Gennaio/Febbraio 2023 | Bergamo Salute | 1 Anno 13 Gennaio | Febbraio 2023 Poste Italiane spa Sped. in Abb. Postale DL 353/2003 (Conv. in legge 27/02/2004 N.46) Art. 1 comma 1 LO/BG www.bgsalute.it 70 numero Attualità UNA SOLA CITTÀ ILLUMINATA DALLA CULTURA 10 Ginecologia INFEZIONE DA HPV: LA DIAGNOSI PRECOCE 28 Psicologia PERFEZIONISMO. AMICO O NEMICO? 24 Alimentazione DIETA VEGETARIANA E VEGANA? SÌ MA ATTENZIONE Bergamo
www.bgsalute.it 18 Sara Conti Il nostro amore è una medaglia d’oro europea
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ALMENNO SAN BARTOLOMEO Tel. 035 040 0081
Direttore Sanitario Dott. Antonino Mandracchia (Albo degli Odontoiatri di Bergamo n. 657)
URGNANO Tel. 035 040 0080
Direttore Sanitario: Dott. Enrico Angelo Volpi (Ordine Medici Chirurghi e Odontoiatri di Novara n. 4594) Responsabile Branca Odontoiatrica: Dott. Claudio Maria De Sanctis (Albo degli Odontoiatri di Roma n. 7068)
PROSSIME APERTURE:
CALUSCO D’ADDA (BG) - CHIUDUNO (BG) - COLOGNE (BS)
) EDITORIALE
5 Un 2023 all’insegna della cultura e della bellezza
) ATTUALITÀ
6 Bergamo e Brescia. Una sola città illuminata dalla cultura
) SPECIALITÀ A-Z
10 Ginecologia
Infezione da HPV. L’importanza della diagnosi precoce.
12 Nefrologia
Insufficienza renale cronica. Come prevenirla
14 Ortopedia
Le nuove terapie per le lesioni
della cuffia dei rotatori
) PERSONAGGIO
18 Sara Conti
Il nostro amore è una medaglia d’oro europea
) IN SALUTE
20 Stili di vita
Downshifting.
La rivoluzione immobile
24 Alimentazione
Dieta vegetariana e vegana?
Sì, ma attenzione
26 Pesce: impariamo a leggere l’etichetta
) IN ARMONIA
28 Psicologia Perfezionismo. Amico o nemico?
31 Coppia
Gaslighting. Cos’è e come riconoscerlo
Anno 13
Gennaio | Febbraio 2023
) IN FAMIGLIA
34 Dolce attesa
Mal di testa in gravidanza. Quando preoccuparsi
36 Bambini Pertosse.
Vietato abbassare la guardia
) IN FORMA
38 Bellezza Fili di trazione. Un soft lifting senza tagli e cicatrici
40 Fitness
Fat max. La velocità di esercizio per bruciare più grassi
) RICETTA
42 Dolce di mais all’acqua di rose
) RUBRICHE
48 Guida esami Manometria esofagea. In cosa consiste e quando serve 50 Altre terapie Vertigini?
Un aiuto dalla riabilitazione vestibolare
53 Animali
Problemi cutanei nel gatto: quali sono e come riconoscerli
) DAL TERRITORIO
56 Farmacie
Il farmacista oncologico, una nuova figura al fianco dei pazienti 58 News
62 Terzo Settore Fidas Bergamo
65 In auto
Per la sicurezza stradale ci vuole maggiore vigilanza
67 Malattie rare
Sindome trombocitopenica con assenza di radio
68 Il lato umano della medicina
Ho scritto i miei libri di notte dopo la chiusura dell’ambulatorio
) STRUTTURE
70 Politerapica - Terapie della salute
) PROFESSIONI SANITARIE
72 Tecnico di neurofisiopatologia
) REALTÀ SALUTE
75 Ottica Gazzera
77 Centro Fo.R.Me
79 Clinica Dentale Pianeta Sorriso
81 Progettazione Cooperativa Sociale
Allegato centrale: Amici di Bergamo Salute
PARTECIPANTI ALLA FONDAZIONE ITALIANA PER L’EDUCAZIONE ALIMENTARE
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numero
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Un 2023 all’insegna della cultura e della bellezza
Questo 2023 per Bergamo e i bergamaschi non poteva iniziare meglio. Il 20 gennaio, infatti, si è aperto ufficialmente l’anno che vede Bergamo, insieme a Brescia, Capitale italiana della Cultura. La cerimonia inaugurale, bellissima e coinvolgente, è stata una vera e propria “festa di piazza” che ha richiamato più di 20.000 persone nel salotto buono di Bergamo. Un momento di gioia e orgoglio per una
città che, dopo gli anni duri del Covid, vuole ricominciare davvero a vivere. E lo fa nel segno della cultura e della bellezza che Bergamo può offrire, ricca com’è di storia, arte, paesaggi naturali, tradizioni, eppure con una dimensione “a misura d’uomo” senza la frenesia delle grandi metropoli. Tutti elementi che la rendono una meta ideale da scoprire. Non solo per i turisti italiani e stranieri che arriveranno numerosis-
simi (le prenotazioni per il 2023 su Airbnb sono già raddoppiate), ma anche per i bergamaschi stessi. Perché non prendersi allora un po’ di tempo, quest’anno, per fare i turisti a casa propria? Questo è il nostro augurio, per noi e per voi, in questo inizio anno: poter riempire gli occhi e il cuore di bellezza. Perché - lo dicono le ricerche - il bello, l’arte, la natura, fanno bene al nostro equilibrio psico-fisico.
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EDITORIALE
Bergamo e Brescia Una sola città illuminata dalla cultura
Una grande festa che ha mandato in soffitto anche lo storico campanilismo calcistico. Così Bergamo e Brescia, le capitali italiane della cultura, anzi la Capitale, al singolare, ha iniziato il suo singolare anno. Per l’inaugurazione, il 20 gennaio a Brescia è intervenuto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella (che di recente aveva partecipato all’Assemblea dell’Anci nella nostra città), a Bergamo il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano. E poi si sono scatenati i cittadini, 20 mila nella città orobica e altrettanti dai cugini con cortei, balli e concerti, musei aperti, tante luci, fuochi d’artificio e soprattutto un bellissimo spettacolo ideato e condotto da Francesco
Micheli, direttore artistico del Donizetti. Ma un grande riconoscimento è venuto dagli Stati Uniti, dove il principale giornale “New York Times” ha inserito la Capitale italiana della cultura nei 52 luoghi da visitare questo anno. “I riflettori ”, scrive la giornalista Julie Besonen cadranno su queste due città lombarde che sono state nominate congiuntamente Capitale della cultura. Più di mille progetti artistici, eventi musicali e teatrali, alcuni all’aperto, passeggiate nella natura e nuove piste ciclabili sono le vie da seguire per mettersi alle spalle i tragici titoli di giornale che hanno raccontato queste province nel 2020 quando sono state devastatae dal coronavirus più di ogni
luogo d’Italia. Bergamo si distingue per la storica Città Alta e la moderna Città bassa collegate da strade strette, sentieri e da una funicolare. Brescia, a circa 30 miglia (una quarantina di chilometri N.D.R) è un bel crocevia di siti romani, medievali e rinascimentali. Siamo in Italia e il cibo eccezionale è un’altra attrazione. I menù di questa area propongono taragna e soprattutto i casoncelli con burro e salvia, dei veri piccoli miracoli di pasta che dimostrano quanto può essere ancora bella la vita”. “Un riconoscimento importante” commenta Nadia Ghisalberti, assessore alla Cultura di Bergamo “che riempie di soddisfazione i cittadini e premia il lavoro di tante persone, dai sindaci alle as-
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∞ A CURA DI LUCIO BUONANNO ATTUALITÀ
sociazioni in prima linea per lo sviluppo turistico e culturale”.
Ma come è nata la Capitale della cultura italiana per il 2023? E quali sono gli obiettivi? Lo ha spiegato nel suo intervento all’inaugurazione il sindaco di Bergamo Giorgio Gori, al suo secondo e ultimo mandato da primo cittadino. Che con il collega di Brescia è riuscito ad organizzare questo spettacolare evento e a risolvere il campanilismo, forse non solo calcistico, delle due città. «È un grande privilegio che viviamo con orgoglio e gratitudine nei confronti di chi ha voluto accogliere l’istanza di candidatura che insieme al sindaco di Brescia Del Bono, nel
maggio del 2020, decidemmo di indirizzare al Ministro della Cultura; innanzitutto per dare alle nostre città, gravemente ferite dal Covid un segnale di reazione e di speranza. Il titolo, concesso direttamente dal Parlamento, ha assunto per le nostre comunità un fortissimo valore simbolico, a rappresentare un vero orizzonte di rinascita. E ci ha motivati a costruire un progetto ambizioso, che speriamo all’altezza della generosità di quanti ci sono stati vicini. La Capitale Italiana della Cultura 2023 si sviluppa attraverso un programma comprendente oltre cento grandi progetti, a cui faranno corona moltissime altre iniziative che prenderanno corpo
nel corso dell’anno grazie al coinvolgimento di tutte le realtà che nei nostri territori si sono attivate, hanno fatto rete e costruito collaborazioni: fondazioni, associazioni, enti pubblici, imprese, università. Attraverso un ricchissimo palinsesto di eventi, ma altresì attraverso forme inedite di cooperazione, Bergamo e Brescia si racconteranno all’Italia e all’Europa lungo un anno che vuole essere l’innesco di percorso di sviluppo, sociale ed economico, fondato sulla cultura. Alla base del progetto complessivo c’è infatti l’idea della cultura come grande forza generatrice, strumento di emancipazione per gli individui e per le comunità.
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«Abbiamo lavorato per innescare queste energie, con l’obiettivo di tessere molteplici e solide relazioni tra due territori che, benché confinanti, molto simili e accomunati da morfologia, storia, tradizioni e profilo economico-produttivo, non avevano una consuetudine di collaborazione. Abbiamo costruito un originale modello di governance tra enti pubblici e soggetti privati, grazie al supporto del Governo e di Regione Lombardia, da un lato, e dall’altro grazie alla generosa partecipazione delle Fondazioni di territorio e di importanti imprese, e puntato sul più ampio coinvolgimento delle nostre comunità; con l’obiettivo, prima ancora dell’incremento dei flussi turistici, di favorire la crescita dei consumi culturali dei nostri cittadini, a partire dai giovani e da coloro che raramente si trovano a frequentare teatri, musei e sale da concerto.
Ci abbiamo lavorato per oltre due anni, con le nostre squadre, condivi-
dendo l’idea che questa sia davvero un’occasione per crescere insieme: Bergamo Brescia 2023 è un laboratorio vivo di collaborazione tra enti, del tutto originale ed inedito, e la nostra speranza è che la collaborazione possa proseguire ben oltre quest’anno, coinvolgendo tutti coloro che ne condividono lo spirito, e produrre un’eredità feconda e duratura. Grazie al contributo di tutti abbiamo cercato di comporre il disegno di un territorio in movimento verso il futuro, un territorio con due capoluoghi che diventano una sola Capitale. Un territorio che riconosce la cultura, in tutte le sue espressioni, da quella artistica a quella scientifica, da quella industriale a quella della solidarietà, come il dono più grande che si può fare ad una persona. Perché cultura è sinonimo di libertà e di emancipazione: il miglior antidoto alla paura, allo spaesamento e alla tristezza: per questo è importante che sia accessibile a tutti.
«Il titolo che abbiamo voluto dare a questo grande progetto è “La
città illuminata”, pensando proprio alla cultura come ad una luce che ci aiuta ad affrontare i grandi cambiamenti del nostro tempo, a comprenderli e a non sentircene sopraffatti: la luce della conoscenza. Ma “illuminata” può significare anche “aperta”, “di ampie vedute”, come vogliamo che siano le nostre città: accoglienti, in grado di riconoscere le differenze come un valore. E “Illuminata” è la comunità cittadina che nei momenti difficili ci appare come un faro, un punto di riferimento e di approdo. Così vogliamo che siano le nostre città.
“Brescia e Bergamo, la Leonessa d’Italia e la Città dei Mille, hanno concretamente contribuito al processo che ha portato alla nascita del nostro Paese. Oggi condividono un’occasione che è anche una responsabilità, rappresentare l’Italia al meglio, anche di fronte all’Europa. Ci metteremo tutto il nostro impegno e il nostro entusiasmo, desiderosi di condividere la luce e la bellezza delle nostre città con chiunque vorrà farci visita.»
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ATTUALITÀ
Dott. ssa
Chiara Cortiana
Biologa Nutrizionista
CHIAMA E PRENOTA
0345.23441
ORARI DI APERTURA
lunedì: 14 - 18
martedì: 9 - 12 / 14 - 18
mercoledì: 9 - 12 / 14 - 18
giovedì: 10 - 12 / 14 - 18
venerdì: 10 - 13
STILI DI VITA SANI
Il Luogo di Cura In Cammino di San Pellegrino Terme è composto da un’equipe pluriprofessionale di medici che da anni operano in vari ambiti e in sinergia tra loro per darvi specialistiche di qualità e su misura per i vostri bisogni.
In equipe opera la Dott.ssa Chiara Cortiana, biologa nutrizionista che si occupa di educazione alimentare in diversi momenti della vita (come infanzia, gravidanza, allattamento, menopausa, terza età) e in stati fisiologici o patologici, preventivamente diagnosticati dal medico chirurgo.
La dottoressa elabora piani nutrizionali basandosi su un’accurata anamnesi, rilevando i principali parametri antropometrici (peso, altezza e circonferenze) ed effettuando un esame bio impedenziometrico, atto a valutare la composizione corporea (massa magra, massa grassa, grasso viscerale).
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Direzione Sanitaria: Dott. Domenico Giupponi
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Infezione da HPV L’importanza della diagnosi precoce
L’infezione da papilloma virus umano (HPV) è l’infezione sessuale più diffusa in entrambi i sessi. Nella maggior parte dei casi è transitoria e priva di segni evidenti, ma può comportare lesioni benigne della cute (verruche) e delle mucose (condilomi e papillomi), dovute alla persistenza dell’infezione, fino a lesioni correlate ai tumori del collo dell’utero.
UNA GRANDE “FAMIGLIA” DI VIRUS
Esistono circa 200 tipi di virus HPV, suddivisi in due categorie in base al rischio oncogeno (cioè di determinare un tumore):
> ad alto rischio, responsabili dell’insorgenza di tumori;
> a basso rischio, responsabili di alterazioni non maligne.
In particolare, le forme di infezione che hanno manifestazioni non visibili e transitorie, se persistenti e non curate, possono comportare
il rischio di sviluppare lesioni correlate ai tumori del collo dell’utero. La persistenza del virus può, infatti, rappresentare la condizione favorevole per l’evoluzione delle alterazioni cellulari patologiche della cervice.
PAP TEST E HPV TEST PER DIAGNOSI PRECOCI
Il vero problema dell’HPV è rappresentato dalla sua persistenza, ovvero una fase dell’infezione in cui il virus si integra nei cheratinociti (cioè il tipo di cellule più abbondante nell’epidermide) rimanendo lì per qualche anno fino, eventualmente, a progredire favorendo l’insorgenza di lesioni precancerose. Per questo è molto importante identificare precocemente le alterazioni provocate dal virus attraverso l’esecuzione regolare del Pap test. Generalmente, salvo indicazioni diverse, andrebbe ese -
guito ogni 3 anni dai 25 ai 64 anni. Nei casi in cui il Pap test evidenzi anomalie cellulari, oppure vengano isolati ceppi virali “a rischio” dal test per la ricerca dell’HPV (test specifico simile al Pap test che però permette di individuare con maggior anticipo eventuali lesioni pretumorali del collo dell’utero), si esegue una colposcopia.
LA PREVENZIONE:
PRESERVATIVO E VACCINO NON ABBATTONO DEL TUTTO IL RISCHIO
L’HPV si trasmette attraverso i rapporti sessuali. Il preservativo, però, non garantisce una prevenzione del 100%. Il vaccino, invece, nonostante sia un’arma utile, presenta alcune limitazioni: offre una copertura solo per alcuni ceppi di HPV ma purtroppo ne esistono circa 200; dopo circa 10 anni dalla vaccinazione (un ciclo) rimane comunque il rischio di infezione.
10 | Bergamo Salute | Gennaio/Febbraio 2023
∞
SPECIALITÀ A-Z GINECOLOGIA
A CURA DI VITTORIO UNFER
Sono stati sviluppati prodotti con sostanze immunostimolanti, ma con scarsi risultati.
UNA CORRETTA
SUPPLEMENTAZIONE CONTRO
LA PERSISTENZA DEL VIRUS
Non esistono terapie specifiche per curare questa infezione e che agiscano sulla persistenza. Tuttavia, studi scientifici hanno dimostrato che la supplementazione di alcuni micronutrienti è utile per prevenire le lesioni indotte dall’HPV e ridurne la persistenza. A partire da queste ricerche è stato dunque sviluppato un complemento alimentare che prevede l’utilizzo sinergico di:
> epigallocatechina gallato (EGCG), un polifenolo ottenuto dalle foglie del tè verde, in grado di contribuire a proteggere l’organismo sia dell’uomo che della donna;
> acido folico e vitamina B12, micronutrienti presenti in diversi
alimenti. Alcuni studi clinici hanno dimostrato un’aumentata probabilità d’infezione persistente da HPV quando i livelli di folato e vitamina B12 sono bassi. In uno studio di follow-up a due anni, inoltre, è stato osservato che uomini e donne con alti livelli di acido folico e vitamina B12 hanno il 73% di probabilità in meno di risultare positivi all’HPV. Pertanto una corretta integrazione di tali micronutrienti e il mantenimento dei livelli fisiologici può contribuire a ridurre la capacità del virus HPV di instaurarsi nella cellula ospite e prevenirne la persistenza dell’infezione;
> acido ialuronico a basso peso molecolare, un polimero naturale appartenente alla famiglia dei glicosamminoglicani. La sua integrazione è stata dimostrata
utile alla rigenerazione e riparazione tessutale mantenendo integro l’epitelio cervicale.
LA CURA DELLE LESIONI
La maggior parte delle infezioni genitali da HPV regredisce spontaneamente senza alcun trattamento. Nei casi in cui questo non succeda, le verruche cutanee possono essere trattate con soluzioni topiche a base di acido salicilico o acido tricloroacetico o con creme ad azione antivirale, oppure essere rimosse con trattamenti chirurgici locali (diatermocoagulazione, laser terapia, crioterapia). I condilomi genitali, invece, vengono di solito vaporizzati con la diatermocoagulazione o trattamenti laser. Le lesioni precancerose della cervice uterina, infine, vengono rimosse con asportazioni parziali del collo dell’utero.
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PROF. VITTORIO UNFER
Specialista in Ostetricia e Ginecologia
Docente presso UniCamillus Università Medica Internazionale Roma
Le donne con infezione da HPV sono moltissime, mentre quelle che sviluppano i tumori sono solo alcune”
Insufficienza renale cronica Come prevenirla
È patologia subdola che spesso rimane silenziosa fino a quando la funzione renale è ormai compromessa con danni irreversibili. Parliamo dell’insufficienza renale cronica, che in Italia riguarda circa 3 milioni di persone, delle quali almeno 50 mila sono già in dialisi, un trattamento che aiuta a depurare l’organismo intossicato dalle scorie che il rene non è più in grado di eliminare. Il primo passo per combatterla è imparare a conoscerla e riconoscerla tempestivamente, ma soprattutto imparare le regole per prevenirla o per rallentarne l’andamento. La prevenzione, infatti, può davvero fare la differenza, abbassando il rischio di insorgenza della malattia, ma anche allontanando lo spettro della dialisi o, nei casi più gravi, del trapianto di rene.
QUANDO I RENI NON “FILTRANO” PIÙ COME DOVREBBERO
Si parla di insufficienza renale cronica quando i reni non sono in grado di eliminare con l’urina tutte le scorie e le sostanze che,
se si accumulano nel nostro organismo sopra alcuni limiti, possono diventare tossiche e produrre effetti negativi a lungo termine. Queste sostanze sono la creatinina, la azotemia, ma anche il potassio e il fosforo, se superano i limiti fisiologici. Inoltre quando un rene si ammala non è più in grado di svolgere la sua funzione al 100% e non è più in condizione di portare avanti altri compiti, come il controllo della produzione di globuli rossi e il controllo del metabolismo del calcio e del fosforo, essenziali questi ultimi per il benessere dell’osso. Anche se spesso “sottovalutato”, il rene è un organo fondamentale per la nostra vita e la sua funzione va molto oltre la semplice produzione di urine.
