeterminazione del Giura. I tre di-

stretti a Nord decidono di formare un nuovo cantone, mentre i tre distretti meridionali riconfermano la loro appartenenza al canton Berna. 1978: il popolo svizzero ratifica la creazione del canton Giura con il 71 per cento di sì. 1994: creazione dell’Assemblea intergiurassiana, organo volto a trovare una soluzione alla questione giurassiana.

Un cartellone elettorale dei pro-giurassiani a Moutier, indigesto ai pro-bernesi. (Keystone)

è un caso particolare. Nel 1979, la frontiera del nuovo canton Giura seguiva il confine confessionale. A Nord, la popolazione era a maggioranza cattolica, a Sud a maggioranza protestante, mentre la città di Moutier era praticamente spaccata a metà». Negli ultimi tre decenni, il fronte pro-giurassiano ha però guadagnato consensi. Dal 1982, nel parlamento comunale siedono più separatisti che fedeli a Berna. Dal 1986, con l’elezione a sindaco di Maxime Zuber, le redini del comune sono rette da un autonomista. Inoltre, il risultato di un recente studio svolto dall’«Annéé politique suisse» ha evidenziato che su molti temi a livello nazionale la popolazione di Moutier vota molto spesso come Delémont e non come Berna. «Se Moutier vuole svilupparsi ulteriormente deve diventare una città giurassiana», sostiene l’attuale sindaco Marcel Winistoerfer. «Nel canton Berna non esistiamo, nel canton Giura saremo invece il 10 per cento della popolazione e avremo un’importanza ben diversa rispetto ad ora». Per numero di abitanti, Moutier sarebbe il secondo comune giurassiano, mentre ora è al 20esimo posto. E negli scorsi mesi, Moutier deve essersi sentita come una donna assiduamente corteggiata. I due governi

cantonali le hanno fatto gli occhi dolci a suon di promesse. «Moutier è il cuore e il centro amministrativo del Giura bernese ed è fondamentale che rimanga con noi per rafforzare il bilinguismo cantonale», indica Pierre Alain Schnegg, rappresentante francofono in seno al governo bernese, seggio garantito, come i dodici nel parlamento cantonale, da uno statuto particolare volto a promuovere la cultura e la partecipazione politica del Giura bernese a livello cantonale. «Abbiamo l’opportunità di riunire la grande famiglia giurassiana», dice dal canto suo Nathalie Barthoulot, presidente dell’esecutivo del canton Giura. «Grazie ai cittadini di Moutier, il cantone aumenterebbe il suo peso politico a livello federale. Ma oggi più delle cifre contano il cuore e la storia». E di cifre, i due fronti ne hanno snocciolate molte negli ultimi tempi per guadagnarsi i favori degli indecisi, quelli che faranno pendere l’ago della bilancia verso il sì o il no. In gioco, stando agli anti-separatisti ci sono circa 600 impieghi a tempo pieno nell’amministrazione pubblica, l’ospedale e la scuola professionale. E poi c’è «la bugia di Stato», come l’ha definita Valentin Zuber, presidente del Partito socialista autonomo del Giura del Sud e membro del legislativo comunale. Finora l’amministrazione bernese aveva comuni-

cato che Moutier versava solo 14 milioni di franchi all’anno di imposte; un comune povero insomma. Dopo una verifica, i milioni sono diventati 24. Per Zuber, si tratta di un errore intenzionale che a dipendenza del risultato di domenica potrebbe portare a un ricorso sulla votazione. A meno di una settimana dallo scrutinio è difficile fare delle previsioni. «È come leggere i fondi del caffè», dice il politologo dell’Università di Berna. «Rispetto alla votazione del 24 novembre 2013, ora non si tratta più di essere favorevoli o contrari a un processo volto a unire la città con il canton Giura, bensì ora si deve decidere se lasciare davvero il canton Berna. Le scienze sociali ci insegnano che le persone sono piuttosto propense a scegliere lo status quo. Per questo motivo credo che domenica i cittadini voteranno per la permanenza nel canton Berna». Domenica, 18 giugno, 4750 votanti di Moutier hanno un appuntamento con la storia. Un appuntamento seguito da otto osservatori inviati dalla Confederazione, presenti nei locali di voto e durante lo spoglio delle schede per evitare eventuali irregolarità. I Béliers hanno l’opportunità di realizzare il loro sogno, quello di abbracciare finalmente il Giura; i Sangliers di ribadire il loro amore per Berna. Annuncio pubblicitario

Fare la cosa giusta

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Sayed Jamshidi (13) è fuggito in Svizzera senza i genitori


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Politica e Economia

Gli effetti positivi della riduzione del tasso di riferimento La consulenza della Banca Migros

Thomas Kaufmann

Thomas Kaufmann, gestore di fondi in azioni e immobili della Banca Migros

Il 1° giugno l’Ufficio federale delle abitazioni ha finalmente abbassato il tasso di riferimento per le pigioni dello 0,25%, portandolo così all’1,5%. Adesso gli inquilini possono richiedere una riduzione del canone d’affitto. Il risparmio così ottenuto può rivelarsi un contributo al reddito da non sottovalutare. La riduzione del tasso di riferimento può avere effetti più che positivi sul patrimonio degli Svizzeri. Con l’abbassamento del tasso di 0,25 punti percentuali fino all’1,5% gli inquilini hanno diritto a una diminuzione della pigione che sfiora il 3%. Nel caso di un affitto mensile di 2000 franchi ammonterebbe a 58,20 franchi al mese, ossia 698,40 franchi l’anno (v. tabella). Il risparmio è ancora maggiore se l’appartamento è stato preso in affitto prima del 2 giugno 2015 e finora la pigione non è mai stata ridotta. Dal momento che non tutti i locatori adeguano spontaneamente gli affitti, gli inquilini dovrebbero chiedere di propria iniziativa un adattamento della pigione dove necessario. Se sussiste il

Gli inquilini hanno diritto di chiedere una riduzione dell’affitto del 3 per cento. (Keystone)

diritto alla riduzione, si può inviare al locatore una richiesta scritta. Per legge il locatore è tenuto a prendere

Pigione attuale in CHF 1000 1500 2000 2500 3000 3500 4000 Risparmio mensile* 29.10 43.65 58.20 72.75 87.30 101.85 116.40 Risparmio annuale* 349.20 523.80 698.40 873.00 1047.60 1222.20 1396.80 * Risparmio massimo in caso di concessione dell’intera riduzione da parte del locatore.

in considerazione la richiesta, ma può decidere di concedere un adeguamento solo parziale per compensare la crescita dell’inflazione e l’aumento dei costi di manutenzione e d’esercizio. Su Internet (ad es. sul sito dell’Associazione svizzera inquilini), oltre agli esempi di richiesta di riduzione della pigione, si trovano anche diversi modelli di

calcolo che permettono di ottenere una stima della possibile diminuzione. Quello che inizialmente può sembrare soltanto un risparmio modesto, con gli anni potrà diventare una somma non trascurabile. In una persistente fase di tassi bassi come quella attuale è un contributo al reddito da non sottovalutare. Annuncio pubblicitario

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Politica e Economia Rubriche

Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Conta di più l’occupazione o la produttività? Chi per informarsi sull’evoluzione della congiuntura economica scorre le pagine dei nostri quotidiani – di quelli ticinesi come pure di quelli della Svizzera tedesca – avrà notato che, nelle due regioni del paese, l’attenzione dei commentatori si concentra su aspetti diversi. Mentre in Ticino è l’occupazione e la sua evoluzione che praticamente monopolizza l’interesse dei giornalisti, nella Svizzera tedesca le analisi sulla crescita dell’economia si concentrano sulla lentezza con la quale si sviluppa la produttività per ora di lavoro. Di fatto, dietro a queste preferenze, stanno due concezioni diverse dello sviluppo. Per chi, nell’apprezzamento della congiuntura, dà la preferenza all’evoluzione dell’occupazione (e naturalmente anche della disoccupazione e dell’immigrazione di lavoratori) è più che evidente che l’economia non può crescere che

aumentando il numero degli occupati. Questi commentatori considerano quindi l’aumento dell’occupazione sempre come un fatto positivo e soprattutto lo considerano tale se l’aumento dell’occupazione genera una diminuzione della disoccupazione, in particolare della disoccupazione dei residenti. Anche ai nostri lettori non sarà sfuggito come i commentatori dei fatti economici dei giornali ticinesi abbiano, nel corso degli ultimi mesi, inneggiato non solo all’aumento dell’occupazione, ma anche al fatto che la stessa cresca più rapidamente in Ticino che altrove. Diverso è invece il ragionamento di chi si occupa della crescita dell’economia nazionale. Questi commentatori comparano spesso la crescita dell’economia svizzera con quella dell’economia europea e constatano che purtroppo, da qualche anno, anche nei confronti

dell’Europa, il nostro sistema economico arranca. La spiegazione di questa differenza nel tasso di crescita è data dalla diversa evoluzione della produttività. In Svizzera la produzione per ora di lavoro cresce più lentamente che nella maggioranza delle economie dell’UE. Ora, siccome sia l’economia nazionale, sia quella del cantone dipendono largamente dall’esportazione (i lettori terranno presente, a questo proposito, che il turismo è anche, almeno per la metà dei suoi proventi, un’industria di esportazione), il fatto che la produttività ristagni è un problema che dovrebbe preoccupare di più anche il commentatore economico ticinese. Questo perché l’evoluzione della capacità concorrenziale di un sistema economico dipende strettamente dall’evoluzione della produttività per ora di lavoro. Per fare aumentare la produttività ci sono

due possibilità: la prima è quella di far crescere, in modo più che proporzionale, l’occupazione nei rami nei quali la produttività è superiore alla media; la seconda è quella di ristrutturare i rami a bassa produttività, riducendo l’occupazione. A livello dell’economia nazionale è quello che sembra stia avvenendo, in particolare attraverso la rilocalizzazione dei posti di lavoro, verso i paesi con livelli di salario basso, o anche – come si è potuto leggere in questi giorni in relazione a misure di rilocalizzazione prese dall’UBS – verso le regioni della Svizzera che hanno salari e affitti bassi. A livello ticinese sembra invece che l’economia si muova nella direzione contraria. Mentre i rami ad alta produttività (si pensi a quelli del settore finanziario per far un solo esempio) riducono il personale, quelli a produttività inferiore alla media (specie

nel settore dei servizi) vedono i loro effettivi aumentare. Sono tendenze che dovrebbero preoccupare perché non basta constatare che l’occupazione aumenta, quando questo aumento di fatto non fa che frenare la ripresa della produttività. In una economia che funziona bene l’aumento dell’occupazione è sempre accompagnato da un aumento della produttività per ora di lavoro e da un aumento dei salari. In Ticino prevale l’economia delle maquiladoras, le aziende possedute e controllate da capitalisti di fuori cantone che profittano di un salario inferiore alla media nazionale e, spesso, di condizioni fiscali migliori di quelle nei paesi in cui l’azienda madre ha la sua sede. Sono aziende che, siccome basano ancora la loro produzione sul lavoro poco remunerato, non devono preoccuparsi oltremodo di come avanza la loro produttività.

ma non benissimo, a vigilare sugli assembramenti. Risultato: non è accaduto nulla, nonostante la presenza di 30 mila avversari (con cui gli juventini non hanno né fraternizzato né antipatizzato: le due tribù si sono ignorate, come l’acqua e l’olio). Anche a Torino sarebbero serviti varchi di controllo: non solo per scoprire eventuali malintenzionati, ma anche per la tranquillità di tutti gli altri. Il divieto di portare o vendere bottiglie di vetro non doveva essere solo teorico, ma fatto rispettare. Le vie di fuga devono essere sempre aperte, protette, ben segnalate. E siccome il procurato allarme è reato, agenti in divisa e in borghese avrebbero arrestato i responsabili (o li avrebbero dissuasi). Detto questo, i paragoni con l’Heysel – che pure si sono sentiti, in particolare sul web – sono fuori luogo e anche irriguardosi nei confronti dei 39 morti e dei loro familiari. Stavolta gli errori logistici si sono sommati a una certa fragilità psicologica, esasperata dal risultato della partita: se la Juve avesse vinto, probabilmente gli sciocchi che hanno seminato il panico sarebbero

stati ignorati o sommersi dalla felicità generale. Qui torniamo a Cardiff, e a un’altra forma di suggestione collettiva: la cabala, il sortilegio. In realtà, ogni finale fa storia a sé. Dybala, che non era un fenomeno ieri e non è una schiappa oggi, con ogni probabilità non ha mai sentito nominare Longobucco o Magath, e forse neppure Rep o Dino Zoff. A Belgrado la Juve autarchica del 1973 incontrò una squadra troppo superiore. Ci fu una sola epoca in cui i bianconeri erano decisamente i più forti al mondo: l’epoca di Platini, che vide appunto l’amara vittoria di Bruxelles e la sconfitta di Atene, quella sì incredibile. A Cardiff si respirava un clima fin troppo fiducioso, che non ha aiutato a impostare correttamente la partita, come lo stesso Allegri ha riconosciuto: la Juve ha bruciato tutte le sue energie fisiche e psicologiche per rimontare e imporsi nel primo tempo; poi è crollata contro il numero uno del calcio mondiale e una squadra costruita attorno a lui. Non è vero che i bianconeri non sanno vincere in Europa: sono stati i primi a conquistare tutte e tre le Coppe.

Semplicemente, in Europa la società torinese ha più concorrenza e meno potere che in Italia (come le ha ricordato a Cardiff l’arbitro Brych, non decisivo ma comunque pessimo). Il Real Madrid è in questo momento il club più ricco del pianeta; e la ricchezza al nostro tempo cresce in modo esponenziale, rende difficili i confronti, per cui in Italia il giocatore più pagato, Higuain, faceva in Spagna la riserva neanche di Ronaldo ma di Benzema. Resteranno, di questa finale, il sollievo per il dramma evitato in piazza San Carlo, e l’orgoglio ferito della comunità juventina, l’unica davvero nazionale, oggi malmostosa ma pronta a rimettersi in marcia verso Kiev (finale di Champions 2018) o verso Mosca, dove si giocano i prossimi Mondiali, e la difesa della Juve oggi bistrattata sarà ancora l’ossatura della Nazionale italiani. Il resto è superstizione: uno dei tanti mali di un Paese per altri versi baciato dalla fortuna. Anche se non in politica; come dimostrano le tormentate vicende di questi giorni, di cui ci occuperemo quando sapremo come finirà il lungo tormentone della legge elettorale.

ognun vede percorrendo le sue strade. Di questo si occupa un’altra sezione del quaderno, curata da Mathias Picenoni, e dedicata ai «non-luoghi» del Grigioni italiano. «Non-lieux», termine coniato nel 1992 dall’etnologo francese Marc Augé con l’intento di dare un nome agli spazi intermedi o interstiziali («Zwischenorte» in tedesco) lasciati sul territorio dall’attività edilizia come stazioni di servizio, motel, empori standardizzati, sale d’aspetto… Luoghi, insomma, di passaggio, anonimi, senz’arte né parte, intercambiabili. Corridoi di solitudine. Non-luoghi sono diventati per esempio Campocologno, alla frontiera con la Valtellina, e Castasegna, allo sbocco della Bregaglia: villaggi soffocati dal traffico di transito e perciò svuotati pian piano della loro anima, fatta di osterie, negozi, piazze, ritrovi pubblici. Destino ineluttabile? Non sempre. A volte basta una circonvallazione per ridare speranza ad un borgo, come a

Castasegna; oppure una galleria, come a Roveredo, ora alle prese con una «ricucitura» che non sarà semplicemente un ritorno alla trama insediativa precedente, ma una riconfigurazione dell’intero abitato. Poi, certo, non tutti i non-luoghi sono squallidi e ostili ad ogni tentativo di recupero sul piano estetico o funzionale; talune possono rinascere come nicchie di iniziative originali. Già qualche anno fa, «Coscienza svizzera» aveva proposto di riesaminare la nozione di «Svizzera italiana» attraverso uno sguardo che tenesse insieme le due angolazioni, quella ticinese e quella grigionitaliana. Operazione né facile né ovvia, come anche questo quaderno edito dalla Pro Grigioni italiano dimostra. Perché le divisioni sono anche interne, corrono e scavano solchi da una valle all’altra, riportando alla superficie filigrane sociali e culturali che un occhio non allenato nemmeno percepisce.

