numero
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Anno 9 Marzo | Aprile 2019
www.bgsalute.it Poste Italiane spa Sped. in Abb. Postale DL 353/2003 (Conv. in legge 27/02/2004 N.46) Art. 1 comma 1 LOM/BG
3 0 MI L A
COPIE
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L’asma IERI, OGGI, DOMANI
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Burnout COME PREVENIRE L’ESAURIMENTO DA LAVORO
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La dieta giusta? TE LO DICE IL MICROBIOTA
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La bellezza VIENE DAL FREDDO
Bergamo Salute è sempre con te: leggila integralmente dal tuo computer, tablet o smartphone www.bgsalute.it
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Ilaria Galbusera
Non ci sento, ma in campo e nella vita mi faccio sentire
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Anno 9 Marzo | Aprile 2019
www.bgsalute.it
) EDITORIALE 7 Ci vediamo in centro? ) ATTUALITÀ 8 Sicurezza igienico-sanitaria degli alimenti ) SPECIALITÀ A-Z 12 Nefrologia L’alimentazione giusta per prendersi cura dei reni 14 Ortopedia Sindrome del tunnel carpale: cause e rimedi 18 Pneumologia L’asma bronchiale, ieri, oggi e domani ) PERSONAGGIO 20 Ilaria Galbusera Non ci sento, ma in campo e nella vita mi faccio sentire ) IN SALUTE 24 Stili di vita Burnout, come prevenire l’”esaurimento da lavoro” 28 Alimentazione La dieta giusta? Te lo dice il microbiota 30 Broccoli: concentrato di virtù ) IN ARMONIA 32 Psicologia Crederci ancora 36 Coppia Umorismo e ironia, così la relazione è più felice
) IN FAMIGLIA 38 Dolce attesa Nati prima del tempo. Come prendersene cura 40 Bambini Denti più sani e protetti senza la paura del dentista 42 Autismo: una sfida che inizia dall’infanzia 44 Ragazzi Dalle scuole medie alle superiori ) IN FORMA 46 Fitness Più forti, flessibili e in forma con il kettlebell 48 Bellezza La bellezza che viene dal freddo ) RICETTA 50 Aperitivo con limone e zenzero 51 Pangrattato saporito ai capperi 52 Zuppa tiepida di orzo e porri ) RUBRICHE 60 Altre terapie Le tisane giuste per depurarsi e prepararsi al cambio di stagione 62 Guida esami Dosaggio del Psa. A cosa serve davvero? 64 Animali A primavera è allarme processionaria ) ATS INFORMA 68 Take 5. Un programma per star bene
) DAL TERRITORIO 70 News 72 Farmacie Pazienti diabetici 74 Il lato umano della medicina L’infarto si può prevenire e io lo insegno in un film 77 Malattie rare Sindrome di Turner 78 Testimonianza La stomia? L’ho battuta con un sacchetto magico, come dicono e mie figlie 80 Aiutando i più sfortunati non penso al Parkinson ) STRUTTURE 82 Rsa Bramante 84 Namasté Salute ) PROFESSIONI SANITARIE 86 Tecnico audioprotesista: una figura in ascesa ) REALTÀ SALUTE 89 Centro di Radiologia e Fisioterapia 91 9Coop Centro Infermieristico Polispecialistico 93 InsiemeAte 95 Privatassistenza 97 Centro la Trottola Allegato centrale: Amici di Bergamo Salute
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Adriano Merigo
EDITORIALE
Ci vediamo in centro?
Ritorna dal 17 al 19 maggio l’ottava edizione del Festival dell’Ambiente di Bergamo, la tre giorni sulla sostenibilità e sulle buone pratiche ambientali diventata ormai un punto fermo della primavera in città. Il Festival riunisce le molte realtà del territorio che lavorano per mettere in sintonia l’ambiente e le persone: dalla green economy alle energie rinnovabili,
dall’agricoltura all’alimentazione, dalla mobilità al terzo settore, dalle cooperative al volontariato e tempo libero. Il Sentierone, il Quadriportico e Piazza Dante sono il cuore dell’evento che alterna convegni, momenti di confronto, animazione, ma anche laboratori e approfondimenti, il tutto organizzato dall’Associazione Festival dell’Ambiente e dal Comune di
Bergamo - Assessorato all’Ambiente, con il mensile InfoSOStenbile, il “fratello green” di Bergamo Salute. Proprio per questo anche quest’anno saremo presenti con il nostro team al “gazebo di famiglia” sul Sentierone, per distribuire la rivista, parlare con i lettori e proporre un “Abbonamento speciale festival” a un prezzo piccolissimo. Venite a trovarci, ci vediamo in centro!
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ATTUALITÀ
Sicurezza igienico-sanitaria degli alimenti Sempre più una priorità (e un impegno) a livello internazionale ∞ A CURA DI LELLA FONSECA
Nello scorso mese di febbraio 2019 si è svolta ad Addis Abeba la prima “Conferenza internazionale sulla sicurezza degli alimenti”, organizzata dall’Unione 8 | Bergamo Salute | Marzo/Aprile 2019
africana (Ua), dall’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura delle Nazioni Unite (Fao), dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e dall’Organizzazione mon-
diale del commercio (Omc). Obiettivo: mettere a punto strategie a livello internazionale per aumentare la sicurezza alimentare e lo sviluppo sostenibile. Alla Conferenza
hanno partecipato i ministri dell’agricoltura, della salute e del commercio di circa 130 paesi affiancati da esperti scientifici, agenzie partner e rappresentanti di organizzazioni di consumatori, produttori alimentari, organizzazioni della società civile e del settore privato. Nella sessione di apertura i leader mondiali presenti hanno concordato sulla necessità di una maggiore cooperazione internazionale per evitare che alimenti non sicuri causino problemi di salute e ostacolino i progressi verso uno sviluppo sostenibile. La tematica verrà ripresa a breve in un secondo evento, il “Forum internazionale sulla sicurezza degli alimenti e sul commercio”, che si terrà a Ginevra i prossimi 23-24 aprile, organizzato dall’Organizzazione mondiale del commercio, in cui al centro della discussione saranno le interconnessioni tra sicurezza degli alimenti e commercio. Dalla conferenza di Addis Abeba sono emersi alcuni dati allarmanti su cui riflettere: gli alimenti contaminati da batteri, virus, parassiti, tossine o sostanze chimiche fanno sì che oltre 600 milioni di persone si ammalino e 420.000 muoiano in tutto il mondo ogni anno; malattie legate a pericolose carenze alimentari sovraccaricano i sistemi sanitari e danneggiano le economie, il commercio e il turismo; l’impatto di alimenti non sicuri costa ogni anno alle varie economie ( sia a reddito medio-basso che a reddito alto ) circa 200 miliardi di dollari in perdita di produttività. «Individuate queste minacce, la sicurezza degli alimenti deve essere un obiettivo
fondamentale in ogni fase della catena alimentare, dalla produzione, alla raccolta, alla lavorazione, allo stoccaggio, alla distribuzione, alla preparazione e al consumo» hanno sottolineato i partecipanti alla conferenza. «Il cibo non sicuro è responsabile di centinaia di migliaia di morti ogni anno, ma non ha ricevuto l’attenzione politica che meritava. Garantire alle persone l’accesso a cibo sicuro richiede maggiori investimenti in regole più rigorose, in laboratori, nella sorveglianza e nel monitoraggio. Nel nostro mondo globalizzato, la sicurezza degli alimenti è un problema che ci riguarda tutti» ha affermato il dottor Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. In effetti attualmente la presenza massiccia di micotossine in una quota variabile che spazia dal 40% al 70% di tutte le derrate alimentari di origine vegetale ed animale prodotte nel mondo le rende di fatto non idonee per il consumo sia umano che animale e le condanna ad essere termodistrutte
I PIÙ DEBOLI? I PIÙ COLPITI Secondo i dati presentati i bambini sotto i cinque anni veicolano il 40% delle malattie di origine alimentare, con 125mila morti ogni anno. Tra queste le malattie diarroiche sono le più comuni e generalmente derivano dal consumo di cibo contaminato. Gli esperti hanno ricordato che “il cibo non sicuro crea un circolo vizioso di malattie e malnutrizione, che colpisce in particolare i neonati, i bambini, gli anziani e gli ammalati”. Le malattie di origine alimentare “ostacolano lo sviluppo socioeconomico mettendo a dura prova i sistemi sanitari e danneggiando le economie nazionali, il turismo e il commercio”.
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ATTUALITÀ
ad alta temperatura o a essere inserite nel ciclo della produzione di biogas (sebbene questa seconda soluzione non risolva il problema e -anzi - in un certo senso lo sposti senza risolverlo veramente ). È evidente, quindi, che il problema della sicurezza alimentare non risparmi nessuno, compreso il nostro Paese, e che non si può abbassare la guardia. È fondamentale mantenere sempre l’allerta alta, come dimostrano anche le notizie di cronaca che ciclicamente occupano le prime pagine di giornali e telegiornali sul ritiro di prodotti alimentari dal commercio a causa di contaminazioni da parte di agenti patogeni (cioè che possono provocare malattie). Gli agenti patogeni di origine alimentare possono causare varie malattie che spaziano dalla semplice diarrea ancorché grave alle infezioni debilitanti, ma non solo: la contaminazione può provocare anche intossicazioni acute e cro-
DOTT. MASSIMO VALVERDE Specialista in Endocrinologia, Farmacologia e Tossicologia Direttore Sanitario Centro Medico MR Bergamo
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niche, e quindi malattie croniche o patologie che si sviluppano nel tempo come il cancro. Tra gli alimenti più a rischio ci sono quelli crudi di origine animale, la frutta e verdura contaminata da feci e i crostacei crudi contenenti biotossine marine. Meno noti, ma di gran lunga più pericolosi e subdoli, sono i rischi che si nascondono nei cereali e nelle farine alla base della nostra alimentazione. «Numerosissime specie di muffe e microfunghi hanno da sempre colonizzato il nostro Pianeta, diffondendosi ubiquitariamente in tutte le nicchie ecologiche, a partire dai batteri e dai virus fino agli organismi complessi» ha spiegato il dottor Massimo Valverde, medico specialista in endocrinologia, farmacologia e tossicologia, che da anni si occupa di ricerche sulla contaminazione da micotossine e che ha partecipato a “Spazio nutrizione”, l’incontro organizzato a Milano il 22-23 marzo scorso dall’Università degli Studi di Milano sul tema “La filiera della sana nutrizione”, con un intervento sui i risultati delle ricerche sviluppate in questo campo con il suo gruppo di lavoro. «Grazie alle alterne condizioni ambientali che si sono succedute nel corso di milioni di anni le muffe hanno sviluppato una grandissima resistenza biologica verso i possibili agenti a loro avversi: la loro principale arma di difesa sono le cosiddette micotossine, prodotti metabolici che resistono a temperature fino a 350 °C (quindi anche alla cottura dei cibi). Grazie alla loro stabilità in diverse condizioni ambientali le micotossine si propagano in tutte le catene alimentari note. Ad esempio sono
presenti nei cereali con cui si fabbricano i mangimi per la produzione animale e si propagano nella carne e nel latte. Per mezzo degli escrementi del bestiame, utilizzati come fertilizzanti, vanno di nuovo a incrementare la concentrazione di tossine nei campi e così via». Dottor Valverde, quali sono gli effetti delle micotossine sulla salute umana? Negli ultimi 30 anni si sono accumulati centinaia di studi scientifici che hanno dimostrato l’alta cancerogenità di queste sostanze. Lo Iarc (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro), l’Oms e gli organismi mondiali e nazionali di controllo le riconoscono come i più potenti agenti cancerogeni noti, ma non solo: da ulteriori studi è emerso che i loro effetti non si limitano al campo oncologico. Le micotossine sono presenti negli organismi superiori di ogni tipo, e si concentrano non solo a livello epatico e renale, ma anche nel sistema digestivo, respiratorio, nervoso, osteomuscolare, endocrino-riproduttivo e immunitario; inoltre le micotossine superano la barriera placentare, per cui sono in grado di esprimere la loro azione tossica a lungo termine anche nei feti in via di sviluppo, con particolare predilezione per il loro stesso sistema nervoso. Le micotossine si accumulano progressivamente nel corpo, ma solo quando superano determinate soglie in determinati organi o sistemi si manifestano stati patologici anche gravi, che non sempre recedono spontaneamente all’abbassamento della contaminazione.
Considerata la gravità del problema, quali sono le armi per contrastarlo? A oggi persiste una grave carenza legislativa, soprattutto a livello europeo, condizione che, di fatto, impedisce l’uso di alcune efficaci tecnologie brevettate da vari anni che sono in grado di bonificare in modo naturale e sicuro le derrate alimentari di origine vegetale rendendole nuovamente idonee ovviamente dopo una loro attenta certificazione da parte degli appositi Organismi Ufficiali di Controllo sia per uso umano che zootecnico, realizzando così , nell’ambito della logica dell’economia circolare , un
risparmio assoluto sia di prodotti che non dovranno più essere distrutti , sia di risorse ambientali (suolo ed acqua ) sia dell’uso di fertilizzanti , pesticidi etc. Questi processi sono in grado di abbattere le micotossine senza modificare le caratteristiche organolettiche degli alimenti, ma perché possano essere utilizzati nell’industria alimentare è necessaria un’azione rapida e decisa da parte degli organismi pubblici preposti che non hanno ancora preso decisioni in merito. Parallelamente sono in via di studio specifici piani terapeutici per l’uomo ( escludendo il campo oncologico) che utilizzano principi farmacologici attivi già
noti e certificati, ove lo scopo è limitare e, dove possibile, tentare di correggere i danni “non oncologici” provocati dalle micotossine. Le micotossine sono sempre e comunque dannose per la società umana? Le micotossine rappresentano un grave rischio per la salute sia dell’uomo sia dell’ambiente e dovremo considerarle un’emergenza per gli anni futuri. D’altro canto diversi studi scientifici approfonditi hanno oramai oggettivamente dimostrato come l’uso di alcune micotossine, opportunamente manipolate e utilizzate in modo controllato, siano in grado di risolvere in modo naturale e senza effetti collaterali importanti problemi ambientali propri sia del mondo animale sia di quello vegetale, quali ad esempio: il controllo e la riduzione “in modo non letale e indolore “ della popolazione di animali infestanti di varie specie; il contrasto attivo dello sviluppo di vari patogeni vegetali, azione che oggi richiede un ampio utilizzo di pesticidi e anticrittogamici dannosi per l’uomo e per l’ambiente. Tra questi alcuni patogeni vegetali di particolare interesse sanitario ed economico, per il controllo e l’eliminazione dei quali, sino a pochi mesi addietro, non si credeva esistessero efficaci soluzioni disponibili. Inoltre sono in studio avanzato diverse procedure cliniche adatte a eliminare o quanto meno ridurre drasticamente la quota di micotossine presenti negli organismi umani in modo da limitarne al massimo gli effetti acuti e tenerne quanto più possibile sotto controllo gli effetti a lungo termine. Marzo/Aprile 2019 | Bergamo Salute | 11
SPECIALITÀ A-Z
NEFROLOGIA
L’alimentazione giusta per prendersi cura dei reni ∞ A CURA DI CRISTINA ROBBA
Circa tre milioni di persone in Italia soffrono di insufficienza renale cronica. Di queste almeno 50 mila sono già in dialisi, trattamento che aiuta a depurare l’organismo intossicato dalle scorie che il rene non è più in grado di eliminare. Prima di arrivare a questo, durante l’insorgenza o lo sviluppo della malattia, è possibile intervenire e rallentarne il decorso con una corretta strategia di prevenzione che parte dall’alimentazione.
SE IL RENE NON “FILTRA” PIÙ SCORIE E SOSTANZE TOSSICHE Si parla di malattia renale cronica quando i nostri reni non sono in
DIETA AD HOC PER I VEGETARIANI Nel caso in cui il paziente sia vegetariano, il programma alimentare a base di proteine vegetali viene completato dalla introduzione di preparati appositi a base di aminoacidi essenziali e chetoanaloghi che completano il fabbisogno della dieta mantenendo basso il livello proteico totale.
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grado di eliminare con l’urina tutte le scorie e le sostanze che, se si accumulano nel nostro organismo sopra alcuni limiti, possono diventare tossiche e produrre effetti negativi a lungo termine. Queste sostanze sono la creatinina, l’azoto, ma anche il potassio e il fosforo, se superano i limiti fisiologici. Inoltre quando un rene si ammala non è più in grado di svolgere la sua funzione al 100% e non è più in condizione di svolgere altri compiti, come il controllo della produzione di globuli rossi e il controllo del metabolismo del calcio e del fosforo, essenziali questi ultimi per il benessere dell’osso. Anche se spesso “sottovalutato”, il rene è un organo fondamentale per la nostra vita e la sua funzione va molto oltre la semplice produzione di urine. Le cause dell’insufficienza renale possono essere diverse: non solo le malattie specifiche del rene come alcune glomerulonefriti (malattie di natura infiammatoria che interessano i reni) possono contribuire a danneggiare in modo irreparabile i reni, ma anche e soprattutto alcune patologie diffuse tra la popolazione, come il diabete e la pressione alta e infine alcune malattie autoimmuni, come il lupus e la artrite reumatoide.
IL PESO DELL’ALIMENTAZIONE Anche l’alimentazione incide moltissimo sul buon funzionamento dei reni. Ad esempio, una dieta troppo ricca di proteine contribuisce a peggiorare il problema. Un
apporto contenuto di sostanze proteiche, invece, allontana lo spettro della dialisi migliorando la qualità della vita. Per i pazienti con insufficienza renale l’ideale, quindi, sarebbe costruire una dieta ad hoc, super personalizzata, che esclude le proteine non nobili, come quelle presenti nella pasta o nel pane, e privilegia invece quelle “nobili” contenute nella carne e nel pesce. Attenzione però, non è necessario elimi nare
DOTT.SSA CRISTINA ROBBA Specialista in Nefrologia Nefrologa Responsabile dell’Ambulatorio di Nutrizione Clinica Policlinico San Marco Zingonia e Nutrizionista di Smart Clinic
completamente i carboidrati né ci si deve affidare al “fai da te”: in commercio esistono dei prodotti medici speciali, cioè pane e pasta oppure biscotti e grissini che sono privi di proteine (aproteici). Sulla base della quota proteica che il paziente deve introdurre, sarà il medico a calcolare la composizione della dieta. La prescrizione della dieta è competenza dello specialista nefrologo che conosce questi specifici prodotti alimentari e gli eventuali fattori di correzione che possono essere necessari caso per caso. In altri termini lo specialista nefrologo deve conoscere e utilizzare non solo i farmaci, ma anche gestire questo aspetto nutrizionale fondamentale. La preparazione della dieta idonea per ciascun paziente, infatti, deve tenere conto di molti fattori clinici, degli esami di laboratorio e delle abitudini alimentari del paziente, che sono diverse a seconda dell’età del malato, della sua attività e della sua capacità di adattarsi a un nuovo regime dietetico. Ma è al paziente che spetta il compito più importante: deve essere costante nel seguirla e capirne i vantaggi, deve sapere che ha un’arma per rallentare l’evoluzione della malattia renale. Un corretto approccio alla malattia non può prescindere da un’alimentazione personalizzata, qualsiasi siano le abitudini del paziente, che deve essere studiata su misura per ogni stadio della insufficienza renale contribuendo così al benessere del malato e spesso anche alla diminuzione dell’uso di farmaci. E questo vale anche per chi deve iniziare a sottoporsi alla
dialisi: se il paziente segue una dieta con apporto proteico controllato, arriverà a questa terapia dialitica senza malnutrizione e con un buon bilanciamento di calcio e fosforo, a tutto vantaggio del suo stato di salute generale.
La prevenzione Fondamentale per limitare le probabilità di arrivare alla diagnosi di insufficienza renale e soprattutto per allontanare lo spettro della dialisi è la prevenzione. Come fare? Bisogna tenere sotto controllo alcuni campanelli d’allarme e mettere in atto una serie di buone abitudini. Prevenire l’insufficienza renale è possibile se si curano le malattie che possono indurre un danno renale, come diabete, ipertensione arteriosa, lupus, artrite reumatoide, infezioni urinarie ricorrenti etc. Inoltre, è importante seguire una dieta bilanciata (in particolare ipoproteica e a basso contenuto di sale), bere molta acqua, fare attività fisica regolare, tenere sotto controllo la pressione arteriosa e non sottovalutare segnali quali cambiamento di colore o odore delle urine oppure edemi agli arti inferiori. In caso di dubbi, è bene chiedere un consulto al medico per esami specifici.
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SPECIALITÀ A-Z
ORTOPEDIA
Sindrome del tunnel carpale Cause e rimedi ∞ A CURA DI PATRIZIO LEONE
Riguarda sia chi lavora tutto il giorno davanti al computer e usa spesso il mouse sia chi svolge mansioni manuali ripetitive. Parliamo della sindrome da tunnel carpale, patologia molto fastidiosa che influisce negativamente sulla qualità della vita di chi ne è affetto. I sintomi? Formicolio alle dita della mano, dolore e indolenzimento che spesso compaiono durante la notte e tendono a intensificarsi fino a portare, nei casi più seri, alla progressiva difficoltà a tenere in mano gli oggetti.
UNA QUESTIONE DI COMPRESSIONE La sindrome del tunnel carpale (Stc) è la malattia nervosa periferica più frequente del corpo umano. È causata dalla compressione di un nervo, il nervo mediano, che attraversa il polso all’interno di un canale chiamato tunnel carpale, regione anatomica situata a livello della base del palmo della mano 14 | Bergamo Salute | Marzo/Aprile 2019
e delimitata su tre lati dalle ossa del carpo e sul quarto lato da un legamento molto spesso chiamato legamento trasverso del carpo. In questa galleria decorre il nervo mediano assieme ai tendini flessori delle dita. Quando questi ultimi, per motivi infiammatori da microtraumi (gesti ripetuti in attività lavorative) o alterazioni ormonali (gravidanza) o reumopatie, dismetabolismi (Iperuricemia, ipercolestrolemia etc.) aumentano il loro volume, spingono il nervo mediano contro il legamento trasverso del carpo, causandone la sua compressione. La sindrome del tunnel carpale si manifesta soprattutto in una popolazione di età superiore ai 40 anni, con una frequenza più elevata nella donna, ed è variabile a seconda dell’attività lavorativa svolta: in particolari attività si registrano fino a 60 casi ogni 100 lavoratori. Ne risultano più spesso colpite persone che utilizzano le mani per lavori di precisione e tipicamente ripetitivi, come
muovere il mouse, usare il martello pneumatico, ma anche addetti al confezionamento pacchi, cuochi. In circa il 70% dei casi è bilaterale, con prevalenza della mano dominante. È inoltre molto frequente in chi soffre di fibromialgia.
DOTT. PATRIZIO LEONE Specialista in Ortopedia e Traumatologia Chirurgia della Mano e Microchirurgia Dirigente Medico H Bolognini di Seriate ASST-Bergamo Est e Centro Infermieristico Polispecialistico 9coop
PAD MOUSE “SPECIALI” PER PREVENIRLA L‘utilizzo molto frequente del mouse del computer è correlato a questa patologia, ormai nota come il “mal di mouse”. In questo caso è importante prevenire, assumendo la posizione corretta del polso sul mouse, cioè evitando di dorsiflettere (tirare su) la mano. Esistono dei pad mouse che favoriscono un giusto appoggio.
FORMICOLII E DOLORE (SOPRATTUTTO DI NOTTE) CHE NON DANNO TREGUA Il nervo mediano porta la sensibilità al pollice, indice, medio e alla parte dell’anulare vicina al dito medio. Il nervo controlla anche i muscoli intorno alla base del pollice (eminenza tenare). Una compressione del nervo stesso causerà pertanto la graduale perdita di queste funzioni: disturbi della sensibilità (dolore, parestesia) e ipostenia che colpiscono le prime tre dita (pollice, indice e medio) e metà del quarto dito della mano ( fase irritativa-sensitiva). Questi problemi, che si presentano prevalentemente durante la notte, possono evolvere nei casi più gravi in una progressiva e irreversibile perdita della sensibilità alle prime tre dita e alla mano dal lato volare, seguita da ipo-atrofia dei muscoli tenari della mano (fase paralitica). Chi ne soffre lamenta debolezza nelle dita; avrà difficoltà a eseguire lavori
manuali, come svitare il tappo di una bottiglia, girare la chiave in una serratura o lavorare a maglia; rife-
risce un dolore notturno che non gli permette di dormire. Scuotere o agitare le mani aiuta spesso a
Tunnel carpale Muscolo
Nervo mediano
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SPECIALITÀ A-Z
ORTOPEDIA
ridurre la sintomatologia. Nella fase avanzata i pazienti riferiscono completa mancanza di sensibilità, caduta degli oggetti dalle mani e perdita di forza. Una sensazione di goffaggine o debolezza può rendere movimenti abitualmente semplici, come abbottonarsi la camicia o cucire, quasi impossibili.
EREDITARIETÀ, CAMBIAMENTI ORMONALI E LAVORI MANUALI TRA LE CAUSE Come accennato, la sindrome del tunnel carpale si verifica quando la sinovia, cioè il tessuto che avvolge i tendini flessori, si gonfia determinando una compressione sul nervo mediano. La membrana sinoviale lubrifica i tendini e rende più facile il movimento. Il gonfiore della sinovia
restringe lo spazio confinato del tunnel carpale, e nel tempo, determina una sofferenza del nervo. Molti sono i fattori che possono contribuire allo sviluppo della sindrome del tunnel carpale: > l’ereditarietà è il fattore più importante (il tunnel carpale può essere più piccolo in alcune persone e questa caratteristica viene ereditata); > svolgere lavori manuali (come usare il martello pneumatico) o lavori di precisione e tipicamente ripetitivi può contribuire nel tempo a sviluppare questo disturbo; > cambiamenti ormonali legati alla gravidanza e il ristagno di liquidi possono giocare un ruolo nella compressione del nervo e nella sua sofferenza; > l’età è un fattore importante (la malattia si verifica più frequentemente nelle persone dopo i quarant’anni). Condizioni patologiche generali di base, tra cui il diabete, l’artrite reumatoide, dismetabolismi e gli
squilibri ormonali tiroidei possono avere un ruolo nell’insorgenza della patologia compressiva e degenerativa del nervo, così come anche alcuni sport (giocare a bowling o a tennis) o l’utilizzo di strumenti musicali (chitarra, pianoforte o batteria) che causano microtraumatismi ripetuti del polso.
