Periodico di informazione bimestrale –gennafio-febbraio 2020
Anno X - N° 1 2020 € 5,00
Martha Paletto
“LO STREETWEAR FASHION EMERGENTE”
Uniqlo
“RAPPORTO QUALITÀ E PREZZO”
Atelier di Maria
“LO STILE RAFFINATO E RICERCATO”
Vittorio Sgarbi
“LA PASSIONE PER IL BELLO”
TM
The global event for multi-site restaurant operators looking to grow their business Join 2,200 restaurant chains, franchise partners, travel operators, private equity investors, property players, and food tech & restaurant industry suppliers.
2020
28-29 APRIL
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/ Editoriale
gennaio\febbraio 2020
MARTHA PALETTO: GIOVANI STILISTI CRESCONO
Inauguriamo questo primo numero di Beesness dell’anno trattando del tema della moda. Nello specifico, scriviamo di una giovane stilista, Martha Paletto. Tutti noi abbiamo sempre in mente i “soliti” nomi famosi del fashion, ma le nuove generazioni avanzano, come Martha Paletto. Dopo aver conseguito una laurea allo IED - Istituto Europeo di Design - di Torino, ha trasformato la sua passione in lavoro e nel 2019 ha creato il marchio MFGA - Make Fashion Great Again -. Disegnare moda è diventata la sua ragione di vita, ma non dimentica le rinunce e le difficoltà, anche economiche, che ha dovuto affrontare agli inizi della carriera di stilista. Il settore della moda si declina anche in brand come l’Atelier di Maria, giovane messicana che ha recentemente aperto il suo showroom a Milano, il colosso giapponese Uniqlo che fa del rapporto qualità/prezzo il suo punto di forza e Vibram, specializzata nella produzione di suole per calzature, per citarne alcuni. I marchi sono anche sempre più attenti al tema della sostenibilità, ossia si impegnano a tutelare l’ambiente attraverso processi produttivi realizzati ad hoc. Tra gli altri, possiamo ricordare Tiziano Guardini, Gilberto Calzolari e Chiara Boni, che con le loro creazioni fondono l’arte per il bello con i tessuti meno inquinanti e possibilmente più “green”.
Altro comparto di rilievo nazionale è quello del food. Che si tratti del famoso Chef Pietro Leemann, che fa della sua cucina vegetariana il suo credo esistenziale o della cantina Garbole dei fratelli Finetto, che da sempre recuperano e coltivano vitigni storici veronesi, è tutto un fiorire di iniziative. Oltre allo sviluppo di catene di ristorazione, nuove professioni si diffondono in questo ambito. È il caso di Stefania Casali, food photographer. Non potete immaginare quanto impegno ci sia dietro ad una fotografia di un piatto o all’organizzazione di una cena tra commensali che non si conoscono, in inglese “social eating” o ancora a predisporre che un “personal chef” si rechi a cucinare direttamente presso la dimora dei proprietari. A partire da questa pubblicazione di Beesness, nell’ultima sezione della rivista, non mancate la lettura degli articoli sul franchising, le recensioni dei libri e le interviste a Augusto Bandera, Segretario di Assofranching, a Mario Resca di Confimprese e al CEO di Domino’s Pizza. La sezione è corredata anche da interessanti schede informative sui franchisor. La Redazione vi augura un nuovo anno ricco di tante soddisfazioni professionale e personali. Giovanni Bonani Direttore Responsabile
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/ INDICE
32 News
Altagamma, Matteo Lunelli, Brooks, Apposta, Primark, Le Quotabili 2019, L’imprenditore dell’anno, DM drogerie markt, Euronics, Burger King, KFC, Patatas Nana, CosmoBike Show, Milano Contract District, Mind The Gum, Von Poll Real Estate, L’app Xtribe, Calligaris.........................................................................8
Everlane – U.S.A.
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Impresa
La "trasparenza radicale" può contribuire fortemente al successo...... 18
L’Atelier di Maria
Fashion
Chef Pietro Leemann
Food
Dove ricerca ed eleganza incontrano lo stile raffinato ....................... 22
Alta cucina vegetariana a Milano ..................................................... 46
Martha Paletto
Garbole: la cantina con il fattore H
Stilista emergente dello streetwear fashion Made in Italy ................. 24
Una cantina che in pochi anni è già ai massimi livelli mondiali ..... 50
Moda e sostenibilità
Elior, il n°1 nella ristorazione collettiva
Un binomio indissolubile per garantire il futuro del pianeta ........... 30
Intervista a Rosario Ambrosino, CEO di Elior Italia ...................... 54
Benvenuti a Uniqlo
Food photographer
Inaugurato anche a Milano il nuovo store ........................................ 32
La fortuna di chef, blogger e riviste culinarie .................................... 58
Il restyling di Triumph
Social eating e personal Chef
La strategia di innovazioni omnichannel ......................................... 34
I trend che impazzano tra foodies e i nuovi business in espansione .......60
Le mercerie Il negozio delle nonne si evolve e diventa hobby center...................... 36
Vibram Quando comfort e innovazione coesistono in una calzatura ............. 38
Reebok rebranding Il nuovo logo più facilmente riconoscibile per il consumatore ............ 40
Mad Mood Il franchising della moda ................................................................... 42
Baselworld 2020 Dalla transizione alla svolta ............................................................. 44 6
46
54
Impresa
Intelligenza etica
Lo sviluppo scientifico e tecnologico che trasformerà la società .......... 64
Lionard Luxury real estate Intervista a Dimitri Corti ................................................................. 66
Mam-manager Come diventare mamme e imprenditrici .......................................... 70
Intervista a Carlo M. Ciaramelletti Silicon Valley andata e ritorno .......................................................... 74
MIPIM 2020
Life Style
...e ti dirò quali affari farai ................................................................ 88
Art Hotel Villa Fiorella
Turismo
Fughe ideali per il collezionista doc ................................................... 94
Pejo plastic free Il primo comprensorio sciistico che ha detto addio alla plastica ........ 98
L’hotel è (anche) no kids Per una fascia di pubblico in cerca di pace e relax nella natura ...... 102
Superbrands awards
Premio
LEGO è “Superbrands of the year” 2019 ....................................... 104
Tecnologia
Una formula di successo innovativa .................................................. 78
Musica e marketing
Dimmi come ti vesti...
Centri Commerciali
Intera catena del valore e multiattività nel real estate ...................... 76
L’ascesa dei DNVB
gennaio\febbraio 2020
Musica
News in town Locali, bar, ristoranti e vini da enoteca ........................................... 106
Il loro rapporto nella terra dei Like ................................................... 80
L'arte del bello
Cultura Franchising italiano
Intervista a Vittorio Sgarbi ................................................................ 82
Leonardo il mito Intervista a Philippe Daverio ............................................................ 84
La cultura è rispetto A colloquio con il giudice Margherita Cassano ................................. 86
Franchising
Il bestseller delle storie di impresa .................................................... 108
Resca, Confimprese Triplicato il numero di franchising in Russia in un decennio ......... 110
Dall’eleganza alla mignottocrazia Rubrica Quadrante ......................................................................... 112
Assofranchising La prima associazione italiana di categoria ................................... 114
Tipologie di accordi di franchising Master, Multi-Unit e Multi-Brand Franchising ............................. 116
Augusto Bandera Intervista al Segretario generale di Assofranchising ........................ 118
Domino’s Pizza
84
98
La prima catena di pizza in franchising negli Stati Uniti ............. 124
Area franchising I migliori franchisor operativi in Italia ........................................... 128 7
/News
NOVITÀ IN CASA ALTAGAMMA Fino al 10 dicembre 2019 è andata in onda la campagna televisiva “MANIfesto”di Altagamma, realizzata con i canali del gruppo Discovery Italia: Real Time, NOVE, Food Network e Giallo. Questa iniziativa fa parte di un percorso di sensibilizzazione a favore dei mestieri tecnici e professionali, alla base del Made in Italy d’eccellenza. L’obiettivo è quello di offrire uno spaccato coerente della situazione manifatturiera italiana e di sensibilizzare e di informare le famiglie, ma soprattutto i giovani, ad intraprendere queste professioni, consapevoli che nei prossimi anni saranno 236mila le figure specializzate richieste dalle aziende dei settori moda, del design, dei gioielli, dell’automotive, dell’ospitalità e dell’alimentare. “MANIfesto” presenta una creatività che si concentra sull’importanza delle mani per compiere gesti fondamentali della vita: mani che realizzano prodotti unici, con cui modellare ambizioni; mani che aprono la mente e stringono risultati; mani che danno forma al domani. La campagna televisiva “MANIfesto” fa parte del progetto “I talenti del fare”, presentato a Montecitorio, insieme alla pubblicazione del Libro Altagamma dedicato. Il volume descrive, oltre ai mestieri più richiesti, le 24 Corporate Academy delle imprese Altagamma e propone l’elenco delle 77 scuole tecniche e professionali italiane, con cui i soci collaborano. Due esperti del settore, protagonisti del progetto, sono stati disponibili ad approfondire la tematica con chi ne avesse fatto richiesta. Il libro “I talenti del fare” è stato protagonista del salone nazionale Job & Orienta, organizzato dall’Ente Fiera di Verona, dedicato all’orientamento, alla scuola, alla formazione e al lavoro, svoltosi il 28 novembre 2019. Altagamma riunisce dal 1992 le migliori imprese dell’Alta Industria Culturale e Creativa, che promuovono nel mondo l’eccellenza, l’unicità e lo stile di vita italiani. Unica per la sua trasversalità, accoglie 110 brand che operano in settori strategici come moda, design, gioielleria, alimentare, ospitalità, motori e nautica. La mission è di contribuire alla crescita e alla competitività delle imprese, offrendo così anche un contributo allo sviluppo economico del paese. L’alto di gamma in Italia rappresenta un’industria di 115 miliardi di euro e fornisce un contributo al PIL del 6.85 per cento. L’export corrisponde al 53 per cento e fornisce occupazione a 402mila lavoratori, sia in forma diretta sia indiretta.
MATTEO LUNELLI, NUOVO PRESIDENTE DI FONDAZIONE ALTAGAMMA, PER IL TRIENNIO 2020-2022 A Milano, il 13 dicembre 2019, l’Assemblea dei Soci di Fondazione Altagamma, che dal 1992 riunisce le imprese dell’alta industria culturale e creativa italiana, ha ufficialmente approvato il nuovo Consiglio di Amministrazione per il triennio 2020-2022. Matteo Lunelli, Presidente e CEO, Cantine Ferrari, già Vice Presidente negli ultimi due mandati triennali, è stato nominato Presidente di Fondazione Altagamma, al posto di Andrea Illy (Presidente, illycaffè), che nel corso del suo mandato ha portato i Soci da 76 a 110. Accanto alle conferme di Claudio Luti (Presidente, Kartell) come Vice Presidente del Design, Lamberto Tacoli (Presidente e CEO, Perini Navi) come Vice Presidente per la Nautica e Paolo Zegna (Presidente, Ermenegildo Zegna) nominato Vice Presidente per la Moda - si segnalano i nuovi ingressi di: Sabina Belli (CEO, Pomellato) Vice Presidente per la Gioielleria, Stefano Domenicali (Presidente e CEO, Lamborghini) Vice Presidente per l’Automotive, Giovanni Geddes da Filicaja (CEO, Gruppo Frescobaldi) Vice Presidente per l’Alimentare e Aldo Melpignano (Managing Director, San Domenico Hotels) Vice Presidente per l’area Ospitalità. Inoltre, sono state introdotte due Vice Presidenze trasversali: una per l’Internazionalizzazione, affidata a Dario Rinero (CEO, Gruppo Poltrona Frau) e una per i Talenti e il Capitale Umano, affidata a Laudomia Pucci (Vice Presidente e Image Director, Emilio Pucci). Il Presidente Fondatore Santo Versace, il Presidente Onorario Leonardo Ferragamo, insieme al Past President Andrea Illy sono stati scelti come invitati permanenti al Consiglio di Amministrazione. A quanti sopra elencati, si aggiungono 19 consiglieri e tre revisori contabili. In occasione dell’Assemblea dei Soci, Matteo Lunelli ha confermato che la mission della Fondazione Altagamma è quella di contribuire alla crescita e alla competitività delle imprese dell’industria creativa culturale italiana e, indirettamente, del Sistema Italia, che nel prossimo futuro dovrà confrontarsi con le sfide della società odierna, in termini di internazionalità, di sostenibilità e di contemporaneità, lanciate da un numero sempre più crescente di clienti asiatici, dai Millennial e dalla Generazione Z.
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gennaio\febbraio 2020
BROOKS SOSTIENE IL POTERE DEL CAMBIAMENTO AFFIDATO ALLA CORSA A Milano, il 25 novembre 2019, presso lo spazio W37, si è svolto un evento organizzato da Brooks, retailer di abbigliamento, di calzature e di accessori sportivi, insieme a Media, influncer, celebrità, rivenditori e aziende del settore. Brooks si propone di ispirare la comunità del running con l’affermazione che la corsa possa cambiare una giornata, la vita e il mondo. Il marchio, nato nel 1914, fa parte della holding Berkshire Hathaway Inc. di Warren Buffet con sede a Seattle ed è oggi leader nel settore del running in oltre 50 paesi. Il successo risale al 2001, quando decide di concentrarsi unicamente sui prodotti per la corsa. Da allora, calzature come Glycerin, Adrenaline o Ghost sono indossate dai corridori in tutto il mondo. In questo ultimo periodo, Brooks ha avuto un tasso di crescita medio superiore al 15 per cento annuo. In Italia, negli ultimi sei anni, il fatturato è cresciuto del 65% e Brooks si è posizionato come secondo marchio a livello di market share in performance running. Le storie di trasformazione sono state le protagoniste della manifestazione. Il giornalista Matteo Caccia ha intervistato noti personaggi come Giovanni Storti o Giusy Versace, ma anche i corridori comuni, come Sandra, Alberto e Francesco, vincitori dell’iniziativa #tellusyourhappystory, risalente a ottobre 2019. Per Brooks, parte integrante del concetto di cambiamento è l’impegno per il futuro e per l’ambiente. A questo proposito, ha lanciato in questa occasione il progetto Runsformation 2020, in collaborazione con la società Esosport – specializzata da dieci anni nel settore dello smaltimento – che promuove la raccolta e il riciclo delle scarpe da corsa usate, per realizzare nuove piste d’atletica in diverse città italiane. Entro il 2020, si prevede di riutilizzare più di 10mila scarpe. I rivenditori fungeranno da punti di raccolta su tutto il territorio italiano. I prodotti di Brooks traggono ispirazione anche dalle idee degli utilizzatori e la filosofia “Run Happy” è finalizzata a celebrare e a sostenere la disciplina della corsa e i corridori di tutto il mondo.
APPOSTA INNOVA LA TRADIZIONALE FILIERA DELLA CAMICERIA ITALIANA La manifattura di alta qualità e il capo confezionato su misura si incontrano con il digitale per offrire a chiunque la possibilità di acquistare online una camicia di standard elevato creata su gusti, stile e forme del singolo cliente che la riceverà a casa in sole due settimane. In oltre il 98% dei casi è perfetta al primo ordine. Oltre il 93% delle recensioni dei clienti definiscono in termini entusiastici l’esperienza di acquisto su www.apposta.com. Inoltre, l’utilizzo del solo canale digitale consente un abbattimento dei costi di commercializzazione e quindi di offrire camicie di alta qualità a prezzi competitivi. Apposta nasce dall’incontro tra Gianmarco Taccaliti, erede dell’omonimo e centenario laboratorio di camiciai di Camerano, in provincia di Ancona, e Gianluca Mei, esperto di strategie e tecnologie digitali. La nuova realtà di “mass customisation” propone un prodotto realizzato sulle misure e sullo stile del cliente, su scala globale e con una produzione esclusivamente su ordinazione. Un modello d’impresa, quello di Apposta, che ha il vantaggio di non avere stock di prodotti finiti e di non produrre neppure una camicia in più del necessario, risparmiando risorse ed energia a favore dell’ambiente. Si tratta perciò di un approccio di business digitale che offre un alto livello di valore al cliente, a prezzi inferiori, senza sprechi e con una maggiore sostenibilità ambientale. I processi e le competenze manifatturiere tradizionali sono stati potenziati per operare in modo più dinamico e on demand. Il quartier generale di Apposta è a Londra, ma la produzione è al 100% italiana. Il sito guida in modo semplice e intuitivo l’utente nella scelta tra più di tremila miliardi di combinazioni. Un’ampiezza di offerta in grado di rispondere ai diversi gusti, esigenze e preferenze di vestibilità. L’attenzione alla qualità è confermata anche dalla selezione dei tessuti, che sono quanto di meglio proponga il mercato. Apposta ha vinto nel 2019 il Netcomm E-Commerce Award nella categoria fashion, come innovativo modello di business nel settore dell’abbigliamento, per l’elevata evoluzione tecnologica del suo e-shop e l’efficacia della relazione con il cliente. Il brand ha ricevuto in precedenza altri riconoscimenti, entrando anche in finale al prestigioso premio internazionale UK E-commerce Award nel 2018. 9
/News
PRIMARK INAUGURA IL SUO SECONDO STORE NELL’AREA DI MILANO E IL QUINTO IN ITALIA Il 4 dicembre 2019 Primark, retailer internazionale che offre abbigliamento alla moda a prezzi competitivi, ha inaugurato il nuovo punto vendita presso il centro commerciale Fiordaliso a Rozzano. Fiordaliso è uno shopping center in continua evoluzione e grazie ad una completa ristrutturazione accompagnata da un’operazione di rebranding, rappresenta una destinazione di shopping unica ed esclusiva in Italia. Questa nuova apertura ha contribuito a creare significative opportunità di impiego a livello locale, con oltre 270 nuove posizioni lavorative. Il nuovo store di Primark ha una superficie commerciale di oltre 5000 mq, suddivisa su due piani e propone le ultime novità nel settore moda dedicate a tutta la famiglia – uomo, donna e bambino – inclusi calzature, accessori, biancheria intima, tessili per la casa e prodotti di bellezza. Inoltre, offre le nuove gamme realizzate in cotone 100% sostenibile, dal denim alla biancheria da notte e alle lenzuola. Il layout e il design del punto vendita riflettono il format Primark più contemporaneo. Lo store comprende 52 camerini, 39 casse, Wi-Fi gratuito e quattro zone relax. Anche i dipendenti possono godere di spazi dedicati, arredati con elementi moderni e confortevoli, come ad esempio il “Recharge Cafè”, con una cucina luminosa completamente attrezzata. Fondata a Dublino nel 1969, Primark è presente con oltre 370 punti vendita in 12 paesi: Irlanda, Gran Bretagna, Spagna, Portogallo, Germania, Paesi Bassi, Belgio, Austria, Francia, Stati Uniti, Italia e Slovenia. Impiega più di 75mila dipendenti e tra il 2018-2019 ha aperto 15 negozi, creando oltre 4mila nuovi posti di lavoro. Per mantenere i prezzi così competitivi, Primark non si affida alla pubblicità televisiva, vende i prodotti solo in negozio ed elimina il superfluo (come ad esempio gli attaccapanni e le etichette con i prezzi). Grande attenzione è rivolta ad una produzione accurata, nel pieno rispetto dei diritti dei lavoratori e dell'ambiente. Il Team Environmental Sustainability di Primark, che conta oltre 110 esperti dislocati in paesi chiave per le forniture, gestisce le varie problematiche – l'approvvigionamento di materie prime e l'impatto ambientale dei processi di produzione nelle fabbriche – e verifica la conformità agli standard internazionali.
IL PREMIO LE QUOTABILI 2019 DI PAMBIANCO La 14esima edizione del ranking delle aziende quotabili dei settori Fashion, Beauty, Design e Rivestimenti si è svolta a Milano, in Piazza Affari, a Palazzo Mezzanotte, il 27 novembre 2019, durante un'esclusiva cena di gala. Organizzatrice dell’evento è stata Pambianco, società di consulenza strategica che opera nei settori life style. Obiettivo della ricerca è stato quello di selezionare le società italiane dotate di caratteristiche economiche, finanziarie e di posizionamento, per essere quotate in Borsa in un orizzonte temporale di 3/5 anni. Un fatturato superiore ai 50 milioni di euro nell’ultimo esercizio considerato è stato il fattore discriminante per la selezione delle aziende non quotate. Le società sono successivamente state ordinate in una classifica sulla base di otto parametri sviluppati da Pambianco, a ciascuno dei quali è stato attribuito un valore percentuale. Aggiudicarsi il premio Pambianco Le Quotabili significa per le imprese avere una certificazione della propria capacità di produrre valore. Nel 2019 i riconoscimenti sono stati consegnati nell’ambito di un appuntamento esclusivo di networking fra le eccellenze imprenditoriali italiane. L’analisi per l’edizione 2019 ha selezionato 40 aziende del Fashion, 10 aziende del Beauty, 20 aziende del Design e 10 del settore Rivestimenti ed ha sottolineato come creatività, eccellenza, intuito e innovazione siano qualità peculiari del Made in Italy. I mercati azionari si sono dimostrati e si dimostrano sempre ricettivi nei confronti degli imprenditori italiani votati alla crescita, alla internazionalizzazione e all’innovazione. Il settore moda ha visto al primo posto Sportswear Company SpA (di cui fa parte il marchio Stone Island), cui seguono Golden Goose e Valentino. Per il settore bellezza al primo posto risulta l’Istituto Ganassini (proprietario del marchio Rilastil), Davines e AGF88 Holding Srl (che possiede il marchio Alter Ego Italy). Tra le aziende del Design, in ordine decrescente abbiamo Minotti, Design Holding (Flos, B&B Italia, Paulsen, Arclinea) e Brand SpA (proprietaria del marchio Davide Groppi). Nel campo dei Rivestimenti abbiamo Laminam, Florim e Iris Ceramica. Nel corso della serata sono stati assegnati anche tre premi speciali dedicati ai parametri della crescita organica (Laminam, Golden Goose e Stone Island), della redditività (Pedrali, Kartell e Gianvito Rossi) e della sostenibilità (Davines). 10
gennaio\febbraio 2020
EY ELEGGE L’IMPRENDITORE DELL’ANNO 2019 La società EY – leader mondiale nei servizi professionali di revisione e di organizzazione contabile, di assistenza fiscale e legale e di transazioni e consulenza – ha celebrato a Milano, il 21 novembre 2019, la 23esima edizione del “Premio EY: l’imprenditore dell’anno”. L’evento è stato sostenuto da Banca Akros (gruppo banco BPM), Board International e da P101. L’importante riconoscimento è riservato a imprenditori italiani alla guida di aziende con un fatturato di almeno 25 milioni di euro, che abbiano saputo creare valore, con spirito innovativo e visione strategica, contribuendo alla crescita dell'economia. Massimo Perotti di Sanlorenzo SpA, leader nella produzione di yacht di altissima qualità, ha ricevuto il riconoscimento più importante. Oltre a questo, sono stati consegnati sei premi di categoria, un premio speciale della giuria e il premio EY start up. Gli altri vincitori sono: Angelo Benedetti (Unitec SpA) per la categoria Industrial & Diversified Products; Michele Adriani (Adriani SpA) per il Food & Beverage; Giancarlo e Alberto Zanatta (Tecnica Group SpA) per il Fashion, Design & Luxury; Emidio Zorzella e Massimo Bonardi (Antares Vision SpA) per L’Innovation; Laura Colnaghi Calissoni (Gruppo Carvico) per la Globalization e, infine, Attilio, Matteo e Paolo Zanetti (Zanetti SpA) per il Family Business. Il premio speciale della giuria è stato conferito a Paolo Maggioli (Maggioli SpA), mentre il premio EY start up è stato consegnato a Mattia Capulli e Andrea Riposati (Dante Labs). La giuria ha scelto Massimo Perotti come imprenditore dell’anno in quanto è riuscito a portare il marchio italiano ai vertici mondiali, come massima espressione di eleganza e di esclusività del Made in Italy, investendo costantemente sul territorio e sulle persone. Oltre che imprenditori rinomati, in giuria erano presenti il Direttore di Luiss Business School, Paolo Boccardelli, e il Professore ordinario di Corporate Strategy presso l’Università Bocconi di Milano, Guido Corbetta.
DM APRE IL QUINTO STORE A MILANO, IN CORSO SEMPIONE "dm drogerie markt", fondata in Germania nel 1973, è oggi la più grande catena commerciale europea di prodotti per la cura della persona e della casa, presente in 13 paesi con oltre 3.600 punti vendita, 62mila dipendenti e più di 11 miliardi di euro di fatturato. Prosegue il suo piano di espansione in Italia, iniziato a novembre 2017. Il 5 dicembre 2019 ha inaugurato a Milano un nuovo punto vendita, in corso Sempione 65/A. Salgono così a quota cinque i punti vendita nel capoluogo lombardo, mentre in Lombardia si registrano undici negozi. Durante l’inaugurazione si è inoltre potuto degustare una selezione di prodotti della linea biologica dmBio, una delle oltre 30 private label di dm. L’esperienza di acquisto che contraddistingue dm si esplica in un ambiente accogliente e moderno, in un servizio di consulenza competente e in articoli di altissima qualità a prezzi convenienti. Lo store propone un’offerta specializzata in prodotti per il make-up e per la cura e la salute della persona, completata da un ampio assortimento di articoli per l’infanzia, la casa e il pet care. L’intera gamma conta oltre 14mila referenze, con una particolare attenzione rivolta ai prodotti naturali e salutistici, come i cosmetici naturali certificati, gli alimentari biologici, gli integratori e i dispositivi medici. A copertura dell’intero assortimento, dm propone anche più di 4mila prodotti a marchio proprio, che garantiscono qualità analoga a quella dei grandi marchi, ma a prezzi molto convenienti. Tra le marche dm più apprezzate, in Italia e in Europa, i cosmetici Balea, la cosmetica naturale certificata alverde, l’alimentazione biologica dmBio e le linee di integratori e di dispositivi medici Mivolis. All’interno del drugstore è inoltre disponibile il servizio di stampa fotografica self-service da smartphone, fotocamera o chiavetta USB. 11
/News
EURONICS PRESENTA IL NUOVO CONCEPT STORE “INTERACTIVE” A Milano debutta la nuova generazione di negozi Euronics, il primo Gruppo in Italia nel retail market. L’insegna ha intrapreso, da un anno a questa parte, un percorso di trasformazione importante, che ha come obiettivo quello di rendere i Soci del gruppo retailer ‘omnilocali’, quindi attivi su tutti i touch point, ma nel contempo fortemente focalizzati sul territorio e sulla centralità dei punti vendita fisici e degli addetti in negozio come vero valore differenziante sul mercato. Lo store di Corso XXII Marzo, location centrale e da sempre punto di riferimento per la vendita di prodotti hi-tech ed elettrodomestici per i milanesi, presenta il nuovo concept dell’insegna sviluppato per offrire un’esperienza “omnilocale” e personalizzata al consumatore, dove i vantaggi offerti dalla tecnologia digitale si uniscono a quelli dell’esperienza in negozio. In quest’ottica il nuovo punto vendita, fiore all’occhiello della catena nell’area di Milano, è stato sviluppato includendo elementi innovativi a partire da: • un ambiente rinnovato nel quale l’esperienza di acquisto sarà più piacevole e in cui le funzionalità ed il valore dei prodotti esposti saranno esaltati • elementi di comunicazione che renderanno il punto vendita in grado di raccontare al consumatore i prodotti in assortimento e plus dell’insegna Euronics • tecnologie digitali che forniranno informazioni sull’offerta, non limitandosi a quanto fisicamente esposto nel punto vendita • strumenti che aiuteranno il team del punto vendita a servire al meglio i visitatori Per Euronics il punto vendita è anche un “tool” di comunicazione: l’ingresso dello store è ampio e comunica immediatamente al cliente attraverso una serie schermi. I video presentano i servizi disponibili, le particolari promozioni in corso e le ultime novità.
BURGER KING® RESTAURANTS ITALIA APRE IL PRIMO BK® CAFÉ: IL NUOVO CORNER È STATO INAUGURATO NEL RISTORANTE DI POGLIANO MILANESE Burger King ® lancia il primo BK® Café, un vero e proprio bar caffetteria che servirà colazioni, merende e birra. Si potranno gustare specialità tipiche della nostra colazione come caffè, cappuccino e brioches, donuts, muffin, torte e piccola pasticceria, oltre che aperitivi originali grazie alle snack box salate e alle quattro varietà di birra alla spina Heineken. Il primo corner è stato inaugurato all’interno del ristorante a gestione diretta di Pogliano Milanese (in provincia di Milano). Il nuovo format, che coniuga lo stile americano di Burger King® con quello di un bar all’italiana è il primo corner di questo tipo ad aprire in Europa. Con questo nuovo progetto, infatti, l’Azienda si pone l’obiettivo di venire ancora più incontro alle esigenze dei consumatori italiani inserendo tra le proprie proposte di hamburger, snack e gelati anche il segmento della colazione, delle merende e della birra, offrendo in questo modo un servizio più ricco e orari più estesi. L’arredamento del nuovo corner riprende i colori e i materiali utilizzati per il ristorante, con tonalità calde e tanto legno per ricreare un ambiente confortevole e informale. BK® Café nasce con l’intento di accogliere i clienti tradizionali con la miglior offerta e il miglior servizio in tutti i momenti della giornata, a partire dalla colazione che rappresenta per gli italiani una sorta di rituale. Oltre alle classiche promozioni del ristorante, il nuovo BK® Café godrà di offerte dedicate sia permanenti che a tempo limitato, come la carta fedeltà del caffè, il menù colazione caffè e brioche a solo 1 euro o la possibilità di completare il proprio menù con un caffè a soli 50 centesimi. 12
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TERZO RISTORANTE KFC IN PIEMONTE Recentemente Kentucky Fried Chicken ha aperto il terzo ristorante in Piemonte, precisamente nel nuovo Settimo Cielo Retail Park di Settimo Torinese. Il locale dispone di 100 posti a sedere nella sala e 40 nel dehors. I punti vendita di KFC in Piemonte sono gestiti in franchising dalla US Food Network S.r.l. a cui, in Italia, fanno capo in tutto 12 ristoranti del brand. Corrado Cagnola, Amministratore Delegato di KFC Italia, ha affermato che lo sviluppo dell’insegna continua su tutto il territorio nazionale, con l’obiettivo di arrivare a 50 ristoranti nei prossimi mesi. Calin IONESCU, Amministratore Unico di US Food Network s.r.l. società che gestisce in franchising il nuovo ristorante di Settimo Torinese, continua a supportare l’espansione del brand KFC in Italia e il Piemonte in questo si conferma una regione importante. Con i 3 ristoranti nella regione KFC dà lavoro complessivamente a circa 100 persone provenienti prevalentemente dal territorio. Il colosso del pollo fritto è nato nel 1930, negli Stati Uniti, ed oggi conta oltre 22.000 ristoranti in 138 paesi. Il brand è sbarcato nel Bel Paese nel 2014. Ad oggi KFC conta 40 ristoranti in 12 regioni. Il numero di addetti è di circa 1.300 unità. Giro d’affari 2019 (previsione): 65 milioni.
PATATAS NANA APRE UN CORNER ALL’AEROPORTO DI LINATE, IN PARTNERSHIP CON AREAS - MY CHEF Il 27 ottobre 2019, giorno della riaper tura ufficiale dell’aeroporto di Linate a Milano, Patatas Nana, in partnership con Areas - My Chef, ha aperto il suo primo corner in Italia, nella zona dedicata alle partenze. Patatas Nana sono le prime patatine in Italia realizzate artigianalmente e con solo tre ingredienti, senza conservanti e aromi, da gustare calde, grazie alla speciale lampada brevettata, e sfuse, in apposite vaschette. Patatas Nana sono disponibili al naturale o con vari abbinamenti: al curry piccante, al lime e pepe nero Maricha, alla paprika dolce affumicata e con aceto balsamico di Modena IGP 3 stelle. Nasce così uno snack fragrante, sano, gustoso e gourmet per tutti coloro che sono in fila al check in o devono aspettare un volo. L’idea di Patas Nana è dello chef Michele Gilebbi, che rileva una vecchia friggitoria a Granada, nel cuore della Sierra Nevada, in Spagna. Il nome, nana, prende spunto da una ninna nanna del poeta Federico García Lorca. L’incontro a Senigallia, nelle Marche, con Francesco Mazzaferri, commerciale del settore food, segna la vendita su larga scala. Dal 2016 sono commercializzate in Italia in oltre 1.500 punti vendita e possono essere degustate nei migliori cocktail bar, locali, club, enoteche, drogherie, bistrot e presso negozi e luoghi attentamente selezionati. Per chi non potesse fare a meno di mangiarle a casa, è possibile acquistarle nello shop on-line. Le patate sono di sola varietà Agria coltivate in Spagna. Alla raccolta segue la conservazione, sotto terra al buio, per mantenere intatte le proprietà organolettiche. Dopo la pulitura e una leggera pelatura, sono tagliate e fritte in olio di girasole puro. La salatura del prodotto avviene a mano. Macchinari innovativi, che garantiscono il sapore originale, contribuiscono ad imbustare il prodotto. La breve scadenza, le patatine vanno consumate entro 5 mesi, è indice di genuinità e di qualità. 13
COSMOBIKE SHOW Il primo grande evento del calendario ciclistico italiano torna a Verona Fiere, dal 15 al 16 febbraio 2020. È caratterizzato da esibizioni acrobatiche, incontri con i campioni, gare e test ride su circuito. Ospita i big player del settore, i loro ultimi modelli e le tecnologie più all’avanguardia. Hanno già confermato la propria partecipazione i marchi Scott, Focus, Cicli Olympia, Bottecchia, Fantic, Wilier Triestina, Cicli De Rosa, Merida, Beltrami, e Husqvarna. Il CosmoBike Show celebrerà l’inizio del 2020 per il settore, con un appuntamento sempre più trasversale; rivolto sia ai ciclisti più esperti sia agli appassionati e sia a chi si sta avvicinando a questa attività per la prima volta. È stata rinnovata la partnership con La Gazzetta dello Sport, che proporrà un format totalmente nuovo, con oltre 40 eventi e talk show, vissuto insieme ai grandi campioni del passato e del presente. I contenuti proposti sono volti a catalizzare l’attenzione di un mondo pronto a inaugurare la stagione agonistica e di vendita. L’evento CosmoBike Show si prefigge di riuscire a stupire, educando il pubblico e promuovendo la bici come protagonista della mobilità di tutti i giorni, in un’ottica di sostenibilità e di rispetto per l’ambiente. Questi obiettivi si coniugano con la mission di Ferrovie dello Stato Italiane e delle sue società, Trenitalia e RFI che, insieme alla Fondazione FS, saranno presenti con uno stand all’edizione 2020. Nell’ambito della manifestazione le società di FS organizzeranno iniziative ad hoc per far conoscere il proprio impegno sulla sostenibilità. Uno degli obiettivi della società FS è quello di dare impulso a un turismo integrato fra treno e bici, per promuovere la riscoperta dei territori e delle ricchezze paesaggistiche, storico-culturali ed enogastronomiche dell’Italia, in un’ottica di delocalizzazione e destagionalizzazione dei flussi e dei movimenti turistici. Questa modalità di viaggio mira a creare delle nuove greenways, laddove alcune linee ferroviarie siano state dismesse, in collaborazione con le istituzioni locali regionali. Per l’edizione 2020 sono anche state studiate due iniziative ad hoc per il turismo in sella: l’area CosmoBike Tourism, con le migliori proposte e attrezzature e l’Italian Green Road Award, l’Oscar delle migliori ciclabili d’Italia. Il successo del nuovo format consumer di CosmoBike Show è stato confermato sia dalle aziende sia dal grande pubblico nella scorsa edizione: 32mila visitatori, 183 aziende e marchi presenti, oltre 40 talk e 2.500 test bike.
MILANO CONTRACT DISTRICT: LA START UP INNOVATIVA CHE HA RIVOLUZIONATO IL SETTORE IMMOBILIARE Fondata nel 2016 da Lorenzo Pascucci, conta oggi su una solida struttura logistica interna e su un team di oltre 60 professionisti, confermandosi il modello di business vincente, che ha portato il design nel settore immobiliare, rivoluzionando i processi costruttivi e di vendita, grazie a nuovi prodotti e soluzioni per il real estate. Con sedi anche a Roma, Torino e Parma, nonché in altre città italiane fino alla vicina Svizzera e con oltre 1.300 unità abitative in consegna entro il 2021, MCD ha portato e tuttora porta innovazione – dei processi costruttivi – cultura e formazione nel settore real estate. In merito all’innovazione, il Joint Research Center Proptech del Politecnico di Milano ha inserito la design platform, insignita della Menzione d'Onore all'ultima edizione del Compasso d'Oro, tra le 75 start up attive nel segmento immobiliare italiano. I plus di MCD possono essere riassunti nell’offerta, rivolta ai professionisti del settore – operatori del real estate, architetti e interior designer – di un pacchetto di servizi esclusivi "chiavi in mano", pensati per rispondere al meglio alle mutevoli esigenze del mercato immobiliare residenziale e nella nuova piattaforma More+Space, il primo modello integrato Design & Build, dedicato alle micro unità abitative. MCD ha sviluppato il contract di Interior, come chiave dell'ottimizzazione degli spazi abitativi e del percorso di personalizzazione degli appartamenti di nuova costruzione, attraverso un processo integrato, in termini di arredamento e di costruzione, che consente di realizzare edifici sempre più aderenti ai mutati bisogni dei cittadini metropolitani, progettando ogni unità immobiliare a partire dall'interior fit-out. MCD si afferma anche come promotore di cultura, attraverso incontri mirati tra progettisti e sviluppatori, per indagare il rapporto tra imprenditoria immobiliare e progettazione. Nel contempo, MCD è diventato una case history universitaria. Ideazione, progettazione, marketing e fornitura di progetti personalizzati sono gli aspetti fondanti e distintivi di MCD che, attraverso il suo concept showroom di 1700 mq, riunisce i migliori brand del mercato italiano, offre anche un coordinamento professionale e diretto di risorse dedicate per ogni fase, sia del progetto sia del cantiere. MCD si contraddistingue per un innovativo approccio della formula del Contract System che promuove, a sua volta, un nuovo profilo di General Contractor: dalla definizione del capitolato B2B (per la fornitura personalizzata su richiesta del costruttore e dell'architetto) si arriva ad interagire con gli acquirenti finali, attraverso lo showroom e i servizi esclusivi in un inedito modello B2B2C. MCD, riconosciuta eccellenza lombarda, oggi ha in attivo partnership su oltre 60 cantieri non solo a Milano, ma anche a Roma e a Torino.
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NOVITÀ IN CASA DELLA SOCIETÀ MIND THE GUM Mind The Gum, l’innovativa gomma da masticare per la mente di Giorgio Pautrie – prodotta nel 2015 dalla Dante Medical Division, azienda farmaceutica innovativa che commercializza integratori alimentari – inizia il nuovo anno proponendo cambiamenti. La formulazione, che combina 15 elementi attivi tra vitamine, sali minerali e nutrienti è potenziata per garantire una maggiore e più duratura efficacia sulla concentrazione ed il sapore ne è migliorato. Oltre ai bar e alle farmacie, all’incirca 3mila PV, il prodotto è ora acquistabile nella GDO italiana, nelle catene distributive regionali e nelle aree di servizio di autostrade, di stazioni e di aeroporti. Inoltre, Mind The Gum vede l’ingresso di un testimonial d’eccezione, la stella del calcio svedese Zlatan Ibrahimović, che da acceso sostenitore del prodotto è anche diventato socio dell’azienda fondatrice. L’attaccante svedese sarà il volto ufficiale del nuovo slogan del brand, “Success is a State of Mind”, che rispecchia il concetto di energia mentale sposato dalla società, perché è proprio in una mente lucida e concentrata sugli obiettivi che risiede la via per il successo. Dalla sua creazione, Mind The Gum ha continuato ad attrarre nuovi consumatori e ad oggi sono all’incirca 5 milioni i chewing gum venduti. Questa nuova categoria merceologica, ossia quella delle gomme da masticare per la mente, insieme ai mercati degli integratori alimentari e degli alimenti funzionali, vale più di 270 miliardi e mostra un trend di crescita costante. Inoltre, 11 miliardi di questa cifra dipendono dalla vendita di prodotti per la concentrazione e la memoria. Mind The Gum ha chiuso il bilancio 2019 con un fatturato pari a un milione di euro. A fine 2019 è stato messo in vendita anche in altri sette paesi europei tramite e-commerce e in alcuni punti vendita fisici in Svezia.
