numero PERIODICO DI CULTURA MEDICA E BENESSERE
Poste Italiane spa Sped. in Abb. Postale DL 353/2003 (Conv. in legge 27/02/2004 N.46) Art. 1 comma 1 LO/BG
Nadia Fanchini LACRIME D'ORO. HO BATTUTO LA SFORTUNA
RICETTA ELETTRONICA ISTRUZIONI PER L'USO PANE NERO FA BENE O FA MALE? COME EVITARE LA TOXOPLASMOSI IN GRAVIDANZA CELLULITE COMBATTILA COSÌ
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anno 6 - marzo- aprile 2016
numero PERIODICO DI CULTURA MEDICA E BENESSERE
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anno 6 - marzo - aprile 2016
Editoriale
augura a tutti Buona Pasqua Attualità Ricetta elettronica: istruzioni per l'uso
SPECIALITÀ A-Z
5 Bergamo Salute 6
8 Immunologia
Lupus eritematoso sistemico 10 Oculistica Maculopatia, farmaci e riabilitazione per tenerla sotto controllo 12 Ortopedia Lussazione della spalla. Quando serve l’intervento chirurgico?
PERSONAGGIO 14 Nadia Fanchini. Lacrime d'oro. Ho battuto la sfortuna
IN SALUTE
16 S tili di vita
Amiche per la lana
18 A limentazione
Merenda, non è una cosa da bambini... 20 Pane nero. Fa bene o male?
IN ARMONIA
22 Psicologia
Guardami negli occhi e ti dirò chi sei 24 Coppia Amori “tira e molla” tra estasi e tormento
IN FAMIGLIA
ecco come evitarla
Emangioma. Nel 90% dei casi si risolve da solo
IN FORMA
26 D olce attesa Toxoplasmosi in gravidanza: 28 Bambini
30 Fitness
Muoversi? È una medicina, se presa con le giuste dosi! 32 Bellezza Cellulite. Combattila così
RICETTA 34 Latte di mandorla in piedi con fragole fresche RUBRICHE 44 Altre terapie Yoga terapia 46 Guida esami Elettroencefalogramma, non solo per l'epilessia! 48 Animali Crocchette o pappa fatta in casa. A ciascuno il suo
56 Il lato umano
della medicina Nella mia musica c'è la natura 59 Malattie rare Associazione A.R.M.R. 60 Non solo medici Il tecnico ortopedico 62 Testimonianza Noè, il mio piccolo guerriero
STRUTTURE
ATS INFORMA
messaggi per la tua salute
REALTÀ SALUTE Ipasvi Fisioforma Privatassistenza Avalon Chiomed
64 Istituto Clinico Quarenghi 66 Terme di Trescore 69 Una mail al giorno:
71 73 75 77 79
Allegato centrale: AMICI DI BERGAMO SALUTE
DAL TERRITORIO
50 News 52 Onlus
Un milione di euro per aiutare i bambini 54 Farmacie Nutraceutica. Quando il cibo diventa medicina
PARTECIPANTI ALLA FONDAZIONE ITALIANA PER L’EDUCAZIONE ALIMENTARE
ĂŠ arrivata la
Primavera
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EDITORIALE
BERGAMO SALUTE AUGURA A TUTTI
Buona Pasqua
Adriano Merigo Bergamo Salute
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ATTUALITÀ
RICETTA ELETTRONICA
istruzioni per l'uso Ecco che cosa cambia con l'addio alla “ricetta rossa” a cura di LUCIO BUONANNO
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opo vent’anni la classica ricetta rossa con la quale il nostro medico di famiglia ci prescriveva i farmaci, un accertamento o una visita specialistica, è andata in pensione. Al suo posto ora c’è la ricetta elettronica o meglio, come viene definita burocraticamente, la “ricetta dematerializzata”. Per il momento però la carta non è scomparsa del tutto: su un foglietto bianco c’è un piccolo promemoria ricevuto dal medico con tanto di numero a barre e di codice fiscale da consegnare
al farmacista. Questo per ovviare a eventuali problemi di funzionamento della rete o della linea Internet. Il foglietto sparirà quando il sistema entrerà definitivamente a regime. In pratica il nostro medico, per effettuare una prescrizione, si connette dal proprio computer a un apposito portale compilando la ricetta sullo schermo, identica a quella cartacea, con un codice a barre inserendo un Numero Ricetta Elettronica (NRE) che sarà associato al nostro codice fiscale aggiungendo in automatico anche eventuali esenzioni. Il sistema
stampa un promemoria con il quale possiamo andare in farmacia: con i dati indicati sul foglietto il farmacista recupera la prescrizione on-line e ci consegna la medicina di cui abbiamo bisogno. «Ci vorrà ancora tempo perché sparisca anche la vecchia “fustella” da attaccare nei riquadri della ricetta rossa» spiegano alla FIMMG (Federazione Italiana Medici di Famiglia). «Anche se i codici della confezione infatti sono inseriti direttamente sul computer, ancora non è stato possibile determinare un meccanismo che annulli il valore della fustella rispetto alla necessità di identificare e distinguere i farmaci
erogati a carico del Servizio Sanitario Nazionale da quelli che vengono invece pagati direttamente dal cittadino. Il procedimento nei prossimi mesi si diffonderà anche per le prescrizioni di esami e visite specialistiche visto che la ricetta elettronica sarà accettata anche da cliniche, ambulatori e ospedali. In questa prima fase, fino a dicembre 2017, sono però esclusi dal nuovo metodo alcuni farmaci come gli stupefacenti, l’ossigeno, le prescrizioni per erogazione diretta in continuità assistenziale, i farmaci con piano terapeutico Aifa» continua la FIMMG. La ricetta elettronica vale in tutte le farmacie italiane sia pubbliche sia convenzionate. Questo significa che i farmaci potranno essere ritirati anche fuori dalle regioni di residenza. Una piccola rivoluzione soprattutto per chi viaggia spesso o lavora lontano da casa: fino ad oggi, ad esempio, una ricetta di un medico pugliese non valeva fuori dalla Puglia e chi si trovava fuori casa era costretto a pagare il medicinale
per intero. Ora invece se ci troviamo fuori regione possiamo ricevere il nostro medicinale pagando il ticket previsto dalla nostra regione di residenza. «È un notevole vantaggio» ha spiegato il dottor Aurelio Sessa, presidente della Lombardia della Società Italiana di Medicina Generale (SIMG). «Non solo per chi risiede in uno dei tanti comuni lungo un confine regionale in cui magari la farmacia aperta più vicina è nella regione accanto, ma anche per chi in estate è abituato ad andare in vacanza. Finora doveva portare con sé tutti i farmaci necessari e ora potrà invece portare solo il promemoria che sarà accettato dovunque».
del promemoria cartaceo che potrà essere sostituito completamente dalla tessera sanitaria» ha continuato il dottor Sessa. Qualche disagio sull’applicazione della ricetta elettronica non è escluso nemmeno dal segretario nazionale dei medici di famiglia FIMMG Giacomo Milillo. «La stessa cosa è avvenuta quando è partito il certificato di malattia elettronico. Dietro i vantaggi della dematerializzazione si cela però un rovescio della medaglia. Qualcuno ha confuso gli studi dei medici di famiglia con quelli dei CAF, i centri di assistenza fiscale, vista la mole di dati anagrafici, codici di esenzione dai ticket e in più il medico non potrà più contare sul supporto dell’assistente di studio che per il momento dovrà continuare a usare la ricetta rossa. In pratica il rischio è che tutti gli oneri ricadranno sul titolare dello studio con un aggravio di lavoro che significa tempo tolto alle visite e attese più lunghe per gli assistiti». Intanto la ricetta elettronica è una realtà. Ma attenzione, la sua validità è di soli 30 giorni.
Qualche dubbio però c’è. In particolare per l’efficienza del collegamento telematico tra medici, sistema centralizzato e farmacie. «È davvero un elemento critico. Nel complesso la ricetta elettronica mi pare un passo avanti importante che in un futuro prossimo verrà esteso anche alle ricette di esami e indagini radiologiche con la progressiva scomparsa anche
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SPECIALITÀ A-Z
IMMUNOLOGIA
Lupus
ERITEMATOSO SISTEMICO Terapie sempre più efficaci per una qualità di vita sempre più alta a cura di MASSIMILIANO LIMONTA
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olpisce 8 volte di più le donne che gli uomini. È caratterizzato da lesioni dei tessuti e delle cellule, che si riacutizzano periodicamente determinando eruzioni cutanee, dolori articolari e, nelle forme più gravi, danni ai reni e al cuore, che in più della metà dei pazienti possono divenire permanenti. Parliamo del Lupus Eritematoso Sistemico (LES), malattia cronica autoimmune. Oggi, anche grazie a farmaci di nuova generazione, sebbene non sia possibile guarire la malattia, si può comunque controllarla garantendo ai pazienti una migliore qualità di vita.
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Bergamo Salute
SE IL SISTEMA IMMUNITARIO SI “RIBELLA” Il LES è una patologia autoimmune sistemica. Autoimmune significa che il sistema immunitario produce alcune proteine (autoanticorpi) che, anziché difenderci dalle aggressioni esterne (come i batteri o i virus), aggrediscono il corpo stesso. Sistemico vuol dire che gli auto-anticorpi possono colpire teoricamente tutti gli organi del corpo, anche se nel LES ci sono organi più coinvolti di altri, in particolare la cute, i reni, le articolazioni, il cuore, i polmoni e il sistema nervoso.
GIOVANI E DONNE I PIÙ COLPITI Il LES si può manifestare in entrambi i sessi e a ogni età, ma le donne sono 8 volte più colpite degli uomini. La maggiore incidenza
L'ETÀ MEDIA DI ESORDIO È DI 30 ANNI PER LE DONNE E 40 PER GLI UOMINI, ANCHE SE SPESSO LA DIAGNOSI VIENE FATTA DOPO 1-2 ANNI
dipenderebbe dagli ormoni. Gli ormoni femminili, e in particolare gli estrogeni, infatti hanno un'azione pro-infiammatoria (cioè che favorisce l’infiammazione), che spiega non solo la maggiore diffusione della malattia tra le donne ma anche il peggioramento del quadro clinico in momenti fisiologici di grandi cambiamenti ormonali, ovvero pubertà, gravidanza, menopausa. Gli estrogeni stimolano le cellule immunitarie (in particolare le cellule B, che producono anticorpi, più delle cellule T) attivandole e causandone, nei casi di malattia autoimmune, una proliferazione “caotica” che si traduce in un danno contro l'organismo stesso. L'età media di esordio è di 30 anni per le donne e 40 per gli uomini, anche se spesso la diagnosi viene fatta dopo 1-2 anni (da qui l'importanza di riconoscere precocemente i sintomi). Esiste poi una forma “a esordio tardivo” che riguarda circa il 15% sul totale dei malati di LES e si manifesta tipicamente dopo i 55 anni. In Italia si stima che i soggetti colpiti siano 40/70 ogni 100.000 abitanti (quindi da 2.500 a 4.500 in Italia, 5 milioni nel mondo). DNA, VIRUS E ORMONI TRA LE CAUSE Le cause del LES sono sconosciute, ma si sa che la malattia dipende da molti fattori combinati tra loro. Innanzitutto, anche se non è una malattia trasmissibile, né ereditaria, esiste una predisposizione familiare. In particolare si è visto che può essere legata ad alcuni geni (frammenti di DNA), che ricorrono nella stessa famiglia perché vengono trasmessi dai genitori ai figli. Un'altra possibile concausa sono le infezioni virali. I virus, infatti (come altri agenti infettivi) stimolano potentemente la risposta immunitaria facendo produrre anticorpi. In soggetti geneticamente predisposti questa risposta immunitaria può essere "disordinata" con conseguente produzione di auto-anticorpi che aggrediscono l'organismo stesso. Anche fattori ambientali,
LES E DIETA, CHE LEGAME C’È? Il ruolo della dieta è tuttora dibattuto. Si è visto che un’alimentazione ricca di colesterolo e acidi grassi saturi (contenuti nei condimenti di origine animale e nelle carni grasse) è nociva, mentre la dieta mediterranea, ricca di vegetali e grassi poli-insaturi (olio d’oliva) può essere protettiva. È poi fondamentale che i pazienti con LES abbiano livelli adeguati di vitamina D. La vitamina D viene attivata esponendosi al sole, ma purtroppo i pazienti con LES non possono farlo, perché la fotoesposizione può riattivare o peggiorare la malattia. Un'alternativa è quella di seguire una dieta ricca di vitamina D (presente nei latticini e nel pesce, in particolare tonno, salmone, sgombro, sardina e acciuga). Se questo non basta, è possibile assumere un'integrazione farmacologica.
come l’esposizione all'inquinamento, hanno potenzialmente un ruolo nel LES. Da ultimo, si è visto che gli ormoni femminili,come già accennato, hanno un ruolo importante nello scatenare la malattia. Per questa ragione, le donne con LES devono essere seguite molto attentamente in gravidanza e, generalmente, evitare di assumere ormoni (estrogeni) contenuti, ad esempio, nella pillola anticoncezionale. I SINTOMI: VARI PER TIPOLOGIA E INTENSITÀ E NON SEMPRE DI FACILE INTERPRETAZIONE La malattia si manifesta con un ventaglio ampio di segni e sintomi. Le manifestazioni più comuni, in ordine di frequenza decrescente, sono: febbricola, stanchezza, dolori articolari, ipersensibilità all'esposizione solare (fotosensibilità), eritema al volto e al décolleté (detto "a farfalla" per la forma caratteristica), dolori (artralgie) e tumefazioni articolari (artrite), danno renale (di gravità variabile), anomalie delle cellule del sangue (solitamente leucopenia, anemia, piastrinopenia, vale a dire, rispettivamente, numero di globuli bianchi, di globuli rossi e di piastrine ridotto), secchezza agli occhi (xeroftalmia) o alla bocca (xerostomia), mani che cambiano colore col freddo (fenomeno di Raynaud), pericarditi e pleuriti (versamento di
liquido, rispettivamente, attorno al cuore e ai polmoni), problemi neurologici (epilessia, psicosi). FARMACI “TRADIZIONALI” E BIOTECNOLOGICI PER TENERLO SOTTO CONTROLLO Oggi esistono molte cure efficaci per il LES, che hanno migliorato nel tempo la sopravvivenza e la qualità di vita di questi pazienti. Il trattamento si avvale dell’uso di farmaci immunosoppressivi (che riducono l’attività del sistema immunitario), tra cui anche il cortisone. Recentemente è a disposizione anche un farmaco biotecnologico (meglio definibile come modificatore della risposta biologica), frutto di ingegneria genetica, riservato però per ora ai pazienti con forme particolarmente aggressive che non rispondono ai trattamenti immunosoppressivi “tradizionali”.