In&outlet di Aldo Cazzullo Forza Juve Ero a Cardiff con mio figlio di vent’anni, juventino con la passione che avevo io alla sua età, e ho sofferto la mia parte. Però l’atmosfera era bella, prima è stata messa in comune la speranza, poi la delusione; e i sentimenti messi in comune si stemperano sempre in modo più dolce. Poi tornato in Italia ho trovato un clima che mi ha lasciato perplesso. Come se incombesse sulla squadra più rappresentativa del Paese una sorta di maledizione. In realtà, non esiste nessuna maledizione della Coppa Campioni, o Champions League come si chiama adesso. Semplicemente, la Juve ha perso contro

una squadra più forte; e l’evento di piazza San Carlo a Torino, dove ci sono stati oltre mille feriti, era organizzato male. Se è proprio necessario – ai tempi dell’Isis e della paura dell’Isis – tenere un grande assembramento in una piazza barocca del centro storico (anziché magari in un parco, o meglio ancora allo stadio come hanno fatto a Madrid), occorre farlo in altro modo. In piazza San Carlo c’erano 30 mila tifosi juventini: tanti quanti a Cardiff. Ma a Cardiff c’erano i metal detector, la birra veniva servita in bicchieri di plastica e non in bottiglia, nella folla erano numerosi gli agenti in borghese, mimetizzati bene

Cantoni e spigoli di Orazio Martinetti Grigioni italiano: un’identità in ricucitura Identità, Territorio, Cultura, questo è il titolo dell’ultimo numero dei «Quaderni grigionitaliani» pubblicato sotto la direzione di Jean-Jacques Marchand, italianista dell’università di Losanna, specialista del pensiero di Machiavelli approdato nel 2006 alla testa del trimestrale. Anche il primo quaderno del 2017 (marzo) non manca di attirare la curiosità di chi grigionese non è, ma segue quanto vibra in quest’area alpina, periferica ma non statica, divisa al suo interno, bifronte e strabica, con uno occhio a sud e l’altro e nord. «Nel serto dell’Elvezia/ci sono quattro vallate,/ da Dio furon create/ coi monti della Rezia…»: così inizia la celebre canzone composta su versi di Leonardo Bertossa, l’inno entrato nel folclore popolare. Ma collocare nella ghirlanda confederale le quattro vallate (Calanca, Mesolcina, Bregaglia, Poschiavo) è impresa tutt’altro che scontata, come si evince dai contributi della sezione curata da Paolo Parachi-

ni. Perché due confinano con il Ticino e due con l’Italia; perché c’è unità linguistica ma non unità religiosa; perché le influenze alle quali sono esposte sono diverse (Bellinzona o l’Engadina, oppure ancora Tirano o Chiavenna). A giudizio di molti il Grigioni italiano è una costruzione anomala, nata piegando e torcendo le leggi della geografia. Sulle prime, infatti, appare innaturale che il Moesano appartenga al cantone dei Grigioni e non al Ticino, come l’orografia vorrebbe. Ma come giustamente osserva Marco Marcacci nel suo contributo, lo stesso Ticino può considerarsi il frutto di un paradosso, spiegabile solo risalendo al basso Medioevo e agli albori del Rinascimento. La Confederazione stessa è più un prodotto della storia che della morfologia. Gratta gratta, ogni spicchio di terra nasconde un suo tratto specifico, un suo percorso nel tempo, fatto di memorie sedimentate, di ricordi mai del tutto abrasi dall’in-

cedere degli anni. Siamo un paese di minoranze, ricorda giustamente Flavio Zanetti; non è monolitica nemmeno la maggioranza, quella svizzero-tedesca; anche qui la talpa della storia ha scavato i suoi cunicoli, come rivelano puntualmente le mappe del voto. L’identità grigionitaliana è quindi forzatamente inquieta ed oscillante. Ma questa instabilità è soltanto apparente; anzi, da questo substrato scaturisce la capacità di resistere alle pressioni esterne che vorrebbero livellarla e assorbirla. Questo spiega il vigoroso spirito comunitario che ancora anima la vita delle quattro valli, l’attaccamento alle istituzioni comunali (la ben nota «autonomia»), la fedeltà alle tradizioni locali e al dialetto in tutte le fasce di età. Non siamo comunque, nemmeno qui, in presenza di un idillio atemporale. Il rullo compressore della modernità non ha risparmiato lo spazio retico, come


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 12 giugno 2017 • N. 24

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Cultura e Spettacoli Un dialogo d’arte Le opere dell’artista sardo Aligi Sassu incontrano quelle dello svizzero tedesco Wilhelm Schmid in un Museo a Brè pagina 33

La signora di Longanesi Per tutti i suoi cultori e per chi ancora non lo conosce, è il momento di leggere Leo Longanesi, nuovamente in libreria con La sua signora

Il valore di Sufjan Stevens Il bellissimo album del 2015 Carrie & Lowell ora anche in un’imperdibile versione live

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I colori dell’arte

Mostre A Venezia la Biennale

di Christine Macel

Gianluigi Bellei Le Biennali, si sa, stanno proliferando sempre più. Come tutte le grandi esposizioni, sono perfette per invogliare migliaia e migliaia di visitatori. Una tendenza di questi ultimi decenni. Una volta c’erano le vacanze intelligenti che venivano opposte a quelle di massa; oggi la gente vuol essere intelligente e fa la fila davanti a un quadro o a un’installazione. L’importante è esserci, come tutti. La Biennale di Venezia è una macchina rodata, faticosa, da non perdere. La città si riempie di altre ulteriori esposizioni, molte delle quali veramente ridicole. Sembra che il meccanismo proliferativo sia pagante anche a scapito della qualità. In più è diventata insopportabilmente invivibile – grandi navi, orde di persone in movimento, rumore – eccetto in qualche zona, come i dintorni di San Francesco delle Vigne, per esempio. A Venezia bisognerebbe stare come minimo una settimana e senza riuscire nemmeno a vedere, in questo tempo, tutte le esposizioni temporanee. Alcune cose però sono utili da sapere. La prima è che quest’anno la Biennale bisognerebbe non perderla; la seconda è che si deve selezionare il meglio e la terza è che, forse, è più intelligente non andarci proprio. Da vedere, dicevamo. In effetti è probabilmente una delle migliori Biennali degli ultimi anni: straripante, barocca, orientaleggiante, diversa, grandiosa, colorata. Soprattutto all’Arsenale; le sale dei Giardini, al contrario, appaiono piuttosto stanche e banali. Quest’anno è curata da Christine Macel, abituata ad affrontare i problemi dell’arte contemporanea e i grandi spazi del Centre Pompidou del quale è Curatore capo al Musée national d’art moderne dove è responsabile del Dipartimento della Création contemporaine et prospective. Per il Pompidou ha, tra l’altro, curato nel 2015 Une histoire. Art, architecture, design des années 1980 à nos jours (vedi «Azione» 9 novembre 2015). In quell’occasione superò i vecchi stereotipi e le suddivisioni con i quali vengono definiti i manufatti artistici.

Non più Minimalismo, Concettuale o Body Art, per esempio, bensì una rilettura orizzontale e non cronologica con definizioni quali l’artista come archivista, come documentarista, come etnografo, come storico… Per la Biennale di Venezia crea i Padiglioni degli artisti e dei libri, delle Gioie e delle Paure, dello Spazio Comune, della Terra, delle Tradizioni, degli Sciamani, dei Colori, del Tempo e dell’Infinito e quello Dionisiaco. Se è vero, seguendo il suo pensiero, che non esistono più classificazioni e gerarchie è altrettanto vero che è possibile rimescolare le carte a proprio piacimento. Alcuni degli artisti presenti sia al Pompidou che oggi alla Biennale lo dimostrano. Per esempio Attia Kader risultava nel primo caso come archivista oggi come dionisiaco; Halilaj Petrit era uno storico, oggi lo troviamo nel Padiglione terra; Ernesto Neto era di fronte all’oggetto ora appare come uno sciamano; Philippe Parreno era un produttore, oggi è nel Padiglione dei libri; Shimabuku era fra i produttori e oggi lo troviamo nel Padiglione della Terra, e così via. Come scriveva Daniel Buren nel 2010 l’artista diventa un elemento secondario rispetto alle interpretazioni del curatore. Come sempre. E questo nonostante Macel in catalogo inanelli una serie di pensieri che prospettano l’arte come «luogo per eccellenza della riflessione, dell’espressione individuale e della libertà», sostenendo che il «ruolo, la voce e la responsabilità dell’artista appaiono cruciali nell’insieme dei dibattiti contemporanei». Per lei Viva Arte Viva, questo il titolo della Biennale, è dedicata agli artisti e alle forme che propongono. Il giorno dell’inaugurazione sono stati assegnati i vari premi fra i quali il Leone d’oro per il miglior artista a Franz Erhard Walther con la seguente motivazione: «Per un lavoro che mette insieme forme, colore, tessuti, scultura, performance e che stimola e attiva lo spettatore in un modo coinvolgente. Per la natura radicale e complessa della sua opera che attraversa il nostro tempo e suggerisce la mutazione contemporanea di una vita in transito» e

Sheila Hicks, Scalata al di là dei terreni cromatici, 2016-2017. (La Biennale di Venezia, AVZ/IR/FG/JS)

il Leone d’oro alla carriera a Carolee Schneemann la quale, secondo Christine Macel, «attraverso l’esplorazione di una vasta gamma di mezzi espressivi come la pittura, il cinema, la video arte e la performance, riscrive una personale storia dell’arte, rifiutando l’idea di una storia narrata esclusivamente dal punto di vista maschile». Due, da parte nostra, i lavori degni di nota. Green light – An artistic workshop di Olafur Eliasson e La mia biblioteca, ambedue al Padiglione centrale e al Padiglione Stirling, ai Giardini. Eliasson ha realizzato un progetto che vede rifugiati, migranti e studenti di Venezia e del Veneto fabbricare e assemblare dei componenti per realizzare un modulo poliedrico di legno riciclato che diventerà una lampada. Le lampade realizzate durante tutto l’arco della Biennale sono in vendita con una donazione minima di 250 euro; il ricavato servirà a supporto del lavoro di Emergency e Georg Danzer Haus. La mia biblioteca invece – ispirata al

saggio di Walter Benjamin Aprendo le casse della mia biblioteca del 1931, e magari alle conferenze sulle liste di Umberto Eco organizzate dal Louvre nel 2009, che comprendono anche quelle libresche, tanto affascinanti per molti scrittori, da Miguel de Cervantes a Joris Karl Huysmans a Italo Calvino – presenta la lista dei libri preferiti dagli artisti in mostra. Così scopriamo i loro retropensieri e l’humus con il quale nutrono i lavori e li fanno crescere. Le splendide balle colorate di Sheila Hicks, nata in Nebraska nel 1934 e attiva a Parigi, diventano più chiare se sappiamo che i libri indicati sono Atlas des Lépidoptères de France, Belgique, Suisse. Hétérocères di Claude Herbulot, Al Muqaddimah di Ibn Khaldûn e Les textiles anciens du Pérou et leur techniques di Raoul d’Harcourt. Franz Erhard Walther, tra gli altri, segnala Holzwege di Martin Heidegger; i sentieri nel bosco dove ognuno procede per proprio conto, come nell’installazione presentata a Venezia nella

quale lo spettatore viene coinvolto a partecipare. Il lavoro sulla luce di Olafur Eliasson si ritrova nei sei volumi proposti come For Space di Doreen Massey, The Embodied Mind: Cognitive Science and Human Experience di Francisco J. Varela, Evan Thompson ed Eleanor Rosch o La Phénoménologie de la perception di Maurice Merleau-Ponty. Per gli altri si va da Dostoevskij a Omero, da Yijīng a Marx, da Cervantes a Borges, solo tra quelli maggiormente conosciuti da noi europei. Insomma, un viaggio nel viaggio con valenze insospettate che merita di essere percorso; dopo un’attenta, meticolosa e selettiva preparazione. Dove e quando

Viva Arte Viva. A cura di Christine Macel. Venezia, Giardini – Arsenale. Fino al 26 novembre. Orario: 10.0018.00. Lu chiuso. Catalogo edito da La Biennale di Venezia, euro 85; Guida euro 18. I/E. www.labiennale.org


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Cultura e Spettacoli

Tra realismo ed espressionismo Mostre /1 Il Museo Schmid di Brè accoglie le opere di Aligi Sassu Alessia Brughera Nel piccolo villaggio di Brè Wilhelm Schmid arriva quando la seconda guerra mondiale è ormai alle porte, per sfuggire alle persecuzioni del Terzo Reich che lo considera un «artista degenerato»: dalla città di Berlino dove anima le correnti avanguardistiche, il pittore di origine argoviese si trasferisce nella tranquilla località del Ticino per trascorrervi il resto della vita, ritraendo fino alla morte, avvenuta nel 1971, i suggestivi paesaggi che può ammirare dalla terrazza della sua abitazione.