ANCHE IL DIABETE E LA PRESSIONE ALTA TRA LE CAUSE
Le cause dell’insufficienza renale cronica possono essere diverse: non solo le malattie specifiche del rene come alcune glomerulonefriti (malattie di natura infiammatoria che interessano i reni) possono
contribuire a danneggiare in modo irreparabile i reni, ma anche e soprattutto alcune patologie sempre più diffuse tra la popolazione, come il diabete e la pressione alta e infine alcune malattie autoimmuni, come il lupus e la artrite reumatoide.
I SINTOMI? SOLO QUANDO
I
RENI SONO GIÀ DANNEGGIATI
I sintomi dell’insufficienza renale cronica si sviluppano progressivamente nel tempo in modo silenzioso, diventando evidenti solo quando i danni ai reni sono difficilmente reversibili, e possono includere:
> nausea e vomito;
> perdita di appetito;
> affaticamento e debolezza e anemia grave;
> riduzione nella quantità di urina prodotta (soprattutto quando la malattia è già avanzata);
> confusione mentale;
> contrazioni muscolari involontarie;
> gonfiore a piedi e caviglie;
> dispnea;
> ipertensione.
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SPECIALITÀ A-Z NEFROLOGIA
∞ A CURA DI CRISTINA ROBBA
LA DIAGNOSI PRECOCE E I CAMPANELLI D’ALLARME
Tutte le persone affette da diabete mellito, ipertensione arteriosa o patologie autoimmuni devono effettuare controlli della funzione renale una volta all’anno. Qualora il referto degli esami dovesse riportare un aumento dei valori di creatininemia o azotemia è bene confrontarsi con il proprio medico, che consiglierà o solamente il monitoraggio nel tempo o la visita specialistica nefrologica se necessario. Anche coloro che sanno di essere soggetti a plurime cisti renali e coloro che hanno avuto episodi di ematuria (sangue nelle urine), soprattutto se non associati a coliche renali, devono effettuare questi esami. Un segno che non va trascurato, infine, è la presenza di urine schiumose alla minzione: potrebbe trattarsi di perdita di proteine con le urine legate a una silente alterazione della funzione renale.
LA PREVENZIONE: COMINCIA DALLO STILE DI VITA
Prevenire l’insufficienza renale è possibile se si curano le malattie che possono indurre un danno renale, come diabete, ipertensione arteriosa, lupus, artrite reumatoide, infezioni urinarie ricorrenti etc. Inoltre, è importante seguire una dieta bilanciata, bere molta acqua, fare
attività fisica regolare, tenere sotto controllo la pressione arteriosa e non sottovalutare segnali quali cambiamento di colore o odore delle urine oppure edemi agli arti inferiori. In caso di dubbi, è bene chiedere un consulto al medico per esami specifici.
LA DIETA SALVA - RENI
L’alimentazione incide moltissimo sul buon funzionamento dei reni. E questo vale sia in un’ottica di prevenzione primaria sia secondaria, cioè quando la malattia è già presente. Ad esempio, una dieta troppo ricca di proteine contribuisce a peggiorare il problema, mentre un apporto contenuto di sostanze proteiche aiuta a tenere sotto controllo la patologia e a non sovraccaricare i reni, migliorando così la qualità della vita. Per questo è importante che chi soffre di insufficienza renale cronica segua una dieta ad hoc, super personalizzata, che escluda le proteine non nobili, come quelle presenti ad esempio in pasta o pane, e privilegi invece quelle “nobili” contenute nella carne e nel pesce. Attenzione però, non è necessario eliminare completamente i carboidrati né ci si deve affidare al “fai da te”: in commercio esistono dei prodotti medici speciali, cioè pane e pasta oppure biscotti e grissini che sono
DOTT.SSA CRISTINA ROBBA Specialista in Nefrologia
privi di proteine. Sulla base della quota proteica che il paziente deve introdurre, sarà il medico a calcolare la composizione della dieta. La prescrizione della dieta è competenza solo dello specialista nefrologo, conosce questi specifici prodotti alimentari e gli eventuali fattori di correzione che possono essere necessari caso per caso. In altri termini lo specialista nefrologo deve conoscere e utilizzare non solo i farmaci, ma anche gestire questo aspetto nutrizionale fondamentale. La preparazione della dieta idonea per ciascun paziente è impegnativa per il medico, perché deve tenere conto di molti fattori clinici, degli esami di laboratorio e delle abitudini alimentari del paziente, che sono diverse a seconda dell’età del malato, della sua attività e della sua capacità di adattarsi a un nuovo regime dietetico. Ma è al paziente che spetta il compito più importante: deve essere constante nel seguire la dieta e capirne i vantaggi, deve sapere che ha un’arma per rallentare l’evoluzione della malattia renale. Anche chi deve sottoporsi a dialisi, se segue una dieta con apporto proteico controllato, arriverà a questa terapia senza malnutrizione e con un buon bilanciamento di calcio e fosforo, a tutto vantaggio del suo stato di salute generale.
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Responsabile dell’Ambulatorio di Nutrizione Clinica Policlinico San Marco Zingonia e Nutrizionista di Smart Clinic
Le nuove terapie per le lesioni della cuffia dei rotatori
La lesione della cuffia dei rotatori è una patologia molto frequente sia tra le persone anziane sia tra chi pratica sport come basket, pallavolo, sci o baseball. Può colpire anche alcune categorie lavorative caratterizzate da ripetuti movimenti “overhead ” come gli imbianchini o i muratori. In ogni caso si manifesta con un dolore alla spalla che spesso impedisce di svolgere le normali attività quotidiane. Oggi per trattare questo tipo di lesione esistono terapie innovative e ancora più mini-invasive rispetto al passato.
UNA STRUTTURA COMPLESSA, FONDAMENTALE PER LA STABILITÀ E MOBILITÀ DELLA SPALLA
La lesione della cuffia dei rotatori consiste nella rottura o lacerazione di uno (o più di uno) dei tendini che la costituiscono. La cosiddetta “cuffia dei rotatori” è una struttura formata da quattro unità muscolo-tendinee, con origine nella
scapola e inserzione sulla testa dell’omero, che consente di stabilizzare l’articolazione della spalla e ne permette la rotazione e l’esecuzione di movimenti complessi. In particolare, i tendini che la compongono sono:
> il sovraspinato superiormente;
> il sottoscapolare, che si trova anteriormente;
> il sottospinato e piccolo rotondo nella parte posteriore. Di fondamentale importanza per la mobilità dell’arto superiore, questo complesso muscolo-tendineo è allo stesso tempo anche molto delicato. A essere particolarmente fragili sono i tendini che possono andare incontro a infiammazione e degenerazione o rompersi in seguito a traumi.
TRAUMI, SOVRACCARICHI, PROCESSI DEGENERATIVI TRA LE CAUSE
Le cause che possono favorire la comparsa di una lesione della cuffia dei rotatori sono:
> eventi traumatici, conseguenti a movimenti errati, carichi eccessivi sull’articolazione o impatti (ad esempio cadute durante sport ad alta incidenza di traumatismi come basket, pallavolo, rugby, football americano, sci etc.);
> processi degenerativi e/o cronici, legati a un “overuse” della muscolatura della spalla per attività lavorativa o sportiva, che causa un progressivo assottigliamento dei tendini rendendoli più vulnerabili a lesioni e rotture. Anche patologie come il diabete e abitudini come il fumo possono favorire la degenerazione dei tendini, a causa di una minore vascolarizzazione;
> Invecchiamento. Nelle persone anziane i tendini della spalla presentano un ridotto flusso sanguigno che ne facilita la degenerazione e la rottura.
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SPECIALITÀ A-Z ORTOPEDIA
∞ A CURA DI MARCO BIGONI
UN DOLORE CHE RENDE DIFFICILI LE NORMALE AZIONI QUOTIDIANE
Il sintomo principale della lesione della cuffia dei rotatori è il dolore localizzato alla spalla e talvolta irradiato alla parte superiore del braccio, che può essere cronico e lieve o acuto e violento, a cui si accompagna una difficoltà a compiere movimenti anche banali, come pettinarsi o vestirsi, ad alzare il gomito sopra la spalla o per appoggiarlo su un piano. Il dolore, in genere, è presente anche quando si sta a risposo e di notte.
LA TERAPIA FARMACOLOGICA E RIABILITATIVA COME PRIMO APPROCCIO
In genere il primo approccio terapeutico è conservativo con l’obiettivo di una riduzione del dolore e dell’infiammazione con terapie farmacologiche orali o infiltrative e un recupero della funzione con terapie riabilitative come la fisioterapia e le terapie fisiche.
LA CHIRURGIA NEI CASI PIÙ GRAVI O NEI GIOVANI
In caso l’approccio farmacologico e riabilitativo non risulti efficace, oppure in pazienti attivi con rottura acuta e completa del tendine, lo specialista può valutare il ricorso all’intervento chirurgico, soprattutto se il dolore diventa molto forte o con una riduzione della mobilità della spalla. Esistono diverse opzioni chirurgiche, con le quali, nella maggior parte dei casi per via artroscopica, quindi attraverso piccolissime incisioni, si va a reinserire i tendini sull’omero, nel punto da cui si sono staccati, o a “ricucirli” sotto la guida di una telecamera.
L’ULTIMA NOVITÀ: UN CUSCINETTO BIODEGRADABILE
Tra le ultime novità per la cura delle lesioni della cuffia dei rotatori c’è un recente dispositivo, chiamato Baloon, indicato in caso di rotture irreparabili della cuffia dei rotatori. In presenza di lesioni ampie della
cuffia, la testa omerale non è “bilanciata” e risale verso il tetto acromiale (ovvero la parte superiore della scapola), creando uno squilibrio della meccanica articolare con conseguente netta riduzione della funzionalità della spalla. Il Balloon, agendo come uno spaziatore, migliora la biomeccanica della spalla e permette di migliorare la funzionalità dell’articolazione. In particolare, si tratta di un cuscinetto composto da un polimero biodegradabile, lo stesso utilizzato per molti fili di sutura riassorbibili, che viene inserito per via artroscopica, tra omero e acromion. Dopo il posizionamento, il dispositivo viene riempito di soluzione fisiologica e lasciato in sede in genere 6-12 mesi prima di venir riassorbito dall’organismo. I vantaggi di questa tecnica sono diversi: è mini-invasiva, presenta un basso rischio di complicanze e consente di eseguire interventi futuri più invasivi”.
Gennaio/Febbraio 2023 | Bergamo Salute | 15
PROF. MARCO BIGONI Responsabile dell’Unità di Ortopedia e Traumatologia
Centro di Traumatologia dello Sport Policlinico San Pietro di Ponte San Pietro
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L’anno appena trascorso è stato memorabile. La bergamasca Sara Conti insieme con il suo compagno di pattinaggio e fidanzato Niccolò Macii ha vinto il Campionato italiano di figura e la medaglia di bronzo nella finale del Gran Prix 2022-2023, primo storico podio azzurro nella specialità a coppie. Una vera e proprio impresa. Inoltre, sempre insieme sul ghiaccio e nella vita hanno conquistato la medaglia d’argento nel Mk John Wilson Trophy, quella di bronzo allo Stage Canada International. Ma il 2023 si è aperto con un successo ancora più clamoroso: il titolo europeo di figura in Finlandia pattinando sulle note di “Nuovo Cinema
Paradiso” e battendo un’altra coppia italiana, Rebecca Ghilardi di Pedrengo e Filippo Ambrosini di Vicenza, che come i campioni si allenano all’IceLab di Bergamo. Un trionfo, visto che nelle 116 edizioni dei Campionati europei nessun nostro atleta era arrivato a tanto. Sara Conti e il suo compagno sono raggianti. Ma chi è la nostra campionessa che abita a Zanica e gareggia per IceLab Bergamo sotto la guida dell’allenatrice Barbara Luoni? Sara è nata il 2 agosto del 1980 da Tommaso, romano, ex questore vicario di Bergamo scomparso nel 2020 per il Covid, e mamma Giuliana di origine pugliese. Ha studiato all’Isis Mariagrazia Mamoli di
Longuelo dove si è diplomata come operatore sociosanitario quattro anni fa, frequentando però i corsi serali dalle 18 alle 23 perché la mattina e il pomeriggio era impegnata con gli allenamenti sul ghiaccio e al pomeriggio in palestra. «È stato faticoso» ci racconta mentre è in casa con il suo Niccolò «ma ce l’ho fatta nonostante il Covid che nel marzo del 2020 ha portato via mio padre e ha colpito anche me».
La passione per il pattinaggio nasce quando Sara ha solo 4 anni e mezzo. «Eravamo in vacanza in Francia con i miei genitori e ho scoperto per la prima volta una pista di ghiac-
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∞ A CURA DI LUCIO BUONANNO PERSONAGGIO SARA CONTI
Il nostro amore è una medaglia d’oro europea
Ph: Gabriele Seghizzi
cio. Mi è piaciuta» racconta. «Poi, tornati a Zanica ho visto che c’era la possibilità di andare a pattinare a un minuto e mezzo da casa. E da allora non ho più smesso. È uno sport dispendioso, tante spese, ma è quello che volevo fare. Una vera passione che ho trasformato in lavoro non ancora decentemente retribuito. Eh sì, si fa fatica ad avere degli sponsor, è vietato mettere loghi sui costumi di gara o sulle tute. La Federazione ci dà un piccolo contributo. Il sogno è di poter essere inserita in qualche gruppo militare, Fiamme Gialle, Polizia, Aeronautica. Questo ci farebbe vedere il futuro più roseo e senza problemi economici. Comunque mi arrangio. Dopo gli allenamenti nel pomeriggio faccio da istruttrice ai bambini che frequentano l’IceLab».
Insomma, rispetto a tanti altri atleti ci si sente un po’ da Serie B. «Direi da Serie C» commenta Sara. «Ma ora, dopo i nostri successi, abbiamo la consapevolezza di essere competitivi, anche se russi, americani e giapponesi hanno un altro passo». Sara ha esordito nel pattinaggio singolo nel 2015 con un secondo posto al “Trofeo Internazionale Giovani Tricorno” e aveva grandi prospettive. «Forse ero una delle più forti» dice «ma ho smesso
perché ci voleva una muscolatura potente, mentre in coppia sono più importanti gli allungamenti che la potenza e il ritmo». A proposito di muscoli qualche acciacco negli anni, come a tanti atleti, le è purtroppo capitato. «Ma sono stata fortunata, ho avuto una distorsione alla caviglia e un’uscita della rotula di un ginocchio che ho risolto in pochi giorni senza problemi e con un correttore». Poi nell’estate di quattro anni fa ha conosciuto Niccolò ed è diventata una coppia. «Vorremmo tanto andare a vivere insieme, ma dobbiamo fare i conti con le nostre risorse. Intanto andiamo avanti ad allenarci e cerchiamo di ottenere i migliori risultati possibili come quello il titolo europeo e la medaglia al Gran Prix, che sono un trionfo per il pattinaggio italiano sul ghiaccio: la nostra Nazionale non aveva mai raggiunto tali risultati, o come il campionato italiano dove ci siamo superati vincendo la medaglia d’oro»
Niccolò è milanese e ha cinque anni più di Sara. «È un ragazzo eccezionale, che va d’accordo con tutti» dice la campionessa. «Ho un’immagine indelebile di lui che cucina con il mio papà a preparare le puntarelle, tipico piatto romano. Amo i piatti romani, i miei preferiti sono la pasta cacio e pepe e la carbonara, ma anche quelli bergamaschi come la polenta taragna. Seguo sì una dieta ma ogni tanto mi tolgo qualche sfizio. D’altronde mangio tanto per recuperare le energie spese tra allenamenti e gare». Alta un metro e 64 per 51 chili di peso, capelli castani tendenti al biondo, Sara ha un solo hobby, cucinare. «Purtroppo non c’è tanto
tempo per avere altri interessi visto che tra allenamenti e gare sono, anzi siamo insieme con Niccolò, sempre impegnati. Al massimo riusciamo a frequentare un gruppo di amici, sempre se non siamo impegnati in trasferte». Insomma una vita privata blindata con la mamma Giuliana, che da quando non c’è più il marito non ama più stare da sola, e con Niccolò. « A Natale lui mi ha regalato un anello con una quasi proposta di matrimonio. Ci pensiamo, ma per il momento è presto. Dobbiamo valutare bene. Se dovessimo avere un figlio sarebbe la fine delle nostre competizioni sul ghiaccio. Ma intanto sogniamo di andare a vivere insieme se troviamo un appartamento. Andiamo d’accordo, anche se come tutte le coppie ogni tanto litighiamo, come abbiamo fatto stamani, ma subito dopo facciamo pace. Fondamentalmente non siamo litigiosi. Io ho un carattere un po’ duro. Sono troppo severa con me stessa. Se in allenamento o in gara ho una sbavatura ci rimango male, mi arrabbio molto». Ma Sara è stata paziente e non si è arrabbiata neppure al primo appuntamento con Niccolò. «Mi aveva invitato a una cena a base di sushi ed è arrivato con un’ora e 45 di ritardo». E come al solito per queste occasioni Sara si era messa, come si dice, in tiro, vestito alla moda e trucco. «Prima delle gare» ci racconta «amo farmi il make-up. Ci impiego due ore e mezza prima di scendere in pista e Niccolò è costretto ad aspettarmi». E intanto si tocca la catenina al collo. Un regalo del battesimo. «Che però mi fa sentire vicino al mio papà che non c’è più. E alla mia mamma».
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Ph : Gabriele Seghizzi
Downshifting La rivoluzione immobile
Rallentare fino a volte a fermarsi, sfuggire dal materialismo e dal consumismo, eliminare il superfluo e l’inutile, per ottenere in cambio maggiore libertà, più tempo per quello che conta davvero e più felicità. È questa la promessa del downshifting, una filosofia di vita che sta prendendo sempre più piede anche nella nostra società, applicabile in tutti gli ambiti, da quello lavorativo a quello personale. «“Quand’è stata l’ultima volta che vi siete presi tempo per non fare nulla?”: è questa la domanda che ci pone il docente di meditazione Andy Puddicombe, in un famoso Ted Talk. La verità è che in una società che macina movimento, in cui come ingranaggi ci perdiamo nello scorrere del tempo, non si ha tempo per perderlo il tempo. Eppure fermarsi è sinonimo di salute, anche solo perché riduce la possibilità di attivare il cosiddetto stress cronico, causa di
diverse manifestazioni psicosomatiche (emicranie, mal di pancia e via discorrendo). Un fenomeno ben capace di descrivere questa direzione è quello del downshifting, una rivoluzione che tutti dovremmo condividere e la cosa più bella è che non dobbiamo fare assolutamente nulla per intraprenderla. Sembra un paradosso, ma è quello che accade quando decidiamo di fermarci in un mondo dove tutto si muove» osserva Alessandro Fortis, formatore e coach.
Cosa significa il termine downshifting e in che contesto nasce?
Questo termine, il cui significato è “scalare le marce”, è stato coniato nel 1994 dal Trends Research Institute di New York e vuol descrivere la necessità sempre più impellente di vivere in modo più slow Letteralmente “scalare le marce”, significa rallentare il ritmo, trovare
un migliore equilibrio tra lavoro e vita privata e di conseguenza non accettare passivamente le priorità del lavoro e del profitto su tutto il resto. Il downshifting è una sfida che oltre a essere capace di riconsegnarci un tempo perduto (ad esempio quello per noi o per la nostra famiglia), è considerata da più ricerche un modo per aumentare la produttività, soprattutto nei lavori di taglio cognitivo e creativo. Un esempio su tutti è la sede della Toyota di Göteborg (Svezia), dove da ben tredici anni l’orario giornaliero è limitato a sole sei ore: i manager dello stabilimento assicurano che, in questo lasso di tempo, è stato riscontrato un incremento degli utili, parallelamente a un minor tasso di assenze per malattia e cali dell’umore. Esistono però anche realtà italiane che praticano tale filosofia e, nonostante siano ancora una minoranza, è
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IN SALUTE STILI DI VITA
∞ A CURA DI VIOLA COMPOSTELLA
ALESSANDRO FORTIS
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un trend che si sviluppa in tutta Europa, con progetti pilota attivi in tantissime aziende. Una delle critiche che si potrebbero sferrare a questo movimento è quella per cui le persone si troverebbero a guadagnare di meno. Vero, ma non sempre. Altrettanto potremmo dire che con questa direzione potremmo imparare a consumare meno, concentrandoci sulle co -
se più importanti. A beneficiare di questo stile di vita sarebbe anche l’ambiente: anzitutto perché la decrescita prevede meno inquinamento, indotto da un’altra pratica tipica di tale movimento, il lavoro in remoto. In secondo luogo perché saremmo più inclini a rispettarlo, proprio per il fatto che torneremmo in contatto con esso e i benefici che ci può donare.
