Bergamo Salute - 2019 - 52 - settembre/ottobre

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numero

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Anno 9 Settembre | Ottobre 2019

www.bgsalute.it Poste Italiane spa Sped. in Abb. Postale DL 353/2003 (Conv. in legge 27/02/2004 N.46) Art. 1 comma 1 LO/BG

3 0 MI L A

COPIE

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Cefalea di rimbalzo COS’È E COME AFFRONTARLA

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BergamoScienza XVII EDIZIONE

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Dieta CINQUE PASSI PER UN NUOVO STILE DI VITA

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Spinning PER RITROVARE LA FORMA A RITMO DI MUSICA

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Paolo Ruffini

Altro che disabilità! Con i miei attori Down ho scoperto la felicità Settembre/Ottobre 2019 | Bergamo Salute | 1


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numero

52

Anno 9 Settembre | Ottobre 2019

www.bgsalute.it

) EDITORIALE 7 Sindrome da rientro: previenila così ) SPECIALITÀ A-Z 8 Ematologia Emofilia: nuove speranze dalla terapia genica 10 Gastroenterologia Morbo di Crohn, come riconoscerlo e curarlo 12 Neurologia Cefalea di rimbalzo: cos’è e come affrontarla ) PERSONAGGIO 14 Paolo Ruffini Altro che disabilità! Con i miei attori Down ho scoperto la felicità ) ATTUALITÀ 16 XVII Edizione di BergamoScienza ) IN SALUTE 18 Stili di vita Ikigai, per imparare a vivere meglio e più a lungo 20 Alimentazione Cinque passi per un nuovo stile di vita 22 Uva: sette motivi per mangiarla ) IN ARMONIA 24 Psicologia Emdr: superare traumi o lutti con il movimento degli occhi 26 Coppia Gelosia o ossessione?

) IN FAMIGLIA 28 Dolce attesa L’età ovarica non è quella della carta d’identità 30 Bambini Passaggio da un ciclo scolastico all’altro: come aiutare i figli a superare le paure 34 Ragazzi Moda e-cig. Altroconsumo chiede intervento Antitrust ) IN FORMA 36 Fitness Spinning, per ritrovare la forma a ritmo di musica 38 Bellezza Extensions ciglia, uno sguardo da star… senza rischi ) RICETTA 40 Verdure scottate con crema di cannellini ) RUBRICHE 48 Altre terapie Artrite alle mani? Esercizi e terapia occupazionale per migliorare la vita quotidiana 50 Guida esami Risonanza Magnetica Multiparametrica e tumore alla prostata 52 Animali Animali da compagnia e vaccinazioni. Istruzioni per l’uso

) DAL TERRITORIO 58 News 60 Onlus Associazione Aiuto Donna uscire dalla violenza 62 Farmacie Malattie croniche. La farmacia in rete per una gestione migliore e più efficiente 65 Malattie rare Poliartrite nodosa 66 Testimonianza Quaranta figli mi hanno ridato la vita ) STRUTTURE 68 Rsa Bramante ) PROFESSIONI SANITARIE 70 Il tecnico della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro ) REALTÀ SALUTE 73 Associazione InsiemeAte Onlus 74 Farmacia San Nicolò 77 9 Coop Centro Infermieristico Polispecialistico 79 Clinica Dentale Pianeta Sorriso 81 Centro medico MR Allegato centrale: Amici di Bergamo Salute

PARTECIPANTI ALLA FONDAZIONE ITALIANA PER L’EDUCAZIONE ALIMENTARE

) ATS INFORMA 56 Scabbia: conoscerla per prevenirla

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EDITORIALE

Sindrome da rientro: previenila così Molti di voi, leggendo il titolo dell’editoriale di questo numero, avranno pensato “ma non avranno sbagliato? Ormai è settembre e la sindrome da rientro o la si è già affrontata (per chi ha fatto le vacanze ad agosto) o la si sta affrontando (per chi è stato in ferie a settembre), in ogni caso è tardi per prevenirla”. Invece non ci siamo sbagliati. Già, perché, secondo gli esperti, il vero nodo della questione non è essere tristi di rientrare, ma essere tristi di tornare alla routine, che non è esattamente la stessa cosa. Un po’ di tristezza e malinconia per il relax e divertimento vacanziero è del tutto normale: in vacanza possiamo fare ciò che più ci piace lasciandoci alle spalle orari, impegni e scadenze, dedicarci a hobby e a passatempi che amiamo. E, una volta tornati

alla vita normale, rientrare nei soliti ritmi può non essere facilissimo, anche da un punto di vista fisiologico oltre che psicologico. Se però la cosiddetta “sindrome da rientro”, che si manifesta con difficoltà di concentrazione, mal di testa, stanchezza, perdita di entusiasmo e irritabilità, non passa dopo una settimana-dieci giorni potrebbe esserci qualcosa di più profondo, forse un’insoddisfazione nei confronti della nostra vita di tutti i giorni. In altre parole, se si parte insoddisfatti, inevitabilmente si ritorna altrettanto insoddisfatti. Ecco allora che entra in gioco il concetto di prevenzione. Come? Approfittando dell’inizio di questo nuovo anno lavorativo per chiedersi cosa sia davvero importante per noi, cosa ci rende felici, se le priorità che abbiamo dato nella nostra vita sono

davvero quelle che vogliamo, se quella che stiamo seguendo è davvero la strada per essere felici o almeno soddisfatti ed eventualmente, se così non fosse, cercare di cambiare rotta. Certo sarebbe proprio un buon proposito per l’anno nuovo, anche se non è facile. Per questo nella rubrica “Stili di vita” abbiamo provato a darvi qualche consiglio, che viene dalla filosofia orientale. E in tema di buoni propositi, non poteva mancare quello di “mettersi a dieta”. Nella rubrica “alimentazione” vi parliamo di un metodo efficace per dimagrire ma soprattutto imparare un nuovo stile di vita anche a tavola. Non ci resta che augurarvi buona lettura e buon rientro!

Adriano Merigo Settembre/Ottobre 2019 | Bergamo Salute | 7


SPECIALITÀ A-Z

EMATOLOGIA

Emofilia nuove speranze dalla terapia genica ∞  A CURA DI ANNA FALANGA

L’emofilia è una malattia genetica rara, caratterizzata da un difetto di alcuni fattori della coagulazione del sangue. In condizioni normali, la coagulazione del sangue è un processo che blocca o limita l’emorragia in caso di traumi dei vasi sanguigni. Grazie all’attivazione di numerose proteine del sangue, in una sorta di reazione a catena, nel vaso sanguigno si forma un vero e proprio “tappo”. Nelle persone affette da emofilia, due di queste proteine, il fattore VIII (emofilia A) o il fattore IX (emofilia B), sono carenti, oppure presentano un difetto di funzionamento. La conseguenza è che in caso di traumi, anche piccoli, i pazienti con emofilia hanno un elevato rischio di emorragia. L’incidenza della malattia è di 1 caso ogni 5.000 nati per l’emofilia A, il tipo più diffuso. Si registra 1 caso ogni 30.000 per l’emofilia B.

IL SINTOMO PRINCIPALE? RISCHIO EMORRAGIE ANCHE PER PICCOLI TRAUMI La malattia si manifesta quasi esclusivamente nei soggetti di sesso maschile, mentre le donne sono definite portatrici sane della malattia. Le manifestazioni cliniche sono simili nell’emofilia A e B. La gravità della

DOTT.SSA ANNA FALANGA Direttore del Dipartimento interaziendale Medicina Trasfusionale ed Ematologia della provincia di Bergamo (DMTE) e del Servizio di Immunoematologia e Medicina Trasfusionale (SIMT) ASST Papa Giovanni XXIII

malattia è legata al grado di carenza di attività del fattore coagulante: se il valore è minore dell’1% si parla di emofilia grave, se l’attività è compresa tra l’1 e il 5% si parla di emofilia moderata, se è compresa tra il 5 e il 40% si parla di emofilia lieve. Le manifestazioni dell’emofilia grave si osservano dalla prima infanzia. La principale è rappresentata dagli emartri, cioè versamenti articolari che si formano in seguito allo stravaso di sangue all’interno delle articolazioni, spontaneamente o per piccoli traumatismi. Altri sintomi sono gli ematomi muscolari e più raramente ematuria (sangue nelle urine), emorragie gastrointestinali, rinofaringee e cerebrali. Nei pazienti con emofilia moderata le manifestazioni emorragiche sono più rare e si verificano in seguito a piccoli traumi. Nei pazienti con emofilia lieve invece si verificano solo in occasione di traumi gravi o interventi chirurgici.

UN’ANOMALIA EREDITARIA Nella maggioranza dei casi la malattia è ereditaria. Le persone affette hanno tipicamente una storia familiare positiva per la malattia nei membri della famiglia di sesso maschile. Più raramente le anomalie

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a carico del gene del fattore VIII o del fattore IX si possono verificare in maniera “sporadica”. In questo caso la persona affetta rappresenta il primo caso di portatore (sano o malato, a seconda del sesso) della malattia in quella famiglia. La diagnosi si basa sull’anamnesi familiare

UN MALE “REGALE” Molti dei discendenti della regina Vittoria d’Inghilterra (1819-1901) erano affetti da emofilia. Diversi discendenti maschi della monarca britannica morirono prematuramente a causa di emorragie improvvise, spesso provocate da incidenti banali come una semplice caduta per terra, prima il figlio Leopold, poi i nipoti Friedrich, Leopold e Maurice. La consuetudine dei matrimoni tra discendenti di diverse stirpi ha poi fatto sì che la malattia si diffondesse anche nelle case regnanti europee di Germania, Spagna e Russia.


PADRE AFFETTO

FIGLI SANI

MADRE SANA

FIGLIE PORTATRICI

PADRE SANO

FIGLI (50%)

MADRE PORTATRICE

FIGLIE (50%)

Emofilia B

mancanza fattore IX

Emofilia A (80%)

mancanza fattore VIII Cromosoma X

e la storia clinica del paziente e viene confermata da test di laboratorio: test della coagulazione “aPTT” (tempo di tromboplastina parziale attivata) e dosaggio dell’attività del fattore VIII o IX.

TERAPIE TEMPESTIVE, PROFILASSI E NUOVI FARMACI PER UNA QUALITÀ DI VITA SEMPRE MIGLIORE Per quanto riguarda l’emofilia A grave, la cura si basa sulla somministrazione di concentrati di fattore VIII: in profilassi (a giorni alterni o tre volte alla settimana), oppure al bisogno, in occasione di un evento emorragico o in preparazione a interventi chirurgici. La profilassi

primaria si inizia entro i primi tre anni di vita, prima che si sviluppi l’emartro. Quando la profilassi viene iniziata dopo 1-2 episodi di versamento articolare, ma prima che si sviluppi il danno all’articolazione, è detta secondaria. È terziaria quando viene iniziata quando già presente il danno, un evento fortunatamente ormai poco frequente. Il trattamento è analogo nell’emofilia B, che si basa sulla somministrazione di concentrati di fattore IX. Per i pazienti con emofilia lieve o moderata è sufficiente un trattamento al bisogno. La profilassi ha radicalmente modificato la storia naturale della malattia, consentendo di prevenire le gravi alterazioni

dell’apparato muscolo-scheletrico, principale causa di morbilità e invalidità nel paziente emofilico adulto e causa di notevole compromissione della qualità della vita. Per migliorare ulteriormente la qualità di vita dei pazienti, sono stati sviluppati e da poco messi in commercio farmaci “a emivita prolungata”, con lo scopo di fornire una protezione prolungata dalle emorragie, riducendo la frequenza delle infusioni. Per il futuro ci si potrà avvalere della cosiddetta “terapia genica”, cioè la sostituzione del gene malato con un gene sano. Gli studi sono in fase avanzata per l’emofilia A, mentre sono più problematici per l’emofilia B.

La gestione delle complicanze La principale complicanza è rappresentata dallo sviluppo di anticorpi “inibitori” diretti contro il fattore VIII o IX infuso a scopo terapeutico, con un meccanismo basato sul mancato riconoscimento da parte dell’organismo di tali proteine e con il conseguente sviluppo di una risposta immunitaria contro di esse. La presenza di inibitori rende inefficace la terapia sostitutiva con i concentrati di fattore VIII o IX esponendo i pazienti a un rischio aumentato di sanguinamento. Questa evenienza avviene nel 30% circa dei pazienti affetti da emofilia A grave, mentre è raro nell’emofilia A lieve/moderata e nell’emofilia B. Il trattamento consiste nell’utilizzo di “agenti bypassanti” ossia fattori della coagulazione che agiscono a valle del fattore VIII nella cascata coagulativa, come il fattore VII ricombinante o i concentrati di complesso protrombinico attivato. Sono inoltre in fase di studio nuovi promettenti farmaci biologici, anticorpi monoclonali in grado di promuovere o inibire i meccanismi rispettivamente della coagulazione o dell’anticoagulazione.

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SPECIALITÀ A-Z

GASTROENTEROLOGIA

Morbo di Crohn come riconoscerlo e curarlo ∞  A CURA DI SERGIO SIGNORELLI

Dolori addominali e crampi, diarrea prolungata, perdita di peso, febbricola, fatica sono i sintomi più comuni del morbo di Crohn, patologia caratterizzata da un’infiammazione cronica del tratto gastrointestinale. In Italia sono circa 70mila le persone che ci convivono, con un’età di insorgenza tra i 20 e i 30 anni. Poiché i sintomi sono comuni ad altre patologie, può accadere che non sia diagnosticata immediatamente. Raramente la terapia porta alla

DOTT. SERGIO SIGNORELLI Specialista in Gastroenterologia ed Endoscopia digestiva, Medicina Interna Presso Politerapica Seriate

guarigione, tuttavia, se la malattia viene riconosciuta tempestivamente e trattata in modo corretto e personalizzato sulla base della gravità e dei fattori di rischio personali, la maggior parte dei pazienti riesce a condurre una vita normale. Per questo l’informazione sulla malattia è il primo passo per combatterla.

UN’INFIAMMAZIONE CRONICA CON FASI DI REMISSIONE E RIACUTIZZAZIONE

L’ileite terminale o Morbo di Crohn è una patologia infiammatoria cronica, di origine autoimmune, in cui il sistema immunitario dell’organismo aggredisce il tratto gastrointestinale. Descritta per la prima volta nel 1932 da Crohn, medico gastroenterologo statunitense, può colpire qualsiasi parte del tratto, dalla bocca all’ano, con anche possibili manifestazioni extraintestinali. La localizzazione più frequente della malattia è nell’ileo terminale (piccolo intestino o tenue) e colon


ascendente (o colon destro) ed esordisce con infiammazione con ulcere, ascessi e fistole della mucosa intestinale. Se non curate, le fistole possono penetrare negli organi vicini (vescica, anse intestinali, cute etc.). L’infiammazione è caratterizzata da fasi di remissioni e riacutizzazioni intermittenti. È utile ricordare che il fumo, anche passivo, è un importante fattore di rischio per la riacutizzazione della patologia.

DOLORE ADDOMINALE, FEBBRE E PERDITA DI PESO TRA I SINTOMI PIÙ COMUNI Le manifestazioni più frequenti della malattia sono: dolore addominale, febbre, perdita di peso, diarrea cronica moderata e solo raramente ematica (cioè con sangue), anemia. L’addome è dolente e talvolta si riscontra alla palpazione una massa addominale, più frequentemente al fianco destro. Nel 33% dei pazienti si possono riscontrare una malattia perianale, ragadi e fistole. Tra i sintomi extraintestinali, ci sono in particolare l’artrite e la colangite sclerosante (malattia caratterizzata dall’infiammazione e dalla distruzione dei dotti biliari che causano colestasi, fibrosi e cirrosi epatica fino all’insufficienza epatica).

L’IMPORTANZA DI AFFIDARSI A SPECIALISTI ESPERTI PER UNA DIAGNOSI TEMPESTIVA Come accennato, i sintomi tipici della patologia sono comuni anche ad altre malattie intestinali, soprattutto alla colite ulcerosa con la quale il morbo di Crohn deve entrare in diagnosi differenziale. I normali esami di laboratorio non dimostrano alterazioni tipiche, però ci possono essere una VES e PCR (proteina C-reattiva) elevate,

anemia, leucocitosi (aumento dei globuli bianchi), la diminuzione delle proteine e del ferro a causa del malassorbimento, il sangue occulto positivo. La presenza di Asca (anticorpi anti Saccharomyces cerevisiae) è considerata uno dei marker più specifici nel morbo di Crohn (60% dei casi). Per quanto riguarda gli esami strumentali, sono utili l’eco addominale, Rx transito del tenue, o le più recenti tecniche di enteroTC (TAC) o enteroRM (risonanza magnetica) che possono evidenziare le caratteristiche stenosi o fistole in tipici distretti intestinali. Essenziale per la diagnosi è però l’ileocolonscopia con relative biopsie intestinali, esame che serve a valutare lo stato della mucosa intestinale e la presenza di aspetti tipici dell’infiammazione cronica. È importante comunque sottolineare che la diagnosi, e la conseguente terapia, devono essere effettuate da specialisti gastroenterologi particolarmente esperti in questo tipo di malattia.

Con un’adeguata terapia medica e talvolta chirurgica, la maggior parte dei pazienti risponde positivamente con controllo dei sintomi” TERAPIE DIVERSE E “SU MISURA” A SECONDA DELLA GRAVITÀ E DELLA PERSONA La terapia varia a seconda del livello di gravità con cui la malattia può presentarsi e ha come obiettivo spegnere l’infiammazione intestinale.

Nei casi di patologia lieve-moderata, il trattamento prevede: > la mesalazina, che agisce con un’azione anti-infiammatoria direttamente sulla mucosa intestinale durante il transito intestinale (è comunemente utilizzata soprattutto nel Crohn a localizzazione retto-colica); > gli antibiotici intestinali, considerati farmaci di prima linea, soprattutto nel caso di febbre e fenomeni infettivi. A supporto dei farmaci, possono anche essere utilizzati i probiotici, che aiutano a equilibrare la flora batterica, il cui utilizzo però deve essere ancora definito in modo chiaro. Nelle forme moderate-gravi, invece, le opzioni terapeutiche comprendono: > i corticosteroidi (prednisone o budesonide), che hanno una forte azione anti-infiammatoria, modulano la risposta immunitaria e possono dare anche un rapido sollievo; > l’azatioprina, che agisce come immunosoppressore (inibendo la reazione immunutaria) e antimetabolita (interferendo nel meccanismo di formazione o di utilizzazione di un normale metabolita cellulare); > i farmaci biologici e in particolare gli anticorpi antiTNF (come l’infliximab), il natalizumab e gli anticorpi antiIL, che bloccano selettivamente una delle molecole principali responsabili dell’infiammazione con un ruolo chiave nella normale regolazione del sistema immunitario. La chirurgia, in passato considerata terapia d’elezione, oggi è utilizzata solo in corso di complicanze non controllabili con la terapia medica.

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SPECIALITÀ A-Z

NEUROLOGIA

Cefalea di rimbalzo cos’è e come affrontarla ∞  A CURA DI DANIELE BOSONE

Si stima che in Italia la prevalenza di emicrania sia pari a circa il 25 %, con un rapporto donna uomo pari a 3 a 1. L’emicrania si distingue in “episodica” quando gli attacchi si presentano fino a 14 giorni al mese e “cronica” quando gli attacchi superano i 15 giorni al mese per almeno tre mesi. Si stima che il 2% della popolazione italiana sia affetta da cefalea cronicizzata. I costi sociali ed economici della cefalea sono quindi enormi. Uno studio del 2018 condotto dall’Istituto Superiore di Sanità evidenzia che il costo totale dell’emicrania in Italia ammonti a circa 20 miliardi di euro all’anno di cui il 93% correlato a costi indiretti quali la ridotta produttività. Peraltro solo l’1,6% della popolazione riceve adeguate cure preventive a causa di un’inadeguata sensibilizzazione verso il proble-

ma. È in questo scenario che si colloca la cosiddetta “cefalea di rimbalzo”, mal di testa legato all’abuso di farmaci antidolorifici, spesso assunti con il “fai da te” e senza controllo medico.

con le complicanze psicologiche e internistiche correlate. Alcuni studi hanno dimostrato che l’uso di antidolorifici per più di due volte a settimana può portare alla cefalea di rimbalzo.

FARMACI E DOLORE: QUANDO IL CIRCOLO DIVENTA VIZIOSO Per cefalea di rimbalzo si intende il “mal di testa” correlato a un eccessivo consumo di farmaci analgesici, comunemente utilizzati nel trattamento dei sintomi dell’emicrania. In circa il 4% dei pazienti emicranici si può creare un loop fra assunzione eccessiva di analgesici e un peggioramento della frequenza e della intensità delle crisi, contribuendo di fatto alla cronicizzazione del disturbo e a un crescente “bisogno” di analgesici, creando una vera e propria sindrome da “abuso” di farmaci

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DOTT. DANIELE BOSONE Specialista in Neurologia e Igiene Istituto Clinico Quarenghi San Pellegrino Terme


IL RISCHIO? SI CORRE CON TUTTI GLI ANALGESICI Non è chiaro quale sia il meccanismo con cui il farmaco assunto per alleviare il dolore interagisca con la biologia del paziente e se vi siano dei fattori “predisponenti”. Quello che si è visto è che tutti i farmaci analgesici possono essere causa di cefalea di rimbalzo se assunti con regolarità e frequentemente, ovvero con uso per più di 15 giorni al mese: analgesici semplici “da banco” come acido

acetilsalicilico (aspirina), paracetamolo, e i farmaci antinfiammatori non steroidei (Fans), di cui forse il più usato è l’ibuprofene. Rimbalzo ci può essere anche con farmaci più specifici quali gli ergotaminici, i triptani e gli oppioidi (con uso per più di 10 giorni al mese). La letteratura evidenzia inoltre una maggior frequenza di cefalea di rimbalzo nei consumatori di analgesici misti (cioè quelli che nel foglietto illustrativo contengono diverse sostanze).