DOTT. MASSIMILIANO LIMONTA Specialista in Reumatologia - RESPONSABILE UNITÀ DI REUMATOLOGIA ASST PAPA GIOVANNI XXIII BERGAMO Bergamo Salute
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SPECIALITÀ A-Z
OCULISTICA
Maculopatia
FARMACI E RIABILITAZIONE PER TENERLA SOTTO CONTROLLO a cura di FABIO MAZZOLANI
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ei Paesi occidentali la maculopatia è la principale causa di perdita irreversibile della vista nelle persone al di sopra dei 50 anni. La maculopatia è un termine comprensivo di varie malattie che colpiscono la parte centrale della retina chiamata macula. Al centro di questa si trova la fovea, regione della retina deputata alla visione di fino, alla percezione dei colori e alla visione per vicino. La maggior parte delle malattie della macula si manifestano con calo visivo soprattutto nella lettura, percezione di distorsione delle immagini e appannamento visivo nella porzione centrale del campo visivo. BASTANO VISITA, OCT E ANGIOGRAFIA PER DIAGNOSTICARLA La diagnosi è relativamente semplice: talvolta basta solamente la visita oculistica con dilatazione della pupilla per meglio analizzare la macula. Una volta posto il sospetto di maculopatia si procede
DOTT. FABIO MAZZOLANI Specialista in Oftalmologia - PRESSO CENTRO OCULISTICO BERGAMASCO -
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Bergamo Salute
ad affinare la diagnosi con ANCHE L’OCCHIO OCT (Tomografia Ottica INVECCHIA Computerizzata) e anRara prima dei 50 anni, secondo giografia retinica. Il le stime colpisce l’8-11 per cento primo esame permetdelle persone tra i 65 e i 74 anni e la te di ottenere una sua incidenza cresce esponenzialmente scansione trasverdopo i 75 anni. La malattia è considerata sale della macula, il un’esasperazione del processo di secondo l'analisi dei invecchiamento: la parte centrale della vasi della retina e retina (macula) si deteriora con il passare della coroide (tessudel tempo e sotto di essa si accumulano to vascolare dell'ocammassi di materiale lipo-proteico o chio interposta tra neovasi cresciuti in modo anomalo retina e sclerotica). In che compromettono la visione entrambi i casi si possono centrale dell’occhio. riscontrare i classici segni di maculopatia: edema, ossia accumulo di liquido, ed emorragia, ossia perdita di sangue a livello no di noi. Solo l'età è un fattore non della macula. Le cause di questi se- mutabile! Sicuramente la prevengni sono molteplici a seconda della zione migliore rimane la diagnosi patologia all’origine della maculo- precoce. patia (per esempio degenerazione maculare senile di tipo essudativo, LE CURE: DALLE INIEZIONI retinopatia diabetica, occlusioni INTRAVITREALI vascolari della retina). ALLA RIABILITAZIONE COL BIOFEEDBACK ATTENZIONE A SOLE, CIBI La terapia dipende dalla forma GRASSI E FUMO di maculopatia riscontrata. Se la La maggior parte delle maculopa- maculopatia presenta una comtie ha cause multifattoriali, ossia ponente prevalentemente essudapiù elementi genetici e ambienta- tivo-emorragica (tipicamente la li concorrono alla sviluppo e alla maculopatia da degenerazione maprogressione della malattia. Esisto- culare senile di tipo essudativo o la no dei fattori di rischio ormai noti maculopatia da vasculopatia retida anni come l'esposizione alla luce nica come la retinopatia diabetica solare, una dieta e un'alimentazio- e l'occlusione venosa), si ricorrerà ne troppo ricca di cibi ipercalorici alla terapia intravitreale. Questa e soprattutto di grassi animali, il consiste nell'iniezione del farmaco fumo di sigaretta ed eventuali con- all'interno dell'occhio attraverso comitanti malattie sistemiche, tut- un microago, il farmaco iniettati fattori che però possono essere to agisce riducendo l'emorragia e modificati o controllati da ciascu- l'edema maculare. Esistono diversi
farmaci utilizzabili: dal più classico cortisone ai più recenti farmaci antiVEGF e VEGFtrap. A differenza del cortisone che favorisce principalmente il riassorbimento dei liquidi accumulati a livello maculare, questi ultimi permettono di controllare i meccanismi di angiogenesi alla base della crescita di neovasi, dell'accumulo di edema (gonfiore) ed emorragia a livello della macula. Per la maculopatia che presenta maggiormente una componente atrofica o secca (tipicamente la maculopatia da degenerazione maculare senile di tipo atrofico, esiti atrofici post-traumatici, infiammatori o infettivi), non esistono attualmente forme terapeutiche rigenerative clinicamente applicabili su larga scala. Qualora si riescano a diagnosticare dei precoci segni di degenerazione maculare senile di tipo atrofico, si possono comunque adottare una serie di comportamenti finalizzati al controllo dei fattori di rischio. In entrambi i casi, una volta che la maculopatia è sotto controllo terapeutico e non presenta segni di evoluzione significativa, è possibile valutare l'applicazione di strategie riabilitative mediante programmi di riabilitazione visiva attraverso i più moderni sistemi di Biofeedback microperimetrico o elettrofisiologico. Con la riabilitazione si insegna al paziente a fissare un oggetto con un'area retinica abitualmente non idonea a questo scopo, adiacente a quella danneggiata. Praticamente il cervello sostituirà la fissazione centrale con una nuova: il paziente, guidato da uno stimolo visivo e sonoro, viene stimolato a riconoscere il nuovo punto di fissazione e a renderlo stabile nel tempo. La riabilitazione visiva, retinica o corticale, deve però essere necessariamente eseguita una volta ottenuto il corretto presidio visivo ingrandente personalizzato e costruito sulle esigenze di ciascun singolo paziente, in base non solo alla gravità della propria maculopatia ma soprattutto in funzione delle esigenze di vita quotidiana.
LA NOVITÀ? LE LENTI CHE "ALLENANO" L'OCCHIO A cura di Giuliana Zonca, ottico-optometrista PER LA VISIONE DA LONTANO … In caso di maculopatia, ma anche in generale di problemi di ipovisione (ridotta capacità visiva) causati da altri fattori (retinopatia diabetica, miopia elevata e otticopatia glaucomatosa ed ischemica), un aiuto importante è rappresentato da lenti assolutamente innovative, la cui caratteristica è essere prismatiche e ingrandenti. Con uno speciale test è possibile individuare le aree sane della retina e spostare quindi la visione ottimale in posizione primaria, consentendo di vedere meglio rispetto alla visione abituale. Le posture sbagliate che spesso ha chi soffre di queste patologie vengono migliorate notevolmente. L’occhiale dotato di queste lenti permette di acquisire più sicurezza nel muoversi negli ambienti, un maggior equilibrio e una migliore qualità visiva, essendo queste lenti riabilitative. Anche per questo motivo devono essere
indossate tutto il giorno, in modo da stimolare la parte di retina funzionante, quasi fosse una specie di ginnastica degli occhi. Le lenti possono essere costruite sia unicamente per correggere il difetto visivo da lontano, sia come lenti progressive. Oltre al trattamento antiriflesso, vengono colorate con speciali colorazioni fotoselettive, che migliorano i contrasti e proteggono la retina dall’abbagliamento, quest’ultimo causa sovente di riduzione della capacità visiva. … E QUELLA DA VICINO L’occhiale può avere una luce LED incorporata nella sua struttura per permettere alle persone con problematiche visive non solo di avere un supporto visivo, ma anche di avere sempre una luce a disposizione. Leggere, scrivere ed eseguire lavori manuali è sicuramente più facile rispetto a un videoingranditore o a una lente d’ingrandimento. Il sistema di ricarica USB permette di ricaricare l'occhiale ovunque come un cellulare. Questa tipologia di lenti può usufruire di contributo ATS (ex ASL) per gli aventi diritto. Bergamo Salute
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SPECIALITÀ A-Z
ORTOPEDIA
Lussazione della spalla QUANDO SERVE L’INTERVENTO CHIRURGICO? a cura di ENZO VINCI
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a lussazione post-traumatica della spalla è la lussazione più frequente e interessa il 2/3% della popolazione. Intervenire nel modo corretto, così da limitare il rischio dell’instaurarsi di un’instabilità cronica, è di fondamentale importanza. SE L’ARTICOLAZIONE RUOTA IN AVANTI Si parla di lussazione dell'articolazione gleno-omerale (formata dalla sfera della testa dell'omero e dal piatto della glena della scapola) se la testa omerale fuoriesce completamente dalla glena. Nella maggior parte dei casi, lo slittamento delle due estremità ossee avviene in direzione antero-inferiore per traumi che si verificano con il braccio all'altezza o al di sopra della spalla, come nella posizione che si assume per lanciare un sasso o la palla nel baseball, cioè in posizioni in cui sul braccio si applicano forze che lo spingono violentemente indietro, o quando si cade sulla spalla stessa. Questo avviene perché la spalla è
DOTT. ENZO VINCI Specialista in Ortopedia e Traumatologia -PRESSO HUMANITAS GAVAZZENI DI BERGAMO -
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Bergamo Salute
GLI SPORTIVI, I PIÙ A RISCHIO Negli sport come il nuoto, la pallavolo e il tennis, legati allo svolgimento di attività onerose per la spalla, si può avere un’alterazione dell’equilibrio funzionale della articolazione gleno-omerale conseguente a continui microtraumi, che può condurre a un’instabilità definita “microtraumatica”. La spalla in questi casi tende a sublussarsi e, spesso, fa male. Ci sono anche persone che nascono con spalle "lasse" (cioè costituzionalmente instabili) e quindi soggette con maggiore frequenza a sub lussazioni o lussazioni anche in assenza di traumi esterni significativi. Nel caso dell’instabilità multidirezionale e di quella microtraumatica, il primo approccio è sempre riabilitativo. La riabilitazione ha l’obiettivo di rendere più stabile l’articolazione e di eliminare il dolore. Se non si ottengono i risultati sperati, si può prendere in considerazione l’intervento chirurgico.
l’articolazione più mobile del corpo umano, quella che permette i maggiori movimenti. Il prezzo da pagare per questa ampia mobilità è una maggiore vulnerabilità. UN TRAUMA CHE COLPISCE LEGAMENTI, MA ANCHE OSSA Quando l’omero si lussa può provocare danni alla capsula e ai legamenti che stabilizzano l’articolazione e, talvolta, lesioni della cartilagine articolare, dei vasi, delle ossa, dei nervi ed anche della cute in caso di lussazione esposta. La lesione più frequente è a carico di una struttura sulla quale si inseriscono i legamenti, detta “labbro glenoideo” o “cercine”: si tratta di un anello di fibrocartilagine elastica normalmente adesa al bordo della glena. In caso di lussazione può venire per un tratto distaccato: la cosiddetta
lesione di Bankart. Inoltre, le forze che causano la fuoriuscita della testa omerale dalla sua sede fanno sì che possa entrare in contatto con il margine osseo anteriore della glena causando una lesione della testa omerale stessa detta lesione di HillSachs. Anche il margine anteriore della glenoide può venire danneggiato in questo tipo di trauma. IL PRIMO “INTERVENTO”: RIMETTERE LA SPALLA NELLA SUA POSIZIONE NATURALE Dopo una lussazione traumatica la testa omerale deve essere riposizionata nella sua sede (riduzione) con particolari manovre che dovrebbero essere sempre eseguite da personale esperto, per evitare possibili danni a nervi e vasi e il rischio di lesioni permanenti. Dopo la riduzione, la spalla va immobi-
CLAVICOLA
ACROMION BORSA
MUSCOLO SOPRASPINATO
TESTA DELL’OMERO TENDINE DEL BICIPITE LUNGO
GLENOIDE
OMERO
SCAPOLA
BICIPITE
lizzata con una fasciatura o un tutore per un periodo di alcune settimane variabile in funzione dell’età del paziente e del tipo di lesione. Ogni ulteriore episodio aumenta la probabilità che vengano irrimediabilmente danneggiate le superfici articolari, le strutture ossee o quelle legamentose, instaurando così una condizione d’instabilità cronica. Ciò può portare nel tempo anche allo sviluppo di un’artrosi dell'articolazione. CHIRURGIA ARTROSCOPICA IN CASO DI INSTABILITÀ E DI “RECIDIVE” In casi selezionati può essere preso in considerazione un intervento chirurgico di capsuloplastica. Questo tipo d’intervento è maggiormente indicato nei pazienti giovani, al di sotto dei 25 anni, nei quali il rischio di recidiva (nuovi episodi in assenza di traumi) è presente in un’alta percentuale di casi. Oggi viene eseguito sempre più spesso per via artroscopica: attraverso 2 o 3 piccole incisioni si introduce una piccola telecamera (artroscopio) all'interno della spalla, che permette di valutare l’articolazione nella
sua totalità. La riparazione chirurgica avviene tramite l’utilizzo di piccole ancorette in materiale riassorbibile e fili di sutura ad alta resistenza per riposizionare il cercine e rifissarlo nella sua sede. I vantaggi dell'intervento per via artroscopica sono rappresentati innanzitutto dal fatto che l’accesso all’articolazione avviene senza toccare le strutture circostanti, praticamente senza cicatrici, modesto dolore, tempi di ricovero ridotti, ritorno a una maggiore ampiezza del movimento dell'arto, minimi rischi d’in-
fezione. Con il migliorare della tecnica artroscopica, la maggior parte dei chirurghi ritiene che gli ottimi risultati ottenibili con l'intervento aperto (95%) possano oramai essere raggiunti anche per via artroscopica. In casi particolari, ad esempio deficit ossei o lesioni capsulari più rare, note come HAGL, può essere necessario un intervento completamente diverso, attraverso un’incisione di alcuni centimetri in cui si esegue una trasposizione di una piccola “porzione” della scapola detta coracoide.
