Bergamo Salute - 2018 - 47 – novembre/dicembre

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numero

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Anno 8 Novembre | Dicembre 2018

www.bgsalute.it Poste Italiane spa Sped. in Abb. Postale DL 353/2003 (Conv. in legge 27/02/2004 N.46) Art. 1 comma 1 LO/BG

3 0 MI L A

COPIE

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Influenza 2018-2019 COSA CI ASPETTA

24

Dieta QUELLA GIUSTA PER TE? TE LO DICE IL DNA

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Coppia COME SOPRAVVIVERE ALLE FESTE

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Bellezza UNO SGUARDO PIÙ FRESCO CON LA BLEFAROPLASTICA

Bergamo Salute è sempre con te: leggila integralmente dal tuo computer, tablet o smartphone www.bgsalute.it

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Elena Fanchini

Così ho vinto la gara più importante contro il tumore

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Anno 8 Novembre | Dicembre 2018

www.bgsalute.it

) EDITORIALE 7 Il Natale è nell’aria... ) ATTUALITÀ 8 Influenza 2018-2019. Cosa ci aspetta 11 Così alzi le difese immunitarie... naturalmente ) SPECIALITÀ A-Z 12 Cardiologia Infarto nella donna. Vietato sottovalutare 16 Neurochirurgia Brain Awake surgery 18 Ortopedia Le fratture da stress negli sportivi ) PERSONAGGIO 20 Elena Fanchini Così ho vinto la gara più importante contro il tumore ) IN SALUTE 22 Stili di vita S.O.S. gelo. Così salvi le piante in terrazzo 24 Alimentazione La dieta giusta per te? Te lo dice il DNA 26 Zenzero: peccato non mangiarlo

) IN ARMONIA 28 Psicologia Lo psicologo ora arriva direttamente a casa 30 Coppia Come sopravvivere alle feste

) IN CASA 32 Si accendono i riscaldamenti. Attenzione al pericolo acari! ) IN FAMIGLIA 34 Dolce attesa Il “quarto trimestre” di gravidanza 38 Bambini Osteopatia pediatrica 40 Ragazzi Servizio civile: una “buona” scelta

64 Guida esami Ecografia delle anse intestinali 65 Animali Diabete nel cane e nel gatto ) DAL TERRITORIO 70 News 73 Novità in libreria 74 Onlus Teatro contro il Parkinson 77 Farmacie Progetto Mimosa 81 Malattie rare Displasia spondilo-epifisaria congenita 82 Testimonianza Com’è profondo il mare

) IN FORMA 42 Fitness Ginnastica presciistica. L’allenamento per divertirsi in sicurezza 44 Bellezza Uno sguardo più fresco con la blefaroplastica

) STRUTTURE 86 Policlinico San Pietro 89 ASST Papa Giovanni XXIII

) ATS INFORMA 46 “Mamma proteggi il tuo bambino prima che nasca!”

) PROFESSIONI SANITARIE 93 Al via HC.LAB, il nuovo Contamination Lab

) RICETTA 54 Deliziosi cavolini di Bruxelles al forno con gherigli di noci 55 Tisana digestiva “Spirito di Provenza” ai frutti di bosco 56 Lasagne sfiziose al ragù vegetale 58 Stelle di Natale al farro ) RUBRICHE 62 Altre terapie Dal laser alla radiofrequenza: le tecnologie contro i disturbi vaginali

) REALTÀ SALUTE 97 Centro di radiologia e fisioterapia Allegato centrale: Amici di Bergamo Salute

PARTECIPANTI ALLA FONDAZIONE ITALIANA PER L’EDUCAZIONE ALIMENTARE

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EDITORIALE

Il Natale è nell’aria... Luminarie, alberi di Natale, decorazioni e addobbi di tutti i tipi. Il Natale si sta ormai avvicinando. Anzi, per dire la verità è già da settimane che l’atmosfera natalizia è nell’aria. E se per alcune persone questo è il periodo più magico e atteso dell’anno (e non si tratta solo di bambini), per altre rischia di trasformarsi in un momento d’ansia. Gli inglesi, non a caso, parlano di Christmas Blues, ovvero quel senso di disagio e tristezza, che a volte può raggiungere la depressione, che sopraggiunge proprio in questo periodo. I motivi di quest’ansia pre-natalizia? Lo stress di arrivare preparati alla fatidica data del 25 dicembre con i regali giusti (per tutti) con un programma di pranzi e cene con

familiari e amici a prova di “incidenti diplomatici”, con la casa adeguatamente addobbata e così via; l’insofferenza per gli obblighi familiari cui spesso si deve sottostare; la preoccupazione per le finanze, che tra regali, spese per mangiare ed eventuali vacanze possono subire un bel contraccolpo; la nostalgia per chi non c’è più che nei giorni di festa torna a farsi sentire più forte; a volte anche gli inevitabili bilanci che la fine dell’anno porta con sé. Cosa fare allora? Non esiste una ricetta magica. Gli esperti suggeriscono però qualche piccola strategia per allentare lo stress, ad esempio organizzarsi per tempo con una lista di regali e un budget prestabilito e adeguato alle proprie possibilità. Un’altra

dritta è partecipare agli eventi sociali nel rispetto dei propri “limiti”, imparando a “dire no” a impegni non “indispensabili” con persone che sappiamo ci causeranno malumore, dedicando il tempo risparmiato a prendersi cura di sé e dei propri hobby. E se tutto questo si ripercuote anche sulla coppia? Niente paura, in questo numero di “Bergamo Salute” troverete alcuni consigli utili per non “scoppiare”. Certo, direte voi, più facile a dirsi che a farsi. Vero, però vale la pena provarci. Da parte nostra il più sincero augurio che ci riusciate e che questo Natale posso essere per tutti voi, grandi e piccoli, davvero magico, ricco di calore, amore e… tanta salute!

Adriano Merigo

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ATTUALITÀ

Influenza 2018-2019 Cosa ci aspetta

∞  A CURA DI ELENA BUONANNO

«La stagione influenzale che ci aspettiamo a oggi dovrebbe essere di intensità media ma con non meno di 5.000.000 di casi. Con l’influenza, però, non bisogna mai abbassare la guardia. Quanto successo lo scorso anno ce l’ha ricordato chiaramente: ci aspettavamo una stagione nella

PROF. FABRIZIO PREGLIASCO Virologo Ricercatore del Dipartimento di Scienze biomediche per la salute dell’Università degli Studi di Milano e Direttore Sanitario dell’IRCCS Galeazzi (Mi)

norma e, invece, quella 2017/2018 è stata una delle stagioni più pesanti degli ultimi anni, con il numero record di 8,5 milioni di casi solo in Italia. Una lezione che non dobbiamo dimenticare. Molto dipenderà anche dal meteo: se quest’inverno dovesse essere più lungo e freddo sicuramente si avranno molti più pazienti influenzati». Chi parla è il professor Fabrizio Pregliasco, Virologo e Ricercatore del Dipartimento di Scienze biomediche per la salute dell’Università degli Studi di Milano e Direttore Sanitario IRCCS Galeazzi di Milano, uno dei massimi esperti italiani di virus e influenza. Professor Pregliasco, quali sono i sintomi che ci fanno capire se si tratta di vera influenza o, invece, di sindromi parainfluenzali? Sotto il termine “influenza” si raggruppano diverse forme infettive dovute a molti virus, che solitamente circolano da dicembre a marzo. Tecnicamente si può parlare di influenza solo se, mediante

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un tampone faringeo, si isola il virus in laboratorio, ma questo lo si fa molto raramente e solo a fini epidemiologici. A fini pratici, salvo qualche variazione per i bimbi più piccoli e gli anziani dove la febbre non sempre è elevata, si può parlare di influenza solo se ci sono tre condizioni presenti contemporaneamente: > febbre elevata > 38° a insorgenza brusca; > sintomi sistemici: dolori muscolari/articolari; > sintomi respiratori: tosse, naso che cola, congestione/secrezione nasale, mal di gola. In tutti gli altri casi si parla di infezioni respiratorie acute o sindromi parainfluenzali, come ad esempio il raffreddore, dove i sintomi principali sono il naso otturato e gli starnuti frequenti. Come bisogna comportarsi in caso di contagio? Quali farmaci e rimedi possono essere utili per attenuare i sintomi? In caso di contagio, il consiglio


migliore è quello di riposare e di utilizzare, dove necessario, farmaci di automedicazione, che sono il pilastro principale nel trattamento delle sindromi influenzali e parainfluenzali. È fondamentale che l’automedicazione sia responsabile, ovvero l’uso dei farmaci senza obbligo di ricetta deve servire a stare meglio e cioè ad attenuare i sintomi senza azzerarli, seguendo, quindi, l’andamento della malattia e consultando il medico, se le cose non migliorano o peggiorano, dopo quattro–cinque giorni. Tra i farmaci di automedicazione più utilizzati sono disponibili ad esempio: antistaminici, contro gocciolamento nasale, starnuti, congiuntivite; vasocostrittori (contenuti negli spray nasali) contro il naso chiuso; collutori o pastiglie anticongestionanti o antisettici contro il mal di gola; sedativi, fluidificanti e mucolitici contro la tosse; antinfiammatori (antidolorifici e antipiretici) contro dolori e febbre. Molto utili sono anche quei farmaci che combinano più principi attivi.

Quando, invece, è necessario assumere gli antibiotici? Nella classica influenza gli antibiotici sono inutili e non vanno assolutamente impiegati; anzi il loro uso può rivelarsi addirittura dannoso per la possibilità di determinare un’alterazione della flora batterica delle prime vie respiratorie, con conseguente eventualità di favorire una superinfezione da parte di un microrganismo resistente. Gli antibiotici trovano, invece, indicazione nelle complicanze batteriche broncopolmonari e devono essere utilizzati solo dopo aver effettuato una visita medica, quando i sintomi dell’influenza non passano con i farmaci di automedicazione oppure se, dopo un’apparente guarigione, si manifesta un ritorno di febbre e tosse produttiva. Quali sono le categorie di persone che devono prestare particolare attenzione a non ammalarsi? I bambini molto piccoli, i grandi anziani, gli immunodepressi e coloro che sono affetti da patologie croni-

LA CAMPAGNA VACCINALE La campagna di vaccinazione regionale, partita i primi di novembre, prevede la somministrazione gratuita del vaccino ai soggetti più esposti al contagio: donne e uomini dai 65 anni in su, future mamme al secondo e terzo mese di gravidanza, bambini e adulti da 6 mesi a 65 anni con patologie croniche, operatori di servizi pubblici, forze di polizia e vigili del fuoco, veterinari e donatori di sangue. Il vaccino è disponibile presso i centri vaccinali delle Asst di riferimento per bambini e adulti di età inferiore a 65 anni. Gli assistiti dai 65 anni in su possono rivolgersi direttamente al proprio medico di famiglia.

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ATTUALITÀ

che sono le persone che possono sviluppare più frequentemente delle complicanze, anche gravi. Per questo si deve porre una particolare attenzione da parte del medico per un controllo clinico più stretto. In particolare, i cosiddetti pazienti ad alto rischio di sviluppare delle complicanze possono giovare di interventi più mirati (farmaci antivirali) nel momento di una diagnosi di influenza. Quando è necessario ricorrere al vaccino? Il vaccino è una fondamentale opportunità e, in alcuni casi, un salvavita per i soggetti a rischio; ovvero tutti i malati con patologie respiratorie e cardiache di qualsiasi età. Ma è anche, per tutti, un’opportunità di riduzione dell’assenteismo scuola/lavoro e del rischio di contagiare soggetti

fragili della propria famiglia. Ovviamente, il vaccino non protegge da tutte le forme non dovute a virus influenzali: questo significa che la possibilità di prendere l’influenza non è eliminata ma, in caso di malattia, i sintomi sarebbero attenuati. Quindi il vaccino può essere considerato come un’assicurazione contro le complicanze dell’influenza ma, non avendo efficacia contro i virus parainfluenzali, il ricorso ai farmaci di automedicazione resta complementare e di fondamentale importanza per meglio gestire anche i sintomi associati a queste diverse infezioni. In conclusione, è bene prevenire l’influenza e agire in anticipo, iniziando a pensare da subito alla vaccinazione che è partita come ogni anno a ottobre. La nuova composizione vaccinale 2018/2019 comprende:

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> A/Michigan/45/2015 (H1N1) presente anche nel vaccino 2017-2018; > A/Singapore/INFIMH-16-0019/ 2016 (H3N2) nuova variante; > B/Colorado/06/2017; (lineaggio B/Victoria) nuova variante. > L’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda inoltre, nel caso dei vaccini quadrivalenti, l’inserimento del virus B/ Phuket/3073/2013-like (lineaggio B/Yamagata), in aggiunta ai tre precedenti. Il nuovo vaccino conterrà, dunque, due nuove varianti antigeniche: una di tipo A, sottotipo H3N2 (A/Singapore/INFIMH-16-0019/2016), che sostituirà il ceppo A/Hong Kong/4801/2014 ed una di tipo B (B/Colorado/06/2017-lineaggio Victoria) che sostituirà il ceppo B/ Brisbane/60/2008.


Così alzi le difese immunitarie... naturalmente Non è detto che chiunque venga a contatto con i virus influenzali si ammali. Dipende molto dalle difese immunitarie. Ecco perché è importante che siano al meglio: per ammalarci il meno possibile o fare in modo che la malattia si manifesti con sintomi più lievi o abbia un decorso più veloce. Come fare allora per aumentarle? Lo abbiamo chiesto alla dottoressa Anna Pirola, farmacista. Dottoressa Pirola, come possiamo prevenire l’influenza? Il vaccino antinfluenzale è sicuramente il rimedio di cui si sente parlare più spesso. Va tenuto presente però che è efficace solo nei confronti di alcuni ceppi del virus influenzale e non protegge dai virus (circa 200) responsabili delle cosiddette sindromi simil-influenzali. Per questo motivo può essere utile abbinare un rimedio fitoterapico o omeopatico (ovviamente anche

DOTT.SSA ANNA PIROLA Farmacista A Filago

chi non si vaccina può ricorrere a uno di questi rimedi). Il periodo migliore per iniziare questo tipo di prevenzione sarebbe prima dell’autunno, le prime settimane di settembre; poi, a seconda del rimedio, si possono ripetere dei cicli durante le stagioni autunnale e invernale. Tra le piante più utilizzate c’è l’Echinacea (in particolare le specie angustifolia e purpurea) che appartiene alla famiglia delle Compositae ed è originaria del Nord America. Le sue radici sono ricche di costituenti dotati di azione contro virus e batteri e in grado di aumentare la risposta immunitaria; l’estratto secco e la tintura madre di Echinacea risultano utili sia nella prevenzione sia come coadiuvante delle infezioni delle prime vie respiratorie. Anche l’Uncaria tomentosa, e in particolare l’estratto secco ottenuto dalla sua corteccia, è dotato di attività immunostimolante ed antivirale. Non si può poi non

citare l’Astragalo e l’Eleuterococco che favoriscono le difese immunitarie, oltre ad essere dotati di azione tonica e adattogena, risultando utili anche in caso di fatica e debolezza. In natura troviamo anche la propoli, dotata di attività immunostimolante, antibatterica, antivirale e antinfiammatoria. Questa sostanza è utile anche per trattare localmente infezioni e lesioni della bocca ed ha azione anestetica locale. Attenzione però, per chi soffre di allergie, in particolare ai pollini, sarebbe meglio evitarla! Anche se si tratta di rimedi fitoterapici è bene precisare che possono avere controindicazioni, ad esempio sono sconsigliati in persone affette da malattie autoimmuni. È importante, quindi, evitare il fai da te e rivolgersi al proprio medico o farmacista per valutare il rimedio più adatto a ciascuno ed escludere eventuali controindicazioni o interazioni con altri farmaci assunti.

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SPECIALITÀ A-Z

CARDIOLOGIA

Infarto nella donna Vietato sottovalutare ∞  A CURA DI FELICE VALLE

Se si chiedesse di descrivere una persona colpita da infarto miocardico, in molti la rappresenterebbero così: uomo, di età avanzata, con il dolore al torace. Negli anni passati si è sempre ritenuto che le malattie cardiache fossero quasi un’esclusiva degli uomini con un coinvolgimento marginale delle donne che in realtà hanno sempre temuto e concentrato le loro attenzioni e paure verso altre patologie come tumore della mammella e dell’utero. Invece la realtà dei fatti è che: > le malattie di cuore, e tra queste in particolare l’infarto miocardico, sono le malattie più frequenti nelle donne; > le donne muoiono molto di più a causa delle malattie cardiovascolari che per tutti i tumori messi insieme compreso il tumore al seno; > il primo episodio di infarto miocardico è molto più pericoloso in una donna che in un uomo e le complicanze dell’infarto sono più gravi nelle donne; > nelle donne l’infarto presenta una mortalità superiore a quella riscontrata negli uomini, addirittura doppia nelle donne giovani.

LE CAUSE: COSA DICONO GLI STUDI Per molti anni lo studio della malattia coronarica e dei suoi fattori

Essendo protette dagli ormoni fin oltre i cinquant’anni di età, le donne sono abituate a ritenersi erroneamente immuni dal rischio di malattie cardiache” di rischio ha interessato prevalentemente gli uomini considerata la maggiore frequenza della malattia in età media. Recentemente, però, alcuni studi di genere hanno cercato di fare chiarezza sulle differenze e le similitudini nell’infarto miocardico tra uomini e donne. Uno tra questi, lo studio Octavia (studio tutto italiano il cui investigatore principale è il dottor Giulio Guagliumi, cardiologo interventista dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo), ha dimostrato che i meccanismi di insorgenza dell’infarto miocardico (vedi box) in uomini e donne sono simili, le donne hanno la stessa risposta degli uomini all’impianto di stent medicati di ultima generazione e anche il decorso clinico, quando i trattamenti salvavita sono applicati nello stesso modo, è sovrapponibile nei due generi e molto favorevole. E allora perché le differenze

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in mortalità e complicanze nell’infarto tra uomini e donne?

I FATTORI DI RISCHIO CARDIOVASCOLARE TRADIZIONALI… I fattori di rischio tradizionali (fumo, colesterolo alto, ipertensione, diabete etc.) incidono diversamente sulla malattia cardiovascolare nell’uomo e nella donna. > Il fumo, considerato il fattore di rischio maggiormente responsabile di mortalità e morbilità in entrambi i sessi, sembra essere più pericoloso nelle donne (specie se assumono contraccettivi orali). E purtroppo mentre il numero di fumatori maschi in Italia è calato negli ultimi anni le donne ormai fumano quanto gli uomini e il da-

DOTT. FELICE VALLE Specialista in Cardiologia Istituto Clinico Quarenghi San Pellegrino Terme


Quando una parte del muscolo cardiaco “muore” L’infarto miocardico consiste nella morte delle cellule (necrosi) di una parte del muscolo cardiaco, causata da un’assenza di flusso di sangue (in genere superiore a 30 minuti), dovuta a sua volta, all’improvvisa occlusione dell’arteria coronaria che normalmente alimenta la zona. L’occlusione di un’arteria coronaria, nella grande maggioranza dei casi, è causata dalla formazione di un trombo (ossia di un coagulo di sangue) all’interno dell’arteria coronaria. A sua volta la formazione del trombo è innescata da una rottura o ulcerazione di una placca aterosclerotica che è una protuberanza all’interno di un vaso sanguigno (in questo caso coronarico) dovuta a un accumulo di grassi e cellule infiammatorie.

to più allarmante è che le ragazze iniziano a fumare a una età sempre inferiore (età media 17 anni). > L’ipertensione arteriosa presenta un rischio particolarmente elevato in quanto indicatore di disfunzione endoteliale (ndr. l’endotelio è il tessuto che riveste la superficie interna dei vasi sanguigni, dei vasi linfatici e del cuore) molto più presente nelle donne. > La dislipidemia (colesterolo e trigliceridi alti) è riconosciuta come fattore predittivo in entrambi i sessi, ma dopo la menopausa si assiste a un incremento del colesterolo, del colesterolo-LDL e dei trigliceridi, con tendenza alla riduzione del colesterolo-HDL. Questi rimaneggiamenti del profilo lipidico post-menopausali sono correlati con un rischio maggiore sia in donne apparentemente sane sia in donne già colpite da un evento cardiovascolare. > Il diabete mellito nella donna aumenta il rischio di morte per infarto miocardico.

… E QUELLI GENERE-SPECIFICI Alcuni fattori di rischio sono esclusivamente correlati al genere (uomo-donna) e quindi presenti solo nelle donne: diabete mellito gestazionale, ovaio policistico, preeclampsia e eclampsia e menopausa. Gli estrogeni durante tutto il

periodo fertile limitano l’evoluzione dell’aterosclerosi attraverso il controllo del profilo lipidico: tutto questo si modifica con l’arrivo della menopausa. Anche alcune malattie più frequenti nelle donne (malattie autoimmuni, patologia tiroidea, malattie reumatologiche, malattie scheletriche come l’osteoporosi e malattie neuro degenerative) sono associate a un incrementato rischio di mortalità e malattia cardiovascolare. Questo dipende, verosimilmente, dallo stato infiammatorio sottostante, dalla non rara trombofilia concomitante, dalla scarsa attenzione per patologie diverse dalla principale e infine dal frequente uso di farmaci che possono favorire l’insorgenza di eventi cardiovascolari. Tra tutte, in particolare, il lupus eritematoso sistemico e l’artrite reumatoide comportano un elevato rischio di sviluppare coronaropatia. Anche lo stress lavorativo e familiare, la depressione e il basso livello economico incidono maggiormente sul rischio di morte per patologia cardiovascolare sino al 50% in più nelle donne.