LA CONFERMA DELLA DIAGNOSI? LA DÀ L’ELETTROMIOGRAFIA La diagnosi della sindrome del tunnel carpale viene effettuata con un esame obiettivo accurato e una valutazione meticolosa della storia clinica e delle abitudini del paziente. La presenza dei sintomi descritti in precedenza, più la positività del cosiddetto test di Tinel (picchiettando con un dito sulla porzione volare del carpo si evoca una sensazione di scossa) e del test di Phalen (comparsa di formicolii e dolore alla flessione forzata per 30 secondi dei polsi affrontati), portano il medico a fare diagnosi di sindrome del tunnel carpale. La conferma è data dalla elettromiografia e, laddove non possa essere eseguita (ad esempio
Il tutore: un valido aiuto soprattutto di notte In casi di sindrome del tunnel carpale, l’utilizzo di un tutore ortopedico (e la riduzione dello stress all’articolazione), può offrire un importante sollievo. Come ci spiega Luca Lutti, tecnico ortopedico. Come un tutore può essere d’aiuto? La maggior parte delle persone
piegano il polso mentre dormono. Se siamo in presenza di un disturbo di questo tipo, si creerà un’ulteriore compressione al nervo mediano, peggiorando la situazione. Indossare un idoneo tutore ortopedico durante la notte aiuta a mantenere il polso in una posizione neutra o fisiologica. Il tutore può essere utilizzato anche nelle ore diurne,
specialmente nella fase acuta del dolore al fine di evitare movimenti ripetitivi che arrecano ulteriore stress. È molto importante, quando si indossa un tutore per tempo prolungato, verificare e garantire la corretta mobilità del polso. L’utilizzo di un tutore ortopedico può essere suggerito nei casi di dolore leggero o moderato senza dimen-
in pazienti portatori di pacemaker), da una ecografia del canale carpale; la radiografia del polso può escludere una compressione dovuta ad artrosi severa.
TUTORI E FARMACI PER TENERE SOTTO CONTROLLO IL PROBLEMA
alcune abitudini, come nel caso dell’utilizzo del mouse (vedi box). Infine l’assunzione di farmaci antinfiammatori non steroidei riduce l’infiammazione e allevia il dolore. In queste fasi si può ricorrere anche all’assunzione di nutraceutici come l’acido alfa-lipoico.
Se la diagnosi viene fatta precocemente, la sindrome del tunnel carpale può essere curata senza dover per forza intervenire chirurgicamente. Se ci troviamo di fronte a una sindrome lieve o moderata, è indicato l’utilizzo di un tutore che mantiene il polso in posizione neutra, impedendo quindi l’irritazione notturna del nervo mediano, situazione che si verifica quando i polsi sono piegati durante il sonno. I tutori possono essere indossati anche durante l’attività lavorativa. Se la causa è da cercare nell’ambito lavorativo, è molto utile il cambio di attività e mansioni; questo permette di cambiare gli schemi di utilizzo della mano, evitando quindi l’aggravarsi dei sintomi. A volte basta anche modificare
LA CHIRURGIA SOLO QUANDO I SINTOMI SONO INSOPPORTABILI
ticarci che è sempre opportuno approfondire eseguendo al bisogno accertamenti specialistici. Il tutore inoltre trova applicazione anche nel post-operatorio (esistono modelli dedicati).
Il tecnico ortopedico (presente nei negozi di ortopedia qualificati) è il professionista al quale rivolgersi per identificare il tutore più adatto alle proprie esigenze. I tutori in genere sono dispositivi medici che devono essere realizzati con materiali leggeri, certificati e che non provochino allergie. Presentano una stecca di alluminio interna sagomabile
A chi ci si può rivolgere per averne uno adatto al proprio caso?
Il trattamento chirurgico è necessario, quando la sindrome del tunnel carpale è in fase moderata-severa, cioè quando i sintomi sono intensi, insopportabili, presenti da almeno sei mesi e causano inabilità e dolore. È bene precisare che l’intervento viene ormai eseguito in regime ambulatoriale e con tecnica cosiddetta Walant, ovvero in anestesia locale e senza utilizzo di laccio emostatico: mediante un mini accesso al canale carpale si incide il legamento trasverso del carpo e si decomprime il nervo mediano. Nella maggior parte dei casi si osserva una riduzione immediata della sintomatologia dolorosa e delle parestesie. Va ri-
cordato però che la fase paralitica della compressione in alcuni casi necessita di fisiochinesiterapia adeguata per ottenere il recupero desiderato.
LE DONNE? LE PIÙ A RISCHIO La sindrome del tunnel carpale si manifesta con un rapporto donna-uomo di tre a uno. Un motivo è di natura prettamente anatomica, ovvero un tunnel più stretto nel sesso femminile. Un’altra causa è da attribuire agli squilibri ormonali, come nel caso della gravidanza e a una maggiore ritenzione di liquidi; infine, tra i fattori ambientali, l’attività lavorativa manuale gioca un ruolo importante.
che può essere collocata in posizione palmare o dorsale. I tutori di ultima generazione sono realizzati in materiali ultraleggeri con una zona interna aperta in corrispondenza del polso al fine di evitare ulteriori compressioni del nervo. Al bisogno, e dietro indicazione dello specialista, si possono realizzare particolari tutori su misura.
SPECIALITÀ A-Z
PNEUMOLOGIA
L’asma bronchiale Ieri, oggi e domani ∞ A CURA DI PIETRO ARNONE
In qualità di ex giovane sono risalito alla definizione di asma riportata nel Trattato di patologia medica di Ugo Teodori (Società Editrice Universo 1981) su cui avevo studiato: “l’asma bronchiale (άσθμα=affanno) è una malattia caratterizzata da dispnea che generalmente insorge a crisi parossistiche determinate da una stenosi bronchiale diffusa, per spasmo della muscolatura liscia, edema ed ipersecrezione”. L’attuale definizione, desunta dalle linee guida Gina (Global Initiative for Asthma) del 2018 è: “l’asma è una malattia eterogenea, caratterizzata generalmente da infiammazione cronica. È definita da
una storia di sintomi respiratori quali respiro sibilante, dispnea, sensazione di costrizione toracica e/o tosse che variano nel tempo e in intensità, insieme a una variabile limitazione al flusso espiratorio”. La prima definizione è quindi basata essenzialmente sui sintomi e segni e la parola infiammazione non è presente. Nell’attuale definizione l’infiammazione assume invece un ruolo centrale e determina segni e sintomi della patologia.
LE CAUSE: DAI FATTORI GENETICI ALL’INQUINAMENTO Sull’origine
dell’infiammazione
nell’asma influiscono fattori genetici, anatomici e fattori ambientali quali allergeni, fumo, infezioni e inquinamento atmosferico (tra gli altri il famoso PM10). L’asma può essere intermittente, come succede ad esempio nell’asma allergico stagionale, oppure persistente, da moderata fino a grave. L’asma può insorgere durante esercizio fisico (asma da sforzo). Oltre ai sintomi vanno pertanto monitorati la funzione polmonare tramite la spirometria, a verifica dell’ostruzione e della sua reversibilità, e i marker dell’infiammazione bronchiale (tramite il dosaggio dell’ossido nitrico esalato o il dosaggio degli eosinofili su circolo o escreato).
LA CURA, FRA FARMACI E RIABILITAZIONE Considerato il ruolo centrale svolto dai fattori infiammatori nel determinare i sintomi, il cortisone assume il ruolo principale nella terapia di fondo dell’asma, mentre in precedenza veniva consigliato nelle fasi acute e nelle riacutizzazioni insieme con broncodilatatori e aminofillina. La terapia pertanto deve andare al di là dei sintomi e avere come scopo finale lo spegnimento dell’infiammazione bronchiale alla base dell’asma. La via principale di somministrazione della terapia è quella inalatoria. Di conseguenza è fondamentale che il paziente impari la tecnica corretta di assunzione dei farmaci a seconda del tipo di dispositivo prescritto. I farmaci a disposizione sono, oltre ai cortisonici, i broncodilatatori, con due diversi meccanismi d’azione (beta 2 stimolanti e antimuscarinici) e gli antileucotrienici (farmaci che agiscono inibendo i leucotrieni che sono dei mediatori chimici del processo infiammatorio). Nell’asma allergico, in casi selezionati, può essere indicato il trattamento con vaccini specifici. Un ruolo indiretto nella terapia dell’asma lo assumono da un lato gli antistaminici, che bloccano la rinite, fattore che influisce sull’estensione della flogosi dal naso ai bronchi, e dall’altro i farmaci che curano il reflusso gastro-esofageo che può influire sull’infiammazione alla base dell’asma. Negli ultimi
decenni l’industria farmaceutica ha migliorato progressivamente la durata d’azione sia dei cortisonici sia dei broncodilatatori nell’intento di migliorare l’aderenza alla terapia dei pazienti. Gli antileucotrienici (ad esempio Montelukast, Zafirlukast, Zileuton), come detto, agiscono inibendo i leucotrieni. Negli ultimi anni, gli studi si sono concentrati sull’individuazione dei numerosi mediatori implicati nell’infiammazione dell’asma e sulla costruzione di anticorpi monoclonali in grado, bloccando questi mediatori, di curare la malattia. Sono già in commercio alcuni di questi farmaci (Omalizumab, Mepolizumab, Benralizumab) che agiscono come anti-IGE o come anti-interleuchine. I pazienti in cui questi farmaci possono essere efficaci vanno accuratamente selezionati tra quelli nei quali i farmaci tradizionali, al dosaggio massimale, non producono un controllo accettabile del quadro clinico. Ciò anche in considerazione del costo elevato di questi nuovi farmaci. Decine di altri farmaci di questo tipo sono in fase di studio. Tuttavia i farmaci non solo l’unica risorsa. In caso di cronicizzazione del disturbo asmatico con insufficienza respiratoria intercorrente è anche indicato un breve periodo riabilitativo presso strutture specializzate nel trattamento dei disturbi respiratori, per il miglioramento delle performance e il recupero di un maggior grado di
autonomia. Ciò di solito consente un sensibile miglioramento della qualità della vita.
IL FUTURO? CURE SEMPRE PIÙ MIRATE E PERSONALIZZATE È evidente che il futuro contemplerà una cura sempre più mirata sulle cause e i meccanismi dell’infiammazione alla base dell’asma. Un ruolo fondamentale giocherà altresì la limitazione dell’inquinamento ambientale. Concludendo, risulta chiaro come la diagnosi e la terapia dell’asma vadano comunque personalizzate sul singolo paziente.
DOTT. PIETRO ARNONE Specialista in Pneumologia Responsabile del Servizio di Riabilitazione Respiratoria Istituto Clinico Quarenghi
Marzo/Aprile 2019 | Bergamo Salute | 19
PERSONAGGIO
ILARIA GALBUSERA
Intervista con la capitana della Nazionale di Pallavolo sorde premiata come Cavaliere al Merito dal Presidente Mattarella ∞ A CURA DI LUCIO BUONANNO
L’appuntamento è in un bar sul Sentierone, vicino alla sede della Banca Ubi di Bergamo, dove lavora da cinque anni. Lei ha solo 28 anni, ma è Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica. È una dei trentatré “eroi” italiani nominati il 29 dicembre scorso di motu proprio dal nostro Presidente Sergio Mattarella “per l’impegno e la passione con cui fa dello sport uno strumento di conoscenza e inclusione delle diversità”. A settembre si è anche laureata in Economia e Gestione dei Beni culturali e dello Spettacolo. E ha festeggiato lanciandosi con il paracadute. Ilaria Galbusera è la capitana della Nazionale femminile di pallavolo sorde. È sorda e lo dice tranquillamente senza ricorrere al politically correct “non 20 | Bergamo Salute | Marzo/Aprile 2019
udente”. Non ci sente, ma parla benissimo, in perfetto italiano che ogni tanto, nell’intervista con Bergamo Salute, intramezza con la lingua dei segni. È una bella ragazza, capelli lunghi, altra un metro e
Logo Deaflympics
Ph: Marco Badilini
Non ci sento ma in campo e nella vita mi faccio sentire
72. Nel 2011 ha vinto addirittura il titolo di Miss Deaf World a Praga superando una quarantina di ragazze sorde come lei provenienti da Europa, Stati Uniti, Brasile e da vari Paesi africani e asiatici. E di recente, con la sua Nazionale, ha conquistato la medaglia d’argento alle Olimpiadi di categoria (meglio conosciute come Deaflympics), battuta solo dal Giappone. Nel suo palmares ci sono anche tre scudetti italiani e la partecipazione a sei campionati tra mondiali ed europei e alle Olimpiadi. «Sono sorda profonda dalla nascita» ci dice. «Secondo i medici è un fattore ereditario. Anche mio padre è diventato sordo all’età di tre anni a causa del morbillo, pure i miei nonni materni non sentivano. Io porto
le protesi e sono “bilingue” nel senso che sono cresciuta tra la lingua italiana parlata e la lingua dei segni italiana, in pratica tra due mondi, quello dei sordi e quello degli udenti. Nonostante il mio handicap, che è più per gli altri che per me, ho acquisito un buon linguaggio, dovuto soprattutto all’impegno di mia madre che si è licenziata per starmi vicino, per accompagnarmi a logopedia e a musicoterapia, per insegnarmi a parlare e a conoscere la lingua dei segni. Da piccola, alle elementari e alle medie di Sorisole, dove abitano ancora i miei genitori, non ho mai avuto problemi né a
scuola né con i compagni che mi hanno sempre accettato con la mia disabilità. Alle superiori, al primo anno del liceo scientifico Lussana invece, per la prima volta mi sono sentita isolata, diversa dagli altri. Ho molto sofferto all’inizio. Non avevo amici e tutti mi evitavano per ignoranza: essere sordi infatti per alcuni di loro significa essere handicappati, ritardati mentali. Poi però mi hanno conosciuta bene e si sono ricreduti tanto che al secondo anno mi hanno addirittura eletta come rappresentante di classe. Un’esperienza che mi ha aiutato molto: così da quella timida
ragazzina di paese che ero sono diventata più forte caratterialmente. All’Università ho trovato professori e amici molto disponibili. Mi mettevo al primo banco così potevo guardare le labbra dell’insegnante mentre spiegava e i compagni mi passavano i loro appunti se non riuscivo a scriverli io». Ilaria ha davvero una parlantina sciolta e un sorriso accattivante. Ti osserva attentamente e guarda il tuo labiale. Parliamo per quasi due ore e ci racconta la sua storia sportiva. «Mi sono avvicinata alla pallavolo all’età di 11 anni dopo aver provato numerosi sport, nuoto, sci, pattinaggio artistico su pattini a rotelle vincendo anche un campionato regionale. Un giorno però sono andata a vedere una partita di mio fratello Roberto, pallavolista professionista che giocava allora nell’Olimpia Bergamo in serie B1 ed è nata la passione. Fino a quel momento vivevo i miei sport da sola. Vedendo giocare Roberto ho notato che lui parlava e rideva con i compagni di squadra, si divertivano e sembravano molto amici. È stato amore a prima vista. Anch’io volevo avere amici così, mi piaceva lo spirito di squadra, il modo con cui si faceva squadra. Avevo però dei dubbi ed è stato mio fratello che mi ha spinto a tentare. Così ho cominciato la mia carriera con il minivolley. Poco dopo la mia Marzo/Aprile 2019 | Bergamo Salute | 21
PERSONAGGIO
ILARIA GALBUSERA
allenatrice mi ha fatto inserire nelle squadre giovanili dell’Excelsior. Quelle udenti. La pallavolo per sorde l’ho scoperta dopo grazie a Sara Batresi che già giocava in Nazionale. E così oggi mi ritrovo a giocare con due squadre: quella di normodotate, la Lemen Volley di Almenno, anche se il mio cartellino è sempre dell’Olimpia, e quella per sorde, l’Associazione Sportiva Silenziosa Lodovico Pavoni di Brescia. Due campionati diversi: quando gioco con le sorde devo però togliere le protesi come prevede il regolamento. Con le compagne ci guardiamo negli occhi. Due allenamenti alla settimana più la partita. E poi ci sono i raduni con la Nazionale, una volta al mese. Quest’anno dal 6 al 16 giugno ci saranno i campionati europei sorde in Sardegna
e speriamo che anche le televisioni ci diano un po’ di spazio. All’estero è una festa: migliaia e migliaia di spettatori e tanta tv. Purtroppo noi non possiamo partecipare alle Paralimpiadi, ma sarebbe bello se il Comitato Paralimpico creasse una nuova categoria per i sordi». Ilaria, che è finita su tutti i giornali e le Tv con le sue compagne di Nazionale perché ha “cantato” con le sue compagne di Nazionale l’Inno italiano con la lingua dei segni, non sta mai ferma. Adesso si sta preparando a seguire un’ottantina di ragazzi sordi dai 7 ai 15 anni, provenienti da tutta Italia, ai Champion’s Camp, campi estivi multisportivi organizzati da ASD di Reggio Emilia con la collaborazione di Sport & Fun Holidays. «Ci saranno tutti gli
sport. Sono campi multisportivi che organizziamo ogni anno, aperti a tutti i ragazzi, sordi e udenti. È garantita l’accessibilità a 360 gradi per venire incontro a tutte le esigenze dei ragazzi sordi integrandoli con i partecipanti udenti. A fianco degli istruttori qualificati ci sono anche atleti sordi della Federazione Sport Sordi Italia che sono anche di stimolo e di sostegno a tutti i ragazzi sordi e non. Siamo lì per dimostrare che se ce l’abbiamo fatta noi possono farcela anche loro, ritrovando i veri valori della vita, sia nello sport che nella vita, e il rispetto per gli altri». Ma prima, il 5 marzo Ilaria è stata ricevuta dal Presidente Mattarella al Quirinale per ricevere il titolo di Cavaliere al Merito della Repubblica Italiana con un altro bergamasco,
Una sportiva senza frontiere Il Presidente Sergio Mattarella ha elogiato Ilaria per il suo impegno verso le persone che sono in difficoltà. E tra queste persone ci sono anche i ragazzi sordi del Ghana per i quali Ilaria ha messo a punto un progetto e ha aiutato la federazione sordi del Paese africano a raccogliere fondi per poter partecipare alle prossime competizioni olimpiche. Ma Ilaria Galbusera non finisce di stupire: il 3 febbraio, giorno del suo compleanno, è stata ispiratrice con l’attrice Sofia Licini di uno spettacolo per bambini (Mondo di silenzio) che ha l’intento di mostrare come esistano modi diversi di comunicare e portato in scena al Teatro San Giorgio di Bergamo.
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Ilaria Galbusera è stata relatrice il 16 marzo a TEDxBergamo 2019 WONDER sul palco del Teatro Sociale di Città Alta” Igor Trocchia, allenatore del Pontisola che ha ritirato i suoi ragazzi dal campo per i continui insulti razzisti dei tifosi avversari contro un suo giocatore di colore. «Per me è stata una sorpresa» dice Ilaria. «Mi ha chiamato un giornalista della Rai e mi ha dato la notizia. Non volevo crederci, non avevo fatto nulla di cui vantarmi per avere quel riconoscimento. È stato comunque un momento molto emozionante». Ilaria ha anche realizzato un documentario con Antonino Guzzardi che ha per protagonisti sei atleti con vari gradi di sordità che indossano la maglia azzurra e che finora ha già ottenuto 12 premi nazionali e internazionali. «Si chiama “Il rumore della vittoria” ed è il primo documentario italiano che parla di sport e di sordità» ci dice. «A breve dovrebbe uscire il dvd. Per due anni abbiamo seguito questi ragazzi con l’obiettivo di sensibilizzare il pubblico su tematiche di cui i media parlano poco e di portare sullo schermo una realtà importante che ancora oggi è sconosciuta ai più». Insomma Ilaria non ci sente ma sa farsi sentire in campo e nella vita. Marzo/Aprile 2019 | Bergamo Salute | 23
IN SALUTE
STILI DI VITA
Burnout
Come prevenire l’”esaurimento da lavoro” ∞ A CURA DI VIOLA COMPOSTELLA
Riguarda in particolare chi lavora nelle cosiddette professioni di aiuto, come medici o infermieri. Ma anche avvocati e poliziotti, educatori e volontari. Tutte persone che quotidianamente si trovano a dover gestire problemi ed emozioni 24 | Bergamo Salute | Marzo/Aprile 2019
di persone in difficoltà. Può arrivare a riguardare, però, anche chi in diversi ambiti, è sottoposto a un costante stress lavorativo per diverse ragioni (carico eccessivo, poca gratificazione, relazioni difficili con i colleghi etc.). Parliamo della sindro-
me da burnout, disturbo in costante aumento, il cui nome può essere tradotto con “bruciato”, “scoppiato”, “esaurito”. Come riconoscerla prima che sia troppo tardi? E soprattutto come prevenirla? Lo abbiamo chiesto alla dottoressa Manuela Rossini.
Dottoressa Rossini, cosa si intende per sindrome burnout? Si definisce burnout la condizione derivante dal processo di stress che colpisce le persone che esercitano principalmente (ma non solo) professioni d’aiuto. L’uso del termine burnout fa la sua comparsa intorno agli anni Settanta negli Stati Uniti, tra le persone che lavoravano nei servizi sociali e di cura. Lo psicologo Freudengerberger (1975) è stato il primo autore ad utilizzare questo termine e a scrivere del fenomeno, ma la sua popolarità è legata al nome di Cristina Maslach (1976). Il termine burnout viene tradotto letteralmente come “bruciato”, “scoppiato” o “andato in cortocircuito”. La scelta di questa parola deriva da una caratteristica specifica della sindrome: un esaurimento emotivo derivante dalle peculiarità delle mansioni lavorative svolte, oltre che dalla capacità di risposta funzionale o disfunzionale allo stress. Quali sono i campanelli d’allarme? La sindrome burnout può essere individuata e riconosciuta grazie ad alcune sensazioni tipiche dell’esperienza: > esaurimento emotivo: senso di impotenza, tensione, impazienza e demotivazione; l’operatore (ma anche la persona in generale) sente di non avere più nulla da offrire agli utenti e ai colleghi, come se avesse le batterie scariche; > depersonalizzazione: aspetto di distacco e distanziamento dalle
persone in un primo tempo (depersonalizzazione) e dal lavoro successivamente (cinismo); è stata identificata come un meccanismo di difesa e di coping (cioè adattamento), un modo per proteggere sé stessi dall’intensa attivazione affettiva ed emozionale evocata dalla situazione lavorativa; > senso di inefficacia personale: perdita della fiducia in se stessi e nelle proprie capacità fino alla rinuncia delle proprie ambizioni e a una valutazione negativa dei propri comportamenti e azioni. Quali sono le cause o i fattori di rischio che possono portare a questa condizione di esaurimento lavorativo? Il burnout è il risultato di un’interazione tra la persona e il proprio contesto lavorativo. Di conseguenza, sia la personalità del singolo soggetto (fattori individuali) sia la struttura organizzativa (fattori organizzativi) possono condurre all’insorgenza del problema. Alcuni dei maggior esperti di questo problema (Maslach e Leiter, 1997) evidenziano l’importanza della struttura organizzativa sull’insorgenza del burnout e, in particolare, si concentrano sul grado di accordo (match) e disaccordo (mismatch) tra la persona e sei aspetti dell’ambiente di lavoro: più è elevato il grado di disaccordo, più è alta la probabilità che insorga il burnout; più è alto il grado di accordo, più è elevata la probabilità che si sviluppi engagement sul lavoro. Gli autori considerano i seguenti sei aspetti (fattori organizzativi) della vita la-
vorativa come possibili o probabili antecedenti al burnout: > carico di lavoro, generato da una richiesta lavorativa elevata associata a una difficoltà di recupero delle energie; > controllo, presenza di un controllo insufficiente sulle risorse necessarie al lavoro; > riconoscimento, quanto le persone vedono ignorato e non apprezzato dagli altri il proprio lavoro; > supporto, perdita della connessione con i colleghi, con i quali spesso sono presenti conflitti cronici e irrisolti; > equità, mancanza di reciproco rispetto, di eque promozioni/ avanzamenti di carriera, di una distribuzione equa del carico di lavoro e della retribuzione; > valori, conflitto tra i valori del lavoratore e quelli dell’organizzazione. Ci sono persone più vulnerabili di altre? Secondo il ricercatore McCraine (Pellegrino, 2000), le persone più a rischio di burnout possono presentare alcune caratteristiche di personalità (fattori individuali) che le rendono più fragili e vulnerabili. Tra queste: bassa autostima, senso di inadeguatezza, disforia (disturbo dell’umore affine agli stati di depressione e di irritazione), preoccupazione ossessiva, passività, ansietà sociale, isolamento dagli altri. Altre caratteristiche che verosimilmente possono aumentare le probabilità di una condizione burnout possono essere un’eccessiva dedizione al lavoro,ilperfezionismo,l’idealismo, Marzo/Aprile 2019 | Bergamo Salute | 25
IN SALUTE
STILI DI VITA
una vita privata poco soddisfacente, l’autoritarismo, un forte bisogno di aiutare, un’eccessiva ambizione, l’impulsività, un’eccessiva introversione o estroversione (Pellegrino, 2000). La sindrome del burnout risulta inoltre essere correlata alla gestione quotidiana degli impulsi e delle emozioni, caratteristiche intrinseche di alcune professioni specifiche, in particolare le professioni di aiuto o helping professions. Tra queste si trovano tutte le professioni sanitarie, fra cui medici, psicologi, assistenti sociali, ma anche insegnanti, educatori etc. Il burnout può riguardare però anche ogni lavoratore che giornalmente si trova a dover gestire i problemi e le emozioni derivanti dalle persone in difficoltà come, per esempio, i poliziotti, i vigili del fuoco, i volontari, gli avvocati etc.. L’aspetto comune dei ruoli lavorativi sopra citati è il contatto diretto con le persone e, in particolare, con la sofferenza e il disagio. Ritrovarsi ogni giorno immersi in emozioni dolorose, può stressare, a livello emotivo. Se da un lato l’empatia risulta funzionale alle professioni di aiuto, dall’altro un’eccessiva vicinanza emotiva potrebbe portare allo scambio del proprio stato emotivo con quello altrui e probabilmente condurre al burnout. Cosa succede quando una persona si esaurisce lavorativamente? Quali sono le conseguenze? Le conseguenze della sindrome burnout si riflettono sia sulle persone che la vivono in prima 26 | Bergamo Salute | Marzo/Aprile 2019
persona sia sugli utenti con cui entrano in contatto, i colleghi e la famiglia. Per questo è necessario monitorare sia i fattori organizzativi sia individuali e intervenire tempestivamente per prevenire lo stress e, in particolare, la sua cronicizzazione. Cosa si può fare per interrompere questo processo e prevenire così il burnout? La prevenzione utilizza alcuni strumenti specifici tra cui la formazio-
ne sulla gestione dello stress, la gestione delle emozioni e degli impulsi in contesti lavorativi e lo sportello di ascolto dedicato. La formazione sulla gestione dello stress, emozioni e impulsi permette ai lavoratori, grazie al supporto di uno psicologo professionista in aula, di acquisire le informazioni di base su cosa è lo stress, riconoscere quali siano le cause e le possibili conseguenze, insieme all’apprendimento di tecniche per gestirlo efficacemente. Essere in grado di trasformare lo stress in
Dall’entusiasmo all’apatia: le quattro fasi dell’”esaurimento” Se gli stressor (ovvero i fattori di stress) non vengono gestiti o contenuti tempestivamente, la probabilità di evolvere da un normale stress occasionale a una sindrome da burnout aumenta. Il processo che conduce alla cronicizzazione dello stress prevede quattro fasi: 1. Preparazione è la fase dell’entusiasmo in cui si investono tutte le energie fisiche ed emotive; l’eccesso di investimento ed esaltazione diventano fattore di vulnerabilità nei confronti del burnout. 2. Svalutazione anche chiamata “fase di stagnazione”, può essere raggiunta molto velocemente e si caratterizza per la dipendenza dalla quantità di lavoro quotidiano. 3. Frustrazione dopo il carico eccessivo di lavoro, che comporta lo stress lavorativo, insorge la fase in cui ci si percepisce come incapaci o inutili, indipendentemente dal fatto che ciò sia vero o no, e ci si può sentire anche svalutati dall’esterno rispetto alle proprie potenzialità. 4. Apatia va a sostituire l’empatia e la motivazione presenti in grandi quantità nella prima fase.