Una visita alla mostra di Aligi Sassu è anche l’occasione per scoprire le opere artistiche di Wilhelm Schmid Alcuni anni più tardi, un altro artista, questa volta italiano, rimane colpito dalla bellezza del luogo e lo elegge quale residenza dove soggiornare durante l’ultimo periodo della sua esistenza: è Aligi Sassu, pittore nato a Milano nel 1912 e diventato uno dei protagonisti dell’arte novecentesca. A testimonianza del profondo legame che queste due figure hanno avuto con Brè troviamo da una parte la dimora di Schmid, divenuta un museo a lui dedicato che ha mantenuto parte dell’arredo originario dell’artista, dall’altra il dipinto che Sassu ha realizzato all’ingresso del borgo, dando inizio al caratteristico percorso di opere d’arte che si snoda lungo le stradine del nucleo del paese. Proprio negli spazi del Museo Schmid i due maestri vengono oggi accostati in una mostra che mette in dia-

logo i loro lavori, evidenziando lo stile peculiare che ciascun artista ha saputo elaborare e dandoci al contempo gli spunti per cogliere talune assonanze nel loro modo di dipingere, prima fra tutte la medesima tendenza a dar vita a una pittura di stampo espressionista che esalta l’accensione cromatica e che si affida all’essenzialità delle forme. Le opere di Schmid, permanentemente esposte nel museo, appartengono agli anni Venti e Trenta, un periodo particolarmente intenso per il pittore, che si accosta dapprima alla Novembergruppe, l’associazione di artisti formatasi a Berlino nel 1918 con lo scopo di dar vita a un’arte per il popolo, poi alla Neue Sachlichkeit, il movimento di derivazione espressionista che vede la luce nella Germania prenazista. Sebbene vicino a quest’ultima corrente nel proporre immagini dalle volumetrie semplificate e dai colori violenti (ne sono un esempio i nudi femminili di un potente giallo-verde nella tela dal titolo Fuoco, del 1920), Schmid elabora un linguaggio dai toni meno crudi rispetto ai suoi colleghi. Non si trova nelle sue opere l’impietosa satira caricaturale di George Grosz né la pittura spietata, di un tragico realismo, di Otto Dix e nemmeno le drammatiche allegorie di Max Beckmann. L’arte di Schmid è più pacata, più lirica per certi versi, accostabile alle istanze classiche della Neue Sachlichkeit, quelle maturate all’interno del Realismo Magico e da artisti quali Christian Schad. Un’arte capace di cogliere l’essenza delle cose con una verginità di sguardo che decontestualizza la realtà e gli oggetti per ricondurli a una sorta di significato ancestrale. Nel percorso espositivo i dipinti di Aligi Sassu sono stati collocati all’ultimo piano, spazio che verrà adibito d’ora in poi a contenitore di mostre legate ai nomi di coloro che han-

Aligi Sassu, I calciatori (Uomini rossi), 1930. Olio su tela. (Museo d’arte della Svizzera italiana, Lugano. Collezione Città di Lugano. Donazione Aligi Sassu e Helenita Olivares, Lugano).

no realizzato l’arredo artistico di Brè. Di Sassu vengono presentate alcune opere provenienti dalle collezioni del Museo d’Arte della Svizzera italiana risalenti agli anni Trenta. Per l’artista sono gli anni del viaggio a Parigi per conoscere i capolavori di Géricault e di Delacroix, fondamentali per la maturazione del suo stile, gli anni della carcerazione, con l’accusa di complotto antifascista, e soprattutto gli anni in cui la sua pittura si sta caricando di quelle valenze formali e ideologiche che, a par-

tire dal 1938, la accomunano al gruppo di Corrente. L’arte di Sassu giunge così a una grande forza comunicativa attraverso una figurazione realistica che nella concitazione dei volumi e nella potenza delle tinte si riallaccia alla forzatura dei limiti del naturalismo attuata dai movimenti espressionisti europei. Di particolare interesse, nella rassegna, sono i lavori appartenenti al ciclo degli Uomini rossi, eseguito tra il 1928 e il 1934, in cui l’artista è alla ricerca degli archetipi dell’umanità tramite

l’utilizzo di un colore puro e pervasivo che trasfigura ogni cosa e che diventa elemento quasi mentale, capace di creare quelle atmosfere attonite, in bilico tra tensione ed emozione, a cui anche Schmid era riuscito ad approdare. Dove e quando

Aligi Sassu (1912-2000). Museo Wilhelm Schmid, Brè. Fino al 25 giugno 2017. Orari: ve e do 14.00-17.00. Per informazioni: cultura@lugano.ch

Si fa presto a dire gioco Mostre / 2 A Lugano il passato e il presente dei parchi gioco, veri e propri esperimenti urbanistici Emanuela Burgazzoli Scivoli, altalene, girelli: sono legati ai nostri ricordi d’infanzia. Ma i parchi gioco sono molto di più. Lo si intuisce visitando la mostra The Playground Project sulla storia internazionale dei parchi ludici, che era partita dal Carnegie Museum of Modern Art di Pittsburgh nel 2013 e che ora fa tappa – in versione purtroppo ridotta – a Lugano negli spazi dell’Istituto internazionale di architettura i2a di Villa Saroli, in collaborazione con la Kunsthalle di Zurigo e la Pro Juventute. La storia dei parchi gioco riflette da un lato i progressi degli studi di pedagogia infantile, dall’altro lo sviluppo dell’architettura urbana. Se già negli anni Trenta del secolo scorso si comincia a innovare e sperimentare grazie anche alla riconosciuta importanza del gioco nello sviluppo infantile, il movimento del Sessantotto imprime un nuovo slancio, anticipato dal ruolo di

pioniere della Danimarca dove si realizzano parchi gioco realizzati collettivamente da bambini e adulti. Un principio ripreso e sviluppato nei primi anni Settanta dall’architetto italiano Riccardo Dalisi che conduce un esperimento in un rione di Napoli. Propugnatore di una tecnica povera e di un’architettura «spontanea», Dalisi descrive così un pomeriggio al Rione Traiano: «A gruppi di 2 o 3 (i bambini) martellavano, componevano oggetti spaziali usando liberamente i modi di elaborazione che avevano visto tra gli studenti: hanno trattato le aste, le balestre, i tiranti, secondo una logica che non osavo immaginare potesse sgorgare così facilmente». Quello di Dalisi diventa anche un esperimento socio-politico che sprigiona una creatività collettiva, in cui la competizione rappresenta uno stimolo e non una forza «selettiva e regressiva». In quegli stessi anni il gruppo francese Ludic, di cui sono documentati i progetti dei parchi nel centro di Parigi a Les

Riccardo Dalisi, animazione rione traiano di Napoli 1971-75.

Halles e a le Havre nel 1970, costruisce strutture innovative recuperando materiali industriali. Negli anni Ottanta questa effervescenza si stempera nella convenzione dettata dalle norme di sicurezza, la nuova parola d’ordine che finisce per omologare le strutture dei parchi giochi. Le tendenze più recenti invece sembrano confermare una nuova consapevolezza: architetti e progettisti di parchi gioco si sono riappropriati di quelle che non sono semplici aree di svago, bensì spazi urbani da trasformare in luoghi per tutta la comunità, da integrare nel tessuto urbano o nell’ambiente circostante, pensando anche alla loro sostenibilità ambientale. E non occorre andare nei Paesi Bassi o in Giappone per trovare progetti innovativi, come dimostra la sezione appositamente dedicata al Ticino. Si va dai progetti curati dall’associazione Radix ad Ascona e Osogna, realizzati coinvolgendo i genitori, al parco di Bioggio che ha visto la collaborazione fra architetti, un designer tedesco che ha privilegiato strutture dinamiche ed entropiche e l’artista Sandra Snozzi: «Sono stata contattata per la progettazione e l’esecuzione delle decorazioni murali; – ci spiega l’artista – si tratta di bassorilievi colorati, che riproducono in chiave stilizzata l’evoluzione della vita a partire dai microorganismi, alle prime forme vegetali, ai pesci, per poi continuare con gli uccelli e i mammiferi. Non da ultimo, l’essere umano. I fori realizzati nel muro stesso, attraverso i quali i bimbi possono comunicare dall’una all’altra parte del muricciolo,

simboleggiano un volto scomposto (occhi, bocca, grande naso)». L’artista Lorenzo Cambin ha affiancato per un certo periodo questa attività al suo lavoro di scultore. «Nei due casi – ci racconta – in quello di Sorengo e quello di Sant’Antonino ho cercato di creare degli spazi che si avvicinano molto al mio fare artistico, con un apparente disordine, studiato prima con dei modellini in scala e così anche più facili da seguire per l’esecuzione. Inoltre la conformazione del terreno ha sempre la sua importanza; chiaramente non è il caso di spostare montagne di terra per creare una immagine plastica volumetrica; i tronchi di legno di castagno per me non devono essere diritti come in tanti altri parchi gioco; anzi più storti e malformi sono, meglio riesco a cercare di reinterpretare la natura, come fossero ciuffi d’erba giganti al vento; all’interno di questi volumi, in seguito, costruisco dei percorsi d’equilibrio per i ragazzi magari con aggiunta di elementi d’arrampicata o bilanciamento». E la sicurezza? «Fin dall’inizio – continua Cambin – mi sono sempre scontrato con problemi di sicurezza (il parco di Lugaggia e di Sonvico sono stati eliminati perché troppo pericolosi); in seguito mi sono adeguato alle norme assicurative; quelli che resistono è perché sono praticamente «piatti». I pali storti sono prediletti anche da Johanna Schönenberger, per esempio nel suo parco di Breganzona dove i bambini possono arrampicarsi su case sospese su palafitte. A Viganello – nel recentissimo

parco di Via Taddei, il primo in Ticino sovvenzionato dalla Fondazione Denk an mich – i progettisti hanno integrato obiettivi di integrazione sociale, disegnando aree e giochi adatti anche a bambini con disabilità, nell’intento di creare, nel cuore di un quartiere, un parco giochi per tutti, inserendolo nel contesto abitato «come un’oasi verde che si contrappone alla rigida geometria degli edifici circostanti con curve sinuose e spazi fluidi». Del resto i parchi gioco vengono definiti come «parti organiche dello spazio pubblico» da Elger Blitz, architetto e fondatore di Carve, studio olandese di progettazione specializzato in parchi ludici. Accanto ai parchi «prescrittivi», che dicono ai bambini di giocare, ci sono quelli invece che «facilitano l’imprevedibile», che crescono insieme ai bambini e quindi stimolano davvero la creatività, considerando anche che non tutto quello che piace e fa giocare un bambino è necessariamente bello. Insomma le sfide architettoniche implicite in un parco giochi sono più complesse di ciò che si potrebbe pensare, tanto che Martha Thorne, direttore esecutivo del Premio Pritzker, ha dichiarato: «in futuro gli incarichi più ambiti potrebbero essere quelli per la progettazione dei parchi giochi urbani». Dove e quando

The Playground Project, Limonaia di Villa Saroli, Lugano. Orari: ma-ve 10.00-16.00, Fino al 29 giugno 2017. www.i2a.ch


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Cultura e Spettacoli

L’arguto Leo

A ognuno la sua verità

giornalista e scrittore Leo Longanesi nel bel romanzo La sua signora

comunicazione in un libro di Vittorio Meloni

Pubblicazioni Le tendenze dei mezzi

Narrativa L’intelligenza e la verve dell’editore, di informazione di massa e la società della

Stefano Vassere

Particolare della copertina del libro di Leo Longanesi.

Mariarosa Mancuso Il Sicilian tragedi, Ottavio Cappellani racconta un «Romeo e Giulietta» messo in scena da un regista d’avanguardia con attori presi dal teatro dialettale (anzianotto è Romeo, e pure Mercurio, ridicoli nelle loro calzamaglie). Recitano nell’anfiteatro di San Giovanni La Punta – «anello di congiunzione tra la cultura greca e l’abusivismo edilizio» – con tubi innocenti per unica scenografia. Spiega il regista che basta aggiungere un cartello con la scritta «casa di Giulietta» e «i tubbi» diventano la casa di Giulietta, nel teatro elisabettiano si usava così. (Il romanzo era uscito da Mondadori qualche anno fa, e presto sarà in libreria – con la sigla SEM, Società Editrice Milanese – il sequel intitolato Sicilian comedi). Nel 1951, Leo Longanesi aveva già annotato nel suo taccuino: «Al Café des Deux Magots, un pittore italiano, di Lecce, confezionato da artista d’avanguardia, dice: “L’apporto del tubo nell’arte moderna è grandissimo”». C’è tutto: il tubo, il sud, l’avanguardia, le alzate d’ingegno che a furia di essere praticate diventano luoghi comuni. Il primo che fece indossare abiti moderni agli attori scespiriani sapeva sicuramente quel che faceva; dopo caterve di imitatori possiamo solo sperare in uno Shakespeare recitato con i costumi d’epoca. Il primo regista che alla fine di uno spettacolo svelò i macchinari che rendono possibile la magia fu un innovatore. Ma già in Fratelli d’Italia – prima stesura, anno 1963 – Alberto Arbasino trovava il trucchetto piuttosto stantio. Sembra scandaloso mettere insieme Leo Longanesi e Alberto Arbasino. Da una parte lo scrittore, giornalista, disegnatore nato a Bagnacavallo nel 1905, che proponeva di mettere sulla bandiera italiana «Tengo famiglia», e che nel 1950 fondò il settimanale «Il borghese». Dall’altra lo scrittore dandy che ha visto tutti gli spettacoli teatrali, ha ascoltato tutte le opere, ha letto tutti i libri, senza distinguere tra romanzi e memoir. Contro Leo Longanesi pesa la condanna ideologica, e sarebbe ora di finirla, perché è bravissimo. Alberto Arbasino ha scolpito nel cemento le tre tappe dell’intellettuale – «Giovane promessa, solito stronzo, venerato maestro». Leo Longanesi non è da meno, quando illustra la seconda

fase scrivendo – di un certo «N» che non specifica, molto somigliante a tanti scrittori che sparano romanzi a scadenza trimestrale – «alla sua penna sono appesi una moglie, diversi figli, una madre e una serva. Bisogna tenerne conto, quando si giudica la sua prosa». E come sarà la prosa in questione? Eccola precisamente descritta, nella sua inutilità: «Adopera molti avverbi per dar forza ai concetti che non riesce a esprimere». Scatta l’applauso, e nello stesso tempo siamo presi da una crisi di sconforto: è passato più di mezzo secolo, il mediocre scrittore italiano ha gli stessi difetti (e schiere di critici che neanche glielo fanno notare, e di Leo Longanesi in giro non se ne vedono). Ultimo libro pervenuto, edito dalla casa editrice Longanesi (non è omonimia, l’aveva fondata nel 1946): La sua signora. Prefazione di Indro Montanelli e postfazione di Pietrangelo Buttafuoco, volendo tenere lontani i lettori ottimisti e di sinistra non si poteva far meglio. Gli altri godranno, oltre alle battute, anche le malinconie: «No, non rassomiglio affatto a quel signore che credevo di essere stamattina quando ho comprato il cappello nuovo» – e chi non l’ha pensato, portando a casa un vestito troppo vistoso, o un paio di scarpe con i tacchi troppo alti? Capita a tutti, in un momento di sconforto, di mettere in ordine il cassetto delle calze. È bello sapere che non lo facciamo solo noi, e che la smagliante intelligenza di Leo Longanesi aveva afferrato il perché: «Melanconia. Come sempre mi accade in questi momenti metto in ordine nei miei cassetti. È un modo come un altro di aver fiducia nell’avvenire». A tratti Longanesi ricorda Ennio Flaiano (altro accostamento che spiacerà ai fan dell’uno e ai fan dell’altro). Gli basta una frase per inquadrare in maniera poco lusinghiera l’intoccabile Benedetto Croce: «Perfetto come un orologio svizzero, non ritarda e non avanza». E un’altra per ribaltare – con anticipo sui tempi, l’annotazione sul taccuino risale al 1955 – le litanie sull’infanzia difficile, sulle sofferenze che temprano, sulla televisione del dolore. «Non c’è da fidarsi di lui, ha molto sofferto». Quasi quasi – stanchi come siamo di ascoltare lamenti poco allegri, gli unici che di questi tempi sembrano avere dignità intellettuale – la facciamo scrivere sulle magliette.