DOPO L’OPERAZIONE: SPALLA A RIPOSO, MA MOBILIZZAZIONE PRECOCE DI MANO E GOMITO Dopo l’intervento chirurgico (artroscopico o “tradizionale”,) l’iter terapeutico prevede l'immobilizzazione della spalla per tre/quattro settimane in un apposito tutore con, però, mobilizzazione attiva da subito di mano, polso e gomito. Dopo circa tre settimane sono permessi esercizi di mobilizzazione passiva e di "pendolo". Dopo 4/5 settimane si possono iniziare esercizi di mobilizzazione attiva, anche in acqua. Intorno alla 6° settimana si consigliano esercizi di leggera tonificazione muscolare. Al 3° mese sono possibili anche esercizi con pesi liberi o macchine da palestra. All’incirca dal 6° mese può essere effettuata qualsiasi attività. Bergamo Salute
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PERSONAGGIO
NADIA FANCHINI Lacrime d'oro. Ho battuto la sfortuna a cura di LUCIO BUONANNO
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ul suo casco ha l’autografo di Lindsey Vonn, il mostro sacro dello sci femminile, vincitrice di otto Coppe del mondo di discesa. Nadia Fanchini, 29 anni, ha battuto il suo mito a La Thuile in Val d’Aosta, dopo aver vinto il bronzo due giorni prima. «È stata la mia rivincita contro la sfortuna e gli infortuni che mi hanno bloccato per due anni» ci dice felice. La sua prima vittoria in Coppa del mondo è di otto anni fa a Lake Louise in Canada. Allora era considerata la migliore dello sci femminile italiano, insieme alla sorella Elena, e infatti ai mondiali del 2009 conquistò il bronzo nella discesa. Poi la via crucis cominciata due settimane prima delle Olimpiadi di Vancouver del 2010. «Ero in gara nel supergigante di Saint Moritz, nell’impatto con una porta caddi male e mi saltarono i crociati e collaterali di entrambe le ginocchia». In questa triste occasione è passata alla storia, come si legge nel profilo del suo sito, la telefonata per tranquillizzare la sorella Elena (anche lei in gara) che sarebbe dovuta partire dopo di lei. Ancora dolorante mentre veniva soccorsa le diede anche preziosi consigli su come affrontare il tracciato. Per Nadia purtroppo svanì il sogno di partecipare ai Giochi Olimpici; alle piste si sostituirono le sale operatorie per rimettere a posto le ginocchia e tanta riabilitazione. Altri si sarebbero arresi, ma non lei. E un anno dopo rientra a Cortina questa volta come semplice apripista. Ma la sfortuna la perseguita, si rompe un altro legamento in una rovinosa caduta dopo un salto. Ma ancora una volta Nadia ce la mette tutta per tornare sugli sci. D’altra parte Nadia è abituata a rialzarsi. Lei che da ragazzina, nel 2004/2005 aveva vinto i Mondiali juniores in supergigante e nella discesa, viene bloccata nel 2006 dal Coni per problemi cardiaci. Altri due anni di visite, di attese dopo che il Comitato Olimpico le aveva vietato le gare. Ma anche stavolta la tenacia di Nadia ha il sopravvento e ritorna sul podio: a Schladming vince la medaglia d’argento. «È un sogno, non ditemi che 14
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avrei potuto vincere, per me questa è come una vittoria, è la mia rinascita, è un’impresa» commentò allora. E un’impresa l’ha fatta anche ora, a La Thuile, vincendo la medaglia d’oro ma soprattutto battendo la più grande discesista del mondo. «Ero imbarazzata per aver battuto la Vonn, la più forte di tutte noi, ma lei mi ha applaudito e poi, insieme, siamo andate alla Domenica Sportiva». Dopo tutto quello che ha passato Nadia, che appartiene al gruppo sportivo delle Fiamme Gialle, non si è affatto montata la testa. Anzi, quando la sentiamo, è appena tornata da un allenamento. È nata nel 1986 a Lovere ma ha sempre vissuto a Montecampione e da poco si è trasferita a Iseo con il fidanzato Devid Salvadori che allena la squadra femminile di Coppa Europa. E tutti i giorni, quando non è in giro per il mondo, fa la pendolare dal lago alle piste di Montecampione dove si allena con le sorelle. Oltre a Elena in Nazionale è arrivata da un po’ anche la più piccola, Sabrina. «Mi sto preparando per le prossime gare» dice. «Tanti allenamenti: sci, palestra, bicicletta, nuoto, camminate in montagna, sei giorni alla settimana, a volte sette. Una grande fatica ma faccio del mio meglio perché so che sono sacrifici necessari per ottenere i risultati. Nello sci, come in ogni sport, ci vuole talento ma poi bisogna saperlo coltivare con il lavoro e l’applicazione. Anche gli infortuni ti aiutano a crescere e a maturare e infatti ho reagito ai problemi: non ho mai pensato di smettere e ora sono concentrata sulla carriera. Altro elemento fondamentale è l’allenamento della mente. Fa il campione
insieme al talento. È importante al 50 per cento per realizzare una buona prestazione. Quando sei convinta di testa riesci a rendere di più. Come mi è capitato al rientro con due podi in discesa. Per essere al top è importante anche una dieta equilibrata e senza eccessi». Elena, Nadia, Sabrina, tre ragazze d’oro che hanno cominciato quasi per gioco spinte dal papà che lavora per gli impianti di risalita di Montecampione. È un caso unico nella storia dello sci vedere tre sorelle in Nazionale. A scoprire le prime due fu il maestro Claudio Gelpi che convinse papà Tersilio (per tutti Sandro) e mamma Giusy sostenendo che erano talenti speciali. E infatti Elena e Nadia hanno confermato il giudizio del maestro. Elena, la maggiore, è specialista in discesa, anche se come la sorella ha avuto una serie di incidenti che ne hanno un po’ compromesso la carriera: nel 2005 vinse la medaglia d’argento ai Mondiali di Bormio, e a Lake Louise l’oro nella discesa di Coppa del Mondo. «Io invece sono polivalente» dice Nadia. «Amo la discesa ma soprattutto lo slalom gigante e il superG». Come Sabrina che ha esordito in Coppa Europa nel 2005 e nella Coppa del Mondo nel 2010, ma anche lei bersagliata dalla sfortuna. «Oltre che sorelle siamo grandi amiche» rivela Nadia «il nostro rapporto è eccezionale, ci aiutiamo l’una con l’altra e godiamo quando una di noi va bene. Siamo una squadra e tra noi non c'è mai stata competizione». Ora Nadia sogna un altro podio. E una sua famiglia con marito e figli? «È ancora troppo presto. Nel futuro senz’altro. Alla fine della carriera». Bergamo Salute
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IN SALUTE
STILI DI VITA
AMICHE
per la lana Fare a maglia sta diventando una moda sempre più diffusa, anche tra uomini e giovani, che promette molti benefici per corpo e mente a cura di LELLA FONSECA
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are la calzetta” è roba d’altri tempi? Sembrerebbe proprio di no. Sono infatti in aumento i gruppi che si riuniscono per lavorare a maglia e passare del tempo insieme, i corsi nei negozi specializzati o altre sedi, e nel web siti e video che aiutano a iniziare o
UN FILO CHE UNISCE LE GENERAZIONI «Da sempre in casa ho respirato il profumo di maglioncini caldi, appena “sfornati” dalle mani di mia nonna (che viveva con noi) e ascoltato il ticchettio che i ferri producono quando chi ha dimestichezza con loro lavora velocemente. E poi i ricami che la mia mamma con pazienza e amore realizzava la sera, quando tutto era calmo e sistemato. Tutto questo era lì: sembrava il mio porto sicuro mentre tutto fuori correva. Era un ticchettio costante che scandiva il tempo lentamente, secondo dopo secondo. E con la stessa calma, in punta di piedi, senza che io quasi me ne accorgessi, il ticchettio dei ferri si è fatto più debole, finché pochi mesi fa si è fermato» racconta Francesca Ronzoni del "Club dei Punti". «Da lì, la nostalgia di quel suono, la consapevolezza di aver corso troppo e non essermi fermata a imparare quel tesoro e quella tradizione che mia nonna
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QUADROTTI ANTI-ANSIA SOLIDALI NELLE SALE DELL’OSPEDALE Presso l’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo nel reparto di oncologia è stato attivato il progetto Gomitolo Rosa, con il supporto della Direzione Sanitaria e A.O.B. – Associazione Oncologica Bergamasca onlus. Nella saletta messa a disposizione dall’ospedale, o nelle sale d’attesa per esami o terapie, le pazienti possono passare il tempo in compagnia, allontanando le ansie mentre sferruzzano. Il progetto prevede la realizzazione di quadrotti a maglia che contribuiranno a formare delle copertine lavorate a più mani (per i reparti di neonatologia, strutture d’accoglienza, centri di aiuto alla vita…).
migliorarsi in questa “arte”. «Qui al Circolo Culturale Minardi di Borgo Santa Caterina abbiamo iniziato circa otto anni fa» spiega Miriam Signorelli, ideatrice del “Club dei Punti”. «Probabilmente siamo stati tra i primi a Bergamo a promuovere corsi di maglia in cui persone con die mia mamma portavano con loro. Proprio in quel momento ecco spuntare un volantino… uno dei tanti che trovi appesi nei negozi … eppure quello per me non è semplicemente stato “un volantino”, bensì l’inizio di una bellissima avventura. L’accoglienza mi fece sentire subito a mio agio: il Club dei Punti non è un “corso”, bensì un momento sereno e tranquillo di condivisione e di amicizia, dove ognuno porta il proprio lavoro, e insieme si lavora e si trasmettono conoscenze e idee, al mio arrivo non sapevo fare nulla se non un po' di punto croce. Ma il Club dei Punti è soprattutto diventato un luogo di amicizia, di conversazione, di cose leggere che ci fanno ridere, ma anche di noi stesse, delle nostre famiglie, dei nostri lavori e dei nostri progetti. Ringrazio il “Club dei Punti” e Miriam per aver permesso di far rivivere dentro di me la mia mamma e la mia nonna, che spesso mentre sferruzzo sento ridere felici...».
verso grado di capacità si ritrovano per lavorare, imparare, insegnare, ma anche per passare del tempo insieme, chiacchierando. Quando abbiamo iniziato ho notato subito che chi si univa al gruppo si trovava non di rado in un momento critico della sua vita, per una malattia, una perdita o altri motivi e il lavoro manuale in comune aiutava a superare la fase difficile. Frequenti erano anche le future mamme che desideravano imparare a confezionare lavoretti per i loro piccoli. Queste riunioni ricostruiscono in un certo senso la famiglia allargata delle nostre nonne e bisnonne, che si tramandavano di madre in figlia le arti manuali e si aiutavano a vicenda nelle difficoltà della vita. Io ho avuto la fortuna di appassionarmi al lavoro con i ferri da ragazzina, mi ha insegnato la mamma, che è scomparsa precocemente, lasciandomi questa eredità che ho desiderato condividere con altre donne». È ormai provato che lavorare a maglia aiuta a combattere l’ansia, la depressione e il dolore fisico. I movimenti ripetuti, vedere la propria creazione che prende forma lentamente, distraggono l’attenzione da ciò che affligge in quel momento. Per molti, poi, sferruzzare induce una sensazione di relax totale: la tensione muscolare si allenta, la frequenza cardiaca e la pressione sanguigna diminuiscono, un po’ come avviene nella meditazione. Ma nello stesso tempo la creatività
DA UMA THURMAN A JULIA ROBERTS, FINO A RUSSEL CROWE (SÌ, PROPRIO LUI, L’ATTORE PROTAGONISTA DI FILM COME “IL GLADIATORE”). SONO TANTE LE STAR INTERNAZIONALI CHE HANNO RISCOPERTO IL LAVORO A MAGLIA. PER LORO E PER I TANTISSIMI APPASSIONATI È NATO ANCHE UN SOCIAL NETWORK (RAVELRY.COM), CON MILIONI DI ISCRITTI IN TUTTO IL MONDO e l’inventiva trovano via libera. Si potrebbe immaginare che la posizione del lavoro a maglia con i ferri sotto le ascelle che siamo abituati a vedere in Italia non sia molto confortevole e tenda a irrigidire in particolare le spalle. Ciò non è sempre vero, dipende molto dalla postura e dal grado di rilassamento della “magliaia”. Per chi non trovasse questa posizione abbastanza comoda c’è sempre un’alternativa: in buona parte dell’Europa, soprattutto del nord e dell’est, si tiene in grembo il lavoro, con le mani appoggiate sulle gambe, posizione che mantiene le spalle più rilassate. Questa posizione è particolarmente adatta al lavoro con il “ferro circolare”, già popolare in altri Paesi e che si sta diffondendo anche da noi. Grazie all’alto livello di attenzione che il lavoro richiede, inoltre, quest'attività mantiene allenata la concentrazione. Anche gli anziani quindi possono beneficiare degli effetti positivi di lavorare a maglia: uno studio su oltre 2 mila persone over 65 ha rilevato che dedicarsi con
costanza ai ferri aiuta a ridurre gli effetti della demenza senile, mantenendo in attività il cervello e tutte le funzioni collegate. Senza contare che lavorare a maglia permette di “disintossicarsi” dai ritmi frenetici in cui viviamo, soprattutto dall’alto tasso di tecnologia che ci circonda, dà modo di prendersi una pausa rilassante e di ascoltarsi. «La maggior parte delle persone che frequentano il Club dei Punti ha un’età che parte dai 25-30 anni in avanti» spiega Miriam. «Non che le più giovani non siano interessate alla maglia, ma è più difficile che riescano a dedicare una sera o un pomeriggio fissi a quest'attività, per cui tendono più frequentemente a imparare con le spiegazioni e i tutorial che si trovano sul web, visto che fanno parte della generazione dei cosiddetti “digitali nativi». Ma imparare con un esempio diretto non è la stessa cosa, come conferma Annamaria Materazzini, una delle prime frequentatrici del “Club dei Punti”. «Sapevo lavorare un pochino a maglia, avendo imparato un po' da
mia nonna e un po' dai libri, ma mi piaceva l'idea di poter perfezionare il mio metodo e avere qualcuno che mi facesse vedere dal vivo come eseguire i vari punti e correggere gli errori. Miriam è un'ottima insegnante e il fatto che ognuna di noi possa portare il proprio lavoro e farsi seguire da lei individualmente nei punti difficili è una delle cose che per me è stata più utile. Ci sono poi le volte in cui invece Miriam ci propone delle novità o dei punti o lavori particolari e allora decidiamo di mettere da parte il nostro lavoro e seguirla in una specie di lezione di gruppo. Dopo vari anni ormai si è creata una relazione di amicizia e il Club dei Punti è piuttosto diventato un momento in cui ci fa piacere ritrovarci per fare due chiacchiere, bere una tisana e scambiarci idee sui nostri lavoretti». Le riunioni di maglia non hanno tutte le stesse modalità, ci sono ad esempio le cosiddette “Stitch&Bitch”, regolate da uno statuto che non prevede la presenza di insegnanti né la circolazione di denaro o i “Knit cafè”, gruppi sempre senza insegnanti ma privi di un regolamento stretto. A ognuno il suo! Bergamo Salute
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IN SALUTE
ALIMENTAZIONE
MERENDA
non è una cosa da bambini... a cura di MARIA CASTELLANO
