Zeta - L'Europa ai tempi dell'Erasmus

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Periodico della Scuola Superiore di Giornalismo “Massimo Baldini” Numero 1 Marzo 2020

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Iran: a caro prezzo i visti per l’Italia 8

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L’Europa ai tempi dell’Erasmus

Pariolini si nasce non si diventa

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C’era una volta la Roma di Fellini

La dolce vita a Williamsburg



La parola

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Il numero

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Periodico della Scuola Superiore di Giornalismo “Massimo Baldini” Numero 1 Marzo 2020

Cover story L’Europa ai tempi dell’Erasmus

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di Claudia Chieppa

L’Erasmus in dati

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di Enrico Dalcastagné

«Regno Unito ci mancherai»

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di Carlo Ferraioli

Angela e Michele: «Il nostro sì in Erasmus»

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di Camillo Barone

Un viaggio lungo un film

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di Enrico Dalcastagné

Una guida alle migliori serate Erasmus

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di Claudia Chieppa

Benvenuti al Master di Giornalismo e Comunicazione multimediale dell’Università Luiss Guido Carli

Cronaca La mal’aria di Frosinone fa chiudere le scuole

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di Giuliana Ricozzi

Pariolini si nasce non si diventa

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di Erika Antonelli e Angelica Migliorisi

Emilia-Romagna: effetto sardine

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di Gabriele Bartoloni

Esteri Iran, a caro prezzo i visti per l’Italia

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di Chiara Sgreccia

Alle Hawaii: povertà e lusso si incontrano

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di Martina Coscetta

La dolce vita a Williamsburg

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fotografie di Alessandro Cinque

Scienze Il batterio invisibile che aggredisce le star

La scuola ha, da quest’anno, un programma innovativo, varato nel biennio accademico 20192021 per preparare giornalisti e professionisti dell’informazione capaci di operare nei media tradizionali, giornali, radio, televisioni, ma al tempo stesso capaci di agire da protagonisti nell’affascinante era digitale dei new media, web, podcast, giornalismo data driven. Il nuovo programma consente di acquisire i più recenti strumenti di ricerca, elaborazione e comunicazione dati e informazioni (big data, machine learning, intelligenza artificiale), funzionali allo svolgimento di ogni attività professionale.

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di Simone Di Gregorio, Mattia Giusto, Jacopo Vergari

WonderLad: la casa delle meraviglie

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di Laura Miraglia

Cultura C’era una volta la Roma di Fellini

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di Gian Marco Passerini e Fadi Musa

Quella libreria che non c’è più

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di Livia Paccariè

Tra reggaeton e tradizione è il Sanremo delle novità

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di Lorenzo Ottaviani

Galway 2020: una nuova capitale per l’Europa

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di Valerio Lento

Agenda

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ZETA Periodico della Scuola Superiore di Giornalismo “Massimo Baldini” supplemento di Reporter Nuovo Registrazione Reg tribunale di Roma n. 15/08 del 21/01/2008

Direttore responsabile Gianni Riotta

Redazione viale Pola, 12 – 00198 Roma

Condirettori Giorgio Casadio Alberto Flores d’Arcais

Stampa Centro riproduzione dell’Università

Progetto grafico Francesco Franchi

Contatti 0685225358 giornalismo@luiss.it

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La parola

Stòp s. m. [dall’ingl. stop «fermata», (to) stop «fermare, fermarsi»].

3.a Fanalino rosso, di arresto, collocato sul lato posteriore di auto e moto: gli stop dell'automobile; lo stop sinistro non si accende. b. Ciascuno dei due segnali luminosi rossi che si accendono automaticamente nella parte posteriore di un autoveicolo quando si azionano i freni: lo stop sinistro della tua macchina non funziona (o non si accende). Oppure, Valentino Rossi ha tirato il freno della sua carriera con Yamaha, dal prossimo campionato il Dottore dovrà decidere se ritirarsi oppure correre nel team satellite.

ST 1. Con funzione verbale di solito vuol dire «ferma!, férmati». alt!, basta!, finiamola! b.Nelle ultime settimane, il Coronavirus ha paralizzato l'economia cinese. Lo stop dei voli civili tra Italia e Cina ha creato uno strappo diplomatico tra i due paesi, e molte multinazionali hanno deciso di interrompere la loro produzione nella terra del Dragone.

A cura di: Elisabetta Amato Michele Antonelli Natasha Caragnano Silvio Puccio Francesco Stati

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2. Con uso esclusivo di sostantivo maschile: a. Nella segnaletica stradale, stop, o segnale di stop, è un cartello speciale o striscia orizzontale tracciata trasversalmente sulla strada, di solito con la scritta stop. Posti immediatamente prima di un incrocio, impongono di arrestare la corsa del proprio veicolo e di dare la precedenza: Secondo l'art. 145 del codice della Strada conducenti sono tenuti a fermarsi in corrispondenza della striscia di arresto, prima di immettersi nella intersezione, quando sia cosi' stabilito dall'autorita' competente ai sensi dell'art 37 e la prescrizione sia resa nota con apposito segnale.

4. Nel gergo calcistico, lo stop è l'azione di fermare la palla con il piede, petto, coscia o testa: l'attaccante della squadra avversaria stoppa la palla, si è girato e ha segnato un gran goal. 5. In apparecchi di registrazione e di riproduzione video e sonora, e anche in altri tipi di apparecchi a funzionamento elettronico, il meccanismo che blocca, a comando di un tasto (chiamato esso stesso stop, in frasi come premere, schiacciare lo stop, e sim.) oppure automaticamente (stop automatico) il movimento del nastro o del disco: I Kiss, gruppo rock si seattle molto famoso negli anni '90, hanno deciso di stoppare il disco della loro carriera musicale con un ultimo tour che farà tappa a Verona a luglio.


Salvini

Brexit

Pensioni

Corsa a ostacoli

Ultima fermata

Fine del paradiso

La supercar elettorale di Matteo Salvini si ferma. Le elezioni regionali hanno rallentato la corsa verso il governo del leader leghista: la scontata vittoria in Calabria ha visto protagonisti gli alleati di coalizione di Forza Italia più che la Lega, mentre in Emilia-Romagna a raccogliere più voti è stato il Partito Democratico. Fra scivoloni mediatici – si pensi al discusso caso del citofono, che potrebbe avere conseguenze per lui nefaste – e proclami mancati, forse per qualche settimana sentiremo parlare un po’ meno di lui.

La Gran Bretagna da pochi giorni è uscita dall’Unione Europea. 73 deputati inglesi dovranno abbandonare il loro posto al Parlamento europeo e verranno sostituiti. Stop anche per i passaporti color bordeaux, i nuovi saranno blu. Stop anche per chi si vuole trasferire: occorrerà avere un visto, come per New York e Dubai. Stop anche per lo shopping con l’euro: per gli europei che vogliono acquistare nei grandi magazzini inglesi non sarà più possibile pagare con la valuta europea ma solo con le sterline.

Divieti

Netflix

Outfit

Vietato fumare

Il no di Harry

Addio streetwear

Sigarette bandite nei pressi delle fermate dei mezzi pubblici a Milano. Questa la proposta del sindaco meneghino Giuseppe Sala, che vuole rendere le pensiline di Atm, la municipalizzata milanese dei trasporti, smoke free. «Entro il 2030 divieto di fumo all'aperto in tutta la città» ha commentanto il sindaco di Milano. Questo blocco si aggiunge a quello che ci potrebbe essere anche in altre zone d'Italia, secondo un disegno di legge. È infatti previsto lo stop al fumo per spiagge attrezzate, giardini pubblici e altri luoghi dove possono esserci bambini e donne in stato di gravidanza.

Dopo la separazione del duca di Sussex Harry e dell’attrice americana Meghan Markle dalla famiglia reale britannica in molti si sono chiesti che rotta avrebbe preso “The Crown”,la serie tv netflix sulla vita di Elisabetta II del Regno Unito. L’ormai ex principe durante un’intervista con la biografa della famiglia reale, Angela Levin, ha affermato che avrebbe stoppato ogni produzione incentrata sul suo matrimonio e sull’allontanamento dalla sua famiglia. «Dubito che saremmo mai andati così lontani fino ad arrivare ai nostri giorni», il produttore esecutivo di “The Crown” tranquillizza il principe ribelle.

La moda da uomo saluta lo streetwear. Le sfilate di Londra, Milano e Parigi hanno decretato la fine dello stile stravagante e sportivo. Novità sarà il ritorno dell’eleganza e di uno stile più “sartoriale”, con linee morbide e dal gusto moderno. Addio alla moda del mondo degli skaters e dei surfisti degli anni ’80, contaminato dal look punk, hip hop e sportivo. Stop per gli uomini allo stile casual e urban, per iniziare a indossare capi eleganti, da gentleman.

Per i pensionati in cerca di un assegno esentasse il Portogallo non è più un paradiso. Il governo a trazione socialista di Antonio Costa vuole introdurre una tassazione al 10 per cento del reddito annuo per i pensionati esteri che hanno scelto il portogallo come meta del loro buen retiro. Nel paese iberico dal clima e dalla tassazione mite, le agevolazioni fiscali erano state varate al culmine della crisi finanziaria del 2008. I pensionati italiani residenti in Portogallo sono circa 3000.

OP

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Il numero

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A cura di: Elisabetta Amato Michele Antonelli Natasha Caragnano Silvio Puccio Francesco Stati

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La storia

Grammy

Italia

Dear Kobe, Love you always

Le parole di Alicia Keyes

Una piazza per il Mamba

«Siamo, con il cuore spezzato, letteralmente nella casa che Kobe Bryant ha costruito». Alicia Keys, cantante R&B americana, ha iniziato con queste parole la 62esima edizione dei Grammy Awards, il più importante premio musicale degli Stati Uniti. La cerimonia si è svolta nello Staples Center di Los Angeles, casa della squadra di Kobe Bryant. «Non avremmo mai immaginato in un milione di anni che avremmo dovuto iniziare lo spettacolo in questo modo. Los Angeles oggi ha perso un eroe». Alicia Keys ha poi concluso il suo commovente discorso con una canzone: "It’s So Hard To Say Goodbye To Yesterday". È entrato nel mondo dei “grandi” con il numero 8. Ha riscritto la sua storia e quella del basket mettendosi sulle spalle la canotta numero 24. Per dare una svolta alla sua vita e al suo percorso nel segno della crescita e della maturità. Sempre a Los Angeles, sempre con i Lakers, la squadra alla quale ha legato, in modo indissolubile, il suo nome. Kobe Bryant è stato un gigante. Dai cinque anelli NBA conquistati da protagonista ai due titoli olimpici centrati con la nazionale americana a Pechino, nel 2008, e a Londra, nel 2012, la sua storia è diventata pian piano quella di tutti, appassionati e non. Una storia di vittorie e di successi, di cadute inaspettate e di straordinarie reazioni. Sul parquet e nella vita, Black Mamba è entrato nel cuore delle persone per doti tecniche e umane segnando, a colpi di triple, la storia di una generazione che si è accostata e si accosta, al sogno del canestro, all’ombra del suo mito. Una leggenda, quella di Bryant, nata a Philadelphia e divenuta mito nella Città degli Angeli, ma che ha visto uno dei suoi capitoli più importanti in Italia. Un Paese che ha amato e nel quale si è sempre sentito a casa. Perché tra Reggio Calabria, Rieti, Pistoia e Reggio Emilia, il bambino Kobe è cresciuto imparando ed è diventato un prototipo di campione pronto a sfidare il mondo. La sua è stata una sfida eccezionale, emozionante e mai banale. Si è conclusa troppo presto per colpa di un destino beffardo. A restare sarà però la sua storia. Quella di un bambino che ha deciso di diventare campione.

Il Comune di Reggio Emilia intitolerà al campione scomparso la nuova piazzetta che affaccia su via Guasco, la strada del palazzetto dello sport da poco riqualificata. L’annuncio è stato dato su Facebook dal sindaco Luca Vecchi. Iniziativa simile anche in Calabria, dove la Viola Reggio Calabria, squadra militante in Serie A2, ha chiesto ufficialmente al primo cittadino l’intitolazione di una via o di una piazza al cestista scomparso.

Lakers

Il saluto di LeBron James

«Ti voglio bene. Sei stato tanto per tutti qui, in particolare per i Lakers ed è mia responsabilità caricarmi sulle spalle questa eredità e continuare quello che hai fatto. Fino a quando non ci incontreremo di nuovo, fratello mio». Queste le parole di LeBron James per

l’ultimo saluto a Black Mamba. Il 25 gennaio, un giorno prima della tragedia, Kobe aveva gioito sui social per il nuovo successo dell'amico, che con i 29 punti siglati a Philadelphia lo aveva superato nella classifica dei migliori marcatori della storia NBA. Zeta — 7


Cover story

I PROTAGONISTI

L’Europa ai tempi dell’Erasmus

Ruggiero 26 anni di Roma. Partì quando aveva 21 anni per l'Università Autonoma di Madrid

Sara 26 anni di Firenze. Ha svolto il suo Erasmus+ a 25 anni presso la Potsdam Universität di Berlino

Marco 26 anni di Roma. A 24 anni partì per l'Université Paris-Sud

Jeong A 24 anni, sudcoreana. Ha svolto il suo Erasmus+ a 21 anni presso l'Université Jean Moulin Lyon 3

Roberta 25 anni di Bologna. Partì a 23 anni per la Școala Natională de Studii Politice și Administrative di Bucarest

Flora, inglese. Ha svolto il suo Erasmus+ all'Università di Bologna

Pierre, 30 anni, francese. Ha svolto il suo Erasmus+ all'Università per Stranieri di Siena

«L’Erasmus ha creato la prima generazione di giovani europei. Io la chiamo una rivoluzione sessuale: un giovane catalano incontra una ragazza fiamminga, si innamorano, si sposano, diventano europei come i loro figli. Dovrebbe essere obbligatorio, e non solo per gli studenti: anche per i tassisti, gli idraulici, i lavoratori. Passare un periodo nei paesi dell’Unione europea, per integrarsi». Parola di Umberto Eco, che così descriveva la cosiddetta “generazione Erasmus”. Il programma Erasmus, successivamente divenuto Erasmus+, nacque nel 1987 su iniziativa di un’italiana (Sofia Corradi) e deve il suo nome al celebre umanista e teologo olandese Erasmo da Rotterdam che viaggiò in tutta Europa per scoprirne le diverse culture. L’Erasmus è nato per creare una coscienza e una cultura condivisa fra tutti i cittadini dell’Unione, favorendo la creazione di un mercato del lavoro comune e diminuendo la disoccupazione. Grazie a questo programma e alle borse di studio fornite dall’Europa, gli studenti immatricolati in università europee possono svolgere un periodo di studio in un ateneo di un altro Stato membro e vedersi riconosciuti tutti gli esami come se fossero stati svolti nella propria università. Ultimamente il programma Eradi Claudia Chieppa

smus+ è tornato alla ribalta dopo che, il Regno Unito, ha annunciato che con la sua uscita dall’Unione europea, sarebbe in forse anche la sua adesione al famoso programma di mobilità internazionale. Le ragioni che portano gli studenti europei a partire sono molteplici. Innanzitutto c’è la voglia di mettersi alla prova, per la prima volta, lontano dall’ambiente rassicurante della famiglia e sviluppare capacità di adattamento e indipendenza. È quanto racconta Marco, un ragazzo romano di 26 anni, laureato in Giurisprudenza, partito per la Francia quando aveva 24 anni per l’Université Paris-Sud: «È stata un’esperienza bellissima che mi ha aiutato a crescere molto. Mi ha dato quella spinta a cercare un’indipendenza mia, che è un aspetto fondamentale della vita, e mi ha aiutato a superare la comfort zone della famiglia. L’Erasmus è stato un passaggio importante che forse non sarei mai riuscito ad affrontare se non avessi avuto la borsa dell’Unione europea». L’Erasmus rappresenta anche l’occasione per evadere dalla realtà ripetitiva del luogo dove si è cresciuti e per vivere nella propria città d’elezione, quella in cui non si è nati, ma a cui ci si sente spiritualmente legati. È stato così per due ragazzi di 26 anni, Ruggiero e Sara, partiti a età diverse: il primo durante la Laurea Triennale, la seconda durante la Magistrale, per mete diverse, Madrid l’uno, Berlino l’altra.