fonte di energia e di stimolo (eustress) significa imparare a superare le difficoltà che si presentano, saper gestire in maniera ottimale le situazioni stressogene, raggiungere un alto grado di benessere organizzativo e probabilmente di work-life balance (cioè equilibrio lavoro-vita). Lo sportello di ascolto, come strumento di prevenzione e contenimento individuale, consiste invece in uno spazio di sostegno al lavoratore che vive un disagio all’interno dell’organizzazione, ma anche un disagio o un momento
di difficoltà extralavorativo (qualunque essa sia) che tuttavia si ripercuote anche nella professione che svolge. L’obiettivo dello sportello di ascolto è arrivare a una maggiore consapevolezza rispetto alle proprie fonti di stress e all’acquisizione di strumenti per migliorare la propria capacità di resilienza (cioè di resistere a periodi di difficoltà “riorganizzandosi” e adattandosi) per fronteggiare le situazioni di disagio, prevenendo così condizioni estreme di cronicizzazione dello stress fino al burnout.
DOTT.SSA MANUELA ROSSINI Psicologa del Lavoro Dottore di ricerca in Psicologia Clinica presso Fortimed Italia di Azzano San Paolo
IN SALUTE
ALIMENTAZIONE
La dieta giusta? Te lo dice il microbiota ∞ A CURA DI VIOLA COMPOSTELLA
«Un migliore stato di salute non si può raggiungere con interventi limitati nel tempo, quasi fossero miracolistici, ma solo a condizione di impegnarsi in un processo di revisione di un modello di vita che coinvolge nutrizione, movimento e benessere sia fisico sia mentale. È esperienza diffusa, ad esempio, che tutte le diete dimagranti possono dare risultati apprezzabili ma nel momento in cui vengono interrotte, in un tempo variabile per ognuno, il peso perso viene inesorabilmente recuperato. La metagenomica oggi rappresenta un punto di partenza importante per definire il corretto stile nutrizionale per ciascuno e ottenere risultati che possono durare nel tempo». Chi parla è la dottoressa Anna Agnusdei, biologo nutrizionista. Dottoressa Agnusdei, cosa si intende per metagenomica? La metagenomica è la scienza che studia l’insieme dei diversi materiali genetici (metagenoma), comples28 | Bergamo Salute | Marzo/Aprile 2019
DOTT.SSA ANNA AGNUSDEI Biologo Nutrizionista A Bergamo
sivamente derivanti dalle diverse specie presenti in un determinato ambiente; il metagenoma umano, per esempio, è rappresentato dal materiale genetico dell’uomo e quello derivante dal suo microbiota, cioè i microorganismi presenti nell’uomo (detto microbioma). Uno dei miocrobiota più interessanti per l’impatto sulla salute è quello intestinale, negli ultimi anni sempre più al centro di studi e ricerche. Per avere una valutazione qualitativa e quantitativa di questo microbiota, si può effettuare il test metagenomico (su un campione fecale), che permette di ottenere il sequenziamento del Dna. Lo studio del microbiota intestinale non è solo un argomento attuale ma un tema che può aprire un approccio nutrizionale innovativo e in grado di affrontare una serie di condizioni fisiologiche e patologiche: è stato dimostrato il suo coinvolgimento nella protezione nei confronti di agenti patogeni (cioè portatori di malattie), nella modulazione
del sistema immunitario e nello sviluppo di situazioni fisiologiche, subpatologiche e patologiche che riguardano non solo direttamente l’apparato digerente (disbiosi, reflusso gastro-esofageo, sindrome del colon irritabile etc.) ma anche, come già accennato, altri organi e apparati (apparato respiratorio, cardiovascolare-metabolico etc.). Il microbiota svolge funzioni indispensabili come la produzione di alcune vitamine e la digestione di zuccheri complessi; si crea una sorta di un “super-organismo”, frutto di complesse interazioni tra l’organismo e la sua componente microbica, in grado di “modulare” tra stato di salute o di patologia. Come si traduce nella pratica una conoscenza più approfondita del microbiota? Permette di individuare il percorso tipizzato per ognuno in ambito nutrizionale, ma anche la predisposizione e i fattori di rischio nei confronti di patologie come quelle
INTESTINO: CONOSCIAMOLO MEGLIO > È l’organo più grande: la sua estensione media, se ben
disteso, varia dai 250 ai 400 mq. > È la sede delle emozioni: tutte le emozioni, dal piacere alla
gioia, dalla paura all’ansia si avvertono “nella pancia”. > È il secondo cervello: sono presenti più neuroni che nel
midollo spinale. > È la sede del 70% del sistema immunitario detto Galt, ovvero
quello che deve difenderci da tutti gli attacchi, sia quelli che provengono dall’esterno (come infezioni batteriche o virali) sia dall’interno (come le cellule tumorali). > È colonizzato da circa un chilo e mezzo di batteri, virus e funghi: oggi sappiamo che oltre 120.000 specie differenti di microorganismi concorrono a creare un complesso, cofattore fondamentale sia negli stati di salute sia di patologia.
autoimmuni, cardiometaboliche, neurodegenerative. Quindi, non l’ennesima dieta in grado di realizzare un risultato limitato nel tempo e fine a se stesso, ma uno stile di alimentazione che può diventare modello di vita orientato alla salute. Proprio per questo la metagenomica si rivolge non solo a chi vuole raggiungere il peso forma ma a tutti quelli che desiderano intraprendere un percorso in grado di migliorare la qualità di vita e mantenersi in salute, lavorando in prevenzione su molte patologie. Sulla base di queste conoscenze sul microbiota e dall’anamnesi dettagliata della persona viene stilata una “mappa” delle idoneità alimentari, ovvero
della tollerabilità mostrata dall’organismo nei confronti di ogni alimento (dalle spezie ed erbe aromatiche alle carni ai pesci o ai differenti tipi di carboidrati). La mappa costituisce il perno su cui si stila la dieta vera e propria che, quindi, più che puntare al calcolo calorico (che pure si tiene in considerazione) si basa sull’utilizzo dei singoli alimenti: si limitano quelli poco idonei e in grado di favorire sia l’aumento di peso sia il peggioramento di stati patologici o sub-patologici, mentre si incrementa il consumo di quelli che migliorano il metabolismo e aiutano il conseguimento di un migliore stato di salute, fornendo all’orga-
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nismo tutti i nutrienti di cui necessita. Ogni alimento viene inserito valutando non solo ciò di cui è composto (percentuali di carboidrati, proteine grassi, vitamine, oligoelementi etc.) ma i meccanismi biologici e, soprattutto, gli effetti che ha sul microbiota: tutto ciò che ingeriamo, dopo un complesso iter biochimico, non solo diventa il nostro sangue, le nostre ossa, i nostri muscoli, i nostri organi, condiziona il metabolismo intermedio ed è causa diretta di salute o di malattia, ma influisce direttamente nella composizione del microbiota intestinale.
Analisi computerizzata del passo Scansione 3D del piede Impronta dinamica del piede Plantari computerizzati Plantari dinamici Plantari sensomotori per bambini, sportivi, pazienti diabetici Scarpe su musura
Ortopedia Tecnica
GASPARINI
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ALIMENTAZIONE
Broccoli Concentrato di virtù ∞ A CURA DI ELENA BUONANNO
Si portano in tavola nel periodo invernale, ma alcune varietà arrivano fino alla primavera. Sono ricchi di proprietà benefiche per il nostro organismo: non solo aiutano a depurarlo, ma hanno anche buone quantità di vitamina C e altre sostanze antiossidanti e soprattutto antitumorali. Parliamo dei broccoli, un vero concentrato di salute. Scopriamo le proprietà di questa preziosa verdura con l’aiuto della dottoressa Roberta Delmiglio, dietista. 30 | Bergamo Salute | Marzo/Aprile 2019
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PER LA PREVENZIONE DEI TUMORI I broccoli fanno parte della famiglia delle brassicacee o crucifere, insieme a cavolfiore, cavolo verza, cavolo cappuccio, cavolini di Bruxelles, rucola, cime di rapa. «Tutte le crucifere possiedono importanti proprietà antitumorali grazie alla presenza di glucosinolati, sostanze capaci di inibire alcune fasi della carcinogenesi
Considerata la ricchezza di vitamina K, il broccolo deve essere consumato con parsimonia da chi segue una terapia anticoagulante orale (Tao), poiché la vitamina K, fattore di coagulazione sanguigna, interferisce con la terapia” (processo che trasforma cellule normali in cellule cancerose) e indurre l’apopotosi (morte cellulare programmata) di numerose cellule» osserva la dottoressa Delmiglio. «In virtù di questa proprietà anti-cancro, i broccoli sono considerati veri e propri alimenti cosiddetti funzionali, ovvero cibi che, aldilà delle proprietà nutrizionali di base, sono in grado (è scientificamente dimostrato) di influire positivamente su una o più funzioni fisiologiche».
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ALLEATI DELLA LINEA E DELL’INTESTINO Ricco di fibra e povero di calorie, il broccolo si rivela un ottimo alleato della dieta, anche grazie alle grandi proprietà sazianti e di riduzione dell’assorbimento degli zuccheri (qualità che lo rende un ottimo alimento per i diabetici). «La fibra presente nel broccolo è soprattutto quella di tipo insolubile, non fermentabile, che assorbe grandi quantità di acqua aumentando il volume delle feci. Questo permette di stimolare la velocità del transito intestinale e, di conseguenza, diminuire l’assorbimento dei nutrienti, altro motivo per cui il broccolo è molto indicato nelle diete dimagranti, oltre che in quelle per stipsi» sottolinea la dietista. Essendo un alimento vegetale è inoltre totalmente privo di grassi saturi e colesterolo.
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OSSA PIÙ SANE E FORTI «È uno dei cibi più ricchi di calcio: con 126 milligrammi di calcio ogni
Tabella nutrizionale per 100 g di alimento: . Energia 22 kcal . Proteine 2,9 g . Carboidrati 2 g . Acqua 91,4 g . Fibra 2,9 g
100 grammi, il suo contenuto di questo prezioso minerale è paragonabile a quello dei latticini» dice l’esperta. I broccoli sono inoltre una buona fonte di Vitamina K, sostanza essenziale per ossa, denti e unghie sani. Alti livelli di Vitamina K (33 mg / 100 g) e ferro, in particolare, contribuiscono a mantenere una buona densità ossea.
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PRESSIONE SOTTO CONTROLLO Povero di sodio, il broccolo è invece un’ottima fonte di potassio (340 mg/100 g), aspetto che lo rende ideale nelle diete iposodiche per ipertensione.
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UNA MINIERA DI VITAMINE E MINERALI Tra le vitamine, è molto ricco di vitamina C (54 mg / 100 g), mentre per quanto riguarda i minerali, è tra le verdure più ricche di zinco (2,35 mg / 100 g) e ha un discreto contenuto di magnesio (29 mg / 100 g). «In virtù del suo elevato apporto di
DOTT.SSA ROBERTA DELMIGLIO Dietista A Stezzano e Trezzo sull’Adda
vitamina C e di ß-carotene (retinolo equivalente o pro-vitamina A), oltre che del contenuto in polifenoli e clorofilla, il broccolo può vantare proprietà anti-aging e fortemente antiossidanti (ovvero che aiutano a contrastare il processo di invecchiamento delle cellule dell’organismo» continua la dietista.
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PREZIOSI IN GRAVIDANZA Come tutte le verdure a foglia verde, i broccoli sono molto ricchi di folati. «Questa caratteristica li rende un ottimo alimento da consumare in gravidanza, specialmente in pre-concepimento e nel primo trimestre, quando l’apporto di acido folico deve essere aumentato per ridurre il rischio di patologie del tubo neurale nel nascituro (anencefalia e spina bifida)» conclude la dottoressa Delmiglio.
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IN ARMONIA
PSICOLOGIA
Crederci ancora Come rialzarsi, più forti di prima, per superare le sfide della vita ∞ A CURA DI ELENA BUONANNO
La vita ci mette continuamente davanti a tante sfide. Eventi inaspettati possono coglierci di sorpresa e mettere in discussione tutti i progetti che avevamo preventivato lasciandoci con il morale a terra. Ostacoli, prove, dolori inaspettati come malattie, lutti, abbandoni, separazioni o perdita dei nostri punti di riferimento, mettono a dura prova la nostra capacità di reagire. È facile abbattersi, isolarsi e lasciarsi andare. Invece ogni momento di crisi dell’esistenza nasconde in sé un’opportunità per evolversi e diventare più forti. Come ci spiega la dottoressa Enrica Des Dorides, psicologa e psicoterapeuta. Dottoressa Des Dorides, come possiamo trasformare i momenti difficili in opportunità? Il termine crisi deriva dal verbo gre32 | Bergamo Salute | Marzo/Aprile 2019
co kríno = separare e in senso più lato: discernere, valutare. Affinché una crisi possa portarci verso un cambiamento, è necessario adottare un atteggiamento propositivo. Bisogna fermarsi a riflettere per dare un senso agli eventi e comprendere che ogni momento no dell’esistenza può rappresentare un punto di svolta e di crescita personale importante, a volte una vera e propria rinascita. Si può imparare dall’esperienza e trovare la forza per ricominciare. Attraverso il dolore l’essere umano impara ad abbandonare gli attaccamenti, a capire che niente è nostro in questa vita e che prima o poi dovremo lasciarlo. Cominciamo a riflettere sulle cose che sono veramente importanti e diamo nuove priorità. Certo ci vuole tempo per riprendersi da un lutto e la persona cara ci manca. Ma se restiamo
aggrappati al dolore rischiamo di immobilizzarci e non trovare una via di uscita. Possiamo sentire la persona ancora vicino e percepirla sempre con noi. Soprattutto i valori e gli insegnamenti sono il nostro tesoro interiore che nessuno può portarci via. Se ci sentiamo tristi o ci viene da piangere è giusto farlo e prendersi tutto il tempo di cui si ha bisogno per stare con se stessi. Questo non significa che dobbiamo isolarci completamente ma aprirci agli altri con i quali ci sentiamo in sintonia per condividere sentimenti profondi, confidare le nostre paure e trovare conforto. Cosa accade alle nostre emozioni di fronte a una prova difficile da affrontare? Quando un evento arriva all’improvviso e ci coglie impreparati po-
di ansia perché ci si chiede come sarà il futuro e se riusciremo a farcela.
tremmo sentirci disorientati. Ad esempio un licenziamento, l’abbandono del partner, il tradimento di un amico oppure un dissesto finanziario possono avere un forte impatto emotivo. All’inizio potremmo sperimentare sorpresa o shock. Non capiamo perché sta succedendo proprio a noi. Potremmo sperimentare una forte rabbia se pensiamo che non è giusto e pensiamo di non meritarcelo. A volte si può provare un vero e proprio senso di angoscia o
Quali sono gli errori da evitare in questi casi? Non bisogna mai colpevolizzarsi per quello che è successo. Alcune frasi del tipo: “avrei potuto” oppure “avrei dovuto” o “se avessi fatto...” non sono utili per il nostro benessere. Non è possibile tornare indietro e intervenire sul passato. Possiamo però nel presente capire cosa si può fare. Aristotele diceva “Se c’è una soluzione perché ti preoccupi? Se non c’è una soluzione perché ti preoccupi?”. Fondamentalmente abbiamo solo due possibilità: accettare le cose che non possiamo cambiare oppure scegliere di cambiare quando possiamo farlo. Un errore tipico è quello di aspettarsi il peggio: “siccome mi è successo, vedrai che capiterà ancora”. Però non c’è nessuna prova che succederà ancora di rivivere la stessa esperienza spiacevole in futuro.
Bisogna accogliere la paura come una parte di noi che è ancora in allarme ma che può essere governata riportandosi nel presente. C’è una domanda che aiuta a riequilibrarsi: “Cosa posso fare per stare bene, adesso?” Si tratta di allenarsi alla fiducia, alla speranza e all’ottimismo. Piccoli passi, giorno per giorno fino a che il cuore fa filtrare spiragli di gioia. Bisogna darsi il tempo di aspettare se stessi con amorevolezza e pazienza. Possiamo
DOTT. SSA ENRICA DES DORIDES Psicologa e Psicoterapeuta A Bergamo, Seriate, Gorlago e Trescore
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PSICOLOGIA
ripartire col piede giusto. Come? Facendo scelte consapevoli, liberandosi dai condizionamenti del passato, imparando ad accettare i propri limiti e a sviluppare le proprie risorse: possiamo coccolarci, con piccoli gesti, un buon libro, un momento di relax, scegliere la compagnia giusta e se necessario chiedere un supporto psicologico. Ci sono poi due concetti chiave che possono aiutarci in questo percorso: la gratitudine e la resilienza. In che senso la gratitudine? La gratitudine è un sentimento molto potente. C’è sempre qualche cosa che ci resta per cui essere grati alla vita. Spesso diamo tutto per scontato: la salute, il lavoro, le persone che ci sono vicine. Invece possiamo benedire la nostra casa, ringraziare per tutte le cose che il nostro corpo ci permette di fare. Se dobbiamo affrontare l’avventura della guarigione da una malattia è molto importante fidarsi della capacità del nostro corpo di autoguarirsi. Il sistema immunitario si rafforza quando le nostre emozioni sono positive. Ognuno di noi ha dentro di 34 | Bergamo Salute | Marzo/Aprile 2019
sé una forza interiore insospettabile che si mette in moto nei momenti di bisogno. Impariamo a credere in noi stessi. Cosa s’intende invece per resilienza? La resilienza è la capacità di un materiale di assorbire un urto senza rompersi. Così anche noi possiamo superare le prove della vita senza soccombere. Da un punto di vista psicologico la resilienza è la capacità della natura umana di adattarsi in maniera positiva a eventi traumatici e stressanti. Cosa fa un motociclista che cade? Resta a terra o si rialza? Non dobbiamo mai mollare ma perseverare e far durare la motivazione nonostante gli ostacoli e le
“La miglior cosa che tu possa fare è credere in te stessa. Non aver paura di tentare. Non aver paura di cadere. E se capitasse levati la polvere di dosso, rialzati e prova ancora.” ∞∞ MADRE TERESA DI CALCUTTA:
difficoltà. Possiamo imparare che possiamo cavarcela da soli e che abbiamo tutte le capacità per essere efficaci. “Invece che maledire il buio è meglio accendere una candela.” (Lao Tzu). La luce interiore è la guida che illumina il nostro cammino. Spesso gli eventi non accadono per caso ma per farci ritrovare la centratura e la fiducia in noi stessi. Siamo noi l’unico punto di riferimento su cui possiamo sempre contare. Altri concetti, collegati con la resilienza sono fondamentali per vivere meglio. Primo tra tutti l’ottimismo: ”L’ottimista vede opportunità in ogni pericolo, il pessimista vede pericolo in ogni opportunità” (Winston Churchill); ma anche il senso dell’umorismo, l’autocontrollo, l’autostima, l’abilità di risolvere i problemi, la capacità di adattamento, la propensione alla flessibilità, la consapevolezza emozionale e il supporto sociale. A proposito di quest’ultimo non bisogna mai dimenticare le risorse sul territorio a cui si può attingere per partecipare a incontri di sensibilizzazione o gruppi di crescita personale.
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COPPIA
Umorismo e ironia Così la relazione è più felice ∞ A CURA DI MARIA CASTELLANO
Un pizzico di ironia e senso dell’umorismo fa bene al rapporto di coppia. Se i partner condividono risate o accettano di essere presi in giro bonariamente nella stessa misura, tendono ad essere più soddisfatti delle loro relazioni. Lo rileva una recente ricerca della Martin Luther University Halle-Wittenberg, in Germania, pubblicata sulla rivista Journal of Research in Personality. La risata gioca un ruolo importante, quindi, ma altrettanto la capacità di accettare un po’ di sana ironia e soprattutto autoironia. Approfondiamo l’argomento con la dottoressa Eleonora Castelli, psicologa. Dottoressa Castelli, che ruolo hanno umorismo e ironia nella vita quotidiana? E nella relazione di coppia? L’abilità di mettere in risalto se 36 | Bergamo Salute | Marzo/Aprile 2019
stessi ironizzando sulle proprie caratteristiche, a volte anche sui propri difetti, contribuisce a creare un terreno di condivisione tra i partner, a distendere il clima in situazioni di tensione, nonché a costruire un’alleanza e una quotidianità reciproca fondata sull’autenticità della vita insieme oltre a aumentare la complicità, tutti aspetti fondamentali all’interno di una relazione sentimentale. Le risate e il divertimento arricchiscono senza dubbio la vita di una coppia, assicurando benessere e vicinanza emotiva, denotano poi un buon sviluppo delle abilità sociali e flessibilità nella relazione fra i partner. È facile dedurre quindi come l’abilità di dosare ironia e senso dell’umorismo sia uno degli ingredienti che garantiscono una buona riuscita della “ricetta di coppia”.
Spesso si tende a prestare maggiore attenzione a questi aspetti nella fase iniziale dell’innamoramento… In realtà l’ideale è garantire la capacità di sperimentare l’umorismo
L’umorismo è definibile come la capacità di rilevare e rappresentare il ridicolo delle cose, che però non deve implicare una posizione ostile o puramente divertita ma l’intervento di un’intelligenza arguta e pensosa e di una profonda e spesso indulgente simpatia umana”
insieme al proprio compagno o alla propria compagna anche nelle relazioni di lunga durata poiché consente di creare un clima gioioso, sereno e divertente. Non dimentichiamo infatti che le relazioni sono dinamiche, quindi in continua evoluzione: con lo scemare della fase iniziale dell’innamoramento le coppie hanno ancora più bisogno di coltivare e costruire il rapporto, rivivere intesa e feeling anche attraverso l’uso dello humor. Quali altri benefici offre un atteggiamento umoristico e ironico nell’affrontare la vita a due? In linea di massima la capacità di ironizzare anche quando si va incontro a momenti di difficoltà nel corso della vita permette di rendersi maggiormente resilienti (cioè capaci di far fronte in maniera positiva a eventi traumatici o cambiamenti, riorganizzando positivamente la propria vita), ciò vale ancora di più quando si condivide la propria esperienza con un’altra persona. Osservare con uno sguardo più sollevato le problematiche quotidiane permette di allentare le tensioni e diminuire i livelli di stress accumulato, aiuta a godersi i momenti più belli e permette di connotare positivamente il vissuto personale anche nelle occasioni di empasse. Lo psicologo R. A. Martin ha condotto una ricerca impiegan-
do il test Chs (Coping Humor Scale) per misurare quanto una persona usi l’ironia per affrontare lo stress della vita quotidiana; è emerso che sono maggiormente le donne a utilizzare l’autoironia, intesa come la capacità di ironizzare su se stessi sforzandosi di cogliere gli aspetti più divertenti e leggeri anche nelle situazioni più stressanti, autoironia che è suscettibile di portare sollievo in una situazione di tensione oltre a una maggiore soddisfazione a livello relazionale. La ricerca della Martin Luther University Halle-Wittenberg ha indagato invece il ruolo che l’umorismo gioca all’interno delle relazioni di coppia. Per lo studio sono state condotte interviste online che hanno riguardato 154 coppie eterosessuali. I partecipanti hanno risposto separatamente alle domande, fornendo un parere riguardo non solo la relazione sentimentale in sé, ma anche l’appagamento da un punto di vista sessuale. Ma non è tutto, perché i ricercatori hanno voluto valutare anche la capacità di entrambi i partner di sapersi prendere in giro in modo intelligente, razionale, senza cattiveria ma con ironia, facendo sui propri e gli altrui difetti una bella risata. Le risposte per ciascuna coppia in una fase successiva sono state confrontate, riscontrando che fra i partner che utilizzavano l’umorismo le relazioni venivano valutate come più soddisfacenti a livello di
complicità e unione, ma anche dal punto di vista dell’intesa sessuale. Ciò che può fare la differenza secondo gli studiosi è accettare che l’ironia venga rivolta verso se stessi: in particolare è emerso che temere di essere presi in giro aveva un impatto negativo sul rapporto di coppia, portando a una minore soddisfazione generale. Per concludere rifacciamoci alle parole di Marco Rossi, presidente della Società italiana di Sessuologia ed Educazione Sessuale, “l’umorismo è un potente afrodisiaco in grado di garantire il benessere all’interno della coppia nonostante i problemi e lo stress del quotidiano”, una risata genuina dunque rimane uno dei modi più onesti per avvicinarsi e creare sintonia e legami reciproci.