L’IMPORTANZA DI UNA CURA MULTIDISCIPLINARE

I SINTOMI Sono gli stessi di altre forme di emicrania ma possono variare per intensità e durata. In particolare la cefalea di rimbalzo può essere sospettata quando l’assunzione degli analgesici si accompagna a un aumento della frequenza degli attacchi fino a arrivare alla cronicizzazione. Ricordiamo che i sintomi dell’emicrania non sono solo il dolore compressivo o pulsante frontale, laterale od occipitale ma anche nausea, vomito, vertigini, fastidio per la luce e i suoni. Nelle cefalee di rimbalzo in molti casi si associano anche ansia, irritabilità, depressione, disturbi del sonno e difficoltà a concentrarsi.

Il trattamento della cefalea di rimbalzo deve essere eseguito presso Centri Cefalea che possono garantire un approccio multidisciplinare. Consiste innanzitutto nella sospensione dell’assunzione di tutti i farmaci analgesici. In caso di dipendenza vera e propria, gli effetti organici provocati dalla sospensione dei diversi tipi di analgesici devono essere attentamente monitorati dal neurologo curante esperto in cefalee eventualmente in team con altri medici specialisti. Bisogna sempre considerare anche eventuali altre dipendenze (alcool, stupefacenti, tabagismo). Fondamentale è la valutazione del profilo di personalità e dello “stato” psicologico del paziente cercando di correggere con terapia cognitivo-comportamentale gli aspetti più preoccupanti. Nei casi più complessi quando ci sono co-morbidità o quando la disintossicazione da farmaci deve essere attentamente monitorata è indicato il ricovero ospedaliero in ambito riabilitativo con piano individuale e un programma riabilitativo personalizzato che prevede

sospensione del farmaco, monitoraggio degli effetti, introduzione di adeguata terapia di profilassi, colloqui psicologici, interventi educazionali, correzione delle abitudini alimentari, trattamento fisico o massaggi terapeutici, tecniche di rilassamento e biofeedback. Le figure previste nell’equipe possono essere, oltre al neurologo esperto in cefalee, il medico internista, lo psicologo, il fisioterapista, il dietista, l’educatore professionale. È sempre importante valutare anche il contesto sociale e familiare del paziente, allargando l’educazione a un corretto stile di vita anche ai familiari. Sono infatti molto frequenti le “ricadute” una volta rientrati nel contesto quotidiano.

LA PREVENZIONE: NON SOTTOVALUTARE ED EVITARE IL “FAI DA TE” Il primo consiglio è non sottovalutare i sintomi e consultare un neurologo esperto in cefalee quando le crisi emicraniche non sono occasionali ma si presentano regolarmente, per impostare un’adeguata terapia di profilassi ed evitare l’assunzione di analgesici fuori controllo medico. Il medico fornirà inoltre un diario cartaceo o elettronico con cui monitorare l’andamento delle crisi e del consumo di analgesici e intervenire tempestivamente. È opportuno condurre uno stile di vita regolare evitando, ove possibile, le situazioni stressanti, ridurre il consumo di alcol e il fumo, adottare una dieta equilibrata e praticare un regolare allenamento fisico di resistenza (nordic walking, nuoto, podismo, ciclismo).

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PERSONAGGIO

PAOLO RUFFINI

Altro che disabilità! Con i miei attori Down ho scoperto la felicità Paolo Ruffini spiega il suo spettacolo “UP&DOWN” in scena a BergamoScienza ∞  A CURA DI LUCIO BUONANNO Ph: Chiara Calabrò

Il suo spettacolo “Up&Down” porta sulla scena cinque attori con sindrome di Down, uno affetto da autismo e uno in carrozzina. Insieme realizzano uno strepitoso varietà, scorretto e irriverente che spezza i pregiudizi del pubblico riuscendo a emozionare, divertire e commuovere. È in programma, per Bergamo Scienza, al Creberg Teatro il 20 ottobre alle 21. Lui è Paolo Ruffini, 41 anni, attore, regista, scrittore, volto di “Colorado” e di tanti film tra cui “Ovosodo” e vari cinepanettoni. Gli artisti disabili fanno parte della Compagnia Mayor Von Frinzius, livornesi come lui. Un happening comico, disobbediente, in cui attraverso il filtro dell’ironia si indaga sul significato di abilità e disabilità riferito soprattutto alla felicità. “Up&Down”, già portato in 42 teatri italiani sempre con il tutto esaurito, è diventato

anche un docufilm (premiato alla 75a Mostra cinematografica di Venezia e ai Nastri d’Argento) e un libro (“La sindrome di Up” edito da Mondadori). «Quello che ho vissuto con i ragazzi della Compagnia Mayor Von Frinzius dal tour teatrale al film per me è stato un lungo viaggio che mi ha portato verso la felicità. E per questa ragione ho sentito il bisogno di raccontarlo nero su bianco, soprattutto per condividere quello che i miei compagni di avventura mi hanno insegnato» racconta Ruffini. «Ho imparato che la vita è fatta di up e down. Siamo tutti up quando le cose vanno bene, ma diventiamo down quando invece siamo in crisi. Essere Up è la condizione che caratterizza maggiormente le persone che hanno la sindrome di Down. Per loro è più facile essere felici. Hanno una

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fiducia, una confidenza con la felicità che a me spesso manca. Forse perché per un’anomalia genetica hanno scoperto tesori inestimabili: l’affettività, la risata contagiosa, la predisposizione al sorriso, il piacere di stare insieme, la meraviglia per le piccole cose. A loro basta a volte un grande abbraccio, come quello che alla fine dello spettacolo attori e spettatori si scambiano con un gesto rivoluzionario». La compagnia Mayor Von Frinzius è nata nel 1997 ed è diretta da Lamberto Giannini che è anche il regista dello spettacolo. È composta da 97 attori, metà dei quali sono persone con disabilità. Secondo la loro filosofia chiunque possieda un corpo e un’emotività ha delle possibilità attoriali, senza differenze di sorta. E così, combinando questo approccio all’esperienza teatrale di Paolo è nato UP&Down.


«Abilità e disabilità. Ne parliamo riferendoci alla condizione genetica» continua Ruffini. «Io invece ho scoperto una chiave di lettura diversa prendendo in considerazione l’abilità e la disabilità ad accedere alla bellezza che ci circonda nelle piccole cose di ogni giorno. Forse in quel cromosoma in più c’è una abilità aggiuntiva, quella di saper cogliere la felicità. Nel mio libro sostengo che i ragazzi con la sindrome di Down sono diventati i miei supereroi perché hanno il potere inconsapevole non solo di compiere l’impossibile ma anche di insegnarti a fare altrettanto. E anche i gesti diventano importanti come un abbraccio. Abbracciarsi è più urgente di tutto il resto. Allora mi domando se sia più normale abbracciarsi oppure passare ore a smanettare con il telefonino o misurare l’amicizia dal numero di like sui social. Lavorando con loro in teatro e per il film mi hanno aperto nuovi orizzonti. Ho capito che la vera felicità la puoi trovare dappertutto nella diversità, nella normalità, persino nel dolore».

Lo spettacolo racconta la bellezza che risiede nella “diversità”, che è l’unica cosa che accomuna proprio tutti” l’amore. È stato il suo vero trampolino di lancio, anche se la sua biografia è lunga e ricca. Esordisce nel mondo dello spettacolo partecipando a spot pubblicitari e al film “Ovosodo” di Paolo Virzì nel quale interpreta il ruolo di un antipatico compagno di classe del protagonista. Per diversi anni lavora come animatore in numerosi villaggi vacanze. Appassionato di cinema fonda l’Associazione cinematografica “Nido del Cuculo” con la quale organizza eventi, festival,

realizza documentari, spettacoli teatrali e musical. E poi partecipa a tanti programmi tra cui “Bla bla bla” con Lillo e Grerg, “Stracult “con Marco Giusti, fino a “Colorado” con Belen Rodriguez. Intanto scrive anche libri tra cui “Odio Ergo sum”, “Telefona quando arrivi” e l’ultimo “La sindrome di Up”, e gira anche una ventina di film. Tra i tanti “Natale a Miami”, “Natale a New York” “Super vacanze di Natale” e via dicendo. Ma il suo impegno oggi è nello spettacolo “Up&Down” con la compagnia Mayor Von Frinzius «Un progetto che nasce dalla mia amicizia con Lamberto» racconta. «Quattro anni fa gli ho detto perché non ci mettiamo d’accordo e facciamo uno spettacolo con la tua compagnia e con le mie follie? Ed ecco “Up &Down».

Sul palco del Creberg con Paolo al pianoforte c’è l’ex moglie Claudia Campolongo dalla quale ha divorziato nel 2015 ma con la quale è rimasto in ottimi rapporti. Entrambi si sono rifatti una vita, l’ex moglie con un ex collaboratore di Paolo, lui con Diana Del Bufalo, ex allieva del programma “Amici” di Maria De Filippi conosciuta sul palco di “Colorado” e conquistata con i suoi occhi blu e le sue battute. E magari anche con i suoi tatuaggi, un’altra delle grandi passioni di Paolo. Ne ha svariati soprattutto ispirati al mondo dei fumetti: sulla schiena ha personaggi della Looney Toones, Gatto Silvestro e Wile E. Coyote. Per Paolo, “Colorado” non è stato solo il programma dove ha trovato Ph: Teo Di Biase e Mario Iovinella

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ATTUALITÀ

XVII Edizione di BergamoScienza ∞  A CURA DI ELENA BUONANNO

Dal 5 al 20 ottobre torna la XVII edizione di BergamoScienza, il festival di divulgazione scientifica organizzato dall’Associazione BergamoScienza, appuntamento annuale che per 16 giornate animerà la città di Bergamo con incontri, conferenze, dialoghi e spettacoli, tutti gratuiti, dedicati alla scienza. Con un linguaggio chiaro e accessibile a tutti, scienziati di fama internazionale aggiorneranno il vasto pubblico del festival (133.689 presenze lo scorso anno) sulle possibili soluzioni per affrontare le sfide ambientali e sociali della società contemporanea. Tra gli ospiti, il Premio Nobel per la Chimica 2001 Barry Sharpless, padre della click-chemistry - sistema che permette di sintetizzare sostan-

ze complesse in modo rapido - scoperta che ha rivoluzionato il mondo farmaceutico avvicinandolo alla green-chemistry, un approccio chimico che riduce al minimo l’inquinamento ambientale.

AMBIENTE, CLIMA E SOSTENIBILITÀ Focus del festival sarà la sostenibilità della vita sul pianeta, sia in termini di impatto climatico e salute dell’acqua e dell’aria sia di alimentazione: è possibile avere un mondo che funzioni al 100% utilizzando energie rinnovabili? È questa la speranza di Mark Jacobson, direttore del programma su atmosfera ed energia del Dipartimento di ingegneria civile e ambientale della Stanford University. Massimo

Tavoni, senior scientist presso il Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC) si interrogherà sul cambiamento del clima e su come il nostro comportamento quotidiano possa contribuire in modo efficace alla salvaguardia delle risorse globali e dell’equilibrio del pianeta. Le agenzie spaziali non si limitano a guardare il cielo ma monitorano la salute del pianeta, l’inquinamento di terra e aria e la trasformazione del clima attraverso sofisticate tecnologie e una prospettiva privilegiata. Simonetta Cheli, capo dell’Ufficio di coordinamento nella direzione dei programmi di osservazione della Terra dell’ESA con Paolo Cipollini, oceanografo che opera utilizzando i satelliti, ci

Studenti protagonisti Come ogni edizione fondamentali saranno la presenza e il coinvolgimento delle scuole, degli insegnanti e dei giovani studenti, veri protagonisti del festival. Per il 2019 saranno 65 le realtà scolastiche presenti che proporranno 120 eventi capaci di mostrare a tutti il lato divertente e sorprendente della scienza e il valore della collaborazione. Gli istituti, anche quest’anno, nel primo week end del festival animeranno il centro della Città Bassa con La Scuola in Piazza, fiera scientifica on the road giunta alla sua V edizione.

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Dal 5 al 20 ottobre incontri, conferenze, dialoghi e spettacoli, tutti gratuiti, dedicati alla scienza per grandi e piccini

porterà tra immagini mozzafiato alla scoperta di come l’uomo riesca a controllare lo stato di salute della Terra. L’origine delle nuvole è uno degli enigmi più complessi della fisica dell’atmosfera, la cui soluzione, secondo l’alpinista e scienziato Federico Bianchi, potrebbe permetterci di prevedere il reale tasso di riscaldamento del pianeta e il ruolo che gioca l’inquinamento dell’aria. Il geologo Fabrizio Nestola, vincitore dell’Humboldt Research Award 2019, infine, guiderà il pubblico in un viaggio al centro della Terra alla scoperta dei diamanti super profondi, una rarissima categoria di diamanti il cui studio permette di comprendere come funziona il nostro pianeta a grandi profondità.

BIOLOGIA E MEDICINA Lo scrittore americano David Quammen, esperto di scienza, virus e pandemie, natura e viaggi, racconterà una scoperta straordinaria, che ha cambiato la nostra idea dell’evoluzione e ha riscritto la storia della vita sul pianeta. Secondo questa scoperta i geni si

LE COLLABORAZIONI BergamoScienza, in questi anni, è diventata una grande “festa” che coinvolge tutta la città, con collaborazioni con importanti realtà del territorio, chiamate ad arricchire il programma del festival con progetti e iniziative di grande valore. Tra queste, nell’edizione 2019: il progetto Pass Piazza d’Arte e Scienza con le Scuole, il Gruppo Chimici di Confindustria Bergamo, l’Atalanta BC all’Università degli Studi di Bergamo, oltre allo IED - Istituto Europeo di Design.

sono a volte spostati lateralmente da un ramo all’altro – e da una specie all’altra – dell’albero della vita, mettendo in discussione la nostra stessa idea di “specie” e “individuo”.

NEUROSCIENZE Comprendere la complessità del cervello umano è da sempre una delle principali sfide della scienza. Secondo il neurobiologo Miguel Nicolelis della Duke University in North Carolina, l’interfaccia uomo-macchina non è più un’ipotesi fantascientifica: la ricerca nel campo sta aprendo la strada a straordinarie applicazioni biomediche ed espandendo la nostra conoscenza sul funzionamento del nostro cervello. Ad esempio oggi esiste la possibilità di mettere in comunicazione il nostro cervello con macchine artificiali come arti protesici o altri strumenti tecnologici. Il biologo molecolare Rick Morimoto, invece, spiegherà le sue ultime ricerche sul rapporto tra la capacità delle cellule di reagire allo stress e l’invecchiamento, in particolare del sistema nervoso. Le sue scoperte stanno aprendo la strada a nuove strategie terapeu-

tiche per malattie neurodegenerative come l’Alzheimer.

… E TANTO ALTRO ANCORA Ci sarà poi spazio per approfondire le storie dei tre grandi scienziati (Leonardo da Vinci, Galileo Galilei e Kurt Gödel), riflettere sul perché nel mondo scientifico ci sono così poche donne, soprattutto nelle posizioni di maggiore responsabilità e potere, “viaggiare” tra scienza ed etica, alla scoperta dei rischi dell’impiego dell’intelligenza artificiale in contesti di guerra, ripercorrere i cinquant’anni dallo sbarco sulla Luna e le sue implicazioni scientifiche, economiche e politiche. Tutto insieme a scienziati ed esperti di fama internazionale. E non mancheranno nemmeno spettacoli teatrali (come quello del nostro personaggio di copertina Paolo Ruffini) e concerti, mostre e installazioni artistiche. Insomma, anche quest’anno, un palinsesto che sicuramente saprà soddisfare tutti gli appassionati di scienza, e non solo, grandi e piccoli. Per il programma completo: www.bergamoscienza.it.

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IN SALUTE

ciò che ami

STILI DI VITA

Ikigai per imparare a vivere meglio e più a lungo

ciò che sai fare bene

Ikigai

∞  A CURA DI VIOLA COMPOSTELLA

È il motivo che ci spinge ad alzarci dal letto tutte le mattine, la ragione di esistere, lo scopo del vissuto di ognuno. Tutti noi ne abbiamo uno, ma non sempre sappiamo qual è. Può essere un lavoro che si ama, i figli, una passione o qualsiasi altra cosa rappresenti uno scopo nella vita e ci faccia sentire in pace con il mondo e utili. I Giapponesi lo chiamano Ikigai (da iki, vita, e gai, ragion d’essere) che potremmo tradurre come “senso della vita”. In Occidente da anni, ormai, la vita frenetica a cui ci sottoponiamo per soddisfare

LAURA GAMBIRASI Operatrice olistica, Riflessologa plantare, Master Reiki Autrice del libro “Lutti e separazioni sapevo tutto”

i più svariati bisogni che hanno a che fare con il verbo avere, ci ha portati a vivere di ansia, insoddisfazione, frenesia, velocità. Pur essendo tra le generazioni che più possiedono in termini di conoscenze e strumenti materiali, molte delle malattie del secolo sono legate a depressione e male di vivere. Così sempre più spesso si guarda ad Oriente alla ricerca di stili e filosofie di vita che ci aiutino a raggiungere un maggior benessere. Prova ne è, ad esempio, l’esplosione e la costante crescita dello yoga. Ma non solo: si praticano discipline come il Reiki, introdotto negli Stati Uniti nei primi decenni del secolo scorso e ben presto diffusosi anche in Europa; ci si avvicina a buddismo, filosofie zen, taoismo, meditazione. Tutto per comprendere meglio il “senso della vita”, l’Ikigai appunto. Approfondiamo l’argomento con Laura Gambirasi, esperta in riflessologia plantare e Reiki. Come l’Occidente è arrivato a guardare verso Oriente nell’ultimo secolo? Nell’immediato dopoguerra, l’attenzione principale dell’uomo era orientata alla ricostruzione e alla

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ciò che ti dà un guadagno

sopravvivenza evolven do, negli anni del boom economico, a una sovrabbondanza di cibo, tecnologia, benessere economico e materiale in genere. Da pochi anni a questa parte l’attenzione degli Occidentali si è spostata nella direzione di una filosofia di vita che tende a voler ritrovare un benessere che va oltre quello fisico, portando in primo piano tutto ciò che tende ad una qualsivoglia forma di spiritualità. E paradossalmente assistiamo a un capovolgimento della situazione: mentre l’Occidente ricerca la spiritualità, l’Oriente si è fortemente sviluppato in termini economici. Dove si colloca in tutto questo l’Ikigai? A molti sarà capitato di trovarsi nel vagone della metropolitana accanto a un giapponese. Sta fermo nel


Il disegno giapponese creato per rendere il significato di Ikigai è stato rielaborato e interpretato dall’Occidente in una forma diventata abbastanza popolare che propone alcune domande centrali da porre a se stessi:

ciò che aiuta gli altri

suo spazio in tutta tranquillità lasciando che il tempo scorra senza mostrare alcun segno di insofferenza, nonostante viva in un Paese in cui tutto è frenetico, caotico e altamente stressante. Da dove deriva questa sua capacità? Ecco allora che arriviamo al significato di Ikigai. Il valore della vita è al primo posto nella classifica del mondo orientale e di tutte le sue filosofie. Le arti marziali, a cui noi oggi ricorriamo sotto forma di sport anche per i nostri figli, hanno in sé rituali e gesti i cui significati sono molto più profondi di quanto appaiano. La meditazione che per noi significa ritirarsi in uno spazio individuale per mezz’ora al giorno, è in realtà una pratica continuativa e un modo d’essere che, per il Giappone (così come per la Cina e l’India in genere), è una vera e propria disciplina. Ognuno di noi vive ogni giorno il proprio Ikigai, anche se lo fa senza consapevolezza. Ognuno di noi ha scritto in sé il motivo del proprio passaggio su questa terra. Siamo, purtroppo, abituati a riconoscere nelle grandi imprese e nelle situazioni eclatanti

> Cosa amo fare? > Quale missione posso offrire al mondo? > Conosco la mia vocazione? > Ciò che amo, offro al mondo e le mie vocazioni, possono

divenire la mia professione? La maggior parte delle persone riempie l’interno dei cerchi più marcati di significati da attribuire allo scopo della loro vita. In realtà l’Ikigai sta negli spazi vuoti che si vengono a creare al centro. Spazi vuoti che, in verità, rappresentano l’essenza entro la quale il “senso della vita” scorre. Intersecare le proprie passioni, talenti e ambizioni crea un senso alla vita. Riuscire, tuttavia, a porre il distacco da tutto ciò che sta nella materia e viverlo senza attaccamenti, crea lo spazio che può essere riempito dalla felicità profonda. Quando si crea un equilibrio personale tra questi quattro ambiti della vita, quando c’è armonia tra chi siamo, come gli altri ci vedono, quello che facciamo della nostra vita e il contributo che diamo al mondo, allora siamo sulla buona strada per comprendere il nostro Ikigai. Siamo sulla strada del profondo raggiungimento della felicità.

l’insieme degli eroi che vivono lo scopo della loro vita, invece l’Ikigai sta nelle piccole cose. Come si può nella vita di tutti i giorni portare questa consapevolezza? La chiave è vivere la vita come l’insieme di talenti, attitudini, passioni, competenze; rivolgere gratitudine in ogni istante a ciò che ogni giorno ci è dato di vivere come esperienza; dare significato e godere delle piccole cose come il profumo di un fiore, il sorgere e tramontare del sole, il sorriso di un bambino, la saggezza di un anziano, il coraggio di un malato. Tutto è Ikigai. L’Ikigai si manifesta anche attraverso il dolore vissuto. Attraversando lutti e separazioni si può imparare ad assaporare il valore della vita, ad

amarla e a riconoscere in lei la nostra alleata che, in ogni istante, ci indica la via per giungere a noi stessi. Il profondo significato del termine, coniato dai longevi e saggi giapponesi, ha in sé proprio l’insegnamento di stare in continuo contatto con noi stessi, con il nostro sentire, con le nostre percezioni, sostituendo il senso della vista con qualcosa di più impercettibile, ma molto più profondo. In un’epoca in cui la tecnologia ci fornisce mezzi comunicativi ultraveloci, riuscire a prendere coscienza di quanto, in realtà, la comunicazione con noi stessi sia inefficace o, addirittura, inesistente, è già incontrare il proprio Ikigai. Serve ritornare, quindi, alla consapevolezza dei gesti, degli atti volti a mettersi in contatto con noi stessi.