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Il programma di mobilità dell’Unione europea è anche un mezzo di arricchimento culturale, personale e professionale. Abbiamo intervistato 7 ragazzi che hanno deciso di partire: per tutti è stata una scelta che ha cambiato le loro vite e li ha aiutati a conoscere meglio il paese ospitante e se stessi GENERAZIONI


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Cover story

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Learning Agreement, letteralmente “Accordo di Apprendimento”. È il piano di studi, un documento che va compilato prima della partenza, soggetto a verifica da parte dell’università in cui si è iscritti e di quella in cui si desidera studiare. È un certificato che racchiude tutti gli esami che lo studente dovrà sostenere durante il proprio soggiorno.

Chiamate e internet. L’Unione Europea ha stabilito che “quando esci dal tuo paese e ti rechi in un altro paese dell'UE, non devi pagare tariffe aggiuntive per utilizzare il cellulare. Si applica infatti il cosiddetto roaming, che ti permette di usare il cellulare a tariffa nazionale”. Il roaming va attivato dalle impostazioni del cellulare una volta arrivati a destinazione.

Trovare casa. Oltre agli annunci online, esistono alcune piattaforme come Uniplaces o HousingAnywhere.

Ciò che li accomuna è il fatto di aver scelto la propria meta Erasmus come casa d’elezione. Sara infatti voleva sfuggire al grigiore della città di provincia in cui stava studiando in quel periodo per tuffarsi nella grande città cosmopolita che è Berlino. Ruggiero desiderava sin da bambino conoscere la cultura spagnola che, ad un primo sguardo, «può sembrare molto simile alla nostra ma osservandola da vicino si possono notare le molte differenze». Conoscere e imparare ad apprezzare le particolarità di un popolo aiuta anche a sfatare molti pregiudizi: «Ci sono molti stereotipi sugli spagnoli che fanno la siesta o a cui non va di la-

vorare. Vivendo a Madrid ho capito che sono totalmente falsi, per cui ho potuto rivedere alcune convinzioni che circolano anche nel nostro paese». Della stessa opinione anche Roberta, 25 anni, che ha passato il suo Erasmus+ in Romania, alla Școala Natională de Studii Politice și Administrative di Bucarest, dove ha scoperto una realtà che non si aspettava: «Ho trovato una città viva, molto più organizzata e bella di quanto mi aspettassi. Un’università che punta all’eccellenza dei suoi studenti, sia quelli iscritti sia gli erasmus. Una delle cose che mi è rimasta più impressa, abituata all’Italia dove la spesa per l’istruzione sembra sempre

essere l’ultima delle priorità, è che in Romania puntano sulle università di qualità e c’erano docenti davvero preparati. Lì ho anche trovato tanti studenti che dicevano di voler rimanere e fare la differenza lì in Romania e non volevano andare via. Questo mi ha impressionato molto e mi ha fatto pensare che anch’io potessi rimanere in Italia e provarci qui». A Jeong A, invece, studentessa sudcoreana di 24 anni, brillano gli occhi quando le chiedo di raccontare della sua esperienza: «Sembra quasi destino che mi stai chiedendo dell’esperienza Erasmus di tre anni fa proprio adesso che sto per partire per un altro Erasmus».

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Salute. C’è la possibilità di contattare il numero verde 112 per la gestione delle emergenze, disponibile in tutti gli Stati europei. Inoltre, la guida “Se parto per…” messa a disposizione del Ministero della Salute è un ottimo strumento per conoscere i dettagli del luogo in cui andremo. Infine la TEAM: non è nient’altro che la tessera sanitaria che già tutti abbiamo, è la prova del fatto che si è assicurati. Così è possibile ricevere assistenza sanitaria in maniera gratuita, come avviene in Italia.

Abiti e valigie. Per risparmiare spazio e bagagli è sempre consigliabile mettere sottovuoto tutto ciò che possiamo: vestiti invernali, coperte, lenzuola e asciugamano. Il peso recuperato potrebbe fare la differenza per un eventuale sovrapprezzo dovuto in aeroporto. Quando si parte certi imprevisti meglio non averli.

853 2,8 mila persone nel 2018 hanno studiato o svolto tirocini all'estero

miliardi di euro stanziati dall'Unione europea

Fonte Erasmus+ annual report 2018

Fonte Erasmus+ annual report 2018

Jeong A, infatti, ha svolto la sua prima mobilità internazionale a Lione, all’Université Jean Moulin, mentre studiava alla “Scuola Superiore di Lingue Moderne per Interpreti e Traduttori” dell’Università di Bologna e sta ora per partire per il suo secondo Erasmus in un’università della Danimarca. Della sua prima esperienza ricorda come sia stata un leap of faith, un salto nel buio: «Sono partita nell’agosto del 2016 e quella che ho trovato non è solo una città bellissima dove un giorno vorrei tornare a vivere, ma ho anche scoperto lati di me che non conoscevo. Ho scoperto di essere molto più appassionata alla cultura, alla musica e all’arte di quanto credessi e durante l’Erasmus ho persino pensato di voler continuare la mia carriera universitaria nel marketing degli eventi culturali, cosa che mi ha spinto ad intraprendere un tirocinio all’Umbria Film Festival una volta tornata». Jeong A parla un perfetto italiano e ha svolto il suo percorso accademico quasi esclusivamente in Italia e ricorda quindi con un sorriso come a Lione venisse considerata «un’italiana con la faccia asiatica» e di come ogni volta che le capitava di partecipare ad eventi, spettacoli e concerti lionesi, fossero gli interessi in comune a legarla ai suoi amici, a prescindere dalla nazionalità. Una delle finalità del progetto Erasmus è quella di creare un mercato del lavoro comune in Europa e ridurre la disoccupazione. Purtroppo molto spesso succede che gli studenti che si innamorano del loro paese ospitante, pur volendoci rima-

«È molto difficile per qualcuno come me concepire che ci sia qualcuno che pensa che effettivamente le proprie condizioni di vita verrebbero migliorate lasciando l'Unione europea» nere per cercare lavoro, non ci riescano o non trovino un’occupazione adatta alle proprie esigenze. È quello che è successo a Pierre, francese, 30 anni, innamorato dell’Italia da quando ha svolto il suo Erasmus+ all’Università per Stranieri di Siena. Una volta conclusa la sua formazione accademica in “Lingue per il Commercio Estero”, Pierre ha provato a cercare lavoro in Italia, ma non è andata come sperava: «Dopo la mia esperienza a Siena, un Erasmus Placement a Roma e un double degree tra Torino e Lione ho cercato lavoro per un tempo limitato in Italia ma ho notato che il cammino di integrazione nella vita professionale italiana è molto diversa da quella francese. In Italia si basa più su piccoli tirocini anche fino a quando sei molto grande, pagati molto poco, dove l’impiegato deve quasi ringraziare l’azienda per avergli concesso l’occasione di mettersi alla prova. Sono tornato tre volte in Italia e ho sempre trovato queste tipologie di contratto. Sono quindi tornato in Francia da dove ho deciso di lavorare con l’Italia o comunque con l’estero». «Non riesco a spiegare a sufficienza la mia delusione per il risultato del referendum sulla Brexit, che ha spaccato il mio paese in due. È molto difficile per qualcuno come me, che vive nel centro di Londra, dove non ci sono molti Brexiteers, concepire che ci sia qualcuno che pensa effettivamente che le proprie condizioni di vita verrebbero migliorare lasciando l’Unione europea». Così parla Flora, 30 anni, scozzese. Anche lei innamorata dell’Italia e dell’Europa, dopo il suo Erasmus+ all’Università di Bologna, che le ha permesso di conoscere persone da tutta Europa, farsi amici per la vita e le ha aperto nuove prospettive. Come per esempio quella di trasferirsi in Spagna, dove ha incontrato anche l’attuale partner con cui fa coppia da ormai 10 anni. «Spero davvero che i giovani del Regno Unito, in futuro, avranno l’opportunità di partecipare all’Erasmus, che apre delle possibilità incredibili di scambio culturale». ■ Zeta — 11


Cover story

L'Erasmus in dati: piccoli grandi numeri Il progetto di mobilità dell’Ue si rivolge a tanti ma non a tutti. Cambia la vita di chi parte ma potrebbe essere ancora più inclusivo di Enrico Dalcastagné

Nei suoi 33 anni di vita il progetto Erasmus ha permesso a nove milioni di persone di studiare o lavorare all’estero per un periodo che va dai sei mesi ai tre anni. Per finanziarie il programma, tra il 2014 e il 2020 l’Unione europea ha stanziato quasi 15 miliardi di euro, circa il doppio di quanto erogato nei sei anni precedenti. Secondo le valutazioni d’impatto della Commissione, l’Erasmus ha un impatto positivo sulla vita lavorativa e sull’identità culturale di chi lo fa: consente di imparare una nuova lingua, allarga gli orizzonti professionali e la rete di contatti e «fa sentire più europei». Inoltre, tra gli ex Erasmus il rischio di essere disoccupati a cinque anni dalla laurea è del 23 per cento più basso della media. Ma quali sono nel dettaglio i numeri della partecipazione al programma di mobilità dell’Unione europea? Quali i principali paesi di arrivo e di partenza degli studenti, e quali le università più ambite per studiare all’estero? L’Erasmus è un progetto inclusivo, indirizzato ad ampie fasce della popolazione, o di fatto consente di partire solo a chi «se lo può permettere»? I dati più recenti mostrano che dal 1987 ad oggi oltre mezzo milione di studenti italiani ha viaggiato in Europa con il programma Erasmus. Nell’ultimo anno accademico, sono 264 gli atenei italiani coinvolti nella mobilità di Erasmus+, con un budget a disposizione di oltre 89 milioni di euro. L’Italia si posiziona tra i primi quattro paesi per numero di studenti in partenza (circa 36 mila all’anno), dopo Francia, Germania e Spagna, ed è la quinta meta preferita dai giovani europei (oltre 25 mila all’anno), dietro a Spagna, Germania, Regno Unito e Francia. La regione con il maggior numero di studenti in uscita è la Lombardia (16 per cento del totale), a cui seguono l’Emilia-Romagna e il Lazio, con il 12 e il 4 per cento delle mobilità. Per quanto riguarda i singoli atenei, l’Università di Bologna si distingue sia in

L'identikit dello studente Erasmus Chi lascia l’Italia per passare un periodo di studio all’estero ha un’età media di 23 anni e nel 60 per cento dei casi è una ragazza (percentuale che sale di qualche punto quando lo scopo della mobilità è uno stage in azienda). I paesi preferiti dai giovani italiani – con una permanenza media

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MILIONI Dal 1987 ad oggi il progetto Erasmus ha consentito a oltre nove milioni di persone di studiare o lavorare all'estero

264

ATENEI Nell'ultimo anno accademico sono state 264 le università italiane che hanno preso parte al programma

250

Studenti Erasmus sul totale dei laureati 8,5% 8,0% 7,5% 7,0% 6,5% 2008

2010

2012

2014

2016

2018

Fonte: Consorzio AlmaLaurea 2019

Studenti Erasmus per corso di laurea

EURO L'importo delle borse di studio oscilla tra i 250 e i 400 euro a ragazzo, anche a seconda della sede Erasmus

Lingue

Medicina Architettura Legge

Economia

Scienze Ingegneria Agraria e Lettere politiche veterinaria e sociali

Dati relativi al 2018. Fonte: Consorzio AlmaLaurea 2019

di sei mesi – sono Spagna, Francia, Germania, Regno Unito e Portogallo. Gusti che sembrano unire diverse generazioni di studenti: le mete più ambite nell’ultimo anno sono anche le più popolari dal 1987 ad oggi. Per quanto riguarda coloro che scelgono l’Italia come luogo di soggiorno, i principali paesi di provenienza sono Spagna, Francia, Germania, Polonia e Turchia.

Spagna Sono 11.649 gli studenti italiani che nello scorso anno accademico hanno scelto la Spagna per il loro soggiorno all'estero

Psicologia


Top 10 università con studenti in partenza 1. 2. 3. 4. 5.

Principali paesi di partenza e arrivo degli studenti Erasmus Studenti in partenza

Studenti in arrivo

6. 7. 8. 9. 10.

Francia Germania

Alma Mater Studiorum Università di Bologna Universidad de Granada Universidad Complutense de Madrid Università degli Studi di Padova Università degli Studi di Roma La Sapienza Università degli Studi di Torino Universitat Politecnica de Catalunya Universidade de Lisboa Univerza v Ljubljani Universidad de Zaragoza

Spagna Italia Turchia Regno Unito Dati relativi al 2017. Fonte: Commissione europea 2019

Top 10 università con studenti in arrivo 1.

Studenti Erasmus per titolo di studio dei genitori e classe sociale Entrambi con laurea

2. 3. 4. 5. 6.

Uno solo con laurea Titoli inferiori o nessun titolo

7. 8.

Classe elevata

9. 10.

Classe media impiegatizia Classe media autonoma Classe del lavoro esecutivo

Alma Mater Studiorum Università di Bologna Universitat de Valencia Universidade de Lisboa Universidad de Granada Universidad Complutense de Madrid Universitat Politecnica de Valencia Univerza v Ljubljani Katholieke Universiteit Leuven Politecnico di Milano Norges TekniskNaturvitenskapelige Universitet Ntnu

Dati relativi al 2018. Fonte: Consorzio AlmaLaurea 2019

Francia Nello stesso periodo le università francesi hanno attirato 4.462 studenti italiani. Tra le mete più ambite Parigi e Lione

Germania Terzo gradino del podio per la Germania, che tra il 2018 e il 2019 ha ospitato 4.308 studenti Erasmus provenienti dall'Italia

Italia che in Europa per numero di partenze e arrivi (rispettivamente 2.787 e 1.970), seguita per studenti in uscita da altri istituti del Nord e del Centro Italia: l’Università di Padova, La Sapienza di Roma e l’Università degli Studi di Torino. Buona la performance dei principali atenei privati, che puntano sull’internazionalizzazione anche attraverso altri progetti: nell’a.a. 2017/2018 sono andati in Erasmus 820 studenti dell’Università Bocconi, 698 studenti dell’Università Cattolica e 514 della Luiss Guido Carli. I dati raccolti dal consorzio AlmaLaurea offrono poi alcune indicazioni sulle origini familiari di chi va in Erasmus. Il livello di istruzione dei genitori influisce sulla probabilità di svolgere un periodo di studio all’estero: nel 2018 hanno fatto tale esperienza il 18 per cento degli studenti con genitori laureati e solo il 9 per cento di coloro che hanno padri e madri non laureati. E anche il contesto economico riveste un ruolo importante: per le famiglie di estrazione sociale meno elevata l’ipotesi di un soggiorno all’estero è un impegno oneroso che non sempre le borse Erasmus (dai 250 ai 400 euro al mese) riescono a compensare. Si tratta di numeri che possono essere interpretati in modi diversi: c’è chi si sofferma sul profilo socioeconomico degli studenti e considera la generazione Erasmus «un piccolo club elitario» e chi invece ricorda gli effetti positivi del progetto, anch’essi evidenziati dai dati, sulla vita professionale e sull’identità culturale di chi vi partecipa. Gli investimenti nel programma di mobilità – in costante crescita da anni – testimoniano lo sforzo di coinvolgere tutti, ma l’obiettivo è ancora lontano dall’essere raggiunto. L’Erasmus ha permesso a milioni di europei di allargare i propri orizzonti ma bisognerà lavorare ancora per renderlo più inclusivo, più grande e più capillare. ■

Regno Unito Anche dopo il voto su Brexit gli italiani guardano alla Gran Bretagna, scelta l'anno scorso da 3.082 studenti universitari

Portogallo Al quinto posto tra le destinazioni preferite dagli universitari italiani c'è il Portogallo, meta di studio e svago per 2.226 ragazzi

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Cover story

«Regno Unito, ci mancherai» Intervista Enzo Maria Incutti si è laureato in Giurisprudenza a Roma Tre. Durante il suo percorso di studi ha partecipato al programma Erasmus, facendo tappa prima a Leicester, capoluogo della contea del Leicestershire, e poi a Londra, alla London School of Economics