IL GRUPPO TEDESCO VON POLL REAL ESTATE APRE AGENZIE IN FRANCHISING IN ITALIA Von Poll Real Estate, società immobiliare con sede a Francoforte, espande le sue attività in Italia. Oltre ai centri già attivi a Vicenza e Bolzano, entro la fine del 2020 saranno avviate nuove agenzie in franchising anche in Toscana, a Milano, a Venezia, a Trieste e in località sul Lago di Garda e sul Lago di Como. L’operazione porterà a un piano di assunzioni tra le 25 e le 30 persone selezionate per guidare lo sviluppo dei centri Von Poll Real Estate. Von Poll Real Estate offre soluzioni immobiliari di alto livello nelle località più esclusive e rinomate, in vendita o in affitto, in Italia o all’estero: dalle residenze di prestigio al settore residenziale che comprende ville, case coloniche, appartamenti in città, residenze di campagna nel verde o seconde case per le vacanze. La società si occupa anche di valutazioni immobiliari con il supporto di periti qualificati e di locazioni di immobili commerciali da adibire a uffici e magazzini. Uno dei principali vantaggi della rete Von Poll Real Estate è la dislocazione capillare delle agenzie in tutta Europa, complessivamente oltre 300, e la possibilità di avere esperti del settore che conoscono in modo approfondito il mercato immobiliare nella propria area di competenza. Il network è presente in Germania, Austria, Svizzera, Spagna, Portogallo, Italia, Paesi Bassi, Lussemburgo, Grecia e Bulgaria. 15
CON L’APP XTRIBE OGNI OGGETTO HA UNA SECONDA VITA Il trend del second hand market è in ascesa e la nuova app Xtribe contribuisce ad abbattere gli sprechi. Non solo Black Friday e Cyber Monday, ma anche nuovi modi per fare bella figura con i doni natalizi risparmiando. L’anno scorso la spesa media è stata di 541 euro, sulla base della ricerca di Deloitte Xmas, più del 2% rispetto all’anno precedente. La facilità con cui si acquista via E-commerce, che nel 2018 ha registrato l’11 per cento di vendite in più rispetto al passato, ha portato a un incremento notevole della spesa, a scapito di vacanze, di investimenti e di occasioni conviviali. Nel 2019, nel mercato Usa, anche grazie ad una rinnovata sensibilità nei confronti delle tematiche green e della sostenibilità, la tendenza dominante è quella della vendita e dell’acquisto di prodotti di seconda mano, con un giro di affari le cui proiezioni; nel 2023, sono pari a 51miliardi di dollari. In Italia, sulla base dello studio dell’Osservatorio sull’economia di seconda mano, nel 2018 il mercato dell’usato ha raggiunto il valore di 23miliardi di euro, registrando un incremento del 28% negli ultimi 5 anni. Il second hand market, oltre agli spazi fisici scanditi nei quartieri a degli orari e a dei giorni stabiliti, ha sempre più successo nei market place che ricorrono all’utilizzo di corrieri. Tra i canali di vendita in cui il mercato dell’usato prende vita c’è Xtribe, l’app da 700mila download che permette di vendere, di acquistare e di barattare qualsiasi prodotto con le persone e i negozi che sono nelle vicinanze, grazie ad un sistema di geolocalizzazione integrato. La start-up, co-fondata da Mattia Sistigu, è un valido strumento per ripensare al Natale, in un’ottica green, che elimina anche le emissioni di CO2 generate dai motori dei corrieri.
FSC ITALIA PREMIA CALLIGARIS SPA COME AZIENDA “TOP” PER SOSTENIBILITÀ NEL LEGNO-ARREDO La Calligaris S.p.A., azienda leader del settore e riconosciuta come icona italiana in tutto il mondo, è stata premiata dalla Forest Stewardship Council Italia (FSC Italia) per la "Categoria Living e sistemazione", in quanto fin dal 2006 ha deciso di dotarsi della certificazione FSC per alcuni dei suoi prodotti in legno. Calligaris ha partecipato al concorso presentando la sedia CREAM, dallo stile e dal design inconfondibili, dimostrando la costanza di produzione e vendita di prodotti certificati FSC nell’ultimo triennio 2017-2019, come richiesto dalle clausole del concorso. Inoltre, per la sua premiazione è stato valutato positivamente anche l’uso corretto delle etichette e dei marchi FSC, non solo sul prodotto candidato ma anche su quelli esposti al Salone del Mobile 2019. La certificazione FSC di filiera per il legno si conferma un asset strategico per le imprese del settore. Oggi Calligaris è un gruppo che fattura 142 milioni di euro, presente in 650 punti vendita nel mondo e distribuito in oltre 100 paesi, con una quota di export pari al 70%. La sua offerta di prodotti copre l’intero universo dell’arredamento, dalla sedia – l’oggetto iniziale – ai tavoli, dai letti ai complementi, dai tappeti all’illuminazione e agli oggetti per un totale di 5.000 codici a catalogo con più di 25.000 combinazioni disponibili.
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EVERLANE – U.S.A. La "trasparenza radicale" può contribuire fortemente al successo A cura di Fabrizio Valente, fondatore e amministratore Kiki Lab - Ebeloft Italy
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gennaio\febbraio 2020 Un progetto di abbigliamento nato online e ora multicanale, con un posizionamento coraggioso, che condivide in modo trasparente con i clienti aspetti in genere riservati dell’attività: dai margini dei prodotti alle condizioni di lavoro nelle fabbriche produttive.
INFO CHIAVE Online + store abbigliamento 2011: lancio ecommerce 2017: apertura a New York 2 negozi (New York, San Francisco) 185-270 mq: range superfici 40 mln $ fatturato 2017 51 Paesi raggiunti con l’online Everlane è un retailer americano di abbigliamento nato con un progetto chiaro: offrire stile con un approccio etico e valoriale. Partito con l’ecommerce, ha iniziato successivamente ad aprire anche negozi in location strategiche, come Soho a New York, per aumentare la visibilità e poter creare occasioni di relazione fisica con i clienti, oltre che per supportare le consegne degli ordini online. In negozio è possibile, ad esempio, prenotare un appuntamento con un Evelane ambassador,
un personal shopper a disposizione dei clienti dalle 9 alle 11, a negozio chiuso (lo store apre alle 11), con incluso un tè o un caffè. Trasparenza etica e di design Il layout del negozio è semplice e arioso e l’assortimento viene arricchito settimanalmente con nuovi arrivi. C’è una sala dedicata agli eventi, per presentare la filosofia aziendale, i produttori e le collezioni. Ma l’obiettivo di condividere i valori aziendali traspare in tutto il negozio, con cartelli, dépliant, foto e anche le etichette dei prodotti, con informazioni sulla produzione e sulla provenienza, fino alle informazioni sulla marginalità dei prodotti. I clienti possono ad esempio scoprire che una t-shirt realizzata da Everlane e venduta a 15 $ ha un costo di produzione di 6,50 $ e che quindi il margine di profitto dell'azienda è inferiore a quello applicato generalmente dai brand tradizionali. Sono inoltre presenti cuffie che consentono ai clienti di ascoltare la "voce" dell’azienda: dai suoni della fabbrica di Los Angeles alle campagne di donazioni per cause sociali e ambientali. Anche sui canali digitali, dal sito internet ai social media, Everlane condivide con i clienti uno sguardo sulle fabbriche di
produzione in tutto il mondo, dando voce ai lavoratori che producono i propri capi e condividendo la ripartizione dei prezzi di ciascun prodotto venduto. Un approccio globale che ha velocemente consolidato la fedeltà dei clienti ed è diventato un benchmark per numerosi altri brand. A volte, in maniera generosa, l'azienda posiziona un banchetto all'ingresso del negozio, che offre bevande calde per attirare clienti e confortarli nel freddo inverno newyorkese. Progetto data driven Everlane raccoglie e utilizza in modo avanzato i dati relativi ai feedback dei clienti e alle vendite per prendere decisioni riguardanti la produzione e il magazzino. Vista la fedeltà elevata dei clienti, Everlane tende a stimare le vendite al ribasso, per evitare stock di invenduto. Quando i prodotti vanno in rottura vengono create liste di attesa, come è avvenuto quando le nuove calzature, ispirate al balletto classico, sono state esaurite in tre giorni: 28.000 clienti hanno aggiunto i propri nomi alla lista d'attesa di clienti fiduciosi perché Everlane riesce a rifornirsi rapidamente grazie agli stretti rapporti instaurati con oltre due dozzine di fabbriche in tutto il mondo. Le liste di attesa vengono utilizzate
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anche per il lancio delle nuove collezioni e il CRM evoluto informa i clienti interessati ad anticipazioni su capi a cui avere accesso in esclusiva o per essere avvisati quando linee di prodotti popolari delle stagioni precedenti ritornano in negozio. Gli smart data sono usati anche nelle varie postazioni di cassa, in cui è possibile per gli addetti accedere allo storico degli acquisti dei clienti, per poterli approcciare e consigliare al meglio. Fin dalla nascita, nel 2011, Everlane si è proposto come brand di abbigliamento con un canale diretto per i clienti, pronto a sfidare i colossi del fast fashion come Zara e H&M. La crescita aziendale sta dimostrando che la "trasparenza radicale" funziona con una fascia di clienti sufficientemente ampia, che diventano molto fedeli. Sfida: mantenere una coerenza totale con le promesse e un’elevata capacità progettuale per quello stile contemporaneo amato dai propri clienti.
PROSSIMO EVENTO KIKI LAB Milano 17 marzo 2020 Retail Innovations 15 Tendenze e casi internazionali Convegno a pagamento, inviti disponibili per manager Retail e IdM (disponibilità limitata). Per informazioni e iscrizioni: kiki@kikilab.it – 030 22 16 81
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L’ATELIER DI MARIA Dove ricerca ed eleganza, incontrano lo stile raffinato A cura di Alessia Portelli
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gennaio\febbraio 2020 Ha da poco inaugurato il suo primo Atelier, Maria, nel cuore di Milano, in Via Sant’Agnese 12, tra Sant’Ambrogio e Corso Magenta. Un salotto femminile ed elegante che riscopre la bellezza senza tempo e di alta qualità, di capi di moda ideati e studiati da Maria. Uno spazio raccolto e bon ton dove ci accoglie la proprietaria. Una bellissima ragazza, nata a Città del Messico. Una laurea in ingegneria chimica, molti anni di lavoro in questo settore e l’amore per l’arte, la pittura, che l’ha sempre accompagnata durante la sua vita, fino al cambiamento, per seguire la sua creatività. Beesness Magazine ha incontrato Maria Cusi, fondatrice e stilista dell’Atelier che porta il suo nome, per farsi raccontare il suo percorso e l’affascinante storia di una passione diventata anche un lavoro. Maria, com’è nato il tuo Atelier? "È stato un percorso graduale. Sono nata e cresciuta a Città del Messico dove ho studiato per diventare ingegnere chimico. Durante gli anni di lavoro in questo campo, in parallelo, mi ha accompagnata da sempre la passione per l‘arte e la pittura. Alcuni anni fa, ho deciso di fare volontariato in Messico per insegnare l’arte e la tecnica della pittura. Mi sono offerta come volontaria in un laboratorio, in una struttura per sole donne. Ho conosciuto in quell’occasione un’altra volontaria che aveva frequentato a Milano la scuola Marangoni. Nel sentire i suoi racconti, pian piano è nato in me il desiderio di provare a cambiare strada e da ingegnere chimico, specializzarmi e seguire un percorso creativo nella moda. Ho seguito un corso di fashion designer a San Francisco, e successivamente ho deciso di iscrivermi a un altro corso, questa volta di cartamodellista, che avevo preferito e mi piaceva molto di più. Vedere un abito che dal suo modello su carta prendeva forma, mi ha fin da subito affascinato. Sono arrivata quindi a Milano, dove mi sono iscritta alla scuola Carlo Secoli per 2 anni, per seguire un corso. Dopo anni di pratica ho deciso di rendermi indipendente. Sono ritornata in Messico e ho messo in pratica il mio know-how, confezionando vestiti per clienti messicane. I Vestiti di Maria, cosi denominati a Città del Messico, sono diventati presto famosi per la qualità dei tessuti e il design, ovviamente Made in Italy. Ho aperto il mio primo laboratorio proprio in Messico. Uno show room specializzato sul su misura e capi sartoriali. Tutto è cominciato nella mia città. Attualmente lo show room messicano è seguito da mia mamma e mia sorella. I continui viaggi in Italia alla ricerca di tessuti, l’incontro con l’uomo che sarebbe poi diventato mio marito, mi hanno fatto successivamente tornare a Milano. Ero alla ricerca di un laboratorio in città per lavorare sulle mie collezioni, e tramite un passaparola, ho trovato questo spazio in centro. E qui, è da poco iniziata un’altra avventura."
cerchi qualcosa di unico, che la valorizzi e la faccia sentire bella. Propongo per questo capi inediti, con tessuti ricercati, che scelgo personalmente. Che siano comodi ed eleganti, e allo stesso tempo, con prezzi accessibili. Immagino una donna giovane e dinamica, che ami vestire uno stile senza tempo, che voglia mostrare in ogni occasione la parte migliore di sé, sempre adeguata alle circostanze. Inoltre ho clienti capaci di riconoscere il valore del tessuto e del lavoro manuale nel realizzare un capo, a prescindere dal brand in etichetta più o meno in voga. Confeziono pochi pezzi alla volta, dalla taglia 40 alla 44, e lavoro molto sul su misura. Se i capi non sono disponibili in Atelier, i tempi di realizzazione sono di circa una settimana." Quali sono i progetti per il futuro? "Il laboratorio e il negozio sono il mio sogno diventato realtà! Continuare a fare vestiti che facciano sentire le donne più belle e felici… Questo rende felice anche me! Inoltre, mi piacerebbe creare una rete con altre donne/amiche, per vendere i nostri prodotti di nicchia, anche in altre città e all’estero. Ad esempio, abbiamo iniziato delle collaborazioni per vendere all’estero, oltre che nell’Atelier di Città del Messico, anche in Florida. Vedo la moda anche come un’ottima opportunità di creare rete, lavoro e con un nobile scopo nel sociale."
A chi si rivolge il tuo Atelier e cosa propone? "Mi piace pensare che qualsiasi donna entri nel mio Atelier
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MARTHA PALETTO Stilista emergente dello streetwear fashion Made in Italy A cura di Giorgio Nadali
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gennaio\febbraio 2020 Giovani stilisti emergenti La moda è sempre giovane per definizione e sempre più giovani designer si avvicinano al mondo glamour del fashion, tanto che il gruppo numero uno della moda mondiale, LVMH – proprietaria di oltre settanta marchi divisi in aziende di alta moda come Christian Dior, Bulgari, DKNY, Fendi, Céline, Guerlain, Givenchy, Kenzo, Loro Piana e Louis Vuitton, di orologi come TAG Heuer, di gioielli come Tiffany & Co., di vini e liquori come Moët & Chandon, Veuve Clicquot, Hennessy, di editoria come Les Échos e Le Parisien, di distribuzione come Sephora e Le Bon Marché, di alberghi di lusso – ha ideato il premio LVMH per i giovani stilisti aperto a designer di età inferiore ai 40 anni provenienti da tutto il mondo, che hanno prodotto almeno due collezioni donna, uomo o unisex. La semifinale del Premio si svolgerà giovedì 27 febbraio e venerdì 28 febbraio 2020. Dal suo lancio nel 2013 da parte del gruppo LVMH, il Premio ha davvero beneficiato ai giovani talenti ed è rivolto ai designer di tutti i continenti. Il vincitore del premio LVMH per i giovani stilisti riceverà 300.000 euro e beneficerà di un programma di tutoraggio di un anno su misura per le sue esigenze, fornito da un team LVMH dedicato, che copre vari settori di competenza (proprietà intellettuale, approvvigionamento, produzione e distribuzione, immagine e comunicazione, marketing, sviluppo sostenibile). Il Premio Karl Lagerfeld dà a un giovane designer 150.000 euro e consente l'accesso a un programma di tutoraggio di un anno. Inoltre, rende omaggio a tre giovani diplomati della scuola di moda che hanno completato gli studi nel 2019/2020 assegnando a loro, nonché alla scuola, una sovvenzione di 10.000 euro. Si uniranno inoltre al team creativo in una delle case del gruppo LVMH per un anno. Nel 2019, più di tre quarti dei giovani si preoccupano di ciò che rappresentano i loro marchi di moda e più che mai si aspettano che le parole siano seguite da azioni significative. La sostenibilità è più importante dei marchi per i giovani dai 16 ai 24 anni quando acquistano i loro vestiti. La qualità e il prezzo contano ancora di più, ma i nomi dei marchi contano meno delle preoccupazioni ambientali ed etiche. Quasi la metà (48%) valorizza l'esclusività e le edizioni limitate della moda, come reazione contro l'onnipresenza dei grandi rivenditori presenti nelle strade del lusso. Quasi due terzi (62%) hanno acquistato o venduto un capo d'abbigliamento di seconda mano negli ultimi sei mesi. Una chiara indicazione della crescita del mercato della rivendita. Lo Streetwear Fashion Certo, non è alta moda. Sono letteralmente “abiti da strada”, adatti soprattutto ai giovanissimi della “Generazione Z” (nati dopo il 2000). Per mettere la cravatta o il tailleur per il business come fanno i “Baby Boomers” (nati dal 1946 al 1964) o quelli della “Generazione X” (nati dal 1964 al 1980) c’è ancora tempo. Shakespeare diceva che l’abbigliamento spesso rivela l’uomo. Lo streetwear rivela sicuramente che sei amante del casual alla moda. Coco Chanel dava ragione a entrambi: Se una donna è malvestita si nota l’abito. Se è vestita impeccabilmente si nota la donna, ma era certa anche che Una moda che non raggiunge le strade non è moda. È questione di gusti. Il vestire rivela la personalità ed è una delle prime cose che si notano.
Secondo Oscar Wilde Una cravatta ben annodata è il primo passo serio nella vita, ma certo dipende molto da dove si vogliono fare questi passi. Inutile sindacare, questione di gusti. Mark Zuckerberg, inventore di Facebook, 35 anni, “Generazione Millennial” (nati dal 1981 al 1996), 72 miliardi di dollari di patrimonio, predilige lo streetwear. Tuttavia non ci sentiamo di consigliarvi di presiedere un consiglio di amministrazione o di incontrare il vostro prossimo cliente vestendo lo streetwear, a meno che non siate certi che anche lui (o lei) si vestirà così… Prima che il termine streetwear fosse coniato ufficialmente, il movimento stava già fiorendo. Lo streetwear è un abbigliamento casual alla moda: magliette, felpe con cappuccio e scarpe da ginnastica. Ma questa definizione superficiale di streetwear spiega un modello che ha sovvertito da solo il sistema di moda tradizionale ridefinendo il suo componente principale: l'esclusività. Sia la moda di lusso tradizionale che lo streetwear dipendono dalle loro posizioni come simboli di status culturale per stimolare la domanda. Tuttavia, come rivela lo Streetwear Impact Report, nuovi fattori come l'abbigliamento casual e la comunità sono stati
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fondamentali per stabilire il dominio dello streetwear. Quello che è iniziato come un movimento in gran parte sotterraneo si è sviluppato rapidamente e ha scatenato ciò che il mondo della moda desiderava ma non trovava: un nuovo approccio. L'impatto ha riguardato tutti gli aspetti dello sviluppo creativo, del marketing e della distribuzione del settore. Lo streetwear crea una relazione con il suo consumatore e perfeziona il modello diretto al consumatore che l'industria più ampia aveva cercato disperatamente di rompere. Molti prodotti streetwear popolari possono essere acquistati direttamente da un marchio solo attraverso il modello "drops": i clienti sono chiamati a essere i primi online o in negozio a garantire prodotti che vengono rilasciati in un determinato luogo e orario. Il modello di business sfrutta la scarsità e la produzione limitata per creare una forte domanda, ha portato alla nascita di un mercato dell'usato in forte espansione. Questo mercato di rivendita è parte integrante di come funziona lo streetwear, in quanto funge da metrica per il successo di un marchio: più un prodotto è prezioso, più alto è il suo prezzo di rivendita. La trasparenza consente allo streetwear di operare su una pura equazione di domanda e offerta. Se dominato con successo, un marchio sfrutterà le cadute per mantenere l'offerta di un nuovo prodotto strettamente al di sotto della domanda. A sua volta, il prodotto subirà vendite elevate; apparire sul mercato della rivendita; e alimentare la domanda. Ciò che ne risulta è un mercato in linea con i beni di lusso da collezione, tranne per il fatto che l'oggetto in gioco è una sneaker, non un diamante. Le sneaker e altri articoli molto richiesti assumono un valore senza tempo e senza stagione che supera di gran lunga il ciclo di vita ciclico e di breve durata di molte tendenze della moda. Lo stato attuale dello streetwear può essere definito in quattro modi principali: I marchi street wear originali sono caratterizzati da un prezzo accessibile, abbigliamento comodo e autenticità. Alla base, questi marchi sono guidati da una motivazione molto diretta a mettere
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una parola su una maglietta. I prodotti di questi marchi spesso vendono a un prezzo elevato a causa della scarsità e della forte domanda. I marchi di abbigliamento spor tivo includono le principali etichette sportive la cui offerta di abbigliamento sportivo e scarpe da ginnastica sono parte integrante dello stile streetwear. Le sneaker create da marchi come Adidas e Nike sono i cardini della divisa streetwear. I marchi di streetwear adottati hanno incorporato tendenze e stili nella loro offerta di prodotti, ma la loro origine non è autenticamente legata al movimento. Ciò può includere sia marchi di lusso che di massa. I marchi di streetwear di lusso riflettono la più recente comparsa di marchi che sfocano le linee tra lo streetwear originale e la moda di lusso. Questi marchi sono
anche guidati dall'autenticità ma operano a un prezzo più elevato e si discostano dall'uniforme streetwear standard. MARTHA PALETTO Martha Paletto – classe 1993 – si è laureata in Fashion Design allo IED Istituto Europeo di Design di Torino nel 2015. Mai ferma, sempre in movimento verso nuove idee, concepts, ispirazioni. Anima artistica, atteggiamento coraggioso e mente affamata. Vera appassionata di moda, ha trasformato la sua passione nel suo lavoro. MFGA - Make Fashion Great Again© è stato ufficialmente registrato in Gennaio 2019, quando Martha ha finalmente deciso di investire su se stessa e sui suoi sogni. E i sogni costano sforzo, impegno e dedizione ma sono anche il motore del mondo. La designer è orgogliosa di aver preso parte nel 2019
gennaio\febbraio 2020 un laboratorio tessile per farli diventare realtà. Dopo 2 anni di tentativi e non poche difficoltà nel gennaio 2019 ho registrato ufficialmente il mio brand: MFGA – Make Fashion Great Again©." Cosa consiglia ai giovani che vogliono intraprendere l'attività di stilista? "Consiglio di non abbandonare mai i propri sogni, che sono il motore del mondo. Il mercato mondiale ha delle regole alle quali bisogna adeguarsi se si vuole fare della moda il proprio lavoro, però ciò non significa mettere da parte la propria creatività. Il mondo del fashion è estremamente competitivo, per questo dedizione ed ecletticità sono i requisiti fondamentali per un fashion designer." Il Suo mercato di riferimento sono i giovani. Cosa cercano nella moda? "Penso che al giorno d’oggi tutti siamo pieni di tutto. Quindi credo (e spero!) che i giovani ricerchino l’originalità nella moda, che sia attraverso una stampa, un taglio o una cucitura. MFGA offre una nuova visione dello streetwear basata sull’individualità e la libertà di espressione del modo di essere di ognuno di noi."
a due grandi eventi italiani che hanno rappresentato una grande opportunità di confronto e di crescita professionale: Le creazioni della designer di MFGA hanno sfilato sulla passerella di Maze Festival 2019, evento che richiama la scena street italiana ed internazionale, accanto a brand rinomati come Kappa, Fred Perry e Bikkembergs. La designer Martha ha inoltre partecipato al Barolo Fashion Show, contest esclusivo per i talenti emergenti della moda italiana ed internazionale. Grazie a Barolo Fashion Show – ed all’agenzia Magma – Martha e il suo brand MFGA sono volati in Cina, dove le creazioni firmate MFGA hanno catturato l’interesse ed il gusto del pubblico, delle aziende e di possibili buyers cinesi. In occasione di questo viaggio la designer è stata invitata a prendere parte ad
un’intervista presso l’università di design di Wenzhou (Cina), evento in cui si è parlato di aspettative, sogni, progetti. Grazie a questa splendida esperienza in Oriente, la designer sta concludendo alcune collaborazioni con partner cinesi. Il valore fondamentale alla base del brand MFGA , è la diffusione della cultura attraverso la moda, motivo per il quale Martha crede fortemente nell’intreccio di diverse culture, essendo lei stessa il risultato di un mix tra la cultura sudamericana e quella italiana, come la perfetta combinazione per un progetto vincente. Come ha avviato la Sua attività? "Dopo una piccola esperienza lavorativa post-laurea, nel 2017 ho deciso di investire su me stessa: ho tirato fuori i miei disegni dal cassetto e li ho portati in
A fine novembre Lei e altri stilisti italiani siete stati ospitati a Wenzhou, in Cina per mettere in mostra il vostro talento e chiudere accordi commerciali. Come è andata? "È stata una splendida e preziosissima esperienza. La Cina sta conquistando il mercato internazionale, espandendosi alla velocità della luce e usando una tecnologia sempre più avanzata. Credo fortemente nel mix&match di queste due culture millenarie: la tipica creatività italiana incontra la grande tradizione lavorativa cinese creando così la combinazione perfetta per un progetto vincente." Secondo Erika Andreetta, consumer markets consulting leader di Pwc Italia "Il 90% dei giovani è disposto a pagare un premium price per l’acquisto di prodotti fashion realizzati in modo etico e sostenibile”. In particolare, il 28% è disposto a spendere di più per marchi noti per le loro pratiche di
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sostenibilità e il 24% per prodotti realizzati in modo sostenibile o eco-friendly. Le Sue creazioni vanno in questo senso? "L’eco-friendly non è il fulcro di creazione sul quale verte il mio brand, ma mi rendo conto sempre di più che sta diventando un aspetto fondamentale dei giorni nostri ed è un valore che condivido. Essendo amante degli animali ho sempre prestato particolare attenzione a non usare pellicce & pellami. MFGA fino ad oggi non possiede capi confezionati con questi materiali, né intendiamo farlo in futuro." La moda è scesa in mezzo alla gente comune e non ha paura di mixare diversi generi. Il risultato di questa combinazione è il fashion streetwear, una tendenza che propone stili moderni, contemporanei e capaci di fondere stili urbani e metropolitani. Quali creazioni propone per il 2020? "Grazie ad i risultati ampiamente positivi riscontrati dalla recente entrata sul mercato di MFGA, io ed il mio staff abbiamo deciso di comune accordo di concentrare le energie su due fronti: prima di tutto su una nuova collezione donna completa per il 2020. In secondo luogo, pensando al lungo periodo, vorremmo riuscire ad affermare il brand incrementando i nostri prodotti con la linea menswear e la linea kids." Cosa significa la parola "eleganza" per Lei? "Per me l’eleganza ha a che fare con quella che gli inglesi chiamano attitude, ovvero l’atteggiamento. Non importa che abiti si indossano e quanto siano costati: ci sono tante persone che si coprono da capo a piedi con abiti di grandi firme il cui risultato finale (purtroppo) è la volgarità. Nella mia vita ho visto spesso più eleganza e dignità in passanti che indossavano tuta da ginnastica e sneakers." Progetti per il 2020? 2L’ottima e sorprendente chiusura di questo 2019 è sicuramente il carburante che mi farà iniziare il 2020 con positività e tante aspettative: il primo appuntamento impor t ante dell’anno sarà la fiera Modefabriek ad Amsterdam, attraverso la quale potrò incontrare tante altre figure
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gennaio\febbraio 2020 professionali del mondo della moda e presentare il mio Brand ad aziende del panorama europeo ed internazionale." Ci commenti questi aforismi sulla moda: a) Una moda che non raggiunge le strade non è moda. (Coco Chanel) "Sono assolutamente d’accordo con Mademoiselle Chanel: c’è stato un tempo in cui la strada copiava le passerelle, ma ad oggi il fashion system non può negare che i trend dell’alta moda provengano dalla strada, luogo in cui le differenti culture e lifestyle si intersecano tra loro creando un mix esplosivo e sempre fresco." b) La moda va consumata subito. Il meglio che possa accadere a un abito è di essere indossato. Non di essere esposto in un museo. (Karl Lagerfeld) "Personalmente credo che la più grande soddisfazione come designer non sia vedere i propri abiti consacrati in qualche famoso museo della moda, ma piuttosto vederli indossati per le strade delle città di tutto il mondo." c) Vestiti bene dovunque tu vada, la vita è troppo corta per passare inosservati (Paris Hilton) "Giorgio Armani ha detto che la vera eleganza non è farsi notare, ma farsi ricordare: difficile dire chi ha ragione, ma
personalmente mi sento più vicina al pensiero di Armani." d) La filosofia del [fashion] design è quella di raggiungere la popolarità senza il sostegno di un'etichetta. L'eleganza da sola non è più sufficiente (Pierre Cardin) "Pensando al come raggiungere la popolarità con il mio marchio mi ripeto sempre che tutti i grandi stilisti del passato hanno iniziato la carriera come dei perfetti sconosciuti e sono riusciti a raggiungere il successo con l’ingegno, tanto impegno ed altrettanta fortuna. Io mi impegno duramente ogni giorno e penso di avere talento. Sulla fortuna ci sto lavorando." Roberto Cavalli ha detto: “La moda può e deve migliorare. Una cosa che ho imparato in questi anni e che considero legge è che non bisogna mai dare per scontati i risultati ottenuti e crogiolarsi nel proprio successo.” Cosa va cambiato nella moda? "Ho sempre pensato alla moda come un processo in continuo divenire e così devono essere i suoi creatori. Un fashion designer non può permettersi il lusso di rallentare i propri ritmi: deve sempre essere alla ricerca di nuovi stimoli, dev’essere sempre attento all’attualità del suo tempo e deve sempre avere un occhio di riguardo per i desideri ed i bisogni dei suoi consumatori."
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Un binomio indissolubile per garantire il futuro del pianeta
MODA E SOSTENIBILITÀ
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Nel settore moda la parola d’ordine è sostenibilità. In questa corsa alla ricerca di soluzioni green, noi di Beesness abbiamo individuato 3 designer che, con forza e convinzione, si impegnano a tutelare l’ambiente. Sostenibilità, non solo in termini di rispetto della natura, ma anche delle persone, della loro cultura, delle loro tradizioni e del loro lavoro. L’aspetto sperimentale, innovativo e tecnologico, i concetti di re-cycling e soprattutto di up-cycling sono fondanti, come e quanto l’approccio etico, aperto e condiviso. Ma chi sono i protagonisti del Made in Italy davvero intenzionati a dare valore alla sostenibilità? Ne abbiamo individuati tre: gli emergenti Tiziano Guardini e Gilberto Calzolari e la regina delle passerelle newyorkesi, Chiara Boni. Vediamo nel dettaglio le loro collezioni dedicate alle Primavera/Estate 2020.
TIZIANO GUARDINI PRESENTA “ATLANTIS”
Il sapore maschile del rigore sartoriale italiano e la fluttuante eleganza spiccatamente femminile scelti da Tiziano Guardini per Atlantis, la sua collezione Primavera/Estate 2020, parlano di una donna libera dai ruoli e desiderosa di esprimere liberamente il suo amore per la vita e la natura. Guardini, che nel 2017 ha vinto il Premio Franca Sozzani Green Carpet Challenge Fashion Award for Best Emerging Designer, spiega così il suo approccio al lato più sostenibile della moda: “Sono affascinato dal mito di Atlantide e credo che rappresenti il legame ancestrale tra l’umanità e la natura, un rapporto oggi molto a rischio. Ma ritengo sia altrettanto importante promuovere un contatto tra gli individui, propagare consapevolezza e generare aiuto reciproco. Ho cercato le aziende, chiedendo un supporto nella realizzazione di stampe e stoffe sostenibili e da parte di tutti la risposta è stata entusiasta.” Da questo impegno nascono le sete dal pattern ispirato alla leggendaria Atlantide e realizzate utilizzando i bozzoli abbandonati dalle crisalidi; le righe lucide e multicolori che richiamano la mobilità delle onde create in Tencel Lycocell, fibra ricavata da cellulosa proveniente da eucalipti sostenibili; i cristalli Swarovski che creano i riflessi di luce degli abissi sono conformi ai più stringenti requisiti green; e anche il denim è non soltanto di origine 100% biologica, ma anche laserato anziché stampato per ridurre al minimo il consumo di acqua.
A cura di Patrizia Saolini
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In foto, collezione primavera/estate di Tiziano Guardini: Courtesy of Studio Re Public Relations
gennaio\febbraio 2020
GILBERTO CALZOLARI PRESENTA “DUNE”
Il giovane stilista milanese Gilberto Calzolari, anche lui vincitore del prestigioso premio Franca Sozzani GCC Award for Best Emerging designer, nell’edizione del Green Carpet Fashion Award Italia 2018, si è distinto grazie alla sua collezione P/E 2019 intitolata “Une Partie de Campagne”. A colpire la giuria è stato un abito realizzato con sacchi di caffè in juta usati (originari del Brasile e acquistati al mercato dei Navigli a Milano). La sua particolare creazione, era inoltre foderata con un tessuto d’archivio e impreziosita con cristalli Advanced Elements senza piombo di Swarovski. Calzolari in seguito è approdato alla Milano Fashion Week, supportato dalla Camera Nazionale della Moda Italiana, dove anche lo scorso settembre ha presentato la sua collezione donna P/E 2020 intitolata "Dune", ovvero “un grido di allarme nei confronti della desertificazione del pianeta”. La donna di Gilberto Calzolari si muove infatti in un deserto post-industriale, tra suggestioni tribali e steampunk, ed è un’amazzone che non ha perso la sua anima romantica, vestita di tessuto di sughero ecologico, cotone organico GOTS certificato, raso derivato da poliestere riciclato e materiali ultra high-tech ottenuti per upcycling di airbag esausti.
CHIARA BONI LA PETITE ROBE PRESENTA REGINA DI CUORI
A simboleggiare che la vera bellezza si tramanda di generazione in generazione o, per meglio dire, di collezione in collezione, la P/E 2020 di Chiara Boni La Petite Robe, grazie alla sua rinnovata impronta green e alla moltitudine di modelle internazionali in passerella, ha intenzione di rispettare seriamente le diversità e, soprattutto, il bene della comunità. L’azienda di Chiara Boni, infatti è la prima del settore moda in Italia che ha conquistato una certificazione importante a livello europeo: la PEF, Product Environmental Footprint, riuscendo a misurare esattamente il costo della produzione dei suoi capi sull’ambiente. “Questo certificato è riconosciuto dall’Unione Europea, per monitorare l’impatto ambientale della nostra produzione che comunque, essendo tutta Made in Italy, è già sinonimo di Km 0”. Attraverso un attento studio, l’azienda riesce infatti a calcolare la quantità di energia, di acqua e di carbonio che vengono investite nella filiera. Per esempio, per costruire un abito della collezione Chiara Boni La Petite Robe, ci vogliono le stesse risorse impiegate a realizzare 8 kg di pasta. “Questo ci rende più consapevoli di quanto sia necessario contenere gli sprechi d’energia per il nostro bene comune e per la salvaguardia del
In foto Gilberto Calzolari: Courtesy Guitar Press Office
pianeta”. Ma veniamo agli abiti che hanno sfilato alla New York Fashion Week a settembre 2019. In pedana ci sono richiami agli anni '80, con enfasi su stampe di ispirazione Africana e Persiana, tubini e abiti lunghi abbinati a stivali e cappelli da cowboy in pendant, ma anche il ritorno del tubino boxy anni '60. La "Regina di Cuori" di Chiara Boni La Petite Robe porta con sé i ricordi del suo viaggio intorno al mondo trasformati in abiti e accessori ispirate da striature animalier e farfalle multicolori che le regalano volumi ampi e morbidi, trasformando in ali le maniche e valorizzando la silhouette con maxi stampe all over.
In foto, collezione "Regina di Cuori" di Chiara Boni La Petite Robe Courtesy of Clara Garcovich Press Office
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BENVENUTI A UNIQLO, ORA ANCHE A MILANO A cura di Laura Bonani
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Il 13 settembre 2019 è stato inaugurato a Milano, nella centralissima Piazza Cordusio al numero civico 2, il primo store italiano monomarca del brand giapponese Uniqlo. Frutto di una meticolosa selezione della location più adatta ad ospitare l’ampia gamma di abbigliamento proposto, nel 2016 il palazzo prescelto è stato quello ex Sorgente di proprietà di Hines Italia e la ristrutturazione è stata affidata allo studio F & M Ingegneria e Park Associati. Il restyling dei 1.500 mq di superficie, sintesi perfetta di essenza nipponica e italianità, ha coinvolto la collaborazione e l’expertise delle maestranze locali che vantano prestigiose collaborazioni con aziende di spicco del panorama italiano. Il punto vendita si sviluppa su tre piani, compreso quello interrato, dove fanno bella mostra le collezioni uomo, donna, bambino e neonato. Il giardino del piano terra è stato concepito per trattare temi ambientali e diffondere la cultura green e sostenibile. All’interno del flagship store è possibile ammirare le esposizioni delle biciclette Rossignoli, degli arredi di design Seletti e Maruni (arredamento in legno) e le borse in pelle Medea. L’artista milanese Olimpia Zagnoli ha invece realizzato un’ampia composizione ispirata alle finestre della città di Milano, caratterizzata da forme semplici e colori decisi. L’offerta si caratterizza per l’ottimo rapporto qualità e prezzo. Uniqlo, con il concetto di Life Wear, incarna perfettamente lo
gennaio\febbraio 2020 spirito e i valori nipponici di essenzialità, di minimalismo, di semplicità, di qualità e di longevità. I capi classici, come ad esempio i rinomati piumini caratterizzati dall’estrema leggerezza, sono continuamente rivisitati in un’ottica di performance tecnologica e di innovazione stilistica. L’ampia scelta di T-shirt è dedicata di volta in volta a importanti artisti giapponesi ed internazionali. Al fine di inserirsi nel contesto cittadino, Uniqlo ha pensato di offrire, solo ai clienti milanesi, una gamma di maglioni in cashmere in 50 tonalità di colori differenti (normalmente sono 36), a cui si affianca Uniqlo U, una serie di capi disegnati da Christophe Lemaire, che successivamente è stata estesa agli store globali e on-line. Grande attenzione è rivolta al tema della sostenibilità: l’azienda ha ridotto del 99% la quantità di acqua necessaria alla produzione dei jeans e il denim è rifinito con lavatrici a ozono nano bolla. Per ridurre il consumo di carta, le shopping bag sono
a pagamento in tutti i negozi europei e il ricavato è devoluto a una Ong che fornisce acqua potabile alle popolazioni in via di sviluppo. Inoltre, Uniqlo nel 2010 ha stabilito un business etico in Bangladesh in collaborazione con la Grameen Bank e dal 2007 ha donato 25 milioni di capi usati ai rifugiati di 48 paesi con l’agenzia Unhcr, a cui ha versato anche 12 milioni di dollari da destinare a progetti di pace. Il marchio Uniqlo, fondato nel 1984 da Tadashi Yanai, fa parte del gruppo Fast Retailing, una delle principali holding di abbigliamento nipponico con sede a Tokio, che comprende anche i brand GU, J Brand, Theory, Comptoir des Cotonniers e Princess Tam Tam. Dieci anni dopo, Uniqlo ha iniziato la sua espansione all’estero, a partire dal suo primo negozio nel Regno Unito. Oggi ha oltre 2mila punti vendita in 22 mercati in tutto il mondo. L’Italia rappresenta il 23esimo mercato di penetrazione di Uniqlo.