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IN SALUTE

ALIMENTAZIONE

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3 2

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passi per un nuovo stile di vita

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∞  A CURA DI MARIA CASTELLANO

Perdere peso velocemente senza “soffrire” la fame, in modo sano e sicuro. È questa la promessa della dieta chetogenica, regime alimentare seguito da milioni di persone in tutto il mondo e amata dai vip di Hollywood. «La chetogenica è una delle poche diete testate scientificamente perché è nata per fini terapeutici» osserva la dottoressa Cirstina Robba, nefrologo e nutrizionista. «È di recente pubblicazione scientifica su due importanti riviste di endocrinologia il consenso a questa dieta nel controllo dell’obesità e dei disordini metabolici. Sicuramente i dati scientifici ci indicano che il cambiamento di stile di vita, l’assunzione di alcuni farmaci e, nei casi più gravi, la chirurgia bariatrica (dell’o-

besità), favoriscono la perdita di peso e soprattutto la riduzione della mortalità associata all’obesità. Tuttavia non sono privi di rischi e possono essere utilizzati solo da una percentuale di pazienti con un sovrappeso molto marcato. La dieta chetogenica, l’ormai nota VLCDK (Very Low Calorie Ketogenic Diet), si presenta invece come un validato protocollo per ottenere sia un rapido calo di peso sia una migliore educazione alimentare, senza assumere farmaci». Dottoressa Robba, di che cosa si tratta e come si articola questa dieta? Innanzitutto si deve precisare che la VLCDK non è una dieta iperproteica, ma uno schema alimentare

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che attraverso la riduzione drastica di carboidrati ha un effetto “simil-digiuno”. È una dieta che sfrutta

DOTT.SSA CRISTINA ROBBA Specialista in Nefrologia Nefrologa Responsabile dell’Ambulatorio di Nutrizione Clinica Policlinico San Marco Zingonia e Nutrizionista di Smart Clinic


infatti l’effetto antifame dei cosiddetti corpi chetonici (acidi organici prodotti nel fegato in quantità aumentata rispetto a quanto avviene normalmente in assenza di carboidrati e di glucosio, capaci di fornire energia a tutto l’organismo al posto di zuccheri e carboidrati) riducendo sia l’appetito sia l’apporto di calorie giornaliero mantenendo però uno stato di benessere. I corpi chetonici, infatti, aumentano il senso di sazietà e sono addirittura e di stimolo alla capacità di concentrazione e attenzione.

dure; l’utilizzo di questi particolari pasti del tutto simili a pane, pasta, snack, bevande e alimenti per la colazione o la merenda, permette di ottenere in pochi giorni lo stadio di chetosi, senza stimoli della fame, cosa altrimenti non possibile con una alimentazione classica anche a basso apporto calorico . Lo stadio di chetosi viene poi mantenuto anche nei successivi due passi in cui si reintroduce prima un solo pasto proteico convenzionale (carne, pesce, uova, soia) e successivamente entrambi i pasti principali.

Ma questo aumento di corpi chetogenici non può essere pericoloso? No. La chetosi che si instaura durante la VLCDK è un meccanismo fisiologico, completamente differente dalle condizioni patologiche, come la cheto acidosi diabetica, in cui i chetoni si accumulano in modo anomale ed eccessivo. È comunque importante tenere presente che la VLCDK può essere effettuata solo sotto stretto controllo medico, con il dosaggio di routine dei chetoni urinari o plasmatici.

Quanto dura questa fase? Non vi è un tempo predeterminato. Si decide il calo di peso che il paziente deve ottenere e nelle prime tre fasi l’obiettivo sarà la perdita dell’80% del peso stabilito.

In cosa consiste in pratica realmente questo protocollo? Si basa sulla introduzione consumo di alimenti precostituiti caratterizzati da elevato contenuto di proteine di alto valore biologico, associati a quantitativi variabili di verdure cotte o crude. L’uso di questi prodotti permette di limitare l’uso proteine animali, elaborando diete a bassissimo apporto di calorie (circa 800/900 al giorno) facilitando la diminuzione importante dei carboidrati. È una dieta a cinque “fasi” (ci piace dire cinque passi). Il primo passo prevede cinque pasti “sostituiti” al giorno con i pasti principali associati a ver-

Ci può fare un esempio? Se un paziente deve perdere 15 chili, 12 chili andranno persi nei primi “tre passi” e sei di questi chili (il 50%) andranno persi attuando il “primo passo” con la totale sostituzione degli alimenti. La durata della fase dipende dall’ottenimento del risultato, raggiunto il primo obiettivo, si passa al secondo passo. Tuttavia le linee guida indicano 12 settimane come durata indicativa della fase chetogenica. Il restante 20% del peso viene perso nei “passi quattro e cinque”, con la reintroduzione di alimenti a basso indice glicemico prima, e a medio indice poi. Una fase di mantenimento quindi? Sì, e si tratta di una fase molto delicata, forse più critica delle precedenti in quanto con questi ultimi passi si consolida il risultato ottenuto. Questi due passi si associano a una progressiva reintrodu-

zione della attività fisica portando a una reale modifica dello stile di vita. Ci si abitua a consumare porzioni minori di cibo e soprattutto a selezionare alcune categorie di alimenti. Ci sono altre regole, oltre all’alimentazione in senso stretto, da tenere durante le prime fasi di dieta? Assolutamente. È fondamentale l’idratazione con due litri d’acqua e l’integrazione con i sali minerali che vengono prescritti, si tratta di passaggi assolutamente obbligatori. Per questo motivo la dieta può essere intrapresa solo sotto diretto e costante controllo medico, con visite prefissate durante le quali si valuta l’andamento del calo ponderale, ma soprattutto il mantenimento della massa muscolare e la perdita esclusiva di massa grassa, che è il vantaggio della dieta chetogenica: una dieta a basse calorie che non rallenta il metabolismo. Questa dieta può essere prescritta a tutti i pazienti? No, non può essere seguita durante la gravidanza o allattamento, non può essere prescritta ai diabetici di tipo 1 e in presenza di insufficienza renale, epatica o cardiaca. Invece ci sono recenti raccomandazioni all’utilizzo della VLCDK prima di interventi di chirurgia bariatrica, nell’insulino resistenza e nel diabete tipo 2, nell’obesità associata a ovaio policistico o a steatosi epatica (il comune fegato grasso). L’attività fisica è sempre indicata? Sì, ma durante le fasi di chetosi non è affatto richiesto un aumento o l’inizio di un’attività fisica impegnativa, anzi è suggerito un lavoro unicamente tonificante che viene spiegato bene al paziente.


IN SALUTE

ALIMENTAZIONE

Uva motivi per mangiarla

∞  A CURA DI VIOLA COMPOSTELLA

È il frutto numero uno dell’autunno. Nera, bianca o rossa, l’uva piace quasi a tutti, grazie al suo sapore dolce e delicato. E offre anche molti benefici all’organismo. Vediamoli insieme, con l’aiuto della dottoressa Roberta Delmiglio, dietista.

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UN PIENO DI ZUCCHERI “BUONI” Con 61 calorie per 100 grammi, l’uva è uno dei frutti più calorici. Il motivo di questa relativamente alta densità energetica (rispetto ad altri frutti) è sicuramente riconducibile alla maggiore presenza di zuccheri: coi suoi 15,6 grammi su 100 rientra infatti tra i frutti più zuccherini, come la banana (12,8 grammi/100), i fichi (11,2 grammi), i cachi (16 grammi) e gli insospettabili mandarini (17,8 grammi). «Questo non significa però che l’uva (o gli altri frutti leggermente più zuccherini) siano alimenti malsani, ipercalorici e quindi da evitare. Se paragonati infatti alle più comuni merendine,

appare evidente come siano decisamente da preferire, in quanto privi di grassi e colesterolo, e comunque meno calorici e zuccherini dei prodotti industriali, oltre che ovviamente più genuini» osserva la dottoressa Delmiglio.

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DOPO I PASTI O COME SPUNTINO … «Per bambini e sportivi l’uva è un ottimo spuntino, in quanto comodo, dissetante, nutriente e facilmente digeribile» suggerisce la dietista. E per i diabetici e chi è a dieta? «Per le persone che devono contenere l’assunzione di zuccheri semplici o calorie, come ad esempio i diabetici o chi segue un regime dietetico ipocalorico, come già accennato, è sempre preferibile uno spuntino a base di frutta, in quanto anche la frutta più zuccherina ha comunque un profilo nutrizionale decisamente migliore rispetto alle merendine o ai prodotti industriali. Detto ciò, si dovrà stare attenti ovviamente alle porzioni e alle frequenze set-

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timanali, consumandola in una porzione leggermente più piccola e/o con una frequenza settimanale ridotta rispetto agli altri frutti. Questo aspetto va sempre valutato individualmente col medico diabetologo e col dietista. In ogni caso il picco glicemico causato dallo zucchero della frutta, il fruttosio, è decisamente “ammorbidito” dalla compresenza di proteine, grassi e fibra. Un trucchetto per ridurre ulteriormente l’impatto di questo

DOTT.SSA ROBERTA DELMIGLIO Dietista A Stezzano e Trezzo sull’Adda


zucchero sulla glicemia è consumare la frutta a fine pasto o comunque insieme ad altri alimenti. Attenzione, non ci sono indicazioni ufficiali a non consumare la frutta a fine pasto. L’unica eccezione la fa la tolleranza individuale, ovvero ci sono persone a cui consumare frutta a fine pasto causa problemi a livello gastrico e intestinale, solo in questi casi è quindi da evitare».

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UN DOLCIFICANTE NATURALE Per la sua ricchezza in zuccheri semplici, l’uva viene utilizzata come dolcificante naturale all’interno di bevande e marmellate. «Fateci caso, quando in etichetta leggete “solo con zuccheri della frutta”, nella stragrande maggioranza dei casi tra gli ingredienti trovate “zucchero d’uva” o “succo d’uva”» sottolinea la dietista.

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DETOX PER INTESTINO E FEGATO «Con il suo alto contenuto di ac-

Per 100 g di alimento

Kcal

qua (circa l’80%) e un discreto contenuto di fibra, aiuta a purificare il fegato e l’intestino» dice la dottoressa Delmiglio. Lo sapevano già gli antichi Romani che a fine estate si dedicavano all’ampeloterapia, ovvero la cura dell’uva per depurare l’organismo. In virtù di questa azione “purificante” contribuisce anche a contrastare la stipsi.

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ELISIR DI GIOVINEZZA Tra le sostanze più importanti contenute nell’uva (soprattutto in quella nera) ci sono i polifenoli e, in particolare, il resveratrolo. «Alcuni studi hanno dimostrato che i polifenoli sono antiossidanti molto efficaci nel combattere i radicali liberi, molecole responsabili del deterioramento dei tessuti (invecchiamento cellulare) e dei danni al Dna, che aprono la strada a processi d’insorgenza di diverse forme tumorali» spiega la dietista. Senza

Zuccheri semplici g

Grassi g

Colesterolo mg

contare che antiossidanti significa anche una maggior elasticità e bellezza per la pelle.

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AMICA DEL CUORE Come la stragrande maggioranza dei frutti, l’uva è povera di sodio e ricca di minerali tra cui il potassio. «Questo minerale contribuisce a ridurre la pressione sanguigna e regolare il battito cardiaco» osserva la dottoressa Delmiglio.

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ANTIFATICA

Uva

61

15,6

0,1

0

Biscotti

488

23

22

141

Gelato crema

189

27,2

8,2

57

Brioche

438

22,5

17,6

180

L’uva, in particolare quella rossa, è un efficace rimedio contro la stanchezza e la spossatezza. Il merito è dell’alto contenuto di quercetina, un antiossidante naturale appartenente alla famiglia dei flavonoidi, che ha un’azione antifatica ed energizzante.

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IN ARMONIA

PSICOLOGIA

Emdr superare traumi o lutti con il movimento degli occhi ∞  A CURA DI ELENA BUONANNO

«Armando era stato coinvolto in un tremendo incidente automobilistico in autostrada. Mentre restava a bordo della sua vettura ferma in mezzo alla carreggiata, questa veniva più volte sfiorata da automezzi pesanti. Ebbe paura di morire, si sentì spacciato. Uscirne indenne fu una specie di miracolo. Chiese il mio aiuto a distanza di cinque anni. Da tempo soffriva di frequenti attacchi di panico con sullo sfondo la paura di morire, insonnia, tachicardia. Oltre a ciò si sentiva spesso solo anche mentre stava con le persone care, in un modo che non aveva mai sperimentato prima. Era un uomo di circa quarant’anni, sposato e padre di due bambini piccoli di cui si prendeva cura amorevolmente. Aveva un buon lavoro che gli piaceva. Una vita normale e soddisfacente… Fino a quel momento disgraziato! Parlandone con lui mi rendevo conto di quanto i sintomi lo disturbassero facendolo sentire costantemente in agitazione. Precedentemente non aveva mai avuto problemi fisici particolari quindi ora si sentiva molto in ansia perché pensava di avere qualche malattia inesorabile che in breve tempo gli avrebbe tolto la vita. Era preoccupato per i figli e la moglie.

Ciò lo portava a sottoporsi in continuazione a consulti medici. Discutere con lui dell’irrazionalità di questi pensieri non portava da nessuna parte». Chi racconta è Marco Ghezzi, psicologo e psicoterapeuta. Ci siamo rivolti a lui per parlare di una metodologia terapeutica sempre più diffusa e utilizzata per il trattamento del trauma e di problematiche legate allo stress, soprattutto stress traumatico, l’Emdr (acronimo inglese traducibile in desensibilizzazione e rielaborazione - del trauma - attraverso i movimenti oculari). Dottor Ghezzi, la storia di Armando potrebbe essere quella di tante persone che hanno subito un importante trauma. Cosa scatta nella testa in seguito a un evento così forte emotivamente e che cosa si può fare in questi casi? Quello di Armando è il quadro clinico che si presenta frequentemente in situazioni in cui un evento traumatico espone le persone a esperienze troppo forti dal punto di vista emotivo per poter essere normalmente elaborate. Parliamo di eventi che possono portare alla morte o che minacciano l’integrità fisica propria o delle persone ca-

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re. Nello stesso momento in cui vengono vissute, sono rimosse o negate dal campo della consapevolezza. È un meccanismo di difesa naturale che funziona in modo automatico. Il corpo tuttavia conserva memoria dello shock emotivo subito. È come se mente e corpo in situazioni così travolgenti smettessero di collaborare e il corpo subisse l’impatto prevalente. Da qui la nascita di sintomi di natura somatica: il corpo si allarma in modo non congruente con i fatti che si stanno affrontando in quel momento specifico, sovrastimando il rischio o la portata degli stessi, come se avesse memoria che deve stare in allerta, che il pericolo incombe. In casi come questi la tecnica Emdr si rivela molto efficace. In che cosa consiste? Questo approccio terapeutico si focalizza sul ricordo dell’esperienza traumatica e utilizza i movimenti oculari o altre forme di stimolazione alternata destro/sinistra per trattare disturbi legati direttamente a esperienze traumatiche o particolarmente stressanti dal punto di vista emotivo. Dopo una o più sedute, i ricordi disturbanti legati all’evento traumatico subiscono una desensibilizzazione, perdono


la loro carica emotiva negativa. L’immagine cambia nei contenuti e nel modo in cui si presenta, i pensieri intrusivi (Ndr. pensieri accompagnati da ansia e disagio che interrompono il flusso dei pensieri volontari) in genere si attutiscono o spariscono e le emozioni e sensazioni fisiche si riducono di intensità. L’elaborazione dell’esperienza traumatica che avviene con l’Emdr permette alla persona, attraverso la desensibilizzazione e la ristrutturazione cognitiva che avviene, di cambiare prospettiva, cambiando le valutazioni cognitive su di sé, incorporando emozioni adeguate

DOTTOR MARCO GHEZZI Psicoterapeuta, Practitioner Emdr, Mental coach per atleti e imprenditori A Bergamo

alla situazione oltre ad eliminare le reazioni fisiche. In quali casi oltre a quello raccontato può essere utile questa tecnica? Si può realmente risolvere tutta una serie di esiti da trauma, del cui impatto sulla vita non ci si capacita se non dopo averci lavorato sopra, normalmente in una serie limitata di sedute. Qualcosa del genere lo si può notare anche in atleti che subiscono un infortunio. Dopo la riabilitazione può capitare che si sentano condizionati e che temano di subire nuovamente l’infortunio. L’atleta non si sente libero di potersi esprimere al meglio. Anche in questo caso, con l’utilizzo dell’Emdr, è possibile lavorare efficacemente per abbassare di molto la tendenza a “pensare in automatico” alla paura di infortunarsi nuovamente o il convincimento, spesso irrazionale, di sentirsi “irrimediabilmente danneggiati”. L’evidenza scientifica dell’efficacia del trattamento è ormai ampia e consolidata. In Italia sta prendendo piede e ora è possibile trattare con successo molti più casi di quanto fosse possibile in precedenza. Anche in situazioni traumatiche complesse porta a ot-

timi risultati. Emdr inoltre consente di lavorare sul miglioramento della performance in campo sportivo e lavorativo, perché ha una forte efficacia sul disinnesco dell’ansia “da prestazione”.

L’ASSOCIAZIONE EMDR ITALIA IN PRIMA LINEA ANCHE NELLE GRANDI EMERGENZE L’Associazione Emdr Italia fornisce e certifica la formazione dei terapeuti e svolge un’importante attività di volontariato su tutto il territorio. Uno degli interventi più rilevanti dal punto di vista mediatico è stato effettuato a Genova dopo la caduta del ponte Morandi. Più di 600 persone sono state aiutate gratuitamente. L’Associazione ha ricevuto, nelle vesti del suo Presidente Isabel Fernandez, il titolo di Commendatore della Repubblica dal Presidente Mattarella.


IN ARMONIA

COPPIA

Gelosia o ossessione? ∞  A CURA DI MARIA CASTELLANO

Da sempre la gelosia riveste un ruolo importante nella vita degli uomini: basti pensare a quanti libri e film sono incentrati su questo tema. I motivi di questa attenzione sono principalmente due: le conseguenze che ha su chi la prova e su chi la subisce e il fatto che sia un elemento che accompagna, in forme diverse, tutta la nostra vita, fin da quando siamo piccoli. Sicuramente, però, quando si parla di gelosia il primo pensiero va alla vita di coppia. “Perché non mi richiama?”, “Come mai torna così tardi dal lavoro?”, “Andrà davvero dalle amiche questa sera?”. Certo un po’ di gelosia è fisiologica e può essere perfino sana, se si impara a gestirla bene. Il problema è quando eccede fino a diventare un’ossessione, nei casi più gravi. Come ci spiega la dottoressa Laura Grigis, psicologa e psicoterapeuta. Dottoressa Grigis, qual è la molla che fa scattare questo sentimento? La gelosia è l’emozione che si prova al pensiero di perdere l’affetto di una persona per noi importante, a causa di un’altra persona. Nasce dalla percezione di una minaccia, dalla sfiducia, dalla sospettosità e dal timore che qualcuno possa portarci via la persona che amiamo.

Come tutte le emozioni, ha una sua importante funzione: ci indica quello che conta per noi, ciò che è importante conservare, serve da spinta motivazionale per lottare per qualcosa a cui teniamo. Ha inoltre la funzione di regolare la distanza fra i partner: quando percepiamo un allontanamento, la gelosia ci porta ad attuare comportamenti per ridurre la distanza e ad attirare nuovamente l’attenzione dell’altro su di noi. Tutti noi sperimentiamo la gelosia, a diversi livelli di intensità; esistono però alcune importanti variabili che rendono questa emozione troppo forte e troppo spiacevole, come ad esempio considerare quella persona e quella relazione come l’unica cosa veramente importante della propria vita, avere una naturale tendenza alla sospettosità, poca fiducia nell’altro e scarsa considerazione del proprio valore; interpretare la possibile fine della relazione come un evento catastrofico. Inoltre la gelosia è strettamente legata al livello di autostima e al senso di autoefficacia. Se non credo molto in me stesso, difficilmente riuscirò a credere di poter essere interessante per un partner: confrontandomi con altre persone, ne uscirò sempre sconfitto e avrò come unica soluzione quella di impedire all’altro di fare nuove esperienze (e nuove conoscenze).

Ma quindi è normale e anche “sano” provarla… In una certa misura sì, sebbene anche la gelosia normale, “sana”, abbia delle conseguenze spiacevoli: la persona gelosa soffre sia per il timore della perdita, sia per il fatto di provare con tale intensità questo sentimento di sofferenza che la fa sentire debole, vulnerabile e poco razionale. Da un punto di vista cognitivo si osservano inoltre delle modifiche della percezione (ci si focalizza su possibili minacce al rapporto di coppia) e della memoria (la persona gelosa è capace ricordare esattamente ogni singolo fatto che sia stato fonte di dubbio: orari, impegni, abiti, frasi…).

DOTT.SSA LAURA GRIGIS Psicologa e Psicoterapeuta A Bergamo, Polispecialistico Dental Italy Curno e Centro Polispecialistico Zogno

Gelosia e dipendenza affettiva: due facce della stessa medaglia La letteratura scientifica afferma che la gelosia e la dipendenza affettiva sono legate a filo doppio (La gelosia: patologia o amore vero? di F. Fiore, C. Prinetti). Se è presente l’una è molto probabile sia presente anche l’altra: il dipendente affettivo agisce infatti spinto dalla necessità di non rimanere solo, di non perdere la persona amata.