COME RICONOSCERE I SINTOMI Classificazione ed esami di laboratorio sono sovrapponibili in entrambi i sessi. Ciò che differisce

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SPECIALITÀ A-Z

CARDIOLOGIA

sono invece i sintomi, spesso aspecifici, sottovalutati, principalmente dalla paziente, e correlati a fattori emotivi. La donna può non lamentare il dolore toracico tipico, ma sintomi come astenia, nausea e vomito, sensazione di ansia inspiegabile e insonnia, talora inappetenza. Spesso attribuisce, quando è più giovane, il dolore toracico all’emotività alterata dalla presenza della menopausa. In diversi studi è evidenziata la minore attenzione da parte delle donne al possibile rischio cardiovascolare; in realtà anche il personale medico sminuisce inconsapevolmente le problematiche delle pazienti che spesso riferiscono di essere considerate ipocondriache, stressate, eccessivamente ansiose. Questo può scaturire dal fatto che, fino a poco tempo fa, l’iter diagnostico si basava sui risultati ottenuti sul genere maschile e ciò nel tempo ha evidenziato i limiti delle metodiche se applicate al genere femminile.

L’IMPORTANZA (TRASCURATA) DEL FATTORE TEMPO Le donne, dalle statistiche, dimostrano una tendenza ad arrivare più tardi in ospedale rispetto agli uomini aumentando il profilo di rischio. Il fattore tempo nella cura dell’infarto

Aspetto preoccupante è il crescente numero di segnalazioni, nella letteratura scientifica, riguardanti la generale sottostima per la diagnosi di cardiopatia ischemica nella donna, la diagnosi in stadio troppo avanzato di malattia e il trattamento meno aggressivo rispetto a quello riservato al paziente maschio”

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miocardico acuto è infatti cruciale per la sopravvivenza anche e forse di più per la donna. Inoltre le terapie più efficaci come la trombolisi e la rivascolarizzazione percutanea non sono altrettanto efficaci o addirittura non sono più praticate se è passato troppo tempo. Il perché di questo ritardo va ricercato, ancora una volta, nella sottovalutazione del rischio di infarto cardiaco da parte delle donne.

LA TERAPIA: UTILIZZATA MENO CHE NEGLI UOMINI Il ritardo nell’arrivare in ospedale unito alla presenza di sintomi aspecifici nelle donne e all’anatomia coronarica femminile determina, secondo numerosi studi, un sottoutilizzo delle terapie in caso di infarto acuto di oltre il 30% in meno. Tutto questo a sua volta comporta che i risultati a distanza siano peggiori nelle donne, anche per un più elevato profilo di rischio. In definitiva, il meccanismo di prote-


zione degli estrogeni ha creato nel tempo la convinzione che la donna potesse ammalarsi meno di patologia cardiovascolare e ciò ha indotto all’utilizzo della terapia ormonale sostitutiva; peraltro la cosiddetta “medicina bikini” (ovvero una medicina che ha sempre riconosciuto come uniche differenze tra uomo e donna quelle a carico degli organi sessuali), ha confermato l’uso di tale terapia, causando effetti dannosi e aumentando il rischio cardiovascolare. Attualmente la terapia sostitutiva va consigliata nelle donne di non oltre 60 anni e in menopausa per un periodo inferiore ai cinque anni. .

LE REGOLE DELLA PREVENZIONE Ci sono almeno due buone ragioni per imboccare la strada della prevenzione. Innanzitutto le diverse cure mediche, anche le più sofisticate, se intraprese dopo che la malattia si è già manifestata non sono più in grado di ristabilire completamente la salute. In secondo luogo è stato dimostrato che attraverso la prevenzione si può diminuire in modo consistente la frequenza della cardiopatia ischemica (angina pectoris e infarto) con le sue temibili conseguenze. > Avere consapevolezza del rischio. Come accennato, il maggior rischio cardiovascolare della donna (definito anche il paradosso femminile) è la mancata consapevolezza di essere a rischio come o più dell’uomo. Il primo passo è quindi la presa di consapevolezza

da parte della donna che l’infarto rappresenta la prima causa di morte più di ogni altro tumore. > Seguire un’alimentazione bilanciata, ricca di frutta e vegetali, cereali integrali, fibre; consumare pesce almeno due volte alla settimana; limitare l’apporto di grassi saturi, il consumo di alcol e l’apporto di sodio. > Abolire il fumo. Qualunque tipo di fumo: di sigaretta, sigaro o pipa, deve essere considerato come la sostanza che attualmente reca più danno alla salute. Per questo motivo nessun altro intervento, nell’intero campo della medicina preventiva, risulterà più utile della sua abolizione. > Fare attività fisica regolare, soprattutto le donne che presentano fattori di rischio. Le linee guida raccomandano esercizio fisico aerobico per almeno 45 minuti per almeno tre volte alla settimana. > Tenere sotto controllo il peso. L’eccesso di grasso è il più importante determinante del diabete nella donna. > Eseguire un accurato screening del diabete nelle donne obese, con familiarità per diabete, con sindrome dell’ovaio policistico o in presenza di altri fattori di rischio cardiovascolari, dislipidemia ed ipertensione arteriosa; in tutte le donne oltre i 45 anni di età e comunque dopo l’ingresso in menopausa. Una diagnosi accurata e tempestiva della cardiopatia ischemica è un passo fondamentale nella cura delle donne e rappresenta la sfida principale per i medici.

ECG ED ECOGRAFIA PER UNA DIAGNOSI PIÙ MIRATA È noto come da sempre nel sesso femminile i test diagnostici non invasivi abbiano un’accuratezza inferiore rispetto al sesso maschile. Il semplice elettrocardiogramma (ECG) registrato durante un’ischemia miocardica mostra delle importanti differenze che rendono più difficoltosa la diagnosi. Anche il test da sforzo al cicloergometro o al tappeto rotante è limitato da una scarsa accuratezza nel sesso femminile e addirittura ci possono essere delle differenti risposte dell’ECG sotto sforzo nelle stesse pazienti in relazione alle diverse fasi del ciclo mestruale. Ciononostante il test da sforzo rimane il miglior esame cui sottoporre le pazienti ad elevato rischio. Recenti lavori indicano che l’aggiunta a un test da sforzo di una metodica di imaging (eco da sforzo o eco stress farmacologico e scintigrafia miocardica) migliori enormemente la sensibilità e la specificità del test stesso.

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SPECIALITÀ A-Z

NEUROCHIRURGIA

Area delle funzioni mentali elevate Concentrazione, pianificazione, giudizio, creatività, inibizione...

Area delle funzioni motorie

Brain Awake surgery

Movimento degli occhi e orientamento

Area delle funzioni motorie

Attivazione dei muscoli volontari

Area di Broca

Muscoli della parola

Area di Wernicke

Comprensione di scritto e parlato

Area sensoria

Sensazioni di pelle e muscoli

Area somatosensoria

Valutazione di peso e consistenza

Area uditiva Ascolto

Area delle associazioni

Memoria a breve termine, equilibrio, emozione

Neurochirurgia? Meglio da svegli in caso di tumore al cervello vicino alle aree del linguaggio

Area visiva

Vista, riconoscimento e percezione immagini

Area delle associazioni sensorie Area emozionale

Dolore, rabbia, risposta al combattimento

Area olfattoria

∞  A CURA DI ORAZIO SANTONOCITO

Si chiama awake surgery, ossia chirurgia a paziente sveglio. È una tecnica difficile e che certo fa un po’ impressione, ma d’importanza cruciale in alcuni casi. In particolare viene utilizzata in neurochirurgia per l’asportazione di tumori che si trovano molto vicino ad aree “eloquenti” del cervello, ovvero deputate al controllo di importanti funzioni come il movimento volontario e la produzione/ comprensione del linguaggio. Obbiettivo: massimizzare l’asportazione di una neoplasia cerebrale senza lasciare deficit neurologici al paziente.

MENTRE IL CHIRURGO OPERA, È IL PAZIENTE CHE LO “GUIDA” Questa tecnica si affaccia nella pratica neurochirurgica verso la fine degli anni Ottanta come soluzione estrema per l’epilessia intrattabile. Grazie ai progressi in campo medico, tecnologico e chirurgico negli ultimi dieci anni

Olfatto

ha trovato applicazione anche nel campo della neuro-oncologia e in particolare nella chirurgia dei tumori cerebrali primitivi (originati nel cervello stesso e quindi non metastasi di altri tumori). L’aspetto innovativo è rappresentato dal fatto che durante l’intervento il paziente (inizialmente addormentato e intubato come negli interventi “classici”), dopo l’esecuzione della craniotomia (apertura del cranio) e l’incisione della dura madre (la meninge o membrana più esterna che avvolge l’encefalo), viene svegliato e invitato a collaborare attraverso la produzione di parole, l’esecuzione di movimenti fini, l’attribuzione di nomi a oggetti di uso comune visualizzati nello schermo di un computer. In questa delicata fase è affiancato costantemente dal neuropsicologo, che oltre a tranquillizzarlo cerca di fargli eseguire i compiti sopra citati che, in casi particolari, soprattutto in relazione all’attività professionale del

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paziente, possono diventare molto complessi, come ad esempio suonare uno strumento, cantare, esprimersi in diverse lingue. Nello stesso tempo, con il paziente sveglio, il neurochirurgo esegue una mappatura della corteccia cerebrale attraverso la sua stimolazione con microelettrodi con correnti a

DOTT. ORAZIO SANTONOCITO Direttore UOC Neurochirurgia Aziendale - Azienda Usl Nordovest Toscana Membro del Comitato Scientifico di Bergamo Salute


rebrale il neurochirurgo definisce i limiti entro i quali deve rimanere la rimozione chirurgica. Il neurofisiologo, anche lui presente in sala operatoria, ha il compito di registrare e interpretare istante per istante il tracciato elettroencefalografico in modo da controllare eventuali alterazioni elettriche della corteccia cerebrale che potrebbero essere il segno premonitore di insorgenza di crisi epilettiche.

L’IMPORTANZA DI UN’ÉQUIPE MULTIDISCIPLINARE

bassissimo voltaggio. L’obbiettivo è individuare le aree cerebrali funzionalmente importanti, localizzarle in relazione alla posizione del tumore e valutare quindi fino a che punto può essere spinta l’asportazione chirurgica senza provocare danni neurologici. Quando infatti il neurochirurgo stimola aree critiche cerebrali, la risposta del paziente non sarà più fluida: ad esempio, nell’asportazione di una neoplasia localizzata molto vicino all’area di produzione del linguaggio (area corticale di Broca), quando la stimolazione elettrica sarà in prossimità di quest’area, il paziente inizierà a mostrare difficoltà nella denominazione degli oggetti, a invertire, omettere o cambiare sillabe, a pronunciare nomi dal suono simile (in termini medici, parafasie semantiche); stimolando ulteriormente, si può arrivare al cosiddetto speech arrest ovvero all’arresto della produzione del linguaggio. Attraverso questo “mappaggio” ce-

In questo scenario risulta fondamentale il contributo delle diverse figure professionali coinvolte, come in lavoro di squadra in cui ogni singolo professionista assume un ruolo insostituibile e determinante per il raggiungimento degli obbiettivi. È infatti necessario un coordinamento perfetto tra neurochirurgo, neuroanestesista, neuropsicologo, neurofisiologo e personale infermieristico di sala operatoria. Il vero protagonista, però, è indubbiamente il paziente, che assume, a differenza dei classici interventi eseguiti in anestesia generale, un ruolo attivo sia durante l’atto chirurgico sia nelle fasi pre e post-operatorie. Il paziente per essere dichiarato candidabile a questa procedura deve passare attraverso una serie di valutazioni neuropsicologiche in cui è fondamentale che mostri estrema motivazione nel combattere la malattia e capacità di resistere a eventi stressanti. La awake surgery è un’esperienza coinvolgente ed emotivamente particolare sia per il neurochirurgo sia per il paziente poiché entrambi cooperano per

il raggiungimento del medesimo obbiettivo: Il paziente chiede aiuto al neurochirurgo per l’asportazione della neoplasia, il neurochirurgo chiede aiuto al paziente affinché con la sua collaborazione attiva in sala operatoria questa possa essere eseguita nel miglior modo possibile.

I VANTAGGI: PIÙ SICUREZZA E MENO RIABILITAZIONE POST INTERVENTO I vantaggi di essere operati da svegli sono scientificamente provati: nessun test diagnostico può stabilire con precisione la funzione delle zone cerebrali su cui s’interviene, per questo se il paziente è vigile può contribuire a “guidare la mano del chirurgo” aiutandolo a eliminare il tumore senza toccare l’area del cervello predisposta a governare il linguaggio. Inoltre, minimizzando i deficit neurologici post-operatori, permette di ridurre al minimo la necessità di una riabilitazione neurologica, consentendo al paziente di rientrare più velocemente alla vita normale.

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SPECIALITÀ A-Z

ORTOPEDIA

Le fratture da stress negli sportivi ∞  A CURA DI ROBERTO ORLANDI

Eccessivo allenamento, un’alterata biomeccanica, terreni inadatti, pregresse contratture muscolari. Sono solo alcune delle cause che possono portare a fratture da stress o da fatica. Un problema piuttosto frequente, non sempre di facile inquadramento, che riguarda in particolare sportivi che si dedicano ad attività come corsa, jogging, marcia, salto, danza, ginnastica, calcio, basket, pallavolo, tennis, ma che non risparmia, seppur con un’incidenza inferiore, nemmeno ciclisti, golfisti, chi fa arti marziali e persino chi tira con la carabina!

QUANDO L’OSSO NON REGGE LE SOLLECITAZIONI ESTERNE Per frattura da stress o da fatica si intende un particolare tipo di frattura dell’osso causata da un sovraccarico non traumatico e ripetuto nel tempo. Si crea, in pratica, uno squilibrio tra la richiesta funzionale e la capacità di resistenza del tessuto: il fisiologico processo di rimodellamento osseo (processo continuo di adattamento strut-

Le donne risultano essere più colpite rispetto agli uomini, mentre le popolazioni afro-americane risultano essere meno suscettibili alle fratture da stress” turale dell’osso alle sollecitazioni provenienti dall’esterno), non risulta abbastanza rapido per reggere appieno le sollecitazioni.

ESISTONO DUE FONDAMENTALI TIPI DI FRATTURE DA STRESS > Derivanti da eccessive forze che si scaricano su un osso normale; > dovute a forze anche di più modesta entità che però si scaricano su un osso patologicamente indebolito. Le cause, quindi, possono essere molteplici. Tra le più frequenti: l’eccessivo allenamento, un incremento spropositato del numero di competizioni, un’alterata biomec-

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canica strutturale, terreni inadatti, pregresse contratture muscolari, squilibri ormonali, amenorrea, malnutrizione, osteoporosi, artrite reumatoide e altre patologie metaboliche ossee, esiti di interventi chirurgici, soprattutto recenti, a carico degli arti inferiori. Le sedi più frequentemente colpite sono: metatarsi, calcagno, tibia, perone, collo femorale e scafoide tarsale, ma sono state riscontrate fratture da fatica anche a carico di vertebre, rotula, clavicola, coracoide scapolare, olecrano, coste e radio.

I SINTOMI: UN DOLORE LOCALIZZATO CHE DIVENTA SEMPRE PIÙ COSTANTE, ANCHE A RIPOSO In un certo numero di casi le fratture da stress possono essere precedute da periostiti (infiammazione che interessa il periostio, la membrana di tessuto connettivo fibroso compatto che riveste la superficie delle ossa). La sintomatologia si manifesta caratteristicamente con dolore localizzato che nelle prime fasi compare durante o subito do-


po sforzo; in seguito l’insorgenza avviene sempre più precocemente durante l’attività sportiva, fino a essere presente anche a riposo, specialmente nelle ore notturne. Spesso sono anche riscontrabili edema (gonfiore) locale, parziale impotenza funzionale e contratture muscolari. La palpazione diretta della zona interessata risveglia sempre dolore, a volte anche intenso.

LA DIAGNOSI? NON SEMPRE È IMMEDIATA La diagnosi strumentale si avvale delle radiografie standard che, tuttavia, nelle prime fasi possono risultare negative e, in caso di persistente sospetto clinico, andrebbero ripetute dopo circa tre settimane. Utile è anche la Risonanza Magnetica che, al contrario, è in grado di evidenziare questa specifica patologia fin dai primi momenti della sua insorgenza. La scintigrafia ossea, un tempo molto utilizzata, è oggi di fatto superata dalla Risonanza Magnetica che evita al paziente i rischi dell’esposizione ai raggi X e risulta essere molto più specifica. Il corretto inquadramento diagnostico, comunque, spesso

non è agevole, poiché numerose altre patologie presentano segni e sintomi simili alle fratture da stress: sindromi compartimentali subacute o croniche da esercizio fisico prolungato, sindrome del tendine tibiale posteriore, gotta, neurinoma di Morton, neoplasie.

NON SEMPRE SERVE L’INTERVENTO, A VOLTE BASTANO RIPOSO E TERAPIE FISICHE PER RECUPERARE La cura principale consiste nell’immediata sospensione del carico sul distretto interessato, che deve essere prolungata per un periodo adeguato (in genere dalle 4 alle 12 settimane). In alcuni casi si rende necessario l’approccio chirurgico (collo femorale, tibia, alcuni tipi di frattura metatarsale etc.), in altri può essere sufficiente un’immobilizzazione con tutori, gessi funzionali, taping o altri presidi; anche alcune terapie fisiche elettromedicali possono trovare uno spazio terapeutico, in particolare i campi elettromagnetici pulsati e le onde d’urto. È importante trattare queste fratture tempestivamente e nel modo corretto per evitare la

DOTT. ROBERTO ORLANDI Ortopedico-Traumatologo e Specialista in Medicina dello Sport Consigliere Provinciale Federazione Medico-Sportiva Italiana

più comune complicanza, cioè la scomposizione della frattura, oltre alle complicanze tipiche delle fratture in generale, tra cui le trombosi venose profonde e le embolie. La ripresa funzionale deve seguire stretti e severi criteri di gradualità: nelle fasi iniziali è particolarmente indicata la riabilitazione in acqua, che consente il recupero motorio, in sostanziale assenza di carico, a cui seguirà un adeguato ciclo di fisiochinesiterapia assistita per raggiungere il completo recupero funzionale.

Plantari e allenamenti progressivi per prevenire La prevenzione gioca un ruolo fondamentale nei confronti delle fratture da stress: la correzione di difetti biomeccanici (ad esempio plantari sportivi per controbilanciare pronazione, supinazione, piattismo, cavismo della volta plantare, valgismo o varismo del retropiede), una corretta e progressiva tabella di allenamento, calzature idonee, un adeguato riscaldamento, uno sviluppato tono-trofismo muscolare e un equilibrato apporto dietetico appaiono fattori indispensabili al fine di abbassare l’incidenza di questa patologia, di fatto non così rara tra gli sportivi.

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PERSONAGGIO

ELENA FANCHINI

Così ho vinto la gara più importante contro il tumore e altre cure. Lei stessa aveva dato l’annuncio della sua guarigione: «Tutto finito! Dopo dieci mesi sono guarita dal tumore. Ho sempre affrontato la malattia con grande forza anche se negli ultimi mesi la chemioterapia è stata forte, sono stata tanto male ma ho sempre lottato. Avere un obiettivo mi ha aiutato tantissimo. Lo sci, il continuare a fare ciò che amo è stato per me la terapia migliore. Adesso posso dedicarmi esclusivamente allo sport. A gennaio spero di rientrare».