DOTT.SSA ELEONORA CASTELLI Psicologa Analista del Comportamento Collaboratrice presso Studio Psicologia e Cambiamento di Bergamo
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IN FAMIGLIA
DOLCE ATTESA
Nati prima del tempo Come prendersene cura ∞ A CURA DI ELENA BUONANNO
Nel mondo, un bambino su dieci nasce prematuramente e, con lui, una coppia su dieci si trova a dover affrontare un’esperienza che differisce, in modo radicale, dalle aspettative e dall’immaginario comune legato all’essere genitori. «La nascita di un bambino prematuro, ovvero prima della 37sima settimana, è un evento traumatico, che interrompe un complesso processo di maturazione fisica e psicologica del neonato e della coppia di genitori, generando difficoltà nello sviluppo psico-affettivo e relazionale di tutta la famiglia» osserva la dottoressa Claudia Proserpio, psicologa. «L’esperienza del ricovero in terapia intensiva neonatale (Tin), rappresenta una fase cruciale di questo percorso in cui la maturazione biologica del bambino si completa al di fuori del ventre materno grazie all’ausilio di incubatrice, sondino e macchinari sofisticati, a compensazione delle mancate funzioni materne uterine. Un’esperienza necessaria, ma, altresì, lontana dal fisiologico percor38 | Bergamo Salute | Marzo/Aprile 2019
so di nascita e puerperio atteso da quella mamma e da quel papà, che si trovano catapultati in un mondo parallelo in cui niente è come avevano immaginato. L’arrivo di un bambino trasforma la vita di ogni genitore, ma per coloro i cui bimbi sono “nati troppo presto”, le sfide possono essere immense. Toccare, abbracciare, baciare e sentire l’odore del proprio figlio sono tutte esperienze che mancano alle mamme e ai papà dei bimbi in terapia intensiva neonatale, perché i contatti con i neonati sono mediati da un’incubatrice».
natale. «Non è sorprendente che i genitori di bambini prematuri siano potenzialmente esposti a rischio più elevato di depressione e ansia rispetto ai genitori di bambini sani e nati a termine della gestazione. Le loro esperienze sono molto diverse: mamme e papà di neonati prematuri, frequentemente, raccontano di aver vissuto una grande paura, uno shock improvviso, e di aver provato un enorme senso d’ansia e impotenza nell’essere separati dal loro fi-
UNO SHOCK DAVANTI AL QUALE BISOGNA (E SI PUÒ) “SPERIMENTARE” NUOVE RISORSE Grazie ai progressi della scienza e della medicina, le condizioni di salute di questi bambini sono notevolmente migliorate, ma ciò non elimina il rischio di complicanze (vedi box). La nascita pretermine rappresenta infatti, tutt’oggi, la prima causa di morte e disabilità peri-
DOTT.SSA CLAUDIA PROSERPIO Psicologa clinica e perinatale, Psicoterapeuta a Bonate Sopra (BG)
Una nascita è pretermine, secondo l’Oms, quando il parto avviene prima della 37sima settimana. La definizione di prematurità è stata stabilita negli anni Sessanta, attraverso due criteri: l’età gestazionale (Eg), corrispondente alla settimana compiuta al momento del parto e il peso alla nascita (Pn). Il primo è indice della maturazione neurologica, mentre il secondo del buon funzionamento degli organi
glio. Queste famiglie devono, altresì, affrontare un’esperienza di perdita: molti genitori parlano del senso di vuoto per la gravidanza interrotta repentinamente, altri della difficoltà di riconoscersi nel proprio bambino, mentre altri ancora dell’angoscia di separazione e del senso di colpa» continua la psicologa. Accanto a questo stravolgimento di aspettative, però, l’esperienza di prematurità può offrirsi come un’opportunità per sperimentare risorse e potenzialità di coppia e famiglia. «Sono in aumento i genitori di bambini prematuri che sperimentano buone pratiche, finalizzate non soltanto a migliorare la prognosi dei loro cuccioli, ma che consentono di riparare al vissuto difficile di una separazione precoce, favorendone la vicinanza. Tra queste, ad esempio, la Kangaroo Mother Care, nota anche come marsupioterapia, costituisce una metodica di grandissimo valore nell’accudimento del bambino pretermine, in cui il contatto pelle a pelle (skin-to-skin) tra genitore e bambino, ripristina la condizione di isolamento dell’incubatrice, migliora i parametri vitali, riduce i livelli di stress e favorisce l’avvio di un fisiologico percorso di allattamento».
L’ALLATTAMENTO AL SENO? UNA “CURA” PER I PREMATURI Allattare al seno è un’opportunità preziosa che, se ben supportata e avviata nel periodo di degenza in terapia intensiva neonatale, può e deve proseguire una volta tornati a
casa, rafforzando il legame di tutta la famiglia. «Ascoltare la voce dei propri genitori e nutrirsi di latte materno, secondo le più recenti ricerche, stabilizzano le condizioni di salute dei bambini prematuri, favorendo l’attaccamento mamma-bambino con potenziali benefici nella maturazione del sistema nervoso e nello sviluppo sociale. Anche il massaggio infantile può divenire un momento intimo e delicato, consentendo a papà, mamma e neonato di conoscersi e riconoscersi grazie al “tocco” e al calore corporeo» suggerisce la dottoressa Proserpio.
IL RITORNO A CASA, TRA SOLLIEVO E PREOCCUPAZIONI Un momento tanto atteso, ma altrettanto delicato, è rappresentato dalla dimissione dall’ospedale: dall’ambiente ovattato della terapia intensiva neonatale, in cui i genitori sono circondati da operatori sanitari, volontari e altre mamme e papà, la famiglia si ritrova tra le mura domestiche. «Il rientro a casa è sollievo e rinascita, ma richiede anche l’attivazione di nuove risorse, sia per il piccolo sia per i neogenitori che avranno la necessità di abituarsi ad un nuovo ambiente e nuove routine. Dubbi, preoccupazioni e difficoltà legati alla salute e allo sviluppo del piccolo, possono permanere per un lungo periodo, ed è per questo importante motivo che le famiglie non devono essere lasciate sole. Per garantire il follow-up, prevenire situazioni di
fragilità e disagio associate a un periodo di stress emotivo prolungato, può essere di grande aiuto rafforzare la rete territoriale di solidarietà, un supporto a domicilio, un progetto di intervento personalizzato, attingendo da professionisti e realtà associative dedicate al mondo perinatalità e del pretermine, che possa sostenere questi genitori “speciali” nell’affrontare, a piccoli passi, il percorso di vita insieme ai loro piccoli guerrieri» conclude la psicologa.
I rischi per la salute Le problematiche più frequenti nei nati pretermine sono soprattutto di tipo respiratorio (la completa maturazione polmonare avviene solo dopo la 32sima settimana. Nell’”immediato” i prematuri possono inoltre andare facilmente incontro a ipoglicemia per la scarsità di riserve; ipotermia; problemi di alimentazione (l’intestino è prematuro). Nel medio termine invece permangono difficoltà nell’alimentazione, un aumentato rischio infettivo rispetto ai neonati a termine, anemizzazione, problemi visivi (come, ad esempio, la retinopatia pretermine), problemi di crescita e di sviluppo neuropsicomotorio.
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IN FAMIGLIA
BAMBINI
Denti più sani e protetti senza la paura del dentista ∞ A CURA DI LELLA FONSECA
La paura del dentista spesso nasce da piccoli e ci accompagna per tutta la vita. Cominciare con il piede giusto è quindi molto importante per porre le basi della futura salute orale. Si tratta di evitare per quanto possibile situazioni dolorose e traumatiche per il bambino e instaurare un rapporto di fiducia e confidenza con l’odontoiatra attraverso il dialogo e soprattutto il gioco. «Iniziare un percorso di prevenzione orale già dalla prima l’infanzia, tra i tre e i quattro anni (quando la dentizione da latte è ormai completa) è fondamentale. I consigli del professionista in questa fase riguardano la dieta corretta, l’utilizzo delle applicazioni di fluoro, l’educazione a una corretta igiene orale, la 40 | Bergamo Salute | Marzo/Aprile 2019
prevenzione delle lesioni cariose, la sigillatura dei solchi e l’individuazione delle possibili disgnazie precoci (malformazioni delle ossa che possono insorgere durante la crescita e che comportano una posizione delle ossa mascellari e dei denti non corretta). La presenza di una cattiva occlusione (modo in cui i denti entrano in contatto) in età infantile è un aspetto da tenere in considerazione: favorisce l’accumulo di placca, traumi dentali durante la masticazione e anche la sofferenza gengivale e parodontale, che nel corso degli anni possono poi portare a conseguenze anche gravi» spiega il dottor Maurizio Maggioni, odontoiatra, L’odontoiatria ha fatto passi da gigante negli ultimi anni per ridurre
il più possibile il fastidio e il dolore che fanno nascere la paura nel paziente. Intervenire molto precocemente nella comparsa di eventuali lesioni cariose nei bambini è un
DOTT. MAURIZIO MAGGIONI Odontoiatra e protesista dentale Perfezionato in Laser e Ozono Terapia Pianeta Sorriso Bergamo
fattore chiave anche sotto questo punto di vista e rientra nella prevenzione di cui abbiamo già parlato. «Nel trattamento della carie si può applicare quella che si definisce “terapia conservativa mininvasiva” senza anestesia locale, che evita grandi distruzioni di tessuto. Vige il principio generale che più è piccolo il “buco”, più l’otturazione dura a lungo. Tra le nuove tecnologie l’impiego del laser, che evita il rumore e le vibrazioni del trapano, è una delle più rilevanti. Il laser a Erbio, a oggi ancora poco diffuso per l’alto costo delle attrezzature, è l’unico laser in grado di tagliare i tessuti duri come lo smalto e la dentina. Può sostituire il trapano con l’ulteriore vantaggio di ottenere una efficace decontaminazione dell’area trattata. Per la cura della carie si può applicare anche l’innovativa e indolore ozonoterapia, che utilizza un sistema a ozono con il quale si combatte l’infezione batterica direttamente alla radice. L’ozonoterapia permette di completare l’intervento anche in una sola seduta, senza dolore, senza trapano e senza alcun effetto collaterale» sottolinea l’esperto. Oltre che nella cura della carie, in odontoiatria pediatrica il laser può essere utilizzato nella preparazione dei solchi prima delle sigillature preventive (laser a Erbio) e per la disinfezione e per la piccola chi-
rurgia orale, come nel caso della chirurgia dei frenuli (laser a diodi o neodimio). Nella bocca sono presenti diversi frenuli: il frenulo linguale, che unisce la parte inferiore della lingua con il pavimento della bocca, i frenuli labiali, superiore e inferiore, che uniscono l’interno delle labbra con la gengiva in corrispondenza degli incisivi centrali. Se ad esempio il frenulo linguale è corto la lingua potrebbe non riuscire a fare correttamente alcuni movimenti necessari per la fonazione e/o la deglutizione e può essere necessario un piccolo intervento di chirurgia del frenulo. Il laser garantisce il migliore decorso post-operatorio perché agisce anche come elettro-coagulatore, limitando il sanguinamento e l’impiego di punti, inoltre ha un effetto biostimolante sui tessuti. «Ormai affermata anche in ambito pediatrico è la cosiddetta sedazione cosciente, ottenuta con un “gas esilarante” (miscela di ossigeno e protossido d’azoto), utilizzato nel mondo anglosassone dagli anni Venti, che fa rilassare il paziente, lasciandolo comunque perfettamente sveglio e cosciente, antifobico (non incline alla paura) e non ha effetti collaterali. Quando si imposta un sereno rapporto con il dentista già dalle prime visite la sedazione cosciente probabilmente non sarà necessaria, ma se
UN DENTISTA A MISURA DEI PIÙ PICCOLI Centrale nella prevenzione della salute orale dei più piccoli, è il pedodonzista, un professionista specializzato nel rapporto con l’infanzia, che si occupa non solo della prevenzione e della cura delle patologie infantili, ma anche di combattere l’insorgenza della “paura del dentista”, difficile da superare anche in età adulta. In genere inizialmente si chiede ai genitori di essere presenti alle sedute affinché il bambino si senta tranquillizzato, ma la loro presenza dovrebbe in breve non essere più necessaria per lasciare posto a un rapporto rassicurante con il medico. In pedodonzia hanno un effetto positivo anche l’ambiente e le attrezzature colorate che evitano al bambino l’impatto con un ambiente estraneo e asettico.
si sono verificate situazioni traumatiche può essere di grande aiuto» conclude il dottor Maggioni.
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Autismo Una sfida che inizia dall’infanzia ∞ A CURA DI GIULIA SAMMARCO
«L’autismo, che in Italia colpisce 1 bambino su 100, compromette la comunicazione sociale di chi ne soffre. Spesso, poi, a complicare le cose intervengono manifestazioni comportamentali problematiche di diversa entità, tra cui comportamenti stereotipati, interessi ristretti e apparente scarsa attrazione verso le interazioni con gli altri. In questi casi, lo psicologo esperto in Aba (Applied Behavior Analysis) attraverso l’osservazione sistematica del comportamento programma un intervento educativo specifico mirato a sostituire progressivamente il comportamento problematico con un comportamento alternativo, di identico scopo ma socialmente accettabile». Chi parla è Giulia Lauretta, psicologa. L’abbiamo incontrata per conoscere meglio 42 | Bergamo Salute | Marzo/Aprile 2019
l’Aba, o analisi applicata del comportamento, metodologia messa a punto più di quarant’anni fa in cui i principi dell’analisi del comportamento vengono applicati per migliorare i comportamenti socialmente significativi, che vede nell’autismo uno degli ambiti di applicazione più interessanti e con maggiore efficacia. Dottoressa Lauretta, che tipo di comportamenti problematici manifestano in genere i bambini con autismo? Per rispondere a questa domanda è utile fare una premessa e cioè che, a ben osservare, ogni comportamento problematico è sempre l’esteriorizzazione di un bisogno sottostante (ricerca di un bene fisico, affetto, autostimolazione). Se infatti un bambino senza autismo
COSA È… “Una sindrome comportamentale, causata da un disordine dello sviluppo biologicamente determinato, con esordio nei primi tre anni di vita. Le aree prevalentemente interessate sono quelle relative all’interazione sociale reciproca, all’abilità di comunicare idee e sentimenti e alla capacità di stabilire relazioni con gli altri” (fonte: Società Italiana di Neuropsichiatria Infantile Sinpia)
apprende naturalmente che ogni sua necessità può essere espressa e accolta facilmente attraverso la parola, i bimbi con autismo spesso non accedono al linguaggio e dunque sperimentano strategie alternative per farsi comprendere. Apprendono, ad esempio, che mostrare un comportamento socialmente non appropriato (come buttarsi per terra) può essere una buona modalità per ottenere l’attenzione degli adulti. Su questa base i piccoli possono esibire un ventaglio di comportamenti problematici differenti, che suscitano frequentemente reazioni di rabbia e impotenza nei genitori. A sua volta, il bimbo che non si sente compreso prova un sentimento di frustrazione che può essere espresso con aggressività diretta verso se stesso o gli altri. Il contesto circostante (scuola o famiglia) ha un ruolo fondamentale: può andare a rinforzare o estinguere la frequenza di questi tentativi di comunicazione; per questo è fondamentale affidarsi a un esperto nel campo che possa osservare la situazione, riconoscere la finalità di un dato comportamento problematico e trovare un compromesso per mediarlo.
L’analisi del comportamento, o Behavior Analysis, è la scienza che studia le particolari relazioni psicologiche tra un organismo e il suo ambiente” Un buon intervento riabilitativo deve quindi cercare di eliminare i comportamenti problematici, predisponendo allo stesso tempo una serie di supporti che possano facilitare il bambino a esprimere i suoi bisogni nel modo corretto. Ed è qui che scende in campo l’Aba. In che modo va a lavorare questa tecnica? La “Linea guida 21 per Il trattamento dei Disturbi dello Spettro Autistico (Asd) nei bambini e negli adolescenti”, basata sulle prove di efficacia evidence based è chiara nel sottolineare le prove a sostegno dell’efficacia dell’approccio comportamentale dell’Aba. Gli interventi sono mirati da un lato a migliorare la comunicazione
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sociale e i comportamenti problematici (ad esempio auto-lesioni, comportamento aggressivo), dall’altro ad aiutare le famiglie a interagire con i loro figli, incrementando il livello di soddisfazione dei genitori ed il benessere emotivo della rete familiare. Esistono dunque degli interventi che permettono di lavorare nella quotidianità del bambino, potenziando quelle competenze che possono migliorare giorno dopo giorno la sua qualità di vita, ed accompagnarlo verso la maturità.
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RAGAZZI
Dalle scuole medie alle superiori L’Abc per rendere il passaggio meno traumatico ∞ A CURA DI LELLA FONSECA
Il passaggio dalla scuola secondaria di primo grado, quella che un tempo si chiamava “scuola media”, alla scuola superiore è un momento delicato per ogni adolescente, caratterizzata da inevitabili incertezze rispetto al futuro scolastico e lavorativo. Non si tratta di un evento isolato, ma s’innesta in un progetto, più ampio, di crescita e di vita. E come tale deve essere affrontato. Con la giusta attenzione e con il giusto supporto. Come possono le figure di riferimento, ovvero genitori e insegnanti, aiutare i ragazzi in questa fase di cambiamento così importante? Lo abbiamo chiesto alla dottoressa Emanula Zini, psicologa e psicoterapeuta. Dottoressa quali sono le sfide che attendono i ragazzi all’ingresso alle superiori? L’incertezza, l’inquietudine e a volte il senso di angoscia che caratterizzano un adolescente non
DOTT.SSA EMANUELA ZINI Psicologa e Psicoterapeuta Studio di psicologia Ambivere
44 | Bergamo Salute | Marzo/Aprile 2019
Le iscrizioni alle scuole statali di ogni ordine e grado per l’anno scolastico 2019-2020 sono state anticipate al mese di gennaio per sola via telematica. La partecipazione al sistema “Iscrizioni on line” per le istituzioni scolastiche paritarie è invece ancora facoltativa
dipendono solo dagli eventi, più o meno traumatici della propria infanzia, ma anche dall’ambivalenza tra il desiderio e la paura di crescere. L’iscrizione alla scuola superiore porta, nella maggior parte dei casi, dei cambiamenti: l’uscita dal quartiere familiare, il prendere da solo un mezzo pubblico per recarsi a scuola, classi numerose in cui ci si sente sperduti, nessuna guida allo studio, a volte professori poco empatici. C’è un vero e proprio distacco dalla continuità precedente che, per la maggior parte dei casi, parte dalla scuola dell’infanzia fino alla fine della scuola media. A volte la dispersione sul territorio e le diverse scelte scolastiche tra coetanei portano alla fine di amicizie di lunga data, nate spesso alla scuola dell’infanzia. Nello stesso tempo, però, la scuola superiore apre nuove strade e permette la creazione di nuovi rapporti tra adolescenti provenienti da realtà diverse. Come afferma la psicologa Silvia Vegetti Finzi “la chiusa geografia dell’infanzia si amplia a comprendere nuovi luoghi e i rassicuranti confini del percorso casa-scuola si dilatano sino a sfumare nell’ignoto. Per evitare che aggregazioni fragili e provvisorie producano emarginazione e solitudine occorre che la scuola assuma centralità nella vita dei ragazzi, che non sia un luogo dove andare in attesa di uscire ma uno spazio di vita”.
E le insidie che si nascondono nel momento della scelta? Uno dei rischi è certamente quello di addentrarsi in stili decisionali errati come: > ipervigilanza: preoccuparsi eccessivamente della decisione da prendere, soffermandosi sui minimi dettagli; > procastinazione: lasciar passare il tempo fingendo che il problema non ci sia per poi prendere decisioni affrettate; > evitamento: evitare di prendere decisioni in prima persona, lasciando la responsabilità ad altri. Per poter attuare uno stile decisionale corretto, invece, è utile: > ricercare le informazioni rilevanti esaminare un insieme di opzioni possibili > avere chiari i propri obiettivi pensare a come poter realizzare ciò che si desidera, una volta che si è deciso. Come si possono aiutare i ragazzi nella scelta dell’indirizzo di studi? Si può orientarli a tenere in considerazione: > i propri interessi: “cosa mi piace?” > le proprie capacità: “cosa mi riesce meglio?” > i valori: “cosa voglio ottenere con un determinato lavoro?” (carriera, sicurezza, prestigio, rendermi utile, coordinare...). Inoltre gli adulti di riferimento,
ossia genitori e insegnanti, devono cercare di abbassare l’ansia del futuro incerto, trasmettendo speranza, fiducia e ottimismo; motivare, individuando le attitudini e valorizzando i punti forti; lodare e gratificare; promuovere autonomia, intraprendenza e capacità di giudizio. Quanto può essere autonomo un ragazzo davanti a una svolta così importante? Sono pochi i ragazzi subito pronti alla scelta dell’indirizzo scolastico. Sarebbe ideale che la scelta venisse presa dal giovane in autonomia, ma in genere non riesce perché non sa valutare da solo le proprie attitudini e interessi e perché non conosce i percorsi e gli sbocchi professionali. Spesso la fatica non è solo quella del ragazzo, ma anche dei genitori, la loro ansia viene agita o assumendo posizioni estreme di
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imposizione “ti diciamo noi cosa è meglio fare” o delegando completamente “scegli tu quello che vuoi”, ma queste modalità estreme non sostengono il ragazzo. Oltre alla scuola ci sono altre attività. Iniziando le superiori potrebbe anche essere necessario riconsiderarle. Come conciliarle con lo studio? È importante valutare gli impegni extra scolastici, ossia tutte quelle attività sportive, di volontariato, artistiche o di lavoro che impegnano un ragazzo oltre all’orario
“Se tutto si prepara nell’infanzia, a cominciare dai primi giorni di vita, tutto si gioca nell’adolescenza” ∞∞ E. KESTEMBERG, PSICOANALISTA
scolastico. I genitori, quindi, devono essere consapevoli che il figlio oltre alla scuola e i compiti ha, per esempio, anche tre allenamenti di calcio alla settimana. I pro e i contro delle varie opzioni sono da pesare attentamente come anche la distanza dalla scuola: se un ragazzo impiega tanto tempo per studiare o svolgere i compiti o ha poca motivazione verso la scuola, scegliere un istituto troppo distante da casa potrebbe essere rischioso, potrebbe costargli troppe energie. E se una scelta si rivelasse sbagliata? L’importante, al di là della scelta, è che un ragazzo sappia che nel corso dei suoi studi potrà scegliere di cambiare e di avvicinarsi sempre di più alla sua realizzazione scolastica e poi lavorativa, per sentirsi gratificato in quello che farà un giorno, “da grande”.
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Più forti, flessibili e in forma con il kettlebell ∞ A CURA DI GIULIA SAMMARCO
Si chiama kettlebell (o Giri, in italiano “campanaccio per le vacche”) ed è una palla di ghisa con una maniglia. Un attrezzo molto antico, conosciuto in versioni rudimentali già in Grecia antica e tra i monaci di Shaolin che le utilizzavano per migliorare forza e resistenza muscolare. Oggi il kettlebell è utilizzato da preparatori fisici per allenare i propri atleti, nell’allenamento delle forze armate e di squadre speciali di diversi Paesi e da un numero sempre crescente di appassionati per mantenersi in forma e migliorare la propria condizione fisica. Ma in che modo può essere usato questo attrezzo? Quali risultati si possono ottenere? Risponde Daniele Bosio, preparatore atletico. 46 | Bergamo Salute | Marzo/Aprile 2019
Che tipo di esercizi si possono fare con il kettlebell? Come ogni attrezzo della famiglia dei pesi liberi (insieme a manubri e bilancieri) anche il kettlebell si caratterizza per l’enorme duttilità e possibilità d’intervento su un ampio numero di gruppi muscolari. Se, in generale, quando ci alleniamo con sovraccarichi, l’obiettivo è sollevare linearmente un peso in modo da stimolare i muscoli a fare più fatica di quello che faremmo a corpo libero, l’attività più stimolante ed emozionante del Giri è “lanciarlo” (possibilmente senza mollare l’impugnatura) con dei movimenti rotazionali chiamati swing. È proprio la forma stessa dell’attrezzo, con il peso distale (cioè lontano dal corpo rispetto all’impugnatura) a
permettere questa gestualità che ha enormi benefici su forza, esplosività e controllo neuro-muscolare dei gruppi muscolari coinvolti.