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“Guardatevi dalla gelosia, mio signore. Un mostro dagli occhi verdi che dileggia il cibo di cui si nutre. Beato vive quel cornuto il quale, conscio della sua sorte, non ama la donna che lo tradisce: ma oh, come conta i minuti della sua dannazione chi ama e sospetta; sospetta e si strugge d’amore! ∞∞ WILLIAM SHAKESPEARE Otello

La gelosia normale si sviluppa, il più delle volte, da un fraintendimento: due persone diverse, con personalità differenti e modi di vivere e vedere le relazioni differenti, devono imparare a leggere i comportamenti dell’altro prendendo in considerazione un nuovo punto di vista. Se la gelosia normale, che tutti noi abbiamo sperimentato, è gestibile e tollerabile, non si può dire altrettanto della gelosia patologica. Quando diventa patologica? Come si fa a capire se si è passato il confine? La gelosia non rientra nell’elenco delle patologie psichiatriche, ma è indubbio che, quando eccede nell’intensità e nella persistenza, da normale diventa patologica: la differenza principale sta nell’intensità e nella frequenza della gelosia provata, così come nella

fondatezza dei sospetti. L’intensità della gelosia è direttamente proporzionale alla dimensione della catastrofe che la persona gelosa si immagina di dover sopportare: se al solo pensiero si sente disperato e senza un futuro, se la sua perdita è segno di sconfitta e fallimento personale, se teme di non potersi mai più innamorare, tutto contribuisce a ingigantire il dramma della gelosia. Nel caso invece della gelosia “paranoica”, i sospetti sono continui, frequenti, sistematici: ogni gesto, ogni parola, ogni situazione viene valutata come possibile indicatore di tradimento. Nella gelosia “delirante”, infine, vengono creati fatti che non esistono e i sospetti non hanno alcun fondamento razionale. Un altro elemento che cambia la definizione di gelosia da normale a patologica è il tipo di comportamento, di reazione del

partner geloso: controlli continui e persistenti (cellulare, computer, borsa, portafogli, macchina), pedinamenti e visite a sorpresa, scatti di collera e gesti violenti o aggressivi, divieto di vedere amici o di frequentare locali sono senza ombra di dubbio indicatori di gelosia patologica. Spesso la gelosia è un sintomo di alcune importanti psicopatologie come il disturbo paranoide, il disturbo ossessivo compulsivo, il disturbo borderline e il disturbo dipendente. In conclusione, il problema della gelosia è risolvibile ed è importante farlo soprattutto quando si struttura all’interno di quadri patologici che possono dar vita a comportamenti aggressivi. Quando parliamo invece di gelosia fisiologica, è importante ricordare che la normalità non consiste nel non provarla, ma nel saperla gestire.


IN FAMIGLIA

DOLCE ATTESA

L’età ovarica non è quella della carta d’identità Un esame del sangue per saperne di più ∞  A CURA DI MARIA CASTELLANO

L’età delle ovaie non sempre corrisponde all’età anagrafica di una donna. Esiste un ormone - una “carta di identità della fertilità” - che consente di valutare quante chance di concepire restano. Analizzarlo garantisce anche la possibilità di arginare eventuali problemi di fertilità. Si tratta dell’ormone antimulleriano, prodotto dalle cellule dei follicoli ovarici, e si ottiene attraverso un semplice esame del sangue.

tempismo è fondamentale» spiega la dottoressa Marisa López-Teijón, direttrice dell’Institut Marquès (centro internazionale specializzato in Ginecologia, Ostetricia e Riproduzione Assistita con sedi a Barcellona, Londra, Irlanda, Italia e Kuwait), che ha condotto uno studio grazie al quale è possibile valutare con maggiore precisione la fertilità delle donne in Europa. Lo studio, presentato alla 35a edizio-

L’Italia è ultima per fecondità in Europa. Lo rivela il rapporto Istat “Noi Italia”. La stima per il 2018 del tasso di fecondità totale (1,32 figli per donna) è sensibilmente inferiore alla soglia che garantirebbe il ricambio generazionale. Il ritardo nell’età del concepimento richiede una valutazione precisa della riserva ovarica: intorno ai 35 anni rimane il 10% degli ovuli, le ovaie sono invecchiate. Meno riserva ovarica c’è, peggiore sarà la qualità. «Sapere quante chance di concepimento restano aiuta le donne a correre ai ripari e decidere quali misure adottare per tutelare la fertilità. Se la riserva è buona ma non si hanno le condizioni per avere un figlio si possono vitrificare gli ovuli per assicurarsi una futura gravidanza. Se il valore è basso ci si può rivolgere a uno specialista e valutare la migliore strada per il concepimento. In entrambi i casi il 28 | Bergamo Salute | Settembre/Ottobre 2019

ne del Congresso nazionale della Società Spagnola di Ginecologia e Ostetricia, prendendo in considerazione un ampio campione, ovvero 10.443 donne spagnole tra i 20 e i 45 anni, ha evidenziato che esistono differenze nei livelli dell’ormone antimulleriano tra donne appartenenti a comunità autonome. Finora per la misurazione dell’AMH si faceva riferimento a tabelle di consultazione e valori


di altri Paesi; dalla ricerca invece è emerso che quei valori non si prestavano alla realtà delle donne europee e di conseguenza è stato possibile estrapolare dall’analisi sulle donne spagnole nuove tabelle di consultazione per l’Europa. Molte donne scoprono troppo tardi che età anagrafica ed età riproduttiva non coincidono. Questo perché le mestruazioni sono erroneamente considerate una prova della capacità di avere figli, ma ciò non è vero. La donna nasce con una quantità prestabilita di ovociti che vengono eliminati progressivamente. In ogni ciclo mestruale si sviluppano 1.000 ovociti, ma solo uno giunge all’ovulazione; gli altri andranno perduti. Così

accade spesso che una donna di 38-40 anni con cicli normali abbia già esaurito la gran parte della sua riserva di ovuli. L’esame dell’ormone antimulleriano si effettua più spesso per supportare la diagnosi di patologie come la sindrome dell’ovaio policistico o la menopausa precoce, mentre in relazione alla fertilità, solo quando si sospettano casi di ipofertilità. «Una donna che vuole diventare madre può richiedere da subito al proprio ginecologo l’AMH. Considerato che il numero dei follicoli primordiali decresce progressivamente durante la vita di una donna e si azzera al momento della menopausa, è fondamentale non indugiare. L’AMH si può misurare

con semplicità, in qualsiasi giorno del mese» conclude la dottoressa López-Teijón.

DOTT.SSA MARISA LÓPEZ-TEIJÓN Specialista in Ostetricia e Ginecologia Direttrice Institut Marquès di Barcellona


IN FAMIGLIA

BAMBINI

Passaggio da un ciclo scolastico all’altro: come aiutare i figli a superare le paure ∞  A CURA DI ELENA BUONANNO

Con l’inizio delle scuole molti bambini o ragazzi si trovano a vivere dei passaggi nuovi e spesso delicati. I piccoli entrano per la prima volta in un ambiente extra-familiare, senza mamma o papà, i più grandi, invece, devono affrontare il cambiamento di ciclo scolastico, ad esempio dalla scuola primaria a quella secondaria. Tutto questo porta con sé nuovi stimoli e occasioni di crescita, ma allo stesso tempo anche dubbi, timori e paure. Ecco allora i consigli della dottoressa Emanuela Zini, psicologa e psicoterapeuta, per superarli nel modo più sereno possibile. Dottoressa Zini, cominciamo dall’inserimento al nido o alla scuola dell’infanzia, un momento spesso traumatico… L’inserimento al nido o alla scuo-

la dell’infanzia è un momento faticoso, ma anche importante, di crescita e autonomia. Ci sono bambini che restano a casa con mamma, nonni o babysitter spesso fino ai tre anni di età, quindi l’inserimento a scuola, o meglio “nella società”, può essere un passaggio che richiede al bambino coraggio, capacità di adattamento e risorse per tollerare la separazione dalle figure principali di riferimento. Se pensiamo ai più piccini, bisogna tenere in considerazione che possono mettere in atto tutta una serie di comportamenti di disagio o malessere, per esempio: regressioni (difficoltà nel controllo sfinterico, difficoltà nel sonno), manifestazioni di rabbia o pianto disperato nel momento dell’andare alla scuola dell’infanzia o nel momento della separazione/ricongiungimento con l’adulto familiare, rifiuto del ci-

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bo. Questo succede non per forza durante i primi mesi; alcuni, infatti, all’inizio non manifestano disagio, ma solo, successivamente, per esempio dopo le vacanze natalizie. Per comprendere e imparare a gestire queste reazioni bisogna tenere in considerazione i processi di separazione. Separazione signi-

DOTT.SSA EMANUELA ZINI Psicologa e Psicoterapeuta Studio di psicologia Ambivere


fica allontanamento dalle figure di riferimento; è un processo carico di sofferenza (sia per il bambino sia per i genitori), ma fondamentale perché permette di acquisire la capacità di adattamento, autonomia, competenze sociali e individuali. In questo processo, spesso, gioca un ruolo anche la perdita del contatto con l’ambiente conosciuto e protettivo, per inserirsi in un contesto sconosciuto e tutto da scoprire. Cosa si può fare per aiutare i piccoli in questa fase così delicata? Per aiutare i bambini a stare in contatto con le emozioni che vivranno e superare le fatiche della nuova esperienza, consiglio spesso la lettura condivisa di libri/ favole (per esempio “Il mio primo giorno di asilo”, “Topo Tip non vuole

andare all’asilo”), ma anche alcuni cartoni, che parlano di processi di separazione e superamento delle difficoltà (per esempio “Rapunzel” che esce dalla torre, “Alla ricerca di Nemo” lontano dal papà deve ritrovare la strada di casa, “Ballerina” che si ritrova in una grande città, Simba de “Il re Leone” che rimane orfano di padre e deve diventare autonomo). I libri e i cartoni animati sono uno spunto per i bambini perché s’identificano con i personaggi della storia. Importante è poi che genitori riflettano sulle loro aspettative verso l’inserimento del figlio, ridimensionandole rispetto alle sue risorse o alle sue fragilità: alcuni sono sicuri delle capacità del bambino, altri, invece, sono molto spaventati, perché pensano che non riusciranno a separarsi da loro. Accettare e tollerare le rea-

zioni del bambino non è facile per il genitore che si potrebbe sentire in colpa o inadeguato nel gestire certe dinamiche, spesso confuse con i “capricci”, quando, in realtà, sono manifestazioni emotive. Non bisogna dimenticare che il bambino inserito nella scuola dell’infanzia deve affrontare un compito arduo: imparare a gestire l’ambivalenza tra il bisogno di attaccamento ai genitori e il desiderio di autonomia. È vitale, quindi, permettergli di esprimere il suo disagio, anche se questo significa lasciarlo piangere. Il pianto, spesso, è accostato a sinonimo di debolezza o vergogna, in realtà, nel corso degli anni, molte ricerche hanno dimostrato il valore curativo del piangere. Una ricerca svolta all’University of South Florida di Tampa, condotta dallo psicologo Jonathan Rottenberg, difatti,

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IN FAMIGLIA

BAMBINI

conferma l’importanza del pianto emozionale come automatismo indispensabile per restituire tranquillità alla psiche. Anche il passaggio da scuola dell’infanzia a elementari può essere faticoso… Nel passaggio alla scuola primaria è utile trasmettere fiducia al bambino rispetto alle sue capacità e motivare rispetto a ciò che imparerà di nuovo. È buona norma evitare commenti negativi sulle maestre o compagni di classe e, soprattutto, l’eccessiva competizione tra i bambini (“Cosa ha preso nella verifica Luigi? Come mai ha un voto più alto del tuo?”). Dalla scuola primaria in poi, di sicuro, è presente anche un aspetto prestazionale, ma sta ai genitori non basare tutto l’apprendimento su quello. I bambini non devono andare a scuola che sanno già leggere e scrivere, lo apprenderanno insieme ai loro coetanei con i tempi necessari, ma hanno bisogno di essere preparati rispetto al cambiamento che avverrà, con la libertà di manifestare eventuali momenti di crisi. Capita spesso di incontrare genitori preoccupati perché il figlio da quando ha iniziato la scuola primaria “sembra sia tornato indietro, ha paure o che aveva superato o

del buio che non ha mai avuto”. È normale: bisogna considerare che il bambino sta davvero investendo con tutte le sue energie su qualcosa di nuovo, quindi, può “cedere” un po’ manifestando un bisogno più infantile, che in realtà indica solo necessità di rassicurazione. Non ci si deve allarmare, ma accogliere i momenti di fragilità e dargli il tempo di adattarsi ai nuovi ritmi. Quali sono invece le difficoltà che possono emergere quando si è più grandi al cambiamento del ciclo scolastico? Una volta, questa fase di transazione tra scuola primaria e secondaria era scandita dagli esami di quinta elementare, oggigiorno assenti; era una prova, un rituale che metteva il bambino un po’ in difficoltà ma nello stesso tempo gli permetteva di capire il passaggio a una nuova esperienza. Nonostante i ragazzi di oggi siano iper-stimolati, in realtà, arrivano meno autonomi e preparati. Per quanto riguarda, invece, quelli che iniziano la scuola secondaria di 1° grado (scuola media) o di 2° grado (scuole superiori) bisogna tenere presente, oltre al cambiamento scolastico, anche il mutamento fisico, emotivo, psicologico e cognitivo che accom-

pagna l’adolescenza che stanno attraversando. Si tratta di un altro momento fondamentale nella costruzione della propria identità, perché il bambino lascia posto al futuro adulto. In questo periodo tanto complicato riaffiora ciò che era successo nel bambino piccolo durante il processo di separazione-individuazione nei confronti della madre. L’adolescente, infatti, attraversa una nuova separazione-individuazione in cui ciò che è messo in discussione è l’insieme degli oggetti d’amore tipici dell’infanzia da cui, a livello psicologico, si allontana e avvicina. Si verifica, quindi, un disinvestimento sulle figure genitoriali e ciò che hanno trasmesso, oltre che sul proprio “Sé infantile”, in un processo che confina con il “Lutto”. Quindi, mentre i ragazzi affrontano, ognuno a suo modo, la pubertà, sono anche coinvolti in processi di separazione, per esempio, dai compagni con cui hanno trascorso cinque anni alla scuola primaria, o nel caso delle superiori, devono allontanarsi dal paese in cui vivono per frequentare un istituto in città. L’evoluzione identitaria di ognuno è caratterizzata da un processo di differenziazione, inteso come capacità di mantenersi in equilibrio tra essere

Paura della separazione: i segnali da parte dei più piccoli > Attesa ansiosa: frasi tipo “quando arriva la mamma?” espressa ossessivamente, rituali di saluto protratti “ancora un bacio, un abbraccio, ancora un bacio”. > Pianto ritualizzato: crisi disperate di pianto. > Rifiuto del contatto: nessuna possibilità di apertura relazionale con i pari o gli adulti e rifiuto delle proposte didattiche o di gioco. > Regressioni: essere di nuovo imboccati, riprendere oggetti transizionali magari non più utilizzati come il ciuccio, desiderio di dormire con i genitori. > Agitazione fisica e aggressività.

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Nel crescere è sempre implicata la separazione: bisogna abbandonare le sicurezze raggiunte nella fase evolutiva precedente per arricchirsi di qualcosa di nuovo. Per Winnicott, pediatra e psicoanalista, la caratteristica centrale dello sviluppo umano è l’acquisizione e il sicuro mantenimento dello stadio “Io sono”, che significa riconoscersi come individuo che “ha forma e vita”. Nel corso del mutamento da una condizione di dipendenza assoluta (dalla madre) a una di dipendenza relativa avviene la scoperta del Sé”

se stessi e il senso di appartenenza alla storia familiare. Differenziarsi vuol dire rispondere di sé in termini di pensieri, emozioni, azioni, a partire dalla comune appartenenza alla storia familiare e ciò che attraverso il distacco-separazione nasce è la capacità di autonomia intesa come capacità di distinguere tra sé e l’altro da sé (D’Amore e Mulè, 2004). In che modo i genitori possono favorire e sostenere i ragazzi in questi processi di crescita e “costruzione” della propria identità? Il frequentare la scuola e l’affrontare i passaggi di ciclo offrono ai bambini e ai ragazzi la possibilità di imparare

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a conoscere e a gestire le emozioni, a trovare le risorse per affrontare, in autonomia, aspetti nuovi, ad adattarsi ai contesti e alle richieste nuove, a volte, diverse da quelle familiari. Ogni bambino/ragazzo arriva ad affrontare questi processi in modo diverso e personale. Sia i bambini sia i ragazzi, però, devono essere accompagnati e preparati ad affrontare questi difficili cambiamenti. È necessario, perciò, che i genitori imparino a favorire lo svincolo del figlio, rimanendo però, contemporaneamente, un saldo punto di riferimento nei momenti di difficoltà. John Bowlby, psicologo medico e psicoanalista britannico, affermava che “la caratteristica più

importante dell’essere genitori è fornire una base sicura da cui un bambino o un adolescente possa partire per affacciarsi al mondo esterno e a cui possa ritornare sapendo per certo che sarà il benvenuto, nutrito sul piano fisico ed emotivo, confortato se triste, rassicurato se spaventato”. Servono, pertanto, le giuste rassicurazioni (“Lo so che hai paura ma vedrai che poco alla volta diventerà sempre meno”), l’evitare terrorismi inutili (“Ah vedrai cosa vuol dire andare alla scuola media, lì si che devi studiare!”), il comprendere le reazioni di paura, senza sminuirle o negarle, ma parlando per ridimensionarle (“Facciamo che prima di salutarci mi stringi forte la mano e mi porto via io la paura e la tristezza! Guarda c’è la tua maestra ora ti prende lei per mano”). Anche con i più piccoli, quelli che iniziano il nido, si può fare tutto ciò. Il genitore deve calarsi nei panni di narratore della nuova storia che il figlio deve affrontare. Quindi, buona avventura con una delle più belle frasi del “Piccolo Principe” di Antoine de Saint-Exupéry: “Non ti chiedo miracoli o visioni, ma la forza di affrontare il quotidiano. Preservami dal timore di poter perdere qualcosa della vita. Non darmi ciò che desidero, ma ciò di cui ho bisogno. Insegnami l’arte dei PICCOLI PASSI”.

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IN FAMIGLIA

RAGAZZI

Moda e-cig Altroconsumo chiede intervento Antitrust ∞  A CURA DI VIOLA COMPOSTELLA

Dagli ultimi dati Global youth tobacco survey, Iss e Ministero della Salute emerge che il 18% dei giovanissimi italiani (13-15 anni) fa uso di e-cig (sigarette elettroniche) con un aumento del 125% dei piccoli svapatori rispetto al 2014. Basterebbe questo dato per dare la misura di gravità del fenomeno. La percezione di minore pericolosità rispetto alle sigarette tradizionali, unita ad aggressive politiche di marketing, ha creato un cocktail molto pericoloso. Tra i giovanissimi l’immagine dell’e-cig è quella di un prodotto cool e alla moda, grazie a un design ricercato e a una pluralità di aromi per tutti i gusti, da mojito e pina colada a

fragola e caramello. Tanto che, se un tempo venivano percepite come un mezzo per smettere di fumare, oggi - ci dicono i dati - sono un potenziale primo passo che porterà i giovani a essere fumatori delle sigarette tradizionali. Il settore e-cig fiorisce e il marketing aumenta sempre di più, anzi a farla da padrone con pratiche spregiudicate che aggirano la normativa di divieto di pubblicità per questa categoria di prodotti è il cosiddetto social media e influencer marketing, ossia il coinvolgimento di influencer che attraverso i loro contenuti social ne promuovono (in maniera esplicita o occulta)

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l’uso e l’immagine di tendenza. Facendo una ricerca di hashtag su Instagram (#svapo #vape #vapeporn #svapoitalia #svapomania…) emergono numerosi post sul prodotto o di ragazzi giovanissimi che lo utilizzano per sentirsi alla moda e popolari tra i coetanei. Una passione, quella per le e-cig che ha dato vita alla community degli “vapers” fatta di incontri, fiere, tutorial per farsi da soli la propria e-cig e sperimentare nuovi gusti. Ma la normativa è chiara: la vendita di liquidi con nicotina ai minori non è legale e sono vietati i messaggi pubblicitari che promuovono sigarette elettroniche e liquidi. Poiché


l’influencer marketing sui social non può essere in contrasto con le normative, Altroconsumo ha chiesto l’intervento dell’Antitrust segnalando queste pratiche scorrette. A questo scenario va ad aggiungersi la posizione dell’Oms, Organizzazione Mondiale della Sanità che - nel rapporto Epidemia globale di tabacco 2019 appena pubblicato - afferma che le e-cig “sono senza dubbio dannose e quindi dovrebbero essere soggette a regolamentazione”. L’OMS con-

ferma che questi prodotti possono rappresentare una porta di ingresso verso il fumo convenzionale o portare ad una rinormalizzazione del fumo nella società. Secondo l’OMS, quindi, i vari Paesi dovrebbero applicare il divieto di pubblicità, di aromatizzazione dei prodotti e l’introduzione di politiche che obblighino i produttori a rendere i prodotti poco attraenti per i giovani al fine di scoraggiarne l’utilizzo. Anche oltreoceano la situazione è allarmante: negli Usa tra il 2017 e il 2018 c’è stato un aumento del 48%

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nell’uso di e-cig nelle scuole medie e del 78% nelle scuole superiori (si tratta di 1,5 milioni di svapatori in più in 12 mesi, in totale più dei giovani fumatori di sigaretta). Alla luce di questi dati, l’Fda (Food and Drug Administration) si è dichiarata seriamente preoccupata e dopo aver esaminato l’utilizzo degli influencer da parte dei produttori è intervenuta emanando un piano per la prevenzione e l’educazione dei ragazzi, proponendo ai produttori di cambiare e frenare le strategia di marketing.

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IN FORMA

FITNESS

Spinning per ritrovare la forma a ritmo di musica

∞  A CURA DI ELENA BUONANNO

Nato come preparazione al ciclismo su strada, lo spinning a distanza di vent’anni è oggi una delle discipline di fitness più praticate nelle palestre di tutto il mondo. E non stupisce: è divertente e anti-stress, fa bruciare molte calorie, aiuta a perdere peso, rimodella glutei e gambe, migliora fiato e resistenza. Ed è alla portata di tutti, salvo casi particolari. Come ci spiega Daniele Bazzana, personal trainer e preparatore atletico per ciclisti. Come si svolge una lezione tipo? Su apposite biciclette, chiamate spinbike, si pedala a ritmo di musica variando intensità, velocità e posizione (seduti, in piedi, mani più larghe o strette sul manubrio etc..). Combinando tutte queste varianti si riesce a creare un allenamento faticoso ma divertente e mai monotono e anzi, la musica, gli incitamenti e i comandi dell’istruttore, e anche il semplice stare in compagnia, è molto motivante

per i partecipanti, stimolandoli al massimo impegno. La lezione viene impostata dall’istruttore in base all’obiettivo. È sempre caratterizzata da almeno 5-6 minuti di riscaldamento blando iniziale, per poi iniziare a inserire lavori sempre più impegnativi che possono variare per durata e intensità. Si possono fare dei lavori intervallati, del fartlek (letteralmente “gioco di velocità), dell’Hiit (allenamento intervallato ad alta intensità), dei lavori a ritmo continuo o a carico progressivo, lavorare sulla resistenza, sull’esplosività, sulla rapidità o sulla forza resistente, o anche mixare queste capacità tra di loro, in base alla capacità tecnica dell’istruttore e a quella dei partecipanti alla lezione di sopportare i carichi proposti. Quali sono gli effetti di questo tipo di attività sull’organismo e quali i muscoli che si possono tonificare? Trattandosi di un’attività aerobica,

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sicuramente a livello fisiologico l’apparato più stimolato è quello cardiovascolare. L’intensità è mediamente alta e quindi c’è un alto consumo calorico (si possono arrivare a consumare anche 600-700 calorie in una lezione di 45 minuti) e un metabolismo energetico prevalentemente a carico dei carboidrati. Una lezione ben strutturata può aiutare a migliorare la capacità di VO2max (massimo consumo di ossigeno) di una persona, aiutandola a mantenere sforzi molto intensi sempre più a lungo o aumentare la propria potenza. A livello muscolare ovviamente il lavoro principale è svolto dai distretti degli arti inferiori, soprattutto glutei, quadricipiti femorali, flessori e tricipiti surali. Ma pedalare non è solo gambe: fondamentale e da non sottovalutare il lavoro stabilizzatore della parte superiore del corpo, soprattutto del pavimento pelvico, degli addominali, dei muscoli lombari e delle spalle.