∞  A CURA DI LUCIO BUONANNO

Le speranze e i sogni di Elena Fanchini, la vicecampionessa del Mondo di discesa libera nel 2005, bergamasca di nascita, e bresciana d’adozione, si sono infranti sulle nevi americane di Copper Mountain, dove si stava allenando con la squadra italiana. Dopo aver sconfitto un tumore e vinto la sua sfida più grande, è caduta fratturandosi il perone e una mano. E tra le lacrime, senza mai pronunciare la parola ritiro, ha fatto capire che sarà difficile se non impossibile continuare la sua carriera. Su Instagram ha raccontato lei stessa la sua disavventura non riuscendo a trattenere la commozione. «La caduta è stata molto brutta e non ho buone notizie, ho riportato la frattura della testa del perone e una

lieve frattura del piatto tibiale della gamba sinistra e anche al pollice della mano sinistra» dice. «È stata una grande batosta perché ci ho creduto tantissimo, sono comunque contenta di essere tornata per questi cinque giorni. Il peggio è passato: sono riuscita a superare il tumore, anche per soli 5 giorni, ho sciato, ho raggiunto il mio obiettivo che era quello di guarire. Grazie a questo sport e alla passione ci sono riuscita». Ma lei, tosta com’è, non si darà per vinta. Pronta ad affrontare una nuova sfida. D’altronde ne ha già vinto un’altra: quella contro il tumore, che l’aveva colpita a gennaio. E aveva sconfitto dopo due interventi, chemioterapia, radioterapia,

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Ma la speranza, i suoi sogni sono drammaticamente crollati sulle piste americane di Copper Mountain mentre si allenava con la sorella Nadia, altra campionessa di discesa libera, come la sorella Sabrina che però ha smesso dopo il matrimonio, e con la Nazionale femminile. Ora Elena, nonostante i guai ha comunque un nuovo impegno: è infatti testimonial di “Cancro Primo Aiuto”, l’Associazione lombarda che si impegna a favore dei malati oncologici insieme con Peter Fill, uno dei nostri migliori discesisti in attività, e la collega Francesca Marsaglia specialista anche lei in discesa libera e SuperG. La malattia: il tumore Elena l’aveva scoperto subito dopo lo scorso Natale. Si era sentita male. E il 3 gennaio, dopo una serie di analisi alla clinica Humanitas, il drammatico verdetto. “Lei ha una neoplasia di basso grado che può però essere curata.” Una batosta alle aspirazioni di Elena che stava già preparando la valigia per le Olimpiadi in Corea,


dove Sofia Goggia, Michela Moioli e Arianna Fontana hanno regalato all’Italia tre ori. Invece Elena deve affrontare un’altra discesa. Questa volta senza sci: una sfida con la malattia. Ma lei reagisce come sa, con il sorriso sulle labbra e tanto coraggio e addirittura dà lei l’annuncio. «Ho una neoplasia, mi curerò. La mia intenzione è quella di tornar il prossimo anno a sciare. A tutti è capitato di affrontare momenti difficili, momenti in cui la vita ci mette a dura prova. La vita mi ha messo davanti a una nuova sfida, una cosa seria per cui sono costretta a fermarmi per curarmi. Non è facile perché penso a tutti i sacrifici, alla fatica, agli obiettivi della stagione, alle Olimpiadi e ai miei sogni. Tutto scivola però come pioggia. Questa è la vita, non sai mai cosa può accadere, ma io non mi arrendo, affronto questa nuova sfida con tanta forza e coraggio per tornare più forte e realizzare i miei sogni». Affronta la chemioterapia, subisce un primo intervento chirurgico a maggio, un altro a ottobre. «Ho avuto qualche problema. La radioterapia prima dell’intervento mi ha dato fastidio, ero sempre stanca, avevo la nausea e ho perso due chili. Dopo l’intervento non mangio più carni rosse e zuccheri. Comunque sono stata fortunata, i medici hanno capito qual è stata la causa del tumore. È per un gene che ho ereditato da mia mamma e lei da mia nonna. Ma io sono stata la prima in famiglia a manifestarlo. In tanti mi hanno detto di smettere. Ma

Tanti campioni hanno sfidato il cancro Elena Fanchini non è sola nella sfida al cancro. Prima di lei ci sono stati tanti campioni del tennis, del calcio, della pallavolo. Ne ricordiamo qualcuno. La prima a fare outing è stata la tennista pluricampionessa d’Italia Lea Pericoli che ha sconfitto per ben due volte un tumore al seno. Anche la pallavolista ex FoppaPedretti Eleonora Lobianco è stata colpita da un tumore al seno risolto brillantemente tanto da vincere dopo pochi mesi dall’intervento scudetto e Coppa del Mondo. Il calciatore Eric Abidal ex difensore del Barcellona nel 2011 due mesi dopo aver subito un intervento chirurgico per un tumore al fegato ritornò in campo. Quattro anni dopo è stato sottoposto a trapianto. Altro calciatore colpito da tumore è Francesco Acerbis, difensore del Sassuolo. La malattia interessò i testicoli; operato, due mesi dopo tornò a indossare le scarpette da calcio.

io non ci ho mai pensato anche se ho 33 anni. Credevo che rompersi il legamento di un ginocchio, come mi è capitato, fosse una brutta cosa, ma ora ho capito che non è niente. Il fatto è che non ho mai pensato di essere malata, ho sempre sorriso e ho sempre creduto che sarei tornata a sciare come avevo promesso a tutti appena i medici mi hanno detto quello che avevo». Elena è davvero così: spontanea con un carattere e una grinta di ferro. E adesso cercherà di curarsi, di risolvere le fratture e di tornare a sciare, anche se forse la Coppa del Mondo resterà un sogno. «Mia sorella Nadia mi dice sempre “tu sei matta” fai passare la tua malattia come se non avessi avuto niente. Forse ha ragione, me l’hanno detto anche i medici “tu hai avuto un tumore senza rendertene conto. È vero non ho mai pensato

al pericolo. Ora dico la parola tumore ma prima non l’avevo mai pronunciata. E anche quando ero in attesa degli esami istologici non ero preoccupata». Ad aiutarla ci saranno anche ora proprio Nadia, l’altra sorella Sabrina, il fidanzato Denis, la mamma Giusy e il papà Sandro che lavora agli impianti di sci di Montecampione. «È stato lui a trasmettere a noi tre sorelle la passione per gli sci» racconta Elena. «Eravamo bambine, io avevo solo tre anni quando papà mi portò sulle piste di Montecampione, poi sono arrivate Nadia e Sabrina e insieme ci scatenavamo sulla neve, sfidandoci in discese sempre più ripide. E tutte e tre siamo arrivate in Nazionale. Sabrina ha smesso dopo il matrimonio, Nadia e io abbiamo continuato». Ora c’è questa nuova sfida, ma siamo sicuri che ce la farà anche stavolta e la rivedremo in discesa libera.

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IN SALUTE

STILI DI VITA

S.O.S. gelo Così salvi le piante in terrazzo ∞  A CURA DI VIOLA COMPOSTELLA

Se nelle campagne l’arrivo del grande freddo mette in pericolo soprattutto le verdure coltivate all’aperto come cavoli, verze, cicorie e broccoli, è allarme gelo anche per le piante in terrazzo che rischiano di essere “bruciate” dal brusco abbassamento delle temperature. A mettere in guardia, ora che le temperature si sono davvero abbassate, è Coldiretti. Ecco i consigli per difendere le piante dal gelo. Per salvare il proprio angolo verde il consiglio - sottolinea la Coldiretti - è quello di mettere al riparo le piante sulle scale condominiali, oppure negli androni di ingresso, previo accordo con i condomini, per evitare problemi, oppure in una cantina o in un garage, per pochi giorni, considerando l’emergenza. Se non è possibile è meglio dispor-

re i vasi contro il muro, poiché in questo modo hanno maggiore calore, mentre va evitata la collocazione accanto alla ringhiera. Meglio ancora metterli sul lato sud del balcone. Collocare le piante direttamente a terra piuttosto che in alto assicurerà poi maggior calore. Utile anche sollevare i vasi da terra, ponendo sotto uno strato di polistirolo. Una protezione efficace dal gelo è rappresentata dal tessuto non tessuto, una sorta di telo traspirante che si può trovare a poca

Durante l’inverno bisogna tenere il terreno il più possibile asciutto e innaffiare il minimo indispensabile”

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spesa nei negozi di prodotti agricoli. Deve coprire l’intera pianta e va fermato infilandone i lembi sotto al vaso. L’altra soluzione - continua la Coldiretti - è rappresentata da un telo di plastica, il quale impone però una gestione più attenta, rendendo necessario chiuderlo e aprirlo più volte per evitare il formarsi dell’umidità, oltre a rischiare di essere portato via dal vento. Ancora, bisogna tenere il terreno il più possibile asciutto e innaffiare il minimo indispensabile. Quando lo si fa, bisogna evitare accuratamente che l’acqua possa ristagnare nel sottovaso, favorendo la gelata della pianta. Eventuali potature vanno, infine, effettuate a fine inverno, poiché la maggior presenza di rami e foglie - conclude la Coldiretti assicura comunque una maggiore protezione dal freddo.


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Portare le piante all’interno dell’abitazione.

Disporre le piante contro il muro, invece, che vicino alla ringhiera.

Metterle, laddove possibile, sul lato sud.

Collocarle a terra, dove hanno maggior calore, e non in alto. Nuova apertura PUNTO PRELIEVI Martedì, giovedì e sabato dalle 7,30 alle 9,30

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Mettere uno strato di polistirolo sotto i vasi.

Coprire le piante con tessuto non tessuto o, in alternativa, con un telo di plastica che impone però una gestione più attenta.

Sistemare il vaso all’interno di un altro più grande utilizzando paglia sul fondo e trucioli di legno o altri materiali per riempiere l’intercapedine tra i due vasi.

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Tenere il terreno asciutto e innaffiare il meno possibile.

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Non far ristagnare l’acqua nel sottovaso.

Non potare le piante.

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IN SALUTE

ALIMENTAZIONE

NUTRIGENETICA: SIAMO QUELLO CHE MANGIAMO

La dieta giusta per te? Te lo dice il DNA ∞  A CURA DI MARIA CASTELLANO

Come mangiare? Quante proteine o carboidrati assumere durante la giornata? Qual è l’attività fisica migliore da praticare? Quali i cibi più idonei e più utili? Per trovare le risposte a queste domande un aiuto arriva dall’analisi del DNA e del profilo genetico di ciascuno. «Noi siamo costituiti dall’interazione tra genoma (l’insieme dei geni di una qualunque cellula, la nostra costituzione di base) e ambiente (stile di vita, alimentazione, attività fisica, prodotti assunti etc.)» sottolinea il dottor Damiano Galimberti, dietologo e presidente dell’Associazione medici italiani anti-aging (Amia). «Conoscere i nostri geni, ovvero i mattoni costitutivi del DNA, ci permette quindi di orientare in modo più ponderato il nostro stile di vita e in particolare l’alimentazione in modo che possa essere davvero su misura e scientificamente personale, non solo per finalità di perdita di peso ma anche in ottica di benes-

sere, prevenzione e lunga vita in generale». Dottor Galimberti, in che modo il DNA e i geni possono orientare nell’elaborazione di una dieta? Esistono semplicemente fattori che possono avvantaggiare o ostacolare in un percorso di dieta e che, una volta appresi, possono agevolare e favorire l’auspicato successo finale, dato non solo dal calo di peso, ma dal suo successivo mantenimento nel tempo. Si reagisce al cibo che si introduce in modo personalizzato, diverso dagli altri: non si introducono solo sterili calorie, ma molecole che andranno a interagire con l’organismo e con il metabolismo, a loro volta condizionati dal DNA, cioè dalla propria costituzione. Il segreto per una corretta nutrizione quindi è dentro di sé e si chiama appunto DNA. Da qui la “dieta genetica o del DNA”, che permette di ritagliarsi un “abito su misura”, decifrato e decodificato.

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Oltre 30.000 geni compongono il nostro DNA, una sorta di “istruzioni per l’uso” per il nostro organismo. Sebbene il nostro genoma sia immodificabile, l’ambiente circostante e i nutrienti possono, una volta decifrato il codice, influenzarne l’espressione genica intervenendo sulla predisposizione a determinati stati patologici o semplicemente mantenendoci in buona salute. Si parla così di nutrigenetica, scienza di ultima generazione, che concentra lo sguardo sul singolo individuo e sulle sue caratteristiche genetiche relazionandole alla sua alimentazione, al suo metabolismo, alle predisposizioni individuali e all’ambiente in cui vive.

Si pensi a quanto sono frequenti gli insuccessi dietetici. Cali di peso a fronte anche di estenuanti sacrifici e poi la successiva rapida ripresa dei chili persi, spesso anche con i cosiddetti “interessi”: si finisce così col pesare di più di quando si era iniziata la dieta. È evidente che non esiste dieta universale che vada bene per tutti. Il primo passo, quindi, è imparare prima a conoscersi. Per raggiungere questo obbiettivo il dietologo deve analizzare i personali ritmi biologici del paziente, la sua costituzione, il suo profilo metabolico, la sua psicologia e la storia del suo rapporto con il cibo, i ritmi di lavoro; deve, in sostanza, occuparsi della persona nella sua completezza: un grande aiuto vie-


ne dalle moderne tecnologie, in particolare dal test del DNA.

DOTT. DAMIANO GALIMBERTI Dietologo Presidente dell’Associazione Medici Italiani Anti-aging (Amia) Habilita Bergamo

Ma in particolare che cosa dice il test? Il test genetico ci aiuta soprattutto a capire cosa sta dietro alle difficoltà nel perdere peso e ci indica qual è l’attività fisica più adatta da praticare a seconda delle nostre caratteristiche. La finalità è valutare come gli alimenti interagiscono sul fisico di ognuno, definendo stili alimentari e comportamentali che siano in grado di ottimizzare l’efficacia dei nutrienti e prevenire eventuali problematiche legate all’alimentazione. In generale, poi, fornisce indicazioni che consentono di adottare misure preventive mirate e personalizzate,

in modo da aumentare la probabilità di mantenersi e recuperare una buona salute fisica.

BASTA UN PO’ DI SALIVA Per effettuare il test del DNA si passa un tampone lungo la mucosa della guancia, come si vede nei film televisivi (i vari RIS o CSI della televisione); poi il laboratorio andrà ad amplificare i geni che il medico decide sia necessario “leggere” e quindi “interpretare”.

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ALIMENTAZIONE

Zenzero

peccato non “mangiarlo” ∞  A CURA DI ELENA BUONANNO

Favorisce la digestione, tiene sotto controllo la nausea, in questa stagione aiuta a contrastare tosse e mal di gola. È lo zenzero, spezia orientale sempre più diffusa anche da noi, dalle molteplici virtù. Utilizzato fresco, sotto forma di tisane o infusi, grattugiato o in polvere, ha un sapore inconfondibile, fresco e pungente, perfetto per dare un tocco in più a zuppe, pesce o carne, ma anche torte e biscotti. Conosciamolo meglio con l’aiuto della dottoressa Arianna Magoni, dietista.

Dottoressa Magoni, quali sono le proprietà benefiche di questa spezia? Lo zenzero contiene antiossidanti, vitamine, minerali e composti fitochimici, cioè sostanze che favorirebbero nell’organismo un’azione antiossidante (ovvero un’azione in grado di aiutare a contrastare i radicali liberi e a prevenire l’invecchiamento dell’organismo), antinfiammatoria e antibatterica. La virtù nota da più tempo, però, è la sua capacità di ridurre la chinetosi, ovvero il cosiddetto “mal di

mare”; furono proprio dei marinai cinesi a sfruttare questa proprietà! Uno degli effetti più studiati, invece, è quello in relazione a nausea e vomito dovuti alla gravidanza: è dimostrato che i gingeroli, principi attivi della spezia, ne attenuino gli effetti; la dose consigliata è di 500 mg per due volte al giorno. Inoltre lo zenzero, stimolando la secrezione degli acidi biliari da parte del fegato e la produzione di alcuni enzimi gastrici e pancreatici, aiuta e rende più veloce la digestione. Allo stesso modo favorisce anche

Il rapporto tra rischi e benefici: una questione di quantità Lo zenzero possiede chimicamente antiossidanti e altri composti bioattivi, ma le sue virtù vanno rapportate alla quantità di consumo. Pensiamo al peperoncino e alle dosi che usiamo per insaporire il pasto: sono dosi davvero piccole e quelle dello zenzero non si discostano di molto da queste. Assumendo una piccola quantità di questa spezia si ingerisce una piccolissima quota dei suoi antiossidanti. D’altra parte però quantità eccessive comportano gli stessi problemi che in modiche quantità, riesce a contrastare, come nausea e vomito. Un altro aspetto da tenere in considerazione è che non ci sono ancora studi che provino che lo zenzero non interferisca con l’efficacia di eventuali terapie farmacologiche, pertanto per il principio di precauzione si sconsiglia di assumere zenzero in concomitanza di alcuni farmaci, in particolare anticoagulanti, antidiabetici e antipertensivi. In caso di dubbi e di assunzione di capsule, in cui i principi attivi sono più concentrati, è bene quindi chiedere consiglio al proprio medico.

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la motilità intestinale, facilitando l’evacuazione e l’eliminazione di gas. Attenzione però: se in quantità eccessive, queste azioni sul tratto gastrointestinale possono però causare diarrea, gastrite e calcoli biliari. Infine, rappresenta un alleato prezioso soprattutto in questa stagione: in studi preliminari emerge che l’assunzione di zenzero potrebbe essere considerato un rimedio contro i sintomi influenzali, come tosse e mal di gola.

Quello che noi comunemente definiamo zenzero, non è in realtà la pianta dello Zingiber officinale, ma il suo rizoma, ovvero il fusto orizzontale da cui si sviluppano le radici che si può consumare fresco, essiccato, centrifugato o decotto”

Ma è vero, come a volte si legge, che fa anche dimagrire? L’associazione fra zenzero e dimagrimento deriva dal fatto che durante il suo consumo il nostro corpo impiega più energia per metabolizzarlo, così da far spendere qualche caloria extra al nostro organismo. L’effetto, però, è assolutamente temporaneo. È evidente che da solo lo zenzero

non ha uno specifico potere dimagrante. Un percorso di dimagrimento riguarda lo stile di vita nel suo complesso e non può essere ridimensionato all’utilizzo di un particolare alimento. In che modo si può utilizzare e assumere? Si può consumare sia fresco sia essiccato o centrifugato. Altre

forme di assunzione sono tisane e decotti. Lo zenzero, poi, in polvere o scaglie si adatta a molte preparazioni culinarie, dai primi piatti ai dolci. Molte sono le ricette che abbinano lo zenzero con pesce e crostacei di ogni tipo, oltre che con secondi a base di carne. In polvere trova applicazione nella preparazioni di dolci o biscotti, come i tipici biscotti di pan di zenzero o gingerbread cookies. Ottimo per la stagione fredda è l’abbinamento con gli infusi in cui nell’acqua bollente si può aggiungere dello zenzero essiccato grattugiato o direttamente un pezzo di radice fresca. Può essere usato anche per aromatizzare l’acqua, solitamente insieme al lime; in questo modo si può ottenere una bevanda fresca senza zuccheri aggiunti!

Tabella nutrizionale per 100 g di alimento: . Energia 80kcal . Proteine 1,8 g . Carboidrati 17,8 g . Grassi 0,75 g . Fibra 2 g . Colesterolo 0 g DOTT.SSA ARIANNA MAGONI Dietista a Bergamo e Selvino (Bg)

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IN ARMONIA

PSICOLOGIA

Lo psicologo ora arriva direttamente a casa ∞  A CURA DI GIULIA SAMMARCO

Per chi è bloccato a letto per un problema di salute. Per chi non se la sente, per svariate ragioni, di muoversi. Per chi ancora ha poco tempo o semplicemente vuole avere la comodità di non doversi spostare da casa propria. In tempi come i nostri in cui tutto è sempre più all’insegna del “servizio a domicilio”, anche l’assistenza psicologica arriva direttamente a casa. Una nuova “moda” che sta prendendo sempre più piede in diversi contesti. «Un cambiamento oppure un evento particolare nella propria vita possono rivelarsi di difficile elaborazione e superamento ed è proprio in queste situazioni che una consulenza psicologica e un’eventuale presa in carico possono risultare un valido e benefico supporto» osserva la dottoressa Martina Di Mattia, psi-

cologa. «Per molti e diversi motivi però a volte recarsi dallo psicologo può essere difficoltoso o non agevole. Ecco allora che è lo psicologo ad andare dalla persona. L’area dell’intervento domiciliare interessa vari target e può essere declinata in molte versioni: in funzione di chi è il richiedente, degli obbiettivi dell’intervento, del contesto sociale e culturale all’interno del quale si inserisce». Dottoressa Di Mattia, ci può fare qualche esempio di situazioni in cui può essere utilizzato questo servizio di assistenza psicologica direttamente a casa della persona? Questo tipo di intervento è piuttosto nuovo e può essere adatto e vantaggioso in diverse circostanze: nel caso in cui la persona sia

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allettata e quindi impossibilitata a spostarsi; nelle situazioni in cui non è pienamente autonoma e necessita della presenza di un accompagnatore che la segua nelle sue attività; altri casi ancora in cui il disagio psicologico provato compromette la gestione delle normali attività della vita quotidiana. Possono esserci anche ragioni personali, come una difficoltà a organizzare i tempi, un generico senso di fatica rispetto alla possibilità di raggiungere lo psicologo, oppure una preferenza per la comodità offerta da questo tipo di intervento. Inoltre è indicato per tutte quelle situazioni in cui è necessario e fondamentale avere una chiara e completa visione dei comportamenti della persona all’interno del proprio ambiente domestico. Più nello specifico


Un supporto per imparare a vivere meglio Secondo la legge 56/89, “la professione di Psicologo comprende l’uso degli strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione, la diagnosi, il sostegno psicologico, l’abilitazione e la riabilitazione, rivolti alle persone, al gruppo, agli organismi sociali e alle comunità. Comprende altresì le attività di sperimentazione, ricerca e didattica in tale ambito”. In altre parole, l’intervento dello psicologo può essere utile in svariate situazioni: quando le persone riscontrano difficoltà di natura psicologica o di adattamento; vogliono migliorare il proprio rapporto con gli altri; comunicare meglio o semplicemente comprendere se stessi, gli altri e/o il proprio contesto familiare, sociale, lavorativo o scolastico. Inoltre è in grado di aiutare la persona a migliorare la qualità della vita, favorire fasi di crescita personale, emotiva, cognitiva o relazionale e di intervenire per le forme di disagio psicologico, fino a indirizzare, se e quando necessario, verso un percorso di psicoterapia. Può svolgere anche attività di prevenzione e di sensibilizzazione riguardanti problematiche psicologiche in differenti ambiti, insegnare o praticare attività di consulenza in diversi settori delle attività umane e lavorative.