DANIELE BOSIO Preparatore Atletico Palestra Smuoviti di Bergamo
Per quali parti del corpo è utile? I muscoli principalmente coinvolti risultano i muscoli delle gambe e del bacino (glutei in particolar modo), ma tutto il corpo (soprattutto addominali e muscoli del dorso) lavora intensamente al fine di coordinare e bilanciare il corpo in questo difficile esercizio. Questa forma di carico dinamico predispone la muscolatura che circonda e origina dal bacino a contrarsi potentemente. Il kettlebell è in grado di sviluppare la spinta di bacino, azione che genera
A TUTTO SWING Lo swing è l’esercizio base dell’allenamento con i kettlebell. Ecco come si esegue: con i piedi alla larghezza delle spalle e ben piantati al suolo, si afferra il kettlebell con due mani e s’inizia a far oscillare frontalmente il kettlebell. L’oscillazione è data esclusivamente dalla spinta delle gambe e del bacino, le braccia assecondano il movimento e la schiena rimane sempre “tesa” e diritta.
potenza in molti gesti sia quotidiani sia atletici: che si tratti di un salto, di un calcio o di un pugno, quando queste azioni sono eseguite in modo corretto, sono generate dal bacino. Quali benefici offre in particolare? Il kettlebell risulta uno strumento d’allenamento ottimo per chi desidera essere più forte, più resistente, più tonico e perdere chili di troppo. Chiunque può cimentarsi con questi strumenti? Iniziare ad allenarsi con kettlebell non sarà sicuramente una passeggiata, bisognerà avere pazienza nell’apprendere le giuste tecniche. Il consiglio è affidarsi a professionisti qualificati, competenti nelle gestualità specifiche ma soprattutto laureati in scienze motorie (per quanto riguarda l’allenamento) o fisioterapisti (per quanto riguarda la riabilitazione). Importante, poi, è essere determinato e tenere ben a fuoco che, solo con un po’ di fatica, iniziano ad arrivare i primi risultati, così come nella vita. Un altro consiglio è riconoscere i propri limiti: se le mani fanno troppo male, le ripetizioni sono troppe, il peso è esagerato o semplicemente si è
troppo stanchi è meglio fermarsi. I kettlebell sono attrezzi utilissimi ed efficaci, decantati da molti strength coach (allenatori della forza) d’Oltreoceano, ma bisogna imparare ad utilizzarli nel modo giusto per far sì che producano i miglioramenti desiderati. Con “modo giusto”, s’intende che il programma di allenamento va organizzato in relazione a quelli che sono gli obiettivi individuali realmente raggiungibili, il tempo a disposizione per allenarsi, il livello di allenamento personale in quel preciso istante (se da dieci anni non mi alleno, il mio grado di fitness non corrisponde a quando ho smesso di farlo…), l’età e la tipologia di sport praticato. Con che frequenza ci si dovrebbe allenare? Facendo parte del mondo allenamento della forza, le linee guida internazionali per la salute consigliano comunque due giorni per settimana dedicati all’allenamento contro resistenza (il peso per l’appunto), aumentando gradualmente il carico e riducendo il numero di ripetizioni (passando gradualmente da 15 a 6) e incrementando nel tempo il numero di serie (da tre fino ad arrivare a 6).
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La bellezza che viene dal freddo Meno rughe e una pelle più giovane con la crioterapia localizzata ∞ A CURA DI MARIA CASTELLANO
Vorreste una pelle più giovane e luminosa ma avete paura di aghi e interventi? Provate con il freddo. È questa una delle nuove tendenze delle celebrities di tutto il mondo: dopo esser state conquistate dalle basse temperature della criosauna (usata in ambito sportivo per favorire il recupero dopo traumi o infortuni), la nuova frontiera è la crioterapia (letteralmente “terapia del freddo”) localizzata sul viso. Ne parliamo con Massimo De Nardi, che da anni si occupa di crioterapia in vari ambiti. Di che cosa si tratta? In che modo il freddo agisce sulla pelle? Si tratta di un trattamento non invasivo che si basa su un flusso di vapori di azoto che raggiunge temperature bassissime, attorno ai 48 | Bergamo Salute | Marzo/Aprile 2019
-160°C, e può essere direzionato su qualsiasi distretto corporeo, compreso il viso. La crioterapia localizzata sul viso, nota negli Stati Uniti come Cryo Facial, è un prezioso alleato per la pelle per diversi motivi. Innanzitutto il freddo induce una vasocostrizione nella zona trattata, a cui segue una vasodilatazione: questo passaggio crea i presupposti per un miglioramento del microcircolo, della capillarizzazione e della vascolarizzazione e quindi una maggiore ossigenazione dei tessuti. Inoltre la crioterapia localizzata induce un effetto antinfiammatorio: questo consente di ridurre le infiammazioni tipiche della pelle del viso, come ad esempio la dermatite atopica, eritemi ed eczemi. A proposito di infiammazioni, è molto utilizzata anche contro
l’acne: la vasocostrizione indotta dalle basse temperature causa un ristringimento dei pori, facilitando il passaggio delle sostanze curative che le vengono applicate, migliorando così l’aspetto della pelle e rendendola meno arrossata e più liscia. Si può fare a tutte le età senza alcuna controindicazione, se non per coloro che soffrono di orticaria da freddo e nevralgia del trigemino. In che modo funziona come trattamento anti-age? La chiave sta sempre nella vasocostrizione indotta dal freddo che ricompatta i tessuti, dando la sensazione di una pelle liscia e tirata. Ciò favorisce anche la riduzione delle occhiaie e delle borse sotto gli occhi. Queste basse temperature inducono inoltre un’accelerazione
del metabolismo cellulare, stimolando la produzione di collagene ed elastina, proteine che vengono prodotte dalle cellule del derma (parte più profonda della pelle) e conferiscono alla pelle maggiore elasticità e morbidezza. La produzione di collagene ed elastina si riduce con l’età: l’attività dei fibroblasti, le cellule specializzate che quotidianamente producono queste proteine, risulta meno efficiente ed i tessuti ne risentono. Da qui la comparsa delle rughe, soprattutto nelle zone del viso soggette a contrazioni, ovvero quelle in cui si trovano i muscoli mimici facciali. L’area trattata può essere estesa dal viso al collo e alla base del mento, ovvero nelle aree in cui si nota maggiormente il cedimento dei tessuti e la lassità della pelle. È una tecnica sicura?
Sì, nonostante lavori con un flusso di azoto a una temperatura di -160°C, si tratta di una metodica sicura. Il dispositivo è dotato infatti di due importanti indicatori, ovvero un termometro a infrarossi che rileva la temperatura cutanea dell’area trattata e un indicatore di distanza che consente all’operatore di lavorare al meglio. Conoscere in tempo reale questi parametri permette infatti di direzionare al meglio il flusso di aria fredda, lavorando in sicurezza e con un’intensità tale da raggiungere i risultati desiderati senza incorrere in situazioni spiacevoli come ad esempio delle ustioni da freddo. Quante sedute sono necessarie per vedere gli effetti? Già dalla prima seduta si può vedere la pelle più compatta. Per ottenere risultati significativi, comunque, si
prevede, per un pelle in un buono stato di salute, una frequenza di una/due volte a settimana (ogni seduta dura circa 12 minuti), mentre a chi ha una pelle mediamente compromessa si consiglia un ciclo iniziale di almeno cinque/sei sedute ravvicinate, seguite da un programma di mantenimento.
DOTT. MASSIMO DE NARDI Dottore in Scienze motorie Krioplanet Treviglio
Aperitivo Primo piatto con limone e zenzero Difficoltà di preparazione Facile
Tempo di preparazione 15 minuti
Calorie a persona 50 Kcal
INGREDIENTI per 4 persone 2............ Cucchiai di succo di zenzero 3............ Limoni 3............ Cucchiai di malto di riso 500 ml. Acqua PREPARAZIONE Pelate e grattugiate lo zenzero, strizzatelo in una ciotola e conservate il succo. Frullate due cucchiai di succo di zenzero con il succo dei limoni, il malto e l’acqua, amalgamando con un minipimer. Servite fresco.
SIMONETTA BARCELLA Esperta di cucina naturale Co-autrice del libro “Il Cibo della Gratitudine”
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Per una versione alcolica aggiungete vino bianco
Pangrattato saporito ai capperi
Secondo piatto DifficoltĂ di preparazione Facile
Tempo di preparazione 40 minuti
INGREDIENTI 2............ Cucchiai rasi di pan grattato 10 g...... Mandorle pelate 1............ Cucchiaino di capperi sotto sale 10.......... Foglie di menta qb......... Foglie di prezzemolo PREPARAZIONE Tostate leggermente le mandorle in forno a 130 °C per 30 minuti, dovranno risultare appena dorate. Mettetele da parte e lasciatele raffreddare. Sciacquate i capperi e il prezzemolo e asciugateli bene. Frullate tutti gli ingredienti fino ad ottenere un pangrattato omogeneo.
Calorie totali 150 Kcal
RICETTA
Dessert
Zuppa tiepida di orzo e porri
Difficoltà di preparazione Facile
Tempo di preparazione 50 minuti
Calorie a persona 100 Kcal
INGREDIENTI per 4 persone 2............ Porri medi a rondelle 1/2........ Tazza di orzo decorticato ammollato per almeno 6 ore 1............ Cucchiaio olio di sesamo o EVO 4............ Cucchiai abbondanti di shiro-miso (miso bianco) .................. o miso di riso
1,3 l...... qb.........
Acqua Olio extravergine d’oliva
PREPARAZIONE Il shiro-miso è un condimento dolce e salato tradizionale del Giappone da aggiungere in cottura a piatti di verdure o per preparare salse
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Versate l’olio e poca acqua nella pentola, lasciate scaldare e versate i porri, aggiungendo un pizzico di sale. Saltate a fiamma media per qualche minuto e aggiungete l’orzo scolato. Lasciate insaporire il tutto per due-tre minuti. Versate l’acqua, abbassate la fiamma e lasciate cuocere per circa 40 minuti. A cottura raggiunta levate un paio di mestoli di minestra, frullateli e riversateli nella casseruola per ottenere una maggiore cremosità. Prima di servire aggiungete lo shiro-miso, sciolto precedentemente in poca acqua calda.
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ALBINO Caredent Galleria Commerciale Valseriana Center Via Marconi ALMÈ Farmacia Visini Via Italia 2 ALMENNO S.SALVATORE Fondazione Rota Via Repubblica 1 ALZANO LOMBARDO Ospedale Pesenti Fenaroli Via Mazzini 88 AZZANO SAN PAOLO Fortimed Italia Via Cremasca 24 Iro Medical Center Via del Donatore Avis Aido 13 Studio Odontoiatrico Dott. Campana Marco Via Castello 20 BERGAMO Associazione Mosaico Via E. Scuri 1/C ASST Papa Giovanni XXIII Piazza Oms 1 Athaena Via Ronzoni 3 ATS Bergamo Via Gallicciolli 4 Avis Monterosso Via L. da Vinci 4 Caredent c/o Centro Comm. Auchan Via Carducci Blu Fit Via Gusmini 3/A Cartolombarda Via Grumello 32 Centro Acustico Italiano Via San Bernardino 33/C Centro Medico San Luca Via Quinto Alpini 6 Centro Sportivo Piscine Italcementi Via Statuto 41 Dott. Barcella Antonio - Centro Don Orione Via Don Orione 6 Dott. Ghezzi Marco Via Zambonate 58 Dott. Paganelli Paolo Via A. Maj 26/D Dott.ssa Manfredi Grazia Via G. Paglia 3 Forneria Rota Via S. Spaventa 56
Happy Friends Via A. Meucci 2 Humanitas Castelli Via G. Mazzini 11 La Casa di Eddy Via C. Serassi 13 Medicalfarma Via Borgo Palazzo 112 Methodo Medical Center Via San Giorgio 6 OPI Via Rovelli 45 Ordine Medici Bergamo Via Manzù 25 Ottica Gazzera Via Gasparini 4/E Palamonti/CAI Via Pizzo della Presolana 15 Perform Sport Medical Center Via Furietti 10 Prénatal Via Camozzi 95 Primomodo Viale Giulio Cesare 29 Privatassistenza Via dello Statuto 18/D Residenza Anni Azzurri Via Colognola ai Colli 8 Selene Centro Medico Via Giacomo Puccini 54 Still Osteopathic Clinic Via Calzecchi Onesti 6 Studio di Podologia Dott. Zanardi Tommaso Via Suardi 51 Studio Dott.ssa Vitali Monica Via Camozzi 111 Studio Odontoiatrico Dott. Maggioni Maurizio Via Zelasco 1 BAGNATICA Ottica di Moda Via Giovanni XXIII 63/E BONATE SOPRA Farmacia Quattro Strade Piazza Vittorio Emanuela II 17 Ortopedia Tecnica Gasparini Via Milano 57 BONATE SOTTO Dott.ssa Giusy Savoldi Via Villa 25 BREMBATE SOPRA Piscine Comunali Via A. Locatelli 36 CALCINATE Avis Calcinate Piazza Ospedale 3
Ospedale F.M. Passi Piazza Ospedale 3 CASAZZA Istituto Polispecialistico Bergamasco Via Nazionale 89 CASNIGO Centro Sportivo Casnigo Via Lungoromna 2 CHIUDUNO Giacomo Strabla Centro Sportivo Via Martiri della Libertà COLOGNO AL SERIO Farmacia Comunale Piazza G. Garibaldi 6/A CURNO Bongiorno Antinfortunistica Via E. Fermi 10 Caredent Via E. Fermi 5 DM Drogerie Markt Via E. Fermi 39 Il Sole e la Terra Via E. Fermi 56 Jump Academy Via dell’Aeronautica 12 Dott. Stabilini Sergio Via Emilia 12/A DALMINE Farmacia Ornati Dr. De Amici Via Papa Giovanni XXIII 11 Farmacia all’Università Via Marconi 9 GAZZANIGA Ortopedika Via Battisti 113 Ospedale Briolini Via A. Manzoni 130 GORLAGO Centro Polifunzionale Dinamico Via Del Fabbricone 16 Namastè Salute Piazza Gregis 10/A GORLE Casa di Riposo Caprotti Zavaritt Via Arno 14 Centro Medico MR Via Roma 32 Locanda del Punto Via Roma 16 GROMLONGO DI PALAZZAGO Tata-O Via Gromlongo 20 GRUMELLO DEL MONTE Aqva Club Via Don P. Belotti
LOVERE Ospedale SS. Capitanio e Gerosa Via Martinoli 9 MOZZO Caredent Via Lecco 45 NEMBRO Privatassistenza Via Piazza Umberto I 8 Dott.ssa Giusy Savoldi Via E. Talpino 2/A OSPITALETTO Dott.ssa Seiti Mara Via Famiglia Serlini Traversa III16 PALAZZOLO Caredent c/o Centro Comm. Europa Via Europa 6 PIARIO Ospedale M.O. Antonio Locatelli Via Groppino 22 PIAZZA BREMBANA Fondazione Don Palla Via Monte Sole 2 PONTE SAN PIETRO Caredent Strada Statale Briantea Direzione Mozzo PRESEZZO Dott. Brembilla Rolando Via Vittorio Veneto 683 ROMANO DI LOMBARDIA 9COOP Via Balilla 66 Avalon Via R. Pigola 1 Caredent c/o Centro Comm. Il Borgo Dott. Giordano Raffaele Via dell’Armonia 104 Farmacia Comunale Via Duca d’Aosta 75/77 Ospedale Santissima Trinità Via San Francesco d’Assisi 12 ROVETTA Centro Sportivo Rovetta Via Papa Giovanni XXIII SAN GIOVANNI BIANCO Farmacia Contenti Via Carlo Ceresa 44 Ospedale Civile Via Castelli 5 SAN PAOLO D’ARGON InsiemeAte Via Baracca 28 SAN PELLEGRINO TERME Istituto Clinico Quarenghi
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Dm Drogerie Markt Viale Industria 293 Farmacia San Giovanni Via Dante 1 TRESCORE BALNEARIO Caredent Via Nazionale 44 Consultorio Familiare Zelinda Via F.lli Calvi 1 Ospedale S. Isidoro Via Ospedale 34 TREVIGLIO Caredent Via Roma 2/A Krioplanet Via Pontirolo 18/C Ospedale di Treviglio P.le Ospedale 1 TREVIOLO Farmacia Bianchi Via Roma 73/B Mondoflex
Via Santa Cristina 31 URGNANO Antica Farmacia Via Papa Giovanni XXIII 435 MDM Occhiali Prezzi Pazzi Via Del Commercio 110 VERDELLINO Centro La Trottola Via Principe Amedeo 64 VERDELLO Casamia Verdello Via XXV Aprile 9 VERTOVA Dott. Barcella Antonio - Centro Medico Valseriana Largo Vittorio Veneto 29 VILLA D’ALMÈ Caredent Via Roma 20/D Farmacia Donati Via Roma 23
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ALTRE TERAPIE
Le tisane giuste per depurarsi e prepararsi al cambio di stagione ∞ A CURA DI VIOLA COMPOSTELLA
«Le tisane possono essere preparate con più erbe che lavorano così in sinergia e permettono di ottenere un vero e proprio cocktail di principi attivi che agisce in forma più efficace sull’organismo. Sono di facile preparazione perché ci serve solo dell’acqua calda per l’infusione e i principi che contengono vengono assorbiti con rapidità da parte dell’organismo, senza l’uso come veicolo di altre sostanze oltre l’acqua. Inoltre si può modificare con facilità, volta per volta, la combinazione più adatta al caso e alla situazione». Chi parla è Ida Martellini, erborista. L’abbiamo incontrata per avere qualche consiglio per affrontare il cambio di stagione con l’aiuto delle tisane a base di erbe officinali, il metodo più antico per poter estrarre più principi attivi terapeutici da erbe spontanee e coltivate.
Per le tisane si utilizzano diverse parti della pianta (foglie, fiori, radici, cortecce semi, frutti) sempre in forma essiccata e in taglio adeguato per avere una miscela omogenea” 60 | Bergamo Salute | Marzo/Aprile 2019
In che modo le tisane possono aiutare il nostro organismo? Naturalmente non possiamo paragonare le tisane ai farmaci ma il loro utilizzo, che rientra nell’ambito della fitoterapia, può rientrare a tutti gli effetti in un piano di prevenzione e sostegno nei confronti dell’organismo. D’altra parte, i benefici di alcune piante sono noti da millenni e hanno rappresentato la prima forma di cura rispecchiando e accompagnando la storia dell’uomo (vedi box). La ricerca comunque non è terminata. Anche ai giorni nostri biologi e medici, con le nuove tecnologie, continuano ad approfondire l’argomento fitoterapico. Nel 2017, ad esempio, l’Ema, l’Agenzia Europea del Farmaco, in uno studio iniziato nel 2004 ha riconosciuto il potere curativo di alcune delle piante più comuni, promuovendo ai primi posti la valeriana come sedativo e la camomilla contro il raffreddore, mal di gola, irritazioni e problemi gastrointestinali. D’altra parte non bisogna dimenticare che l’aspirina all’inizio è stata estratta dalla pianta del salice! Quali sono le tisane e le piante più utili in questo periodo di cambio stagione? In questa parte dell’anno il nostro corpo è un po’ appesantito da
INFUSO O DECOZIONE? La preparazione delle tisane avviene attraverso infuso o decozione: - l’infuso è indicato per l’utilizzo di foglie e fiori e consiste nel lasciare questi in acqua caldissima ma non bollente per 15-30 minuti - la decozione è indispensabile per le parti coriacee quali semi, scorze, cortecce, e radici e prevede la bollitura in acqua per 5-15 minuti.
un’alimentazione più ricca (che ci è servita per affrontare il freddo invernale) e le tisane drenanti e depurative sono ideali per smaltire le
IDA MARTELLINI Erborista e apicultrice A Scanzorosciate
Piante officinali: alleate della salute fin dall’antichità
tossine e migliorare le funzioni degli organi eletti a purificare il nostro organismo, e in particolare fegato, intestino, pancreas, polmoni e pelle. Le più indicate per depurare sono quelle a base di tarassaco, fumaria, bardana, carciofo ed equiseto in parti variabili a seconda del singolo caso, una tazza la mattina a digiuno e una tazza prima di andare a dormire. Chi vuole drenare, invece, può utilizzare una miscela a base di gramigna, equiseto, betulla verga d’oro e finocchio bevendone due o tre tazze al giorno a seconda
L’uso di piante officinali nel corso della storia ci fa risalire fino all’uomo primitivo, con una visione delle piante legata alla magia e ai rituali. Gli antichi Egizi già conoscevano la distillazione per estrarre le essenze dalle erbe aromatiche, l’equivalente degli olii essenziali che anche noi oggi utilizziamo. Nell’antica Grecia Dioscoride (146 a.c.) passava già in rassegna più di 500 piante. Durante il Medio Evo la conoscenza delle proprietà delle erbe fu conservata dai monaci che dal latino e dal greco tradussero e tramandarono il sapere dell’antichità classica. A partire dal 17° secolo inizia un approccio scientifico anche a questa disciplina e il 18° secolo è l’epoca in cui botanici come Linneo cominciano una classificazione sistematica del mondo vegetale anche se ancora senza indicazioni terapeutiche. Solo nel 19° secolo, con i progressi della chimica e della farmacologia, si approfondiscono sempre di più le conoscenze dei principi attivi curativi delle piante.
dell’esigenza. Chi non fosse abituato al gusto amarognolo delle erbe suddette può addolcire la sua tisana con l’aggiunta di erbe aromatiche come menta, liquirizia o anice stellato; il sapore sarà decisamente più
gradevole. Le tisane non sono solo da bere ma anche per uso esterno: versando nell’acqua calda del bagno un infuso più concentrato si avrà un effetto rilassante e lenitivo sulla pelle.
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GUIDA ESAMI
Dosaggio del Psa A cosa serve davvero? ∞ A CURA DI GIULIA SAMMARCO
Il dosaggio del Psa, cioè del cosiddetto “antigene prostatico specifico”, è un esame facile e non invasivo da effettuare. Gli esperti concordano che serve a controllare nel tempo i casi di tumore già trattati, mentre è dubbio se sia utile a individuare l’eventuale presenza di un cancro in fase precoce in tutti gli uomini sani di una certa età, motivo per il quale non può essere considerato un esame di screening. Ciò nonostante può essere un indicatore, seppure generico, della salute della prostata. Facciamo chiarezza sull’argomento con il dottor Alessandro Piccinelli, urologo. Dottor Piccinelli, che cosa è il Psa? Il Psa è un enzima che mantiene fluido il liquido seminale, contribuisce quindi a mantenere una corretta viscosità dello sperma, indispensabile per garantire la motilità degli spermatozoi. Viene prodotto e secreto dalla ghiandola prostatica 62 | Bergamo Salute | Marzo/Aprile 2019
(o prostata) e può essere dosato nel sangue. Ogni cellula della prostata produce una quantità costante di Psa, esistono tuttavia tre situazioni patologiche in cui la produzione aumenta: > quando le cellule prostatiche degenerano in tumore (la produzione è 10 volte superiore) > quando le cellule prostatiche sono infiammate > in caso di iperplasia prostatica benigna, poiché aumenta il numero di cellule prostatiche con conseguente incremento del Psa. L’aumento del Psa, quindi, indica che qualcosa non va a carico della prostata ma non ci indica la patologia che ne determina l’innalzamento: infiammazione, iperplasia e cancro. La correlazione con dati clinici rilevabili in corso di una visita urologica possono indirizzare verso la diagnosi di una delle tre condizioni patologiche descritte. Il Psa quindi è “organo specifico” e non “cancro specifico”.
In quali casi va misurato e per la diagnosi di quali patologie è un indicatore davvero utile? Sebbene in caso di infiammazione prostatica e ingrossamento benigno della prostata il Psa possa risultare aumentato, in queste due circostanze non aiuta nella diagnosi. Il dosaggio del Psa deve pertanto essere limitato alla diagnosi del tumore prostatico. Per essere più precisi è molto utile in tre situazioni:
DOTT. ALESSANDRO PICCINELLI Specialista in Urologia Responsabile UO Urologia Policlinico San Pietro Ponte San Pietro
> diagnosi di tumore prostatico non noto; > definizione della estensione intraprostatica o extraprostatica nota, la cosiddetta stadiazione clinica, di una neoplasia prostatica nota; > follow-up di una neoplasia prostatica trattata con chirurgia, radioterapia, ormonoterapia e in corso di protocollo di sorveglianza attiva. Da che età e in quali situazioni è consigliabile fare il test del Psa? Serve o no come esame di screening? È raccomandato dosare il Psa al compimento dei 50 anni o dei 45 anni in caso di familiarità per tumo-
re prostatico; l’urologo valuterà poi di volta in volta le tempistiche dei successivi dosaggi che potranno essere annuali o più dilazionati. È importante sottolineare che il Psa non è un esame di screening del tumore alla prostata: non ha le caratteristiche per esserlo poiché la sua specificità nei confronti del cancro è troppo bassa. Come accennato in precedenza, infatti, anche altre patologie prostatiche portano ad un aumento del Psa e il suo utilizzo come screening di massa sarebbe fuorviante. Come si esegue il test? Il dosaggio del Psa viene eseguito in laboratorio sul siero ottenuto dopo centrifugazione del sangue
prelevato al paziente; si tratta quindi di un semplice prelievo ematico. La tecnologia di laboratorio per il dosaggio di questo enzima è ormai standardizzata e sicura, perciò ogni laboratorio può fornire un dosaggio con margine di errore trascurabile. È necessaria una preparazione particolare prima di eseguire l’esame? È raccomandabile l’astensione dai rapporti sessuali nelle 24-48 ore precedenti ed evitare di utilizzare a lungo la bicicletta nelle ore precedenti il prelievo: queste due situazioni potrebbero portare ad un “falso” innalzamento del Psa. Il prelievo non richiede il digiuno.