Tanti benefici per corpo e mente > Miglioramento dell’efficienza dell’apparato cardiocircolatorio e respiratorio. > Miglioramento delle capacità di smaltimento del lattato e di massimo consumo di ossigeno. > Consumo calorico che può agevolare la perdita di peso. > Rinforzo muscolare degli arti inferiori. > Rinforzo stabilizzatore del tronco. > Aumento della resistenza fisica. > Scarico di stress e tensioni psicofisiche. > Miglioramento dell’umore grazie al rilascio ormonale causato dall’attività fisica.

Ci sono casi in cui può essere sconsigliabile o controindicata? Lo spinning può essere controindicato innanzitutto a chi ha gravi patologie cardiache ed eventualmente a chi ha patologie posturali o problemi alla schiena per i quali è controindicata la posizione in sella a una bicicletta, ad esempio alcuni casi di ernia. In realtà questo è un problema soggettivo perché dipende da com’è l’erniazione, in alcuni casi di pazienti con un’ernia si ha al contrario una riduzione del dolore mentre sono in sella alla bicicletta.

A chi, invece è consigliata? A tutte le persone sane che vogliono mantenersi in forma divertendosi. Può essere inoltre particolarmente vantaggioso per persone sovrappeso che vogliono comunque svolgere un’attività fisica aerobica ma per i quali altri corsi come step o zumba, giusto per citarne un paio, sarebbero sconsigliati per gli eccessivi carichi a ginocchia, caviglie, anche o schiena. Nello spinning essendo il peso sostenuto dalla bicicletta si può sforzare quanto si vuole, gestendo le proprie capacità e senza sovraccaricare le articolazioni.

MARCO GHEZZI

DANIELE BAZZANA Personal Trainer e Preparatore atletico ciclismo Centro Sportivo Casnigo

www.marcoghezzi.org

N. iscrizione ordine psicologi della Lombardia 4352

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IN FORMA

BELLEZZA

Extensions ciglia uno sguardo da star… senza rischi ∞  A CURA DI GIULIA SAMMARCO

Ciglia lunghe, folte e sempre perfette senza bisogno di truccarle tutte le mattine? Oggi è possibile grazie alle extensions, una delle ultime mode nel campo dell’estetica. Nata in America tra le star del cinema, da qualche anno è esplosa anche in Italia e sono sempre di più le donne che cedono al desiderio di avere uno sguardo in ordine in ogni momento della giornata, anche ad esempio dopo un bagno in piscina o un allenamento in palestra. Ma come vengono applicate? E quali precauzioni seguire per non rischiare problemi agli occhi? Lo abbiamo

chiesto a Patrizia Curreli, docente di corsi di formazione in allungamento delle ciglia. In cosa consiste l’applicazione? Nell’applicare una o più extensions su ogni ciglia naturale: grazie a un adesivo specifico si crea un legame tra extensions e ciglia che rende invisibile l’attaccatura, donando un aspetto naturale e valorizzante per lo sguardo. Si può scegliere tra due diverse tipologie di applicazione. La prima, il metodo One To One (una a una), consiste nell’applicare una singola extensions su ogni ciglia naturale, donando un effetto

occhio truccato con una maggiore definizione della linea dell’occhio. Questo tipo di trattamento è indicato a chi ha già molte ciglia e vuole un effetto mascara senza truccarsi. Il secondo è il metodo Volume, che a sua volta si divide in diverse tipologie: la 2D che prevede l’applicazione di due extensions molto sottili per ogni ciglia e dona un effetto di infoltimento molto naturale; la 3D che prevede l’applicazione di tre extensions molto sottili per ogni ciglia, con un risultato di maggiore volume, fino all’applicazione dei mega ventagli con un risultato di infoltimento molto importante. I

I consigli dell’American Academy of Ophthalmology Come sottolineato recentemente dall’American Academy of Ophthalmology, l’applicazione di extensions ciglia non è teoricamente esente da rischi come traumi o infezioni a palpebra e cornea in genere attribuibili a un’igiene non adeguata durante l’applicazione e nella manutenzione (le ciglia dovrebbero essere pulite quotidianamente per rimuovere sporco e impurità); reazioni allergiche alla colla, perdita temporanea di ciglia. Per evitare tutto questo gli esperti suggeriscono di scegliere operatrici con una specifica e certificata formazione ed esperienza e che rispettino attentamente le regole igieniche e di informarsi sugli ingredienti della colla, chiedendo di fare un test sul polso per essere sicure di non essere allergiche.


trattamenti volume sono indicati a chi ha le ciglia rade, o nel caso dei mega trattamenti, a chi desidera un effetto visivo molto importante. Il tempo di applicazione dipende dal tipo di trattamento scelto: può variare da un’ora e mezza fino a tre ore, di più per i trattamenti megavolume.

una buona durata inoltre è fondamentale non bagnarle e non venire a contatto con calore o vapore per 24 ore dopo l’applicazione. Vietatissimi sempre sono invece tutti i cosmetici occhi o make up oleosi; sul mercato ci sono prodotti idonei o specifici per chi indossa le extensions delle ciglia.

Ma quanto durano le extensions? La durata totale in linea di massima è di circa un mese e mezzo, anche se è condizionata da diversi fattori, come il ricambio naturale delle ciglia, che varia leggermente per ognuno di noi, e altri fattori. È consigliabile però un ritocco ogni tre settimane circa, per mantenerle sempre in ordine. Questo perché circa ogni tre settimane un terzo delle nostre ciglia cade e viene sostituito da nuove. Per garantire

Di che materiale sono fatte le extensions? Quali è meglio usare per non rovinare le proprie? In commercio ci sono vari tipi di ciglia: in fibra sintetica o naturale. Quelle in fibra sintetica anallergica possono essere di varie lunghezze, spessori, curvature, colori e tipologie. Le ciglia in fibra naturale presentano dei limiti, sono più costose, sono molto fragili e tendono a piegarsi e/o spezzarsi molto facilmente, inoltre possono dare allergie.

PATRIZIA CURRELI Docente di corsi di formazione in allungamento delle ciglia CEO Stylashes s.r.l.

Per quanto tempo si possono tenere? In linea generale, se il trattamento è eseguito da personale altamente qualificato, non esiste un tempo prestabilito, si possono tenere per molto tempo. Importante però è che l’operatrice tenga costantemente monitorate le ciglia della cliente, per constatarne l’effettivo stato di salute, che può dipendere da moltissimi fattori estranei al trattamento, come cure farmacologiche, periodi di stress, errata ma-

nutenzione a casa, sbalzi ormonali etc.. Generalmente, comunque, è consigliabile una pausa di uno o due mesi una volta all’anno. Quali sono i criteri da valutare per scegliere il trattamento migliore e più rispettoso dell’occhio? Sul mercato ci sono diversi tipi di curvature, spessore, lunghezze e materiali tra cui scegliere, non solo a seconda dell’effetto che si vuole ottenere ma soprattutto in base alle caratteristiche delle ciglia naturali. Una corretta valutazione è fondamentale per evitare stress alle ciglia naturali e mantenerle sane, ottenendo una maggiore durata del trattamento e maggior confort. Una volta tolte è normale che le ciglia siano più deboli? No. Se il trattamento è eseguito da personale qualificato, le ciglia naturali non si indeboliscono. È fondamentale rivolgersi a professioniste che abbiano effettuato tutti i corsi presso aziende/accademie serie. Inoltre gli occhi sono una parte molto delicata ed è quindi indispensabile che segua una corretta manutenzione e cura e che occhi e ciglia vengano detersi e puliti quotidianamente, un’abitudine spesso sottovalutata, importante sia per far durare di più il trattamento sia per non compromettere la salute di ciglia e occhi.


Contorno Verdure scottate

con crema di cannellini

Difficoltà di preparazione Facile

Tempo di preparazione 30 minuti

Calorie a persona 112 Kcal

INGREDIENTI per 4 persone 400 g... Verdure di stagione 200 g... Cannellini cotti 1/2 ....... Limone succo 1............ Pizzico di sale 1............ Cucchiaio di capperi 1/2........ Cucchiaino di senape in crema 1............ Cucchiaino di Tahin PREPARAZIONE Pulire le verdure. Scottarle separatamente per qualche minuto in acqua bollente un po’ salata, a pentola scoperta. Le verdure devono restare croccanti, non troppo cotte. Preparate la salsa di accompagnamento frullando tutti gli ingredienti e diluendo con l’acqua fino a ottenere la consistenza desiderata.

SIMONETTA BARCELLA Esperta di cucina naturale Co-autrice del libro “Il Cibo della Gratitudine”

Il tahin (o la tahina, o tahini o ancora tahine, come è conosciuto in alcuni paesi che si affacciano sul Mediterraneo) è una pasta preparata a partire da semi di sesamo, tostati e triturati. È usato come condimento, per esempio nei falafel, le polpette di ceci o nell’hummus.

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ALTRE TERAPIE

Artrite alle mani? Esercizi e terapia occupazionale per migliorare la vita quotidiana ∞  A CURA DI MARIA CASTELLANO

L’artrite reumatoide è una malattia infiammatoria autoimmune cronica che provoca dolore, gonfiore, rigidità delle articolazioni, in particolare di mani e piedi. Si stima che in Italia ne soffrano tra le 200.000 e le 300.000 persone, in particolare donne. Solitamente, compare per la prima volta tra i 35 e i 50 anni, ma può insorgere ad ogni età. Oggi, grazie non solo a diagnosi sempre più precoci e a nuovi farmaci ma anche a rimedi non farmacologi come la terapia occupazionale, l’impatto negativo della patologia sulla vita di tutti i giorni può essere notevolmente ridotto. «La Terapia Occupazionale può aiutare, in chi soffre di artrite reumatoide, a identificare diverse strategie per riuscire a svolgere, nel più alto grado di autonomia possibile, le diverse attività della vita quotidiana, a cominciare dalle più piccole come truccarsi, allacciare i bottoni della camicia, utilizzare il 48 | Bergamo Salute | Settembre/Ottobre 2019

coltello etc.» spiega Renata Canova, terapista occupazionale. Dottoressa, in che modo la terapia occupazionale può aiutare i pazienti a mantenere il più possibile la funzionalità dell’articolazione delle mani? Durante la fase iniziale della malattia si attuano quelli che sono chiamati “compensi preventivi”, ossia atteggiamenti volti a facilitare i gesti per non sottoporre le articolazioni a un eccessivo stress. Inoltre, dopo le dovute valutazioni, si sceglie l’ortesi più adatta al paziente per garantire un sostegno fisico per polso e/o dita durante l’esecuzione delle varie attività. Una strategia generale applicabile a diverse situazioni quotidiane è quella di ingrandire le “prese”. Manipolare degli oggetti piccoli comporta movimenti del

DOTT.SSA RENATA CANOVA Terapista Occupazionale Valle Seriana


polso e delle piccole articolazioni della mano che possono favorire le deformità come le “dita a colpo di vento”, cioè la deviazione ulnare delle dita lunghe. Utilizzando invece oggetti più grandi le dita rimangono più parallele e il polso mantiene una posizione neutra. Alcuni utensili utili per chi soffre di artrite reumatoide sono facilmente reperibili nei comuni supermercati, mentre altri accorgimenti sono subito applicabili senza spendere un centesimo.

La Terapia occupazionale promuove l’autonomia e la partecipazione della persona nelle attività della vita quotidiana e sociale in tutti i suoi aspetti (scuola, lavoro, tempo libero)”

Ci può fare degli esempi concreti? Nell’ambito dell’abbigliamento, ad esempio, è utile prediligere le cerniere, il velcro e i vestiti elasticizzati, cercando di evitare i bottoni. Se il cursore della cerniera è molto piccolo si può applicare un anello recuperato da un portachiavi: infilandovi la punta del dito sarà più facile alzare e abbassare la zip. Per ridurre i movimenti fini necessari a infilare e allacciare le scarpe con l’aiuto, ad esempio, di un calzascarpe e con dei lacci elastici al posto delle classiche stringhe. In bagno, invece, si può optare per un dentifricio dispenser (quindi senza tappino da svitare) e per uno spazzolino elettrico: aiuta a mantenere il polso e

la mano più fermi durante l’igiene orale e tendenzialmente ha un manico più grosso degli spazzolini manuali. Anche il rasoio elettrico è preferibile rispetto alle sottili lamette manuali. Lo stesso ragionamento, con prodotti sempre reperibili tranquillamente al supermercato, vale per altri oggetti di uso quotidiano come spazzola, pettine e tagliaunghie. In cucina, infine, è importante limitare lo spostamento di pesi. Bisogna ragionare su quali sono gli attrezzi e le pentole che si utilizzano maggiormente e raggrupparle in un unico punto a portata di mano: aprire e chiudere tante volte pensili e cassetti non favorisce la corretta economia articolare. Se il manico delle posate

è sottile, si può farlo ingrandire con del materiale termoplastico o rivolgersi a un tecnico ortopedico per comprare una posata adattata, ricordando che prima di acquistare ogni ausilio è opportuno fare prove per scegliere quello più idoneo. Si possono poi ridurre gli sforzi utilizzando bicchieri e tazze leggeri e imparando a sollevarli con entrambe le mani, coinvolgendo anche il palmo nella presa. Se il tavolo del pranzo è lontano dalla cucina ci si può attrezzare con un piccolo carrello per trasportare le pietanze e le bottiglie. Se la malattia invece è in fase avanzata? Durante la fase avanzata della patologia la limitazione articolare della persona potrebbe essere tale da rendere indispensabile l’uso della carrozzina. Il terapista occupazionale, insieme al paziente stesso e all’équipe riabilitativa, selezionerà il modello più idoneo e i sistemi di postura adeguati in base alle possibilità funzionali e alle necessità della persona. In questo caso quanto detto prima sulle ortesi, sulle prese ingrandite e sugli oggetti più leggeri possibile diventa non più un insieme di consigli preventivi, ma una necessità.


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GUIDA ESAMI

Risonanza Magnetica Multiparametrica e tumore alla prostata Una nuova tecnica non invasiva per diagnosi più precise ∞  A CURA DI VIOLA COMPOSTELLA

Il cancro alla prostata rappresenta nell’uomo il tumore maligno più frequente e il secondo più letale dopo quello del polmone in Italia. La buona notizia, però, è che se si diagnostica e si interviene in tempo può essere sconfitto. Proprio nell’ambito della diagnosi, negli ultimi anni si sta sempre più diffondendo la Risonanza Magnetica Multiparametrica, una nuova tecnica non invasiva e sofisticata, particolarmente efficace e precisa nell’individuazione e localizzazione di tumori prostatici, utile come esame di secondo livello ad esempio nei casi in cui il Psa risulti alterato. Ne parliamo con il dottor Ernesto Selva del Servizio di Diagnostica per Immagini del Policlinico San Marco dove è possibile sottoporsi a questo innovativo esame. Dottor Selva, parlando di diagnosi viene subito in mente l’esame del Psa. A partire da che età bisognerebbe farlo? Quanto è attendibile? Lo screening del tumore della prostata è indicato dai 40 anni e consiste in visita urologica con esplorazione transrettale della prostata, dosaggio dell’Antigene Prostatico Specifico (Psa) totale e del Psa libero. ll valore del Psa non è un indicatore specifico di tumore ma dipende da molteplici fattori tra cui età, dimensioni della prostata, infezioni o infiammazioni in atto (prostatiti). Un solo dosaggio

con valore elevato non costituisce indice di allarme quanto piuttosto il suo andamento nel tempo. In che modo allora si può avere la certezza della diagnosi? La diagnosi di tumore prostatico si ottiene mediante biopsia prostatica transrettale in anestesia locale, biopsia prostatica in tecnica cosiddetta Fusion (che permette di ottenere un’immagine tridimensionale della ghiandola prostatica), Risonanza Magnetica Multiparametrica della prostata. Quest’ultima rappresenta attualmente la migliore metodica radiologica nel delineare l’anatomia della prostata e dei tessuti circostanti e nell’identificazione di lesioni neoplastiche prostatiche. Supera infatti del 44-87% la precisione dell’ecografia prostatica nel riscontrare cancro, aumenta del 54% la probabilità di evidenziare cancro pericoloso e riduce del 1849% la probabilità di evidenziare cancro non pericoloso (innocuo o indolente) e che non richiede necessariamente un trattamento. Perché l’esame si chiama multiparametrico? L’esame di Risonanza Magnetica della prostata viene definito multiparametrico in quanto vengono acquisiti multipli parametri che, insieme, permettono una diagnosi più precisa: morfologia, perfusione ematica, densità cellulare e metabolismo. L’esame prevede l’utilizzo di apparecchiature di

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ultima generazione con specifica dotazione hardware e software. In quali casi può essere indicato? La Risonanza Magnetica Multiparametrica della prostata può essere oggi utilizzata: > nella valutazione di pazienti con Psa alterato, per identificare i casi da sottoporre a biopsia, evitando procedure invasive non indicate; > nella rivalutazione di pazienti con Psa alterato e biopsia

I SINTOMI Nelle fasi iniziali il tumore della prostata è asintomatico. Viene diagnosticato in seguito alla visita urologica, che comporta esplorazione rettale o controllo del Psa, con un prelievo del sangue. Quando la massa tumorale cresce, dà origine a sintomi urinari: difficoltà a urinare (in particolare a iniziare) o bisogno di urinare spesso, dolore quando si urina, sangue nelle urine o nello sperma, sensazione di non riuscire a urinare in modo completo. Spesso i sintomi urinari possono essere legati a problemi prostatici di tipo benigno come l’ipertrofia. Fonte: www.airc.it


Le cause e i fattori di rischio

DOTTOR ERNESTO SELVA Specialista in Radiologia Diagnostica per Immagini del Policlinico San Marco di Zingonia

negativa; > nella valutazione dell’estensione delle neoplasie, per determinare la miglior tipologia di trattamento; > nel follow-up di pazienti portatori di neoplasia prostatica poco aggressiva che scelgono in alternativa al trattamento

Uno dei principali fattori di rischio per il tumore della prostata è l’età: le possibilità di ammalarsi sono molto scarse prima dei 40 anni, ma aumentano sensibilmente dopo i 50 anni e circa due tumori su tre sono diagnosticati in persone con più di 65 anni. Quando si parla di tumore della prostata un altro fattore non trascurabile è senza dubbio la familiarità: il rischio di ammalarsi è pari al doppio per chi ha un parente consanguineo (padre, fratello etc.) con la malattia rispetto a chi non ha nessun caso in famiglia. Anche la presenza di mutazioni in alcuni geni come Brca 1 e Brca 2, già coinvolti nell’insorgenza di tumori di seno e ovaio, o del gene Hpc1, può aumentare il rischio. La probabilità di ammalarsi potrebbe essere legata anche ad alti livelli di ormoni come il testosterone, che favorisce la crescita delle cellule prostatiche, e l’ormone Igf1, che lavora sulla crescita delle cellule. Non meno importanti sono i fattori di rischio legati allo stile di vita: dieta ricca di grassi saturi, obesità, mancanza di esercizio fisico e altre abitudini poco salubri, sempre più diffuse nel mondo occidentale.

chirurgico un programma di “sorveglianza attiva”; > per individuare l’eventuale presenza di recidive in caso di rialzo del Psa dopo trattamento chirurgico, radiante o farmacologico.

È un esame doloroso? Non è doloroso considerato che nella nostra struttura viene eseguito senza l’utilizzo di bobina transrettale con una durata di circa 30-35 minuti. Successivamente si possono riprendere le normali attività.


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ANIMALI

Animali da compagnia e vaccinazioni Istruzioni per l’uso

∞  A CURA DI VIOLA COMPOSTELLA

L’autunno è il momento migliore se si vuole adottare un cane o un gatto. Molte famiglie e coppie, tornate alla vita quotidiana dopo le vacanze, decidono finalmente di accogliere in casa un amico a quattro zampe. Che si tratti di un adulto o di un cucciolo, una delle prime cose da sapere, per tutelare la salute del nuovo compagno di vita, è quali vaccinazioni devono essere fatte e quando. «Le vaccinazioni rimangono un presidio fondamentale nella lotta alle malattie infettive dei nostri animali da compagnia e nella prevenzione delle zoonosi, le malattie trasmissibili da animale a uomo» conferma il dottor Stefano Cattaneo, medico veterinario. «Grazie alle vaccinazioni abbiamo assistito a una drastica riduzione delle malattie infettive sul nostro territorio. Si pensi solamente che la rabbia, una malattia virale che può provocare mortalità elevata anche nell’uomo non è più presente in Italia (anche nel mondo

c’è una netta riduzione, ma 17.400 persone all’anno ne muoiono ancora). Nonostante i successi, la ricerca in questo campo è intensa, sia perché esistono ancora malattie infettive per cui il vaccino non è disponibile, sia per migliorarne l’efficacia e ridurne gli effetti collaterali, sia perché c’è una continua evoluzione degli agenti infettivi e quindi i vaccini esistenti devono essere adattati. A causa della complessità e della continua evoluzione epidemiologica e tecnologica a partire dal 2010 la Wsawa (l’Associazione mondiale dei veterinari degli animali da compagnia ) ha elaborato delle linee guida basate sulle evidenze scientifiche per la vaccinazione del cane e del gatto in cui sono individuati i “vaccini core” che dovrebbero essere effettuate da tutti i cani e da tutti i gatti, i “vaccini non-core” quelli che sono richiesti solo per gli animali che, per localizzazione geografica, ambiente locale o stile di vita, sono a

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rischio di contrarre determinate infezioni; infine ha classificato alcuni vaccini come “non raccomandati” (quando vi è un’insufficiente evidenza scientifica che ne giustifichi l’uso)».

