Bergamo Salute - 2019 - 48 – gennaio/febbraio

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numero

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Anno 9 Gennaio | Febbraio 2019

www.bgsalute.it Poste Italiane spa Sped. in Abb. Postale DL 353/2003 (Conv. in legge 27/02/2004 N.46) Art. 1 comma 1 LO/BG

3 0 MI L A

COPIE

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Gastroenterologia BRUCIORE DA REFLUSSO COSÌ LO TIENI SOTTO CONTROLLO

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Alimentazione sana I 5 CONSIGLI D’ORO

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Coppia QUANDO UNA RELAZIONE DIVENTA TOSSICA

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Fitboxe PRENDI A PUGNI LO STRESS E RITROVI LA FORMA

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Awa Fall Mirone

Le mie canzoni reggae contro le diseguaglianze

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numero

48

Anno 9 Gennaio | Febbraio 2019

www.bgsalute.it

) EDITORIALE 7 Buoni propositi 2019 ) ATTUALITÀ 8 Povertà sanitaria ) SPECIALITÀ A-Z 12 Dermatologia S.O.S. couperose 14 Gastroenterologia Bruciore da reflusso così lo tieni sotto controllo 16 Ginecologia Prurito intimo: se fosse colpa del lichen sclerosus? 18 Reumatologia Spondilite anchilosante: come riconoscerla e curarla ) PERSONAGGIO 20 Awa Fall Mirone Le mie canzoni reggae contro le diseguaglianze ) IN SALUTE 22 Stili di vita Feng Shui 24 Alimentazione I 5 consigli d’oro per un’alimentazione sana 28 Bergamotto, l’oro verde della Calabria ) IN ARMONIA 30 Psicologia Elogio della solitudine 32 Coppia Quando una relazione diventa tossica

) IN CASA 36 Architettura Atlante Second Life ) IN FAMIGLIA 38 Dolce attesa Donazione del cordone Una scelta solidale 41 Bambini Gli ossiuri o i “vermetti dei bambini”: conoscere per prevenire 44 Massaggio infantile Come e perché farlo 46 Ragazzi Dipendenza da smartphone? Aumenta il rischio di abbandono scolastico ) IN FORMA 48 Fitness Fitboxe. Prendi a pugni lo stress e ritrovi la forma 50 Bellezza Obiettivo mani senza età ) ATS INFORMA 52 Incidenti sulle piste da sci (e fuori): le regole per evitarli… e vivere la montagna in sicurezza ) RICETTA 60 Riso integrale colorato ) RUBRICHE 62 Altre terapie Yamuna® Body Rolling 64 Guida esami Topografia corneale 67 Animali Cani in ufficio

) DAL TERRITORIO 70 News 72 Onlus ANVOLT 74 Farmacie Cistite. Buone abitudini e integratori naturali per prevenirla 76 Il lato umano della medicina Di giorno uso il bisturi di sera suono il violino 79 Malattie rare Dermatomiosite 80 Testimonianza Sono stato all’inferno ma ora sono rinato ) STRUTTURE 82 ASST Papa Giovanni XXIII 84 Caredent ) PROFESSIONI SANITARIE 86 Il terapista occupazionale ) REALTÀ SALUTE 89 9 COOP Centro Infermieristico Polispecialistico 91 Clinica Dentale Pianeta Sorriso 93 Tecno System 94 Sind Neurottimo 97 20fit Allegato centrale: Amici di Bergamo Salute PARTECIPANTI ALLA FONDAZIONE ITALIANA PER L’EDUCAZIONE ALIMENTARE

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EDITORIALE

Buoni propositi 2019

Adriano Merigo

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ATTUALITÀ

Povertà sanitaria mezzo milione di italiani nel 2018 ha rinunciato a cure e farmaci

È solo uno dei dati allarmanti diffusi dal “Rapporto 2018 - Donare per curare: povertà sanitaria e donazione farmaci”, promosso dalla Fondazione Banco Farmaceutico onlus

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∞  A CURA DI ELENA BUONANNO

Oltre mezzo milione di italiani (539 mila) nel 2018 non si è potuto permettere le cure mediche e i farmaci di cui avrebbe avuto bisogno. Si tratta mediamente del 10,7% dei poveri assoluti italiani. In generale, anche quest’anno più di 13 milioni di persone hanno limitato le spese per visite e accertamenti. A rivelarlo è il “Rapporto 2018 - Donare per curare: povertà sanitaria e donazione farmaci”, realizzato dall’Osservatorio donazione farmaci (organo scientifico della Fondazione Banco Farmaceutico onlus). Ma cosa s’intende innanzitutto con povertà sanitaria? Come si legge nel Rapporto: “con “povertà sanitaria” s’intende identificare le conseguenze della scarsità di reddito sull’accesso a quella parte delle cure sanitarie che restano a carico degli indigenti a causa del mancato intervento del SSN, come accade per l’acquisto dei farmaci da banco e per la compartecipazione alla spesa sanitaria mediante il pagamento dei ticket”. «Sono davvero troppe le persone che non hanno un reddito sufficiente a permettersi il minimo indispensabile per sopravvivere» afferma Sergio Daniotti, Presidente della Fondazione Banco Farmaceutico onlus. «I dati pubblicati quest’anno nel Rapporto sulla povertà sanitaria dimostrano che il fenomeno si è sostanzialmente consolidato nel tempo e che, prevedibilmente, non è destinato a diminuire sensibilmente nei prossimi anni. Siamo anche convinti che il nostro Paese sia

caratterizzato da una cultura del dono che si esprime in maniera particolarmente visibile durante la Giornata di raccolta del farmaco, quando centinaia di migliaia di cittadini donano un medicinale a chi è più sfortunato. La strada per cambiare le cose è che quella cultura si diffonda sempre più anche tra le istituzioni e le aziende farmaceutiche e che queste ultime inizino a contemplare la donazione non più come un’eccezione, ma come parte del proprio modello di sviluppo imprenditoriale destinato al bene di tutta la comunità». Il Rapporto 2018 dedica un’ampia sezione alla riflessione sul presente e il futuro del nostro modello sanitario, ricordando anche la necessità di non retrocedere sul terreno del diritto alla salute per i più fragili e per i poveri. Grazie a una serie di autorevoli contributi, vengono inoltre segnalati i principali nodi da affrontare, tra cui la revisione dei farmaci rimborsati; i pregi e limiti della sanità integrativa; il problema dell’invecchiamento della popolazione etc.. Ecco alcuni dei punti più significativi.

Prosegue, nonostante la ripresa economica, la crescita della povertà. Quella assoluta riguarda ormai il 6,9% delle famiglie (+0,5%), portando il numero di individui in povertà oltre i 5 milioni. La povertà relativa, che indica in modo più ampio le diseguaglianze calcolate in termini di consumi, giunge al picco record del 12,3% di famiglie (+1,5% rispetto al precedente record del 2012, all’apice della crisi).

Poca prevenzione, soprattutto per la salute di denti e bocca Per le famiglie povere le spese sfiorano i 23 euro al mese, corrispondenti a 1/5 delle spese per servizi sanitari sostenute dalle famiglie italiane (112 euro). La spesa principale è destinata ai medicinali (12,30 euro, pari al 54% del totale) come avviene anche per il resto delle famiglie italiane, che però destinano a questa voce solo il 40% della spesa sanitaria a loro carico, investendo maggiormente nella prevenzione. Sintomatiche sono, a questo proposito, le spese particolarmente ridotte da parte dei poveri per i servizi odontoiatrici (2,35 contro 24,83 euro dei non poveri), con effetti molto penalizzanti su questa componente della salute; non a caso, la cattiva condizione del cavo orale è diventato un indicatore dello stato di povertà (economica e culturale). Assillate da spese più urgenti perché non rinviabili, le famiglie povere destinano alla salute solo il 2,54% della loro spesa totale, a fronte del corrispondente 4,49% delle famiglie non povere.

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ATTUALITÀ

In

Italia ogni persona spende in media 703 euro all’anno per curarsi (+8 euro rispetto all’anno precedente), ma per le persone indigenti questa spesa scende a 117 euro (con un aggravio di 11 euro in più rispetto all’anno precedente).

invariato a livello di media generale (4,45%), ma è leggermente in crescita tra i poveri (2,54% rispetto al 2,4%). Ciò significa che oltre a dover limitare la spesa sanitaria in termini relativi, hanno dovuto sostenere spese aggiuntive.

Gli

L’investimento medio in farma-

stranieri si confermano i più in difficoltà. Spendono meno per curarsi in generale (252 euro all’anno, 21 in meno del 2017). Nel complesso, ogni cittadino non italiano spende poco più di 273 euro, ben 67 euro in più rispetto all’anno precedente, mentre tra gli stranieri poveri la spesa resta bassa con un aumento di oltre il 10% (75,7 euro rispetto ai 68 dell’anno scorso).

Il budget investito in salute sul totale dei consumi familiari resta

ci supera il 41% del totale della spesa in salute: è in aumento dell’1% punto rispetto all’anno scorso. Ma per i poveri la percentuale sale al 61,1%.

Anche quest’anno oltre 13 milioni di persone hanno limitato le spese per visite e accertamenti. In particolare, nel triennio 2014-16 la percentuale di italiani, tra le famiglie non povere, che ha limitato il numero di visite e accertamenti è

passato dal 24% al 20%. La quota, invece, è aumentata tra le famiglie povere, passando dal 43,4% al 44,6%.

Una parte di questa difficoltà di cura è legata alla spesa farmaceutica: torna infatti a crescere, sfiorando il record storico, la quota di spesa per assistenza farmaceutica a carico delle famiglie (40,6% rispetto al 37,3% dell’anno precedente). Il tutto, naturalmente, al netto di spinte di tipo consumistico che contribuiscono in modo non secondario alla crescita della spesa out of pocket (cioè privata) in sanità.

Le donazioni di farmaci, minori ma di maggior valore L’andamento delle donazioni di farmaci nel 2018 ha subito un nuovo rallentamento: mentre il contributo della Giornata di Raccolta del Farmaco, dopo il calo del periodo 2014-2016, ha toccato il massimo storico (quasi 377 mila confezioni raccolte e donate) e il Recupero Farmaci Validi ha continuato a crescere (con un trend che a fine anno potrebbe essere del +11,2%), è proseguito invece il calo delle donazioni aziendali (oltre 100 mila in meno rispetto al 1° semestre 2017), di cui circa il 25% sono andate a beneficio di enti impegnati in Paesi segnati da guerre e carestie. Razionalizzazione della produzione e mancata corrispondenza tra offerta aziendale e domanda degli enti spiegano le difficoltà. Aumenta però il valore del donato: 3,5 milioni di euro il controvalore dei farmaci donati nei primi sei mesi dell’anno: 500 mila euro in più rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso (quando erano 100 mila in più dell’anno precedente). In media, ogni confezione vale circa 14 euro, superando di 5 - 6 euro il valore medio dei farmaci da banco (compreso tra gli 8 e i 9 euro). Per quanto riguarda la Giornata di Raccolta del Farmaco, la Lombardia si conferma al vertice della raccolta (110 mila confezioni), seguita dal Piemonte (47 mila), mentre le tipologie di farmaci più richiesti e donati sono stati quelli per il sistema nervoso (32%), l’apparato muscolo-scheletrico (16%), il tratto alimentare e metabolico (13,4%), l’apparato respiratorio (8,7%), le patologie dermatologiche (6,3%). I farmaci raccolti hanno permesso di sostenere 1.768 enti caritativi (per i quali hanno rappresentato il 37,9% del fabbisogno totale), aiutando 539 mila persone.

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SPECIALITÀ A-Z

DERMATOLOGIA

S.O.S. couperose

L’inverno è uno dei momenti peggiori per questo disturbo della pelle che, se trascurato, può portare alla rosacea

∞  A CURA DI GRAZIA MANFREDI

Inestetismo della pelle frequente soprattutto nelle donne e nelle persone con cute chiara e sottile, la couperose si manifesta inizialmente con fenomeni transitori come il flushing (arrossamento improvviso) associati a una forte sensazione di calore e bruciore. In seguito, però, i sintomi (arrossamento più o meno intenso loca-

Il termine couperose deriva dal latino “cupri rosa”, ovvero rosa di rame”

lizzato soprattutto a guance, zigomi, naso e mento) tendono a cronicizzarsi fino ad arrivare all’acne rosacea, vera e propria patologia caratterizzata da papule, pustole e teleangectasie (capillari evidenti) diffuse. Per questo è importante non sottovalutare il problema, anche per l’impatto che può avere a livello psicologico.

ATTENZIONE A FREDDO E VENTO Dovuta a fragilità capillare e a un’anomala microvasodilatazione dei piccoli vasi sanguigni, la couperose peggiora in inverno: inte-

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ressando prevalentemente il volto, che è particolarmente esposto agli agenti atmosferici, la presenza di freddo e vento alternata al sole favorisce l’infiammazione cutanea accentuando i fenomeni di microvasodilatazione.

PREDISPOSIZIONE GENETICA, DISFUNZIONI ORMONALI, MA ANCHE STRESS TRA I FATTORI DI RISCHIO Le cause della couperose sono molteplici: predisposizione genetica, disfunzioni ormonali, uso frequente e prolungato di cortisonici, esposizione ai raggi UV,


L’ACNE ROSACEA La couperose è considerata la prima fase dell’acne rosacea, malattia infiammatoria cronica della pelle che di solito insorge tra i 30 e i 50 anni. Si manifesta con diversi sintomi solitamente nelle aree del viso, guance, naso, occhi, mento e fronte e ha un fortissimo impatto sulla qualità della vita del paziente. Le cause alla base dell’infiammazione non sono ancora del tutto chiare. Tra i diversi fattori ipotizzati, in particolare, però ci sarebbe l’esposizione ai raggi solari e il Demodex follicolorum, un parassita che vive normalmente all’interno delle ghiandole sebacee e dei follicoli dei peli dei mammiferi (anche dell’uomo), la cui concentrazione è superiore alla norma sulla pelle delle persone con rosacea.

sbalzi termici, umidità e vento. Tutti questi fattori, infatti, accentuano l’infiammazione della cute con conseguente aumento della vasodilatazione. Tra le persone più colpite ci sono ad esempio contadini, cuochi etc. proprio per le continue variazioni termiche a cui sono sottoposti. Esistono, inoltre, fattori scatenanti quali l’uso di sostanze alcoliche, cibi ricchi di spezie, stress emotivi che portano a un aumento di istamina, sostanza che ha un’azione vasodilatatrice. Alcuni studi hanno evidenziato che anche bassi valori di Vitamina C e Vitamina PP possono favorirne l’insorgenza. Per prevenire e limitare il disturbo, le persone predisposte dovrebbero evitare tutti i fattori scatenanti: alcol, freddo, variazioni termiche repentine, bagni caldi, saune ed esposizioni solari prolungate.

Nella forma più avanzata (acne rosacea) si prediligono farmaci, in forma di gel o pomata da mettere sulla pelle, con azione antimicrobica e antinfiammatoria quali il Metronidazolo, l’Acido Azelaico, l’Ivermectina. Tra i farmaci sistemici per bocca, invece, tra i più utilizzati ci sono la Doxiciclina e la Minociclina. Di solito sono necessarie sei/dodici settimane di terapia ma già dopo tre/quattro settimane di terapia si può avere un risultato apprezzabile. Infine, per eliminare l’eritrosi (arrossamento) e le teleangectasie un aiuto importante viene dalle nuove tecnologie e in particolare dalla luce pulsata e dalla laser-terapia.

LA TERAPIA: DALLE CREME LENITIVE ALLE NUOVE TECNOLOGIE LASER Il trattamento in fase iniziale è costituito dall’uso quotidiano di creme lenitive con alto fattore di protezione solare (spf 30-50). Quando la sintomatologia diventa persistente si ricorre all’uso di farmaci topici quali la Brimonidina che riduce il rossore avendo un’azione antinfiammatoria e vasocostrittrice.

DOTT.SSA GRAZIA MANFREDI Specialista in Dermatologia Bergamo

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SPECIALITÀ A-Z

GASTROENTEROLOGIA

Bruciore da reflusso così lo tieni sotto controllo ∞  A CURA DI FAUSTO SVANONI

Bruciore di stomaco dietro lo sterno. È questo il sintomo principale con cui si manifesta il reflusso gastroesofageo (o malattia da reflusso gastroesofageo - Mrge), disturbo che secondo le stime riguarda il 15% degli italiani con spesso un peggioramento della qualità della vita. Con i farmaci giusti e abitudini corrette, però, può essere tenuto sotto controllo.

“FUOCO E FIAMME” NELLO STOMACO E RIGURGITO, I CAMPANELLI D’ALLARME Il reflusso gastroesofageo si verifica quando il materiale gastrico acido

prodotto durante la digestione refluisce nell’esofago e provoca un sintomo volgarmente chiamato bruciore (scientificamente definito pirosi, dal greco pyr, fuoco) avvertito dietro lo sterno, che s’irradia fra le scapole o al collo fino alle orecchie. Spesso è associato anche a rigurgito acido. Oltre a questi due sintomi tipici, a volte se ne manifestano anche altri, cosiddetti “atipici”, tra cui difficoltà a deglutire (disfagia), tosse secca, mal di gola, asma, fino al dolore toracico (spesso scambiato dal paziente per un dolore cardiaco). Il reflusso è un disturbo che probabilmente chiunque nel corso della vita ha provato

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DOTT. FAUSTO SVANONI Specialista in Gastroenterologia e Medicina interna Habilita Poliambulatorio San Marco Bergamo


almeno una volta. Quando però il bruciore di stomaco si presenta almeno due volte alla settimana o se interferisce con la vita quotidiana allora si parla di malattia da reflusso gastroesofageo.

UNA RISALITA ANOMALA DI ACIDO DALLO STOMACO Il reflusso di materiale acido si verifica perché l’anello muscolare che separa l’esofago dallo stomaco (sfintere esofageo inferiore), con una funzione di “barriera”, può essere debole. Questo succede per diversi motivi, ad esempio nei casi di malattie muscolari croniche che indeboliscono tutta la struttura muscolare dell’organismo, o di malattie sistemiche (sclerosi multipla), oppure ancora di malattie cerebrovascolari. Può essere poi indebolito da altri fattori di rischio come l’abuso di determinate sostanze come l’alcol, il fumo, i farmaci miorilassanti e alcuni farmaci ipotensivi, l’obesità o comunque l’aumento del volume addominale, la gravidanza. Infine, anche la presenza di ernia iatale può essere tra le cause.

LA PREVENZIONE MIGLIORE? CAMBIARE STILE DI VITA

In casi selezionati, in cui la terapia medica non bastasse, può essere indicata la chirurgia: l’intervento (fundoplicatio) consiste nel rinforzo dello sfintere esofageo inferiore” La prevenzione passa innanzitutto dallo stile di vita e da alcune buone abitudini. Tra queste, una delle prime è evitare pasti abbondanti, specialmente la sera. Inoltre è sconsigliabile l’abitudine di passare dalla tavola direttamente al divano: sarebbe più indicato fare due passi prima di sedersi nuovamente. Per quanto riguarda invece l’alimentazione, sarebbe meglio non mangiare, soprattutto la sera, alcuni cibi, come la liquirizia, la menta e il cioccolato. Utile è anche mantenere il peso il più vicino a quello ideale, evitando sovrappeso e obesità, e ridurre drasticamente (o meglio ancora eliminare) il fumo. Infine, è consigliabile dormire con la testa

leggermente sollevata, meglio però non con un secondo cuscino (dannoso per la colonna cervicale), ma utilizzando le moderne reti del letto che permettono questi leggeri sollevamenti. È importante adottare comportamenti corretti perché a lungo andare il reflusso gastroesofageo può portare all’esofagite cronica da reflusso, ovvero un’infiammazione della mucosa esofagea L’alterazione cronica della mucosa protratta nel tempo, a sua volta, provoca dei mutamenti cellulari che possono evolvere fino al tumore dell’esofago.

LA TERAPIA: ANTIACIDI E GASTROPROTETTORI Premesso che la terapia farmacologica deve essere sempre associata alle modifiche di stile di vita a cui abbiamo accennato sopra, se il bruciore da reflusso è occasionale, si possono assumere antiacidi al bisogno; se invece i sintomi sono più frequenti, su indicazione dello specialista, può essere indicata una terapia specifica a base di farmaci gastroprotettori che possono agire tamponando l’acidità gastrica o riducendo la produzione di acido da parte dello stomaco

Test ed esami? Solo in un secondo tempo Per la diagnosi di malattia da reflusso gastroesofageo in genere bastano i sintomi tipici. In alcuni casi, ad esempio se non si ottengono risultati con i gastroprotettori, può però essere necessario ricorrere ad alcuni test diagnostici: Rx del tubo digerente, gastroscopia, manometria esofagea (indagine che permette di studiare la motilità dell’esofago introducendovi un sondino flessibile e sottile, riempito di acqua, in grado di misurare le variazioni di pressione che si verificano, pH-impedenziometria delle 24ore (esame che consiste nella registrazione dell’attività dello stomaco attraverso piccole sonde di 2-3 millimetri introdotte nell’esofago dalla narice).

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SPECIALITÀ A-Z

GINECOLOGIA

Prurito intimo: se fosse colpa del lichen sclerosus?

∞  A CURA DI ROLANDO BREMBILLA

Perché parlare di lichen sclerosus (LS), disturbo che riguarda la pelle, in ginecologia? Perché è un’alterazione che colpisce nel 95% dei casi l’area anogenitale e interessa una donna su 60 che si rivolgono al gine-

cologo. Sintomo principale: è un prurito intimo fastidioso. Anche se, essendo un disturbo cosiddetto multifattoriale, ancora una sua risoluzione completa non è all’orizzonte, possiamo però migliorare in modo significativo l’approccio al problema, grazie all’associazione di diverse terapie.

UN’INFIAMMAZIONE BENIGNA MA MOLTO FASTIDIOSA

DOTT. ROLANDO BREMBILLA Primario Emerito Ostetricia e Ginecologia Policlinico San Pietro e ginecologo Smart Clinic Le due Torri e Oriocenter Presezzo

ll lichen sclerosus è una malattia cutanea, ad andamento cronico e progressivo, caratterizzata da un importante stato infiammatorio della pelle (mucosa) che ricopre la parete esterna della vagina (detta vulva) e la zona perianale. Le alterazioni istologiche vanno da un assottigliamento e/o ispessimento della tappezzeria (epitelio) della vulva ad alterazioni dello strato appena sottostante (derma). L’importanza di questa patologia sta soprattutto nei

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sintomi che produce: il principale e più fastidioso dei quali, come già accennato, è il prurito, che è quasi sempre presente condizionando lesioni ulteriori secondarie al grattamento. Man mano che la lesione progredisce si può giungere ad alterazioni anatomiche dell’area come la netta atrofia (cioè alterazione degenerativa di organi o tessuti da cause varie con diminuzione di volume e di peso) delle piccole labbra, l’incappucciamento del clitoride, il ristringimento dell’introito vaginale con fissurazioni (taglietti) e ragadi che portano a gravi difficoltà e dolore nei rapporti sessuali oltre che a problemi di defecazione (interessamento anale), stipsi e difficoltà nello svuotamento della vescica. È evidente quindi che, pur parlando di una lesione benigna, i problemi che può causare sono molteplici e molto fastidiosi, investendo sfere molto delicate della


(il lichen sclerosus nelle donne può avere una componente autoimmune, in cui il sistema immunitario attacca e ferisce erroneamente la pelle; le persone con lichen hanno un rischio maggiore di sviluppare altri disordini autoimmuni, come alcuni tipi di malattie della tiroide, anemia, diabete, alopecia areata e vitiligine); > modificazioni ormonali (le donne colpite sono soprattutto quelle in menopausa e a seguire bambine prima della pubertà); > infezioni.

SAPONE NEUTRO, BIANCHERIA INTIMA DI COTONE E CREME AL CORTISONE PER PREVENIRE E ALLEVIARE I SINTOMI vita. Inoltre, come tutte le lesioni (cioè modificazioni di un tessuto o di un organo del nostro corpo), vanno comunque monitorate e controllate adeguatamente perché ci può essere la probabilità (anche se rara) che si sovrappongano lesioni maligne tumorali.

L’ORIGINE? MULTIFATTORIALE Il lichen sclerosus è una malattia multifattoriale, ovvero che non riconosce un’unica causa ma può derivare da un insieme di fattori diversi, spesso concomitanti. In particolare, finora gli studi hanno individuato come cause: > fattori genetici (le persone che sono geneticamente predisposte possono sviluppare sintomi dopo aver subito traumi, lesioni o abusi sessuali); > alterazioni proprie della pelle di quella sede specifica; > disturbi del sistema immunitario

Innanzitutto sono utili alcune regole che riguardano l’igiene intima quotidiana e gli indumenti da indossare. Per quanto riguarda il primo punto, è bene usare saponi neutri, poco aggressivi, senza coloranti nè profumi. In riferimento invece all’abbigliamento sarebbe meglio privilegiare, nei limiti del possibile, le gonne ai pantaloni in modo da evitare ulteriore sfregamento; abolire i collant e usare invece reggicalze; utilizzare biancheria intima rigorosamente di cotone. Passando alla terapia vera e propria, gli obiettivi, trattandosi di una malattia ad andamento cronico e progressivo, sono alleviare i sintomi fastidiosi ed evitare il peggioramento della condizione. In questo senso, la terapia da sempre usata è l’applicazione di creme o unguenti al cortisone che riducono il fastidio del prurito e dell’infiammazione. La cura consiste, in media, in due applicazioni

al giorno per 6-12 settimane a cicli, perché insorgono facilmente recidive. Sono state sperimentati anche altri approcci terapeutici con farmaci di vario tipo, ma con incerti risultati. In questi ultimi tempi si sta utilizzando anche una terapia fisica mediante laser a CO2 (vedi box) che sembra promettente sia sui sintomi sia sul miglioramento delle alterazioni anatomiche indotte dalla malattia.