La forse troppo abbondante comunità degli studiosi a vario titolo dei mezzi di comunicazione di massa può essere divisa agevolmente in due categorie. Da una parte c’è una comunità purtroppo maggioritaria di osservatori che procedono in modo assertivo e tribunizio e, spesso con impostazione messianica e determinata, ci dicono come sarà il nostro futuro, abusando di negazioni e tempi futuri: «non potremo più», «non illudiamoci di», «saremo tutti»; cedono spesso, questi qui, ad altro artificio testuale e stilistico ormai smascherato: «non stiamo andando verso questo tipo di società, ci siamo già immersi», dicono gravi. Poi ci sono quelli che mettono qualche bue statistico e scientifico davanti al carro del ragionamento divinatorio e procedono come secoli di metodo scientifico dovrebbero ormai averci insegnato. Di questa seconda e più saggia squadra fa parte Vittorio Meloni, che ha lavorato con mansioni di responsabilità in IBM, Olivetti, Alfa Romeo, Telecom ed è ora capo delle relazioni esterne di Intesa Sanpaolo e consigliere di amministrazione di ADS e di Auditel. Questo suo appena pubblicato Il crepuscolo dei media. Informazione, tecnologia e mercato è una analisi piena di dati delle evoluzioni in atto nel mondo dell’informazione, italiana e

globale. Quindi, giornali, radio, televisioni, nuovi e social media; con le tematiche sorelle della pubblicità, dei ricavi, della ormai presentissima verità e delle sue declinazioni. Prendiamo la stampa scritta, i giornali in senso stretto. Ci sono degli indicatori che ci dicono molto sulle evoluzioni della società dell’informazione; in Italia, per esempio, incrociando qualche prospettiva si vede benissimo che il declino dei quotidiani, che è grave e misurabilissimo nei numeri, ha magari anche qua e là qualche causa meno vistosa: tra l’altro non è difficile dimostrare che «il declino dei quotidiani ha molte cause, ma tra queste possiamo annoverare senz’altro una crescente perdita di credibilità». In altri termini, forse c’è un problema non dichiarato di qualità e autorevolezza perdute, oltre che un mai troppo indagato problema di analfabetismo verso la lettura dei giornali. E ancora, i ricavi della pubblicità, storicamente l’introito maggiore di queste imprese, da qualche tempo cedono il primato al poco che resta delle varie forme di vendita; nel contempo si cercano nuovi giacimenti: il contributo volontario, la vendita di servizi commerciali, investimenti specifici sulla credibilità, come nel caso del «New York Times», che ha recentemente deciso di finanziare con cinque milioni di dollari straordinari inchieste specifiche sulla presidenza Trump.

I media, categoria da ripensare.

Di fatto, il futuro dell’informazione sta tutto nei nuovi compiti cui quest’ultima dovrà rispondere: non più la pubblicità, non più le vendite come le conosciamo da sempre, forse nemmeno più i click sui banner della sua versione digitale. Secondo Meloni le vere sfide del futuro, quelle che tanto piacciono ai massmediologi un po’ millenaristi richiamati all’inizio, potrebbero essere quelle della ricerca della via verso la verità, la rivalutazione del fatto oggettivo a fronte dell’atomizzazione della cronaca in una serie infinita di opinioni ed emozioni, di fantasticherie, di indiscrezioni, di fandonie, di rabbia, di falsità; insomma, di tutto quello che con l’informazione finisce per non avere, a maggior ragione nell’era dell’Internet imperante, nulla a che fare. Bibliografia

Vittorio Meloni, Il crepuscolo dei media. Informazione, tecnologia e mercato, Bari-Roma, Editori Laterza, 2017. Annuncio pubblicitario – Inserzione pubblicitaria –

Quello che il Suo farmacista non Le dice…

I problemi di salute benigni e le piccole bue permettono a certe persone di fare degli affari d’oro. Pomate, pastiglie e sciroppi si vendono molto bene. Eppure, succede spesso che il rimedio sia peggiore del disturbo e prima che se ne renda conto eccoLa confrontata degli effetti collaterali spiacevoli. Scopri due rimedi « MIRACOLO » che conserverà nel Suo frigo, che eviteranno molti fastidi, e Le faranno economizzare molti soldi.

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Tutti conoscono delle proprietà benefiche degli agrumi. E per la maggior parte di noi, il limone è spesso sinonimo di vitamina C. Nel libro « Molto piu che vitamina C », sarà sorpreso di scoprire i numerosi benefici sconosciuti di questo campione venuto dal sud e ci imparerà numerose virtu e formule dagli effetti notevolmente efficaci e semplici da utilizzare. Il limone puo solleviare i disturbi ed i problemi piu inaspettati. Dall’erpes sulle labbra alla sbornia, senza dimenticare l’acne, i problemi di prostata, l’arteriosclerosi, la disintossicazione e la perdita di peso…. Per citarne solo alcuni. C’è acido e…acido Il nostro modo di vivere attuale ci porta all’acidificazione del nostro organismo (acidosi), che si accompagna tra l’altro di apatia, invecchiamento precoce, aumento del colesterolo, perdita di capelli ed esaurimento nervoso. Malgrado il suo gusto acido, il limone è un elemento alcalino (antiacido) quindi tutto il contrario : e questo ne fa una delle armi piu temibili per lottare contro le numerose malattie. E molto di piu ancora Questo libro trabocca ugualmente di trucchi ed astuzie pratici come per esempio: come eliminare le lentiggini avere delle belle unghie bianche fare sparire la forfora tagliare le cipolle senza piangere alleviare i colpi di sole respingere i moscerini, ecc. Questo documento di riferenza La entusiasmerà ogni volta che avrà un piccolo problema da risolvere. Un libro indispensable in ogni biblioteca !

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 12 giugno 2017 • N. 24

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Cultura e Spettacoli

Sufjan, ancora più onirico

Musica Migliorare un capolavoro: il geniale cantautore statunitense Sufjan Stevens torna a commuovere il pubblico

con la versione live del suo miglior album, l’intimista Carrie & Lowell

Brams – oggi, ironicamente, presiden- si fanno così ancor più suggestive e delite dell’Asthmatic Kitty Records, la casa cate, poiché, sebbene gli arrangiamenti È probabile che giornalisti musicali più discografica fondata da Stevens stesso. rimangano pressoché invariati, esse smaliziati e disillusi della sottoscrit- E se parecchie riviste specializzate han- beneficiano della forza dirompente che, ta riescano il più delle volte a non farci no giustamente definito Carrie & Lo- inevitabilmente, l’impostazione dal vivo troppo caso, ma nessuno può comun- well «uno dei migliori dischi del 2015», conferisce loro. Ciò si nota ad esempio que negare che l’odierna scena pop-rock dispiace notare come, sul versante in brani eterei e dolenti come All of Me presenti talune, inconfutabili ingiusti- europeo, l’album sia stato purtroppo Wants All of You – che, oltre ad apparizie ricorrenti, tali da provocare (almeno meno apprezzato, proprio per i futili re più onirico e impalpabile di prima, in chi scrive) una tangibile insofferenza. motivi citati in apertura. sorprende l’ascoltatore con un finale Di queste, la più imperdonabile riguarNonostante ciò, l’imperturbabile dal sapore elettronico, in completa anda senz’altro il fatto che troppo spesso, Sufjan torna oggi alla carica con Carrie titesi rispetto alla versione originale – o al di fuori della scena nazionale di ap- & Lowell Live, attesissimo album dal Fourth of July, il pezzo forse più strugpartenenza, i veri talenti compositivi vivo in cui ripercorre l’intera tracklist gente di Carrie & Lowell, al quale Sufjan finiscono per essere relegati nel mondo del suo capolavoro di due anni fa. Come conferisce una tardiva riaffermazione di della cosiddetta musica indie o «under- suggerito dal titolo, il CD si concentra vitalità davanti al dolore della morte nel ground», poiché il più delle volte l’inte- quasi esclusivamente sulle brillanti bal- momento in cui, al culmine del finale, resse dei mass media (e, di conseguen- late che componevano il disco del 2015, urla «sono ancora vivo». Per non parlare za, del pubblico) preferisce concentrarsi concedendosi appena poche eccezioni, di Drawn to the Blood, uno dei brani qui sul volgare decolleté della star femmini- sulle quali spiccano il brano di apertura maggiormente contaminati dal sound le di turno, o sulle relazioni sentimenta- – una sognante e ammaliante versione elettronico, che in questo caso ne altera li dei più recenti fenomeni da classifica di Redford, tratto dal disco Michigan – e perfino il ritmo, facendone un motivo – il che, ahimè, la dice lunga sulla super- l’inquieto e scoppiettante Vesuvius, pez- più uptempo. ficialità dell’odierno ambito musicale. zo risalente al 2010. Ma ciò che subito Ma sono soprattutto tracce come la Un caso tra i più scandalosi è quel- risalta di queste versioni dal vivo è la ma- meravigliosa John My Beloved a uscirne lo del quarantenne cantautore ameri- estria dimostrata da Sufjan nel rivisitare profondamente valorizzate, assumencano Sufjan Stevens, il quale, dopo es- le suggestioni di Carrie & Lowell: infatti, do una connotazione quasi epica grazie sersi fatto notare grazie a una manciata quelle che nel disco originale in studio al fatto che le code strumentali abitualdi dischi estremamente interessanti erano incisioni acustiche dalla strumen- mente «sottotono» delle incisioni ori- Un disco imperdibile. pubblicati nell’arco di un decennio, ha tazione molto semplice, spesso per sola ginali divengono qui, in un setting dal raggiunto la piena maturazione arti- voce e chitarra e, in alcuni casi, addirit- vivo, occasione per enfatizzare in modo nale aveva messo l’ascoltatore di fronte stica con lo splendido concept album tura registrate direttamente con l’iPho- intenso e struggente la forte connota- a canzoni dalla matrice autobiografica Carrie & Lowell (2015), incentrato sul ne dell’autore, vengono qui arricchite da zione intimista ed emotiva del mate- talmente fine e vibrante da rendergli suo tragico rapporto affettivo con una complessi e arabescati inserti per «full riale; come accade anche con The Only impossibile non esserne profondamente madre psichicamente instabile (Car- band», code elettroniche, suggestivi cori Thing – che nella seconda parte diviene toccato, ecco che, con questo live, Sufjan rie, appunto, scomparsa nel 2012), rea femminili e perfino qualche riverberan- un vero tripudio di fiati e percussioni – o compie un piccolo miracolo, riuscendo di averlo abbandonato alla tenera età di te eco sovrapposta della voce dello stesso con l’evocativa title track Carrie & Lo- addirittura a migliorare la resa emounAnz anno per poi risposarsi con Lowell Sufjan; per certi versi, le singole canzoni well. Così, se l’ascolto dell’album origi- zionale dei brani e a farne veicolo ancor I SportXX SALE Bike I KW 24 I Azione I Italienisch I Zeitung I 289 x 220 mm I DU: 6.6.2017 I Erscheinung: 12.6.2017 Benedicta Froelich

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Cultura e Spettacoli Rubriche

In fin della fiera di Bruno Gambarotta Reliquie, piramidi e astronavi Sono ritornato per l’ennesima volta in Sicilia e per l’ennesima volta ho dovuto rispondere a due domande: «È la prima volta che viene qui? Le piace questo posto?». Siamo tutti ansiosi di conoscere le opinioni degli altri su di noi, gli italiani. La riservatezza dei Torinesi è dettata da un pensiero fisso: che cosa dirà la gente? Se mia moglie mi vede rientrare dopo aver fatto la spesa e scopre che sono uscito indossando una maglietta non pulitissima s’inquieta: «Cosa penseranno i nostri vicini?». Così si spiega il nostro interesse per i giudizi espressi su di noi dai viaggiatori stranieri e la golosa curiosità con la quale leggiamo i loro resoconti. Ultimo per me in ordine di tempo è il Nouveau Voyage d’Italie di François Maximilien Misson. L’autore entra in Italia dal Brennero il 13 dicembre 1687 e la lascia dopo aver fatto tappa a Torino alla fine di giugno del 1688. Il suo «Viaggio in Italia», scritto in forma epistolare, pubblicato a partire dal 1691, riscosse un enorme successo; fino alla metà del ’700 nel bagaglio dei viaggiato-

ri non mancavano mai due o tre piccoli volumi del Viaggio che solo nel 2007 è stato tradotto in italiano dall’editore Epos di Palermo. Misson è un ugonotto francese, la sua famiglia ha dovuto andare in esilio quando Luigi XIV ha revocato l’editto di Nantes. Maximilien può restare sotto la protezione del duca di Ormond, in quanto è il precettore di suo figlio, conte di Arran, e in questa veste farà con lui il grand tour in Italia, rito obbligato per i rampolli della nobiltà. Maximilien è figlio di un pastore e lui stesso ha studiato teologia a Ginevra; da qui nasce il suo interesse per il culto delle reliquie nella pratica del cattolicesimo popolare e di riflesso il motivo che ci spinge a leggerlo dopo tanti anni. Il suo sguardo più che malevolo è stupefatto e ironico, quanto basta perché il libro sia vietato negli Stati del Papa; i doganieri lo sequestrano a Charles de Brosses quando giunge a Roma nell’autunno del 1739. Da Roma, Maximilien scrive l’11 aprile 1688: «Il più raro quadro di Roma si vede in San Silvestro al Campo