DOTT. STEFANO CATTANEO Medico Veterinario Specialista in sanità pubblica veterinaria Libero professionista presso Ambulatorio Veterinario Città di Albino



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ANIMALI

Dottor Cattaneo, quali sono i vaccini “core”? I vaccini core per il cane sono quelli che proteggono contro il virus del cimurro, l’adenovirus canino e le varianti del parvovirus canino di tipo 2. I vaccini core per il gatto sono quelli che proteggono contro il parvovirus felino, il calicivirus felino e l’herpesvirus felino di tipo 1. Per i restanti vaccini la valutazione del piano vaccinale sarà molto diversificata a seconda dello stile di vita dell’animale e del rischio infettivo a cui è sottoposto. Se un vaccino è non-core non vuol dire che non sia importante, ma dipenderà dallo stile di vita dell’animale. Prendiamo ad esempio la leucemia felina, una malattia del gatto trasmessa principalmente attraverso la saliva da un

IN VACANZA È importante ricordare che le vaccinazioni necessarie possono differire a seconda del territorio e quindi è importante sempre chiedere al proprio veterinario, se sono necessarie ulteriori vaccinazioni, se si porta il proprio animale in villeggiatura. In particolare è importante sapere che, se si va all’estero, oltre al passaporto e al microchip, è necessario per legge effettuare la vaccinazione antirabbica almeno 21 giorni prima della partenza. Per alcuni Paesi è necessaria anche la titolazione antirabbica, la dimostrazione cioè che la vaccinazione sia stata efficace.

virus labile nell’ambiente: un gatto che vive solo in appartamento è improbabile che abbia bisogno della vaccinazione, ma sarà indispensabile in un gatto che esce di casa, considerata la gravità della malattia. Se si prende da cucciolo, a che età bisognerebbe iniziare le vaccinazioni? Il momento più importante nella vita dell’animale per la vaccinazione è quando è cucciolo, perché il suo sistema immunitario è in fase di sviluppo ed è più esposto alle malattie infettive. La maggior parte dei cuccioli è protetta dagli anticorpi materni e questa immunità inizierà a scendere fra le 8 e le 12 settimane, per cui la raccomandazione delle linee guida è di iniziare con i

vaccini core a sei-otto settimane e di somministrare l’ultimo richiamo vaccinale nella 16° settimana di età o più, evitando l’interferenza con gli anticorpi materni che sono la causa più comune di insuccesso vaccinale. In genere viene poi effettuato un richiamo intorno all’anno di età, anche se in alcuni soggetti potrebbe essere necessario un richiamo prima. È possibile attraverso un prelievo di sangue un mese dopo l’ultima vaccinazione verificare l’effettiva presenza di anticorpi e in base al risultato programmare il richiamo vaccinale. Una domanda frequente nei proprietari di cani è quando il cucciolo può incontrare altri cani senza rischi di contagio, considerato che per una corretta socializzazione è importante che


il cucciolo incontri i suoi consimili precocemente. Gli studi dicono che la probabilità che il cucciolo contragga una malattia infettiva compresa nel protocollo vaccinale è bassa, ma non nulla, per cui, essendo importante la socializzazione per uno sviluppo equilibrato del comportamento, occorre effettuarla in ambienti protetti e con cani vaccinati. Ma una volta fatte devono essere ripetute e, nel caso, con che frequenza? Gli animali che hanno risposto alla vaccinazione mantengono una solida immunità (memoria immunologica) e l’obiettivo è di ridurre il carico vaccinale, in modo da mantenere una solida difesa immunitaria minimizzando gli effetti collaterali. Le linee guida propongono intervalli di vaccinazione di tre

anni per i vaccini-core e in genere di un anno per i vaccini non-core (con alcune eccezioni come ad esempio la vaccinazione antirabbica). In alternativa si può verificare annualmente l’effettiva presenza di titoli anticorpali attraverso un prelievo di sangue e vaccinare solo se è presente un calo delle difese immunitarie (alcuni soggetti possono mantenere una protezione per molti anni). Anche gli animali anziani, vanno vaccinati, perché come nell’uomo, indebolendosi il sistema immunitario, sono più a rischio. Chi può vaccinare? Il medico veterinario è l’unica figura professionale adibita alla vaccinazione, perché è in grado di accertare lo stato di salute dell’animale e l’assenza di patologie che possano interferire con la vaccina-

zione e in grado di intervenire, in caso di reazioni avverse al vaccino (dalle più blande come il rialzo febbrile a gravi come lo shock anafilattico o, nel gatto, il sarcoma iniezione indotto). Purtroppo succede ancora di trovare libretti vaccinali senza il timbro e firma del veterinario, con protocolli errati e quindi con il rischio che l’animale non sia protetto adeguatamente dalle malattie infettive e pertanto all’acquisto di un cucciolo è bene sempre verificare il libretto delle vaccinazioni. Si tratta di un abuso professionale che porta a un grosso danno alla società, perché viene meno la farmacovigilanza, attuata dal medico veterinario che segnala gli eventuali effetti collaterali, contribuendo così al miglioramento continuo di questo importante presidio per la lotta alle malattie infettive.


ATS INFORMA

Scabbia conoscerla per prevenirla ∞  A CURA DI ATS BERGAMO

Nell’ambito del progetto AMICO, promosso dal Dipartimento di Igiene e Prevenzione Sanitaria dell’Agenzia di Tutela della Salute di Bergamo, per sensibilizzare i lettori alla prevenzione delle malattie infettive a scuola, parliamo della scabbia.

CHE COSA È La scabbia è un’infestazione contagiosa della cute dovuta all’acaro, specie-specifico esclusivo dell’uomo, Sarcoptes Scabiei var. hominis.

due a sei settimane, tempo necessario per la replicazione dei primi parassiti e lo sviluppo dei sintomi.

LE SEDI PIÙ FREQUENTEMENTE COLPITE Il riscontro più frequente è fra gli spazi interdigitali delle mani, polsi, gomiti, ascelle, ombelico, fianchi, superficie interna delle cosce, genitali esterni maschili ed areole mammarie. Nel bambino e nel neonato la scabbia ha una distribuzione diffusa, interessando anche volto, cuoio capelluto e pieghe cutanee.

COME SI TRASMETTE La trasmissione avviene per contatto cutaneo diretto e prolungato dalla persona infestata a quella sana; più raramente per via indiretta, tramite gli indumenti o i cosiddetti effetti letterecci (come lenzuola, federe, coperte etc.). La persona è contagiosa durante tutto il periodo di incubazione, anche se asintomatica. L’acaro non vive al di fuori dell’ospite, se non per pochi giorni sugli indumenti infestati. La scabbia non viene trasmessa dagli animali all’uomo.

IL PERIODO DI INCUBAZIONE Il periodo d’incubazione dura da

I SEGNI E I SINTOMI TIPICI Il segno tipico è il cunicolo: rilievo lineare a livello della superficie cutanea. Altro segno è il nodulo, spesso ricoperto da squamo-croste. Il sintomo caratteristico della scabbia è il prurito, a cui possono sovrapporsi lesioni da grattamento: si acutizza di notte e in genere risparmia viso e cuoio capelluto.

COME SI HA LA CERTEZZA CHE SI TRATTI DI SCABBIA Il medico, meglio se specialista dermatologo, è in grado di diagnosticare l’infezione semplicemente osservando la lesione sulla pelle e attraverso alcune domande sui

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sintomi. Nei casi dubbi la diagnosi viene confermata con l’esame microscopico: il dermatologo effettua piccoli prelievi della cute per confermare la presenza dell’acaro e/o delle sue uova.

COSA FARE SE SI VERIFICA UN CASO DI MALATTIA Non c’è possibilità di guarigione spontanea. Sia il malato sia i contatti “stretti” (persone che hanno avuto ripetuti contatti cute-cute con il caso, come familiari e/o conviventi), anche se asintomatici, devono procedere al trattamento


con farmaci specifici da applicarsi sulla cute, secondo le indicazioni dello specialista o del proprio medico curante. La disinfezione ambientale non è di alcuna utilità: i parassiti non sopravvivono più di tre-quattro giorni se non sono a contatto con la pelle. È necessaria invece un’accurata pulizia dell’ambiente, della biancheria (lenzuola, asciugamani, ecc.) e degli indumenti indossati negli ultimi tre giorni dal malato prima dell’inizio del trattamento con il loro lavaggio a 60°C. Nel caso di indumenti non lavabili in lavatrice è necessario riporli in sacchetti di plastica, che devono essere conservati in un ambiente isolato per almeno 15 giorni, evitandone il contatto con le persone. Per materassi, divani e poltrone bisogna invece usare strumenti a getto di vapore ad alta temperatura.

IL RUOLO DELL’AGENZIA DI TUTELA DELLA SALUTE NEI CASI CHE COINVOLGONO LA SCUOLA Quando si verifica un caso di scabbia gli Operatori Sanitari del Dipartimento di Igiene e Prevenzione Sanitaria dell’ATS collaborano con il pediatra, il medico di

base, la famiglia e la scuola al fine di favorire la guarigione e impedire la diffusione della malattia nella collettività scolastica. La normativa prevede che il medico che diagnostica la scabbia lo segnali all’ATS in modo che gli operatori sanitari possano condurre un’inchiesta epidemiologica e dare indicazioni sulle misure d’igiene da adottare, utili al contenimento della malattia e alla sua prevenzione: > evitare lo scambio di indumenti tra i bambini frequentanti la collettività; > utilizzare salviette monouso o asciugamani personali, che devono essere lavati ad alte temperature (60°C); > disinfettare la biancheria (lenzuolini, federe, etc.) mediante lavaggio ad alte temperature (60°C); > detergere e disinfettare quotidianamente i giochi, evitando l’uso di quelli che non possono essere sottoposti a tale trattamento (ad esempio i peluches); > lavare e disinfettare i tappeti, arredi e stoffe. Il personale scolastico ha un ruolo importante nella verifica dell’osser-

vanza delle regole di igiene durante l’orario scolastico. Gli operatori sanitari del Dipartimento di Igiene e Prevenzione Sanitaria, in collaborazione col dirigente scolastico, distribuiscono alle famiglie degli alunni interessati e al personale scolastico una nota informativa sulla malattia, su come riconoscerla e come prevenirla. Per il bambino affetto da scabbia è previsto l’allontanamento dalla frequenza scolastica. Lo stesso verrà riammesso, con nulla osta sanitario redatto dal medico dell’ATS, solo dopo controllo specialistico dermatologico che confermi la guarigione.

GIORGIO GENNATI Assistente Sanitario ATS – Bergamo Team del Progetto AMICO

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DAL TERRITORIO

NEWS

NEWS Where are U: l’app che può salvare la vita La drammatica morte quest’estate del turista francese, di 27 anni, deceduto il 9 agosto nel corso di un’escursione sui monti del Cilento, ha riacceso l’attenzione sull’importanza di poter essere geolocalizzati in tempi brevissimi in caso di incidenti o malori. Il giovane, ritrovato nove giorni dopo, era riuscito a chiamare il 118 senza essere però in grado di fornire indicazioni sulla posizione. La tragedia, che ha scosso l’opinione pubblica, ha avuto come conseguenza un boom dei download di Where are U, l’app che localizza con precisione e invia la posizione al numero unico 112. Sviluppata dall’Azienda Regionale dell’Emergenza Urgenza - AREU della Lombardia, Where Are U è un’applicazione telefonica per le chiamate di emergenza che trasmette automaticamente alle centrali pubbliche del Numero Unico dell’Emergenza 112 la localizzazione puntuale del chiamante, anche nei casi in cui questi non conosca o non sia in grado di fornire dati precisi sulla propria posizione. L’app infatti rileva i dati tramite GPS e/o rete dati e li riferisce al servizio di emergenza per consentire di effettuare l’intervento nel più veloce tempo possibile. Where Are U è disponibile, gratuitamente, per Ios, Android e Windows Phone e si trova sul portale Where.areu.lombardia.it, su Apple App Store, Google Play Store o Windows Phone App Store, cercando 112 Where are U.

Ats Bergamo e Atalanta B.C. insieme per la promozione di stili di vita sani tra i giovani Comunicare direttamente ai più giovani valori e messaggi importanti per la loro salute, presente e futura, utilizzando come veicolo di diffusione un esempio positivo e corretto nel mondo del calcio come quello dell’Atalanta. È questo l’obiettivo della convenzione tra la società calcistica e l’Ats di Bergamo. A sottoscrivere l’accordo, ai primi di settembre, Massimo Giupponi, direttore di Ats Bergamo, e Stefano Bonaccorso, responsabile delle attività di base di Atalanta B.C.. La collaborazione, esempio di partenariato pubblico e privato, prima esperienza del genere per il sistema sanitario regionale, si concentrerà inizialmente su tre temi. Innanzitutto la diffusione e il potenziamento dell’app Moovin’, che vede Ats Bergamo tra i promotori ed è nata per sensibilizzare a un più sano stile di vita, partendo dal movimento fisico; la ludopatia, ormai diventata, anche tra i più giovani, una vera e propria malattia con pesanti ricadute sociali ed economiche; la diffusione di stili di vita e buone abitudini (punto di partenza per una vita adulta e una vecchiaia sane).


Campagna Nastro Rosa 2019 Con 52.800 casi in Italia e 800 casi a Bergamo nel 2018, la neoplasia della mammella rappresenta il tumore più frequente nelle donne, con una tendenza negli ultimi anni ad aumentare, soprattutto nella fascia d’età tra 45 e 49 anni. È invece in costante diminuzione la mortalità grazie all’efficacia delle nuove terapie e alla diagnosi precoce. Oggi la sopravvivenza media dopo 5 anni dalla diagnosi è di circa l‘87%. Proprio per sottolineare l’importanza della diagnosi precoce, anche quest’anno Lilt Onlus propone la XXVII edizione della Campagna Nastro Rosa, promossa dalla sede nazionale della Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori, patrocinata dal Ministero della Salute. A Bergamo, dal 1 ottobre la Lega Italiana per la lotta contro i Tumori Onlus, sezione di Bergamo, con il Patro-

cinio del Comune di Bergamo e in collaborazione con Cittadinanza Attiva, avvia il programma di sensibilizzazione delle donne con la tradizionale offerta di visite senologiche gratuite. Quest’anno saranno messe a disposizione 736 visite. All’iniziativa partecipano tutte le strutture pubbliche e private convenzionate della provincia: ASST Papa Giovanni XXIII, Asst Bergamo Est, Asst Bergamo Ovest, Humanitas Castelli, Humanitas Gavazzeni, Clinica S. Francesco, Gruppo Habilita, Istituti Ospedalieri Bergamaschi, Methodo, Istituto Clinico Quarenghi a San Pellegrino e RSA Fondazione Sant’Andrea a Clusone, oltre alle Delegazioni Lilt Onlus di Verdello e di Trescore Balneario. Anche per quest’anno le prenotazioni potranno essere effettuate esclusivamente onli-

ne, dal sito www.legatumoribg. it. La campagna è indirizzata alle donne escluse dallo screening mammografico promosso da Regione Lombardia. Avranno quindi accesso le donne di età inferiore ai 45 anni e superiore ai 75 anni. Considerata l’elevata richiesta di prestazioni e coerentemente con le linee guida in materia, Lilt Onlus ha scelto di consentire prioritariamente la prenotazione a coloro che non hanno usufruito della visita lo scorso anno e non presentano alcune situazioni particolari (allattamento, mastoplastica additiva etc). Durante il mese di ottobre, anche a visite esaurite, a seguito di rinuncia a prestazioni già prenotate, si potranno trovare appuntamenti disponibili: è sufficiente avviare la procedura per verificare l’eventuale ulteriore possibilità.


DAL TERRITORIO

ONLUS

Associazione Aiuto Donna uscire dalla violenza ∞  A CURA DI LELLA FONSECA

Prevenire e contrastare ogni forma di violenza contro le donne sia in ambito familiare sia sociale. È questo lo scopo del Centro Antiviolenza dell’Associazione Aiuto Donna Uscire dalla violenza Onlus, operativo in Bergamo e Provincia dal 1999. «L’Associazione è nata all’interno del Consiglio delle Donne del Comune di Bergamo, un organismo a partecipazione femminile istituito dal Consiglio Comunale nel 1996, in cui operava una commissione che si occupava espressamente del disagio femminile. Da un’indagine svolta emerse la necessità di affrontare con strumenti adeguati la violenza a danno delle donne, un problema tanto diffuso quanto sommerso» ricorda la presidente Oliana Maccarini. Lo dimostrano i dati attuali: le donne della città e Provincia che si sono rivolte al Centro Antiviolenza Aiuto Donna di Bergamo sono state 283 nel 2017 e 318 nel 2018, mentre altre 100 hanno preso contatti telefonici. Oltre 60% sono italiane, la maggioranza con figli minori, senza reddito il 40% (questo dato incide molto sulle possibilità concreta di uscire dalla situazione in cui si trova). I maltrattamenti sono fisici, psicologici, economici e sessuali, ma sono in aumento anche i casi di stalking (circa il 6%). Solo il 40% delle donne denuncia, rivolgendosi a forze dell’ordine o ospedali, quando avverte il pericolo di vita per sé e i propri figli. L’autore della violenza è il marito nel 45% dei casi, a seguire conviventi, ex marito o partner; di

nazionalità italiana 63%, con una condizione economica medio alta; nel 38% dei casi non presenta problemi specifici e solo il 22% fa uso di sostanze, compaiono problemi psichici e precedenti penali. A quali principi vi ispirate? I principi fondanti sono: > riservatezza, segretezza e anonimato; > uguaglianza a prescindere dalla provenienza, età, nazionalità, religione, orientamento sessuale, stato civile e condizione economica; > gratuità e centralità della donna, in nessun caso il Centro Antiviolenza si sostituisce a essa, ogni decisione viene presa in piena libertà. Come si compone l’équipe? Comprende operatrici dell’accoglienza, psicologhe e psicoterapeute, educatrici professionali, avvocate in ambito civile e penale, consulenti per l’orientamento al lavoro, etnoclinica e mediatrici linguistico culturali. Quando indicato le professioniste consulenti del Centro Antiviolenza attivano incontri d’équipe, eventualmente anche con l’operatore del Servizio Sociale di competenza se coinvolto.

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Quali servizi offrite alle donne? Nel rispetto della metodologia del Centro Antiviolenza, che si basa sull’accesso spontaneo delle donne (di maggiore età), sulla loro accoglienza e affiancamento durante il percorso di uscita dalla violenza, offriamo: > ascolto telefonico svolto da operatrici appositamente formate per accogliere la richiesta della donna, raccogliere informazioni e fissare se richiesto il primo colloquio in sede; > colloquio/i di accoglienza in sede con due operatrici, formate sul tema della violenza di genere, che cercano di comprendere la situazione, aiutare la donna a fare chiarezza rispetto a ciò che vive e costruire insieme a lei un possibile progetto di uscita dalla violenza; > valutazione del rischio attraverso lo strumento S.A.R.A. S.-Screening (Spousal Assault Risk Assessment) che valuta il rischio di recidiva nei casi di violenza interpersonale tra partner; > consulenza psicologica, che generalmente prevede tre colloqui per ridurre la probabile confusione, riconoscere

Associazione Aiuto Donna - Uscire dalla Violenza Via San Lazzaro 3, Bergamo (BG), Tel. 035 212 933 www.aiutodonna.it Codice Fiscale 95107700163 IBAN: IT 70 I 05428 11101 0000 000 98722


vissuti, stati d’animo, paure, e per evidenziare eventuali collegamenti tra esperienze pregresse (anche precoci) e modalità relazionali attuali; > sostegno psicologico, proposto su valutazione della psicologa o dell’équipe e costituito da un pacchetto di 10 colloqui svolto all’interno del Centro; > gruppi di auto-aiuto, uno spazio di confronto e condivisione della propria esperienza con altre donne; > consulenza legale, con legali iscritte all’Albo del gratuito patrocinio che permette alla donna di informarsi sulla sua posizione, sui possibili scenari che potrebbero aprirsi (ad esempio una richiesta di separazione, un’eventuale denuncia e tutto ciò che potrebbe coinvolgere lei e i figli a livello legale); > counseling individuale,

per iniziare a costruire una relazione di fiducia necessaria per intraprendere percorsi di emancipazione complessi; > sportello stalking, che attraverso operatrici dell’accoglienza e consulenti offre un servizio specifico per donne vittime di stalking; > consulenza etnoclinica, mediazione linguistico culturale

per le donne di origine straniera; > orientamento al lavoro per le donne disoccupate; > collaborazione con il Servizio Sociale di competenza se questo è stato coinvolto. Inoltre abbiamo creato il Progetto Sosteniamole: una raccolta fondi a sostegno delle donne che necessitano di beni di prima necessità nel primo periodo di autonomia.

VIVAVITTORIA BERGAMO In Piazza Vecchia a Bergamo Alta il 23 e 24 novembre 2019, in occasione della Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne, sarà visibile una grande opera di condivisione e solidarietà, una immensa coperta fatta di quadrati colorati lavorati a maglia o uncinetto da volontari. Il progetto, a cui abbiamo dedicato un articolo sul numero luglio-agosto di Bergamo Salute, è denominato VivaVittoria Bergamo ed è stato promosso dal Club dei Punti del Circolo Culturale Minardi. Le coperte esposte saranno oggetto di una raccolta fondi contro la violenza sulle donne a sostegno di Aiuto Donna.