La luce che cura Il lichen sclerosus, se progredisce, può portare all’atrofia vulvo-vaginale, problema che influisce sulla qualità della vita e sulla funzione sessuale che riguarda il 50% delle donne in menopausa. Le manifestazioni comuni di questo problema comprendono una ridotta lubrificazione e sintomi quali prurito, bruciore, secchezza, irritazione, disuria e dispareunia (dolore nei rapporti). La vagina riceve meno nutrimento ed è sempre più predisposta a traumi, lacerazioni, emorragie e dolore, in quanto la mucosa si assottiglia e diventa più fragile. In questi casi il laser CO2 può rappresentare un aiuto. Come? Riattivando la produzione di nuovo collagene e altre molecole necessarie per preservare la struttura della matrice cellulare e ristabilendo così le condizioni della mucosa vaginale.

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SPECIALITÀ A-Z

REUMATOLOGIA

Spondilite anchilosante

come riconoscerla e curarla ∞  A CURA DI ROBERTA CACIALLI

Un mal di schiena che insorge soprattutto la notte e una rigidità che persiste anche nelle prime ore dopo il risveglio. La compresenza di questi due sintomi può essere il campanello d’allarme di una spondilite anchilosante, malattia infiammatoria autoimmune della colonna vertebrale caratterizzata da dolore, alterazioni della postura e limitazioni della mobilità, che in Italia colpisce circa 600 mila persone, soprattutto uomini giovani, con un impatto importante sulla quotidianità. Oggi, grazie anche a nuovi farmaci, chi ne soffre può avere una vita normale. A condizione, però, che sia diagnosticata precocemente.

Oggi per capire di soffrirne passano in media da 7 a 10 anni: il fattore tempo è fondamentale per garantire una buona qualità di vita a chi ne soffre” l’alto con interessamento progressivo delle regioni lombare, dorsale e cervicale: i sintomi, inizialmente transitori, comprendono dolore, difficoltà ai movimenti della colon-

UN DOLORE LOMBARE CHE NON LASCIA DORMIRE La spondilite anchilosante esordisce in modo insidioso con una lombalgia irradiata alla parte posteriore delle cosce che, a differenza delle sindromi sciatiche comuni, interessa alternativamente i due arti inferiori e non si estende oltre il cavo del ginocchio. Il dolore, causato dall’infiammazione di una o entrambe le articolazioni sacroiliache del bacino, è intenso durante la notte e a riposo, si attenua con l’esercizio fisico e si associa a rigidità mattutina. L’infiammazione della colonna vertebrale si estende verso 18 | Bergamo Salute | Gennaio/Febbraio 2019

Dan Reynols, 31 anni, cantante del gruppo rock americano Imagine Dragons ha più volte raccontato la sua lotta contro la spondilite anchilosante. L’artista ne soffre fin da quando era adolescente. La diagnosi è arrivata a poco più di vent’anni. Dopo aver sopportato dolori atroci, è riuscito a conquistare una vita normale grazie alla terapia.

na e alterazioni della postura. Se la malattia progredisce, le vertebre si “saldano” tra loro fino a trasformare la colonna in un’unica struttura poco flessibile, detta “a canna di bambù”. Quando l’intera colonna è rigida, la persona assume una postura obbligata incurvata in avanti, caratteristica della spondilite anchilosante, detta per questo “malattia dell’uomo che non guarda più il cielo”. Se è colpito il tratto dorsale della colonna, con infiammazione delle articolazioni del torace, compaiono anche disturbi della respirazione. Le artriti periferiche interessano in genere le grosse articolazioni di anca, spalla, ginocchio, caviglia; in-


LE ALTRE SPONDILOARTRITI La spondilite anchilosante appartiene al gruppo delle spondiloartriti sieronegative, malattie croniche articolari che possiedono aspetti clinici comuni, e possono associarsi a psoriasi, a malattie infiammatorie intestinali e oculari, ad aftosi.

sieme all’infiammazione di tendini e legamenti possono precedere anche di anni la malattia vertebrale, oppure restare manifestazioni isolate di una forma incompleta. La malattia ha un andamento caratterizzato da fasi d’infiammazione acuta e di remissione dei sintomi con miglioramento temporaneo; la progressione è più rapida nei fumatori e in chi fa vita sedentaria. Durante le fasi acute il dolore e la rigidità si accompagnano spesso a malessere generale, affaticamento e perdita di peso. Tra le manifesta-

zioni non articolari sono frequenti le infiammazioni degli occhi e, in minor misura, il coinvolgimento del cuore, con comparsa d’insufficienza aortica e disturbi del ritmo.

LA CAUSA? ANCORA SCONOSCIUTA La causa precisa della spondilite anchilosante non è ancora conosciuta, ma si pensa che la malattia sia la conseguenza di una risposta immunitaria alterata a stimoli ambientali di natura infettiva, in persone suscettibili geneticamente. È nota da tempo una predisposizione correlata alla presenza di alcuni geni, il più importante dei quali è il cosiddetto “antigene HLA B27”, coinvolto nel funzionamento del sistema immunitario.

GLI UOMINI GIOVANI, I PIÙ A RISCHIO La spondilite anchilosante si manifesta tra i 20 e i 40 anni e predilige il sesso maschile, con frequenza tripla rispetto al femminile. Probabilmente la malattia colpisce entrambi i sessi in uguale misura, ma si manifesta in modo più lieve nel sesso femminile, nel quale spesso viene erroneamente diagnosticata come una comune lombalgia non infiammatoria.

PER LA DIAGNOSI BASTANO UNA VISITA E GLI ESAMI RADIOLOGICI

DOTT.SSA ROBERTA CACIALLI Specialista in Reumatologia Centro Medico Bergamo Sanità - Nembro Studio Medico Polispecialistico Fleming - Bergamo e Istituto Mario Negri

La diagnosi è clinica e radiologica: la sacroileite (infiammazione dell’articolazione sacro-iliaca) può essere svelata fin dai primi sintomi con tecniche di risonanza magnetica o Tac, negli stadi più avanzati con normali indagini Rx. Le alterazioni degli esami di laboratorio non sono frequenti: è possibile riscontrare un aumento degli indici d’infiam-

mazione, ma non esistono test di laboratorio specifici “diagnostici” per la spondilite anchilosante. I test per il fattore reumatoide sono negativi, e da ciò deriva il termine di “spondiloartrite sieronegativa”. Circa il 90% dei malati presenta nel patrimonio genetico l’antigene HLA B27, che viene ricercato al solo scopo di confermare la diagnosi: la sua positività non è sinonimo di malattia, così come la sua assenza non la esclude del tutto.

ESERCIZIO FISICO E FISIOTERAPIA, ANTINFIAMMATORI E FARMACI IMMUNOSOPPRESSORI: COSÌ SI RALLENTA LA PROGRESSIONE DELLA MALATTIA E SI SALVA LA QUALITÀ DI VITA La terapia ha l’obiettivo di mantenere la mobilità della colonna e controllare il dolore infiammatorio. Le misure terapeutiche più importanti in questo senso sono la pratica regolare di esercizio fisico, soprattutto il nuoto, e di una fisioterapia mirata. Il dolore è ben controllato dai farmaci anti-infiammatori non steroidei (Fans), assunti durante le riacutizzazioni. Nei casi che non rispondono alla terapia con Fans e hanno tendenza a evolvere si ricorre ai farmaci immunosoppressori tradizionali o ai biotecnologici: entrambe le categorie rallentano, e in alcuni casi arrestano la progressione della malattia. Nella gestione terapeutica è fondamentale la riduzione dei fattori di rischio, tra cui, in primo luogo, il fumo; infatti, oltre a nuocere alla salute di cuore e respirazione, già compromessi nella spondilite anchilosante, può contribuire all’esordio precoce e alla rapida evoluzione della malattia.

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PERSONAGGIO

AWA FALL MIRONE

Le mie canzoni reggae contro le diseguaglianze Ph: Astra Marina Cabras

Da Dalmine all’Europa, il momento d’oro della nuova stella del genere musicale reso famoso da Bob Marley ∞  A CURA DI LUCIO BUONANNO

Per molti critici è la nuova regina italiana del reggae, il genere musicale giamaicano reso famoso dal grande Bob Marley. Il suo nome è Awa Fall Mirone. Ha 22 anni, è alta un metro e 87, abita a Dalmine, ed è figlia di un’italiana e di un senegalese. Dal padre ha ereditato le radici afro, che hanno scatenato la sua voce stupenda e la passione per il reggae. A sentirla cantare si provano emozioni incre-

dibili. Adesso si prepara a conquistare la scena internazionale con il suo album “W.O.W. Words of wisdom” (Perle di saggezza) prodotto da Walter Buonanno, in arte Bonnot, anche lui di origini bergamasche anche se vive e ha studio di registrazione e casa di produzione a Viareggio. E sono davvero perle di saggezza i dieci brani scritti da Awa mentre Bonnot (vedi box), che è il suo produttore dal 2015, si è

occupato della musica e del suono. «Le mie canzoni arrivano dal cuore» ci spiega Awa che tradotto significa Madre delle madri. «Mi danno una spinta speciale. E le dedico ai giovani. Le giovani generazioni infatti non hanno più riferimenti, esempi da seguire. Le mie canzoni sono contro le diseguaglianze che non mi fanno dormire la notte e per i ragazzi di oggi che hanno bisogno di ascoltare parole

Aveva ancora i pantaloni corti Walter Buonanno, in arte Bonnot, quando trasformò il garage di casa a Bergamo dove è nato, in una sala di registrazione di musica. Ora lavora tra Viareggio, Roma e New York. Compositore, produttore, polistrumentista ha più di mille concerti all’attivo suonando in tutta Europa, Stati Uniti, Emirati Arabi e Sud Africa. La sua musica va dall’Hip Hop al jazz. Fa parte della storica band romana “Assalti frontali”, ma lavora anche con i big come il leggendario rapper M1 al secolo Mutulu Olugbala, del duo Hip Hop Dead Prez, Paolo Fresu, General Levy, Inoki Ness e tanti altri. Nel 2014 viene invitato al prestigioso Blue Note Jazz Festival di New York. Nel 2006 viene premiato come Migliore compositore italiano indipendente e sei anni dopo con il “Best Event Awards”. Ora il nuovo album con Awa, “Perle di saggezza”, registrato nei suoi studi a Viareggio.

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Ph: Astra Marina Cabras

LA MUSICA DI BONNOT


I miei segreti per una voce al top che arrivano dal cuore e abbiano un po’ di saggezza. Se il mondo va a rotoli penso che noi artisti dobbiamo comunicare l’amore senza confini, universale, la magia della vita. Nel brano “Believe” (Credere) canto che bisogna credere in se stessi, dare voce a chi non ce l’ha, non avere paura di essere diversi». Awa non ha paura di essere un po’ diversa, di avere una pelle un po’ più scura e di sentire molto le radici africane. Qualche anno fa, appena compiuti i 18 anni, con i soldi guadagnati con i primi dischi, è voluta andare in Senegal a conoscere i suoi parenti, la nonna paterna. «È stata una grande emozione» ci dice.«Un’esperienza indimenticabile. Sono stata intervistata dalla televisione locale perché in un brano di allora (“Roots and Culture”) cantavo una strofa in wolof, un dialetto del Senegal, scritta con un caro amico senegalese». Un ritorno alle origini per lei, nata e cresciuta a Dalmine con un padre assente ma con nonna, mamma, fratello di un anno più giovane, una zia chitarrista e tanta black music. Proprio con zia Valentina ha esordito al microfono. «In verità ho sempre cantato e suonato il pianoforte. E cantavo in continuazione, anche a scuola. I miei compagni mi dicevano di stare zitta e io continuavo a cantare. Mi dicevano che avevo una bella voce. E un giorno mentre eravamo tutta la famiglia in vacanza in un hotel a Favigliana mi sono esibita. Avevo 14 anni e ancora adesso ricordo quanto fossi emozionata. Con mia zia Valentina Benaglia che era già famosa, ho provato sulla spiaggia per due ore e mezza e alla sera ho debuttato tra gli applausi». Da allora non si è più fermata. Prima altre esibizioni, poi concerti con vari gruppi musicali. Anzi zia e

Ogni cantante ha i suoi segreti dal riscaldamento della voce prima dell’esibizione al raffreddamento una volta finito l’impegno. Sono anche importanti il peso corporeo, il sonno, l’alimentazione con un corretto apporto di proteine e fibre vegetali, l’idratazione, l’attività motoria, il controllo della respirazione. E quando si hanno problemi con le corde vocali normalmente i cantanti usano rimedi naturali, zenzero, miele, propoli, cipolla e zucchero di canna, timo. Anche Awa ha una sua “dieta vocale” che le permette di avere una voce strepitosa. «Zenzero, 90 gocce di erisimo tintura madre (la cosiddetta pianta dei cantanti) sciolte in mezzo litro di acqua da bere durante la giornata. A questo, poi, aggiungo 40 gocce di arum triphillum al mattino e 40 alla sera» spiega Awa. «Ma quando canto le prendo mezz’ora prima e mezz’ora dopo la performance. Inoltre granuli di arnica 7 CH da sciogliere sotto la lingua tre volte al giorno. A volte preferisco un po’ di riposo, stare cioè senza cantare. Per una cantante sono assolutamente vietati il fumo e l’alcol. Ci vuole un po’ di disciplina ma è il nostro lavoro e dobbiamo curarcene».

nipotina ne formano uno. Si chiamava The Basament ma dura solo un paio d’anni. «Poi con la zia decidiamo di scrivere noi le canzoni, di unire le forze e la creatività» ci racconta Awa «così creammo una band: gli “Shame &Scandal”». Nel frattempo Awa lascia gli studi per dedicarsi anima e corpo alla sua musica, seguendo corsi e lezioni. «A scuola non mi trovavo più. Avevo bisogno di trovare la mia dimensione e ho iniziato il mio percorso. Ho conosciuto gli Eazy Skankers e con loro ho girato l’Europa prendendo parte ad alcuni festival di reggae più famosi tra cui il Rototom Sunplash in Spagna». Il suo repertorio si arricchisce. Non è più soltanto reggae, ma soul, blues, e anche jazz. Un mix armonico che si sente anche nel suo album che porterà in tour in Italia e in Europa, accompagnata dalla band “Smoke Orchestra” e da Bonnot. «Sono tutti generi musicali molto introspettivi» racconta Awa. «Il reggae e il blues sono “The Voice of the People”, la voce della gente, il soul è l’anima, la voce del popolo e delle anime che soffrono». Come lei in questo momento. È appena finita la storia d’amore con il suo fidanzato storico, ce ne parla con il magone e

confessa che fa esercizi di meditazione per lenire le pene. Cerca di dribblare l’argomento e ci parla di lei, del suo incontro con tanti artisti e con Bonnot che diventa il suo musicista e il suo produttore. E ricorda anche il suo battesimo, 22 anni fa, come le hanno raccontato la nonna che ha 74 anni, la mamma Francesca e la zia Valentina. «Il giorno del mio battesimo mio padre aveva invitato molti suoi amici senegalesi che si erano radunati nel cortile di casa» ci svela. «Un mio prozio, che purtroppo non c’è più, parente di mamma, vedendo tana gente dalla pelle nera ha avuto paura, è rientrato in casa, ha preso il fucile, pronto a sparare, temendo chissà cosa. Poi si è calmato quando gli hanno detto che erano lì per me». Awa sorride. Quando è venuta alla luce il padre era ancora presente. Poi però, dopo qualche anno, ha deciso di farsi una nuova famiglia e altri figli. «Ho anche conosciuto i miei fratelli» dice Awa «ma sono cresciuta senza una figura maschile anche se mia nonna, mia madre e mia zia mi hanno dato tanto amore. Da mio padre ho però ereditato le sue radici afro e l’amore per la black music e il reggae». Che adesso porta in tour in Italia e in Europa.

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IN SALUTE

STILI DI VITA

Feng Shui Come arredare la casa e aumentare il benessere ∞  A CURA DI VIOLA COMPOSTELLA

Sapevate che la scelta dei colori in casa, l’organizzazione delle le stanze, la disposizione dell’arredamento possono influenzare il benessere di chi ci vive? Proprio così, almeno secondo il Feng Shui, antica disciplina orientale, che si occupa di trovare un equilibrio tra l’uomo e l’ambiente. «La casa deve assolvere certamente a esigenze molto concrete di protezione e riparo, per questo ne ricerchiamo l’armonizzazione di aspetti funzionali, estetici, salubrità di aria e comfort acustico» osserva Simona Mitelli architetto esperto in Feng Shui. «Ma la casa non risponde

come sta agendo o come agirà è fondamentale per fare scelte consapevoli e coerenti in ambito non solo progettuale ma anche di ristrutturazione o semplicemente quando vogliamo apportare delle migliorie, come spostare qualche mobile, ritinteggiare i locali o dare una ventata di cambiamento più o meno impegnativa».

solo a queste esigenze: non tutti sanno che l’abitazione, proprio per le sue caratteristiche architettoniche, di orientamento e per il suo posizionamento all’interno di un determinato contesto urbano, influisce sul nostro ben-essere o mal-essere da un punto di vista psico-fisico e sulla qualità dei diversi aspetti della nostra vita, come le finanze, le relazioni con i familiari, con i vicini, i datori di lavoro, gli amici, i collaboratori ma può influenzare anche la carriera, il lavoro, la salute e molto, molto altro. L’abitazione può esaltare o indebolire il ben-essere e saper leggere

Che cosa è in Feng Shui e come è nato? Letteralmente “Feng” significa vento, mentre “Shui” acqua. Simbolicamente l’acqua rappresenta la quiete e il riposo mentre il vento è

zio a progetti, al procreare e a tutto ciò a cui desideriamo dare inizio. Le disarmonie energetiche in questo settore potrebbero influenzare aspetti legati all’autoaffermazione, alla vitalità sessuale maschile, alla

crescita, al movimento. Solitamente l’Est è legato al colore Verde, questo colore favorisce la distensione, la tranquillità, la cooperazione, i rapporti sociali e l’amicizia.

Alcuni spunti Dal posizionamento... Una stanza posizionata e Est, può influenzare il primo figlio maschio della famiglia, se è un Est “sostenuto energicamente” sono ben favoriti l’espansione, la crescita, il dare ini-


tabilmente in relazione, ci rimandano delle continue, impercettibili e sottilissime vibrazioni che determinano, a lungo andare, il nostro ben-essere o mal-essere, non solo fisico, ma anche psico-emotivo.

collegato ai simboli del movimento e dell’energia. Il Feng Shui nasce dall’osservazione della natura e dal rapporto che l’uomo instaura con essa e parte dal presupposto che tutto è energia e tutto è connesso. Questo significa che l’uomo in quanto essere complesso (spirito-mente-corpo) è sottilmente legato, da un flusso di energie invisibili, all’ambiente in cui vive. Detto in parole povere quest’antica disciplina ci consente di leggere e codificare ciò che ci circonda, un po’ come fanno la riflessologia plantare, l’iridologia o altre discipline olistiche. Il Feng Shui può essere quindi paragonato alla riflessologia del corpo-casa e di conseguenza possiamo individuare sul corpo-casa dei punti riflessi che si ripercuotono su più ambiti: dalla vita ai componenti della famiglia alle parti del corpo. Lo spazio in cui viviamo è caratterizzato da un insieme di elementi naturali e costruiti che hanno tutti quanti delle connotazioni ben precise, date principalmente dalle loro forme, dimensioni, colori, consistenza materica e anche dalla posizione che occupano nello spazio in cui si trovano. Questo cosa significa? Che le case, i luoghi di lavoro, i luoghi dello svago, ma in generale tutti gli spazi chiusi o aperti con cui entriamo quotidianamente e inevi-

Perché il Feng Shui dopo millenni è ancora attuale? Quali campi di applicazione può trovare? Il Feng Shui, pur essendo una disciplina molto antica, sta facendo la sua comparsa solo da pochi anni nel mondo occidentale e sta riscuotendo molto interesse grazie alla sua capacità di poter essere adattato alle più svariate situazioni. È stato utilizzato molto spesso per motivi economici e lavorativi, soprattutto dalle grandi aziende e multinazionali che ne hanno colto l’importanza strategica per migliorare i propri affari, predisponendo edifici, luoghi e ambienti in modo da trarne il maggior beneficio possibile, per raggiungere i loro obiettivi di business, benessere per i dipendenti e rendimento aziendale. Solo più tardi i benefici di questa disciplina hanno trovato interesse d’applicazione anche nelle abitazioni private e altri contesti. Gli spazi con cui entriamo in relazione sono molteplici - casa, uffici, palestre, spazi pubblici e privati, giardini, scuole, locali di ristoro e ricettivi - tutti portatori più o meno

... alla scelta dei colori Quando si sceglie un colore per una stanza, occorre tener conto di molteplici aspetti e tutti contemporaneamente: > L’orientamento dell’abitazione; > L’affaccio della stanza in merito agli assi cardinali;

> le funzioni (utilizzo) della stanza; > Le caratteristiche energetiche di quella stanza e delle persone che la utilizzeranno (calcoli molto complessi da fare); > La sensibilità estetica del suo “abitante” (non snaturare il proprio istinto).

sani di Feng Shui. Giocano un ruolo chiave nel determinare il grado di rendimento e performance delle persone che li frequentano. Ma non solo: determinano anche l’armonia delle relazioni, lo stato di attaccamento o meno con il passato o il futuro, determinano la buona riuscita degli affari ed economica. Ecco perché, oggi più che mai, sapere che possiamo disporre di una disciplina tanto profonda, codificata e usata da millenni, ci mette nelle giuste condizioni di operare nel qui ed ora, agendo davvero in modo consapevole, proprio sul nostro corpo-casa e sugli spazi in generale.

ARCH. SIMONA MITELLI Architetto specializzata in Chue Style Feng Shui A Bergamo e Brescia

Ad esempio, in linea di massima, il bianco lucido e i colori “metallo” sono associati all’autunno, alle forme tonde, ai polmoni ed al naso. Favoriscono l’introspezione e portano verso il proprio interno. Tendono a calmare e ad acquietare , ottimo per una stanza di meditazione.


IN SALUTE

ALIMENTAZIONE

CAFFÈ

VEG

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BAR

PIZZA

consigli d’oro per una dieta sana

A suggerirli in occasione dell’inizio del 2019 è l’Organizzazione Mondiale della Sanità

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∞  A CURA DI ELENA BUONANNO

È uno dei buoni propositi più gettonati d’inizio anno: mangiare in modo sano. Se non sapete da che parte iniziare, vi viene incontro l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) che proprio in questo periodo ha lanciato (o meglio rilanciato) dal suo sito ufficiale i consigli d’oro per una dieta equilibrata e soprattutto salutare. Quello che mangiamo e

beviamo, sottolineano gli esperti dell’Oms, può influenzare la capacità del nostro corpo di combattere le infezioni, nonché la probabilità di sviluppare problemi di salute più avanti nella vita, tra cui obesità, malattie cardiache, diabete e diversi tipi di cancro. Qual è allora la dieta sana? Gli ingredienti esatti certo dipendono da diversi fattori, quanti anni si

VARIARE Il nostro organismo è incredibilmente complesso e nessun singolo alimento contiene tutti i nutrienti di cui abbiamo bisogno per funzionare al meglio (ad eccezione del latte materno per i bambini). Una dieta sana ed equilibrata, quindi, deve contemplare una grande varietà di cibi, considerato che ogni alimento contiene sostanze nutritive specifiche. In particolare, l’Oms suggerisce di alternare un mix di alimenti base: grano, mais, riso e patate che forniscono carboidrati; legumi come lenticchie e fagioli per la quota di proteine vegetali; carne, pesce, uova e latte, fonti di proteine animali; molta frutta fresca e verdura, ricche di vitamine e minerali. Altri consigli sono: preferire cibi integrali come mais non trasformato, miglio, avena, frumento e riso integrale, che sono ricchi di fibre preziose; scegliere come snack verdure crude, noci non salate e frutta fresca al posto di alimenti ricchi di zuccheri, grassi o sale.

hanno e quanto si è attivi, ad esempio, ma anche quali tipi di alimenti sono disponibili nelle comunità e nei luoghi in cui si vive. Differenze a parte, però, ci sono alcune linee guida comuni che ciascuno può adottare e che possono aiutare a condurre una vita più sana e più lunga. Vediamoli insieme.