Marzio: è l’immagine di Gesù Cristo fatta, si dice, da Gesù Cristo stesso. Se volete delle reliquie, ve ne fornirò alcune delle più curiose. L’Arca dell’Alleanza la troverete a San Giovanni in Laterano, con il bastone di Mosè, la verga di Aronne e il prepuzio di Gesù Cristo. Una delle monete d’argento che ricevette Giuda, la lanterna del medesimo personaggio e la croce del santo buon ladrone sono nella chiesa di Santa Croce in Gerusalemme, con la coda dell’asino di Baalam e la spina di san Paolo». A San Giacomo «si vede la pietra sulla quale Gesù Cristo fu circonciso, con l’impronta che uno dei suoi talloni fece su questo marmo; e vi si mostra anche un’altra lastra di marmo che era stata destinata a farvi il sacrificio di Isacco». Sempre a Roma, Maximilien riesce a incontrare la regina Cristina di Svezia che aveva rinunciato al trono per abiurare la fede protestante e ricevere il battesimo e ne fa un perfido ritratto: «Ha oltre 60 anni, assai piccola, assai grassa e grossa. Ha il colorito, la voce e il viso virile, il naso grande, gli occhi

grandi e celesti: il sopracciglio biondo, un doppio mento disseminato di alcuni lunghi peli di barba, il labbro inferiore un po’ sporgente, i capelli di un castano chiaro lunghi quant’è larga una mano, incipriati e ritti senza pettinatura, così come nascono in testa; un’aria ridente e delle maniere assai obbliganti». Per un curioso di reliquie Napoli è la città ideale: «Si conserva a San Luigi di Palazzo una quantità piuttosto rispettabile di latte della Vergine e questo latte diventa liquido ad ogni festa della Madonna. In cattedrale il sangue di san Gennaro bolle tutte le volte che lo si avvicina alla teca nella quale è custodito il corpo del santo; ed il sangue di san Giovanni Battista che è a Santa Maria Donna Romita fa la stessa cosa mentre si dice la messa per la decollazione di quel santo». Non è da credere che il culto delle reliquie sia una prerogativa della religiosità del Sud d’Italia. Nella nordica Torino ancora oggi si venera la Sindone, che avrebbe avvolto il corpo di Gesù nella tomba: «Il Santo Sudario di Torino è la più impor-

tante reliquia, come potete giudicare dagli onori che gli si rendono. Questo Sudario, che dovrebbe essere unico al mondo, si è riprodotto o moltiplicato in almeno sette o otto luoghi. E non parlo di quelli che conosco». Li elenca e poi scrive: «Spetta a loro trovare il modo di accordarsi. Producono i loro titoli per bolle di papi. Il Sudario di Cadoin è stato autorizzato da quattordici bolle, quello di Torino ne ha solo quattro». Per un altro aspetto la lettura del Viaggio in Italia è istruttiva per confutare la tesi che la credulità sia un fenomeno tipico del nostro tempo. A Napoli, Maximilien visita la Certosa di San Martino e scrive: «L’appartamento del priore è degno di un principe; tra le altre cose vi si mostra un crocifisso di Michelangelo dipinto, si dice, secondo natura avendo a modello un contadino che il pittore crocifisse allo scopo. Ciò appare molto fantasioso, ma è una storia che qui danno per vera». E poi ci stupiamo se qualcuno sostiene che le piramidi d’Egitto sono una pista di atterraggio per astronavi aliene.

un concerto riparatore intitolato One love Manchester? (che non significa che uno, un tizio ama la città britannica, perché love non è verbo – sarebbe loves – , significa «Manchester, un solo e unico amore», un po’ come la canzone del Volo a Sanremo, Grande amore). Infatti nel nome di questo unico grande etc. sentimento, Liam sul palco ha poi definito il fratello Noel «un grande cxxxone», perché non era anche lui al concerto del volersi bene tutti. Per fortuna ci ha pensato l’ufficio stampa o chi per lui dei Coldplay a far giungere, due giorni dopo, parole di distensione: grazie Noel per le tue canzoni, domenica in spirito tu eri con noi sul palco e così via. Per ancora maggior fortuna, noi dobbiamo andare in stampa prima che Liam Gallagher possa rispondere ai Coldplay, la tastiera potrebbe rifiutarsi di scrivere altre x. Interessante dunque lo svolgersi delle cose: terroristi «cani sciolti» obbediscono all’invito dell’autoproclamato califfo al-Baghdadi e

colpiscono l’Occidente nei suoi riti e nei suoi miti, alla fine di un concerto della musica più consumistica del mondo. Ariana Grande infatti è statunitense (ovviamente di origini siciliane e abruzzesi), è diventata famosa recitando nelle sit-com televisive, ha inciso cover e da qualche anno canta e balla in fantasmagorici tour che tanto piacciono ai ragazzini, che così vengono distratti da ogni altra attività, compreso lo studio del Corano, fossero musulmani o convertiti all’Islam. Ma il capitalismo occidentale se la ride di tre terroristi (tra i quali uno di madre italiana, tanto per non farci mancare nulla), e se la ride anche di una ventina di ragazzini morti. Che poi, «occidentale»: diciamo il capitalismo, non quello obsoleto di Marx, che angheria i proletari e s’ingrassa col plusvalore, piuttosto il capitalismo dove il capitale è il padrone, dove i soldi si fanno coi soldi, dove niente e nessuno è più forte dei soldi. Così, questo capitalismo che è occidentale e orientale,

arabo e israeliano, bianco e nero, che non fa differenze nello scegliere i pochi al comando e i molti al macello, se la ride. Come molte altre volte, tira fuori dal cappello quella parolina di quattro lettere, love, stavolta ci lascia dentro l’altra di cinque, peace, perché si rivolge ai giovanissimi e non vuole confonderli. Dice «one love», per chiarezza, promette beneficenza per le vittime. Quindi dal ricavato del concerto – tutto esaurito – si toglieranno le cosiddette spese vive, non i cachet ma certo i rimborsi dei cantanti (va bene la bontà, però anche rimetterci no), probabilmente quelle spesucce per strumenti e diritti, e si farà tanta beneficenza: ai famigliari delle vittime, e alle major discografiche, che hanno avuto 195 minuti gratuiti di pubblicità in mondovisione. Cari terroristi, in linea di massima morti, lo vedete che vi fate del male? Non solo perché morite, non solo perché i popoli colpiti «si stringon a coorte». Perché il capitale è come il banco, vince sempre.

che anche il Ciclista ormai ha assunto la grinta accanita dell’Automobilista e sfreccia ingobbito (e impunito) sui marciapiedi metropolitani sentendosi in diritto (e forse in dovere), in quanto non motorizzato e deprivato di sufficienti piste ciclabili, di travolgere chiunque capiti sulla sua strada (o marciapiede). Insomma, una vita impossibile, vissuta perennemente in doppia e tripla fila o zigzagando pericolosamente tra cacche di cani e pirati su due, su tre o su quattro ruote. Il «nuovo mondo» è quello vecchio molto molto peggiorato, a giudicare dalla qualità dell’aria che respiriamo. Forse è anche peggio l’aria che respiriamo metaforicamente nelle città. Paura e braccia alzate per dichiararci innocenti dopo le stragi. Le fotografie della folla con le mani alzate a Notre-Dame e al London Bridge fanno impressione: siccome siamo tutti indiziati come potenziali terroristi, dobbiamo dimostrare di avere le mani sgombre, pulite. Tra

poco qualcuno ci chiederà di girare per le strade con le braccia alzate in modo da non destare sospetti: andare a fare la spesa con le braccia alzate, entrare in un museo con le braccia al cielo, semplicemente passeggiare tenendo ben sollevate le mani, cosicché nessuno potrà mai accusarci di voler minacciare la pace pubblica… Tira una brutta aria. La straordinaria visionarietà pedonale di Flaiano non avrebbe mai potuto immaginare il Tir di Nizza o il camion di Berlino, determinati a sterminare il più possibile. La realtà supera sempre la fantasia, anche la fantasia letteraria più sfrenata. Siamo circondati da segni lugubri, funerei. Eppure gli editorialisti e i filosofi invitano a non avere paura: dimostrare coraggio sarebbe il trucco per vincere il terrorismo. «Il coraggio, uno non se lo può dare», fece dire Manzoni a don Abbondio, e mai dichiarazione fu più condivisibile. Io e Lei, l’ultimo libro del grande genetista Edoardo Boncinelli (ultimo 6 della

puntata), tratta anche del coraggio che uno non può darsi: è un libro sul rapporto con la morte. Dice Boncinelli che dai cinque anni in poi, cioè da quando per la prima volta ha immaginato la propria morte dal punto di vista di chi rimaneva in vita (i genitori eccetera), non ha più sentito l’angoscia di morire. E aggiunge: «Conosco persone che invece pensano continuamente alla morte e ne scorgono i segni dappertutto. Io no. So che c’è, e che dovrà finire per cogliere qualcosa di me, ma non ci penso mai. Nella mia mente la morte non c’è, mentre c’è tanta, troppa vita». Bello no? Incoraggiante, tanto più se lo dice uno scienziato. Il quale forse condividerebbe pacificamente il pensiero di Flaiano: «Aumentano gli anni e diminuiscono le possibilità di diventare immortali». Oppure questa battuta di dialogo surreale: «Diavolo, vado bene di qui per l’inferno?». «Sì, sempre storto» (6 confermato). Non senso unico.

Postille filosofiche di Maria Bettetini Love, il capitale vince sempre Non tutto il male viene per nuocere, mal comune mezzo gaudio, ogni lasciata è persa, si saranno detti i musicisti inglesi e americani il 23 maggio, quando circolò la voce che dieci giorni dopo sarebbe stato organizzato un grande show a favore dei famigliari delle vittime della strage di Manchester. I terroristi uccidono bambini e ragazzini alla fine del concerto di Ariana Grande, e mentre il mondo in ansia si domanda dove porterà questa (nuova?) ondata di violenza sempre più acuminata, sempre più crudele, qualcuno pensa che l’occasione sia succulenta. Ariana, in fondo, la ragazza-bambina dai capelli lunghi come Raperonzolo, dagli occhi grandi come Bambi, in fondo è una scampata. Non sarà dunque offensivo cantare e ballare a pochi giorni dalla strage, perché sarà un modo per festeggiare i salvati e per dimostrare che non abbiamo paura. Chissà che paura, i terroristi, a vedere che non abbiamo paura. Così ecco invitati o autoinvitati

tutti i grandi e famosi tra gli artisti amati dai ragazzini, tutti i pop, i rock, i britrock, i garage etc. più popolari. In effetti, leggendo la lista degli invitati, non manca nessuno: Justin Bibier, presente, Robbie Williams, presente, e l’altro Williams, Pharrell (ma non sono parenti, direi), pure, ma sì quello di Happy di due anni fa. E poi i Take That, i Coldplay, e quelle distinte anime buone di Miley Cyrus e Liam Gallagher. Liam, tra l’altro, fortunatissimo: la strage è capitata a una settimana dall’uscita del suo primo album da solista, dopo tre anni di silenzio. Solo un anno fa aveva detto, anzi scritto in un tweet: «Disco solista? Ma, cxxx, siete in trip? Teste di cxxx, io non sono uno sxxx», con riferimento al suo precedente tweet «la musica nel Regno Unito è stata rapita da grandissimi sxxx, sono felice di esserne uscito». Dopo un anno scrive: «è ufficiale, sono uno sxxx», annunciando così il suo ritorno sulle scene. Quale migliore occasione di una strage di bambini e di

Voti d’aria di Paolo Di Stefano Non sensi unici Voti d’aria? E diamoli, questi voti! Per esempio, prendete la minuscola casa editrice milanese Henry Beyle (il nome è un omaggio a Stendhal): piccoli libri preziosissimi, a tiratura limitata, stampati con un antico procedimento di composizione Monotype su carta di Fabriano. Poche pagine, impresse con una cura artigianale, maniacale. Titoli rari, molto scelti. Ultimi nati: Manifesto del pedone di Ennio Flaiano, Troppi fiori! di Jules Verne, Il libro fra le macerie di Giovanni Comisso, Poltroni numerati di Achille Campanile. Dunque: 6 – all’editore Vincenzo Campo, erede della tradizione di Scheiwiller. Diventerà un 6 pieno quando affiancherà ai classici del Novecento (e non solo) qualche sorprendente autore d’oggi. In attesa, apriamo l’ironico appello di Flaiano, scritto nell’estate 1971, contro la progressiva prevaricazione dell’Automobilista. Flaiano (6 alla satira sociale visionaria) prevedeva l’istituzione di tiratori scelti muniti di potenti

cerbottane che colpissero i conducenti colpevoli di elevata velocità, di eccessivo rumore, di disprezzo dei segnali stradali. Immaginava bombette al plastico invisibili che esplodessero sotto le automobili parcheggiate abusivamente. Si augurava che, attraverso questi innocenti accorgimenti pseudoguerriglieri, si verificasse la definitiva vittoria del Pedone, insieme con la sconfitta catastrofica delle «utilitarie». Anzi, Flaiano scriveva che «un nuovo mondo sorgerà quando la parola “utilitario” verrà dichiarata turpe e sconcia». Niente di tutto ciò si è avverato, nessun nuovo mondo, come ben sappiamo: il manifesto di Flaiano è trascorso del tutto inascoltato. Non ci vuol molto per rendersene conto: basta trovarsi in una qualsiasi delle tangenziali milanesi in un qualsiasi giorno dell’anno e in una qualsiasi ora del giorno. O basta affrontare il traffico di Lugano in certe fasce orarie, tra sensi (e non sensi) unici. A proposito di non sensi, l’aggravante è


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 12 giugno 2017 • N. 24

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Idee e acquisti per la settimana

shopping I primi Nostrani sono serviti Attualità Dai ravioli al riso, dalla polenta ai sughi, ecco le irresistibili proposte

per piatti semplici e genuini 100 per cento locali

*Azione 20%

Passata di pomodoro Bio 350 g Fr. 5.60

sulla Passata di pomodoro Bio dal 13 al 19 giugno *solo filiali con degustazione

I prodotti Nostrani di Migros Ticino stuzzicano davvero l’appetito a qualsiasi portata e anche per i primi la scelta non lascia scontento nessuno. A cominciare dai Raviöö, le specialità del Pastificio L’Oste di Quartino, disponibili refrigerati in oltre dieci variazioni di ripieno, dal brasato al formaggio d’alpe, dalle erbette ai quatto formaggi, dalla zucca alla verdure grigliate fino al zincarlin e alla caprese. Il titolare dell’azienda, Davide Mitolo, seleziona con passione le materie prime provenienti dai produttori locali e cura personalmente ogni dettaglio per garantire la massima qualità della sua pasta ripiena. A Migros Ticino non mancano la Passata Bio e il Sugo al basilico per valorizzare al meglio i vostri piatti a base di ravioli o pasta. Entrambi i prodotti sono realizzati artigianalmente con l’utilizzo di preziosi pomodori ticinesi seguendo antiche ricette tradizionali. Altri piatti ticinesi imprescindibili sono ovviamente il risotto e la polenta. Il Riso Ticinese è un riso della varietà Loto, a chicco medio, ed è coltivato in «asciutta» sul Delta della Maggia e sul Piano di Magadino. Una volta raccolto, viene raffinato e imballato da la Riseria Taverne SA, azienda del gruppo Migros. Gustoso e consistente, è adatto non solo per risotti, ma anche per insalate e zuppe. Prodotto della nostra tradizione per antonomasia, la Farina per polenta integrale «Rosso del Ticino» proviene da una vecchia varietà di mais coltivato anch’esso sul Piano di Magadino secondo le direttive della produzione integrata. Cernita, macinazione e confezionamento sono effettuate dall’azienda Paolo Bassetti.

I Raviöö diversi gusti, 250 g da Fr. 6.80

Per altri primi piatti all’insegna della regionalità:

Flavia Leuenberger

Nostrani del Ticino in degustazione

Riso Ticinese 1 kg Fr. 5.40

Farina per polenta rossa 500 g Fr. 5.70

Salsa di pomodori e basilico 280 g Fr. 4.30

Fino al 17 settembre 2017 ogni giovedì, venerdì e sabato vi aspettano golose degustazioni di prodotti Nostrani del Ticino per tutti i gusti, nelle filiali di Agno, Locarno, Serfontana, Grancia, S. Antonino e Lugano. Non perdetevi questo appuntamento con la bontà!