Come mettere in pratica, quindi, questo nuovo stile di vita? Anzitutto imparando a dire di no ad attività inutili, anche professionalmente parlando.In secondo luogo cercando di rendere prioritaria la nostra salute e quella delle nostre comunità affettive, anche a costo di cambiare abitudini e obiettivi professionali. Infine imparando a desiderare di meno, soprattutto
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eliminando il superfluo. Come disse Pepe Mujica, ex presidente dell’Uruguay, “Lo sviluppo non può andare contro la felicità, ma deve essere a favore della felicità umana, dell’amore sulla Terra, delle relazioni umane, delle cure ai figli, dell’avere amici, dell’avere il necessario”. Altro fenomeno simile al downshifting e degno di attenzione è quello del minimalismo, un approccio alla vita che abbraccia la semplicità, rifuggendo dai pericoli legati agli eccessi. Una corrente di pensiero che fornisce alcuni consigli utili al nostro benessere, come l’importanza di concentrarsi solo su una cosa alla volta o di definire ciò che davvero è per noi prioritario, puntando alla qualità. Una
sorta di decluttering (ndr. termine inglese che significa eliminare il superfluo) orientato all’essenziale e capace di farci perdere il superfluo per apprezzare di più quello che si possiede. In questo senso è interessante l’indicazione fornitaci dallo scienziato Brian J. Fogg: “Quando comprate un nuovo oggetto, che deve essere davvero essenziale, eliminatene almeno uno vecchio”. Il minimalismo ci aiuta a eliminare le cose inutili, dai pensieri alla conoscenza sino a giungere agli oggetti. Potremmo estendere il concetto anche ai processi di impresa e al tempo impiegato al lavoro.
Ma come si fa a eliminare i pensieri e la conoscenza inutili?
Difficile non lasciarsi affascinare da questo passaggio di Alice nel paese delle meraviglie, in cui la protagonista si trova alle prese con il Cappellaio Matto e la Lepre Marzolina. Facile aggiungere, addizionare, crescere e muoversi. In una società caotica e volta al continuo miglioramento, in modo talvolta ossessivo, quanto è invece importante e arduo sapersi fermare? Escludere, eliminare, rallentare e tirare il freno a mano sono forse parte dell’indicazione data ad Alice? Assolutamente sì e tutta l’atmosfera Zen di questo incontro lo grida a gran voce. Il pensiero di sottrarre qualcosa al fine di creare valore è ben riposto in questa filosofia e il dialogo con la lepre ne evidenzia l’importanza così come la difficoltà.
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“Prendi più tè”.
“Non ne ho ancora preso niente, non posso prenderne di più”.
“Vuoi dire non puoi prenderne di meno. È facile prendere più di niente”.
IN SALUTE STILI DI VITA
I pensieri sono la materia costituente del nostro essere. Eppure, come ci ricorda il terapeuta Giorgio Nardone, quando ad esempio il dubbio, trampolino di lancio del pensiero creativo, si intensifica oltre misura, diviene molla del pensiero ossessivo. Il rimuginio (un pensiero ricorrente e pervasivo, che se orientato al futuro può portare una persona a ripetersi che le cose andranno male o che qualcosa di brutto potrebbe accadere) è sano quando intensifica il pensiero in modo da affrontare al meglio il futuro. Diventa però insostenibile, se non patologico, quando si pone come pervasivo e incontrollabile. Per contrastare questo suo lato oscuro dovremmo invece foca -
lizzarci sul presente, prendere coscienza che perfezione e infallibilità sono solo chimere e smettere di controllare eccessivamente ogni cosa, pensieri inclusi. Pensiamo ora alla conoscenza e facciamolo con un esperimento. Siete appesi alla torre più alta di Giacarta, a migliaia di metri dal suolo. Così chiamate i tre vostri migliori amici per chiedere aiuto. Loro corrono a salvarvi, ma avendo paura che nel farlo possano cadere anche loro trascinati giù, si tirano indietro. Voi cadete, ma sopravvivete impigliandovi qualche metro più sotto. Siete salvi. Non sarebbe stato però meglio non sapere che i vostri amici non sono poi così amici come credevate? Non sarebbe stato me -
glio rimanere nell’ignoranza e rimanere amici per sempre? O forse è meglio sapere ed essere tristi per le informazioni ricevute? Questa storia, che chiaramente ha dell’assurdo, solleva il tema chiamato “paradosso dell’ignoranza felice” Più cerchi di trovare risposte più si formulano ulteriori domande. Grazie a internet puoi sapere tutto, ma ti interessa davvero? E, soprattutto, è conoscere di più che ci renderà davvero felici? Insomma, tante domande a cui rispondere. Quella da cui partire per il nuovo anno, se volete abbracciare il downshifting, non sarà quindi “cosa posso fare di nuovo? ”, quanto piuttosto “cosa posso smettere di fare? ”.
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Dieta vegetariana e vegana?
Sì, ma attenzione
Sono sempre di più gli italiani che negli ultimi anni hanno deciso di avvicinarsi a una dieta vegetariana o vegana. Per alcuni si tratta di una scelta salutistica dettata dalla volontà di prevenire il rischio di patologie croniche, per altri deriva invece dall’idea che un’alimentazione priva di alimenti animali sia più sostenibile per l’ambiente e il Pianeta. Ma che differenze ci sono tra dieta vegetariana e vegana? Quali benefici possono apportare all’organismo? Lo abbiamo chiesto al dottor Claudio Macca, nutrizionista.
Dottor Macca, innanzitutto, cosa si intende per dieta vegetariana e dieta vegana?
Una dieta vegetariana esclude ogni tipo di pesce, anche molluschi e crostacei, e di carne, dal maiale e il manzo al pollame, compresi gli insaccati. Al suo interno ci sono diverse tipologie di diete:
> la latto-ovo-vegetariana, conosciuta con l’acronimo LOV, che esclude la carne e
il pesce, ma include latticini, uova e miele, con un’ampia varietà di alimenti vegetali;
> il Veganismo (VEG) che, oltre a non prevedere carne e pesce nell’alimentazione, elimina anche i latticini, le uova e il miele ed è caratterizzata da un consumo esclusivamente di stampo vegetale;
> la dieta macrobiotica, ovvero una versione più strettamente vegetariana costituita da cereali, legumi, verdure, alghe e prodotti a base di soia, che non prevede il consumo di latticini, uova e pesce.
Quali possono essere i vantaggi delle due diete per la nostra salute?
Negli studi osservazionali, rispetto alle persone onnivore i vegetariani mostrano un ridotto rischio di morbilità e mortalità per alcune patologie, come, ad esempio, la cardiopatia ischemica, una minor incidenza di tumori (in particolare per coloro
che seguono una dieta vegana) e una minore probabilità di essere affetti da diabete di tipo 2 e da sindromi metaboliche.
Per quale motivo?
Tutti questi benefici sono dovuti al fatto che le diete vegetariane e vegane comportano una riduzione dell’indice di massa corporea, evitando, così, tutti i rischi per la salute legati all’eccessivo aumento di peso. Inoltre favoriscono una riduzione dei livelli di glucosio nel sangue, così come dei valori della pressione arteriosa, del colesterolo totale e di LDL (quello definito “cattivo”) e dei trigliceridi e di acido urico che, se troppo elevati, espongono a patologie cardiovascolari gravi come ictus e infarto e a malattie che portano all’infiammazione delle articolazioni. Parallelamente, entrambe le diete determinano un aumento dei livelli di acido ascorbico plasmatico che agisce come antiossidante, aiutando a proteggere le cellule del nostro corpo dai danni
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IN SALUTE ALIMENTAZIONE
A CURA DI MARIA CASTELLANO
causati dai radicali liberi e, quindi, dallo stress ossidativo.
Quali sono, invece, le carenze a cui possono esporre?
Se l’apporto calorico è adeguato e la dieta ha una sufficiente varietà di alimenti vegetali, il fabbisogno proteico di vegetariani e vegani è facilmente soddisfatto. Le proteine della soia, ad esempio, hanno la stessa efficienza nutrizionale delle proteine animali. Gli studi hanno però evidenziato che chi segue queste diete presenta una carenza di vitamina B12, strettamente legata all’assunzione di proteine animali, che, se non colmata, può portare a forme di anemia; un deficit di calcio, presente in grande quantità nei latticini, correlata al rischio di insorgenza di osteoporosi nell’età adulta; un insufficiente apporto di omega 3, presente nei pesci grassi, importante per combattere, ad esempio, le forme di demenza e la sindrome da deficit di attenzione.
Come possiamo colmarle?
Con integratori specifici, in particolare la vitamina B12. Infatti, alcune alghe, il lievito di birra, alcuni ali-
menti di origine orientale come il tempeh (derivato dai semi di soia) e la Kombucha (tè cinese) contengono vitamina B12, ma in proporzioni infinitesimali, inutili per il fabbisogno umano, dal momento che non risultano assimilabili dal nostro organismo. Lo stesso discorso vale anche per il calcio: è importante cercare di integrarlo, consumando cibi ricchi di questo elemento, presente in alcuni vegetali a foglie verde scuro come cavolo cinese e broccoli (ma non negli spinaci) e nei legumi secchi, in sostituzione dei latticini non previsti nella dieta vegana. Per quanto riguarda invece gli omega 3 è importante assumerli aumentando il consumo di oli vegetali come di girasole e di soia e di frutta oleosa ad esempio mandorle e noci.
Ma si tratta di diete indicate per i bambini?
A tutte le età sono diete che, se correttamente integrate, non arrecano danni alla salute, anche se alcuni studi hanno evidenziato che i bambini vegani sono più magri e di statura più bassa rispetto ai bambini che seguono una dieta vegetariana
e, quindi, presentano una crescita “rallentata”. Analoga alla crescita dei bambini onnivori, invece, risulta essere quella dei piccoli che seguono una dieta latto-ovo-vegetariana. Per quanto riguarda i bambini e neonati macrobiotici si mostra un aumento di incidenza del rachitismo che può portare a un quadro di deformità scheletriche, in particolare a livello degli arti. In età giovanile è importante prestare attenzione anche al quantitativo di zinco assimilato, spesso presente in bassa quantità nelle diete vegetariane e vegane, dal momento che ne sono ricche la carne, le uova e il latte. I vegetali che lo contengono, come fagioli e piselli, ne hanno infatti una forma meno disponibile e più difficilmente assorbibile. Nel periodo della crescita lo zinco è molto importante: una carenza può interferire con la crescita ossea e lo sviluppo sessuale e comportamentale.
DOTT. CLAUDIO MACCA
Responsabile del Servizio di Dietetica e Nutrizione Clinica
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Pesce: impariamo a leggere l’etichetta
Lo sapevate che esiste il pesce di stagione? Proprio così. Quando si pensa alla stagionalità degli alimenti, la mente va sempre alla frutta e alla verdura. In realtà anche il mondo ittico ha la sua stagionalità e conoscerla permette di fare scelte consapevoli che fanno bene alla nostra salute e a quella del Pianeta. «Comprare pesce di stagione fa bene per diverse ragioni» conferma la dottoressa Emanuela Mosca, dietista. «Innanzitutto quella economica, perché le varietà di stagione hanno un costo più basso di quelle che devono sostenere spese di importazione, trasporto e conservazione. C’è poi un motivo ambientale, ovvero rispettare maggiormente l’ambiente e il suo equilibrio e non correre il rischio che alcune specie si possano estinguere. Per essere veramente sostenibili, inoltre, sarebbe opportuno preferire dei pesci a ciclo
vitale breve e di piccola taglia (che tra l’altro sono meno inquinati da possibili metalli, come il mercurio».
Dottoressa Mosca, da cosa dipende la stagionalità nel caso del pesce?
La stagionalità del pesce varia a seconda della disponibilità nei mari locali, della filiera del pescato e del ciclo vitale e fase produttiva di ogni specie. Ad esempio nel Mar Adriatico e Tirreno il fermo pesca va da agosto ai primi di ottobre. Il Mar Mediterraneo, però, offre davvero tante opzioni ittiche in tutti i mesi dell’anno, soprattutto di pesce azzurro (alici, sardine, aguglie, tonno, sgombro, lampuga, ricciola…) ricchi di Omega 3 e acidi grassi, che hanno effetti benefici sul funzionamento del cuore e del sistema circolatorio. Quando scegliamo il pesce da acquistare, ci preoccupiamo anzitutto che sia
fresco, dimenticando spesso l’importanza dei fattori di stagionalità e provenienza. Per questo, anche nel caso del pesce, è fondamentale leggere bene l’etichetta.
Ma quali sono le informazioni che devono essere riportate sull’etichetta del pesce?
Come da una normativa europea introdotta nel 2014, le indicazioni che devono esserci obbligatoriamente, sia che si tratti di prodotti pescati sia allevati sono:
> specie ittica, cioè nome (sia quello commerciale sia quello scientifico) del pesce, del mollusco o del crostaceo in vendita;
> metodo di produzione, se si tratta di un animale allevato o pescato;
> provenienza, con il luogo preciso in cui è stato pescato o allevato;
> attrezzi usati per la pesca;
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A CURA DI SARA CARRARA
DOTT.SSA EMANUELA MOSCA
IN SALUTE ALIMENTAZIONE
Biologo Nutrizionista con Laurea in Alimentazione e Nutrizione Umana Brignano Gera d’Adda (BG)
Per la nostra salute e quella dell’ambiente
> se è pesce scongelato
L’etichetta deve riportare se il prodotto è stato scongelato, indicazione molto importante per il consumatore che a quel punto sa che non potrà più utilizzare la stessa tecnica di conservazione;
> termine minimo di conservazione/data di scadenza. Nel primo caso si troverà la scritta “da consumarsi preferibilmente entro il” mentre nel secondo caso ci sarà una più categorica data di scadenza del prodotto;
> Allergeni. Deve essere chiara l’eventuale presenza di allergeni, segnalati attraverso un tipo di carattere differente che balza subito all’occhio dei consumatori.
Nel caso di prodotti trasformati e pre-imballati si trovano in etichetta anche altre specifiche:
> Elenco degli ingredienti in ordine decrescente di peso;
> quantità degli ingredienti (in percentuale);
> peso netto;
> condizioni di conservazione e impiego;
> il nome o la ragione sociale e l’indirizzo dell’operatore del settore alimentare;
> dichiarazione nutrizionale (aggiunta dal 13 dicembre 2016) che include il valore energetico e la quantità di grassi, grassi saturi, carboidrati, zuccheri, proteine e sale per 100 g o 100 ml;
> se è confezionato in atmosfera protettiva: dicitura che deve comparire se il prodotto è stato imballato in taluni gas;
> data di congelamento o data di primo congelamento;
> acqua aggiunta;
> proteine aggiunte da altre specie animali;
> se è pesce ricomposto, ovvero prodotti in cui sono state unite diverse parti di pesce legate insieme grazie ad altri ingredienti, tra cui additivi ed enzimi alimentari;
> contrassegno di identificazione, cioè il nome del paese, il numero di riconoscimento dello
stabilimento di produzione e il marchio CE, o la sua traduzione in altre lingue dell’UE, devono figurare quando l’alimento è prodotto nell’UE. Per i prodotti importati sono obbligatori soltanto il nome del paese e il numero di riconoscimento dello stabilimento di produzione;
> data di confezionamento.
Questa data va indicata per i molluschi bivalvi vivi e deve includere il giorno e il mese.
L’etichetta del pesce, inoltre, ha un codice che identifica il mare dove è stato pescato (21 per l’Oceano Atlantico Nord Occidentale; 27 per l’Oceano Nord Orientale; 37.1 per il Mar Mediterraneo occidentale; 37.1.1 per il Mare delle Baleari; 37.1.3 per il Mar di Sardegna; 37.2 per il Mar Mediterraneo centrale; 37.2.1 per il Mar Adriatico; 37.2.2 per il Mar Ionio; 37.3 per il Mar Mediterraneo orientale; 37.3.1 per il Mar Egeo; 37.3.2 per il Mar di Levante; 37.4 per il Mar Nero; 51 per l’Oceano Indiano Occidentale; 57 per l’Oceano Indiano Orientale).
Occhio al marchio blu pesca sostenibile MSC
MSC - Marine Stewardship Council è un’organizzazione internazionale non profit impegnata nella promozione della pesca sostenibile che raccomanda di acquistare pesce pescato sostenibile, facilmente riconoscibile dal marchio blu. Il marchio blu pesca sostenibile MSC indica che i prodotti derivano da un’azienda di pesca certificata che segue lo standard MSC per la sostenibilità ambientale della pesca, ovvero che quel pesce è stato pescato da una popolazione ittica in salute e con una pesca che riduce il proprio impatto. Il numero di prodotti a marchio blu è passato dai 100 del 2002 a 20.447 prodotti nel 2022 in 62 Nazioni del mondo.
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Perfezionismo Amico o nemico?
«Il perfezionismo può essere associato a una forma di pensiero del tipo “tutto o niente” in cui se qualcosa non è ritenuto perfetto, allora viene percepito come privo di valore, insignificante. Malgrado possa essere collegato al raggiungimento di successo e di standard elevati, spesso però porta alla manifestazione di ansia, frustrazione e all’evitamento di progetti importanti». Chi parla è la dottoressa Michela Gritti, psicologa. Ci siamo rivolti a lei per approfondire pro e contro del perfezionismo, ovvero
della ricerca estenuante della perfezione, un fenomeno molto diffuso ai giorni nostri, complice anche i social network e la tendenza a mostrare al mondo prevalentemente le cose belle che accadano nella nostra vita. «Nel mondo dei social il tema del perfezionismo con tutte le sue sfaccettature è fortemente presente. Basti pensare all’utilizzo di Photoshop per correggere o cancellare ciò che viene considerato come un’imperfezione, mostrandoci al mondo (in questo caso social) come vorremmo
essere e non come siamo realmente. L’uso di questi strumenti distrugge la nostra autenticità, ci uniforma ai prototipi di bellezza della nostra società e cultura di appartenenza. Il perfezionismo, però, non riguarda soltanto il mondo dei social network: permea ogni aspetto della nostra vita, influisce sulle nostre emozioni, sul nostro modo di pensare e comportarci».
Dottoressa Gritti, ma cosa si intende nel dettaglio per perfezionismo?
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COMPOSTELLA IN ARMONIA PSICOLOGIA
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Il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5) definisce il perfezionismo come: “la rigida ostinazione sul fatto che qualsiasi cosa debba essere impeccabile, perfetta e senza errori o difetti, incluse le prestazioni proprie o altrui; rinuncia alla tempestività per garantire la correttezza in ogni dettaglio; convinzione dell’esistenza di un’unica modalità corretta di fare le cose; difficoltà a cambiare idea e/o punto di vista; fissazione per i dettagli, l’organizzazione e l’ordine”. Il perfezionista ha la tendenza a concentrarsi sempre su ciò che manca seguendo una sequenza infinita di insoddisfazione, anziché focalizzarsi su ciò che ha fatto in modo corretto o ciò che va bene. Nulla gli appare mai sufficiente, manca
sempre qualcosa. La comparsa di questo tipo di pensiero conduce la persona a pensare di non essere mai abbastanza, di non essere realmente capace e caparbia. La percezione è quella di non raggiungere mai il livello desiderato, generando così la convinzione di non avere valore. Chiaramente la persona perfezionista può essere definita come molto performante: l’organizzazione estremamente precisa, rigida e controllata può essere molto utile per raggiungere svariati obiettivi personali e professionali.
Quando la volontà di ambire alla perfezione può diventare patologica? La volontà di raggiungere standard elevati, buoni risultati, di porsi obiet-
DOTT.SSA MICHELA GRITTI Psicologa Clinica, Master in Valutazione multidimensionale e Tecniche per il cambiamento Amae studio professionale a Casazza
IN ARMONIA PSICOLOGIA
tivi grandiosi e di prendersi cura della propria persona e del proprio aspetto, è legittima e non patologica di per sé, ma lo diventa quando è presente:
> procrastinazione cronica, difficoltà nel terminare compiti o facile abbattimento;
> esecuzione delle attività in maniera eccessivamente scrupolosa e approfondita (ad esempio, riservare troppo tempo ad un’attività che richiederebbe un tempo inferiore);
> controllo eccessivo (ad esempio, leggere e rileggere per troppo tempo una mail da inviare per essere sicuri che non siano presenti errori);
> la continua rielaborazione
delle cose per migliorarle le cose rielaborandole (ad esempio riscrivendo più volte un documento di lavoro per renderlo “perfetto”);
> la tendenza a fare liste ricche e accurate delle cose da fare (ad esempio quando alzarsi, lavarsi i denti, fare la doccia, etc.);
> l’evitamento di cose nuove per paura di commettere errori; la zona di comfort rende più sicuri e viene abbandonata con estrema difficoltà.