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IN SALUTE

ALIMENTAZIONE

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RIDURRE IL SALE

Troppo sale può aumentare la pressione sanguigna, che è un importante fattore di rischio per malattie cardiache e ictus. La maggior parte delle persone in tutto il mondo assume troppo sale: in media, consumiamo il doppio del limite raccomandato dall’Oms di cinque grammi (equivalente a un cucchiaino) al giorno, tra il sale che si aggiunge nelle pietanze e quello che si assume in modo indiretto, il cosiddetto sale nascosto, aggiunto comunemente negli alimenti lavorati, spesso anche in quantità elevate per renderli più appetibili. Come fare allora a ridurlo? Ecco alcune strategie: > ridurre l’uso di salse e condimenti salati (come salsa di soia, brodo o salsa di pesce); > evitare gli snack ad alto contenuto di sale e cercare di scegliere spuntini freschi e salutari al posto di alimenti trasformati; > quando si usano verdure in scatola o essiccate, noci e frutta, scegliere le varietà senza sale e zuccheri aggiunti; > rimuovere i condimenti salati e il sale dal tavolo e cercare di evitare di aggiungerli per abitudine; > controllare le etichette sul cibo e cercare prodotti con contenuto di sodio inferiore. Abituarsi a mangiare con meno sale è possibile: le nostre papille gustative possono essere “regolate” rapidamente e una volta fatto, sarà più facile apprezzare il cibo con meno sale, ma più gusto!

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RIDURRE I GRASSI SATURI E TRANS

Qualche mese fa l’Oms ha lanciato una crociata contro i grassi trans: il loro consumo eccessivo è risultato in grado di aumentare il rischio di malattie cardiache di circa il 30%. Questo tipo di grassi, infatti, aumentai livelli di colesterolo Ldl, il cosiddetto “colesterolo cattivo” responsabile della formazione delle placche aterosclerotiche, e riduce quelli del colesterolo Hdl, che invece porta via il colesterolo cattivo dalle arterie e lo trasporta verso il fegato. I grassi trans industriali sono contenuti in grassi vegetali induriti, come la margarina e il burro chiarificato, e sono spesso presenti negli snack, nei cibi cotti e nei cibi fritti. I produttori li usano spesso poiché hanno una durata di conservazione più lunga rispetto ad altri grassi. Anche i grassi saturi (grassi della carne e derivati, del latte e derivati, cioè burro e formaggi, strutto etc.), andrebbero fortemente limitati. Esistono alcune alternative più sane che non influenzano il gusto o il costo del cibo come sostituire burro, lardo e strutto con oli più sani come soia, colza, mais e girasole; scegliere carni bianche come pollame e pesce che contengono generalmente meno grassi rispetto alla carne rossa, togliere dalla carne il grasso visibile e limitare il consumo di carni lavorate; cuocere a vapore o bollire invece di friggere i cibi durante la cottura; controllare le etichette ed evitare sempre tutti gli alimenti elaborati, veloci e fritti che contengono grassi trans prodotti industrialmente. 26 | Bergamo Salute | Gennaio/Febbraio 2019


LIMITARE LO ZUCCHERO Troppo zucchero non è solo dannoso per i denti, ma aumenta il rischio di sovrappeso e obesità che può portare a gravi problemi di salute cronici. Come per il sale, è importante non sottovalutare la quantità di zuccheri “nascosti” che possono essere contenuti nei cibi e nelle bevande lavorati. Ad esempio, una singola lattina di acqua tonica può contenere fino a 10 cucchiaini di zucchero aggiunto! Ecco i suggerimenti degli esperti dell’Oms: > limitare l’assunzione di dolci e bevande zuccherate come bevande gassate, succhi di frutta, concentrati liquidi e in polvere, acqua aromatizzata, bevande energetiche e sportive, tè e caffè pronti da bere e bevande al latte aromatizzate; > scegliere spuntini freschi sani piuttosto che cibi lavorati; > evitare di somministrare alimenti zuccherati ai bambini; il sale e gli zuccheri non dovrebbero essere aggiunti agli alimenti complementari destinati ai bambini sotto i due anni di età e dovrebbero essere limitati oltre questa età.

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EVITARE L’ALCOL L’alcol non fa parte di una dieta salutare. Nel complesso, bere troppo o troppo spesso può causare effetti a lungo termine come danni al fegato, cancro, malattie cardiache e malattie mentali. Ma esiste un livello sicuro di consumo? Secondo l’Oms no, senza contare che per molte persone anche bassi livelli possono essere associati a significativi rischi per la salute. Meno alcol si beve, quindi, meglio è per la salute. L’ideale sarebbe non bere per niente, soprattutto se si è in gravidanza, si deve guidare, utilizzare macchinari o svolgere attività che comportano rischi, se si hanno problemi di salute che possono essere peggiorati dall’alcol, se si stanno assumendo medicinali che interagiscono direttamente con l’alcol e se si ha difficoltà a controllare il bere.

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IN SALUTE

ALIMENTAZIONE

Bergamotto l’oro verde della Calabria

Un concentrato di virtù tutto da gustare ∞  A CURA DI VIOLA COMPOSTELLA

Dal carattere forte e amaro, il bergamotto è un agrume utilizzato in molti e diversi modi. In gastronomia la buccia viene utilizzata per aromatizzare il tè (è merito suo il particolare gusto dell’Earl Grey Tea). Il suo succo viene utilizzato per aromatizzare risotti, piatti di pesce e dolci, ma anche per fare una vinaigrette insieme a olio, sale e aceto balsamico, per condire le insalate. Sempre dalla scorza, si ottiene l’olio essenziale, utile contro l’alitosi, per il be-

C’è una sola accortezza da adottare con questo frutto della salute: in ambito cosmetico va evitato prima di esporsi al sole poiché fotosensibilizzante (può provocare macchie solari e ustioni)”

nessere della pelle come sebo-regolatore e antibatterico, per contrastare l’ansia e lo stress. Dai fiori, invece, vengono estratte essenze profumate utilizzate in cosmetica per shampoo e creme. «Denominato anche oro verde, il bergamotto è un potente medicinale naturale che merita un posto nella lista degli alimenti funzionali, cioè che hanno effetti benefici per la salute» dice la dottoressa Daria Fiorini, dietista. Scopriamoli allora con l’aiuto della nostra esperta.

epatica responsabile della sintesi del colesterolo nel fegato» spiega la dottoressa Fiorini. Inoltre il succo di bergamotto è strettamente correlato alla riduzione dei livelli ematici di LDL (colesterolo cattivo) e all’aumento di quelli di HDL (colesterolo buono); in questo modo contribuisce a mantenere i vasi sanguigni in salute e a prevenire disturbi cardiovascolari come ictus, arteriosclerosi e infarto.

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MENO ZUCCHERI NEL SANGUE

ANTICOLESTEROLO «Come ribadito al 78° Congresso Nazionale della Società Italiana di Cardiologia (SIC) nel 2017, il succo del bergamotto è ricco di due flavonoidi (esperetina e naringenina), che esercitano gli stessi effetti anticolesterolo delle statine (farmaci di sintesi) senza causare gli effetti collaterali farmacologici. I due flavonoidi, all’interno dell’organismo, inibiscono l’enzima reduttasi

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La naringenina contenuta nel bergamotto ha un’azione ipoglicemizzante. «Contribuisce cioè a diminuire i livelli di glucosio nel sangue e a migliorare l’attività dell’insulina, aumentando l’assimilazione di glucosio nei muscoli e nel fegato» osserva la dietista.

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ANTIOSSIDANTE Le proprietà antiossidanti (che cioè contrastano l’azione dei radi-


cali liberi, i principali responsabili dell’invecchiamento delle cellule del nostro organismo) si devono ancora ai flavonoidi. «Si tratta di sostanze che, aumentando l’attività degli enzimi antiossidanti, limitano la produzione di radicali liberi, molecole infiammatorie per il nostro organismo» sottolinea l’esperta.

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RICCO DI VITAMINE E SALI MINERALI

potere depurativo e disintossicante per il sistema linfatico» continua la dietista. «Il potassio, infatti, facilita il drenaggio (cioè lo smaltimento) e l’espulsione degli scarti delle cellule, evitando che si accumulino nei tessuti, riversandosi poi nel sangue sottoforma di tossine. L’acido citrico, invece, stimola il fegato e la cistifellea eliminando i ristagni di bile e aiutando l’organismo a depurarsi».

Il bergamotto è ricco soprattutto di vitamina C, vitamine del gruppo B (B1 e B2) che migliorano l’assorbimento del ferro, e di vitamina A. «Inoltre contiene un’alta concentrazione di potassio e acido citrico, che gli conferiscono un eccezionale

Curiosità in pillole

. Il bergamotto è un agrume che nasce da un albero sempreverde (Citrus Bergamia), alto tre-quattro metri, con fiori bianchi e profumati che sbocciano in primavera, e lucide foglie carnose. . Il frutto del bergamotto, simile alle arance ma color verdegiallo intenso e sapor più acidulo e amarognolo, matura da novembre a marzo. . Originario della Turchia (dove il nome è Beg Armundi ovvero “pero del signore”), deriva dall’incrocio dell’arancio amaro e della limetta acida. . Oltre il 95% della produzione mondiale di bergamotti si concentra in una fascia costiera ionica di circa 100 chilometri, in provincia di Reggio Calabria, dove questo agrume ha ottenuto il riconoscimento di denominazione di origine protetta dall’Unione Europea.

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ANTIDEPRESSIVO

«L’olio essenziale di bergamotto concilia il sonno ed elimina i blocchi emotivi o psicologici, riportando serenità» suggerisce la dottoressa Fiorini. Bastano poche gocce nell’apposito diffusore o nella vaschetta dell’acqua dei termosifoni per aver questo effetto.

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ANTISETTICO E ANTIBATTERICO L’olio essenziale ha anche un effetto benefico e balsamico per le vie respiratorie. Si può utilizzare anche in suffumigi insieme al bicarbonato.

ANTIMICOTICO L’olio essenziale di bergamotto è utile nel trattamento d’infezioni fungine e in particolare in caso di micosi delle unghie e candida vaginale.

DOTT. SSA DARIA FIORINI Dietista A Bergamo - Villaggio degli Sposi

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IN ARMONIA

PSICOLOGIA

Elogio della

solitudine

∞  A CURA DI MARIA CASTELLANO

15 minuti di solitudine al giorno possono portare benessere. A dirlo è uno studio promosso dall’Università di Rochester, pubblicato su Personality and Social Psychology Bulletin, che si aggiunge ad altre ricerche secondo le quali stare da soli, ovviamente solo se si è scelto di farlo, aumenta la creatività e la capacità di trovare soluzioni ai problemi, riduce lo stress e aiuta a sentirsi meglio con se stessi e di conseguenza con gli altri. «Di primo acchito non è una di quelle notizie che colpisce e si è portati facilmente ad archiviarla come poco interessante. In realtà è proprio la sua apparente banalità a meritare attenzione» commenta il dottor Marco Ghezzi, psicologo e psicoterapeuta. Apparente perché, se per molti adulti di oggi la solitudine, intesa come tempo per se stessi per leggere un libro o lasciar fluire i pensieri, è ed è stata una parte “normale” e scontata

della propria vita, per le nuove generazioni spesso non è affatto così. Ecco allora che queste ricerche ci invitano a riscoprire il valore di stare un po’ da soli, ancora di più in una società come la nostra in cui si è sempre connessi con gli altri, anche se a volte solo virtualmente, e la parola solitudine sembra quasi fare paura. Perché, dottor Ghezzi, ritagliarsi dei momenti di solitudine può far bene? Attraverso molti momenti di solitudine, anche lunghi, spesso noiosi, si è sviluppata l’infanzia e l’adolescenza di molti che oggi sono adulti. È in quei momenti di solitudine che s’inventavano giochi, si ascoltava il ritmo del cuore e del respiro, ci si perdeva a fantasticare, si aveva il tempo di osservare con attenzione insetti e piante e tante altre infinite attività venivano passate in rassegna. In poche parole, si stava com-

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piendo il processo di esplorazione delle proprie capacità psichiche e percettive, il motore della curiosità e dell’immaginazione macinava infiniti chilometri, contribuendo così in maniera essenziale allo sviluppo della personalità. Ogni bambino era stimolato a trovare risorse anche solo per non annoiarsi ed era tutto molto naturale. Oggi, invece, già a tre anni spesso i bambini hanno un’agenda con attività strutturate finalizzate ad acquisire sempre nuove competenze: inglese, musica e sport, oltre ad abilità pratiche e concrete di ogni genere. Il mondo di oggi appare così condizionato da richieste concrete che si tende a dimenticare che lo sviluppo delle capacità di astrazione nei bambini richiede un terreno che contempli, oltre ad attività stimolanti ed attive, anche contesti non troppo strutturati, con assenza di stimoli, libertà di scelta e presenza attenta ma non invasiva degli adulti. Tra le


C’è una differenza sostanziale tra il decidere di stare da soli in un certo momento della giornata e l’isolamento sociale, condizione in cui ci si isola volontariamente dal rapporto con gli altri e che può alla lunga diventare invalidante, mancando il rifornimento emotivo e affettivo delle relazioni interpersonali” risorse per la crescita equilibrata e sana c’è ancora e soprattutto oggi, lo stare da soli. Abituare i propri bimbi a dedicare tempo di qualità a se stessi, può consentirgli di ritrovare l’intimità con il proprio mondo interiore, trovare confidenza con il dialogo interno e la propria creatività e sperimentare in sicurezza le forme comunicative dei più grandi, rinsaldando in definitiva sempre di più la fiducia in se stessi. Fin qui i bambini piccoli. Per i più grandi e gli adulti, invece, in che modo la solitudine può rappresentare una risorsa? La travolgente rivoluzione tecnologica degli ultimi dieci anni permette, pur essendo fisicamente in solitudine, di essere connessi con chi si vuole, sempre. È veramente una rivoluzione epocale per l’essere umano, che si è trovato impreparato a gestirla. All’enorme quantità di stimoli a cui siamo sottoposti ogni giorno, vediamo bene

di aggiungere, nei momenti vuoti o di noia, la consultazione ripetuta dei vari social o app. Basta salire su un treno per accorgersi che è raro trovare una persona che guarda semplicemente fuori dal finestrino, occupata a fantasticare. Sono tutti lì con il telefono a intrattenersi, come se fossero a disagio a non aver niente da fare se non far passare il tempo. Certo la tecnologia aiuta e serve per rendere la vita più facile. E avere un mezzo immediato e semplice per tenere i rapporti con parenti e amici è un piacere. Tuttavia il buon senso invita a domandarsi se non se ne stia abusando. Spesso poi, proprio per combattere la noia, si tende a utilizzare in modo passivo il web sul telefonino, rimpinzandosi d’informazioni per lo più irrilevanti. Il nostro cervello non è programmato geneticamente per lavorare costantemente in condizioni di accumulo: ha bisogno di pause, anche durante il giorno, ha bisogno di non dover processare continua-

mente stimoli. Avere confidenza con la solitudine, con il dialogo interiore o con il lasciar liberare la fantasia, oltre a essere di grande stimolo per l’immaginazione, può risultare salutare per il nostro cervello, che si prende una pausa e di conseguenza si rilassa, insieme al resto del corpo.

DOTTOR MARCO GHEZZI Psicologo e Psicoterapeuta A Bergamo

la MEDICINA

ESTETICA e la MEDICINA ANTIAGING in pratica… Bergamo | Zanica | Zogno | Treviglio

Dott. Massimo Buttinoni Esperto in Medicina Estetica e del Benessere cell. 3291769839


IN ARMONIA

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Quando una relazione diventa tossica I consigli per riconoscerla e liberarsene una volta per tutte ∞  A CURA DI ELENA BUONANNO

“Non ce la faccio più a stare con lui, eppure non riesco a lasciarlo”, ma anche “Non siamo più felici insieme, non facciamo che farci del male… ma non ce la faccio ad immaginarmi senza di lei”. Quante volte vi è capitato di sentire un amico, una collega, un conoscente, pronunciare queste parole?

O quante volte le avete pronunciate voi, soffrendo a causa di relazioni che non vi fanno stare bene? «Abbiamo tutti, direttamente o per sentito dire, l’esperienza di una relazione negativa, dolorosa, ma dalla quale sembra ancora più doloroso separarsi: stiamo parlando di relazioni sentimentali che po-

tremmo definire, senza esagerare, relazioni tossiche» dice la dottoressa Laura Grigis, psicologa e psicoterapeuta. «Un importante studio, che ha seguito per ben 12 anni un campione di 10.000 tra uomini e donne, ha evidenziato con chiarezza che coloro che si trovavano a vivere frequentemente delle re-

E la tua relazione è tossica? Ecco alcune domande per capire se si sta vivendo una relazione tossica. > Stare con quella persona vi fa sentire bene oppure vi fa stancare? > Cosa pensate di voi stessi dopo aver passato del tempo con quella persona? > Vi sentite al sicuro o in pericolo con lui/lei? > Sentite che c’è equilibrio o disparità tra ciò che dai e ciò che ricevi in questa relazione? > Avete la sensazione che l’altra persona voglia cambiarti, o di dover cambiare per renderla felice? (Da High Octane Women: How Superachievers Can Avoid Burnout della psicologa Sherrie Bourg Carter).


lazioni negative, presentavano maggiore possibilità di sviluppare problematiche di tipo cardiaco (De Vogli et al., 2007): definire queste relazioni come tossiche appare quindi corretto». Dottoressa Grigis, come si possono identificare le relazioni tossiche? Come si distingue un periodo di crisi, per la cui risoluzione varrebbe la pena di impegnare risorse ed energie, da una situazione problematica cronica e non più modificabile? In una relazione che funziona, con i classici “alti e bassi” dovuti alla necessità che due mondi, due persone, due esistenze diverse si incontrino e convivano, è sano venirsi incontro e comprendere le reciproche necessità anche quando queste non incontrano il pieno accordo di entrambi. Diverso, e tipico delle relazioni tossiche, è invece essere costretti a tollerare comportamenti irrispettosi, offensivi, abusanti e persino violenti: nelle relazioni tossiche i valori di lealtà, rispetto, cura e fiducia reciproca vengono spesso sostituiti da gelosia, sfiducia, sopraffazione e possessività. E ancora: le relazioni sane sono caratterizzate dalla presenza di tentativi reciproci di comprensione e confronto, senso

di sicurezza, libertà di pensiero e di azione per entrambi i partner, condivisione, ascolto e cura. Le relazioni tossiche, invece, sono caratterizzate da una sensazione di insicurezza, da atti di abuso di potere (verbale, fisico, economico etc.) o controllo sull’altro, da richieste eccessive, pressioni, egoismo, critiche continue e commenti denigranti. Non è possibile parlare d’amore, in queste situazioni: eppure per alcune persone potrebbe risultare normale anche vivere in queste condizioni, almeno fino a che qualcuno, qualcosa, o una presa di coscienza, non evidenziano la realtà per quella che è: una relazione tossica, da chiudere il prima possibile. Che fare allora? Il primo passo, appunto, è sicuramente quello di riconoscere che ci troviamo in una relazione tossica: non è affatto semplice, perché significa anche riconoscere il proprio errore di scelta e accettare di aver perso tempo ed energie fino a questo momento. Una volta che ci si è resi conto della situazione, il passo successivo è prendere la decisione d’interrompere questa relazione: molte persone rimangono invischiate e non riescono a distaccarsene, spesso a causa di una bassa autostima che le porta

DOTT.SSA LAURA GRIGIS Psicologa e Psicoterapeuta A Bergamo

a credere di non potere sperare in meglio, o perché spaventate dalle conseguenze della propria scelta e dal futuro. Presa la decisione, poi bisogna attivarsi: visto che non si sta parlando di un semplice “migliorare la relazione” ma del porre fine a una situazione che ci fa stare male, è importante sottolineare che prima di tutto dobbiamo salvaguardare la nostra sicurezza. Il confine tra una relazione tossica e una relazione psicologicamente o fisicamente violenta spesso è sottile, quindi a volte è necessario rivolgersi ad uno specialista e ad un centro anti-violenza, costruendosi una valida rete di supporto. È importante organizzare in maniera funzionale il momento in cui si vuole interrompere la relazione, in base


IN ARMONIA

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COME USCIRNE IN MOSSE

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> Smettete di negare a voi stessi il problema. > Tenete un diario delle cose che succedono: a volte la memoria gioca brutti scherzi e con le “prove” scritte non potete più mentire a voi stessi sulla qualità della relazione e non siete più manipolabili. > Identificate i vantaggi: se rimanete, probabilmente ne traete benefici. Identificateli e provate a valutare se questi vantaggi non potreste ottenerli altrove/in altro modo. > Trovate alternative: impegnate il vostro tempo con esperienze e relazioni piacevoli, che vi fanno stare bene. > Fatevi un regalo: decidere di chiudere una relazione tossica è difficile, quando ce la fate complimentatevi con voi stessi e premiatevi. > Riposate: avete utilizzato tutte le risorse ed energie per uscire da una relazione tossica, ora riposate e ricaricatevi. > Chiedete aiuto: per voi stessi (psicologo, psicoterapeuta) o per gestire al meglio la situazione problematica (avvocato, centro anti-violenza).

proprio alle caratteristiche della stessa: a volte è possibile comunicare la decisione al partner, a volte è invece necessario semplicemente andarsene quando è assente. Quali modalità di comunicazione possiamo utilizzare perché il messaggio sia recepito e perché la situazione non sia, anche per noi, troppo dolorosa? Innanzitutto il messaggio deve essere semplice e chiaro; non bisogna dare troppe giustificazioni o spiegazioni, perché tutto quello che direte in questo momento potrebbe essere manipolato per farvi cambiare idea; se possibile, è meglio evitare di colpevolizzare il partner per non aprire la porta a tentativi di negazione della realtà (“non è vero, io ti amo, ti rispetto, non ti ho tradito”); ridurre al minimo la comunicazione e le informazioni in essa contenute è la scelta migliore, per evitare il rischio di rimettere in discussione la vostra decisione, magari per l’ennesima volta. Ma perché queste relazioni tossiche risultano cosi difficili da chiudere? Non dovrebbe esserci una sorta di meccanismo di sopravvivenza che ci “mette in allarme” facendoci allontanare e fuggire da certe persone e situazioni, proteggendoci? No, in realtà succede proprio il contrario: l’essere umano è dotato di una naturale predisposizione al perdono; si tratta di un meccanismo cognitivo che permette di preservare i rapporti sociali (fondamentali per la nostra sopravvivenza) evitando che le brutte impressioni iniziali possano pregiudicarle. La dimostrazione di questa nostra naturale predisposizione al perdono

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è il risultato di una ricerca internazionale del 2018 (Molly J. Crockett et al., Beliefs about bad people are volatile). Anche un gruppo di ricercatori canadesi ha cercato di trovare risposta a questa domanda, scoprendo che molte persone preferiscono rimanere in una relazione insoddisfacente piuttosto che star sole o nel timore di stare peggio (Sung, Y., 2010, I won’t leave you although you disappoint me). Un altro studio fa emergere addirittura una componente altruistica: se si ha l’impressione che il partner sia fortemente impegnato nel rapporto, è più difficile porvi fine (Joel, S., 2018, How interdependent are stay/leave decisions?). Questa componente è molto evidente nei momenti in cui, di fronte alla comunicazione di porre fine alla relazione, il partner si prodiga in promesse di cambiamento e “riga dritto” per qualche settimana. Ci sono soggetti che più di altri rischiano di restare intrappolati in una relazione tossica? Sì, tendenzialmente le persone che hanno sviluppato una forma di attaccamento patologico nell’infanzia, a causa di esperienze disfunzionali (genitori assenti, maltrattamenti, …) presentano uno stile relazionale che potremmo generalmente definire problematico. Vi si trovano coinvolte persone con bassa autostima, mancanza di fiducia in se stesse, e soprattutto grande bisogno di colmare vuoti affettivi, per cui si tende ad appoggiarsi all’altro, nella convinzione di non farcela da soli. L’altro elemento della coppia spesso è una persona fredda ed evitante, caratterizzata da grandiosità ed esibizionismo, desiderosa di approvazione e centrata solo su se stessa.


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IN CASA

ARCHITETTURA

L’ almanacco fotografico e informativo dei “soggetti urbani” ∞  A CURA DELL’ORDINE DEGLI ARCHITETTI DI BERGAMO

L’Ordine degli Architetti della Provincia di Bergamo ha avviato un grande progetto di osservazione del territorio che ha l’ambizione di stimolare un giudizio consapevole delle trasformazioni urbane, da parte di tutti i cittadini. L’OAB ha realizzato, con una serie di consulenti, una piattaforma operativa definita come ASL | Atlante Second Life: un almanacco fotografico e informativo, in continuo aggiornamento, di “soggetti urbani” che sono considerati, da chi sta fotografando, non adeguati per la vita della città, indicizzati per Comune di appartenenza e per tipologia.