Interno della LSE, London School of Economics La libreria della scuola, considerata un centro internazionale di eccellenza accademica per le scienze sociali

di Carlo Ferraioli

Sei deluso dagli ultimi sviluppi sulla Brexit? «La notizia mi ha scosso molto. Sono legato al mondo anglosassone e alla sua cultura, l'Erasmus è stata un’occasione unica per apprezzare e conoscere la quotidianità di un altro popolo. Ho vissuto due realtà diverse: Leicester, piccola città del centro Inghilterra con una frizzante vita universitaria e un campus da film, e Londra, alla London School of Economics, posto davvero unico per formazione. Ho un bellissimo ricordo del mio tempo lì: un periodo sia di studio che di ricerca. Il loro modo di vivere l'università è coinvolgente, va oltre il semplice corso universitario». Il rapporto fra i giovani europei in Erasmus e il Regno Unito vivrà dei cambiamenti in un’ottica sociale e multiculturale? «La mia risposta ha il punto di vista di un neo laureato, ma soprattutto di un ex studente, e sottende la speranza che la Brexit non possa e non debba incidere in male sugli aspetti culturali, l'interazione tra giovani e lo scambio di esperienze. Si sta leggendo molto in merito, la confusione fa da padrona. Riguardo al programma Erasmus non c'è chiarezza. Credo che i futuri accordi che l'UE intavolerà con il Regno Unito saranno al fine di preservare questo straordinario momento di condivisione». C’è una speranza? «Vivo questa fase di transizione con l’augurio che opportunità come la mia possano continuare ad esserci, perché cambiano profondamente il modo di vedere il mondo. È una parentesi che dovrebbe svincolarsi da scelte politiche, seppure rilevanti, ma che mal si conciliano con la maturità acquisita da un gio14 — Zeta

In alto Enzo Maria Incutti sulla porta di casa, tipica costruzione inglese

A destra Amici erasmus prima di un pic-nic e a casa

vane in un mondo che pretende, giustamente, un animo transnazionale. Ad oggi, non si può che coltivare l'auspicio che il programma Erasmus rientri nelle prerogative di negoziazione tra le parti in gioco, facendo prevalere il buon senso». Perché, durante le ultime elezioni che hanno premiato Boris Johnson, i giovani inglesi non sono riusciti a spostare l’ago della bilancia sul Remain? «Vanno considerati il malumore e l'insoddisfazione che i più giovani vivono anche lì. Questo è stato uno dei temi che, oltre la Brexit, hanno portato il popolo inglese a scegliere Johnson, unico attore con un’idea per le policy sociali e giovanili. La Brexit ci impone interrogativi sul coinvolgimento dei giovani nella sfera sociopolitica. Mi chiedo se non sia forse più giusto provare ad imporre noi il cambiamento piuttosto che aspettarlo da altri».

Nel 2020 cosa simboleggia un evento del genere? «Rappresenta una corrente contraria ai principi fondanti dell'Unione Europea: solidarietà, cooperazione, libero scambio. Confido profondamente, però, nella nostra generazione e nella nostra capacità di costruire un’autonoma coscienza comune. Quei valori, coi quali siamo nati e cresciuti, ci appartengono. Con questo non si può dire che sicuramente, tra qualche decennio, gli inglesi di oggi avranno la forza di capovolgere il destino della Brexit e rientrare in Europa». ■


di Camillo Barone

In alto Angela D'Aloia, 46 anni, con il marito Michele Ricciardi, 54 anni, sulla scalinata di Trinità dei Monti a Piazza di Spagna, Roma, in una vacanza nel 1993 A destra Angela e Michele nel 2018 a Campobasso, dove risiedono dal 1995 con i figli Michael e Asia

Angela e Michele: il nostro sì in Erasmus Intervista Giovane studentessa di Lingue straniere lei, professionista neolaureato lui. Un viaggio in Italia con il progetto Erasmus (allora neonato) ha definitivamente cambiato le vite dei due ragazzi europei, che dal giorno del primo incontro non si sono più lasciati

«Se potessi tornare indietro rifarei tutto da capo», ci dice con sicurezza Angela, 46 anni, che vive in Italia ormai da 26 anni. Giovane studentessa inglese, nel 1993 è approdata all’Università degli studi di Pavia da Cambridge, dove studiava Lingue e culture straniere, dopo essersi iscritta al progetto Erasmus dell’Unione europea. Il suo soggiorno sarebbe dovuto durare sei mesi, ma Angela non poteva immaginare che l’Italia sarebbe diventata la sua casa per sempre. «È stata un’esperienza molto positiva, in tutti i sensi»: continua Angela ridendo. «Ero stata invitata ad una festa di benvenuto per gli studenti Erasmus, nel residence dei ragazzi stranieri. È stato lì che ho conosciuto Michele, che era già laureato da qualche anno». Da quel giorno Angela e Michele non si sarebbero più separati, tanto che il ritorno nel Regno Unito a fine esperienza fu vissuto come “una vera tragedia”. Presa la laurea a Cambridge nel 1995, Angela si sposa con Michele in Inghilterra, torna subito a Pavia e comincia a lavorare come traduttrice in un ufficio universitario, per poi seguire il giovane marito nella sua città di origine nel Sud Italia, Campobasso. Insieme decidono di aprire una palestra fisioterapica. Nel frattempo arrivano anche due figli, Michael e Asia. Il centro in cui Michele fa il fisioterapista e Angela l’amministratrice è uno dei poli fisioterapici d’eccellenza della città, capoluogo di regione del Molise. «Non è stato facile ambientarmi dal Regno Unito al Molise in così poco tempo, ma sentivo che non c’erano alternative» ci conferma Angela. «In un certo senso dobbiamo ringraziare il progetto Erasmus per esserci conosciuti e innamorati, anche se rispetto ad oggi un tempo era molto più complicato prendere un volo per Londra e visitare i tuoi cari, nel mio caso la fidanzata», esclama Michele convinto. «Sarebbe un vero peccato se i nostri figli o i loro coetanei non potranno vivere quello che è stato permesso a noi trenta anni fa», ci dice la coppia venendo a sapere della probabilità che il programma Erasmus possa essere cancellato prossimamente dalle università britanniche. «A prescindere dalla nostra storia, si tratta di un’esperienza che ti arricchisce dentro e che ti allarga gli orizzonti culturali e sociali», continuano. In fondo la storia di Angela e Michele è solamente una fra le altre centinaia di storie d’amore nate grazie al programma Erasmus. Ogni anno sono numerosi gli studenti che trovano la loro metà in un’altra università europea, spesso anche cambiando progetti di vita e di studio in base alle loro nuove conoscenze. L’Erasmus infatti non è solo studio e connessione tra università, ma ben altro: nella maggior parte dei casi diventa arricchimento personale, andando oltre le logiche e le aspettative del proprio contesto culturale. ■ Zeta — 15


Cover story

Un viaggio lungo un film

L'appartamento spagnolo

Cinema L'Erasmus fa da sfondo a tanti film che raccontano le emozioni legate al distacco dalla famiglia e all'incontro con nuove culture. Da L'appartamento spagnolo a Persepolis, dai film di Woody Allen alle commedie italiane: un mosaico di esperienze tra burocrazia, strani coinquilini e amori inaspettati

di Enrico Dalcastagné

«Ci raccontiamo che siamo contenti di partire, che siamo forti e poi, una volta in viaggio, ne siamo meno sicuri. Non è facile partire così, ci lasciamo tante cose dietro le spalle, non sappiamo bene dove andiamo. Quando si arriva in una città nuova non ci sono che strade a perdita d'occhio e file di palazzi senza senso. Tutto è misterioso, vergine». Le parole del giovane Xavier, protagonista del film L'appartamento spagnolo (2002), descrivono bene uno dei tanti stati d'animo di chi lascia la propria città per un'esperienza all'estero, per un viaggio di pochi mesi che potrebbe durare molto di più. Del resto il programma Erasmus fa da sfondo a tanti film e romanzi, con il cinema che meglio di altre arti ha saputo raccontare le emozioni legate al distacco dalla famiglia e all'incontro con nuove culture. Tra burocrazia, strani coinquilini e amori inaspettati. Un vero classico dedicato all'Erasmus è proprio il film diretto da Cédrik Klapisch, che ha contribuito alla costruzione di un certo tipo di immaginario attorno a questa esperienza. La storia di Xavier, che divide l'appartamento a Barcellona con ragazzi di altri paesi, è lo spunto per raccontare i problemi linguistici, culturali e sentimentali di una simile convivenza. Non parla di Erasmus ma tratta temi in parte simili Persepolis, film d'animazione del 2007 vincitore del Premio della giuria a Cannes. Tratta da una graphic novel autobiografica, la pellicola narra le avventure di Marjane, giovane iraniana che studia al liceo francese di Vienna. Nella capitale austriaca viene in contat16 — Zeta

Persepolis

To Rome with Love

Un figlio di nome Erasmus

to con nuovi amici e vive per la prima volta l'amore, ma non riesce ad adattarsi allo stile di vita europeo. E poi c'è Woody Allen. Le gioie e i dolori della "generazione Erasmus" fanno da sfondo a tanti film del regista newyorkese. Non parla di Erasmus ma ne propone le atmosfere Vicky Cristina Barcelona (2008), che racconta un fine settimana di due ragazze americane – amiche ma molto diverse – ospiti di un affascinante pittore spagnolo. Mentre in To Rome with Love (2012) trova spazio la storia di Jack, studente di architettura a Roma per perfezionarsi che cerca di resistere all'amica della sua ragazza. Non è da meno il cinema italiano, che negli anni ha richiamato (anche in modo indiretto) situazioni e valori tipici dell'Erasmus. Lo ha fatto attraverso la dimensione del viaggio, come in Marrakech Express di Gabriele Salvatores (1987), o tornando indietro di qualche tempo, agli anni dell'adolescenza e del liceo: si pensi a Notte prima degli esami (2006), commedia diventata un piccolo cult e fonte di vari sequel e remake. Basta la parola Erasmus per evocare un immaginario condiviso anche da chi in Erasmus non c'è andato. Un immaginario fatto anche di stereotipi, ma proprio per questo tanto attraente; capace di mantenere il suo fascino persino in una fase di stallo per l'Unione europea. Il brand Erasmus è così forte da essere incluso nei titoli dei film. È il caso di Un figlio di nome Erasmus (2020), commedia on the road che narra le vicende di quattro quarantenni chiamati a Lisbona per il funerale della donna che tutti hanno amato da ragazzi. Amalia ha lasciato un'eredità inaspettata, un figlio concepito con uno di loro. Ma chi è il padre? Il nuovo film con Luca e Paolo sarà nelle sale dal 19 marzo. ■


Una guida alle migliori serate Erasmus Locali L'Erasmus permette di conoscere varie prospettive delle città ospitanti, compresa quella del divertimento. Ad ogni città corrisponde infatti una serata caratteristica

a cura di Claudia Chieppa

Lun

Mer

A Madrid c’è il Fucking Monday, durante il quale gli studenti erasmus vanno ad un locale vicino Puerta del Sol per una serata dedicata proprio agli studenti internazionali. L’evento ha luogo alla Sala Cocò, conosciuta anche per le serate techno del venerdì e le feste gay del sabato.

Il mercoledì sera a Barcellona si va al Razzmatazz, famosa discoteca di tre piani che offre musica di diverso genere. Prima della serata vera e propria si va verso le 23 a L’Ovella Negra, un pub con biliardini, biliardo e giochi da tavolo. Verso l’1 ci si sposta al Razzmatazz, che in ognuno dei tre piani offre musica diversa: musica dal vivo e tormentoni degli anni '90 e 2000 nella sala principale, techno e raggaeton ai piani superiori.

A Zagabria la serata erasmus si trascorre al Rakhia Bar, un locale molto economico dove, solo il lunedì, c'è l'offerta di una birra e uno shot a €2. In genere dopo ci si sposta all’Alcatraz, un disco pub con musica per ballare.

Un luogo di ritrovo importante per gli erasmus a Budapest è il Morrison’s. L’ingresso per studenti erasmus costa 500 fiorini (circa €1,50). La birra da mezzo litro sta a 99 fiorini (l’equivalente di 50/60 centesimi) fino alle 23. La particolarità del Morrison’s è che è composto da diversi piani con beer pong, karaoke, musica techno e house. Inoltre il tetto è stato ristrutturato e adibito a terrazza dove si può fumare.

A Bucarest una delle tappe preferite dagli studenti è il Revenge, un pub/discoteca con musica commerciale in cui si può entrare a qualsiasi ora. Di solito gli erasmus non arrivano prima delle 23-24. A Vienna tutti i mercoledì gli erasmus vanno al Club Loco. La serata inizia alle 19.30, di solito con l'amatissimo karaoke, e a seguire si va avanti fino alle 4 di mattina con la discoteca. I cocktail sono economici a €0,50: quello che va di più fra gli austriaci è il Weissweingespritzt (vino bianco allungato con la soda).

Gio A Varsavia l'appuntamento è al Klub Park. In questo disco pub, oltre a fare due chiacchiere sui divanetti sorseggiando una birra, ci si può scatenare in pista. Tra le cose più particolari del locale c'è l’ingresso a buon mercato di €2/2,50. Fino alle 2 di notte con questa minima entrata si ha diritto anche a una birra gratis che dopo inizia a costare €2. Oltre alla birra si beve spesso anche la vodka soplica, una vodka aromatizzata a molti gusti.

Ogni giovedì a Berlino gli erasmus dell’Università Humboldt si incontrano al Zosch, un piccolo locale jazz nella Tucholskystraße, nel quartiere Mitte, vicino alla Sinagoga su Oranienburger Str. Ogni giovedì c’è un quartetto jazz che suona ad offerta libera. Per chi non amasse il jazz, il giovedì può andare alla serata pub crawl, ovvero a un giro dei vari pub berlinesi fino a notte fonda.

Leicester è particolare dal punto di vista dei passatempi Erasmus. Le serate più conosciute sono quelle che si tengono alla O2 Academy, una discoteca all’interno del campus universitario. Gli eventi vanno avanti dal mercoledì al sabato con tanta variabilità di generi musicali.

Le serate Erasmus in Francia si tengono il giovedì. A Nantes uno dei luoghi più frequentati dagli erasmus è l’Hangar à bananes. Esso si trova lungo la Loira, all’estremità ovest dell’Ile de Nantes, dove prima sorgeva quello che era uno dei porti francesi più famosi per l’importazione di prodotti esotici dalle colonie (tra cui le banane), ora è diventato il luogo di divertimento per eccellenza della città. Una serie di discoteche, bar, ristoranti e luoghi d’esposizione uno di fianco all’altro che accolgono nantesi e studenti erasmus per le famose feste dell’ESN.

A Santiago di Compostela le serate più gettonate per uscire sono il mercoledì e giovedì e solitamente si va in locali chiamati Chupitos, il termine spagnolo con cui vengono chiamati i “cicchetti”. La vita notturna inizia all’una con un’apericena. Le discoteche si popolano intorno alle 4, una delle più famose è il Blaster.