DOTT.SSA MARTINA DI MATTIA Psicologa A Bergamo

diventa una risorsa preziosa in contesti particolarmente difficili. In particolare con pazienti oncologici, terminali e ai loro familiari; pazienti in situazioni mediche post-acuzie (incidenti, operazioni e post dimissioni ospedaliere) e ai loro familiari; anziani affetti da demenza e ai loro familiari; soggetti con disabilità psichica e/o fisica; minori (diagnosticati e non) con diverse tipologie di problematiche inerenti a modalità relazionali disfunzionali. Altre situazioni delicate che possono richiedere questo

tipo di intervento sono lutti, con forti sentimenti depressivi, gravidanze a rischio e post-partum (perinatalità), condizioni di ansia grave, tale da ridurre l’autonomia delle persone, pazienti psichiatrici con patologie caratterizzate da chiusura e isolamento e per i quali solitamente la richiesta giunge da parte di un familiare, infine, persone agli arresti domiciliari. In alcuni casi ancora oggi andare dallo psicologo rappresenta un taboo….

Il fatto che venga lo psicologo a domicilio può in qualche modo aiutare a vincere questo pregiudizio? Direi di sì. Il servizio non è solo utile e vantaggioso per tutte quelle persone che non riescono a recarsi dallo psicologo, ma può anche essere un valido contributo affinché si possa conoscere e diffondere il valore della psicologia, eliminando i pregiudizi e i sentimenti di ambivalenza che spesso si nutrono verso questa figura professionale.

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IN ARMONIA

COPPIA

Come sopravvivere alle feste

∞  A CURA DI VIOLA COMPOSTELLA

«Stiamo per entrare nel periodo dell’anno che più mette a dura prova le nostre capacità relazionali. Indubbiamente le festività natalizie sono una gioia per i bambini, che vedranno materializzarsi i loro desideri sotto varie forme. Per gli adulti, invece, le cose non sono sempre così facili: molte sono le prove che devono affrontare, dettate dalle diverse circostanze che saranno chiamati a vivere. E questo si rifletterà anche sulle dinamiche di coppia». A parlare è Francesca Calioni Bembo, psicologa e psicoterapeuta. Ci siamo rivolti a lei per avere qualche consiglio per sopravvivere alle feste senza trasformarle in una continua occasione di litigio e tensione. Secondo gli psicologi, infatti, l’80% delle coppie è incompatibile con il Natale. I motivi di scontro sono tanti e tutto diventa più difficile anche perché le aspettative sono alte e si vorrebbe che tutto fosse perfetto. “L’anno scorso a Natale siamo andati dai tuoi, quindi quest’anno andremo dai miei”. “Quest’anno i miei ci vogliono assolutamente

Le aspettative “natalizie” spesso sono quelle di vivere giornate speciali, in cui tutto sia perfetto… Il problema è che le cose non vanno esattamente così” a pranzo a Natale perché hanno prenotato una vacanza dal 26”. “Quest’anno è un anniversario speciale, perché si riuniscono tutti i parenti e vengono da ogni parte d’Italia”. Quante volte l’abbiamo sentito o detto? Anche quest’anno dovremo organizzare visite ai parenti, cercando la quadratura del cerchio per non incrinare delicati rapporti sociali e affettivi. «Oggi più che mai, in una società in cui le tante occasioni sociali e affettive vengono sostituite da mezzi tecnologici come gruppi whatsapp o social, la riunione familiare legata alle festività natalizie rappresenta un rito quasi obbligato al fine di preservare la coesione e il senso di appartenenza fra persone dello

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stesso albero genealogico» osserva la psicologa. «Sì, ma di quale coesione stiamo parlando? I tempi moderni sono sempre più avari di occasioni conviviali e proprio per questo ci sentiamo maggiormente “obbligati” a stare al grande gioco delle riunioni natalizie di famiglia. E così entrano in gioco reconditi fattori che faticheremo a metabolizzare più di un abbondante pasto natalizio». Queste, e altre scelte tipiche del periodo natalizio (quanto denaro destinare ai regali, quando mettere le decorazioni, andare via qualche giorno o stare a casa etc.), sono già impegnative per una relazione in cui tutto vada a gonfie vele, ma quando una coppia sta già vivendo un periodo di crisi possono trasformarsi in una miccia per liti e rotture oppure essere vissute con un misto di sentimenti dall’indifferenza all’insofferenza. «Sensi di colpa o di vergogna, demotivazione sia nel pensare di fare sia di ricevere doni, senso di imbarazzo nei momenti di ritrovo: non si riesce a essere veramente noi stessi in momenti


in cui la testa sta pensando ad altro, a un’imminente separazione o a una crisi che si affaccia dopo lunghi o brevi anni di convivenza o di matrimonio. La verità è che si vorrebbe essere altrove, a riflettere sulla nostra situazione, e il Natale diventa un problema tra i problemi. A questo punto il “politicamente corretto” resta una grande tentazione o un utile escamotage per sfuggire

Troppo tempo insieme? A scatenare la crisi, a volte, ci può essere anche il fattore tempo. Le festività, infatti, impongono relazioni più strette del solito in una coppia che magari nella vita normale condivide meno cose. L’equilibrio tra i partner deriva da un personale mix di presenze e assenze, vicinanze e lontananze dosate… almeno fino alle vacanze di Natale che spesso finiscono per trasformarsi in una convivenza forzata.

ai problemi insoluti nella coppia e per non fare emergere conflitti latenti. Trascinarsi nelle abitudini e negli schemi noti è quasi sempre rassicurante». Cosa fare allora? Quali possono essere le vie di fuga per godere dell’atmosfera e del valore di questo periodo di festa nel modo migliore? Una buona idea potrebbe essere ritagliarsi uno spazio solo per la coppia, per tirare un po’ il fiato e ritrovare la propria intimità. Non serve necessariamente andare via, basta saper dare la giusta attenzione anche ai piccoli gesti e momenti. «Ognuno potrebbe cercare di vivere una propria esperienza personale autentica, che lo conduca più soddisfatto attraverso il periodo natalizio» suggerisce la psicologa. «Prestare attenzione al linguaggio del corpo del partner, prendersi del tempo per una conversazione di qualità, essere emotivi, cioè cercare di lasciarsi permeare dalle emozioni che stiamo vivendo. Quello che conta è il nostro personale momento che ci mette in contatto emozionalmente, per vivere le feste in modo che ci lascino e che restituiscano all’altro un ricordo vissuto: un

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pensiero, un piatto particolare, un rito personalissimo di cui siamo in pochi a conoscere il significato, un momento sospeso durante una cena, un dono particolare. Non ha importanza il valore esteriore dei gesti, ma ciò che significano per noi, per fissare all’interno della coppia un frammento di ricordo nella cometa emozionale del periodo. Se riusciremo a non celarci dietro lo schema ripetitivo, fisso e rassicurante del Natale e a sorprendere il nostro partner con una novità saremo riusciti a prenderci ancora per mano, per continuare il nostro cammino insieme, senza farci sopraffare dalla tensione».

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IN CASA

Si accendono i riscaldamenti. Attenzione al pericolo acari! I consigli per affrontare al meglio le allergie alla polvere ∞  A CURA DI VIOLA COMPOSTELLA

Se la primavera è la stagione delle allergie per definizione, anche l’autunno può riservare brutte sorprese. Per quanto la casa rappresenti un rifugio sicuro nel quale ritirarsi, tanto più quando fuori piove e comincia a far freddo, l’umidità, gli ambienti chiusi e meno arieggiati e la polvere possono scatenare, nei soggetti predisposti, una reazione allergica improvvisa: riniti, congiuntiviti fino a veri e propri attacchi d’asma che, soprattutto nei più piccoli, è bene non sottovalutare, perché come tutte le allergie possono peggiorare se non vengono affrontate adeguatamente. Inoltre, l’accensione dei riscaldamenti favorisce la formazione della polvere e quindi la proliferazione di colonie di acari, tra i prin-

cipali responsabili delle allergie. Gli acari, come si sa, vivono al meglio proprio nei luoghi in cui si accumula la polvere che fornisce loro nutrimento e riparo. Invisibili all’occhio umano, sono piccoli “parenti” dei ragni e si annidano nei tappeti, nei materassi, nei divani e nei cuscini, riproducendosi velocemente. Sono responsabili del 70 per cento dei fenomeni asmatici e delle riniti allergiche in età pediatrica. La concentrazione di acari può variare da 10 a 1.000 e più per ciascun grammo di polvere. Come per tutti i dermatofagoidi (cioè mangiatori di pelle) la dieta degli acari consiste in: scaglie di pelle umana e cuoio capelluto, miceti che crescono sulla pelle umana, oltre a muffe, corpi e frammenti di insetti, batteri.

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Tutti elementi di cui la polvere domestica è generalmente ricca. In autunno, con le finestre chiuse per lunghi periodi e l’accensione dei termosifoni, la casa si trasforma in un habitat perfetto per questi microscopici animali sorgente di allergeni derivati dalla frammentazione dei loro tegumenti, dalle loro secrezioni ghiandolari e dalle loro deiezioni fecali. Cosa fare per prevenire problemi? E come tenere sotto controllo eventuali disturbi dovuti all’allergia? Ecco i consigli di Assosalute (Associazione nazionale farmaci di automedicazione).

LE REGOLE DELLA PREVENZIONE > Pulire i caloriferi prima dell’accensione dei riscaldamenti, non


solo per preservarne la loro resa termica ma anche per mantenere in casa una buona qualità dell’aria, fondamentale per evitare allergie soprattutto se già si soffre di problemi respiratori. > Rivestire tutti i materassi e i cuscini presenti nella camera con fodere anti-acaro, tessuto a trama fitta, impenetrabile agli acari. Limitare al minimo la presenza di tappeti, piumini, poltrone imbottite, peluche. > Arieggiare spesso i locali anche se fuori fa freddo. > Scegliere con attenzione l’aspirapolvere, preferendo quelli dotati di adeguati filtri che impediscono la diffusione nell’aria degli allergeni. > Eliminare la polvere con frequenza. Prestare attenzione alle pulizie, utilizzando un panno umido che non disperda la polvere, e quindi, gli allergeni nell’ambiente. > Lavare frequentemente, ad alte temperature, la biancheria da letto. > Esporre all’aria cuscini e coperte.

IL KIT ANTI-ACARO PER ALLEVIARE I FASTIDI Nelle forme più gravi di allergia da acari caratterizzate, ad esempio, da deficit respiratori importanti è sempre necessario il coinvolgimento

del medico, che è l’unico che può indicare terapie mirate oltre che, quando possibile, proporre un trattamento desensibilizzante. Nei casi in cui si sa di essere “sensibili alla polvere” e i sintomi siano legati alla rinite allergica, per controllarli si può ricorrere ai farmaci di automedicazione: > Antistaminici, che bloccano gli effetti dell’istamina responsabile dei disturbi, sia a uso topico – (spray nasali o colliri) sia sistemico, cioè da assumere per bocca come nel caso delle compresse; > vasocostrittori come l’efedrina o la pseudoefedrina, che alleviano specificamente la fastidiosa sensazione di naso chiuso; > spray antiallergici, che possono essere utili nella profilassi del raffreddore allergico con azione decongestionante; > colliri antiallergici, che mirano ad alleviare i sintomi della congiuntivite. Ricordatevi in ogni caso che, prima di utilizzare i farmaci di automedicazione è sempre necessario leggere con attenzione il foglietto illustrativo e, in caso di dubbio, rivolgersi al farmacista o al proprio medico di fiducia.

Problemi di allergia? Impara a riconoscere i sintomi I sintomi dell’allergia agli acari della polvere sono di tipo respiratorio. Rinite allergica e, talvolta, asma allergica sono i due disturbi provocati da questi piccoli aracnidi, ma queste due condizioni comprendono un’ampia varietà di sintomi quali: > naso chiuso, che prude o che cola con secrezione acquosa e biancastra; > starnuti frequenti; congiuntivite, lacrimazione, bruciore agli occhi; tosse secca; > prurito al palato e alla gola difficoltà a respirare; > senso di leggera oppressione al petto; > disturbi del sonno provocati dalla difficile respirazione.

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IN FAMIGLIA

DOLCE ATTESA

Il “quarto trimestre” di gravidanza … per il benessere della neo mamma (anche) dopo il parto

∞  A CURA DI VIOLA COMPOSTELLA

Si è soliti parlare del primo, secondo e terzo trimestre di gravidanza. Ma l’American College of Obstetricians and Gynecologists (ACOG), prestigiosa organizzazione di specialisti ginecologi-ostetrici dedicata al miglioramento della salute della donna, ha recentemente coniato l’espressione “quarto trimestre”, sottolineando l’importanza che la cura della gravidanza non si esaurisca al momento del parto ma continui anche nei mesi dopo. Ma

cosa si intende? «Quarto trimestre significa che nei tre mesi successivi al parto prosegue il rapporto di cura e dialogo tra la donna e il medico e/o l’ostetrica che l’ha seguita in gravidanza» spiega la dottoressa Chiara Marra, ginecologa. «Il periodo dopo il parto, oltre a portare gioia ed entusiasmo, può infatti recare con sé fatica e criticità. Durante queste settimane la donna si adatta a multipli cambiamenti fisici, sociali e psicologici. Si deve riprendere

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DOTT. SSA CHIARA MARRA Specialista in Ostetricia e Ginecologia Direttore Sanitario CasaMedica Bergamo


Tradizionalmente la donna veniva protetta e supportata dall’intera famiglia nei primi 40 giorni dopo il parto. Oggi queste tradizioni sono appannaggio solo di alcune culture”

dal parto, abituarsi a nuovi equilibri ormonali e imparare a nutrire e accudire il piccolo appena nato. Intervengono inoltre alcune “sfide” per la neo-mamma come la carenza di sonno, il dolore al perineo, la difficoltà di allattamento, l’incontinenza urinaria, la mancanza di desiderio sessuale. Non sempre tutti questi disturbi sono presenti per fortuna, ma, quando lo sono, possono peggiorare problemi psicologici latenti o portare a uno squilibrio psicoemotivo».

Un tempo, in questa fase, la neo-mamma poteva contare su una rete familiare più o meno estesa… Esatto, tradizionalmente la donna veniva protetta e supportata dall’intera famiglia nei primi 40 giorni dopo il parto. Oggi queste tradizioni sono appannaggio solo di alcune culture. Spesso esiste un vuoto di assistenza tra la dimissione dall’ospedale della mamma e del neonato e la prima visita ginecologica, in genere prevista circa

40 giorni dopo il parto. Anche la visita pediatrica solitamente è programmata a 3-4 settimane dopo la nascita. A parte alcuni ambulatori e spazi per l’allattamento, le madri si trovano quindi spesso da sole ad affrontare il primo mese, quello più impegnativo. D’altra parte, è stato dimostrato che l’attenzione per il benessere fisico ed emotivo della neo-mamma dopo aver dato alla luce il piccolo riduce l’incidenza di patologie e addirittura la mortalità.

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IN FAMIGLIA

DOLCE ATTESA

L’IMPORTANZA DEI CORSI POST-PARTO

In che modo, quindi, si può garantire alla donna l’assistenza necessaria per la prevenzione del suo benessere psico-fisico? L’assistenza dopo il parto ideale inizia prima del parto. Bisogna pensare e pianificare un supporto personalizzato quando la donna è ancora in gravidanza. Le visite di gravidanza dovrebbero prevedere, oltre i controlli di routine per verificare il benessere fisico della madre e del feto, anche uno spazio di ascolto in cui la futura mamma possa aprirsi e raccontare le proprie eventuali difficoltà, paure e situazioni difficili. Non si deve necessariamente pensare a condizioni di disagio sociale/ familiare grave, ma anche semplicemente a tutte quelle donne abituate a ritmi veloci, in carriera e incentrate su se stesse fino a quel momento. Cambiare la prospettiva e porsi in una modalità di ascolto e connessione con se stesse e il proprio bambino è tutt’altro che semplice e necessita di una preparazione che deve iniziare in gravidanza. Secondo l’ACOG la

donna dovrebbe avere un primo contatto con l’ostetrica e/o il ginecologo che l’ha accompagnata in gravidanza entro massimo tre settimane dal parto. Il contatto dovrebbe rimanere poi costante in caso di necessità, in modo che la donna sappia che ha un punto di riferimento. Successivamente dovrebbe essere garantita una visita entro i primi tre mesi dalla nascita. Gli aspetti da considerare durante la visita sono: la ripresa fisica dopo il parto, l’umore e il benessere emotivo, la cura del neonato e l’allattamento, il sonno e l’affaticamento, la contraccezione e la sessualità, la gestione di patologie croniche, il mantenimento della salute psico-fisica. In realtà, pensare a un primo contatto a tre settimane dalla nascita del bimbo può essere già tardi in alcune situazioni, poiché spesso il supporto è necessario proprio nella prima settimana dopo il ritorno a casa e può essere fornito da un’ostetrica, meglio se quella conosciuta durante la gravidanza che conosce la storia della donna e della famiglia. Infine

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L’assistenza alla neomamma dopo il parto dovrebbe essere “intensa” e presente, ma mai invadente o medicalizzante. Questo approccio trova ancora più ragione nelle situazioni in cui ci sono stati problemi in gravidanza o al parto: in questi casi un’équipe composta da medico, ostetrica e psicologo può risultare preziosa. Molto utili sono anche i corsi organizzati dalle ostetriche dopo il parto: nel gruppo le neomamme possono condividere le nuove esperienze, sia di gioia sia di fatica, trascorrendo un tempo piacevole e rassicurante fuori casa con il loro bambino.

l’ACOG incoraggia caldamente il congedo parentale per il partner per tutte le prime sei settimane dopo il parto: mai come in questa fase la presenza del compagno/ coniuge è essenziale.


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BAMBINI

Osteopatia pediatrica Un aiuto contro molti e diversi disturbi tipici dei neonati ∞  A CURA DI GIULIA SAMMARCO

Pochi lo sanno. Ma l’osteopatia può rappresentare un valido aiuto per molti e diversi comuni disturbi di neonati e bambini, come coliche, rigurgiti, mal d’orecchio, irrequietezza e insonnia. Il tutto con trattamenti non invasivi e manovre delicate che vanno a correggere squilibri che spesso hanno origine durante il travaglio e il parto, quando le ossa del cranio si comprimono, creando blocchi e alterazioni che si ripercuotono sul benessere generale del piccolo. Come ci spiega la dottoressa Beatrice Grisi, osteopata. Dottoressa Grisi, in che modo l’osteopatia può rivelarsi utile nei bambini appena nati? I tessuti posseggono una loro “memoria” e tutto rimane impresso. Per questo è importante l’osteopatia nei bambini, perché evita che le disfunzioni si strutturino. Durante il travaglio e nella fase dell’espulsione, la testa del feto è soggetta a compressioni e trazioni importanti.

In altre parole, il neonato subisce un trauma durante il passaggio nel canale del parto. Queste forze impresse nei tessuti normalmente non creano particolari problemi, anzi determinano un modellamento delle ossa craniche e uno stimolo meccanico essenziale per uno sviluppo regolare e di tutto il corpo. In alcuni casi, però, se troppo Intense, possono lasciare tracce e influenzare negativamente l’equilibrio strutturale del neonato, causando disfunzioni craniche,

In molti Paesi dell’Europa del nord è normale che un osteopata visiti i bambini appena nati per valutare e ridurre le influenze meccaniche sopportate dal corpicino per le posizioni assunte in utero e durante il parto”

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come irritazioni dei nervi cranici, deformazioni del cranio (ad esempio un cranio allungato o appiattito nella zona posteriore, occhio più chiuso...), alterazioni di mobilità di alcune ossa craniche non ancora saldate con la possibilità di sviluppare di conseguenza disfunzioni a carico del sistema visivo e della masticazione. Anche altri tessuti, spesso, conservano le asimmetrie delle pressioni e stiramenti subiti: ogni regione del corpo può essere lesa e ogni disequilibrio si ripercuote a distanza. Quali problemi in particolare si possono affrontare? A seconda della disfunzione cranica presente nel bambino possono manifestarsi successivamente problematiche specifiche che l’osteopatia può aiutare a risolvere. Faringiti, riniti, sinusiti, otiti, adenoiditi, difficoltà respiratoria possono essere legate a un’alterazione del movimento delle ossa del cranio o a una scorretta mobilità del dia-


framma toracico. La presenza di disturbi del sonno, suzione difficoltosa, rigurgiti, difficoltà a deglutire, agitazione e irritabilità, coliche possono essere legate a una tensione o compressione delle suture o dei tessuti membranosi intracranici che tendono a creare un’irritazione di strutture nervose alla base del cranio. Le alterazioni a carico della colonna e del sacro possono dare luogo a manifestazioni posturali che si evidenzieranno durante la crescita come scoliosi, dismetrie e dimorfismi degli arti inferiori (ginocchia vare, valghe, alterazioni dell’arco plantare). La presenza

SE IL PARTO È STATO CESAREO... Secondo l’osteopatia, un’attenzione particolare deve essere riservata ai bambini nati da parto cesareo: nel parto cesareo infatti vengono a mancare le pressioni esercitate sul corpo dal canale del parto, pressioni che sono necessarie all’instaurarsi dello stimolo meccanico che consente il regolare sviluppo dell’organismo.

di emicranie, cefalee, strabismo, cattive occlusioni possono essere legate a lesioni o tensioni delle membrane intracraniche o cranio-sacrali. In cosa consiste il trattamento osteopatico? I diversi approcci prevedono un trattamento manuale gentile, non invasivo ed efficace che ha come obiettivo ripristinare la corretta e intrinseca mobilità di ogni struttura e ogni tessuto del bambino: solo allora il corpo metterà in atto il suo potere di autoguarigione. L’osteopata innanzitutto controlla il ritmo cranio-sacrale con entrambe le mani e attraverso manovre molto dolci riequilibra cranio e sacro. Dopo una preventiva osservazione del bambino, si procede al trattamento dei disturbi funzionali, volto ad alleviare, laddove ci fossero, ad esempio tensioni a livello del rachide, del diaframma oppure dell’apparato viscerale, ad esempio a carico di intestino o stomaco. L’azione dell’osteopata non si limita alla correzione di un osso in rapporto a un altro, ma cerca di restituire ai differenti tessuti le proprie funzioni una delle quali è la possibilità di rispondere alle sollecitazioni circostanti. Questo è possibile perché nel bambino il sacro, lo sterno e l’occipite non sono completamente ossificati: il tessuto osseo è

DOTT.SSA BEATRICE GRISI Osteopata DO, BSc Ost (Post Graduate in Paediatric Osteopathy) Studio Vitali Bergamo e Studio Beatrice Grisi Osteopata Cassano d’Adda (Mi)

molto malleabile e la trama ossea non ha ancora raggiunto la sua densità massimale. In conclusione l’osteopatia aiuta a curare sin dalla primissima infanzia malformazioni, scompensi della struttura ossea e disfunzioni dell’apparato membranoso e legamentoso, migliorando il benessere del neonato e quello futuro da adulto. Per capire meglio: pensate al modo in cui un albero cresce se esposto costantemente a un vento che spinge prevalentemente da un lato, si piegherà assecondando la direzione del vento. Lo stesso vale per il corpo umano. Stress alla nascita irrisolti e adattamenti del corpo acquisiti sono le radici di molti differenti problemi sia dell’infanzia che dell’età adulta.