Bergamo Passaggio Canonici Lateranensi 1 formazione@architettibergamo.it Apertura al pubblico da lunedì a giovedì 9 - 17 (continuato) venerdì 9-14 Per contatti telefonici da lunedì a venerdì 9-14 www.architettibergamo.it

Ogni cittadino della Provincia di Bergamo, di qualunque età, e non solo i professionisti iscritti all’Albo degli Architetti, può inviare una foto, attraverso l’applicativo ASL, di un “soggetto urbano” della sua città a cui vorrebbe “concedere una vita”migliore di quella che ha. A chi non è mai capitato di vedere nella propria città un edificio dismesso, un rudere, una piazza poco decorosa, un giardino trascurato, un “soggetto urbano” che l’osservatore vorrebbe fosse migliorato o destinato ad un uso più corretto? Da ora, tramite il sito www.aslarchitettura.it, utilizzabile con un’interfaccia intuitiva sia su desktop che su mobile, chiunque può indicarne ubicazione, tipologia, caratteristiche, prospettando il proprio specifico desiderio di nuova destinazione: una seconda vita, appunto.

Ma in effetti, cosa si dovrebbe fotografare? Un edificio dismesso o uno in funzione che si ritiene debba essere migliorato, un campo abbandonato, una piazza trascurata, un bene da recuperare, un cavalcavia, un’infrastruttura, un “soggetto urbano” di cui si conosce la storia che merita di essere sollevata dall’oblìo. Esistono molti sguardi diversi in ogni comunità, particolari modi di guardare i luoghi urbani. ASL vuole farli uscire allo scoperto, indicando un possibile destino attraverso la redazione di una semplice scheda informativa: indirizzo, tipologia, proposte. Se chi fotografa conosce altre caratteristiche che ritiene importanti può trascriverle nel campo specifico. ASL è un almanacco permanente di possibilità urbane in continuo aggiornamento.

Il progetto è su www.aslarchitettura.it per desktop e mobile”

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Particolare rilevo è stato dato alla partecipazione degli studenti. È prevista, infatti, la partecipazione di tutte le scuole superiori della Provincia di Bergamo che diventeranno protagoniste del programma con un’attività collegata a progetti di stage operativi e Alternanza Scuola Lavoro. I “soggetti urbani” fotografati, conservati in database visibili e liberamente accessibili, saranno, in seguito, oggetto di analisi approfondite, categorizzati e osservati partendo dall’ipotesi indicata da chi ha fotografato. Nel tempo rappresenteranno una testimonianza della condizione urbana nonché dei livelli di trasformabilità di un intero territorio.Tutte le fotografie inviate, resteranno disponibili e consultabili sul sito.È certo che le fotografie che ognuno realizzerà apparterranno a due categorie: quelle puramente descrittive, che hanno l’intenzione di mostrare il soggetto urbano, e quelle che, invece, hanno l’ambizione lecita di rappresentare una forza estetica propria. Entrambe, comunque, saranno protagoniste assolute del progetto ASL|Atlante Second Life perché destinate ad una amplissima Mostra espositiva di tutte le fotografie che saranno pervenute tramite il sito. Ognuno, quindi, sarà protagonista del programma esprimendo, di fatto, un giudizio sul “proprio” luogo attraverso ciò che conosce meglio, con un desiderio semplice o complesso ma sempre estremamente intimo; l’intimo prevede una connivenza legato al registro della conoscenza, una dimensione etica dell’osservazione, associata alla capacità di giudizio e alla comprensione dell’altro, il prerequisito fondamentale per la “domanda” di architettura, solido e imprescindibile presupposto per la Cura continua dei Territori da riempire di umanità.

COME SI USA

Nella redazione della scheda descrittiva, estremamente intuitiva, ognuno è invitato a indicare la tipologia del soggetto urbano scegliendo tra > Rudere > Spazio Aperto > Edificio in uso > Edificio in disuso > Infrastruttura.

Per una successiva analisi statistica verrà anche richiesto di indicare la propria classe di età suddivisa in 5 sezioni: > fino a 20 > da 21 a 35 > da 36 a 50 > da 51 a 65 > over 65. Gennaio/Febbraio 2019 | Bergamo Salute | 37


IN FAMIGLIA

DOLCE ATTESA

Donazione del cordone Una scelta solidale

∞  A CURA DI MARIA CASTELLANO

Sangue del cordone ombelicale. Fino a poco tempo fa era prassi buttarlo via. Poi si è capito che conteneva qualcosa di prezioso, ovvero le cellule staminali utili per il trattamento di molte malattie del sangue e del sistema immunitario. Ecco allora che sono nate banche pubbliche per la raccolta e conservazione del cordone donato al momento del parto, sangue cioè messo a disposizione di chiunque al mondo possa averne bisogno, una scelta a favore della solidarietà e della scienza. Come ci spiega il dottor Mariangelo Cossilini, responsabile dell’unità di coordinamento prelievo/trapianto organi e tessuti della provincia di Bergamo. Dottor Cossolini, chi può donare il cordone?

Tutte le donne che lo desiderano nel momento della nascita del loro bambino; la gravidanza deve essere a termine, non ci devono essere problematiche di tipo ostetrico e situazioni di emergenza legate al parto, deve essere stato compilato un questionario relativo alla storia clinica del papà e della mamma e gli esami fatti dalla mamma in gravidanza devono essere regolari. Quali sono i criteri previsti dalla legge? La Legge Italiana prevede la donazione altruistica (la sacca di sangue cordonale, se idonea, viene imbancata in una Banca pubblica a disposizione di chi ne ha bisogno, che ne usufruirà in forma assolutamente anonima e gratuita) oppure dedicata (se un parente di primo grado del nasci-

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turo ha una delle 82 malattie per le quali è previsto l’utilizzo del sangue cordonale e quindi quella sacca viene conservata per la famiglia).

DOTT. MARIANGELO COSSOLINI Responsabile Coordinamento prelievo e trapianto d’organo ASST Papa Giovanni XXIII


UNA BANCA UNICA AL SERVIZIO DI TUTTI Il sangue cordonale, dopo la raccolta in sala parto, viene inviato alla banca regionale del sangue cordonale più vicina, dove è sottoposto a una serie di controlli specifici per verificare l’idoneità alla conservazione e definire le caratteristiche immunologiche per l’analisi della compatibilità fra donatore e ricevente. I dati relativi alle unità di sangue cordonale, conservate presso la banca, vengono trasmessi al Registro internazionale dei Donatori di Midollo Osseo. In Italia, le banche di sangue cordonale, istituite esclusivamente all’interno di strutture pubbliche, svolgono la loro attività in base a standard di qualità e sicurezza definiti a livello nazionale e internazionale. Con il decreto ministeriale del 18 novembre 2009 è stata istituita la Rete nazionale italiana di banche per la conservazione di sangue da cordone ombelicale, attualmente composta da 18 banche, distribuite su tutto il territorio nazionale, e coordinata, a livello centrale, dal Centro Nazionale Sangue in collaborazione con il Centro Nazionale Trapianti. In queste strutture vengono conservate le unità di sangue cordonale donate a scopo allogenico, cioè a disposizione della collettività.

La donazione autologa (il sangue è del mio bambino e me lo tengo per eventuale uso personale futuro) è possibile solo in Banche Estere a pagamento, proprio perché non vi sono indicazioni scientifiche valide per autoconservarlo. Come avviene il prelievo? Se il parto avviene senza complicazioni (anche se cesareo) dopo un

minuto dalla nascita del bambino viene tagliato il cordone ombelicale e, mentre si attende che la placenta venga espulsa, l’ostetrica attraverso la cannulazione della vena ombelicale del moncone del cordone preleva il sangue cordonale che defluisce in una apposita sacca; questa procedura non crea problemi né alla mamma né al bambino che è già nato e autono-

mo; la puntura della vena ombelicale non provoca dolore perché il cordone non ha nervi sensitivi del dolore. La sacca viene poi inviata attraverso il nostro Servizio di Autisti alla banca di Milano dal lunedì al sabato tutti i giorni: in questo modo nel nostro ospedale la donazione del sangue cordonale è possibile sempre, 24 ore su 24, anche nei giorni festivi, sia di giorno sia di notte.

MARCO GHEZZI

www.marcoghezzi.org

N. iscrizione ordine psicologi della Lombardia 4352

PSICOLOGO PSICOTERAPEUTA

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consulenza e psicoterapia per adulti, coppie e genitorialità, adolescenti consulenza e coaching per atleti e società sportive coaching per imprenditori, manager e lavoratori autonomi

Bergamo via Zambonate 58 24122 Bergamo

Per appuntamenti Telefono 347 9194378 email: scrivi@marcoghezzi.org


IN FAMIGLIA

DOLCE ATTESA

Ci sono requisiti per la mamma o il bambino? Entrambi devono stare bene e non ci devono essere state complicanze durante il parto; inoltre il bimbo non deve essere prematuro. Perché il sangue del cordone ombelicale è così prezioso? Perché contiene cellule staminali cosiddette ematopoietiche, le stesse contenute nel midollo osseo, che possono riprodurre le cellule del sangue. Possono quindi sostituire il trapianto di midollo. Per cosa può essere usato? Che tipo di malattie si possono curare?

Viene utilizzato per curare malattie anche gravi come linfomi e leucemie.

del sangue di cordone ombelicale attraverso l’utilizzo di un apposito Registro.

Come funzionano le banche del cordone pubbliche? Si occupano della lavorazione, del controllo, della conservazione delle unità di sangue cordonale e del loro rilascio per trapianto. Controllano che tutte le fasi del processo, dalla donazione fino alla distribuzione per uso terapeutico, vengano effettuate secondo rigorosi criteri di qualità. Operano in stretta collaborazione con i Centri di raccolta del sangue cordonale nei punti nascita e con la Rete delle banche Nazionali e Internazionali

Come vi si accede in caso servisse? Lo specialista ematologo che segue il caso si occupa del recupero della sacca donata e imbancata, se ancora presente e compatibile, oppure del reperimento di una sacca da donatore idonea e compatibile per il trapianto. La sacca è etichettata, tracciata e quindi facilmente recuperabile.


BAMBINI

IN FAMIGLIA

Gli ossiuri

o i “vermetti dei bambini”: conoscere per prevenire ∞  A CURA DI ATS BERGAMO

È infezione molto comune in età prescolare e scolare. Le stime dicono che riguardi oltre il 25% dei bambini che frequentano asili e scuole. Parliamo dell’ossuriasi, causata dai cosiddetti vermetti dei bambini, il cui sintomo più evidente è un intenso prurito al sederino che si acuisce durante la notte. Come curarla? E soprattutto come prevenirla ed evitare il contagio? Lo abbiamo chiesto alla dottoressa Carmen Tereanu, Risk Manager ATS Bergamo e responsabile del progetto “Amico”. Dottoressa Tereanu, cosa sono i vermetti dei bambini? Chiamati anche ossiuri, questi parassiti vermiformi, bianchi e sottili, provocano la malattia chiamata appunto ossiuriasi, di cui si sente parlare ogni tanto nelle comunità scolastiche. Sono dei parassiti in quanto vivono all’interno di un organismo ospite, a spese di quest’ultimo. Di solito l’organo in cui sono ospitati è l’intestino. Quanto sono diffusi? Sono davvero molto diffusi nell’ambiente. L’ossiuriasi può interessare

chiunque, a prescindere dall’età e dallo status socio-economico. È però più frequente nei bambini in età pre-scolare e scolare. Come ci si infetta? Infettarsièabbastanzafacile,soprattutto quando non sono osservate le regole più comuni relative all’igiene individuale. La fonte di contagio è rappresentata dalle persone affette da ossiuriasi e il contagio avviene per trasmissione oro-fecale. Il parassita si localizza solitamente nel tratto tra colon e ano. La femmina produce circa 10.000 uova e nelle ore notturne migra verso l’orifizio anale, deposita le uova e muore. Le larve che nascono dalla schiusa possono risalire fino al colon oppure, a causa del forte prurito, che provocano, il bambino può grattarsi, contaminare le mani e portarle involontariamente alla bocca reinfettandosi. Le uova microscopiche si depositano anche sulla biancheria intima, vestiti, asciugamani, coperte, lenzuola, e tappeti. Attraverso le mani contaminate, le uova di ossiuri possono depositarsi sui vari oggetti toccati, come ad esempio i giocattoli. Infine, può anche succedere che le uova microscopiche

siano disperse nell’aria, mentre ad esempio si scuote un tappeto o un lenzuolo. In questo modo possono essere respirate e successivamente ingoiate. Ecco perché non ci si deve stupire riguardo alla frequenza piuttosto alta di questa malattia. Quando dovremmo sospettare la presenza di ossiuriasi? Se il bambino si gratta frequentemente la regione anale o vulvare vi è un’altissima probabilità che ci si trovi davanti a una possibile

DOTT.SSA CARMEN TEREANU Risk Manager ATS Bergamo Responsabile del progetto “Amico” di ATS Bergamo

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IN FAMIGLIA

BAMBINI

Le regole igieniche per ridurre il contagio La normativa vigente relativa alla segnalazione delle malattie infettive (D.M. 15-12-1990) prevede che, ogni qual volta si verifichi un caso, il Medico che ne fa la diagnosi è tenuto a segnalarlo all’ATS in modo che gli Operatori Sanitari possano condurre un’inchiesta epidemiologica approfondita e fornire indicazioni sulle misure d’igiene da adottare, utili al fine di favorire la guarigione e impedire la diffusione della malattia nella collettività scolastica frequentata, oltre che cercare di evitare una forma di recidiva nello stesso bambino. Il Personale Scolastico ha un ruolo molto importante nella verifica dell’osservanza delle regole di igiene durante l’orario scolastico. Quando all’ATS giunge una segnalazione di un caso di ossiuriasi a carico di un bambino che frequenta una collettività scolastica, gli operatori sanitari del Dipartimento di Igiene e Prevenzione Sanitaria, con la collaborazione del Dirigente Scolastico, distribuiscono, sia al personale scolastico sia alle famiglie degli alunni interessati, una nota informativa attraverso cui si forniscono alcune indicazioni utili sulla malattia, su come riconoscerla e sulla sua prevenzione. Per il bambino affetto da ossiuriasi non è previsto, perché non ritenuto necessario, l’allontanamento dalla frequenza scolastica o da altre collettività. Tra le misure igieniche che è importante adottare ci sono: > lavare la biancheria intima, gli effetti letterecci e gli asciugamani a una temperatura pari almeno ai 60°C; > non scuotere le lenzuola prima del lavaggio ma avvolgerle in se stesse accuratamente per evitare che le uova possano disperdersi nell’ambiente; > pulire scrupolosamente le superfici che possono essere state contaminate; > lavare frequentemente le mani soprattutto dopo l’uso dei servizi igienici, prima di mangiare o maneggiare il cibo; > sostituire giocattoli che non possono essere lavati ad alte temperature, come alternativa efficace quando si riscontrano casi con recidive frequenti.

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infezione parassitaria. Il prurito locale è il principale sintomo di ossiuriasi ed è causato da una sostanza prodotta dalla femmina del parassita mentre deposita le uova fuori dall’ano. A volte per l’intenso prurito si determinano delle lesioni cutanee con possibili sovra-infezioni batteriche. Alcuni bambini possono lamentare anche mal di pancia, diarrea oppure manifestare sintomi come irritabilità e/o insonnia. Le mamme possono accorgersi anche di una progressiva perdita d’appetito. Come si ha la certezza che si tratti di ossiuriasi? Esaminando, preferibilmente al mattino, le pliche (pieghe) anali del proprio bambino, oppure le feci, alcune volte è possibile vedere il parassita (piccoli e mobili filamenti biancastri), a occhio nudo. La presenza delle uova nelle feci è dimostrabile attraverso l’esame parassitologico delle feci. Su

indicazione sempre del pediatra si può ricorrere a un test molto semplice, lo scotch test: si tratta di un nastro adesivo trasparente da applicare sull’apertura anale; le uova, e a volte anche gli stessi parassiti, vi aderiscono e dopo applicazione del nastro sul vetrino si possono osservare al microscopio. Questa ricerca va eseguita al mattino, appena il bambino è sveglio e prima di lavargli il sedere. Lo scotch va staccato dopo circa cinque minuti e incollato su un vetrino. Va verificato che vi sia una buona aderenza al vetrino. L’operazione va ripetuta per tre mattine; i vetrini, conservati a temperatura ambiente, vanno poi consegnati al laboratorio di analisi mediche. Quanto dura il periodo di incubazione? Una volta ingerite le uova, sono necessarie circa due-sei settimane per la conclusione del ciclo biologico che porta alla matu-

razione delle femmine capaci di deporre nuovamente le uova, nella regione perianale. Le uova risultano molto resistenti all’ambiente esterno e possono restare vitali (e quindi infettive) fino a tre settimane. Sopravvivono a lungo a basse temperature, ma non tollerano quelle alte. Quando si è contagiosi? Il periodo di contagiosità corrisponde al periodo di deposizione delle uova in regione perianale. Qual è la cura? Il trattamento antiparassitario prevede la somministrazione di farmaci per via orale in dose unica e da ripetersi dopo due settimane (deve agire sia sul parassita che sulle uova). Per aumentare l’efficacia del trattamento è bene che il pediatra, che lo prescrive al bambino, lo consigli anche a tutti i conviventi e deve essere assunto negli stessi giorni in cui lo prende il bambino infetto.

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IN FAMIGLIA

BAMBINI

Massaggio infantile Come e perché farlo ∞  A CURA DI VIOLA COMPOSTELLA

Carezze e massaggi sono gesti importantissimi per lo sviluppo armonico del bambino, per il suo benessere psico-fisico ma anche per quello della mamma e del papà. Nella vita quotidiana sono molte occasioni di “contatto”: dal cambio del pannolino al bagnetto. Ma altre possono essere create appositamente, ritagliandosi momenti tutti per sé che aiutano a instaurare una comunicazione profonda tra genitori e neonato. Ne parliamo con Annamaria Mangili, massofisioterapista. Cos’è il massaggio del bambino? Il massaggio del bambino non è una tecnica, né una terapia, ma un modo piacevole e rilassante per stabilire un contatto profondo con il proprio bambino. Nel patrimonio

culturale di molti Paesi del mondo, il massaggio del bambino costituisce una tradizione antica, tramandata di madre in figlia. Negli ultimi anni, anche grazie agli studi sempre più numerosi sulla comunicazione tattile e sulla relazione tra genitore e bambino, il massaggio infantile è stato riscoperto in tutta la sua importanza. Il massaggio del bambino è semplice, ogni genitore può apprenderlo

Il massaggio del bambino attiva e stimola esperienze di comunicazione non verbale: sorriso, contatto visivo, contatto attraverso la pelle”

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L’ABC PER INIZIARE Il massaggio infantile può essere effettuato dalla nascita fino a 12 mesi, ma anche dopo adattandolo alle diverse fasi della crescita. Il bambino deve essere fatto sdraiare su un letto o meglio ancora per terra su cuscini, possibilmente dopo il bagnetto, prima della nanna, in un ambiente riscaldato e con luci soffuse. Il massaggio comincia dalle gambe, poi si passa all’addome, al torace, alle braccia al viso e alla schiena. Le mani devono essere calde e i primi sfioramenti leggeri.


facilmente e può adattarsi alle esigenze del bambino, fin da piccolo e durante le diverse fasi della sua crescita. Grazie a questo contatto profondo è possibile accompagnare, proteggere e stimolare la crescita e la salute del proprio bambino: è un modo privilegiato per comunicare ed essere in contatto con lui; è una pratica che si fonda sul rispetto, il silenzio e I’ascolto attivo. Che benefici offre al neonato? L’evidenza clinica e recenti ricerche hanno infatti dimostrato che il massaggio comporta numerosi effetti benefici sullo sviluppo e sulla maturazione del piccolo. In particolare, favorisce le funzioni vitali

(apparato circolatorio, digerente, immunitario, respiratorio), induce il rilassamento e aiuta a contrastare disturbi del sonno. Migliora il funzionamento dell’intestino, contribuisce a prevenire o dare sollievo in caso di stipsi e meteorismo e coliche addominali. Cosa insegna invece ai genitori? Il massaggio costituisce per il genitore un’occasione preziosa per scoprire e imparare ad ascoltare i segnali del proprio bambino, così da accoglierne i bisogni in modo attento e rispettoso. Promuovendo e sostenendo il contatto e la comunicazione profonda, non solo aiuta il genitore a comprendere meglio

il linguaggio unico del proprio bambino, ma anche il proprio (il proprio nuovo mondo interiore come genitore).

ANNAMARIA MANGILI Massofisioterapista Incorpomente Bonate Sotto


IN FAMIGLIA

RAGAZZI

Dipendenza da smartphone? Aumenta il rischio di abbandono scolastico ∞  A CURA DI ELENA BUONANNO

Il 38% dei ragazzi tra i 13 e i 15 anni ha dichiarato di aver fatto in media 15 assenze per rimanere a casa davanti al pc o allo smartphone. Il 18% di averne fatte 30 per la stessa motivazione e il 20% ha sfiorato i 100 giorni, numero quest’ultimo che prevede la bocciatura e la perdita dell’anno scolastico. Sono questi alcuni dei dati allarmanti emersi dall’ultima ricerca condotta dall’Associazione Nazionale Di.Te. (Dipendenze Tecnologiche, Gap, e Cyberbullismo), condotta su un campione di 5.000 ragazzi tra i 13 e i 15. E le cose non migliorano molto nella fascia di età successiva, tra i 16 e i 18 anni, in cui il 16% dichiara di essere stato a casa da scuola per un periodo di tempo compreso tra i 50 e i 60

giorni sempre per potersi dedicare a computer e smartphone. E non è tutto: gli intervistati, nella loro totalità, hanno ammesso di aver ridotto la loro vita sociale anche fuori dagli ambiti scolastici per dedicarsi ai social network e alla tecnologia in generale. Sono più i maschi o più le femmine a chiedere ai genitori di rimanere a casa da scuola? «Per la prima volta, assistiamo a un’inversione di tendenza. Se fino a non molto tempo fa erano i ragazzi a farsi firmare le giustificazioni dai genitori

ora in maggioranza sono ragazze, soprattutto tra i 13 e i 15: stanno a casa circa una ventina di giorni per fare attività social» osserva Giuseppe Lavenia, psicologo e psicoterapeuta, presidente dell’Associazione Nazionale Di.Te- Dipendenze Tecnologiche, GAP e Cyberbullismo, nata con l’obiettivo di indagare i temi sempre più diffusi delle nuove dipendenze, oltre ad attivarsi concretamente con azioni formative, di sensibilizzazione e di prevenzione nei confronti di questi fenomeni che stanno assumendo dimensioni sempre più preoccupanti.

Giovani e nuove tecnologie, una relazione che può diventare patologica Il 51% dei ragazzi tra i 15 e i 20 anni ha difficoltà a prendersi una pausa dalle nuove tecnologie tanto da controllare in media lo smartphone 75 volte al giorno, il 7% lo fa fino a 110 volte al giorno. La dipendenza può avere diverse sfaccettature: c’è la Nomofobia, la paura di non avere con sé il cellulare e di non poterlo controllare, la Fomo (dall’inglese Fear of missing out), ovvero la paura di essere tagliati fuori da qualcosa, il Vamping e tutti gli altri fenomeni legati alle web compulsioni che tengono incollate le persone agli strumenti digitali, in particolare allo smartphone.


I CAMPANELLI D’ALLARME Come possono i genitori capire se la dipendenza che caratterizza i ragazzi è nella norma o se invece sta diventando patologica? Esistono alcuni segni caratteristici come: l’alterazione del ciclo sonno-veglia, il mutare della condivisione sociale offline, il modificarsi di alcuni tratti caratteriali. In breve, un’alterazione delle abilità relazionali e sociali.

E i ragazzi cosa dicono ai genitori quando chiedono loro di rimanere a casa da scuola? «Molte volte non chiedono niente. Rimangono a letto e basta. Non vogliono alzarsi perché sono stati svegli tutta la notte a smanettare sullo smartphone. Oppure manifestano un malessere dovuto dai giorni di insonnia, come mal di testa importanti. Quelli che vanno a scuola, nonostante questi disagi fisici, poi restano a casa, a volte abbandonando persino la scuola, perché si rendono conto di non riuscire a stare attenti e iniziano a sentirsi

inadeguati rispetto ai compagni. Così, preferiscono fare i leoni da tastiera. Alcuni, diventano anche aggressivi e minacciano i genitori, che pur di non farli agitare ulteriormente accondiscendono al loro bisogno di non uscire di casa per andare in classe», continua Lavenia. Che cosa si dovrebbe fare? «Restituire il senso della genitorialità. In molti casi, soprattutto in quelli più problematici, i genitori sono assenti. Non chiedono al figlio se ha bisogno di un aiuto esterno e

MIKI

non cercano di motivarlo a trovare insieme soluzioni. Nei casi “meno gravi”, invece, finché il figlio va a scuola si pensa che non ci siano problemi. Non ci sono più confini, mentre i ragazzi ne hanno disperatamente bisogno. Hanno bisogno di sapere che hanno degli argini: i no possono aiutare a crescere meglio, perché sono una forma di attenzione. Bisogna diventare un esempio per i figli, concedersi momenti di detox condivisi dalle nuove tecnologie, darsi la regola fissa di stare a tavola senza alcun tipo di strumento tecnologico. Bisogna essere consapevoli che il tempo del “tutto e subito” sta facendo entrare in confusione tutti, sia gli adulti sia gli adolescenti» conclude Lavenia.