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ANIMALI
A primavera è allarme
processionaria
Ecco perché è pericolosa per gli animali (ma anche per gli uomini)
SE AVVISTI UNA PROCESSIONARIA, SEGNALALO! La lotta contro la processionaria del pino è obbligatoria su tutto il territorio nazionale e ogni avvistamento va segnalato alle autorità competenti del territorio (Servizio fitosanitario regionale, Comune, Corpo forestale, Ats). Non ci si deve improvvisare a tagliare i rami su cui sono presenti i nidi né bruciarli, perché in questo modo non si eviterebbe comunque la diffusione delle setole urticanti.
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ANIMALI
∞ A CURA DI ELENA BUONANNO
Con l’arrivo della primavera torna l’allarme processionaria, farfalla notturna innocua una volta adulta, ma pericolosissima per gli animali ma anche per l’uomo nello stadio di larva (o bruco). Le più comuni sono le processionarie dei pini riconoscibili perché camminano una dietro l’altra, come in processione (da qui il nome). Il loro habitat sono soprattutto i boschi di conifere, ma si possono trovare anche sugli alberi in città. Cosa fare se il nostro amico a quattro zampe entra in contatto con uno di questi animaletti? Quali sono i rischi che potrebbe correre? Lo abbiamo chiesto il dottor Roberto Belloli, medico veterinario. Dottor Belloli, che cosa è di preciso la processionaria del pino e perché è così pericolosa? La processionaria del pino, appartenente all’ordine delle farfalle, è stata studiata approfonditamente da due entomologi austriaci verso la fine del XVIII secolo: il nome scientifico che le hanno dato è Thaumetopoea pityocampa, che significa “che fa cose meravigliose”, come fare splendere tende 66 | Bergamo Salute | Marzo/Aprile 2019
di seta sulla cima degli alberi o fare processioni testa-coda nel periodo della pupazione, ma anche “angosciante stupore” per le reazioni urticanti che è in grado di provocare. Durante la sua vita compie quattro fasi larvali e un’ultima fase in forma di crisalide che dura soltanto uno-due giorni per poi morire appena deposte le uova. Le larve svernano in grossi nidi composti dalla seta che producono, e che le protegge molto bene dalle rigide temperature invernali. Infatti solo temperature sotto i -16° C o periodi prolungati a -4°C possono provocarne la morte. Il periodo di azione delle larve, quindi, è ad inizio primavera quando escono in “processione” per andare a nutrirsi delle foglie, creando grossi danni alla pianta. Ogni larva porta su di sé centinaia di migliaia di peli urticanti dotati di uncini che si attaccano alla pelle come una sorta di velcro, provocando oltre a una reazione molto rapida (e in alcuni casi un’anafilassi) anche a una sensibilizzazione a lungo termine di chi ne entra in contatto. Durante le varie mute di accrescimento queste setole urticanti
cadono e permangono all’interno del nido rendendolo molto pericoloso anche vuoto e per un raggio che va da due a sei chilometri a seconda del vento. Tutti questi fattori rendono la processionaria uno degli insetti più pericolosi per noi, per gli animali e per la vegetazione. I nostri amici a quatte zampe durante la loro esplorazione del territorio possono essere incuriositi da queste “processioni” ed entrare in contatto con le setole urticanti sia annusandole e mordendole sia, soprattutto i gatti, leccandosi le zampe e il pelo. E cosa succede se entrano in contatto con le setole? Le lesioni più frequenti sono l’irritazione delle mucose di bocca, lingua, naso, occhi, e se le larve venissero ingerite anche di esofago e stomaco. Subito dopo il contatto, la cute e le mucose cominciano a gonfiarsi ed essere molto dolenti. Nel caso della lingua questo può portare a un ingrossamento tale da soffocare l’animale. Se l’area colpita fosse molto estesa e con grave perdita di sostanza può verificarsi la necrosi dei tessuti, che può portare a conseguenze drammatiche.
Ogni contatto con la processionaria, quindi, non va mai trascurato e deve essere valutato da un medico veterinario il prima possibile. Ma esiste una cura? Il veterinario valuterà la terapia più indicata, che può essere sia topica (locale) sia sistemica (generale) e nei casi più gravi anche chirurgica. È fondamentale agire rapidamente per evitare danni irreversibili. Prima della visita non si deve mai sfregare la parte interessata (la rottura delle setole provoca un ulteriore rilascio
di sostanze urticanti) ma lavarla delicatamente con soluzione fisiologia o acqua applicando al massimo una leggera pressione del getto in modo da allontanare più setole possibili. Durante queste operazioni è bene proteggersi mani, naso e bocca per evitare il contatto e l’inspirazione delle setole ancora presenti nell’aria. In caso di ingestione non va provocato il vomito, perché il passaggio nell’esofago disseminerebbe ancor di più i peli urticanti aumentando il numero delle lesioni.
DOTT. ROBERTO BELLOLI Medico Veterinario Clinica veterinaria Trevivet di Treviglio
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ATS INFORMA
Take 5
Un programma per star bene ∞ A CURA DI ATS BERGAMO
Il concetto di benessere comprende due elementi principali: sentirsi bene e rimanere in forma. Con il programma“Take 5” l’ATS di Bergamo propone ai bergamaschi un programma sul loro benessere, semplice e informale. “Take 5” è un progetto realizzato nell’Irlanda del Nord dalla Belfast Strategic Partnership e dalla Public Heallth Agency, che il Dipartimento di Prevenzione dell’ATS ha tradotto e adattato. L’idea alla base di “Take 5” è che ciò che facciamo quotidianamente e il nostro modo di pensare influenzano il nostro benessere. “Take 5” propone cinque semplici passi che, messi in pratica tutti i giorni, possono aiutare le persone a migliorare l’umore, reagire meglio
alle difficoltà e stringere relazioni con gli altri. I cinque passi di “Take 5” sono:
1. STAI CONNESSO Resta connesso alle persone intorno a te: familiari, amici, colleghi, vicini di casa, compagni di scuola, membri della tua comunità. Pensa a queste relazioni come ai pilastri della tua vita e dedica tempo a svilupparle. Costruire questi legami ti sosterrà e arricchirà ogni giorno. Se stai aiutando qualcuno, non dimenticare che anche tu hai bisogno di qualcuno che ti sostenga. > frequenta altre persone; > trova del tempo per stare insieme a loro; > mangiate in compagnia; > stai in sintonia con la natura e/o con gli animali; > ascolta i tuoi bisogni spirituali > telefona, manda messaggi ed email.
2. MUOVITI Cammina, corri, pedala, gioca, fai giardinaggio, balla. Il movimento fa sentire bene. Scopri l’attività fisica che più ti piace, quella che più si adatta alle tue capacità di movimento e alla tua forma fisica. Pratica queste attività nella tua routine quotidiana: > scendi dall’autobus una fermata prima e cammina; > prendi le scale al posto 68 | Bergamo Salute | Marzo/Aprile 2019
dell’ascensore; > incontra un’amica o un amico per una passeggiata; > fai esercizi anche su una sedia o sdraiato; > ascolta i tuoi bisogni spirituali > quando puoi pratica un’attività sportiva.
3. SII CONSAPEVOLE Fermati, fai una pausa e prenditi dei momenti per guardarti intorno. Cosa vedi, senti, odori o gusti? Osserva la bellezza, le cose nuove, inusuali o straordinarie nella tua vita quotidiana e scopri come ti fanno sentire. Prestare attenzione è la base della consapevolezza: > quante cose belle hai notato oggi? (Un cielo limpido, una persona gentile, la risata di un bambino); > condividile con la tua famiglia o con i tuoi amici; > prima di dormire chiediti: cosa ho fatto bene oggi? Cosa c’è stato di bello oggi? > allenati a respirare lentamente e consapevolmente, > ascolta i tuoi bisogni spirituali > presta attenzione ai tuoi pensieri e alle tue sensazioni; > goditi il gusto di un cibo; > scatta delle foto alle stagioni che cambiano; > svolgi piccoli lavori manuali che richiedano concentrazione.
4. IMPARA Fai qualcosa di nuovo, riscopri un vecchio hobby, iscriviti ad un corso. Prenditi un nuovo impegno, leggi un libro, impara a suonare uno strumento o a cucinare il tuo cibo preferito o a riparare una bici. Fissa un traguardo che ti può dare soddisfazione. Imparare nuove cose ti renderà più fiducioso e sarà anche divertente. Imparare è divertente: > chiedi a qualcuno di insegnarti come fare qualcosa; > confrontati con le persone su argomenti che ti interessano;
5 passi per star bene
> frequenta la biblioteca locale > iscriviti a un corso; > visita un museo o una mostra; > frequenta un gruppo culturale;
5. DONA Rivolgi il tuo sguardo anche fuori da te. È molto gratificante sentire te stesso e la tua felicità legati ad una comunità: ciò permetterà di creare relazioni con le persone intorno a te. Fai qualcosa di bello per un amico o per qualcuno che non conosci. Ringrazia, sorridi, dona il tuo tempo, fai volontariato, partecipa ad un grup-
Muoviti
Dona
Stai connesso
Impara Sii consapevole
po della tua comunità. Donare è gratificante e ti unisce alle persone: > pensa agli altri; > dona un sorriso, un complimento, un incoraggiamento; > dai una mano, organizza delle attività per bambini e anziani o condividi delle attività con loro; > aiuta qualcuno a trovare informazioni utili e incoraggiali a usare Take 5; > dona il tuo tempo, un augurio silenzioso o una preghiera; > ringrazia e sii riconoscente per ciò che c’è di buono nella tua vita. > vuoi fare un dono speciale a te stesso? Una singola attività può valere più passi di“Take 5”; fare una camminata con un amico può valere per Muoviti e Stai connesso. È importante scegliere quelle attività che più piacciono e che meglio si adattano alla vita quotidiana. “Take 5” abitua le persone a porsi periodicamente delle semplici domande: cosa faccio attualmente? Come mi fa sentire? Cosa mi piacerebbe fare in/di più? Cosa mi ostacola e cosa mi aiuta? Inoltre, “Take 5” mette a disposizione degli strumenti che aiutano le persone a porsi degli obiettivi realistici e precisi, a riflettere su come raggiungerli e a valutare periodicamente i progressi realizzati. L’approccio di “Take 5”è di tipo preventivo, di sostegno e di promozione del benessere e della salute mentale. Queste attività apportano benefici sia alla singola persona che alla comunità. Già oltre 60 Aziende del programma WHP (Luoghi di lavoro che Promuovono Salute) stanno per iniziare questa “sfida”. È possibile trovare il materiale della campagna “Take 5” sul sito www.ats-bg.it Marzo/Aprile 2019 | Bergamo Salute | 69
DAL TERRITORIO
NEWS
NEWS BERGAMO PRIMO CENTRO IN LOMBARDIA PER DONATORI All’Ospedale Papa Giovanni XXIII nel 2018 sono stati 174 i trapianti effettuati (9 in più rispetto al 2017). Un volume di attività, certificato nel report 2018 pubblicato dal Centro Nazionale Trapianti, che vale il settimo posto su scala nazionale e il secondo in Regione Lombardia, a poca distanza dai centri di Milano-Niguarda (176 trapianti) e di Verona (177 trapianti), rispettivamente al sesto e quinto posto assoluti. Il centro trapianti di Bergamo mantiene le prime posizioni nella classifica nazionale per trapianti di cuore: con 18 trapianti effettuati è al 4° posto, a pari merito con Torino. Quarta posizione assoluta anche per il trapianto di fegato. Con 90 interventi, il centro di Bergamo torna in questo caso al primo posto in Lombardia (era secondo nel 2017). Si conferma la seconda posizione per trapianti di polmone in Lombardia (9 casi, 5° risultato su scala nazionale a pari merito con Pavia). In crescita anche i trapianti di rene, che passano da 42 a 60 (3° centro in Lombardia). Sono 179 in totale gli organi solidi trapiantati, cui si devono aggiungere 141 trapianti di midollo e 17 di cornee, per un totale di 337 organi e tessuti trapiantati, quasi uno al giorno. Ottimi risultati anche sul fronte della donazione: è il Papa Giovanni XXIII di Bergamo la struttura che nel 2018 ha registrato il maggior numero di donatori in Lombardia. Sono 41 quelli segnalati nel 2018, mentre i donatori effettivi sono stati 32, ben 6 in più rispetto al 2017.
10 APRILE 2019: CONSULTI GRATUITI IN 600 STUDI MEDICI, ODONTOIATRICI E VETERINARI In occasione della Giornata Internazionale della Medicina Omeopatica, mercoledì 10 aprile, l’Associazione Medica Italiana di Omotossicologia (A.M.I.O.T.) promuove anche quest’anno l’iniziativa “Stiamo bene… naturalmente!”: su tutto il territorio nazionale, gli studi medici, odontoiatrici e veterinari che aderiranno all’iniziativa offriranno al pubblico consulti gratuiti per sensibilizzare sull’importanza di corretti stili di vita, educare alla prevenzione dei mali di stagione, delle allergie, delle intossicazioni dell’organismo, dei dolori cronici e di altri malesseri, informare sulle terapie d’avanguardia e sull’utilità di avere maggiore cura di se stessi. L’iniziativa ha ricevuto il patrocinio gratuito di 21 tra Ordini dei Medici, dei Veterinari e dei Farmacisti e altre istituzioni. Per sapere quali studi medici partecipano all’iniziativa si può contattare il numero verde gratuito 800.385014, scrivere a partecipa@giornataomeopatia.it o visitare il sito www.giornataomeopatia.it.
Da sinistra: Giovanni De Angelis, Domenico Rinaldini, Gennaro Esposito, Paolo Veronesi, Gianluigi Di Leo
Il pomodoro. Buono per te, buono per la ricerca Sabato 30 e domenica 31 marzo Fondazione Umberto Veronesi torna nelle piazze di tutta Italia con la seconda edizione de “Il Pomodoro. Buono per te, buono per la ricerca”, un’iniziativa ideata per raccogliere fondi per finanziare la ricerca scientifica in ambito pediatrico, al fine di garantire le migliori cure possibili ai bambini malati di tumore e aumentare le loro aspettative di guarigione. A fronte di una donazione minima di 10 euro, in oltre 160 piazze italiane sarà possibile avere una confezione con tre lattine di pomodori, nelle versioni pelati, polpa e pomodorini: un’iniziativa
resa possibile grazie al sostegno di Anicav (Associazione Nazionale Industriali Conserve Alimentari Vegetali) e Ricrea (Consorzio Nazionale Riciclo e Recupero Imballaggi Acciaio). Da sempre il pomodoro rappresenta un ingrediente fondamentale nella dieta mediterranea; è un frutto con pochi zuccheri, ricco di fibre, vitamine C ed E e sali minerali, quali potassio e fosforo. Contiene molecole bioattive come i polifenoli, potenti antiossidanti, e i carotenoidi tra cui il licopene, studiato come coadiuvante nel potenziamento del sistema immunitario e nella prevenzione di alcuni
tipi di tumore. Ogni anno in Italia si ammalano di cancro circa 1.400 bambini di età compresa tra 0 e 14 anni e circa 800 adolescenti fino a 19 anni. Grazie agli enormi passi avanti fatti dall’oncologia pediatrica e dalla ricerca scientifica, oggi il 70% di questi tumori infantili guarisce, con punte dell’80-90% nel caso di leucemie e linfomi. Nonostante questo, le neoplasie rappresentano ancora la prima causa di morte per malattia nei più piccoli, motivo per il quale sostenere la ricerca vuol dire speranza.
Dal 11 al 18 aprile ospedali aperti per la salute in rosa Onda, Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere, in occasione della Giornata nazionale della salute della donna che si celebra il 22 aprile, organizza la quarta edizione dell’(H) Open Week con l’obiettivo di promuovere l’informazione e i servizi per la prevenzione e la cura delle principali malattie femminili. Nella settimana dall’11 al 18 aprile attraverso oltre 190 ospedali del Network Bollini
Rosa che hanno aderito all’iniziativa saranno offerti gratuitamente alle donne oltre 4.000 visite ed esami strumentali e saranno organizzati oltre 500 incontri ed eventi informativi nell’ambito di 15 aree specialistiche: diabetologia, dietologia e nutrizione, endocrinologia, geriatria, ginecologia e ostetricia, malattie e disturbi dell’apparato cardio-vascolare, malattie metaboliche dell’osso, medicina
della riproduzione, neurologia, oncologia, pediatria, psichiatria, reumatologia, senologia, sostegno alle donne vittime di violenza. Anche gli ospedali di Bergamo e provincia premiati con i Bollini Rosa aderiscono all’iniziativa con visite ed esami gratuiti: i servizi offerti sono consultabili sul sito www.bollinirosa.it con indicazioni su date, orari e modalità di prenotazione. Marzo/Aprile 2019 | Bergamo Salute | 71
DAL TERRITORIO
FARMACIE
Pazienti diabetici Al via le nuove regole per la dispensazione di ausili in Lombardia
∞ A CURA DI GIULIA SAMMARCO
Con l’entrata in vigore delle nuove norme sul diabete circa cinquemila pazienti diabetici residenti in Lombardia dal primo febbraio di quest’anno possono ritirare gli ausili per il controllo del diabete in tutte le tremila farmacie lombarde senza distinzione di Ats di appartenenza. «La novità risiede nella scelta di un appalto regionale che dà uniformità al territorio ma che risulta purtroppo volto a risparmiare denaro senza tener in debito conto i disagi che vengono procurati» osserva il dottor Alessandro Bonaiti, farmacista e Consigliere dell’Ordine dei Farmacisti di Bergamo. Il diabete è una patologia cronica molto diffusa e pericolosa caratteristica della nostra epoca ed è una delle più onerose malattie sociali. Proprio per il suo carattere di croni72 | Bergamo Salute | Marzo/Aprile 2019
cità, per la tendenza a determinare complicanze nel lungo periodo e per il progressivo spostamento dell’insorgenza verso età giovanili, viene monitorata dalle istituzioni preposte. «La novità in questione riguarda precisamente i diabetici di tipo 2, cioè quei pazienti che hanno sviluppato la malattia nel corso della vita, mentre per i diabetici di tipo 1 e per i pazienti pediatrici nulla cambierà rispetto alla dispensazione solita» continua Bonaiti «Nella sostanza i pazienti diabetici coinvolti nel cambio di dispensazione, si recheranno nella farmacia di riferimento e avranno a disposizione la nuova fornitura decisa dalla Regione. Verranno cambiati glucometro, strisce, dispositivi per il prelievo ematico ed infine gli aghi per la infusione di insulina, senza
possibilità di scelta. Il nuovo sistema ha presentato fin dall’inizio alcune criticità: errata compilazione dei piani, quantità di ausili inferiori al necessario e addirittura mancata erogazione dei nuovi glucometri ai pazienti per poter effettuare le misurazioni. Questa situazione ha generato confusione negli utenti e difficoltà nei farmacisti in fase di erogazione. Non da ultimo doversi recare due volte in farmacia per ricevere i propri ausili, risulta scomodo e sgradevole per i cittadini che in precedenza godevano di un servizio molto più rapido ed efficiente. La qualità degli ausili e degli strumenti individuati, inoltre, non risulta prioritaria nei criteri di scelta della Regione che invece sembra essere più interessata al risparmio. Si sono inoltre evidenziate criticità operati-
ve negli operatori dell’Ats preposti a fornire indicazioni ai pazienti e difficoltà dovute a un programma informatico che si sta rodando in corso d’opera; tutte difficoltà che stiamo tentando di arginare. Forse era necessario ponderare meglio le modalità di entrata in vigore, magari individuando piccole zone di prova per testare il nuovo sistema e poi estendere a tutto il territorio un metodo collaudato,
sempre considerando la fragilità di questi pazienti, spesso anziani, già indeboliti dalla loro patologia. I farmacisti sono da sempre a fianco dei cittadini ed è per questo che cercheranno di portare un contributo volto a migliorare un sistema che, sì, deve tendere al risparmio di risorse, ma senza porre difficoltà ai pazienti che hanno il diritto di essere sempre tutelati al meglio»
DOTT. ALESSANDRO BONAITI Consigliere dell’Ordine dei Farmacisti di Bergamo Farmacista presso la farmacia Borgo Palazzo
GUIDA TURISTICA BERGAMO PROVINCIA E ACCADEMIA CARRARA SERVIZI GUIDA PER AZIENDE GRUPPI - PRIVATI - SCUOLE STORICA DELL’ARTE ACCOMPAGNATRICE TURISTICA ITALIA-EUROPA Bergamo, via Serassi 11B - Telefono +39 339 3770651 tosca.rossi@gmail.com - www.terredibergamo.com
DAL TERRITORIO
IL LATO UMANO DELLA MEDICINA
L’infarto si può prevenire e io lo insegno in un film Colpito da un attacco al cuore, il cardiologo Casari ha realizzato da attore un documentario e porta nelle scuole la sua esperienza ∞ A CURA DI LUCIO BUONANNO
Per anni, da primario di cardiologia degli allora Ospedali Riuniti di Bergamo, ha salvato migliaia di pazienti colpiti da infarto, ma qualche anno dopo essere andato in pensione, mentre si accingeva a mettere gli sci per una giornata sulla neve in Alto Adige, è stato lui colpito da infarto e curato dai colleghi di Bolzano. Da allora il dottor Angelo Casari, ottantenne bergamasco, si è maggiormente coinvolto nelle attività dell’Associazione Cuore e Batticuore, andando nelle scuole per spiegare agli studenti del penultimo anno delle superiori cosa è l’infarto, quali sono i sintomi, come s’interviene e soprattutto cos’è la cosiddetta “rete di salvataggio”. Ha realizzato anche, da “attore” protagonista, un filmato didattico, in collaborazione con l’Ordine dei Medici di Bergamo, che si può vedere sul sito di Cuore Batticuore-Onlus, dal titolo “ Il tempo è vita”. «Da quando si avvertono i primi sintomi c’è poco tempo, un’ora, al massimo due ore, per ottenere i massimi benefici da un intervento di angioplastica coronarica» ci spiega. «La “rete” è determinante in questi casi perché riducendo i tempi dell’intervento permette di minimizzare i danni prodotti da un infarto cardiaco acuto. La rete nella nostra provincia è composta da una cin74 | Bergamo Salute | Marzo/Aprile 2019
quantina di autoambulanze dotate di elettrocardiografo e defibrillatore e collegate telefonicamente con una centrale operativa e con cinque ospedali (Papa Giovanni, Bolognini di Seriate, Treviglio, Policlinico San Marco di Zingonia e Humanitas Gavazzeni) dotati di una speciale sala operatoria detta emodinamica». La rete si attiva chiamando il 112, segnalando i propri sintomi. In pochi minuti arriva l’autoambulanza a casa
del paziente che viene sottoposto all’elettrocardiogramma e riceve le prime cure. Intanto all’ospedale, che è collegato con gli operatori dell’ambulanza, preparano già la sala di emodinamica. «Ho vissuto sulla mia pelle questa esperienza. Quella mattina ero a Dobbiaco pronto per andare a sciare quando ho sentito un dolore allo stomaco, uno dei tanti sintomi
di infarto. Oltre al dolore, che ha caratteri diversi come l’oppressione di un macigno che schiaccia il torace o un dolore costrittivo come lo stringimento del petto in una morsa oppure un bruciore soprattutto allo stomaco, altri sintomi sono la sudorazione fredda, nausea o vomito, mancanza di fiato, agitazione, vertigini, svenimento. Mi sono preoccupato. Ho pensato subito a un infarto. Nella mia famiglia purtroppo ci sono stati tanti casi. Ho chiamato il 112, è arrivata l’ambulanza, mi hanno fatto gli esami che hanno confermato i miei sospetti e mi hanno trasferito in elicottero a Bolzano. Quando sono arrivato i colleghi erano già pronti a intervenire in sala operatoria e dopo un’ora e un quarto la coronaria che si stava chiudendo è stata riaperta ed è stato messo in posizione uno stent. Il giorno dopo ero a casa e oggi posso continuare a fare una vita normale, fare sci di fondo, andare in bici». Non tutti gli infartuati però hanno lo spirito del dottor Casari. Alcuni infatti si lasciano prendere dalla paura di avere un altro attacco di cuore. «In effetti il rischio è più alto rispetto a chi non ne ha mai avuto» spiega l’ex primario. «E proprio per aiutare queste persone due anni fa Cuore e Batticuore ha iniziato il “progetto cardio-fitness” che prevede l’esecuzione regolare di attività fisica. Dopo una valutazione cardiologica con una prova da sforzo al cicloergometro il paziente nell’arco di un mese esegue otto sedute (due alla settimana della durata di un’ora) pedalando su una cyclette con
uno sforzo calibrato da un medico sulla capacità cardiaca del paziente che così impara qual è lo sforzo che il suo cuore può sopportare e acquista sicurezza nelle sue forze allontanando la paura». Intanto il nostro cardiologo, alternandosi con altri medici di Cuore e Batticuore, i dottori Giudici, Mazzoleni e Pitì, e in collaborazione con l’Ufficio Scolastico Territoriale e l’Azienda Sanitaria Territoriale, ha tenuto nell’anno scolastico in corso 43 lezioni di cardiologia in 27 istituti scolastici di Bergamo e provincia coinvolgendo 4780 alunni. «Si tratta di due lezioni, una teorica, illustrata con l’aiuto di numerose diapositive, fatta a gruppi di 100-200 studenti che ha come argomento “Nell’infarto acuto il tempo è vita” e la “rete di salvataggio” di cui pochi conoscono l’esistenza e pertanto è poco utilizzata. È comunque una vera e propria lezione di cardiologia molto estesa e approfondita che gli studenti apprezzano. Ci fanno tante domande. Vogliono sapere quali sono i sintomi dell’infarto cardiaco acuto e come lo si può prevenire. Innanzitutto spieghiamo che occorre fare una vita sana e tanto movimento, passeggiate, sport. I fattori di rischio sono tanti: fumo, ipertensione, diabete, grassi elevati nel sangue, stress, obesità addominale, scarsa assunzione di frutta e verdura, abuso di alcol. Chi avesse tutti questi nove fattori avrebbe un rischio di infarto 330 volte superiore a chi non ne ha nessuno. L’altra lezione che teniamo è pratica,
In questa rubrica gli operatori sanitari (medici, infermieri etc.) si raccontano, facendo conoscere oltre al loro lato professionale la loro attività di artisti, volontari, atleti... Vuoi raccontare la tua storia su Bergamo Salute?