DAL TERRITORIO

FARMACIE

Malattie croniche La farmacia in rete per una gestione migliore e più efficiente

∞  A CURA DI MARIA CASTELLANO

La gestione delle malattie croniche è diventata ormai un fenomeno di dimensioni rilevanti e non solo dal punto di vista sanitario. È infatti un enorme problema mondiale di amministrazione delle risorse economiche che riguarda in pieno anche il nostro Paese. Lo testimonia il Patto Nazionale della Cronicità, l’Accordo stipulato tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome di Trento e di Bolzano nel 2016, che richiama lo stato di salute della popolazione e fornisce indicazioni in merito alle misure che le regioni devono adottare sul piano organizzativo. Si stima che ormai il 70-80% delle risorse sanitarie a livello mondiale siano dedicate alla cura delle malattie croniche e che il fenomeno andrà via, via crescendo con la tendenza all’invecchiamento della popolazione. È lo stesso piano della cronicità che ricorda come in ambito europeo “malattie come lo scompenso cardiaco, l’insufficienza re-

spiratoria, i disturbi del sonno, il diabete, l’obesità, la depressione, la demenza, l’ipertensione, colpiscono l’80% delle persone oltre i 65 anni e spesso si verificano contemporaneamente nello stesso individuo. Ed entro il 2060 si prevede che il numero di Europei con età superiore a 65 anni aumenti da 88 a 152 milioni, con una popolazione anziana doppia di quella sotto i 15 anni”. Già attualmente l’Italia, secondo i dati Eurostat, è uno dei paesi più vecchi d’Europa e del mondo, contando una maggior quota di persone che superano i 65 anni di età. Secondo previsioni Istat nel 2032, questa quota, sul totale della popolazione, dovrebbe raggiungere il 27,6%, con circa 17.600.000 anziani in valore assoluto. «Cercando la massima semplificazione, possiamo affermare che le principali direttrici per affrontare questa situazione trovano le fondamenta

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su due pilastri: la prevenzione e la riorganizzazione dei sistemi sanitari regionali» osserva il dottor Giovanni Petrosillo, Presidente di Federfarma Bergamo. «Sulla prevenzione molto si è scritto e forse poco si è concretamente, fino a ora, fatto. Non vi è ormai alcun dubbio sulla concatenazione degli stili di vita ai suoi effetti sullo stato di salute. Fumo, alcool, alimentazione non corretta, sedentarietà e altro ancora sono fattori determinanti nello sviluppo di malattie croniche come, ad esempio, le patologie cardiocircolatorie che, secondo il Ministero della Salute, sono la principale causa di morte (37,35%). Sul tema delle prevenzione, si può a ragion veduta affermare quanto siano importanti gli screening. La popolazione lombarda di una certa fascia di età si sta sottoponendo allo screening per il tumore del colon retto: si tratta di un progetto partito da diversi anni in poche Regioni (Lombardia una delle primissime)


e ormai diventato di interesse nazionale, con risultati importanti di emersione di quadri non ancora patologici, ma di sicuro e di grave impatto sulla salute se non diagnosticati per tempo. Questo si è tradotto in vite salvate, condizioni di vita critiche evitate e risparmio assicurato per il sistema. Si pensi, poi, a quanto è importante la diagnosi precoce della patologia del diabete e, meglio ancora, la potenziale emersione del tasso dei soggetti che sono a rischio diabete, ossia in condizioni tali che con semplici accorgimenti sull’alimentazione o l’attività fisica possono evitare un diabete conclamato». Su questo fronte le farmacie da un paio di anni hanno gestito un progetto di carattere nazionale. «Il

DOTT. GIOVANNI PETROSILLO Farmacista Presidente di Federfarma Bergamo

progetto ha prodotto importanti dati di prevenzione e, soprattutto, ha confermato uno scenario che richiamerebbe politiche di intervento, programmato, organizzato e strutturato in modo permanente» continua Petrosillo. «E questo è appunto il secondo pilastro di intervento del fenomeno: una riorganizzazione della governance della cronicità. Il Piano Nazionale della Cronicità ne è la guida, le Regioni ne sono gli esecutori. Il concetto di base è molto semplice. La gestione del paziente cronico, per quanto è possibile, deve necessariamente essere affidata al territorio che deve organizzarsi in modo da garantire una rete inter-professionale tale da garantire continuità di cura e percorsi coerenti del paziente. La rete è composta dai professionisti sanitari del territorio, ognuno secondo le proprie competenze professionali, ad assumere compiti di accompagnamento del paziente nel suo cammino di cura (presa in carico), assicurandogli virtuosità nei livelli di cura, terapeutici, diagnostici, di avvio alla specialistica. Non quindi percorsi “fai da te” che oltre a essere poco virtuosi procurano anche occasioni di maggior spesa, ad esempio, con ricorsi eccessivi ed inutili all’ambito specialistico. Di questa rete, le farmacie dovrebbero essere parte insostituibile nell’evoluzione stessa del concet-

to di presa in carico, erogando servizi, come la telemedicina e le analisi di prima istanza, effettuando monitoraggio sull’uso corretto del farmaco e sulla sua regolare assunzione, scambiando i relativi dati con gli altri professionisti, medici e pediatri di libera scelta in primis. Del ruolo delle farmacie sin qui si è purtroppo molto più scritto che concretamente realizzato (un po’ come per la prevenzione), ma a raddrizzare la rotta è finalmente intervenuto il Ministero della Salute che, con il supporto di un gruppo tecnico in cui erano rappresentati i competenti ministeri, l’università, le categorie sanitarie interessate (erano presenti anche due farmacisti bergamaschi), ha prodotto un disciplinare di sperimentazione di nuovi servizi in farmacia. Si tratta di una verifica, già finanziata con un fondo di 36 milioni di euro, dell’effettiva importanza, per il cittadino e per il SSN, della “Farmacia dei Servizi”, da attuare nei prossimi tre anni in nove regioni, tra cui la Lombardia. Tra i servizi da sperimentare, quelli principali dal punto di vista sanitario e professionale saranno proprio le attività che rientrano nell’ambito del monitoraggio delle terapie farmacologiche del paziente cronico; un primo grande passo della farmacia verso il futuro della professione da dedicare al nuovo quadro sanitario emergente».

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POLIARTRITE NODOSA Codice di Esenzione. RG0030. Categoria. Malattie del sistema circolatorio. Definizione. Vasculite necrotizzante sistemica che interessa le arterie dei muscoli di piccolo e medio calibro. Epidemiologia. Compare maggiormente tra i 3 e 12 anni e colpisce soprattutto il sesso maschile (2,5:1). Segni e sintomi. Il quadro clinico è caratterizzato da febbre, stanchezza, dolori addominali, artralgie. La sintomatologia varia a seconda dell’organo interessato. Particolarmente colpito il rene dove può essere presente sia il danno ischemico glomerulare sia una glumerulonefrite (patologia infiammatoria che interessa i glomeruli renali), a cui può associarsi ipertensione arteriosa. Possono inoltre essere interessati: sistema nervoso (convulsioni, ipoestesia, diplopia) cuore (infarto miocardico, miocardite); cute (rash, porpora, noduli); sistema gastroenterico (dolori addominali, infarto e perforazione intestinale). Esiste inoltre una periartrite esclusivamente cutanea ad andamento ciclico e prognosi favorevole. Eziologia. Riconosce una patogenesi da immunocomplessi. Diagnosi. Gli esami di laboratorio sono abbastanza aspecifici (anemia, ipocromia, leucocitosi, compromissione della funzionalità renale, TAS, SGOT, CPK e proteina C reattiva elevate; HbsAg positivo in una buona percentuale dei casi). L’arteriografia renale e mesenterica può evidenziare la presenza di aneurismi. L’istologia è maggiormente diagnostica per evidenziare un quadro di necrosi delle piccole e medie arterie. La biopsia renale mostra più frequentemente una glomerulonefrite mesangiale. Terapia. È prevalentemente a base di corticosteroidi. Nei pazienti che non rispondono viene utilizzata la ciclofosfamide per via orale o endovenosa. La plasmaferesi (procedura terapeutica che “sostituisce” parte del plasma totale con idoneo liquido sostitutivo) sembra avere un ruolo importante nei casi severi. Dottor Angelo Serraglio Vice Presidente ARMR

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DAL TERRITORIO

TESTIMONIANZA

Quaranta figli mi hanno ridato la vita L’incredibile storia di una donna malata di cancro al seno ∞  A CURA DI LUCIO BUONANNO

«Devo ai miei bambini e a mio marito se sono riuscita a superare le tante operazioni, la chemioterapia, i mesi in ospedale, la riabilitazione, il cancro. Mi hanno dato la forza di combattere giorno dopo giorno negli ultimi sette anni» racconta Giuseppina Carmela Socci, molisana trasferitasi anni fa prima a Crema come caposala dell’ospedale e poi nella Bergamasca come “mamma” affidataria per i ragazzi in difficoltà.

la”. Ci sono i ragazzi da seguire, mio marito. Ho cominciato vent’anni fa con l’Associazione Fraternità che si occupa di affido nel Cremasco e gestisco con loro questa casa famiglia a Osio. E allora devo reagire. Mi rimetto alle cure dei medici. Mi affido a ottobre del 2012 al dottor Fenaroli, primario di senologia, e al dottor Tondini, primario di oncologia. L’intervento, all’ospedale di Bergamo, dura dieci ore. Poi la riabilitazione, altri mesi, a Mozzo. Un’esperienza durissima che però mi aiuta a riprendere la mia vita. E finalmente nella primavera dell’anno dopo ricomincio a vedere la luce, i miei ragazzi in affido per i quali negli anni Novanta ho lasciato il lavoro. Per me che non ho avuto figli, è una missione. La prima bambina che ho accolto ha ora trent’anni ed è stata con me per quindici».

Il calvario di Giuseppina inizia nel 2012 con un dolore al braccio. Il suo medico le fa fare un’ecografia, le viene diagnosticata una mastite (Ndr. processo infiammatorio che interessa la ghiandola mammaria), si cura, ma le terapie non funzionano, il male non passa. «Decido allora di fare un altro esame, una mammografia. La senologa, la dottoressa Caterina Valerii del Papa Giovanni mi dice che c’è una massa di cinque centimetri, forse una cisti. Per sicurezza esegue anche l’ago aspirato. Torno a casa tranquilla. Per me l’esito è negativo, almeno così spero. Invece qualche giorno

«Sì, la mia è davvero una missione» continua Giuseppina. «Sento che non può finire mai, nemmeno a causa di una malattia come il cancro. I ragazzi sono la nostra vita. Prima di giudicare le loro situazioni bisogna capirli, stare loro vicini. Noi accogliamo sempre anche le famiglie dei ragazzi che spesso meritano una seconda possibilità. È dura per loro ammettere di essere in difficoltà. Bisogna imparare a rispondere ai bisogni dei ragazzi che spesso hanno vissuto esperienze e traumi sapendo però che questi figli non saranno mai tuoi, fai loro da mamma, ma poi devi lasciali an-

La sua casa famiglia, a Osio Sotto, dove accoglie ragazzi in affido è sempre aperta. Finora ne ha accolti una quarantina che le hanno dato più affetto di quello che lei è riuscita, anche tra mille ostacoli, a concedere loro. E l’hanno aiutata con il loro amore a superare un brutto cancro al seno che stava per portarla via.

dopo la dottoressa mi chiama e mi comunica la notizia con molta delicatezza e umanità e mi spiega cosa avremmo dovuto fare. Capisco poco di quello che mi dice. Sto malissimo. Penso soltanto che non ci riuscirò, che la mia vita è finita. Torno a casa, piango per tre giorni, svuoto gli armadi, regalo tanti vestiti, penso addirittura al mio funerale. Voglio lasciare tutto in ordine».

Dopo un primo momento di sbandamento, però, Giuseppina sente che non può mollare ma deve affrontare la malattia per sé e per la sua famiglia allargata. «Non so come ma trovo la forza di reagire. Mi guardo allo specchio. Sto ancora male, ma sono una donna di fede e la fede ti aiuta. Capisco che non devo lasciarmi andare. “Basta” quasi grido “devo affrontare la malattia a viso aperto, anzi devo combatter-

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tia. Io e sua mamma siamo rimasti in contatto. È stata operata e ora anche lei ce l’ha fatta» racconta.

Giuseppina con il marito

dare. L’affido, di cui si parla poco, è una risorsa importante che dà aiuto a minori in grave difficoltà ma ha sempre come obiettivo il rientro alle proprie famiglie. Non ci muoviamo mai da soli, siamo sempre seguiti dai giudici e assistenti sociali. A volte ho dovuto accompagnare qualche ragazzo in comunità terapeutiche o ho dovuto medicare le ferite di chi aveva subito abusi. Noi cerchiamo con l’affido di offrire il calore di una casa ma non sempre c’è il lieto fine. Proviamo a indirizzarli, far capire che da un certo punto in poi dipende solo da

loro. La scuola può essere il loro riscatto. Purtroppo, però, non tutti ce la fanno». E qualche ragazzo in affido davvero non ce la fa. «Tra i nostri figli affidatari c’è stato anche chi se n’è andato sbattendo la porta ma poi è tornato dicendo quanto abbia ricevuto da me e mio marito. Ma c’è anche quello cui sono particolarmente legata perché qualche anno dopo di me anche sua mamma ha avuto l’esperienza di un tumore al seno. Lui la incoraggiò a lottare raccontandole la mia storia. Aveva vissuto con me il periodo della mia malat-

Giuseppina ha energie da vendere, si mette sempre al servizio degli altri, è nel suo Dna. E così ha anche fondato su Facebook un gruppo di sole donne, quasi quattromila, “Le toste, rinascita dopo il cancro al seno”, per combattere il cancro al seno con l’ironia, l’allegria e l’unione ma con due altre regole importanti: “gentilezza e cortesia”. «Mi sembrava il nome più adatto a descrivere donne che non si arrendono mai. Io ho cominciato quando sono arrivata al Nord da Campobasso costretta ad affrontare i pregiudizi della gente». E ora, grazie alla sua tenacia, aiuta tanti ragazzi affidatari e tante donne che lottano con il cancro al seno. Certo è davvero una tosta!

In questa rubrica pubblichiamo la storia di una persona che ha superato un incidente, un trauma, una malattia e con il suo racconto può dare speranza agli altri. Vuoi raccontare la tua storia su Bergamo Salute?

Scrivici su facebook o redazione@bgsalute.it!


STRUTTURE

RSA BRAMANTE

Aumentano le patologie legate al decadimento cognitivo Terapie non farmacologiche sono una soluzione. Quali i riferimenti nel territorio di Bergamo?

In Italia, secondo i dati stimati dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), ci sono attualmente circa un milione di persone affette da decadimento cognitivo e circa 900 mila affette da una condizione definita come Mild Cognitive Impairment (come MCI, o Deficit Cognitivo Isolato). Un problema che comporta conseguenze sulla vita non solo della singola persona, ma sull’intera società: una su tutte è, per esempio, l’aumento degli episodi di politerapia, ovvero l’assunzione in contemporanea di più farmaci per la cura di differenti patologie, fenomeno in continua crescita. Infatti, secondo l’indagine del Geriatrics Working Group dell’AIFA (Agenzia Italiana del farmaco), quasi 1,3 milioni di anziani in Italia assume più di 10 farmaci al giorno, dando origine a situazioni pericolose per via dell’alto rischio di errore, come

l’interazione tra i farmaci. Non solo: le persone necessiteranno sempre più di strutture che siano realmente in grado di fornire risposte e terapie specifiche, di attività e ambienti mirati al supporto e sollievo ma, soprattutto, avranno bisogno di cure dolci, utili a ripristinare o conservare le funzioni cognitive e fisiche di ciascuno. Per questo, il futuro della cura dell’anziano sta ponendo sempre più attenzione nei confronti delle cosiddette terapie “non farmacologiche”, utili in tanti casi e per patologie differenti, fino agli episodi di demenza senile o Alzheimer, malattie progressive e degenerative, che possono trarre grande beneficio da un’inclusione di questi approcci innovativi nel percorso terapeutico. Un’ottima rappresentante di queste attività è sicuramente la Doll The-

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rapy, disponibile anche sul territorio di Bergamo nella Rsa Bramante: scopriamo insieme in cosa consiste questa terapia.

ALLA SCOPERTA DELLA DOLL THERAPY La Doll Therapy è una terapia nata in Svezia inizialmente dedicata agli adolescenti con disturbi dell’attenzione, ma presto applicata anche negli anziani interessati da demenze di vario livello e patologie come l’Alzheimer, perché in grado di dare sollievo nelle manifestazioni più acute della malattia. È infatti un’ottima “TNF”, ovvero, “terapia non farmacologica” che fa leva sul sistema motivazionale dell’accudimento e della genitorialità - innato nell’essere umano - ripristinando quel legame atavico che si sviluppa tra un neonato e il caregiver principale, ovvero il genitore. In questo modo, l’anziano disorientato riconosce in


INFO Per maggiori informazioni è possibile chiamare il numero verde gratuito 800 966159, oppure la struttura al 035 783128. Via Gambirago 571 Pontida (BG) www.edossrl.it

maniera naturale la bambola come un bambino disattivando l’aggressività tipica di queste patologie.

INFORMAZIONE PUBBLICITARIA

LA DOLL THERAPY ARRIVA A PONTIDA Questa innovativa terapia farmacologica approda a Pontida, alla Rsa Bramante, struttura del Gruppo toscano Edos che ne diviene così il riferimento sul territorio bergamasco, andando ad arricchire - per numero e qualità dei servizi offerti - il settore della cura cognitiva di anziani con patologie degenerative e, quindi, maggiormente esposti alla fragilità. La Doll Therapy viene condotta attraverso una bambola,

detta anche “bambola terapeutica” o “empathy doll” le cui caratteristiche sono innanzitutto un’estrema morbidezza al tatto e una struttura, con arti allargati, che ne permettono l’abbraccio, per accompagnare i pazienti e gli ospiti della struttura in un cammino di ritrovata serenità.

RSA BRAMANTE: ALTRE TERAPIE NON FARMACOLOGICHE UTILI AD ALLEVIARE IL DECADIMENTO COGNITIVO In Rsa Bramante, oltre alla Doll Therapy, vengono perseguiti nuovi approcci per la cura e il benessere delle categorie più fragili e di tutti gli ospiti affetti da decadimento cognitivo, per esempio attraverso percorsi terapeutici coadiuvati dall’utilizzo dell’innovativa “Stanza Multisensoriale”, un’area relax ideale pensata per stimolare le capacità residue degli ospiti attraverso fasci

di luce interattivi, colori, aromaterapia, suoni e immagini calmanti. Tra le terapie dolci di Rsa Bramante, troviamo anche attività come il “Memory Training” e il “Libro della Vita”, atte a stimolare la cognitività attraverso percorsi di ricostruzione delle fasi dell’esistenza dell’ospite assieme alla sua famiglia. Il tutto in un ambiente accogliente e funzionale, caratterizzato da un’elevatissima qualità dei locali. «L’edificio proviene da un progetto di Spa, realizzato con materiali e finiture di pregio che ne garantiscono non solo la bellezza estetica, ma anche il benessere e la serenità degli ospiti, in una cornice di pace. Inoltre la struttura è stata recentemente oggetto di un progetto di restyling e ampliamento che l’hanno resa ancora più gradevole e spaziosa» sottolinea Roberta Zanardi, Responsabile di Struttura.

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GUIDA ALLE PROFESSIONI SANITARIE

Il tecnico della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro

∞  A CURA DI LELLA FONSECA

L’attuale profilo professionale del tecnico della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro porta dentro sé le esperienze e competenze di precedenti profili professionali: il vigile sanitario comunale, la guardia di sanità, il vigile sanitario provinciale, l’ispettore d’igiene. Ci parla di questa più recente professione sanitaria il dottor Alessandro Versetti, coordinatore del Corso di laurea presso l’Università degli studi di Brescia.

Dottor Versetti, chi è Il tecnico della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro? È l’operatore sanitario che, in possesso del diploma universitario abilitante, è responsabile, nell’ambito delle proprie competenze, di tutte le attività di prevenzione, verifica e controllo in materia di igiene e sicurezza ambientale nei luoghi di vita e di lavoro, di igiene degli alimenti e delle bevande, di igiene di sanità pubblica e veterinaria; partecipa ad attività di studio, didattica e consu-

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lenza professionale; contribuisce alla formazione del personale e collabora direttamente all’aggiornamento relativo al proprio profilo e alla ricerca. Per l’attività professionale è prevista l’iscrizione all’albo professionale nell’ambito dell’Ordine dei TSRM-PSTRP. Come si acquisisce questa qualifica? Attraverso il Corso di Laurea in Tecniche della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro (CdL


- TPALL), che si propone il conseguimento degli obiettivi formativi della classe di Laurea L-SNT/4 Classe delle Lauree in Professioni Sanitarie della prevenzione. Il Corso ha durata triennale e accesso programmato. La Laurea in Tecniche della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro, conseguita ai sensi dell’articolo 6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, abilita all’esercizio della professione (Decreto Ministeriale 17 gennaio 1997 n° 58). Il Corso di Studio prevede l’acquisizione di 180 crediti formativi complessivi, suddivisi in attività formative di base, caratterizzanti, affini, integrative e a scelta dello studente, oltre alle attività di tirocinio professionalizzante e alle attività finalizzate alla preparazione della prova finale, abilitante alla professione sanitaria di tecnico della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro. Come si accede al corso di laurea? È richiesto il diploma di scuola media superiore (diploma di scuola secondaria di II livello di durata quinquennale) o titolo di studio estero, riconosciuto idoneo secondo la normativa vigente. Sono richieste conoscenze di base di biologia, chimica, matematica e fisica a livello di scuola media superiore. La prova d’accesso è quella comune a tutti i Corsi di Laurea delle professioni sanitarie, la selezione è basata sull’esi-

to del test stesso. Per l’ammissione è necessario sostenere il test in data stabilita dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e unica per le università statali su tutto il territorio nazionale. Per la Sede dell’Università degli studi di Brescia, sono disponibili 20 posti per i nuovi immatricolati per il prossimo anno Anno Accademico a cui si aggiungono due posti per studenti extracomunitari. Da ottobre 2015 (prima sessione di Laurea del CdL TPALL) ad aprile 2019 (ultima sessione di Laurea) si sono laureati in Tecniche della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro 226 studenti. Quali sono gli sbocchi professionali? Il laureato in Tecniche della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro può svolgere la sua attività professionale: > in strutture pubbliche, come dipendente del Servizio Sanitario Nazionale, presso tutti i Servizi di prevenzione, controllo e vigilanza previsti dalla normativa vigente; > in strutture private, come dipendente, nei Servizi di prevenzione e Protezione e servizi interni di Qualità e sicurezza ambientale; > come libero-professionista, per attività di consulenza professionale, supporto, assistenza e formazione, in materia di: igiene nei luoghi di vita e di lavoro; igiene e

sicurezza ambientale; igiene in sanità pubblica; igiene degli alimenti e delle bevande.