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IN FORMA

FITNESS

Fitboxe Prendi a pugni lo stress e ritrovi la forma

∞  A CURA DI ELENA BUONANNO

Permette di scaricare stress e tensioni e allo stesso tempo “bruciare” calorie e ritrovare la forma fisica divertendosi. È la Fitboxe o “aerobica boxata”, “disciplina” che combina l’aerobica e le arti marziali e sport da combattimento più conosciuti in tutto il mondo come Karate, Boxe Tailandese, Boxe, Kick Boxing. «La Fitboxe si svolge in gruppo a suon di calci, pugni, gomitate, ginocchiate, schivate etc., a ritmo di musica, con un sacco speciale che “incassa” questi colpi permet-

tendo di sfogare le tensioni accumulate nella vita quotidiana e di migliorare la forma fisica» osserva Giacomo Strabla, istruttore. «Il tutto sotto la guida di un istruttore che detta le sequenze di tecniche da eseguire e ne controlla lo svolgimento». In che cosa consiste la fitboxe? La Fitboxe o “aerobica boxata” è una “disciplina” che permette di scaricare stress e tensioni e allo stesso tempo“bruciare” calorie e ritrovare la forma fisica divertendosi.

Come è nata questa disciplina? La Fitboxe nasce nel 2000 da un’idea di un’insegnante di educazione fisica e dello staff aziendale con cui collaborava a quei tempi. Subito si capì che quest’attività era destinata ad ave-

Attenzione se si hanno problemi di cuore o articolazioni Come in generale per altre attività sportive, prima di iniziare, è fondamentale valutare le condizioni fisiche della persona. Attraverso le informazioni raccolte, l’insegnante sarà in grado di consigliare o meno la pratica della Fitboxe. Per chi soffre di patologie cardiache o articolari a ginocchia, colonna vertebrale e spalle, è necessario consultare il proprio medico e seguirne i consigli prima di intraprendere qualsiasi attività motoria, Fitboxe inclusa.

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re un successo prorompente. E le premesse sono state confermate dai fatti: in questo “quasi ventennio” si è diffusa ed affermata in tutto il mondo. Quali sono i benefici fisici e mentali che offre? Sono davvero molti e importanti. Tra questi: miglioramento dell’efficienza del sistema cardiovascolare e respiratorio, aumento della resistenza generale, dimagrimento grazie all’elevato dispendio calorico consumato a ogni lezione, incremento del tono muscolare (all’interno delle sedute d’allenamento sono spesso presenti eser-

GIACOMO STRABLA Personal Trainer Istruttore Fitboxe 1° e 2° livello a Telgate (BG)

La durata di una lezione di Fitboxe può variare dai 30 ai 60 minuti”

cizi di potenziamento muscolare), innalzamento del metabolismo basale, miglioramento dei riflessi e della coordinazione generale (durante le lezioni si è costretti a coordinare arti superiori/busto/ arti inferiori in sequenze di pochissimi secondi e con recuperi a volte ridotti), aumento della mobilità articolare ed elasticità muscolare dovuti all’esecuzione di esercizi di mobilizzazione e stretching generale in ogni lezione, abbassamento dei livelli di stress, potenziamento dell’autostima grazie all’acquisizione delle tecniche di base delle arti marziali e di alcuni sport da combattimento. Attenzione però, su quest’ultimo aspetto non bisogna fare confusione: se l’obiettivo è “imparare a difendersi” o a “combattere” bisognerà orientarsi sulle specifiche discipline marziali o da combattimento e non su un corso di Fitboxe. La Fitboxe è una divertente ed efficace disciplina fitness.

Ma è adatta a tutti? È un’attività che si presta ad essere praticata da persone in buone condizioni fisiche, fascia d’età piuttosto giovane e preferibilmente con un grado di preparazione fisica sufficiente perché richiede un notevole impegno fisico fin dalle prime lezioni. Rispettati questi “requisiti” chi inizierà a praticare Fitboxe riuscirà da subito ad assaporare le piacevoli sensazioni di benessere fisico e psichico che regala mentre la si pratica e soprattutto alla fine di ogni seduta d’allenamento. Quante volte alla settimana andrebbe praticata per avere risultati e benefici? Se si pratica solo Fitboxe, due/ tre allenamenti a settimana sono sufficienti. Un’altra soluzione è aggiungere una seduta di Fitboxe a settimana a un altro o altri sport praticati. In questo modo il vantaggio sarà doppio poiché il corpo verrà stimolato in modo differente nell’arco della settimana (fattore molto importante) inoltre questa varietà risulterà sempre un’alleata importante per tenere lontane le situazioni di “noia” nelle quali si può incappare a medio-lungo termine quando ci si allena con costanza.

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IN FORMA

BELLEZZA

Obiettivo

mani senza età

∞  A CURA DI GIULIA SAMMARCO

Sono il nostro biglietto da visita. Una parte attiva e integrante della nostra vita sociale, spesso il mezzo che abbiamo di relazionarci con le persone. Pensiamo, ad esempio, a una stretta di mano quando conosciamo qualcuno, a un abbraccio o una carezza per dimostrare il nostro affetto, al gesticolare mentre parliamo. Purtroppo, però, le mani spesso invecchiano prima di altre parti del corpo. Perché? «Di tutte le parti del nostro corpo, le mani sono continuamente esposte al contatto con acqua e sostanze chimiche, al freddo, al vento e all’azione dei raggi ultravioletti» avverte la dottoressa Elena Bruni, dermatologa. «La pelle del dorso delle mani, inoltre, è sottile, delicata e tende a disidratarsi con estrema facilità. Ecco perché proprio le mani mostrano i segni dell’invecchiamento, prima di altre aree cutanee, perdendo morbidezza e riempiendosi di macchie e di antiestetiche rughe». La buona notizia è che, contrariamente a quanto si pensi, esistono trattamenti di medicina estetica efficaci per ringiovanire e “rinfrescare” l’aspetto delle mani, a cominciare dal peeling per eseguire il quale l’inverno rappresenta la stagione ideale.

COME PREVENIRE DANNI E FASTIDI In inverno la pelle delle mani, proprio come quella del viso, ha bisogno di maggiori attenzioni per “rinforzare” l’effetto barriera e prevenire danni. In particolare, può essere utile fare un impacco con una crema idratante, meglio se con fosfodipina, un complesso attivo costituito da due principi naturali: i fosfolipidi, sostanze che compongono le membrane delle nostre cellule e perciò riescono a rinforzarle in modo da difenderle dal freddo, e la glucosamina, che favorisce la formazione di nuovo acido ialuronico e collagene, fondamentali per mantenere la pelle nutrita, idratata in profondità e resistente. Una volta stesa la crema, s’indossano dei guanti leggeri di polietilene (vanno bene anche quelli utilizzati al supermercato per l’acquisto di frutta e verdura) per un’ora. Un’altra regola fondamentale di prevenzione per evitare una pelle arida, secca e solcata da reticoli di rughe, ma anche la comparsa di macchie senili e solari, è tenerla al riparo dall’aggressione dei raggi ultravioletti proteggendola ogni giorno, tutto l’anno, con creme di fattore 50+.

Dottoressa Bruni, da che età in genere le mani iniziano a tradire i segni dell’invecchiamento? Spesso, dopo i 40 anni, la pelle delle mani incomincia a macchiarsi assumendo un aspetto più vecchieggiante rispetto a quella del viso che curiamo sempre di più con creme solari ad alto fattore protettivo. Le cosiddette “lentigo senili” che si formano sono talvolta numerose e possono impattare

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notevolmente sulla nostra immagine. Legate al cronoaging, il processo di invecchiamento spontaneo, possono essere favorite e/o peggiorate dall’esposizione al sole senza l’adeguata protezione. Cosa si può fare per attenuarle o cancellarle? Ad oggi il trattamento più efficace è il peeling chimico che serve a stimolare la rigenerazione cellulare rimuovendo ed esfoliando le


cellule morte della pelle, provocando una vera e propria accelerazione del ricambio cellulare. Produce un’infiammazione che attiva la produzione di collagene ed elastina. Un peeling può agire sia a livello dello strato più superficiale della pelle sia a livello più profondo. La profondità d’azione del peeling dipende dall’agente chimico utilizzato, dalla sua concentrazione, dal tempo di posa, dal risultato che si vuole ottenere. Va bene qualsiasi tipo di peeling per eliminare le macchie sulle mani? No, è necessario eseguire un peeling a base di acido tricloracetico che ha un effetto sbiancante, aumenta la luminosità alla pelle e riduce il fotoaging cutaneo. Il peeling all’acido tricloroacetico può essere più o meno profondo a se-

condo della percentuale di acido che viene utilizzata. Quando si eseguono peeling medio-profondi si determina spesso un effetto frost che si manifesta con una patina bianca che può essere più o meno intenso ed è indice della buona riuscita del trattamento. Nei giorni successivi al peeling si possono formare delle croste di colorito scuro o rosso ed è fondamentale proteggere la pelle dai raggi solari. Per questo si preferisce eseguire tale trattamento nei mesi invernali. Dopo pochi giorni vi è la fase esfoliativa al termine della quale la pelle appare rinnovata. Il peeling chimico viene effettuato dal medico in ambulatorio con ottimi risultati estetici.

del paziente e il trattamento andrà mediamente ripetuto ogni 28 giorni per due o tre volte. È doloroso? Il fastidio durante il trattamento varia da persona a persona ma generalmente è minimo e si limita a una leggera sensazione di pizzicore di qualche minuto.

DOTT.SSA ELENA BRUNI Specialista in dermatologia Istituto Dermoclinico Vita Cutis presso Smart Clinic Oriocenter

Quanto dura? Il tempo di applicazione è di pochi minuti prima di neutralizzare l’acido con una soluzione tampone, ma è variabile a seconda del tipo di pelle Gennaio/Febbraio 2019 | Bergamo Salute | 51


ATS INFORMA

Incidenti sulle piste da sci (e fuori): le regole per evitarli… … e vivere la montagna in sicurezza ∞  A CURA DI ATS BERGAMO

La stagione sciistica è in corso e, a piste aperte, si registrano cadute accidentali, scontri fra persone e urti contro ostacoli. Troppi incidenti che è fondamentale cercare di ridurre. Come? Tenendo ben presente le disposizioni normative vigenti e non sottovalutando i richiami alla prudenza e al buon senso.

che le regole di precedenza, come l’obbligo per lo sciatore, a monte, di non intralciare la traiettoria di chi scia più a valle, sorpassando altri utenti senza creare disturbo o prestare soccorso in caso di infortuni» sottolinea Pietro Imbrogno, medico e direttore del Dipartimento Igiene e Prevenzione sanitaria di Ats Bergamo.

La legge n. 363 del 2003 richiama proprio l’attenzione su come prevenire i rischi di incidenti, anche gravi, sulle piste, regolando sia l’attività dei gestori delle aree sciabili attrezzate sia l’utilizzo di questi spazi da parte di tutti gli utenti, con precisi obblighi e doveri e con l’introduzione di specifiche sanzioni per le eventuali violazioni. «Fra le principali prescrizioni per gli sciatori, vi è l’obbligo di tenere una velocità e un comportamento adeguati alla propria preparazione, modulando l’andatura alle condizioni generali della pista, alla libera visuale, al tempo e all’intensità del traffico. Importante rispettare an-

Ma lo sci su pista non è l’unica attività in cui si cimentano gli amanti della montagna. Spesso, infatti, le notizie più tragiche riguardano infortuni a seguito di slavine e valanghe causate dall’incauto attraversamento di zone a rischio o da fuoripista effettuati nonostante i divieti. Per godere le meraviglie della montagna è necessario conoscerla, il pendio su cui scorrono gli sci deve essere verificato. È, quindi, assolutamente necessario evitare di sfidare situazioni di pericolo già segnalate: tutti devono rispettare la segnaletica prevista dotandosi di un’attrezzatura adeguata e ben funzionante.

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Un quadro completo per frequentare in sicurezza le piste e la montagna, viene offerto sia dalla Polizia di Stato, che garantisce supporto e soccorso per tutta la stagione invernale, sia dal manuale “Neve in pista…casco in testa” dell’Ente Italiano di Normazione che affronta tutti gli aspetti legati alla sicurezza: dalla corretta segnaletica che i gestori devono apporre sulle piste, alle caratteristiche dei caschi da sci, dalle attrezzature a norma (occhialoni, scarponi, attacchi, racchette da neve e paraschiena) al comportamento corretto e responsabile che gli sciatori devono tenere in pista. Ecco le principali regole per i frequentatori delle piste, che si possono trovare anche sul portale www. ats-bg.it. 1. Rispetto per gli altri Ogni sciatore deve comportarsi in modo da non mettere in pericolo altre persone o provocare danni. 2. Padronanza della velocità e del comportamento.


Ogni sciatore deve tenere una velocità e un comportamento adeguati alla propria capacità nonché alle condizioni generali della pista, della libera visuale, del tempo e dell’intensità del traffico. 3. Scelta della direzione Lo sciatore a monte che ha la possibilità di scegliere il percorso, deve tenere una direzione che eviti il pericolo di collisione con lo sciatore a valle. 4. Sorpasso Il sorpasso può essere effettuato (in caso di sufficiente spazio e visibilità), tanto a monte quanto a valle, sulla destra o sulla sinistra, ma sempre a una distanza tale da evitare intralci allo sciatore sorpassato. 5. Immissione e incrocio Lo sciatore che s’immette su una pista o che riparte dopo una sosta, deve assicurarsi di poterlo fare senza pericolo per sé o per gli altri; negli incroci deve dare la precedenza a chi proviene da destra o secondo indicazioni specifiche. 6. Sosta Lo sciatore deve evitare di fermar-

si, se non in caso di necessità, nei passaggi obbligati o senza visibilità. La sosta deve avvenire ai bordi della pista. In caso di caduta lo sciatore deve sgomberare la pista al più presto possibile. 7. Salita In caso di urgente necessità lo sciatore che risale la pista, o la discende a piedi, deve procedere soltanto ai bordi della stessa. 8. Rispetto della segnaletica Tutti gli sciatori devono rispettare la segnaletica prevista per le piste da sci e in particolare osservare l’obbligo del casco per i minori di 14 anni. 9. Soccorso Chiunque deve prestarsi per il soccorso in caso d’incidente. 10. Identificazione Chiunque sia coinvolto in un incidente o ne sia testimone è tenuto a dare le proprie generalità. Infine, le belle giornate e la scarsità di neve possono indurre gli escursionisti ad avventurarsi su quote più alte o su sentieri ritenuti sicuri. Il pericolo può essere in questi casi la

presenza di ghiaccio, anche solo su piccole superfici in zone d’ombra. Anche in questo caso il consiglio è quello di prestare la massima attenzione per evitare cadute. Il percorso deve sempre essere calcolato in anticipo. Informarsi è facile, scuole di sci, di escursionismo, guide alpine, associazioni di riferimento possono fornire le indicazioni per vivere la montagna in sicurezza.

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ALTRE TERAPIE

Yamuna Body Rolling

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Un’esperienza innovativa che promette l’allungamento muscolare profondo, l’elasticità e la tonicità muscolare e la scioltezza delle articolazioni. Parliamo di Yamuna® Body Rolling, una tecnica nata negli Stati Uniti circa 30 anni fa a opera della terapista Yamuna Zake. «Yamuna® Body Rolling è un’attività fisica con cui si possono ottenere effetti positivi a lungo termine, come l’aumento della densità ossea, e si può contrastare l’usura che inevitabilmente il nostro corpo subisce nel tempo» spiega Mariangels Pujol, istruttrice certificata di YBR®, che abbiamo incontrato per capire meglio di che cosa si tratta. Che cosa è esattamente il YBR®? È una ginnastica in cui si utilizzano palle o sfere speciali, con dimensioni e consistenza diverse (più morbide all’inizio più dure quando si è più

allenati) appositamente studiate per i diversi distretti, fatte scorrere lungo il corpo. Il lavoro si impernia su tre principi cardine: stimolazione dell’osso, stimolazione del tendine e scioglimento e allungamento del muscolo. Si applica dalla testa ai piedi con routine specifiche per ciascuna zona, “tarate” a seconda dell’obiettivo che si vuole ottenere e del livello di preparazione fisica. Gli esercizi possono essere eseguiti sdraiati o in piedi, ma comunque in carico sulle sfere (il lavoro in carico ha un’azione osteogenica, ovvero di stimolazione delle ossa). Molto importante, in particolare, è il lavoro di rinforzo della colonna vertebrale che già dopo poche sedute fa sentire più leggeri e attivi e aiuta a migliorare la postura. Yamuna Zake era partita dal cosiddetto “body logic”, un massaggio che viene eseguito con il gomito in particolari punti di pressione da

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un terapeuta specializzato. Il “body rolling” è stato concepito in un secondo tempo come auto trattamento. Per praticarlo serve però un percorso di allenamento in piccoli gruppi con la supervisione di un istruttore qualificato: l’uso scorretto delle sfere può essere non proficuo o addirittura dannoso.

MARIANGELS PUJOL Istruttrice certificata di YBR® Yoga Bergamo


UN ALLENAMENTO SPECIFICO PER I PIEDI Si chiama Yamuna® Foot Fitness, la versione di body rolling studiata espressamente per il piede. La tecnica, in cui si utilizzano anche semisfere con appositi rilievi, è in grado di stimolare i punti di riflessologia plantare e può prevenire o alleviare alcuni problemi comuni come la fascite plantare, il dito a martello, il piede piatto etc. Il foot fitness stimola la funzionalità di tutte le parti del piede, creando il vero supporto per il resto del corpo. Dona un sollievo naturale a chi deve usare scarpe antiinfortunistiche ma rende anche più agevole l’uso delle scarpe da donna con tacco alto. Dopo avere imparato i movimenti corretti si può praticare cinque minuti al giorno per mantenere i risultati.

Normalmente il percorso prevede una lezione alla settimana. Quali sono gli effetti degli esercizi con le sfere? Sin dalle prime lezioni si percepisce un senso di benessere generale, aumenta l’elasticità dei movimenti, diminuiscono i dolori articolari. Con il lavoro personalizzato si può migliorare la postura, per gli sportivi è un ottimo alleato nella prevenzione degli infortuni e per facilitare

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il tempo di ricupero dalle lesioni. È molto indicato per chi corre, aiuta a prevenire problemi alle ginocchia e ai tendini, ma anche per chi pratica il golf o il tennis, con benefici a livello della spalla, molto sollecitata in questi sport. Nel calcio, pallacanestro e pallavolo, in cui l’impatto sulle articolazioni dei piedi e delle gambe è intenso, dà ottimi risultati. Nella danza aiuta la scioltezza di tutti i movimenti, in particolare a livello dell’anca e rinforza i piedi.

Ci sono controindicazioni? Agendo in profondità sui muscoli e le ossa, se ci si è sottoposti a interventi chirurgici si consiglia di attendere almeno tre mesi dopo l’intervento per iniziare l’attività; in caso di radioterapia è necessario chiedere il permesso del medico e in generale attendere almeno sei mesi. Deve essere, infine, evitato dalle persone affette da qualunque tipo di sarcoma osseo.

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GUIDA ESAMI

Topografia corneale Un esame fondamentale per fotografare la salute della cornea e la sua influenza sulla capacità visiva ∞  A CURA DI VIOLA COMPOSTELLA

Permette di misurare le curvature della cornea e contribuisce in modo molto preciso a determinare le componenti corneali dei difetti refrattivi dell’occhio; offre inoltre un’immagine dettagliata della salute della cornea stessa. Per questo la topografia corneale, detta anche mappa corneale, e la pachimetria corneale

La cornea è responsabile per circa l’80% della messa a fuoco delle immagini. Per una visione nitida è fondamentale che abbia una forma regolare”

(misurazione degli spessori della cornea) rappresentano un esame di secondo livello, fondamentali in molte e diverse situazioni, ad esempio nella diagnosi e nella stadiazione del cheratocono o prima e dopo essere sottoposti a interventi di chirurgia refrattiva. Ma come si svolge? Di che tipo di esame si tratta? Ne parliamo con il dottor Giulio Leopardi, Oculista. Dottor Leopardi, in cosa consiste la topografia corneale? La topografia corneale serve per valutare le curvature centrali e periferiche della cornea (tessuto trasparente che riveste la superficie anteriore dell’occhio, una piccola cupola che funge da “barriera” esterna del bulbo oculare), la pachimetria corneale misura lo spessore della cornea in ogni sua proiezione.

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UNA MAPPA A COLORI L’esito della topografia corneale è una mappa colorata, in cui ogni colore corrisponde a una curvatura più o meno accentuata: i colori freddi, ad esempio il blu e l’azzurro, si riferiscono ai punti più piatti, mentre quelli caldi come il rosso e l’arancione, sono segno di una curvatura più elevata, il colore verde infine rappresenta la superficie sferica, e quindi normale, della cornea.

Il topografo corneale, lo strumento che esegue contemporaneamente questi due esami, si avvale della proiezione sulla cornea di un disco cosiddetto di Placido (una serie di anelli concentrici, solitamente 16). Il computer che analizza l’immagine dei 16 anelli concentrici produce un grafico che descrive le curvature della cornea punto per punto, evidenziando le eventuali aree patologiche del tessuto esaminato. I mappatori corneali di


seconda generazione analizzano anche la faccia interna della cornea e nel contempo ne misurano lo spessore (pachimetria corneale). Oggi stiamo arrivando alla terza generazione, con strumenti che analizzano, oltre che i parametri sopra ricordati, l’omogeneità del tessuto corneale micron a micron. Perché è così importante misurare, punto per punto, la sua curvatura? Quando i raggi di luce che trasportano le immagini giungono all’occhio, una serie di lenti dell’occhio stesso provvede a far convergere questi raggi sulla regione centrale della retina, chiamata macula. La prima e più “potente” lente dell’occhio è proprio la cornea, con le sue circa 40 - 45 diottrie (il cristallino, la lente interna all’occhio, ne esprime circa 20) e quindi per ottenere immagini nitide è necessario che abbia una forma regolare: la cornea ideale è un tronco di sfera, in cui tutti i raggi di curvatura sono uguali (cornea anastigmatica, praticamente impossibile da trovare). La perfetta valutazione delle sue caratteristiche offre parametri con cui si possono spesso dirimere disturbi visivi/ refrattivi più o meno accentuati. Tra questi il più conosciuto è l’astigmatismo, nella maggior parte dei casi

correggibile con la prescrizione di occhiali, cioè di una lente esterna all’occhio che concorre a far arrivare le immagini perfettamente a fuoco sulla macula.

La topografia corneale consiste in una fotografia, presa a distanza dall’occhio e quindi assolutamente non dolorosa e priva di effetti collaterali.

A cosa serve e in quali casi è utile? La topografia corneale e più ancora la misurazione dello spessore della cornea consentono di redigere il programma personalizzato per tutti i trattamenti laser refrattivi (PRK, femtoLASIK e SMILE per la correzione di miopia, ipermetropia, astigmatismo e presbiopia). Inoltre, la topografia corneale e la pachimetria permettono la diagnosi di patologie della curvatura corneale, la più conosciuta delle quali è il cheratocono. Un’altra applicazione utilissima dei mappatori corneali di ultima generazione è l’analisi del film lacrimale, con appositi programmi che ne studiano l’adesione alla superficie anteriore della cornea. Il film lacrimale può valere fino a una diottria di variazione di occhiale qualora non si distenda omogeneamente sulla cornea (ad esempio nel caso dell’occhio secco, sindrome della quale oggi si parla moltissimo).

Bisogna seguire una preparazione particolare prima di sottoporsi all’esame? In generale bisogna togliere le lenti a contatto, qualora utilizzate, almeno cinque giorni prima dell’esame; se la topografia servisse per una valutazione in vista di chirurgia refrattiva, sarà l’Oculista a stabilire il periodo di astinenza dalle lenti a contatto, in alcuni casi molto più lungo dei cinque giorni canonici.

È un esame doloroso? Presenta dei rischi?

DOTT. GIULIO LEOPARDI Responsabile Unità Oculistica Policlinico San Pietro Smart Clinic Oriocenter

Se la cornea si “appuntisce” Il cheratocono è una malattia progressiva che provoca l’assottigliamento e la deformazione della cornea che assume così la caratteristica forma conica. In particolare la cornea si indebolisce assottigliandosi per un processo di “slittamento” dei legami intercellulari delle cellule corneali e, quindi, inizia a sfiancarsi nella zona centrale o paracentrale temporale. Sia lo spessore sia la curvatura della cornea risultano modificate, con la conseguenza che l’immagine diventa sfuocata (astigmatismo irregolare). I sintomi iniziali dunque sono legati a questi difetti refrattivi. Il cheratocono normalmente non dà dolore, può associarsi ad iperemia congiuntivale (occhio arrossato).