Quali sono i rischi di un atteggiamento mentale di questo tipo?
Quali conseguenze può avere?
Questi comportamenti e pensieri possono provocare la comparsa di vere e proprie psicopatologie, quali episodi depressivi, stati d’ansia generalizzata, disturbi alimentari, che possono compromettere tutte le aree di vita della persona. L’impossibilità di essere sempre perfetti tende a innescare la sensazione di stress e inadeguatezza e fallimento. Se a queste sensazioni si risponde con ulteriore perfezionismo, si attiva un circolo vizioso che porta a sentirsi quasi sempre sotto pressione, inefficaci, ossessionati dallo scorrere del tempo e dall’incapacità di fare tutto ciò che si dovrebbe.
DA NON CONFONDERE CON L’AMBIZIONE
L’ambizione riguarda il desiderio di essere visti e raggiungere obiettivi ritenuti importanti, mentre il perfezionismo è il desiderio di essere perfetti, impeccabili. Una persona che si impegna per raggiungere un obiettivo, seguendo un percorso lineare, infatti, non è necessariamente una persona perfezionista. L’ambizioso riesce a godere dei traguardi conquistati, riconosce le proprie capacità e continua a porsi obiettivi di crescita personale. Il perfezionista non ha uno scopo ben preciso e si perde nel sistemare i dettagli senza raggiungere un fine più alto, ostacolando in tal modo la crescita personale e compromettendo la propria salute psico-fisica. Queste persone, nonostante siano realmente capaci, arrivano a pensare di essere “solamente fortunate”, di poter fare sempre di più, di non meritare ciò che hanno raggiunto e che anche gli altri potrebbero raggiungere i loro stessi risultati, compiendo errori di valutazione sulle capacità altrui. Non si sentono realmente competenti, realmente artefici dei propri frutti.
Gaslighting Cos’è e come riconoscerlo
Gaslighting: è questa, secondo il prestigioso dizionario Merrian-Webster, la parola del 2022. Basti pensare che nel corso dell’anno le ricerche in Internet sono aumentate del 1740%. Ma che cosa è il Gaslighting? Lo abbiamo chiesto alla dottoressa Mara Seiti, psicologa e psicoterapeuta.
Dottoressa Seiti, cosa s’intende per Gaslighting? Con l’espressione Gaslighting si intende “una manipolazione psicologica agita da una persona e portata avanti nel tempo che induce la vittima a mettere in dubbio la validità dei propri pensieri, della propria percezione della realtà o dei propri ricordi”. È una tecnica di manipolazione subdola, perpetrata lentamente e in modo costante e prolungato, molto spesso da personalità narcisistiche, con la funzione di distruggere l’autosti-
ma della vittima, crearne dipendenza psicologica e assumerne il controllo. Il Gaslighting si verifica spesso nelle relazioni romantiche, con partner narcisisti, possessivi o violenti, ma può presentarsi anche nella relazione genitore-figlio, nei rapporti professionali o d’amicizia. Proprio per la natura con cui viene messo in atto, la vittima non si rende conto di essere sottoposta a manipolazione e arriva a dubitare completamente di se stessa, del suo equilibrio mentale, divenendo completamente dipendente dal giudizio e dall’approvazione del suo “carnefice”. Poco importa se il gaslighter è consapevole o meno di tale meccanismo. Negherà qualsiasi intenzione in tal senso, così come qualsiasi elemento volto a svelare la distorsione della realtà. L’autostima stessa del manipolatore dipende dalla costruzione di questa falsa realtà, che cercherà
quindi di difendere a ogni costo, completamente privo di empatia verso l’abusato ed esso stesso vittima delle proprie manipolazioni. Vano sarà anche qualsiasi tentativo di cambiare l’atteggiamento del gaslighter e chiunque si cimenti in tale impresa si troverà impotente e privo di energie. Gli abusanti traggono forza e potere dalle loro manipolazioni pertanto sono molto resistenti alla messa in discussione di sé ed è difficile che scelgano di intraprendere un percorso di psicoterapia.
Ma come si fa a sospettare di esserne vittima, essendo una forma di manipolazione così subdola?
Il primo passo è riconoscerlo e diventarne consapevoli.
Alcuni dei segnali a carico della vittima sono:
> trovarsi confusi, dubbiosi della
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∞ A CURA DI ELENA BUONANNO
IN ARMONIA COPPIA
propria capacità di discernere la realtà e disorientati rispetto a cosa stia succedendo (pensare di registrare in qualche modo le conversazioni col gaslighter per avere prova della realtà costituisce di per sè un campanello d’allarme);
> sentirsi affaticati e privi di energia;
> trovarsi isolati, senza una rete amicale o familiare di supporto;
> provare sfiducia verso gli altri, a eccezione del gaslighter, che viene invece idealizzato;
> avere la tendenza a giustificare gli atteggiamenti svalutativi e/o aggressivi del partner, minimizzandone la gravità (ad esempio “è molto stressato..”, “oggi è così carino con me, come ho potuto pensare così male di lui?”);
> sentire di valere poco o nulla e, nel lungo termine, provare ansia e depressione.
Atteggiamenti tipici del gaslighter, invece, sono:
> mentire (anche su cose banali) e negare l’evidenza, al punto da indurre la vittima a dubitare di sé;
> definire la vittima come affetta da patologia o squilibrio
mentale e screditarla anche agli occhi degli altri;
> mostrarsi inizialmente come un partner premuroso e attento, facendo innamorare perdutamente di sé, per poi rivelarsi arrogante, insensibile e centrato su di sé;
> usare il rinforzo intermittente, alternando atteggiamenti screditanti e manipolatori a comportamenti apparentemente affettuosi che illudono, destabilizzano e mantengono vicina la vittima;
> fare in modo che si crei “terra bruciata” intorno al partner, insinuando sfiducia nelle altre sue relazioni e/o seminando discordie;
> non essere disposto a mettersi in discussione, sostenere sempre e solo la sua ragione e credere che tutto gli sia dovuto.
Cosa si può fare, allora, per uscirne?
Non entrare in dispute su chi dei due ha ragione o meno ma restare centrati sulle emozioni e i vissuti personali;
> non illudersi che il gaslighter cambierà. Tocca alla vittima fare
UN’ORIGINE “LETTERARIA”
Il termine Gaslighting, sempre più diffuso anche in Italia, ha origine da un’opera teatrale del 1938 del drammaturgo inglese di P. Hamilton, intitolata “Gas Light” (“Luci a gas”), da cui sono stati successivamente tratti due film, il più famoso, americano, del 1944, con C. Boyer e Ingrid Bergman. La storia racconta degli abusi psicologici fatti dal marito nei confronti della moglie, al fine di farle credere di essere pazza e farla interdire, per potersi appropriare della casa in cui sono nascosti i gioielli della zia, da lui assassinata anni prima. Tra le varie menzogne, il marito induce la moglie a credere che il fatto che le luci a gas della loro casa si stiano spegnendo sia soltanto il frutto della sua immaginazione.
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in modo di non essere più tale ed uscire dal gioco perverso di potere su cui si è strutturato il rapporto di coppia;
> uscire dall’isolamento relazionale e mantenere il contatto col mondo “esterno” alla coppia: coltivare le relazioni e confrontarsi con altre persone;
> alimentare la propria autostima, occupandosi di sé, del proprio benessere e dei propri bisogni (utile è anche mantenere degli spazi e delle attività piacevoli proprie);
> chiedere aiuto a uno psicoterapeuta: essere vittima di manipolazione psicologica è un fenomeno fortemente traumatizzante che porta allo sviluppo di ansia e depressione, compromette l’equilibrio personale e mette a repentaglio
il benessere dei propri figli. Le risorse genitoriali sono ridotte e i figli assistono a tale forma di violenza quotidiana subendola a loro volta e rischiando, una volta adulti, di reiterarla nelle loro relazioni.
> quando possibile, chiudere la relazione e allontanarsi dal partner.
Infine, è bene precisare che il Gaslighting non viene riconosciuto come reato, ma si presenta spesso in concomitanza con altri reati ormai noti, come ad esempio la violenza domestica e lo stalking. È fondamentale quindi farsi assistere e supportare da professionisti, denunciare tali violenze e, quando possibile, raccogliere prove al fine di documentare quanto vissuto attraverso testimoni, registrazioni etc..
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DOTT.SSA MARA SEITI Psicologa Giuridica e Clinica, Psicoterapeuta esperta in Ipnosi Clinica EMDR e Flash Technique Ospitaletto e Brescia
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Mal di testa in gravidanza Quando preoccuparsi
Il mal di testa è un fenomeno piuttosto comune in gravidanza e una delle maggiori cause di sofferenza per la donna in questo stato. Ma quando preoccuparsi? In quali casi può essere un campanello dall’allarme di qualcosa di più grave? Ce lo spiega il dottor Fabrizio Fiacco, neurologo.
Dottor Fiacco, da cosa può essere causata la cefalea in gravidanza?
Può essere dovuta alle profonde modificazioni dell’assetto ormonale che si verificano nel primo trimestre e alla variazione di volume del corpo nell’ultimo trimestre. Altri fattori che possono contribuire alla comparsa sono lo stress, la carenza di sonno, il peggioramento di disturbi visivi preesistenti, la deprivazione di caffeina nelle donne abituate ad assumerne dosi moderate o elevate, la disidratazione o bassi livelli di glucosio nel sangue. La gravidanza, però, può anche influire in senso migliorativo o peggiorativo sull’andamento di una forma di cefalea
preesistente come l’emicrania o la cefalea di tipo tensivo che sono le forme più comuni di cefalea primaria. Queste forme “primarie” vanno distinte dalle forme di cefalea secondarie e altre patologie cerebrali che possono manifestarsi tipicamente in gravidanza.
Quando, allora, una donna in attesa deve preoccuparsi? Innanzitutto è importante ribadire che nella maggior parte dei casi si tratta di forme benigne, seppur caratterizzate da dolore intenso o comunque fastidioso da sopportare. Detto ciò esistono delle situazioni da non sottovalutare che vanno riconosciute per decidere quando fare degli accertamenti: la forma più comune di cefalea secondaria è quella legata a una patologia della seconda parte della gravidanza e del puerperio rappresentata dalla preeclampsia, cioè dallo sviluppo di ipertensione arteriosa gravidica che talvolta è associata a insufficienza renale e perdita di proteine nelle urine e altre manifestazioni cliniche. Il mal
di testa associato alla preeclampsia è solitamente persistente e risponde poco agli analgesici; sono tipici anche disturbi visivi quali flash o offuscamento. Altri fenomeni che devono mettere in guardia sono un dolore nella parte superiore dell’addome o lo sviluppo di gonfiore generalizzato e/ o del volto e delle estremità.
Altri campanelli d’allarme di una cefalea secondaria, più pericolosa, sono rappresentati dallo sviluppo di un dolore molto intenso nel giro di pochi secondi fino a 1-2 minuti: questo può far pensare a un’emorragia da rottura di un aneurisma o a una condizione rara chiamata RCVS (Sindrome da Vasocostrizione Cerebrale Reversibile) o, più raramente, a una trombosi venosa cerebrale che di solito però ha una presentazione meno violenta. Naturalmente se il mal di testa è associato a febbre e confusione mentale bisogna andare subito in ospedale. Esistono poi altre forme secondarie che lo specialista deve saper riconoscere, ma che sono nell’ambito della rarità.
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IN FAMIGLIA DOLCE ATTESA
∞ A CURA DI MARIA CASTELLANO
Quali sono invece le forme di cefalea più frequenti? E come si curano, vista la particolare condizione della donna? Le forme più frequenti sono la cefalea di tipo tensivo e l’emicrania. La cefalea di tipo tensivo può comparire o peggiorare in gravidanza a causa di molti fattori di cui si è parlato all’inizio. Solitamente il dolore è lieve o moderato, a volte a casco o costrittivo sulle tempie o sulla nuca. Può trarre beneficio da trattamenti non farmacologici come massaggi, tecniche di rilassamento, applicazione di impacchi freddi alla nuca. Quando necessario, si possono utilizzare paracetamolo o anche antiinfiammatori nel secondo trimestre di gravidanza senza abusarne.
L’emicrania solitamente è preesistente, ma può anche comparire per la prima volta in gravidanza, soprattutto la forma con aura - caratterizzata dalla presenza oltre al dolore di disturbi neurologici transitori prevalentemente di tipo visivo, ma anche del linguaggio e della sensibilità cutanea. Il dolore qui è pulsante e/o oppressivo, peggiorato dal movimento o dallo sforzo e associato a fastidio per rumori, luci, odori, nausea, vomito etc.. Lo stato di gravidanza nelle donne già emicraniche può ridurre la frequenza degli attacchi o farli scomparire del tutto, soprattutto dal secondo trimestre. Il problema si pone quando l’emicrania persiste o addirittura peggiora. Alcune pazienti che hanno attacchi frequenti con vomiti
ripetuti rischiano disturbi elettrolitici o malnutrizione che possono mettere a rischio la gravidanza stessa. È importante sottolineare che, aldilà di trattamenti non farmacologici che possono dare qualche risultato anche nell’emicrania, non bisogna demonizzare i farmaci, sia quelli da usare al bisogno, durante l’attacco, sia le terapie profilattiche, da assumere quotidianamente per cercare di ridurre la frequenza e l’intensità degli attacchi. Per quanto pressoché nessun farmaco venga sperimentato in gravidanza, per molti di essi abbiamo abbastanza informazioni per utilizzarli anche in questo stato, o almeno in alcuni periodi di esso, con la ragionevole sicurezza di non arrecare danni al feto o alla mamma.
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DOTT. FABRIZIO FIACCO Direttore Neurologia ASST Bergamo Est Responsabile Centro Cefalee Ospedale Bolognini Seriate (BG)
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Pertosse Vietato abbassare la guardia
Ancora diffusa in tutto il mondo, è diventata piuttosto rara in Italia grazie alla vaccinazione obbligatoria, introdotta 30 anni fa, per i bambini in età scolare. Negli ultimi anni, però, se ne è osservato un ritorno, a causa di una perdita progressiva dell’immunità legata alla scarsità di richiami del vaccino. Parliamo della pertosse, detta anche “tosse canina”, malattia infettiva altamente contagiosa, che soprattutto nei neonati può dare complicazioni anche molto gravi. Conosciamola meglio allora con l’aiuto del dottor Francesco Saettini, pediatra.
Dottor Saettini, da cosa è causata la pertosse?
La pertosse è una patologia infettiva, di natura batterica e molto contagiosa, causata da Bordetella Pertussis. Una forma simile, ma con sintomatologia un poco più lieve, è data dal batterio Bordetella Parapertussis. La pertosse colpisce le vie respiratorie e si trasmette attraverso le goccioline di saliva emesse dalle persone affette attraverso starnuti, colpi di tosse o semplicemente par-
lando. Il contagio è quindi interumano e l’uomo è l’unico serbatoio della malattia.
Come si manifesta e che tipo di evoluzione ha?
Dopo un periodo di incubazione di 10-15 giorni da contagio, la malattia evolve in tre fasi.
> La prima fase, chiamata “catarrale”, della durata di 1-2 settimane, è caratterizzata da tosse produttiva (tuttavia indistinguibile da altre forme infettive che causano tosse), rinite (raffreddore) e in alcuni casi febbre lieve. Gli altri sintomi presenti, anche in questo caso però non facilmente distinguibili da altre forme di infezioni respiratorie, possono essere congestione nasale, faringodinia (mal di gola) e iperemia e secrezione oculare (occhi rossi e lacrimanti), astenia (stanchezza);
> nella seconda fase, detta “parossistica”, della durata di 2-4 settimane, la tosse diventa persistente e compaiono crisi o
accessi di tosse. La tosse viene anche comunemente descritta come tosse convulsa o canina ed è solitamente resistente ai comuni sedativi della tosse.
Gli accessi di tosse più spesso avvengono la notte, possono durare anche qualche minuto, causando vomito e anche provocando delle emorragie sottocongiuntivali e nel naso.
Nei bambini più piccoli possono risultare molto pericolosi, portando a cianosi, apnee e difficoltà respiratorie;
> nell’ultima fase di “convalescenza”, della durata di 1-2 settimane, la tosse gradualmente migliora.
Le complicanze sono maggiormente frequenti nei bambini con età inferiore a un anno, nei quali la persistenza della tosse e gli accessi di tosse possono provocare, oltre a difficoltà respiratoria, anche disidratazione in caso di vomiti ripetuti e difficoltà all’alimentazione e sovrainfezioni batteriche (polmoniti, bronchiti e otiti). Rare ma possibili, sono anche
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IN FAMIGLIA BAMBINI
∞ A CURA DI ELENA BUONANNO
L’importanza della vaccinazione, anche in gravidanza
La vaccinazione contro la pertosse è obbligatoria ed è inserita nel calendario vaccinale con somministrazione al terzo, quindicesimo e undicesimo mese di vita con successivo richiamo tra i 5 e 6 anni di età. Poiché, però, l’immunizzazione tende a diminuire nel tempo è indicato effettuare richiami periodici. Inoltre risulta di particolare utilità la raccomandazione di eseguire la vaccinazione materna in gravidanza, che permette la produzione da parte della madre degli anticorpi contro la pertosse e il passaggio degli stessi al feto nell’ultimo trimestre, proteggendo il neonato nei primi mesi di vita. Il vaccino è efficace non solo nel diminuire il numero di casi di pertosse, ma anche nel ridurre la mortalità legata alle complicanze.
complicanze neurologiche come crisi convulsive ed encefaliti. Nel neonato e nei bambini al di sotto di un anno, la pertosse può essere molto grave, addirittura mortale.
Come si diagnostica?
La diagnosi può avvalersi sia di indagini ematochimiche (ricerca degli
anticorpi contro Bordetella Pertussis) sia di esami colturali (tampone nasofaringeo o rinofaringeo).
In cosa consiste la terapia?
Al domicilio, in particolare nei casi non complicati e negli adolescenti/adulti, si avvale di antibiotici (della classe dei macrolidi), antipiretici (ad esempio
paracetamolo) ed eventualmente di broncodilatatori (come il salbutamolo). È fondamentale il riposo e mantenere un’adeguata idratazione. Se una persona necessita di ricovero potranno essere necessari terapia endovenosa (per correggere la disidratazione) e supporto respiratorio (ad esempio ossigenoterapia).
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DOTT. FRANCESCO SAETTINI Specialista in Pediatria Presso CasaMedica Bergamo
DELLA SALUTE
Fili di trazione Un soft lifting senza tagli e cicatrici
Un effetto lifting del viso, ma senza tagli e cicatrici. È questa la promessa dei fili di trazione biostimolanti, innovativa procedura di medicina estetica anti-age sempre più apprezzata e richiesta - non solo dalle donne - grazie ai risultati visibili, ma naturali che permette di ottenere e alla sua mini-invasività. «Le persone sono sempre più alla ricerca di trattamenti ambulatoriali che aiutino a migliorare i segni del tempo e dell’invecchiamento in modo non invasivo. La tecnica di medicina estetica dei fili di trazione con Polydioxanone (PDO) è diventata molto popolare e utilizzata proprio perché è meno invasiva, richiede una tempistica breve, minor tempo di recupero e risultati con rarissime complicanze» confermano il dottor Salvatore Scandura e il dottor Silvian Stanciu.
Di che tipo di trattamento si tratta?
I fili di trazione con Polydioxanone sono un trattamento medico estetico ambulatoriale che mira a risollevare le lassità dei tessuti del viso riposizionandoli, per ottenere un
viso dai tratti più giovanili. In particolare, consiste nell’inserimento di fili riassorbibili composti da un materiale biocompatibile, che si usa da diversi anni in chirurgia generale e vascolare, nel derma profondo, cioè il “cuore” della pelle, a metà tra la cute superficiale e l’ipoderma, in cui si trovano i fibroblasti, le fibre di collagene, le fibre di elastina, ovvero le strutture di sostegno della pelle. Questi fili svolgono una duplice funzione: da una parte forniscono sostegno alla struttura cutanea e connettivale ceduta esercitando una delicata trazione meccanica, dall’altra favoriscono un’intensa biostimolazione dei tessuti con effetto tonificante e miglioramento della luminosità della pelle.