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IL RESTYLING DI TRIUMPH La riapertura di alcuni punti di vendita in Italia e in Portogallo e una veste completamente rinnovata: è questa la strategia per i flagship di Triumph, che promette anche una serie di innovazioni omnichannel per valorizzare l’esperienza d’acquisto in store. A cura di Marcella Ciappi Foto © Triumph
Triumph, la nota azienda che produce lingerie da più di 130 anni, ha annunciato la riapertura di quattro negozi situati nei centri commerciali di Vasco de Gama, Norte Shopping, Fórum Algarve e Fórum Coimbra (in Portogallo) e del punto di vendita di Marcianise (CE) all’interno del centro commerciale Campania. Obiettivo del brand è ammodernare il design dei propri store monomarca proseguendo così, non solo una strategia di rinnovamento della rete retail ma anche lo sviluppo di una customer experience che si concretizzerà nell’arco del prossimo anno e che vedrà le consumatrici sempre più al centro dell’attenzione. L’importante restyling di questi punti di vendita ha coinvolto interamente gli interni, dalla pavimentazione, all’illuminazione e agli arredi. Gli spazi sono stati riprogettati in modo da essere più ampi, ariosi e accoglienti e le vetrine sono state ulteriormente valorizzate per creare un dialogo continuo tra lo spazio interno e lo spazio esterno. La trasparenza del logo sospeso sull’ingresso è un ulteriore elemento che conferisce armoniosità agli ambienti rafforzando l’immagine elegante e raffinata che ha sempre caratterizzato Triumph nei vari ambiti. I re-fit degli store Triumph sono st ati accompagnati dall’introduzione di alcune iniziative focalizzate su omnicanalità e digitalizzazione che hanno l’obiettivo di dare sempre più attenzione alle consumatrici. Il brand punta infatti a valorizzare l’esperienza d’acquisto in store, attraverso diverse iniziative pensate per offrire al proprio pubblico un’esperienza sempre più a 360°. “Si parla da tempo di omnicanalità, ma al giorno d’oggi questo tema è realmente diventato imprescindibile per i brand retail – afferma Francesco Pergola, Retail Director South Europe e Training and Development Manager Europe – per questo motivo Triumph continua a investire in questa direzione con l’obiettivo di mettere le proprie consumatrici al centro, garantendo un’esperienza d’acquisto di qualità in ogni punto vendita monomarca”. Va in questa direzione, ed esempio, il lancio del programma fidelity “My Triumph” che permette a chi acquista in negozi monomarca, outlet e franchising di accumulare punti e redimere premi a tre diversi livelli. I negozi sono stati inoltre dotati di tablet
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gennaio\febbraio 2020 attraverso i quali il personale di vendita può supportare le clienti nell’ordinare online eventuali articoli non disponibili in negozio. Un ulteriore passo in questa direzione sarà l’inclusione dei punti di vendita in franchising nel processo. Da gennaio 2020, infatti, nel caso in cui una cliente non trovasse un capo presso un punto di vendita in franchising, potrà essere aiutata ad acqusitarlo online dal personale di vendita, esattamente come già accade in un punto vendita diretto. In questo caso il franchisee riceverebbe una commissione, che verrebbe poi percepita anche nei successivi 24 mesi, ogni qualvolta la stessa cliente dovesse acquistare nuovamente il prodotto sull’ecommerce Triumph. Il 2020 sarà un anno importante anche dal punto di vista dei re-fit: Triumph prevede infatti di rinnovare altri 9 punti di vendita, di cui 7 in Portogallo e 2 in Italia, portando così a compimento il lavoro di rinnovamento dell’intera rete retail.
TRIUMPH Triumph produce lingerie da oltre 130 anni con la mission di far sentire e apparire le donne al loro meglio.Dal 1886 Triumph ha capito che con la lingerie perfetta si ottiene la sensazione di un vero sostegno, supporto quotidiano alle donne per tutte le taglie e forme, in tutto il mondo. Triumph International è una delle più grandi aziende di intimo su scala mondiale, presente nei negozi monomarca e presso clienti wholesale, con una distribuzione globale in oltre 120 Paesi. Triumph è un marchio registrato del Triumph Firm Group.
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LE MERCERIE Il negozio delle nonne si evolve e diventa hobby center A cura di Elena Pravato
Caro lettore, mentre ti appresti a leggere questo articolo, ti invitiamo a fare un tuffo nel passato e magari ricordare quando la nonna prima di portarti al parco o tornado verso casa, ti chiedeva di fare prima un salto in merceria con lei per acquistare la spoletta che aveva terminato. Già... perchè le nonne rammendavano, imbastivano, cucivano! Certo, fino a qualche anno fa non ci si recava in una sartoria express per farsi accorciare l'orlo dei pantaloni o addirittura per farsi ricucire un bottone della camicia. Il negozio per eccellenza più frequentato dalle signore era proprio la merceria: un concentrato di colori (spolette per il cucito, cotoni da ricamo, cerniere) scatole piene di bottoni, divisi per grandezza, tinta e tipo di utilizzo, per non parlare delle lane tutte incasellate con precisione in scaffali quadrati. Il sogno proibito delle nostre nonne non era certo l'ultimo
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gennaio\febbraio 2020 ritrovato dei robot da cucina o il robottino puliscipavimenti, era la macchina da cucire! Ebbene le mercerie oggi esistono ancora, anche se ben più rare, e hanno saputo cogliere la sfida del nuovo millennio, introducendo nuovi articoli senza mai però snaturare la vera anima di questi negozi quale fulcro dei passatempi e dell'estro femminile (e non solo). Per capire meglio questo mutamento vi riportiamo la testimonianza diretta di Silvia Beverari, titolare della storica "La merceria... dal 1936" di Verona. "La merceria è sempre stata di proprietà della mia famiglia, prima di mia nonna, poi di mio papà e infine sono subentrata io alla guida del negozio. Nel 1936 e negli anni a seguire era una specie di emporio, oltre ai prodotti di cucito e ricamo, c'erano anche ad esempio i giocattoli o l'abbigliamento intimo. Con l'avvento delle catene commerciali e della Grande Distribuzione abbiamo capito che era necessario cambiare strada proporre qualcosa di nuovo per non chiudere i battenti. Con il settore della merceria tradizione, infatti, non avremmo potuto sopravvivere: i capi d'abbigliamento sono divenuti "usa e getta" , le mode sono sempre meno durature e quindi non si rammenda più. Inoltre le donne, lavorando ,non hanno più molto tempo da dedicare a cucire o fare la maglia come le nostre nonne. La società era cambiata e di conseguenza la domanda del mercato, anche se dal 2011 stiamo registrando un ritorno al cucito e una ripresa del settore della merceria tradizionale. Da più di 25 anni abbiamo, quindi, introdotto gli articoli per l'hobbistica femminile: all'epoca erano in voga il decoupage e le perline. Ricordo ancora quando portavamo in fiera (partecipavamo ad Abilmente di Vicenza e Country Life di Modena) i nostri alberelli di perline e al nostro stand si accalcavano le signore per vedere le nostre dimostrazioni. Poi terminato il boom del decoupage, siamo passati agli articoli per bijoux come catene, perline per collane e bracciali o Swarovsky. Ultima moda dell'handmade sono i fiori di velluto (particolarmente richiesti anche per le decorazioni natalizie) e la bigiotteria in argento con catene, pendenti etc. Naturalmente ci sono poi gli evergreen, che continuiamo a vendere costantemente da anni come i cotoni e gli accessori per il ricamo a punto croce e il materiale per i centrini di perline. Questi ultimi, ad esempio, sono un'arte meno conosciuta e di nicchia e il nostro negozio è diventato un punto di riferimento per coloro che condividono questa passione creativa in tutta Italia."
ha bisogno di un'assistenza immediata e repentina per sapere come utilizzare il materiale o per risolvere dubbi che sorgono con la pratica. Naturalmente, poi durante tutta la settimana teniamo corsi anche presso il nostro negozio che, ormai, è anche il punto di conviviale ritrovo per le hobbiste." Qual è il cliente tipo del vostro negozio? "Abbiamo clienti che creano bijoux o realizzano decorazione per sé o per regalare un prodotto fatto a mano ad amici e parenti; oppure abbiamo hobbiste "professioniste " che vendono i propri lavori presso mercatini o fiere. Infine riforniamo diverse onlus che vendono le creazioni realizzate con i nostri materiali per trarne un ricavato per l'associazione." Quali altri prodotti vendete? “Oltre a tutto ciò che occorre per la sartoria e il cucito, abbiamo l'intimo di qualità, totalmente Made in Italy e ci siamo munite anche della macchina a taglio laser per produrre noi stessi le minutrie e le parti in legno, per farvi un esempio, per la realizzazioni di addobbi natalizi.” Ricordiamo che le mercerie sono una tipologia di negozi che animano i centri storici delle nostre città (difficilmente troverete una merceria in un centro commerciale) e contribuiscono a non omologare l'offerta dei prodotti in commercio. Ci spiega infatti Silvia... "Mio padre dice sempre che dobbiamo offrire quello che non si trova altrove (ad esempio nei punti vendita della grande distribuzione), insieme al servizio e alla cura per il cliente." Per info: lamerceriadal1936.com
Ha accennato alla fornitura dei votri materiali fuori da Verona, spedite quindi in tutta la Penisola? "Quando vent'anni fa mi recai da un webdesigner chiedendo un sito e-commerce per vendere perline, a stento trattennero le risate ma da allora non abbiamo più smesso di ricevere ordini: dapprima le ordinazioni erano soprattutto di persone che ci avevano conosciuto in fiera e volevano i materiali per realizzare quanto avevano visto nelle dimostrazioni. Ora i nostri clienti a livello di e-commerce, sono i nostri followers su Instagram o Facebook che hanno seguito i tutorial on line sui nostri account. In questo caso ci è utilissimo anche Whatsapp proprio perché un cliente a distanza
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Vibram Five Fingers V-Soul
VIBRAM Quando comfort e innovazione coesistono in una calzatura e nelle sue 150 varianti. A cura di Marcella Ciappi Foto © Vibram
Vibram Furoshiki The Wrapping Sole Originals
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gennaio\febbraio 2020 L’azienda italiana che ha scritto la sua storia partendo da una necessità concreta per poi declinarla in una serie di opportunità e occasioni di consumo. Per tutti e in tutto il mondo. UNA STORIA DI INNOVAZIONE La storia di Vibram ha avuto inizio nel 1936, anno in cui Vitale Bramani – Accademico del Club Alpino Italiano – al ritorno da una tragica ascesa alpina nella quale persero la vita i suoi compagni di alpinismo anche a causa della mancanza di calzature adeguate, ebbe la geniale intuizione di utilizzare per le suole la stessa tecnica impiegata per la realizzazione degli pneumatici. Sono nate così le prime suole in gomma marchiate Vibram – dalla combinazione di nome e cognome del fondatore – insieme al caratteristico design Carrarmato che ha rivoluzionato la pratica dell’alpinismo, consentendo prestazioni senza precedenti in termini di resistenza all’abrasione, trazione e grip della calzatura. Da oltre ottant’anni leader mondiale del settore delle suole in gomma ad alte prestazioni per attività outdoor, moda e tempo libero, Vibram ha saputo stare al passo con i tempi e talvolta precorrerli, realizzando nel corso degli anni importanti lanci di prodotto e brevetti di tecnologie innovative. Il lancio commerciale di Vibram FiveFingers, nel 2006, la famosa scarpa a cinque dita, icona della calzatura minimalista, ha rappresentato per la società una vera e propria svolta, poiché l’ha resa ancora più vicina al grande pubblico, consolidando il suo posizionamento di leader a livello mondiale. Vibram Furoshiki The Wrapping Sole (la prima suola avvolgente), la scarpa d’ispirazione giapponese perfetta per i viaggi e il tempo libero è solamente un esempio dei prodotti nati dalla ricerca e lo sviluppo della società. LE NOVITÀ Tra le ultime nate in casa Vibram meritano una menzione le FiveFingers V-Soul, un modello leggero (solo 91 grammi per un 38 da donna) e flessibile dedicato all’allenamento indoor femminile, perfetto ad esempio per pilates, fitness funzionale, pliometria e yoga. Le V-Soul assicurano massima libertà di movimento e permettono un altissimo livello di percezione della superficie di allenamento pur proteggendo il piede. La chiusura con Velcro di cui sono dotate permette di regolare la calzata per un’aderenza perfetta. Non a caso questo modello fa parte della gamma max feel. Lanciate l’anno scorso e ancora attualissime sono le Vibram Furoshiki The Wrapping Sole Originals, caratterizzate da un concept talmente innovativo da meritarsi prestigiosi premi internazionali quali l’ADI Compasso d’Oro International Award, il Grand Award di Design for Asia Awards, il Premio Nazionale per l’Innovazione (Premio dei Premi) assegnato dalla Presidenza della Repubblica e il recentissimo premio Design Intelligence Award, per la categoria Excellence. Queste calzature, che prendono il nome dal furoshiki, l’arte dell’impacchettamento giapponese, sono caratterizzate da alcuni key concept che le rendono perfette in quanto a comfort e praticità: portable, easy on, multi-use
e multi-fit. L’ultima nata tra le calzature per l’arrampicata è la Vibram XS Flash 2 che regala alte prestazioni anche in casi di temperature basse, con il plus di poter scegliere una alternativa cromatica, senza compromettere grip e durabilità.
I NUMERI • Oltre 40 milioni di suole sono prodotte da Vibram ogni anno • Oltre 150 modelli di suole sono ogni stagione • In 120 Paesi nel mondo è presente il Brand • Oltre 1.000 sono i partner di Vibram in tutto il mondo • Sono più di 750 i dipendenti di Vibram nel mondo; di questi circa 270 lavorano nella sede principale ad Albizzate (Va) VIBRAM NEL MONDO Vibram concentra le attività di progettazione, di gestione strategica e dirigenziale e di sviluppo di nuove tecnologie e prodotti nella sede di Albizzate, in provincia di Varese, per assicurare a tutti i partner lo stesso livello di qualità e di affidabilità ma opera in più di 120 Paesi a livello internazionale. Vibram è presente negli Stati Uniti con una sede commerciale, di ricerca e sviluppo e test di prodotto, in Giappone con una sede commerciale e in Brasile con una licenziataria. In Cina, da 2009, è attivo il futuristico Vibram Technological Center, dotato del Performing Test Center, un impianto futuristico dedicato al collaudo e allo sviluppo di nuovi prodotti. Il Centro ha la doppia missione di ampliare il ventaglio delle tecnologie Vibram e di rafforzare le collaborazioni trasversali con gli altri operatori del settore, costruendo una vera e propria rete di partner qualificati. Nel 2018 sono stati aperti i nuovi uffici Connection Lab in via Voghera a Milano: uno spazio dedicato alla ricerca e alla sperimentazione, per permettere anche al pubblico di testare le prestazioni delle calzature Vibram. I due flagship store Vibram sono situati a Milano e a Boston.
Vibram XS Flash 2
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REEBOK REBRANDING A partire dall'inizio del 2020, Reebok utilizzerà un unico logo che punterà sui simboli più facilmente riconoscibili per il consumatore: il Vector e il lettering “Reebok” A cura di Marcella Ciappi Foto © Reebok
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gennaio\febbraio 2020 Il brand Reebok, uno dei marchi sportivi più noti al mondo e facente parte del Gruppo Adidas, ha recentemente presentato il nuovo logo “Vector”. Un ritorno al passato con uno sguardo al futuro e un obiettivo: l’unione tra fitness e streetwear. Dal 2020 il nuovo logo Vector, una versione graficamente aggiornata dell’originale, sarà integrato su tutti i prodotti Reebok appartenenti alla categoria sport e lifestyle, footwear e apparel. In occasione del lancio, una release esclusiva di capi sportivi con il nuovo logo è disponibile già dallo scorso dicembre. Questa evoluzione vuole mettere in risalto la ricca tradizione di Reebok, creando un ponte tra il passato e il futuro. “La mission di Reebok” ha dichiarato Matt O’Toole, Reebok Brand President “è quella di essere il miglior fitness brand a livello
mondiale. Vogliamo rendere sempre meno netti i confini tra i capi performance e lifestyle, così da poter dare al brand un’anima unica. Fitness e fashion si fondono tra loro e il nostro prodotto rafforza ulteriormente questo legame”. “Grazie al Vector – accattivante, dinamico e fortemente associato ai momenti più importanti della storia Reebok – tutti i nostri prodotti racconteranno un'unica storia” ha aggiunto Karen Reuther, VP of Creative Direction di Reebok. Il Vector è stato introdotto per la prima volta nel 1992 ed è stato recentemente utilizzato all’interno delle collezioni Reebok Classic, sui prodotti heritage e lifestyle. Il logo Reebok Delta, introdotto per la prima volta nel 2011, continuerà ad essere utilizzato solo su una selezione limitata di articoli, tra cui l’abbigliamento CrossFit e
UFC Reebok.
REEBOK
Da sempre pioniere nell’industria dei prodotti per lo spor t e con un’autentica eredità nel mondo del fitness, Reebok sviluppa prodotti e tecnologie legati all’attività sportiva fin dal 1895. Reebok si impegna a guidare i consumatori verso il rag giu ngi m ento d el loro pieno potenziale rivolgendosi a chi vuole restare in forma, attraverso ogni genere di attività sportiva: training, running, combat, yoga e aerobica. Reebok Classic si ispira alla storia del brand nel fitness, alle innovazioni e alle tecnologie sviluppate negli anni ’80 e ‘90 e affonda le sue radici nel mercato dello sp or t lifestyle. L’assortimento comprende la reintroduzione di modelli iconici degli archivi Reebok, con esecuzioni premium e impor tanti focus stagionali. Reebok è exclusive outfitter di CrossFit e dei Reebok CrossFit Games, official title sponsor della Ragnar Relay, exclusive outfitter globale di UFC e fornitore esclusivo di abbigliamento per Les Mills. Incoraggiare le persone a rimanere in forma a livello fisico, mentale e sociale è la mission del Brand.
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MAD MOOD Il franchising della moda A cura di Giorgio Nadali
Mad Mood è una nuova piattaforma di lancio per i designer italiani ed internazionali, centro propulsore della moda italiana, luogo d’incontro tra tradizione sartoriale, ricerca e avanguardia in uno scenario internazionale dove si fondono arte, moda, cultura e Identità territoriale. Sul runway di Mad Mood durante Milano Fashion si racconta non solo il Made in Italy, ma il Life Style dei territori raccontati dalle creazioni di giovani e stravaganti designer. Mission di Mad Mood è dare visibilità ai protagonisti di una moda indipendente e d’avanguardia, non soggetta alle logiche del mercato globale, con una clientela di nicchia che all’omologazione preferisce il “su misura”. Il Concept di Mad Mood è selezionare e ricercare designer in italia e all’estero, che nelle loro creazioni mettono in risalto l’artigianalità, il lavoro fatto a mano, in un mix perfetto tra tradizione della propria terra e innovazione, tra artigianalita e tecniche moderne. Il messaggio che vuole trasmettere attraverso ogni Designer è l’identita del territorio e dei segreti sartoriali delle diverse culture regionali Italiane e di quelle internazionali. Mad Mood divent a, così, il luogo dove il fermento creativo trova una sua espressione ed un suo spazio per promuoversi e raccontarsi. Un’occasione unica di promozione e presentazione del proprio valore creativo, della propria identità culturale ed una opportunità per creare nuove sinergie anche commerciali. Come nasce MadMood? "MadMood nasce innanzitutto come un format che vuole essere centro propulsore della moda italiana, luogo d’incontro tra tradizione sartoriale, ricerca e avanguardia in uno scenario internazionale dove si fondono arte, moda, cultura e identità territoriale. Mad Mood durante la Milano
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In foto: Marianna Miceli - © fashionluxury.info
gennaio\febbraio 2020 Fashion Week propone non solo il Made in Italy ma il lifestyle dei territori raccontati dalle creazioni di giovani e stravaganti designer. La mission di Mad Mood è dare visibilità ai protagonisti di una moda indipendente e d’avanguardia, non soggetta alle logiche del mercato globale, con una clientela di nicchia che all’omologazione preferisce il su misura . Il concept di MadMood è selezionare e ricercare designer in italia e all’estero, che nelle loro creazioni mettano in risalto l’artigianalità, il lavoro fatto a mano, in un mix perfetto tra tradizione della propria terra e innovazione, tra artigianalità e tecniche moderne. Il messaggio che Mad Mood vuole trasmettere attraverso ogni designer è l’identità del territorio e dei segreti sartoriali delle diverse culture regionali Italiane e di quelle internazionali. Mad Mood diventa così il luogo dove il fermento creativo trova una sua espressione ed un suo spazio per promuoversi e raccontarsi. Un’occasione unica di promozione e presentazione del proprio valore creativo, della propria identità culturale ed una opportunità per creare nuove sinergie anche commerciali".
in evidenza la merce che espone e poi deve scegliere una location adeguata. Io mi permetto sempre di verificare il posizionamento del punto vendita del beneficiario, che non deve essere ubicato in una zona lontana dal centro città: la centralità dello store ha un'importanza fondamentale per la riuscita dell'impresa stessa e il successo del punto vendita". Perché un cliente sceglie un negozio in franchising piuttosto che uno tradizionale? "Perché con un investimento minimo si hanno molti vantaggi e si cresce molto più rapidamente: pensi che la cifra investita viene mediamente recuperata in un anno di attività. Come le ho già accennato in precedenza, noi offriamo la consegna del punto vendita arredato e con le collezioni di abiti subito disponibili e scelte con il nostro affiliato. Inoltre forniamo il supporto di tutta la nostra rete commerciale e di comunicazione: il successo del nostro cliente è il nostro successo".
Quali opportunità di franchising offre MadMood? "Con il nostro franchising vogliamo fare in modo che tutti possano avere accesso alle potenzialità della nostra rete e del nostro marchio tramite un piccolo investimento: intraprendiamo così un percorso imprenditoriale comune e proficuo".
Qual è il target di clientela di un negozio di abbigliamento in franchising MadMood? "Il nostro target abbraccia una fascia di clientela femminile che va dai 30 ai 50 anni circa. Le nostre collezioni sono strutturate per rispondere alle più svariate esigenze, sia relative ad abiti da cerimonia che per la vita di tutti i giorni".
Qual è l'investimento necessario per aprire un negozio di abbigliamento in franchising con MadMood? "La quota minima stabilita per accedere al nostro franchising è di 25mila euro più una commissione sui proventi. Noi offriamo l' apertura chiavi in manodi un Mad Mood Concept Store che offre un minimo di 5 collezioni appartenenti a nuovi brand e tutta l’attività di comunicazione e marketing necessaria per il lancio del punto vendita. È nostro preciso dovere supportare il negozio con il nostro ufficio stampa, una fitta rete di pr e un social media team che segua l'imprenditore attraverso campagne di comunicazione coordinate e mirate a farlo crescere".
Mi dica tre buoni motivi per investire nella moda, tre errori da non commettere e tre suggerimenti per sostenere l'ampia concorrenza. "Il mondo della moda è difficile e vivere del proprio lavoro in questo campo lo è ancora di più. Ci vuole tenacia, perseveranza e un occhio attento alle richieste del mercato che cambiano in continuazione per poter riuscire a crescere in questo ambito: un settore davvero affascinante quello del fashion, che può regalare soddisfazioni economiche, personali e professionali a chi dedica tempo e amore a questa attività. Gli errori da non commettere sono quelli relativi alla presunzione di sapere tutto, alla mancanza di formazione personale e la chiusura all'internazionalizzazione".
Quali oneri deve pagare l'affiliato? "Certamente esiste una fee di ingresso ma in cambio noi aiutiamo l'imprenditore ad avviare la sua attività fornendo in breve tempo arredi per il punto vendita e collezioni di abiti prêt-à-porter e da cerimonia".
Qual è la sua personale valutazione del comparto attuale della moda italiana? "È fuori discussione che anche la moda stia vivendo un periodo di crisi. Ma io non sono pessimista, dobbiamo solo capire che le richieste del mercato globale cambiano continuamente. L'Italia è fucina di talento e innovazione nel campo della moda, abbiamo tutte le carte in regola per reggere l'urto con realtà produttive ben più grandi della nostra. A patto di saper internazionalizzare le nostre imprese, investire sui giovani designer e sulla loro formazione professionale".
È previsto un master franchising? "Abbiamo un solo caso di master franchising a Monteroni di Lecce, dove abbiamo preferito questa formula per sviluppare al meglio la nostra rete locale". Quali sono le caratteristiche e le qualifiche del beneficiario del franchising? "Per noi è importante che abbia a disposizione un locale di almeno 70 metri quadrati in modo da avere spazio sufficiente per mettere
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BASELWORLD 2020 Dalla transizione alla svolta A cura di Laura Lamarra
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gennaio\febbraio 2020 Appuntamento imperdibile quello previsto dal 30 aprile sino al 5 maggio 2020 a Basel in Svizzera, dove per la prima volta in perfetta sincronizzazione con il SIHH, l’alta orologeria e gioielleria troverà il suo palcoscenico e la sua massima espressione richiamando i marchi e players più prestigiosi, gli appassionati e la stampa di settore da tutto il mondo. Nella scorsa edizione era stata annunciata la sincronizzazione delle date dei due eventi, dal 2020 sino al 2024, fino a questo momento svoltisi rispettivamente a gennaio il SIHH e a marzo a Baselworld. Una novità accolta positivamente dai numerosi partecipanti ai due eventi che dapprima si trovavano costretti a recarsi in Svizzera nell’arco di poche settimane non senza difficoltà, specie per i provenienti da altri continenti. Questa però non è la sola novità introdotta e accolta con consenso dal settore e in particolare molteplici sono le strategie di comunicazione pensate per ottenere il meglio nell’arco dei prossimi tre anni, tra cui, grazie al contributo di innovative tecnologie virtuali, la capacità di trasformare una fiera che espone prodotti in un’esperienza da vivere a 360 gradi. Una fiera mondiale che in questo modo risponde alla scorsa edizione definita di “transizione”. Il 2019 aveva infatti visto l’assenza di grandi firme , tra cui Swatch Group, con conseguente e inevitabile impatto sulla manifestazione, registrando l’attesa flessione di circa 22% di visite e per tale motivo definita di transito. Rispetto a quest’ultima, l’edizione 2020 è un momento di grande svolta in cui Baselworld diventa luogo di rinnovamento, una
piattaforma di esperienze che va oltre il concetto del tradizionale salone espositivo e offre informazioni e servizi al passo con un mondo in veloce trasformazione. Per la prossima edizione 2020 Baselworld registra un aumento del 50% degli espositori nel settore "Gemme e perle" che, trasferito nel padiglione 2, con espositori raggruppati su un unico livello, con accesso sicuro alla luce naturale attraverso la sua rotonda, è più centrale e ha l’ingresso diretto da Messeplatz e Hall 1, ed è perfettamente collegato ad altri spazi espositivi. Una decisione presa grazie alle consultazioni con le parti interessate del settore; un significativo aumento che ribadisce la posizione di Baselworld come piattaforma globale di acquisto e vendita di pietre preziose. Le aree di ospitalità e reception con bar e lounge ideali per il networking sono state integrate e gli espositori di questo settore hanno, per la prossima edizione nel 2020, i loro stand. Una nuova offerta che soddisfa le aspettative degli espositori, unita al controllo pragmatico dei costi, ora consente un posizionamento più competitivo, per un migliore ritorno sugli investimenti. Sono solo alcune delle anticipazioni e novità che il salone mondiale dell’orologeria e gioielleria di gran classe, riferimento annuale per i players e la stampa del settore, è pronto a offrire. www.baselworld.com
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CHEF PIETRO LEEMANN Alta cucina vegetariana a Milano A cura di Giorgio Nadali
Albert Einstein diceva che “Niente aumenterà le possibilità di sopravvivenza della vita sulla Terra quanto l'evoluzione verso un'alimentazione vegetariana.” Secondo il rapporto dell’Eurispes (Istituto di studi politici, economici e sociali), del 2015, gli italiani che non consumano né carne né pesce, sono circa 4.200.000, l’8% della popolazione totale. Tra questi si riscontra un 1% di Vegani (circa 520.000 persone). Le motivazioni di questa scelta? il 47% ha risposto per motivi di salute e benessere, il 30% per ragioni etiche e di rispetto degli animali, il 12% per la tutela dell’Ambiente. Nel complesso il numero di vegetariani e vegani nel nostro Paese si aggira attorno al 7,3%, un dato che, nonostante le normali oscillazioni annuali, si conferma stabile negli ultimi sei anni. In Italia il mondo “veg” è prevalentemente femminile: il 5,8% è vegetariano contro il 5% degli uomini, il 2,8% è vegano contro l’1,1% degli uomini. Si riscontra inoltre una grande differenza nell’età della popolazione vegetariana e vegana rispetto al 2018: se fino a un anno fa le diete a base vegetale erano appannaggio quasi esclusivo dei cosiddetti “millennials” – i giovani nati fra i primi anni ottanta e il duemila – nel 2018 i 25-34enni vegetariani sono diminuiti dall’8,8% al 3,6%. Per il 25,1% si tratta di una vera e propria filosofia di vita e prevalgono le persone che dichiarano di mangiare “veg” per ragioni di salute (30,1%), mentre per quasi 2 italiani su 10 (19,3%) si tratta di una scelta etica; solo il 3,6%, invece, dichiara di averlo fatto
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In foto: Pietro Leemann
gennaio\febbraio 2020 per tutelare l’ambiente. Lo chef svizzero Pietro Leemann ha lavorato con Gualtiero Marchesi, il fondatore della nuova cucina italiana e a parere di molti lo chef italiano più noto nel mondo. Convinto vegetariano nel 2000 ha aperto a Milano il ristorante Joia di alta cucina vegetariana. Ha scritto diversi libri tra cui “Il sale della vita. Un cuoco vegetariano alla ricerca della verità” (2015) in cui Pietro Leemann racconta la sua vita e la sua formazione, che lo hanno portato a diventare uno dei più stimati e interessanti chef nel panorama italiano ed europeo. Il suo percorso si svolge attraverso una lunga esperienza personale, in cui Leemann, estimatore del buono e del giusto, ha cercato di unire il benessere fisico a quello spirituale, nell'intento di armonizzare e di unire, attraverso una cucina naturale, rispettosa dell'ambiente e di tutte le creature, anima e corpo. Una vita da viaggiatore curioso e da ricercatore, dedicata alla conoscenza e all'alimentazione come strumenti essenziali per elevarsi spiritualmente, coltivando una vita sana nel fisico, nella psiche e nel Sé. Vita e studi sono divenuti la sua cucina, non statica ma in continua evoluzione, che è diventata a sua volta motore propulsivo della sua crescita interiore. Leemann affronta anche i dubbi che lo hanno accompagnato nelle sue scelte, uno sguardo sincero e senza filtri con l'intento di acquisire una sempre maggiore rettitudine interiore. Da un vero maestro della cucina naturale nel suo libro espone quali motivazioni lo hanno portato a diventare vegetariano e a occuparsi del ruolo del cibo nella nostra vita nei suoi vari aspetti, fisico, psichico ed evolutivo. Secondo Leemann "Cucinare è un atto di grande responsabilità: la qualità di quello che facciamo è garantita dal rispetto delle regole,
che nella maggior parte dei casi sono dettate dal buonsenso. La cosa però più importante è lavorare con piacere e con cura. È questo che cambia in modo sostanziale la qualità del risultato. Meglio cucinare con pochi ingredienti che conosciamo bene piuttosto che usarne molti che non sappiamo trattare; meglio addirittura una pasta scotta ma cucinata con amore da una mamma per il figlio che una pasta perfettamente al dente ma preparata senza sentimento". Questa la filosofia dello chef vegetariano Pietro Leemann. Perché la cucina vegetariana? "La mia scelta vegetariana inizialmente, tanti anni fa, era legata ad un’osservazione sulla cucina onnivora che a quel tempo era molto golosa, ma carente da un punto di vista alimentare e ho cominciato a ricercare una cucina più sana e sono diventato vegetariano e mi sono reso conto con quella scelta è stata più salutare. È stata anche una scelta filosofica, legata a una relazione diversa con il Pianeta, per inquinare meno e avere meno impatto su quello che ci sta attorno." Cosa pensa della cucina vegana? "La cucina vegana è scelta da persone che considerano inutile magiare alimenti di origine animale, nemmeno i latticini, le uova e il miele. La dieta da un punto di vista alimentare funziona molto bene, però occorre fare molta attenzione a cosa si mangia per non andare avere carenze, soprattutto se si è molto giovani, perché le proteine animali si assimilano facilmente, quelle vegetali sono più laboriose." Perché Lei ha scelto di essere vegetariano e non vegano? "Io sono svizzero e in Svizzera la cultura dei latticini è molto
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impor tante. Io considero l’alimento latte molto importante per la mia dieta. Scelgo un latte biologico. Oggi il grosso problema sono gli allevamenti intensivi che producono alimenti da evitare."
Cosa pensa della nutraceutica? "Molto interessante perché il cibo è la nostra principale medicina. Non è necessario crearne un’altra per sopperire a qualcosa."
Perché Lei ha aperto un ristorante a Milano e non a Locarno (Svizzera), la Sua città? "Perché Milano è una grande città e da sempre accoglie molte culture. È un crocevia di design, di avanguardia. In Svizzera trent’anni fa sarebbe stato difficoltoso aprire un ristorante di cucina solo vegetariana."
Secondo l'AIRC molte persone abbracciano la dieta vegetariana nella convinzione che si tratti del modo più sano di mangiare. Non sempre fanno la loro scelta sulla base di dati scientificamente validi, ma si tratta in ogni caso di individui dai comportamenti particolarmente virtuosi in termini di salute, seppure spesso scettici nei confronti della medicina scientifica. Il rischio, in questi casi, è di non dare abbastanza peso al parere dei medici in caso di carenze. Penso che hanno ragione perché oggi ci sono tante pseudo diete e le persone seguono in un fai da te carente nelle sostanze che mangiano. C’è una dieta sana. Il fatto che troppa carne o zucchero faccia male è un dato di fatto. Questi alimenti vanno integrati con alimenti che completano la nostra dieta. È comunque importante seguire i dettami del mondo scientifico.
La scelta vegetariana ha più ragioni filosofiche che nutrizionistiche? "Per me è una scelta soprattutto filosofica, come per la maggior parte delle persone che scelgono di mangiare vegetariano. Il cibo ha uno scopo che va oltre a un benessere del corpo ed è legata a un tentativo di avere una relazione armoniosa con il creato."
Vegani e vegetariani in Italia sono l'8% della popolazione. Per questo il Suo il “Joia” è l'unico ristorante stellato di Milano e d'Italia interamente consacrato alla cucina vegana? "Sì. È stato il primo. Un tempo la cucina vegetariana era più legata alla salute che al piacere della tavola. In futuro ci saranno sicuramente più ristoranti di qualità.
La cucina vegetariana non priva il corpo delle giuste proteine animali di cui ha bisogno? "Come per la cucina vegetariana anche il vegano deve essere attento combinando i legumi ai cereali. Questo completa la catena degli aminoacidi. L’unico dubbio è sulla vitamina B12. Io non sono mai andato in carenza di vitamine. Dover pensare alla propria dieta è un vantaggio perché molti si alimentano senza sapere cosa mangiano."
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In cosa il Suo ristorante fa la differenza? "Non lasciamo nulla al caso. Ogni cosa che noi facciamo è studiata sotto il punto di vista alimentare e biologico. Tutto viene fatto da noi con una grande conoscenza. Abbiamo sviluppato molta conoscenza e tecnica in vent’anni. Nella mia cucina ci sono 15 cuochi per servire 50 coperti. Questo non può essere ripetibile da altri ristoranti vegetariani perché nessuno può permettersi di avere un numero così alto di professionisti." 8 dei 25 migliori ristoranti vegetariani al mondo sono in Europa. Uno è a Roma. Il primo in classifica è il Millenium di San Francisco. Cosa fa per raggiungerli? "Il Joia è la migliore realtà vegetariana occidentale al mondo. Io ricevo clienti da tutto il mondo e anche colleghi che vengono per ispirarsi. Nella classifica andrebbero inclusi i ristoranti orientali. Il Giappone secondo me è il posto nel mondo dove si mangia meglio, come in Corea e in India. Nelle classifiche trovo spesso uno stampo un po’ modaiolo. Io ho vissuto in Oriente e avevo il background della cucina francese e italiana. Ho preso il meglio da ogni cultura. I giapponesi sono i più bravi per il fritto, gli indiani per le spezie, i cinesi per le verdure, i francesi per le salse, gli italiani per la pasta."