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dura due ore per un gruppo di 50 studenti e si divide in tre momenti: nella prima mezz’ora, con l’uso di diapositive, spieghiamo perché nell’ischemia cardiaca, che è la fase acuta dell’infarto, il cuore può fermarsi (arresto cardiaco e morte improvvisa) per la comparsa della fibrillazione ventricolare, pericolosissima aritmia. Poi per un’ora, con la collaborazione dei soci volontari di Cuore e Batticuore e con l’uso di manichini di plastica gonfiabili conosciuti come MiniAnne, insegniamo agli studenti a riconoscere l’arresto cardiaco, a chiamare il 112, a eseguire correttamente il massaggio cardiaco esterno che consiste in ritmiche compressioni toraciche che, se eseguite correttamente, consentono di mantenere in vita il cervello. Nell’ultima mezz’ora insegniamo agli studenti l’uso del defibrillatore». Tutto per imparare a salvare una vita. Marzo/Aprile 2019 | Bergamo Salute | 75
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SINDROME DI TURNER Codice di Esenzione. RN0680 Categoria. Malformazioni congenite. Definizione. Condizione che colpisce il sesso femminile, caratterizzata principalmente da bassa statura, difetti nello sviluppo dei caratteri sessuali secondari e infertilità. Epidemiologia. L’incidenza è stimata pari a circa 1:2500 nati vivi di sesso femminile. Segni e sintomi. I soggetti presentano un fenotipo femminile, ma non sviluppano i caratteri sessuali secondari. Le caratteristiche più frequentemente segnalate sono: attaccatura bassa dei capelli, cute ridontante in regione nucale, epicanto (piega cutanea che può coprire l’angolo interno dell’occhio), padiglioni auricolari antiversi, palato ogivale, micrognatia (insufficiente sviluppo, della mandibola), pterigio del collo (crescita anomala del tessuto del collo), teletelia (aumento della distanza tra i capezzoli), ampio diametro toracico, valgismo del gomito, IV metacarpo e metatarso brevi. Possono essere associati difetti cardiaci e delle vie urinarie. L’accrescimento staturale è solitamente ridotto, mentre lo sviluppo intellettuale è di regola normale, anche se possono essere presenti lievi problemi di tipo neuropsicologico. Eziologia. La patologia riconosce una eziologia genetica ed è causata da una parziale o totale assenza di uno dei due cromosomi X normalmente riscontrabili nella popolazione femminile. Diagnosi. È facilmente effettuabile mediante l’indagine cromosomica.
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Marzo/Aprile 2019 | Bergamo Salute | 77
DAL TERRITORIO
TESTIMONIANZA
La stomia? L’ho battuta con un sacchetto magico, come dicono le mie figlie ∞ A CURA DI FRANCESCA GUERINI ROCCO
Riportiamo la testimonianza di Francesca, mamma di 44 anni che grazie a un carattere da combattente e all’amore della sua famiglia, è riuscita a superare una fase delicata della sua vita. Un sacco da raccontare: si chiama così la campagna organizzata da FAIS (la Federazione Associazione Incontinenti Stomizzati) per far conoscere e raccontare la stomia. E io, in effetti, da raccontare ne avrei un sacco. Il mio incontro con la stomia, un intervento chirurgico che crea un’apertura sulla parete addominale per collegare l’intestino - o l’apparato urinario - con l’esterno e permettere di scaricarsi, è avvenuto in modo del tutto inaspettato e improvviso. E non è stato un incontro facile. Tutto è nato da una fistola, ma non una di quelle banali o semplici (ammesso che ce ne siano). Una fistola subdola (retto vaginale dovuta a un sospetto Morbo di Crohn), che a sette giorni dal primo intervento chirurgico, fatto per tentare di guarirla, è riuscita a far saltare tutti 78 | Bergamo Salute | Marzo/Aprile 2019
i punti e tutti i piani. Risultato: il giorno del mio 43esimo compleanno ho ricevuto in regalo una terapia in camera iperbarica e un secondo intervento, colostomia inclusa. “Mi dispiace è proprio brutta” aveva esordito il dottor Leonardo Lenisa, chirurgo colon proctologo dell’ospedale Humanitas San Pio X che mi aveva preso in cura. E per cercare di tranquillizzarmi aveva poi pronunciato la parola “stomia” con tutta la delicatezza possibile, ma a me era sembrata una sentenza di morte. L’associazione era stata immediata: disagio, puzza, schifo. Invece non è così e ora a distanza di un anno posso dirlo con assoluta certezza e tranquillità. Dopo aver lasciato parlare il dottore ed essermi documentata a casa avevo capito che la stomia nel mio caso sarebbe stata un jolly, non un due di picche: tra le opzioni possibili, la migliore. E avevo scoperto che la “mia” idea di stomia era sbagliata. La stomia non puzza (il mio primo pensiero era stato quello), non è così ingestibile (online si trovano
tanti video di stomizzati che si cambiano con disinvoltura). Bisognava superare lo schifo, ma in fondo si trattava solo di un’idea. Me l’hanno dimostrato con grande naturalezza le mie figlie, di 7 e 8 anni, che appena arrivata a casa avevano accolto la notizia come un’interessante e avvincente avventura. “Quindi mamma fai la cacca dalla pancia?” mi aveva chiesto Viola, la più piccola. E con un entusiasmo travolgente aveva aggiunto subito “Fooooorte mamma!”. Da lì in poi il mio anno con la stomia è stata un’escalation di esclamazioni entusiastiche da “sei fortunata mamma, se ti scappa di notte non devi neanche alzarti dal letto” a “mamma spiegami tutto così se capita a me il dottore non deve rispiegarmelo” fino a “la mia mamma non va mai in bagno perché ha un sacchetto magico” detto orgogliosamente davanti agli amici, alzandomi la maglietta per mostrarlo a tutti. Sì, perché le mie bambine mi hanno insegnato che quando si è malati non bisogna nasconder-
si o vergognarsi. Certo ci vuole tempo per digerire una stomia (la mia oltretutto sapevo che sarebbe stata temporanea), ma ho avuto dalla mia parte un medico, il dottor Lenisa, fuori dal comune: un vero professionista, ma soprattutto un uomo dotato di grande umanità, tatto ed empatia. Uno di quei chirurghi che hanno a cuore i pazienti e te lo trasmettono con chiarezza e calore, e anche (il che non guasta) con una spiccata ironia. “So che psicologicamente è dura da accettare” mi aveva detto il dottor Lenisa. “Ma vedrai che starai subito bene, molto meglio di come stai adesso”. E aveva ragione. Il giorno dopo l’operazione ero in piedi, un mese dopo riuscivo a gestire tutto con normalità, disagi compresi (se ci si libera dai pregiudizi e ci si apre ad altri punti di vista, la nuova prospettiva può riservare piacevoli sorprese). Riprendere la mia normale routine è stato più facile di quanto immaginassi, merito anche della mia stomaterapista, Simona Furlan, un vulcano di energia e di simpatia che dal primo incontro ha saputo darmi la carica e spiegarmi con chiarezza e disinvoltura tutto quello che avrei dovuto fare. La stomia, per me, non è stato - incredibile - un dramma, ma il sollievo di non sentire più dolore
e di potermi muovere, di nuovo, con disinvoltura (o quasi). Per me è stato un po’ come gestire un neonato: bisognava accudirlo, cambiarlo, lavarlo, svezzarlo… A volte mi ha sfinito e mi ha creato problemi, ma niente di tragico. L’aspetto più difficile e inaspettato da gestire è stata la reazione delle persone. Sono spesso loro, infatti, che si ritrovano incapaci di affrontare la situazione e che non riescono a superare l’idea che la stomia sia un “problema imbarazzante”. Almeno così è stato, in parte, nel mio caso. Qualcuno si è allontanato, altri hanno preferito fingere che la “cosa” non esistesse, altri invece hanno imparato a scherzarne con me. “Non ti preoccupare, non si vedrà niente” è stata la frase che ho sentito ripetere più spesso. Ma io non ero preoccupata per quello. Ho capito però che ognuno ha i suoi tempi, i suoi modi, che non bisogna imporre la stomia agli altri, ma nemmeno nasconderla per far piacere agli altri. Così al mare ho indossato il bikini come ho sempre fatto e non “il costume intero così non si vede”. Ho vissuto la stomia per come mi è venuto spontaneo fare: ne ho parlato apertamente, ho giocato con le mie bimbe disegnando i sacchetti, l’ho affrontata con ironia.
E mentre mio marito mi chiamava amorevolmente “sacchettina mia”, io alle amiche solerti, ma preoccupate, avevo detto subito: “bè, quest’anno la moda ha decretato il marsupio da donna come accessorio must have. Quindi io che sono fashion e sempre sul pezzo, non potevo farne a meno!” È vero, oggi la stomia per me è solo un ricordo (sono stata ricanalizzata lo scorso ottobre), ma ne parlo ancora volentieri, perché non è un ricordo doloroso o triste, piuttosto un’avventura che si è conclusa nel migliore dei modi e che mi ha fatto conoscere persone speciali e mi ha insegnato ad affrontare i problemi con il sorriso, perché funziona sempre.
In questa rubrica pubblichiamo la storia di una persona che ha superato un incidente, un trauma, una malattia e con il suo racconto può dare speranza agli altri. Vuoi raccontare la tua storia su Bergamo Salute?
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Marzo/Aprile 2019 | Bergamo Salute | 79
DAL TERRITORIO
TESTIMONIANZA
Aiutando i più sfortunati non penso al Parkinson Lo storico ex-presidente del Cesvi Onlus racconta la sua malattia e il suo impegno in 30 Paesi del Mondo ∞ A CURA DI LUCIO BUONANNO
Ha portato per anni il suo sorriso, aiuti e progetti in quasi tutto il mondo. L’ultima volta, alla fine dell’anno scorso, con Claudio Bisio, in Zimbabwe, il Paese africano che gli è rimasto più nel cuore. Giangi Milesi è il past president del Cesvi, Onlus che opera in trenta nazioni in Africa, Asia, America Latina, Balcani e Medio Oriente, in settori che riguardano l’infanzia e la gioventù, l’ambiente e lo sviluppo sostenibile, l’accesso all’acqua e l’igiene ambientale, l’aiuto umanitario e l’impresa sociale, la lotta contro l’Aids. Progetti finanziati da tanti privati, dall’Unione Europea, dalle agenzie di vari stati occidentali, a cominciare da quella del Governo inglese. Ora però Giangi Milesi, 65 anni, che ha ceduto la presidenza a Gloria Zavatta, può viaggiare molto meno. Ha il Parkinson. «L’ho scoperto grazie a una psicologa che mi ha consigliato di farmi vedere da un neurologo» ci racconta. «E purtroppo la diagnosi clinica fatta osservando i movimenti del corpo non ha lasciato dubbi. Mia moglie ha pianto, ma per me è stato quasi un momento liberatorio. Avevo avuto una depressione e altri sintomi che, senza fare allarmismi, non necessariamente sono segni della malattia di Parkinson. Una sera, mentre andavo a cena con l’attore Alessio Boni, sono inspiegabilmente scivolato in via Sant’Orsola. Lo ricordo perché 80 | Bergamo Salute | Marzo/Aprile 2019
Boni, per sorreggermi, si è quasi slogato il polso, mettendo a repentaglio la stagione teatrale. Inoltre avevo perso l’olfatto, non distinguevo più gli odori. Scoprire però che i miei mali erano riconducibili al Parkinson mi ha consentito di sottopormi a un efficace trattamento di cura: metto un cerotto la sera mentre durante il giorno assumo un cocktail di pastiglie. Prima, mi alzavo la mattina, mi guardavo allo specchio e non mi riconoscevo. Poi ho ritrovato il sorriso perduto nei momenti bui. Il Parkinson è una galassia di malattie “…e non chiamatelo morbo!” Il termine fa infuriare il nostro presidente dell’Associazione, l’ingegnere Marco Guido Salvi, con cui collaboro. Morbo dà l’idea di malattia contagiosa, il Parkinson non lo è. Ci si può convivere, con una buona
qualità di vita, senza isolarsi. E con una diagnosi precoce ci si può conviene a lungo. Per quanto mi riguarda, da quando combatto il Parkinson, dichiarando la mia fragilità, sono rinato e ho ritrovato il benessere e l’entusiasmo che avevo perduto». «Ho avuto anche la fortuna di comprensione, cura e pungolo da chi mi sta vicino» scrive Milesi in un suo toccante articolo. «In questi due anni e mezzo dalla diagnosi, ho incontrato malati che negano di esserlo, persone scoraggiate o dissuase dal praticare le terapie, malati che cercano di sfuggire all’inesorabilità della malattia. Ho fatto “coming out” proprio per aiutare gli altri. Personalmente sono stato tacciato di essere ipocondriaco, altri sono portati a sentirsi
Giangi però ha superato questi problemi. Ogni mattina va in ufficio al Cesvi Onlus, in via Broseta a Bergamo, e s’interessa delle tante iniziative per aiutare i popoli più sfortunati. Intanto pensa di dare un nuovo impulso alla sua vecchia professione di manager della comunicazione. Ma si vede lontano un miglio che la sua vita è legata al Cesvi, ai suoi viaggi in terre lontane in Asia, India o in Africa soprattutto in Zimbabwe, dove è stato recentemente con Claudio Bisio. «Ave-
vo un po’ di timore ad affrontare quella trasferta di dodici giorni nelle mie condizioni» ci dice. «Invece è andato tutto bene. Con Claudio e sua moglie Sandra ci siamo divertiti e abbiamo rivisto Takunda il primo bambino, che a maggio compirà 18 anni, nato sano da madre sieropositiva. Nell’Ospedalino di Saint Albert, abbiamo dato vita tra il 2000 e il 2001 al progetto “Fermiamo l’Aids sul nascere” sfidando The economist che aveva titolato: “Africa continente perduto”. Anche lo scienziato americano Robert Gallo, a Bergamo per la prima edizione di Bergamo Scienza, aveva accolto la nostra campagna contro l’Aids con molto scetticismo… salvo ricredersi un anno dopo, alla luce degli enormi risultati conseguiti. Allora un terzo della popolazione dello Zimbabwe era sieropositiva e le donne malate venivano cacciate di casa dai mariti. Come Safina, la mamma di Takunda, che si è sottoposta al test e al trattamento per salvare il figlio che portava in grembo. Quando lo ha dato alla luce, come un presagio, lo ha battezzato Takunda che in lingua shona significa “Abbiamo vinto”. Safina è stata la prima mamma che abbiamo curato e lei ha imparato l’inglese, si è diplomata infermiera
Ph: Giovanni Diffidenti
inaffidabili e a provare vergogna e, ancora peggio, ad avere paura del licenziamento, a nascondersi, a rinchiudersi per dissimulare la perdita di equilibrio e la lentezza delle reazioni. Si vorrebbe sparire per evitare di balbettare alla ricerca delle parole che sai, ma che non vengono. Il grande feticcio della velocità che hai condiviso tutta una vita è diventato ingestibile e ti rendi conto con la tua lentezza di essere d’intralcio, di dare fastidio. Eppure fare “coming out” è indispensabile per socializzare le tue fatiche, alimentare le tue deboli energie e contrastare le ingiustizie che ti declassano a un livello più basso del lavoro o nella società».
e ora sta studiando per diventare ostetrica e aiutare le altre donne, come è successo a lei. Anche Takunda è studioso e grazie all’adozione della famiglia Bisio studia al liceo. Immaginate la commozione quando siamo stati in visita nella loro capanna». Ma allo Zimbabwe è legato un altro importante progetto voluto dalla comunità di Shahse e finanziato dall’Unione Europea che ha stanziato due milioni di euro e l’ha affidato al Cesvi. Si tratta di dar vita a un grande aranceto in una zona arida, in via di desertificazione e con i fiumi asciutti. Con tecnologie all’avanguardia siamo riusciti a irrigarle e dal 2022, l’aranceto, per oltre cinquant’anni, produrrà seimila tonnellate di arance l’anno per un valore di circa 600 mila dollari. Suddiviso in 250 quote, quante sono le famiglie della comunità, con lo stesso sistema d’irrigazione degli alberi, tra un filare di aranci e l’altro, le famiglie producono fagiolini, cavoli e altri ortaggi che vengono consumati, ma soprattutto venduti. «È un grande cambiamento culturale» ci dice Milesi. «Si passa da un’agricoltura di sussistenza, che non funziona più, basata sul mais, a una di sviluppo sociale, governata da un Trust composto da 10 consiglieri: sei sono democraticamente eletti dalla comunità e quattro in rappresentanza delle autorità. Sono coinvolte anche le due scuole della zona che hanno dei lotti di aranceto da curare per l’apprendimento e l’autofinanziamento. Ogni fine giornata, come si vede in un filmato presentato da Bisio, dopo che le arance sono state trasformate in succhi, scarti e bucce vengono portate in un luogo magico: la valle degli elefanti, che ne sono ghiotti». Marzo/Aprile 2019 | Bergamo Salute | 81
STRUTTURE
RSA BRAMANTE
Ampliamenti e nuove terapie per rispondere alle esigenze geriatriche della comunità bergamasca Il Gruppo toscano Edos - con 16 strutture in cinque regioni di Italia - da anni focalizza la sua attività, legata alla cura e all’assistenza ad anziani e categorie fragili, su valori concreti che fanno la differenza: umanità, ascolto, comprensione, apertura e professionalità, fornendo servizi di alta qualità. Proprio su questi valori, il Gruppo ha consolidato l’offerta del bacino sanitario bergamasco con l’importante ampliamento, a Pontida, di Rsa Bramante: un progetto costituito da una riqualificazione e ristrutturazione degli ambienti interni ed esterni, per fornire un servizio ancora più efficiente, sicuro e all’avanguardia.
RSA BRAMANTE: I NUOVI PROGETTI DEDICATI ALLA CURA COGNITIVA DI ANZIANI CON PARTICOLARI NECESSITÀ
IL PROGETTO DI AMPLIAMENTO DI RSA BRAMANTE L’ampliamento di Rsa - struttura immersa in di oltre 70 ettari sulla Pontida, in posizione
tra Bergamo e Lecco - ha come obiettivo l’incremento dell’offerta di posti letto e della gamma di servizi e ambienti polivalenti a disposizione degli ospiti: il progetto ha visto da un lato la creazione di ulteriori 20 posti, aggiunti ai 49 già esistenti collocati sia all’interno di un nucleo di nuova costruzione sia in un’ala dell’ambiente già esistente oggetto di una ristrutturazione totale, dall’altro la realizzazione di una nuova sala polivalente con angolo snack, un nuovo ambiente con una tisaneria e un ampio soggiorno caratterizzato da grandi vetrate da cui godere del meraviglioso panorama circostante.
Bramante un parco collina di strategica
Percorsi alternativi e interattivi: nella nuova Rsa Bramante vengono quotidianamente proposti progetti all’avanguardia dedicati
alla cura individuale degli ospiti affetti da decadimento cognitivo e demenza senile. Si tratta di progetti di équipe il cui focus è un’efficacia ad ampio spettro per conservare o ripristinare, laddove possibile, le facoltà cognitive e motorie. Il tutto attraverso esercizi dolci e coinvolgenti, come il “Memory training” oppure il “libro della vita” per ricostruire le fasi dell’esistenza dell’ospite assieme alla sua famiglia, fino alla “Stanza Multisensoriale”, una sala attività con elementi che stimolano le capacità residue degli ospiti attraverso fasci di luce interattivi, colori, profumi, con l’aromaterapia, suoni e immagini calmanti. «Si tratta di terapie e cure per una reale differenza sul territorio, che vanno ad aggiungersi alla già elevata qualità degli ambienti: l’edificio, infatti, proviene da un progetto di SPA, realizzato con materiali e finiture di pregio che ne garantiscono non solo la bellezza estetica, ma favoriscono anche il benessere e
Un’assistenza continua, qualificata, dolce La struttura, attiva 24 ore su 24, promuove un approccio finalizzato al perseguimento del benessere e della salute della persona, e si avvale di un’équipe multidisciplinare - con direttore sanitario, infermieri, operatori, fisioterapisti, psicologa, animatori ed educatori - per cure sanitarie continuative, attività assistenziali, riabilitative e di animazione finalizzate a mantenere e a rafforzare le capacità funzionali, motorie, cognitive e relazionali necessarie alla vita quotidiana degli ospiti, seguiti individualmente grazie al P.A.I. (Piano Assistenziale Individualizzato), stilato durante la riunione d’équipe a seguito di un’accurata analisi valutativa delle caratteristiche e delle esigenze individuali dell’ospite.
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la serenità degli ospiti, ancora di più in una cornice di pace come questa» osserva Roberta Zanardi, responsabile della struttura.
UN TEAM STRUTTURATO SU CUI POTER SEMPRE CONTARE «La cosa che spesso può stupire il parente, durante la prima visita in struttura, è proprio il nostro team, composto da persone giovani. Si tratta di un “plus”, un punto a favore di Rsa Bramante: lavorando in questa sede da tempo, ne conosciamo territorio e storia. Siamo un team affiatato, flessibile, in grado di assecondare tutte le esigenze di ospiti e parenti, così diversificate e, molto spesso, delicate. Siamo un gruppo in cui il multitasking è una filosofia di lavoro: solo così siamo certi di fornire un servizio realmente completo, difficile da trovare sul territorio. Amiamo quello che facciamo, e questa è una componente imprescindibile» continua la Zanardi. «Da quando il Gruppo Edos ha rilevato gli ambienti, ovvero dal 2106, si sente che c’è un gruppo strutturato alle spalle nostre e a quelle delle famiglie. Un supporto e un service forte, in cui la gestione dei problemi e delle criticità viene portata avanti con un partner solido al nostro fianco, consapevole ed esperto del settore».
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INFO Per maggiori informazioni è possibile chiamare il numero verde gratuito 800 966159, oppure la struttura al 035 783128, o scrivere una mail a rsa.bramante@eukedos.it. Via Gambirago 571 Pontida (BG).
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STRUTTURE
NAMASTE SALUTÉ
La cura della salute? Un “bene comune” di tutti, anche del territorio Promuovere un progetto di cura con una forte vocazione territoriale e con un interesse plurimo e diversificato. È questo l’ambizioso obiettivo che si prefigge Namasté Salute impresa sociale srl, realtà nata a dicembre del 2018, tra le prime imprese sociali bergamasche che operano nell’ambito 84 | Bergamo Salute | Marzo/Aprile 2019
socio-sanitario. Come? Attraverso la gestione di un centro medico polispecialistico a Gorlago. «La società Namasté Salute impresa sociale srl è stata promossa dalla cooperativa sociale Namasté e da altri imprenditori del territorio con la convinzione che il tema della cura riguardi e, quindi, sia interesse
INFO
Il Poliambulatorio medico e odontoiatrico Namasté Salute è a Gorlago, in piazza Gregis 10/A, di fronte al piazzale del Comune e accanto alla farmacia Amaglio. Aperto dal lunedì al venerdì, vi collaborano più di trenta professionisti (medici specialisti, odontoiatri, igienisti dentali, psicologi, fisioterapisti e osteopati). I nomi degli specialisti, corredati da curriculum, si possono consultare online su www.namastesalute.it.
Le specialità mediche Polispecialistica: Allergologia pediatrica (allergie alimentari e ambientali), Angiologia e chirurgia vascolare (patologie venose, arteriose, linfatiche), Cardiologia, Dermatologia, Ecocolordoppler, Ecografie, Endocrinologia, Geriatria, Ginecologia, Medicina dello sport per rilascio idoneità non agonistica, Neurologia, Oculistica, Ortopedia, Ostetricia e servizi ostetrici ambulatoriali e a domicilio, Otorinolaringoiatria, Pneumologia e Podologia. Area motorio-riabilitativa: Fisiatria, Fisioterapia, Osteopatia, Tecarterapia e terapie fisiche. Area psicosociale e servizi alla persona: Counselling, Logopedia, Pedagogia, Psicologia per adulti e dell’età evolutiva, Psicomotricità. Odontoiatria: Chirurgia del cavo orale, Conservativa, Endodonzia, Igiene e prevenzione, Implantologia, Odontoiatria estetica, Ortodonzia e Protesica. Medicine complementari: Agopuntura, Nutrizione e Omeopatia. Servizi infermieristici: ambulatoriali e domicialiari.
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di “tutti”» spiega Maurizio Pergreffi, Presidente di Namasté Salute. «In questo modo il territorio si fa carico della salute dei propri cittadini. L’idea di fondo è che la convergenza di interessi tra il mondo non-profit e quello profit, senza trascurare l’associazionismo, possa tracciare una via di sviluppo innovativa anche nell’ambito socio-sanitario che abbia come interesse principale il “Bene Comune” del territorio stesso». Come si traduce tutto questo nella pratica quotidiana? Namasté Salute vuole essere un luogo confortevole, attento alle esigenze di ognuno, in cui il paziente viene preso in cura nella sua globalità di persona e non semplicemente come individuo
portatore di patologia. Spesso, infatti, si sente smarrito nell’intraprendere la ricerca del professionista cui affidare la sua salute o quella dei suoi cari. L’impegno dei medici e del personale del centro Namasté si concretizza anche nel tessere reti e relazioni con i medici di medicina generale del territorio, i servizi socio-sanitari domiciliari, le strutture ospedaliere, oltre che all’interno dello staff stesso, in modo che la persona si senta costantemente accompagnata nell’intero percorso di cura che la riguarda. Fondamentale è inoltre la garanzia di accesso alle cure in tempi brevi, senza lunghe attese in sala d’aspetto e con la possibilità di fissare un appuntamento anche in orari tardo-pomeridiani e serali per rispondere alle esigenze di chi lavora.