In che modo vengono inseriti i fili?
I fili vengono introdotti sottopelle senza dover ricorrere a grandi incisioni, attraverso aghi sottilissimi e indolori. Non è necessaria l’anestesia, ma si può utilizzare un anestetico topico.
Per quali parti del viso in particolare possono essere efficaci?
Questo tipo di trattamento medico estetico è specifico per donare un effetto lifting alle zone del volto quali la parte mediana del viso (ad
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∞ A CURA DI SARA CARRARA
DOTT SILVIAN STANCIU Medico Estetico Mediclinic Lecco
IN FORMA BELLEZZA
DOTT. SALVATORE SCANDURA Specialista in Chirurgia Plastica
esempio in caso di rughe naso genine, le cosiddette linee della marionetta) la parte bassa del viso, l‘area mandibolare, le sopracciglia e anche il collo. A seconda dell’area specifica da trattare attualmente esistono vari tipi di fili di trazione e di tecniche di inserimento.
Il risultato
è immediatamente visibile?
L’effetto stimolante, in genere, si vede dopo quattro settimane: si osserva un miglioramento dell’area trattata, la pelle risulta elastica e vitale, il tono cutaneo aumentato e l’aspetto delle rughe migliorato.
Quante sedute sono necessarie?
Il trattamento può essere eseguito in una sola seduta. Essendo i fili riassorbibili in 8-12 mesi, dopo quel periodo il trattamento andrebbe ripetuto per mantenere i risultati.
Anche per il corpo
Grazie alle diverse tipologie e diametri, i fili di trazione possono essere utilizzati non solo per il viso, ma anche per il corpo, in particolare per contrastare la perdita di elasticità della pelle di décolleté, braccia, ginocchia, interno coscia, addome e glutei.
Si devono osservare particolari precauzioni dopo il trattamento?
Nei punti di iniezione possono manifestarsi reazioni comuni a una normale iniezione, cioè gonfiore, rossore, prurito o sensibilità. In questi casi è bene evitare l’esposizione solare diretta fino a che non si siano risolte.
Dopo quanto si possono riprendere le normali attività?
La ripresa delle normali attività quotidiane è pressoché immediata.
Ci sono rischi?
Il tasso di complicazioni è molto basso e il tempo di recupero è molto veloce. Questo ovviamente purché sussistano le corrette indicazioni e venga scelta la tecnica più appropriata per le caratteristiche della persona. Per ottenere i risultati migliori, sia in termini di estetica sia di sicurezza, è importante che queste procedure medico estetiche siano praticate da specialisti quali chirurghi plastici e medici estetici, formati e preparati e con una completa conoscenza dell’anatomia facciale.
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Fat max La velocità di esercizio per bruciare più grassi
I primi mesi dell’anno, si sa, sono sempre caratterizzati da buoni propositi. Tra questi uno dei più gettonati è iniziare o re-iniziare a fare attività fisica in modo costante per perdere peso e arrivare all’estate più in forma. «La prima e imprescindibile regola per dimagrire è creare un deficit calorico tra quanto introduciamo con l’alimentazione e quanto bruciamo nel corso della giornata» sottolinea Massimo De Nardi, laureato in Scienze Motorie, in Scienza dello Sport e dottore di ricerca in Neuroscienze. «Per raggiungere questo obiettivo si possono svolgere diversi tipi di attività fisica, pesi, allenamento cardio o allenamento intervallato. L’importante è che si effettui un determinato volume di allenamento che consenta di creare il deficit calorico. In questo articolo ci focalizzeremo sull’allenamento cardio (quello più diffuso e “facile” da approcciare anche per i principianti) e in particolare sulla fat max»
Cosa si intende per fat max?
Con il termine fat max si intende l’intensità di esercizio alla quale si bruciano più grassi, o -per meglio dire - si verifica la massima percentuale di ossidazione dei grassi. Durante l’esercizio il nostro organismo utilizza una miscela di substrati, ovvero di grassi e di carboidrati, e il loro rispettivo contributo viene regolato largamente dall’intensità di esercizio e in modo minore da altri fattori quali età, sesso, dieta etc. In base all’intensità dell’esercizio quindi il nostro organismo decide di utilizzare una maggior percentuale di uno (grassi) o dell’altro (carboidrati). Prendendo ad esempio l’esercizio aerobico su tapis roulant, non a tutte le velocità di camminata o di corsa si assiste al medesimo consumo in percentuale dei due substrati e, nello specifico, non a tutte le intensità si ha la massima percentuale di ossidazione dei grassi. In altre parole se il nostro obiettivo è un allenamento brucia grassi dobbiamo essere consapevoli che questo è possibile solo se
lavoriamo all’intensità alla quale abbiamo il maggior dispendio di grassi. Ci sono, infatti, ad esempio delle intensità di corsa che prevedono il quasi totale consumo dei carboidrati, ma non dei grassi. Una recente review pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica International journal of environmental research and public health a firma di un gruppo di ricercatori messicani, analizzando i dati pubblicati su 11 articoli scientifici selezionati su un database di ben 356 pubblicazione, ha dimostrato che bastano dai 2 ai 5 mesi di allenamento alla fat max (per un volume settimanale che va dalle 2 alle 6 ore) per ridurre drasticamente il peso corporeo, la percentuale di massa grassa e migliorare i livelli di fitness anche in persone sedentarie.
Ma come si calcola questa intensità di esercizio brucia-grassi?
Innanzitutto è bene ricordare che la fat max è un parametro estremamente soggettivo, diverso da per-
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∞ A
IN FORMA FITNESS
CURA DI VIOLA COMPOSTELLA
sona a persona e che, anche nella stessa persona, varia nel corso degli anni. Fortunatamente però anche la fat max è allenabile e di conseguenza possiamo incidere in modo positivo sulla sua variabilità. Detto questo, un modo rigoroso per calcolare la fat max è utilizzare il test incrementale con il metabolimetro, detto anche test del VO2max. Grazie a questo strumento infatti
abbiamo la possibilità di misurare, oltre alla frequenza cardiaca e alla frazione di ossigeno e anidride carbonica consumata, anche la percentuale dei substrati utilizzati alle rispettive intensità. Partendo da una velocità di riscaldamento, il protocollo del test prevede poi di incrementare ogni minuto l’intensità dell’esercizio di una data unità. Ciò consente, incrociando i dati ri-
levati dal metabolimetro, di stabilire il punto in cui avviene la maggior ossidazione dei lipidi, traducendolo in intensità di esercizio riferite sia a frequenza cardiaca sia a velocità o wattaggio. Il test incrementale con il metabolimetro è un test alla portata di tutti in quanto le velocità di partenza e di incremento vengono individuate e personalizzate in base alle proprie capacità.
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INGREDIENTI per 8 persone
160 g Farina tipo 0
200 g Farina mais fioretto
180 g Olio girasole deodorato
Calorie a persona
520 Kcal
350 g Malto di riso
300 g Succo d’arancia
1 Cucchiaino lievito per dolci
1 Pizzico di sale, vaniglia e cannella
1 Cucchiaio di cocco grattugiato, noci o pistacchi
qb Acqua di rose
PREPARAZIONE
Unire il succo d’arancia (anche pronto) all’olio e al malto. Miscelare bene e unire piano le farine, continuando a mescolare con una frusta. Aggiungere sale, lievito, cannella, vaniglia e cocco. Preparare una tortiera oliata e infarinata (mais fioretto) oppure foderata con carta forno. Versare il composto (meglio in tortiera rettangolare) e cuocere in forno preriscaldato a 180°C 30-40 min. Quando sarà ben dorato sfornare e raffreddare. Nel frattempo preparare una bagna con 2 cucchiai di malto e acqua di rose. Togliere delicatamente la torta, riporla su un vassoio e spennellarla con la bagna. Guarnire con noci e/o pistacchi tritati grossolanamente.
Questi tipi di dolci hanno una consistenza particolare, diversa dalla Torta tipo Pan di Spagna a cui siamo abituati; più pastosi e umidi grazie alla bagna, che di solito è a base di miele.
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Permette di valutare la funzionalità dell’esofago ad esempio in caso di sintomi come reflusso acido dallo stomaco, difficoltà nella deglutizione o dolore toracico. È la manometria esofagea, esame ormai entrato nella pratica clinica. Approfondiamo l’argomento insieme al dottor Roberto Antonio Noris, gastroenterologo.
Dottor Noris, che tipo di esame è la manometria esofagea?
La manometria esofagea è una metodica che permette di studiare la motilità dell’esofago, vale a dire la sua funzionalità motoria, introducendo al suo interno un catetere in grado di misurare la pressione che si verifica all’interno dell’organo.
A cosa serve?
La manometria esofagea permette lo studio delle alterazioni della deglutizione, del transito del bolo alimentare e dell’attività degli sfinteri esofagei, oltre che per le valutazioni necessarie prima e dopo gli interventi al cardias (punto in cui lo stomaco incontra l’intestino). Le
patologie che si individuano sono, quindi, i disordini, primitivi o secondari, a carico dell’esofago e della giunzione tra esofago e stomaco, come, per esempio, le sindromi disfagiche (ovvero la difficoltà a deglutire), la malattia da reflusso gastroesofageo, e disordini esofagei secondari come nella sclerodermia (malattia che può colpire la funzione motoria dell’esofago).
Il disordine motorio più severo che si può riscontrare è l’acalasia esofagea, una malattia che comporta una contrazione anomala della parte terminale del muscolo esofageo (che riveste tutto l’esofago) e che è caratterizzata dalla difficoltà a deglutire. Per trattarla è necessario, preferibilmente, eseguire un’operazione chirurgica, chiamata “miotomia esofagea” effettuata in modo mininvasivo, tramite laparoscopia o endoscopia. Raramente le altre anomalie richiedono operazioni chirurgiche, ma possono essere trattate con terapie mediche.
Come viene eseguita e quanto dura?
Lo studio manometrico viene
effettuato introducendo un catetere esplorante per via nasale. Si preferisce questa via, rispetto a quella orale, perché le misurazioni dell’attività tonica e della distanza degli sfinteri risultano più precise e costanti, con conseguenti minori oscillazioni, e i movimenti di deglutizione, per lo studio dell’attività fasica, avvengono con maggiore facilità. Durante l’esame, inoltre, il paziente dovrà cercare di ridurre al minimo le deglutizioni spontanee. Identificati lo sfintere esofageo superiore (SES) e lo sfintere esofageo inferiore (SEI) vengono eseguite 10 deglutizioni liquide di circa 5 millilitri d’acqua per stimolare l’attività motoria primitiva esofagea e valutare l’eventuale presenza di alterazioni. In tutto ha una durata di circa 20 minuti.
Prevede una preparazione specifica?
No, non è prevista una preparazione specifica salvo il digiuno dalla mezzanotte prima dell’esame.
Ha controindicazioni?
L’indagine eseguita nel corso
48 | Bergamo Salute | Gennaio/Febbraio 2023
Manometria esofagea In cosa consiste e quando serve
∞ A CURA DI MARIA CASTELLANO
RUBRICHE GUIDA ESAMI
della manometria esofagea è generalmente ben tollerata e non presenta rischi significativi, né sono stati descritti eventi avversi seri correlati all’esecuzione dell’esame. Controindicazioni assolute all’esecuzione dell’esame sono la non collaborazione del paziente,
l’intolleranza verso il catetere manometrico, stenosi o ostruzioni della faringe ed esofago superiore, patologie cardiache in cui una valutazione specialistica controindichi una stimolazione vagale o documenti il rischio di aritmie (in particolare in pazienti anziani o con
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Vertigini? Un aiuto dalla riabilitazione vestibolare
Vertigini, capogiri e disturbi di equilibrio sono sintomi che possono avere molte e diverse cause: malattie infiammatorie, infezioni, patologie vascolari o patologie cardiocircolatorie, oltre a malattie dell’orecchio interno o del sistema nervoso centrale, ma anche problematiche della colonna vertebrale e del sistema muscolo-scheletrico (cervicalgia alterazioni posturali e muscolari). Il primo passo è ricercarne l’origine in modo da poter affrontare la patologia alla base nel modo corretto. A integrazione dei farmaci e su indicazione medica, in alcuni casi un aiuto importante può venire da una particolare tipologia di riabilitazione chiamata vestibolare. Ma di cosa si tratta? Ne parliamo con Claudio Gasbarro, fisioterapista e osteopata.
In quali casi, in particolare, può essere indicata la riabilitazione vestibolare?
La riabilitazione vestibolare può essere utile, ad integrazione della
terapia farmacologica prescritta dal medico specialista (in genere otorinolaringoiatra), in caso di vertigini e più in generale di disturbi dell’equilibrio causati da malattie dell’orecchio interno o del sistema nervoso centrale (vedi box), ma anche da problematiche della colonna vertebrale e del sistema muscolo-scheletrico (cervicalgia, disfunzioni temporo-mandibolari, alterazioni posturali e muscolari).
Qual è l’obiettivo di questo tipo di riabilitazione?
L’obiettivo della riabilitazione vestibolare non è la guarigione della patologia sottostante, ma il ripristino delle funzioni alterate e dei naturali processi di controllo della postura e dell’equilibrio, con una continua integrazione fra più sistemi simultaneamente per massimizzare il potenziale residuo della persona. Inoltre, aiuta a correggere possibili atteggiamenti o posture errate, insorti come conseguenza della patologia, che potrebbero
comportare un ulteriore peggioramento dello stato di salute con l’insorgenza di ulteriori disturbi come la cervicalgia o la cefalea miotensiva.
In cosa consiste in pratica?
Solitamente un percorso improntato alla rieducazione vestibolare prevede un minimo di 8-10 sedute da programmare con cadenza bisettimanale. Durante i singoli trattamenti, il terapista, in continuo confronto con lo specialista, propone una serie di esercizi e di test per monitorare la stabilità del paziente. Fondamentale per raggiungere gli obiettivi prefissati è procedere con esercizi di difficoltà crescente, iniziando a lavorare in posizione seduta per poi procedere in stazione eretta ed eventualmente anche su apposite superfici instabili. Nello specifico si effettuano di esercizi:
> per il controllo della muscolatura oculo-motrice;
> di svincolo oculare durante i
50 | Bergamo Salute | Gennaio/Febbraio 2023
RUBRICHE ALTRE TERAPIE
∞ A CURA DI CLAUDIO GUALDI
movimenti del capo;
> propriocettivi e di cambio di posizione;
> esercizi deambulatori in condizioni speciali.
Gli esercizi oculomotori hanno il compito di aiutare il paziente a migliorare il controllo degli occhi così da ottimizzare la capacità di prendere un punto fisso e diminuire il rischio di caduta. Successivamente, attraverso altri appositi esercizi, il terapista insegna alla persona a mantenere focalizzati gli occhi su un punto fisso mentre esegue specifici movimenti del
capo senza distogliere lo sguardo dal punto-obiettivo situato dinnanzi a lui. Una volta raggiunti i primi risultati si inseriscono esercizi propriocettivi mono e bipodalici e prove di cambi posturali a difficoltà crescente prestando sempre attenzione a non stimolare una eccessiva sintomatologia vertiginosa.
Cosa s’intende per esercizi propriocettivi?
Si tratta di esercizi che vanno a stimolare il sistema propriocettivo, ovvero la capacità di percepire e
riconoscere la posizione del nostro corpo e degli arti nello spazio indipendentemente dall’utilizzo della vista, così da allenarlo a fornire risposte rapide ed adeguate in situazioni destabilizzanti.
Spesso le vertigini sono legate a problemi di cervicale.
SINTOMI E CAUSE
La vertigine, che può avere una durata variabile da pochi secondi fino ad ore o addirittura giorni, è un sintomo soggettivo caratterizzato per lo più da una sensazione di instabilità, oppure che l’ambiente circostante ruoti attorno a sé durante i movimenti rotatori del capo. Questa sensazione può essere associata ad altri sintomi come cefalea, vomito, nausea o diplopia (visione doppia). Lo scaturirsi di un evento vertiginoso può essere dovuto a diverse cause che si possono dividere in:
> centrali, dovute a problematiche a carico di diversi apparati o sistemi del corpo, ad esempio il sistema nervoso centrale, come ictus o emorragie cerebrali, neurinoma del nervo acustico, alcune particolari forme di sclerosi multipla periferiche;
> periferiche, legate a problematiche di pertinenza dell’orecchio interno come la sindrome di Menieré, la labirintite, la neurite vestibolare, la vertigine parossistica posizionale benigna o la vertigine cervicogenica.
La riabilitazione può aiutare anche in questi casi?
Nei casi in cui la vertigine sia di origine cosiddetta cervicogenica, la fisioterapia assume un ruolo importante poiché l’origine dei disturbi è da ricercarsi nell’alterazione della biomeccanica del tratto cervicale. Mediante apposite manovre di terapia manuale ed esercizi analoghi a quelli visti precedentemente, il terapista potrà aiutare la persona a ripristinare la corretta funzione dei muscoli e delle articolazioni del collo garantendo un rapido sollievo con un evidente beneficio già dopo i primi trattamenti.
Gennaio/Febbraio 2023 | Bergamo Salute | 51
CLAUDIO GASBARRO Fisioterapista ed Osteopata Centro Forme di Curno
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Fa fatica a leggere e/O a tenere il segno.
Vede le parole muoversi durante la lettura.
Ha difficolTA’ a copiare il testo scritto alla lavagna.
Vede doppio o ha mal di testa dopo la lettura.
Tra il 6% e il 15% dei gatti, secondo gli studi, soffre di una patologia cutanea. Alcuni anche di più di una. I problemi cutanei sono quindi un motivo frequente di richiesta di una visita veterinaria. Ma quali sono le dermopatie più frequenti? Come riconoscerle? Lo abbiamo chiesto al dottor Stefano Cattaneo, medico veterinario.
Dottor Cattaneo, quali sono le cause più comuni di patologie cutanee nei gatti? Le cause sono molteplici, dai parassiti alle allergie. Spesso le patologie cutanee si presentano con sintomi simili e, come nell’uomo, l’iter diagnostico può risultare frustrante e necessita l’ausilio di numerosi esami complementari (biopsie cutanee, esami batteriologici e micologici, test allergolo -
gici etc.). Una fotografia della pelle dell’animale è assolutamente insufficiente per una diagnosi, quindi la richiesta di ottenere una diagnosi sulla base di un’immagine inviata magari attraverso i canali social è impossibile.
Possono riguardare indifferentemente tutti i gatti o alcuni sono maggiormente esposti al rischio?
Lo stile di vita, il sesso e la razza influenzano in modo rilevante il rischio di contrarre determinate malattie della pelle. Nel gatto maschio non castrato a vita libera (outdoor), ad esempio, è molto frequente riscontrare infezioni batteriche legate a ferite da morso, derivanti dalle lotte con gli altri gatti (ragione per cui la castrazione è sempre raccomandabile).
I gatti “outdoor ” sono molto più
esposti a contrarre forme parassitarie (pulci, pidocchi, le rogne dell’orecchio etc.), in genere evitabili con la prevenzione tramite antiparassitari, ma ancora di frequente riscontro nella pratica clinica anche per il fenomeno emergente di resistenza dei parassiti ai farmaci. Meno frequente di un tempo è invece la micosi, la cosiddetta “tigna”, molto presente nei gatti randagi adottati, ora diminuita grazie all’impegno delle associazioni di protezione dei gatti e dei gattili nel garantire un controllo sanitario degli animali da adottare. Ancora poco diffusa è la dermatite da coxvirus, una malattia trasmessa dal morso di roditori, più frequente nei gatti che vivono in campagna, che si presenta con una lesione singola prima come macula e poi in forma nodulare-ulcerativa-crostosa. Tutte
Gennaio/Febbraio 2023 | Bergamo Salute | 53
∞ A
CURA DI CLAUDIO GUALDI
RUBRICHE ANIMALI
Problemi cutanei nel gatto: quali sono e come riconoscerli
queste problematiche sono rare nei gatti che vivono solamente in casa. Unica eccezione è il gatto persiano che può essere un portatore sano di micosi, per la quale l’unico indizio è la presenza di forfora. Il gatto persiano, insieme allo hymalaiano, è predisposto anche alla dermatite facciale, patologie legata all’accumulo in particolare fra le pieghe cutanea del muso di materiale scuro untuoso, che si manifesta fin da giovane.
Sì. Per questo è importante rivolgersi al veterinario per una visita dermatologica anche al minimo sintomo.