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GARBOLE: LA CANTINA CON IL FATTORE H La racconta Ettore Finetto che, insieme al fratello Filippo, ha dato vita a una realtà visionaria, creativa, ribelle e allergica al classico “racconto” del vino. Una cantina che in pochi anni è già ai massimi livelli mondiali. A cura di Cinzia Meoni
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gennaio\febbraio 2020 Agricoltori, autodidatti, outsider, visionari allergici ai “salotti”. Ma con i loro vini hanno conquistato il mondo senza neppure passare da uno stand del Vinitaly che per Ettore e Filippo Finetto, produttori dei vini Garbole, sarebbe proprio dietro casa. Garbole ha un indirizzo che, per un winelovers, è tutto un programma: Tragnago (Verona), nella Valle d’Illasi, la zona orientale del Valpolicella dove si trovano alcuni tra i migliori cru del territorio. Ma nonostante la relativa vicinanza con l’universo istituzionale del mondo del vino, i fratelli Finetto hanno scelto di percorrere “il sentiero dell’autonomia che ci permette di seguire la nostra strada e di essere padroni del nostro destino e della nostra reputazione. Un sentiero impervio ed estremo”. E Garbole in effetti è già diventata un’icona di grandi rossi a livello internazionale. “Anche perché prima diventi famoso all’estero e poi ti cercano anche in Italia” chiosa con una certa irriverenza Ettore Finetto che, pur avendo dato vita a una realtà relativamente giovante (l’azienda è nata nel 1994), colleziona già da anni numerosi riconoscimento mondiali. D’altro canto, Garbole, toponimo dell’area che in dialetto significa “acido”, esporta il 70% circa della sua produzione (25mila bottiglie all’anno garantita da venti ettari di vigna coltivata tra i 300 e i 450 metri sopra i livelli del mare) con una predilezione per il Sud Est Asiatico, oltre Usa e Nord Europa. Alla base del lavoro dei fratelli Finetto vi è sempre stata l’idea
di recupero dei vitigni storici veronesi e obiettivi ben chiari “produrre vino in modo unico e irripetibile” e “non venire filtrati ma di essere apprezzati per l’identità e la verità che i nostri vini sanno esprimere”. Vini uniti da un filo conduttore unico: rossi, grandi rossi da vitigni autoctoni, talvolta dimenticati o in disuso dal Corvina, la grande uva del veronese caratterizzata da una maturazione tardiva; il Corvinone dalle dimensioni degli acini più grandi e il Rondinella, capace di rendere il vino più elegante e fine, oltre al Segreta, lo Spigamonti (un incrocio tra Corvina e Malvasia Rossa), Negrara, il Pontedarola e il Saccola. Nel futuro di Garbole tuttavia potrebbe essere intrapresa anche la via dei bianchi, vinificai dalle stesse uve utilizzate per i rossi che hanno portato Garbole al successo. Nessuna tentazione invece verso la spumantizzazione. “C’è differenza tra un vino e una bollicina” sostiene ironico il vigneron. Per ora le etichette di Garbole sono quattro e dedicate ad altrettanti rossi fatti con la tecnica dell’appassimento a cui segue un lungo invecchiamento in barrique. Vini dalle diverse personalità che solo nelle annate migliori vengono imbottigliati e immessi sul mercato: Heletto, rosso veneto Igp; Hurlo, rosso veneto Igp, icona dell’azienda; Hatteso, Amarone della Valpolicella, selezione di uve corvina e corvinone; Hestremo; recioto della Valpolicella Dop. L’H davanti ai diversi brand? “Un ottimo sistema di riconoscibilità, promozione e marketing nato, così come la prima
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denominazione, quella di Hurlo, per caso” racconta l’imprenditore, per poi aggiungere “eravamo con amici e uno di essi di fronte al vino ha esclamato testuale: questo vino è da urlo! E ci ha portato fortuna”. La storia di Garbole è già una leggenda del territorio. L’azienda nasce infatti come hobby condiviso tra i due fratelli Finetto che, nel 1994, nel garage di casa testavano la vinificazione di uve di vecchi vigneti in una cisterna di vetroresina. All’inizio Gabole poteva contare su poco più di una manciata di ettari di vigna, dieci
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in tutto. La svolta è poi arrivata sei anni dopo, quando i Filippo ed Ettore Finetto decidono di lasciarsi tutto il resto alle spalle e investire le rispettive vite professionali in questa nuova realtà. “Siamo stati affascinati da questo straordinario mondo al quale ci siamo dedicati anima, mente, cuore e corpo, abbandonando le nostre vite precedenti e credendo fermamente nella bellezza dei nostri sogni” sostiene il manager. Proprio nel 2000, dopo varie sperimentazioni, delle prime bottiglie a marchio Garbole con un Veneto Rosso Igp, fatto con il metodo dell’appassimento come l’Amarone ma senza rientrare nella denominazione. Era nato Hurlo, un vino dalla produzione limitata e che rappresenta l'essenza della filosofia aziendale creativa, ribelle, una etichetta che va al di là di ogni tecnicismo diventando emblema della libertà. Un urlo di gioia, o meglio, un Hurlo.
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ELIOR, IL NUMERO 1 IN ITALIA NELLA RISTORAZIONE COLLETTIVA Intervista a Rosario Ambrosino, CEO di Elior Italia A cura di Giorgio Nadali
Le radici di Elior risalgono al 1954 con la gestione della ristorazione all’interno dei cantieri navali di Genova. Negli anni ha allargato competenze e professionalità per servire aziende piccole, medie e grandi, scuole e università, strutture sociosanitarie, forze armate e il settore dei viaggi, dei musei e del tempo libero. Nel 1999 entra a far parte di un’azienda leader a livello internazionale della ristorazione collettiva come il Gruppo Elior, diventando Elior Ristorazione. Oggi è leader di una realtà solida di cui fanno parte Gemeaz Elior, l’azienda storica della Ristorazione Italiana, e Elior Servizi, il brand specializzato nella pulizia e igienizzazione di ambienti sanitari e industriali, nella logistica interna, nei servizi alberghieri e di manutenzione. Dal 2013 ha creato in esclusiva il marchio Itinere, la ristorazione per i passeggeri delle Frecce di Trenitalia. Dal 2018 è entrata a far parte del Gruppo Elior Hospes, storica azienda di ristorazione veronese. Il Gruppo Elior è il numero 1 in Italia nella ristorazione collettiva con 12.000 collaboratori. Nei 2.000 ristoranti e punti vendita in tutta Italia, Elior serve oltre 106 milioni di clienti ogni anno e ha un fatturato di 600 milioni di euro. Nel 2017 il Gruppo ha realizzato una cifra d’affari di 6.694 milioni di Euro suddivisa nei 15 paesi in cui opera e conta 132.000 collaboratori che servono ogni giorno 6 milioni di clienti
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In foto: Rosario Ambrosino, CEO di Elior Italia
gennaio\febbraio 2020 in 25.600 ristoranti e punti vendita. Il nucleo originario di Elior Ristorazione nasce nel 1999 quando Elior investe nel nostro Paese, acquistando una quota del capitale sociale di Ristochef. Nel 2004 viene fondata Avenance Italia che, nel 2012, cambia la sua denominazione in Elior Ristorazione. Nello stesso anno, l’acquisizione di Gemeaz Cusin fa conquistare al Gruppo la leadership, per quote di mercato, nella ristorazione collettiva in Italia. A livello internazionale il Gruppo Elior è stato fondato nel 1991 ed è uno dei leader mondiali nella ristorazione e nei servizi per le aziende, le scuole, la sanità, ed anche nei viaggi. Organizzata per “stream”, canali specifici di servizio, – scuole, aziende, ospedali e case di riposo, forze armate, musei e ristorazione a bordo delle Frecce di Trenitalia, con la divisione Itinere – Elior disegna, progetta e realizza la ristorazione con team di specialisti che affiancano i clienti nella traduzione dei bisogni, suggerendo le migliori soluzioni. Inoltre per rispondere ai rapidi cambiamenti del mercato, alle esigenze sempre più specifiche dei “consumatori 4.0” particolarmente recettivi a concetti come l’ipermobilità, digitalizzazione e sharing economy, ed anche alla centralità del food come valore e fonte di benessere, Elior ha approntato servizi all’avanguardia come prenotare il pasto senza fare la fila via smartphone, scegliere il menu e gestire il pagamento da remoto, seguire su APP un piano alimentare e consultare le caratteristiche e i valori nutrizionali degli alimenti usati nelle preparazioni. Rosario Ambrosino è CEO di Elior Italia. Dottor Ambrosino, in cosa fa la differenza Elior nella ristorazione collettiva? "Negli anni abbiamo allargato competenze e professionalità per servire aziende piccole, medie e grandi, scuole e università, strutture socio-sanitarie, forze armate e il settore dei viaggi, dei musei e del tempo libero. Ci prendiamo cura di ogni cliente con soluzioni di ristorazione equilibrate, con servizi personalizzati e innovativi che incontrano tutti i gusti e i desideri. La nostra mission è rendere ogni pasto un momento da assaporare attraverso ingredienti locali, freschi e di qualità, alla base di menu bilanciati e sempre contemporanei." Ci parli di Positive FoodPrint Plan, la vostra strategia di Responsabilità Sociale d’Impresa. "La strategia del gruppo Elior per la CSR segue un approccio proattivo e di miglioramento continuo. L’obiettivo ambizioso del Gruppo Elior consiste nel lasciare un impatto nutrizionale positivo “Positive Foodprint”, dalla filiera agricola alla tavola del consumatore, avvalendosi del supporto di tutte le figure principali del gruppo. Elior ha fissato quattro obiettivi per lo sviluppo sostenibile: fare in modo che tutti gli ospiti possano gustare piatti buoni e salutari (per qualità, sicurezza, equilibrio dei nutrienti e gusto); utilizzare ingredienti sostenibili (ovvero nel rispetto delle filiere e valorizzazione del territorio), eliminare gli sprechi alimentari; utilizzare la tecnologia come sostegno
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per far vivere ai clienti un’esperienza eccezionale, trasformando la pausa pranzo in un momento di ricarica e riscoperta delle relazioni." Cosa significa per Elior aderire al Global Compact, il programma delle Nazioni Unite sulla responsabilità sociale d’impresa? "Dal 2004 Elior aderisce al Global Compact delle Nazioni Unite con un impegno finalizzato ad una gestione responsabile del business in ogni ambito e parte della filiera per garantire condizioni di lavoro corrette, partnership e relazioni costruttive con i nostri fornitori/interlocutori e azioni positive di impatto ambientale. Una governance di questo tipo è uno stimolo per la crescita stessa del business e ci pone in ascolto delle esigenze dei clienti e steakeholder, facendo da propulsore per la nostra innovazione sostenibile. Il Gruppo risponde inoltre ai requisiti del Global Compact Advanced Level, un livello che nel 2017 è stato raggiunto soltanto dal 10% delle aziende che aderiscono al progetto. Un successo che dimostra come gusto, impresa e valori etici possano contribuire a creare un mercato globale più sostenibile." Cos'è la Food Academy di Elior? "La Food Academy Elior è un luogo di formazione e innovazione dove il gusto incontra la ricerca, una fucina innovativa in cui vengono analizzati nel dettaglio tecniche di cottura e conservazione degli alimenti, nuove ricette e combinazione di ingredienti per offrire piatti buoni e sani per dare risposta ai bisogni di tutto il territorio. Qui abbiamo riunito le competenze di partner d’eccellenza come istituzioni scientifiche italiane e internazionali, professionisti nel mondo della nutrizione, tecnologi alimentari, università come quella di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, chef stellati con i quali Elior stringe continue collaborazioni, associazioni come la Fondazione Banco Alimentare. Ma soprattutto è la connessione di tutto questo con i clienti e i fornitori della Grande Cucina con i quali pensare e realizzare il futuro dell’alimentazione." Quali sono i vostri numeri consolidati 2018 sul mercato? "Elior è leader nella Ristorazione Collettiva in Italia, dove si occupa dei pasti di oltre 106 milioni di clienti all’anno in più di 2.400 ristoranti e punti vendita attraverso 12.000 collaboratori, con un fatturato di 600 milioni di euro." Chi sono gli Chef Ambassador di Elior? "Si tratta di 43 professionisti della ristorazione, formati dal nostro Gruppo, che si sono distinti per i risultati ottenuti nel proprio lavoro quotidiano sperimentando alimenti e tecniche innovative per standard di elevata qualità nella ristorazione. Il loro compito è importante e delicato: devono interpretare e veicolare i messaggi
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gennaio\febbraio 2020 alimentare nel segno dell’eccellenza. Abbiamo iniziato da subito a far evolvere la nostra offerta innovando anche gli spazi fisici, i ristoranti aziendali e quelli virtuali, con APP, monitor e informazioni sulle intranet per soddisfare le richieste di coinvolgimento e sensibilizzazione su dieta, nutrizione e corretti stili di vita. Il tutto attraverso ricerche internazionali e locali e con indagini dettagliate sui nostri clienti." Lei ha assunto nell’ottobre 2014 la guida di Elior. Quali sono i 3 punti essenziali per una leadership e quali i 3 punti essenziali per una imprenditorialità vincente? "La leadership per me è data dalla capacità di guidare la propria squadra e nel frattempo motivarla per riaggiungere degli obiettivi prefissati. Un buon capo deve sapere anche delegare ai propri collaboratori cosi da far crescere le loro competenze e in ultimo saper valorizzare le idee innovative che possono sviluppare il business e creare valore. L’imprenditorialità vincente in Elior si basa sulla qualità, sull’ascolto e sull’innovazione. La qualità che deriva dalla sicurezza sul lavoro ed alimentare, dalla cura delle relazioni con i nostri clienti e dall’attenzione con cui presentiamo i nostri servizi. L’ascolto si basa sulla capacità di porre il cliente al centro e di anticiparne i bisogni mentre l’innovazione è possibile grazie a lavori multifunzionali, disciplina nei processi ed ottimizzazione delle risorse."
di trasformazione e sostenibilità, condivisi in Food Academy formando i loro colleghi sul territorio, per trasmettere i principi di miglioramento e innovazione distintivi di Elior." Quali sono i 3 requisiti fondamentali per una ristorazione di qualità? "La nostra politica alimentare si basa sulla qualità delle materie prime, sulla sostenibilità e sulla salubrità dei piatti. Ogni giorno ci impegniamo per offrire un servizio di qualità capace di soddisfare le esigenze di tutti e garantire una politica nutrizionale varia ed equilibrata. Fondamentale il tema dell’innovazione sostenibile: la tecnologia viene utilizzata come un sostegno nascosto per far vivere ai nostri clienti un’esperienza eccezionale, trasformando la pausa pranzo in un momento di ricarica di energie e riscoperta delle relazioni." Quale significato per Lei ha la parola "eccellenza"? "Elior ha concentrato le proprie risorse verso un’evoluzione
Cosa pensa della dieta mediterranea che nel 2010 è stata dichiarata dall’Unesco Patrimonio Culturale Immateriale per l’umanità? "La dieta mediterranea è alla base della nostra politica nutrizionale e ispira la creazione delle nostre ricette e menu. Se gli italiani affermano di conoscerla e seguirla, i dati di obesità e sovrappeso non confermano questa tendenza (35,4% della popolazione risulta essere sovrappeso e il 10,5% obesa). Di recente abbiamo commissionato all’istituto Ixè una ricerca proprio su questo tema, intervistando per la prima volta 40 chef responsabili di 10 milioni di pasti all’anno, e indagando in contemporanea un campione rappresentativo della popolazione italiana. Secondo l’Istituto Ixè sono più della metà, il 55%, gli italiani che affermano di seguire e conoscere bene i principi della dieta mediterranea e gli chef segnalano che una percentuale analoga la chiede anche durante il pranzo in azienda. Visto questo contesto, la ristorazione collettiva ha una grande ruolo nelle dinamiche sociali e sanitarie del nostro paese e proprio attraverso la promozione e corretta interpretazione di questo modello nutrizionale è possibile incentivare migliori stili di vita e abitudini alimentari." Quali sono le prospettive di Elior nel mercato globale della ristorazione collettiva? "Oggi siamo tra i primi operatori al mondo della ristorazione collettiva in senso stretto e la focalizzazione su questo mercato consentirà ad Elior di distinguersi sempre più in termini di creazione di valore per i propri clienti. L’innovazione continua incentrata sulle esigenze dei clienti è infatti il punto di forza distintivo del nostro gruppo."
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/Food Avete mai sfogliato una rivista di cucina o scrutato i post di note food blogger o influencer, avendo la sensazione di poter quasi assaggiare la pietanza allungando una forchetta? La disposizione, la luce, l'inquadratura, tutto questo è stato accuratamente studiato e preparato prima di quello scatto proprio al fine di conquistare non solo il vostro sguardo ma anche la vostra gola. Ci spiega i trucchi del mestiere Stefania Casali, famosa food photographer che, spinta dall'amore per la professione, tiene corsi ed edita un blog per insegnare ai neofiti le basi di quest'arte. Come ha intrapreso la carriera di food photographer? “Sono appassionata di fotografia da quando ho memoria, ma un po’ per passione, un po’ per obbligo, intorno ai 14 anni per fare le fotografie alle gite scolastiche ho dovuto imparare ad usare la reflex di famiglia, l’unica fotocamera a disposizione. Ovviamente le prime fotografie erano un vero disastro. La passione per il cibo è andata di pari passo. Per molti anni ho lavorato come tecnico nel mondo della ristorazione, ho addirittura aperto una gelateria pasticceria in giovane età, da lì la fotografia di cibo è stato uno sviluppo naturale.” Quali sono le differenze fra un set fotografico consueto e quello allestito per un prodotto culinario? “Per fotografare il cibo è necessario conoscere il cibo. La comunicazione visiva nelle foto alimentari segue regole sue, in quanto quello dell’alimentazione è un processo influenzato soprattutto da aspetti sociologici e culturali e non finalizzato al solo sostentamento. Per una comunicazione efficace e una corretta targettizzazione del pubblico a cui sono rivolte queste immagini, sono necessarie specifiche competenze tecniche in materia fotografica, oltre ad un bagaglio di informazioni graficopubblicitarie, enogastronomiche e socioculturali.” Cambiano il tipo di luce e l'attrezzatura? “La fotografia di Food, a meno che
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FOOD PHOTOGRAPHER La professione che ha decretato la fortuna di chef, blogger e riviste culinarie A cura di Elena Pravato
gennaio\febbraio 2020 non parliamo di un reportage di viaggio di cui è componente fondamentale, è fatta in condizione di luce controllata come qualsiasi altro tipo di fotografia di posa che possa essere lo stilllife, un servizio di moda o un ritratto. In determinate condizioni e per servizi brevi è possibile usare la luce ambiente, a patto che sia bella, ma personalmente preferisco la luce flash, la quale mi consente di ricreare qualsiasi condizione richiesta dal cliente e mantenerla stabile nel tempo. In alcune condizioni, come lo scatto in sala posa, o servizi in locali privi di finestre, la luce artificiale è una scelta obbligata." Quali sono i suoi clienti tipo e quali differenti richieste le sottopongono? "Come fotografa di Food i miei clienti tipo sono aziende che mi contattano per immagini di packaging, pubblicitarie, per siti o diffusione social. Collaboro con diverse agenzie per cui svolgo anche servizi di interni. A questa professione affianco l’insegnamento, con corsi per scuole accreditate come consulente per la comunicazione visiva, oltre a corsi specialistici in Food Photography e post produzione, in questi casi i miei clienti sono spesso colleghi oltre naturalmente ad appassionati e food blogger. Per alcuni chef a volte capita di dover fare veri book fotografici con le loro creazioni."
è necessario fare foto che effettivamente rispecchino l’identità di se stessi che vogliamo trasmettere. Per motivi meramente tecnici la fotocamera registra la realtà, ma non l’effettiva percezione che abbiamo di un determinato soggetto. Il cibo ha una forte componente emozionale e sociale, il food photographer deve saper agire sul set per fare leva su tutte quelle componenti emotive fondamentali per desiderare un determinato cibo in uno specifico momento. Per questo la food photography non è un genere così immediato e più di qualche collega si scontra con una realtà che non immaginava così complessa. Per fotografare un alimento che debba essere contemporaneamente bello e appetitoso non basta essere fotografi, si deve essere anche stylist, esperti in comunicazione ed enogastronomia, saper inquadrare un target specifico e realizzare gli scatti che lo soddisfino. Fare anche un semplice corso di cucina può essere un buon punto di partenza, oltre ad essere profondi conoscitori dell’interazione tra luce e materia.” Per informazioni : foodphotographyitalia.it
Quali sono le richieste più particolari che le hanno fatto? "Per me particolare coincide con qualcosa che magari non farei mai poiché non rispecchia il mio gusto personale. Quando lavoro reprimo molto la componente artistica, spesso sono affiancata da art director che hanno le idee molto chiare, perciò sono più un tecnico con le competenze necessarie per realizzare le idee altrui. Se mi fanno richieste che potrebbero avere effetti controproducenti per il business del cliente, soprattutto da un punto di vista comunicativo, cerco di arrivare a un punto di accordo o comunque di offrire anche un’alternativa. Può capitare che sull’onda dell’emozione il cliente abbia idee un po’ troppo alternative, che poi a mente fredda non convincono più nemmeno lui e gli scatti diventano inutilizzabili." Qual è il prezzo indicativo per un servizio fotografico ad esempio per un menù? "Un semplice menù senza pretese che si possa sviluppare nell’arco di una giornata lavorativa parte da un minimo di 500/700€, che poi salgono a seconda delle richieste e dal tipo di post produzione. Ai miei allievi raccomando sempre di non svalutare il proprio lavoro anche se non hanno anni di esperienza alle spalle. Dico sempre loro che quando chiami l’idraulico non è per sbattere sui tubi, ma perché sa su che tubi sbattere, ecco quando chiami il fotografo non è perché ha la fotocamera, ma perchè la sa usare in funzione delle richieste." Perché occorre, ed è consigliabile, rivolgersi ad uno fotografo professionista specializzato come Lei invece che affidarsi ad uno studio fotografico sui generis o al fai da te? "Il fai da te, a meno di non avere competenze fotografiche, è spesso deleterio. Anche per la comunicazione social, Instagram per capirci,
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SOCIAL EATING E PERSONAL CHEF I trend che impazzano tra foodies e i nuovi business in espansione: tour guidati da buongustai locali tra bancarelle del mercato e botteghe conosciute solo dai veri intenditori A cura di Cinzia Meoni
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Uno chef tutto per sé o a una cena a casa di un cuoco per passione o professione? I personal chef e il social eating sono due dei trend che si stanno prepotentemente affermando sulla scena internazionale del food, coinvolgendo “foodies”, viaggiatori a caccia di esperienze con i “local” e tutti coloro che amano apprendere ricette storie di vita. Ecco quindi che con l’avanzare del Millennio, il vero lusso non è tanto quello di uscire per locali blasonati, ma quello di festeggiare occasioni speciali nel comfort di casa propria con uno cuoco privato a propria disposizione, perfino stellato, che sappia interpretare sogni e desideri realizzando un menù unico e irripetibile, cucito ad arte sulle singole richieste. O, in alternativa, concedersi una cena in compagnia di meravigliosi sconosciuti legati dalla comune passione dell’enogastronomia e dalla voglia di scoprire un menù appositamente studiato e proposto sulle diverse piattaforme (come Gnammo, Vizeat.com, Le Cesarine che costituiscono una realtà tutta italiana di “home dining” con oltre 600 collaboratori) da un cuoco per passione o professione che apre le porte di casa propria e si mette a disposizione degli ospiti. Si sceglie la casa in cui cenare in base al menù, al prezzo (in media si spendono tra i 15 e i 70 euro), e alle recensioni, ci si mette in lista e, una volta raggiunto il numero minimo di partecipanti, ci si vede direttamene attorno al tavolo. All’orizzonte si fanno poi sempre più strada anche i tour dedicati ai gastronauti in cerca di nuove suggestioni per il palato proposte da buongustai locali tra negozi e bancarelle del mercato ritenute vere e proprie perle per intenditori. O le scuole di cucina “home made”. Le Cesarine, ad esempio, propongono corsi per imparare a cucinare il risotto alla milanese o i tortelloni di pasta fresca, Gnammo il corso per cappelletti ferraresi. Esperienze che si possono anche regalare sotto forma di voucher prenotando dalle
maggiori piattaforme o contattando i singoli chef. Per ogni occasione esiste uno chef in grado di regalare magia a una serata importante o disposto ad aprire le porte di casa per rendere partecipi i commensali di tutti i possibili segreti della ristorazione, ricette di famiglia e nuove tecniche comprese. A differenza del catering o di un servizio di consegna a domicilio, non vi sono cibi già pronti (salvo che si tratti di piatti dalle cotture molto lunghe), ma tutto è preparato nella cucina dello chef o in quella del cliente, in una via di mezzo tra uno showcooking e una lezione di cucina. Tra gli chef professionisti o amatoriali che comunque si dedicano alle cene “social”, non mancano esperti specializzati in piatti vegani, pasticceri e maestri di cucina etnica, la scelta è infinita e copre tutta Italia. E l’occasione… basta crearsela. Un viaggio di lavoro in cui si ha una sera libera da precedenti impegni o una vacanza o può essere il l’occasione per entrare nelle case di cuochi locali facendosi raccontare un territorio attraverso ricette e tradizioni. Non è un caso che si parli sempre più spesso di foodcations (food + vacation), un modo di viaggiare che mete al centro il cibo (solo negli ultimi dodici mesi la spesa legata al cibo in viaggio è decollata mettendo a segno un +61%). Secondo l’Osservatorio Home Food Le Cesarine gli stranieri hanno speso in Italia nell’ultimo anno 12 miliardi in cibo, di cui 3 spesi in “occasioni di consumo di cibo al di là della ristorazione tradizionale”, come appunto le cene social. Un business in decisa espansione per chi è alla ricerca di emozioni, suggestioni, di tradizioni autentiche e magari anche della possibilità di apprendere tecniche e ricette. I prezzi per una cena social partono dai 40 euro a testa, più o meno come un ristorante di livello. “A contattare e a prenotare un’esperienza con Le Cesarine sono stati anche diversi tour operator internazionali
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di alto standing i cui clienti sempre di più chiedono esperienze che li portino a contatto con la cultura e le abitudini locali, a maggior ragione se è coinvolto il cibo e l’ospitalità. C’è anche molta voglia di approfondire: di tutte le prenotazioni ricevute circa il 75% ci ha chiesto un’esperienza con lezione di cucina annessa e, in alcuni casi, anche tour del mercato per fare la spesa” ha dichiarato in merito Davide Maggi, AD de Le Cesarine. Se invece si preferisce l’intimità della propria casa e non si è in vena di stringere nuove amicizie, lo chef a domicilio garantisce una soluzione perfetta sia che si tratti di una ricorrenza famigliare, di una cena a due, di un addio al celibato o al nubilato, di una festa comandata o di un incontro conviviale tra amici “foodies”. Gli chef a domicilio infatti entrano nelle case dei clienti in punta di piedi, li ascoltano con attenzione, si eclissano se necessario o raccontando i piatti e le ricette se richiesto, e di occuparsi di tutto dalla spesa fino alla pulizia finale. Per un servizio “tailor made” che comprende, volendo, anche la proposta di abbinamento dei vini ai piatti in menù, si paga come in un ristorante di livello medio alto (secondo l’Osservatorio ProntoPro per avere un professionista della cucina in casa propria si spendono in media 54 euro a testa), con una qualità eccezionale come dimostrano i curricula dei diversi professionisti appartenenti alla Federazione Italiana Professional Personal Chef (www.fippc.com). Meglio, tuttavia, calcolare bene in tempi e con un certo anticipo. L’organizzazione
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è tutt’alto che banale. Dopo un primo contatto mail o telefonico, lo chef generalmente procede un’ispezione dell’ambiente dove è previsto l’evento e della cucina, per poi decidere con il cliente il menù sulla base dei desideri, anche di quelli più originali e reconditi, del budget, delle intolleranze e di eventuali dettami religiosi o filosofie di vita. Nelle ore precedenti all’evento lo chef si occupa poi della spesa dai propri fornitori di fiducia: la resa di una cena dipende infatti dalla accurata scelta delle materie prime da lavorare, anche se ovviamente il cliente può partecipare e, qualora dovesse avere fornitori particolari, confrontarsi con lo chef. Il nuovo trend ha portato poi alla creazione di molteplici iniziative tra cui la Federazione Italiana Professional Personal Chef che si propone, dopo adeguati corsi di formazione, come una vera e propria brigata sul territorio; Chef Booking (chefbooking.com), piattaforma con 1795 chef a domicilio; Take a chef (takeachef. com), piattaforma europea (con 40mila chef a disposizione in cento Paesi) che permette di contattare professionisti per singole esperienze gastronomiche, per tutte le vacanze o anche con contratti più lunghi e La Belle Asiette (labelleassiette.com), una piattaforma molto semplice da utilizzare che collega 750 chef a domicilio con potenziali clienti in mezza Europa (Francia, Regno Unito, Svizzera, Belgio, Lussemburgo) e propone 3426 possibili menù.
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/Impresa
INTELLIGENZA ETICA Come lo sviluppo scientifico e tecnologico dei prossimi decenni potrebbe trasformare le nostre società? Rubrica a cura di IKN
In occasione della prima edizione di GoBeyond, l’evento di IKN Italy dedicato al mondoTech & Data, abbiamo incontrato Maurizio Balistreri Senior Assistant Professor dell'Università di Torino. Siamo pronti ad accogliere culturalmente una trasformazione digitale? A che punto è la vostra industry? "Non è facile rispondere a questa domanda, ma credo che anche la nostra società sia di fronte a grandi cambiamenti che modificheranno profondamente la vita delle generazioni future. Non è facile fare i conti con grandi trasformazioni: all’inizio prevale la paura, la sensazione che rischiamo di perdere quello che dà senso alla nostra vita, ma poi, forse senza nemmeno accorgercene, ci ritroviamo immersi nelle nuove tecnologie e dipendenti da esse." Qual è il reale beneficio oggi di utilizzare strumenti di Deep Learning, Machine Learning e Analytics? Come vengono utilizzati dalla tua realtà? "Credo che ancora non abbiamo fatto i conti con le potenzialità di questi strumenti nell’ambito dell’educazione, ma non c’è dubbio che anche questo settore sarà attraversato dalla rivoluzione digitale. Abbiamo già avuto esperienza del robot che ha tenuto una lezione di filosofia morale, forse avremo sempre più macchine intelligenti che assistono gli studenti e, perché no, i docenti in ambito accademico. Per i docenti potrebbe essere prezioso avere accanto a sé un assistente robotico: per gli studenti, chissà, potrebbe essere garanzia di imparzialità." Il futuro: quali trend tecnologici ritieni in crescita? "Immagino un mondo futuro in cui robotica e intelligenza artificiale permetteranno di sviluppare macchine sempre più intelligenti in grado di integrarsi perfettamente alla nostra società. Quello che vediamo per il momento soltanto nei film di fantascienza domani
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potrebbe diventare realtà. Alcuni arrivano a pensare anche ad un mondo senza più lavoro: dove saranno le macchine a lavorare, mentre noi potremmo passare il tempo in attività ricreative. Non sono se arriveremo mai al comunismo robotico, ma lo sviluppo tecnologico ci invita comunque a confrontarci con il futuro ed a immaginarci una vita anche diversa." Il dottor Balistreri sarà tra i protagonisti della prossima edizione di GoBeyond, il primo Hub di incontro di Information Technology e Business Manager per approfondire gli sviluppi concreti dell’Intelligenza Artificiale, le proposte della Start Up innovation e i trend più efficaci per supportare la Diversity, ricercare i migliori Talenti Tech e accelerare la Digital Transformation, che si terrà a Milano il 4 marzo 2020. Interverrà nella Sessione AI 4 BUSINESS in un panel discussion dal titolo “AI Ethics Lab: superare il concetto della competizione tra uomo e macchina” e si confronterà con la dottoressa Michela Milano, Professoressa dell’Università di Bologna e il dottor Alessandro Franchi CIO di Maddalena. Maggiori informazioni sul sito dell’evento www.go-beyond.it/
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DEBUTTA A MILANO IL 4 MARZO 2020 LA 1A EDIZIONE DI GOBEYOND WHERE TECH ACCELERATES BUSINESS Ideato da IKN Italy, forte dell’esperienza di 7 anni dell’evento Information Technology Forum, è in arrivo Go Beyond: il primo evento in Italia a riunire il mondo dell’Information Technology, dell’Intelligenza Artificiale, delle Start Up e dei Talenti Digitali in unico format. In 1 solo giorno 3 tematiche: • Innovation Technology per una trasformazione digitale business driven. IT come partner del business e casi concreti di innovazione. Cloud e infrastructure stategy, change management e leadership, ottimizzazione dei costi e scelte strategiche per gli investimenti, security e compliance. • Data, Analytics e Intelligenza Artificiale per nuove soluzioni e sfide per il business. Applicazioni pratiche di AI ed ethics guru. Framework unico per gestione dati, analisi predittive, augmented analytics, automazione intelligente dei processi e Autonomous Things. • Diversity e Tech per accelerare il business. Strategie per scegliere i nuovi talenti nel digital&tech, storie di successi e insuccessi nei programmi di diversity, analisi su pay gap, nuovi percorsi di carriera e nuove professioni. Oltre 600 partecipanti, 60 tech guru speaker, un’aerea espositiva completa delle soluzioni più avanzate del mondo tecnologico. Il programma completo di Go Beyond sarà consultabile sul sito dell’evento: www.go-beyond.it/
DEBUTTA A MILANO IL 19 FEBBRAIO 2020 LA 1^ EDIZIONE DI CMOVE RIDISEGNARE LA MOBILITÀ: TECNOLOGIA, MODELLI E SOSTENIBILITÀ Ideato da IKN Italy, è in arrivo CMove: è il primo evento in Italia a riunire dealer, case auto, servizi di sharing, enti locali, trasporto pubblico, assicurazioni, responsabili flotte aziendali, servizi di noleggio a lungo termine, start up, telematic service provider, ICT & TLC player. In 1 solo giorno 3 eventi: • Sistemi di mobilità connessa, sostenibile e condivisa. Storie di successi/insuccessi e sperimentazioni in ambito di mobilità connessa, condivisa, elettrica e intermodale, di assicurazioni dei nuovi modelli di mobilità e di mobilità dell’ultimo miglio. Progetti in ambito ADAS e impatti dell’avvento del 5G. • Cross selling, fidelizzazione ed experience on board: strategie 2020 di carmaker e dealer. Esperienze di case auto e grandi dealer mono e multibrand su nuovi progetti di fidelizzazione, di gestione omnicanale e di profilazione del cliente, di alfebitizzazione digitale e di monetizzazione dei servizi. Scenari evolutivi sui modelli di distribuzione se l’auto sarà sempre meno proprietaria. • Da fleet manager a mobility manager: sicurezza, sostenbilità e costi di gestione. Nuovi modelli di car policy e tecniche di negoziazione per fornire soluzioni innovative, personalizzate e flessibili. Esempi di sicurezza a bordo, di gestione di flotte green e connesse e di applicazione di Total Cost of Owernship. Ecco i numeri attesi di Cmove + 450 partecipanti + 70 speaker esperti di mobilità e fleet management + 60% C-level Il programma completo di Cmove sarà consultabile sul sito dell’evento: www.ikn.it/evento/10806/cmove/home
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/Impresa
LIONARD LUXURY REAL ESTATE Intervista a Dimitri Corti Rubrica iLoby a cura di Christian Gaston Illan
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gennaio\febbraio 2020 Amministratore e fondatore di Lionard Luxury Real Estate, Dimitri Corti nasce a Firenze nel 1977. Da sempre affascinato dal mondo del real estate, vi matura le sue prime esperienze professionali che consolida nell'arco di 20 anni di successo nella direzione manageriale e imprenditoriale di società immobiliari. Grazie a un'estesa rete di importanti contatti personali e al suo interesse per i mercati internazionali, espande le sue competenze nel settore immobiliare all'estero – in particolare a Mosca, Londra e New York – dove allaccia rapporti con i maggiori operatori legati al mondo finanziario, imprenditoriale e immobiliare. Intuendo il grande interesse della clientela internazionale per gli immobili di pregio in Italia e il potenziale di questa esclusiva fascia di mercato, nel 2008 fonda Lionard Luxury Real Estate, società che attraverso la vendita di proprietà di prestigio pone al centro del proprio operato la valorizzazione del Made in Italy e delle ricchezze immobiliari e architettoniche del nostro territorio. Quale ruolo ricopre l'Italia all'interno del mercato immobiliare di prestigio? "L'Italia ha un enorme potenziale. Le ricchezze paesaggistiche, architettoniche e immobiliari nonché il patrimonio culturale e storico, adeguatamente valorizzati, possono costituire un ottimo investimento sia per la clientela italiana che per quella estera. L'offerta immobiliare, oltre ad essere di altissimo livello, è anche estremamente diversificata e questo ci regala una marcia in più rispetto agli altri Paesi. In Italia si trovano ville a picco sul mare, castelli medievali, ville rinascimentali, ma anche strutture ricettive di livello, attici extra lusso a prezzi concorrenziali, moderne ville di nuova costruzione in location esclusive. Tutto questo gioca un ruolo fondamentale nel richiamare l'attenzione della clientela internazionale." Qual è la situazione attuale dell'immobiliare di lusso? "Indubbiamente quello del lusso è un mercato in forte espansione e che incide in modo significativo sull'economia dei Paesi europei, in particolar modo dell'Italia, dove il Made in Italy è da sempre sinonimo di prestigio. Nel corso degli ultimi anni il segmento luxury del real estate ha assunto caratteri di forte internazionalizzazione, aprendosi in modo significativo anche verso i mercati emergenti. L'immobile è un bene tangibile che, in termini di investimento, garantisce un bassissimo coefficiente di volatilità. Questo trasmette grande sicurezza alla nostra clientela. Per questo si ricercano tratti di unicità ed eelementi di plusvalore che garantiscano una crescita del valore dell'investimento nel lungo periodo. Valorizzare i propri prodotti d'eccellenza, nell'immobiliare come negli altri settori, è un importante contributo in un momento di indubbia difficoltà economica che coivolge la maggior parte dei mercati." Quali caratteristiche rendono l'Italia una meta ambita per la clientela internazionale? "Storia, cultura, clima, cibo, architettura, design, moda, cinema... sono molti gli aspetti per cui l'Italia si contraddistingue e fa parlare di sé e delle sue eccellenze. A prescindere dalla tipologia e dall'obiettivo dell'investimento,
In foto: Dimitri Corti
la clientela internazionale si avvicina all'Italia attratta dal nostro lifestyle, universalmene noto come Dolce Vita, componente di grande fascino che sicuramente incide sulla scelta di vivere, trasferirsi o investire nel nostro Paese. Le eccellenze dell'Italia sono un grande incentivo all'acquisto, unite ad un'offerta variegata, che va dagli immobili di pregio storico dove è possibile vivere nel massimo del comfort ai moderni attici extralusso nel centro città. Tutto ciò permette di incontrare i gusti e le richieste più diverse tra loro, mentre la stabilità dei prezzi, il costo della vita ed il meccanismo fiscale noto come Flat Tax, che consente di beneficiare di un'imposizione fiscale più bassa rispetto ad altri Stati membri dell'UE, rendono gli investimenti in Italia ancora più allettanti." Quali sono le tipologie immobiliari più richieste? "Le tipologie immobiliari più richieste sono le residenze private con valore medio che oscilla tra 6 e 8 milioni di euro. Si conferma molto forte l'attrativa delle località costiere, sia per investitori privati che per società alla ricerca di immobili che garantiscano redditività. Un elemento di grande importanza sono eventuali caratteristiche
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di unicità paesaggistica o tratti intrinseci di esclusività, come una vista monumentale su centro storico di città quali Firenze o Roma, o accessi privati alla spiaggia, alcuni tra gli elementi che mantengono e accrescono il valore dell'immobile nel tempo. La Toscana rimane la regione più richiesta dagli acquirenti internazionali, grazie anche alla sua posizione strategica dalla quale è possibile raggiungere rapidamente sia il mare che la montagna o le tipiche colline del Chianti, nonché centri storici e culturali di grande interesse apprezzati in tutto il mondo." A chi vi rivolgete in particolare e quali servizi offrite? "Il cuore del lavoro di Lionard risiede sicuramente nel riuscire a selezionare il proprio target di riferimento individuando potenziali acquirenti seri e di spessore, nel valorizzare l'immobile in vendita con servizi dedicati e specifiche strategie di marketing, nell'adottare iniziative promozionali di grande visibilità in collaborazione con i più importanti quotidiani e le più prestigiose riviste di settore nazionali ed internazionali, nell'utilizzo strumenti di comunicazione innovativi: tutte le nostre risorse sono focalizzate sull'obiettivo di garantire una transazione di successo."
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gennaio\febbraio 2020
Siamo la 1 Agenzia in Italia di Conversion Marketing a
Incrementiamo vendite, profitti e clienti di aziende ed eCommerce. Strategia Digital Conversion Optimization Digital Analytics User Experience Design Search Experience Optimization Digital Advertising
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MAM-MANAGER Come diventare mamme e imprenditrici A cura di Elena Pravato
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gennaio\febbraio 2020 rinunciare alla carriera e alla propria realizzazione professionale. Vi racconteremo la storia di due mamme che hanno creato la propria start up esclusivamente con le proprie forze. Petra Cucci è la creatrice di Topettino, brand di moda mare bimbo in cotone. Come è nata l'idea di mettersi in proprio e di creare una linea moda per costumi da bambino? "Topettino è frutto di una scelta di mamma! Alle spalle ho un'esperienza lavorativa nel settore della Moda – ho lavorato per Dolce & Gabbana e Moncler – e questo background mi ha permesso di conoscere i passaggi e le fasi che si susseguono per la creazione di un capo di abbigliamento. Questa attività lavorativa, però, mi assorbiva totalmente e pur rendendomi orgogliosa e fiera, mi richiedeva un impegno a tempo pieno anche nei giorni festivi. Come spesso affermato da molti genitori, correvo il rischio di perdere i momenti più importanti e commoventi della crescita dei miei figli e quindi scelsi loro! Misi a frutto la mia passione per il cucito e le mie competenze nel campo della moda e iniziai a cucire io stessa, punto su punto, dei costumi che fossero totalmente fatti con tessuti naturali proprio per i miei bambini. Le mamme degli amici dei miei figli iniziarono a commissionarmi alcuni pezzi e in seguito mi consigliarono di intraprendere una vera e propria produzione. E così è iniziata l'avventura di Topettino."