Di che tipo di specialisti si avvale il centro? Tutti i medici che operano all’interno della struttura sono professionisti noti e in attività sul territorio da anni. Il direttore sanitario è il dottor Roberto Giovannoni, ortodontista con esperienza quarantennale nel suo lavoro. Direttore generale è invece il dottor Cesare Maffeis, geriatra e omeopata con una lunga esperienza nella gestione di Residenze Sanitarie per Anziani supportato, nel ruolo di responsabile scientifica, dalla dottoressa Paola Pini, dermatologa e vulnologa. Proprio come i tre piani che compongono l’edificio, esistono tre “filiere” di cura, i cui responsabili sono il dottor Giovannoni per l’odontoiatria e la dottoressa Pini per gli studi polispecialistici, l’area psicosociale e motorio-riabilitativa. Marzo/Aprile 2019 | Bergamo Salute | 85
GUIDA ALLE PROFESSIONI SANITARIE
Tecnico audioprotesista Una figura in ascesa ∞ A CURA DI LELLA FONSECA
Il tecnico audioprotesista è oggi un profilo professionale ad altissimo tasso di occupazione: secondo i dati del Miur (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca) l‘83% dei laureati trova lavoro entro un anno dalla laurea. Alla base di questa crescita del settore, l’invecchiamento della popolazione e la crescita dei problemi legati all’ipoacusia (ovvero abbassamento dell’udito) nei paesi industrializzati, insieme all’avanzamento tecnologico degli apparecchi acustici. «Nel nostro Paese esiste ancora troppo imbarazzo ad ammettere di avere un problema di udito e ricorrere all’uso di un 86 | Bergamo Salute | Marzo/Aprile 2019
apparecchio acustico. Su sette milioni di italiani con deficit uditivi solo un milione utilizza specifici apparecchi. Le visite di controllo sono insufficienti e non c’è una buona conoscenza della figura dell’audioprotesista, l’unico professionista sanitario abilitato a fornire, adattare e controllare apparecchi acustici. È importante intervenire ai primi sintomi d’ipoacusia per evitare che i deficit peggiorino» avverte Roberto Ghiozzi, tecnico audioprotesista. Quali sono le mansioni del tecnico audioprotesista? È il professionista sanitario che
si occupa della fornitura, adattamento e controllo dei presidi protesici per la prevenzione e correzione dei deficit uditivi. L’attività di questa figura professionale comprende l’applicazione dei presidi protesici mediante il rilievo dell’impronta del condotto uditivo esterno, la costruzione e l’applicazione delle chiocciole o di altri sistemi di accoppiamento acustico e la somministrazione di prove di valutazione protesica. L’attività viene svolta con autonomia e responsabilità nel rispetto delle attribuzioni e delle competenze diagnostico-terapeutiche del medico.
Qual è il percorso formativo attuale? È previsto un corso di laurea triennale in Tecniche Audioprotesiche presso uno degli Atenei presenti sul territorio nazionale. I più vicini a Bergamo sono Brescia e Milano. La prova finale della laurea in Tecniche Audioprotesiche ha valore di Esame di Stato abilitante all’esercizio della professione. La formazione prevede il superamento degli esami previsti dall’Ordinamento Didattico a cui si aggiunge un tirocinio obbligatorio articolato sui tre anni. La professione può essere esercitata da chi è iscritto all’albo della professione sanitaria di tecnico audioprotesista (ANAP). Dopo la laurea triennale è possibile proseguire gli studi con il Corso di Laurea Magistrale delle Professioni Sanitarie Tecnico Diagnostiche o con Master di I o II livello. Come le altre professioni sanitarie è inserito all’interno del programma di Formazione Continua in Medicina (ECM) che definisce l’obbligo di aggiornamento professionale post-laurea. Qualcuno confonde questa professione con quella del tecnico audiometrista, in che cosa si differenziano? Il tecnico audiometrista, anch’esso formato con una laurea triennale, s’interessa esclusivamente degli esami audiometrici e non della protesizzazione (cioè della
scelta, regolazione e applicazione della protesi). Qual era invece il percorso in precedenza? Prima della creazione del corso di laurea esistevano corsi sponsorizzati dall’Ana (Associazione Nazionale Audioprotesisti) e la formazione veniva spesso completata da corsi specifici organizzati dai maggiori produttori di apparecchi acustici. In quali contesti può lavorare? Fondamentalmente esistono due sbocchi lavorativi, il primo dei quali molto più diffuso del secondo. Centri di applicazione audioprotesica - L’audioprotesista lavora sempre su prescrizione medica, in piena autonomia curando tutti gli aspetti dell’applicazione audioprotesica. Il professionista che lavora in uno studio privato o in una piccola catena in genere gestisce tutto il processo di protesizzazione mentre all’interno di grandi catene, multinazionali, segue indicazioni operative generali della struttura. Queste catene sono spesso sede di tirocinio clinico e lo sbocco professionale più accessibile per i neolaureati. Maturando esperienza sul campo l’autonomia nello svolgimento dell’attività lavorativa si potenzia, il giovane può essere in grado di prendere in carico il paziente ipoacusico nel suo com-
plesso e quindi gestire in toto le attività di un centro audioprotesico. Strutture sanitarie pubbliche o private - In questo contesto l’audioprotesista lavora alle dirette dipendenze del medico (otorinolarigoiatra/audiologo) con un ruolo di completamento nell’ambito del servizio offerto dalla struttura al paziente ipoacusico. Nonostante gli enormi progressi tecnologici nel campo delle protesi acustiche questa professione continua a richiedere una grande attenzione “umana”... Certamente, l’audioprotesista deve essere attento a non trasmettere false speranze ma suggerire l’apparecchio più idoneo, anche sulla base dello stile di vita dell’utente, considerandolo come individuo unico, con tutto il bagaglio di esperienze e sensazioni che lo contraddistinguono. Non basta padroneggiare gli aspetti tecnici ma è necessario essere in grado d’instaurare con la persona un rapporto di fiducia. Giunti alla scelta e alla personalizzazione del dispositivo più adatto segue una fase di adattamento della persona ipoacusica che dura mesi. Per questa fase non esiste un numero di sedute o un periodo di tempo standardizzato e sta alla sensibilità del professionista scegliere il percorso necessario a ogni paziente. Marzo/Aprile 2019 | Bergamo Salute | 87
REALTÀ SALUTE
Diagnostica hi-tech per le patologie oculari Si amplia l’offerta del Centro di Radiologia e Fisioterapia di Gorle: da marzo è infatti operativo il nuovo reparto di oculistica convenzionato con il Sistema sanitario nazionale, un’ala intera di oltre 350 metri quadrati dedicata alla prevenzione e alla diagnosi delle principali patologie oculari coordinata dalla dottoressa Paola Salvetti, oculista specializzata in retina medica con significative esperienze all’estero in Usa, Francia e più recentemente a Dubai.
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La dotazione tecnologica della diagnostica per immagini è il fiore all’occhiello del polo oculistico che si candida a diventare un importante presidio sul territorio: dalla visita oculistica di controllo agli esami più approfonditi, comprese le visite pediatriche in collaborazione con l’ortottista, fino a piccoli interventi chirurgici e iniezioni intravitreali, l’obiettivo è quello di ridurre i tempi delle liste d’attesa per visite specialistiche ed esami in convenzione con il Sistema Sanitario Nazionale.
«Il nuovo reparto è dotato di apparecchiature hi-tech, a cominciare dall’ultimo modello di OCT Heidelberg Spectralis con angio Oct, strumento di indagine di ultima generazione non invasivo e indolore indicato per diagnosticare accuratamente patologie retiniche come, ad esempio, la degenerazione maculare senile, la retinopatia diabetica, le occlusioni vascolari e il glaucoma» sottolinea la dottoressa Paola Salvetti. «L’angio Oct, in particolare, consente una diagnosi più approfondita della vascolarizzazione senza impiego di liquido colorante o di contrasto, riducendo così la necessità di iniezioni e il rischio di reazioni allergiche. La risoluzione delle immagini ottenute è altissima, e permette di visualizzare vasi anche estremamente piccoli come i microcapillari». Uno strumento all’avanguardia, quindi, sia per la diagnostica sia per i controlli periodici, il cosiddetto follow up del paziente, ma anche in un’ottica di prevenzione. «La salute dell’occhio è in evoluzione continua e una diagnosi precoce fa spesso la differenza, soprattutto per quelle patologie che non sono conclamate» ricorda la dottoressa Salvetti. «I parametri che contribuiscono alla diagnosi in oculistica sono spesso molteplici e vanno analizzati in ciascun individuo, utilizzando diversi esami complementari per avere un quadro completo. Per questo, a chi ha patologie oculari o familiarità per esse è consigliabile effettuare almeno una visita all’anno con un oculista, e anche chi non ha pro-
blemi evidenti dovrebbe fare un controllo con cadenza biennale a partire dai 40 anni». Infine, per l’esame del campo visivo il nuovo reparto è dotato di un perimetro Humphrey. «Rappresenta il gold standard di riferimento per studiare l’estensione del campo visivo, cioè la regione di spazio visibile da un occhio immobile in posizione primaria» conclude la dottoressa Salvetti. «L’esame è indicato, in particolare, per valutare l’esordio e la progressione di una malattia tanto invalidante quale il glaucoma ma anche per deficit visivi di natura neurologica (ad esempio gli ictus) ed è uno degli elementi da fornire per ottenere la patente di guida nei casi in cui sia necessario essere esaminati da una commissione».
CENTRO DI RADIOLOGIA E FISIOTERAPIA Dir. San. dott. R. Suardi Via Roma 28 - Gorle (BG) Tel. 035 290636 - 035 4236140
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Idratazione nello sport Il primo passo per migliorare le prestazioni
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Ormai è risaputo: sport e corretta alimentazione sono un connubio vincente per chi vuole migliorare le prestazioni. Ma che dire dell’acqua? Sì, perché se è importante una buona alimentazione ancor di più lo è un’adeguata idratazione. Le regole generali dicono di bere almeno 1 litro e mezzo - 2 litri di acqua al giorno, ma per un’atleta può non bastare. «Un’attività sportiva intensa, come la preparazione a una maratona o a un trail, comporta un’oscillazione di peso dovuto sostanzialmente alla perdita dei liquidi corporei» spiega la dottoressa Francesca Nozza, biologa nutrizionista di 9 Coop - Centro infermieristico e
polispecialistico, dove è attivo un ambulatorio dedicato alla nutrizione con possibilità di ricevere piani alimentari personalizzati anche in caso di esigenze particolari come quelle degli sportivi. «Una strategia efficace per capire la quantità di liquidi persi durante un’attività fisica è pesarsi prima e dopo l’allenamento. Un calo di mezzo chilo non è preoccupante ma per sforzi molto intensi gli atleti possono arrivare a perdere molto di più. Se il calo arrivasse a toccare il due per cento del proprio peso potrebbero verificarsi una serie di problemi. Il primo apparato a risentire della scarsità di acqua sarebbe il sistema nervoso centrale che smetterebbe di funzionare in maniera efficace, con perdita di concentrazione e ridotta abilità di pensare. Ma anche i muscoli avrebbero grande difficoltà a reagire e a coordinarsi, la forza e la resistenza diminuirebbero notevolmente e potrebbero manifestarsi dei crampi. Spesso i crampi muscolari, ma anche scarse prestazioni atletiche, vengono ricondotti al mancato apporto di determinati nutrienti o a una dieta poco adatta, il problema invece è proprio la scarsa quantità di acqua presente nel nostro organismo». È evidente, quindi, come sia fondamentale per l’atleta essere sempre in un buono stato di idratazione cominciando a bere già prima di affrontare un allenamento o una competizione: da 250 millilitri a mezzo litro di acqua già nell’ora che precede l’inizio dell’attività. «Durante l’attività non bisogna
aspettare lo stimolo della sete: sarebbe già troppo tardi. Il consiglio è bere a intervalli regolari, ogni 1015 minuti, almeno 250 millilitri di acqua. Infine dopo l’attività è bene reintegrare i liquidi persi assumendo una quantità di acqua pari al 25%-50% in più rispetto al sudore perso. Attenzione quindi ai segnali che il corpo ci dà durante l’attività: aumento della sete, bocca asciutta, debolezza, stordimento, assenza di sudore accompagnato da insolito calore sono tutti segnali da prevenire assumendo il giusto quantitativo di acqua. Per sapere il proprio livello di idratazione è possibile, in modo approssimativo, controllare il colore delle urine: se chiaro, quasi trasparente, è sintomo di ottima idratazione, se scuro tendente al giallo di cattiva idratazione. Per valutare con più precisione il proprio livello di idratazione, ma anche lo stato nutrizionale e ottimizzare così il programma di allenamento, è possibile ricorrere invece alla bioimpedenziometria (Bia), esame introdotto di recente nella scienza dello sport per misurare le variazioni della composizione corporea (massa grassa e massa magra)» conclude la nutrizionista.
9 COOP CENTRO INFERMIERISTICO POLISPECIALISTICO Dir. San. Dott.ssa Roberta Cirelli via Balilla 66 Romano di Lombardia (BG) Tel. 0363 222249 www.centroinfermieristico.it
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infoSOStenibile il periodico dal cuore green
InfoSOStenibile è una testata freepress che tratta argomenti che hanno per filo conduttore la sostenibilità economica, sociale e ambientale, intesa come opportunità per una società migliore che utilizzi in modo intelligente le risorse del pianeta. Per informazioni: 035 0514318 www.infosostenibile.it
PERIODICO SUGLI STILI DI VITA E D’IMPRESA SOSTENIBILI
REALTÀ SALUTE
La terapia della bambola Un approccio utile nella gestione dei disturbi comportamentali associati alle demenze, anche a domicilio
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Nei disturbi neurocognitivi (demenze) con il progredire della malattia si assiste a una progressiva riduzione delle abilità cognitive e comunicative della persona alle quali, tuttavia, non corrisponde una riduzione dei bisogni psico-sociali. «L’approccio di Cura Centrato sulla Persona (Person-Centred Care) elaborato da Tom Kitwood (ndr. psicogerontologo inglese) individua cinque bisogni fondamentali: l’attaccamento, il conforto, l’identità, l’inclusione e l’essere occupati che possono essere sintetizzati in un bisogno onnicomprensivo: l’Amore» dice Paola Brignoli, direttore dell’Associazione Insieme A Te Onlus, impresa sociale che fornisce assistenza domiciliare a favore delle persone fragili con l’obiettivo di promuovere benessere e qualità di vita all’interno della propria casa. «Questi bisogni assumono rilevanza sempre maggiore nelle persone che vivono la demenza e che, per questo, si trovano in una condizione di maggiore vulnerabilità. Spesso negli stadi più avanzati di malattia si manifestano anche disturbi comportamentali che compromettono la qualità di vita della persona e del caregiver
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(cioè chi si prende cura di lei) e possono portare all’istituzionalizzazione; il corpo diventa lo strumento attraverso il quale esprimere emozioni e bisogni e i disturbi comportamentali assumono significato delineandosi come comportamenti comunicativi. Questi disturbi comportamentali, nella pratica clinica, vengono spesso trattati con interventi farmacologici la cui efficacia può, tuttavia, risultare limitata. In molti casi invece, in modo complementare ai farmaci, può essere utilizzata la terapia della bambola che agisce sulla sfera affettiva e relazionale della persona stimolando reazioni di accudimento nei confronti della bambola terapeutica “Gully”, riconosciuta come presidio medico dal Ministero della Salute. Si tratta di una terapia individuale che accompagna la persona nella sua quotidianità e ne valida la realtà; essa si basa su una metodologia rigorosa che, partendo da un’analisi attenta della storia di vita della persona, dei suoi interessi e delle sue inclinazioni, ne in-
terpreta i bisogni affettivi ed emozionali senza infantilizzarla o farla regredire. È un approccio terapeutico molto flessibile che può essere proposto a tutti, uomini e donne, e in contesti molteplici». L’Associazione Insieme A Te Onlus, da sempre attenta all’utilizzo dei più promettenti approcci di cura anche non farmacologici, ha da poco avviato un progetto di sostegno alla domiciliarità che prevede proprio la somministrazione della terapia della bambola direttamente al domicilio della persona. «Il progetto nasce dalla collaborazione con il centro Studi e Ricerche Innovative Elder Research di cui il presidente è Ivo Cilesi, psicopedagogista ideatore della terapia della bambola e del metodo terapeutico di riferimento. È un progetto ambizioso e unico nel suo genere: a oggi la terapia della bambola è utilizzata per lo più in contesti di cura come Rsa, centri diurni e case di cura, non a domicilio» conclude Nicoletta Ghilardi, presidente dell’Associazione Insieme A Te Onlus. Marzo/Aprile 2019 | Bergamo Salute | 93
REALTÀ SALUTE
Lo psicologo? Arriva direttamente a casa Un servizio di assistenza psicologica, direttamente a casa della persona, utile in tutti i casi in cui, per le ragioni più varie, si sia impossibilitati a spostarsi. È quello offerto anche sul territorio dalle sedi PrivatAssistenza di Seriate e di Nembro, il primo network italiano per l’erogazione di servizi socio-sanitari di assistenza domiciliare. Ma in cosa consiste? E chi può richiederlo? «Innanzitutto chiariamo chi è lo psicologo e che cosa fa. Secondo la legge 56/89, “la professione di Psicologo comprende l’uso degli strumenti conoscitivi e d’intervento per la prevenzione, la diagnosi, il sostegno psicologico, l’abilitazione e la riabilitazione, rivolti alle persone, al gruppo, agli organismi sociali e alle comunità. Comprende altresì le attività di sperimentazione, ricerca e didattica in tale ambito» osserva la psicologa Martina Di Mattia.
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Ma in quali casi può servire un intervento psicologico?
Ad esempio quando le persone riscontrano difficoltà di natura psicologica o di adattamento; vogliono migliorare il proprio rapporto con gli altri; comunicare meglio o semplicemente comprendere se stessi, gli altri e/o il proprio contesto familiare, sociale, lavorativo o scolastico. Può svolgere anche attività di prevenzione e di sensibilizzazione riguardanti problematiche psicologiche in differenti ambiti, insegnare o praticare attività di consulenza in diversi settori delle attività umane e lavorative. Quando, invece, può essere utile un servizio psicologico a domicilio? L’area dell’intervento domiciliare interessa diversi target e può essere declinata in molte versioni: in funzione della committenza, degli obiettivi dell’intervento e del contesto culturale. Può essere utile, ad esempio, nel caso in cui la persona sia allettata e quindi impossibilitata a muoversi, non sia pienamente
autonoma e necessiti della presenza di un accompagnatore oppure quando il disagio psicologico compromette la gestione delle normali attività della vita quotidiana. Possono esserci anche ragioni personali, quali una difficoltà a organizzare i tempi e spostamenti oppure più semplicemente una preferenza per questo tipo di intervento. Inoltre, è indicato in quelle situazioni in cui è necessario avere una chiara e completa visione dei comportamenti della persona all’interno del proprio ambiente domestico. Il servizio di psicologia domiciliare, in particolare, poi si rivolge a pazienti oncologici, terminali e ai loro familiari; pazienti in situazioni mediche post-acuzie (incidenti, operazioni e post dimissioni ospedaliere) e ai loro familiari; anziani affetti da demenza e ai loro familiari; soggetti con disabilità psichica e/o fisica; minori (diagnosticati e non) con diverse tipologie di problematiche inerenti a modalità relazionali disfunzionali. Altre situazioni difficili che possono richiedere l’intervento di uno psicologo a domicilio sono lutti con forti sentimenti depressivi; gravidanze a rischio e post-partum; condizioni di ansia grave; pazienti psichiatrici con patologie caratterizzate da chiusura e isolamento; persone agli arresti domiciliari.
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La Trottola: un centro per l’età evolutiva nel cuore di Verdellino
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Si chiama “La Trottola” ed è un nuovo centro per l’età evolutiva, nato poco meno di un anno fa come risposta concreta alle esigenze delle famiglie alle prese con problematiche legate all’età dello sviluppo. Il centro, la cui forza è il lavoro in team e in mini-equipe, in particolare, si occupa della diagnosi e del trattamento dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento (Dsa), offre consulenza psicologica alle famiglie, propone percorsi di sostegno alla genitorialità anche attraverso gruppi di Parent Training per i genitori di bambini con Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività (ADHD) ed è specializzato nel recupero e nel potenziamento delle abilità scolastiche. Conosciamolo meglio insieme a Marianna Ravazzini, grafologa professionista specializzata in grafia dell’età evolutiva ed educatore al gesto grafico (ai sensi della L. 4/2013). Perché decidere di aprire un centro per l’età evolutiva? Nello svolgimento della nostra professione ci siamo resi conto che l’unico modo per garantire ai bambini e alle loro famiglie un servizio di qualità era quello di integrare le competenze di diverse figure, per ottenere una visione completa e un intervento il più possibile mirato. Abbiamo cercato di creare quindi un team completo ed equilibrato, con competenze specifiche e complementari, in grado di offrire una presa in carico tempestiva e globale.
Chi sono i professionisti della Trottola? L’équipe si compone di due logopediste, che hanno conseguito specializzazioni diverse per il trattamento di adulti e bambini, una psicoterapeuta infantile, una grafologa educatrice al gesto grafico, un neuro psicomotricista e una dietista-nutrizionista. Quali sono le principali motivazioni per cui i genitori si rivolgono a voi? Nella nostra società liquida la definizione dei ruoli, le modalità di trasmissione delle regole e le manifestazioni di affetto hanno subito una rivoluzione pressoché totale. Per questa ragione, spesso, le famiglie si rivolgono a noi. A volte bastano semplici indicazioni operative, altre volte è necessario un intervento più strutturato. È inoltre cambiato l’atteggiamento verso il bambino, non più trattato come un piccolo adulto. Oggi sono aumentati gli strumenti diagnostici, abbiamo una grande disponibilità di studi scientifici a cui possiamo attingere: grazie a questi strumenti possiamo individuare in modo puntuale le difficoltà che ostacolano la vita scolastica del piccolo alunno. Quando è necessario intervenire? Premettendo che ogni bambino ha il diritto di sviluppare le proprie competenze con i suoi tempi, ci sono segnali che potrebbero indicare alcune difficoltà. Ad esempio quando si fa fatica a imparare a memoria una filastrocca, quando
si manifesta una significativa goffaggine nel vestirsi e allacciarsi le scarpe; quando fare i compiti da soli crea uno stato di panico e agitazione, quando si fa fatica a calcolare a mente anche minime quantità. Prima di attivare l’iter diagnostico è consigliabile sempre intraprendere un percorso di potenziamento per verificare che non si tratti di semplici lacune.
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Bergamo Salute anno 9 | n° 49 Marzo | Aprile 2019 Direttore Responsabile Elena Buonanno Redazione Rosa Lancia redazione@bgsalute.it Grafica e impaginazione Gabriele Rota gabriele.rota@marketingkm0.it Fotografie e illustrazioni Shutterstock, Adriano Merigo, Giovanni Diffidenti, Marco Badilini Stampa Elcograf S.p.A Via Mondadori, 15 - 37131 Verona (VR) Casa Editrice Marketing km Zero Srls Via G. Zanchi, 22 – 24126 Bergamo Tel. 035.0514318 - info@marketingkm0.it Pubblicità Luciano Bericchia Tel. 035.0514601- info@bgsalute.it Hanno collaborato Lucio Buonanno, Maria Castellano, Rita Compostella, Viola Compostella, Francesca Guerini Rocco, Lella Fonseca, Giulia Sammarco
COMITATO SCIENTIFICO • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • •
Dott. Diego Bonfanti - Oculista Dott.ssa Maria Viviana Bonfanti Medico Veterinario Dott. Rolando Brembilla - Ginecologo Dott.ssa Alba Maria Isabella Campione Medicina Legale e delle Assicurazioni Dott. Andrea Cazzaniga Idrologo Medico e Termale Dott. Marcello Cottini - Allergologo Pneumologo Dott. Giovanni Danesi - Otorinolaringoiatra Dott. Adolfo Di Nardo - Chirurgo generale Dott. Nicola Gaffuri - Gastroenterologo Dott.ssa Daniela Gianola - Endocrinologa Dott. Antoine Kheir - Cardiologo Dott.ssa Grazia Manfredi - Dermatologa Dott. Roberto Orlandi Ortopedico Medico dello sport Dott. Paolo Paganelli - Biologo nutrizionista Dott. Antonello Quadri - Oncologo Dott.ssa Veronica Salvi - Ostetrica Dott. Orazio Santonocito - Neurochirurgo Dott.ssa Mara Seiti - Psicologa - Psicoterapeuta Dott. Sergio Stabilini - Odontoiatra Dott. Giovanni Taveggia Medicina Fisica e Riabilitazione Dott. Massimo Tura - Urologo Dott. Paolo Valli - Fisioterapista
COMITATO ETICO • •
Dott. Ernesto de Amici Presidente dell’Ordine dei Farmacisti di Bergamo Gianluca Solitro - Presidente OPI
Iscr. Tribunale Bergamo N°26/2010 del 22/10/2010 Iscr. ROC N°26993. Tutti i diritti sono riservati. È vietata la riproduzione, anche se parziale, di qualsiasi testo o immagine. L’editore si dichiara disponibile per chi dovesse rivendicare eventuali diritti fotografici non dichiarati. I contenuti presenti su Bergamo Salute hanno scopo divulgativo e non possono in alcun modo sostituirsi a diagnosi mediche.
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