LA LEGISLAZIONE DI RIFERIMENTO Il laureato in Tecniche della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro è il professionista sanitario individuato con Decreto del Ministro della sanità n. 58 del 17 gennaio 1998 Ministro della Sanità 58 (Regolamento concernente la individuazione della figura e relativo profilo professionale del Tecnico della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro), a cui competono le attribuzioni previste dal menzionato D.M. istitutivo della figura e profilo professionale. L’ultimo decreto in vigore, inerente la Determinazione delle classi delle lauree delle professioni sanitarie, tra le quali abbiamo anche la classe della Laurea in tecniche della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro (L/SNT/4 - Classe delle Lauree in Professioni sanitarie della Prevenzione), è il Decreto interministeriale 19 febbraio 2009.

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REALTÀ SALUTE

Attiva-mente una palestra per la mente

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A tutte le età può capitare di dimenticarsi qualcosa, ma passati i 60 anni ogni dimenticanza rievoca in noi un pensiero: “avrò l’Alzheimer?”. Molte persone invecchiano bene fisicamente, ciò nonostante possono presentare problematiche cognitive (smemoratezza, disattenzione, disorientamento e via elencando) che compromettono la qualità di vita e alle quali solitamente ci si rassegna. «È sbagliato rassegnarsi! L’evidenza scientifica suggerisce che appropriati esercizi mentali permettono di mantenere a un livello costante e ottimale l’abilità, la flessibilità e le prestazioni delle funzioni cognitive» sottolinea Paola Brignoli, direttore di The Care Group. «Da queste considerazioni nasce “Attiva-mente”, un percorso articolato che prenderà il via dal mese di settembre, proposto per la prima volta nel nostro territorio dall’associazione InsiemeAte ONLUS di San Paolo d’Argon, in collaborazione con la Farmacia Mazzoleni di Trescore Balneario». La prenotazione avviene direttamente presso la Farmacia, luogo fondamentale nella vita dell’anziano, che frequentemente instaura con il proprio farmacista un rapporto di fiducia, tanto che alcuni dei farmacisti riferiscono che spesso si accorgono dei primi cambiamenti nei loro clienti ai quali sarà in seguito diagnosticato un deterioramento cognitivo. La farmacia, quindi, si rivela un ambiente adatto per un primo confronto con la problematica del decadimento cognitivo.

Il primo appuntamento si terrà presso la farmacia Mazzoleni di Trescore Balneario, dove per tutto il mese di settembre, lunedì mattina e venerdì pomeriggio, sarà possibile sottoporsi a un breve screening della durata di circa 30 minuti a cura di una psicologa esperta in riabilitazione neuropsicologica. Durante l’incontro, attraverso semplici compiti carta-matita si testeranno le funzioni cognitive, come memoria, attenzione, linguaggio etc. Seguiranno alcune giornate di Open day nella sede dell’associazione InsiemeAte Onlus di San Paolo d’Argon il 3 e 8 ottobre, dalle 10.30 alle 11.30 e dalle ore 17.00 alle ore 18.00. In questa occasione, lo specialista condividerà individualmente i risultati dello screening e presenterà le diverse tipologie di percorso attuabili a cominciare dal mese di ottobre presso la sede dell’associazione InsiemeAte Onlus di San Paolo d’Argon.

Open day 3 e 8 ottobre 2019 dalle 10.30 alle 11.30 e dalle ore 17.00 alle ore 18.00

I percorsi prendono il via con un incontro di testistica mirata. Nel primo caso proseguono con sedute individuali di ginnastica mentale, nel secondo caso con sedute in piccoli gruppi di quattro persone. Il programma di stimolazione/riabilitazione, volto a stimolare le diverse componenti cognitive, si svolge in setting individuale o di gruppo e prevede un ciclo di almeno otto incontri, a cadenza settimanale della durata di 30 minuti. Al termine dei percorsi è previsto un colloquio individuale, di verifica e di restituzione dei risultati raggiunti.

ASSOCIAZIONE INSIEMEATE ONLUS Via Francesco Baracca 28 San Paolo d’Argon BG Per informazioni Numero verde 840 000 640 info@insieme-a-te.it

www.insieme-a-te.it

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REALTÀ SALUTE

ElettroSmog ed ElettroSensiblità Nel numero di maggio-giugno vi avevamo parlato di inquinamento elettromagnetico, detto anche “Inquinamento invisibile”, delle sue fonti ovvero le Radiorequenze (Rf) e dei Campi Elettromagnetici (Cem). Ora, sempre con l’aiuto di Maurizio Ugo Rodriguez, farmacista e Presidente A.I.K.I. - Associazione Istruttori Kinesiologia Italiana, approfondiamo gli effetti sugli essere viventi, come descritto in diversi studi. «Gli studi sugli effetti delle Radiofrequenze e dei Campi Elettromagnetici sugli esseri viventi e sull’uomo non sono mai stati confermati in termini ufficiali dalla scienza e molti di loro, nonostante la grande scientificità e rigore tecnico scientifico, sono stati smentiti da altri lavori definiti altrettanto rigorosi con risultati opposti» osserva il dottor Rodriguez. «Tale fenomeno disinformativo è descritto nei tantissimi articoli su “La Sindrome del Factifuging”. Questi articoli spiegano, con semplici parole, come moltissime persone, pur di non mettere in discussione le loro credenze finora

acquisite, “fuggono” dalla realtà. Tutto questo genera confusione nelle persone e nel campo medico per cui non vi è certezza che diversi sintomi siano correlati a un inquinamento ambientale da Radiofrequenze e Campi Elettromagnetici».

LA LEGISLAZIONE IN ITALIA Il tema degli effetti delle Radiofrequenze e dei Campi Elettromagnetici sugli esseri viventi e sull’uomo è stato affrontato dal legislatore italiano attraverso la definizione del “Rischio fisico generato da campi elettromagnetici artificiali” con il Decreto Legislativo 9/4/ 2008 n. 81 (Testo Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro) e successive integrazioni. Ad esempio l’Art. 180 del Decreto stabilisce che, tra gli agenti fisici da prendere in considerazione per la Valutazione dei Rischi, vi sono i campi elettromagnetici, mentre l’Art. 28 nel comma 1 lettera a) stabilisce che tale documento deve contenere una “relazione sulla valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute durante l’attività lavorativa”.

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Nell’Art. 18 (Obblighi del datore di lavoro e del dirigente) alla lettera z del comma 1 si legge inoltre che tali figure devono “aggiornare le misure di prevenzione in relazione ai mutamenti organizzativi e produttivi che hanno rilevanza ai fini della salute e sicurezza del lavoro, o in relazione al grado di evoluzione della tecnica della prevenzione e della protezione”. «Questo significa che una volta che il datore di lavoro e/o il responsabile della sicurezza sono informati in merito alle “innovazioni tecnologiche”, non possono ignorarle ma devono metterle in atto perché, in caso di controversia con un dipendente per richiesta di “malattia professionale”, dovrebbero spiegare le ragioni della scelta effettuata dimostrando anche che non è stato, ad esempio, il campo elettromagnetico, ad aver generato o co-generato la malattia. Questo vuol dire anche che se vengono immessi in commercio dispositivi che rappresentano un’evoluzione della tecnica di prevenzione o protezione dei lavoratori, allora è il caso che siano inseriti nelle postazioni degli operatori. Il problema è che


tale legislazione impone obblighi al datore di lavoro, mentre solleva dagli stessi compiti ad esempio i costruttori di case o di strutture pubbliche» continua l’esperto.

GLI EFFETTI DELLE EMISSIONI DI RADIOFREQUENZE E DEI CAMPI ELETTROMAGNETICI «La mia personale esperienza in questo campo mi porta a dire che non tutti sono elettrosensibili, ma che solo una piccola percentuale della popolazione è predisposta a questo tipo particolare di sensibilità. Nonostante questo parliamo di milioni di persone» sottolinea Rodriguez. «Si ipotizza che ciò che predispone la persona alla elettrosensibilità siano, oltre ai fattori ambientali, anche i fattori genetico-costituzionali e le abitudini alimentari. Altre persone, che per natura non lo sono, lo diventano per alcuni periodi della loro vita, in particolare in situazioni in cui il sistema immunitario risulta debole a causa di fattori stressanti (traumi anche psicologici, malattie debilitanti etc.)».

MA COME SI FA A CAPIRE SE SI È O NON SI È ELETTROSENSIBILI? «Può esserci di aiuto la saggezza popolare ed empirica, così come attestata da antiche discipline della cultura cinese, il feng shui, o quella indiana, stapatiaveda o vastu vedico, che suggeriscono almeno tre punti importanti: i sintomi si devono presentare con l’esposizione, più o meno prolun gata, alle fonti di campi elettromagnetici; devono regredire con l’allontanamento dalle stesse fonti di inquinamento; non possono essere spiegati con la presenza di patologie concomitanti e spesso insorgono improvvisamente».

I SINTOMI Che tipo di sintomi si possono manifestare? «Possono riguardare il sistema nervoso, cardiaco, immunitario, endocrino, gastroenterico, genitourinario e la pelle. Possono essere sia fisici sia comportamentali. Per quelli fisici i

Le fonti

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www.elettrosensibili.it/wp-content/uploads/2018/05/DANNI-DA-TECNOLOGIA-WIRELESS-apr18.pdf

principali sono mal di testa, spasmi e tremori, vertigini, nausea, palpitazioni, dolore od oppressione al torace e/o fiato corto, linfonodi ingrossati, allergie, tiroide ingrossata, alterato metabolismo degli zuccheri, diabete, alterazioni del ciclo mestruale, dolore ovarico o testicolare, problemi digestivi, incontinenza, infezioni urinarie ricorrenti, perdita di capelli, bruciore cutaneo, dolore e deterioramento ai denti, solo per citarne alcuni. Quelli comportamentali vanno dai disturbi del sonno alla difficoltà di concentrazione e/o perdita di memoria, ansia, depressione, irritabilità, aggressività, iperattività, stanchezza e debolezza, facile esauribilità». Tutti questi sintomi, secondo gli studi, insorgono in modo repentino in persone che prima non presentavano nessuna predisposizione a essi e per di più essi scompaiono se la persona smette di portare con sé cellulari e frequenta ambienti sani dal punto di vista elettromagnetico. «Può essere utile passare un fine settimana di tre giorni in una baita in montagna o in riva al mare dove non ci sono wi-fi per verificare la propria elettro-sensibilità e verificare quanti di questi sintomi tendono a regredire spontaneamente» conclude il dottor Rodriguez.

www.stayonthetruth.com/dr-martha-r-herbert-of-the-harvardmedical-school.php Factifuging - Author links open overlay panelNathanS.KlineM.D., M.A. (Clark) (New York), F.A.C.P. (DIRECTOR, RESEARCH FACILITY, ROCKLAND STATE HOSPITAL, ORANGEBURG, NEW YORK; ASSISTANT CLINICAL PROFESSOR OF PSYCHIATRY, COLLEGE OF PHYSICIANS AND SURGEONS, COLUMBIA UNIVERSITY, NEW YORK) - The Lancet - Volume 279, Issue 7244, 30 June 1962, Pages 1396-1399

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REALTÀ SALUTE

La ginnastica pelvi-perineale

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«La complessa struttura muscolare del pavimento pelvico, o perineo, è di grande importanza durante tutto l’arco di vita di una donna. Dall’adolescenza, all’età fertile, in gravidanza, durante il parto e nel post-parto e puerperio, così come tra le gravidanze e in menopausa. Una scarsa conoscenza e consapevolezza del pavimento pelvico può significare progressiva e inevitabile perdita di tonicità, sensibilità e controllo, con conseguenti possibili disturbi. Per questo sarebbe molto utile proporre a tutte le donne un Counselling ostetrico sugli stili di vita con terapia comportamentale mirata, visita perineale per la propriocezione e la fisiochinesiterapia, anche quando non ci sono evidenti segni di indebolimento delle strutture pelvi-perineali o disturbi pelvi-perineali, poiché si parla di prevenzione e solo dopo di eventuale trattamento». Chi parla è Michela Gualandris, ostetrica presso 9coop, Centro infermieristico e polispecialistico nel quale grande attenzione è dedicata alla prevenzione, diagnosi e cura delle problematiche femminili, comprese quelle legate al pavimento pelvico.

9 COOP CENTRO INFERMIERISTICO POLISPECIALISTICO Dir. San. Dott.ssa Roberta Cirelli via Balilla 66 Romano di Lombardia (BG) Tel. 0363 222249 www.centroinfermieristico.it

Dottoressa Gualandris, innanzitutto cosa è il pavimento pelvico? È l’insieme di strati sovrapposti di legamenti, innervazioni e muscoli posti alla base della cavità addominale/pelvica, indispensabile per il sostegno di uretra, vescica, intestino e, nella donna, dell’utero, che si estendono come un’amaca partendo dalla sinfisi pubica all’osso sacro. In che modo si può mantenere in salute questa parte del corpo? Uno dei metodi più efficaci è la cosiddetta ginnastica pelvi-perineale, utile come prevenzione ed efficace trattamento a cadenza settimanale e associata alla riproduzione degli esercizi perineali di contrazione e rilascio (e non solo) nella quotidianità, in automatismo e costanza nel tempo. Sono inclusi nell’attività della ginnastica perineale il rilassamento corporeo e la respirazione, la propriocezione, il movimento e la coordinazione, la tonificazione dopo il parto del corpo e del proprio perineo e la relazione con il neonato. Tutto questo permette alle donne di raggiungere una migliore qualità di vita e consapevolezza.

tinenza ai gas e/o fecale, emorroidi e ragadi. In tutte le situazioni potenzialmente a rischio o già problematiche diventa essenziale la rieducazione e/o la riabilitazione del pavimento pelvico.

Utile per... > Prendersi cura della propria femminilità e man tenere una buona salute. > Conoscersi e conoscere il perineo. > Rilassarsi e attuare una respirazione efficace. > Tonificare ed elasticizzare la muscolatura del pavi mento pelvico e del proprio corpo. > Prevenire le disfunzioni pelvi-perineali. > Garantire una buona irrorazione perineale. > Migliorare la stitichezza e prevenire infezioni ricorrenti. > Migliorare la qualità della propria sessualità, senza dispareunia (dolore durante il rapporto) dopo il parto.

Quali sono i disturbi più frequenti che possono trarre beneficio dalla ginnastica pelvi-perineale? Le disfunzioni del pavimento pelvico gestibili con la ginnastica pelvi-perineale sono: l’incontinenza urinaria da sforzo e da urgenza, il prolasso genitale di I e II grado, l’urgenza minzionale, la dispareunia (dolore durante i rapporti sessuali), disfunzioni sessuali, instabilità del muscolo detrusore, infezioni delle vie urinarie ricorrenti, stipsi, inconSettembre/Ottobre 2019 | Bergamo Salute | 77



REALTÀ SALUTE

Pianeta sorriso

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Un team di specialisti dedicati, tecnologie all’avanguardia e attenzione alla soddisfazione del paziente

Una squadra di 13 professionisti, selezionati nelle migliori cliniche e università, in continuo aggiornamento, ciascuno dedicato a una specifica branca dell’odontoiatria: ortodonzia invisibile e tradizionale, conservativa, igiene, implantologia, chirurgia orale, pedodonzia e da ultimo anche medicina estetica. Tutto per raggiungere il risultato più armonico possibile. È questo uno dei punti di forza della Clinica Dentale Pianeta Sorriso, fondata e diretta dal 1988 dal dottor Maurizio Maggioni, odontoiatra con indirizzo chirurgico, implantare, gnatologico-protesico e laser terapia. «La nostra filosofia è associare il meglio delle competenze e tecnologie odontoiatriche a un ambiente rilassante per il paziente e a prezzi in linea con il mercato, grazie a una gestione attentamente ottimizzata» esordisce il dottor Maggioni. «Avere un laboratorio odontotecnico adiacente alla clinica ci permette poi di realizzare velocemente e con la massima pre-

cisione singoli elementi e protesi, anche avvalendosi della tecnologia CAD-CAM e stampa 3D». Dottor Maggioni, lei è anche Consulente tecnico del Tribunale di Bergamo e Mediatore civile. Che valore aggiunto ha portato all’interno della clinica la sua esperienza forense? Sicuramente una grande attenzione al rapporto di fiducia con il paziente. Il contenzioso tra il paziente e l’odontoiatra sorge quando viene meno il rapporto fiduciario. Ad esempio quando il paziente ritiene che il lavoro fatto dal proprio dentista non risponda alle sue aspettative o siano comparsi disturbi che ritenga correlati al suo intervento. L’esperienza mi ha insegnato che queste situazioni si possono in buona parte prevenire con una stesura accurata e trasparente del piano di cure, del preventivo e di tutti gli accordi che vengano presi. Per quanto riguarda i materiali impiegati poi si deve dare la massima attenzione alla tracciabilità.

I contenziosi nel settore odontoiatrico sono in continuo aumento (7-8% di tutto il contenzioso medico). Perché? Questa crescita è iniziata negli anni Novanta, in parte per l’affermarsi dell’implantologia che, in una certa fase, è stata praticata da odontoiatri che non avevano una formazione specifica. I progressi dell’odontoiatria hanno ormai portato alla necessità di specializzarsi in branche specifiche. La figura del dentista che fa tutto oggi non è più proponibile, proprio per questo ho scelto di creare un team di specialisti dedicati alle diverse aree e sempre aggiornati.

CLINICA DENTALE PIANETA SORRISO Dir. San. dott. Maurizio Maggioni Via Zelasco, 1 - Bergamo Tel. 035 213009 info@mauriziomaggioni.it www.pianetasorriso.it

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REALTÀ SALUTE

Trattamenti estetici di fine estate

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Il rientro in città e la ripresa della routine quotidiana dopo le vacanze non è mai facile. C’è però un modo per combattere lo stress di fine estate: prendersi cura di se stessi, a cominciare dal viso, come spiega la dottoressa Concetta Borgh, chirurgo plastico ed estetico che opera presso il Centro Medico M.R. di Bergamo. «Quasi sempre dopo l’estate si è in presenza di forme più o meno

accentuate di disidratazione cutanea e di secchezza capillare. La prima si manifesta con piccole rughe intorno agli occhi e alla bocca e con una presenza di piccole fessurazioni sul volto e sul collo, evidenziate dall’abbronzatura. Spesso, inoltre, nei giorni del rientro si verificano anche le spellature che rendono la pelle disomogenea e a macchie, fenomeno fisiologico di ricambio cellulare». La soluzione è nel peeling, trattamento di medicina estetica che serve a levigare e migliorare la cute e i cui risultati sono visibili fin da subito: la pelle torna più luminosa e le macchie cominciano a essere meno evidenti, per arrivare, dopo circa un mese, al netto miglioramento della texture cutanea. Ma c’è di più. «Uno dei nuovi trattamenti in voga tra le star è il peeling al carbone che consiste nell’utilizzo di una maschera al carbone vegetale che viene applicata sul viso per poi essere eliminata» conferma la dottoressa Borgh. «Si tratta di un trattamento rigenerante in mezz’ora di seduta e indicato non solo per rigenerare la pelle ed eliminare zone scure ma anche per rinfrescare il viso e donare nuova luce alla pelle dopo lo stress dell’estate». Un altro trattamento che si effettua in ambulatorio chirurgico e in anestesia locale è la blefaroplastica superiore. «Consente di eliminare le borse palpebrali che conferiscono allo sguardo un’espressione triste e

stanca: è ottimo per correggere gli inestetismi dell’occhio dovuti a fattori congeniti e fisiologici processi di invecchiamento e per ringiovanire lo sguardo» continua la dottoressa. E per chi ha esagerato a tavola e non ritrova più la silhouette una delle soluzioni è rappresentata dalla liposcultura “light”, tecnica indicata per modellare il corpo attraverso l’aspirazione del volume di grasso in eccesso. «La cosiddetta minilipo è un trattamento di liposcultura che si basa su una tecnica più “leggera” e apprezzata dai pazienti» conferma la specialista. «Si effettua in ambulatorio e in anestesia locale e permette di eliminare tessuto adiposo in aree specifiche come la parte alta delle gambe, i glutei, i fianchi, l’addome e le ginocchia. È una soluzione rapida, ma anche definitiva nel soddisfare il desiderio di riprendersi la forma». Ma a chi è rivolta? «Una volta che il corpo è completamente sviluppato non ci sono limiti dì età per sottoporsi all’intervento di mini liposuzione. La miniliposuzione è una tecnica chirurgica collaudata e sicura, a patto che venga effettuata in una struttura idonea» conclude la dottoressa Borgh.

CENTRO MEDICO MR Dir. San. Prof. M. Valverde Via Roma 28 - Gorle (BG) Tel. 035 290636 - 4236140

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Settembre/Ottobre 2019 | Bergamo Salute | 81


Bergamo Salute anno 9 | n° 52 Settembre | Ottobre 2019 Direttore Responsabile Elena Buonanno Redazione Rosa Lancia redazione@bgsalute.it Grafica e impaginazione Gabriele Rota gabriele.rota@marketingkm0.it Fotografie e illustrazioni Shutterstock, Adriano Merigo, Chiara Calabrò, Teo Di Biase, Mario Iovinella Laura Pietra Stampa Elcograf S.p.A Via Mondadori, 15 - 37131 Verona (VR) Casa Editrice Marketing Km Zero Srls Via G. Zanchi, 22 - 24126 Bergamo Tel. 035.0514318 - info@marketingkm0.it Pubblicità Luciano Bericchia Tel. 035.0514601- info@bgsalute.it Hanno collaborato Lucio Buonanno, Maria Castellano, Rita Compostella, Viola Compostella, Lella Fonseca, Giulia Sammarco

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82 | Bergamo Salute | Settembre/Ottobre 2019

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