Il nostro sistema di wellfare non è certamente fra i più favorevoli per le mamme lavoratrici anche se negli ultimi anni sono stati fatti grandi passi avanti. Proprio per questo motivo, sempre più mamme decidono di avviare una propria attività imprenditoriale. Fra le ragioni più frequenti che spingono molte donne a compiere questo passo, vi è naturalmente la necessità di seguire con costanza e presenza la crescita e l'educazione dei propri figli senza però
Topettino copre una nicchia di mercato. Ci può spiegare meglio la particolarità della sua linea balneare? "I costumi della mia linea sono esclusivamente in cotone, che è un tessuto naturale e soprattutto molto igienico e salubre per i bambini perché dopo il bagno non rimane bagnato a lungo sulla pelle ma si asciuga velocemente. Nei costumi Topettino non c'è alcun elastico, sostituto da una para in lattice, materiale naturale ed anallergico che evita gli arrossamenti da sfregamento. Inoltre il sistema di laccetti e chiusure è stato appositamente studiato per far durare il costume almeno due anni consecutivi, garantendo una buona adattabilità alla crescita del bambino. La particolarità dei
costumi Topettino sta poi nelle stoffe utilizzate: coloratissime con stampe floreali e vivaci e per le bimbe tanti particolari che arricchiscono il modello come volant, rouches e fiocchi. Abbiamo presentato a Pitti Bimbo la collezione per l'estate 2020 e per la prima volta abbiamo collaborato, per il disegno delle fantasie del tessuto, con un'illustratrice dello IED, l'Istituto Europeo di Design." Quali sono le difficoltà che ha incontrato nell'intraprendere questa attivita? "Ho iniziato cucendo i costumi destinati ai miei due bimbi, ho creato un campionario e inviato centinaia di mail a negozi di abbigliamento per bambini. Ricordo che non appena ricevevo un riscontro positivo, mi mettevo in auto e partivo con le mie creazioni per fare vedere e toccare con mano al negoziante il prodotto. Ora che la produzione è cresciuta io mi occupo di confezionare il prototipo, il campione, mentre per la produzione mi rivolgo ad un laboratorio artigianale di Bergamo, specializzato nell'intimo bambino. Per la fornitura dei tessuti di cotone ho incaricato un'azienda di Como che stampa con colori ad acqua. La difficoltà maggiore che ho incontrato è stata proprio quella di trovare dei fornitori che garantissero un standard di qualità molto alto che è quello che ogni genitore vorrebbe per i propri figli. Infine, confesso che essere da sola a fronteggiare tutte le difficoltà, senza avere alle spalle un'azienda o dei soci, non è stato facile ma credere fortemente nel mio prodotto mi ha permesso di non demordere e di andare avanti!" Quali miglioramenti ha riscontrato nella sua vita di mamma da quando ha creato Topettino? "Innanzitutto lavoro forse ancora di più di quando ero dipendente ma la gestione degli orari e dell'impegno è totalmente decisa da me ed in base alle esigenze dei miei figli. Le ore di lavoro, sebbene intense, si concentrano nelle ore in cui i miei figli sono a scuola e sono libera di andare a riprenderli dalle lezioni o di fare una vacanza extra quando occorra, magari
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proprio testando i prossimi modelli della collezione!" Potrete trovare i costumi di Petra Cucci nei migliori negozi di Milano e delle maggiori località balneari italiane e su topettino.it. Altra mamma, altro carattere determinato, altra impresa: vi raccontiamo, ora, l'esperienza di Luisa Maria Orsi, creatrice di Naturalmamma. La storia di imprenditrice di Luisa Maria coincide esattamente con l'inizio della sua seconda gravidanza. Luisa, persona dinamica, quadro di un'azienda importante, ricevette nel 2008, mentre era in gita in barca, una notizia inaspettata, di quelle che da un momento all'altro ti cambiano la vita: la gravidanza, di cui aveva da poco avuto conferma, poteva essere a rischio e pertanto doveva trascorrere nove mesi di riposo assoluto, allettata, per non mettere in pericolo la vita del nascituro. Ecco allora, che il PC diviene un alleato prezioso e in vista del lieto evento, Luisa Maria inizia a navigare nel web alla ricerca di pannolini lavabili di buona qualità. Da sempre educata da mamma e nonna all'ecologia, la gestante non riesce a trovare un prodotto che coniughi praticità e qualità fra gli assorbenti lavabili per neonati. Luisa Maria Orsi si rimbocca le maniche e inizia a studiare un programma di disegno CAD e a valutare diversi tessuti: l'intento era quello di creare un buon pannolino lavabile ad un prezzo accessibile. Ad oggi Naturalmamma, è una solida realtà ed è la stessa Luisa Orsi a raccontarci direttamente la sua esperienza: "L'idea che sta alla base di Naturalmamma è proprio quella di una coscienza ecologica che parta dalle piccole cose. Alcuni dati riescono a spiegare e rendere palese ciò che intendo: un pannolino usato ha un peso di 800 gr e basta fare un breve calcolo per capire quanto sia dispendioso per un ente municipale smaltire 2 anni di pannolini usa e getta per un solo bimbo. Con un piccolo gesto, come quello di optare per i pannolini lavabili si può veramente fare la differenza e rendere realizzabile la c.d. ecologia che parte dal basso! Spesso mi sono state mosse obiezioni del genere: "quanto spendo però per
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i lavaggi in lavatrice dei pannolini in tessuto?". La risposta è molto semplice. Abbiamo calcolato esattamente una spesa di 100€ in tre anni per il lavaggio in lavatrice. Veramente un'inezia! Sono inoltre convinta "continua, appassionata, Luisa Orsi" che il prezzo del pannolino debba essere veramente alla portata di tutti: la mia politica aziendale consiste proprio nel ridurre al minimo i margini del mio ricavo perché l'ecologia non può essere
un lusso per pochi, una scelta chic, ma deve coinvolgere più famiglie possibili. Pertanto bando ai fronzoli e precedenza assoluta alla comodità, anche perché stiamo parlando di pannolini non di un capo d'abbigliamento!" Chiediamo, poi, alla titolare di Naturalmamma, quali difficoltà abbia incontrato nella propria attività come mamma e giovane imprenditrice e, sorprendentemente, troviamo una consonanza di risposte con Petra Cucci,
gennaio\febbraio 2020
titolare di Topettino. "Contrariamente a quanto si pensi la burocrazia non è stato l'ostacolo maggiore per avviare la mia attività, ci sono degli sportelli dedicati che funzionano molto bene! Il vero problema è stato trovare i fornitori! Ho mandato centinaia di email, interpellato decine di aziende tessili, spiegando il mio progetto e chiedendo dei preventivi per la realizzazione pratica, la cucitura dei pannolini lavabili. Il 90% delle aziende non ha nemmeno risposto! Mio malgrado, ho dovuto rivolgermi ad una confezione asiatica che dopo un'ora mi ha mandato un preventivo e mi garantisce un'ottima fattura. Attualmente sto cercando un'azienda cartaria che possa fornirmi panno carta biodegradabili (la parte usa e
getta del pannolino lavabile) ma con un formato particolare ed anche in questo caso sto riscontrando le medesime difficoltà. Purtroppo ho constatato che sono gli stessi imprenditori a non credere più nell'impresa italiana!" Chiosiamo, quindi, con un auspicio di Luisa Maria Orsi: "L'imprenditoria femminile e ancor più quella delle neomamme è fortemente compromessa dai costi fissi dei primi anni come ad esempio la tassazione. Sarebbe auspicabile azzerare la tassazione almeno fino al terzo anno di attività ovvero almeno sino al momento in cui, recuperati i costi iniziali, si inizia realmente a guadagnare su ciò che si produce!" Info su: pannolinolavabile.it
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/Impresa
INTERVISTA A CARLO M. CIARAMELLETTI Silicon Valley andata e ritorno
“Vivo ormai in California da 20 anni” esordisce Carlo M. Ciaramelletti, startupper italiano di formazione ingegneristica e solida esperienza nell’industria elettronica e dei semiconduttori. L’imprenditore, dopo aver dato vita ad altre due realtà, si propone con Saphibeat un obiettivo molto concreto: presentare i primi articoli dotati di intelligenza artificiale idonea a garantire una maggiore protezione agli sportivi a Milano per Eicma 2020. Nel frattempo, all’orizzonte della startup si delinea un ulteriore round di finanziamenti da 500mila dollari per arrivare pronti sul mercato. La startup fondata nel 2014 a Redwood City trae il meglio dalle due culture. Dall’Italia creatività, ottime competenze ingegneristiche, buone strut ture universitarie e costi contenuti a parità di competenze. E dagli Usa, o meglio dalla Silicon Valley, un sistema centenario che connette i diversi interlocutori e, come afferma Ciaramelletti, esalta la cultura del rischio dove tutti “vogliono scoprirsi talent scout” delle nuove Amazon o Facebook. Ed è a cavallo tra queste due culture che è stata fondata Saphibeat, una società che nasce dall’idea di intervenire in un settore molto specifico: ideare una tecnologia in grado di intervenire (attraverso prima di tutto la localizzazione delle vittime e, successivamente, l’allarme) nei casi di incidenti, anche qualora la vittima sia incosciente o si trovi in una zona priva di copertura di rete. Nei casi di soccorsi emergenza infatti vi è la cosiddetta “golden hour”: se effettuati entro un’ora dal verificarsi dell’evento si ha una maggiore probabilità di successo. In questo ambito Saphibeat ha ideato propri algoritmi e si propone come soluzione per un mercato che va dagli sportivi fino alle forze di sicurezza.
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A cura di Cinzia Meoni
Come le è venuta questa idea? "Nel 2012 ero tornato in Italia ed avevo deciso di tornare sulle piste dove avevo imparato a sciare da giovane. Decisi ad un certo punto di avventurarmi su un fuori pista che conoscevo molto bene. Dopo un po’, mi resi conto che la pista era una lastra di ghiaccio e le mie lame non tenevano. Caddi e, accelerando, cominciai a scivolare verso valle dove il pendio era
delimitato da un boschetto. Per pochi centimetri riuscii ad evitare di battere la testa contro un albero, ma fortunatamente riuscii a fermarmi. Mi presi una brutta paura. Un po’ ammaccato, mi rimisi in piedi e prudentemente mi avviai verso zone più popolate. Un paio di giorni dopo leggendo i giornali appresi che un altro sciatore non era stato altrettanto fortunato. Fu trovato esattamente nello stesso identico punto
gennaio\febbraio 2020 dopo una ricerca durata oltre 36 ore. Quello fu il momento in cui pensai che, oggi, con le moderne tecnologie, dovrebbe sempre essere possibile ritrovare e portare aiuto velocemente ad una persona in difficoltà". Avrebbe potuto sviluppare Saphibeat anche in Italia? "Noi abbiamo a lavorato a cavallo tra Usa ed Italia. In Italia, abbiamo trovato ottime competenze ingegneristiche, buone strutture universitarie e costi accessibili
quando confrontati a quelli proposti nella Silicon Valley a parità di competenze. Al di là dell’Oceano, invece abbiamo utilizzato il sistema realizzato per consentire alle imprese innovative di consolidarsi, emergere e trovare finanziamenti. Qui esiste anche una fertile comunità delle startup, che è costruita per scambiarsi idee, confrontarsi, esporsi, non per proteggere un piccolo orticello che in fondo non esiste." Quali sono, a suo giudizio, i maggiori vantaggi offerti ai "cervelli" italiani dalla Silicon Valley rispetto all'Italia? "Quello della Silicon Valley è un sistema che vanta un’esperienza centenaria e una profonda cultura del rischio. Si tratta di un sistema che mette in connessione diversi interlocutori: università, istituzioni finanziari, aziende, professionisti, piccoli investitori e, non ultimi, gli stessi consumatori. Nel sistema ci sono dei parametri comunemente accettati, metodi di finanziamento rodati, e normative e pratiche riconosciute. Il tutto si aggiunge ad una conoscenza finanziaria distribuita. Tutti sanno cosa è un convertible note (strumenti di investimento strutturati come prestiti convertibili in quote della società ndr), oppure un safe (simple agreement for future equity, strumento finanziario che attribuisce all’investitore il diritto futuro ad acquisire quote di partecipazione della start up normalmente di tipo privilegiato). Tutti sanno che solo il 10% delle startup sopravvivono e solo l’1% può veramente dirsi di successo, ma tutti vogliono partecipare perché i ritorni possono essere notevoli. Ma soprattutto tutti vogliono scoprirsi talent scout di nuove compagnie di successo." Come è stata formata la squadra? "Siamo partiti intanto come amici. Marco (Cavalli ndr) ed io eravamo compagni di vela prima ancora di diventare soci fondatori di Saphibeat. Poi, gli altri membri del team si sono aggiunti dalla nostra cerchia di conoscenze, o conoscenze delle nostre conoscenze. Principalmente persone che abbiano la passione per quello che facciamo. Senza passione non si può
lavorare in una startup. Poi, nel 2018 abbiamo acquisito l’iniziativa di Emanuel Chirila, Bluehelmet, in Italia." Quali sono le tempistiche previste per la messa in vendita degli articoli? "Al momento non abbiamo prodotti in vendita diretta al pubblico. Stiamo lavorando con alcuni principali produttori di caschi e di motociclette per avere i nostri prodotti integrati nelle loro linee di prodotto. Come Saphibeat abbiamo due soluzioni da integrare nelle linee di prodotto dei nostri clienti: la prima è il nostro dispositivo PhiPal, che, utilizzando tecnologie di intelligenza artificiale e app da cellulare, è in grado di identificare un incidente con il 97% di accuratezza, e fornisce anche una serie di altri servizi. Poi, abbiamo il Bluehelmet che, totalmente integrato nel casco, fornisce servizi di accident alert (allarme ndr) e localizzazione senza però avvalersi di app da cellulare. Stiamo lavorando affinché i primi prodotti integrati con la nostra tecnologia siano presentati all’Eicma 2020 di Milano." Avete raccolto finora 800mila dollari. Quali sono i prossimi round previsti? E come vi proponete di utilizzare i finanziamenti raccolti? "Al momento, prevediamo di raccogliere altri 50 0 mila dollari entro la metà del prossimo anno per finanziare il completamento dello sviluppo dei nostri prodotti ed il loro rilascio in produzione." Quali sono i vostri obiettivi di bilancio a medio-lungo termine? "Stiamo definendo alcuni contratti di licenza e ordini di approvvigionamento. Il nostro obiettivo è quello di concluderli entro il primo trimestre del 2020 e passare alla fase operativa nel semestre successivo. Stiamo lavorando affinché l’esercizio del 2021 possa essere, se non positivo, almeno con una chiusura in parità e a partire dal 2022 essere in profitto. Tengo poi a sottolineare che Saphibeat non ha praticamente debito. Contrariamente ad altre realtà della Silicon Valley, vogliamo fare passi lunghi quanto le nostre gambe."
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/Centri Commerciali © globalrealestateexperts.com
MIPIM 2020
A cura di Laura Lamarra
Intera catena del valore e multiattività nel real estate Il mercato internazionale per i professionisti del settore immobiliare, istituito nel 1990, ha chiuso la trentesima edizione a Cannes lo scorso marzo, con 26.800 players provenienti da tutti i settori del mondo, oltre 5.400 investitori e 560 leader politici provenienti da oltre 100 paesi. Si appresta a replicare il successo con la prossima edizione 2020 che si terrà nel contesto fascinoso e indiscusso di Palais de Festival dal 10 al 13 marzo. Un appuntamento annuale di grande richiamo internazionale che copre l’intera catena del valore, dagli investitori e istituti finanziari, ai promotori, alle città e enti locali, a occupanti, architetti e gruppi alberghieri e tutte le categorie di attività e i comparti del real estate, per conoscere i trends e le innovazioni di un settore in for te espansione, per fare networking e sviluppare business.
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Attraverso spazi espositivi dedicati, conferenze ed eventi con illustri speakers di fama internazionale il mondo del real estate, nelle sue diverse declinazioni – residenziale, commerciale, uffici e infrastrutture, vendita al dettaglio e retail, leisure, sanità, alberghiero, sport, logistica e industria, immobili a uso vario – si dispiega in un interessante e coinvolgente storytelling e in un viaggio esperienziale a 360 gradi in quattro intense giornate. Piattaforma privilegiata di incontro e di presentazione di investitori, sviluppatori, consulenti in proprietà, case d'asta, di proprietà di gestione aziende, architetti designer, avvocati, imprese di costruzione, utenti, autorità locali e regionali e leader politici, e di progetti di sviluppo, ricerche di mercato e di capitali e di idee innovative per lo sviluppo urbano, che per l’edizione 2020 vede da parte di Regione Lombardia la selezione di progetti di investimento e
gennaio\febbraio 2020 di rigenerazione urbana da presentare. Immancabile infine, anche in questa edizione 2020, la serata con cena di gala dei MIPIM Awards. Una giuria specializzata, di elevato standing e a vocazione
internazionale, conferirà il premio di eccellenza nei diversi clusters previsti. Di seguito i 12 vincitori annunciati durante la cerimonia di gala tenutasi nel Grand Auditorium del Palais des Festivals di Cannes, con un concerto degli studenti e degli insegnanti del Conservatorio di musica di Nizza, lo scorso 2019:
MIGLIOR SVILUPPO SANITARIO Policlinico Reims-Bezannes, Bezannes, Francia Sviluppatore: Icade Architetto: Jean-Michel Jacquet Altro: Courlancy Health, Artelia, Eiffage Construction, Cari
MIGLIOR CENTRO COMMERCIALE HIRAKATA T-SITE Hirakata, Giappone Sviluppatore: So-Two. Inc. Architetto: Takenaka Corporation
MIGLIOR RESORT DI HOTEL E TURISMO Club Med Cefalù - Cefalù, Italia Sviluppatore: Club Med SAS Architetto: King Roselli Altro: Sophie Jacqmin
MIGLIOR PROGETTO DI RIGENERAZIONE URBANA Ricostruzione del vecchio centro di Francoforte Francoforte sul Meno, Germania Sviluppatore: DomRömer GmbH Architetto: Bernd Albers, Dreibund Architekten, Jourdan, Müller und Steinhauser, Denkmalkonzept, dreysse architekten, Landes & Partner, Jordi & Keller Architekten, Morger Partner Architekten AG, Knerer und Lang, Eingartner Khorrami Architekten, Francesco Collotti, Hans Kollh Schum , von Ey Architekten, Johannes Götz, Riemann Architekten, Claus Giel, Meurer Architekten, Macholz Kummer Architekten, ENS Architekten
MIGLIOR SVILUPPO INDUSTRIALE E LOGISTICO Centro di energia a basse emissioni di carbonio della penisola di Greenwich Londra, Regno Unito Sviluppatore: Pinnacle Power e Knight Dragon Developments Architetto: C.F. Møller Architects Altro: Artist Conrad Shawcross, Futurecity and Structure Workshop MIGLIOR SVILUPPO AD USO MISTO The Student Hotel Florence Lavagnini - Firenze, Italia Sviluppatore: Inso S.P.A Architetto: Archea Associati Altro: Arcadis, Habitech, Rizoma Archi, Modus MIGLIOR UFFICIO E SVILUPPO COMMERCIALE Laborde - Parigi, Francia Sviluppatore: ACM Architetto: PCA-STREAM | Philippe Chiambaretta Architect Altro: ARC, Artelia, Khephren, VS-A, Green Affair, Barbanel, A & C, Qualiconsult, Delporte, LM3C, CSD Faces, Topager, Superstructure, LIGHT STUDIO, ARCHIMAGE, Eiffage, GOYER, AGM, LEFORT, FIBOR. MIGLIOR EDIFICIO RISTRUTTURATO KOSMO -Neuilly-sur-Seine, Francia Sviluppatore: Altarea Cogedim Architetto: seminari 2/3/4 MIGLIOR SVILUPPO RESIDENZIALE WOODIE Amburgo - Amburgo, Germania Sviluppatore: Dritte PRIMUS Projekt UDQ GmbH, PRIMUS sviluppi GmbH, Senectus GmbH Architetto: Sauerbruch Hutton Architects Altro: Kaufmann Bausysteme
MIGLIOR PROGETTO FUTURA Mille alberi - Parigi, Francia Sviluppatore: Compagnie de Phalsbourg e OGIC Architetto: Sou Fujimoto, Paul Arene, Oxo Architects Altro: Cushman & Wakefield MIGLIOR PROGETTO FUTURA MEGA Future Park - Yorkshire, Regno Unito Sviluppatore: Fallons Architetto: Bond Bryan Altro: Adept Consulting, Andrew Moseley Associates, Collane, Contesto contestuale, Fera, ID pianificazione, WSP PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA Parco "Zaryadye" con un complesso polifunzionale per concerti Mosca, Russia Sviluppatore: governo di Mosca Architetto: S.Kuznetsov, Diller Scofidio + Renfro, Hargreaves Associates, Ingegneri della città, CPU Reserve, MAHPI, Architectural Bureau di T. Bashkaev Altro: Mosinzhproekt mipim.com
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/Tecnologia
L’ASCESA DEI DNVB Una formula di successo innovativa Rubrica a cura di Boraso
ELIMINANDO GLI INTERMEDIARI E RIVOLGENDOSI AI CONSUMATORI, I DNVB ACQUISISCONO SEMPRE PIÙ UN VANTAGGIO COMPETITIVO RISPETTO AMAZON, I RETAILER OFFLINE E GLI ECOMMERCE TRADIZIONALI. 78
gennaio\febbraio 2020 Negli ultimi 10 anni i Digital Native Vertical Brands (DNVB) sono esplosi di numero crescendo rapidamente in termini di vendite e finanziamenti venture capital. Il fenomeno, nato negli Stati Uniti, è entrato ben presto sotto i riflettori fino a diventare una presenza estremamente rilevante nella Internet Retailer Top 1000 di Digital Commerce 360. I DNVB stanno diventando sempre più popolari anche nel panorama Italiano. Scopriamo insieme chi sono le startup che oggi sfidano Amazon e i retailer offline. LA DEFINIZIONE L'acronimo DNVB è ormai una vera e propria buzzword solo negli ultimi anni, ma l'innovazione ha origine nel 2007 con la fondazione di Bonobos (il primo DNVB) grazie all'intuizione dell'imprenditore americano Andy Dunn, CEO del Brand. Analizzando il termine, per DNVB si intende un Brand verticale nativo digitale che vende un prodotto (o una linea di prodotti) secondo l'approccio direct-to-consumer (D2C). Il nome del Brand si trova sia sul prodotto vero e proprio, sia nell’eCommerce, canale abilitante alla commercializzazione, che non rappresenta però il core asset aziendale. PERCHÉ IL FENOMENO DEI DNVB NON È D A SOTTOVALUTARE? In un mondo in cui i consumatori sono alla ricerca di significato, storie autentiche ed esperienze memorabili, il modello dei DNVB inizia a essere sempre più rilevante. Questo perché rappresenta una nuova generazione di Brand sostenitori di valori, come la trasparenza e l’autenticità, che i consumatori cercano, ma che non riescono più a trovare nell’offerta tradizionale. Grazie alle storie dei fondatori e attraverso uno storytelling unico, originale e virale, i DNVB sono in grado
di interagire con le persone trasformandole presto in Clienti fidelizzati e ambassador. Un altro aspetto da non sottovalutare è la promessa dei DNVB nel riportare davvero il Cliente al centro della proposta di valore attraverso l’offer ta di un’esperienza di acquisto memorabile tanto quanto il prodotto. Il journey del Cliente è attentamente studiato ed elaborato: dal punto di contatto iniziale, attraverso la fase di considerazione (con contenuti creati appositamente per essere pertinenti per ciascun consumatore) fino ad arrivare alla consegna del prodotto e al servizio clienti in grado di rispondere a tutte le domande in qualsiasi momento. La verticalità è un’ulteriore caratteristica da non sottovalutare. La scelta di un settore specifico, o addirittura di un unico prodotto, porta i Brand nativi digitali a essere estremamente specializzati e a concentrare il proprio effort in un’unica direzione. Questo significa una maggiore propensione all’innovazione per assicurare sempre alti standard in termini qualitativi. Una gamma di prodotti semplice e chiara per il consumatore permette inoltre di acquisire maggiore credibilità e di costruire solide basi per un rapporto di fiducia con il Cliente che dura nel tempo. CONCLUSIONI L’ascesa dei DNVB è un fenomeno ormai impossibile da non considerare. Retailer e eCommerce tradizionali saranno sempre più costretti a cercare nuovi fattori di differenziazione che permetteranno loro di mantenere la rilevanza acquisita nella mente dei Clienti.
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/Musica
IL RAPPORTO TRA MUSICA E MARKETING NELLA TERRA DEI LIKE Dal coinvolgimento emotivo all’influencer marketing musicale, da Tik Tok a “Solo quello che mi piace”. A cura di Anita Falcetta
“Cosa i consumatori desiderano?” è l’enigma che risuona costantemente nella mente degli esperti di marketing strategico. Fino a qualche tempo fa si sarebbero solamente chiesti quali fossero i bisogni essenziali dei consumatori, ma oggi, nella terra dei like, i parametri di indagine sono cambiati ed il palcoscenico dei brand di successo è illuminato dal faro del coinvolgimento emotivo, che rappresenta l’anello di congiunzione tra il sistema logico del marketing e il linguaggio evocativo della musica. Come in precedenza sottolineato, al centro di tale palcoscenico troviamo il consumatore, produttore compulsivo di like, affamato di esperienze. Gli studi condotti da Pine, Gilmore e Schmitt dimostrano che viviamo nell’epoca del “marketing dell’esperienza”. Per Pine e Gilmore progettare un’esperienza significa non solo intrattenere il cliente ma anche coinvolgerlo. Secondo B. Schmitt, professore della Columbia University e teorico del marketing esperienziale: “le esperienze sono eventi privati che si verificano in risposta a una qualche stimolazione che, in ambito aziendale, può essere costituita da iniziative di marketing pre e post acquisto. Le esperienze coinvolgono l’essere umano nel suo complesso e risultano spesso dall’osservazione diretta o dalla partecipazione ad eventi, siano essi reali, fantastici o virtuali”. Quindi, in generale, le esperienze non sono auto generate ma indotte dall’esterno con stimoli di varia natura. Regina della terra degli stimoli è proprio la musica che può essere utilizzata come ingrediente segreto per un marketing mix rinnovato e focalizzato a colpire, intrattenere e coinvolgere un pubblico eterogeneo e multigenerazionale. La musica e i suoni sono in grado di raggiungere qualsiasi target in quanto elementi di un linguaggio ancestrale di universale comprensione. Che ci piaccia o no, la musica appartiene al nostro essere, basti pensare al battito del cuore e ai suoni della natura. Una corda ben suonata è in grado di arrivare al nostro inconscio stimolando ricordi e sensazioni, spingendoci a compiere delle specifiche azioni, come l’acquisto di impulso. L’importante per i brand è saper scegliere la musica adatta al proprio pubblico, e da qui la nascita di figure consulenziali come quella del
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music supervisor, che supportano le aziende e le agenzie creative nel percorso di ricerca e selezione musicale. Esistono diversi esempi di brand che hanno utilizzato la musica come parte integrante del proprio sistema di marketing. Ricordiamo a titolo esemplificativo il caso Vodafone/Ghali (2017), per la campagna pubblicitaria di “Shake Remix”. Con un target under 30 Vodafone ha scelto la voce di Ghali, uno dei rapper più ascoltati e amati del web; ed ancora, per par condicio, citiamo il caso Tre/Rovazzi (2017), il brand ha scelto l’inedito “Senza pensieri” dell’amatissimo youtuber e cantante italiano. Ricordiamo anche il caso di American Express che nel 2010 ha lanciato un ciclo di spettacoli musicali live chiamato Unstaged, durante i quali si sono esibiti artisti conosciuti ed emergenti. Le performance sono state riprese dalle telecamere di registi famosi e messe online grazie alla collaborazione instaurata con VEVO per la visualizzazione in streaming.
gennaio\febbraio 2020 L’elenco delle case history è molto ampio, quello che emerge con chiarezza dallo studio di diversi casi di successo aziendali è certamente l’importanza dell’utilizzo dell’elemento sonoro come leva di engagement per i brand, ed inoltre la stretta correlazione tra strategia di marketing, musica/testimonial musicali e numeri sul web. Ciò dimostra che l’influence marketing passa anche attraverso la musica. Sempre più spesso cantanti famosi vengono scelti come testimonial di campagne pubblicitarie, solo per citarne alcuni: Shakira è stata scelta da Costa Crociere (2018), Malika Ayane da Oral-B (2019). A tutto ciò si aggiunga la nascita di sempre nuove piattaforme di social media marketing, tra cui Tik Tok, il cui lancio in Italia ha aperto anche nel nostro paese una discussione sul futuro della musica: “Come una app di lip-sync può incidere sull’industria musicale? Dove porterà il processo di memificazione della musica pop?” Interrogativi aperti di cui avremo modo di parlare in futuro. E di Tik Tok è sicuramente un’esperta la cantautrice e ventriloqua Roberta Carrieri, che curiosa di esplorare mondi diversi rispetto a quello da cui proviene (il cantautorato italiano), ha deciso di intrattenere con i suoi “pupazzi e la sua voce” il pubblico dei giovanissimi, ottenendo ottimi risultati in brevissimo tempo. Con i piedi saldamente ancorati nella terra dei like e la mente nostagica dei tempi musicali che furono, pur consapevoli dell’importanza “dell’innovazione di genere” anche in ambito musicale, Mokamusic ha voluto supportare Roberta Carrieri nella produzione di un nuovo singolo fuori dai cliché. È nato così “Solo quello che mi piace”. Alla ricerca di stimoli creativi fuori dalle convenzioni Roberta Carrieri ha inaugurato la collaborazione con il compositore e produttore musicale Philip Abussi di Mokamusic. Dal loro incontro nasce questo nuovo frizzante progetto in cui la canzone d’autore incontra le sonorità della musica trap. Alla base dell’operazione
la volontà di cimentarsi nella commistione di questi due generi distanti sia per sonorità che per pubblico d’interesse. Uno degli obiettivi del progetto: strappare alla generazione dei quarantenni, per antonomasia lontana dalle sonorità trap, un sorriso autironico ed avvicinarla al genere. Roberta Carrieri è stata la voce dei Fiamma Fumana, uno dei più importanti gruppi italiani di world music. Con loro ha cantato nei più prestigiosi teatri e festival in Europa, Stati Uniti e Canada. Varie le collaborazioni con importanti nomi del panorama musicale italiano, tra cui Davide Van de Sfroos e Moni Ovadia, con cui l’abbiamo vista di recente esibirsi in teatro in occasione di Romeosini/Grecità. In questo nuovo progetto artistico veste i panni di una cantautrice “vecchia scuola” che raggiunti gli “anta” è curiosa di conoscere più da vicino un mondo a lei lontano, per background professionale e per età, il mondo della Generazione Z. Quest’ultimo singolo è il racconto di un viaggio autoironico alla scoperta dell’universo della “GenZ”, delle sue “mosse” e del suo “slang” presi in prestito dalla musica hip hop, rap e trap, della sua spasmodica voglia di comunicare real time con i video di Tik Tok, con le storie di instagram, con il dito sempre pronto al “like” e allo “swipe up”. Durante il viaggio la strada di Roberta Carrieri ha incrociato quella di Philip Abussi, altra personalità atipica, compositore e musicista franco-romano dal background musicale poliedrico, che spazia dalla classica orchestrale all’elettronica sperimentale. In questo nuovo progetto il produttore ha voluto contaminare il linguaggio convenzionale della musica Trap con elementi del genere folk ed etnico, sentirete le note di un mandolino, le percussioni afrobrasiliane ed il classic touch del piano forte. Nel video un cammeo d’eccezione, quello di Maccio Capatonda, che ha condito con il suo brillante humor il racconto autoironico di Roberta Carrieri. Il video di “Solo quello che mi piace” è online sul canale Youtube di Roberta Carrieri, il brano è già disponibile su Spotify ed altre piattaforme streaming.
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/Cultura In foto: Sgarbi e Narciso
Una passione sconfinata per l'arte tanto da declamarla e spiegarla magistralmente, osservando che è la creazione dell'Uomo in competizione con Dio. “E se l'arte non è godibile solamente per me ma per tutti... beh, pochi se ne accorgono.” Vittorio Sgarbi come sempre dall'eloquenza e dinamicità delle sue parole – stavolta a “TourismA” nella città natia di Dante – prosegue sulla cultura del bello osservando nell'elegante accento ferrarese: “Siamo in un momento favorevole, quello della democrazia della bellezza, chiunque può entrare nella Cappella Sistina sentendola come un bene che gli appartiene, e questo al contrario di prima quando era privata, come del resto “La Cappella degli Scrovegni.” Nel passato l'interesse verso i beni culturali era più elitario, oggi invece qui, in questo splendido posto, abbiamo un patrimonio culturale immenso che si protrae persino uscendo ed ammirando bellissimi paesaggi. Godiamo pertanto d'una bella rendita, per compiacerci di tale
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L'ARTE DEL BELLO Il bello dell'arte A cura di Carla Cavicchini
gennaio\febbraio 2020 bellezza.” Prosegue il critico d'arte – nell'intervista corale concessa – dicendosi favorevole alla gratuità assoluta dei musei pubblici e comunali poiché "È giusto privilegiare la formazione e l'educazione, non a caso in Inghilterra chi entra al museo non paga quei 45 o 20 euro, a seconda della stagionalità, chiesti per il Corridoio Vasariano. Significano precludere alla vista un bene che è già poco visto giocando su un effetto dissuasorio, cioè costa molto perchè ci vadano in pochi! Beh, se questo è l'obbiettivo, può avere anche un senso visto che in alcuni luoghi tipo Le grotte rupestri di Lascona non si può entrare, come del resto è vietato entrare in alcune grotte di Tarquinia. In questo caso entra in gioco la ragione dissuasiva, mentre invece sul piano della logica come il Museo Culturale di Napoli e tanti altri, debbono essere aperti e vivibili sentendo il bene che viene da tali fluidi culturali. In poche parole: i beni culturali sono altamente formativi.” E quindi di cosa vive il museo? “Tutti i musei italiani promuovono come profitto meno di 200 milioni di euro, mentre il solo Louvre ne fa 60 milioni, pertanto il recupero si attua logicamente dai soldi dei biglietti, pensando tuttavia anche al plusvalore di accoglienza, ospitalità, aperture serali e notturne, inviti a gruppi, privati che vogliono visitare pagando l'affitto e via di seguito. Pertanto il cittadino che si alza al mattino con la voglia d'osservare un bene culturale va privilegiato, poiché è una persona che vuol conoscere. Tutte le altre forme di sfruttamento possono consentire magari di non prendere 200 milioni ma 60, 70 milioni; lo Stato mette gli altri e tu entri gratis! Tra l'altro alcuni musei addirittura costano più di gestione che quanto ricavano dai biglietti, come esempio quello di Arezzo che costa più di custodi e di biglietteria! Pertanto son tutte cose da analizzare ben bene! Gli Uffizi vanno bene, Capodimonte un po' meno. Però, tornando sugli Uffizi, bisognerebbe chiedere un' offerta simbolica tipo da 2 euro in su. Poco? Moltiplichiamolo allora per il numero dei visitatori!”
popolarissimo. “Il primo atto lo farei fregandomene dei conti di quelli che verrebbero a dire che il museo è autonomo. Signori cari, io il modo di integrare quei soldi lo trovo poiché l'economia si può creare! E concludo ribadendo che l'ambiente museale deve essere abitato, poiché solamente così si formano gli italiani al gusto!
Come sempre il professor Sgarbi, dal ciuffo ribelle, è un fiume in piena e termina dicendo che lui, come Ministro, sarebbe
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/Cultura In occasione dei 500 anni dalla morte di Leonardo, pur volgendo alla fine le celebrazioni di studi, convegni dibattiti ed altro ancora su “L'Uomo di Vinci”, non potevamo non ascoltare il pensiero del noto storico d'arte Philippe Daverio. Persona illuminante nonché altamente trascinante, forte della sua bella arte oratoria. Forse un po' logorroico ma talmente dotto da essere letteralmente rapiti dai suoi excursus singolarmente formativi. A F irenze, dur ante “ Tour ism A” gli chiediamo se è vero che il genio vinciano non sempre portava sempre a termine le proprie opere.
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LEONARDO IL MITO Ma quanto era mitomane! A cura di Carla Cavicchini
gennaio\febbraio 2020 “Beh, cominciamo col dire che genio si... ma quanto rompiscatole! E questo partendo proprio dalla genetica. Quanto alla domanda, la maggior parte degli artisti fa proprio questo, Michelangelo ha trascorso la vita a farne alcune, molte sono rimaste teoriche, però il signore di Vinci era talmente spinto nella sua elaborazione delle alternative, che si arrovellava su questo. Di fatto di lavori ne ha fatti pochi rispetto all'importanza del personaggio. L'opera sua massima è se stesso: Leonardo ha inventato Leonardo ed inventarlo fu estremamente interessante poiché mutò la percezione del rapporto tra artista e società. Il fatto che poi mi chieda pregi e difetti... che ne so! Bisognerebbe chiederlo a lui. Che però scappò altrove!” Dice questo aggiustandosi gli occhialini sul naso con tanto di sguardo birichino, quale indole giusta che gli calza a pennello. Capelli al vento, cappotto verdolino, panciotto a pois e l'inseparabile papillon. Che voglia tra monellacci di tirare l'elastico nello splendido vggg! “La cosa curiosa – prosegue – è che, storicamente nasce bene e male al contempo, in quanto figlio di famiglia perbene però fuori dal matrimonio. E quindi è un bastardo di nuova famiglia, e tutta la sua vita artistica è quella di un bastardo. E come tale va controcorrente in una Firenze che è tutta neoplatonica mentre lui fa l'aristotelico! Non è l'idea che conta, bensì la sperimentazione! Dunque, ancora, lui fa questo in modo disordinato, da sapiente, ma non però da educato, da formato. Di matematica capisce poco, anche il latino non gli è naturale. È tutto aristotelico, ciò che fa passa dalle sperimentazioni, praticamente uno spirito che riesce a traghettare inconsapevolmente il meglio della Scolastica nella percezione di una modernità post-rinascimentale, ma stando nel Rinascimento. Egli è l'anello di congiunzione tra lo sperimentalismo newtoniano e la Scolastica medievale, pertanto questo lo rende simpatico...poi rompicoglioni lo è di sicuro!” Innegabilmente sembra di essere seduti in un'aula universitaria ammaliati da cotanto sapere, ma lui non se ne accorge proprio tutto preso dalle tasche, in un andarivieni continuo, alla ricerca della placida sigaretta. “Entriamo adesso nella tela della Gioconda. Gli italiani la rivogliono, ma lui l'aveva venduta! Ma... di cosa stiamo parlando! È come se fra cinquantanni chiedessimo ai francesi di restituirci le giacche di Armani che hanno comprato!” Allarga le braccia mentre spunta la vena sadica. “Dovete sapere che, in sostanza, il signore in questione era un mitomane, guarda caso piaceva molto ai mitomani! La sua riscoperta si deve a un altro mitomane, tal Napoleone Bonaparte. Questi, quando viene a sapere che a Fointeblau c'è ancora il ritratto di una signora che non si capisce chi sia, però affascinante, e dal momento che deve fare un omaggio a Josephine – che comincia un pochetto a maltrattare – glielo fa appendere nelle sue stanze a Fointenblau. Poi arriva Dunean, da lui (Napoleone) nominato, tra l'altro persona coltissima nonché fervente lettore di Jean Jacques Rosseau, ed ecco l'idea del
Museo: la nascita del Louvre.” “Ritratto che rimane un po' dimenticato, anche per colpa di un varesotto che l'ha rubato (un po' come fanno i politici di oggi)convinto che fosse italiana. Ma era un brav'uomo, un povero analfabeta. Poi facendo così ha fatto sì che Marcel Duchamp gli abbia messo i baffi con la scritta sotto LHOOQ, che in francese significa ha caldo al culo. Un modo per uscire dall'oblio e passare al mito e alla goliardia. Straordinario! Sono tutti mitomani: lo era Duchamp, lo era Napoleone, chi ama Leonardo è un mitomane.” Straordinario è Philippe Daverio, docente ammaliatore nonché saggista, politico e personaggio televisivo. Non si sprecano gli applausi, gli domandano delle sue letture e lui risponde d'essere nato a pane e Flabeurt, pane e Goethe. “Però parlo varie lingue e quattro dialetti e, se parlo in dialet venesian”, a Venezia mi fanno gli sconti sul vaporetto e anche altro!” Avanza un signore tra la ressa degli autografi, chiedendogli perché i Promessi Sposi vanno letti da adulti. “Perché prima non si capiscono. A scuola i ragazzi in virtù della loro giovane età pensano al sesso e, di conseguenza, il Manzoni lo si apprezza dai quaranta anni in su scoprendolo geniale, colto, ironico e snob.” Improvvisamente appare l'intellettuale Alessandro Manzoni nella consueta aria mesta scrutando Daverio. Chi dei due è Manzoni e chi è Daverio? Con buona pace dello snob!