IN FAMIGLIA

RAGAZZI

Servizio civile una “buona” scelta ∞  A CURA DI LELLA FONSECA

Troppo spesso finiscono sulle pagine dei giornali per episodi di bullismo, per l’allarme legato ad alcol, droghe e a varie forme di dipendenze, altre volte ancora perché, nonostante abbiano tutto o quasi, dalle ricerche sembrano essere una generazione “annoiata” e senza progettualità. Ebbene, i giovani sono anche molto altro rispetto a tutto questo. Sono tanti, infatti, quelli che hanno voglia di fare, di mettersi a disposizione degli altri, di impegnarsi in qualcosa di utile per tutta la collettività. Come dimostrano le numerosissime richieste per diventare volontari del Servizio Civile (nel 2018 i posti messi a disposizione sono stati più di 53.000). Per saperne di più abbiamo incontrato Flavio Spreafico, vicepresidente dell’Associazione Mosaico di Bergamo, ente senza scopo di lucro, accreditato per la gestione del Servizio Civile. «Bisogna in-

nanzitutto chiarire che il servizio civile non è un lavoro: i ragazzi possono essere inseriti soltanto in organizzazioni no profit, ma viene corrisposto un compenso di 433 euro mensili dallo Stato italiano a fronte di un’attività di 30 ore settimanali. Inoltre ci sono agevolazioni nei concorsi statali e la possibilità per gli studenti universitari di riconoscere il servizio come tirocinio. Il servizio civile è nato per gli obiettori di coscienza, come alternativa al servizio militare. In un secondo tempo, nel 2004, la legge 64 regolamentava il nuovo servizio civile, il Servizio civile Universale (SCU) con adesione volontaria, prima solo per le donne e poi anche per gli uomini. Inizialmente era destinato ai giovani dai 18 ai 24 anni e poi è stato esteso fino ai 28 anni. Più recentemente è nata la Leva Civica Regionale (LCR), molto simile al SCU ma gestita dalla Regione».

Quali sono le motivazioni che spingono ad avvicinarsi al servizio civile? Il servizio apre ai giovani le porte di un mondo poco conosciuto, quello del noprofit, che è oggi forse quello che più assorbe la nuova generazione che si affaccia al lavoro. Ad esempio i dati della leva civica regionale dicono che un anno dopo il servizio il 20% dei volontari hanno ricevuto un’offerta di lavoro dall’ente in cui hanno operato; il 48% dopo 3/6 mesi dal termine del servizio lavorano; il 62% entro 6 mesi ha ricevuto un’offerta di lavoro. Dal punto di vista umano è una scelta che per molti ragazzi cambia la vita, come raccontano i comici bergamaschi Paolo Casiraghi e Omar Fantini, che hanno fatto il servizio civile e sono testimonial dell’Associazione. Nell’ultimo anno solo attraverso Mosaico si sono candidati circa 200 giovani per la LCR e circa 900 per il SCU.

I principali ambiti > Anziani. Accompagnamento nelle visite, commissioni, attività sociali, gite; affiancamento al personale nella distribuzione dei pasti o nel servizio di trasporto protetto. > Biblioteche. Organizzazioni di eventi, mostre, letture, laboratori e affiancamento al personale bibliotecario nelle varie mansioni. > Disabili. Servizi di accompagnamento, compagnia, sostegno relazionale, socializzazione, formazione etc. sia a domicilio che in centri diurni. > Cooperazione internazionale ed educazione alla pace e allo sviluppo. Supporto alle diverse attività delle Organizzazioni non governative nella raccolta di fondi, ricerca di volontari, eventi, progetti di raccolta ed elaborazione dei dati. > Minori/Giovani. Supporto al personale educativo in asili nido e scuole dell’infanzia. Gestione di momenti di animazione, aggregazione, gioco e studio, supporto alle attività scolastiche e all’integrazione di stranieri. > Ambiente, Protezione civile e Patrimonio Artistico e culturale.

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Ph: Giovanni Diffidenti

Come si accede? A Bergamo si può fare domanda attraverso l’Associazione Mosaico, l’Anci Lombardia e la Caritas. I bandi vengono aperti ogni anno dopo la chiusura delle scuole, per cui gli studenti dell’ultimo anno delle superiori possono tranquillamente decidere dopo avere conseguito il diploma. In molti Istituti presentiamo il Servizio Civile e la Leva Regionale agli studenti delle quinte. Quando si fa domanda si deve scegliere una sola sede e un solo progetto tra quelli offerti dal bando. Le associazioni accreditate come la nostra assistono nella compilazione delle domande e nell’orientamento dei giovani, che spesso non riescono a immaginare in quale ambito potrebbero prestare servizio. Visto che non è un lavoro, non si tratta di utilizzare la propria

preparazione scolastica, professionale o liceale; generalmente il servizio non è legato direttamente a queste competenze. Come avviene la selezione? Dopo la domanda avviene prima una selezione di gruppo che vale complessivamente 40 punti (8 per la motivazione, 8 per il curriculum, 24 per il colloquio di gruppo) e poi un colloquio individuale presso l’ente in cui si è richiesto di operare (che vale 60 punti).

garantire che rientri effettivamente nelle mansioni previste. Il servizio è compatibile con gli studi universitari, sono previsti permessi per sostenere e prepararsi agli esami e 20 giorni all’anno di malattia.

Superata la selezione come si procede? I selezionati, prima di iniziare la loro attività nella sede prescelta, usufruiscono di 40 ore di formazione interna e 40 di formazione esterna. Durante l’anno di servizio un tutor controlla l’attività del giovane per

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IN FORMA

FITNESS

Ginnastica presciistica L’allenamento per divertirsi in sicurezza

∞  A CURA DI ELENA BUONANNO

Manca poco all’apertura della stagione sciistica. E voi, siete pronti? Già, perché quando si tratta di piste da sci, è vietato improvvisare. Bisogna programmare per tempo sessioni di allenamento ad hoc in modo da arrivare all’atteso appuntamento fisicamente preparati. «Anche se lo sci viene praticato solo nei mesi invernali, è uno sport molto impegnativo che coinvolge forza muscolare e resistenza e sottopone a forti stress le articolazioni, per il quale è necessario allenarsi fisicamente anche durante il resto dell’anno. Solo così è possibile affrontare le piste senza troppe difficoltà ed evitare inoltre il rischio di infortuni» avverte Giuseppe Maggioni, direttore tecnico di corsi di preparazione allo sci. Quali sono i consigli per arrivare sulle piste con muscoli e riflessi sufficientemente reattivi? Innanzitutto buona cosa sarebbe mantenere un grado di preparazione atletica generale soddisfacente durante tutto l’anno, cercando di evitare periodi di sedentarietà che potrebbero portare anche a un au-

mento di peso, cosa che andrebbe ad influire maggiormente sullo stress a muscoli e articolazioni durante la sciata. Per quanto riguarda la preparazione specifica per lo sci, dovrebbe iniziare almeno due mesi prima dell’inizio dell’attività, con una cadenza di un paio di volte a settimana. Ma che tipo di preparazione è richiesta. È la stessa per lo sci da discesa e lo sci di fondo? L’obbiettivo in generale è allenare la forza, la reattività, l’equilibrio e la coordinazione. La preparazione allo sci da discesa e quella allo sci di fondo presentano alcuni punti in comune per quanto riguarda le capacità di base, cioè il miglioramento della forza muscolare generale, della resistenza e capacità aerobica nonché della flessibilità muscolare e della mobilità articolare. Ci sono poi delle differenze più specifiche legate a entrambe le specialità che riguardano il tipo di gesto atletico che lo sciatore andrà a compiere. Ad esempio nello sci da discesa vengono consigliati esercizi con i salti, che richiamano la potenza richiesta e abituano a

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reagire rapidamente alle variazioni che si presentano sulle piste. Nello sci di fondo invece è utile allenarsi con appositi “sci a rotelle” o con i pattini in linea su strada per abituarsi al movimento tipico dello sciatore di fondo. Meglio esercizi a corpo libero o con attrezzi? Gli esercizi a corpo libero rispetto a quelli con attrezzi presentano dei vantaggi e dei limiti. Lavorando a corpo libero, ad esempio, si può migliorare l’equilibrio e stimolare i muscoli stabilizzatori, si ha un migliore effetto cardio negli esercizi eseguiti velocemente e si interessano tutti i muscoli del corpo in modo omogeneo, di contro è difficile allenare specificamente certi gruppi muscolari, come i deltoidi, i glutei. Inoltre, raggiunto un certo livello, si tende a progredire più lentamente perché non sempre è possibile aumentare lo stimolo. Questi sono invece proprio i punti di forza degli esercizi con gli attrezzi, senza dimenticare che, in caso di certe problematiche, come ad esempio il mal di schiena o problemi alle articolazioni, questi consentono


l’esecuzione di movimenti in posizioni di sicurezza e più comodi. I due tipi di lavoro quindi non devono essere alternativi ma complementari e integrati in funzione delle singole esigenze. Lo stesso vale per il lavoro aerobico e quello muscolare, entrambi indispensabili per un allenamento efficace. Per il lavoro cardiovascolare di resistenza vanno bene tutte le attività aerobiche, come la corsa o la camminata in salita, cyclette, stepper, vogatore, oppure pattinaggio per lo sci di fondo. Il parametro importante è la frequenza cardiaca, che è bene mantenere a un livello di intensità moderato, compreso cioè tra il 70 e l‘80% della frequenza cardiaca massima. Per il lavoro muscolare,

invece, sono indicati gli esercizi per i muscoli addominali come crunch, torsioni del busto, plank; esercizi per la schiena, estensioni del busto e rematori; per poi completare il lavoro muscolare stimolando gli altri muscoli con esercizi di isolamento come chiusure e apertura per adduttori e abduttori, curl (sollevamento pesi) per i bicipiti, spinte per i tricipiti e alzate per i deltoidi. Particolare importanza viene attribuita, nell’ambito di una preparazione completa, anche alle attività che stimolano la propriocezione (ndr. la capacità di percepire e riconoscere la posizione del proprio corpo nello spazio e lo stato di contrazione dei propri muscoli), attraverso l’utilizzo ad esempio

GIUSEPPE MAGGIONI Direttore tecnico Palestra Absolutebodypassion

di tavolette, bosu, stability ball. Infine non vanno mai dimenticati gli esercizi di stretching e mobilità articolare per gambe, schiena e distretto superiore.


IN FORMA

BELLEZZA

Uno sguardo più fresco con la blefaroplastica

∞  A CURA DI VIOLA COMPOSTELLA

È uno degli interventi più richiesti dagli italiani (non solo donne!). Ridona luce a uno sguardo spento e stanco, “alleggerisce” gli occhi dai segni del tempo ed elimina le odiate borse. Parliamo della blefaroplastica, ovvero la chirurgia delle palpebre. A chi è indicata, in cosa consiste e cosa aspettarsi? Lo abbiamo chiesto al dottor Fabio Toffanetti, chirurgo Plastico. Dottor Toffanetti, cosa si intende per blefaroplastica? La blefaroplastica è un intervento chirurgico che viene normalmente eseguito per rimuovere l’eccesso di cute e le “borse” (eccesso di grasso) dalle palpebre superiori e inferiori. In alcuni situazioni si esegue anche in giovane età per correggere alcuni inestetismi di tipo morfologico. Quali sono le caratteristiche che fanno sì che una persona sia candidabile a un intervento di blefaroplastica? Innanzitutto un uomo o una donna in buona salute, psicologicamente

stabile e realistico nelle aspettative. A questo primo e fondamentale punto si aggiungono poi alcune caratteristiche specifiche: > cute in eccesso che copre e nasconde il solco naturale delle palpebre superiori e può anche interferire con il campo visivo superiore; > “borse” e “gonfiore” delle palpebre superiori e inferiori; > cute in eccesso, lassità eccessiva e rugosità fini delle palpebre inferiori; > depressione, a volte un vero e proprio solco, in corrispondenza del bordo osseo dell’orbita sotto le palpebre inferiori. Bisogna invece tener presente che la blefaroplastica non rimuoverà le rughe ai lati degli occhi (“zampe di gallina”), né farà rialzare le sopracciglia discese troppo in basso (ptosi sopraccigliare). Per questa ragione può essere effettuata come unico intervento o, laddove indicato, in combinazione con un contemporaneo lifting facciale o lifting temporale e/o del sopracciglio.

44 | Bergamo Salute | Novembre/Dicembre 2018

Come si svolge l’intervento? Nella blefaroplastica superiore il disegno dell’incisione viene eseguito in modo che la cicatrice finale possa cadere in una normale piega cutanea quando l’occhio è aperto (solco orbitario). Nella palpebra inferiore invece l’incisione è eseguita a circa due millimetri dal bordo ciliare, parallela al margine palpebrale, e si prolunga leggermente oltre il canto esterno (angolo esterno delle palpebre). Attraverso queste due incisioni è possibile rimodellare l’eccesso di cute e di grasso (borse), nonché il muscolo orbicolare andato incontro a lassità. L’intervento viene eseguito in anestesia locale o sedazione in regime di day surgery e ha una durata massima di circa due ore. Una piccola variante tecnica può essere la cantopessi, attraverso la quale è possibile sospendere la palpebra inferiore nella sua porzione laterale al fine di contrastarne l’eccessiva lassità. Un’altra possibilità può essere la blefaroplastica transcongiuntivale ovvero


DOTT. FABIO TOFFANETTI Specialista in Chirurgia Plastica Ricostruttiva ed Estetica A Bergamo

la rimozione del grasso presente nelle borse delle palpebre inferiori attraverso un’incisione nella congiuntiva (all’interno della palpebra), quindi senza comportare incisioni esterne sulla cute: è possibile solo in casi in cui l’eccesso di cute sia praticamente inesistente e l’unico problema siano le borse palpebrali. Dopo quanto tempo si può tornare alla vita normale? Il post operatorio è caratterizzato da una lieve lacrimazione e irritazione congiuntivale causati dall’edema (gonfiore) e dalle ecchimosi (lividi) presenti nei tessuti palpebrali che si risolvono dopo alcuni giorni.

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I punti di sutura si rimuovono dopo circa sei giorni dall’intervento o, se assorbibili, non necessiteranno di rimozione. Il lavoro può essere ripreso in genere dopo 6-10 giorni; le attività sportive leggere dopo due settimane mentre quelle più vigorose dopo quattro. Ci sono rischi? Le complicanze legate a questo tipo di intervento sono rare. Si tratta in particolare di infezioni: fondamentale è che l’operazione venga eseguita in una sala chirurgica con procedure che rispettino gli standard di sterilità adeguati. Importante è poi affidarsi sempre

a un medico chirurgo specialista in chirurgia plastica, ricostruttiva ed estetica. Quanto dura l’effetto? Il risultato è condizionato da un numero variabile di fattori: condizioni fisiche del viso, presenza o assenza di grasso, età biologica della cute, quantità e qualità delle rughe presenti, struttura ossea sottostante, stile di vita. La durata varia da persona a persona: con il passare del tempo la cute diventa più lassa e potrebbe essere necessaria, in un tempo variabile tra i 10 e i 15 anni successivi, un’ulteriore asportazione.

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ATS INFORMA

“Mamma proteggi il tuo bambino prima che nasca!”

LA CAMPAGNA

∞  A CURA DI ATS BERGAMO

Prevenire e, in questo caso, vaccinare è meglio che curare. È una regola che, per la pertosse, vale già prima che una nuova vita venga alla luce. A Bergamo l’Agenzia di Tutela della Salute, in collaborazione con le ASST Bergamo Est, Bergamo Ovest e Papa Giovanni XXIII, e, in particolare, con il coinvolgimento di tutti i centri vaccinali del territorio, degli operatori sanitari dei punti nascita, dei consultori e con l’estensione anche alle farmacie, ha lanciato “Mamma proteggi il tuo bambino. Prima che nasca!”, campagna di informazione dedicata alle donne in gravidanza perché si vaccinino contro questa malattia infettiva, causata da un batterio che attacca le vie respiratorie.

I NUMERI La pertosse è una malattia infettiva endemo-epidemica, con picchi ogni 3-5 anni. Nei Paesi in cui le coperture vaccinali in età pediatrica sono elevate (≥95%), come in Italia, l’incidenza della malattia è notevolmente ridotta. Tuttavia il decadimento, nell’arco di 4-10 anni circa, dell’immunità vaccinale fa sì che la malattia possa ritornare negli adolescenti e nei giovani adulti, in forma però più lieve e aspecifica e proprio per questo sottostimata, ma contagiosa e ad alto rischio per i neonati se non sono adeguatamente protetti dagli anticorpi materni. Nel 2016 negli Stati Membri dell’Unione Europea sono stati notificati 48.446 casi di pertosse. La fascia di età più colpita sono i bambini sotto l’anno

DOTT.SSA LIVIA TREZZI Responsabile dell’Unità Operativa Semplice per la Prevenzione e la Sorveglianza Malattie Infettive ATS Bergamo

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DOTT. GIORGIO BARBAGLIO Direttore sanitario ATS Bergamo

“Mamma proteggi il tuo bambino. Prima che nasca!” gode del supporto dell’Ordine dei Medici di Bergamo, dell’Ordine dei Farmacisti di Bergamo, dell’Ordine della professione ostetrica interprovinciale di Bergamo Cremona Lodi Milano MonzaBrianza, dell’Associazione Italiana Donne Medico, dell’AOGOI ed è svolta anche grazie alla partecipazione dei medici di medicina generale e dei pediatri di famiglia e delle mamme PEER, che, nell’ambito di ATS Bergamo, riconosciuta da UNICEF Italia come “Comunità Amica dei Bambini per l’Allattamento Materno”, svolgono un ruolo di supporto alle mamme che allattano al seno. È colorata e realizzata con informazioni facili sulla salute e sui servizi offerti sul territorio: in pochi minuti, le donne in stato di gravidanza, ma non solo, possono acquisire tutte le informazioni necessarie per mettere al riparo se stesse e i piccoli che portano in grembo. Ulteriori approfondimenti sul portale ats-bg.it


Ph: Tiziano Manzoni Mara Azzi, direttore generale ATS Bergamo

di età, i decessi sono stati 26, di cui 16 di età inferiore ai 3 mesi. Sempre nello stesso periodo in Italia sono stati registrati 965 casi, in Lombardia 134; nel territorio di Bergamo 25. Nel 2018 in Lombardia si sono avuti due decessi in neonate di circa un mese di vita: una residente a Bergamo e l’altra a Cremona. «È importante divulgare le informazioni giuste sulla pertosse per ricordare che l’offerta gratuita del vaccino dTPa (ndr. Vaccinazione di tipo Difterite-Tetano-Pertosse) è prevista nel Piano Nazionale Vaccini e nel Piano Regionale Vaccini, in uno specifico capitolo rivolto alla donna in gravidanza e in età fertile e soprattutto perché la pertosse è molto contagiosa e può trasmettersi da un essere umano all’altro anche solo con uno starnuto, un colpo di tosse o parlando da vicino» spiega il direttore generale dell’ATS Bergamo, Mara Azzi. «È più che mai importante conoscere questa malattia perché può manifestarsi in maniera subdola in chi in passato

si era già vaccinato o con sintomi che possono essere lievi in adolescenti e adulti, ma davvero gravi per i bambini, tant’è che possono subire insufficienze respiratorie, danni cerebrali permanenti e anche giungere alla morte. Il nostro intento è di comunicare insieme e in rete informazioni corrette sui vaccini contro difterite, tetano, pertosse e influenza». Qual è il primo, concreto passo per proteggersi, lo spiega il direttore sanitario di ATS Bergamo, Giorgio Barbaglio. «Tutte le donne che aspettano un bambino devono vaccinarsi nei centri predisposti dalle Aziende Socio Sanitarie Territoriali (ASST) di tutta la provincia di Bergamo. Dopo aver consultato il ginecologo da cui vengono seguite, occorre che chiedano una vaccinazione di tipo Difterite-Tetano-Pertosse (DTPa)».