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Cani in ufficio

Meno stress e più produttività per i padroni… Ma per i cani? ∞  A CURA DI GIULIA SAMMARCO

Creano momenti di distrazione che aiutano a rilassare e mantenere l’equilibrio psico-fisico, migliorano l’umore aumentando la produttività, favoriscono relazioni interpersonali. Sono solo alcuni dei benefici che offrirebbe la presenza del proprio cane in ufficio. Un vero toccasana non solo per i lavoratori ma anche per le aziende, che potrebbero contare su una maggiore motivazione e creatività. A dirlo sono sempre più ricerche scientifiche. I ricercatori della Virginia Commonwealth University, ad esempio, hanno studiato i livelli di stress dei dipendenti di un’azienda manifatturiera che hanno portato i cani a lavorare: l’esito ha rivelato che gli impiegati amanti dei cani hanno riferito di sentirsi significativamente meno stressati rispetto a

Sono sempre di più anche in Italia le imprese che aprono le porte agli amici a quattro zampe” quelli non accompagnati dal proprio amico a quattro zampe. Ma questo è solo uno dei tanti benefici del portare con sé al lavoro il proprio animale. Come ci spiega Stefano Cortinovis, consulente relazionale. Quali sono i vantaggi su umore, produttività, salute del proprietario offerti dalla presenza del cane in ufficio e perché?

I benefici che l’animale umano può ottenere attraverso la relazione e l’interazione con l’animale non umano sono ormai stati dimostrati anche sul piano scientifico, sono assodati. Sul piano corporeo, la presenza del cane, il contatto con il pelo ma anche solo la presenza dell’animale nello spazio si ripercuotono positivamente a livello dell’apparato cardio-circolatorio e di quello respiratorio, con riduzione dei valori della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca, il respiro cambia e diviene più profondo. I proprietari di animali hanno livelli più bassi di colesterolo e trigliceridi (colpevoli di molte malattie cardiache), inoltre la relazione con l’animale può elevare i livelli di serotonina e dopamina, che abbassano i livelli di stress. Questo

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ANIMALI

cambiamento sul piano fisico e fisiologico rende la persona più tranquilla e in una situazione di rilassamento: questo non significa che la persona sarà portata ad avvicinarsi a uno stato di sonno, anzi, lo stato che si può ottenere è quello ottimale per la produttività, poiché questo stato di equilibrio permette alla persona di migliorare la sua performance a fronte di un minor dispendio di energie. Alla luce di queste considerazioni va sottolineato che per l’animale umano, sul piano psicologico, si ottiene un miglioramento di gestione di situazioni stressanti e una maggior consapevolezza corporea ed emotiva. Non dimentichiamo che l’animale non umano è maestro di presenza, rimanda costantemente al “qui ed ora”, aspetto che noi animali umani spesso dimentichiamo. La relazione con l’animale ci rimanda quindi a questo aspetto così importante

per prevenire problemi come la depressione (per cose successe nel passato) o l’ansia (per quello che accadrà nel futuro). Quali sono invece i pro e i contro del trascorrere la giornata sul posto di lavoro del proprio compagno umano per i cani? Facciamo una premessa: il cane è un animale Sociale. Questo va tenuto in considerazione prima di decidere di accogliere un cane (ma più in generale un animale) nella nostra vita. È un animale che non ha bisogno solo di spazi fisici (giardino…) ma ha bisogno di avere spazio nella vita degli umani con i quali condivide la sua. Essere proprietario di un cane è una scelta che deve essere ponderata e ragionata, proprio considerando questo aspetto: un cane in un parco enorme che non ha mai interazioni con il suo branco umano è un

cane sofferente. La possibilità di poter portare i propri cani in ufficio, quindi, ha una connotazione positiva perché permette all’animale di “vivere il branco”. Forse questo è l’unico aspetto positivo per il cane. A questo proposito vale la pena riflettere su ciò che sta succedendo alla relazione con l’animale non umano. Mi spiego meglio: troppo spesso umanizziamo l’animale, attribuendogli doti, qualità, emozioni e anche difetti che appartengono in realtà all’essere umano; l’animale prova emozioni, ha caratteristiche etologiche di specie e soprattutto inclinazioni individuali, come dimostrato dalle recenti ricerche scientifiche; prova emozioni, gioia, rabbia, felicità, tristezza, ma non possiamo pensare che queste emozioni coincidano con le nostre. La visione antropocentrica (che pone l’uomo al centro di tutto) sta prendendo il sopravvento, men-

Le regole per una convivenza felice... per entrambi > Allestite uno spazio che sia realmente di riposo per il cane, magari con la sua copertina e mettete a disposizione del cane sempre una ciotola di acqua fresca. > Non riempite lo spazio di giochi per il cane “così se si annoia sa cosa fare”… Al cane dei giochini importa poco, interessa che il suo umano giochi con lui, anche tramite i giochini, ma è la relazione che fa la differenza. > Alternate momenti di attivazione e di disattivazione per il cane: vivere tutto il giorno in ufficio dovendo stare tranquillo può essere troppo, anche a seconda delle motivazioni individuali ed età. Quindi alternate momenti in cui il cane possa uscire con voi a momenti in cui può rilassarsi e riposare. > Tenete a disposizione alcuni bastoncini che darete al cane solo su necessità, ma non abbondate nella quantità. Il cane, masticando soprattutto con la zona posteriore della mascella, ha la possibilità di “scaricare lo stress accumulato”. > Imparate a leggere il vostro cane, cosa vi sta comunicando e mettetevi in condizione di comprenderlo appieno. > A volte “fatevi cani”, calatevi nella realtà del vostro cane, cosa vive, come lo vive, di cosa ha bisogno per stare meglio, ma fatelo “mettendo da parte la vostra mente umana”, del resto l’area celebrale deputata alla vita istintuale ed emozionale di animali non umani e umani coincide, quindi sperimentatevi. > Ricordatevi sempre che il cane è un animale sociale, ha bisogno di vita relazionale, di esperienze con i suoi simili e con le altre specie. Se il cane viene in ufficio con voi ma lo ignorate tutto il giorno perché siete presissimi non state necessariamente facendo il suo bene. Se vi impegnate per trovare la giusta misura potrebbe diventare un’esperienza meravigliosa per lui e per voi.

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tre bisogna tornare a una visione ecocentrica (cioè che mette tutti gli esseri viventi sullo stesso piano nel rispetto reciproco della diversità), abbandonando la tendenza umana di vedere sempre il mondo filtrandolo con il nostro cervello. Quindi la domanda diventa: portare il cane in ufficio intanto è un bisogno del suo umano o è un aiuto al benessere dell’animale o ancora fa bene ad entrambi? Il punto è questo. Per vivere una situazione di benessere il cane, ma più in generale ogni essere vivente, ha bisogno di vivere momenti di attivazione (passeggiata, gioco, corsa etc.) alternati a momenti di disattivazione (riposo). Il momento del riposo deve essere per il cane un

tempo-e-uno-spazio di tranquillità, quindi molto dipende dall’ufficio. Quante persone ci sono intorno? Quanti altri cani vengono portati? C’è realmente la possibilità nel mio ufficio di dedicare al mio cane un luogo tranquillo e che sia di ristoro per lui? Attenti, non per voi, per il vostro cane. Dormire in uno spazio dove accedono moltissime persone non è rilassante per il cane, o comunque per alcuni cani. E poi c’è un altro aspetto: quali sono le motivazioni soggettive del mio cane? Se ho un cane che ha bisogno di controllare lo spazio e il suo “branco”, averlo in un ufficio molto trafficato significa non permettergli mai di riposare e di “staccare la spina”, gli chiederemmo troppo. Non esiste quindi una risposta univoca, un cane in un ufficio pur se con il suo

proprietario vive felice? Dipende dal cane, dipende dal proprietario e dipende dall’ufficio e dalla realtà in cui si lavora.

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DAL TERRITORIO

NEWS

NEWS “A spasso con Luisa”: escursioni in montagna per trapiantati Torna anche nel 2019 il progetto “A spasso con Luisa” con otto nuove escursioni in montagna (dal 31 marzo al 30 giugno) per i trapiantati che vogliono migliorare il proprio benessere mentale e fisico, insieme all’esperto del CAI di Bergamo Silvio Calvi, trapiantato di fegato. L’iniziativa, giunta quest’anno alla quinta edizione, è dedicata a Luisa Savoldelli, trapiantata di fegato e grande appassionata di montagna. Si inizia con il rifugio Parafulmine, per poi passare al rifugio Magnolini, e poi ancora al monte Poieto, al rifugio Capanna 2000, al rifugio Giampace, alla Baita Cardeto e al rifugio Curò. L’ultima escursione sarà sulle Dolomiti Bellunesi, il weekend del 29 e 30 giugno, al rifugio Tissi. L’iscrizione è aperta ai trapiantati, ma anche a familiari e amici e agli operatori della ASST Papa Giovanni XXIII. La partecipazione è gratuita, escluse le spese di trasporto. I trapiantati dovranno seguire, con le modalità indicate dal Centro di Medicina dello Sport del Papa Giovanni, le verifiche necessarie ad accertare l’idoneità all’attività sportiva e a valutare il miglioramento del proprio stato di salute grazie all’attività sportiva. Il progetto fa parte del protocollo di ricerca “Trapianto e adesso sport” promosso dal Ministero della Salute e dal Centro Nazionale Trapianti, in collaborazione con l’Istituto Superiore di sanità e con le associazioni dei trapiantati. Per maggiori informazioni e iscrizioni, silviocalvi@tin.it oppure giannyalfieri@hotmail.it.

“L’armadio dei pigiami” tutto il necessario per i ricoverati bisognosi Un modo per essere vicini a chi è doppiamente meno fortunato, indigente e ricoverato. È l’”Armadio dei pigiami”, idea nata alcuni mesi fa da alcuni operatori dell’Ospedale di Treviglio-Caravaggio (Asst Bergamo Ovest), accolta con favore dalla Consulta del Volontariato. Finora “L’Armadio dei pigiami” era rimasto solo sulla carta, in attesa di donazioni che consentissero di creare una scortadi kit monouso di oggetti di prima necessità per pazienti indigenti ricoverati in ospedale (spazzolino, dentifricio, asciugamani, biancheria intima, t-shirt, calze, ciabatte, pigiama/tuta etc.) da poter fornire, su richiesta dei coordinatori infermieristici ai pazienti. La prima adesione ufficiale è arrivata dall’ANDI(Associazione Nazionale Dentisti Italiani) Sezione di Bergamo,che ha donato all’Asst- in collaborazione con la Fondazione ANDI Onlus-50 kit monouso (spazzolini e dentifrici) per l’igiene orale dei degenti più disagiati. L’esempio è stato poi seguito dall’Auser di Treviglio che ha fatto una donazione all’Armadio, fornendo pantofole monouso, spazzolini da denti e capi di biancheria intima. Infine ha aderito anche ilCif, Comitato Italiano Femminile, donando alcuni capi di abbigliamento, utili per creare i kit necessari.


Al via la seconda edizione del master I livello in management delle aziende ospedaliere Si è conclusa ufficialmente la prima edizione del Master di I livello in Management delle Aziende Ospedaliere, nato dalla collaborazione tra il Gruppo ospedaliero San Donato e l’Università degli Studi di Bergamo, una nuova offerta formativa post lauream per i futuri manager del settore sanitario. Il master, durato nove mesi, ha formato figure professionali in grado di gestire la com-

plessa attività di un’azienda ospedaliera, occupandosi del controllo e monitoraggio delle performance economiche, delle sale operatorie e dei reparti, ma anche del personale, dei rischi clinici, dell’ingegneria clinica, della comunicazione e della privacy. Strutturato in una parte teorica e una parte pratica, strettamente legate e interconnesse, ha offerto agli studenti la possibilità di

seguire lezioni frontali nelle aule dell’Università con gli accademici dell’ateneo e i manager del Gruppo San Donato e di sperimentare la didattica pratica aziendale all’interno delle strutture ospedaliere del Gruppo. La prossima edizione del Master inizierà a fine febbraio 2019. Per informazioni e iscrizioni:http:// sdm.unibg.it/corso/managementaziendeospedaliere/

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ONLUS

ANVOLT Da 15 anni accanto a chi lotta contro il tumore ∞  A CURA DI LUCIO BUONANNO

“Più prevenzione meno cancro”. È questo il motto dell’Associazione Nazionale Volontari Lotta contro l Tumori Onlus (ANVOLT) che ha sede anche nella città di Bergamo dal 2004 con due ambulatori e decine di volontari pronti ad aiutare le persone, migliaia ogni anno, che si rivolgono per sottoporsi gratuitamente alle varie visite di prevenzione oncologica sotto la guida di valenti medici anche loro quasi tutti volontari. È l’anima dell’Associazione quella di aiutare gli altri senza pretendere nulla in cambio, se non offerte spontanee importantissime per il mantenimento di tutti i servizi. E così ci si può sottoporre a visite ginecologiche con ecografie transvaginali e pap test, visite senologiche con ecografie mammarie, visite urologiche per la diagnosi precoce del tumore alla prostata e visite dermatologiche per il controllo dei nei. Basta telefonare per avere un appuntamento: ci sono almeno quattro volontarie in una sala che passano la giornata al telefono rispondendo alle chiamate, fissando gli appuntamenti e offrendo anche un sostegno ai pazienti preoccupati per le loro condizioni di salute.

bambine di sei anni di cui una non ce l’ha fatta a vincere il tumore, gettando nella disperazione i genitori ma anche i volontari che l’avevano trattata come una figlia. Su richiesta scatta immediatamente il servizio di assistenza socio-sanitaria. I pazienti vengono accompagnati nelle struttura ospedaliere per sottoporsi alle cure come la radioterapia e la chemioterapia. I volontari, tutti preparati con corsi specifici, li seguono al loro domicilio aiutandoli anche nella loro vita quotidiana e dando loro un supporto psicologico. «La missione dell’ANVOLT è sintetizzata in modo chiaro nel suo statuto che ne definisce le finalità» si legge sul sito. «L’associazione intende perseguire esclusivamente finali di solidarietà sociale e sanitaria in particolare rivolta a persone con patologie tumorali: servizi di assistenza socio-sanitaria intra ed extra ospedaliera; attività di sostegno anche economico per le famiglie più disagiate; formazione di operatori sociali; borse di studio; organizzazione di incontri, congressi e convegni; iniziative ricreative e culturali per i malati e

Ma la missione dell’ANVOLT non si ferma agli ambulatori. Sono importanti ma per qualcuno è solo l’inizio di un dramma personale e familiare, come nel caso di due 72 | Bergamo Salute | Gennaio/Febbraio 2019

le loro famiglie; attuare programmi di informazione socio-sanitaria, e tanto altro». E qui ritorna il motto “Più prevenzione meno cancro”. «La prevenzione è molto importante» ci dice la responsabile dell’ANVOLT di Bergamo, Lucia Fraccaroli. «Purtroppo tante donne non hanno mai fatto un pap test o una visita senologica o gli uomini una visita per la prostata. Noi cerchiamo di convincere le persone a sottoporsi ai vari esami senza aspettare l’insorgenza del male, soprattutto dopo una certa età, 50 anni. Ma è importante anche la dieta, una corretta alimentazione. Un argomento di grande interesse per i nostri amici che spesso rivolgevano domande al telefono durante un colloquio di routine magari per un trasporto o un’assistenza. E proprio nel giorno in cui ho capito l’importanza dell’argomento mi sono trovata di fronte a Rosanna Madaschi, economo dietista, docente di Scienze dell’Alimentazione e grande esperta del nutrirsi in maniera salutare. Le ho proposto di fare qualcosa sul tema della prevenzione dei tumori a tavola e lei è stata felice di accetta-

ANVOLT Bergamo Via Palma il Vecchio 59-61 Tel. 035 249093-035 237715 bergamo@anvolt.org Codice Fiscale 07549830151

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re e regalare il suo tempo alla nostra associazione. Insieme abbiamo ideato una serie di incontri di gruppo per parlare dell’alimentazione a chiunque ne sia interessato. Un progetto che si chiama “Nutrirsi di salute, prevenire i tumori a tavola”. I tumori a tavola si possono prevenire anche se naturalmente non esiste una garanzia assoluta. Ma una dieta più varia, con prodotti biologici, più verde, più ricca di fibre e alimenti naturali può aiutare a tenere lontane le patologie oncologiche. Anche perché mangiare sano aiuta a restare in forma e la forma fisica è un elemento fondamentale per rimanere in buona salute. Una dieta equilibrata moderando al massimo il consumo di carni rosse e bevande zuccherine. Ma non è uguale per

tutti. A seconda della patologia si deve stare attenti all’assunzione di vitamine o lontani da alimenti che infiammano. Ma anche qui bisogna rendersi conto che l’alimentazione è fondamentale e bisogna riscoprire i sapori veri». L’ANVOLT, nata nel 1984 a Milano, è presente in tutta Italia con 31 sedi e 22 ambulatori che nel 2017 hanno fatto quasi 13 mila pap test, 16.600 visite ginecologiche, oltre 8 mila visite senologiche e migliaia di altri esami, tutti gratuiti e soprattutto senza impegnativa medica. Qualcuno a questo punto si chiederà: “Ma dove trovano i fondi per dare un’assistenza gratuita?” «Chiacchierando con tante persone davanti alla macchinetta

del caffè mentre aspettano una visita. Spesso sono persone che lavorano in importanti società e che conoscendoci decidono di sostenerci» spiega Lucia Fraccaroli. «E poi la nostra raccolta fondi, le aziende che ci stanno vicine, i nostri sostenitori, i pazienti con le loro offerte. Con quei contributi abbiamo comprato l’ecografo, l’uroflussografo e un dermatoscopio. Per esempio in certi comuni dove non abbiamo la possibilità di mandare i nostri volontari per assistere e trasportare gli ammalati oncologici prendiamo contatto con i servizi sociali chiedendo di sostituirci pagando noi il servizio. Tutto questo è possibile grazie alla generosità dei bergamaschi che continuano ad abbracciare il nostro operato».

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FARMACIE

Cistite

Buone abitudini e integratori naturali per prevenirla ∞  A CURA DI MARIA CASTELLANO

È il più comune disturbo dell’apparato urinario. Nonostante possa riguardare entrambi i sessi, in realtà è il genere femminile a essere maggiormente colpito: si stima che ne soffra fino al 25-30% delle donne adulte nel corso di un anno. Parliamo della cistite, infiammazione della vescica e dell’uretra, di origine batterica, caratterizzata da una tendenza alle recidive. Per evitare che il problema diventi cronico la prevenzione gioca un ruolo importante. Come ci spiega la dottoressa Natascia Lorenzi, farmacista. Dottoressa Lorenzi, perché le donne sono più esposte a questo disturbo? E quali sono le cause della sua insorgenza? La conformazione anatomica femminile è tale da rendere più esposte alla colonizzazione batterica le basse vie urinarie. I batteri nella maggior parte dei casi sono di origine intestinale: in determinate circostanze possono colonizzare l’uretra e risalire verso la vescica determinando i sintomi tipici. Il batterio più frequentemente responsabile della cistite è l’Escherichia Coli. Tra i fattori che possono favorire l’insorgenza del problema ci sono la stitichezza e i rapporti sessuali. Esiste poi anche una “cistite da freddo” e una dovuta al colon irritabile che determina uno spasmo alla vescica. Altri fattori

sono l’assunzione di contraccettivi orali, carenza estrogenica, coliche renali, diabete e ipertrofia prostatica (nell’uomo). Quali sono i sintomi? I sintomi classici sono: senso di peso pelvico,bruciore e fastidio durante l’emissione di urina,urgenza nella minzione, febbre e brividi se associata a infezione, sensazione di incompleto svuotamento vescicale. In alcuni casi può comparire sangue nelle urine (ematuria). Come si cura? In caso di cistite, il medico, in base a quanto emerge dall’urinocoltura, prescrive una terapia antibiotica mirata non solo per eliminare i sintomi ma anche per prevenire complicanze al livello delle alte vie urinarie (in caso di utilizzo di antibiotici si raccomanda sempre la somministrazione di fermenti lattici!). Accanto alla terapia farmacologica, si possono utilizzare integratori contenenti sostanze in grado di ridurre la carica batterica sulla mucosa vescicale. Tra i più diffusi preparati a base di: Cranberry (Mirtillo Rosso americano che impedisce ai batteri di aderire alla parete della mucosa vescicale), Mannosio (sostanza in grado di interferire con l’adesione dei microbi favorendo nel contempo l’eliminazione), Uva Ursina (dal potere disinfettante sui reni e sulle vie urinarie), Gramigna

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(con attività antinfiammatoria delle vie urinarie), Ortica (dalle proprietà diuretiche, antinfiammatorie e rimineralizzanti). Questi preparati possono essere utilizzati sia per la prevenzione di recidive sia in fase acuta in associazione al farmaco. Per quanto riguarda,invece, l’omeopatia i rimedi più frequentemente suggeriti sono: > Thuya, in caso di disturbo urinario con test diagnostico negativo, infezioni che cronicizzano specie dopo trattamenti farmacologici e si ha tendenza a sviluppare vaginiti e cistiti; > Cantharis, in caso di dolore e bruciore violento prima, durante e dopo la minzione, lombalgia e dolore renale, bruciore e difficoltà di minzione;

DOTT.SSA NATASCIA LORENZI Farmacista Stezzano


> Aconitum, indicato nelle prime fasi del disturbo per bloccare l’insorgenza dei sintomi urinari. (utile contro la cistite da freddo); > Sepia, in caso d’infezioni urinarie croniche con senso di peso al basso ventre. Quali altri consigli si possono dare per prevenirla? > Alimentazione: limitare consumo di alcol, caffè, formaggi, cioccolato, dolci e spezie piccanti; bere almeno due litri di acqua al giorno non gassata o tisane; seguire una dieta ricca di frutta e verdura, carni bianche e pesce; preferire metodi di cottura come il vapore, il microonde, griglia o piastra piuttosto che frittura,

cottura in padella e bolliti di carne; evitare cene abbondanti. > Igiene intima: utilizzare detergenti neutri o lievemente acidi, lavarsi con movimento che va dalla vagina all’ano, non usare eccessivamente i salvaslip, cambiare spesso gli assorbenti interni senza usarli di notte. > Abbigliamento: evitare indumenti intimi sintetici, poco traspiranti e troppo aderenti, preferire il cotone che garantisce una migliore traspirazione. > Importante è inoltre non trattenere l’urina ma svuotare la vescica per evitare che l’urina ristagni a lungo.

ESAME DELLE URINE E URINOCOLTURA PER LA DIAGNOSI La conferma di cistite si ottiene mediante l’esame delle urine ed urinocoltura con antibiogramma. Ma come si raccoglie l’urina? Dopo aver comprato un contenitore sterile, la mattina si pratica un’accurata detersione dei genitale e poi si inizia a urinare; il primo getto viene eliminato e si raccoglie la restante nel contenitore evitando di toccarlo al suo interno con le dita. Si deve evitare l’esame durante l’assunzione recente di antibiotici (devono passare almeno sette giorni dall’ultimo antibiotico).

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DAL TERRITORIO

IL LATO UMANO DELLA MEDICINA

In questa rubrica gli operatori sanitari (medici, infermieri etc.) si raccontano, facendo conoscere oltre al loro lato professionale la loro attività di artisti, volontari, atleti... Vuoi raccontare la tua storia su Bergamo Salute?

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Di giorno uso il bisturi di sera suono il violino ∞  A CURA DI LUCIO BUONANNO

Alessandro Lucianetti è il direttore della Chirurgia1, quello che una volta veniva chiamato primario, dell’Ospedale Papa Giovanni. Ha all’attivo più di 2000 interventi chirurgici ai polmoni, al fegato e all’apparato digerente. Grazie ai suoi interventi ha salvato tante vite. Di giorno è in sala operatoria con i suoi aiuti i e la sua équipe. Di sera, se arriva presto a casa, per rilassarsi suona il violino; qualche volta quando i suoi figli erano piccoli suonava insieme a loro, pure musicisti: Susanna, farmacista, diplomata in violino, Sofia, studentessa di medicina, è diplomata in corno francese e Sebastiano è al sesto anno di violoncello. E appena gli impegni glielo permettono si esibisce con l’Orchestra d’archi di Dalmine «La musica lenisce tutti i mali e aiuta a distrarsi», ci dice. «Io ho fatto il me-

dico perché il mio obiettivo era quello di far star bene il paziente e di studiare l’uomo come una macchina perfetta . Credo che fare il medico sia una missione, non un mestiere. Ho condiviso momenti felici con tanti miei pazienti, perché l’uomo non è soltanto un fegato, un polmone o un apparato digerente. Sono convinto che la scienza, l’umanesimo, la cultura delle arti abbiano tanti punti in comune. Penso a uno dei maggiori chirurghi tedeschi di fine Ottocento, pioniere della chirurgia addominale Theodor Billroth che ha legato il suo nome all’intervento di gastrectomia praticato in tutto il mondo. Non era solo chirurgo, aveva avuto successo anche come solista di violino e direttore d’orchestra. Era amico fraterno di Johannes Brahms che nel 1873 gli dedicò i suoi due Quartetti

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per archi opera 51. Ho cominciato a studiare il violino da ragazzo in Conservatorio, poi però ho interrotto dopo cinque anni, e ho ripreso solo da adulto quando i miei figli si sono avvicinati al pentagramma». Recentemente il dottor Lucianetti ha suonato a Presezzo, per il Concerto di Natale, con l’Orchestra di archi di Dalmine, diretta dai maestri Antonio Scarpanti ed Eugenio Fenili, un’esibizione applaudita a lungo anche per la partecipazione di un grande solista del violino, Christian Saccon. Ma lui non si esalta o autoincensa: è abituato a stare con i piedi saldamente per terra. «Non mi piacciono i trionfalismi né in musica né in sala operatoria», dice. E aggiunge: «Io penso sempre che dietro ogni organo che salva un malato c’è il sacrificio di


un importante centro regionale di riferimento per i traumi.»

un altro essere umano. E poi in sala operatoria il successo è dovuto a tutto un prezioso lavoro di equipe». Lucianetti è nato a Verona ma è a Bergamo da una vita: ha 57 anni e al suo attivo numerosissimi interventi, trapianti compresi, eseguiti su polmoni, fegato, stomaco e colon con tutte le tecniche possibili. Ha cominciato nel 1989 da borsista presso la Cattedra di Chirurgia Sperimentale e Micro Chirurgia al Policlinico di Milano e sempre al Policlinico di Milano è stato assistente al Centro per il trapianto di fegato nel paziente adulto e pediatrico e per il trapianto di polmone. Poi nel 1997 è arrivato a Bergamo, con i dottori Gridelli, Colledan e Segalin ai vecchi Ospedali Riuniti dove ha proseguito la sua carriera fino a diventare direttore della Chirurgia I del Giovanni Paolo XXIII. Quando l’abbiamo intervistato era appena uscito dalla sala operatoria dove era stato dalle prime ore della mattina soltanto con qualche pausa tra un intervento e un altro. Esegue oltre 300 interventi all’anno. «La chirurgia toracica è uno dei fiori all’occhiello dell’Ospedale Papa Giovanni insieme con quella addominale», dice il direttore che ha un progetto.