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/Cultura
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LA CULTURA È RISPETTO A colloquio con il giudice Margherita Cassano A cura di Carla Cavicchini
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gennaio\febbraio 2020 Al convegno-processo sulla pittrice Artemisia Gentileschi, vittima di stupro, in concomitanza con la data del 25 novembre “Giornata internazionale contro la violenza sulle donne” , la dr.ssa Margherita Cassano, Presidente della Corte di Appello di Firenze, ci dice che dal 1600 ad oggi viene ancora dimostrato, purtroppo, che tale fenomeno è un fatto connaturato alle dinamiche di genere, al rapporto uomo-donna. “Dati recenti presentati dalla Regione Toscana hanno fatto emergere che l'80% dei maltrattamenti e soprusi avvengono all'interno dell'unione familiare, da parte di mariti e conviventi. È un dato preoccupante che segna una linea di continuità che si perpetua da secoli e secoli. E dal momento che non si sono verificati progressi, se non pochi, è basilare che la società progredisca nel rispetto reciproco delle diversità. Ciò che è migliorato rispetto al passato è la consapevolezza delle donne d'essere meno sole ed il coraggio di denunciare gli abusi subiti.” Non esiste colore né ceto sociale su questo. “Già, questa è un’amara considerazione visto che la cosa è trasversale a tutti i ceti ed età.” Come si può trattare tale problema? “Direi attraverso l'opera costante ed attenta di formazione nelle famiglie, nonché scuole capaci di insegnare il doveroso rispetto verso ciascuno. Rispettare le diversità sono profonde ricchezze per ogni tipo di società.”
Il femminicidio nasce da insicurezze, paure, rapporti insani e cos'altro ancora? “Al di là della terminologia che usa la legge preferisco parlare di omicidio, poiché femminicidio può infondatamente far ritenere che sia meno grave la violenza in danno di una donna piuttosto che verso un uomo. Si tratta sempre di un omicidio di una persona di qualsiasi sesso. I femminicidi dimostrano nell'esperienza giudiziaria, nella maggior parte dei casi, la patologia del rapporto uomo-donna, visto che la maggior parte dei casi con cui abbiamo avuto a che fare riguardano ancora una volta fatti di sangue commessi da conviventi o ex conviventi in danno delle loro partner. Evidentemente ciò che è malata è la dinamica del rapporto, che viene concepito anziché come rispetto dell'altro ed arricchimento di personalità, come una impropria forma di dominio e di possesso. Forse rispecchia la tendenza più ampia della nostra società a non valorizzare la persona in quanto tale, ma valorizzarla solo se possiede qualcosa. Deve essere ben chiaro invece che non si possiede mai un altro essere umano, il vero amore è lasciar libero di essere sé stessi.” Le varie facce della ferocia, brutalità, crudeltà sono molte. “Nei maltrattamenti, forti aggressività e prepotenze nei confronti dei componenti del nucleo familiare e dei loro bimbi,
menziono anche l'infanticidio di cui si parla poco. La soppressione del bimbo immediatamente dopo il par to, sia nell'epoca successiva alla gravidanza in cui la donna sicuramente ha maggiori difficoltà soprattutto se fragile e dotata di minori protezioni nell'accettare la vita a cui lei stessa ha dato origine, è un fenomeno molto delicato che meriterebbe un impegno collettivo e, soprattutto un sostegno sul territorio.” Un cattivo rapporto dell'uomo con la madre cosa comporta? “Alterazioni nella crescita armoniosa della sua personalità. Ma non incidono solamente i fattori tradizionalmente inquadrati e classificati dalla psicanalisi; a mio avviso sarebbe molto interessante esplorare quanto incidono sulle relazioni violente anche gli usi impropri dei socialnetwork, o delle forme di comunicazione non più verbali e personali, in un rapporto affettivo. Questo poiché la divulgazione odierna dei telefonini fatta di sms, posta elettronica etc, crea una dimensione virtuale della realtà degli affetti, portando a reazioni scomposte. Manca il contatto diretto che consente di cogliere in anticipo, quotidianamente, la crisi che fisiologicamente si può determinare in ogni unione sentimentale.”
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/Life Style
DIMMI COME TI VESTI E ti dirò quali affari farai A cura di Giorgio Nadali*
"Una cravatta bene annodata è il primo passo serio nella vita", scriveva Oscar Wilde e Shakespeare più di tre secoli prima consigliava che “il tuo vestire, per quanto può permetterti la borsa, sia di buon prezzo, ma non stravagante; ricercato, ma non troppo fastoso, ché l'abito rivela spesso l'uomo”. Altri tempi? Fatto sta che oggi per vedere in giro persone vestite decentemente occorre frequentare ambienti business di un certo livello e talvolta non basta. Ma davvero lo stile casual funziona e come afferma Giorgio Armani “i cretini non sono mai eleganti. Gli intelligenti invece, anche con due stracci addosso sono vestiti logicamente, quindi
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sono sempre eleganti”? Prima di incontrare un cliente indossando jeans bucati e scarpe da ginnastica forse è meglio chiarire. Che ci piaccia o no bastano 5 secondi per giudicare una persona ad un primo impatto e se non sei Mark Zuckerberg forse è meglio pensarci prima. La ricerca sui luoghi di lavoro più impegnati della Gran Bretagna ha scoperto che quasi tre quarti delle migliori aziende per cui lavorare nel Regno Unito hanno un codice di abbigliamento formale. Il 40% delle migliori aziende impone abiti da lavoro ai propri dipendenti e un altro 30% da abiti casual da lavoro. Nonostante studi precedenti
suggerissero che le aziende stiano eliminando le regole sull'abbigliamento da lavoro, l'analisi ha scoperto che solo il 27% dell'elenco del Sunday Times 100 Best Companies to Work For ha un codice di abbigliamento casual o indefinito. Il restante quattro per cento delle società aveva dress code. I fat tori che determinano la scelta dell'elenco delle migliori aziende includono il modo in cui il personale si sente nell'azienda per la quale lavora, quanto è contento dei benefici del lavoro e come viene curato il suo benessere sul lavoro. Questa ricerca è stata condotta nell'ambito di un'approfondita analisi della psicologia
gennaio\febbraio 2020 dei diversi codici di abbigliamento sul posto di lavoro insieme a un esperto in materia, la psicologa della moda professoressa Carolyn Mair. Carolyn ha tenuto conto dei vantaggi di indossare un abito sul posto di lavoro, affermando che “è stato scoperto che indossare un abito per far apparire chi lo indossa più professionale e competente. Il potere della convinzione è forte: se chi lo indossa crede che l'abito li farà apparire più competenti e professionali, potrebbe comportarsi in quel modo". Tuttavia, afferma anche che man mano che il lavoro a distanza e gli uffici condivisi continuano ad aumentare di popolarità, il codice di abbigliamento casual diventerà solo più comune. I suoi commenti sui codici di abbigliamento casual indicano anche che potrebbero essere preferibili in settori più creativi in cui "è probabile che leader e manager indossino abiti simili ai loro subordinati, il che appiattisce qualsiasi gerarchia organizzativa". Questo sondaggio tra le prime 100 aziende per cui lavorare ha fatto parte di una più ampia ricerca sugli effetti che i codici di abbigliamento hanno sulla produttività e sul modo in cui le persone sono viste sul posto di lavoro. Altri punti salienti della ricerca includono una visione di come indossare abiti simbolicamente rilevanti può effettivamente migliorare le prestazioni. Casual La professoressa Carolyn Mair ha rivelato i segnali segreti che i nostri abiti potrebbero inviare e afferma che un abito casual può essere rischioso in quanto potrebbe indicare anticonformismo. È probabile che leader e manager delle industrie creative indossino abiti simili ai loro subordinati, il che appiattisce qualsiasi gerarchia organizzativa. Se un manager in finanza o assicurazioni indossasse una maglietta, jeans e scarpe da corsa, verrebbero considerati vestiti in modo inappropriato, persino anticonformisti. "I leader di questi settori dovrebbero dare l'esempio e il loro personale dovrebbe seguire le regole. Optare per l'abbigliamento da lavoro casual come dipendente di livello inferiore può non essere importante in alcuni settori, in particolare per i lavoratori in città”. Semplice, ma elegante Descrivendo le sue opinioni sull'abbigliamento casual elegante, Carolyn Mair ha dichiarato: "In un'organizzazione in cui la direzione indossa abiti, un subordinato che indossa un abbigliamento casual potrebbe sembrare meno ambizioso. Se vogliamo credere all'adagio vesti per il lavoro che desideri, non per il lavoro che svolgi, dobbiamo vestirci in uno stile simile a quelli del lavoro a cui aspiriamo."Siamo attratti dalle persone che sono come noi e quale modo migliore di apparire come qualcuno che vestirsi come loro. Coloro che sono già nella posizione a cui aspiriamo probabilmente ci vedranno più come coetanei che subordinati se sembriamo essere come loro". Corporate La professoressa Carolyn Mair afferma che un abito formale e aziendale segnala che sei un esperto di affari e che può far apparire chi lo indossa più competente e professionale. "Ad
alcuni professionisti in una vasta gamma di lavori piace indossare giacca e cravatta perché li fa sentire più professionali", afferma Carolyn Mair, "anche se non ci sono molti studi su questo, è stato assodato che indossare un abito può far sembrare chi lo indossa più professionale e competente. Il potere della convinzione è forte, quindi se chi lo indossa crede che l’abito li farà apparire più competenti e professionali, potrebbe comportarsi in quel modo." Ma per quanto riguarda i dipendenti di rango inferiore? "Ciò sarebbe considerato inappropriato nei lavori creativi, ma necessario negli altri. Nei lavori in cui i lavoratori possono scegliere ciò che indossano e i manager si vestono casualmente, un subordinato che indossa giacca e cravatta potrebbe essere percepito come un tentativo di sembrare più importante del proprio ruolo. Esiste anche il rischio che i dirigenti possano percepirli come non in grado di comprendere la cultura dell'organizzazione o il loro ruolo." Progettista Secondo Carolyn Mair, un abito di design darà a chi lo indossa un'aria di stile e classe mentre segnala il potere di spesa. "Un dirigente o un leader che indossa un abito bello e aderente o un marchio di moda appropriato emanerà un'aria di stile e classe che può distinguerlo dai subordinati", afferma Carolyn Mair. "Questo potrebbe essere il motivo per cui scegliere di indossare tali abiti. 'Ciò che indossiamo fa parte della nostra identità, ci consente di mostrare chi siamo agli altri. Indossare il lusso dice che abbiamo potere di spesa. In alcune situazioni (ad esempio, lavorando nei servizi sociali, per un'organizzazione benefica o una ONG) questo potrebbe essere considerato insensibile, in altri (come lavorare nel settore della moda), sarebbe considerato appropriato". C'è un'intera sezione della psicologia dedicata agli effetti che i diversi colori hanno su di noi, quindi i colori dei tuoi vestiti potrebbero potenzialmente fare una grande differenza nel modo in cui ti senti e come sei visto sul posto di lavoro. Blu: fidati Il blu è considerato il colore più sicuro ed è generalmente apprezzato ugualmente da uomini e donne. Ha connotazioni conservatrici che possono farti sembrare più affidabile! Rosso: fatti notare Il rosso è l'ovvia scelta popolare in quanto si distingue e provoca forti emozioni. È spesso associato a eccitazione, aggressività e assertività. Vale anche per la cravatta per gli uomini. Pone l’accento si chi la indossa. Non a caso il presidente Trump la indossa quasi sempre. Verde: affidabile Il verde è generalmente associato maggiormente all'affidabilità ed è generalmente riconosciuto come il colore dell'equilibrio emotivo. Marina: professionale/autorevole Colori come blu marino e grigio sono la scelta migliore se stai cercando di trasmettere un'immagine professionale. Ciò non sorprende in quanto sono due dei colori più popolari degli abiti.
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Nero: sofisticato Il nero è generalmente il colore migliore da scegliere se vuoi sembrare sofisticato, ma fai attenzione a non esagerare e apparire morboso. Giallo: amichevole Il giallo è in genere pensato come un colore amichevole e allegro, ma ha anche associazioni con rabbia, frustrazione e codardia. Gli accessori gialli potrebbero essere una scelta più intelligente degli abiti completi. Mai se viaggi per lavoro in Malesia! Linee guida L'abbigliamento che funziona bene per la spiaggia, il lavoro in giardino, le discoteche, le sessioni di allenamento e le gare sportive potrebbe non essere appropriato per un aspetto professionale e informale sul lavoro. L'abbigliamento che rivela troppa scollatura, la schiena, il petto, lo stomaco o la biancheria intima non è appropriato per un luogo di lavoro. Nell’ambiente di lavoro business
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l'abbigliamento dovrebbe essere ben stirato e mai sgualcito. Indumenti strappati, sporchi o sfilacciati sono inaccettabili. Consigli sull'abbigliamento In un ambiente di lavoro occasionale, i dipendenti devono indossare abiti comodi e pratici per il lavoro, ma che non siano fonte di distrazione o offensivi per gli altri. Qualsiasi abbigliamento che abbia parole, termini o immagini che potrebbero essere offensivi per gli altri dipendenti è inaccettabile. L'abbigliamento che ha il logo dell'azienda è incoraggiato. I nomi di squadre sportive, università e moda sui vestiti sono generalmente accettabili. Trucco, profumo e colonia Ricorda che alcuni dipendenti sono allergici ai prodotti chimici nei profumi e nel trucco, quindi indossa queste sostanze con moderazione. Se sei a conoscenza di un collega con questa allergia e lavori in stretta collaborazione considera di
astenerti dall'usare profumo o acqua di colonia nei giorni lavorativi. Viaggi, interazione con i clienti e fiere Mentre l'impostazione dell'ufficio può essere informale se i clienti non lo visitano, viaggiare per incontrare clienti, partecipare a fiere e rappresentare l'azienda nella comunità aziendale, richiede decisioni diverse in merito all'abbigliamento. L'abbigliamento casual da lavoro è lo standard minimo da osservare quando si rappresenta l'azienda o si interagisce con clienti o potenziali clienti. Prima di visitare un cliente o potenziale cliente, accertati del codice di abbigliamento accettato e abbinalo al tuo abbigliamento. Ciò è particolarmente importante quando si viaggia in tutto il mondo in rappresentanza dell'azienda poiché le abitudini e gli abiti possono differire. Inoltre, alcuni eventi della comunità, quando rappresenti l'azienda, potrebbero richiedere un abbigliamento formale. Questi potrebbero includere incontri, pranzi e cene di sviluppo aziendale. Prendi spunto da altri dipendenti che hanno partecipato e sii attento all'evento. Certamente, se sei un oratore in un evento aziendale, considera di indossare un abito formale. Infine, nelle occasioni in cui un cliente o un partner commerciale fa visita all'ufficio, i gruppi di dipendenti con cui il visitatore interagisce devono aderire agli standard aziendali. Nessun codice di abbigliamento può coprire tutte le contingenze, quindi i dipendenti devono esercitare un certo giudizio sulla scelta dell'abbigliamento da indossare per lavorare. In caso di incer tezza sull'abbigliamento casual accettabile per lavoro, chiedi al tuo supervisore o al personale delle risorse umane. Se l'abbigliamento non soddisfa questi standard, come determinato dal supervisore e dallo staff delle risorse umane del dipendente, a questo verrà chiesto di non indossare l'abito inappropriato. Se il problema persiste, al dipendente può essere richiesto di cambiarsi e riceverà un avviso verbale per la prima infrazione. Si applicano tutte le altre politiche sull'uso del tempo personale. Un'azione
gennaio\febbraio 2020 disciplinare progressiva verrà applicata se le violazioni del codice di abbigliamento continuano. Per le donne islamiche che indossano il velo sul posto di lavoro, la Corte di giustizia dell’Unione Europea ha sentenziato che “L’azienda lo può vietare, non è discriminatorio”. Il Comune di Tradate nel 2007 ha inviato una lettera ufficiale dove invitava "tutti i dipendenti a un corretto e dignitoso abbigliamento”. Se il datore di lavoro richiede un determinato abbigliamento al dipendente, bisogna verificare se il contratto collettivo (anche aziendale), per le specifiche mansioni, preveda degli obblighi in merito, come l’imposizione di una divisa. L’obbligo di indossare una divisa, difatti, è pienamente lecito, non solo quando assolve alla funzione di protezione da rischi per la salute e la sicurezza o di preservazione degli abiti civili dall’ordinaria usura connessa allo svolgimento dell’attività lavorativa, ma anche quando la divisa serve come elemento distintivo di appartenenza aziendale. Se nulla è previsto, il lavoratore ha comunque il diritto-dovere di pretendere e di rispettare il decoro nell’abbigliamento e nell’igiene sui luoghi di lavoro. Potrà dunque essere sanzionato se abbigliato in modo indecoroso o per il mancato rispetto dell’igiene personale. DRESS CODE BUSINESS IN GIRO PER IL MONDO Gli affari non conoscono confini. Ogni imprenditore ne è consapevole. Tuttavia, nonostante la liberalizzazione delle cose da fare e da non fare del codice di abbigliamento aziendale, l'aspetto corretto rimane ancora un fattore chiave che contribuisce alla nostra immagine professionale in tutto il mondo. Sebbene lo stile di abbigliamento occidentale – l'abito classico da uomo o l'elegante tailleur pantalone da donna – siano diventati abiti universali a qualsiasi data latitudine sul globo. Secondo Iwona Sobczak è fondamentale ricordare che esistono ancora piccoli dettagli e differenze che vale la pena considerare quando si è in viaggio per fare affari con partner all'estero: Australia L'aria calda australiana ha reso accettabile per gli abitanti degli Antipodi togliersi le giacche. Tuttavia, proprio come nel resto del mondo, si applica il classico codice di abbigliamento formale. Gli uomini indossano abiti, mentre le donne indossano tailleur o camicette e gonne di classe. Paesi dell'America Latina Quando si viaggia in Sud America, è necessario notare innanzitutto che l'abbigliamento adeguato può essere fondamentale per il successo della propria impresa, soprattutto in paesi come Argentina, Brasile o Bolivia, dove l'aspetto è considerato il biglietto da visita. "Senza fare una buona prima impressione, i cui componenti includono anche la classe dell'hotel in cui alloggiamo, è difficile contare su alcun successo", afferma Joanna Modrzynska, docente alla Facoltà di Scienze Politiche e Studi Internazionali dell'Università Nicholas Copernicus e dirigente della Scuola Art of Manners. Come esperta di diplomazia internazionale con 15 anni di esperienza in materia, sottolinea che gli indumenti da lavoro dovrebbero essere classici e modesti, ma al tempo stesso realizzati con tessuti di prima qualità
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e che riflettono le attuali tendenze della moda. È interessante notare che un abito scuro a tre pezzi è considerato un attributo indispensabile per un dirigente, mentre gli impiegati di solito indossano abiti a due pezzi. Brasile Le brasiliane amano accentuare la loro femminilità, motivo per cui le donne che vanno lì per lavoro dovrebbero evitare abiti che ricordano quelli dedicati agli uomini. Gli uffici sono regolati da regole conservative del codice di abbigliamento formale, tuttavia l'eleganza non è riservata esclusivamente agli affari. I brasiliani adorano avere un bell'aspetto, anche quando fanno shopping. Cile A differenza del Messico, dove un trucco perfetto è un must, le donne cilene fanno affidamento sulla loro naturale bellezza. E anche se preferiscono un trucco piuttosto modesto, amano evidenziare le loro caratteristiche con abiti abbinati con cura che mettono in mostra le loro curve naturali. Nessuno è scioccato dai colori vibranti della camicetta o dai motivi floreali, cosa che è normalmente evitato in Europa. È una caratteristica unica adorata dalla comunità locale. Per quanto riguarda gli uomini, i cileni indossano abiti scuri e classici basati su tendenze che vanno di moda in un determinato momento in Europa. Apprezzano l'eleganza, anche se non è così pronunciata come in Messico. Colombia Modrzynska sottolinea che le scarpe sportive sono indossate solo per gli allenamenti e sono usate a malapena in qualsiasi altra circostanza, quindi è meglio lasciare le scarpe da ginnastica a casa se la tua destinazione aziendale è la Colombia. Presta
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molta attenzione alle tue mani prima di partecipare a un incontro con i colombiani, indipendentemente dal tuo genere: è un dettaglio particolarmente importante per gli interlocutori colombiani. Canada Esaminando Justin Trudeau, il primo ministro del Canada, è facile capire che i canadesi si vestono in modo più prudente e formale dei loro vicini statunitensi. Tuttavia, come sottolinea Modrzynska, alcuni dei loro codici di abbigliamento possono variare a seconda della regione. Ad esempio, le persone di Vancouver sono più casual nel modo in cui si vestono, mentre gli imprenditori di Toronto traggono ispirazione dai britannici, che sono più conservatori in questo senso. Cina In Asia, è ragionevole prendere la Cina come punto di riferimento. Nelle situazioni quotidiane, l'abbigliamento dovrebbe essere semplice, modesto e classico. Non è consigliabile mostrare la tua ricchezza o essere sgargiante con l'abbigliamento, anche se un orologio di fascia alta è un investimento consigliabile. Le donne dovrebbero evitare abiti che espongono le braccia e la schiena, così come scollature profonde o gioielli stravaganti (le donne cinesi spesso si asterranno dall’indossare le fedi nuziali) o trucchi troppo forti. In estate, gli uomini possono concedersi un po’ più di comfort: bastano buoni pantaloni e una camicia senza cravatta. È importante notare, tuttavia, che per le uscite serali in rinomati ristoranti in stile occidentale non possono fare a meno di un abito e una cravatta, mentre le donne dovrebbero indossare abiti da cocktail. Paesi islamici Con una serie di eccezioni (ad esempio Maro cco, L ibano), si deve tenere presente che il codice di abbigliamento nei paesi musulmani è estremamente conservatore. Il corpo non deve essere esposto, mentre in paesi come l'Iran, l'Arabia Saudita si deve indossare un hijab, un velo che copre i capelli, le orecchie, la scollatura e il seno. Le donne non
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dovrebbero esporre il proprio corpo. Gonne corte, camicie traslucide e abiti succinti saranno altamente inappropriati. Quando si seleziona l'abbigliamento, si consiglia l'umiltà. Un buon esempio è la regina Rania di Giordania. Una delle eccezioni più evidenti alla regola è il Libano. Le donne qui adorano la moda e se optano per un velo, un hijab non sarà altro che un accessorio alla moda per il loro abbigliamento. In effetti, è qui che provengono la maggior parte degli stilisti di moda arabi contemporanei (Elie Saab, Zuhair Murad, Reem Acra). Le donne libanesi evidenziano i loro lineamenti femminili con colori, gioielli enormi e vestiti costosi. Durante un viaggio in Malesia, tuttavia, vale la pena ricordare che il giallo è il colore riservato alla famiglia reale e indossarlo sarà un terribile errore. Giappone Le regole del codice di abbigliamento sono molto meno problematiche quando si va in Giappone. Qui, uno stile di abbigliamento conservatore, ma moderno funzionerà in quasi tutte le circostanze. Anche se il tuo invito dice "casual", vale la pena optare per un abito elegante. C'è solo un piccolo problema da prendere in considerazione. È abbastanza comune e consuetudine nei paesi asiatici sedersi sul pavimento, ad esempio durante i pasti, quindi è meglio non indossare abiti troppo aderenti, come pantaloni attillati, per potersi sedere comodamente. India, Tailandia L'abbigliamento, così come il suo taglio e colore, significherà in molti casi lo status sociale oltre ad appartenere a una particolare casta (anche se ufficialmente queste divisioni sono state abolite, possono ancora essere visibili, ad esempio, nei vestiti). Come regola generale, è consigliabile evitare abiti bianchi (che simboleggiano lutto, tristezza o sventura) o nero (male, oscurità), mentre tutti i colori vivaci e vividi funzionano perfettamente. Il rosso è normalmente riservato alle cerimonie nuziali, il verde è associato all'Islam, il blu è il colore della divinità Krishna e l'arancione è il colore dei guru.
Stati Uniti d’America Il codice di abbigliamento americano è principalmente definito dal successo di qualcuno. L'abito perfettamente tagliato e su misura di un finanziere di Wall Street sarà il miglior esempio. Quando si parte per un viaggio d'affari negli Stati Uniti, è sempre ragionevole optare per l'elegante semplicità e adattarsi al codice di abbigliamento specificato nell'invito. Gran Bretagna Quando vai in Gran Bretagna, c'è una correlazione facile da ricordare: più grande è la città, più abbigliamento formale è richiesto. Gli uomini britannici usano spesso diversi design di cravatte per indicare la loro appartenenza a vari gruppi (ad esempio laureati, membri di club), quindi le strisce non sono sicuramente un'opzione. I britannici si sentono piuttosto attaccati a vari abiti, come il cappotto del mattino. È anche molto popolare qui osservare le regole del codice di abbigliamento e seguire le istruzioni sugli inviti come cravatta nera o cravatta bianca. Oltre ai capi classici, gli inglesi indossano spesso abiti in tweed o lana, soprattutto quando l'incontro è meno ufficiale. Buon viaggio e buoni affari!
* Giornalista e docente di "Comunicazione e Successo" c/o Università UniTre, Milano. Autore di 13 libri pubblicati con 7 Editori. 2 libri presenti c/o Università di Harvard, USA. Performance Executive Coach per aziende. Ha pubblicato recentemente “Buoni & Vincenti. Etica e spiritualità del successo e del denaro, Edizioni Segno, Udine, 2017 e “Chi non si accontenta gode. Accontentarsi della mediocrità è un “crimine”. Scopri le tue capacità per avere ed essere di più”, Lampi di Stampa, Milano, 2018. giorgionadali.com
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ESSERE SUPERBRANDS è sempre una buona idea
Questi sono stati i Superbrands 2019. Condividono l’impegno per l’innovazione, l’autenticità e la responsabilità e sono riconosciuti SUPER da clienti e consumatori. superbrandsaward.it
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/Turismo
In foto: Verona Liberty
ART HOTEL, FUGHE IDEALI PER IL COLLEZIONISTA DOC A cura di Cinzia Meoni
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gennaio\febbraio 2020 Circondarsi d’arte, assaporare in ogni istante della giornata la bellezza e vivere le emozioni che un quadro o una installazione può regalare. È questo uno dei trend che si sta sempre più affermando nel mondo dell’ospitalità di alto livello e non c’è chi parla perfino di art theraphy, un toccasana per gli occhi e per lo spirito in grado di rigenerare coloro che scelgono un soggiorno immersivo tra quadri originali, oggetti di design e sculture d’autore. Gli hotel trasformano così camere e spazi comuni in gallerie d’arte, divenendo un innovativo punto di riferimento artistico dei territori, ospitando opere di artisti affermati e giovani promesse, mostre, retrospettive e percorsi dedicati spesso in collaborazione con gli atelier del territorio, regalando agli appassionati un sogno a colori e, allo stesso tempo, sostenendo l’arte grazie all’invenzione di nuovi spazi espositivi che aiutano l’affermazione dei talenti. Negli art hotel ogni spazio, comune o privato racconta storie ed emozioni attraverso le opere d’arte, divenendo quindi a sua volta un palcoscenico ideale dove il dialogo tra ospiti e singoli artisti è portato avanti quotidianamente. Spesso si tratta di opere provenienti da gallerie della zona che l’ospite può acquistare. Un souvenir effettivamente diverso dal solito. ARTE CONTEMPOR ANEA , ULIVI E CUCINA GOURMET SULLA COSTIERA AMALFITANA Tra chi ha scelto di percorrere questa strada nell’ospitalità di alta gamma c’è. Alberto Colonna, direttore di Art Hotel Villa Fiorella di Massa Lubrense, un boutique hotel con 23 camere inaugurato tre anni fa affacciato su Capri e circondato dagli ulivi. “Ho voluto unire la mia competenza per hotellerie con uno degli hobby di famiglia: il collezionismo di arte” sostiene il manager che racconta: “grazie a mio padre, che è da sempre un grande appassionato, abbiamo oggi molte opere d’arte contemporanea importanti anche a livello internazionale come Sironi, Miltos Manetas, Chen Zen, Takeo Hanazawa, Luigi Mainolfi e molti altri”. L’Art Hotel Villa Fiorella, oltre all’esposizione delle opere di famiglia, propone ad ogni stagione, grazie ai contatti
con le gallerie d’arte, ulteriori allestimenti che trasformano questo boutique hotel nella parte meno caotica della Costiera Sorrentina in un piccolo paradiso della creatività, da scoprire quindi e riscoprire perché ogni volta diverso. Un eden di bellezza e di trionfo dei sensi anche grazie alla collaborazione in cucina con Marco Del Sorbo che nel ristorante Terrazza Fiorella propone una ricerca gourmet coniugata ai prodotti e alle tradizioni del territorio e a una cantina con
oltre 700 etichette. E un luogo di pace e relax dove poter godere della bellezza del territorio e della struttura oltre che delle storie trasmesse dalle opere esposte. Qui infatti il vero lusso è lo spazio dedicato ad ogni ospite, nelle camere, negli spazi comun e nel giardino dove trovano posto altre istallazioni. “Le nostre camere sono più grandi del 20% rispetto alle camere standard e il giardino che circonda l’hotel è una meravigliosa testimonianza degli
In foto: facciata NYX - © Serena Eller
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ulivi secolari che abbiamo. Qui a Massa Lubrense, chi viene in vacanza gode di una dimensione di maggior relax” conclude il manager. La passione per l’arte e l’ospitalità è d’altro canto una passione di famiglia che si tramanda nel corso della generazione visto che ai Colonna appartiene anche l’Art Hotel Gran Paradiso di Sorrento, una delle prime strutture del territorio a portare opere d’arte e di design direttamente nelle camere degli ospiti e non solo nella hall e nei ristornanti. L’Art Hotel Gran Paradiso con le sue cento camere offre anche opportunità di turismo d’affari e convegni e ospita al suo interno opere d’arte moderna collezionate nel corso degli anni da Mario Colonna, proprietario dell’hotel e padre di Alberto. Lo scorso aprile nell’ambito del progetto “100³: 100 anni, 100 stanze, 100 artisti”, l’Art Hotel ha ospitato artisti provenienti da tutto il mondo (come Josh Friedman, Hertha Miessner, Kaoru Mansour, Marek Ruff, Siraj Saxena, Wattanachot Tungateja) che, ispirandosi al panorama e alla cultura della Penisola Sorrentina, hanno realizzato opere specifiche nelle camere dell’hotel, lasciando così traccia della loro tappa a Sorrento e affiancando in questo work in progress quelle realizzate nel corso degli anni precedenti. Il progetto “100³: 100 anni, 100 stanze, 100 artisti” è la scommessa di Colonna sull’Arte Contemporanea e fa dell’Art Hotel Gran Paradiso un vero e proprio Museo della Penisola Sorrentina. LA STREET ART A MILANO A Milano per i cultori della street art il posto da non perdere è il Nyx Milan: 300 camere, di cui 21 suites, per 12 piani che hanno preso il posto del cosiddetto Palazzo Philips, storico edificio di architettura razionalista affacciato su Piazza IV Novembre. Il Nyx Milan coglie in pieno lo spirito di una città come Milano ed è, infatti, il primo albergo in Italia a ospitare, come fosse una galleria diffusa, opere di street art di artisti che hanno fatto la storia del writing nazionale e internazionale oltre ad esposizioni a rotazione negli spazi comuni dell’hotel. L’hotel di Piazza IV Novembre accoglie gli ospiti con un grande lavoro di Joys che incornicia l’ingresso e guida in spazi dal design urbano e contemporaneo
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In foto: terrazza NYX - © Serena Eller
su cui campeggiano installazioni le opere degli artisti coinvolti. Nel giardino si facciano un murales di 28 metri di Vesod, le colonne decorate con i classici 45 gradi di Joys, e una parete “affrescata” da Peeta e Yama11. La maggior parte delle opere di urban art presenti al NYX Hotel di Milano sono realizzate dalla EAD Crew, un gruppo di artisti di strada originari di Padova. La EAD è nata nei primi anni '90 ed è uno dei principali gruppi di graffiti-writing a livello internazionale, reso famoso grazie soprattutto al lavoro artistico di alcuni noti writers quali Joys, Peeta, Yama11 e Orion. Lo stile dei loro graffiti va ben oltre la semplice pittura murale e rappresenta una fusione tra il lettering tradizionale e il 3D-style di grande impatto e originalità, capace di creare un ritmo visivo dallo stile inconfondibile. Molti dei loro lavori sono esposti in collezioni pubbliche e private, tra cui la C.A.V.E. Gallery in California e la Haussmann Gallery in Florida. Non convenzionale anche lo stile di ospitalità di NYX: dalla proposta di tour guidati alla scoperta della urban art di una
Milano meno nota, al tatuatore on demand per finire con una proposta gastronomica del ristorante Clash (Fede Group) ispirata allo street food ma con molta scelta per vegani e vegetariani. ARTE E AMORE A VERONA Nel cuore della Valpollicella, a pochi chilometri dalla città di Romeo e Giulietta, si può dormire in una villa veneta del XVI secolo (Villa Amistà) che ospita, tra gli altri, opere di Marina Abramovic, Vanessa Beecrof, Tony Cragg, Danien Hirst, Alighiero Boetti, Anish Kapoor, Piero Manzoni, Takashi Murakami, Mimmo Paladino, Arnaldo Pomodoro, Mimmo Rotella e Marc Quinn. Il Byblos Art Hotel è un hotel 5 stelle lusso dall’eleganza classica concepito come una cornice suggestiva e permanente di arte contemporanea. All’interno di Villa Amistà si possono peraltro ammirare anche affreschi risalenti alla prima costruzione quattrocentesca ad opera di Michele Sanmicheli e della successiva costruzione settecentesca di
gennaio\febbraio 2020 Ignazio Pellegrini, recuperati attraverso accurati restauri filologici. All’interno del Byblos Art Hotel la storia tuttavia si fonde con la contemporaneità delle opere degli artisti e degli arredi del designer Alessandro Mendini. Un ambiente più famigliare è invece quello proposto dal B&B Liberty. Un po’ galleria d’arte, un po’ boutique hotel, il Liberty è una villa di inizio ‘900 attentamente ristrutturata e immersa in un giardino di piante secolari a Borgo Roma, una zona verde e tranquilla a pochi minuti dal centro storico di Verona, divenuta un B&B di riferimento per gli amanti dell’arte e del design. Gli ambienti del Liberty sono una vera e propria galleria d’arte dove trovano spazio le opere e le installazioni create apposta per il B&B, quelle tramandate di generazione in generazione e quelle di artisti del territorio ospitate sulle preti delle camere o negli spazi comuni della struttura.
In foto: Villa Amistà - © byblosarthotel.com
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/Turismo
PEJO PLASTIC FREE Il primo comprensorio sciistico al mondo che ha detto addio alla plastica non è un miraggio. Esiste davvero e si trova in Italia! A cura di Marcella Ciappi
Ski area Pejo © M. Corriero
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gennaio\febbraio 2020 Pejo3000 con il progetto Pejo Plastic Free sarà la prima ski-area plastic free al mondo. Proprio la ski-area Pejo 3000, un gioiellino che si sviluppa tra i 1400 e i 3000 metri di altitudine nella trentina Val di Sole incastonato all’interno del Parco Nazionale dello Stelvio, si è posta per prima questo obiettivo talmente ambizioso che nessuno mai, né in Europa, né a livello mondiale, aveva ancora provato: liberare un intero comprensorio sciistico dalla plastica, una pericolosa fonte di inquinamento che può danneggiare gravemente l’ecosistema montano e gli animali che ne fanno parte. “Se le plastiche raggiungono le alte quote, vi rimangono per molto tempo, anche decenni e poi vengono restituite all’uomo sotto forma di danni ambientali e sanitari, entrando nella nostra catena alimentare” ha spiegato Christian Casarotto, glaciologo del Museo delle Scienze MUSE di Trento. “Le iniziative per contenere la diffusione delle plastiche sono quanto mai urgenti. Tutto l’arco alpino dovrebbe adottarle”. Ed è proprio dalle analisi scientifiche su uno dei ghiacciai del Parco che è partita la spinta ad agire. Ad aprile, infatti, una ricerca dell’università Statale di Milano e di Milano Bicocca aveva dimostrato che il ghiacciaio dei Forni conteneva tra i 131 e i 162 milioni di particelle di componenti plastiche (poliestere,
poliammide e polietilene). Un tasso equiparabile a quello dei mari europei e una conseguenza sconcertante della presenza umana che intacca i gioielli naturali di cui dispone l’arco alpino. I vertici dell’Azienda per il Turismo della Val di Sole hanno quindi deciso di passare all’azione per concretizzare un’idea che coltivavano da tempo, sostenuta tra l’altro anche dalla nuova direttiva europea sulle plastiche approvata a giugno e hanno così proposto agli operatori di Pejo3000 di fare della propria ski-area, la prima al mondo che mettesse al bando i materiali plastici. “Ci siamo subito resi conto che il lavoro da fare era imponente – ha dichiarato Luciano Rizzi, presidente dell’APT Val di Sole, Pejo e Rabbi – ma d’altro canto non volevamo più aspettare. L’economia locale si fonda sul turismo ma questo necessita un’attenzione in più affinché le nostre risorse naturali non vengano depauperate. Sono il nostro tesoro e lo dobbiamo preservare per i nostri figli e nipoti. Siamo, quindi, orgogliosi di essere i primi al mondo a fare questo passo, sicuri che ben presto altri seguiranno”. Ma come costruire un progetto che producesse effetti concreti e buone pratiche da diffondere una volta ritornati a casa piuttosto che l’ennesimo caso di greenwashing valido solo come fattore di marketing? “Per prima cosa – ha spiegato Fabio Sacco, direttore
Baita Larici © Giacomo Podetti
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generale dell’APT – abbiamo chiesto a una società specializzata di realizzare un’indagine che potesse rappresentare lo strumento programmatico sia per la ski-area, sia per l’intera Val di Sole. In questo modo, abbiamo definito i contorni della strategia, gli obiettivi e le azioni da adottare per fare della sostenibilità la mission di sviluppo del nostro territorio”. Dopo una fase di ascolto degli operatori dell’area è stata firmata con loro una lettera d’intenti, che indicasse in dettaglio le azioni da effettuare e le diverse tappe. “La stagione sciistica 2019-2020 sarà la prima in cui si applicheranno le novità. Non tutte, perché le cose da fare sono molte e alcune richiedono più tempo. Ma fin da subito il cambio sarà tangibile per tutti gli sciatori” ha aggiunto Simone Pegolotti, direttore Pejo Funivie. Quando riapriranno le piste da sci, ad esempio, nei rifugi del comprensorio i clienti non troveranno più acqua e bibite in bottiglie di plastica, né stoviglie monouso, né cannucce. Persino le bustine dei condimenti
Ski area Pejo © Archivio Doppelmayr
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spariranno (particolare da non sottovalutare dato che se ne consumano a migliaia e spesso vengono disperse nell’ambiente). Accanto ai primi interventi, si stanno già pianificando altre iniziative, più complesse, che verranno man mano introdotte, per intervenire sulle tante potenziali fonti di provenienza delle microplastiche. Allo stesso tempo dei pannelli informativi descriveranno il progetto Pejo Plastic Free e sensibilizzeranno gli sciatori per limitare l’uso di plastica a partire da packaging e bottiglie di plastica e per invitarli a riportare a valle eventuali rifiuti, invece di disperderli in quota. Una valle sostenibile Il percorso per la ski-area plastic free è comunque solo la punta dell’iceberg di uno sforzo a favore della sostenibilità che è decisamente più ampio e che già vedeva la Val di Pejo all’avanguardia su vari fronti. Ad esempio, per quanto riguarda l’approvvigionamento energetico, da
gennaio\febbraio 2020 tempo la Valle utilizza solo energia rinnovabile grazie a tre piccoli impianti idroelettrici. Inoltre, essendo la produzione superiore ai consumi di residenti e utenze commerciali, l’energia verde in eccesso viene immessa in rete, contribuendo così all’aumento della quota nazionale prodotta con le rinnovabili. Per riscaldare le abitazioni, gli alberghi, gli edifici pubblici
e le Terme di Pejo si utilizza, poi, un moderno impianto di teleriscaldamento a cippato, alimentato con gli scarti delle lavorazioni boschive. Per innevare artificialmente le piste si sfrutta solo acqua di recupero e per il futuro è già in programma di sostituire i gatti delle nevi che ogni sera battono le piste da sci con nuovi mezzi ibridi.