Per quanto riguarda le forme allergiche, a cosa sono dovute in genere e come si riconoscono? Come nell’uomo, anche nei gatti, in particolare in quelli “ indoor ” (cioè che vivono in casa) si è assistito a un aumento dell’incidenza delle allergie che in questa
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DOTT. STEFANO CATTANEO Medico Veterinario
LA PELLE: SPECCHIO DELLA SALUTE
La cute è l’organo più esteso del gatto, costituendo circa un quarto del suo peso, con importanti funzioni, quali la regolazione della temperatura corporea e l’effetto di barriera protettiva rispetto all’ambiente, ed è certamente lo specchio della salute dell’animale stesso: il mantello deve essere pulito e morbido, liscio al tatto, non untuoso, la cute non deve presentare arrossamenti, lesioni crostose, perdita di pelo, desquamazioni o forfora, noduli o masse. Pur essendo un organo facilmente ispezionabile, non sempre la presenza di un disturbo cutaneo è da subito evidente, poiché il gatto è un animale molto pulito e tende a rimuovere le alterazioni, per cui a volte l’unico sintomo è il leccamento intenso.
possono essere legate sia ad allergeni ambientali (pollini, acari della polvere, muffe) sia alimentari. L’ iter diagnostico, una volta escluse le altre patologie causa di prurito, prevedono test allergologici attraverso esame del sangue ed eventualmente l’intradermoreazione (test che consiste nell’inoculazione nel derma di sostanze in grado
di scatenare reazioni allergiche) e diete ad eliminazione.
Possono soffrire anche di tumori cutanei?
Rispetto al cane, l’incidenza di tumori cutanei nei gatti è più bassa. Fanno eccezione i gatti con i padiglioni auricolari coperti da pelo bianco, perché hanno
un rischio più alto di sviluppare il carcinoma squamocellulare, una neoplasia maligna, a causa di un maggior rischio di insolazione. Per questo, in estate, soprattutto se presentano i margini dei padiglioni arrossati con desquamazioni, è bene applicare delle creme per la protezione solare come prevenzione.
BG Salute Pub.pdf 1 13/01/2023 14:47:28
Il farmacista oncologico, una nuova figura al fianco dei pazienti
∞ A CURA DI CLAUDIO GUALDI
« Gli ultimi tre anni sono stati preziosi per consolidare la professione del farmacista come figura di riferimento sul territorio e per i cittadini. La fiducia che si instaura con i pazienti è tale da permettere una confidenza unica: il farmacista è il consigliere a cui potersi rivolgere sempre. Un consigliere che, grazie a master o scuole di specializzazione, può rappresentare un punto di riferimento qualificato anche in specifici settori di specialità, come ad esempio quello oncologico, offrendo la possibilità di una grande rete territoriale in grado di non far sentire solo il paziente, anche al di fuori dell’ospedale ». Dice la dottoressa Mara Brunelli, farmacista oncologico. Ci siamo rivolti e lei per conoscere meglio questa figura, introdotta recentemente.
Come si diventa farmacista oncologico?
Frequentando il corso di specializzazione in farmacia oncologica. Si tratta di un corso introdotto negli ultimi anni che garantisce al farmacista di approfondire la materia sotto i vari aspetti e le fasi che caratterizzano la malattia. A questo proposito è doveroso specificare che l’intenzione del farmacista non è quella di modificare o mettere in discussione le terapie proposte, bensì di offrire supporto e permettere al paziente di sentirsi rassicurato qualora ci fossero perplessità o paure riguardo ciò che dovrà affrontare.
Che tipo di formazione offre questo corso?
La scuola prevede un primo anno di formazione generale in cui vengono affrontate tematiche multidisciplinari per il consiglio e l’assistenza al paziente. La prima parte riguarda lo studio dell’evo -
luzione della terapia antiblastica, necessario per avere il giusto inquadramento del tipo di cura che il paziente dovrà intraprendere. Saper leggere i fogli di dimissione ospedaliera e avere subito un’idea chiara dello stadio del tumore del paziente è fondamentale per approcciare in maniera concreta il problema. Quando ad esempio un paziente affronta una terapia chemioterapica orale il farmacista può intervenire per monitorarne la compliance e cercare di evitare errori dovuti all’ingente numero di compresse che la persona, soprattutto se anziana, deve assumere tutti i giorni. Durante il primo anno di scuola si affrontano anche altre due tematiche che riguardano da vicino il mondo della farmacia, nello specifico l’alimentazione e la cosmetologia. La relazione con il paziente oncologico è un altro tassello che viene analizzato durante la preparazione del corso. Ogni persona reagisce in modo
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DAL TERRITORIO FARMACIE
estremamente personale alla diagnosi di malattia e per prima cosa devono essere rispettate le paure e le perplessità che insorgono in una fase di vita così delicata. La scuola prevede infine altri due moduli (spalmati su due anni) di approfondimento: il primo è incentrato sul melanoma, sui suoi aspetti clinici e sugli aggiornamenti terapeutici. Il secondo riguarda il tumore alla mammella e al colon-retto, screening e prevenzione. Essere in costante aggiornamento è l’unico modo per poter seguire passo passo i pazienti.
Qual è in particolare il ruolo del farmacista oncologico nell’ambito dell’alimentazione e della cosmetologia?
Avere uno stile di vita sano ed equilibrato è infatti la miglior prevenzione e cura per qualunque tipo di malattia. Il farmacista ha un ruolo importante nel diffonde -
re informazioni corrette riguardo un’alimentazione adeguata, soprattutto quando si tratta di pazienti oncologici. Infatti I pazienti sottoposti a chemioterapia hanno spesso forti ripercussioni sul tratto gastroenterico ed è necessario guidarli verso un’alimentazione che li possa far sentire meglio e che sia sostenibile per l’organismo. Il farmacista oncologico sa consigliare al paziente gli alimenti per limitare la nausea o evitare altre pietanze in modo da non andare incontro a interazioni con la terapia in atto (soprattutto quando si tratta di terapie ormonali). Risulta quindi di fondamentale importanza dialogare con la persona riguardo le sue abitudini alimentari, perché solo in quel momento si può capire come poterla aiutare. Quando si correggono gli errori che compiono, anche inconsapevolmente, durante colazione, pranzo e cena, i pazienti notano subito un miglioramento del loro
stato psicofisico e ciò li rasserena. La cosmetologia, invece, che viene affrontata in modo meticoloso durante il corso (dalle basi anatomiche della pelle alle varie possibili reazioni cutanee che si verificano in seguito a radioterapia e chemioterapia), aiuta a supportare al meglio il paziente nella scelta dei detergenti da poter usare per evitare reazioni avverse a causa della cute più sensibile. Nonostante le esigenze della pelle spesso vengano messe in secondo piano, è importante consigliare le giuste creme idratanti e lenitive per favorire il proseguimento delle cure. Il cancro è inoltre correlato alla perdita dei capelli, fenomeno purtroppo spesso inevitabile. Solo con un buon livello di empatia si può interagire col paziente interessato, soprattutto se donna, accompagnandolo nelle sue scelte più delicate quali ad esempio l’uso o meno della parrucca o del turbante.
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DOTT.SSA MARA BRUNELLI Farmacista Oncologico Farmacia Seriana Gazzaniga
Alta Via delle Grazie, in arrivo la guida ufficiale
“Un grande viaggio in terre di devozione e tradizioni alpine, nell’abbraccio di una natura mozzafiato e, la sera, di un’ospitalità genuinamente pellegrina”. Con queste parole l’editore Terre di Mezzo (riferimento specializzato per tutti i Cammini in Italia ed Europa) ha presentato, in coincidenza con l’anno di “Bergamo Brescia Capitale della Cultura 2023”, la guida ufficiale dell’Alta Via delle Grazie, il cammino disegnato per quasi 300 chilometri fra la città di Bergamo, la Val Seriana, l’Alto Sebino e il lago d’Iseo, toccando ben diciotto santuari mariani. La Guida offre tutte le informazioni utili per mettersi in cammino, la cartografia dettagliata, le altimetrie, i dislivelli, i luoghi dove dormire, la descrizione del percorso e delle località da visitare. Il Cammino dell’Alta Via delle Grazie è nato da un’idea di Gabriella Castelli di Leffe e Giovanni Battista Merelli di Vertova, morto a causa di un tragico incidente sulla Presolana nella primavera 2021, che ispirati da Santiago de Compostela hanno intuito che anche nei dintorni di casa si potesse intraprendere “la busqueda” (la ricerca interiore). L’Alta Via delle Grazie, partendo dal centro di Bergamo si sviluppa per poco più di 271 chilometri, con 12.850 m di dislivello in ascesa e 11.557 in discesa, suddiviso in 13 giorni di cammino. Sul sito (www.altaviadellegrazie. com) vengono proposte anche una versione “breve” da 7 tappe ed una da percorrere in mountain bike in 8 tappe. Per informazioni www.terre.it.
Associazione Mosaico: 581 posizioni disponibili per il Servizio Civile Universale
Sono aperte fino al 10 febbraio le candidature per il Servizio Civile Universale, rivolto a ragazzi e ragazze tra i 18 e i 28 anni. L’Associazione Mosaico di Bergamo, ente senza scopo di lucro, mette a disposizione 581 posizioni, in diversi ambiti non solo nella città di Bergamo ma anche in tutta la Lombardia. Mosaico è infatti “un’associazione di associazioni” pubbliche e private, a cui aderiscono Comuni, comunità montane, Province, fondazioni culturali, cooperative sociali, associazioni del privato sociale, centri studi, organizzazioni di volontariato, enti di cooperazione internazionale, università etc.. Le aree di intervento nelle quali è possibile prestare il Servizio Civile, in particolare, sono:
> assistenza (anziani, minori, disabili, disagio adulto);
> ambiente e protezione civile (protezione civile, difesa ecologica, tutela ed incremento del patrimonio forestale, salvaguardia e fruizione del patrimonio forestale);
> cultura ed educazione (promozione culturale, educazione, salvaguardia del patrimonio artistico). Per informazioni: www.mosaico.org.
NEWS
DAL TERRITORIO NEWS
Nuovo look per il Policlinico San Pietro
È stato inaugurato ufficialmente il “nuovo” Policlinico San Pietro del Gruppo San Donato. Grazie agli ultimi lavori di ampliamento conclusi recentemente, con la costruzione del nuovo corpo di fabbrica frontale per un totale di 8.000 metri quadrati e un investimento di quasi 15 milioni di euro totalmente autofinanziati, il Policlinico San Pietro ha cambiato radicalmente volto, diventando ufficialmente anche sede del Corso di Laurea in Infermieristica dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. L’esterno
è ora lineare e completamente bianco con una torre ascensori rossa dominante che si staglia sulla facciata. Il nuovo ingresso principale è caratterizzato da ampie vetrate luminose e da un bel giardino alberato con panchine, pensato per la piena armonia e tranquillità dei visitatori e dei ricoverati. L’interno ospita un’ariosa hall, il nuovo Centro Unico di Prenotazione, nuove aree ambulatoriali con Centro Prelievi, l’auditorium - centro congressi e la nuova sede dell’Università. Luminosità, accoglienza, percorsi
lineari e protetti con connessioni tra i diversi corpi dell’ospedale tutti al coperto, separazione dei flussi: queste le linee guida che hanno ispirato la progettazione e la realizzazione dei nuovi corpi di fabbrica. Inoltre, sono stati messi a disposizione dell’utenza numerosi spazi di attesa confortevoli e tecnologici, servizi di supporto quali bar e negozi, concentrati in un’area facilmente fruibile direttamente dalla hall di ingresso. È stata infine allestita la nuova cappella ospedaliera al centro di questi percorsi.
È un bambino di 5 anni, proveniente da un’altra regione, il primo paziente in Italia ad essere stato sottoposto, il 17 gennaio all’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, a un trapianto di polmone da donatore vivente. Il donatore è il padre del piccolo, che dopo aver donato al bambino il midollo per curare una rara malattia che lo affligge fin dalla nascita, ha scelto di donare anche una parte del suo polmone per salvare la vita al figlio. Si tratta di un caso molto raro, con pochissimi precedenti in Europa.
Il bambino è affetto da talassemia o anemia mediterranea, una patologia del sangue che ha reso necessario un trapianto di midollo, effettuato in un altro ospedale italiano. La donazione del midollo dal padre, con conseguente “trasferimento” del sistema immunitario del genitore sul figlio, ha però generato la cosiddetta malattia da trapianto contro l’ospite (Graft versus Host Disease, GvHD), una grave complicanza che si osserva nei pazienti sottoposti a trapianto allogenico. Si tratta di una complessa reazione immunitaria, dove le cellule trapiantate provenienti dal
donatore “attaccano” gli organi e i tessuti del ricevente, che il nuovo sistema immunitario non riesce a riconoscere come propri. Questa forma di rigetto aveva causato al bambino un danno estremamente grave ed irreversibile alla funzionalità polmonare, che ha poi reso necessario il trapianto di polmone realizzato a Bergamo.
I medici sono fiduciosi sul decorso post operatorio, anche perché in questo caso il rischio di rigetto, particolarmente elevato per il trapianto di polmone da cadavere, è molto basso quando il sistema immunitario “riconosce” il nuovo organo come proprio. È questo il motivo principale per cui, quando un ospedale da fuori regione ha chiesto la disponibilità del Papa Giovanni XXIII ad accettare il paziente pediatrico per un trapianto di polmone, i chirurghi di Bergamo, con alle spalle una quarantennale esperienza nel campo dei trapianti e della chirurgia maggiore, hanno proposto alla famiglia la donazione da vivente.
«L’estrema rarità di questi casi e i limiti tecnici del trapianto da viven-
te, nel caso del polmone non lo rendono un’opzione terapeutica di facile applicazione. Per questo, diversamente da quanto succede per altri organi, non viene abitualmente considerata un’opzione alla portata di tutti, in grado di contribuire efficacemente all’abbattimento delle liste d’attesa» ha precisato Michele Colledan, direttore del Dipartimento di insufficienza d’organo e trapianti e dell’Unità di Chirurgia generale 3 – trapianti addominali dell’ASST Papa Giovanni XXIII. « L’intervento segna comunque per il nostro Ospedale una tappa importante in un percorso di crescita dell’attività trapiantologica quasi quarantennale. Un cammino intrapreso grazie al pionierismo di Lucio Parenzan nella cardiochirurgia pediatrica e che ci ha portati, anche grazie a Giuseppe Locatelli, alla specializzazione nelle patologie del bambino congenite e acquisite e che, negli ultimi 20 anni, si è rafforzata puntando ad un’attività clinica di alto livello sul polmone, anche nell’adulto».
La donazione di polmone da vivente è un’opzione possibile, ma
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DAL TERRITORIO NEWS
Eseguito al Papa Giovanni XXIII il primo trapianto di polmone da vivente in Italia
finora eseguita solo in rari casi e in pochissimi Paesi del mondo, soprattutto in Giappone e nel Nord America a causa della sua applicazione estremamente complessa. I casi noti in Europa sono pochi. Un trapianto da vivente risulta in Germania nel 2012. La banca dati EuroTransplant, che mette in rete alcuni Paesi dell’Europa centrale, registra due casi negli ultimi dieci anni.
Il doppio intervento di prelievo e di trapianto ha richiesto l’impiego di due sale chirurgiche adiacenti, che hanno lavorato in parallelo. Tutta la procedura in sala operatoria è durata 11 ore. Mentre il donatore veniva sottoposto al prelievo del lobo polmonare, nella sala adiacente iniziava la fase di preparazione del ricevente. L’intervento è stato guidato e coordinato da Michele Colledan, che
ha anche effettuato il trapianto sul bambino. Il prelievo del lobo polmonare destro dal padre donatore è stato eseguito da Alessandro Lucianetti, direttore della Chirurgia generale 1 - addominale toracica. Gli anestesisti della Terapia intensiva cardiochirurgica, i cardiochirurghi pediatrici e i perfusionisti hanno predisposto il supporto delle funzioni cardiocircolatorie con l’ECMO. Le due équipe sono state assistite dalla Anestesia e Rianimazione e dallo staff tecnico ed infermieristico, per un totale di diverse decine di operatori coinvolti. Lo studio e la gestione dei pazienti prima e dopo l’intervento sono stati seguiti dalle équipe della Pediatria, della Pneumologia, della Terapia intensiva pediatrica e dalla Terapia intensiva adulti. Il Centro Nazionale Trapianti ha concesso un’autorizzazione spe -
ciale all’ospedale bergamasco per eseguire questo intervento.
«Un apprezzamento va a tutto il personale che ha gestito il duplice intervento » ha dichiarato Maria Beatrice Stasi, Direttore Generale dell’ASST Papa Giovanni XXIII. «Casi clinici così complessi e delicati sono possibili grazie a uno sforzo organizzativo straordinario. Diverse decine di professionisti, ciascuno nel suo ruolo, hanno contribuito in tutte le fasi, nei reparti, nelle sale chirurgiche, nei laboratori, nelle sedi e negli uffici del personale tecnico ed amministrativo. È grazie a questo lavoro di squadra che il nostro Ospedale, una grande azienda pubblica, raggiunge e mantiene standard clinici d’avanguardia, non solo a livello nazionale»
FARMACIA DONATI
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Fidas Bergamo: dal 1960 in campo per sensibilizzare sulla donazione del sangue
« Si stima che in Italia siano necessarie circa 2.500.000 unità di sangue intero e circa 860.000 kg di plasma ogni anno. Poiché il sangue è un presidio terapeutico prezioso non producibile in laboratorio, ogni donatore gioca un ruolo fondamentale». Chi parla è Flaminia Rota Presidente della Fidas Bergamo (ex A.B.D.S.), associazione di donatori di sangue basata esclusivamente sul volontariato e senza scopo di lucro che opera sul territorio bergamasco dal 1960, anno della fondazione. La Fidas
Bergamo è una delle 80 federate di donatori che fanno parte della Fidas Nazionale (Federazione Italiana Associazioni Donatori di Sangue). «La maggior parte di noi può donare il sangue e molti, almeno una volta nella vita, potrebbero averne bisogno. Per tante persone
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Tel. 035 244555
il sangue e i suoi componenti rappresentano una terapia indispensabile per la sopravvivenza. Ecco solamente alcuni dei tanti possibili esempi: i globuli rossi, in caso di perdite ematiche ed anemie; le piastrine, in caso di malattie emorragiche e per pazienti sottoposti a
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DAL TERRITORIO TERZO SETTORE
∞ A CURA DI CLAUDIO GUALDI
COSA FARE PRIMA, DURANTE E DOPO LA DONAZIONE
Prima
Non fare le ore piccole: il sonno è un alleato dei donatori. Fai una leggera colazione evitando grassi e latticini. Evita le sigarette a ridosso della donazione.
Durante
Stringi e apri il palmo della mano dalla quale stai effettuando la donazione.
Rilassati e non accavallare le gambe: ostacoleresti il flusso sanguigno.
Dopo
Concediti una giornata di riposo ed evita sforzi fisici. Non mangiare cibi troppo pesanti per non affaticare il fisico Reintegra i liquidi, bevendo molto durante tutta la giornata. Multicomponenti. La donazione cosiddetta in aferesi (plasma, piastrine o multicomponenti) è consigliata ai donatori che hanno bassi valori di emoglobina e ridotte riserve di ferro.
Dipendiamo è un centro di eccellenza per il trattamento e lo studio delle New Addiction, ovvero le dipendenze senza sostanza.
Percorsi di terapia Individuali Percorsi di terapia di Coppia
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I Percorsi Terapeutici Le Patologie Trattate
Problematiche sessuali Narcisismo patologico
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Autostima
Problematiche a ettive
I Gruppi di Terapia
Gruppi sulla Dipendenza A ettiva Gruppi sull’Autostima Gruppi sul Narcisismo Patologico Gruppi sulle Dipendenze senza Sostanze (Lavoro, Sessualità, Internet, Shopping)
I Laboratori
LAB- Sviluppo delle Competenze Emotive (rivolti a genitori, educatori ed insegnati)
LAB - La Sana a ettività e Sessualità (rivolti a adolescenti, adulti, professionisti)
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trattamenti chemioterapici; il plasma, in caso di gravi ustioni e tumori del fegato; i plasmaderivati per le immunodeficienze primitive e l’emofilia».
Quali sono gli obiettivi della vostra associazione?
Scopo principale dell’Associazione è promuovere nell’opinione pubblica una diffusa cultura della donazione volontaria del sangue gratuita e periodica, consapevole e anonima. La Fidas Bergamo inoltre partecipa, si aggiorna e informa sulle novità legislative, scientifiche e sanitarie che riguardano i donatori e il servizio trasfusionale. Non fa raccolta diretta del sangue, ma invia i propri donatori presso i Centri Trasfusionali degli ospedali. Attualmente collaboriamo con i seguenti:
> Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo;
> Ospedale Bolognini di Seriate (BG);
> Ospedale di Treviglio (BG);
Non solo sangue
> Ospedale di Lovere (BG);
> Ospedale di Alzano (BG);
> Ospedale di Gazzaniga (BG);
> Ospedale San Raffaele di Milano;
> Ospedale di Garbagnate (MI).