I GIORNI GIUSTI PER LA VACCINAZIONE «Il periodo giusto per la vaccina-

zione è sicuramente dopo il sesto mese di gravidanza» specifica la responsabile dell’Unità Operativa Semplice per la Prevenzione e la Sorveglianza Malattie Infettive, Livia Trezzi. «L’ideale è la 28esima settimana in quanto gli anticorpi della madre riescono a raggiungere il nascituro e lo proteggono almeno fino ai 6 mesi di vita, quando poi il bambino completerà il ciclo vaccinale primario irrobustendo il proprio sistema immunitario. Devono vaccinarsi anche le donne incinte che sono già state vaccinate o che hanno contratto in passato la malattia per dare a loro stesse e al bambino una difesa rinnovata contro la pertosse. Inoltre, non va trascurato il vaccino anti-influenzale durante la stagione autunnale, da eseguirsi nel secondo-terzo trimestre di gravidanza, in quanto il virus potrebbe comportare alla mamma gravi complicazioni come gravi polmoniti, difficoltà respiratorie con aumentato rischio di aborto o parto prematuro e basso peso del nascituro».

Novembre/Dicembre 2018 | Bergamo Salute | 47



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Novembre/Dicembre 2018 | Bergamo Salute | 49


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Lericette della salute Contorno

Deliziosi cavolini di Bruxelles al forno con gherigli di noci

Difficoltà di preparazione Facile

Tempo di preparazione 20 minuti

Calorie a persona 155 Kcal

INGREDIENTI per 6 persone qb......... Lievito di birra in scaglie 400 g... Cavolini di Bruxelles 4............ Gherigli di noci 4............ Cucchiai di panna vegetale qb......... Sale, noce moscata qb......... Olio extra-vergine di oliva PREPARAZIONE

ROSSANA MADASCHI Nutrizionista - Economo Dietista e Docente di Scienza dell’alimentazione

Lavate i cavoli di Bruxelles, cuoceteli al vapore per circa 10 minuti, lasciateli intiepidire e tagliateli a metà. Oleate una teglia, distribuite i cavolini, versate la panna vegetale, le noci (precedentemente frullate), aggiungete un pizzico di noce moscata e spolverate a piacere con il lievito di birra in scaglie. Cuocete in forno caldo per circa 10 minuti a 180° C.

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Tisana digestiva “Spirito di Provenza” ai frutti di bosco INGREDIENTI per 3 persone 2-3.......... Cucchiai di componenti vegetali . (rosa canina, lavanda, tiglio, pezzi di mele, . fragole, rovo, foglie di mirtillo).

1/2 l......

Fine pasto Difficoltà di preparazione Facile

Acqua

PREPARAZIONE Portate l’acqua a ebollizione con 2-3 cucchiai di erbe. Lasciate in infusione per una decina di minuti, filtrate e dolcificate a piacere (facoltativo). La tisana può essere bevuta calda, tiepida o fredda.

Tempo di preparazione 10 minuti

Calorie a persona A seconda dell’addolcimento


RICETTA

Primo piatto

Lasagne sfiziose al ragù vegetale

Difficoltà di preparazione Media

Tempo di preparazione 50-60 minuti

Calorie a persona 425 Kcal

INGREDIENTI per 6 persone 12.......... Fogli per lasagne (di semola di grano duro) qb......... Lievito di birra in scaglie 600 g... Seitan al naturale 1............ Cipolla 1............ Carota 1............ Gambo di sedano 1/2........ Bicchiere di vino bianco 500 g... Bevanda vegetale (latte di soia, di riso, ecc.) 4............ Cucchiai di farina semintegrale qb......... Sale, pepe, noce moscata qb......... Olio extra-vergine di oliva PREPARAZIONE Pulite le verdure, tagliatele a dadini e fatele insaporire in una casseruola con qualche cucchiaio di olio EVO. Aggiungete il seitan tritato finemente, sfumate con il vino bianco, unite la passata di pomodoro, un pizzico di sale e cuocete per circa 30 minuti. Lessate per qualche minuto i fogli per lasagne in abbondante acqua salata, aggiungendo un filo di olio extra-vergine di oliva per evitare che si incollino tra loro; scolateli con una schiumarola e adagiateli, uno accanto all’altro. Quando tutti gli ingredienti saranno pronti, distribuite su una teglia uno strato di fogli per lasagne, uno strato di ragù e infine di besciamella. Ripetete l’operazione, con la stessa sequenza, per altre 2 volte e terminate l’ultimo strato con un’abbondante spolverata di lievito di birra in scaglie. Cuocete in forno caldo per circa 20-25 minuti a 200°.

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RICETTA

Stelle di Natale al farro

Dessert

INGREDIENTI per 40-50 biscotti Per i biscotti 250 g... Farina farro 1/2........ Bicchiere di bevanda vegetale . (latte di riso, di soia, di mandorle, etc.)

Difficoltà di preparazione Facile

Tempo di preparazione

8............ Cucchiai di zucchero integrale 8............ Cucchiai di olio di mais 1............ Cucchiaino di lievito per dolci 1............ Limone (scorza grattugiata) qb......... Cannella in polvere Per la crema 200 g... Nocciole tostate 150-200 g Zucchero integrale 120 ml. Acqua 60 g.... Cacao amaro 60 g..... Olio di mais qb......... Cocco in scaglie

30-40 minuti

PREPARAZIONE

Calorie a persona

Ponete la farina di farro in una ciotola, unite lo zucchero integrale, la cannella, la scorza grattugiata del limone e il lievito; aggiungete poi l’olio di mais, la bevanda vegetale ed impastate sino ad ottenere un composto compatto (inserite se necessario ancora un po’ di bevanda vegetale) e fatelo riposare in frigorifero per circa 10 minuti. Trascorso questo tempo, stendete l’impasto con un matterello e, con l’aiuto di una formina a forma di stella (di varie dimensioni), ricavate i biscotti. Disponeteli su di una teglia ricoperta da carta da forno e cuocete in forno caldo per circa 10-15 minuti a 180° C. Ponete in un mixer lo zucchero integrale e frullatelo, aggiungete le nocciole tostate e frullate nuovamente. Unite ora tutti gli altri ingredienti e frullate per un minuto sino ad ottenere una crema omogenea. Quando i biscotti saranno raffreddati, spalmate sulla superficie la crema alle nocciole e spolverate a piacere con il cocco in scaglie.

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58 | Bergamo Salute | Novembre/Dicembre 2018


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RUBRICHE

ALTRE TERAPIE

Dal laser alla radiofrequenza: le tecnologie contro i disturbi vaginali ∞  A CURA DI GIULIA SAMMARCO

«Secchezza vaginale, dolore durante i rapporti sessuali, prolasso, incontinenza. Sono tanti e diversi i disturbi vaginali di cui soffrono migliaia di italiane con pesanti ripercussioni sulla vita di tutti i giorni. Per fortuna, però, oggi la tecnologia ci consente di intervenire con trattamenti non invasivi (radiofrequenza, elettroporazione, laser), separatamente o in sinergia, anche sul distretto corporeo vaginale, tonificandolo e “ringiovanendolo”. Proprio così, perché quando parliamo di ringiovanimento vaginale, non parliamo “solo” di estetica, elemento comunque importante nella vita di ogni donna, ma anche di funzionalità, fattori entrambi che in molti casi risultano compromessi dopo parti, cure farmacologiche e/o menopausa». Chi parla è la dottoressa Monica Vitali, ostetrica. Approfondiamo insieme a lei i trattamenti disponibili per migliorare e risolvere i più frequenti problemi intimi. Dottoressa Vitali, innanzitutto per che tipo di disturbi vaginali possono rivelarsi efficaci queste tecnologie? Il campo di applicazione è molto ampio: secchezza vaginale, prolasso uro-genitale, prurito vulvare, dispareunia (dolore durante i rapporti sessuali), ipertono/vaginismo, bruciori vulvo-vaginali, distrofie vulvari iperplastiche, atrofiche e miste; lichen scleroatrofico vulvare, malattia rara della mucosa vulvare caratterizzata da progressiva atrofia; discheratosi (altreazioni della

mucosa che portano ad un ispessimento dello strato vulvare superficiale); cicatrici post-episiotomie; incontinenza urinaria da sforzo. Cominciando dalla radiofrequenza, tecnologia nota alla maggior parte delle persone ad esempio come trattamento per la cellulite. Come funziona? Attraverso il riscaldamento selettivo prodotto da un manipolo endovaginale (all’interno della vagina), questa metodica non invasiva è in grado di ridurre i principali sintomi dell’atrofia vaginale (bruciori, secchezza, prurito e dispareunia), stimolando la produzione di collagene e ripristinando così l’elasticità e la compattezza dei tessuti vaginali. Rispetto ad altri trattamenti ha il vantaggio di essere indolore e offrire una certa velocità nel raggiungimento dei risultati. Inoltre permette una ripresa immediata delle normali attività, compresa la

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NON COMPAIONO SOLO A UNA CERTA ETÀ I disturbi vulvo-vaginali possono essere di varia entità e natura: dalle cistiti alle perdite urinarie da sforzo, dalla secchezza all’atrofia vaginale, dalla vulvodinia alla dispareunia. In genere si intensificano con la menopausa, a causa di una diminuzione del livello di estrogeni, ma possono verificarsi anche durante l’età fertile, ad esempio come conseguenza di un parto vaginale oppure per problemi endocrini o per alterazioni all’anatomia pelvica. Alla prima comparsa è bene consultare il ginecologo, per la prescrizione della cura più adatta.


vita sessuale, ed è sicura nell’utilizzo. In genere si raccomandano almeno quattro sedute, una ogni 14 giorni, della durata media di 20 minuti, per alleviare i disturbi legati all’atrofia vaginale. Cos’è invece l’elettroporazione? È una tecnologia non invasiva e non dolorosa che può essere definita come una “siringa virtuale”: un particolare impulso elettromagnetico fa sì che un principio attivo venga assorbito senza aghi per via transdermica (attraverso la pelle o la mucosa) garantendo una più alta concentrazione ed efficacia solo nelle zone interessate. L’assorbimento che ne deriva è di gran lunga superiore rispetto agli altri sistemi finora utilizzati (ultrasuoni, ionoforesi, iontoforesi). Il vestibolo vaginale (porta d’ingresso della vagina) e il tratto vaginale distale, con le loro fitte ramificazioni di ter-

minazioni nervose e recettori degli stimoli tattili, termici e dolorifici, sono il posto ideale per esaltarne le caratteristiche terapeutiche. In particolare possono essere affrontate: atrofia post-menopausale, secchezza, bruciori e dispareunia. Il trattamento ha un effetto analgesico e decontratturante, aumenta il tono muscolare e il piacere coitale, migliora l’elasticità tessutale e infine contribuisce a un’azione anti-aging. Finiamo con il laser. Di che tipo di laser si tratta? In che modo agisce? È un laser CO2 che porta a un fotoringiovanimento funzionale della mucosa vaginale. La mucosa vaginale, senza l’effetto degli estrogeni, negli anni tende a diventare più sottile e liscia e a dare disturbi di secchezza e di bruciore. Attraverso la stimolazione con questo

raggio laser si crea un aumento di produzione del collagene per cui la mucosa ritorna ad essere idratata, trofica, elastica e migliora la lubrificazione spontanea. Normalmente i trattamenti sono circa tre a distanza di un mese l’uno dall’altro, anche se il numero dipende dal grado di atrofia e dalla severità dei sintomi.

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RUBRICHE

GUIDA ESAMI

Ecografia delle anse intestinali Utile in caso di dolore e gonfiore addominale che non passa

∞  A CURA DI MARIA CASTELLANO

Dolore e gonfiore dell’addome, problemi di intestino irritabile, alternanza di diarrea a stitichezza. In tutti questi casi, se il problema non passa, può essere indicato sottoporsi a un esame semplice, veloce e non invasivo in grado però di dare molte informazioni offrendo una sorta di “fotografia” delle condizioni di salute del piccolo intestino (digiuno e ileo) del colon. Ma come si svolge? E in particolare in quali casi può essere utile? Risponde il dottor Gianluca Castellaneta, gastroenterologo ed ecografista. Dottor Castellaneta, a cosa serve e cosa “vede” l’ecografia delle anse addominali? L’ecografia delle anse intestinali è una tecnica diagnostica basata sulla rilevazione degli echi prodotti da onde ultrasonore nell’attraversare i diversi tessuti dell’addome. Analogamente a un sonar di un sottomarino, utilizzando due sonde diverse (convex e lineare), il medico esplora i tessuti ed è in grado di studiare buona parte del piccolo intestino e del colon (grosso intestino o crasso) alla ricerca di ispessimenti delle pareti o dilatazioni delle anse intestinali e ne valuta la mobilità e la comprimibilità. Quest’esame,

quindi, da un lato permette di “vedere” tutte le pareti del colon, dall’altro cosa è contenuto nel colon stesso, come gas o feci; spesso infatti i pazienti che soffrono di dolori addominali hanno coliche dovute alla presenza eccessiva di gas nell’intestino e grazie a questo esame si può distinguere questo tipo di dolore da un dolore legato ad esempio a un problema di infiammazione. Ma è doloroso? L’esame è generalmente indolore; tuttavia in caso di dolore addominale, durante le compressioni è possibile una lieve momentanea intensificazione del dolore. A chi è indirizzato l’esame? È utilizzato da alcuni anni ormai nello screening e monitoraggio del paziente con sospetto di malattia infiammatoria cronica intestinale (MICI) e frequentemente rappresenta il primo approccio in caso di dolore addominale sub-acuto, nel sospetto di flogosi appendicolare (appendicite) o sindrome del colon irritabile (disordine funzionale gastrointestinale caratterizzato da dolore addominale e da un’alterata attività intestinale, con alternanza di stipsi e diarrea, in assenza di una

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specifica patologia organica). Quanto dura l’esame? Può durare da 12-15 a 20 minuti circa. Serve una preparazione? Abitualmente viene prescritto il digiuno da cibi solidi da sei ore, consentendo una normale idratazione con acqua naturale (non gasata). Per un’adeguata visualizzazione della regione inferiore si consiglia di non urinare nelle tre-quattro ore precedenti l’esame per raggiungere una corretta distensione vescicale. Non è necessario sospendere alcun tipo di farmaco.

DOTT. GIANLUCA ANTONIO CASTELLANETA Ecografista Docente per la Società Italiana di Ecografia (SIUMB) Smart Clinic OrioCenter e Le Due Torri


Ci sono controindicazioni all’esecuzione dell’esame? No, non ha controindicazioni. Può essere un’alternativa ad altri esami più invasivi come la colonscopia? L’esame ecografico delle anse intestinali non può sostituire la colonscopia, in particolare nello screening dei tumori del colon retto; tuttavia, previa valutazione medica, grazie alla sua buona accuratezza diagnostica, alla natura non invasiva, all’assenza di radiazioni e ai costi relativamente contenuti rappresenta un valido strumento nel percorso diagnostico iniziale e nel follow-up dei pazienti con patologia intestinale nota (MICI), prima di indagini più invasive.

MICI: colpiscono i giovani, sono in aumento ma sottostimate Le malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI in italiano o in inglese IBD, inflammatory bowel disease) si manifestano con dolore addominale, diarrea, muco e sangue nelle feci, mal di pancia, in alcuni casi anche febbre, sintomi che però spesso non vengono inquadrati correttamente e tempestivamente. Si tratta di infiammazioni croniche delle mucose intestinali, con fasi di riacutizzazioni e remissioni, che colpiscono l’apparato gastrointestinale, in particolare il colon, l’ileo e il retto, e si distinguono in malattia di Crohn e colite ulcerosa. In Italia ne soffrono circa 200.000 persone, soprattutto giovani tra i 16 e i 35 anni, ma si tratta di numeri sottostimati e in costante aumento. Diversi sono oggi i farmaci a disposizione, prima di ricorrere alla chirurgia, per controllare l’infiammazione e quindi il progredire della malattia. Un aiuto nel ridurre l’impatto di queste malattie sulla vita quotidiana viene anche dall’alimentazione (tra i primi consigli, evitare fibre in caso di diarrea e in generale abolire gli alcolici).


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ANIMALI

RUBRICHE

Diabete nel cane e nel gatto NOVEMBRE: UN MESE D’INIZIATIVE DEDICATE ALLA PREVENZIONE

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Il diabete non colpisce solo noi umani ma anche i nostri amici a quattro zampe: questa patologia interessa infatti, in forme diverse, anche cane e gatto e può portare a una qualità della vita ridotta e a una morte precoce. Una tempestiva diagnosi e una terapia corretta, accompagnate da stili di vita e alimentari equilibrati, permettono di vivere una vita normale. «Di solito ad ammalarsi di diabete sono gli animali adulti e anziani, spesso in sovrappeso, anche a causa di una sterilizzazione» dice Marco Melosi, presidente dell’Associazione Nazionale Medici Veterinari Italiani, tra i promotori, insieme a Diabete Italia Onlus, del Mese del

diabete del cane e del gatto. «Il cane è colpito quasi esclusivamente dal diabete di tipo 1, quello di tipo genetico, e le femmine affette risultano essere il doppio rispetto ai maschi. Anche alcune razze sono più a rischio: Setter Inglese, Yorkshire Terrier, Samoiedo, Terrier, Schnauzer Nano, Beagle, Barbone, Doberman Pinscher, Golden retrive e Labrador. Nel gatto, affetto prevalentemente dal diabete di tipo 2, invece risultano più colpiti i gatti castrati; a differenza del cane, in quest’ultima specie il legame tra obesità e comparsa della malattia è stata chiaramente dimostrata».

In occasione della Giornata Mondiale del Diabete che si è svolta il 14 novembre, ANMVI (Associazione Nazionale Medici Veterinari Italiani) e Diabete Italia Onlus, con il supporto non condizionante di MSD Animal Health, hanno lanciato il Mese del diabete del cane e del gatto: per tutto il mese si sono svolte iniziative di sensibilizzazione presso i veterinari aderenti. Si è trattato di incontri informativi rivolti ai proprietari di animali sulla patologia, sui suoi sintomi, sulla diagnosi e sulla prevenzione. La lista degli eventi è stata pubblicata su www.giornatadeldiabete.it.

La malattia, che ha un’incidenza intorno all’1% (in aumento), è sotto Novembre/Dicembre 2018 | Bergamo Salute | 67


RUBRICHE

ANIMALI

Una penna per una terapia più semplice ed efficace ...anche per loro Nel diabete del cane e del gatto si ricorre sempre e sin dall’inizio all’insulina: la terapia deve essere somministrata due volte al giorno iniziando con dosaggi molto bassi aggiustati gradualmente durante i controlli. Gli obbiettivi sono due: restituire al cane o al gatto una buona qualità di vita e ottenere un buon controllo dei valori glicemici, tra 150 mg/dl e 250 mg/dl. Dopo la diagnosi i proprietari sono molto spaventati non tanto per l’insulina, farmaco piuttosto conosciuto, quanto per la gestione della terapia che comporta il controllo dei pasti dell’animale, la rilevazione della glicemia periferica a digiuno e in altri momenti della giornata, il monitoraggio di una serie di campanelli d’allarme di eventuali emergenze, come la temuta crisi ipoglicemica. Ma soprattutto a preoccupare è la necessità di dover sottoporre il proprio animale a due iniezioni quotidiane (a orari stabiliti) nell’assoluto rispetto e precisione dei dosaggi. Oggi, però, per semplificare la terapia anche nel cane e nel gatto, proprio come per gli uomini, esiste una penna per la somministrazione di insulina a uso veterinario, facile da usare, precisa nella selezione della dose e indolore.

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alcuni aspetti paragonabile a quella dell’uomo. La patologia è infatti caratterizzata da un aumento dei livelli di zucchero nel sangue, causato da una carenza di insulina (ormone prodotto dal pancreas che regola la quantità di glucosio nel sangue). Questo eccesso di zucchero nel sangue, se non curato, può dar luogo a complicanze che hanno notevoli ricadute sulla qualità e aspettativa di vita. In particolare, nel cane è molto frequente la

cataratta, una progressiva opacizzazione del cristallino che può provocare la cecità; nel gatto invece una comune complicazione è debolezza degli arti posteriori dovuta a un danneggiamento dei nervi. Per questo riconoscerlo tempestivamente è fondamentale e ci sono alcuni sintomi ben precisi che non devono essere sottovalutati: sete intensa e urinazione abbondante, perdita di peso malgrado l’aumentato appetito, la sonnolenza, il pelo più rado e opaco, l’assenza di auto pulizia nel gatto e la cataratta nel cane. «Se curato il diabete animale può essere tenuto sotto controllo e non alterare significativamente la qualità della vita.

Ma è fondamentale una diagnosi precoce: in caso di sintomi è bene rivolgersi al più presto al proprio veterinario» sottolinea Federico Fracassi, veterinario e professore all’Università di Bologna. Le cure consistono sostanzialmente in una dieta appropriata e in una terapia insulinica.