Sport invernali nella ski area Pejo © M. Corriero
Escursioni su ciaspole a Pejo 3000 © Caspar Diederik
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/Turismo
L’HOTEL È (ANCHE) NO KIDS Il trend è in crescita e si rivolge a una fascia di pubblico in cerca di pace e relax nella natura. Come a Borgogrufa in Umbria e al My Arbor Hotel di Bressanone. A cura di Cinzia Meoni
Hotel, locali, ristoranti e persino le prime sperimentazioni sui voli aerei, soprattutto ma non solo char ter. Il trend “no kids” nel variegato panorama dell’ospitalità sta letteralmente esplodendo, grazie a una fascia di mercato redditizia finora rimasta inesplorata. Nato negli Usa ed esportato in Europa, il fenomeno è arrivato, non senza polemiche anche in Italia dove sono sempre più numerosi i luoghi che si strutturano per ospitare un pubblico adulto. Nulla di “hard” o legato in qualche modo alla volontà degli ospiti di cercare l’anima gemella anche se ovviamente, simili iniziative sono rivolte al solo pubblico maggiorenne. Si tratta per lo più di hotel o locali destinati a persone che cercano un momento di relax, a due o anche in solitaria, che non vogliono farsi condizionare dalla presenza di minori (che, ad esempio, potrebbero inibire il desiderio di godersi un percorso spa senza costume come d’uso in Alto Adige e in Austria) e che infine non vogliono pagare per servizi che non utilizzano (dal soggiorno gratuito omaggiato ai minori, ai mini club fino ai menù strutturati per i più piccoli). Rispedite al mittente le polemiche, il settore è in crescita esponenziale. Perché se è vero che l’irruenza dei più piccoli è naturale, è altresì naturale non desiderare
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gennaio\febbraio 2020 esserne coinvolti mentre ci si gode un percorso degustativo d’eccellenza o si ammira un paesaggio incantato a bordo di una piscina di un hotel a cinque stelle. Il sito tedesco “Urlaub-ohne-kinder” (letteralmente “vacanze senza bambini”) mappa ben 1403 strutture al mondo con una specifica policy “no kids”, il doppio rispetto a solo tre anni fa. Tui sta cavalcano il trend con oltre 400 hotel “no kids” nel mondo, in linea con Sandals, Iberostars e Veratour che ha lanciato la linea Atmosphera Collection 18+ con quattro strutture riservate a un pubblico adulto (i Veraclub: Sunset Beach a Zanzibar, Royal Tulum in Messico, Negril in Giamaica e Costa Rey in Sardegna). A livello geografico invece la Spagna fa la parte del leone, mentre l’Italia per ora ne conta 52 con una predominanza delle strutture dell’Alto Adige. D’altro canto, nel BelPaese, secondo i dati dell'Ocse, il 24% delle donne nate nel 1965 non ha avuto figli senza che vi sia alcuna apparente causa materiale. Una virata decisa rispetto allo scenario di pochi decenni fa quando le coppie senza figli o i single in età adulta erano rari. E in effetti il target di riferimento di queste strutture è ben chiaro: ospiti tra i 30 e i 50 anni senza figli o che lasciano i pargoli a casa per regalarsi qualche ora o, ancor meglio, qualche giorno di puro relax a due. Si tratta quindi, anche in Italia, di un mercato e tendenzialmente disposto a pagare un po’ di più pur di ottenere, nello specifico, l’esperienza voluta senza essere distratto dai giochi dei più piccoli, a tavola come in piscina, o dai pianti nella notte. Un’eresia? I primi esperimenti in Italia, contrariamente alle strutture destinate specificatamente a famiglie con bambini (come il Cavallino Bianco di Ortisei), erano stati oggetto di accese polemiche e diatribe sulla legalità di una limitazione in base all’età all’accesso di determinate strutture. Come quelle dieci anni fa che hanno investito il Coast Music Bar di Porto Cervo che aveva all’epoca impedito al presentatore Massimiliano Ossini di entrare all'ora dell'aperitivo perché in compagnia dei figli piccoli o la
pizzeria gourmet-pasticceria Sirani (che nella guida del Gambero Rosso colleziona riversi riconoscimenti da anni) a Bagnolo Mella in provincia di Brescia, che aveva deciso di limitare l’accesso al locale ai bambini sotto i dieci anni fino alle 21. Oggi i successi raccolti dai pionieri del fenomeno “no kids”, oltre alla parallela crescita esponenziale dei “family hotel” (molto più numerosi dei quelli destinati ad un pubblico adulto), stanno abbattendo le barriere mentre, allo stesso tempo, le vacanze diventano sempre più “tailor made” ritagliate sulle esigenze dell’ospite. Senza giudizi. Tutti felici quindi: le famiglie con bambini che non si trovano più a dover richiamare i piccoli da giochi magari un po’ troppo rumorosi, ma godono di strutture con ampi spazi dedicati; coppie, single e adulti senza figli a seguito qualora vogliano regalarsi un momento di relax in strutture dedicate a un solo pubblico adulto e albergatori e ristoratori in grado di soddisfare pienamente clientele specifiche. L’offerta di strutture “no kids” per ora predilige hotel di fascia elevata, spesso con un’offerta wellness particolarmente articolata o con proposte di ristorazione gourmet. Ma non mancano anche le prime sperimentazioni di agriturismi, villaggi e b&b che adeguano in questo modo la propria offerta di ospitalità a una
crescente richiesta. Le limitazioni possono essere le più svariate. Ci sono strutture non adatte a bambini di età inferiore ai dieci o quattordici anni anche se gli hotel che decidono di intraprendere questa strada in genere virano su un pubblico maggiorenne. Come il My Arbor Wellness Hotel di Plose che domina la Val d’Isarco. Qui tutto è studiato per il relax dell’ospite. Dalle camere concepite come nidi in cui l’ospite si può rifugiare lasciando correre lo sguardo sulle cime degli alberi e sulla città di Bressanone a fondo valle, alla spa Arboris di 2500 metri quadrati tra vasche idromassaggio e saune panoramiche fino alla ristorazione (My way to eat) e alle degustazioni guidate di vini del territorio. Anche Borgobrufa Spa Resort di Torgiano, tra le colline umbre, ha scelto una filosofia “no kid”. Il resort, oggetto di un recente restyling, ha messo al centro della propria offerta di ospitalità una spa da 3mila metri quadrati, 60 trattamenti personalizzati 19 collaboratori dedicati, oltre ad una ristorazione gourmet. L’atmosfera di quiete, romanticismo e charme che avvolge Borgobrufa ben si adatta a un pubblico adulto in cerca di un luogo dove rigenerarsi immersi nella natura. Tra le novità della ristrutturazione è stata costruita anche una spa privata.
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/Premio
SUPERBRANDS AWARDS LEGO è “Superbrands of the year” 2019 Rubrica a cura di Superbrands
I Superbrands Awards hanno celebrato il 3 dicembre scorso, nell’incantevole cornice della Cattedrale della Fabbrica del Vapore di Milano, l’eccellenza di marca e l’impegno di chi continua ad investire sui valori di brand mettendo il rispetto e la sostenibilità al centro delle proprie strategie di crescita. Superbrands, la più importante iniziativa di aggregazione dell’eccellenza di brand a livello globale, presente in oltre 90 nazioni nel mondo, ha celebrato l’assegnazione dei prestigiosi Superbrands Awards 2019, internazionalmente considerati gli “Oscar” per i brand.
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Il Superbrands of the year 2019, votato dal Superbrands Council* dopo un attento esame delle performance di marca e partendo dagli S-factors** che sono alla base del modello di valutazione Superbrands, è andato a LEGO, la multinazionale danese che da sempre ispira la fantasia e la creatività di milioni di bambini in tutto il mondo. All’insegna del motto Only the best is good enough, il Gruppo LEGO è fortemente impegnato nello sviluppo della creatività dei bambini e ha l’obiettivo di ispirare i costruttori del domani tramite il gioco e l’apprendimento. Il sistema di gioco ruota attorno ai
gennaio\febbraio 2020 mattoncini che possono essere continuamente uniti e smontati in infinite combinazioni: unico limite la fantasia. Come ricordato da Camillo Mazzola, direttore marketing di LEGO Italy, nel ritirare il riconoscimento. Un premio speciale è stato conferito a Monica Contrafatto, medaglia d’argento nei centro metri agli ultimi Mondiali Paralimpici svoltisi a novembre a Dubai. Monica, donna, caporal maggiore dei Bersaglieri e atleta, ha ricevuto il Superbrands Award 2019 come esempio della tenacia, della grinta e della sportività italiana nel Mondo. Nel corso della cerimonia, è stato consegnato a FASTWEB il “Superbrands Award for Innovation” per la sua continua ricerca tecnologica e spinta verso il futuro. SAN BENEDETTO è stato premiato con il “Superbrands Award for Authenticity” per il costante impegno e la trasparenza nei confronti dei propri consumatori. Il “Superbrands Award For Responsabilty” è andato a LEROY MERLIN per i continui progetti volti alla sostenibilità e le numerose iniziative attivate direttamente sul territorio a favore dei più svantaggiati. 31 i prestigiosi brand che hanno ricevuto lo status di Superbrands 2019: Amplifon, ARAN Cucine, Beko, Bottega Verde, CheBanca!, Disney, Ducati, Fastweb, Ferrero Rocher, Flormidabil, Folletto, Genertel, Grundig, ING, L’albero della vita, Le Naturelle, Lego, Moby, Mondadori Store, Mulino Bianco, NEXI, Post-IT, RE/MAX, San Benedetto, Silaq, SisalPay, THUN, Tupperware, Vaillant e ZETA Service.
La serata ha visto la consegna delle prime copie del volume “Superbrands 2019. Il libro delle grandi marche” (con la cover disegnata dagli studenti del corso di Grafica dello IED Torino, sotto la guida del Maestro Ugo Nespolo): oltre 150 pagine riccamente illustrate che celebrano le storie di successo di tutti i brand che hanno aderito all’iniziativa. Il volume sarà presto disponibile nelle principali librerie Mondadori e scaricabile online dal sito Superbrands. Durante la serata sono stati serviti i vini argentini della Via Dell’Abbondanza e si è potuto assistere allo show cooking dello chef del gelato Massimiliano Scotti. A fine serata un Award Speciale è stato consegnato da Barbara Picollo, Country Manager Italia, a Sergio Tonfi, Editor di Superbrands, che ha deciso di ritirarsi dal mondo della Comunicazione per dedicarsi alle sue grandi passioni: la fotografia e i viaggi. A prendere il testimone di brand ambassador è stato Christian Gaston Illan che con il suo carisma e professionalità lancerà la prossima edizione di questo prestigioso premio. “Per essere Superbrands occorre andare ben oltre la normalità perché quella non basta più per farsi amare e desiderare dalle persone” dichiara Barbara Picollo, Ceo Superbrands. “I brand celebrati nel programma 2019, hanno dimostrato il coraggio di fare la differenza con un’innovazione rilevante, studiata sui desideri della gente, con l’autenticità di una relazione basata sul rispetto reciproco e con la responsabilità di chi sa di avere un ruolo determinante nel fare del nostro mondo, un mondo migliore”. Per conoscere di più dell’evento: superbrandsaward.it
Superbrands è la più importante iniziativa di valorizzazione delle marche a livello globale ed è presente in oltre 90 paesi nel mondo: Il suo obiettivo è identificare e celebrare quei brand che continuano a credere negli investimenti in innovazione, comunicazione e sostenibilità per costruire un valore distintivo e garantire un’esperienza di eccellenza riconosciuta da clienti e consumatori. Superbrands propone un programma di certificazione e qualificazione che comprende incontri di networking, attività di PR, partnership media, eventi in collaborazione con le più importanti Università e culmina con l’assegnazione dei “Superbrands Awards” e la pubblicazione annuale del prestigioso volume “Superbrands: il libro delle grandi marche”. *Il Superbrands Council 2019 è composto da: Laura Cantoni (AD Astarea), Angelo Di Gregorio (Università Bicocca), Andrea Fagnoni (Chief Client Officer Ipsos), Andrea Farinet (Università LIUC), Maria Luisa Galbiati (Politecnico di Milano), Vicky Gitto (Presidente ADCI), Patrizia Musso (Fondatore di Brandforum.it), Maria Carmela Ostillio (Università Bocconi, Maria Angela Polesana (Università IULM), Carlo Alberto Pratesi (Università Roma Tre), Fabrizio Valente (Presidente KikiLab), Pierdonato Vercellone (Docente Universitario) Nicoletta Vittadini (Università Cattolica). **Gli S-Factors alla base del modello di eleggibilità a Superbrands sono: TRUST, il livello di fiducia che la marca ha saputo generare con il suo pubblico; LEADERSHIP, la componente di presenza rilevante e di successo nel tempo; DIALOGUE, la capacità di generare una relazione positiva, trasparente e vera attraverso gli strumenti della comunicazione, SOCIETING, il ruolo della marca nel proporre soluzioni che migliorano la qualità della vita e promuovono lo sviluppo di un modello economico che tiene conto delle istanze ambientali e sociali oltre che di quelle economiche; DYNAMISM, la forza innovatrice che porta la marca a perseguire costantemente la crescita attraverso l’offerta di soluzioni che rappresentano significativi passi avanti nella soddisfazione dei bisogni del mercato. I cinque S-Factors sono poi distillati in tre Super Drivers che definiscono il DNA dell’essere Superbrands: INNOVAZIONE, AUTENTICITÀ, RESPONSABILITÀ. 105
NEWS IN TOWN
A cura di Cinzia Meoni
Milano si veste a festa per il nuovo anno. Locali stellati, chef etici e designer in un mix che incuriosisce gli abitanti del capoluogo lombardo e i turisti che, sempre più numerosi, affollano anche d’inverno le vie della moda. E la Fashion Week è l’occasione giusta per scoprire alcuni inediti percorsi del gusto!
ALL’ORIGINE
Via Lamarmora 36, Milano All’Origine è il nuovo indirizzo dei foodies milanesi a pochi passi da Porta Romana grazie alla creatività dello chef Fabio Titone. Dalla cucina a vista si intravede lo chef sperimentare nuove tecniche che giocano tra il dolce e il salato, creando cromie e utilizzano clorofille, affumicature e infusione. Tutto fatto rigorosamente in casa. Una cucina che regala emozioni e stupisce il palato.
THE MANZONI
Via Manzoni 5, Milano Tom Dixon apre il suo quartier generale italiano e il suo primo ristorante in Europa, a Milano, nella capitale del design mondiale. The Manzoni è uno spazio sperimentale, teatro di contaminazioni che hanno come interpreti il design, l’arte e la cucina italiana. In cucina lo chef Davide Figliolini. È prevalente utilizzo di materiali naturali come il sughero della Sardegna, il marmo di Verona, le pietre dell’Etna, il granito, la pelle naturale e la seta. Ogni oggetto, arredo, pianta o corpo illuminate è in vendita. Diverse sono anche le aree riservate per pranzi e cene, sia all’interno della giungla di sterlizie e kenzie, che nel dehor.
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PARTICOLARE MILANO Via Tiraboschi 5, Milano
Andrea Cutillo (chef), Luca Beretta (maître e sommelier) e Mino Traversi (manager di catene di hotel) hanno dato vita a un locale che vuole essere un punto di accoglienza per tutti coloro che vogliono uscire e sentirsi a casa, che desidererebbero un cocktail ma forse anche una cena, che arrivano per un aperitivo post lavoro e si trovano in un giardino di oltre cento metri quadrati nascosto a Porta Romana, in via Tiraboschi 5. La cucina è creativa e mediterranea, con un’attenta selezione di piccoli produttori e una forte attenzione a privilegiare l’allevamento italiano ed etico.
TRE CRISTI MILANO Via Galileo Galilei 5, Milano
Tre Cristi è l’indirizzo per i foodlovers attenti all’etica e alla sostenibilità, senza tuttavia che ciò vada a discapito del gusto. In cucina Franco Aliberti esalta ogni singola materia prima in un percorso di tecniche e sperimentazioni che punta a presentare le diverse consistenze del prodotto e a ridurre ogni spreco alimentare attraverso l’utilizzo di tutte le parti commestibili di frutta e verdura.
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/Franchising
FRANCHISING ITALIANO, IL BESTSELLER DELLE STORIE DI IMPRESA La prima pubblicazione che racconta attraverso 50 storie di successo la formula del franchising in Italia A cura della Redazione
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gennaio\febbraio 2020 In occ asione della 3 4 a edizione del Salone del Franchising di Milano, è stato presentato il libro "Franchising italiano: 50 storie di imprese che hanno fatto (im) presa in It alia e la prossima potrebbe essere la tua!", pubblicato da Bruno Editore e scritto da Roberto Lo Russo e Viviana Cianciulli. Divenuto bestseller Amazon in soli 8 minuti è a n c h e s t ato p r e m iato s u l p a l co d i "Numero1" allo Sheraton di Milano. Franchising italiano, un libro che ispira i futuri imprenditori Il progetto editoriale alla base del libro, raccontato dagli autori, rappresenta una grande novità. È la prima volta nel nos t ro P ae se che si dà vo ce e spazio agli imprenditori, ai fondatori, ai manager, ai direttori commerciali e ai responsabili delle reti per raccontare la formula franchising at traverso le
proprie storie. Il libro è una r accolt a di 50 s torie di impresa per 50 anni di storia in It a lia . N o n a c as o, u n a s to r ia p e r ogni candelina. At traverso le sfide, gli errori, i segreti e le strategie, il libro riporta un quadro generale del franchising in Italia. Ta n t i i m a r c h i p r e s e n t i n e l l i b r o , sia nazionali che internazionali, che ispirano il lettore e lo accompagnano verso un’ultima ipotetica storia aperta, la 51 a , che potrebbe essere proprio la sua. Il tutto condito con momenti di alto valore formativo condensati in un vademecum del franchising che racchiude tutti i consigli per partire con il piede giusto. Il libro è disponibile sia sulla piat t afor ma A mazon , ma anche su Mondadori Store, La Feltrinelli e Kobo.
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/Franchising/Retail In dieci anni il numero di esercizi commerciali è cresciuto di tre volte e triplicherà nei prossimi dieci. Per Standard Chartered nel 2020 la Russia supererà la Germania al quinto posto fra le maggiori economie globali in termini di Pil corretti con i cambi a parità di potere d’acquisto. Positiva l’overview sul mercato russo stimata da Confimprese in collaborazione con Agenzia ICE per offrire ai retailer italiani nuove opportunità di business. Nel 2018 la Russia si è classificata seconda in Europa per volumi di aree commerciali. Oggi i franchisor presenti sono 1.950 con 60mila punti vendita in franchising e un trend di crescita triplicato dal 2010, con una pipeline al 2030 di 200mila punti vendita, grazie anche al programma di
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RESCA, CONFIMPRESE Triplicato il numero di punti vendita in franchising in Russia in un decennio Rubrica a cura di Confimprese
gennaio\febbraio 2020 sovvenzioni stanziate dal comune di Mosca. Il franchising vale 5 miliardi di dollari e continua ad essere uno dei format commerciali più promettenti in Russia. Secondo uno studio del World Franchising Council, il mercato russo è uno dei leader per quanto riguarda la crescita del numero di aziende in franchising. Su 100 punti vendita in franchising aperti in Russia, circa 90 dopo 3 anni continuano a esercitare la loro attività sul mercato e anche l’aumento del numero di centri commerciali agisce direttamente sull’apertura di nuovi punti vendita in franchising. Queste le evidenze del convegno Retail Business in Russia, Ucraina e Kazakistan sulle opportunità di sviluppo per i retailer italiani organizzato da Confimprese in collaborazione con Agenzia ICE. «La capacità di spesa media a Mosca – spiega Mario Resc a, presidente Confimprese – è pari a 18mila dollari a Mosca, a 12,5 San Pietroburgo, a 1,4 a Ekaterinburg, le principali città della Russia. Il grado avanzato di sofisticazione dei consumatori, grazie all’emancipazione femminile e all’ampio utilizzo di Internet, sot tolinea un’elevat a propensione all’acquisto. Anche l’online è un mercato in forte espansione: su una popolazione totale di 144 milioni, 110 milioni sono online, l’85% utilizza Internet ogni giorno e il 32% acquista online. L’età media dei consumatori digital è di 39 anni contro i 45 degli italiani. Numeri che rappresentano un mercato con buone potenzialità di espansione per i retailer italiani».
vendita da parte di aziende straniere già da tempo presenti sul mercato russo (33% vs 67% di imprese russe), oltre a un dinamico incremento dei franchisor regionali, allo sviluppo di strumenti finanziari pensati per realizzare progetti in franchising e al miglioramento degli aspetti legali dell’interazione tra franchisor e franchisee. Quanto all’Ucraina, ha iniziato il percorso di ripresa a partire dal 2016, grazie al miglioramento della gestione dei fattori macroeconomici da parte delle istituzioni locali e a un forte supporto politico a livello internazionale. Attualmente le catene retail presenti sono 110 di cui un terzo nel fashion e poco meno nel food (19). La moda e l’arredamento italiano continuano a essere considerati un must da parte dei consumatori locali, soprattutto nelle grandi città. Nell’ultimo anno ci sono stati segnali positivi che ben fanno sperare per una ripresa stabile dell’economia e un aumento, seppur lento ma costante, del Pil (+4,6% nel 2° trimestre) e del potere di acquisto dei consumatori locali: gli stipendi
medi mensili sono aumentati del 20%, il commercio al dettaglio è tra i settori che hanno contribuito in modo più rilevante alla crescita. Tuttavia, gli investimenti italiani nel Paese sono ancora bassi, pari allo 0,7% del totale investimenti esteri vs 6% di UK, 5% della Germania e 2,5% della Francia. Il commercio è uno dei settori con investimenti esteri più alti (16,7%), percentuale ancora più elevata se consideriamo solo gli investitori italiani (31%). Il Kazakistan, infine, si sta lentamente aprendo al business retail grazie alla spinta di modernizzazione voluta dal Governo. È un Paese di 18 milioni di abitanti con un Pil in crescita del 4 per cento. Buona la capacità di spesa, 3mila dollari pro capite. Dal 2005 al 2015 il Paese ha attirato oltre 200 miliardi di dollari di investimenti stranieri, secondo Paese del Cis dietro alla Russia. Sicuramente il programma 100 Passi, stanziato dal governo kazako per sostenere l’economia, è di buon auspicio anche per migliorare il clima per gli investitori stranieri.
I principali segmenti del mercato del franchising in Russia sono il commercio al dettaglio, i servizi, la ristorazione pubblica comprensiva di fast food (segmento principale per numero di punti vendita), gelaterie, pizzerie e sushi bar, ristoranti (contenuto numero di punti vendita, ma segmento a prezzo elevato), abbigliamento e calzature. Dal 2011 al 2018 nel mercato russo del franchising si è registrato un incremento della quota del segmento servizi dal 25% al 30% e della ristorazione dal 15% al 23 per cento. Il trend è dunque positivo e segnala l’apertura di nuovi punti
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DALL’ELEGANZA ALLA MIGNOTTOCRAZIA Rubrica Quadrante a cura di Mara Licia Frigo
Non sono una filosofa o una teoreta, ma qualche idea me la sono fatta anch’io con il passare degli anni. Alcuni argomenti sono più vicini alle mie corde, altri mi richiedono uno sforzo neuronale da sostenere con pane e Nutella. E questo è uno di quelli: la parola ELEGANZA. Per esempio – e adesso faccio lavorare i vostri neuroni – ci può essere eleganza nel modo di risolvere un’equazione; oppure, ed è molto più ovvio, ci può essere eleganza nel modo di vestirsi e quindi di apparire. Nel caso dell’equazione, l’eleganza inserisce una componente inventiva in un campo che (sembrerebbe) rigorosamente chiuso alla scelta di soluzioni fantasiose. La soluzione elegante sarebbe quella che, coniugando invenzione e rigore, appare alla fine sorprendentemente adeguata. Nel caso del vestito, al contrario, l’eleganza sta nel trovare una misura e il senso di quella misura di fronte alla libertà creativa. In entrambi i casi comunque l’eleganza attiene più al portamento
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e al comportamento che all’oggettività. Perciò è più semplice indicare un oggetto come elegante, perché questa caratteristica è visibile in una forma statica. Quando si riferisce alle persone, emerge invece la sua peculiarità specifica, che è propria dell’agire. Tra comportamento e oggettività è perciò naturale che l’eleganza sia di solito riferita al modo di vestirsi, perché in esso la scelta dell’oggetto abito si unisce al suo scopo, che è il modo di portarlo. L’eleganza della persona è quindi di solito la bellezza del modo di comportarsi avendo addosso dei vestiti. E non è vero che da nudi non vi sia eleganza perché in un campo nudista sarebbe proprio l’abito ad essere decisamente fuori luogo. L’esecuzione elegante di qualsiasi atto può prescindere dall’abito e riguardare sia il gestire stesso, sia un modo elegante di risolvere una questione (come nel caso dell’equazione) o addirittura
gennaio\febbraio 2020 alla sfera etica ed esistenziale (quello che io identifico con il cafone etico, quello che rispetta i suoi pari o i superiori, ma maltratta i sottoposti). Per farla breve, dal mio punto di vista, la finalità dell’abito sta nell’adeguarsi al corpo, ma questo adeguamento deve riguardare anche l’attività in cui il corpo è impegnato in una determinata situazione. Quindi l’eleganza non riguarda solo il rapporto corpoabito, ma anche il rapporto corpo-abito e attività in cui è momentaneamente impegnato il corpo. Ci si veste diversamente in casa e al lavoro, e al lavoro in modo diverso se si è un operaio o il presidente del CDA. Ci si veste diversamente ad un incontro fra amici o ad una cerimonia, al mattino o alla sera, d’inverno o d’estate, in Lapponia o in Africa, nel Seicento alla corte di Spagna o nel Novecento in un senato accademico. Perciò l’abito elegante è quello che si conviene al tempo, al luogo, alla funzione. Immaginiamo un tranviere che, per essere più elegante, guidi il suo tram vestito come un generale di Carlo V… e non ridete, che vi vedo! Tra l’altro una delle principali cause del mutare della moda e dei criteri di eleganza è l’evoluzione storica delle tecnologie di guerra. Un tempo la divisa del soldato in azione doveva essere molto visibile (impressionante in alcuni casi). Oggi al contrario la divisa da battaglia deve essere mimetica e invisibile. Oltre alla guerra il fattore più importante per l’evoluzione dei criteri di eleganza è il lavoro.
Nella società di massa, conformismo ed esibizionismo si uniscono nell’ostentazione della marca del produttore ben visibile ovunque sui vestiti, e sostituisce il taglio e la forma dell’abito come segno riconoscibile di eleganza. Del resto il termine “divisa” significa motto, cioè era una frase, e precisamente il motto del sovrano che i soldati portavano scritto sull’abito o sul cappello. Ora invece si porta scritto addosso il nome della ditta, e si fa pubblicità gratis al produttore, che è il nuovo principe dei nostri costumi e dei nostri portafogli. Chi ricorda certe fotografie di Audrey Hepburn in vacanza, in pantaloni grigi molto sobri, si rende conto che negli anni ‘50 i pantaloni avevano delle pince che facevano sì che la stoffa si tenesse leggermente ampia sui fianchi, perché allora far vedere le curve delle natiche sotto la stoffa era considerato volgare. Una cosa era il bikini, una cosa diversa era il vestito per passeggiare in città. Oggi ovviamente i tempi sono diversi e chi porta i pantaloni si deve adeguare al fatto che l’esibizionismo delle parti sessuali viene considerato una virtù e non un difetto. Nella società dello spettacolo la spudoratezza soppianta il fascino della modestia, allarga le scollature, rende visibili gli ombelichi. La deriva contemporanea attira l’attenzione sulle prominenze mammarie e sull’espressività motoria dei glutei. Ma vogliamo veramente che l’eleganza, nel XXI secolo si orienti verso questi nuovi valori, consacrati dalla felice invenzione del termine mignottocrazia1 di Guzzanti? «Mignottocrazia è la corruzione che ottiene potere in cambio di favori. Ci sono anche casi di mignotte per sesso, ma io volevo denunciare quegli uomini che ottengono potere compiacendo il potente: in questo senso, le più grandi mignotte sono uomini». [Paolo Guzzanti] (Ansa.it, 20 novembre 2008)
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L’industrializzazione ha inciso sui costumi, introducendo nei canoni dell’eleganza l’economia dei mezzi rispetto allo spreco, un apparente conformismo rispetto all’ostentata eccentricità. Ma cogliere la diversità nell’apparente conformismo richiede più attenzione alle sfumature e ai dettagli. Storicamente si comporta come un’onda: dall’esibizionismo negli sfarzi di corte, aristocratico e cattolico alla sobrietà imposta come tratto di borghesia, all’esibizionismo deludente di oggi. Allora, forse, è l’educazione la madre dell’eleganza, perché il comportamento “naturale” dello stare in società non si apprende in un giorno, bensì per via indiretta, quasi per osmosi. Occorre anche dire che l’educazione di oggi avviene in minima parte in famiglia e nella scuola, e in massima parte attraverso i media e in tutte quelle “occasioni sociali” frequentate dalle tribù giovanilistiche. Il concetto stesso di eleganza scaturisce dalla dimensione sociale e quindi culturale, e il discrimine fra eleganza e rozzezza deriva proprio da questa doppia natura.
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ASSOFRANCHISING, LA PRIMA ASSOCIAZIONE ITALIANA DI CATEGORIA Rubrica Assofranchising
Assofranchising dal 1971 promuove e tutela il franchising nel nostro Paese, presenta il nuovo ciclo di incontri “Destinazione Franchising 2020” che, in collaborazione con Confcommercio Imprese per l'italia e le sue diramazioni sul territorio, attraverserà l’Italia in sette tappe per illustrare le opportunità dell’affiliazione in franchising, un comparto del commercio italiano e internazionale che nell’ultimo decennio è cresciuto esponenzialmente, generando fatturato in costante crescita e migliaia di posti di lavoro, come dimostrano i dati dell’ultimo Rapporto Assofranchising 2019. Scopo dell’iniziativa è promuovere la conoscenza e la cultura del buon franchising presso il pubblico e chiunque voglia conoscere e informarsi, siano essi aspiranti imprenditori, giovani studenti o persone già operanti nel settore che desiderano vagliare altre possibilità di business. Nel corso degli incontri, che sono gratuiti ed hanno la durata di circa 4 ore, i franchisor, soci ma anche non soci di Assofranchsing, avranno la possibilità di presentare al pubblico la propria realtà e illustrare le peculiarità di ciascun brand o i servizi offerti. Al termine della sessione plenaria il franchisor potrà incontrare i potenziali franchisee interessati
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Assofranchising rappresenta, promuove e difende gli interessi economici, sociali e professionali delle reti in franchising associate. Dal 1971, anno della sua nascita, Assofranchising si è contraddistinta per la fitta rete di relazioni con le Istituzioni e gli altri Enti o Associazioni che hanno interessi coincidenti o vicini ai suoi. Attiva servizi e consulenza mirata, organizza eventi promozionali per i soci, di networking e di studio su temi d’interesse, offre accordi quadro e convenzioni sui molteplici aspetti e prodotti che interessano le aziende che operano in franchising e le relative reti di punti vendita.
grazie ad incontri one to one dedicati. Per gli associati di Assofranchising queste tappe rappresentano una vetrina di rilievo per presentare il proprio marchio, i servizi offerti ai franchisee e incrementare, dunque, le possibilità di sviluppo della rete. Con la nuova edizione i partecipanti, al momento dell’iscrizione, riceveranno in omaggio l’e-book realizzato dalla società Quadrante Franchising “Vademecum del Franchisee”, uno strumento utile per supportare il potenziale affiliato nella scelta del percorso più adatto. Per conoscere le modalità di iscrizione, ricevere ulteriori informazioni e aggiornamenti sulle tappe previste visita il sito: www.assofranchising.it.
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TIPOLOGIE DI ACCORDI DI FRANCHISING Master, Multi-Unit e Multi-Brand Franchising A cura di Giuseppe Bonani
Molto spesso nella stampa specializzata del franchising si leggono dei termini non molto familiari ai lettori, ma di comune accezione nell’ambito della comunità del franchising. Riteniamo opportuno parlarne qui in quanto si riferiscono a delle formule che molto spesso troviamo riportate negli annunci pubblicitari di vari affilianti. Franchising di unità singole (in inglese: single-unit franchise) È la formula più comune di collaborazione
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commerciale e si ha quando il franchisor concede a un operatore commerciale (franchisee) di operare in una sola location. L'affiliante offre dei contratti di franchising a singoli operatori commerciali, indipendenti l'uno dagli altri, ma tutti riuniti sotto una stessa insegna gestita dall'affiliante. Questo accordo è concesso normalmente a singoli operatori oppure a una coppia di persone (ad esempio marito e moglie) in cui una gestisce il punto vendita mentre l’altra continua a lavorare a stipendio.
Franchising di più unità di vendita (in inglese: multi-unit franchise) In base a questi accordi, un franchisor concede a un franchisee la possibilità di gestire più di un punto vendita in un’area territoriale definita o regione. L’o b i e t t i vo d i q u e s t a f o r m u l a d i franchising è di aprire, in modo rapido, molte unità di vendita e di conseguire quindi una più rapida presenza commerciale locale. Inutile dire che in moltissime reti di franchising – soprattutto nel settore
gennaio\febbraio 2020 della ristorazione – vi sono operatori che gestiscono più di un punto vendita. Questi accordi, generalmente, sono considerati interessanti dai franchisor, ma anche dai franchisee: il franchisor può vedere di buon occhio un franchisee intraprendente che gestisca più di una location e avere quindi un unico interlocutore in una più ampia area commerciale, ma anche per dimostrare la validità della formula di franchising proposta; i franchisee, molto spesso, preferiscono acquisire più aree commerciali (o territori) per evitare di avere dei concorrenti nei pressi del punto vendita originario. Si tratta di una soluzione utilizzata in campo internazionale. Molte sono le insegne che utilizzano questa formula per il proprio sviluppo, sia a livello nazionale che internazionale. Queste, che saranno meglio illustrate qui di seguito, sono: Master Franchising e Area Development. Contratti di Master Franchising Il Master Franchising è una formula secondo la quale un affiliante accorda ad un’altra società il diritto di esercitare, in un determinato territorio, poteri normalmente riservati all’affiliante. Il Master Franchisee ha il diritto di reclutare affiliati, di incassare dagli affiliati i canoni e di fornire i servizi agli aderenti alla rete, ecc.
La forma ed i contenuti dei contratti di franchising sono generalmente elaborati o approvati dall'affiliante, sebbene in alcuni casi il Master Franchisee abbia un'ampia possibilità di stabilire la forma che più ritiene utile. Il Master Franchisee incassa, dagli affiliati da lui nominati, il diritto d'entrata e le royalty con l'obbligo, sancito dal contratto di Master, di retrocederne all'affiliante una quota fissa od una percentuale. Questa tecnica è utilizzata dagli affilianti internazionali per l'espansione di reti di franchising nei mercati esteri. In questi ultimi tempi si assiste ad una variante del Master Franchising: alcune reti internazionali hanno nominato in Italia dei Master Franchisee Regionali: questi hanno acquisito il brand per un gruppo di Regioni (ad esempio il Nord Est dell’Italia). Contratti di Area Development L’Area Development è un accordo secondo il quale l'affiliante concede ad una persona o ad un'impresa (Area Developer) il diritto ad aprire e a gestire più unità di vendita nell’ambito di una determinata area geografica. L’Area Developer paga un canone (development fee) per il diritto di ottenere un'area riservata per la propria espansione e, generalmente, deve concordare un programma per le
aperture dei punti vendita. È importante sottolineare che, in questa formula di sviluppo, l'affiliante riceve i diritti d'entrata e le royalty per ogni punto vendita affiliato ed è previsto nel contratto che l'Area Developer debba essere titolare o avere il controllo di ogni unità di vendita affiliata, ma non abbia il diritto di nominare affiliati. Molte applicazioni di Area Development le troviamo nei mercati mondiali. Soprattutto gli affilianti internazionali del settore ristorazione utilizzano questa formula. Per concludere, accenniamo agli accordi non molto diffusi per vari motivi, tra cui il controllo di franchisee che operano con insegne diverse. Franchising Multi-Brand Si parla di accordi Multi-Brand quando un operatore commerciale apre più punti di vendita in franchising, ma sotto insegne diverse. Ovviamente, affinché questo sia possibile, è necessario che i marchi non siano in concorrenza tra loro e che gli affilianti non impongano l’esclusiva agli affiliati. In questo caso, l'affiliato sarà titolare di più contratti di franchising con altrettanti affilianti e normalmente i vari punti vendita sono intestati a società diverse.