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Idee e acquisti per la settimana

Lacc frésch ticinés bio

Novità Il nuovo latte biologico prodotto dalla Masseria Ramello di Cadenazzo.

Il titolare Adrian Feitknecht ci parla della sua dinamica azienda agricola

Giovanni Barberis

Adrian Feitknecht «Con me la gestione della Masseria Ramello è giunta alla terza generazione. Sono diplomato alla Scuola universitaria professionale di agraria di Zollikofen in qualità di ingegnere agronomo. Nel 2013, affiancando mio padre, sono entrato a far parte della conduzione dell’azienda. Nel 2016 ho rilevato la Masseria Ramello e dal 1° gennaio di quest’anno l’azienda si è convertita all’agricoltura biologica».

L’azienda «La nostra Masseria Ramello si trova sul Piano di Magadino, in territorio di Cadenazzo. La casa colonica è stata costruita alla fine del Settecento. Dal 1951 l’azienda agricola è gestita dalla famiglia Feitknecht. Oggi l’azienda occupa 5 collaboratori fissi, possiede 85 mucche da latte e 110 scrofe. Inoltre, su una superficie di 90 ettari, vengono coltivate diverse tipologie di cereali da foraggio, mais da seme e patate».

Le mucche «Le nostre 85 mucche sono allevate nel rispetto della specie ed hanno la possibilità di muoversi liberamente sia all’interno della stalla sia sui verdi pascoli della Masseria. Gli animali vengono munti due volte al giorno, alle cinque del mattino e nel tardo pomeriggio. La produzione giornaliera si situa sui 1500 litri di latte. Il latte viene consegnato entro poche ore dalla mungitura alla LATI di S. Antonino che subito lo lavora e lo confeziona».

Migros Bio «Conversione» «Quando un agricoltore decide di passare dall’agricoltura convenzionale a quella biologica, l’azienda attraversa un periodo di conversione che dura due anni. L’azienda deve rispettare le severe direttive bio dal primo giorno di conversione».

L’alimentazione «Il foraggio degli animali è costituito da fieno, erba e mais che sono prodotti totalmente in azienda senza l’impiego di pesticidi sintetici e concimi minerali. Inoltre ricevono al massimo il dieci percento di farine di cereali e leguminose».

Lacc frésch ticinés bio Drink 2,5% grasso 1 l Fr. 1.90

Il latte fresco ticinese biologico Il «Lacc frésch ticinés bio» della Masseria Ramello è attualmente disponibile nei frigo di tutti i supermercati Migros nel pratico cartone richiudibile da 1 litro nella variante drink, ossia con il 2,5% di grasso del latte. Prossimamente nell’assortimento giungeranno pure la confezione da mezzo litro drink e il latte intero con il 3.8% di grasso, in cartoni da 1 e 0,5 litri. Il latte bio va conservato in frigorifero e consumato al più presto una volta aperto.


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Idee e acquisti per la settimana

La natura in tavola

Regionalità Le uova Nostrane biologiche sono prodotte nel rispetto degli animali e dell’ambiente

Däwis Pulga

I prodotti ottenuti in modo rispettoso dell’ambiente e delle risorse naturali sono particolarmente apprezzati dai consumatori. A maggior ragione se questi sono di provenienza locale, come nel caso delle Uova Nostrane dell’azienda a conduzione familiare Gigi’s Ranch di Bironico. Qui vengono allevate 1500 galline ovaiole per la produzione di uova biologiche da consumo. L’alimentazione degli animali è costituita da specifici mangimi certificati bio, ossia derivati da cereali coltivati senza l’impiego di fitosanitari e concimi artificiali. Inoltre si è rinunciato a mangime a base di soia in favore dei semi di girasole. Le galline dispongono di un ampio pollaio e possono uscire nel giardino d’inverno e sul pascolo esterno ogni volta che lo desiderano. Le uova biologiche sono in vendita nei maggiori supermercati di Migros Ticino. Uova Nostrane biologiche 6 pezzi Fr. 4.65 invece di 5.20, Azione dal 13 al 19 giugno

Il trionfo dei semi

Attualità Grazie ai semi misti che contiene il Pan dal Pepp

Flavia Leuenberger

conquista anche i palati più difficili

Il Pan dal Pepp ingolosisce tutti i commensali grazie al suo sapore vigoroso. È un pane che contiene una vasta gamma di deliziosi semi – zucca, sesamo, lino e girasole – i quali vengono delicatamente miscelati alla segale rotta. I semi sono dapprima marinati affinché possano assorbire meglio l’acqua e acquisire la giusta tenerezza. Successivamente vengono impastati con l’aggiunta di farina, sale, lievito e una melassa di sciroppo di caramello, la quale ne incrementa il caratteristico aroma durante la cottura e conferisce al prodotto finale il tipico colore marrone scuro. I cereali utilizzati sono coltivati in Svizzera nel rispetto dell’ambiente, senza insetticidi, regolatori della crescita o fungicidi, secondo le severe direttive di IP-Suisse. Grazie al suo gusto rusticale conferito dai semi il Pan dal Pepp risulta particolarmente apprezzato quale accompagnamento ad affettati e formaggi misti oppure pietanze al grill. Ma è ottimo anche leggermente tostato per la preparazione di crostini ai fegatini o bruschette ai pomodori per degli apertivi da veri re. Una curiosità: si ritiene che il nome Pepp un tempo fosse molto diffuso tra i panettieri che operavano nei vari panifici ticinesi. Da qui l’idea di dedicare un pane a questo nome. Azione 20% Pan dal Pepp TerraSuisse 400 g Fr. 2.30 invece di 2.90, dal 13 al 19 giugno

Vincere con la StraLugano

La vincitrice Patrizia Dalcol riceve il premio da Stefano Scricciolo, responsabile negozi SportXX per Migros Ticino (a sin.) e Igor Biolzi, responsabile del punto vendita di S. Antonino. (Giovanni Barberis)

La dodicesima edizione della StraLugano, svoltasi gli scorsi 20 e 21 maggio, ha fatto registrare una grande affluenza di entusiasti partecipanti. Sono stati infatti oltre cinquemila i runner grandi e piccoli che si sono lanciati sulle strade cittadine nell’ambito di questa manifestazione sponsorizzata da ben dieci anni dalla Migros. Come ormai consuetudine, durante l’evento il negozio specializ-

zato SportXX Migros ha organizzato un grande concorso che metteva in palio un ambitissimo premio unico: un buono acquisto SportXX del valore di 1000 franchi da scontare in equipaggiamento sportivo. A estrazione avvenuta, la fortuna ha baciato la signora Patrizia Dalcol di Massagno, la quale negli scorsi giorni ha potuto ritirare il premio presso il negozio SportXX di S. Antonino.


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Idee e acquisti per la settimana

M-Classic

Una scatola d’energia verde

Il gusto nocciolato dei fagioli edamame è perfetto in insalata.

Gli edamame sono fagioli di soia, che dopo una breve lessatura si possono sgranocchaire direttamente dal bacello. La loro caratteristica è che vengono raccolti ancora acerbi. A basso contenuto di calorie, questi fagiolini di color verde pallido sono un concentrato di proteine e fibre alimentari. Finora erano disponibili solo freschi o surgelati, mentre adesso ci sono anche in scatola con l’etichetta M-Classic, di qualità biologica e già pelati. Croccanti al morso, si possono mangiare sia caldi che freddi.

Parte di

M-Classic Bio Fagioli edamame 140 g Fr. 1.90 Nelle maggiori filiali

Gli agricoltori Bio lavorano in armonia con la natura. Trattano con cura gli animali e le piante, il suolo e l’acqua.

Nel suo impegno a favore della sostenibilità, la Migros è da generazioni in anticipo sui tempi.


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Idee e acquisti per la settimana

Migros Mania

Migros attiva nella VR

Virtual reality

Menti creative

«Siamo solo agli inizi»

La realtà virtuale ha conquistato diversi ambiti e settori della vita. Manfred Zabarauskas di Google ci parla del grande potenziale della tecnologia

La campagna Migros Mania permette di progettare una Migros lasciando campo libero all’immaginazione. Per realizzarla non ci sono limiti alla fantasia. Un concorso designerà gli architetti più creativi

Testo Ralph Hofbauer; Foto Google Inc.

Testo Ralph Hofbauer; Foto Roger Hofstetter; Illustrazioni Mira Gisler

Il 5° jolly in evidenza

Nell’ambito della campagna Migros Mania, Migros è il primo dettagliante svizzero ad avvalersi della realtà virtuale nella sua promozione. Con la nuova app Migros Play (che può essere scaricata gratuitamente da Apple App Store o da Google Play Store) Migros e suoi prodotti possono essere vissuti in una nuova dimensione. A complemento dell’app Migros Play, gli occhiali VR Migros permettono di vivere esperienze memorabili nello spazio virtuale. L’occhiale in cartone arancione è realizzato sulla base del modello Google Cardboard, il cui principio di utilizzo è estremamente facile: assemblare, inserire lo smartphone e gli occhiali VR sono pronti.

Cassa con sedia

Gli occhiali VR Migros vengono distribuiti ai clienti nel corso della campagna Migros Mania. Ma gli occhiali possono essere utilizzati anche in seguito. Prossimamente Migros promuoverà nuovi progetti VR. Vale quindi la pena conservare con cura gli occhiali VR.

Mercoledì 14 giugno è disponibile una mini cassa con sedia per la tua Migros. Per poter giocare con il proprio negozio Migros divertendosi ancor di più, mercoledì 14 giugno è disponibile una mini cassa con sedia e due mattoncini (ogni 60 franchi di spesa, massimo 3 pezzi).

Concorso

La creatività viene premiata

Manfred Zabarauskas è Product Manager per Google Cardboard a Mountain View, California

Per partecipare al concorso Migros è richiesta creatività: chi costruisce la più originale filiale Migros? I partecipanti possono caricare le foto della loro Migros su www. migrosmania.ch. La raccolta di tutte le immagini viene pubblicata e le foto possono essere valutate dalla community. Gli scatti che ottengono almeno 30 cuori entrano nella selezione dei finalisti. Ogni settimana tra questi finalisti vengono estratti tre vincitori, ognuno dei quali riceve un premio di 200.– franchi.

Come cambierà la nostra vita la realtà virtuale (VR)?

Ne siamo convinti: la VR cambierà in meglio la nostra vita. La VR può portarci ovunque, offrendoci l’opportunità di esplorare nuovi mondi. Per esempio gli studenti possono scoprire l’intero globo direttamente dall’aula di scuola. I media possono portare il loro pubblico al centro degli eventi in ogni angolo del pianeta. E gli artisti hanno l’opportunità di creare opere d’arte in un modo completamente inedito.

La selezione finale prevede come premio una carta regalo del valore di 1000.– franchi estratta tra tutti i visitatori iscritti alla pagina internet della Migros Mania. Partecipa ora su www.migrosmania.ch

Lena e Malik ce l’hanno fatta. Finalmente la loro Migros è finita. Nelle ultime settimane i due bambini, di 6 e 8 anni, hanno completato la collezione Migros Mania e hanno così costruito la loro filiale in miniatura. Tutti gli scaffali sono stati sistemati, i frigoriferi sono stati riempiti e anche le casse sono pronte all’arrivo dei clienti. Mentre Lena e Malik si sono rigorosamente attenuti alle istruzioni di montaggio, i partecipanti al concorso Migros Mania possono lasciar correre liberamente la loro creatività. Dal momento che i mattoncini della Migros Mania sono compatibili con i Lego, la

mercio al dettaglio?

filiale può essere ampliata con qualsiasi altro elemento Lego di cui si dispone. Tutte le foto delle fantasiose filiali Migros caricate sul sito internet migrosmania.ch partecipano al concorso. Per gli architetti più creativi premi per un valore complessivo di oltre 5000 franchi. Le prime immagini pubblicate sul sito mostrano che la Migros Mania sollecita la fantasia: Christian (8) di Zurigo ha per esempio abbinato la sua Migros a una fortezza Lego, mentre Lina (9) di Winterthur davanti alla sua filiale ha costruito un grande parco divertimenti.

Quali sono le altre possibili aree di applicazione?

Con la VR è possibile fare esperienza di luoghi molto lontani o addirittura che non esistono nel mondo reale. Ciò apre un’incalcolabile quantità di opportunità. La nostra nuova app Google Earth VR (g.co/earthvr) permette per esempio di visitare luoghi specifici nel mondo intero e scoprire così virtualmente nuove regioni e culture. Possiamo inoltre sperimentare l’intrattenimento VR a 360 gradi. In futuro intendiamo intensificare la frequenza dello scambio di idee sulla VR con altre persone. Quale potenziale offre la VR al com-

Evento al centro Glatt

Esclusivi spettacoli dal vivo

Roadshow con borsa di scambio

Fino all‘8 luglio al centro Glatt viene costruita una grande M di Migros: alta 4,5 metri è realizzata con i mattoncini della Migros Mania. Con l’app Migros Play le fasi della realizzazione possono essere seguite dall’inizio alla fine in velocità accelerata.

Spettacoli dal vivo fanno da contorno alla costruzione della M presso il centro Glatt: tra gli altri i clown Pepe & Tommy (14.06), il duo di cabaret Interrobang (28.06) e il cantante dialettale Linard Bardill (05.07).

Fino all‘8 luglio in 21 filiali Migros si svolgono i roadshow della Migros Mania (dal 5 all’8 luglio a S. Antonino). La borsa di scambio permette il baratto delle ambite componenti della collezione.

Il commercio al dettaglio può avvalersi delle opportunità offerte dalla VR in modi molto suggestivi. In futuro potremo per esempio provare i vestiti in un camerino virtuale prima di decide cosa acquistare. Anche in altri settori la tecnologia VR potrà essere di supporto ai clienti nella scelta in vista di un acquisto, come nel ramo immobiliare. Con la VR è possibile visitare virtualmente appartamenti e case prima ancora che siano stati costruiti. Con la Migros Mania è previsto l’utilizzo degli occhiali VR Google Cardboard. Per quale motivo Google ha sviluppato un modello a basso costo e in cartone, anziché un dispositivo ad alta tecnologia come altri operatori?

Nel 2014 abbiamo lanciato sul mercato il modello Google Cardboard (g.co/ cardboard) con l’obiettivo di rendere accessibile la realtà virtuale al maggior numero possibile di persone. Con i nostri occhiali in cartone è possibile sperimentare la tecnologia VR con una spesa minima e con quasi tutti gli smartphone. Oggi vengono già utilizzati oltre 10

Borsa di scambio on-line Ti mancano ancora alcuni elementi della collezione Migros Mania? Dal 4 luglio al 31 agosto puoi utilizzare la borsa di scambio on-line per completare la tua Migros. www.migrosmania.ch

milioni di Google Cardboards.

Google lavora anche a dispositivi di qualità superiore?