Quali sono i “requisiti” per poter donare?
Avere un’età tra 18 e 65 anni. La donazione di sangue intero da parte di donatori periodici di età superiore ai 65 anni può essere consentita (fino ai 70 anni) previa valutazione clinica dei principali fattori di rischio età-correlati.
A tutela della salute del donatore per effettuare donazioni di sangue o emocomponenti è necessario un peso minimo di 50kg. Essere in buona salute. Non può donare chi non è in buono stato di salute o ha comportamenti a rischio. Questi due elementi possono comportare la sospensione temporaneamente o permanente dalla donazione al fine di preservare la salute del donatore e del ricevente.
Qual è l’iter per diventare donatori?
L’iter, che si svolge presso un servizio trasfusionale o un’unità di raccolta, consta di:
> accertamento dell’identità del candidato donatore;
> compilazione di un questionario;
> colloquio con il medico e valutazione delle condizioni generali di salute;
> acquisizione del consenso informato alla donazione.
La compilazione del questionario anamnestico e il colloquio e la valutazione con personale medico sono due momenti importanti per accertare che il candidato donatore abbia i requisiti per effettuare la donazione e stabilire il tipo di donazione più indicata.
La donazione richiede circa 10 minuti di tempo ed è effettuabile ogni tre mesi per gli uomini e le donne in menopausa, sei per le donne.
La donazione di sangue intero è la più conosciuta ma non è l’unica possibile. È infatti possibile donare anche:
> plasma. Grazie a un separatore cellulare il plasma viene diviso dalle altre componenti del sangue che vengono reinfuse nel donatore. Questa tipologia di donazione, che può richiedere 50 minuti circa, secondo la legge italiana può essere effettuata ogni 14 giorni per un massimo di 12 litri l’anno;
> piastrine. È possibile effettuare fino a 6 donazione l’anno di sole piastrine. Questa tipologia di donazione richiede più tempo (circa 70 minuti), ma è fondamentale per molti pazienti, tra i quali coloro che hanno problemi di tipo emorragico o che sono sottoposti a trattamenti chemioterapici;
> multicomponenti. La donazione cosiddetta in aferesi (plasma, piastrine o multicomponenti) è consigliata ai donatori che hanno bassi valori di emoglobina e ridotte riserve di ferro.
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Per la sicurezza stradale ci vuole maggiore vigilanza
La media fa impressione: 416 incidenti al giorno sulle strade italiane. Secondo la statistica più recente a disposizione (ACI-ISTAT), nel 2021 si sono contati 151.875 incidenti, con 204. 728 feriti e 2.875 morti. Per i rilevamenti dell’anno appena passato occorrerà attendere: si conosce invece l’andamento del 2023. La cronaca purtroppo fa registrare ad ogni fine settimana un tragico bilancio di vittime e nella maggior parte dei casi si tratta di giovani. Il termine più usato sui giornali è “stragi”: morti, feriti, auto distrutte, famiglie che si porteranno dentro per tutta la vita uno squarcio affettivo per la perdita di un congiunto. E anche conseguenze fisiche pesanti per molti dei feriti, per i quali la vita di colpo cambia. Le cause più frequenti sono gli eccessi di velocità e le distrazioni di chi guida che si sommano spesso all’abuso di alcol e all’assunzione di sostanze stupefacenti, primatista la cocaina. Un’altra indicazione preoccupante: il 10% degli arrivi nei Pronto Soccorso degli ospedali è dovuto a incidenti stradali.
Quale aggravante, con una casistica elevata, c’è il numero di molti
conducenti che si eclissano dopo aver provocato lo scontro o l’investimento: talora per nascondere le loro condizioni psico-fisiche e ritardare in ogni modo l’alcol-test, ma ci sono anche casi di choc, in particolare tra i giovani.
“Ragazzi, quando guidate avete nelle vostre mani la vostra vita e quella degli altri. Non cancellate il vostro futuro” è il monito del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che ne ha parlato durante il discorso di fine anno. A fronte di una realtà che è evidente e che è ripetuta alla radio, nei TG e sui giornali, si impone qualche intervento per mettere un limite all’irresponsabilità di cui siamo anche testimoni e potenziali vittime. Quante volte ci capita di vedere camionisti e automobilisti, e anche conducenti di mezzi pubblici che parlano tranquillamente al telefono, messaggiano o consultano internet mentre guidano, concedendosi anche pericolose infrazioni? Non si può far finta di niente. Il Corriere della Sera non ha esitato a paragonare questa licenza “pericolosa quanto rivolgere un’arma contro altre persone”. Ed è purtroppo drammaticamente
vero che si comincia tollerando le piccole cose e si finisce con il subire le grandi. Ha ragione Aldo Cazzullo quando scrive che se partiamo dall’idea che “le cose di tutti non sono di nessuno, che gli altri non esistono, che il rispetto è abolito, che l’impunità è assoluta, allora per strada può succedere davvero di tutto”. Genitori e nonni sono in apprensione permanente pensando a figli e nipoti che guidano e possono incappare in qualche autista sconsiderato che sorpassa dove non può o che “brucia” semafori e segnali di stop o di precedenza o mancata distanza di sicurezza. È giusto premere sul tasto dell’educazione come primo strumento di sicurezza. Ma ci vogliono anche uomini che vigilino e sorveglino strade per scoraggiare abusi ed eccessi di ogni genere. E con gli uomini, ci vogliono mezzi e soldi. Non basta impressionarsi ad ogni notizia di vite umane stroncate per guida scriteriata. Alla reazione individuale devono seguire provvedimenti e interventi per dare consistenza e concretezza ai sentimenti. L’unica battaglia sicuramente persa è quella della rassegnazione impotente.
Gennaio/Febbraio 2023 | Bergamo Salute | 65
DAL TERRITORIO IN AUTO
VALERIO BETTONI Presidente Automobile Club Bergamo
∞ A CURA DI VALERIO BETTONI
A.R.M.R.
Fondazione Ricerca Malattie Rare
INSIEME CONTRO
LE MALATTIE RARE
Le Malattie Rare sono un ampio gruppo di patologie (circa 7.000 secondo l’OMS), accomunate dalla bassa prevalenza nella popolazione (inferiore a cinque persone per 10.000 abitanti secondo i criteri adottati dall’Unione Europea). Con base genetica per l’80-90%, possono interessare tutti gli organi e apparati dell’organismo umano.
SINDROME TROMBOCITOPENICA CON ASSENZA DI RADIO (TAR)
Codice esenzione: RN1690
Categoria: Malformazioni congenite
Definizione. Patologia genetica caratterizzata da trompocitopenia (carenza di piastrine nel sangue) e ipoplasia (deficit di sviluppo) del radio, ovvero l’osso dell’avambraccio.
Epidemiologia. La precisa incidenza è tuttora sconosciuta. Maschi e femmine sono affetti in egual misura
FEBBRAIO E MARZO
9 e 28 Febbraio, 1, 9 e 31 Marzo
Ospedale Papa Giovanni XXIII Bergamo
19 Marzo Largo Belotti Bergamo
26 Marzo Piazza Mascheroni Bergamo
Sensibilizzazione sulle Malattie Rare e raccolta fondi per le Borse di Studio
MERCOLEDÌ 22 FEBBRAIO
18:00 Sede A.R.M.R. via Salvioni, 4 Bergamo
Aperitivo per la Ricerca Conferenza della Dott.ssa Michelle
Prioli Miranda Soares - Ricercatrice
A.R.M.R.
MARTEDÌ 28 FEBBRAIO
XVI Giornata mondiale delle malattie rare
A.R.M.R. partecipa alla manifestazione
“Luci accese sulle malattie rare”.
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Segni e Sintomi. La trombocitopenia, più grave durante la prima infanzia, può essere responsabile di emorragie cutanee, mucose o intracraniche. Possono essere osservate malattie del sangue come eosinofilia, granulocitosi e anemia. I bambini con questa sindrome sembrano avere più probabilità di sviluppare intolleranza al latte vaccino. È presente aplasia di solito bilaterale del radio e in alcuni casi anche ipoplasia dell’ulna, dell’omero, anomalie del cingolo scapolare, displasia dell’anca, anomalie femorali e tibiali, anchilosi del ginocchio, spina bifida, anomalie renali e cardiache.
Eziologia. La patologia riconosce una base genetica e una modalità di trasmissione autosomica recessiva.
Diagnosi. È esclusivamente clinica, essendo sconosciuto il difetto di base. Si pone in diagnosi differenziale in particolare con l’anemia di Fanconi.
Terapia. È necessaria una terapia precoce per i diversi disturbi ematologici. Le malformazioni ossee possono essere corrette con busti ortopedici e/o interventi chirurgici. Ulteriori interventi sono sintomatici e di supporto. Si consiglia la consulenza genetica ai pazienti e loro familiari.
Gennaio/Febbraio 2023 | Bergamo Salute | 67
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Incontri con i sostenitori e gli amici di A.R.M.R.
Dottor Angelo Serraglio Vice Presidente della Fondazione A.R.M.R
Ho scritto i miei libri di notte dopo la chiusura dell’ambulatorio
La storia del dottor Persiani che per 37 anni è stato medico condotto a Sorisole
∞ A CURA DI LUCIO BUONANNO
A 92 anni è ancora un brillante comunicatore. Lucido come quando, per una vita, è stato il medico condotto e ufficiale sanitario a Sorisole e a Ponteranica dove tutti lo ricordano per il suo impegno e la sua professionalità. Ma Cesare Persiani è anche un valente scrittore che recentemente è stato premiato alla carriera dall’Associazione medici scrittori italiani. Questa la motivazione: “Per aver onorato l’Associazione medici scrittori italiani con cultura e saggezza”. Lo abbiamo incontrato per saperne di più della sua vita divisa tra passione per la scrittura e per la medicina.
Cosa ha significato questo premio per lei?
Ha significato moltissimo: la piccola targa d’argento è sta-
ta per me un riconoscimento prezioso, quasi quanto la medaglia d’oro dell’AVIS ottenuta molti anni fa come fondatore della sezione di Sorisole e donatore emerito per trenta anni.
Quando si è trasferito a Sorisole?
Il giorno stesso del mio matrimonio: era il tredici ottobre del 1962. Avevo vinto il Concorso come “Medico Condotto” e Ufficiale sanitario del Consorzio medico Sorisole e Ponteranica: per anni fino alla istituzione della Guardia Medica dovevo essere disponibile 24 ore su 24, anche nei giorni festivi; in caso di forzata assenza (malattia o grave necessità familiare) dovevamo pagare un supplente di tasca nostra. Valeva ancora il detto dello scrittore Renato Fucini. “Vita più misera e più rotta non c’è del medico che va in condotta”.
Per trentasette anni lei, oltre a medico di famiglia a Sorisole e Ponteranica, già specializzato in Neuropsichiatria, Pediatria, Igiene e Medicina preventiva, come faceva a conciliare la professione con l’attività di scrittore?
Quando, a sera inoltrata, la porta dell’Ambulatorio si chiudeva dietro l’ultimo paziente e subentrava un silenzio profondo e innaturale, mi riapparivano i volti tristi o spaventati, a volta angosciati delle persone che avevano affidato la loro pena: ogni paziente mi aveva lasciato una piccola o grande lezione, mi aveva insegnato qualcosa. In quei momenti nasceva in me la necessità, quasi liberatoria, di mettere per scritto riflessioni su tanta umanità sofferente.
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DAL TERRITORIO IL LATO UMANO DELLA MEDICINA
Lei ha sempre detto di aver fatto il “medico delle persone”, Medico di una volta, sempre disponibile con qualsiasi tempo, sole, neve, pioggia. Ricorda qualche episodio bello o critico con i suoi pazienti?
Ne ricordo tanti (è un privilegio della vecchiaia). Ma il più prezioso riguarda ciò che successe una notte di un gelido e nevoso inverno: dovendo accorrere presso un bimbo che stava molto male, in un cascinale a metà collina, mia moglie volle accompagnarmi perché il sentiero era impervio e non illuminato, e per aiutarmi a spingere la FIAT 500 che affondava nel fango e nella neve, ciò che avvenne comunque; fu in quei momenti che, con un dolce sorriso tra lacrime ghiacciate, mi dette il gioioso annuncio di essere in attesa del nostro primo figlio.
Lei ha scritto vari libri. Quasi tutti ambientati storicamente a Martinengo, da “La parabola del dottor Gittardi” a “Ove è perfetta letizia”, a “Nel giardino dei semplici” a “Spunta il sole, canta il gallo”: come mai?
Come sceglie i protagonisti delle sue storie? E cosa ha significato Martinengo per lei?
Ho trascorso l’infanzia e l’adolescenza a Martinengo, ascoltando i racconti dei miei genitori e degli anziani del paese. Sono i personag-
gi dei miei libri che hanno scelto me. Martinengo ha significato, ed ancora significa, il luogo della mia prima giovinezza e la culla di tutti i miei affetti.
Abbiamo letto recentemente su “La serpe”, il periodico dei medici scrittori italiani, la storia tragicomica dello sfortunato primo matrimonio di Giuseppe Garibaldi con una certa Giuseppina Raimondi: come l’ha scoperta?
Ho trovato, quasi per caso, alcuni riferimenti a quella sfortunata avventura dell’Eroe, solitamente ignorata da quasi tutti i suoi biografi, forse perché poco onorevole per il protagonista, tanto amato e quasi leggendario.
La sua ultima fatica letteraria è “De serena senectute” in cui dà consigli per affrontare serenamente gli anni della vecchiaia. Quali suggerimenti può dare ai giovani medici?
Il medico deve studiare, studiare, per tutta la vita; deve osservare bene ogni persona come fosse diversa da tutte le altre, deve ascoltare sempre con attenzione, imparando ad interpretare gli infiniti modi con cui ci si ammala, o ci si sente ammalati, sforzandosi di interpretare correttamente le ansie,
In questa rubrica gli operatori sanitari (medici, infermieri etc.) si raccontano, facendo conoscere oltre al loro lato professionale la loro attività di artisti, volontari, atleti...
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le paure del paziente con un volto pacato, incoraggiando le confidenze, cercando di comprendere la descrizione dei disturbi, facilitare la confidenza, creare serenità ove ci sia angoscia. Non potrà esternare i propri dubbi (il paziente non vuole dubbi) ma nemmeno affermare certezze assolute ed irrevocabili. È un grave impegno questo, di dover mostrare sempre una grande comprensione, un dover celare gli eventuali dubbi riservandosi di chiarirli con l’esame attento ed anche, eventualmente, col consiglio di altri specialisti. Ricordino i giovani medici che il dubbio non è mai ben accetto dal paziente: gli si può eventualmente assicurare che ogni aspetto della sua malattia potrà essere chiarito con esami ed eventualmente col consiglio di uno Specialista, interpretare profondamente le sue ansie, mitigarle, incoraggiare ogni speranza col mostrarsi sereno e premuroso, mai preoccupato o triste.
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Al centro della riabilitazione
Politerapica-Terapie della Salute è una struttura sanitaria che si occupa della riabilitazione e della salute della persona, non intesa come semplice assenza di malattia, ma come stato di completo benessere fisico, psichico e sociale, con un approccio multidisciplinare. «La riabilitazione motoria e neuro-motoria di molte condizioni patologiche (vedi box) è uno dei nuclei dell’attività di Politerapica, che si impegna a fornire un servizio praticamente senza attesa, a condizioni economiche accessibili e con alti livelli di assistenza» dice il direttore Pasquale Intini.
NON SOLO RECUPERO DOPO ALTRE TERAPIE
La riabilitazione, in Politerapica, non viene vista come un semplice intervento di recupero a seguito di altre terapie. « Ad esempio quando una situazione patologica o traumatica
richiede necessariamente un intervento chirurgico la riabilitazione viene proposta non solo dopo la chirurgia, ma anche prima, per arrivare all’operazione nelle migliori condizioni possibili. In alcuni casi la riabilitazione può scongiurare la necessità di un intervento chirurgico oppure può essere anche un intervento di lungo termine per il mantenimento dei risultati raggiunti o ancora può essere proposta in chiave di prevenzione» sottolinea Pasquale Intini.
IL “PAZIENTE AL CENTRO”
L’approccio di Politerapica è, per tutte le aree, quello del “paziente al centro” di una equipe multidisciplinare. «Questo si realizza appieno nella riabilitazione» continua il direttore. «“Paziente al centro” non significa solo “disturbo al centro”: a essere al centro è la persona, con tutte le sue peculiarità e magari con
altri disturbi o patologie croniche che potrebbero coesistere».
UNA VISIONE
MULTIDISCIPLINARE
Un’altra caratteristica dell’approccio di Politerapica, naturale conseguenza del mettere la persona al centro, è la presa in carico multidisciplinare, che inizia sempre con le visite dei medici specialisti per poi giungere alle figure del fisioterapista, massofisioterapista o personale infermieristico. «Lo specialista di riferimento è sempre il fisiatra al quale si aggiungono a seconda dei casi ortopedico, reumatologo, neurologo, dietologo, pediatra, ginecologo, psicologo etc.. L’inquadramento medico del paziente porta a stilare un piano di riabilitazione personalizzato, con sedute di fisioterapia, massofisioterapia e terapie fisiche programmate in modo
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STRUTTURE POLITERAPICA –
TERAPIE DELLA SALUTE
da ottenere il miglior risultato, che tiene però conto anche di eventuali altre patologie. Il gruppo di professionisti non partecipa solo alla stesura e all’applicazione del piano di riabilitazione, ma si confronta più volte nel suo svolgimento, durante il quale sono possibili aggiustamenti in base all’andamento delle cure e delle visite di controllo. Al termine della riabilitazione, poi, viene emessa una relazione dettagliata a uso del paziente e del medico curante, una sorta di “lettera di dimissioni” che comprende il quadro iniziale, le terapie svolte e i risultati ottenuti. È importante sottolineare che nella riabilitazione il paziente che si sdraia sul lettino del fisioterapista o si sottopone a una terapia fisica non si può paragonare a un’auto che viene portata dal meccanico e subisce passivamente una riparazione. L’esito della riabilitazione
dipende molto dall’informazione, motivazione e aspettative della persona, motivo per il quale anche lo psicologo rientra nell’equipe riabilitativa».
UN PUNTO DI RIFERIMENTO ANCHE PER LA CURA DELLA SCOLIOSI IN ETÀ EVOLUTIVA
All’interno dell’area riabilitativa di Politerapica un posto a importante è occupato dalla cura della scoliosi in età evolutiva che si avvale di un’equipe specializzata, della quale è entrata a far parte recentemente la dottoressa Francesca Lancini, fisiatra dell’età evolutiva di grande esperienza «La scoliosi può avere un’evoluzione positiva se si intraprendono le giuste azioni in età precoce, appena si evidenziano i segni della deformazione e comunque prima che la crescita sia conclusa» sottolinea il Pasqua -
LE AREE DI INTERVENTO RIABILITATIVO
> Lombalgia
> Lombosciatalgia
> Cervicalgia
> Discopatia
> Ernia del disco
> Disturbi e patologie articolari
> Esiti post-traumatici
> Esiti post-chirurgici
> Disturbi della crescita nel bambino
> Scoliosi in età evolutiva
> Disturbi congeniti nel bambino
> Artrosi e artrite
> Patologie reumatiche
> Linfedemi
> Edema post-mastectomia
> Esiti di ictus
> Patologie neurologiche degenerative
le Intini. « Se non si interviene in tempo può trasformarsi nei casi più severi in una situazione invalidante che arriva a compromettere anche altri organi del tronco. Oltre alla diagnosi precoce per un buon esito della scoliosi è necessario che i ragazzi aderiscano per lunghi periodi al percorso riabilitativo di fisioterapia, ginnastica e anche corsetto, quando richiesto. Per ottenere questa costanza nell’età evolutiva, di per sé spesso problematica, abbiamo visto che il lavoro di gruppo è molto proficuo. Oltre a tenere alta la motivazione e combattere la noia dei ragazzi, la ginnastica di gruppo piuttosto che quella individuale alleggerisce dal punto di vista economico l‘impegno delle famiglie, visto che per la scoliosi si parla sempre di percorsi che durano anni» conclude il direttore.