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uando si parla di merenda, subito si pensa ai bambini. La maggior parte degli adulti non fa merenda perché assorbita dalla giornata lavorativa e da mille impegni, ma soprattutto perché è una “cosa da bambini”, appunto, di cui non si ha più bisogno. O almeno così si crede. Questo mini pasto, se non consumato nell’infanzia, ha l’aria di uno stravizio, di un extra che ingrassa e che quindi è meglio evitare (la parola “merenda”, deriva dalla parola latina “merere” ovvero “meritare” e anticamente era considerata come un premio). Probabilmente questa cattiva reputazione è legata all’uso smodato e ingiustificato di merendine farcite di creme, di patatine fritte, di focacce e di snack ultracalorici, decisamente poco salutari. In realtà la merenda, purché ovviamente sana ed equilibrata, è
indispensabile per mantenere la salute psico-fisica durante la giornata non solo per i piccoli, ma anche per gli adulti. E persino per chi vuole perdere peso. «La merenda è un piccolo pasto, estremamente utile sia ai bambini sia ai grandi» conferma la dottoressa Simona Tadini, biologo nutrizionista. «I suoi effetti sono benefici innanzitutto per il corpo, ma anche per la mente, per il rendimento scolastico e per l’umore». DOTTORESSA TADINI, QUANTI SPUNTINI ANDREBBERO CONSUMATI DURANTE LA GIORNATA E QUANTE ENERGIE DOVREBBERO FORNIRE PER NON APPESANTIRE LA LINEA? La razione calorica e nutrizionale giornaliera dovrebbe essere suddivisa in cinque pasti: prima cola-
I DUE SPUNTINI, NELL’ARCO DELLA GIORNATA, SVOLGONO UN RUOLO CHIAVE NEL MANTENIMENTO DEL NOSTRO STATO DI SALUTE: STUDI SCIENTIFICI HANNO DIMOSTRATO CHE A PARITÀ DI INTROITO CALORICO E NUTRIENTI, CHI CONSUMAVA CINQUE PASTI AVEVA MIGLIORI VALORI DI GLICEMIA, INSULINEMIA, COLESTEROLO, PESO CORPOREO E MINOR RISCHIO DI PATOLOGIE CARDIOVASCOLARI, RISPETTO A CHI CONSUMAVA I CLASSICI TRE PASTI
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DOTT.SSA SIMONA TADINI Biologo Nutrizionista e Naturopata - A TREVIGLIO -
zione, spuntino di metà mattina, pranzo, spuntino di metà pomeriggio e cena. Gli spuntini ricoprono dal 5 al 10% del fabbisogno, garantendo una regolare distribuzione del cibo durante la giornata ed evitando di arrivare troppo affamati ai pasti principali durante i quali altrimenti si eccederebbe. Per un adulto dallo stile di vita sedentario sono sufficienti 100-200 chilocalorie, mentre se l’attività fisica e lavorativa sono più impegnative, si può arrivare anche a un apporto maggiore. Gli spuntini dovrebbero integrarsi con gli altri pasti della giornata, contribuendo all’equilibrio tra zuccheri, grassi e proteine e sono quindi di fondamentale importanza. Inoltre, e soprattutto la merenda durante il pomeriggio, scongiura anche il continuo piluccare che fa perdere il controllo su quanto cibo si ingerisca. MA PERCHÉ LA MERENDA È COSÌ IMPORTANTE ANCHE PER I GRANDI? MANGIARE QUALCOSA A METÀ MATTINA E A METÀ POMERIGGIO COME “INFLUENZA” IL NOSTRO ORGANISMO? È VERO, COME SUGGERISCONO ALCUNI STUDI, CHE AIUTEREBBE PERSINO A MANTENERE IL PESO FORMA? Dal punto di vista fisiologico, gli spuntini permettono di contrastare i cali di glicemia che compromettono il rendimento intellettivo e fisico durante la giornata, oltre ad innescare quei processi che, nel tempo e nei soggetti predisposti, potrebbero portare a situazioni di resistenza insulinica con conseguente iperglicemia e insorgenza del diabete nei casi peggiori. Si sa che situazioni come queste rappresentano cofattori che conducono spesso a un aumento di peso che negli anni può portare allo sviluppo dell’obesità. Non sottovalutiamo poi anche l’aspetto psicologico legato alla pausa della merenda. È molto utile staccare la mente dalle incombenze quotidiane e quindi
sciogliere le tensioni legate alle situazioni lavorative, qualsiasi sia la mansione svolta. QUAL È LO SPUNTINO IDEALE? La merenda può essere dolce o salata, a seconda del proprio gusto: la regola da tenere presente è cambiare spesso le proprie scelte. La variabilità nell’alimentazione permette di ottenere un equilibrio calorico e nutrizionale che difficilmente porta ad eccessi o difetti nei macro o micronutrienti. Gli snack ideali potrebbero essere: frutta di stagione, pane integrale con cioccolato fondente o marmellata o un pezzetto di formaggio, yogurt, torte casalinghe, cereali misti a frutta secca tipo muesli da miscelare per esempio allo yogurt, saltuariamente ed eccezionalmente merendine o gelati o barrette. Per variare i sapori basta semplicemente dare libero sfogo alla fantasia, per cui una merenda a base di frutta potrebbe diventare una macedonia senza zucchero arricchita con uvetta passa e frutta secca, oppure un semplice yogurt bianco o del kefir potrebbero essere insaporiti frullandoli con un cucchiaino di miele e frutta di stagione; se si ha l’occasione di preparare una torta, potrebbero essere gratificanti una crostata con frutta fresca o una torta di mele o di pere; la frutta cotta in inverno potrebbe essere una saporita alternativa a quella fresca se la arricchiamo con cannella, uvetta passa e pinoli. Chi consuma la merenda a casa dovrebbe prepararla in un piatto o in un contenitore, affinché sia possibile suddividerla in porzioni, limitando la tentazione di continuare ad attingere dal contenitore (come per esempio il vaso dei biscotti o il sacchetto del pane o di pop-corn), soprattutto se ha la cattiva abitudine di consumarla davanti alla TV. Il consiglio finale è sicuramente quello di non sottoporsi a digiuni prolungati durante la giornata, ma spezzettarla tra un pasto e l’altro con qualcosa di buono, sano e che ci fa sicuramente bene, non appesantendoci la linea. Bergamo Salute
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IN SALUTE
ALIMENTAZIONE
PANE NERO Fa bene o male? a cura di ELENA BUONANNO
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la moda degli ultimi mesi. Pane, pizza, brioches neri, pubblicizzati e consumati da tanti italiani per le loro presunte proprietà benefiche e la, sempre presunta, maggiore digeribilità. Un successo che non è passato inosservato ma non ha mancato di suscitare scetticismo tra gli esperti. «Non chiamatelo pane nero!» osserva Roberto Capello, presidente di ASPAN (Associazione Panificatori Artigiani) della provincia di Bergamo. «Questa denominazione è infatti ora al centro di un contenzioso giuridico da parte dell'associazione panificatori perché non abbia lo status di pane. La normativa vigente parla chiaro in
questo senso: il pane per essere tale non può essere arricchito con additivi e coloranti». Ma se non è pane, di cosa si tratta allora? Di prodotti da forno con l'aggiunta dell'additivo E-153, o carbone vegetale/attivo, colorante naturale proveniente dalla combustione del legno. La Food and Drug Administration americana (l'ente governativo statunitense che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici) lo ha bandito dall'utilizzo alimentare perché contiene tracce di benzopirene, composto considerato cancerogeno. In Europa l'impiego come colorante in prodotti da forno è consentito, limitandone però le
LA DOSE GIUSTA PERCHÈ FACCIA “EFFETTO” Secondo l'Efsa (l'Autorità europea per la sicurezza alimentare) perché si abbiano benefici dal carbone vegetale è necessario assumerne "un grammo almeno 30 minuti prima del pasto e un altro grammo subito dopo il pasto". Molto più delle quantità di colorante E153 presente nei prodotti venduti nei panifici e nei supermercati.
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quantità a 10 grammi per 1 chilo di farina. La domanda, a questo punto, è: fa bene o male? Lo abbiamo chiesto al dottor Paolo Paganelli, biologo nutrizionista. DOTTOR PAGANELLI, MA HA DAVVERO EFFETTI BENEFICI IL PANE NERO O AL CONTRARIO PUÒ ESSERE ADDIRITTURA NOCIVO? Non è corretto dire che questi prodotti addizionati con carbone vegetale facciano male. Anche perché la quantità concessa è veramente bassa per avere potenziali effetti cancerogeni. Bisogna, però, fare attenzione al dosaggio e al momento dell'assunzione, perché se preso in concomitanza con medicinali importanti come gli antidiabetici o quelli per la tiroide ne riduce l'assorbimento, dimezzandone se non addirittura eliminandone l’efficacia. Allo stesso tempo però non possiamo dire che faccia bene. Certamente il carbone vegetale è utilizzato in medicina, già dall'antichità, per contrastare problemi di gonfiore intestinale, meteorismo e flatulenza
DOTT. PAOLO PAGANELLI Biologo Nutrizionista - A BERGAMO -
e perché assorbe le tossine a livello intestinale e quindi ha un’azione in qualche modo depurativa. Ma certo non ai dosaggi e nelle modalità in cui è presente in questi prodotti da forno, dove non è nulla di più se non un additivo colorante. La domanda, però, è un’altra: con tutte le varietà di pane e di farine che esistono, perché invece di cercare pane “alternativo” come questo non riscopriamo altri tipi di pane, che possono rappresentare una valida alternativa per chi ha problemi di digestione e di gonfiore addominale? AD ESEMPIO? QUALI POSSONO ESSERE LE ALTERNATIVE A QUESTO FANTOMATICO “PANE NERO”? Il pane azimo, ad esempio, oppure pane fatto con lievito di pasta madre invece del lievito di birra che, in soggetti predisposti, può provocare gonfiore addominale. C’è poi il pane con farine integrali, sicuramente più digeribili di quelle raffinate, a base di farro o segale ad esempio. Insomma la scelta non manca.
IL PARERE DEL MINISTERO DELLA SALUTE Sulla questione “pane al carbone vegetale” il Ministero della Salute già a dicembre aveva chiesto di stopparne la vendita, sottolineando che “è ammissibile la produzione di un “prodotto della panetteria fine” denominato come tale, che aggiunga agli ingredienti base (acqua, lievito e farina), tra gli altri, anche il carbone vegetale come additivo colorante e nelle quantità ammesse dalla regolamentazione europea in materia”, ma che tale prodotto non può essere denominato “pane”. Il Ministero precisa inoltre che non è nemmeno ammesso il riferimento al “pane” nell'etichettatura di tale prodotto, nella sua
VENDESI
presentazioni o nelle pubblicità, e che tale regola è valida sia nel caso dei prodotti preconfezionati sia in quello dei prodotti sfusi. L'uso del carbone vegetale, solamente però come additivo colorante, è invece ammesso nei prodotti da forno fini, “categoria – precisa il Ministero – che include prodotti sia dolci che salati come fette biscottate e crackers”. Quanto invece all’utilizzo del carbone attivo per scopi “salutistici”, più nello specifico, sempre il Ministero afferma che “l’impiego del carbone attivo come ingrediente per finalità fisiologiche, ad oggi, non è ammesso in alimenti diversi dagli integratori alimentari perché richiederebbe una preventiva autorizzazione ai sensi del regolamento (CE) 258/97 sui novel food”.
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IN ARMONIA
PSICOLOGIA
GUARDAMI NEGLI OCCHI E TI DIRÒ CHI SEI Alcuni falsi miti sullo psicologo e sulla psicologia a cura di MARIA CASTELLANO
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ono sempre di più gli italiani che vanno dallo psicologo o dallo psicoterapeuta per avere un aiuto ad affrontare momenti particolarmente difficili della loro vita. Eppure, in molti casi, non lo dicono. Per paura del giudizio degli altri o per pudore. Già, perché se all’estero andare dallo psicologo o dallo psicoterapeuta (e dirlo) è la normalità, da noi intorno a queste due figure resistono ancora non pochi pregiudizi. “Ma tu non sei matta, non ti serve”. “Se hai un problema basta che ti dia una scrollata!”. E così via. Cerchiamo allora di sgombrare il campo da qualche falso mito su psicologi e psicologia con l’aiuto del dottor Mauro Savardi, psicologo e psicoterapeuta. DOTTOR SAVARDI, PER PRIMA COSA CHE DIFFERENZA C’È TRA PSICOLOGO E PSICOTERAPEUTA? Lo psicologo e lo psicoterapeuta sono due figure professionali ormai diffuse in molti contesti, anche se talvolta persistono rappresentazioni errate o incomplete sullo specifico ruolo, funzioni e modalità di intervento. Mentre lo psicologo nasce da una formazione universitaria, da un tirocinio e da un esame di stato per l’iscrizione allo specifico Albo professionale, lo psicoterapeuta segue una formazione quadriennale postuniversitaria ulteriore, accompagnata da momenti di tirocinio professionalizzante e da percorsi di analisi e supervisione personale continui. Psicologia deriva da “Psichè” e “Logos” ovvero Scienza dell’Anima e della Mente. Il suo ruolo è ben specificato all’interno dell’art. 3 del Codice de-
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ontologico professionale: “promuovere (condurre, guidare) il benessere psicologico dell’individuo, del gruppo e della comunità (…) attraverso gli strumenti della prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione”. Psicoterapia, invece, deriva da “Psychè” e “Therapèia”, cioè “cura” insieme all’azione del “portare, sostenere, reggere”. Lo psicoterapeuta, quindi, aiuta la persona a costruire il linguaggio adatto per dare voce al “sintomo”. La psicoterapia pertanto può essere definita come lo strumento relazionale attraverso il quale l’Inconscio diventa comprensibile. MA QUALI SONO I PRE-GIUDIZI CHE ANCORA ACCOMPAGNANO QUESTE DUE FIGURE? Il primo, senza dubbio, è che “lo psicologo cura i matti e chi va dallo psicologo è malato”. In realtà lo psicologo è un esperto di come si costruisce l’esperienza e in particolare la sofferenza individuale. La sofferenza psicologica ha molti modi di rappresentarsi, talvolta così radicali da apparire in contrasto rispetto a ciò che si definisce “normalità”. Tuttavia anche la sofferenza più radicale, quella che può apparire “strana” nel suo modo di manifestarsi, guardandola con attenzione non è molto distante dall’esperienza di tutti, anche se certo più intensa. La cultura dell’efficienza crea modelli basati sulla forza, autocontrollo e negazione o mascheramento di momenti personali di fragilità. Il mito dell’uomo perfetto però non può reggere e ognuno inevitabilmente sperimenta durante la vita momenti critici più o
DOTT. MAURO SAVARDI Psicologo e Psicoterapeuta - PRESSO CENTRO MEDICO POLISPECIALISTICO EDOLO- CETO PIOMBORNO (BS) -
meno intensi. Questi anzi sono una necessità per la crescita. Ed è qui, nell’area delle invalidazioni personali e/o relazionali di carattere emotivo, che intervengono psicologo o psicoterapeuta. Un altro pregiudizio diffuso è che “basta che lo psicologo ti guardi negli occhi e già ha capito tutto, in questo modo potrebbe manipolare la tua mente”. Questa idea, solo apparentemente banale, trova anche altre declinazioni secondo le quali una persona, una volta raccontata la propria problematica, deve attendere che sia lo psicologo a risolvergliela. La psicoterapia è al contrario un progetto complesso che una persona sceglie di intraprendere su di sé e non può prescindere da un suo ruolo attivo nel comprendere ciò che le succede e nello scegliere che cosa fare. Lo psicologo in questo senso può facilitare la comprensione di una problematica specifica e aiutare a definire la propria motivazione a cambiare comportamenti, atteggiamenti, schemi mentali, a elaborare stati emotivi di sofferenza e stallo, ma non può certo sostituirsi a colui che ha di fronte.