Negli Stati Uniti abbiamo recentemente dato vita con Daydream (g.co/daydream) a una nuova piattaforma di VR di alta qualità accessibile da dispositivi mobili. Con uno smartphone abilitato Daydream e un apposito visore è possibile immergersi in avventure VR ancor più emozionanti. Appositamente per questa nuova piattaforma abbiamo realizzato il modello di visore Headset Daydream View. Dove vede opportunità di miglioramento per l’hardware?

L’hardware deve essere migliorato in modo significativo affinché in futuro la VR possa rendere possibile un numero ancora più grande di esperienze. I visori sono diventati più efficienti e confortevoli, oltre a essere disponibili in differenti fasce di prezzo. Deve inoltre essere ottimizzata la tecnologia di base: display, ottica, tracking, input e sensori. Siamo solo all’inizio di un lungo sviluppo. Crediamo che il potenziale della VR sia molto grande, ma che c’è ancora molto da fare.


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Idee e acquisti per la settimana

Migros Mania

Migros attiva nella VR

Virtual reality

Menti creative

«Siamo solo agli inizi»

La realtà virtuale ha conquistato diversi ambiti e settori della vita. Manfred Zabarauskas di Google ci parla del grande potenziale della tecnologia

La campagna Migros Mania permette di progettare una Migros lasciando campo libero all’immaginazione. Per realizzarla non ci sono limiti alla fantasia. Un concorso designerà gli architetti più creativi

Testo Ralph Hofbauer; Foto Google Inc.

Testo Ralph Hofbauer; Foto Roger Hofstetter; Illustrazioni Mira Gisler

Il 5° jolly in evidenza

Nell’ambito della campagna Migros Mania, Migros è il primo dettagliante svizzero ad avvalersi della realtà virtuale nella sua promozione. Con la nuova app Migros Play (che può essere scaricata gratuitamente da Apple App Store o da Google Play Store) Migros e suoi prodotti possono essere vissuti in una nuova dimensione. A complemento dell’app Migros Play, gli occhiali VR Migros permettono di vivere esperienze memorabili nello spazio virtuale. L’occhiale in cartone arancione è realizzato sulla base del modello Google Cardboard, il cui principio di utilizzo è estremamente facile: assemblare, inserire lo smartphone e gli occhiali VR sono pronti.

Cassa con sedia

Gli occhiali VR Migros vengono distribuiti ai clienti nel corso della campagna Migros Mania. Ma gli occhiali possono essere utilizzati anche in seguito. Prossimamente Migros promuoverà nuovi progetti VR. Vale quindi la pena conservare con cura gli occhiali VR.

Mercoledì 14 giugno è disponibile una mini cassa con sedia per la tua Migros. Per poter giocare con il proprio negozio Migros divertendosi ancor di più, mercoledì 14 giugno è disponibile una mini cassa con sedia e due mattoncini (ogni 60 franchi di spesa, massimo 3 pezzi).

Concorso

La creatività viene premiata

Manfred Zabarauskas è Product Manager per Google Cardboard a Mountain View, California

Per partecipare al concorso Migros è richiesta creatività: chi costruisce la più originale filiale Migros? I partecipanti possono caricare le foto della loro Migros su www. migrosmania.ch. La raccolta di tutte le immagini viene pubblicata e le foto possono essere valutate dalla community. Gli scatti che ottengono almeno 30 cuori entrano nella selezione dei finalisti. Ogni settimana tra questi finalisti vengono estratti tre vincitori, ognuno dei quali riceve un premio di 200.– franchi.

Come cambierà la nostra vita la realtà virtuale (VR)?

Ne siamo convinti: la VR cambierà in meglio la nostra vita. La VR può portarci ovunque, offrendoci l’opportunità di esplorare nuovi mondi. Per esempio gli studenti possono scoprire l’intero globo direttamente dall’aula di scuola. I media possono portare il loro pubblico al centro degli eventi in ogni angolo del pianeta. E gli artisti hanno l’opportunità di creare opere d’arte in un modo completamente inedito.

La selezione finale prevede come premio una carta regalo del valore di 1000.– franchi estratta tra tutti i visitatori iscritti alla pagina internet della Migros Mania. Partecipa ora su www.migrosmania.ch

Lena e Malik ce l’hanno fatta. Finalmente la loro Migros è finita. Nelle ultime settimane i due bambini, di 6 e 8 anni, hanno completato la collezione Migros Mania e hanno così costruito la loro filiale in miniatura. Tutti gli scaffali sono stati sistemati, i frigoriferi sono stati riempiti e anche le casse sono pronte all’arrivo dei clienti. Mentre Lena e Malik si sono rigorosamente attenuti alle istruzioni di montaggio, i partecipanti al concorso Migros Mania possono lasciar correre liberamente la loro creatività. Dal momento che i mattoncini della Migros Mania sono compatibili con i Lego, la

mercio al dettaglio?

filiale può essere ampliata con qualsiasi altro elemento Lego di cui si dispone. Tutte le foto delle fantasiose filiali Migros caricate sul sito internet migrosmania.ch partecipano al concorso. Per gli architetti più creativi premi per un valore complessivo di oltre 5000 franchi. Le prime immagini pubblicate sul sito mostrano che la Migros Mania sollecita la fantasia: Christian (8) di Zurigo ha per esempio abbinato la sua Migros a una fortezza Lego, mentre Lina (9) di Winterthur davanti alla sua filiale ha costruito un grande parco divertimenti.

Quali sono le altre possibili aree di applicazione?

Con la VR è possibile fare esperienza di luoghi molto lontani o addirittura che non esistono nel mondo reale. Ciò apre un’incalcolabile quantità di opportunità. La nostra nuova app Google Earth VR (g.co/earthvr) permette per esempio di visitare luoghi specifici nel mondo intero e scoprire così virtualmente nuove regioni e culture. Possiamo inoltre sperimentare l’intrattenimento VR a 360 gradi. In futuro intendiamo intensificare la frequenza dello scambio di idee sulla VR con altre persone. Quale potenziale offre la VR al com-

Evento al centro Glatt

Esclusivi spettacoli dal vivo

Roadshow con borsa di scambio

Fino all‘8 luglio al centro Glatt viene costruita una grande M di Migros: alta 4,5 metri è realizzata con i mattoncini della Migros Mania. Con l’app Migros Play le fasi della realizzazione possono essere seguite dall’inizio alla fine in velocità accelerata.

Spettacoli dal vivo fanno da contorno alla costruzione della M presso il centro Glatt: tra gli altri i clown Pepe & Tommy (14.06), il duo di cabaret Interrobang (28.06) e il cantante dialettale Linard Bardill (05.07).

Fino all‘8 luglio in 21 filiali Migros si svolgono i roadshow della Migros Mania (dal 5 all’8 luglio a S. Antonino). La borsa di scambio permette il baratto delle ambite componenti della collezione.

Il commercio al dettaglio può avvalersi delle opportunità offerte dalla VR in modi molto suggestivi. In futuro potremo per esempio provare i vestiti in un camerino virtuale prima di decide cosa acquistare. Anche in altri settori la tecnologia VR potrà essere di supporto ai clienti nella scelta in vista di un acquisto, come nel ramo immobiliare. Con la VR è possibile visitare virtualmente appartamenti e case prima ancora che siano stati costruiti. Con la Migros Mania è previsto l’utilizzo degli occhiali VR Google Cardboard. Per quale motivo Google ha sviluppato un modello a basso costo e in cartone, anziché un dispositivo ad alta tecnologia come altri operatori?

Nel 2014 abbiamo lanciato sul mercato il modello Google Cardboard (g.co/ cardboard) con l’obiettivo di rendere accessibile la realtà virtuale al maggior numero possibile di persone. Con i nostri occhiali in cartone è possibile sperimentare la tecnologia VR con una spesa minima e con quasi tutti gli smartphone. Oggi vengono già utilizzati oltre 10

Borsa di scambio on-line Ti mancano ancora alcuni elementi della collezione Migros Mania? Dal 4 luglio al 31 agosto puoi utilizzare la borsa di scambio on-line per completare la tua Migros. www.migrosmania.ch

milioni di Google Cardboards.

Google lavora anche a dispositivi di qualità superiore?

Negli Stati Uniti abbiamo recentemente dato vita con Daydream (g.co/daydream) a una nuova piattaforma di VR di alta qualità accessibile da dispositivi mobili. Con uno smartphone abilitato Daydream e un apposito visore è possibile immergersi in avventure VR ancor più emozionanti. Appositamente per questa nuova piattaforma abbiamo realizzato il modello di visore Headset Daydream View. Dove vede opportunità di miglioramento per l’hardware?

L’hardware deve essere migliorato in modo significativo affinché in futuro la VR possa rendere possibile un numero ancora più grande di esperienze. I visori sono diventati più efficienti e confortevoli, oltre a essere disponibili in differenti fasce di prezzo. Deve inoltre essere ottimizzata la tecnologia di base: display, ottica, tracking, input e sensori. Siamo solo all’inizio di un lungo sviluppo. Crediamo che il potenziale della VR sia molto grande, ma che c’è ancora molto da fare.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 12 giugno 2017 • N. 24

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Idee e acquisti per la settimana

Farmer

Energia a lungo termine La famiglia Farmer si allarga: due birchermüesli, un müesli ai grani originali e un’edizione limitata garantiscono la variazione sul tavolo della prima colazione

Migros Bio Farmer Müesli ai grani originali 500 g Fr. 5.90

Miscela rustica di granaglie

Antiche varietà di cereali ritornano sul tavolo della colazione grazie al müesli ai grani originali. Una gioia per i muscoli, perché emmer, farro e kamut forniscono più proteine di qualsiasi altro cereale. Suggerimento

Mischiato a yogurt, quark o succo di frutta e arricchito di frutta o bacche sminuzzate, il müesli diventa un pasto completo.

Farmer Birchermüesli Original 800 g Fr. 4.80

Un classico molto amato

Con il müesli cui ha dato il nome, nel 1900 l’argoviese Max Oskar Bircher-Brenner ha inventato un pasto che nel frattempo è diventato celebre in tutto il mondo. Questo birchermüesli, commercializzato finora con il nome Reddy, completa l’assortimento Farmer. Oltre a diversi fiocchi di cereali, contiene le tradizionali scaglie di mele e noci. Gusto, qualità e prezzo restano invariati.

Farmer Birchermüesli Fit 700 g Fr. 4.80

Senza aggiunta di zucchero

Come il Birchermüesli Original, anche il Birchermüesli Fit sostituisce l’analogo prodotto Reddy con il nuovo imballaggio targato Farmer. Questo müesli contiene pregiati germi di grano ed è quindi un fornitore naturale d’energia. E non a scapito del gusto: uva sultanina, nocciole e fiocchi di avena, orzo e soia assicurano una salutare varietà nella ciotola di müesli.

Farmer Joghurt Limited Edition Mango-Lampone-Acerola 225 g Fr. 2.– Nelle maggiori filiali

Sapore dal tocco esotico

Il müesli croccante si combina bene con lo yogurt. Nella votazione online, gli utenti di Migipedia si sono ritrovati d’accordo sul fatto che mango, lampone e acerola formano un trio imbattibile, capace di infondere una nota d’esotismo alla merenda. Cos’è l’acerola? È una ciliegia che cresce in America latina, contenente tanta vitamina C quanta nessun altro frutto. Questo müesli in edizione limitata c’è anche in confezione da 500 grammi.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 12 giugno 2017 • N. 24

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Idee e acquisti per la settimana

LeChef

Aromi sopraffini Le miscele di erbe aromatiche senza additivi di LeChef donano ai cibi una raffinata nota speziata. Miscele con la cipolla e l’aneto si abbinano perfettamente al pesce, mentre quelle con cipolla e prezzemolo danno all’insalata quel certo non so che. Il pesce alla griglia con contorno di lattuga è un piatto facile e veloce da preparare.

LeChef Pesce 53 g* Fr. 3.50

Come grigliare il pesce

Cospargere con un po’ d’olio i filetti di salmone, tonno o pesce persico e poi speziateli. Arrostite a fuoco medio fin quando il pesce non resta più attaccato alla griglia. Se il pesce viene girato sull’altro lato troppo presto e troppo spesso si spezza.

LeChef Bouquet per insalata 42 g* Fr. 4.90 *Nelle maggiori filiali

M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche le miscele di erbe aromatiche LeChef.


Sale

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Biancheria in spugna CLEO, 5 pezzi

24.90 invece 49.80

Offerte valide dal 6.6 al 2.7.2017, fino a esaurimento dello stock

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3

Set di stoviglie RITMO, 8 80 pezzi

1124.–

Cavallo a dondolo ELLIIN C

69. 6

95

invece 249.–

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5

Divano a 2 posti VOSS

399.– invece 799.–

6

Parure da letto in tessuto renforcé LUPITA

19.90

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4.10 invece di 5.90 Filetti di tonno pesca, Oceano Pacifico e Oceano Indiano, per 100 g

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4.40 invece di 5.95 Bresaola Casa Walser Italia, affettata in vaschetta, per 100 g

Cappello del prete «Picanha» TerraSuisse Svizzera, imballato, per 100 g

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10.90 invece di 15.60 Filetti di trota affumicata bio in conf. da 3 d’allevamento, Danimarca, 3 x 100 g

33%

3.95 invece di 6.– Coppa di Parma IGP Italia, affettata in vaschetta da 100 g

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2.20 invece di 2.75 Cordon bleu di maiale Svizzera, al banco a servizio, per 100 g

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2.50 invece di 3.60 Salametti a pasta grossa prodotti in Ticino, conf. da 2 pezzi, per 100 g


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3.95 invece di 5.90 Ciliegie Italia, conf. da 500 g

Pecorino Romano DOP in self-service, al kg

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2.50 invece di 3.50 Pesche noci gialle Spagna/Italia, imballate, al kg

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20%

7.80 invece di 9.80 Prodotti Cornatur in conf. da 2 falafel o scaloppina con spinaci, per es. falafel, 2 x 180 g

20%

19.20 invece di 24.– Formaggella Blenio «Ra Crénga dra Vâll da Brégn» in self-service, al kg

15%

4.50 invece di 5.40 Uova svizzere, da allevamento all’aperto 9 x 53 g+

40%

a partire da 2 confezioni

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Mirtilli bio Germania/Spagna/Italia, vaschetta, 250 g, per es. 2 vaschette a fr. 6.30 invece di 9.–, a partire da 2 confezioni, 30% di riduzione

2.70 invece di 4.50 Albicocche bio Spagna, conf. da 500 g

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33%

9.80 invece di 14.70 Ravioli Anna’s Best in conf. da 3 disponibili in diverse varietà, per es. al pomodoro e alla mozzarella, 3 x 250 g

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7.– invece di 11.80 Tortelloni con ripieno di carne M-Classic conf. da 2 x 500 g

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Idee e acquisti per la settimana

Gruyère AOP Cave d’Or

Il sapore a cubetti Il buon latte di mucche che si nutrono principalmente d’erba ed erbe aromatiche e una stagionatura di 14 mesi in cantine scavate nella roccia, donano al Gruyère AOP Cave d’Or un inconfondibile aroma speziato. Adesso questo raffinato formaggio è disponibile anche già tagliato a cubetti. E così, si fa in fretta a preparare un buon aperitivo o a dare un tocco di sapore all’insalata. Inoltre, l’imballaggio richiudibile è davvero pratico se si vuole portare con sé i cubetti di formaggio come spuntino.