Gennaio/Febbraio 2023 | Bergamo Salute | 71 INFORMAZIONE PUBBLICITARIA
Tecnico di neurofisiopatologia
Questa professione
Il Tecnico di Neurofisiopatologia (TNFP) è un professionista dell’area tecnico -sanitaria che svolge la propria attività nell’ambito della diagnosi delle patologie del Sistema Nervoso Centrale o Periferico, applicando direttamente metodiche diagnostiche specifiche nel campo delle Neuroscienze. Queste metodiche sono principalmente conosciute come Elettroencefalografia (EEG), Elettromiografia (EMG), Tecniche Ultrasonografiche (Doppler). A queste sono strettamente correlate altre metodiche meno note, ma altrettanto importanti, come lo studio dei Potenziali Evocati, Tecniche di Monitoraggio Intraoperatorio o di registrazione nell’area critica (Terapia Intensiva ed Emergenza) e Studio del Sonno. Conosciamo meglio questa figura sanitaria con l’aiuto della dottoressa Nadia Bovina, Referente commissione d’albo TNFP.
Come si diventa tecnico di neurofisiopatologia oggi?
Per esercitare la professione di tec-
nico di Neurofisiopatologia, oggi, è necessaria una laurea triennale ottenibile frequentando un corso universitario di primo livello in Tecniche di Neurofisiopatologia presso le Facoltà di Medicina e Chirurgia. Tale laurea è abilitante all’esercizio della professione unitamente all’iscrizione al rispettivo Albo Professionale (istituito nel 2019) che fa capo all’Ordine dei TSRM PSTRP. La laurea triennale dà accesso agli studi di secondo ciclo (laurea specialistica/magistrale) e master universitari di primo livello.
Dove è possibile frequentare il corso di studi vicino a Bergamo?
In Lombardia attualmente sono solo due le Università in cui è possibile seguire il percorso formativo. L’Università degli studi di Milano, con sede al policlinico di Milano e l’Università degli studi di Pavia, con sede all’istituto Mondino. Il percorso formativo prevede, oltre alle lezioni teoriche, anche una formazione pratica con tirocinio di ben 500 ore annue di frequenza
presso un’Unità di Neurofisiopatologia accreditata, fin dal primo anno di corso. Da quest’anno anche l’Ospedale cittadino principale ha una convenzione formativa con l’Università di Milano ed è possibile effettuare il tirocinio formativo presso l’Ospedale Papa Giovanni XXIII. Per ragioni di complessità della struttura, tuttavia la frequenza è preferenzialmente riservata a studenti dal secondo anno in poi.
In quali contesti opera
il Tecnico di Neurofisiopatologia?
I tecnici di Neurofisiopatologia svolgono la loro attività nelle ASL, nelle ASST e nelle Aziende Ospedaliere, negli Istituti di Ricerca, nei Centri di Riabilitazione, nelle Case di cura, Cliniche Private e Convenzionate, negli ambulatori polispecialistici, negli studi professionali individuali o associati e presso imprese industriali/commerciali di apparecchiature neurofisiologiche.
Quali sono le sue mansioni?
Il Tecnico di Neurofisiopatologia è responsabile dell’applicazione e
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∞ A CURA DI SARA CARRARA
ALLE PROFESSIONI SANITARIE
è nata per la necessità di avere una figura tecnica preparata per l’osservazione di morte cerebrale nell’ottica del trapianto di organi”
GUIDA
dell’uso delle metodiche neurofisiologiche, della valutazione e delle interpretazioni che se ne ricavano e sulle quali, su richiesta, deve redigere un rapporto descrittivo sotto l’aspetto tecnico. Essendo in grado di gestire le complesse operazioni che stanno alla base dell’esecuzione dell’esame neurofisiologico ai fini diagnostici e/o di ricerca mette in atto tutti i comportamenti necessari all’ottimizzazione delle procedure di monitoraggio dei segnali bioelettrici con particolare attenzione al contesto e alla qualità degli strumenti utilizzati, quindi:
> gestisce l’ambiente di registrazione;
> applica strategie di riduzione delle interferenze ambientali;
> effettua la manutenzione dei dispositivi usati per il prelievo del segnale;
> verifica le soluzioni per migliorare il rilevamento dei segnali bioelettrici;
> verifica la qualità e l’efficienza degli strumenti pianificandone i controlli di qualità e di sicurezza, in collaborazione con l’ingegneria clinica;
> pianifica le fasi del processo di acquisizione del segnale gestendo l’acquisizione del segnale analogico-digitale;
> imposta e valuta i parametri di acquisizione ed eventualmente li modifica in corso d’opera;
> valuta la qualità e la quantità dei fenomeni biologici e bioelettrici;
> gestisce le registrazioni tramite sistemi audiovideo sincronizzato al segnale bioelettrico per gli inquadramenti diagnostici;
> rileva le informazioni sullo stato di malattia dell’assistito;
> applica il protocollo assistenziale;
> rileva segni e sintomi della persona al momento della registrazione;
> supporta la persona prima,
durante e dopo l’erogazione della prestazione;
> attua le manovre di stimolazione attivazione gestendone le eventuali complicazioni;
> collabora allo sviluppo dei piani integrati di assistenza con le altre figure professionali nell’ambito di percorsi diagnostico terapeutici.
DOTT.SSA NADIA BOVINA Referente commissione d’albo TNFP Bergamo
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Lenti progressive A ciascuno la sua
Le lenti progressive permettono, a chi necessita di una correzione sia da vicino sia da lontano, di vedere bene a tutte le distanze nella maggior parte delle attività quotidiane. Nate ai primi del Novecento, poi diventate popolari negli anni Cinquanta, sono oggi largamente utilizzate. A partire dagli anni Ottanta i produttori sono stati in grado di migliorarle sensibilmente, minimizzando le aberrazioni indesiderate grazie ai moderni processi produttivi, ma è proprio negli ultimissimi anni che è stato fatto un nuovo salto di qualità. Come ci spiega Massimiliano Gazzera, ottico e titolare di MGM snc, che controlla Ottica Gazzera e L’ottica di moda.
Quali sono, oggi, le caratteristiche che possono fare la differenza in questo ambito, rendendo un occhiale progressivo più performante?
La nuova frontiera delle lenti progressive è l’elevata personalizzazione che possiamo fornire oggi nelle lenti di alta gamma delle migliori marche. Questa personalizzazione si ottiene su tre livelli:
> Il primo tiene conto del fatto che ogni viso e ogni montatura “calzano” in modo diverso, una stessa montatura può essere indossata in modo diverso
da due persone. Con un test particolare si deducono cinque parametri, distanze e angoli, che caratterizzano la posizione della lente su quel viso con quella montatura.
> Il secondo riguarda le abitudini della persona. Si deve capire in quali ambiti e per quanto tempo al giorno si usano le lenti in modi diversi. Per fare un esempio pratico il tempo che passiamo guardando il telefono cellulare può essere molto diverso da un individuo all’altro, così come il modo con cui lo utilizza, in termini di distanza etc.. Per raccogliere queste informazioni nei nostri punti vendita abbiamo sviluppato un questionario dettagliato con cui riusciamo a fare un quadro oggettivo di questi aspetti.
> Il terzo livello riguarda le caratteristiche anatomiche dell’occhio. Quando osserviamo l’occhio ruota intorno a un centro di rotazione (CRO) da cui passano tutti gli “assi di fissazione” che intersecano la lente in aree precise. Conoscere la posizione personale del CRO, che dipende dalla anatomia della persona, permette di personalizzare ulteriormente le lenti.
Il grado di informatizzazione indu-
striale raggiunto negli ultimi anni fa sì che i dati di personalizzazione raccolti dall’ottico nel suo laboratorio vengano direttamente trasmessi alla fase di produzione industriale delle lenti senza passaggi intermedi. È come se l’ottico partecipasse direttamente alla produzione delle lenti che avviene nella fabbrica digitalizzata del produttore. Per raggiungere questa elevatissima personalizzazione sono determinanti le attrezzature del laboratorio che raccolgono i dati e il costante aggiornamento del tecnico che le utilizza.
Ma quanto costa di più un occhiale di questo tipo?
Una lente di alta gamma con queste tre speciali personalizzazioni ha un costo non radicalmente diverso rispetto alle migliori lenti non personalizzate della stessa gamma. Nella scelta si possono valutare i vantaggi effettivi nel singolo caso insieme all’ottico esperto.
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Un servizio logopedico per tutte le età
Dedicato alla valutazione e al trattamento abilitativo e riabilitativo delle problematiche legate al linguaggio, alla comunicazione, alla voce e alla deglutizione, il servizio logopedico del Centro Fo.R.Me offre la possibilità di accedere a percorsi personalizzati, pensati per tutte le età «Il servizio prevede un incontro di consulenza logopedica, durante il quale il professionista verifica col paziente la presenza di un bisogno specifico e implementa con lui un intervento finalizzato al miglioramento delle sue condizioni» spiega la dottoressa Finco, direttrice di Fo.r.Me. «La consulenza logopedica è particolarmente indicata quando si incontrano difficoltà nell’articolazione di suoni e/o parole, quando intervengono complicazioni organiche che compromettono la comunicazione, quando insorgono disturbi del linguaggio». I professionisti del Centro si avvalgono di strumenti diagnostici per effettuare una valutazione delle problematiche del paziente e strutturare con lui un percorso di supporto multidiscipli-
nare. A seconda dell’età del paziente e della problematica presentata, verranno proposti trattamenti individuali in sede ambulatoriale o interventi gruppali. «Questi ultimi, generalmente dedicati ai più piccoli, prevedono la riabilitazione logopedica mediante lo svolgimento di proposte ludiche per potenziare le abilità più compromesse e sperimentare l’impiego di strumenti compensativi in un contesto di interazione sociale tra pari. I nostri servizi si caratterizzano per una particolare attenzione al bilinguismo e all’utilizzo di forme di espressione corporee, non necessariamente legate alla produzione orale».
Nel dettaglio il servizio di logopedia del Centro Fo.R.Me offre percorsi per pazienti da 0 a 18 anni quali:
> valutazione e trattamento di ritardo e disturbo del linguaggio primario;
> valutazione e trattamento del disturbo del linguaggio secondario ad altre patologie;
> trattamento dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento
(dislessia, discalculia, disortografia e disgrafia);
> valutazione e trattamento dei disturbi della deglutizione (disfagia infantile);
> valutazione e trattamento della deglutizione disfunzionale;
> valutazione e trattamento dei disturbi della voce (disfonia);
> stimolazione del linguaggio e consulenze ai genitori.
I percorsi per pazienti in età adulta o geriatrica sono invece:
> valutazione e trattamento del linguaggio (afasia e disartria) ;
> valutazione e trattamento dei disturbi di deglutizione (disfagia);
> valutazione e trattamento dei disturbi della voce (disfonia)
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Dolori e squilibri posturali: se la colpa fosse della bocca?
Bruxismo, click mandibolare, acufeni, nevralgia del trigemino, mal di testa, dolori cervicali, tensioni muscolari ai muscoli di viso, collo e spalle. In alcuni casi tutti questi problemi apparentemente lontani, possono avere una causa comune, ovvero una malocclusione dentale. «Uno squilibrio a livello occlusale - cioè una chiusura non corretta delle arcate dentali dovuta ad esempio a denti mancanti, posizione anomala degli elementi, riabilitazioni protesiche non corrette - può manifestarsi non solo a livello dell’articolazione temporo-mandibolare, ma anche con dolori o anomalie nella postura. Questo succede perché i muscoli del corpo sono collegati tra loro dalle cosiddette catene muscolari» conferma il dottor Maurizio Maggioni, odontoiatra, fondatore e direttore della Clinica Dentale Pianeta Sorriso, struttura specializzata in tutti i settori dell’odontoiatria e nell’approccio multidisciplinare in particolare per il trattamento di situazioni complesse, grazie all’alta professionalità dei suoi specialisti e a strumenti sempre all’avanguardia. Pianeta Sorriso schiera 11 professionisti odontoiatri ed igienisti,
ognuno dei quali specializzato in ambiti diversi dall’ortodonzia invisibile e tradizionale alla conservativa, dall’implantologia alla gnatologia, dalla chirurgia orale alla pedodonzia.
Dottor Maggioni, come si fa a individuare la vera origine del problema?
In primis con un’accurata visita con uno gnatologo, il cui compito è valutare lo stato masticatorio del paziente con lo scopo di individuare “l’ingranaggio difettoso” che si è reso responsabile del malfunzionamento globale in modo da poter agire in modo specifico su di esso. Per la diagnosi ci si avvale anche del supporto di radiografie e stratigrafie. Nella nostra clinica abbiamo a disposizione, inoltre, un sistema di ultima generazione per l’Analisi Posturale Globale, formato da una pedana stabilometrica (per l’analisi del passo), uno specchio posto sopra il paziente, una fotocamera e un caschetto in grado di individuare i movimenti cervicali. I dati raccolti dai diversi dispositivi sono combinati e analizzati da un sofisticato software che ci offre un’analisi molto precisa di tutti gli aspetti posturali. Questa moderna
tecnologia, nostro fiore all’occhiello in ambito posturale, è utilissima sia per programmare gli interventi sul paziente sia per verificare i progressi ottenuti con le cure.
Come si può intervenire per risolverlo?
Se è interno dovremo lavorare sugli elementi mancanti, sulla posizione di quelli che causano malocclusione (a volte estraendoli), su ponti o protesi che non lavorano bene etc.. Entra in campo quindi un lavoro odontoiatrico e/o protesico a 360 gradi che deve essere pianificato in ottica gnatologica. Se, invece, la causa del disturbo è lo stress s’inizia ad alleviarne le conseguenze con un “ bite” morbido personalizzato da usare almeno nel sonno. Parallelamente s’interviene sull’origine del disturbo con il supporto di uno psicoterapeuta e/o psichiatra.
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Il mondo delle GCA (gravi cerebrolesioni acquisite) e la logopedia: due realtà affini?
ProgettAzione Cooperativa Sociale, da oltre 20 anni, si occupa di riabilitazione e reinserimento sociale di persone che hanno subito lesioni cerebrali con percorsi personalizzati e progettati da un’ équipe multidisciplinare. Ne parliamo con Claudia Maggio, psicologa e psicoterapeuta, Responsabile Area Scientifica presso il Centro Diurno e Centro Residenziale per Gravi Cerebrolesioni Acquisite di ProgettAzione Cooperativa Sociale.
Cosa sono le Gravi
Cerebrolesioni Acquisite (GCA)?
Le GCA sono lesioni cerebrali dovute a trauma cranico o altre cause (ictus, emorragia cerebrale, tumore cerebrale, arresto cardiaco con fenomeno di ipossia) che portano a uno stato di coma e successive menomazioni tali da determinare un quadro di disabilità. Le difficoltà riscontrabili in una GCA possono essere tante, dalle difficoltà di movimento a quelle cognitive. Per questo motivo ci sono diverse figure sanitarie coinvolte nella presa in carico, una di queste è il logopedista che si impegna principalmente nelle fatiche relative al linguaggio, all’articolazione e alla deglutizione: il logopedista si oc-
cupa di afasia, disartria e disfagia.
Come interviene il logopedista?
La figura del logopedista è già presente nelle strutture ospedaliere per monitorare la situazione a partire dalla fase acuta. Un primo suo passo importante è quello della valutazione che permette di conoscere il paziente e capire il livello di difficoltà per le patologie e i sintomi che gli competono. Successivamente alla valutazione si può intervenire con un trattamento e al momento della dimissione ospedaliera il logopedista può dare consigli sull’eventuale necessità di continuazione del percorso intrapreso. Con la logopedia è possibile fornire informazioni e strategie al paziente e alle persone che gli stanno vicino. Serve a mantenere un allenamento in riferimento alle competenze linguistiche, articolatorie e oro-deglutitorie e, laddove possibile, a stimolarne il recupero.
La figura del logopedista, inoltre, lavorando in équipe, può consigliare l’intervento di altri professionisti nel momento in cui ne rileva la necessità.
Quanto tempo dura il trattamento logopedico?
Non è possibile stabilire a priori
quanto possa durare il trattamento logopedico. Ogni trattamento è calato sul paziente ed influenzato da moltissimi fattori che determinano la scelta degli obiettivi, delle attività proposte e della lunghezza del trattamento. È sempre consigliato introdurre il trattamento logopedico precocemente, generalmente l’ospedale al momento della dimissione lascia le indicazioni riguardo alla possibilità e utilità di proseguire con logopedia, così come con altri percorsi riabilitativi (neuropsicologici o fisioterapici ed altri ancora). Durante il percorso di trattamento viene monitorata la risposta del paziente, in modo da stabilire come modificare gli obiettivi in itinere ed eventualmente valutare quando sia utile interrompere il percorso.
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INFORMAZIONE PUBBLICITARIA REALTÀ SALUTE
Bergamo Salute anno 13 | n° 70
Gennaio | Febbraio 2023
Direttore Responsabile
Elena Buonanno
Direttore Editoriale
Claudio Gualdi
Redazione redazione@bgsalute.it
Grafica e impaginazione
Giulia Filidei
Edimen Srl
Fotografie e illustrazioni
Shutterstock, Adobe Stock, Unsplash, Pixabay, Envato Elements, Freepik, Gabriele Seghizzi, Adriano Merigo
Stampa
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Casa Editrice
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Hanno collaborato
Lucio Buonanno, Maria Castellano, Rita Compostella, Viola Compostella, Giulia Sammarco, Claudio Gualdi, Sara Carrara
Iscr. Tribunale Bergamo N°26/2010 del 22/10/2010
Iscr. ROC N°25539. Tutti i diritti sono riservati. È vietata la riproduzione, anche se parziale, di qualsiasi testo o immagine. L’editore si dichiara disponibile per chi dovesse rivendicare eventuali diritti fotografici non dichiarati. I contenuti presenti su Bergamo Salute hanno scopo divulgativo e non possono in alcun modo sostituirsi a diagnosi mediche.
Canali di distribuzione:
• Abbonamento.
• Spedizione a diverse migliaia di realtà bergamasche, dove è possibile leggerla nelle sale d’attesa (medici e pediatri di base, ospedali e cliniche, studi medici e polispecialistici, odontoiatri, ortopedie e sanitarie, farmacie, ottici, centri di apparecchi acustici, centri estetici e benessere, palestre, parrucchieri etc.)
• Distribuzione gratuita presso le strutture aderenti alla formula "Amici di Bergamo Salute".
COMITATO SCIENTIFICO
• Dott. Diego Bonfanti - Oculista
• Dott.ssa Maria Viviana Bonfanti Medico Veterinario
• Dott. Rolando Brembilla - Ginecologo
• Dott.ssa Alba Maria Isabella Campione
Medicina Legale e delle Assicurazioni
• Dott. Andrea Cazzaniga
Idrologo Medico e Termale
• Dott. Sergio Clarizia - Pediatra
• Dott. Marcello Cottini - Allergologo Pneumologo
• Dott. Giovanni Danesi - Otorinolaringoiatra
• Dott. Adolfo Di Nardo - Chirurgo generale
• Dott. Nicola Gaffuri - Gastroenterologo
• Dott.ssa Daniela Gianola - Endocrinologa
• Dott. Antoine Kheir - Cardiologo
• Dott.ssa Grazia Manfredi - Dermatologa
• Dott. Massimo Masserini - PsicologoPsicoterapeuta - Sessuologo clinico
• Dott. Roberto Orlandi Ortopedico Medico dello sport
• Dott. Paolo Paganelli - Biologo nutrizionista
• Dott. Antonello Quadri - Oncologo
• Dott.ssa Veronica Salvi - Ostetrica
• Dott. Orazio Santonocito - Neurochirurgo
• Dott.ssa Mara Seiti - Psicologa - Psicoterapeuta
• Dott. Sergio Stabilini - Odontoiatra
• Dott. Giovanni Taveggia Medicina Fisica e Riabilitazione
• Dott. Massimo Tura - Urologo
• Dott. Paolo Valli - Fisioterapista
COMITATO ETICO
• Dott. Ernesto de Amici Presidente dell’Ordine dei Farmacisti di Bergamo
• Gianluca Solitro Presidente OPI Ordine delle Professioni Infermieristiche di Bergamo
• Dott. Andrea Poerio e Dott.ssa Diana Prada Referenti territoriali di Bergamo e Provincia OPL Ordine Psicologi Lombardia
• Dott. Stefano Faverzani Presidente dell’Ordine dei Medici Veterinari di Bergamo
• Ordine dei Tecnici Sanitari di Radiologia e delle Professioni Sanitarie Tecniche, della Riabilitazione e della Prevenzione della Provincia di Bergamo nella persona del Dott. Angelo di Naro
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