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Ethan 2.0, Il codice rubato

Il codice rubato

di Ethan 2.0

Mi chiamo Daniele e ho 30 anni. Faccio la guardia giurata in un museo.

Oggi, prima di prendere servizio, ho pensato di radermi accuratamente. Dopo la doccia, mi sono messo davanti allo specchio e ho iniziato a insaponarmi il viso con la schiuma da barba. In effetti non ho molta barba, forse perché sono di carnagione chiara, capelli castano chiari e occhi verdi, insomma, un tipo niente male, ma voglio comunque essere perfetto per questa giornata importante.

Oggi il mio capo mi metterà alla porta d’ingresso perché esporremo un manufatto molto prezioso prestato dal museo del Louvre, che resterà esposto soltanto per una settimana. Si tratta del Codice di Hammurabi, una fra le più antiche raccolte di leggi scritte, risalente al XVIII secolo a.C. e appartenente alla civiltà babilonese: un testo in scrittura cuneiforme inciso su di una stele in diorite alta 2,25 metri.

Dopo un paio d’ore di lavoro mi venne fame e andai al punto di ristoro per prendere uno snack. In quel momento sentii suonare il campanello della porta d’ingresso e saltò la luce; così presi la torcia e andai a controllare, ma non vidi nessuno. Per sicurezza andai nella sala in cui era esposto il manufatto. Avevo paura, mi tremavano le gambe. Vidi il mio collega steso a terra. Mi chinai e capii che qualcuno l’aveva colpito in testa, ma la cosa peggiore era che il manufatto era scomparso! Pensai di chiamare la polizia, ma ce la potevo fare da solo. Nel frattempo l’altra guardia si riprese dal trauma e decise di aiutarmi nell’indagine: dovevamo scoprire a tutti i costi chi era il colpevole! - Sono scappati! Dovevano essere in 3 o 4 - dissi. - Da qui c’è solo un’altra porta oltre a quella da cui sei arrivato tu - rispose il mio collega Andrea.

- Ok, andiamo a vedere. - Guarda! Là in terra ci sono dei frammenti, probabilmente avranno preso la scala per i sotterranei. Lì c’è una porta che dà all’esterno”.

Corremmo giù dalle scale e trovammo un foglietto strappato che riportava dei numeri: erano quelli della combinazione dell’allarme della teca in cui era custodita la stele!

Forse i ladri erano ex-dipendenti del museo, oppure erano hacker che avevano sottratto i codici dal computer del museo.

Proseguimmo lungo i sotterranei fino alla porta; uscimmo e trovammo delle sgommate sull’asfalto. Le seguimmo soltanto fino a un certo punto, perché poi s’intrecciavano con altre provenienti da diverse direzioni. Ormai li avevamo persi!

Tornammo indietro, perché tanto lì non c’era altro da fare.

Rientrati al museo avvisammo il direttore e lo informammo dei nostri sospetti.

Il direttore ci diede una lista degli ex-dipendenti.

Iniziammo a leggerla.

Uno di questi nomi ci colpì particolarmente: si trattava di Gabriele, che lavorava al mio posto prima di essere scoperto mentre stava rubando dei soldi dalla cassa del bar.

Un altro sospettato era Giorgio, che era una guardia addetta al controllo del salone principale. Era stato licenziato, perché aveva derubato dei visitatori.

A quel punto chiamammo la polizia e la informammo dei nostri sospetti, comunicando gli indirizzi e i numeri di telefono di ciascuno dei presunti colpevoli. Consegnammo anche il frammento di carta con i numeri della combinazione che avevamo trovato in fondo alle scale.

La polizia esaminò anche i vecchi contratti d’assunzione di Gabriele e di Giorgio e vide che la calligrafia del numero di telefono di Gabriele era uguale a quella del

codice dell’allarme.

Così gli investigatori si recarono a casa sua per effettuare una perquisizione.

Dopo qualche giorno, la polizia ebbe conferma del colpevole: si trattava proprio di Gabriele che, insieme ad un gruppo di delinquenti, aveva elaborato e messo a punto il piano per rubare la stele, che fortunatamente venne ritrovata intatta nel suo garage, nascosta tra scatole di attrezzi.

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