Quello di costruire una rete con gli altri Ospedali provinciali e i medici di famiglia. «Tutti i medici devono sapere cosa fa il nostro ospedale. Sono fondamentali in tutto quello che avviene prima e dopo l’operazione. E bisogna coinvolgere tutte le altre specialità perché è impensabile che il chirurgo possa fare tutto da solo senza confrontarsi son gli altri colleghi. Ci vogliono gruppi multidisciplinari per aiutare nel modo migliore possibile il paziente. Ma dobbiamo concentrarci anche sugli anziani, che sono i più fragili, e un ospedale pubblico con tante aree di eccellenza non può e non deve trascurarli». Ha conseguito tre specializzazioni in Chirurgia Generale, Pediatrica e Toracica lavorando da sempre nel settore dei Trapianti e della Chirurgia addominale e toracica. Ha contribuito ad espandere il programma “split” in Italia per il fegato, la divisione cioè dell’organo in due parti per poter trapiantare a due pazienti. «Ora però dalla nuova nomina di Direttore della Chirurgia mi dedico prevalentemente alla chirurgia toracica, dell’apparato digerente e alla chirurgia d’urgenza. Il nostro ospedale è infatti

Nel suo reparto si pratica anche la chirurgia mini invasiva per interventi molto complessi sia sull’addome che sul torace. «Attraverso incisioni di pochi centimetri, sfruttando una tecnologia molto complessa, si possono eseguire interventi chirurgici riducendo così il decorso post operatorio e il trauma chirurgico, il dolore e il rischio di complicanze. Alcuni noduli del polmone e del fegato possono essere trattati anche non chirurgicamente ma con la termoablazione, eseguita da espertissimi radiologi: il calore, attraverso una sonda guidata dalla TAC o da una Ecografia raggiunge e brucia il nodulo pericoloso». Quando si parla d‘intervento ai polmoni purtroppo si parla di tumore. «La nostra battaglia al cancro polmonare punta sì sulla chirurgia, ma abbiamo anche nuovi farmaci che si stanno dimostrando ottimi. Comunque va precisato che circa il 30% per cento dei tumori al polmone è operabile perché arrivano sempre in uno stadio avanzato. Il robot può essere impiegato anche nella chirurgia toracica e se finalmente potesse arrivare in Ospedale, considerando che da anni la nostra Urologia lo ha richiesto, mi piacerebbe utilizzarlo sia nel campo della chirurgia toracica che in quello della addominale». Forse sarà una strada in salita, ma a lui piacciono le strade in salita perché appena può mette gli scarponi per andare a camminare in montagna e cercare un po’ di solitudine e tranquillità. La montagna con i suoi paesaggi è un’altra delle passioni del dottor Lucianetti: «Amo le montagne e mi basta guardarle per sentirmi più felice e rilassato».

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A.R.M.R Associazione Ricerca Malattie Rare

INSIEME CONTRO LE MALATTIE RARE Le Malattie Rare sono un ampio gruppo di patologie (circa 6.000 secondo l’OMS), accomunate dalla bassa prevalenza nella popolazione (inferiore a cinque persone per 1.000 abitanti secondo i criteri adottati dall’Unione Europea). Con base genetica per l’80-90%, possono interessare tutti gli organi e apparati dell’organismo umano.

Incontri con i soci e gli amici di A.R.M.R /

DOMENICA 17 FEBBRAIO Foppolo XXVIII Slalom Gigante Lions aperto anche a snowboard organizzato dai Lions: Lions Club Valle Brembana Lions Club Bergamo San Marco Lions Club Treviglio Fulcheria

/

GIOVEDÌ 28 FEBBRAIO Giornata Mondiale delle Malattie Rare Kilometro Rosso Bergamo A partire dalle 18:30 Incontro scientifico tenuto dalla borsista A.R.M.R. Dott.ssa Sara Gamba dell’Istituto Mario Negri

Tel. +39 035 671906 fax +39 035 672699 presidenza@armr.it WWW.ARMR.IT

DERMATOMIOSITE Codice di Esenzione. RM0010 Categoria. Malattie del sistema osteomuscolare e del tessuto connettivo. Definizione. Malattia infiammatoria che colpisce specificamente cute e muscoli; si manifesta con eritema persistente e deficit muscolare. Può insorgere acutamente, in giorni o settimane, o insidiosamente, in più di sei mesi. Epidemiologia. L’incidenza è di cinque casi per milione di abitanti, con prevalenza del sesso femminile (2:1); predilige la quinta e la sesta decade di vita. Segni e sintomi. Eritema cutaneo rosa-lillaceo, talvolta desquamante e solcato da fini teleangectasie, che interessa principalmente volto, soprattutto palpebre, dorso delle mani e il perionichio (zona intorno all’unghia); possono essere colpiti anche gli arti e il cuoio capelluto, dove provoca alopecia diradante. L’eritema si accompagna all’edema. Tipiche sono le papule di Gottron sul dorso delle mani. Nelle forme croniche è possibile l’ipercheratosi, soprattutto a orecchie e dorso delle mani. Le manifestazioni muscolari sono dominate dalla debolezza; nella fase acuta possono comparire dolore e astenia. Eziologia. Probabilmente sono implicati fattori infettivi, predisposizione genetica e, a volte, presenza di neoplasie. Diagnosi. Contribuiscono sia criteri clinici sia di laboratorio: tra questi il dosaggio della creatinchinasi, l’elettromiografia, la biopsia muscolare. Utili possono risultare la capillaroscopia e il dosaggio di anticorpi circolanti, considerati marker sierologici specifici (anti-Mi-2 e gli anti-Jo-1). Fondamentale è uno screening per la ricerca di neoplasie associate. Terapia. Corticosteroidi, inizialmente con dosaggio maggiore, poi di mantenimento per evitare recidive. Nei casi che non rispondono a questa terapia possono essere utilizzati agenti immunosoppressori quali il methotrexate o l’azatioprina o talora la plasmaferesi (separazione del plasma sanguigno dagli elementi corpuscolati del sangue ottenuta mediante centrifugazione). Dottor Angelo Serraglio Vice Presidente ARMR

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DAL TERRITORIO

TESTIMONIANZA

Sono stato all’inferno ma ora sono rinato La drammatica storia di Giordano Tomasoni vittima della depressione ∞  A CURA DI LUCIO BUONANNO

«Buongiorno ragazzi, oggi vi parlerò di una malattia sottovalutata e presa troppe volte alla leggera: la depressione. Io ne so qualcosa, mi aveva distrutto, ho cercato di farla finita, di suicidarmi buttandomi giù da un ponte di Castione della Presolana, il mio paese. Sono sopravvissuto anche se ora non ho più l’uso delle gambe e sono costretto a stare su una sedia a rotelle. Ma ho ritrovato me stesso, ho reagito, ho scelto lo sport come strada maestra di questa seconda vita. E porto la mia testimonianza nelle scuole, negli oratori, nelle biblioteche, dovunque. Ho scritto anche libri sulla mia storia per sensibilizzare tutti su questa malattia che sorge all’improvviso senza una causa evidente e che spesso ti porta al suicidio. Nel mondo ogni anno si ammazzano 3 milio-

ni di persone, una sessantina nella nostra provincia». Così Giordano Tomasoni inizia il racconto della sua drammatica storia agli studenti. Tiene spesso conferenze in tutta la provincia e non solo. Arriva nelle scuole o nelle biblioteche guidando la sua auto e tralasciando per qualche ora il suo laboratorio dove fa sculture in legno. Con il legno ha cominciato da ragazzino lavorando nella falegnameria dello zio. Ma Giordano, che gli amici chiamano Giordy, è anche un campione di sci (ha partecipato alle Paralimpiadi del 2014 a Sochi in Russia) e di handibike (la bici speciale per gli atleti disabili sulla quale ha vinto due volte al Giro d’Italia, un campionato italiano e diverse Maratone). «Lo sport mi ha salvato» ci dice. «Ho cominciato da bambino. Vivendo in montagna, a Castione

della Presolana, d’inverno facevo sci, d’estate andavo in bici. L’emozione d’indossare la divisa dell’Italia alle Paralimpiadi è stata grandissima. La handibike l’ho scoperta alla Casa degli Angeli a Mozzo dove sono stato ricoverato parecchi mesi per la riabilitazione. Un anno intero tra ospedale e recupero. Nel volo dal ponte della Presolana, quando ho tentato di mettere fine alla mia disperazione, mi sono fracassato gambe, caviglie, testa del femore, ho spaccato il bacino in due e due vertebre della spina dorsale sono esplose». Da qualche anno Giordano ha iniziato la sua battaglia per aiutare chi soffre di depressione a liberarsi di quel peso, ha scritto dei libri per raccontare la sua storia (“Mi spinge la salita”, “ Essere può bastare”,” Bisogno di morire”). «Scrivere libri

In questa rubrica pubblichiamo la storia di una persona che ha superato un incidente, un trauma, una malattia e con il suo racconto può dare speranza agli altri. Vuoi raccontare la tua storia su Bergamo Salute?

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mi è servito» racconta. «È stata una ricerca introspettiva. Ho trovato il coraggio di raccontare ciò che mi è successo e che mi stava portando alla fine della vita. Spero che attraverso quello che ho scritto e gli incontri che faccio con studenti e adulti si riesca a vincere la depressione, una malattia che secondo l’Organizzazione Mondiale della Salute nel 2020 sarà ai primi posti nelle graduatorie. E allora bisogna trovare un antidoto. La parola contraria alla depressione è vitalità, avere cioè voglia di vivere, di scoprire, di amare. Cose che io allora non avevo anche se ero un giovane contento della vita, avevo tutto, una casa, un buon lavoro, una famiglia felice con una moglie adorabile, una figlia Vittoria, un angelo biondo, e un’altra in arrivo, Alessia. Ma io mi sentivo solo, infelice, fragile. E mi chiudevo sempre di più in me stesso. Non ne parlavo neppure con mia moglie per non opprimerla con i miei problemi. Solo una volta mi sono confidato con un amico. La sua risposta è stata: ”Ma dai, tu sei fortunato, c’è chi sta male davvero, chi è malato, chi ha perso un figlio, chi il lavoro”. E da allora non ne ho parlato più con nessuno commettendo un gravissimo errore perché confidarti quando sei depresso ti può aiutare a superare le crisi». Intanto sempre più depresso, nella mente di Giordano comincia a maturare un’idea drammatica. «Il

suicidio. Potevo e volevo smettere di soffrire, avrei finalmente trovato la pace. E così una mattina del novembre del 2008 saluto mia moglie come tutti i giorni. Sono lucido, so già cosa fare. Con la macchina mi avvio verso il ponte della Valle dei Mulini di Castione della Presolana. Ormai ho deciso di farla finita. Mi affaccio dal ponte, guardo giù, controllo la zona, voglio essere sicuro di non salvarmi. E invece le mani mi tradiscono, non si staccano dal parapetto. Forse l’istinto di sopravvivenza. Resto così per un po’, poi finalmente perdo l’appoggio e precipito giù atterrando però con le gambe, non con la testa come avevo pensato io. Sono ancora vivo e sono cosciente, anche se sto male. Comincio a gridare, a chiedere aiuto. Fortunatamente passa un infermiere, mi sente e mi vede, scende, mi parla, chiama l’ambulanza». «E finisco in Ospedale con una cinquantina di fratture. “Finalmente qualcuno si occuperà di me”, penso. Ma scopro che io stesso mi sto già occupando di me. Mi sento infatti liberato da tutto quel peso. E ricomincio a vivere anche se la diagnosi dei medici è impietosa: paraplegia. Sono destinato alla sedia a rotelle. In un attimo si chiude la porta sul prima e il dopo diventa un grosso punto interrogativo. Dalla depressione si guarisce, l’ho sperimentato in prima persona, mentre la disabilità è per sempre, ma non importa. La disabilità più grande

l’ho provata quando ero depresso. Tutto ti opprime, la vita diventa una montagna da scalare. Ora però è solo un brutto ricordo. Ho ritrovato me stesso, la mia cara famiglia, lo sport. E ho scoperto che la felicità la si può trovare in ogni condizione ci si trovi. Lo sport mi ha insegnato tanto. Non si perde mai: o vinci o impari. E spero che anche i ragazzi delle scuole e i loro genitori o le persone che frequentano i mercatini dove vendo i miei lavoretti e racconto la mia storia capiscano che la depressione è una brutta belva e che bisogna parlarne il più possibile per salvare chi non ha più voglia di vivere».

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STRUTTURE

ASST PAPA GIOVANNI XXIII

Risonanza magnetica e TAC in sala operatoria ∞  A CURA DI FRANCESCA DOGI

Sono state inaugurate recentemente due sale operatorie dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII ad alta tecnologia, una dotata di risonanza magnetica a 1,5 tesla e una di tomografo computerizzato (TAC). Entrambe le tecnologie consentono maggiore precisione e verifica immediata dell’esito dell’atto chirurgico. Nella prima, operativa da marzo scorso, il magnete si muove su un bi-

Sono stati già 39 gli interventi eseguiti nella sala operatoria con risonanza magnetica, unica in Italia con queste caratteristiche, e 56 nella sala operatoria dotata di TAC”

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nario a soffitto e ingloba il lettino chirurgico su cui giace il paziente, per fotografare con precisione il lavoro eseguito dal neurochirurgo e verificare che non resti traccia del tumore. È l’unica in Italia a muoversi verso il paziente, che non deve quindi essere spostato, e a essere ospitata in una sala separata in modo da poter essere utilizzata anche per esami extra operatori. Un modello simile esi-


ste in un ospedale romano, ma ha caratteristiche diverse. La nuova sala operatoria con risonanza magnetica ha già ospitato 39 interventi. Il suo utilizzo è concentrato soprattutto in campo oncologico e in particolare nella rimozione dei tumori cerebrali (gliomi) e di quelli localizzati nella regione dell’ipofisi e dell’ipotalamo (adenomi). «Dopo aver rimosso quello che il neurochirurgo suppone sia la totalità del tumore, eseguiamo l’esame, che ci consente di verificare già durante l’intervento chirurgico che sia proprio così. Se la risonanza ci mostra che sono rimasti frammenti di tumore, procediamo a rimuoverli,

senza dover sottoporre il paziente a un secondo intervento chirurgico e migliorando la prognosi» spiega Claudio Bernucci, direttore della Neurochirurgia del Papa Giovanni. «È ormai assodato che più precisa ed estesa è la resezione, tanto più aumenta l’intervallo libero da malattia. Non è comunque una soluzione utile per tutti i tumori cerebrali o intracranici. Ogni caso va selezionato e la decisione ponderata, perché l’utilità di questa tecnica è strettamente connessa alla localizzazione del tumore e agli obiettivi dell’intervento». La sala ospiterà anche interventi sui bambini (una decina all’anno) e il Papa Giovanni sta lavorando per utilizzare la tecnologia a pieno regime. L’intento infatti è mettere a disposizione questa tecnologia unica in Italia anche a neurochirurghi provenienti da altri ospedali. La sala operatoria dotata di TAC ha ospitato fino a oggi 56 interventi neurochirurgici, sia congiunti neurochirurgia-ortopedia (per fratture sacroiliache) sia ortopedici e 43 procedure di neuroradiologia. Il suo utilizzo riguarda soprattutto pazienti affetti da patologie della colonna vertebrale, ma anche da fratture degli arti inferiori, del collo femorale e del bacino o che necessitano di protesi di anca e ginocchio, con possibilità anche in questo caso di verifica immediata dell’esito dell’atto chirurgico. Inoltre, accoppiando la TAC con il neuronavigatore, è possibile verificare in tempo reale il posizionamento della strumentazione chirurgica e

guidare la mano del chirurgo. Il Papa Giovanni con queste attrezzature arricchisce la sua dotazione tecnologica che comprende anche una sala operatoria attrezzata con angiografo biplano (utilizzata come sala ibrida per procedure chirurgiche minimamente invasive in campo neuroradiologico, vascolare e cardiochirurgico), una risonanza magnetica a magnete aperto con 270 gradi di campo libero (consente di eseguire l’esame anche a pazienti che soffrono di claustrofobia o di obesità), una risonanza magnetica a tre tesla (che, lavorando ad intensità di campo magnetico molto elevate, consente di ottenere immagini ad alta definizione e in meno tempo rispetto alla tecnologia tradizionale), tre acceleratori lineari per i trattamenti radioterapici più evoluti (compresa la radiochirurgia e radioterapia stereotassica cranica in pazienti con tumori cerebrali difficilmente operabili), sistemi diagnostici di sequenziamento del DNA (per l’identificazione delle malattie genetiche o della miglior terapia), un acceleratore lineare in sala operatoria (per la somministrazione in singole frazioni di una dose elevata di radiazioni già in sede di intervento chirurgico) e un laboratorio interno dedicato alla lavorazione e conservazione delle cellule staminali emopoietiche per trapianto e allo sviluppo di nuove strategie terapeutiche mediante utilizzo di terapie cellulari innovative grazie all’autorizzazione alla produzione di farmaci di piccolo volume rilasciata da AIFA.

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STRUTTURE

CAREDENT

La tecnologia al servizio delle impronte dentali L’era digitale ha ormai invaso la vita di tutti i giorni in ogni suo aspetto. I libri si leggono sugli e-book, i biglietti di autobus, treni e aerei sono sui nostri telefonini, si può addirittura pagare la spesa con uno smart watch. La medicina è di sicuro uno dei campi in cui la tecnologia ha dato i risultati più sorprendenti, robot e strumenti diagnostici digitali hanno permesso successi fino a pochi anni fa inimmaginabili. E l’odontoiatria non deve essere da meno. «Uno dei passaggi operativi meno graditi dai pazienti in ambito odontoiatrico è la presa delle impronte dentali, acquisizione necessaria in diversi ambiti della nostra disciplina, dagli apparecchi per i più piccoli alle protesi per i più anziani» osserva il dottor Matteo Braschi, direttore sanitario della clinica di Curno. «Per fortuna la tecnologia ci è ve-

nuta incontro con la comparsa dello scanner intraorale. Questo dispositivo permette di ricostruire in tre dimensioni su un computer tutte le caratteristiche della cavità orale del paziente portando moltissimi vantaggi sia per il paziente sia per il dentista. Lo scanner intraorale ha un ingombro ridotto, occupa meno spazio nella bocca; per questo il suo utilizzo non provoca la sensazione di nausea e soffocamento, di cui soffrono molti pazienti durante la presa delle impronte dentali tradizionali. Una sensazione dovuta anche e soprattutto al materiale impiegato che entra in contatto con le mucose: paste e cere di masticazione caratterizzate da una consistenza e da un sapore sgradevoli. Lo scanner, al contrario, non necessita dell’uso di materiali risultando quindi privo di sapore e odore. L’intero proces-

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so di acquisizione dell’immagine di una arcata dentaria si completa in pochissimi minuti e senza alcun fastidio per il paziente». La scansione può essere interrotta e ripresa, per cui chiunque abbia dei problemi a tenere la bocca aperta può riposare ogni qual volta lo ritenga necessario, senza dover ripartire da capo come succede con la procedura tradizionale. Rispetto al metodo manuale, il processo digitalizzato comporta meno passaggi operativi e meno possibilità di errori o imprecisioni; ne consegue che le lavorazioni derivate dalle impronte dentali digitali siano migliori e abbiano un grado di precisione più alto. «Lo scanner in dotazione alla nostra struttura di Curno è tra i più moderni ed è anche a colori, cosa


che permette di rilevare non solo la forma ma anche il colore dei denti» sottolinea il dottor Braschi. «Ciò porta inevitabilmente a una più elevata quantità di dati importanti che vengono inviati al laboratorio che avrà così le condizioni migliori per realizzare un manufatto protesico del tutto adeguato, che avrà una corrispondenza migliore con l’aspetto e il colore naturale dei denti». I tempi di lavoro sono ulteriormente ridotti poiché il trasferimento di un file è molto più rapido del trasporto di un corriere.

Appena finita l’acquisizione delle scansioni il file viene istantaneamente inviato attraverso internet al laboratorio; quindi il paziente attende meno tempo per avere il proprio apparecchio o protesi. «I nostri laboratori odontotecnici inoltre già da tempo progettano e realizzano in digitale i manufatti protesici mediante sistemi CADCAM (sistemi di progettazione computer assistita e realizzazione mediante macchine fresatrici, cioè un processo interamente meccanizzato). L’archiviazione digitale

delle scansioni può permettere nel tempo al clinico di valutare i cambiamenti del cavo orale del paziente e successivamente ripristinarne le vecchie forme e proporzioni. Anche in ortodonzia questo sistema ha portato una grande rivoluzione. Infatti la simulazione digitale dei trattamenti ortodontici facilita la comprensione del paziente che vedendo sullo schermo la proiezione dello spostamento che subiranno i denti ha una previsione chiara e precisa della cura proposta».

INFORMAZIONE PUBBLICITARIA

La clinica Caredent Dental Experts di Curno Ubicata in via Enrico Fermi 5, si sviluppa su due piani su una superficie di oltre 300 mq. Sono impiegati 5 dipendenti, parte del team di assistenza, e 7 professionisti tra medici dentisti, odontoiatri, ortodontisti e igienisti, guidati dal direttore sanitario, dottor Matteo Braschi. La clinica -aperta da lunedì al venerdì dalle 9 alle 21, sabato dalle 9 alle 18- è in grado di offrire cure in ogni ambito dell’odontoiatria e per tutte le fasce di età. Il centro dispone anche di una sala chirurgica dove è possibile eseguire particolari interventi come gli impianti zigomatici.


GUIDA ALLE PROFESSIONI SANITARIE

Il terapista occupazionale Un alleato, in caso di difficoltà fisiche o psicologiche, per mantenere l’autonomia

∞  A CURA DI MARIA CASTELLANO

Lavora nell’ambito della prevenzione, della promozione della salute e del miglioramento della qualità della vita di persone che, per malattie o problemi fisici e psicologici, si trovano in condizioni di difficoltà temporanea o permanente. È il terapista

occupazionale, professionista sanitario della riabilitazione ancora poco diffusa da noi, nonostante abbia alle spalle un secolo di storia. «La terapia occupazionale promuove la salute e il benessere della persona attraverso l’occupazione, intesa come insieme delle

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attività quotidiane per lei significative» sottolinea Renata Canova, terapista occupazionale. «A livello mondiale esordisce nel periodo della Prima Guerra: si riscontrò un recupero più rapido e positivo in pazienti (soldati mutilati di guerra) che venivano impegnati in attività.