Gruyère AOP Cave d’Or a cubetti 100 g Fr. 4.90 Nelle maggiori filiali

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Idee e acquisti per la settimana

Concorso fotografico Total

Scattate, caricate, votate e vincete Famiglie e comunità di inquilini attenzione! Che siano mucchi di biancheria sporca davanti alla macchina da lavare, ceste del bucato traboccanti o i panni stesi di tutta la famiglia: immortalate le scene di bucato più divertenti, creative e originali accostandole a un imballaggio di detersivo Total*, poi caricate la foto su www.migros.ch/total. Il prossimo anno i vincitori del concorso saranno chiamati per quattro volte a sfidarsi tra loro e a dimostrare le loro competenze in fatto di bucato. Azione riferirà regolarmente sulla sfida. Partecipate, vi aspettano molti bellissimi premi per un valore totale di Fr. 15’400.–.

Votate la foto che preferite fino al 9 luglio!

Foto Anina Zimmerli

www.migros.ch/total

*Nessun obbligo d’acquisto. Dettagli Condizioni di partecipazione

Ecco come potete vincere premi per 15’400 franchi Chi può partecipare? Il concorso si rivolge a famiglie e comunità di inquilini. Come funziona il concorso? Caricate la foto su www.migros.ch/total entro il 9 luglio 2017. Fra le otto fotografie più votate, una giuria sceglierà due vincitori. Durante il 2018, questi si daranno battaglia per quattro volte sul tema bucato e saranno protagonisti di servizi fotografici. Cosa si vince? Concorso fotografico: il vincitore di ogni categoria riceverà

un buono regalo del valore di Fr. 5000.– I piazzati dal 3° all’8° posto otterranno ciascuno un buono regalo da Fr. 500.–. La battaglia: durante ognuna delle quattro battaglie i due finalisti potranno vincere il valore di un anno di detersivo e un buono regalo di Fr. 500.–. Maggiori informazioni sullo svolgimento e sulle condizioni di partecipazione su www.migros.ch/total Buona fortuna!

e condizioni di partecipazione su www.migros.ch/total

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Idee e acquisti per la settimana

Stoviglie riutilizzabili

È così semplice Gastronomia

Riutilizzare per avere meno rifiuti Dall’inizio dell’anno Migros propone stoviglie riutilizzabili nei suoi ristoranti e take away. In tal modo tutti possono contribuire a evitare sprechi. La robusta ciotola può essere utilizzata fino a 100 volte. Nel confronto con le stoviglie monouso, che dopo l’impiego finiscono nella spazzatura, ogni ciotola riutilizzabile permette di risparmiare nel corso della sua vita circa tre chilogrammi di plastica. La ciotola riutilizzabile è stata sviluppata e prodotta in Svizzera.

1

Al ristorante o take away Migros si ordina il cibo desiderato, chiedendo una ciotola riutilizzabile. Questa prevede un deposito di 5 franchi. Il cibo può essere mangiato ovunque ci aggrada. Grazie al materiale di alta qualità della ciotola, che può essere utilizzata nel microonde, il cibo si mantiene caldo più a lungo. Per evitare di danneggiare le stoviglie si invita a non utilizzare posate in metallo.

2

Dopo il pasto la ciotola non lavata può essere riportata in uno dei ristoranti o take away che le hanno in dotazione. Si ricevono così di ritorno i 5 franchi di deposito. Migros lava poi le stoviglie direttamente sul posto. Se la ciotola non viene riportata lo stesso giorno è necessario risciacquarla.

3

Tutti i ristoranti e DeGustibus di Migros Ticino propongono le ciotole riutilizzabili. Lista di tutte le sedi su www.migros.ch/ stoviglie-riutilizzabili

La ciotola multiuso è disponibile in 220 ristoranti e take away Migros.

Parte di

L’alta qualità delle ciotole riutilizzabili della Migros mantiene il calore del cibo più a lungo e contribuisce a diminuire i rifiuti.

L’impegno Migros a favore della sostenibilità è da generazioni in anticipo sui tempi.


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Idee e acquisti per la settimana

10 anni di TerraSuisse

Suggerimento TerraSuisse

Per un buon olio di colza

Condividere la responsabilità

Per trovare un buon olio non bisogna cercar lontano. La colza dell’olio TerraSuisse proviene da agricoltura svizzera sostenibile. Quest’olio versatile è perfetto per i piatti più delicati e non deve fare lunghi viaggi.

TerraSuisse Olio di colza 500 ml Fr. 3.35

Delicato Con la sua delicatezza l’olio di colza è particolarmente adatto per pesto, maionese e salse, mentre gli altri oli sono troppo saporiti e coprono il gusto delle erbe aromatiche. A volte vale la pena mischiare l’olio di colza con oli più aromatici in un rapporto di metà e metà.

È come se il giallo dei campi di colza fosse conservato in una bottiglia: l’olio di colza TerraSuisse si distingue per il suo colore giallo oro intenso e il gusto delicato. La colza svizzera viene coltivata e spremuta nel rispetto dell’ambiente. E l’olio viene filtrato senza additivi Testo Claudia Schmidt; Foto Guy Jost

Fino a 180 gradi

Sui 53 ettari della sua azienda agricola a La Chaux-Cossonay (VD) Denis Jotterand coltiva colza secondo le direttive di IP-Suisse. Ogni campo ha il suo microclima e va quindi curato in maniera specifica. Il nostro agricoltore rinuncia all’uso di insetticidi, fungicidi e regolatori della crescita. Promuove, inoltre, la biodiversità installando scatole di nidificazione per gli uccelli e tenendo incolte e allo stato naturale alcune superfici agricole. L’olio estratto dalla sua colza è una presenza fissa anche nella sua cucina.

Il delicato olio di colza TerraSuisse può essere riscaldato fino a 180 gradi. È quindi ideale anche per friggere, cucinare al vapore e stufare.

Versatile Nelle ricette delle torte viene usato sempre più spesso olio al posto di burro. Anche per i vegani l’olio di colza è un’alternativa ai grassi animali negli impasti delle torte.

L’etichetta TerraSuisse è stata creata nel 2007 e contrassegna la collaborazione della Migros con IP-Suisse (Associazione svizzera degli agricoltori che praticano la produzione integrata) e la Stazione ornitologica svizzera di Sempach. L’intento comune è un’agricoltura vicina alla natura e rispettosa degli animali. Per produrre per TerraSuisse, oltre 11 000 fattorie applicano le severe direttive di IP-Suisse. Coltivare secondo natura La massima priorità per i contadini IP-Suisse è un’agricoltura rispettosa dell’ambiente e degli animali. Alla base c’è un regolamento scrupoloso, la cui applicazione da parte delle aziende viene verificata. Attraverso misure mirate per promuovere la biodiversità, gli agricoltori che producono per TerraSuisse creano spazi vitali supplementari per piante e animali rari.

I prodotti TerraSuisse provengono dall’agricoltura svizzera sostenibile. La materia prima è coltivata da agricoltori che si impegnano per il benessere degli animali e il rispetto della natura.

Parte di


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Idee e acquisti per la settimana

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È come se il giallo dei campi di colza fosse conservato in una bottiglia: l’olio di colza TerraSuisse si distingue per il suo colore giallo oro intenso e il gusto delicato. La colza svizzera viene coltivata e spremuta nel rispetto dell’ambiente. E l’olio viene filtrato senza additivi Testo Claudia Schmidt; Foto Guy Jost

Fino a 180 gradi

Sui 53 ettari della sua azienda agricola a La Chaux-Cossonay (VD) Denis Jotterand coltiva colza secondo le direttive di IP-Suisse. Ogni campo ha il suo microclima e va quindi curato in maniera specifica. Il nostro agricoltore rinuncia all’uso di insetticidi, fungicidi e regolatori della crescita. Promuove, inoltre, la biodiversità installando scatole di nidificazione per gli uccelli e tenendo incolte e allo stato naturale alcune superfici agricole. L’olio estratto dalla sua colza è una presenza fissa anche nella sua cucina.

Il delicato olio di colza TerraSuisse può essere riscaldato fino a 180 gradi. È quindi ideale anche per friggere, cucinare al vapore e stufare.

Versatile Nelle ricette delle torte viene usato sempre più spesso olio al posto di burro. Anche per i vegani l’olio di colza è un’alternativa ai grassi animali negli impasti delle torte.

L’etichetta TerraSuisse è stata creata nel 2007 e contrassegna la collaborazione della Migros con IP-Suisse (Associazione svizzera degli agricoltori che praticano la produzione integrata) e la Stazione ornitologica svizzera di Sempach. L’intento comune è un’agricoltura vicina alla natura e rispettosa degli animali. Per produrre per TerraSuisse, oltre 11 000 fattorie applicano le severe direttive di IP-Suisse. Coltivare secondo natura La massima priorità per i contadini IP-Suisse è un’agricoltura rispettosa dell’ambiente e degli animali. Alla base c’è un regolamento scrupoloso, la cui applicazione da parte delle aziende viene verificata. Attraverso misure mirate per promuovere la biodiversità, gli agricoltori che producono per TerraSuisse creano spazi vitali supplementari per piante e animali rari.

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Idee e acquisti per la settimana

Calgon

Lotta al calcare

La stragrande maggioranza delle economie domestiche svizzere è rifornita d’acqua potabile dura, responsabile di ostinati depostiti di calcare. I danni provocati dal calcare danneggiano le lavatrici in modo grave Testo Ralph Hofbauer; Illustrazione Konrad Beck

Calgon 2in1 Power Gel 2 x 750 ml Fr. 14.90 invece di 19.–

a cqua da dura a molto dura acqua da mediamente dura ad abbastanza dura a cqua da dolce a molto dolce

Azione 20% di sconto su Calgon in confezione doppia e in confezione speciale dal 13 al 26 giugno

Calgon 2in1 Power Pulver 2,178 kg Fr. 17.90 invece di 22.55

L’acqua dura è la nemica giurata della lavatrice. Più il grado di durezza è elevato, più l’acqua è calcarea. E il calcare si deposita sui principali componenti della macchina: le serpentine si surriscaldano, il tamburo gira con più sforzo e i tubi dell’acqua si ostruiscono. Il 92 percento delle economie domestiche della Svizzera è rifornita con acqua da mediamente dura a molto dura. Il grado di durezza dipende dalle condizioni geologiche della zona delle sorgenti. L’acqua dura si forma quando le acquee sotterranee fil-

trano attraverso minerali come il calcio e il magnesio, assorbendoli. È quanto avviene in regioni con molta pietra arenaria e calcare, come ad esempio il Giura e l’Altopiano. L’acqua è più dolce nelle Alpi e nelle Prealpi nonché in Ticino, dove prevale la roccia cristallina. Danni solo a elettrodomestici

La durezza dell’acqua non incide sulla qualità dell’acqua potabile. Infatti, l’acqua dura è salutare, poiché contiene molto calcio e perciò fa bene alle ossa e ai

denti. È invece meno salubre per gli elettrodomestici collegati alle condutture dell’acqua. Mentre le macchine del caffè devono essere decalcificate solo ogni tanto, per le lavatrici bisognerebbe usare un detersivo che impedisca i depositi di calcare. E che, oltre al calcare, rimuova anche lo sporco, i filamenti di tessuto e i residui di detersivo. Così la vostra lavastoviglie durerà molto di più. Quanto è dura l’acqua a casa tua? Informazioni su www.acquapotabile.ch

Calgon 2in1 Power Tabs 66 tabs Fr. 17.90 invece di 22.55


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Idee e acquisti per la settimana

Candida

Formula segreta per denti candidi Il carbone attivo ha un effetto assorbente, amalgama e neutralizza le particelle di sporco. Il nuovo dentifricio sbiancante di Candida contiene capsule di carbone attivo che si sciolgono durante la pulizia dei denti. Così scompaiono le poco estetiche macchie colorate… E ridere ritorna ad essere una vera gioia.

Novità Sugli standard scientifici più recenti: dentifricio sbiancante con carbone attivo

Gli spazzolini con carbone attivo lucidano in modo soffice la superficie dei denti, preservano lo smalto e cancellano le macchie di vino, tè o tabacco. Candida Charcoal Spazzolino Fr. 3.30 Nelle maggiori filiali

Il nuovo dentifricio sbiancante con carbone attivo ridona ai denti il loro bianco naturale. E nel contempo impedisce la formazione di placca e tartaro e rimineralizza lo smalto. Candida White Black Pearls 75 ml Fr. 3.30 Nelle maggiori filiali Azione 25% di sconto su tutto l’assortimento Candida, anche sulle confezioni multiple dal 13 al 26 giugno.

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Idee e acquisti per la settimana

Pedic

Piccoli consigli per mostrare piedi curati È una questione che riguarda lo stile personale, ma è nel contempo anche un tema di educazione: infradito, sandali e ciabatte da spiaggia si portano unicamente con i piedi ben curati. A calli, talloni screpolati e cattivi odori si può porre rimedio con poco sforzo. La marca Pedic offre un ampio assortimento di efficaci prodotti di cura nei settori wellness, care, protection e antitraspirant.

Oltre che con sistemi chimici che richiedono tempi lunghi, i calli possono essere rimossi anche meccanicamente. Per farlo è necessario levigare le parti callose con rulli minerali che contengono particelle abrasive. Questa procedura richiede un po’ di esperienza, ma la sua efficacia è immediata. Pedic Care apparecchio elettrico anti calli Fr. 29.80

Rimuovere i calli con la chimica richiede una certa pazienza, ma è un metodo molto efficace. Il complesso di principi attivi con acido salicilico e acidi della frutta riduce le callosità in circa tre settimane. Quale supporto è efficace l’uso della crema curativa Pedic, che contiene urea, effettuando nel contempo regolari pediluvi abbinati all’uso della pietra pomice. Pedic Protection crema anti-callosità 75 ml Fr. 6.50

Sulla pianta dei piedi si trovano circa 600 ghiandole sudoripare per centimetro quadrato. Quando il sudore inodore evapora, può svilupparsi l’acido butirrico con il suo tipico effluvio di formaggio. Di ciò sono responsabili dei batteri presenti sulle piante dei piedi chiamati «brevibacterium epidermis». Tali batteri sono utilizzati anche per produrre alcuni particolari formaggi, come il Limburger. Il deodorante per i piedi con ioni d’argento ha proprietà antibatteriche.

Indossando calzature sportive rigide o scarponcini da trekking, i piedi sono sottoposti a un intenso attrito. Il balsamo sportivo con cera d’api previene arrossamenti e vesciche. Pedic Protection balsamo protettivo per lo sport 75 ml Fr. 4.80

Novità Pedic Antitranspirant deodorante spray per piedi 150 ml Fr. 3.80

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 12 giugno 2017 • N. 24

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