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Cold War In The Space
di L’Attacca Ventose + Legolanchimeto
Era il primo maggio del 1972. La missione Apollo 11 aveva avuto successo e la NASA pensò che se avevano conquistato la Luna potevano farlo anche con Marte, il pianeta più vicino alla Terra. Così gli scienziati della NASA iniziarono a costruire un razzo più potente e resistente delle navicelle, Apollo. Anche i russi, dal canto loro, non volevano essere da meno, ma erano indietro rispetto agli americani. Potevano solo sperare che i rivali non arrivassero a destinazione. La notte prima del gran giorno tutti andarono via dalla base lasciando il razzo in custodia a due guardie. Tutto sembrava tranquillo, ma, non si accorsero che dietro un angolo oscuro apparve una figura nera che camminando silenziosamente e attentamente riuscì ad intrufolarsi nel razzo senza farsi scoprire. Dentro il razzo piazzò una bomba a comando remoto che sarebbe esplosa solo quando il tasto del telecomando sarebbe stato premuto.
A Cape Canaveral era arrivato il giorno della partenza per Marte. Tutti erano indaffarati nel controllare che fosse tutto in ordine: il capo ingegnere White, che si riconosceva da lontano data la sua altezza e la giacca scintillante che indossava sempre stava controllando il motore. Il Capitan Shield, che aveva un sigaro sempre in bocca e i capelli neri sparati all’indietro pieni di gel, assieme a due stagisti stava controllando che gli interni fossero in sicurezza per gli astronauti e il termotecnico Williams, con la sua folta chioma di capelli rossi e ricci, finiva con la sua squadra gli scudi termici.
Gli astronauti erano stati addestrati a Houston, alla NASA tra i migliori al mondo.
George Stubborn e Robert Stubborn erano due gemelli dai capelli biondi e il naso a punta, tutti e due molto curiosi e pronti all’avventura, il terzo, Robert Davids, tra i candidati per la missione Apollo 11, era bravissimo.
Arrivò l’orario della partenza, gli astronauti iniziarono a salutare le loro famiglie prima di intraprendere il viaggio.
“Tornerò presto! Non far arrabbiare la mamma, capito?” diceva Davids a suo figlio.
“Vogliamo vedere le foto delle riprese televisive di quando saremo su Marte, ok?” dicevano i gemelli Stubborn ai loro genitori. I tre erano molto emozionati e in fibrillazione all’idea di passare alla storia, ma allo stesso tempo erano preoccupati che qualcosa andasse storto, ma salirono ugualmente sul razzo.
A Cape Canaveral tutti iniziarono il countdown urlando: “10! 9! 8! 7! 6! 5! 4! 3! 2! 1! LANCIO!”
Il razzo partì senza problemi, aveva raggiunto i 40.000 chilometri orari e stava superando l’atmosfera terrestre, quando, 10 secondi dopo essere arrivato nello spazio, la sua immagine sparì e così anche la comunicazione con gli astronauti si interruppe. Dopo un po’ l’immagine ricomparì, mostrando il razzo esploso alla NASA e al mondo, dato che l’evento era trasmesso in diretta TV. Si potevano leggere sulle facce delle persone stupore e tristezza, ma soprattutto rabbia tra gli scienziati della NASA: “MA COME È STATO POSSIBILE!?!?”
Il razzo, non avendo più la propulsione del motore, andò in rotta di collisione con la Terra. Intanto la NASA aveva già preparato i battelli per recuperarlo, visto che sarebbe caduto in mare. Per loro fortuna l’unica cosa ancora in funzione erano gli scudi termici, così il razzo non si disintegrò entrando nell’atmosfera terrestre. I resti vennero recuperati e studiati attentamente alla base. White notò che l’esplosione non era partita dal motore, dato che aveva trovato delle componenti intatte. Nel frattempo il capitano Shield aveva capito che l’esplosione si era concentrata nel posto di comando, poiché quella parte era completamente distrutta.
Chiamò quindi un suo amico detective e le forze dell’ordine, annunciandolo a tutti quelli che si trovava-
no a Cape Canaveral. Il detective si chiama John Brown. Aveva una folta chioma di capelli bruni e mossi, era robusto e di statura media. I suoi colleghi lo chiamavano “White Panther” perché si vestiva sempre di bianco. Aveva l’abitudine di portare tre orologi, per non sbagliare mai ora: era un tipo davvero previdente!!