Il giovedì gli erasmus di Ljubljana fanno serata al Metelkova, un centro di cultura alternativa in una zona che prima aveva funzione industriale e che ora ospita vari tipi di locali. Zeta — 17


La mal’aria di Frosinone fa chiudere le scuole Frosinone, nel Lazio, è tra le città più inquinate d'Italia. Il sindaco ha deciso la chiusura delle scuole il sabato per ridurre l'inquinamento dell'aria. Ambiente

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«Evitate i giochi all’aperto dei bambini, soprattutto se affetti da asma, allergia, diabete, durante le ore di maggiore incremento delle polveri. Effettuate i cambi d’aria abitativi intorno alle ore del pranzo». Con un post su Facebook si raccomanda così Teresa Petricca, medico pneumologo dell’Ospedale di Frosinone e membro dell’Associazione medici di Famiglia per l’Ambiente. A quanti la seguono sui social consiglia come far fronte all’emergenza numero uno che da anni tormenta Frosinone e i comuni della provincia: l’inquinamento dell’aria. Le polveri sottili soffocano quasi ogni giorno, come una cappa, la cittadina del basso Lazio e i suoi 46.000 abitanti. Il livello di inquinamento atmosferico di Frosinone ha raggiunto picchi tali che per i mesi di dicembre e gennaio il sindaco, Nicola Ottaviani, ha deciso di chiudere ogni sabato scuole, uffici e sedi universitarie. In gergo tecnico si chiamo PM 10 e PM 2.5: sono le particelle responsabili della mal’aria di Frosinone che, nei dati registrati dalle centraline cittadine, risultano ben al di sopra dei limiti consentiti. L’ultimo rapporto di Legambiente sulla qualità dell’aria, relativo al 2019, colloca Frosinone al quarto posto delle città più inquinate dalle polveri sottili, dopo Torino, Milano e Rovigo. Negli ultimi dieci anni, Frosinone è stata 7 volte sul podio delle città con l’aria peggiore ed è stato il solo centro, insieme a Torino, ad aver sfondato il tetto delle 1000 giornate di inquinamento. Il nuovo decennio non è cominciato nel migliore dei modi. Nelle prime due settimane del 2020, i valori delle polveri hanno sforato ogni giorno il limite consentito dalla legge, fissato a 50 microgrammi al m³ per le PM10, e registrato in alcuni casi una concentrazione giornaliera che oltrepassa i 130 microgrammi al m³ (fonte Arpa Lazio). Industrie, tubi di scappamento delle macchine, il fumo di caminetti e dei sistemi di riscaldamento sono i principali incriminati. Un elenco avvelenato che vale per tutti i centri abitati. Nel caso di Frosinone a peggiorare la situazione ci si mette però la geografia: la piccola città si trova in una conca dove i venti non sono abbastanza forti da consentire un buon ricircolo dell’aria. Il traffico intenso paralizza poi ogni giorno le due princidi Giuliana Ricozzi

Foto di Lucia Schietroma

Cronaca


Livello di sforamento delle PM10 (settimana 6-12 gennaio 2020)

Frosinone

Rieti Latina Livello Max Roma Viterbo Lunedì

Martedì

Mercoledì

Giovedì

Venerdì

Sabato

Domenica

Fonte: Arpa Lazio

pali strade che raccordano la parte alta della città alla parte bassa, Frosinone Scalo, dove l’inquinamento è più forte. Le polveri stagnano e contaminano uomini e cose come un virus. «È un’epidemia da inquinamento», ripete allarmata la dottoressa Petricca. A preoccupare sono soprattutto le particelle più piccole: non basta un colpo di tosse a espellerle e in poco tempo passano dai polmoni agli altri organi, causando malattie respiratorie e, soprattutto, cardiovascolari. Uno studio dell’Associazione medici di Famiglia per l’Ambiente di Frosinone, realizzato nei mesi di marzo-settembre del 2018, ha mostrato come il totale degli accessi in pronto soccorso fosse per asma e infarti. I pazienti erano per la maggior parte residenti nelle zone della città con i livelli più alti di inquinamento atmosferico. «L’anno scorso il sindaco ha convocato tutte le scuole per esporre la grave situazione. Tra le varie misure ha chiesto di adeguarsi alla settimana corta», afferma per telefono Monica Fontana, preside di un Istituto

comprensivo di Frosinone. Già dallo scorso settembre tutti gli studenti, dai più piccoli delle elementari agli adolescenti delle superiori, non vanno a scuola di sabato. Se gli studenti restano a casa, il traffico cittadino diminuisce, soprattutto nelle ore di punta, e le scuole non devono accendere i riscaldamenti. Questi ultimi sono, nella maggior parte dei casi, impianti poco eco-sostenibili e molto inquinanti. Solo due scuole hanno migliorato il proprio sistema energetico, grazie a fondi regionali pari a circa 1 milione di euro. Tutti gli altri istituti sono rimasti con i vecchi impianti: per la svolta green servono troppi soldi. La chiusura delle scuole è diventata così una misura di emergenza che contribuisce, nel breve periodo, ad alleggerire l’aria per almeno 48 ore. Una soluzione che fa bene all’ambiente ma che costringe a qualche sacrificio. «I ragazzi e i docenti sentono più pesante questa situazione. I giorni di lezione sono 30 in meno e c’è una concentrazione maggiore di impegni e carico di lavoro», spiega Antonia Carlini, preside del Liceo Scientifico, «facciamo 5 ore e 45 minuti di lezioni ogni giorno, abbiamo ridotto l’orario di 15 minuti, che recupereremo con due settimane alla scadenza del trimestre e del pentamestre». Il sacrificio più grande è soprattutto per gli studenti pendolari che arrivano dai paesi vicini: per loro uscire più tardi da scuola significa rientrare più tardi a casa, e dover affrontare il pomeriggio di studio con un carico maggiore di stanchezza. Chiusura delle scuole e domeniche ecologiche sono i rimedi a cui ha pensato finora l’amministrazione comunale. Ma si tratta di soluzioni di emergenza e a breve termine. Per respirare ogni giorno aria pulita sono necessari interventi strutturali e investimenti. Oggi come oggi, servirebbe la bacchetta magica. ■ Zeta — 19


Cronaca

Pariolini si nasce non si diventa di Erika Antonelli e Angelica Migliorisi

Chi ha frequentato un'università privata a Roma spesso viene definito un "parioliono", un individuo altoborghese che grazie ai soldi dei genitori può permettersi una facoltà costosa e abiti firmati. Siamo sicuri però che dietro una retta così cara si nascondano sempre ragazzi ricchi di famiglia? E se anche alla pubblica ci fossero dei "pariolini"? Marta, 27 anni, si presenta all’appuntamento al bar di Viale Romania davanti alla Luiss, l’università dove ha studiato per tre anni Scienze politiche. «Sono entrata qui con una borsa di studio, non certo perché sono una figlia di papà. Non potrei mai permettermi una retta così alta». Gli studi alla privata però non sono stati semplici: «Venendo da una famiglia umile, il sogno era quello di uscire da questa condizione e avere una prospettiva lavorativa importante, ma dopo la laurea triennale ho dovuto fermarmi». Eppure, non ha rimpianti: «A casa serviva anche il mio contributo e va bene così». Si parla del “luissino medio”, se esista o meno: «Esiste ed è in mezzo a noi. Lo riconosci subito: occhiale alla moda, camicia se possibile blu, pantalone stretto e scarpa firmata»; ma la chiave per comprenderlo è l’atteggiamento: «Il luissino medio si sente arrivato, non ha pressioni e vive con la consapevolezza che, una volta laureatosi, il papà lo parcheggerà da un amico importante o al timone dell’azienda di famiglia». Marta è lontana da questo cliché, ma non si è mai sentita in difetto: «La Luiss è un ambiente ideale per poter studiare con serenità, al netto di queste persone. E anche se mi avessero guardata male, è una cosa che fanno con tutti quelli diversi da loro». Secondo lei non ci sono molte differenze fra un’università privata e una pubblica dal punto di vista ambientale. «È solo uno stereotipo. 20 — Zeta

Università pubblica o privata? Cosa pensano i giovani: viaggio alla scoperta di preferenze, luoghi comuni e pregiudizi insieme a Marta e Francesco Storie

Ore 20 per lui: Maglioncino bon ton, pariolino ma non troppo Ore 20 per lei: borsetta nera, trapuntata e con inserti dorati

Ore 16 per lui: Guaina nera, a metà tra calzari e calzini: Balenciaga Ore 24 per lei: A spillo o décolleté: l'ideale per andare a ballare all’Art Cafè

Molti figli di papà, avendo il lavoro assicurato, prendono la laurea a prescindere da quale sia l’ateneo migliore. Anche alle pubbliche esistono personaggi simili». Marta però non è l’unica a deviare dal luogo comune: «La Luiss è piena di giovani che non si riconoscono in questo cliché: esiste persino una pagina social che ironizza su questi stereotipi [luoghi comuni luiss, ndr]». Pariolini o meno, alla Luiss c’è posto per tutti: «Grazie alle borse di studio e ai prestiti agevolati ai più meritevoli, l’accesso all’ateneo è stato semplificato per chi come me avrebbe altrimenti avuto difficoltà a pagare la retta. Non mi sono mai sentita inferiore: i professori, agli esami, guardano quanto hai studiato, mica gli zeri del conto in banca». Metti, per esempio, l’altra parte di Roma. Francesco indossa un cappotto marrone chiaro e fuma Lucky Strike. Ai tavolini di Pimm’s, pub di Trastevere, sceglie il posto più vicino al fungo che riscalda la piccola veranda del locale. Ordina un Negroni sbagliato, una goccia di spumante a smorzare il vermut rosso. Secondo lui lo stile passa anche da quello che bevi e questo cocktail di stile ne ha da vendere. Mentre aspetta il suo drink e un calice di Vermentino racconta


Baby Chiara Altieri/Emma (Benedetta Porcaroli) e Ludovica Storti/Desirèe (Alice Pagani), protagoniste della serie TV Baby

Gong La vista del tramonto dal Singita, noto stabilimento di Fregene frequentato dalla Roma bene. Ogni giorno al calar del sole viene suonato un gong

Ore 18 per lui: Camicia celeste, perfetta per l’aperitivo Ore 24 per lui: pantalone a sigaretta, aderente quanto basta decollare, un salto a Ponte Milvio nel cuore della Roma bene

della vacanza a Ibiza, la migliore della sua vita. Quando parla si accarezza spesso la punta dei baffi, sempre con la mano destra. Parla veloce, il colletto della camicia celeste spunta dal maglioncino a girocollo. Tamburella con le dita sul tavolino, ha una piccola cicatrice sul dorso della mano. «Ci sono andato con il mio migliore amico, era il sogno di una vita». Questa volta il regalo dei genitori sono stati due biglietti aerei. «Non è come quando mi hanno comprato la macchina, ma ci possiamo accontentare». Il cameriere porta da bere, Francesco propone un brindisi e sorride. Questo non è uno dei suoi locali preferiti, di solito va all’Ivy a corso Trieste. «C’è bella gente, sei anche le persone che frequenti e io non voglio essere un perdente». A Tor Vergata studia Economia e Management, ha scelto questa facoltà perché la sua famiglia gli ha insegnato che ogni persona ha un ruolo nella società.Ha molti esami, li affronta ripetendosi “study hard, party harder”, uno dei suoi motti preferiti. In fin dei conti è più facile preparare diritto sapendo di poterti distrarre con i soldi di papà. ■ Zeta — 21


Cronaca

Emilia-Romagna: effetto sardine Durante la campagna elettorale le Sardine sono state una presenza costante dentro e fuori le piazze, aumentando la visibilità del centrosinistra e dando a Bonaccini la possibilità di combattere su due fronti: il buongoverno locale e le tematiche nazionali spinte dal centrodestra a trazione sovranista. Storie

La «contrapposizione tra il movimento delle Sardine e la “bestia” leghista ha pagato elettoralmente, nel senso di mobilitare l’elettorato di centrosinistra». Lo scrivono Davide Angelucci e Davide Vittori del Centro Italiano di Studi Elettorali sulla base di uno studio condotto pochi giorni prima del voto regionale, secondo il quale «tra chi dà un giudizio positivo nei confronti delle Sardine la probabilità di votare per il candidato del centrosinistra è significativamente più alta mentre il trend è esattamente opposto (e significativo) per chi ha un giudizio negativo più incline» al contrario, a «votare la candidata del centrodestra». Le Sardine hanno spinto Stefano Bonaccini sul podio delle preferenze con un margine di voti superiore rispetto a quello previsto dei sondaggi. Per questo è interessante capire il ruolo e l’impatto che il movimento nato a Bologna ha avuto nel voto regionale, un voto in cui le Sardine si sono messe in gioco, rischiando di Gabriele Bartoloni

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di compromettere il consenso di piazza conquistato in tutta Italia. Ma le piazze non sono solo quelle che caratterizzano i centri città, ma anche quelle social. Piazze 2.0 attraverso le per quali le Sardine nascono e si organizzano. Una mobilitazione “liquida”, che compete con gli algoritmi della “bestia” di Luca Morisi, lo stratega della campagna social di Matteo Salvini. Uno studio condotto dal Data Lab della Luiss Guido Carli di Roma, analizza l’impatto social del movimento durante la campagna elettorale dell’Emilia-Romagna. Qui le Sardine riescono a porsi al centro della discussione su una delle principali piattaforme utilizzate nel dibattito pubblico: Twitter. L’hashtag #sardine occupa la quarta posizione tra i 15 più utilizzati nel periodo di riferimento. La terza, se si esclude #emiliaromagna, utilizzato dal Data Lab per ricercare sul social-network i tweet in cui si parla delle elezioni regionali. Prima di #sardine ci sono i due hashtag riferiti a due principali protagonisti della

campagna elettorale: #salvini e #bonaccini. #Borgonzoni invece occupa solo la settima posizione, a dimostrazione che la candidata del centrodestra sia stata completamente oscurata dal segretario leghista, non solo nel dibattito social. La centralità delle Sardine risulta evidente guardando la complex network analysis. Qui i ricercatori Luiss, offrono una panoramica dei vari argomenti utilizzati su Twitter durante la campagna elettorale. Argomenti rappresentati dagli hub, nodi orientati su altri temi di impatto maggiore (stelle). La vicinanza tra due nodi dimostra che gli argomenti vengono discussi attraverso tweet, retweet e commenti. Le Sardine sono rappresentate dal punto-stella #mattiasantori, una raffigurazione che dimostra la centralità delle Sardine. Ma quello che salta agli occhi è la loro vicinanza con il punto-stella #lega. Non solo a dimostrazione che i due argomenti vengono spesso utilizzati insieme, ma anche che entrambi sono circondati


da tematiche nazionali. Esattamente il contrario di #bonaccini, posto dalla parte opposta della rete e circondato da nodi che rappresentano argomenti di carattere regionale e per questo rappresentate da una colorazione diversa rispetto ai temi nazionali che invece circondano #mattiasantori e #lega. L’analisi offre una panoramica delle strategie portate avanti da centrodestra e centrosinistra: Matteo Salvini ha impostato una campagna elettorale trasformando le elezioni in un referendum su sé stesso e per farlo ha dovuto spinto la sua propaganda su temi nazionali. Una tattica utilizzata per distrarre l’elettorato dal tema del buongoverno portato avanti da Stefano Bonaccini (#sanità infatti è una dei nodi nelle vicinanze del punto-stella #bonaccini). Una strategia che non ha ripagato Salvini in termini elettorali. Grazie alle Sardine, infatti, il fronte anti-sovranista è riuscito a combattere su due fronti. Da una parte insistendo su tematiche nazionali con l’obbiettivo di contrastare la strategia salviniana, dall’al-

tra portando avanti le argomenti locali già forti del buongoverno regionale. La Lega ha cercato anche di spingere su un tema locale ma contemporaneamente di interesse nazionale: Bibbiano, sentito fuori e dentro Emilia-Romagna. Pochi ore prima la chiusura della campagna elettorale, la Lega ha organizzato una manifestazione a Bibbiano con l’obbiettivo di cavalcare l’indignazione sul caso degli affidamenti fittizi. Qui le Sardine hanno avuto un ruolo fondamentale organizzando una manifestazione nello stesso giorno del comizio di Salvini. Una sfida vinta del movimento, visti i numeri delle rispettive piazze. Battaglia vinta anche sui Twitter, in cui l’hashtag #sardine ha raggiunto il secondo picco di popolarità dopo quello del “concertone” organizzato a Bologna il 19 gennaio. In sostanza, l’unico argomento locale in grado di indebolire il Partito Democratico era proprio quello di Bibbiano. Un argomento propagandistico sgonfiato dalla piazza organizzata delle Sardine. ■