UNA “PAURA” CHE SPESSO FRENA A INTRAPRENDERE UN PERCORSO PSICOLOGICO È QUELLA DI DOVER RIPORTARE ALLA MEMORIA DOLOROSI TRAUMI INFANTILI RIMOSSI, CHE SAREBBERO ALLA BASE DELLA SOFFERENZA PSICOLOGICA… Questo è un argomento spinoso, tant’è che esistono differenti approcci teorici in psicologia e psicoterapia con opinioni e teorie diverse. La soluzione sta nel mezzo, nel senso che può essere così ma non è detto che lo sia sempre. La teoria del trauma recondito rischia inoltre di porre le persone in un atteggiamento di irreversibilità e passività, perdendo il potere del “momento presente”. Indubbiamente avere delle esperienze traumatiche durante l’infanzia (ma anche in altri periodi della vita) può influenzare negativamente il proprio benessere psicologico attuale, ad esempio rendendo le persone maggiormente vulnerabili e sensibili ad altri fattori stressanti. Questo però non vuol dire che tutte le persone che hanno una difficoltà o una
sofferenza nell’attualità abbiano sperimentato esperienze così traumatiche durante la loro infanzia da essersene dissociate al punto da non ricordarle. E SULLA CONVINZIONE CHE LA PSICOTERAPIA DURA MOLTI ANNI, COSA SI PUÒ DIRE? È DAVVERO COSÌ? La durata di una psicoterapia dipende da molti fattori. Generalmente le terapie psicodinamiche hanno una prospettiva di durata maggiore rispetto ad altri approcci teorici come ad esempio quello cognitivo comportamentale. In ogni caso non è automatico il passaggio mentale secondo il quale minor durata della psicoterapia maggior efficienza. SPESSO QUANDO UNA PERSONA STA ATTRAVERSANDO UNA FASE DI DISAGIO PSICOLOGICO, SI SENTE DIRE CHE NON SERVE PARLARE MA AGIRE E DARSI UNA MOSSA… Molte volte la sensazione di disagio emotivo è l’aspetto più eclatan-
te del problema, quello più facile da vedere. Pensare che una persona in balia del pathos della sofferenza (psico-pato-logia), di ansia, tristezza, rabbia, colpa, vergogna, debba darsi una scrollata per stare meglio è un atteggiamento sostanzialmente egoistico (se sono gli altri a sostenerlo), per certi aspetti difensivo e talvolta improduttivo. Se una psicoterapia si esaurisse nello sfogarsi non produrrebbe alla lunga nessun cambiamento emotivo, cognitivo e comportamentale e quindi sarebbe pressoché inutile. Il parlare, quindi, non è fine a se stesso ma ha lo scopo di rendere esplicito, attraverso la relazione e l’interazione, la dinamica psicologica, emotiva e comportamentale del singolo, per aiutarlo ad acquisire maggiore consapevolezza di sé.
LA SEDUTA AI TEMPI DI INTERNET Per poter usufruire dell'ascolto di uno psicologo/psicoterapeuta, non sempre è necessario recarsi di persona presso lo studio del professionista. Infatti oggi molti psicologi, attraverso l’utilizzo delle nuove tecnologie, sperimentano modalità nuove (Skype ad esempio) per offrire la possibilità di avere uno o più colloqui oppure una consulenza online.
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IN ARMONIA
COPPIA
AMORI “TIRA E MOLLA”
tra estasi e tormento a cura di MARIA CASTELLANO
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econdo le statistiche, le coppie “tira e molla” sono almeno il 30% di quelle che si rivolgono ai consultori e ai servizi di tipo psicologico. Ma perché alcune coppie non possono fare a meno di lasciarsi e riprendersi senza arrivare a una soluzione finale che forse porterebbe giovamento a entrambi i partner? «Per poter rispondere a questa domanda bisogna prima fare un passo indietro e analizzare cosa succede quando si crea una coppia» osserva la dottoressa Leonella Bugini, psicologa. «Uomini e donne sono sostanzialmente, sessualmente diversi e tuttavia questo non impedisce loro di provare una forte attrazione gli uni per le altre, cosa che li porta a rincorrersi, unirsi, amarsi. Maschi e femmine si confrontano, si scrutano, rivaleggiano e pur nella loro diversità, si riconoscono come simili. Questi movimenti emozionali avvengono all’interno di uno scenario immaginario. Quando si accende la scintilla che porta a innamorarsi si ha la sensazione di aver trovato qualcosa nell’altro di cui si aveva già fatto esperienza (”Mi sembra di conoscerti da sempre”) come se si ritrovasse qualcosa di conosciuto nel nuovo. Nella fase dell’illusione dovuta all’innamoramento ci sono continui rispecchiamenti tra i partner e si fluttua in una dimensione sognante e colma di promesse. Il partner dà un’attenzione esclusiva all’altro creando un senso di enorme appagamento e felicità. Questo stato quasi di estasi, però, si verrà inevitabilmente via via modificando quando le richieste della realtà
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hanno il sopravvento e l’illusione va piano piano scemando». DALL’INNAMORAMENTO ALL’AMORE La vita amorosa tra un uomo e una donna si evolve, infatti, attraverso una serie di fasi: innamoramento, amore, concepimento, nascita di un figlio, genitorialità. «Ognuna di queste fasi comporta una crisi che se ben elaborata, produce un processo trasformativo e può quindi considerarsi evolutiva» spiega la psicologa. «Alla passione amorosa si sostituiscono altre cose non meno importanti: una famiglia, dei figli, la crescita economica o professionale o la condivisione delle avversità nei casi tragici. Nel costruire e formalizzare il legame di coppia, passata la fase dell’innamoramento e della dedizione più totale, alcune persone tendono a dare per scontati l’affetto e la devozione del partner. Allo straordinario e impalpabile “cinguettio” amoroso che permetteva ai corpi la libertà di esprimersi in un’area giocosa, si sostituiscono le richieste della realtà: il legame tra molte coppie si allenta o si incrina, spezzandosi proprio in quest’area di gioco dove “il corpo” può risultare il grande assente. Si genera così uno stato di sofferenza interna che può determinare la rottura di una relazione di coppia». Ed è proprio nel delicato momento di uno dei passaggi da una fase all’altra che si possono verificare momenti di crisi intensi, con la necessità a volte di rivedere le proprie scelte di vita. «Le prime a risentirne nella coppia, sono l’intesa affettiva, emotiva, sessuale»
DOTT. SSA LEONELLA BUGINI Psicologa e Psicoterapeuta - PRESSO PORTO DI TELEMACO A TREVIGLIO, BERGAMO E CREDARO -
continua la psicologa. «Gli uomini si lamentano delle donne e viceversa, si giudicano secondo stereotipi negativi e questo impedisce di ascoltare ciò che si sente veramente, anziché pensare a come riconquistarsi. Si urla il proprio punto di vista, le proprie ragioni e l’eros va in soffitta. Può succedere allora che uno dei due partner silenziosamente si chiuda ed entra in scena il tradimento. La fuga e il tradimento, la ricerca di nuovi partner alimentano la fantasia di ritornare a uno stato di beatitudine precedente e si pongono come anestetici a una sofferenza negata e soffocata. La paura della solitudine talvolta impedisce alle coppie di prendere una decisione risolutiva». IL MOMENTO DI LASCIARSI TUTTO ALLE SPALLE DEFINITIVAMENTE: COME CAPIRE QUANDO ARRIVA «I legami si spezzano o si sciolgono definitivamente quando l’area di illusione condivisa è la grande assente» mette in guardia l’esperta. «Quando la vena di rifornimento affettivo ed emotivo reciproco è esaurita e i sogni sono definitivamente svaniti, l’altro non diventa che un oggetto da perseguitare, rimproverare, maltrattare e controllare all’interno di una relazione velenosa, nociva e malsana. Molte
coppie, quando la passione amorosa si affievolisce preferiscono gettare la spugna, non lottare e lasciare andare tutto alla deriva. I legami che non durano sono spesso caratterizzati da un sentimento di inadeguatezza che ha origini lontane, nella prima infanzia. Nell’incontro con l’altro si spera di poter risanare una storia di sofferenza vissuta nel passato. Può succedere che le esperienze dolorose ritornino e con esse riaffiora un’ondata emotiva a volte prorompente. È allora che ricompaiono emozioni collegate con esperienze frustranti, dolorose, svalutanti, di abbandono, lutti non elaborati, sedimentati e sepolti all’interno dell’individuo. Esperienze che si sono rivelate negative con le prime figure di accudimento. Quando le ferite subite sono molto profonde e poco cicatrizzate si rischia di spostare sulla relazione di coppia il dolore provato, le delusioni subite, senza riuscire a discernere tra l’ieri e adesso. Non resta che recidere il legame per non riattivare relazioni distruttive che danneggiano sé e l’altro e, se ci sono i figli, questi respirano una cappa di piombo anziché l’energia positiva di progetti, vivendo in un’atmosfera di conflitto senza soluzione». MAI PIÙ INSIEME MA NEMMENO LONTANI A volte si possono verificare situazioni in cui sembra impossibile restare insieme in modo costruttivo e affettivo profondo ma anche lasciarsi. «Sono coppie che hanno stabilito relazioni patologiche in cui prevale un tipo di legame sadico e masochistico dove la coppia viene tenuta insieme da una connivenza insconscia all’insegna di un rapporto totalmente lesivo per entrambi. In questi casi l’intervento di uno psicoterapeuta può aiutare a far luce sulle modalità di relazione distorte e su come porre fine in modo meno traumatico possibile, a un legame negativo e dannoso per il proprio Sé» conclude la dottoressa Bugini. Hanno collaborato la dottoressa Silvia Anfilocchi e la dottoressa Paola Volpi, psicologhe e psicoterapeute.
IL RUOLO DEL CORPO Nella scelta del partner il corpo è il primo oggetto di desiderio. Il corpo esprime molto di ciascun individuo, al di là della consapevolezza individuale, umori, sensazioni, sentimenti, intenzioni che sono visibili nel modo di muoversi, nella postura, nello sguardo. Freud diceva che il corpo e la sua rappresentazione variano nei maschi e nelle femmine, nel modo di pensare la propria ricchezza interiore collegata al proprio genere e alle paure a esso legate. Bergamo Salute
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IN FAMIGLIA
DOLCE ATTESA
TOXOPLASMOSI IN GRAVIDANZA
ecco come evitarla
Nei nove mesi può essere pericolosa per la salute del bambino. I consigli per prevenirla e per affrontarla nel modo corretto se si scopre di averla contratta
DOTT.SSA MARIANNA ANDREANI Specialista in Ostetricia e Ginecologia - PRESSO CASAMEDICA DI BERGAMO -
a cura di ELENA BUONANNO
L
a toxoplasmosi è un’infezione banale, generalmente asintomatica, che si può prendere senza neanche accorgersene e che, una volta contratta, lascia un’immunità permanente. Se, però, ci si ammala per la prima volta in gravidanza, può essere pericolosa per il bebè. Spesso causa di ansia e apprensione per la futura mamma, si può però evitare con semplici accorgimenti. Come ci spiega la dottoressa Marianna Andreani, ginecologa. DOTTORESSA ANDREANI, CHE TIPO DI MALATTIA È LA TOXOPLASMOSI E DA COSA È CAUSATA? La toxoplasmosi è una zoonosi causata da un protozoo, il Toxoplasma gondii. La zoonosi è una malattia infettiva che può essere trasmessa dagli animali all'uomo, direttamente (contatto con la pelle, peli, uova, sangue o secrezioni) o indirettamente (tramite altri organismi vettori o ingestione di alimenti infetti). Nel caso del Toxoplasma, questo è ospitato dai gatti nei quali compie il suo ciclo replicativo producendo oocisti (uova) infette. L’uomo può infettarsi attraverso le oocisti espulse con le feci dei gatti e disseminate nell’ambiente (acqua, terreno, vegetali) o attraverso le cisti presenti nei tessuti di animali infetti (per esempio ingerendo carne cruda e poco cotta, salame, prosciutto e carne essiccata con presenza di cisti).
IN CHE MODO L'UOMO PUÒ ESSERE INFETTATO? Nell’uomo il contagio può avvenire attraverso quattro vie di trasmissione principalmente: • ingestione di oocisti attraverso carni crude e poco cotte (inclusi salame, prosciutto e carne secca); • ingestione di oocisti escrete dai gatti e contaminanti acqua e terreno (incluse frutta e verdura mal lavata e contaminata con le feci dei gatti); • trapianto di organi o emotrasfusioni da donatori sieropositivi per toxoplasma; • trasmissione madre-figlio, quando l’infezione primaria si verifica durante la gestazione. 26
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Un recente studio ha dimostrato come il consumo di carne cruda e poco cotta sia la principale fonte di contagio in gravidanza, mentre il contatto con terreno contaminato contribuisce per una quota molto minore di infezioni. MA SI PUÒ CONTRARRE ANCHE MANGIANDO PESCE CRUDO? No, non c’è nessun rischio di toxoplasmosi se si consuma pesce crudo, come il sushi. Però in gravidanza è consigliabile evitarlo perché può contenere altri germi, come la salmonella. QUALI SONO QUINDI LA MISURE DI PREVENZIONE PIÙ EFFICACI? Le donne in gravidanza devono essere informate durante la visita preconcezionale o, al più tardi, alla prima visita in gravidanza, circa le misure di prevenzione primaria della toxoplasmosi: • lavare le mani prima della manipolazione dei cibi • lavare bene frutta e verdura (incluse le insalate già pulite e preparate) • evitare il consumo di carne cruda o poco cotta, cuo-
GATTI: SONO DAVVERO PERICOLOSI? Anche se spesso sono accusati di essere tra i primi responsabili di trasmissione di toxoplasmosi, in realtà è molto difficile che un gatto domestico possa contrarre l’infezione e trasmetterla all’uomo. A meno che, naturalmente, non vada in giardino ed entri in contatto con terreno contaminato. Il problema, comunque, è limitato alle feci. Per questo è consigliabile far pulire la lettiera ad altri oppure indossare i guanti e lavare le mani con sapone ed acqua corrente al termine della pulizia.
6 DONNE SU 10 SONO A RISCHIO Nel nostro Paese, il 60% delle donne in gravidanza non è immune alla toxoplasmosi e quindi potrebbe contrarre l'infezione in gravidanza. Nella grande maggioranza dei casi le donne non sanno se in passato abbiano oppure no contratto l'infezione perché in genere dà sintomi lievi e generici, come stanchezza, mal di testa, mal di gola, sensazione di "ossa rotte". Una volta contratta, lascia un'immunità permanente, cioè non si rischia più di ammalarsi.
cendo bene anche le pietanze surgelate già pronte • evitare le carni crude conservate, come prosciutto e insaccati • evitare il contatto con le mucose dopo aver manipolato carne cruda (soprattutto la bocca) • evitare l’esposizione con terreno contaminato con le feci dei gatti (per esempio indossare i guanti quando si fanno lavori di giardinaggio o evitare di venire a contatto con la lettiera del gatto). E COSA SUCCEDE QUANDO L'INFEZIONE VIENE CONTRATTA DURANTE LA GRAVIDANZA? Non tutte le mamme che contraggono l'infezione in gravidanza per fortuna poi passeranno al feto l'infezione. Il rischio globale di trasmissione al feto risulta compreso tra 18-44%, ma questa percentuale varia al cambiare dell'epoca gestazionale, in particolare il rischio di trasmissione è più basso all'inizio della gravidanza, mentre aumenta nell'ultimo trimestre di gestazione. Anche il quadro clinico e la gravità dell’infezione congenita dipendono dall’epoca gestazionale in cui avviene l’infezione: più precoce è l’infezione più grave è il danno. Se l'infezione passa dalla madre al feto, le principali manifestazioni potranno essere corioretinite, cecità, idrocefalo, danni neurologici e ritardo mentale.