La prevenzione, soprattutto nel gatto, rimane la prima arma: bisogna contrastare con determinazione obesità e sedentarietà, il gatto insomma deve muoversi e giocare il più possibile”

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DAL TERRITORIO

NEWS

NEWS Disturbi del comportamento alimentare: in arrivo un nuovo centro di cura in Val Seriana Anoressia, bulimia, binge eating, disturbi sottosoglia, forme ibride ed Ednos (Disturbi alimentari non altrimenti specificati): i disturbi del comportamento alimentare (DCA) sono particolarmente diffusi in provincia di Bergamo, con una prevalenza superiore rispetto al dato medio italiano. Tra le aree più colpite: Bergamo, Treviglio e la Valle Seriana. È quanto emerge dalla ricerca condotta dal Servizio Epidemiologico di ATS Bergamo. L’analisi ha riguardato 1.405 persone (di cui 1.361 viventi al 31/12/2017) che tra il 2008 e il 2017 hanno avuto una diagnosi riconducibile ai DCA. Dunque circa 140 persone all’anno. L’anoressia è il disturbo più diffuso (pari a 5,5 per 10.000 abitanti), seguito dalla bulimia (2,2 per 10.000 abitanti): entrambi i disturbi risultano sensibilmente più elevati nella fascia di età 15-34 anni (l’anoressia fa registrare un tasso di

17,2 per 10.000 e la Bulimia del 5,7 per 10.000). Rispetto alla media italiana, la provincia di Bergamo appare superiore sia come prevalenza generale di popolazione (0,12%), sia come prevalenza età-specifica nella fascia 15-34 anni (0,29%).In provincia di Bergamo, l’età media del primo evento/contatto sanitario per l’anoressia (età media di 18,2) appare simile a quanto atteso dai dati riportati in letteratura (individuata nella fascia 15-19 anni). Appare più elevata, di contro, rispetto al dato medio italiano, per la bulimia (età media di 21,6). Tra le misure più attese per contrastare questa emergenza, c’è la creazione di un centro riabilitativo per la cura e la prevenzione dei disturbi alimentari in Val Seriana nel contesto dell’Ospedale di Piario. La struttura, a indirizzo riabilitativo, prevede 10 posti-letto e tutte le dotazioni per l’attività ambulatoriale e di counseling.


S.O.S. onlus: premiati 12 giovani ricercatori in ambito oncologico Dieci premi e due menzioni ad altrettanti giovani ricercatori under 35 che si sono distinti per la ricerca scientifica in ambito oncologico, per un totale di 15.000 euro. Ad assegnarli, in occasione del quarto Premio “Marzia Galli Kienle”, S.O.S. (Solidarietà in Oncologia San Marco e San Pietro) Onlus, associazione nata nel 2013 per volontà di un gruppo di medici e operatori impegnati a diversi livelli nella lotta contro i tumori. Il premio è stato istituito nel 2015 in memoria della Prof.ssa Marzia Kienle - già do-

cente ordinario di Chimica Medica all’Università di Milano-Bicocca e a lungo Presidente del corso di laurea in Medicina e Chirurgia della stessa Università - Presidente di S.O.S. Onlus fino alla sua scomparsa nel marzo 2015. La Prof.ssa Kienle, una delle prime donne a diventare Docente ordinario dell’Università di Milano, è stata una ricercatrice rigorosa e instancabile con all’attivo 139 pubblicazioni sulle principali riviste scientifiche internazionali. Nove ragazze e tre ragazzi sono stati i ricercatori premiati dalla Commis-

DISFUNZIONI DEL PAVIMENTO PELVICO

Risolvi facilmente i disturbi che compromettono la qualità della tua vita.

sione presieduta dalla prof.ssa Maria Cristina Messa, Magnifico Rettore dell’Università Milano Bicocca e composta da accademici di rilievo. Primo classificato, Nicola Fossati, 32 anni della divisione di oncologia/unità di urologia dell’IRCCS Ospedale San Raffaele, seconda classificata Martina Molgora, 29 anni di Humanitas Clinical e Research Center- Humanitas University di Milano, terza classificata Elisa Barbieri dello IEO (Istituto Europeo di Oncologia) di Milano.

Incontinenza urinaria

Disfunzioni sessuali

Vescica iperattiva

Dolore pelvico cronico

Cistite ricorrente

Vaginismo, Vulvodinia,

Prolasso genitale-rettale

Dispareunia

Incontinenza ai gas-fecale

Cicatrici

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7,8,9 dicembre: tornano le stelle dell’AIL - Paolo Belli Il 7, 8 e 9 dicembre torna nelle piazze italiane l’iniziativa delle Stelle di Natale, il tradizionale appuntamento di solidarietà promosso dall’AIL e posto sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica. La manifestazione è realizzata grazie all’impegno di migliaia di volontari che offriranno una piantina natalizia a chi verserà un contributo minimo associativo di 12 euro. Con i fondi che saranno raccolti, AIL Bergamo - Sezione Paolo Belli - continuerà a svolgere le attività che da oltre 16 anni la contraddistinguono: > sostenere la Ricerca; > realizzare e sostenere i Centri di

Ospitalità “gratuiti” per ammalati e loro familiari; > supportare i Centri di Ematologia e Trapianto di cellule staminali; > promuovere la formazione e l’aggiornamento professionale di medici, biologi, infermieri e tecnici di laboratorio.

Qualunque sia la tua attività anche tu puoi diventare un anello fondamentale della Catena della Sopravvivenza. Il DAE è un dispositivo semplice e intuitivo, che tramite indicazioni grafiche e messaggi vocali ti guida passo passo nel soccorso, tu devi solo seguire le istruzioni. Al resto ci pensa lui...

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Novità in libreria

LE ERBE ANTI-CANCRO PER PREVENIRLO, ALLEVIARE I SINTOMI E GLI EFFETTI COLLATERALI DEI FARMACI (EDIZIONI LSWR) di Fabio Firenzuoli Erbe sì, ma attenzione alle bufale. Le erbe anti-cancro? Esistono e possono migliorare la vita del paziente, ma bisogna sapere quali sono e come non cadere in fake news. È intorno a questo tema che ruota “Le erbe anti-cancro - Per prevenirlo, alleviare i sintomi e gli effetti collaterali dei farmaci” (Lswr 2018), il nuovo libro del medico Fabio Firenzuoli (direttore del CERFIT, Centro di Riferimento in Fitoterapia, Azienda Ospedaliero - Universitaria Careggi, Firenze e Coordinatore scientifico e docente del Master in Fitoterapia generale e clinica, Università di Firenze). Per la prevenzione, in particolare nei casi di alto rischio dovuto a familiarità, stili di vita poco sani, esposizione a sostanze tossiche; per risolvere o alleviare alcuni sintomi come stanchezza, depressione, dolore, disappetenza; per migliorare la risposta immunitaria dell’organismo contro il tumore; per difendersi dalle bufale che circolano nel Web e usare solo rimedi di provata efficacia: questo libro mostra come un uso consapevole e informato delle erbe possa aiutare a prevenire l’insorgere del cancro, a potenziare le difese

naturali dell’organismo, a migliorare la qualità della vita del malato. Illustra inoltre, in termini semplici e chiari, i risultati delle più recenti ricerche scientifiche sull’efficacia delle erbe nella terapia di alcuni tipi di tumore. Completa il volume una parte dedicata all’interazione con i farmaci, per essere sicuri che le erbe non interferiscano con la terapia

NOTTE, LUCE E SILENZIO (EDIZIONI ITALIC) di Emanuela Panza Cosa può accadere quando il dolore e lo smarrimento di fronte a eventi dolorosi destabilizza a tal punto un essere umano da fargli perdere il senso più profondo della propria esistenza? Cosa può accadere se il senso di colpa lo spinge verso una spirale di solitudine e disperazione in cui il suicidio è percepito come l’unica possibilità di esprimere nuovamente il proprio sì alla vita, come ultima e tragica affermazione della propria libertà? Può accadere che la percezione della realtà sia ben diversa da ciò che effettivamente è e può accadere che nel momento più buio sia l’altro a salvare. “Notte, luce e silenzio” di Emanuela Panza (Italic 2018), con la sua giovane protagonista, è un romanzo che ci riporta alla necessità tutta umana di riflettere sulla libertà, sulla responsabilità, sulla sofferenza e sull’amore che salva.

ANTIAGING NATURALE (EDIZIONI RED!) di Victoria Baras Giovani e sani con le giuste strategie anti-aging. Come combattere gli effetti del tempo che passa? A questa annosa domanda cerca di rispondere “Antiaging naturale” (red! 2018) di Victoria Baras, naturopata esperta in nutrizione ortomolecolare e antiaging con formazione in psicologia transpersonale e intelligenza emotiva. Combinando antiaging classico, naturopatia, bioenergetica e nutrizione, il libro propone una strategia concreta per contrastare l’avanzare del tempo. Con linguaggio semplice ma rigoroso, l’autrice spiega come avviene il processo d’invecchiamento, quali sono le abitudini che lo favoriscono e quelle che lo rallentano; quale aiuto può venire dai cibi “amici dell’intestino” e dalle sostanze nutritive antiaging (erbe, antiossidanti, vitamine ecc.); quale sia nel dettaglio il ruolo dell’alimentazione, consigliando gli accorgimenti più utili e mettendo in guardia da qualsiasi tipo di dieta ipocalorica o stressante per l’organismo; qual è lo stile di vita più indicato per assicurare benessere e longevità, dai benefici dell’attività fisica alle tecniche di gestione dello stress, dal riposo all’atteggiamento propositivo verso le situazioni che la quotidianità ci presenta.

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DAL TERRITORIO

ONLUS

Teatro contro il Parkinson

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∞  A CURA DI LUCIO BUONANNO

“Teatro&Tremore” è una compagnia teatrale composta prevalentemente da attrici e attori affetti dal Parkinson, l’invalidante malattia che nella Bergamasca colpisce circa 4.500 persone. “Teatro&Tremore” è stato insignito di uno dei Premi della Bontà 2018 dell’Associazione Cavalieri d’Italia, consegnato il 2 dicembre all’Hotel San Marco di Bergamo. Un riconoscimento meritato. «Lo spettacolo teatrale non è una semplice rappresentazione ma assume il particolare significato di testimoniare che la malattia di Parkinson non ferma la voglia di fare qualcosa per gli altri, mettersi in gioco, esprimere la creatività, affrontare nuove sfide, raccontare, divertirsi, emozionare e far emozionare», chiarisce il presidente dell’Associazione Parkinson bergamasca e vice presidente di quella Nazionale, l’architetto Marco Guido Salvi. «Teatro &Tremore”, nato nel 2008, non è quindi solo una compagnia teatrale ma è soprattutto un gruppo di persone che vuole andare oltre la malattia creando una relazione con

l’altro superando così l’isolamento. Bisogna stare insieme per avere più forza nell’affrontare il delicato cammino che la malattia impone sia ai pazienti che ai familiari avendo la certezza che il sostegno reciproco può renderlo meno difficoltoso». Da questa terribile e invalidante malattia non si guarisce. Si tratta di un disturbo del sistema nervoso centrale caratterizzato principalmente da degenerazione di alcune cellule nervose (neuroni) situate in una zona profonda del cervello denominata sostanza nera. Queste cellule producono un neurotrasmettitore, chiamato dopamina, che è responsabile dell’attivazione di un circuito che controlla il movimento togliendo progressivamente autonomia a chi ne è colpito e manifestandosi con sintomi, come il tremore, che portano il soggetto a interrompere bruscamente la propria vita sociale incanalandosi sulla strada dell’isolamento e della depressione. Una malattia che oltre al paziente, coinvolge l’intero nucleo familiare. Con il passare del tempo infatti i rapporti

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cambiano. In certi momenti molti sentono crescere una certa insofferenza nei confronti dei familiari. In generale spesso i malati di Parkinson si sentono soli, a disagio a contatto con le altre persone. L’Associazione parkinsoniana si pone come principale obbiettivo proprio il supporto e il collegamento con i malati e le loro famiglie proponendo iniziative di sensibilizzazione e aggregazione. E perciò oltre a incontri, confronti, convegni, raccolta fondi per la ricerca e per le attività, supporto ai malati e ai loro cari, e contatti con gli ospedali e le autorità, organizza corsi di ginnastica di mantenimento, di laboratorio teatrale, di ballo come il tango argentino, e quest’anno per la prima volta anche un corso di acquerello, molto gradito a pazienti e familiari. «In attesa che la ricerca scientifica scopra il farmaco che possa prevenire e guarire la malattia di Parkinson rimangono fondamentali la strada farmacologica, in alcuni casi l’intervento chirurgico e l’attività riabilitativa motoria» commenta


il presidente dell’Associazione. «L’esperienza ha dimostrato però come le terapie espressive, fisiche e psicologiche come la musica, il teatro, il canto, il ballo, il disegno e la pittura e la conseguente apertura verso gli altri siano importanti per rendere la vita dei malati e dei loro familiari più accettabile». L’Associazione di Bergamo, che conta 300 iscritti, cerca di non far mancare aiuto e informazioni ai familiari che quasi sempre, con grandi sacrifici sia fisici sia mentali, stanno vicino ai malati, non senza difficoltà. Li chiamano i caregiver, termine inglese che indica “colui che presta le cure e che si prende cura”. «È un ruolo che non va

sottovalutato. Se svolto in modo inadeguato, può rappresentare un ulteriore aggravante in un contesto di per sé già difficile» sostiene l’architetto Salvi. «Sono responsabili attivi, il loro compito è quello, all’interno del nucleo familiare di appartenenza, di farsi carico del benessere della persona che necessita di cure. Sono loro che consentono al paziente di continuare a vivere nella propria casa e di non essere trasferito in una struttura di ricovero. Non solo è chi si occupa materialmente dell’assistenza, ma è anche chi fa compagnia o offre una presenza affettiva. I caregiver normalmente sono familiari ma possono essere, amici o persone con ruoli diversi, che variano a se-

conda delle necessità dell’assistito». A giugno centinaia di persone hanno portato la loro esperienza al convegno “L’inguaribile voglia di vivere” (vedi foto) che si è tenuto al Centro Congressi Papa Giovanni. E circa 600 persone hanno applaudito con una standing ovation la rappresentazione “Trianon” portata in scena il 20 ottobre dagli attori di “Teatro&Tremore”. Anche nell’immediato futuro l’Associazione che ha sede presso Carisma, all’ex Gleno, incrementerà la sua attività, partecipando ai tavoli decisionali con medici, industrie farmaceutiche e lo Stato, favorendo l’adesione di nuovi soci e di volontari, raccogliendo fondi a sostegno delle sue attività e per la ricerca.

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FARMACIE

DAL TERRITORIO

Progetto Mimosa

Farmacie (e farmaciste) in campo contro la violenza alle donne ∞  A CURA DI ELENA BUONANNO

«La farmacia rappresenta un importante presidio sanitario, anche di prossimità, riconosciuto dai cittadini nella sua valenza professionale e sociale. L’impegno che mettiamo per promuovere salute e benessere nella popolazione è la forza che ci permette di ottenere risultati a volte sorprendenti e di rappresentare un punto fermo per ogni cittadino che almeno una volta ha avuto bisogno di noi. Ogni giorno nelle farmacie italiane entrano migliaia di persone di ogni razza, sesso e ceto sociale e tra queste moltissime donne. D’altra parte, anche dietro ai banchi

di ogni piccola o grande farmacia ci sono moltissime professioniste appartenenti al gentil sesso. Ed è così che, proprio da questa realtà, è cresciuto il “Progetto Mimosa”, un progetto nazionale creato dalle donne per le donne». Chi parla è la dottoressa Michela Bialetti, vice Presidente di Federfarma Bergamo. L’abbiamo incontrata per saperne di più su questo progetto, sostenuto dall’Ordine dei Farmacisti e da Federfarma Bergamo, in occasione della conferenza stampa di presentazione che si è tenuta il 23 novembre. Nato alcuni anni fa da un’idea dell’Associazione ’‘Far-

maciste Insieme’’, il “Progetto Mimosa” si sta diffondendo a macchia d’olio su tutto il territorio nazionale, diventando sempre di più un aiuto di primo livello per orientare le vittime di abusi, violenze fisiche o psicologiche. «Un primo aiuto ad affrontare una situazione difficile può essere la semplice presa di coscienza di una criticità e la consapevolezza di non essere soli» continua la dottoressa Bialetti. «La farmacia possiede una grande valenza sociale che dal suo classico ruolo educativo e sanitario legato al farmaco, si rafforza in que-

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DAL TERRITORIO

FARMACIE

sto caso, grazie alla presenza nelle farmacie italiane di più di 25.000 farmaciste che sono sì professioniste, ma sono prima di tutto donne che possono accogliere altre donne in difficoltà». Per entrare in farmacia basta un mal di testa o un piccolo malessere e non serve una grande motivazione o scusa per varcare la soglia. «Una volta entrati si può però percepire il senso di umanità ed empatia che ognuno degli operatori esprime per formazione professionale: questo fattore rappresenta il punto di forza del progetto». Una donna in difficoltà spesso non ha il coraggio di chiedere aiuto o peggio si vergogna. Ecco allora che la possibilità di trovare un messaggio chiaro su un pieghevole che contiene suggerimenti e indirizzi utili, insieme alla certezza di discrezione, diventa un appiglio facile da poter cogliere al volo. «Il progetto è semplice: ogni farmacia della provincia riceverà un cospicuo numero di volantini contenenti il logo della campagna nazionale e una serie di suggerimenti e consigli rivolti alle vittime di violenza il tutto presentato da un’immagine inequivocabile di un

volto tumefatto di una donna che non necessita di parole per essere spiegato». Spiega la vice Presidente. Nel pieghevole è contenuta nella prima parte una piccola guida con una serie di tipologie di violenza: fisica, psicologica, economica; nell’altra pagina un suggerimento per capire cosa fare. «“TU NON SEI UN PROBLEMA, TU HAI UN PROBLEMA”. È questo il messaggio forte che compare sul volantino e che vogliamo trasmettere: è sempre possibile trovare una soluzione o parlare di quello che stai vivendo con qualcuno che ritieni possa capirti. In questo modo la donna può decidere se rivolgersi a noi per avere ulteriori informazioni o se mantenere l’anonimato avendo libero accesso ad alcuni contatti utili a cui potersi rivolgere per affrontare questo problema. Non si cerca nessun risultato mirabolante: semplicemente comunicare a chi è in difficoltà di poter contare sull’istituzione farmacia e su tutti i professionisti che vi operano. Qui troveranno persone che possono e vogliono ascoltarle o semplicemente un volantino che indicherà loro, nella massima discrezione, dove andare per avere un aiuto concreto con operatori formati e specializzati per aiutarle. Il farmaci-

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DOTT.SSA MICHELA BIALETTI Vice Presidente Federfarma. Bergamo

sta, da parte sua si pone come referente sociale e punto di riferimento in un più ampio ruolo a servizio della popolazione, stando vicino a queste persone quando trovano il coraggio di aprirsi e fornendo loro tutte le informazioni di cui hanno bisogno senza pretendere di più». Sfruttare la capillarità del servizio farmaceutico sul territorio per fornire un servizio importante è un’ulteriore arma vincente di questo progetto. Le brochure, distribuite in ogni farmacia della provincia, infatti raggiungeranno anche i paesi più piccoli e le zone più disagiate dove è più difficile trovare aiuto.




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INSIEME CONTRO LE MALATTIE RARE Le Malattie Rare sono un ampio gruppo di patologie (circa 6.000 secondo l’OMS), accomunate dalla bassa prevalenza nella popolazione (inferiore a cinque persone per 1.000 abitanti secondo i criteri adottati dall’Unione Europea). Con base genetica per l’80-90%, possono interessare tutti gli organi e apparati dell’organismo umano.

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DISPLASIA SPONDILO-EPIFISARIA CONGENITA Codice di Esenzione. RN1450 Categoria. Malformazioni congenite. Definizione. Patologia costituzionale dello scheletro caratterizzata da sproporzione tra arti e tronco con brevità del tronco e miopia. Epidemiologia.Rara,s’ipotizzaun’incidenzadi1/100.000. Maschi e femmine sono colpiti in eguale misura. Segni e sintomi. I pazienti affetti mostrano un ritardo di crescita intrauterina che prosegue nella vita post-natale. L’altezza definitiva è variabile tra 90 e 130 centimetri. È peraltro possibile un’insorgenza del quadro più lieve tra i 2 e i 3 anni. È evidente una sproporzione fra arti e tronco, che è più corto, e una marcata lordosi lombare. Il torace presenta una conformità a botte con pectus carenatum. Il viso è appiattito con ipoplasia malare (sviluppo anomalo degli zigomi); può essere presente palatoschisi (malformazione del palato). Frequente la miopia che può portare, nel 50 % dei casi, a distacco retinico, e l’ipoacusia. Possono essere presenti disturbi della deambulazione, facile esauribilità e ridotta mobilità a livello delle articolazioni di gomito, ginocchia e anche. Possibile il riscontro di cifoscoliosi o lordosi lombare. Dal punto di vista radiologico si evidenzia una rallentata mineralizzazione delle epifisi (estremità delle ossa lunghe) che tendono a essere appiattite e frammentate, assenza di ossificazione alla nascita a livello delle ossa del pube. La maturazione ossea è fortemente ritardata. Lo sviluppo psicointellettivo è di regola normale. Eziologia. La malattia riconosce una causa genetica.