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Esteri

Iran, a caro prezzo i visti per l’Italia 24 — Zeta


Hamid sbatte i pugni stretti sul tavolo di legno scuro, seduto in cucina accanto alla madre Sholeh. È nerFotografie voso: sono ore che ricarica Alessandro Cinque la pagina di ckgsir.com alla ricerca di uno spazio libero per prenotare l’appuntamento all’ambasciata italiana di Teheran. Fuori, tra Azadi e Enghelab Square, le proteste contro il carovita (soprattutto dopo le sanzioni USA) e l’alto tasso di disoccupazione giovanile si sono spente con la giornata. Internet va a singhiozzo, come spesso accade durante i periodi di protesta, per rendere difficoltosa l’organizzazione degli incontri tra manifestanti. Maryam è impaziente, ogni sera chiama la madre dall’Italia. «Mamma quando arrivi? Hai preso l’appuntamento per il visto?» Sholeh non è ancora riuscita. Da giorni ricarica il calendario ma tutte le date sono rosse, slot full. Per poco lei e Hamid hanno creduto di avercela fatta: 18 luglio 2018, tra le otto e le dodici, ma al momento di dare l’ok il tasto book appointment non funziona. Devono ricaricare la pagina, di nuovo. Maryam teme che la madre non riesca a partire. Sui social legge che in Iran diventa sempre più complicato cambiare i Rial in Euro mentre al sud le forze di sicurezza sparano sulla folla per sedare le manifestazioni. «Così abbiamo deciso di rivolgerci alle agenzie» racconta Hamid al telefono. Il suo tono è leggermente imbarazzato ma soprattutto è agitato, innervosito. Sholeh desidera tornare anche quest’anno in Italia, a trovare la figlia che si è trasferita a Milano sei anni fa. Conoscono già l’iter che li aspetta. Ed è una prassi nota a quasi tutti gli iraniani che richiedono il visto per l’Italia (e non solo) soprattutto per brevi periodi: gli appuntamenti rimangono liberi soltanto pochi minuti. La pagina è lenta per i troppi utenti che navigano contemporaneamente. Errore tecnico. Il calendario è già pieno. Diventa normale rivolgersi alle agenzie di viaggio che, invece di organizzare la vacanza in Toscana, si propongono per fissare un appuntamento all’ambasciata italiana di Teheran. I prezzi vanno tra i 15 ed i 400 euro sulla base del periodo e della richiesta. «Duecentoquindici mila toman (circa 45 euro) adesso» conferma Maryam dopo aver parlato con l’agenzia. Lo stipendio medio oggi in Iran si aggira intorno ai 180 euro. Gli annunci delle agenzie sono ovunque anche sul web «Per appuntamento con l’ambasciata contattaci. Procedura urgente o standard?» Ma tra le faq di ckgsir.com si legge che la procedura urgente non è prevista. Articolo Chiara Sgreccia

Teheran, 2017

All'amabasciata italiana di Teheran è difficile trovare un posto libero per ottenere il visto Molti iraniani sono costretti a rinunciare al proprio viaggio in Italia o a pagare un sovraprezzo alle agenzie che comprano gli appuntamenti direttamente dall'ambasciata Medio Oriente

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Esteri 1

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1 Teheran, 2017. In Iran è stato introdotto nel 1983 l'obbligo per le donne di indossare l'hijab. 2 Rito funebre , 2017. Gli zoroastriani sono la più antica comunità religiosa dell'Iran. 3

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3 Marivan, Kurdistan iraniano, 2017. E' una delle trentuno province dello stato. Sanandaj è il capoluogo.

4 Teheran, 2017. La vita reale dei ragazzi iraniani non sempre segue le regole imposte dal regime.

5 Teheran, 2017. La città vista dall'alto.

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Tutti sanno che funziona così. Lo sanno anche all’ambasciata dove dicono che se durante il colloquio emerge che l’appuntamento è stato preso tramite agenzia verrà rigettato, racconta Maryam. «Ma possibile che non facciano nulla per risolvere un problema che da anni è sotto gli occhi di tutti?» È arrabbiata mentre lo dice. Potrebbe non esserci nulla di illegale nella capacità delle agenzie di prenotare così tanti appuntamenti da rivendere ai clienti ma è una procedura altamente scorretta e non è chiaro come riescano a riservare contemporaneamente molti colloqui mentre, normalmente, è difficile trovare libero un solo slot. «Sicuramente» afferma «molte agenzie hanno contatti poco chiari con i membri dell’ambasciata». Ed effettivamente pare che ci sia un problema di corruzione tra i contrattisti della delegazione italiana e le agenzie di viaggio. L’ambasciata ha già provato a risolvere la questione due anni fa passando la gestione degli appuntamenti ad un’azienda esterna. «Prima, quando gli appuntamenti si prenotavano direttamente dal sito dell’ambasciata, era ancora peggio e le caselle di posta erano sempre piene». Anche Mahdi, Alì, Mohammad, Assid hanno vissuto esperienze simili a quelle di Sholeh. Tantissimi studenti già in possesso delle lettere di ammissione per le università italiane si sono sentiti dire dai funzionari «ritorna il mese prossimo» ritardando o perdendo la possibilità di iscriversi per l'anno in corso. E spesso si tratta di un'opportunità, per gli studenti iraniani, che va oltre il titolo di studio, infranta dalla mancancata concessione del visto, immotivata. Nel 2017 i Ragazzi di Teheran indirizzarono all'allora Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, una petizione con più di 16 mila sostenitori che lanciava accuse piuttosto gravi all'amabsciata italiana: molti affermavano di aver pagato tra i 150 ed i 900 euro al mercato nero solo per ricevere un appuntamento. L'ambasciata negò ogni responsabilità ma confermò che soggetti estranei erano coinvolti in questo tipo di pratica. «Non è giusto» conclude Assid «sono in Italia da quattro anni per studiare farmacia e non riesco a trovare facilmente il tempo, tra gli esami ed il lavoro, per tornare a casa in Iran. Non è giusto, per me e per i miei amici, non sapere quando le nostre famiglie potranno venirci a trovare». Farid non ha questo problema: è un giovane imprenditore membro della Camera di Commercio ItaloIraniana e per lui la procedura è veloce ed il visto di lunga durata. ■ Zeta — 27


Esteri

Alle Hawaii povertà e lusso si incontrano Tra grattacieli e palme tropicali viaggio nel secondo Stato con la più alta percentuale di senzatetto degli Usa. Un problema sociale con cui l'amministrazione delle Hawaii combatte da molti anni Ma ora le istituzioni cominciano ad agire AMERICA

L’uomo disteso sul lungomare di Waikiki, quartiere vivace noto per la famosa spiaggia per surfisti a sud di Oahu, nelle isole Hawaii, dorme profondamente anche se è mezzogiorno. Il sole è caldo, ma non scottante, emana solo quel tepore – tipico dell’inverno hawaiano – che assomiglia sulla pelle a una coperta di flanella. A pochi metri, oltre la distesa d’erba verde sotto le palme tropicali, alcuni surfisti si asciugano, appena usciti dall’acqua. L’uomo che dorme profondamente è sdraiato su un fianco e indossa un berretto per ripararsi dal sole. Attorno a lui i turisti camminano indisturbati, tra grattacieli, hotel a cinque stelle, ristoranti e cocktail bar. Lui, però, non è un turista, né un surfista. Nessuno direbbe che le Hawaii detengono il titolo di secondo stato con la più alta percentuale di senzatetto degli Stati Uniti d’America, dopo New York. Secondo l’Honolulu Medical Examiner, che indaga sulle morti sospette e violente nella capitale hawaiana, nel 2019 sono stati 104 i decessi di persone considerate senzatetto quando hanno perso la vita. Si tratta della cifra più alta degli ultimi cinque anni. E un dato ancora più allarmante è l’età media di quei senzatetto: 53 anni, ben 30 anni in meno rispetto alla speranza media di vita alle Hawaii. «Considerando quanto è ricco questo posto non immagineresti mai di trovare tutti questi poveri» mi spiega Andrea, romano di nascita ma hawaiano d’adozione, «rispetto a quando sono arrivato, otto anni fa, sono aumenTesto e foto Martina Coscetta

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tati. C’è una forte discrepanza qui tra chi guadagna moltissimo e chi invece non ha niente». Tra i motivi dell’insorgenza di questo fenomeno vi è innanzitutto l’alto costo di vita (un semplice cappuccino si aggira attorno ai sei euro, l’affitto di una stanza ai cento euro a notte), poi gli stipendi, che sono tra i più bassi del Paese, e le aliquote fiscali, più elevate per i contribuenti meno abbienti. Ma c’è un’ulteriore causa, meno scontata, che contribuisce a riempire di senzatetto le strade della famosa meta tropicale per milioni di turisti ogni anno. Come riporta il New York Post, la Grande Mela cerca di risolvere lo stesso problema “spedendo” i senzatetto in altre città degli Stati Uniti. L’amministrazione comunale di New York nell’ambito del programma “Special One-Time Assistance” offre ai vagabondi, come incentivo al trasferimento, un anno di affitto. Tuttavia il sindaco di New York Bill de Blasio, secondo quanto riportato dalla testata americana, tralascia di informare politici e amministratori delle città di accoglienza. Finora New York ha mandato senzatetto in quasi 400 città in 32 Stati americani, comprese le Hawaii. «Esse sono state e sono tutt’oggi tra le mete più ambite dai senzatetto», mi dice Andrea. Ha 38 anni e vive in America da quando è adolescente. Ha vissuto a New York e a Seattle, e da otto anni si è trasferito a Honolulu. Conosce bene la città, e mi spiega che quello dei senzatetto è un problema con cui l’amministrazione pubblica delle Hawaii combatte da moltissimi anni. «Nonostante


"Durante gli sfratti, ai senzatetto vengono date 24 ore di tempo per spostare i loro effetti personali dalle aree pubbliche, e mezz'ora per ritirarli quando arrivano le squadre di polizia" ha detto il portavoce della città di Honolulu Andrew Pereira.

"Non dovremmo guardare agli sfratti solo come a delle operazioni forzose. Sono anche una buona opportunità per offrire alle persone bisognose una opzione concreta di cui potrebbero non essere a conoscenza o di cui potrebbero avvalersi" ha dichiarato Marc Alexander, direttore esecutivo del settore abitativo di Honolulu.

ciò, i vagabondi convivono pacificamente con gli altri cittadini e con i turisti. Il livello di criminalità, infatti, alle Hawaii è molto basso». Camminando per il lungomare, dove grattacieli da sessanta piani affacciano su spiagge dalla sabbia bianca e dall’acqua cristallina, vedo senzatetto ovunque, ogni giorno. Si radunano in alcuni spazi coperti con dei tavoli di legno, in prossimità della spiaggia, e godono del sole e del mare al pari dei turisti. La vita del vagabondo, però, è uguale in ogni città. I rapporti con le istituzioni non sono facili, e spesso i senzatetto vengono sfrattati. L’ACLU (Unione americana per le libertà civili), che lavora per difendere i diritti individuali garantiti dalla Costituzione americana, sta chiedendo da tempo alla città di interrompere gli sfratti sulle strade di Oahu, considerati crudeli e incostituzionali, ma la richiesta viene sempre respinta. “Noi vogliamo che le persone trovino un rifugio, ma questo obiettivo

non si raggiunge tramite sfratti incostituzionali. Non c’è nulla di compassionevole nel rovinare le vite di persone che stanno già combattendo per sopravvivere in uno dei posti più costosi del mondo. Le risorse del governo dovrebbero essere investite nel costruire case, e non nel criminalizzare la povertà”. Queste le parole dell’ACLU riportate da Honolulu Star-Advertiser, il principale quotidiano locale. Dallo scorso dicembre, su iniziativa della polizia di Honolulu, è stato lanciato il programma HONU, che prevede alloggi disponibili 24 ore su 24 all’interno di un campo mobile. Secondo quanto riportato da Internazionale, già nel 2006 a Honolulu le autorità avevano pensato di creare una zona in cui fosse legale accamparsi almeno temporaneamente, ma in seguito alle proteste dei residenti il campo era stato smantellato. Lo stesso è successo altre volte – con l’appoggio delle grandi catene alberghiere – nei confronti degli accampamenti spontanei sorti soprattutto sui marciapiedi del

lungomare. Oggi finalmente qualcosa sta cambiando. Fondato dallo Stato con un budget di 6 milioni di dollari, l’HONU comprende (oltre agli alloggi) delle strutture con docce e la distribuzione di un pasto al giorno. La prima zona scelta per l’allestimento del campo è il Waipahu Cultural Garden Park, nel sud dell’isola, non lontano dal museo di Pearl Harbour. “Abbiamo aperto da sole due settimane e abbiamo avuto un successo pazzesco” ha detto a Honolulu Star-Advertiser il capo della polizia di Honolulu Mike Lambert, a cui è venuta l’idea. “Siamo stati in grado di dare riparo già a 40 persone, numero che supera di gran lunga quello che ci aspettavamo all’inizio”. Ha inoltre aggiunto che “il programma è il primo di questo tipo a livello nazionale, in cui è una città-stato e una iniziativa della polizia ad aiutare i senzatetto”. La notte di sabato 21 dicembre decine di persone hanno partecipato a una messa organizzata nella Central Union Church, nel cuore di Honolulu, per commemorare le morti di centinaia di senzatetto che hanno perso la vita sulle strade di Oahu. È stata rinominata “The Longest Night” (“La notte più lunga”) poiché si tiene durante il solstizio d’inverno, che è la notte più lunga dell’anno nell’emisfero boreale. Così, mentre 120 luci blu vengono accese in ricordo di queste morti, lo Stato comincia ad agire, offrendo dei ripari a chi ogni giorno combatte per sopravvivere in uno dei luoghi più costosi al mondo. E forse, ben presto, anche per queste persone le Hawaii diventeranno un paradiso. ■ Zeta — 29


Esteri 1

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La dolce vita a Williamsburg

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Fotografie Alessandro Cinque

A Williamsburg interi palazzi costruiti dagli italiani alla fine del XIX secolo ora valgono milioni di dollari. Da un lato c'è Starbucks dall'altro rimangono i leftovers. New York

1. Riunione dei membri all’associazione St. Mary of the Snow fondata nel 1888 dagli abitanti provenienti da Sanza, provincia di Salerno.

3. Mario & Sons Meat Market, 662 Metropiltan Avenue. Mario, 76 anni, immigrò nel 1962 e aprì il suo negozio quaranta anni fa.

2. Williamsburg cambia volto come conseguenza della gentrificazione. La storica comunità italoamericana sta piano piano svanendo.

4. Il proprietario della Pasticceria Fortunato Brothers, 59 anni, prepara le sfogliatelle ogni martedì.

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5. La Bottega del Barbiere, Graham Avenue. 6. Giovanna D’Onza, 86 anni, è arrivata a New York nel 1970 con suo marito che morì nel 2011. E’ devota a a San Pio di Pietrelcina.

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9. La chiesa «Our Lady of Mount Carmel» è gremita di fedeli che accendono ceri in memoria dei defunti Carlo, Giovanni, Maria, Carmine.

7. Dopo cena gli uomini del Club San Cono di Teggiano si incontrano per giocare ad una versione rivisitata di Briscola.

10. Il “basement” di Our Lady of Mt Carmel Church, Williamsburg, ospita un meeting organizzativo per la Festa del Giglio, seguono i festeggiamenti per San Giuseppe, 19 Marzo.

8. Il monsignore Steven Aguggia si prepara per la messa delle 8.45 che terrà in lingua italiana alla chiesa Our Lady of Mount Carmel Church, in Havemeyer Street.

11. Leonardo Ranaldo, 92 anni, è molto conosciuto tra gli italiani a Williamsburg. Era proprietario di una bottega da barbiere, ora è in pensione.