COME SI DIAGNOSTICA? A tutte le donne in gravidanza (o nel periodo preconcezionale) viene offerto come screening un test sierologico per stabilire lo stato immunologico e/o rilevare precocemente la malattia in gravidanza (anticorpi specifici antitoxoplasma IgG e IgM). Se la donna risulta immune, può stare tranquilla per tutti i nove mesi e non è necessario ripetere il test. Se invece risulta che la donna non abbia già contratto l'infezione, il test va ripetuto con cadenza mensile o trimestrale fino al termine della gravidanza, vista la scarsa o nulla sintomatologia della malattia. Questo esame è a carico del SSN per tutti i mesi di attesa. La diagnosi di infezione fetale è possibile mediante l’amniocentesi e la ricerca del DNA del parassita nel liquido amniotico. ESISTE UNA CURA? Anche se non c'è un consenso unanime su quale farmaco sia più efficace in donne con infezione primaria in gravidanza (schemi variabili di spiramicina o pirimetamina-sulfadiazina), si intraprende sempre una terapia antibiotica con lo scopo di prevenire l’infezione congenita e migliorare gli esiti neonatali. Con questo tipo di trattamento, almeno il 90% dei bambini che contraggono l'infezione in utero nasce senza sintomi evidenti. Bergamo Salute
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IN FAMIGLIA
BAMBINI
EMANGIOMA
Nel 90% dei casi si risolve da solo a cura di VIOLA COMPOSTELLA
«L’
emangioma infantile è il più comune tumore dell’infanzia. Per fortuna, però, si tratta di una lesione vascolare benigna ad andamento autorisolutivo, che nella maggior parte dei casi non necessita di alcun trattamento. Solo in circa il 10 % dei casi sono presenti complicanze e possono essere necessarie cure mediche». Chi parla è Andrea Locatelli, dermatologo. Ci siamo rivolti a lui per capire come riconoscere e affrontare gli emangiomi, macchie più o meno in rilievo, di colori e forme diverse, che compaiono sulla pelle dei neonati e che, anche se benigne, spesso destano non poca preoccupazione nei genitori. DOTTOR LOCATELLI, COME SI MANIFESTA L’EMANGIOMA? Se molto superficiale si manifesta come una lesione rosso vivo, comunemente viene infatti chiamato anche “angioma a fragola”. Quando invece si sviluppa in profondità appare come una tumefazione duro-elastica alla palpazione, del colore della cute talvolta con riflessi bluastri. Esistono poi emangiomi misti che presentano entrambe le caratteristiche. In base alla morfologia, poi, si riconoscono angiomi focali, cioè circoscritti; angiomi segmentali, per cui lineari o a distribuzione geografica ed emangiomi multipli, con decine o centinaia di piccole lesioni diffuse sul corpo. A CHE ETÀ INSORGE? Compare dopo la nascita nelle prime settimane di vita. Inizialmente si forma una macchia rossa che col passare dei giorni si accresce. Questa fase di proliferazione dura circa 6-9 mesi, periodo in cui la lesione può anche raggiungere dimensioni imponenti. Segue quindi una fase involutiva: l’emangioma inizia a schiarirsi e a perdere di volume. Questa fase è annunciata dalla comparsa di aree grigio-bianche nel contesto della lesione. L’involuzione contrariamente al periodo proliferativo non dura mesi bensì anni. Attorno ai 9 anni d’età il 90% degli emangiomi raggiunge il completamento della fase involutiva. Circa il 50% degli emangiomi al termine del periodo involutivo non lascerà alcun esito. Nei restanti casi rimarranno invece 28
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DOTT. ANDREA G. LOCATELLI Specialista in Dermatologia - PRESSO ASST PAPA GIOVANNI XXIII BERGAMO -
segni come angectasie (dilatazione di piccolissimi vasi capillari), pelle lassa e ridondante, masse di grasso o atrofie (cioè assottigliamento della pelle). Questi esiti saranno tanto più probabili e, soprattutto, tanto più importanti quanto maggiori erano le dimensioni dell’emangioma. SEBBENE SIA BENIGNO, CI SONO CASI IN CUI POSSONO DIVENTARE PREOCCUPANTI O RICHIEDERE MAGGIORI INDAGINI? Bisogna allertarsi di fronte a emangiomi segmentali (ovvero di dimensioni importanti e con forma irregolare), perché talvolta possono associarsi a sindromi complesse. Un esempio è la sindrome detta PHACE, in cui un emangioma segmentale del volto si accompagna a difetti a carico del sistema nervoso centrale,
dell’occhio e del sistema cardiovascolare. Oppure la sindrome PELVIS, in cui un emangioma segmentale dell'area del pannolino si associa a malformazioni anorettali e genitourinarie. Altro campanello d’allarme sono gli emagiomi a rapido accrescimento e quelli vicini a organi di senso: in questi casi è sempre necessario rivolgersi allo specialista. QUANDO È NECESSARIO TRATTARE LA LESIONE? Il trattamento, come già detto, rappresenta l’eccezione non la regola. Diventa necessario solo in caso di:
UN PROBLEMA IN AUMENTO Gli ultimi studi indicano una incidenza attorno al 4-5 % dei nuovi nati. Il dato è da considerarsi comunque in aumento, come hanno dimostrato i trend degli ultimi decenni, questo perché alcuni fattori di rischio per emangioma, come la prematurità, il basso peso alla nascita e i parti gemellari sono in aumento da alcuni anni a questa parte.
• ulcerazione e sanguinamento, per alleviare il dolore ed evitare sovrainfezioni. Contrariamente a quanto spesso paventato dai genitori il sanguinamento non è mai profuso e viene facilmente controllato da semplice compressione; • compromissione di funzione d’organo. Emangiomi perioculari ampi possono coprire l’occhio impedendo la funzione visiva con possibili danni irreversibili, mentre lesioni angiomatose peribuccali possono impedire il succhiamento e quindi l’assunzione di cibo; • alto rischio di esiti estetici scadenti. Emangiomi del naso o del padiglione auricolare possono impedire un corretto sviluppo della cartilagine lasciando deformità permanenti. Un ampio emangioma della zona mammaria in una bambina può portare a uno sviluppo anormale della ghiandola mammaria. E IN COSA CONSISTE L’EVENTUALE CURA? Attualmente il gold standard nella terapia degli emangiomi è senza ombra di dubbio il propranololo per via orale. Questo farmaco, usato da molti decenni in cardiologia e il cui effetto sugli emangiomi è stato casualmente osservato nel 2008, ha rivoluzionato il trattamento di queste lesioni. Infatti rispetto ai farmaci usati in passato, come il cortisone o l’nterferone, si è dimostrato più efficace, più veloce e soprattutto più sicuro. La terapia laser, contariamente a quanto ritenuto dai più, svolge invece un ruolo limitato e marginale nella gestione degli emangiomi: serve essenzialmente nella terapia palliativa di lesioni ulcerate. Il suo scarso potere di penetrazione, attorno al millimetro, non riesce infatti a curare gli emangiomi, che hanno spessori da pochi a parecchi centimetri. L’equivoco sull'utilizzo del laser negli emangiomi deriva da una confusione terminologica: il laser rappresenta la terapia d’elezione degli angiomi piani che nonostante l’assonanza sono completamente differenti dagli emangiomi! La terapia chirurgica, invece, svolge il suo ruolo essenzialmente nella correzione dei difetti estetico-funzionali residuati alla fine del processo involutivo. Raramente può essere utilizzata nella fase di accrescimento in caso di emangiomi circoscritti e che non rispondono alle altre terapie.
I CAMPANELLI D’ALLARME Data la loro natura autorisolutiva gli emangiomi non necessitano di cure particolari. Eccezione sono le lesioni in rapido accrescimento in distretti particolarmente delicati come il volto o la zona del pannolino. Sospetti sono anche gli emangiomi multipli o segmentali. In tutti questi casi è necessario consultare prontamente un esperto in anomalie vascolari. Bergamo Salute
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IN FORMA
FITNESS
MUOVERSI? È UNA MEDICINA
se presa con le giuste dosi! a cura di VIOLA COMPOSTELLA
V
i serve un buon motivo (l’ennesimo) per decidervi a iniziare a fare sport, magari approfittando dell’arrivo della bella stagione? Eccovelo servito: fare attività fisica non solo aiuta a perdere peso e tonificare ma contribuisce a prevenire fino a 40 malattie croniche che riguardano corpo e mente. Al punto da essere ormai considerata una vera e propria medicina preventiva, quasi un “farmaco”. La domanda quindi è: in che dosi bisogna “assumerla” perché faccia effetto davvero? La bella notizia è che non serve massacrarsi di fatica. Anzi sarebbe persino controproducente esagerare. Alla pari dei farmaci quindi lo sport non sarebbe esente da effetti collaterali e “assumerne” troppo potrebbe fare male. «Più della metà della popolazione adulta dei Paesi industrializzati non riesce ad adempiere alle indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Salute che consiglia di svolgere 30 minuti di esercizio a intensità moderata al giorno oppure 75 minuti di esercizio ad alta intensità a settimana» mette in guardia Massimo De Nardi, dottore in Scienza dello Sport. «Eppure favorire e incoraggiare l’attività fisica è fondamentale per il benessere di tutti e a tutte le età: molti studi infatti hanno dimostrato che l’attività fisica è associata a una diminuzione dei rischi di diabete, cancro e malattie cardiovascolari. Al contrario, ricerche recenti hanno dimostrato che un grande volume di esercizio può essere dannoso per la salute». BASTANO POCHI MINUTI … Qual è allora la giusta dose di questa straordinaria “medicina”? «È stato dimostrato che camminare 15 minuti al giorno può allungare l’aspettativa di vita di 3 anni, mentre praticare attività nelle dosi raccomandate può allungare la vita fino a 14 anni. Infine, correre anche solamente dai 5 ai 10 minuti al giorno può abbassare i rischi di mortalità di oltre 15 anni» continua De Nardi. Insomma non avete più scuse: basta poco 30
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per mantenersi sani e in forma. «È interessante d’altro canto notare come volumi elevati di attività fisica quotidiana non sono associati a una diminuzione dei rischi di mortalità. Anzi: si è visto che non ci sono differenze tra chi corre più di 4 ore ad alta intensità a settimana e i sedentari». …A MODERATA INTENSITÀ A supporto di questa tesi, nel 2013 sulla rivista scientifica internazionale Arteriosclerosis, Thrombosis and Vascular Biology è stato pubblicato un interessante studio a cura di Paul Williams, scienziato del Lawrence Berkeley National Laboratory a Berkeley, in California, e di Paul Thompson, cardiologo dell’Ospedale di Hartford nel Connecticut che ha preso in considerazione qualcosa come 15.945 walkers (chi cammina)
PIÙ FATICA, PIÙ CALORIE BRUCIATE? NON È DETTO, ANZI Una ricerca internazionale pubblicata sulla rivista Current Biology ha misurato le calorie bruciate ogni giorno da 300, tra uomini e donne, mettendole in relazione con l’esercizio fisico svolto. Il risultato, scontato, è stato che chi pratica sport a livello moderato ha una spesa energetica superiore rispetto a chi conduce una vita sedentaria. Si è però anche scoperto, un po' a sorpresa, che le persone che hanno un’attività intensa non bruciano più calorie di quelle che si allenano con moderazione. Probabilmente questo è dovuto al fatto che esiste una soglia di attività fisica oltre la quale l’organismo riduce altre funzioni per “preservarsi” e non consumare calorie extra.
DIMAGRIRE CAMMINANDO? PROVA “SOTTOVUOTO”
DOTT. MASSIMO DE NARDI Scienza dello Sport
e 33.060 runners (chi corre) per un periodo di oltre sei anni. «Scopo di questo imponente lavoro era verificare se i benefici sulla salute dell’individuo fossero differenti a seconda dell’intensità dell’esercizio svolto, ovvero le differenze tra esercizio a moderata intensità (camminata) e ad alta intensità (corsa). I risultati? Dimostrano che basta seguire le linee guida che indicano come “dose minima raccomandata” una camminata di trenta minuti al giorno. Nello specifico si evince che in coloro che abitualmente praticano la camminata il rischio di ipertensione diminuisce in modo significativo del 7,2%, mentre in chi pratica abitualmente la corsa tale rischio diminuisce in maniera più contenuta, ovvero del 4,2%. Queste proporzioni si mantengono anche in altri indicatori di rischio per la salute, come il rischio di ipercolesterolemia (diminuisce del 7,0% negli “walkers” e del 4,3% nei “runners”) e il rischio di malattie coronariche (9,3% contro 4,5%). Sulla base di questi dati possiamo ricavare due importanti informazioni: la prima è che è sufficiente una costante e moderata attività fisica per avere importanti benefici sulla propria salute. La seconda è che, per certi versi, camminare con un passo sostenuto (walking) è ancora meglio che correre, quindi tutti possiamo farlo!»
Camminare mezz’ora al giorno allunga la vita. Ma aiuta anche a ridurre peso, ritenzione idrica e cellulite più della corsa, anche se si suda meno? «In questo caso l’indicazione rimane assolutamente favorevole alla camminata purché a passo veloce» suggerisce De Nardi. «L’esperienza comune a molte persone però è che, nonostante le lunghe camminate, non si riscontrano miglioramenti sensibili per quanto riguarda ritenzione idrica, cellulite e centimetri di troppo. Ma in aiuto arriva una recente tecnologia che abbina la camminata all’effetto sottovuoto o “effetto vacuum”. L'esercizio viene svolto su un tapis posto all'interno di uno speciale macchinario. Mentre si cammina bisogna indossare una gonnellina in neoprene affrancata al macchinario, che permette di depressurizzare lo spazio all'interno della scocca fino a 30mbar. Il beneficio è che la circolazione riesce a raggiungere anche i tessuti più superficiali, dove c’è per l’appunto accumulo di grasso e di metaboliti, irrorandoli al meglio. Questi tessuti vengono arricchiti di ossigeno e sostanze nutritive e, grazie all’aumentata perfusione, vengono più facilmente drenate le scorie e i metaboliti. La pelle diventa più elastica, più luminosa, più liscia e compatta. Cellulite e ritenzione idrica si riducono notevolmente. Inoltre, grazie al lavoro di drenaggio da parte dei reni (la camminata sottovuoto stimola molto la diuresi), le cellule, e di conseguenza i tessuti, si sgonfiano con una conseguente notevole riduzione di centimetri in eccesso, molto più di quanto accade camminando normalmente».