Dunque l’“impiego” svolto in chiave terapeutica gettò le basi per la delineazione di una nuova figura riabilitativa già all’inizio del secolo scorso. Oggi grazie alle numerose dimostrazioni scientifiche che confermano e riconoscono la sua importanza stiamo gradualmente assistendo all’apertura di servizi di terapia occupazionale all’interno di sempre più strutture ospedaliere e ambulatori diffusi sul territorio». Qual è lo scopo della terapia occupazionale? L’obiettivo della terapia occupazionale è rendere la persona più autonoma possibile nello svolgimento delle attività di vita quotidiana (mangiare, lavarsi, vestirsi, tenere meglio la penna per scrivere, allacciarsi le scarpe etc.), conservando e possibilmente migliorando le capacità funzionali residue. Si lavora per il mantenimento delle funzioni motorie e cognitive, favorendo il reinserimento domestico, sociale e lavorativo. Compito del terapista occupazionale è anche quello di rendere gli ambienti accessibili e sicuri in base alle necessità della persona, per fare in modo di diminuire il più possibile il livello di

DOTT.SSA RENATA CANOVA Terapista Occupazionale Valle Seriana

dipendenza dai familiari. Per raggiungere questi scopi il terapista si serve di attività espressive, ludiche e manuali. Si tratta di un concetto chiave perché è proprio attraverso il fare che la persona potrà raggiungere i propri traguardi. Generalmente le occupazioni vengono suddivise in: cura personale, lavoro o studio, tempo libero. Come si diventa terapisti occupazionali? Attraverso un corso di laurea triennale in professioni sanitarie all’interno delle facoltà di Medicina e Chirurgia, al termine del quale è previsto un esame di stato che abilita alla professione. Questo è sufficiente per lavorare come libero professionista o dipendente. È comunque possibile proseguire gli studi attraverso la laurea magistrale, i master di primo e secondo livello o corsi di perfezionamento. Esistono corsi di laurea vicino a Bergamo? Ad oggi in Italia è possibile iscriversi a questo percorso di laurea in poche città. Vicino a Bergamo il corso è presente presso le Università di Milano e di Pavia. Durante i tre anni di formazione sono previste lezioni frontali e molte ore di tirocinio, principalmente in ospedale, fin dal primo anno. Ovviamente all’inizio il compito dello studente è osservare. Man mano il tirocinante acquisisce competenze, è compito dei tutor guidare il futuro terapista nello sviluppo di un adeguato approccio con il paziente e nel progettare con lui o lei e i suoi familiari il percorso riabilitativo idoneo. In quali contesti opera il terapista occupazionale? Il terapista occupazionale opera

LE TAPPE DELLA PROFESSIONE IN ITALIA Nel nostro Paese alcune delle tappe fondamentali nell’affermazione della professione di terapista occupazionale sono state: la nascita dell’AITO nel 1977 (Associazione Italiana Terapisti Occupazionali); l’emanazione del Decreto Ministeriale 136/97 che ha riconosciuto il profilo professionale della terapia occupazionale e l’inaugurazione dei primi corsi universitari nel 2001. Ultimo ma solo in termini cronologici, da quest’anno è finalmente entrato in vigore l’Albo delle professioni sanitarie (per alcune di esse già esistente), la cui iscrizione è obbligatoria per ogni professionista abilitato e che, tra i vantaggi, ha quello di bloccare chi eserciti una qualunque professione sanitaria in maniera abusiva.

nell’ambito della prevenzione, cura e riabilitazione delle persone affette da malattie e/o disordini fisici e psichici con difficoltà sia temporanee sia permanenti. Lavora quindi in diversi contesti (neurologico, geriatrico, pediatrico, ortopedico, reumatologico, cure palliative) e di conseguenza in diversi luoghi (ospedali, case di riposo, ambulatori, domicilio e scuole). Insieme al medico, al logopedista, al fisioterapista, all’infermiere, allo psicologo, all’educatore, all’assistente sociale e all’OSS/ASA rappresenta un tassello importantissimo all’interno dell’equipe riabilitativa. Non solo, nell’ottica di abbattimento delle barriere architettoniche e della progettazione di ambienti accessibili, può collaborare anche con architetti, ingegneri e geometri.

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REALTÀ SALUTE

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Ossigeno-ozono una miscela benefica «L’ossigeno-ozono terapia non è una “terapia alternativa”. La comunità medico-scientifica è a conoscenza di questa importante risorsa nel trattamento di numerose patologie da ormai molto tempo. La scarsa diffusione di questa metodica è da attribuire solamente al fatto che, contrariamente a quanto avviene per la promozione di nuove molecole farmacologiche, non vi sono importanti investimenti che ne sospingano la capillare promozione e divulgazione nella comune pratica clinica». Chi parla è il dottor Vincenzo Merenda, specialista in medicina del Lavoro presso 9 Coop, Centro Infermieristico Polispecialistico, che da anni si occupa di ossigeno-ozono terapia. L’abbiamo incontrato per conoscere un po’ meglio questo trattamento, il cui uso più noto (ma non il solo) è forse quello per problemi di ernie alla colonna vertebrale. Dottor Merenda, su che principio si basa questa terapia? Facciamo una premessa: l’ozono, in condizioni normali, è un gas molto reattivo ed è una delle forme con cui si presenta l’ossigeno a livello molecolare. L’odore tipico che si avverte dopo un forte temporale

è dovuto proprio alla formazione di questa sostanza creatasi a partire dall’ossigeno atmosferico sottoposto alle forti scariche elettriche generate dai fulmini. Viene anche prodotto dalle nostre cellule in risposta a una condizione infiammatoria/infettiva, fungendo da potente antimicrobico e importante mediatore dei processi antiinfiammatori e rigenerativi. È proprio la sua elevata reattività biologica a essere sfruttata dall’ossigeno-ozono terapia in cui, la miscela tra i due gas viene utilizzata per il trattamento di molte condizioni patologiche locali e sistemiche. In particolare in quali casi può essere utile? L’utilizzo più diffuso è relativo al trattamento delle discopatie della colonna vertebrale in cui non sussista l’indicazione chirurgica. Sono però innumerevoli gli ambiti in cui le proprietà della molecola, applicata mediante specifici protocolli stilati dalla società scientifica italiana di Ossigeno Ozono terapia (S.I.O.O.T.), sono utili nel controllare, senza i più comuni effetti collaterali dei farmaci, condizioni infiammatorie e infettive croniche e acute. Fibromialgia e sindrome da stanchezza cronica (idiopatica o conseguente

a terapie o malattie come quelle tumorali) sono solo alcuni esempi di impiego sistemico della terapia con notevole beneficio per il quadro sintomatologico in molti casi estremamente inabilitante. Un altro ambito di applicazione sempre più diffuso è quello del riequilibrio della flora intestinale in cui l’ozono agisce riducendo gli “eccessi” di alcune tipologie di batteri saprofiti e/o patogeni a vantaggio di altri più utili al nostro organismo. È importante, infine, ricordare anche la sua azione in favore del microcircolo che lo rende efficace nel trattamento della pannicolopatia fibroedematosa, comunemente conosciuta con il nome di cellulite. Le potenzialità sono molte: per questo anche le società scientifiche si stanno impegnando per aumentarne la diffusione con l’obiettivo di rendere l’ozono-terapia alla portata di tutti.

9 COOP CENTRO INFERMIERISTICO POLISPECIALISTICO Dir. San. Dott.ssa Roberta Cirelli via Balilla n. 66 Romano di Lombardia (BG) Tel. 0363 222249 www.centroinfermieristico.it

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Implantologia Esperienza e tecnologia per cure personalizzate «Ci occupiamo di implantologia dal 1986, quando in Italia la tecnica muoveva i primi passi. Ormai l’implantologia è una realtà in quasi tutti gli studi, ma la soddisfazione del paziente nasce dall’esperienza dell’odontoiatra e dalle attrezzature a disposizione» dice il dottor Maurizio Maggioni, odontoiatra, fondatore e direttore della Clinica Dentale Pianeta Sorriso. Diplomato in Anatomia Applicata all’implantologia a Lione, è docente all’Universita di St. Etienne per il Corso di chirurgia anatomica

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Fig. 1

Fig. 2

Fig.3

applicata all’implantologia. «Nella nostra struttura la strumentazione è all’avanguardia, a partire dalla diagnosi, con la TAC 3D e i software più aggiornati per i modelli. Altrettanto importanti sono i materiali, ad esempio quelli impiegati per ricostruire l’osso quando non permette un impianto solido, che possono essere autologhi (del paziente stesso) o eterologhi (ad esempio di natura animale, opportunamente trattati) e devono essere scelti attentamente». Dottor Maggioni, quali sono oggi le opzioni disponibili quando si parla di protesi dentali? La chiave è la diagnosi accurata e l’analisi delle aspettative del paziente, dal punto di vista funzionale ed estetico, tenendo conto anche delle sue possibilità economiche. Le soluzioni sono molte: dagli impianti classici osteointegrati (in cui un impianto sostituisce un dente Fig. 1) a quelli in cui due, quattro e o sei impianti sostengono un intero settore di più denti o di una arcata completa (Fig. 2),da impianti posizionati con l’ispessimento osseo del seno mascellare, a quelli pterigoidei (impianti più lunghi che vengono inseriti con inclinazione variabile) nelle zone più posteriori dell’arcata superiore, fino ad arrivare ai MID (mini impianti dentali usati, ad esempio, per fissare una protesi mobile già esistente opportunamente modificata Fig. 3).

CLINICA DENTALE PIANETA SORRISO Dir. San. dott. Maurizio Maggioni Via Zelasco, 1 - Bergamo Tel. 035 213009 info@mauriziomaggioni.it www.pianetasorriso.it

Offriamo tutte le soluzioni possibili oggi scientificamente consolidate; la scelta della tecnica da impiegare per ogni paziente è determinante per un risultato soddisfacente. Uno dei motivi che spesso porta alla perdita dei denti è la malattia parodontale: come si può prevenire o curare? Innanzitutto la malattia deve essere curata. Le armi sono la laserterapia, il curettage radicolare, la detartrasi (ablazione del tartaro), piccoli interventi chirurgico-parodontali e i farmaci da scegliere in base ai batteri e o funghi che la causano. La parodontite dipende da familiarità,predisposizione genetica, diabete, malassorbimento intestinale, variazioni ormonali, ma anche da abitudini come alcol, fumo e cattiva igiene orale, che si possono correggere. I denti persi possono essere sostituiti con successo da impianti (spesso dopo la ricostituzione dell’osso che si è ritratto) ma il paziente dovrà sottoporsi regolarmente a controlli, igiene, radiografici ed eventuali trattamenti ad esempio con laser.

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REALTÀ SALUTE

Defibrillatore semiautomatico un salvavita (anche) per chi fa sport

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Sono 60.000 In Italia ogni anno le morti per arresto cardiaco (Acc), un evento non prevedibile che può sopraggiungere a qualunque età e colpire anche persone sane, come ad esempio chi pratica sport a livello agonistico o amatoriale. Basti pensare che tra gli sportivi sono più di 1.000 all’anno le persone che, per questo motivo, perdono la vita mentre svolgono attività fisica. «Le palestre e le strutture sportive sono stati i primi luoghi in cui la legge ha posto l’obbligo di dotazione di un defibrillatore semiautomatico esterno (Dae) con il Decreto del 2013, firmato dal Ministro della Salute Renato Balduzzi, dal quale prende il nome. Le linee guida del 2016 hanno definito i tempi massimi per adeguarsi e dopo diverse proroghe l’obbligo è entrato in vigore per le Società Sportive Dilettantistiche a luglio 2017» osserva Federico Pelicioli di Tecno System, società del settore elettromedicale specializzata in defibrillatori. Perchè si è scelto di iniziare proprio con gli ambienti sportivi? I dati indicano che le probabilità di arresto cardiaco in ambito sportivo sono le più elevate in assoluto. Per le strutture sportive professionistiche l’obbligo vige da anni. Sono

invece escluse le Associazioni sportive dilettantistiche (Asd) in cui si praticano attività sportive con ridotto impegno cardiocircolatorio (ad esempio bocce, biliardo, golf, sport di tiro etc.). Che cosa richiede la legge per le Associazioni sportive dilettantistiche? Devono dotarsi di un Dae e collocarlo in posizione visibile e accessibile ed effettuarne la manutenzione periodica. È inoltre obbligatoria la presenza di personale che abbia seguito la formazione per l’uso del Dae e per il massaggio cardiaco (corso Blsd). Quali sono le sanzioni per le associazioni non in regola? Se durante un controllo viene constatata l’assenza di personale addestrato o del defibrillatore si rischiano l’interruzione delle attività sportive e sanzioni pecuniarie. Se il controllo che rileva la situazione irregolare avviene a seguito di un decesso per arresto cardiaco si configura la responsabilità penale

per il responsabile legale (omicidio colposo) oltre alla responsabilità civile (l’associazione deve risarcire il danno, ma attenzione: non sempre le polizze infortuni coprono il risarcimento, per violazione degli obblighi di legge). Al di là delle sanzioni si deve capire che la diffusione del Dae e di persone pronte a utilizzarlo sul territorio è fondamentale e dovrebbe estendersi ai luoghi pubblici in generale, agli ambienti di lavoro o residenziali. Ricordiamo che quando ci si limita a chiamare soccorso il 94% delle vittime di Acc muore prima di raggiungere l’ospedale.

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REALTÀ SALUTE

Allena il cervello con il Neurofeedback Dinamico non Lineare Una tecnica all’avanguardia per migliore le performance mentali e contrastare disturbi come ansia, decadimento cognitivo, difficoltà di apprendimento ∞  A CURA DI FRANCESCA DOGI

Un metodo innovativo, non invasivo e indolore, che permette di allenare il cervello, ottimizzando la sua attività e promuovendo miglioramenti a livello cognitivo e emotivo. Si chiama Neurofeedback Dinamico non Lineare Neuroptimal® ed è già ampiamente utilizzato negli Stati Uniti in diversi ambiti, dai disturbi d’ansia ai problemi di apprendimento nei bambini fino alle demenze legate all’invecchiamento. Ora questa tecnica si sta diffondendo anche da noi e sono sempre di più gli studi scientifici che ne confermano l’efficacia. Ma come funziona? Ne parliamo con Francesco Lanza, amministratore delegato e fondatore di SIND Neurottimo Srl SB, che, in poco più di un anno, ha formato in questa tecnica più di 130 operatori. Su quali principi si basa questa tecnica e in cosa consiste? Il Neurofeedback Dinamico si basa sui principi della neuroplasticità, ovvero la capacità del cervello di modificare la propria struttura nel corso del tempo in risposta all’esperienza e di essere quindi in continua evoluzione, e dell’omeostasi dinamica per la quale il cervello è alla ricerca perpetua delle condizioni ideali di equilibrio. Grazie al supporto del Neurofeedback Dinamico, il 94 | Bergamo Salute | Gennaio/Febbraio 2019

LA STORIA… DAL BIOFEEDBACK AD OGGI Il Neurofeedback Dinamico non Lineare nasce da più di 100 anni di ricerca. Il suo antenato è il biofeedback, metodo terapeutico psicologico basato sulla teoria comportamentista. L’organismo interagisce continuamente con l’ambiente esterno elaborando comportamenti adattativi (meccanismi automatici di autoregolazione). Con il biofeedback, attraverso elettrodi applicati sul paziente, vengono monitorati diversi parametri di attivazione fisiologica di cui solitamente non si è consapevoli. Gli input captati vengono usati per gestire segnali acustici o visivi. In questo modo il paziente riceve informazioni di ritorno (feedback) grazie alle quali può imparare a riconoscere le sue reazioni e quindi adottare strategie per controllarle.


box) In campo neurocognitivo, studi ne attestano l’efficacia per il deficit di attenzione, nell’iperattività, nel trattamento dei principali disturbi specifici dell’apprendimento - DSA (dislessia, disprassia e discalculia). Le malattie neurodegenerative quali l’Alzheimer, il Parkinson e la demenza senile traggono giovamento nel rallentamento del decorso della malattia e nella stabilizzazione dell’umore dei pazienti. Il Neurofeedback Dinamico non Lineare, infine, è utilizzato nelle ricerche delle peak performaces (prestazioni eccellenti) da sportivi di alto livello, artisti, creativi, intellettuali, e in ambito aziendale per la gestione dello stress e il miglioramento delle prestazioni lavorative.

EFFICACE CONTRO GLI ACUFENI Il Neurofeedback Dinamico non Lineare viene utilizzato nel trattamento dell’acufene, ottenendo una diminuzione in intensità, frequenza e durata e in quello dell’ansia e depressione che molto spesso si associano a questa patologia sempre più diffusa. La sua efficacia è stata avvalorata da una recente ricerca svolta dal dott. or Aldo Messina (responsabile del Dipartimento di Biopatologia e Biotecnologie mediche, Unità Operativa di Audiologia, A.O. Policlinico Paolo Giaccone di Palermo), dal dottor Giorgio Raponi (otorinolaringoiatra e otoneurologo ASST-Milano Nord), dalla psicologa dottoressa Marianna Franco e dalla consulente statistica dottoressa Michela Maria di Nardo. Lo studio ha coinvolto pazienti volontari, con diagnosi di acufene, sottoposti a una serie di sedute di Neurofeedback Dinamico non Lineare, a misurazioni audiometriche e questionari di autovalutazione riguardanti l’handicap provocato dall’acufene, il livello di preoccupazione patologica, la depressione, l’ansia, lo stress e la qualità del sonno con risultati significativi.

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cervello è stimolato a recuperare gradualmente la stabilità e l’efficienza perduta ad esempio causa di traumi fisici e psichici. Il Neurofeedback Dinamico non Lineare si adatta al funzionamento specifico di ogni singolo cervello: non lo spinge a conformarsi a un cervello ideale, ma lo porta a confrontarsi con se stesso “come davanti a uno specchio” e a correggere le proprie incoerenze e rigidità. Come si svolge una seduta? La persona è comodamente distesa su una poltrona reclinabile. Pochi sensori applicati sulla scatola cranica registrano l’attività cerebrale e inviano i dati al computer. Il software NeurOptimal® li analizza 256 volte al secondo e rileva gli eccessi e le variazioni nell’ampiezza delle onde cerebrali secondo un algoritmo specifico. A ogni forte variazione o squilibrio dell’attività cerebrale rilevata nel corso della seduta il software genera un’interruzione di poche frazioni di secondo nel fluire della musica che nel frattempo il paziente ascolta. Questo feedback

Il Neurofeedback Dinamico aiuta il cervello ad autoregolarsi permettendo così di migliorare la propria attività in ogni situazione, in particolare in presenza di disturbi fisici, intellettivi, emotivi” negativo informa in tempo reale il cervello sulla propria incoerente attività e lo induce a ritrovare coerenza. Di seduta in seduta il cervello recupera efficienza e plasticità. In quali casi può risultare utile? Il principale campo di applicazione sono i disturbi d’ansia e i fenomeni legati allo stress: ansia, attacchi di panico, insonnia, emicranie, fibromialgia, tachicardia e sindrome da fatica cronica. Si rivela efficace anche come primo intervento in stati depressivi e/o come appoggio alla terapia farmacologica. Buoni risultati si ottengono anche nel trattamento degli acufeni o tinnitus (vedi

Quante sedute sono necessarie per ottenere risultati? Fin dalle prime sedute si riscontrano dei benefici. Il numero varia a seconda della problematica, dell’obiettivo e delle caratteristiche individuali. Ci sono controindicazioni? Il Neurofeedback Dinamico non Lineare non è invasivo, non ha effetti collaterali ed è indicato a tutte le età. Non basandosi su un principio diagnostico, il protocollo è assolutamente identico per tutti indipendentemente dal problema o dal sintomo. Dall’altra parte, però, il software reagisce in modo assolutamente unico e personalizzato con ognuno e in modo diverso da una seduta all’altra, come un vestito cucito addosso alla persona millisecondo dopo millisecondo.

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REALTÀ SALUTE

Basta scuse: la rivoluzione dell’allenamento fisico … in 20 minuti

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State pensando di iscrivervi in palestra per ritrovare la linea, ma alla fine la pigrizia prende il sopravvento? “Non ho tempo”, “Dovrei portarmi al lavoro il borsone”, “So già che non sarò costante e non otterrò risultati”. Con 20fit, innovativa palestra nata tre anni fa nel cuore di Bergamo, non avrete più scuse. Con l’innovativo metodo proposto da 20fit bastano 20 minuti a settimana (pari a 4 ore di palestra) per consumare fino a 600 calorie a seduta, con programmi altamente personalizzati. Ma di cosa si tratta? «È un allenamento innovativo che tramite l’utilizzo della nuova elettrostimolazione EMS permette di coinvolgere il 100% delle fibre muscolari diversamente dalla palestra tradizionale che ne coinvolge solo il 65% e di raggiungere obiettivi di dimagrimento e tonificazione in soli tre mesi» spiegano Luca e Roberto, esperti personal trainer laureati in Scienze Motorie e specializzati in ambito posturale e nutrizionale che lavorano nel fitness

da più di 10 anni. «L’efficacia di questa stimolazione è stata dimostrata da studi svolti da importanti Università come quelle di Colonia, Beyreuth, Erlangen e Nuremberg e dal prestigioso istituto Bad Oeynhausen Heart Clinic in Germania. In Europa il fenomeno è già consolidato, esistono infatti più di 1.500 centri che utilizzano questa consolle certificata. Grazie a questa tecnologia si ottengono risultati oggettivi e misurabili: a inizio percorso effettuiamo una BIA (Bioimpedenziometria) per “fotografare” lo stato iniziale del cliente e la ripetiamo a metà e fine percorso». Dopo il centro di Bergamo aperto nel 2015, a distanza di tre anni e con centinaia di clienti soddisfatti, a settembre 2018 è stato inaugurata la sede di Como. Adatto a tutti per tutte le età e condizioni fisiche (non sovraccarica le articolazioni come altre attività), permette di realizzare allenamenti personalizzabili a seconda delle caratteristiche della singola persona e degli obiettivi che si vo-

20fit Via Broseta, 27 C - Bergamo 20fit.bg@gmail.com Tel. 035 0142344 www.20fit.it Instagram 20fit_italia Facebook 20fitbg Lunedì - venerdì 7:30 - 21:00 Sabato 8:00 - 15:00

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gliono raggiungere: rinvigorimento generale, ideale anche per persone che svolgono poca attività fisica; tonificazione specifica per sportivi, mantenimento muscolare per anziani e programmi come corse ed esercizi sportivi specifici (golf, nuoto, pugilato, judo, etc.). «Altri benefici che si possono ottenere sono la diminuzione della massa grassa e degli inestetismi della cellulite, la riduzione del mal di schiena, la prevenzione dell’osteoporosi, l’aumento del metabolismo basale e il miglioramento della circolazione sanguigna e linfatica (regalando anche una sensazione di benessere generale)Chi frequenta questa palestra d’elite gode di un rapporto one-to-one con il trainer ed è “coccolato” sotto ogni aspetto, come trovare direttamente nello spogliatoio, a completa disposizione, doccia personale e tutto quello che serve durante e dopo la seduta» concludono Luca Maino e Roberto Ponti. 20fit offre una prova gratuita per sperimentare questa nuova tecnologia, chiama e prenota per non per perdere l’occasione!”


Bergamo Salute anno 9 | n°48 Gennaio | Febbraio 2019 Direttore Responsabile Elena Buonanno Redazione Rosa Lancia redazione@bgsalute.it Grafica e impaginazione Gabriele Rota gabriele.rota@marketingkm0.it Fotografie e illustrazioni Shutterstock, Adriano Merigo, Astra Marina Cabras Stampa Elcograf S.p.A Via Mondadori, 15 - 37131 Verona (VR) Casa Editrice Marketing km Zero Srls Via G. Zanchi, 22 – 24126 Bergamo Tel. 035.0514318 - info@marketingkm0.it Pubblicità Luciano Bericchia Tel. 035.0514601- info@bgsalute.it Hanno collaborato Lucio Buonanno, Maria Castellano, Rita Compostella, Viola Compostella, Lella Fonseca, Giulia Sammarco

COMITATO SCIENTIFICO • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • •

Dott. Diego Bonfanti - Oculista Dott.ssa Maria Viviana Bonfanti Medico Veterinario Dott. Rolando Brembilla - Ginecologo Dott.ssa Alba Maria Isabella Campione Medicina Legale e delle Assicurazioni Dott. Andrea Cazzaniga Idrologo Medico e Termale Dott. Marcello Cottini - Allergologo Pneumologo Dott. Giovanni Danesi - Otorinolaringoiatra Dott. Adolfo Di Nardo - Chirurgo generale Dott. Nicola Gaffuri - Gastroenterologo Dott.ssa Daniela Gianola - Endocrinologa Dott. Antoine Kheir - Cardiologo Dott.ssa Grazia Manfredi - Dermatologa Dott. Roberto Orlandi Ortopedico Medico dello sport Dott. Paolo Paganelli - Biologo nutrizionista Dott. Antonello Quadri - Oncologo Dott.ssa Veronica Salvi - Ostetrica Dott. Orazio Santonocito - Neurochirurgo Dott.ssa Mara Seiti - Psicologa - Psicoterapeuta Dott. Sergio Stabilini - Odontoiatra Dott. Giovanni Taveggia Medicina Fisica e Riabilitazione Dott. Massimo Tura - Urologo Dott. Paolo Valli - Fisioterapista

COMITATO ETICO • •

Dott. Ernesto de Amici Presidente dell’Ordine dei Farmacisti di Bergamo Beatrice Mazzoleni - Presidente OPI

Iscr. Tribunale Bergamo N°26/2010 del 22/10/2010 Iscr. ROC N°26993. © 2019 - Tutti i diritti sono riservati. È vietata la riproduzione, anche se parziale, di qualsiasi testo o immagine. L’editore si dichiara disponibile per chi dovesse rivendicare eventuali diritti fotografici non dichiarati. I contenuti presenti su Bergamo Salute hanno scopo divulgativo e non possono in alcun modo sostituirsi a diagnosi mediche.

Tiratura 30.000 copie/bimestre. Canali di distribuzione: • Abbonamento • Spedizione a diverse migliaia di realtà bergamasche, dove è possibile leggerla nelle sale d’attesa (medici e pediatri di base, ospedali e cliniche, studi medici e polispecialistici, odontoiatri, ortopedie e sanitarie, farmacie, ottici, centri di apparecchi acustici, centri estetici e benessere, palestre, parrucchieri etc.) • Distribuzione gratuita presso le strutture aderenti alla formula "Amici di Bergamo Salute".

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