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Scienze

Il batterio invisibile che aggredisce le star Dopo Alec Baldwin, Richard Gere, Bella Hadid e Avril Lavigne, anche la pop star canadese Justin Bieber ha contratto la sindrome di Lyme SALUTE

«Molte persone dicevano che avevo un aspetto orribile, che mi facevo di metanfetamine», il commento apparso in un post Instagram sul profilo ufficiale di Justin Bieber, a inizio gennaio, che confermava quanto dichiarato nell’esclusiva del celebre sito di gossip statunitense, TMZ: il musicista classe ‘94 star del pop aveva contratto la malattia di Lyme ed erano due anni che combatteva contro il batterio. Le foto che lo ritraevano con il viso sciupato e emaciato, pallido e debilitato, avevano destato i sospetti dei fan che lo pensavano alle prese con una riabilitazione dalla tossicodipendenza. Inoltre, il cantante aveva cancellato “per cause impreviste” le ultime dieci date del Purpose Tour, nel 2017. Il racconto della vicenda personale è incluso nella docu-serie in 10 puntate dal titolo “Justin Bieber: Season”, disponibile su Youtube. Bieber ha contratto una zoonosi, una patologia che si trasmette dall’animale all’uomo, causata da un batterio del genere Borrelia. Ne esistono diverse specie: in Europa occidentale e Stati Uniti è presente la Borrelia burgdorferi, trasmessa da alcune zecche del tipo Ixodes ricinus, anche note come “zecche dei boschi”. L’idolo dei teenager non è un caso isolato: in America, il fenomeno è abbastanza diffuso e molte celebrities hanno contratto il morbo, portando la malattia all’attenzione del grande pubblico. Attori come Alec Baldwin, Richard Gere e Ben Stiller, la fotomodella Bella Hadid e la cantante pop punk Avril Lavigne hanno raccontato il difficile decorso della malattia. Nelle loro storie c’è un filo conduttore: la difficoltà dei medici nella diagnosi perché la sintomatologia è aspecifica. Ciò aumenta le possibilità di cronicizzazione e aggravamento delle condizioni. La malattia di Lyme prende il nome dall’omonimo centro del Connecticut, sulla costa nordorientale degli Stati Uniti, dove la diffusione è espo-

di Simone Di Gregorio, Mattia Giusto, Jacopo Vergari

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Bella Hadid - la modella americana ha dichiarato di soffrire della stessa patologia della madre Yolanda, già autrice del libro Believe Me: My Battle with the Invisible Disability of Lyme Disease sulla sua esperienza

Justin Bieber - «Molte persone dicevano che avevo un aspetto orribile, che mi facevo di metanfetamine», invece erano ben due anni che combatteva contro il batterio. Il racconto della vicenda, ha rivelato, sarà

Richard Gere - l'attore ha scoperto di aver contratto la borreliosi durante le riprese di Autumn in New York, film del 2000 di Joan Chen, abbandonando quindi il set per dedicarsi alle cure mediche


L'opinione dell'esperto

Dottor Emanuele Nicastri - Direttore Malattie Infettive Ospedale Spallanzani Come si arriva ad una diagnosi certa? Dipende, dopo il morso della zecca può manifestarsi un eritema a forma di bersaglio, assieme a febbre e cefalea. Il problema è che questa fase acuta potrebbe non manifestarsi. A pochi giorni dal morso poi, i risultati dei test sono spesso falsi negativi perché ci vogliono 2-4 settimane per far sviluppare gli anticorpi. Un consiglio a chi sospetta di esserne affetto? La Lyme è una malattia rara e i test hanno alta sensibilità ma bassa specificità: non sempre un esito positivo dà un’indicazione accurata. Diffidiamo delle autodiagnosi che troviamo sul web. Molti sintomi somigliano a quelli delle patologie neuro-degenerative o di natura autoimmune. Ci vuole cautela. Si guarisce? Si, la Lyme diventa pericolosa se non è trattata per tempo con terapia antibiotica. La prevenzione è fondamentale: in Italia, le zecche trasmettono il batterio solo rimanendo attaccate per più di 12 ore, chi pratica attività outdoor deve controllare tutte le sere di non averne addosso. È una malattia curabile ma se evolve in una fase tardiva possono insorgere compromissioni anche gravi, fortunatamente molto più rare di quanto si pensi.

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milione

Alec Baldwin - l'attore ha dichiarato di essere stato morso da una zecca 17 anni fa. «La prima recidiva è stata la peggiore, mentre le successive sono state più deboli, o almeno così mi è sembrato»

di € di fondi emessi dall'UE in ricerca — La Commissione Ambiente e Sanità chiede finanziamenti aggiuntivi per promuovere la ricerca di diagnosi e cura e invoca maggiori sforzi nella collaborazione tra i diversi Paesi per lo scambio di dati epidemiologici

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milioni

Avril Lavigne - la cantante ha raccontato al settimanale statunitense People di essere stata relegata al letto per cinque mesi, nel 2015, con difficoltà a respirare, parlare e muoversi: «Ho pensato di morire»

I casi stimati sul territorio europeo — L'UE esprime la sua preoccupazione per le dimensioni allarmanti della diffusione della malattia di Lyme fra la popolazione europea, dal momento che i casi stimati superano le vecchie stime che parlavano di 650mila - 850mila

nenzialmente più alta che nel resto del Paese. Qui, nel 1975, a seguito dell’intensa urbanizzazione su un suolo prima utilizzato per l’agricoltura, si è creato l’habitat ideale per la proliferazione delle zecche che trasportano il virus, causando vari casi di infezione in adulti e bambini della zona. Eppure, l’uomo è un ospite accidentale: il principale serbatoio è rappresentato da roditori e da alcune specie di uccelli. La zecca agisce da vettore, nutrendosi del sangue infetto dell’animale, trasmettendolo poi all’uomo. La malattia, in assenza di diagnosi o terapia specifica, può evolversi in tre possibili stadi. Infezione precoce localizzata: il segno distintivo è l’eritema migrante, una lesione cutanea piatta o rilevata a forma di bersaglio, che compare dopo un periodo di incubazione di 7-14 giorni dal morso della zecca, non sempre riscontrato dal paziente, perché in parti del corpo poco visibili. Senza trattamento svanisce entro 3-4 settimane. Infezione precoce disseminata: i sintomi iniziano quando il batterio si diffonde nell’organismo. Ciò avviene giorni o settimane dopo la comparsa dell’eritema migrante, che, se non evidenziato, rende il quadro piuttosto aspecifico e di difficile diagnosi. Tipiche di questa fase sono multiple lesioni cutanee ad anello di piccole dimensioni e senza indurimento al centro. Inoltre, possono insorgere sintomi che mimano un’influenza, quali malessere, febbre, cefalea, dolori muscolari ed articolari. La maggior parte di essi ha un andamento variabile o intermittente, ad eccezione della spossatezza e della letargia che persistono. Tuttavia vanno segnalate complicanze anche gravi. Nel 15% dei casi possono esserci alterazioni neurologiche (meningite linfocitaria, ad esempio), mentre nell’ 8% è coinvolto il cuore, con vari gradi di blocco atrioventricolare, ovvero la parziale o completa interruzione della trasmissione dell’impulso elettrico dagli atri ai ventricoli. Fase tardiva: in assenza di una terapia mirata, inizia mesi o anni dopo l’eritema migrante. L’artrite si sviluppa in circa il 6% dei pazienti. Per diversi anni ricorrono gonfiore e dolore di grandi articolazioni, soprattutto delle ginocchia. Possono comparire lesioni cutanee - acrodermatite cronica atrofica - ed alterazioni croniche del sistema nervoso centrale, quali disturbi dell’umore, della memoria, del sonno e polineuropatie, che coinvolgono i nervi periferici. Zeta — 33


Scienze

Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, e come riportato anche sull’autorevole rivista scientifica Lancet, la Lyme è oggi la più diffusa e rilevante patologia trasmessa da vettore nelle zone geografiche temperate ed è seconda, per numero di casi, solo alla malaria tra le malattie trasmesse da vettore. Mary Beth Pfeiffer, giornalista investigativa e autrice di “Lyme. The First Epidemic of Climate Change”, del 2018, è stata la prima ad esplorare il legame tra riscaldamento globale e diffusione esponenziale delle zecche. Con la temperatura globale in aumento, molti parassiti trovano un habitat favorevole in aree geografiche un tempo impensabili. Secondo l'autrice, parliamo di «una malattia che produce circa da 300.000 a 400.000 nuovi casi negli Stati Uniti ogni anno». È molto diffusa in molti altri Paesi e sta crescendo rapidamente in tutto il mondo. In Italia, il primo caso registrato della malattia risale al 1983, in Liguria. Sappiamo per certo che nel nostro Paese, nel periodo 1992-98, ci sono stati circa un migliaio di casi (secondo il portale Epicentro, del Ministero della Salute). Le regioni maggiormente interessate sono Friuli-Venezia Giulia, Veneto, Liguria, Emilia-Romagna e Trentino-Alto Adige. Il problema maggiore è la mancanza di un database aggiornato per conoscere l’attuale estensione del fenomeno. Manca anche un sistema di prevenzione e di ricerca che unifichi i progressi fatti dai singoli Stati, in maniera da concentrare sforzi e progressi nel contrasto alla patologia. Il Parlamento europeo se n’è accorto e già negli ultimi mesi del 2018 la Commissione per l’Ambiente e la Sanità Pubblica ha approvato una risoluzione per chiedere maggiore impegno e fondi nella ricerca sulla malattia di Lyme a fronte di dati preoccupanti che la vedono in aumento sull’intero continente. Si stima che, alla data attuale, siano circa un milione le persone in Europa che ne soffrono. Nonostante siano già stati stanziati 16 milioni di euro dall’Unione europea, i parlamentari sottolineano l’importanza di un ulteriore investimento in ricerca e prevenzione che si tradurrebbe in un risparmio di circa 330 milioni già nei primi 5 anni. Ne beneficerebbe anche l'onere finanziario per le cure della malattia.

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WonderLad: la casa delle meraviglie Un nuovo centro costruito a Catania per accogliere bambini e ragazzi che soffrono di gravi malattie oncologiche. L'obiettivo è creare un ambiente creativo e ricco di stimoli. Apre le sue porte il 7 febbraio

di Laura Miraglia

La sala più vasta è dedicata alla lettura, allestita come fosse una grande biblioteca; sei stanze dalle pareti colorate disposte una di fianco l’altra per essere utilizzate come laboratori creativi. L’area che più colpisce è quello dedicata al laboratorio di ceramica. Ognuno degli ambienti ha una finestra che si affaccia direttamente sul giardino esterno, affiancato da un parco giochi e da un ampio parcheggio privato. Siamo a WonderLad, la casa ideata per bambini e ragazzi affetti da malattie oncologiche, che aprirà le proprie porte il 7 febbraio 2020 a Catania. Si respira un clima di armonia e di familiarità all’interno dell’edificio che profuma ancora di nuovo e si estende su un terreno di 12.000 mq. La struttura dispone di uno spazio polifunzionale di 250 mq che mostra all’interno tutta la sua bellezza: oltre alle sei stanze riservate ai laboratori ludicocreativi, ci sono degli uffici amministrativi, un auditorium polifunzionale, una zona notte a disposizione per accogliere ventiquattro persone e sei monovani. Quest’ultimi sono dotati di quattro posti letto, bagno privato, cucina e salotto. L’auditorium promuoverà eventi ed accoglierà gli spettacoli, i cui protagonisti saranno i ragazzi stessi. Un zona esterna sarà utilizzata per insegnare ai ragazzi l’arte e la tecnica della coltivazione. I laboratori si avvieranno nelle sei sale a rotazione: ci sarà quello dedicato alla realizzazione di gioielli, il laboratorio pet therapy, quello per la musicoterapia,

Visualizzazioni a cura dello Studio Frontini Terrana, vincitori del bando per il concorso architettonico del nuovo centro polifunzionale Schizzi progettuali e planimetria generale. ©Frontini Terrana


Una grande attenzione nel progetto è riservata agli ampi spazi esterni, pensati per stimolare la creatività dei giovani ospiti. Qui potranno giocare e apprendere l'arte della coltivazione

le arti visive, la lettura, lo yoga, la cinematografia, la scrittura creativa, la pittura e la scultura. All’interno della stanza adibita per il laboratorio della ceramica sono appese le fotografie dei vasi e delle piccole opere realizzate dai bambini vittime di gravi malattie negli ospedali, anche da chi non c’è più ma ha lasciato un proprio ricordo. Il fine è quello di creare uno spazio di educazione civica, nel quale i ragazzi possano sfidare se stessi e sperimentare. WonderLad è nato da un concorso di architettura bandito da LAD ONLUS al fine di garantire a questi bambini un ambiente protetto nel quale star bene, che non abbia le pareti grigie di una struttura ospedaliera. LAD è l’acronimo della ONLUS fondata nel 2010 da cinque psicologi dell’Unità Operativa di Ematologia ed Oncologia Pediatrica del Policlinico di Catania, con l’obiettivo di migliorare la qualità della vita in ospedale. La realizzazione della casa è stata possibile grazie alla solidarietà diffusa di varie fondazioni, associazioni ed imprese che hanno sposato e sostenuto l’idea, donando del materiale utilizzato per realizzare l’opera. La struttura accoglierà le famiglie con bambini e ragazzi dai primi mesi fino ai vent’anni, in quanto i protocolli medici in ambito pediatrico in oncologia, possono accogliere i giovani fino a quest’età. WonderLad ospiterà anche studenti senza patologie provenienti dalle scuole di Catania, al fine di evitare isolamenti e permettere anche a chi vive situazioni di vita complesse, di non sentirsi più escluso, diverso dagli altri.

©Frontini Terrana

Il centro di Catania 1. Porto 2. Stazione ferroviaria 3. Centro storico 4. Wonderlad

La casa è stata costruita su un unico livello, utilizzando dei materiali naturali e riciclabili. L’obiettivo è quello di avere un basso impatto ambientale, costi di gestione limitati e consumi energetici prossimi allo zero. L’isolamento è in sughero tostato e tutti gli ambienti sono dotati di climatizzazione e di un impianto di ventilazione meccanica, indispensabile per bambini con un debole sistema immunitario. “Giocare tutti insieme, ritrovare una dimensione gioiosa e serena”, sostiene la presidente dell’associazione LAD ONLUS Cinzia Favara Sacco, che descrive WonderLad come un’isola felice, un luogo delle meraviglie. Zeta — 35


Cultura

C'era una volta la Roma di Fellini A 100 anni dalla nascita del regista abbiamo ripercorso i luoghi della Roma felliniana e quelli che ancora oggi lo celebrano. La grande novità sarà la nascita di un museo internazionale a Rimini LA DOLCE VITA

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C’è una strada a Roma, nel rione Ludovisi, rimasta celebre in tutto il mondo per essere stata teatro delle notti mondane di attori, cantanti, intellettuali e cineasti nostrani ed internazionali che furono immortalate dal regista Federico Fellini, di cui quest’anno ricorre il centenario dalla nascita, nel film “La dolce vita”. Parliamo di Via Veneto che, con i suoi illustri locali, ospitava personaggi del calibro di Audrey Hepburn, Marlon Brando, Alberto Sordi, Ava Gardner e Sofia Loren. Frank Sinatra si dilettava a suonare il piano nel locale “Harris” e non era insolito assistere a scontri tra personalità famose. Noto è il pugno che l’attore Peter O’Toole diede al re dei paparazzi Rino Barillari. Oggi Via Veneto appare ancora come una strada elitaria, grazie ai maestosi hotel che la sovrastano. Ma al calar del sole la via non brilla, i marciapiedi sono deserti ed i colori più opachi. Il Cafè de Paris, l’esclusivo locale che fu il preferito dell’ex re Farouk d’Egitto, è in stato di abbandono, i cancelli sono chiusi e dentro è tutto buio. Al fianco di quella che un tempo era l’en-

di Gian Marco Passerini e Fadi Musa


mento. Circondata da negozi, da militari e da poliziotti che devono costantemente placare turisti pronti ad immergersi all’interno ha perso ogni traccia della magia che Fellini aveva creato. La situazione è così caotica che la giunta comunale ha deciso di costruire una barriera protettiva per impedire ai visitatori di sedersi sul bordo della fontana. Il rumore dello scroscio dell’acqua ha lasciato spazio alle urla dei turisti o ai fischietti con i quali si richiamano i più disattenti. Degli anni raccontati da Fellini resiste solo la tradizione del lancio delle monete, atto che propizierebbe un futuro ritorno nella capitale. Fellini nacque a Rimini nel 1920 ma si trasferì a Roma quando aveva solo 19 anni. Qui intraprese la carriera di regista che lo porterà a vincere cinque premi oscar. Quest'anno si festeggia il centenario della sua nascista e per rendergli omaggio sono state organizzate mostre fotografiche,

"Non faccio un film per dibattere tesi o sostenere teorie. Faccio un film alla stessa maniera in cui vivo un sogno"

Foto di Salvo Cannizzaro "Il Matto" di Bagnoregio Da due anni in provincia di Viterbo, per omaggiare Fellini un funambolo cammina sospeso nel vuoto di Piazza Cavour ricreando la scena del film "La Strada".