IN FORMA
BELLEZZA
CELLULITE
Combattila così a cura di VIOLA COMPOSTELLA
A
limentazione scorretta, fumo, vita sedentaria. Ma anche squilibri ormonali, contraccezione orale e predisposizione genetica. Sono molte le cause della cellulite, odiato e temuto inestetismo che affligge circa l'85 per cento della popolazione femminile. Ma quali sono le soluzioni? E come si può prevenire? Lo abbiamo chiesto alla dottoressa Marzia Baldi, dermatologa.
DOTTORESSA BALDI COS'È LA CELLULITE E PERCHÉ SI FORMA? La cellulite è una patologia che nasce da numerosi e differenti processi patologici. Spesso viene confusa con i comuni accumuli adiposi: in realtà i due concetti vanno distinti e chiariti. La cellulite o P.E.F.S. (Pannicolopatia Edemato Fibroso Sclerotica) è una patologia del tessuto sottocutaneo degli arti inferiori dovuta a modificazioni del microcircolo e, di conseguenza, del tessuto connettivo adiposo. Nel tessuto sottocutaneo si verifica uno sbilanciamento del tessuto adiposo: le cellule di grasso (adipociti) si “gonfiano” e premono sul microcircolo, provocando ritenzione idrica e un’iniziale infiammazione. Tutto questo si traduce sulla superficie cutanea, inizialmente, con la tipica “pelle a buccia d’arancia” fino poi alla formazione di veri e propri micro e macro-noduli, a una riduzione dell’elasticità e un incremento dell’ipotermia distrettuale. Non dobbiamo comunque dimenticare che la cellulite è un fenomeno patologico complesso in cui convivono aspetti genetici, familiari, stile di vita e eventuali alterazioni endocrine. NEL CORPO FEMMINILE QUESTO GRASSO SI TRASFORMA IN CELLULITE… Sì perché nel corpo femminile e nelle aree più colpite quali fianchi, glutei, addome, fascia supero-esterna di coscia e ginocchio, l’azione degli enzimi lipolitici che sono capaci di “sciogliere” il tessuto adiposo è inibita dall’attività degli estrogeni. È importante quindi che le donne conoscano il tipo di patologia o inestetismo e le sue cause per scegliere il trattamento più adatto. Il primo colloquio con lo specialista rimane prioritario per valutare origine e gravità dell’infiammazione tissutale, prima di proporre ogni possibile terapia. 32
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DOTT.SSA MARZIA BALDI Specialista in Dermatologia - RESPONSABILE AMBULATORI DI DERMATOLOGIA DI HUMANITAS GAVAZZENI -
MA LA CELLULITE SI PUÒ PREVENIRE? Diciamo che uno stile di vita corretto, un’alimentazione sana abbinata a una costante attività fisica, rinunciare a fumo e alcool possono contribuire a ridurne l’insorgenza. ESISTE UNA DIETA CHE AIUTA A RIDURLA? I colleghi nutrizionisti ci dicono che per migliorare il microcircolo andrebbero evitati quegli alimenti che favoriscono la ritenzione idrica e il gonfiore utilizzando meno sale e più spezie per insaporire i cibi, meno cibi conservati (in scatola, sotto sale o in salamoia), meno cibi affumicati, insaccati, affettati, formaggi soprattutto stagionati, snack salati. Inoltre sarebbe utile limitare grassi saturi e zuccheri, presenti quest’ultimi in quantità notevoli nelle bevande e nei succhi. Aiuta senz’altro bere molta acqua, almeno due litri al giorno, per favorire la microcircolazione e l’eliminazione delle sostanze tossiche e di rifiuto che circolano nel nostro organismo. LE CREME FUNZIONANO? La cosmetologia ha fatto passi da gigante indirizzando la ricerca su due filoni: da un lato c’è lo studio di principi attivi lipolitici e in grado di agire sul microcircolo (ad esempio caffeina, atp, berberina, latrofer-
rina), dall’altro c’è lo sviluppo di formulazioni in grado di giungere in profondità, nel tessuto adiposo, pur essendo applicati in superficie, sulla pelle (ad esempio gel, sfere di fosfolipidi o nicleotidi). Per vedere risultati apprezzabili però è fondamentale utilizzarli con costanza e per diversi mesi.
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QUALI SONO I TRATTAMENTI ADATTI A COMBATTERE LA PELLE A BUCCIA DI ARANCIA? La riduzione degli eccessi volumetrici degli accumuli adiposi può avvenire attraverso trattamenti non invasivi, o poco invasivi, che utilizzano la mesoterapia o le onde d’urto. La mesoterapia è una tecnica di infiltrazione di soluzioni iniettabili nel derma, lo strato intermedio della pelle. Le sostanze iniettate sono o di natura omeopatica, detta biomesoterapia, o farmacologica, detta intralipoterapia. La terapia con le onde d’urto è un trattamento di rigenerazione tessutale attraverso la quale si ripristina l’architettura del tessuto adiposo e si migliora il microcircolo e l’elasticità cutanea. Importante quindi è integrare una dieta equilibrata, una costante attività fisica con trattamenti medico-estetici personalizzati ricordando che tutto ciò aiuta a migliorare, ma non a sconfiggere la cellulite che resta una patologia multifattoriale con un’importante predisposizione genetica-familiare.
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PREPARAZIONE Versate la maizena nel latte, quindi mettete sul fuoco in un pentolino e portate a bollore continuando a mescolare. Lasciate sobbollire per un minuto (vi accorgerete del cambio di consistenza), quindi togliete dal fuoco. Unite lo sciroppo d’agave ed amalgamate bene per uniformare il composto. A questo punto potete decidere di incorporare le fragole nel vostro latte in piedi in diversi modi: 1.frullandone qualcuna nell’impasto (attenzione, il colore finale deve risultare rosa, non aggiungete troppe fragole o il composto perderà la sua consistenza ottimale!); 2.tagliandole a fettine ed adagiandole negli stampini, facendole aderire bene alle pareti, per
decorare; 3.creando una salsa con le fragole frullate e (facoltativo) cotte in un pentolino, da aggiungere prima di servire. Qualunque opzione abbiate scelto (potete anche utilizzarle tutte e tre), non vi resta che versare il composto negli stampini e lasciarlo raffreddare, prima a temperatura ambiente e poi in frigorifero per 3 ore almeno. Una volta freddo, rimuovete con cautela gli stampi. Se avete preparato la salsa, questo è il momento di utilizzarla per decorare (attenzione, anche la salsa non deve essere calda, o deformerà i vostri budini!).
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ALTRE TERAPIE
YOGA TERAPIA Non solo relax: sempre più studi dimostrano gli effetti benefici di questa disciplina sulla salute dell’organismo a cura di MARIA CASTELLANO
P
er qualcuno è solo ginnastica. Per altri un modo per rilassarsi. Per la scienza lo yoga è molto più di tutto questo: una disciplina che può aiutare a mantenere lo stato di salute psico-fisica, contribuendo a prevenire e in alcuni casi a “curare” patologie oggi molto diffuse, dall’ipertensione al mal di schiena a problemi di digestione. «Che le tecniche yoga, come le asana (posizioni), il pranayama (respirazione), il rilassamento, la concentrazione e la meditazione aiutino l'individuo a conseguire la consapevolezza, l’equilibrio e l’armonia, è un fatto ormai condiviso nella nostra società. Negli ultimi tempi, inoltre, si sta diffondendo un utilizzo dello yoga come terapia coadiuvante il trattamento
di alcune patologie, in particolare malattie croniche di difficile gestione o con una componente psico-somatica» conferma Elisabetta Fiori, insegnante di yoga.
e la digestione facilitata. Con lo yoga si allena il sistema di adattamento alla vita, si ha una migliore percezione del sé, si sviluppa un atteggiamento amorevole e la positività.
QUALI SONO IN PARTICOLARE I BENEFICI CHE OFFRE? L'aumento dell'efficienza del sistema cardio-circolatorio, il rallentamento del ritmo respiratorio, il miglioramento della tonicità del corpo, l'abbassamento della pressione arteriosa, un rilassamento generale e una riduzione di stress ed ansia. Le pratiche yoga favoriscono inoltre il miglioramento della coordinazione psico-motoria, della postura, della flessibilità articolare e della concentrazione, il sonno risulta più regolare
COME AVVIENE TUTTO QUESTO? Durante la pratica yogica si attivano delle parti della corteccia cerebrale che influiscono sulla nostra capacità di gestire meglio il corpo, aumentando il controllo di sé e la consapevolezza. Inoltre, con la meditazione e lo yoga, si influenzano le strutture che gestiscono la volontà, andando a stimolare quelle aree del cervello che rimarrebbero più pigre, favorendo le possibilità di cambiare a qualsiasi età. In stati come malattie o disturbi di salute invece lo yoga, attraverso particolari asana e pranayama che vanno ad attivare aree diverse del corpo (anche organi interni), agisce in modo completo a livello neuropsichico per la gestione di ansia e stress (vedi box), e quindi nella gestione del dolore, a livello immunitario per l’accrescimento
LO YOGA NON SI SOSTITUISCE ALLE CURE MEDICHE MA LE PUÒ COADIUVARE RISTABILENDO UNA MAGGIORE CONSAPEVOLEZZA DEL PROPRIO CORPO. LO YOGA E LA MEDICINA LAVORANO SINERGICAMENTE PER RISTABILIRE LA SALUTE IN MODO SICURO 44
Bergamo Salute
ELISABETTA FIORI
Insegnante di yoga - PRESSO CORPORE SANO SMART CLINIC DI STEZZANO -
delle difese e di conseguenza a livello endocrino (ormonale) ripristinandone l’equilibrio. CI PUÒ FARE QUALCHE ESEMPIO DI PATOLOGIE O DISTURBI CHE POSSONO TRARRE GIOVAMENTO? Negli ultimi anni sono state pubblicate numerose e interessanti ricerche scientifiche che di volta in volta hanno dimostrato gli effetti dello yoga sulla resistenza allo stress, sulla salute del cuore etc.. Ecco le più interessanti: • Indagini cliniche e scientifiche condotte dalla Bihar School of Yoga e da scienziati in Polonia, e in India, hanno dimostrato che con la pratica delle asana si registra una diminuzione dell’attività simpatica, ovvero delle funzioni involontarie del corpo. Il battito cardiaco e la pressione sanguigna diventano sin-
cronizzati e costanti. Ulteriori indagini sul pranayama hanno rivelato che i praticanti hanno una ridotta attività surrenalica (ovvero del surrene, ghiandola che ha il compito di secernere diversi ormoni che influenzano l'attività dell'intero organismo). Questo può essere interpretato come una maggiore capacità di resistere allo stress. I praticanti hanno diminuito la fatica mentale, migliorato la consapevolezza, diminuito il consumo di ossigeno e utilizzato una capacità polmonare completa. • Uno studio dei ricercatori della Boston University School of Medicine, del New York Medical College e
PER TUTTI, MA DOPO VALUTAZIONE MEDICA Per tutti, ma dopo valutazione medica. Prima di intraprendere una terapia yogica è fondamentale sottoporsi a un completo esame medico da parte di un professionista qualificato che possa valutare se una malattia è sensibile alla disciplina terapeutica dello yoga. Allo stesso modo anche nel seguire la pratica terapeutica yogica è necessaria una guida qualificata.
del Columbia College of Physicians and Surgeons, pubblicato su Medical Hypotheses, ha esaminato in che modo questa disciplina agisca sullo stress. L’ipotesi da cui lo studio ha preso avvio è stata anzitutto confermare che lo stress causi uno squilibrio del sistema nervoso autonomo e una ridotta attività di un particolare neurotrasmettitore inibitorio chiamato “GABA”. Si è visto poi che questo tipo di squilibrio ha i suoi effetti sull’intero organismo: una bassa attività del “GABA”. si è riscontrata nei disturbi d’ansia, nella depressione, nell’epilessia e anche nel dolore cronico. Ebbene, la pratica costante dello yoga è in grado di riportare a livelli di normalità questo neurotrasmettitore. • Un’analisi condotta dai ricercatori dell'Harvard School of Public su 37 studi diversi, pubblicata sull'European Journal of Preventive Cardiology, ha evidenziato come lo yoga contribuisca a ridurre i fattori di rischio cardiovascolare (peso, pressione, frequenza cardiaca, colesterolo etc.), in particolare quando abbinato ai farmaci, tanto da essere consigliabile a “pazienti con una più bassa resistenza fisica come chi convive con disturbi cardiaci preesistenti, gli anziani e chi soffre di dolori muscoloscheletrici o articolari”. Bergamo Salute
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GUIDA ESAMI
ELETTROENCEFALOGRAMMA
non solo per l'epilessia!
DOTT. MARCO RASCAROLI
a cura di MARIA CASTELLANO
Responsabile servizio Neurofisiologia Clinica - ISTITUTI OSPEDALIERI BERGAMASCHI -
R
appresenta un’indagine fondamentale nel percorso di diagnosi dell’epilessia, ma può essere molto utile anche in molte altre condizioni cliniche, frequentemente in età pediatrica oltre che negli sportivi. È Elettro-Encefalo-Gramma (EEG), uno degli esami svolti nell’ambito della specialità di neurofisiologica clinica. «La neurofisiologia clinica è una branca della neurologia che si occupa della valutazione funzionale del Sistema Nervoso Centrale e Periferico, in molti casi in aiuto alla diagnosi clinica e spesso come completamento diagnostico delle indagini neuroradiologiche come la TAC o la Risonanza Magnetica» spiega il dottor Marco Rascaroli, neurologo. «Grazie all’uso di strumenti in grado di analizzare l’attività elettrica generata dal Sistema Nervoso, come l’elettroencefalografo e l’elettromiografo, possiamo documentarne l’integrità o svelare l’eventuale sofferenza delle strutture encefaliche, ma anche di muscoli, nervi sensitivomotori e vegetativi, delle radici che originano dalla colonna vertebrale, delle vie di trasporto del segnale lungo il midollo spinale». DOTTOR RASCAROLI, COME SI SVOLGE QUESTO ESAME? L’esame EEG dura circa 30 minuti e si svolge mediante l’applicazione sullo scalpo di un certo numero di elettrodi in grado di registrare l’attività elettrica generata dal tessuto cerebrale che, attraverso l’ausilio di un’appropriata strumentazione, viene visualizzata sotto forma di traccia. 46
Bergamo Salute
IN QUALI CASI SI RENDE NECESSARIO O PUÒ ESSERE COMUNQUE UTILE? Oltre al ruolo centrale nella patologia epilettica, costituisce un valido strumento nella valutazione di tutte le patologie in grado di modificare o alterare l’attività elettrica cerebrale quali: • lesioni encefaliche sia tumorali sia su base circolatoria • malattie degenerative • alterazioni metaboliche • malattie infettive • stati di coma • riposta terapeutica dei vari farmaci attivi sul sistema nervoso centrale • alcune forme di cefalee • esiti di traumi cranici • disturbi del sonno. ESISTONO TECNICHE PARTICOLARI DI ESECUZIONE Già durante l’EEG standard vengono eseguite alcune prove cosiddette di “attivazione” come l’Iperpnea e la Stimolazione Luminosa Intermittente, grazie alle quali possono essere svelate anomalie dell’attività elettrica cerebrale. In determinate situazioni cliniche, spesso nell’epilessia e specie in età pediatrica e adolescenziale, viene eseguito l’EEG da privazione di sonno: la tecnica di esecuzione è simile all’esame
EEG “standard”, ma ha una durata maggiore e prevede che il paziente si astenga dal dormire la notte che precede l’esame in modo che dorma durante la registrazione del tracciato. Questo ci consente di cogliere specifiche anomalie che osserviamo solo nel sonno oppure monitorare il comportamento di anomalie già osservate durante la veglia. MA È DOLOROSO O RISCHIOSO? L'elettroencefalogramma è un esame indolore, privo di effetti collaterali e può essere effettuato a qualunque età. Di fatto siamo noi che registriamo, in forma di onde di diversa frequenza, l’attività elettrica che il nostro cervello genera. Per questo l'EEG non va confuso con l’elettroshock (terapia elettroconvulsivante). SERVE UNA PREPARAZIONE PARTICOLARE? Non è richiesta nessuna preparazione, ma si raccomanda che i capelli siano puliti evitando di applicare gel, lacche fissanti, spume e brillantina in modo da evitare interferenze con gli elettrodi. È importante che il paziente mantenga i suoi ritmi alimentari per evitare possibili fenomeni di ipoglicemia che possono alterare l’attività elettrica cerebrale.