Arrivato a Cape Canaveral in compagnia dei suoi due cani poliziotto, salutò il suo vecchio amico: “Ciao, Chester! Sono arrivato il prima possibile, data la rilevanza dell’evento!” “Già. Abbiamo scoperto che non è stato il motore a provocare l’esplosione, che invece è partita dalla sala comandi”, disse Shield. “Dalla sala comandi?! mi pare strano…”, commentò Brown. “Da lì è impossibile che esploda qualcosa, a meno che qualcuno non abbia attivato una bomba! Mi duole dirglielo, capitano, ma siete tutti sospettati”.
Mentre con il suo fotografo stava raccogliendo testimonianze, il detective ne ascoltò una molto interessante rilasciata dai due stagisti: “Mentre assistevamo il capitano controllando gli interni, siamo rimasti indietro, perché lui stava camminando molto velocemente, come se ci volesse seminare… E per un po’ l’abbiamo anche perso di vista…”, fece uno. “È vero”, disse l’altro.
“Grazie, ne terrò conto. Fatevi fare la foto e potete andare” disse Brown.
I due stagisti parlavano un perfetto inglese, ma il detective rimase colpito dal loro strano accento che non sembrava americano. John decise di fare qualche domanda al capitano riguardo alle accuse degli stagisti: “Chester, mentre controllavi gli interni, sei per caso rimasto solo soletto?” gli chiese Brown. “Sì, è proprio di questo che ti volevo parlare. Avevo detto ai due stagisti di uscire dal razzo perché era tutto a posto. Arrivato all’uscita, li ho chiamati, ma non ho ricevuto risposta. Mi sono guardato attorno, ma non c’era nessuno. Anche se cammino velocemente, sarebbero dovuti essere dietro l’angolo! Secondo me, qualcosa non quadra”, af-
fermò il capitano.
Il detective era molto insospettito dai due stagisti, così cercò la loro identità in una banca dati di criminali, ma senza successo. Poi fece una ricerca facciale attraverso le loro fotografie e scoprì che erano in realtà di origine russa e che due anni prima erano stati accusati di sabotaggio in una fabbrica di sottomarini inglesi!
Intanto, i due criminali che erano nella sala telecamere avevano visto le loro facce con i loro veri nomi. Allora, compresero che erano stati scoperti! Brown avvisò il capitano Shield della vera identità dei due stagisti, ma i criminali erano già appostati dietro la porta dell’ufficio del capitano.
Appena sentirono la maniglia muoversi si prepararono a colpirlo con una mazza. Il capitano era molto arrabbiato con quei due, voleva arrivare subito da Brown per acciuffarli. Prendendo velocemente la giacca, aprì la porta per andare alla sala telecamere, ma rimase sconvolto nel vederli e non riuscì a reagire in tempo che aveva già perso i sensi.
Brown, non vedendo arrivare il capitano, andò a cercarlo nel suo ufficio, ma di lui lì non c’era traccia. Provò anche a telefonargli, ma nessuno rispose. Decise quindi di cercarlo attraverso le telecamere e lo trovò.
Era legato ad una sedia, in una stanza buia. Pensò fosse all’ultimo piano, dove non c’era mai nessuno perché la ristrutturazione non era stata completata. Così andò a controllare: aveva pensato bene, vedeva il suo caro amico in mano ai due criminali e in serio pericolo di vita. Si sentivano le loro voci minacciose che lo interrogavano. Allora Brown estrasse dalla tasca il suo teaser, mirò attraverso l’unica luce accesa nella stanza e riuscì a colpire il primo. L’altro, vedendo cadere a terra il compagno, rimase sorpreso e in quell’istante il detective riuscì a colpire anche lui.
Brown entrò nella stanza e andò subito a slegare il capitano e con quelle stesse corde immobilizzò i due cri-
minali. Loro vennero portati in prigione e condannati a rimanerci a vita dopo essere stati processati.
Il capitano non poteva ridare la vita ai suoi colleghi, ma era felice che quei due non avrebbero più sabotato altre missioni importanti e che anche lui, grazie al suo vecchio amico Brown, fosse ancora vivo.