trata, è appesa una teca con esposte le foto dei celebri ospiti che una volta lo popolavano, come se volesse aggrapparsi ai suoi ricordi, per non dimenticare che un tempo era il centro della movida capitolina. Ovunque nella via è possibile vedere i manifesti di uno dei film più popolari e di successo della storia del cinema italiano, “La Dolce Vita” di Federico Fellini. Con “La dolce vita” il regista volle raccontare la Roma a cavallo tra gli anni 50 e 60. L’Italia era in pieno boom economico e la sua capitale era lo specchio di una nazione che rinasceva. Via Veneto, Piazza del Popolo, la fontana di Trevi sono tutti luoghi simbolo di quel periodo spensierato che Fellini ha reso indelebile con il suo film. Tutti hanno scolpito nella memoria l’immagine del bacio solo sfiorato tra Anita Ekberg e Marcello Mastroianni. I due, immersi fino alle ginocchia nell’acqua della Fontana di Trevi, erano illuminati solo dalle luci soffuse dei lampioni. Nessuno intorno a loro e l’unico suono udibile era quello dell’acqua. Oggi l’atmosfera intorno alla fontana è molto diversa. Colma di turisti che senza nemmeno osservarla si scattano selfie dando le spalle al monu-

Un museo a più sedi Il museo internazionale Federtico Fellini si svilupperà intorno a tre assi: Castel Sismondo, Palazzo Valloni, sede del Cinema Fulgor e piazza Malatesta.

proiezioni e itinerari che ripercorrono la vita del Maestro. Uno degli eventi più importanti è avvenuto il 14 dicembre 2019 a Castel Sismondo a Rimini. Qui ha aperto i battenti “Fellini 100 Genio immortale. La mostra". Un luogo in cui attraverso diversi percorsi tematici si potranno rivivere le memorie e le scene delle opere del regista romagnolo. La mostra non si fermerà solo a Rimini, infatti, prima di varcare i confini internazionali, verrà spostata ad aprile 2020 a Palazzo Venezia a Roma. Proprio nella capitale, presso la Biblioteca Angelica si tiene anche la mostra fotografica “Federico Fellini”, un percorso di trenta foto provenienti dalla Fototeca Nazionale per celebrare questo importante anniversario. La grande novità arrivata proprio nell’anno del centenario, è la conferma da parte dell’amministrazione comunale di Rimini, dell’apertura del Museo internazionale Federico Fellini. Dovrebbe inaugurare entro il 2020 e sarà il più grande progetto dedicatogli. Un dono alla sua memoria e un luogo prezioso nel quale la genialità, l’ironia e l’estro dell’artista riminese saranno fatte conoscere ancora una volta al pubblico. A 100 anni da Fellini la sua Roma non esiste più. La dolce vita è un lontano ricordo, i luoghi sono cambiati e non c’è più traccia di quello che aveva raccontato. Ancora oggi l’aggettivo felliniano viene utilizzato per chi tenta di ricreare l’atmosfera che ha fatto di lui un genio immortale, ma imitarlo e ricrealo non è una cosa per tutti. ■ Zeta — 37


Cultura

Quella libreria che non c'è più In dieci anni a Roma hanno chiuso 223 punti vendita. La Capitale perde pezzi mentre langue in Senato la "legge sul libro" EDITORIA

38 — Zeta

C’è odore di disinfettante nella Feltrinelli di via Emanuele Orlando a Roma. Solo in quella del civico 79, perché l’International, civico 86 pochi metri prima, ha appena abbassato per sempre la saracinesca. Il disinfettante serve a pulire gli scaffali vuoti, di ferro bianco, pronti ad accogliere i libri da trasferire che aspettano nei cartoni “international”. A Roma, la prima libreria Feltrinelli aprì il 10 dicembre 1964, in via del Babuino, pieno centro storico, e chiuse il 31 dicembre 2013. La seconda aprì nel 1976 ed era proprio quel civico 86, affacciato su piazza della Repubblica, diventato poi, vent’anni dopo, la sede dell’International. Chiude un fondamentale melting pot, un riferimento non solo per i turisti, ma anche per le migliaia di studenti stranieri che vivono nella capitale. Una finestra sul mondo, col più vasto assortimento di libri da leggere in lingua originale, improvvisamente sbarrata a causa dei costi di gestione troppo elevati, come dichiara Francesca Manco, responsabile dell’ufficio stampa della Feltrinelli. Un altro segno di come cambia la città. Come in via Margutta non abitano più i pittori che ne erano la fortuna, come non ci sono più intellettuali e scrittori, ad esempio Elsa Morante e Alberto Moravia, che passeggiano per librerie, oggi l’area di piazza del Popolo è stata conquistata da un’altra vocazione, quella turistica, e gli stabili sono stati travolti da prezzi che possono pagare (forse) solo le griffe del lusso. Vediamo i dati. Secondo l’indagine di Confcommercio, sono 223 le librerie chiuse a Roma nei dieci anni dal 2007 al 2017. Dei 414 negozi che si contavano all’interno del Grande Raccordo Anulare ne sono rimasti 191. Va detto che, se per il 2017 si è potuta fare una verifica, telefonica o sul sito web dell’attività commerciale, per accertare che i negozi in questione fossero delle librerie, non vale lo stesso per l’anno 2007, in cui si parla di «punti vendita trattanti i libri»: è possibile quindi ipotizzare che il dato sia sovrastimato. Ma anche altri dati sembrano interessanti. Le pagine di carta dei libri non sono affatto intenzionate a sparire dal palcoscenico del mercato. Secondo il Rapporto sullo stato dell’editoria in Italia 2019, pubblicato dall’Ufficio studi della Associazione Italiana Editori (AIE) tre mesi fa, il bilancio del mercato del libro si chiude positivamente. Cresce, infatti, il numero delle case editrici attive, aumenta il numero di titoli pubblicati in cartadi Livia Paccarié

Via V. Emanuele Orlando, 86

Via dei Serpenti, 107

Via dei Greci, 33

Via del Babuino, 39

Via del Pellegrino, 165

Corso Vittorio Emanuele, 156

Via di Vigna Stelluti, 162

Via dei Fienaroli, 28


Via Clementina, 9

Piazza dei Santi Apostoli, 59

Piazza San Silvestro, 28

Via Belsiana, 22

Via dei Prefetti, 22

Via di Campo Marzio, 72

Piazza Montecitorio, 120

Corso Vittorio Emanuele, 283

Via del Teatro Valle, 47

Via S. Caterina da Siena, 61

Via delle Botteghe Oscure, 1

Via delle Palme, 158

Via Torino, 136

Piazza Navona, 1

Via Cola di Rienzo, 136

Via Vittoria Colonna, 43

ceo e si conferma il calo della produzione di titoli di e-book. E se l’Italia, rispetto alle principali editorie europee, è il Paese che ha i più bassi indici di lettura, collocandosi, inoltre, all’ultimo posto per il livello di comprensione dei testi, soprattutto nelle fasce giovani della popolazione, resta il fatto che la libreria continua ad essere il principale canale attraverso cui gli italiani comprano i libri. È dunque un periodo di commemorazioni librarie, però le librerie, anche e soprattutto quelle indipendenti, non sono mai state così attive e vitali. E lo ha dimostrato, inoltre, la straordinaria affluenza, tre mesi fa, alla Fiera Nazionale della Piccola e Media editoria a Roma, a La Nuvola dell’Eur: più di centomila presenze. Proprio a “Più libri più liberi”, nell’incontro introdotto da Annamaria Malato, amministratore delegato della Salerno Editrice, dal titolo emblematico Le librerie che tengono assieme le città, si è guardato da vicino a quei librai tra i più vivaci portatori di aria di cambiamento, in particolare Alessandro Alessandroni di Altroquando e Davide Vender di Odradek. Accanto (e in seguito) a stime e sovrastime, alcuni nomi da commemorare toccano le corde dell’emozione. Basti pensare, tra gli altri, oltre alla già citata International da cui si è partiti, a The Lion Bookshop, Remainders, Fandango incontro, Colisuem o la libreria del Viaggiatore, storiche librerie, e anche luoghi di incontro con gli autori, che non ci sono più. E si ricordi poi che a Centocelle molti libri sono stati bruciati, stavolta non nei roghi dell’Inquisizione, ma in quelli dei delinquenti che hanno per due volte dato fuoco alla libreria La Pecora Elettrica, i cui proprietari, dopo il secondo incendio, hanno dovuto chiudere i battenti. Spostandosi da Roma, un riferimento speciale va alla Paravia di Torino, nata nel 1802: la seconda più antica d’Italia. Chiusa il 28 dicembre per le feste di fine anno, non ha più riaperto. Le due sorelle che avevano ereditato dal padre la storica libreria hanno scritto un messaggio di congedo sulla loro pagina Facebook ringraziando gli appassionati. Il settore librario arranca, come emerge dai dati e dalle preoccupazioni soprattutto di piccoli e medi librai. E la mano tesa che offre il suo aiuto non è ancora quella delle istituzioni, dal momento che il testo di una proposta di legge per promuovere la lettura, e che aiuterebbe il settore anche dal punto di vista economico, è fermo in Senato dall’estate scorsa. Punterebbe, infatti, alla riduzione degli sconti massimi applicabili sui libri e a una card cultura per i meno abbienti. ■ Zeta — 39


Cultura

Foto di Rita Pavone di Truss, Bob and Jan too!

Due donne agli antipodi hanno segnato il Festival di Sanremo: Rita Pavone e Elettra Lamborghini. Molto diverse dal punto di vista anagrafico, le cantanti rappresentano due diverse epoche musicali: la canzone sanremese classica contro il reggaeton, un genere sudamericano molto ritmato sempre più in voga nel nostro paese. La kermesse dell’Ariston, che ha avuto un grande successo di pubblico, è stata teatro anche della sfida fra le due. La Pavone si ripresenta a Sanremo dopo 48 anni, un ritorno che si è fatto notare più per le sue idee politiche che per le questioni artistiche. Nonostante la sua carriera parli da sola – oltre cinquanta milioni di dischi venduti – gli apprezzamenti per la destra sovranista di Salvini hanno suscitato giudizi negativi. In particolare sono stati criticati alcuni tweet della cantante che, tra l’altro, aveva definito Greta Thunberg “Un personaggio da film horror”. Prima del Festival, l’ex Gian Burrasca non si scomponeva a Tgcom: “So di andare incontro a delle critiche, ma vado avanti per la mia strada. Voglio far scopri-

di Lorenzo Ottaviani

Tra reggaeton e tradizione è il Sanremo delle novità Un Festival iniziato con le polemiche ma che ha saputo sorprendere e far discutere, anche grazie a due figure femminili molto diverse SANREMO

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DAL '58

Un ospite dal passato

Domenico Modugno, Nilla Pizzi e Johnny Dorelli di Cornel_Penescu

Johnny Dorelli è il più anziano del Festival. Il cantante milanese, nato a Milano nel 1937, è l’unico artista insieme a Domenico Modugno ad aver vinto Sanremo per due anni consecutivi. I due in coppia hanno trionfato prima con “Nel blu dipinto di blu” nel ’58, poi con “Piove” l’anno successivo. Cantante confidenziale elegante che si rifaceva allo stile americano, Dorelli raggiunse grandi successi in campo musicale. Nella sua lunga carriera ha condotto programmi radiofonici e show televisivi, oltre ad aver recitato in diverse pellicole italiane fra il ’56 e il 2005. Sposato con l’attrice Gloria Guida dal ’91, da alcuni anni Dorelli si è ritirato. Adesso è tornato sul palco del Festival come ospite.

re una nuova Rita che sa dare ancora tanta energia”. La 74enne torinese, agguerrita sin dall’inizio, si è confrontata con chi in quanto a freschezza e originalità non ha nulla da imparare. Elettra fa Lamborghini di cognome, ma non è un nome d’arte pensato per avere un impatto sul pubblico. La bolognese è la nipote del fondatore della casa automobilistica e, a suon di reality e comparse televisive, si è costruita un importante seguito sui social negli ultimi anni. Non soddisfatta, l’ereditiera ha deciso di farsi largo nel mondo musicale ponendosi come il prototipo della nuova artista pop italiana: giovane e piena di tatuaggi, brava a far ballare e non necessariamente dotata di una voce straordinaria. Sin dal primo singolo Pem Pem Elettra ha raggiunto numeri considerevoli, mettendosi in evidenza come una delle principali rappresentanti del reggeaton italiano. La musica italiana sta andando in questa direzione. Lo testimoniano le scelte di artisti come Eros Ramazzotti e Biagio Antonacci, che hanno provato a cimentarsi con i ritmi caraibici per rinfrescare il proprio stile. Una scelta condivisa da cantanti affermati e giovani in rampa di lancio, che vogliono trovare uno spazio

nel mercato discografico del 2020. L’esempio di Fred De Palma è emblematico: prima rapper specializzato nel freestyle, adesso cantante pop con specialistica in reggaeton. La sua “Una volta ancora” non è stata solo un successo commerciale in Italia, ma ha raggiunto persino il Disco d’Oro in Spagna. Segno di una cultura musicale che si sta spostando, contaminando il panorama commerciale italiano. Sul palco però le aspettative si sono quasi ribaltate. Nonostante la freschezza dell’età Elettra si è frenata, sia musicalmente che come attitudine. Dal reggaeton si è passati ad una canzone latinoamericana leggera, mentre per quanto riguarda il twerking – danza molto in voga tra i giovani basata sul movimento del fondoschiena - la Lamborghini non se l’è sentita di esagerare. Lo ha fatto, il che rappresenta una grande novità, ma in maniera soft. Se la regina del twerk si è “sanremizzata”, dall’altro lato la Pavone ha fatto vedere quanto pesano anni ed anni di esperienza musicale. Le sue performances sono state grintose, quasi rabbiose e vitali, mentre Elettra è apparsa a disagio in una rassegna tanto prestigiosa. Due donne agli antipodi che, nel bene o nel male, hanno saputo stupire. ■

AL 2020

Da X Factor all'Ariston

Anastasio di Giffoni_Experience

“Passo le ore a aggiornare una pagina solo a vedere chi mi ama e chi no. Bruciano gli occhi, lo schermo mi lacera. Guardo la vita attraverso un oblò”. Queste parole le scrive Marco Anastasio, vincitore della dodicesima edizione di X Factor e concorrente più giovane del prossimo Sanremo. Il rapper classe ’97 parla di tematiche giovanili, ma lo fa con spirito critico e con la capacità di fornire immagini emozionanti. Dopo il talent vuole salire di livello, e l'esibizione sul palco dell'Ariston potrà aiutarlo. Zeta — 41


Cultura

Galway 2020 Una nuova capitale per l'Europa La città irlandese, cuore delle tradizioni gaeliche, riceve da Matera il testimone di capitale della cultura europea del 2020. Centro urbano ricco di storia antica e moderna, è oggi uno dei punti di riferimento culturali più vivi e un vero e proprio polo di attrazione per i giovani di tutto il mondo VIAGGI

Soffia impetuoso il vento dell’Ovest. Dall’oceano, fin dentro la baia, guida il volo dei gabbiani, sferza le onde e le bandiere della Promenade. Arriva fino a qui, a Galway. “Alla fine del mondo”, cantavano i Modena City Ramblers. Da dove ogni terra appare distante, eppure allo stesso tempo vicina: perché c’è tanto del mondo in Irlanda e tanta Irlanda nel mondo. Sarà forse anche per questo che l’Unione Europea ha deciso di nominare Galway, una ridente cittadina ancorata in riva all’Atlantico, tra le scogliere di Moher e le verdi colline di Athenry, capitale europea della cultura 2020. È un pomeriggio di fine settembre, la temperatura scende insieme al Sole, lontano a Occidente, e il freddo si fa pungente. Da una solitaria panchina del Famine Ship Memorial Park, una di quelle che danno sulla baia e incatenano lo sguardo all’orizzonte, si scorge il mare aperto e la fine dell’Europa. Di fianco, la storia di un doloroso passato, inciso a eterna memoria sulle due grandi lapidi del parco. Quella di Galway è un’antica storia di commerci, di navigatori, di guerre, ma soprattutto di fame e di emigrazioni forzate, le secolari cicatrici della gente d’Irlanda. Di un evento in particolare parlano le rocce: la Great Famine, la Grande Carestia (in gaelico “An Gorta Mòr”) che dal 1845 al 1849 portò alla morte per inedia un milione di irlandesi, costringendone altrettanti a lasciare la propria terra. Si tratta di un ricordo ormai remoto, eppure ancora presente nelle tradizioni locali, nelle ballate e nelle canzoni, nella cultura della Galway di oggi. di Valerio Lento