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AUGUSTO BANDERA Intervista al Segretario generale di Assofranchising
A cura di Giorgio Nadali
In foto: Augusto Bandera
L’Associazione Italiana del Franchising dal 1971 si occupa di rappresentare, difendere e promuovere gli interessi economici, sociali e professionali delle reti in franchising associate e di tutelare il franchising di qualità in Italia. Alla Presidenza è Italo Bussoli. Augusto Bandera, Segretario generale, da oltre 10 anni in Vodafone Italia, prima come direttore vendite e successivamente come direttore marketing e vendite SoHo, ha iniziato la sua carriera professionale nella consulenza di direzione in Value Partners, lavorando oltre che in Italia anche in Germania, UK e Sud America. All’interno dell’associazione si occupa dei nuovi
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progetti e della gestione delle attività di sviluppo. Al momento della nomina ufficiale, Augusto Bandera ha dichiarato: “Dal suo arrivo in Italia, il settore del franchising ha registrato dati in costante crescita. Oggi il settore è chiamato ad affrontare nuove sfide all’interno di un mercato globale in cui l’e-commerce e la tecnologia caratterizzano quelle che non sono più nuove frontiere del commercio ma una realtà quotidiana per le aziende e per i consumatori. Sono molto orgoglioso di ricoprire questa carica all’interno di un’associazione che rappresenta un settore in fortissima espansione, in cui credo fermamente, che ha saputo resistere negli anni della crisi, che dà lavoro a oltre duecentomila italiani e che è al centro di uno scambio dinamico fra marchi italiani che guardano all’estero e brand stranieri che vedono nel nostro Paese un mercato molto attrattivo in cui investire. Il mandato che mi è stato conferito dal Consiglio Direttivo sarà caratterizzato dalla continuità con una storia ed una gestione che ha permesso
gennaio\febbraio 2020 ad Assofranchising di diventare negli anni il punto di riferimento italiano, ma con una forte impronta di sviluppo, investendo su nuovi servizi, digitale e internazionale, per essere sempre più e sempre meglio al fianco di chi fa franchising in Italia”. Come valuta la situazione attuale del franchising italiano? "Io credo non solo attuale, ma anche guardando un po’ al passato, è una situazione estremamente interessante perché comunque presenta tassi di crescita positivi da anni e rappresenta quindi un trend molto interessante. Ci sono poi degli spazi molto interessanti dal mio punto di vista. Il format del franchising in Italia rappresenta solo il 7% e guardando solo alcuni nostri vicini in Europa arriviamo almeno al doppio o più. Il modello distributivo rispetto a Francia e Germania è leggermente diverso, ma ci sono comunque ampi margini di crescita, quindi la situazione attuale è molto positiva dal mio punto di vista." 3 buoni motivi per investire in un’attività in franchising? "Ce ne sono secondo me più di tre. Il primo e più importante è che tra i molti investimenti che una persona può fare è quello che gode forse della maggior tutela. Un format collaudato, con un brand collaudato, con dei processi e delle procedure interne anche queste collaudate. Quindi non è un salto nel buio senza rete. Certo non è privo di rischi di impresa perché ci sono anche qui, ma negli anni il franchisor ha già sperimentato la formula anche aggiustandola, riducendo in questo modo i rischi di impresa." Come facciamo a sapere se un franchising sarà redditizio? "Con una battuta potrei dire che se avessimo la certezza di cosa sia redditizio e cosa no, staremo bene tutti. Ci sono però alcune caratteristiche che possono darci una fiducia maggiore: come gli anni di attività del franchisor e quanto tempo è sul mercato. Quant’è il numero e il turnover dei suoi affiliati, la solidità del marchio sul mercato, la
distribuzione geografica a livello anche internazionale. O un’analisi mirata proprio sui bilanci, dal punto di vista economico e finanziario. Per ultimo, l’appartenenza ad un’associazione di categoria può in certi casi essere già una garanzia. Nel caso di Assofranchising per esempio, per affiliarsi bisogna rispettare tutta una serie di requisiti che l’associazione personalmente controlla prima di affiliare un nuovo franchisor, avvalendosi anche di studi legali specializzati che verificano il contratto di franchising. Passiamo attraverso società di consulenza specializzate che analizzano il modello operativo e in certi casi anche il manuale operativo. Quando un franchisor si vuole affiliare ad Assofranchising deve permetterci di avere accesso a questi documenti affinché noi possiamo valutare l’effettiva bontà dell’azienda." La consulenza per avviare un’attività è un servizio che si può chiedere a voi? "Assolutamente sì, io ho recentissimamente chiacchierato con 4 investitori che al momento operano nel campo della telefonia, ma desiderosi di diversificare il proprio business e abbiamo fatto una lunga riflessione su quali potessero essere le possibilità di investimento più adatte a loro. " Come si fa a scegliere la categoria merceologica ideale per il proprio business in franchising? "La scelta è assolutamente personale. Se sono orientato per esempio ad investire in un business molto solido posso pensare a vari brand della ristorazione fast food che sono universalmente riconosciuti e noti. Va considerato, però, che si sta in questo caso investendo nella ristorazione e che si avrà quindi a che fare con un numero importante di personale dipendente, che una turnazione abbastanza complessa da gestire rispetto a format che prevedono 2 o 3 dipendenti, e che si dovrà prestare attenzione a una serie di regole e normative legate ai processi alimentari per la gestione del prodotto e di sanità. La responsabilità è in ogni caso in prima persona, non esiste la modalità di puro investimento economico, posso mettere a
dirigere il mio punto vendita una persona di fiducia, ma la responsabilità legale è comunque legata a me perché si tratta di un’attività di impresa e ogni franchisee è di fatto un’azienda, che può essere più o meno complessa a seconda del format. Ad esempio, in questo momento sta crescendo molto il franchising di servizi che riesce ad affiliare molto facilmente professionisti in uscita dalle aziende. Uno dei nostri soci ha come core business la gestione dei costi aziendali e propone piani per la riduzione dei costi. In questo caso il franchisee è tipicamente una persona che viene dall’ambito amministrazione finanza e controllo." Ci vuole un’esperienza particolare per diventare franchisee? "In alcuni casi sì, in altri molto meno. Nel caso che le ho citato prima, per proporre una riduzione di costo dovrei necessariamente essere in grado di leggere un bilancio." Ci può fare un esempio di un format che richiede esperienza e di un altro dove invece non è necessaria? "Un format che richiede meno esperienza potrebbe essere quello della gestione di un punto vendita di una categoria specifica di abbigliamento, dove l’esperienza conta, ma molto meno. Un brand che vende intimo per esempio, necessiterà sicuramente di una buona attitudine alla vendita, ma non necessariamente nell’intimo." È più vantaggioso essere un franchisor o un franchisee e perché? "Sono due ruoli che fanno parte dello stesso meccanismo. L a domanda è complicata e soprattutto molto personale. Dipenderebbe dal format, nella ristorazione per esempio forse preferirei essere franchisee, perché l’attività può essere estremamente redditizia e lascerei in questo modo tante complessità gestionali nelle mani del franchisor. Se dovessi pensare invece a format più semplici non mi dispiacerebbe essere franchisor." Il franchisor è la parte che guadagna di
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più? "Anche in questo caso dipende dai modelli e dai format. Ci sono business in franchising dove senza dubbio il franchisor guadagna molto bene. Di sicuro i modelli di franchising dove il franchisee non guadagna abbastanza è un modello che non funziona. Il franchising è per sua stessa natura un concetto che deve essere win-win, vale a dire che devono guadagnare sia franchisor che franchisee." Per essere un franchisor ci vuole un’idea e deve essere di successo, in questo senso è più facile essere franchisee? "Esatto, per questo motivo si parla di spostamento di rischio. Chiaramente un franchisor che è sul mercato da 30 anni noto e affermato avrà buoni guadagni, ma guardiamo anche al format più piccolo e più locale, soprattutto nei primi 3 anni di attività il rischio è alto… allora forse in quel caso essere franchisee dà maggiori certezze." Con quale facilità un nuovo franchisor riesce a trovare nuovi affiliati? "Essere un brand già noto in questo caso sicuramente aiuta. Ma una delle attività dell’associazione è proprio quella di supportare i nostri soci a reperire nuovi affiliati. La fase di recruiting è una delle più complesse, perché prima di tutto devo riuscire a trovare persone che abbiano le caratteristiche io come franchisor sto cercando. Una volta individuato, devo accertarmi che abbia la disponibilità economica per poter investire nel mio brand. In questo senso ci sono format per cui con un investimento di 20-30.000 euro si riesce ad affiliarsi e ci sono format in cui l’investimento supera gli 800-900mila euro. Ultimo, ma non meno importante, devo trovare l’affiliato in una zona di mio interesse."
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E in questo l’Associazione supporta i franchisor? "Certo, li aiutiamo attraverso un programma di recruiting distribuito sul territorio – L’Assofranchising Tour – dove invitiamo in sala una cinquantina di persone interessate ad aprire in franchising a cui presentiamo un pull di nostri associati che si presentano e spiegano le opportunità di affiliazione con il proprio brand. Al termine di questi incontri gli associati possono parlare direttamente con i potenziali franchisee e fornire informazioni dettagliate." A livello di dati quanti sono i franchisor e i franchisee in Italia e quanti ne nascono ogni anno? "Come illustrato dal Rapporto Assofranchising 2019, ad oggi in Italia ci sono 961 insegne di franchising che operano attraverso 53.886 punti vendita. Questo significa una crescita rispettivamente del 3,4% e del 4,5% sul 2017. Si tratta sia di aziende italiane che di aziende straniere che operano in Italia, che in certi casi hanno la sede legale all’estero. In certi casi la licenza per l’Italia viene data a un master franchisee che mantiene i rapporti con la casa madre e i franchisee singoli che operano nel paese." Le forme di associazionismo contrattuale presenti nei mercati italiano ed in Europa sono quattro:franchising, partenariato, commissione-affiliazione, concessione esclusiva di vendita. Vantaggi e svantaggi? "I vantaggi del franchising consistono principalmente nell’entrare in una rete gestita da un brand che esiste da anni, funziona e ha già rodato la propria esperienza sul campo assumendosene i rischi. Un altro vantaggio importantissimo è il know how di cui il franchisee può avvantaggiarsi. Quello che può essere invece considerato
gennaio\febbraio 2020 penalizzante da alcuni è la libertà di scelta su alcune questioni: essere franchisee e legarsi a un marchio significa sottostare alle direttive imposte dal brand. Questo vuol dire per esempio che se la casa madre indica che per arredare il negozio si dovranno utilizzare un certo stile o colore il franchisee dovrà per forza rispettare queste regole. Rispetto agli altri sistemi citati, il franchising è molto più severo e rigido nelle procedure e nell’organizzazione mi riferisco soprattutto al manuale operativo, quindi tutto quello che riguarda l’organizzazione e i processi. Negli altri sistemi di affiliazione questa parte è un po’ più flessibile e meno strutturata. La scelta varia in base alla necessità di supporto, formazione e assistenza rispetto all’esigenza di indipendenza. In questo senso la commissione-affiliazione è un sistema che mi lascia più libertà rispetto ad un franchising perché è più libera e destrutturata. Un’associazione di categoria come Confcommercio o un consulente del lavoro può aiutare a scegliere la formula più adatta." Quali sono i numeri attuali del franchising in Italia? "Il giro di affari del franchising nel 2018 si è chiuso con oltre 25 miliardi di euro, +2% sull’anno precedente. Negli ultimi 10 anni la crescita annua media è stata dell’1,6%. L’investimento minimo si aggira sui 15-20.000 euro, il massimo
arriva intorno al milione e mezzo, ma sono molto pochi e sono prettamente legati alla ristorazione perché hanno esigenze specifiche molto onerose in termini di dimensioni e attrezzature. Il 50% degli investimenti si concentra nella fascia tra i 20.000 e i 100.000 euro." Come prevede si evolverà il franchising nei prossimi anni? "Il trend a mio avviso continuerà ad essere positivo, se guardiamo agli ultimi 10 anni come dicevo la crescita ha coinvolto il giro di affari, l’occupazione, le insegne operative e i punti vendita. In più, ma questa è una mia considerazione personale, il commercio tradizionale inizia a mostrare segni di debolezza e questo secondo me è dovuto principalmente a tre fattori: 1. La concorrenza che il negozio fisico subisce dalle vendite online 2. un cambio generazionale che porta spesso alla rinuncia della gestione del punto vendita da parte del commerciante 3. il cambio delle abitudini di consumo, per cui alcune tipologie commerciali non funzionano più. La necessità di autonomia che è ancora molto diffusa nella mentalità del commerciante italiano può essere un deterrente all’affiliazione. Per come la vedo io preferirei la minimizzazione del rischio di impresa alla massimizzazione dell’indipendenza. In Italia solo il 7% delle attività commerciali ad oggi esistenti sono in franchising e i margini di crescita sono quindi molto alti se si pensa che paesi a noi vicini come Germania e Francia registrano
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un 14-16% e negli Stati Uniti si supera il 30%. È un fatto culturale e di fruizione dei modelli, in Italia ancora si preferisce il negozio di vicinato e si teme la spersonalizzazione delle città. Guardando l’altro lato della medaglia però, affidandomi a un brand in franchising, io consumatore potrò sempre essere certo della qualità di quello che sto mangiando o comprando." Esistono settori che ancora non sono coperti dal franchising? "Sì, come le dicevo il franchising di servizi sta crescendo molto, ma ci sono ancora terreni inesplorati. Altri format come quello della ristorazione o dell’abbigliamento sono invece presidiati da sempre. Quasi tutti i grandi brand che abbiamo in mente hanno al loro interno una quota di franchising e questo perché oltre una certa soglia di punti vendita diventa oneroso per un franchisor avere solo punti vendita di proprietà, perché li dovrò gestire e controllare in autonomia e questo richiederà uno sforzo economico importante, di una struttura sales che segua il canale e di altri costi."
129/2004 che prevede che il franchisor testi sul mercato il format per almeno un anno. Esiste la figura di uno “scout” che vada all’estero a cercare format in franchising che ancora in Italia non ci sono? "Ci sono alcuni professionisti che lo fanno. E lo fanno tramite le fiere o le associazioni di categoria. Quando avviamo il rapporto con un brand che ancora in Italia non è presente ci rivolgiamo a loro presentando uno studio di mercato di massima per esporre le potenzialità. Il fattore della curiosità è molto importante e lo vediamo sempre di più dalle tipologie di brand insoliti che si affacciano in Italia." A quale regime fiscale è soggetta un'attività in franchising? "Si tratta di un’attività di impresa a tutti gli effetti e che quindi
Quindi come vede il futuro? "Credo che i servizi cresceranno molto e che nasceranno anche format che ad oggi non esistono. Il franchising non è altro che un format e come format può essere applicato a qualsiasi settore." Attraverso di voi si può arrivare ad un franchisee che al momento non è presente in Italia? "Certo, noi facciamo da tramite con la casa madre, presentiamo il progetto e il potenziale franchisee e lo aiutiamo ad aprire il primo canale. Recentemente lo abbiamo fatto con un brand di birra molto famoso che ancora non è presente, loro stanno valutando le opportunità nel nostro paese e noi nel frattempo stiamo già contattando dei potenziali investitori che potrebbero essere interessati al brand. Spesso i brand stranieri si rivolgono a noi per via del nostro network, Assofranchising è membro dell’associazione europea del franchising e del World Franchising Forum che sarebbero le nostre associazioni analoghe in Europa e negli Stati Uniti." Qualsiasi brand può aprire in franchising? Come si fa se ancora non esiste il format? "Il format può essere creato dal franchisor o da dei consulenti esperti nel settore che conoscono il mercato italiano. L’attività di questa consulenza si divide sostanzialmente in 3 fasi: 1.L’idea: può funzionare? Il consulente si occupa dello scouting di mercato, dello studio di fattibilità dell’idea e aiuta a stilare un business case di massima che aiuti il potenziale franchisor a capire se l’idea è sostenibile o meno. 2.Costruzione della franchise: costituire il manuale operativo e i processi, costituire il contratto di franchising attraverso studi legali partner di Assofranchising, costruire il format o il brand se ancora non esiste. 3.Realizzazione del primo punto vendita pilota: pilotage per il primo anno affiancandoli così come vuole la legge sul franchising
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gennaio\febbraio 2020 è soggetta alle leggi del paese in cui si opera. Esistono poi varie agevolazioni ma non necessariamente per i franchisor o per i franchisee. Mi riferisco in generale a quelle che lo stato propone per tutti, come le agevolazioni fiscali per un’azienda in fase di start-up, o la concessione della NASPI nella sua totalità se si desidera aprire un’attività in proprio." Qual è il range di età? "Il franchising in Italia arriva intorno agli anni 70, esiste quindi da una cinquantina d’anni. Ed è anche per questo motivo che l’età media di un franchisee è generalmente
bassa, la quota più consistente è tra i 36 e i 45 anni." Qual è il vostro ruolo all’interno del Salone Franchising Milano? "La fiera ha come scopo principale quello di trovare nuovi affiliati. L’associazione, che quest’anno è main partner dell’evento, funge da bussola fornendo assistenza e orientamento sia alle aziende che ai visitatori che vogliano ricevere maggiori informazioni sul settore e sulle sue potenzialità." Avete percentuali di successo dell'avvio di un'attività in franchising?
"Alla fiera si prendono i primi contatti. Poi se il dialogo va avanti e l’accordo di affiliazione viene effettivamente concluso è un dato che non possiamo conoscere con certezza." È richiesto un business plan per un'attività in franchising? "Il franchisee solitamente si trova un business case già costruito dal franchisor." È possibile avere un credito da un istituto o da un fondo per aprire un’attività in franchising? "Assofranchising ha attivato accordi con fondi di investimento e con istituti bancari, non tanto per far avere tassi agevolati, ma piuttosto per sburocratizzare e rendere il più fluido possibile l’accesso al credito. Noi come associazione facciamo preapprovare da istituti o fondi convenzionati il business plan del franchisor, in questo modo il franchisee che si rivolge a quel determinato ente di credito o fondo, il soggetto che eroga i fondi sa già di che business si sta parlando e avrà quindi bisogno di fare una valutazione solo sull’individuo e non sulla validità del business. Esistono poi fondi piccoli che lavorano con logiche territoriali e che finanziano solo progetti che rimangono sul territorio. Ci sono delle formule che finanziano e agevolano la costituzione di un’attività in franchising, come per esempio il noleggio operativo, quindi aziende specializzate che noleggiano il materiale con contratti di leasing e che consentono al franchisee di avere dei conti più sostenibili." Come valuta il commercio online? "Per fare business in franchising si ha bisogno per forza di punti vendita fisici, ma il franchising si presta benissimo alle formule di omnicanalità. I franchisor che introducono l’e-commerce auspicano che il negozio online possa lavorare in sinergia con il punto vendita fisico, che diventa in certi casi pick-up point o rimane in ogni caso punto di riferimento più agile per l’assistenza, il cambio o il reso, creando in questo caso traffico in negozio."
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DOMINO’S PIZZA La prima catena di pizza in franchising negli Stati Uniti
A cura di Giorgio Nadali
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Domino's Pizza è di gran lunga la prima catena di pizza in franchising negli Stati Uniti. Sono quelli che per primi hanno inventato il concetto di pizza veloce con i tempi di consegna "trenta minuti o meno". Hanno negozi in 5.701 città in tutto il mondo e 2.900 di loro sono internazionali mentre le 2.800 filiali sono negli Stati Uniti. Ma proprio come qualsiasi altra storia di successo, ha dovuto affrontare momenti difficili prima di raggiungere il traguardo raggiunto oggi. La storia inizia con due fratelli di nome James e Tom Monaghan e una piccola pizzeria del Michigan di nome Dominick’s Pizza. La pizzeria era inizialmente gestita da entrambi fino a quando James ha deciso di vendere la sua quota per un'auto di seconda mano lasciando Tom
gennaio\febbraio 2020 a gestire l'attività. Tom in seguito acquistò altre due pizzerie, voleva che i negozi aggiuntivi avessero lo stesso marchio, ma il proprietario originale di Dominick’s gli proibì di farlo, ecco perché in seguito rinnovò la sua immagine e cambiò il nome in Domino's Pizza nel 1965. Le prime 3 pizzerie erano a Ypsilanti e due a Ann Arbor. Oggi sono 16.000 le pizzerie Domino’s Pizza in oltre 85 paesi al mondo. Il logo originariamente aveva tre punti che rappresentavano i tre negozi originali nel 1965 e Tom voleva aggiungere un nuovo punto ogni volta che aggiungeva un nuovo negozio, ma la sua idea svanì mentre la sua attività si espandeva rapidamente. Alla fine degli anni settanta, Domino's Pizza aveva un totale di 200 filiali di pizzerie in franchising in tutti gli Stati Uniti. Nel 1983, ha dimostrato di essere pronto a diventare globale con la loro prima filiale internazionale a Winnipeg e nello stesso anno ha aperto il 100° negozio a Vancouver, Washington. Anche se con sedi in diverse par ti del mondo, Domino's Pizza è rimasta
un'azienda tradizionale. E prima che la competizione costringesse ad aggiungere varietà nel loro menu, Domino's Pizza aveva solo un tipo di crosta per pizza con l'impasto modellato lanciando e tirando, e solo due formati di pasta. Negli anni '90, la pizzeria ha introdotto il suo primo prodotto non per pizza includendo grissini e ali di pollo. E nel 1996, ha lanciato il suo sito Web e dichiarato vendite globali di quasi tre miliardi di dollari. L'anno seguente, l'azienda ha rinnovato i propri negozi introducendo un nuovo look e un nuovo logo. Nel 1998, il fondatore e CEO di Domino Tom Monaghan ha annunciato il suo ritiro dopo 38 anni di proprietà. Ha venduto quasi il 93% di Domino's Pizza a Bain Capital Inc. per un miliardo di dollari, da quel momento in poi ha smesso di essere coinvolto nelle transazioni quotidiane e nelle operazioni dell'azienda. Nel gennaio 2006, Domino's Pizza ha aperto il suo 5000° negozio negli Stati Uniti e il suo 3000° negozio internazionale a Panama City. Nel dicembre del 2009,
Domino's Pizza ha annunciato i suoi piani per reinventare la pizza. Nel 2012, ha cambiato il nome in Domino's introducendo un nuovo logo senza il rettangolo blu e il testo sotto il nome. Ecco qualche curiosità! Nel 2015, Domino ha presentato la sua "macchina per pizza" che può contenere 80 pizze, bottiglie da 2 litri di bibite, contorni e salse da immersione. E l'anno successivo con le tecnologie Starship introdussero robot a guida autonoma per consegnare pizze in parti specifiche della Germania e delle città olandesi. Nello stesso anno, hanno consegnato la prima pizza al mondo con un veicolo aereo senza pilota, utilizzando un drone in Nuova Zelanda. Domino's Pizza ha venduto la stessa quantità di pizza durante l'inseguimento in auto di OJ Simpson, così come la domenica del Superbowl. Tom Monaghan, il fondatore di Domino's Pizza, ha abbandonato l'università. L'unica filiale vegana di Domino si trova in Israele. Il box della pizza è un brevetto Domino’s, così come il tracker. Nel 2010, Domino ha reinventato la ricetta
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della sua pizza. La macchina per le consegne si chiama DXP che sta per “Delivery eXPert”. In Italia Domino’s Pizza è presente dall’ottobre 2015 con 28 punti vendita a Milano, Sesto S. Giovanni, Bergamo, Torino, Bologna, Trieste, Modena e Piacenza. Mentre il servizio è gestito con il know-how Domino’s in maniera identica in tutto il mondo, la pizza è diversa in ogni country, che studia e realizza una ricetta in linea con i gusti dei propri consumatori. Parla Alessandro Lazzaroni, Ceo di Domino’s Pizza Italia In Italia, Paese natio della pizza, quanto spazio c'è per un franchising di pizza su stile americano? "È corretto, l’Italia è il paese della pizza e dove si mangia la miglior pizza… al ristorante! Ma di certo è possibile migliorare la qualità della pizza mangiata a domicilio dagli italiani ed è proprio lì che Domino’s esprime il suo meglio! La nostra missione è quella di garantire ai nostri clienti la miglior pizza a domicilio. È con questa missione che siamo entrati sul mercato italiano. Noi pensiamo alla perfezione del prodotto a casa del nostro cliente: deve arrivare puntuale, bollente, bello da vedere, buono, gustoso e sano. Per poter garantire questa promessa pensiamo ad ogni fase della vita del prodotto, partendo naturalmente dalla scelta degli ingredienti per poi passare a tutte le fasi di preparazione: velocità nello stendere e preparare la pizza, utilizzando il metodo artigianale con stesura a mano dell’impasto fresco, e limitiamo poi l’ampiezza dell’area di consegna per poter raggiungere velocemente il cliente senza correre. Inoltre abbiamo brevettato un metodo di cottura e di trasporto fatto di box e equipaggiamento esclusivo Domino’s, che è pensato per mantenere la temperatura della pizza. Infatti la nostra pizza perde massimo 5°C dal momento in cui esce dal forno a quando arriva a casa del consumatore. Offriamo al cliente i gusti più tradizionali ed anche le ricette internazionali più famose
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come la pizza extravaganza o la super saporita pizza cheeseburger. Tutto questo senza aver ancor parlato del digital: puntiamo molto sulla relazione digitale con il cliente, gli permettiamo di ordinare sul sito (www.dominositalia.it) o via app ed il nostro cliente potrà poi divertirsi seguendo in ogni istante la sua pizza… dalla stesura dell’impasto all’uscio di casa." Quale investimento comporta Domino's Pizza? "Aprire un punto vendita Domino’s costa circa 200.000 €, ma in realtà la liquidità necessaria è di soli 100.000 €, il resto può essere finanziato attraverso delle linee di credito privilegiate che mettiamo a disposizione dei nostri futuri franchisee. I nostri franchisee possono raggiungere livelli di redditività molto elevati e, senza dubbi, difficilmente raggiungibili sul mercato." Quali sono i numeri attuali di Domino's Pizza? "Sono i numeri di un’azienda in forte crescita: in soli 4 anni abbiamo aperto 28 punti vendita e contiamo a raddoppiare le aperture l’anno prossimo. Abbiamo raggiunto una quota di oltre 500 collaboratori con un’età media inferiore ai 27 anni. Le nostre pizzerie fatturano circa 4 volte una pizzeria tradizionale italiana. Insomma: tutti numeri che nonostante facciano riferimento al mercato italiano sono in assoluta controtendenza poiché cresciamo anno su anno puntando sul sapiente lavoro dei giovani." Perché preferire Domino's Pizza alle pizzerie di quartiere che consegnano a domicilio? "È la qualità del servizio e del prodotto. Una pizzeria di quartiere non potrà mai essere strutturata come noi per poter offrire la miglior esperienza di pizza a domicilio. Inoltre un marchio come il nostro è capace di garantire anche la sicurezza sull’approvvigionamento delle materie prime, che nel nostro caso sono di elevatissima qualità e italiane."
gennaio\febbraio 2020 Domino's Pizza ha chiuso in Islanda, Norvegia, Svezia e Svizzera un totale di 115 ristoranti. Rassicuri i potenziali franchisee italiani "Innanzitutto devo dire che non è prevista la chiusura di questi mercati. Ogni mercato viene gestito da master franchisee diversi ed il master franchisee che gestisce anche questi mercati ha deciso di cederli per potersi concentrare su alcune nazioni che ritiene essere maggiormente strategiche. Come già anticipato il nostro mercato è in forte crescita e il successo ci viene garantito dai nostri consumatori che, sempre più in larga misura abbandonano lo scetticismo legato alla pizza americana e ci confermano il loro gradimento. Sull’andamento della Società ci tengo a precisare che abbiamo appena festeggiato il 103° trimestre (quasi 9 anni) di crescita continua per i punti vendita a parità. Questa costante crescita dei punti vendita esistenti, accoppiata allo sviluppo continuo del brand, ci ha permesso di diventare la prima catena al mondo di pizzerie." 75.000 attività di produzione di pizza artigianale in Italia, di cui 28.000 pizzerie. 105.000 pizzaioli di cui 80.000 italiani. Quale strategia consiglia per battere la concorrenza? "Noi offriamo qualcosa che in Italia non esiste: prodotti esclusivi e un servizio inimitabile. Giochiamo quasi in un altro campionato. Quando si porta unicità e distintività è ovvio che si hanno delle carte in più per battere la concorrenza." Tre buoni motivi per investire nel franchising di Domino's Pizza? "È un grande marchio su cui fare affidamento, il settore del franchising è in costante crescita e, in particolare, il segmento del food retail cresce più che proporzionalmente, questo conferma la volontà dei consumatori di fidarsi e affidarsi a società strutturate per fare questo tipo di business. Il terzo motivo è che anche il food delivery è in fortissima crescita e il primo cibo ordinato per la consegna a domicilio è la pizza. Se un imprenditore legge questi dati, l’unico brand che può saltare alla mente è Domino’s Pizza!"
Quale frase di Tom Monaghan, fondatore di Domino's Pizza preferisce e perché? a) Riceverai sempre reazioni negative. Se ti preoccupi di ciò, non farai mai nulla b) Credo che tutti sulla terra abbiano un certo obiettivo / sogno nella vita. Credo anche che chiunque possa raggiungere questo obiettivo se lo decide. c) Indipendentemente da ciò che un individuo decide di diventare, il duro lavoro e la determinazione sono molto importanti nel mondo competitivo di oggi. d) Potresti anche incontrare difficoltà lungo la strada, ma non devi scoraggiarti e spingere per raggiungere i tuoi obiettivi. "La seconda senza dubbio. Lanciare una catena americana di pizza, nel paese della pizza è senz’altro un sogno oltre che un obiettivo. La forza di volontà che tutto il team mette per raggiungere questo scopo è incredibile. Potrei citare innumerevoli storie di persone che sono partite con noi facendo il driver, e prima erano disoccupati, e ora si stanno distinguendo all’interno dell’organizzazione come store manager o ancora di più come trainer o personale di sede. In soli 4 anni la loro voglia di raggiungere quel sogno li sta portando a fare carriera e a mettere in gioco loro stessi al 100%." Quali obiettivi vi prefiggete per il 2020? "Nel 2020 l’obiettivo principale è quello di ingrandirci grazie all’ingresso di nuovi franchisee. Vogliamo che la nostra famiglia si allarghi e possa raccontare sempre di più storie di successo e di ottima pizza servita puntuale e calda a casa dei nostri consumatori. Vogliamo entrare ancora in più case e allargarci sul territorio. Abbiamo obiettivi molto ambiziosi che riguardano il 2020 ma anche gli anni successivi." Qual è il ROI medio previsto per un locale? "È un ROI mediamente superiore al 20%."
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AREA FRANCHISING: I MIGLIORI FRANCHISOR OPERATIVI IN ITALIA
La rapida e significativa evoluzione e affermazione del franchising – quale valida soluzione per il miglioramento della distribuzione in Italia – adottato, non solo da aziende industriali, ma anche dalle imprese della grande e media distribuzione commerciale, ha fatto sì che, oggi, sia disponibile a tutti una migliore informazione sugli aspetti di questa formula di sviluppo territoriale dei punti vendita. A questa diffusione, hanno contribuito non solo la stampa specializzata e quella economica, ma anche l’Internet. Quindi, chi oggi intende cimentarsi in una nuova attività, vuole apprendere un nuovo mestiere o desidera crearsi un’attività autonoma, ha a disposizione una serie di informazioni che lo aiuteranno a trovare l’insegna che più si addice alle sue aspirazioni e alle sue possibilità economiche. Nonostante la congiuntura economica sfavorevole e una crisi che si protrae da diversi anni, sembra proprio che
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il lavoro autonomo, ancora una volta, rappresenti una considerevole opportunità di realizzazione e di gestione personale. A dispetto delle frequenti considerazioni negative sul nostro paese e, più nello specifico, sul mercato del lavoro e sulla disoccupazione giovanile, i dati rilevati da più enti internazionali di ricerca sottolineano che sono proprio i giovani italiani i più propensi e i più entusiasti a orientarsi verso il diventare imprenditori di se stessi. I dati diffusi recentemente da Assofranchising, nel Rapporto Assofranchising Italia 2019, mettono in evidenza che il settore franchising cresce ancora e si afferma come la migliore formula per il commercio e i servizi in Italia, registrando tutti valori positivi. Noi di Beesness, desideriamo proporre ai lettori le migliori franchise presenti nel mercato italiano e in ogni numero della rivista vi proporremo alcune pagine dedicate alle loro Schede Informative.
gennaio\febbraio 2020
Dall’amore e dalla passione per la qualità nasce Ottolina Café, il nuovo progetto di caffetteria di Caffè Ottolina. I nsiem e a l le nos tre tra d iziona li miscele p regiate , accuratamente preparate da esperti maestri del caffè, proponiamo tante cose buone per ogni momento della giornata: le innovative proposte del nostro menu sono state attentamente selezionate per offrire soltanto il meglio della tradizione italiana, utilizzando esclusivamente le migliori materie prime per un’offerta gustosa, salutare e conveniente. PROFILO FRANCHISOR OTTOLINA CAFÉ Ragione sociale: Caffè Ottolina S.p.A. Settore: caffetteria/ristorazione veloce e salutare Anno di partenza del franchising: 2014 Punti Vendita diretti in Italia: 2 Punti Vendita in franchising in Italia: 0 Punti Vendita in franchising all'estero: 6 Personale per PV (compreso titolare): da 3 a 8 Superficie media PV (valore in mq): 16 (Kiosk) - 150 (Express) - 250 (Premium) Ubicazione ottimale: centri commerciali, centro urbano, travel retail Bacino d’utenza (numero minimo abitanti): 10.000 PROFILO AFFILIATO Investimento iniziale totale (€): 60.000 (Kiosk) - 250.000 (Express) - 350.000 (Premium) Fee d'ingresso (€): 20.000 - 25.000 Royalties al fatturato al netto IVA: 5% Arredo e allestimento (valore €/mq - comprese opere murarie): 1.600 Sistemi informativi (valore in €): 10.000 Richiesta garanzia (valore in €): Fidejussione Contributi pubblicità: variabile Merce in conto vendita: NO Pagamenti merce (modalità e valore in €): RI.BA Esperienza pregressa: NO Formazione: 15 giorni Assistenza in loco in fase di apertura: SÌ Assistenza per la durata del contratto: SÌ Tipologia e durata del contratto: 10 anni CONTATTI OTTOLINA CAFÉ Indirizzo: Via Decemviri 20/24, Milano Sito Web: www.ottolina.it e-mail: franchising@ottolina.it
Pet’s Planet fa parte di un gruppo che produce alimenti per cani e gatti da oltre 40 anni e utilizzando ingredienti essenzialmente del territorio. La nostra forza è la rete di Consulenti Nutrizionali, persone di ogni età, con passione e amore per gli animali, che consigliano e vendono l’alimentazione “su misura” per ogni cane e ogni gatto. Superando il concetto di canale distributivo classico, riusciamo a offrire una Consulenza Nutrizionale e la consegna del prodotto praticamente ovunque fondando il proprio modus operandi sul contatto personalizzato con il proprietario dell’animale. Ultimamente abbiamo completato il progetto con la possibilità di aprire anche un negozio monomarca Pet’s Planet. Il progetto è l’unico veramente omnicanale del settore merceologico. Con un investimento contenuto, il futuro imprenditore potrà scegliere il modo in cui svolgere la propria attività: come Consulente Nutrizionale in azione, quindi libero da orari e senza dover pagare l’affitto di un negozio, oppure avere un luogo fisso dove effettuare le Consulenze e vendere i prodotti proposti. L’affiliato Pet’s Planet può crearsi un lavoro indipendente, redditizio e professionale, in un settore in crescita, con un investimento limitato e con un partner industriale di assoluta affidabilità. PROFILO FRANCHISOR PET’S PLANET Ragione sociale: Prodes s.r.l. Settore: animali da compagnia Anno di lancio del franchising: 1997 Affiliati: 63 in Italia Affiliati: 30 in Francia, Belgio, Svizzera Addetti: minimo 1 Superficie media punto vendita da 0 a 40 mq Ubicazione ottimale (se viene aperto il negozio): via di forte passaggio PROFILO AFFILIATO Investimento iniziale da: da 11.000 € Fee d'ingresso: sì Royalties: no Fatturato medio annuo: n.d. Esperienza nel settore: no Durata del contratto (in anni): 5 rinnovabile CONTATTI Sede legale: via del Molino n. 42 - 12052 - NEIVE (CN) www.petsplanet.it www.franchising-petsplanet.it e-mail: franchising@petsplanet.it numero verde 800 680 665 129
N a ta n eg l i Sta ti U n iti n e l 1930 , Ke ntu c k y Fr i e d C h i c ke n è o g g i l a p i ù fa m o s a c a te n a a l m o n d o d i r i s to ra n t i c h e s e r vo n o p o l l o e d è l e a d e r d e l mercato di riferimento: con 23.000 ristoranti in 140 Paesi e dà lavoro a 800.000 persone nel mondo. KFC è una società del gruppo Yum! Brands Inc. che comprende anche i marchi Pizza Hut e Taco Bell. Co n più d i 48 .0 0 0 ris to ra nti i n oltre 145 Pa e si , Yum! Brands è una delle più grandi aziende della ristorazione al mondo. In Italia KFC arriva nel 2014 e a oggi è presente con 39 ristoranti in 12 regioni. Il gusto irresistibile del pollo KFC ha il suo segreto nella ricetta inventata dal Colonnello Sanders: è l’ORIGINAL RECIPE® (OR), che il Colonnello creò per il COB, Chicken on the Bone (pollo con l’osso), ispirandosi alla cucina di sua madre e rielaborando la tradizione del pollo fritto del Kentucky.
MBE Worldwide S.p.A. (MBE), azienda privata con sede a Milano, offre soluzioni per spedizioni, logistica, stampa e marketing a piccole e medie imprese e clienti al dettaglio, attraverso una rete di Centri Servizi in franchising e di proprietà. I Centri MBE facilitano le attività di imprenditori, persone e aziende attraverso un network di distribuzione di facile accesso, che fornisce servizi e prodotti personalizzati con un livello distintivo e unico di attenzione al cliente. Attualmente, MBE opera sotto tre diversi marchi: Mail Boxes Etc., AlphaGraphics e PostNet e la sua rete globale conta 2.550+ sedi in 47 paesi, con un fatturato aggregato di €861 milioni nel 2018. Per maggiori informazioni sul Gruppo MBE Worldwide, visitare il sito www.mbeglobal.com. MBE Worldwide G rou p: w w w. m b eglobal.com - w w w. m b e .it w w w.mbe.es - w w w.mbe.de - w w w.mbefrance.fr www.mbe.pl - www.postnet.com - www.alphagraphics.com
PROFILO FRANCHISOR KFC Ragione sociale: KFC Italia Srl Settore: ristorazione veloce Anno di lancio in Italia: 2014 Punti vendita in franchising in Italia (al 28 novembre 2019): 39
PROFILO FRANCHISOR MBE Insegna: Mail Boxes Etc. Ragione Sociale: MBE Worldwide S.p.A. Attività: Servizi postali e di comunicazione Anno di lancio del franchising in Italia: 1993 Punti vendita diretti Italia: 1 Punti vendita franchising Italia: 545 (dati al 31/10/2019) Punti vendita franchising Estero: 1.103 (dati al 31/10/2019) Addetti per punto vendita: 2 Superficie media punto vendita: 80 - 100 mq Ubicazione ottimale: vie commerciali, centro storico, semicentrale Bacino d’utenza: 18.000
PROFILO AFFILIATO Superficie media punto vendita: 450 mq con almeno 150 posti a sedere Addetti per punto vendita: circa 35 Ubicazione ottimale: centri commerciali, ma anche nei centri cittadini e nel canale “Drive” con strutture stand alone con una corsia dedicata agli ordini che consentono di acquistare prodotti direttamente dalla propria auto. Investimento medio iniziale: circa 1 milione di euro a ristorante con un piano per aprire almeno 10 ristoranti in 4 anni. Royalties: sì Fatturato medio annuo: 1.6 milioni di euro CONTATTI KFC ITALIA KFC Italia Via F.M. Quintiliano 41, 20138 Milano (MI) Info.Italy@yum.com
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PROFILO AFFILIATO Investimento medio iniziale: € 58.000,00 Fee d'ingresso: € 25.000,00 (IVA esclusa), inclusa nell’investimento. Royalties: sì Fatturato medio annuo (stima): n.d. Esperienza richiesta: no Formazione richiesta: 30 giorni Durata contratto: 7 - 10 anni CONTATTI MBE Sede legale: viale Lunigiana, 35-37, 20125, Milano Referente franchising: Fabrizio Mantovani Telefono: 02/676251 r.a. E-mail Franchising: info@mbe.it Sito Internet: www.mbe.it – www.mbe-franchising.it