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DAL TERRITORIO

TESTIMONIANZA

Com’è profondo il mare Dall’incidente al record di apnea... Una storia di straordinario coraggio ∞  A CURA DI MARCO LUCINI

Riportiamo la testimonianza scritta per noi da Marco Lucini, 60 anni, farmacista di Bonate Sotto. Una storia di grande coraggio e determinazione, frutto di una straordinaria passione per la vita e di una mente allenata allo sport e al raggiungimento degli obiettivi… compreso stabilire un record al primo trofeo internazionale riservato ai disabili per le discipline subacquee. Dopo l’incidente motociclistico, a causa del quale 33 anni fa ho subito l’amputazione dell’arto inferiore sinistro sopra il ginocchio, la mia vita poteva indubbiamente cambiare, ma da sportivo agonista qual ero stato sino a quel maledetto istante, ho deciso di reagire dandomi subito degli obiettivi da raggiungere. E così, nel giro di un paio d’anni, grazie anche ai progressi della tecnologia nel campo delle protesi, ho ripreso a praticare quasi tutti i miei sport: lo sci da discesa, il tennis, il tiro a volo, dove ho vinto un campionato regionale di 2° categoria nella specialità dello Skeet (ndr. tipo di tiro al piattello che si effettua da otto pedane situate in semicerchio; ogni tiratore ha un

solo colpo a disposizione), la pallavolo, ottenendo il patentino di allenatore FIPAV. Certo ho dovuto superare difficoltà fisiche di vario genere. Non è stato facile. Ma dalla mia ho avuto sempre una grande forza: la convinzione di riuscire nei miei intenti. Sono anche ritornato in acqua, anzi… sott’acqua. Avevo già il brevetto per l’uso delle bombole prima dell’incidente, ma questa volta ci sono tornato trattenendo il respiro, in apnea. Certo in acqua la mia disabilità si fa sentire meno. Mi posso infatti muovere più liberamente, senza essere costretto all’uso della protesi, ma con un motore solo! Era la dimensione ideale in cui mettermi, ancora una volta, alla prova. Così grazie all’aiuto competente di alcuni amici a cui sempre sarò grato, mi sono dedicato anima, corpo e… mente, a quest’affascinante disciplina sportiva in cui, oltre a un’efficientissima condizione fisica, frutto di intense sedute di allenamento in acqua e a secco, è richiesta anche una specifica preparazione respiratoria e mentale, basata su varie tecniche di rilassamento ed esercizi di com-

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pensazione che dire particolari è dire tutto e niente! Provare per credere… E visto che da cosa nasce cosa, nel 2002 a Santa Teresa di Gallura in Sardegna, sono diventato istruttore Apnea Academy, la scuola di apnea di Umberto Pelizzari, mai dimenticato recordman di immersioni in apnea profonda, superando tutte le prove richieste a chi di gambe ne ha due. È stata davvero una grandissima soddisfazione: mi sono guadagnato sul campo o meglio… in mare, il rispetto di tutti, Pelo com-

In questa rubrica pubblichiamo la storia di una persona che ha superato un incidente, un trauma, una malattia e con il suo racconto può dare speranza agli altri. Vuoi raccontare la tua storia su Bergamo Salute?

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preso (ndr. Pelo è il soprannome del grande e mitico Umberto)! Non contento, proseguendo la pratica dell’apnea subacquea mi sono messo anche a insegnarla. Ormai sono 16 anni che insegno all’interno del gruppo sportivo “AMICI APNEA ASD”, associazione riconosciuta dalla FIPSAS e dal CONI e della quale sono anche vice-presidente. Ma il bello doveva ancora venire! A giugno di quest’anno, la Federazione Italiana mi ha invitato a partecipare, durante lo svolgimento dei campionati mondiali di Apnea indoor che si sono tenuti a Lignano Sabbiadoro, in vasca da 50 metri, al primo trofeo internazionale CMAS (“Confédération mondiale des acti-

vités subaquatiques”, confederazione internazionale che raggruppa alcune federazioni nazionali di attività subacquee) riservato ai disabili. Una grande soddisfazione. Ero già allenato, ma visto l’importanza dell’impegno ho cercato di prepararmi al meglio, prima con una settimana di prove in mare nel Mar Rosso egiziano e subito dopo a Noli in Liguria con gli altri istruttori del gruppo e i nostri numerosissimi allievi. Risultato? Ho stabilito un record coprendo la distanza in apnea di 100 metri, utilizzando una monopinna, evidentemente. La cosa che ricorderò sempre con immenso piacere è stato l’incitamento a gran voce degli atleti e delle atlete della nazionale italiana

di apnea, presenti sugli spalti della piscina durante la mia prova. È anche grazie a loro e al loro sostegno se ho centrato l’obiettivo. Aver indossato la maglia della nazionale italiana e aver ottenuto un risultato del genere è stato un onore, ma ancora di più lo è stato aver conosciuto e condiviso l’esperienza con veri atleti, ragazzi e ragazze fantastici, campioni di una disciplina così impegnativa, eppure quasi sconosciuta ai più, qual è l’apnea e, oltretutto, vincitori del medagliere finale. Un… profondo saluto a tutti e mi raccomando… non mollate mai!


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Un nuovo primario e nuove tecnologie per rafforzare l’unita’ di urologia

∞  A CURA DI FRANCESCA DOGI

Il dottor Alessandro Piccinelli è da qualche mese il nuovo responsabile dell’Unità operativa di Urologia del Policlinico San Pietro. Cinquantasei anni, di Bergamo, lo specialista approda al Gruppo ospedaliero San Donato dopo una lunga esperienza maturata prima a Milano presso l’Humanitas di Rozzano come responsabile della sezione autonoma di Urologia Mini-invasiva e poi a Bergamo come Responsabile dell’Unità operativa di Urologia della Clinica Castelli.

Urologo di grande competenza, in ambito sia medico sia chirurgico, con particolare esperienza nelle tecniche laparoscopiche mini-invasive e nelle metodiche laser, il dottor Piccinelli avrà il compito di “rilanciare” il reparto di Urologia del Policlinico San Pietro. Per farlo, si avvarrà della collaborazione del dottor Riccardo Galli, suo allievo da anni, referente per l’area di Chirurgia Laser. «Siamo molto orgogliosi che il

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dottor Piccinelli, urologo di grandi capacità, molto noto e apprezzato nel territorio bergamasco e non solo, abbia scelto di far parte del nostro Gruppo» afferma il dottor Francesco Galli, amministratore delegato degli Istituti Ospedalieri Bergamaschi - Gruppo ospedaliero San Donato, di cui il Policlinico San Pietro fa parte. «Siamo certi che, sotto la sua guida, la nostra Unità di Urologia potrà diventare sempre di più un punto di riferimento, anche grazie all’importante investimento


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in tecnologia che ha portato all’acquisizione di laser all’avanguardia». «Poter collaborare con un Gruppo ospedaliero così importante rappresenta per me un traguardo prestigioso, ma allo stesso è un’occasione di nuovo slancio alla mia attività clinica e di ricerca» gli fa eco il dottor Piccinelli. «Anche in collaborazione con altre strutture del Gruppo San Donato come l’IRCCS Ospedale San Raffaele, centro di eccellenza riconosciuto a livello internazionale, stiamo lavorando a due progetti clinici, in parte finanziati dalla Onlus UroSol, che ho creato qualche anno fa con fini proprio di ricerca: il primo è orientato al miglioramento dei tempi di esecuzione e dell’affidabilità della diagnosi del tumore alla prostata attraverso l’utilizzo della Risonanza Magnetica multiparametrica, indagine che nel Nord Europa è fortemente usata ormai da anni e che in Italia comincia ad affacciarsi ora; il secondo, invece, è incentrato su come poter rendere più agevole la metodica della cistoscopia NBI, tecnica particolare in grado di identificare piccoli tumori della vescica altrimenti non diagnosticabili, che si avvale di strumenti molto delicati e sofisticati». Accanto alla ricerca scientifica, il dottor Piccinelli potrà sviluppare anche l’attività clinica e chirurgica - in quasi la totalità dei casi eseguita con tecniche laparoscopiche - contando, tra le altre cose, su laser di ultima generazione, in particolare il laser Thulium e il

laser Holmium. «Questi due laser oggi rappresentano la migliore tecnologia possibile in ambito endourologico e sono in grado di offrire una terapia efficace, sicura e mini-invasiva in caso, rispettivamente, di ingrossamento benigno della prostata e calcolosi, purché ovviamente usati da mano esperte e adeguatamente preparate» continua il dottor Piccinelli. Il laser Thulium è una metodica endoscopica innovativa, a invasività minima, che offre risultati ottimi e tempi di ripresa molto più velici rispetto agli interventi tradizionali. La fibra laser viene introdotta dal pene con un sottile endoscopio fino all’area ipertrofica; qui la luce laser taglia e vaporizza il tessuto prostatico in eccesso. Il laser Holmium, invece, permette di trattare tutti i tipi di calcoli, indipendentemente dalla durezza e dalla dimensione, con

accesso al calcolo attraverso vie naturali e con l’utilizzo di fibre ottiche molto sottili. Tra le altre novità che l’arrivo del dottor Alessandro Piccinelli e del dottor Riccardo Galli porta con sé c’è anche l’introduzione di biopsie prostatiche fusion, ovvero un nuovo sistema di diagnosi che permette di eseguire biopsie in modo mirato e con estrema precisione, grazie ad un programma che fonde le immagini dell’ecografia e della risonanza magnetica dell’area da sottoporre a indagine, fornendo così un quadro che, dopo attenta valutazione, guiderà il professionista tramite un’elaborazione tridimensionale dell’area interessata alla biopsia. Tutto ciò per garantire cure sempre più efficaci, sicure e meno invasive, ad esclusivo vantaggio del paziente

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Pronto soccorso al via il nuovo software e numeri accanto ai colori ∞  A CURA DI FRANCESCA DOGI

Al Pronto soccorso dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII arrivano i numeri accanto ai colori che vengono assegnati all’arrivo del paziente, dopo la valutazione compiuta da infermieri esperti, in termini tecnici triage. Da novembre, infatti, accanto al codice colore, che continuerà per ora a esistere, vengono assegnati anche dei numeri: il numero 1 accanto al codice rosso (emergenza), per pazienti in pericolo di vita; 2 accanto al giallo (urgenza),

L’appello degli esperti: non usate il PS come una scorciatoia, così peggiorate il servizio per tutti. E se non volete attendere, l’app di Regione Lombardia “Salutile Pronto Soccorso” trova le strutture meno affollate”

quando il paziente ha una funzione vitale compromessa, e se non si interviene rapidamente il quadro è destinato a peggiorare; il verde potrà essere accompagnato dal numero 3 (verde scuro) o dal 4 (verde chiaro).La distinzione si baserà sul tipo di patologia, ma anche sull’età del paziente, sul livello di sofferenza o su particolari condizioni. Infine il 5 accompagnerà il codice bianco, assegnato a quei pazienti che avrebbero potuto tranquillamente rivolgersi al medico curante o al servizio di continuità assistenzia-

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STRUTTURE

ASST PAPA GIOVANNI XXIII

«La scala numerica al posto dei colori al triage è una modifica che è già stata introdotta a livello internazionale» spiega Roberto Cosentini, direttore del Centro Emergenza ad alta specializzazione (EAS) dell’Ospedale di Bergamo. «In Italia finora se ne è parlato molto e non è ancora un obbligo passare al nuovo sistema, ma potrebbe diventarlo presto. Abbiamo quindi scelto, nel momento in cui abbiamo adottato un nuovo software, di farci trovare pronti e di introdurre accanto ai colori i numeri, perché crediamo che possa aiutarci a lavorare meglio. La vera novità riguarda il codice verde che si sdoppia: il 3 e il 4 sono due “verdi” con una diversa urgenza. L’esperienza quotidiana infatti ci dice che i verdi non sono tutti uguali e ad alcuni sarebbe opportuno dare la precedenza». Per i pazienti non urgenti (bianchi e verdi, da 5 a 3) l’attesa può durare ore, specie nei momenti di iperafflusso. «Il nostro Pronto Soccorso accoglie molti codici rossi e gialli, anche da fuori provincia. Casi che impegnano l’équipe per ore e che richiedono esami diagnostici e l’intervento di molti specialisti: questo allunga le attese soprattutto di quei pazienti che si rivolgono al Pronto Soccorso senza una reale necessità». Qualche esempio? «Per una patologia presente da molto tempo, come il mal di schiena o una tosse insistente. Problemi che andrebbero portati al proprio medico,

Ph: Giovanni Terzi

le, perché il loro problema, per quanto doloroso o fastidioso, non è urgente e non richiede un livello di assistenza ospedaliero.

che eventualmente indirizzerà a uno specialista o prescriverà un esame. Invece, per ansie ingiustificate, per non prendere permessi dal lavoro o per saltare le attese e il ticket per gli esami, ci si rivolge al Pronto Soccorso, che è aperto 24 ore al giorno tutti i giorni dell’anno. Questo peggiora il servizio e finisce per esasperare non solo i cittadini, ma anche gli stessi operatori» conclude Cosentini. Basti pensare che le stime per il 2018 superano i 112 mila accessi considerando anche San Giovanni Bianco. Cambiano i codici, quindi, ma le indicazioni restano le stesse: non sempre il Pronto Soccorso è il servizio giusto a cui rivolgersi e, nel dubbio, è utile consultare l’app di Regione Lombardia “Salutile Pronto Soccorso”, che fornisce il numero di pazienti presenti nei

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vari PS della provincia. «Sono tutti di buon livello» aggiunge Cosentini. «E se la patologia richiedesse davvero l’alta specializzazione del Papa Giovanni, si attiverebbe la rete e il paziente verrebbe trasportato da noi». L’introduzione dei numeri andrà di pari passo con l’avvio del nuovo software che gestisce i documenti del Pronto Soccorso: richiesta esami o consulenze specialistiche, referti, etc.. Il nuovo programma, già introdotto al Pronto Soccorso dell’Ospedale di San Giovanni Bianco un anno fa, una volta a pieno regime agevolerà il lavoro degli operatori rendendo digitale tutto il percorso di cura, dalla compilazione dei diari clinici alla programmazione della prescrizione farmacologica, con maggiore rapidità e sicurezza.



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Al via HC.LAB, il nuovo Contamination Lab Un percorso di formazione per innovare e fare impresa nel settore della salute della persona e della comunità

∞  A CURA DI VIOLA COMPOSTELLA

Un laboratorio per lo sviluppo di competenze imprenditoriali. Questo è HC.LAB (Health C. Lab), il nuovo progetto Contamination Lab (CLab) dell’Università degli Studi di Bergamo. Obiettivo: accompagnare e formare alla cultura dell’imprenditorialità con un focus specifico sul settore della salute e sulle sue prospettive di innovazione. Ma di cosa si tratta? A chi è dedicato? Lo abbiamo chiesto a Mario Salerno, project manager HC.LAB (UniBG). Dottor Salerno, quali sono le basi di questo percorso? Health Care, Human Care e Community Care: questi sono gli elementi cardine del C.Lab bergamasco che propone agli studenti un percorso formativo e di supporto

allo sviluppo di progetti d’innovazione a forte vocazione imprenditoriale nel settore dei prodotti e dei servizi dedicati alla salute e cura della persona e della comunità. Al centro del percorso formativo in particolare ci sono i temi e le sfide che la società contemporanea si trova ad affrontare nel campo della salute: benessere e stili di vita, alimentazione, wellbeing; qualità della vita, supporto alle fragilità e nuove tecnologie per lo smart aging; tecnologie per la salute tra cui sensoristica indossabile e mobile health; big data e intelligenza artificiale a supporto della terapia, della cura del paziente e della gestione dei servizi alla persona e delle organizzazioni sanitarie. Il percorso di HC.LAB mira a fare emergere e crescere le capacità imprenditoriali e a dotare

COSA SONO I CONTAMINATION LAB Finanziati dal Ministero dell’Istruzione e dell’Università all’interno del Programma Nazionale per la Ricerca, sono luoghi di impulso della cultura, dell’imprenditorialità e dell’innovazione, finalizzati alla promozione dell’interdisciplinarietà di nuovi modelli di apprendimento e allo sviluppo di progetti di innovazione a vocazione imprenditoriale e sociale, in stretto raccordo con il territorio.

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GUIDA ALLE PROFESSIONI SANITARIE

UN’UNIVERSITÀ SEMPRE PIÙ… IN SALUTE HC.Lab rappresenta un ulteriore tassello che va ad arricchire e completare il percorso intrapreso dall’Ateneo di Bergamo nel settore della salute integrandosi in modo sinergico con le iniziative già in essere (Corso di laurea in “Ingegneria delle tecnologie per la salute”, corso di laurea interateneo di Medicine and surgery, pensato e erogato in lingua inglese, laurea triennale in Scienze infermieristiche, Master in Management delle Aziende Ospedaliere…).

Mario Salerno, HC.Lab, Università degli Studi di Bergamo

Nicola Palmarini, MIT/IBM Watson AI Lab

di strumenti appropriati coloro che desiderino far leva sull’innovazione per rispondere a sfide e bisogni nell’ambito della salute, tenendo in considerazione anche i trend demografici e socio-economici che stanno radicalmente cambiando la nostra società. Un esempio su tutti: l’Italia è il secondo Paese con il più alto tasso di invecchiamento al mondo dopo il Giappone, da qui l’importanza della sinergia tra università e imprese in termini di innovazione e sviluppo delle competenze professionali per affrontare le sfide che ci attendono, tra cui le

più importanti sono senza dubbio il supporto alla popolazione anziana e la gestione della cronicità tema diventato ormai centrale. A chi si rivolge? Il percorso è rivolto a studenti iscritti a un corso di laurea triennale e magistrale, dottorandi, specializzandi e titolari di assegno di ricerca presso l’Università degli Studi di Bergamo o in altro ateneo; studenti delle scuole (terzo anno superiori), collaboratori dei partner HC.LAB; alunni della Start Cup School Bergamo.

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Come si svolgeranno le lezioni? Le lezioni si svilupperanno in un ciclo di 60 ore dedicate all’approfondimento con esperti del settore; all’apprendimento di tecniche di sviluppo imprenditoriale e di lavoro in team; all’elaborazione di un progetto d’impresa con il supporto di mentor esperti. Al termine, i progetti migliori saranno valutati e premiati da una giuria tecnica.

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Implantologia guidata Maggiore precisione chirurgica e risultati, estetici e funzionali, “prevedibili” ∞  A CURA DI FRANCESCA DOGI

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La nuova frontiera dell’implantologia? Quella guidata o computer assistita: una modalità sicura per l’intervento implantologico e protesico in cui il progetto a computer consente al dentista e al paziente una condivisione anticipata dei risultati. Un nuovo approccio che offre una maggiore precisione del processo chirurgico, oltre al vantaggio della predicibilità dell’effetto, estetico e funzionale, finale. Ne parliamo con il dottor Edoardo Franzini, chirurgo odontoiatrico del Centro radiologico, odontoiatrico, medico e fisioterapico di Bergamo, dove è possibile sottoporsi a questa innovativa tecnica a costi accessibili grazie alle sinergie gestionali che la struttura mette in atto e alle numerose convenzioni con enti come, ad esempio Unisalute e Previmedical. Dottor Franzini, ma cosa si intende per implantologia guidata? Un’implantologia che ha alla base uno studio in 3D con speciali software che riproducono fedelmente l’anatomia del paziente sulla quale è possibile inserire gli impianti in modo virtuale, controllandone gli assi e le profondità e potendo stabilire la qualità dell’osso (più o meno denso). Così come farebbe qualunque ingegnere prima di costruire una casa, si fa un progetto chirurgico, si studia esattamente dove collocare l’impianto, la sua

lunghezza e forma, si aggiungono i denti del paziente e i futuri denti sugli impianti in modo da avere da subito elementi di certezza sia per l’intervento sia per la successiva protesi. Il paziente può fare le sue domande per avere un consenso informato il più ampio possibile.

emotivo, delle condizioni ossee mediante adeguati esami radiografici, uno studio del suo cavo orale mediante modelli di gesso, si può arrivare a proporla.

Come si svolge l’intervento? Per prima cosa viene effettuata una Tac al paziente e, tramite un software dedicato, viene elaborata un’immagine tridimensionale digitale. L’intervento di posizionamento degli impianti dentali viene poi eseguito senza effettuare il minimo taglio gengivale; gli impianti possono essere pianificati e posizionati per tutte le indicazioni, da elementi singoli a casi di edentulia (mancanza di denti) totale. È inoltre possibile, quando la densità dell’osso lo permette, mettere un provvisorio fisso immediatamente dopo l’esecuzione dell’intervento. In questo modo il paziente sottoposto all’intervento di chirurgia implantare guidata, nell’arco di 2-3 ore, può riavere i suoi denti fissi e ottenere risultati estetici ottimali, un’eccellente integrazione biologica con il minimo disagio. Ma è indicata per tutti i pazienti e in tutti i casi? No, questa tecnica non è proponibile a tutti ma, a seguito di un serio esame preliminare dello stato di salute del paziente, del suo stato

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Novembre/Dicembre 2018 | Bergamo Salute | 97


Bergamo Salute anno 8 | n°47 Novembre | Dicembre 2018 Direttore Responsabile Elena Buonanno Redazione Rosa Lancia redazione@bgsalute.it Grafica e impaginazione Gabriele Rota gabriele.rota@marketingkm0.it Fotografie e illustrazioni Shutterstock, Tiziano Manzoni, Adriano Merigo, Giovanni Diffidenti, Giovanni Terzi, Fisi Stampa Elcograf S.p.A Via Mondadori, 15 - 37131 Verona (VR) Casa Editrice Marketing km Zero Srls Via G. Zanchi, 22 – 24126 Bergamo Tel. 035.0514318 - info@marketingkm0.it Pubblicità Luciano Bericchia Tel. 035.0514601- info@bgsalute.it Hanno collaborato Lucio Buonanno, Maria Castellano, Rita Compostella, Viola Compostella, Lella Fonseca, Marco Lucini, Giulia Sammarco

COMITATO SCIENTIFICO • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • •

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COMITATO ETICO • •

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