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Cultura millenaria quella irlandese, di cui si rinvengono ancora tracce nel gaelico, l’antica lingua celtica, presente nella segnaletica stradale e nei documenti di identità dei cittadini, ciascuno dei quali affianca al nome inglese anche il nome della lingua degli avi. Lingua tutt’oggi insegnata nelle scuole elementari, affinché anche le nuove generazioni mantengano in vita la memoria di un’Irlanda povera e contadina, in perenne lotta contro l’oppressione, assai poco somigliante alla “Celtic Tiger” ricca e prospera degli ultimi due decenni. Dall’elegante e silenzioso quartiere di Salthill, con le sue case a schiera vista mare, la città si sviluppa verso la foce del fiume Corrib, e trova il suo centro nel Quartiere Latino. In un denso agglomerato di strette vie, pub e negozi raccolti all’interno di un pittoresco borgo medievale, ci si ritrova avvolti in un’atmosfera fiabesca, festosa e calda. In ogni angolo ci si imbatte negli spiriti della notte, nei cantori di un mondo magico che si leva al calar del Sole: i buskers, gli artisti di strada. Sono dappertutto, armati di chitarre, fisarmoniche, violini. La camminata diventa lenta, piacevole; ci si perde ad ascoltare il folk irlandese, così ritmato e coinvolgente da non riuscire a resistere alla voglia di cantare, di battere le mani e di improvvisare un ballo goffo e scoordinato con chiunque si presti. Del resto, per un giovane non è un luogo in cui ci si possa annoiare: le vie brulicano di ragazzi di ogni età e di ogni nazionalità, venuti fin quassù in vacanza, per studiare l’inglese in una delle tante scuole di lingua, o per lavorare, attratti dai salari minimi orari tra i più elevati d’Europa. Siamo in tanti, ma ci capiamo, perché ogni cosa in

Note in libertà Gruppi di buskers che animano le strade del centro città, dando vita a una festa senza fine ©Richie Gribbons ©Vera Lynn


Tra birra e colori Quay street, il cuore variopinto del Quartiere Latino, principale destinazione per lo shopping ©Flora Giannone

Un arco di storia Il Lo Spanish Arch, lungo la foce del fiume Corrib. In epoca mercantile fu uno dei principali approdi delle navi spagnole in Irlanda ©Jeffrey Pioquinto

Il ricordo Il Famine Memorial Park nell'elegante quartiere residenziale di Salthill, a eterna memoria delle vittime della Grande Carestia del 1845 ©Tai Pan of HK

L'arte Il Galway City Museum, inaugurato nel 2006, è il più importante centro culturale della città. Sorge a pochi metri dallo Spanish Arch ©Gerard D

Tutti in piazza Eyre Square, la piazza centrale. Nei giorni di festa si riempe di persone, musica e colori. È qui che JFK tenne il suo discrso, nel 1963 ©Keith Ewing

questa città concorre a creare un clima di accoglienza e di integrazione. Ci stringiamo accaldati in un pub intorno a una pinta di Guinness, e scopriamo come in certi momenti basti davvero poco per essere contenti. Per i migliori luoghi di culto della birra, bisogna recarsi in un qualsiasi pub di Quay Street, la principale arteria del Quartiere Latino. L’atmosfera è di quelle che almeno una volta nella vita andrebbero vissute, mangiate con gli occhi e toccate con mano. Quello che può succedere in una notte al Pub, da queste parti, non è un qualcosa di cui si possa scrivere, ma il divertimento e il ricordo di un’esperienza memorabile sono assicurati. Infine, quando la notte si rischiara e il vociare si dissolve, non resta che condurre i propri passi verso Eyre Square. Con un po’di fantasia, si può immaginare la piazza gremita, animata da una folla festante, intenta ad ascoltare le parole di un uomo vestito in giacca e cravatta. “Se in un limpido mattino vi capita di scendere alla baia, e se avete una buona vista, guardate verso ovest: con un po’ di fortuna, vedrete il Massachussets!”. Così parlò John F. Kennedy, in un lontano giorno di giugno del 1963, pochi mesi prima di essere assassinato a Dallas. Si riferiva alla distanza tra l’Irlanda e l’America, resa ancor più breve dal profondo legame etnico che univa ed unisce ancora oggi i due Paesi, alla storia comune che sempre ritorna di emigranti e di profughi. Questa è Galway, una nuova capitale culturale dell’Europa, sospesa tra un passato da preservare e un futuro tutto da vivere. ■ Zeta — 43


Agenda

ARTE

Raffaello, a 500 anni dalla morte apre la mostra evento

di Lorenzo Ottaviani

Giovedì 5 marzo 2020 apre a Roma la più grande mostra mai realizzata su Raffaello Sanzio. Il pittore e scultore, nato ad Urbino nel 1483, è considerato uno dei più grandi artisti di tutti i tempi. L’esposizione avverrà presso le Scuderie del Quirinale e sta ottenendo moltissime prenotazioni da ogni parte del mondo. La mostra monografica - curata da Marzia Faietti e Matteo Lafranconi con il contributo di Vincenzo Farinella e Francesco Paolo Di Teodoro celebra i 500 anni dalla morte Raffaello, avvenuta il 6 aprile 1520, all'età di appena 37 anni. L'esposizione è incentrata sul periodo romano dell’artista, durante il quale riuscì a consacrarsi come pittore leggendario. La mostra racconta con ricchezza di particolari l’intero percorso creativo che ha portato l’autore a dipingere i suoi capolavori. La storica rassegna è stata arricchita da donazioni di molte istituzioni tra le quali i Musei Vaticani, il Louvre, la National Gallery di Londra, il Museo del Prado, la National Gallery of Art di Washington e il British Museum. Una collaborazione internazionale che porterà alla mostra più completa di sempre sull’artista urbinate.

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Questi due esempi delle opere esposte: "Autoritratto con amico (1518-1520) Raffaello si rappresenta con una persona tutt’ora ignota su uno sfondo scuro uniforme. Il pittore guarda fisso lo spettatore come a presentare il personaggio davanti a lui, che si volge all'indietro. Interessante la postura dell’amico, che sembra impegnato in uno scambio di presentazioni. Il taglio dei personaggi è ravvicinato, a mezza figura, con giochi di sguardi e gesti che comunicano colloquialità. Sono figure dinamiche e monumentali, esempio dei modi di rappresentare che si andavano sviluppando in quegli anni. "Madonna d'Alba" (1511) La scena mostra Maria seduta in terra mentre tiene su una gamba il Bambin Gesù, il quale gioca con san Giovannino afferrandone la croce. Il gesto, che appare come un naturale gioco tra fanciulli, cela in realtà precisi valori religiosi come l'accettazione del destino da parte di Cristo, preannunciato dal Battista. La resa sfumata degli incarnati di Leonardo e l'esaltazione plastica e sciolta delle forme di Michelangelo sono i riferimenti di Raffaello. Nonostante questi però, l’urbinate non rinuncia all’immediatezza delle sue figure.


MUSICA

La tigre fa 80 di Gian Marco Passerini

Mina, l’interprete più celebre della musica italiana, il 25 marzo compie 80 anni. Da quando nell’estate del 1958 accettò di salire sul palco della Bussola, è rimasta sulla scena. Proprio lo scorso novembre è uscito il suo ultimo album “Mina Fossati”. Era il 1997 quando nacque l’idea di questa collaborazione con il cantautore che però è andata in porto solo nel 2019. A Mina si associa spesso il mistero della scelta di non Il 4 marzo di Lucio Dalla Il cantautore bolognese nasceva 77 anni fa. Nel 1971 incideva la sua 4 marzo 1943, celebre canzone che racconta la storia di una ragazza madre che ebbe un figlio con un soldato. A causa di alcuni versi il brano subì la censura. In principio si doveva chiamare "Gesùbambino" e non è un un brano sulla vita di Dalla.

comparire più pubblicamente dal 1978 a oggi. La sua ultima apparizione è legata al suo concerto tenuto proprio al Bussoladomani di Viareggio. I suoi brani hanno accompagnato una generazione che l’ha ascoltata nei giradischi, nelle musicassette e sulle reti Rai. Oggi la tecnologia si è evoluta e questi sono diventati oggetti da collezionisti, ma la tigre di Cremona sembra essersi adattata anche a queste evoluzioni rimanendo “La voce della musica italiana”.

Il 9 marzo di Barbie Non solo una bambola, ma un'icona globale e collettiva. Nonostante ne dimostri sempre 20, quest'anno Barbie compie 60 anni. Dal giorno in cui ha debuttato al New York International Toy Fair, il 9 marzo 1959, è stata interprete delle trasformazioni estetiche e culturali della società lungo oltre mezzo secolo di storia.

World Water Day Il 22 marzo si celebra la giornata mondiale dell’acqua, ricorrenza istituita dalle Nazioni Unite nel 1992. Ogni anno gli Stati membri sono invitati alla promozione di attività concrete per salvaguardare questa risorsa vitale. Un diritto fondamentale, secondo l’ONU, ancora violato ed ignorato nei Paesi più poveri del mondo.

SPORT

CINEMA

Una Maratona ...Eterna

Tom Cruise a Roma

di Jacopo Vergari

di Fadi Musa

Il 29 marzo si correrà la Maratona della Capitale, con il nuovo nome di “Acea Run Rome The Marathon”. Migliaia di runner si sfideranno su un percorso tortuoso e tecnico, immerso nella Città Eterna. Partenza e arrivo su via dei Fori imperiali, per un viaggio nel tempo lungo 42.195 metri. Bellezza, arte e storia si mescoleranno a fatica e passione. Diverse le novità in questa edizione. Per la prima volta l’evento è stato organizzato da un ATI (Associazione temporanea di imprese) composto da Infront, Corriere dello Sport, Italia Marathon Club e Atielle. Altri cambiamenti sono l’esordio del format staffetta, composto da quattro frazionisti, e lo spostamento della stracittadina (gara amatoriale aperta a tutti) al giorno precedente la competizione regina. Pronta una nuova medaglia, ispirata alla cupola del Pantheon. A Roma ogni atleta correrà nella Storia per scrivere la propria.

Tanti auguri Ligabue Il 13 marzo il cantante di Correggio compirà 60 anni. Previsti a settembre, a Campovolo, anche i festeggiamenti per i 30 anni di carriera. La sua prima traccia ufficiale risale al 1988, anno di incisione, insieme agli Orazero (la sua band) del primo 45 giri “Anime in plexiglass/Bar Mario”.

SPORT

Aperta la caccia a Hamilton di Valerio Lento

Da metà marzo Roma diventerà il set dell’ultimo capitolo del filone cinematografico “Mission Impossible”. Tom Cruise, nei panni di Ethan Hunt, interpreterà alcune delle scene mozzafiato che contraddistinguono la serie, e lo farà senza l’ausilio di controfigure, come è solito fare. Le riprese si concentreranno nel rione Monti. Roma si presta poco a questo genere di film, per via dei sanpietrini che danneggiano le auto di scena, e del traffico caotico, ma continua ad attirare le case cinematografiche d’oltreoceano grazie ai suoi suggestivi paesaggi.

Il 15 marzo si aprirà con il GP di Melbourne, in Australia, il campionato di Formula 1 del 2020. Tutti a caccia delle Mercedes, che da cinque anni dettano legge, ma soprattutto del cinque volte campione del mondo Louis Hamilton. La Ferrari, che conferma alla guida delle sue monoposto Vettel e Leclerc, si candida ancora una volta a principale avversario del campione inglese e della scuderia tedesca, nel tentativo di riconquistare il titolo di campione del mondo che manca ormai dal lontano 2007.

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Spunti

LIBRI

SERIE TV

FILM

MUSICA

La ricamatrice di Winchester

Dracula

Diamanti Grezzi

Music to be murdered by

di Tracy Chevalier Neri Pozza 287 pagine 15,30 euro

di Mark Gattis, Steven Moffat Netflix, BBC 2020 3 x 1h 30m

di Benny Safdie, Josh Safdie Netflix 2019 2h 15m

di Eminem Records, Aftermath, Shady Hip hop 12 euro

La ragazza con l’orecchino di perla ha compiuto vent’anni e Tracy Chevalier ha appena fatto nascere una nuova eroina: Violet Speedwell. Una delle “donne in eccedenza” nell’Inghilterra degli anni Trenta, così il Times definì circa due milioni di donne inglesi alla fine della Prima Guerra Mondiale: nubili, spesso dopo la perdita di un fidanzato – e di un fratello, come nel caso di Violet – e costrette quindi a scontrarsi con una società fondata sul matrimonio. Una donna la cui rivoluzione sfiora il parossismo, a colpi di ago e filo, nel ricamo dei cuscini destinati ai fedeli della cattedrale di Winchester, città in cui, da Southampton, sempre in modo rivoluzionario, aveva scelto di trasferirsi da sola. «È questo il guaio quando si assumono le donne, prima o poi se ne vanno perché trovano marito. A volte mi domando perché mai quelle del vostro sesso si cerchino un lavoro». Per non essere schiave della famiglia, avrebbe voluto rispondere Violet, se non avesse avuto paura di perdere il posto.

La miniserie, ispirata al classico di Bram Stoker, è composta da tre episodi di un’ora e mezza ciascuno. La trama si snoda attraverso tre diversi momenti della vita del vampiro e ognuno di questi porta ad una demitizzazione del personaggio. Comincia in un monastero dell’800 dove sorella Van Helsing interroga l’avvocato Harker, scappato dal castello del conte Dracula in Transilvania. L’interrogatorio porta al racconto della sua prigionia nel labirintico castello e svela il motivo del tradizionale odio del vampiro per la croce. Il secondo episodio ci porta sempre più dentro al mito del vampiro, mentre seguiamo il suo viaggio verso l’Inghilterra. Dracula non appare più come una bestia assetata di sangue, c’è una logica nel modo in cui si nutre. Il viaggio del conte si conclude sulle sponde inglesi, ma nel 1987. Uno sbalzo temporale che porterà il protagonista a liberarsi dalla sua sofferenza. Un adattamento nuovo che avvicina lo spettatore all’uomo dietro al vampiro.

Diamanti Grezzi (Uncut Gems) è l'ultima fatica dei fratelli Safdie. Adam Sandler, il mattatore indiscusso di questo lungometraggio, veste i panni di Howard Ratner, traffichino gioielliere ebreo col vizio delle scommesse, sempre in bilico tra il successo e la catastrofe. In una Manhattan caotica e trafficata, Ratner verrà travolto dagli eventi innescati dalla compravendita di un opale trafugato dall'Etiopia, un affare che dovrebbe liberarlo dal giogo di Arno, suo cognato che lo minaccia con la forza per riavere i soldi prestati a strozzo. Disturbante, rumoroso e sincopato, i due registi tengono incollato lo spettatore grazie a dialoghi serrati, ritmi narrativi intensi e una carica ansiogena che cresce durante tutto l'arco narrativo. Diamanti Grezzi è un film capace di creare un sentimento di empatia nei confronti dell'ambiguo, eppure così umano, Howard Ratner. Che oltre a essere un bel protagonista, è anche la rivalsa attoriale di Adam Sandler, capace di interpretare anche ruoli drammatici.

Uscito all’improvviso, segna il ritorno in scena del re del rap e nasce con l’idea di un tributo al regista Alfred Hitchcock, il maestro del brivido che nel 1958 aveva pubblicato un disco dal titolo omonimo. L’album numero undici dell’artista arriva dopo “Kamikaze” (2018) ed è il risultato del lavoro coordinato di tre case discografiche (la Interscope Records, la Aftermath di Dr. Dre e la Shady Record, dello stesso Eminem). Nelle venti tracce proposte, si spazia dal pop di “Those Kinda Nights”, realizzata in collaborazione con Ed Sheeran, all’old di “You Gon’ Learn”, featuring di spessore con Royce Da 5’9? and White Gold. Muovendo dalla denuncia delle critiche degli ultimi anni, l’artista cresciuto a Detroit arriva a toccare temi attuali nell’America contemporanea. Come in “Darkness”, dove critica il modello americano di liberalizzazione delle armi da fuoco tra i cittadini. E non manca lo spazio per esercizi di stile. In Godzilla, l’extrabeat - tecnica volta alla velocizzazione del brano - desta un effetto ipnotico sull’ascoltatore.

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