UNA MALATTIA PIÙ DIFFUSA DI QUANTO SI PENSI Il 5% della popolazione almeno una volta nella vita ha avuto un attacco epilettico, ovvero una scarica elettrica anomala, sincronizzata e prolungata di cellule nervose della corteccia cerebrale. Nell'1% della popolazione questa condizione si ripete nel tempo e allora si parla di malattia epilettica. Le crisi possono essere favorite da fattori che aumentano l'eccitabilità elettrica delle cellule: l'uso o la sospensione improvvisa di certi farmaci, ma anche di droghe o alcool; la mancanza di sonno; l’alterazione degli elettroliti; fattori genetici e metabolici. È possibile in modo generale suddividere le epilessie in due grandi categorie: la primaria o idiopatica, che si manifesta in
età infantile o adolescenziale senza un fattore scatenante; la secondaria o sintomatica, che insorge dopo i 40 anni e può essere scatenata da tumori e traumi cerebrali, ischemie o emorragie cerebrali, trombosi dei seni cerebrali venosi, malformazioni vascolari, e malattie infiammatorie del cervello come vasculiti, meningiti, encefaliti. All’interno di questa suddivisione esistono varie forme di epilessia in rapporto alle aree cerebrali coinvolte, con modalità di espressione clinica molto diverse tra loro e con indicazioni terapeutiche altrettanto diverse. La grande variabilità delle crisi epilettiche e la conseguente specificità delle terapie porta frequentemente il paziente, dopo una prima visita neurologica generale,
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a cura di VIOLA COMPOSTELLA
M
eglio le crocchette o pasti preparati in casa con alimenti freschi? C’è chi non ha dubbi: “meglio le prime, più bilanciate e pratiche”. Chi invece non rinuncerebbe mai a preparare la pappa al proprio cane con le sue mani. Ma chi ha ragione, ammesso che qualcuno ce l’abbia? Quali sono i pro e i contro di entrambe? Lo abbiamo chiesto alla dottoressa Giuseppina Bergami, medico veterinario. «Parlando di alimentazione del cane dobbiamo innanzitutto precisare che la sua digestione è diversa dalla digestione dell’uomo»
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precisa la veterinaria. «Per digerire il pasto infatti, il nostro amico a quattro zampe impiega molto più tempo di quanto impieghiamo noi a digerire il nostro. Inoltre, a causa di carenze di enzimi presenti nella saliva, al cane risulta difficoltosa la digestione (e quindi l’assorbimento) di ingredienti, quali ad esempio il riso e altre fonti amidacee. Dobbiamo anche ricordare che non tutti i cani sono uguali e che le loro esigenze nutrizionali cambiano in rapporto alla fascia d’ età, alla taglia o a particolari situazioni (gravidanza e allattamento)».
DOTTORESSA BERGAMI, COMINCIAMO DALL’ALIMENTAZIONE CASALINGA. QUALI SONO VANTAGGI E SVANTAGGI? Potete nutrire i vostri cani con l’alimentazione cosiddetta casalinga partendo da alimenti “freschi” quali fonti proteiche (evitandone alcune, possibili cause di allergia alimentare), carboidrati, fonti di vitamine e minerali. Essendo diverse le esigenze, in termini nutrizionali, dei cani in crescita, adulti, anziani e in base alla taglia o alla patologia, risulta evidente che la dieta casalinga deve essere opportunamente adattata a queste diverse situazioni. Spesso i proprietari improvvisano, leggendo qua e là, diete che magari sono dannose per il loro cane. La cosa migliore è chiedere consiglio al proprio veterinario. Fate attenzione però: se optate per questa scelta ci sono alcuni alimenti che possono risultare potenzialmente pericolosi per i vostri animali: cioccolato, uva, uvetta, cipolla, aglio, caffè, dolci, ect.. L’alimentazione casalinga, inoltre, vi offre la possibilità di scegliere voi stessi gli ingredienti, anche in base ai gusti del vostro cane, in modo da renderla il più possibile gustosa, risultando anche economicamente vantaggiosa nei cani di piccola taglia. Di contro però, non sempre si riesce a bilanciarla perfettamente nei suoi vari componenti, in special modo quando si tratta di cuccioli di grossa taglia in crescita, cani non più giovani, cani in sovrappeso o cani con particolari problemi di salute. Un altro aspetto da non trascurare è il tempo che dovete dedicare alla preparazione del pasto (anche se per alcuni proprietari può essere un divertente passatempo).
PASSIAMO ALLE CROCCHETTE… Le crocchette, o per meglio dire la dieta commerciale, può rappresentare una valida alternativa all’alimentazione casalinga purché sia di alta qualità cosiddetta “Superpremium” (si può trovare solo nei negozi specializzati per animali). In questi alimenti, infatti, potete trovare tutti i nutrienti di cui necessitano i vostri cani, adeguatamente e correttamente bilanciati, formulati “ad hoc” per diverse esigenze, per esempio razze diverse (diversa dentatura) diverso grado di attività fisica (vita casalinga/ vita all’ aria aperta) e fasce di età. In particolare la dieta commerciale può essere molto utile per nutrire il cane con patologie (sensibilità alimentare, patologie urinarie, renali, epatiche, intestinali ed altre); è importante ricordare che alcune di queste diete sono sconsigliate per lunghi periodi e devono comunque essere sempre prescritte dal medico veterinario. Di contro, la monotonia del gusto
e della forma della crocchetta, unite a volte alla scarsa appetibilità, può portare alcuni cani a stancarsi e rifiutare questo tipo di alimento.
LE REGOLE BASE PER UNA CORRETTA ALIMENTAZIONE Qualunque sia la scelta alimentare per il vostro animale, è importante seguire sempre alcune regole. • Suddividere la razione giornaliera in tre pasti fino all’età di sei mesi; due pasti fino ad un anno, frequenza che sarebbe opportuno mantenere per tutta la vita, salvo indicazioni diverse da parte del medico veterinario. Questo è importante anche per evitare la cosiddetta torsione gastrica o dello stomaco, conosciuta anche come GDV (Gastric Dilatation-Volvolus), patologia che consiste in una rapida dilatazione dell’organo dovuta a un accumulo di gas,
Inoltre non è da trascurare il costo di questi prodotti commerciali che può diventare importante per i cani di grossa taglia.
con relativo ripiegamento, spesso favorita dall’ingestione di grossi quantitativi di cibo e acqua tutti insieme e di aria. • Non lasciare a disposizione del cane, in particolare se cucciolo, la ciotola di cibo per più di venti minuti; se il cane in questa fascia di tempo non mangia, la ciotola viene tolta e riproposta al pasto successivo. Questo serve per evitare, in futuro, che manifesti atteggiamenti “capricciosi” chiedendo ogni volta cibo diverso. Inoltre, come accade in natura, in cui il cucciolo deve mangiare velocemente per evitare che i fratelli gli sottraggano il cibo, è bene riprodurre la stessa modalità di nutrizione anche ai nostri amici di casa.
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DAL TERRITORIO
NEWS
AL PAPA GIOVANNI XXIII DI BERGAMO IMPIANTATO IL PRIMO PACEMAKER GRANDE COME UNA PILLOLA Arriva all’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, il pacemaker più piccolo al mondo. Si è concluso con successo, infatti, il primo impianto con tecnica mini-invasiva del sistema di stimolazione intracardiaco transcatere Micra™ Transcatheter Pacing System (TPS) di Medtronic. Il dispositivo è stato applicato da Paolo De Filippo, Paola Ferrari e Fabrizio Giofrè dell’Unità di Elettrofisiologia ed Elettrostimolazione Cardiaca, a un bergamasco di 75 anni il cui cuore batteva al rallentatore, causando episodi di perdita di conoscenza e a cui il pacemaker tradizionale già impiantato in precedenza aveva dovuto essere rimosso per un’infezione. I dispositivi tradizionali infatti prevedono l’inserimento di speciali cateteri nel muscolo cardiaco, cosa che espone a un maggior rischio di sviluppare infezioni. Poco più grande di una pillola, un decimo di un pacemaker convenzionale, il sistema di stimolazione intracardiaco transcatere Micra™ Transcatheter Pacing System (TPS) brevettato da Medtronic è una vera e propria cardiocapsula, pesa 2 grammi, misura poco più di 2 cm e ha una durata media di 12 anni. Viene impiantato direttamente nella cavità cardiaca attraverso la vena femorale e non prevede l’impianto di elettrodi di stimolazione. Una volta posizionato e ancorato al cuore con piccoli ganci appositamente progettati, emette impulsi elettrici in grado di regolarizzare il battito attraverso un elettrodo posto sul dispositivo. Grazie alla cardiocapsula, sono state superate una serie di problematiche legate al normale pacemaker monocamerale. A differenza delle tradizionali procedure, infatti, quella del Micra TPS, non necessita di alcun filo o elettro-catetere di connessione. Inoltre, non richiede incisioni nel torace né la creazione di una tasca in sede sottocutanea, eliminando così il rischio di potenziali complicanze, soprattutto infettive.
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NONNI E RAGAZZI A SCUOLA DI CUCINA E … SOLIDARIETÀ
Un progetto che concilia la creatività e l’entusiasmo giovanile con l’esperienza dei nonni, uno spazio di sperimentazione per dare una risposta concreta a un’esigenza di welfare urbano, ovvero offrire pasti a persone anziane e sole del quartiere. Succede a Monterosso, grazie all’impegno della San Vincenzo parrocchiale. Protagonista dell’iniziativa è la rete sociale del quartiere che, sotto il coordinamento del Solco Città Aperta, ha inaugurato il connubio culinario tra aspiranti chef e un gruppo di pensionati che dispensano sapienza e abilità gastronomiche maturate negli anni. Non si praticheranno elaborate avanguardie di cucina molecolare bensì ricette antiche di stretta tradizione bergamasca come, per esempio, polenta e coniglio. Gli assaggiatori saranno una ventina di persone bisognose, anziane e sole di Monterosso segnalate dalla San Vincenzo. Per ora si tratta di una fase sperimentale costruita su quattro mercoledì culinari. Se poi ci saranno i presupposti per continuare l’esperienza sarà portata a regime. Il progetto è scaturito dalle relazioni tra la rete sociale del Monterosso e il Solco Città Aperta che gestisce per il Comune di Bergamo il Servizio di assistenza domiciliare e gli spazi giovanili.
AVIS COMUNALE: IN AUMENTO I DONATORI E LE DONAZIONI EFFETTUATE Ottant’anni di solidarietà. Si è tenuta sabato 27 febbraio l’Assemblea annuale di Avis Comunale Bergamo: ricorrenza ancor più speciale, quest’anno, poiché introduce ai primi ottant’anni della sede bergamasca dell’Associazione. L’incontro tenutosi è stato occasione per illustrare i risultati conseguiti nel 2015. Un anno particolarmente interessante con 2.935 donatori attivi (+4,3% rispetto al 2014), 6.118 donazioni effettuate (in aumento di 222 unità rispetto al 2014, in percentuale il 3,77% in più) e 559 nuove iscrizioni (di cui 344 non hanno ancora effettuato la prima donazione, in alcuni casi perché gli aspiranti devono ancora ricevere l’autorizzazione a donare). Il numero soci che, invece, ha già effettuato la prima donazione (215) ingloba alcuni nuovi iscritti del 2014 e permette di constatare che circa il 40% dei nuovi iscritti dona entro l’anno. In particolare, secondo i dati forniti dal Direttore Sanitario dell’Avis Comunale di Bergamo, il dottor Pasquale Scopelliti, sul totale dei donatori, 46 sono stranieri, principalmente romeni, albanesi e senegalesi; per il 75% sono maschi, dai 36 anni in su e le donazioni sono principalmente di sangue gruppo 0 positivo. Nel corso dell’Assemblea è stato presentato anche il bilancio preventivo e consuntivo, dal quale si delinea una solida struttura patrimoniale e finanziaria dell’AVIS Comunale di Bergamo che, tra stanziamenti ed entrate straordinarie previste da sponsor e simpatizzanti, prevede di affrontare l’anno dell’80esimo anniversario con serenità. Per quanto riguarda i proventi, AVIS Comunale Bergamo, anche per il 2015, ha contato sui finanziamenti derivanti dal “5 per mille” che sono stati utilizzati per sostenere le attività di propaganda nelle scuole primarie della città e tutti i progetti destinati a rafforzare sul territorio la visibilità dell’Associazione.
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DAL TERRITORIO
ONLUS
UN MILIONE DI EURO
per aiutare bambini Grande festa per i 25 anni degli Amici del Cuore di Torre Boldone a cura di IRINA CANDUSSO
I
l giorno dell’Epifania gli “Amici del Cuore di Torre Boldone” hanno festeggiato il 25° anniversario. 25 anni durante i quali la Onlus ha raccolto oltre un milione di euro e ha aiutato tante associazioni che operano per sconfiggere malattie, sostenere le cure e la ricerca, assistere ammalati; missionari bergamaschi; bambini provenienti dall’estero per sottoporsi a cure particolari o interventi chirurgici; famiglie di Torre Boldone in gravi situazioni di disagio. «Abbiamo consegnato in mani sicure un milione e 60 mila euro» ci dice il presidente Emilio Mario Colombo. «Ogni euro donato si è trasformato in case, scuole, libri, ambulatori, dispensari, medicine, pane, acquedotti, pozzi e tanto altro in quasi tutto il mondo: in Africa, in Bangladesh, in Brasile, in Bolivia, in Perù, in Romania, in Bielorussia».
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COM’È NATA L’ASSOCIAZIONE? Nasce nel 1991 per merito di un gruppo di amici che volevano aiutare in modo concreto chi più ne aveva bisogno. Abbiamo cominciato, pensando ai bambini, con una festa di beneficenza per il reparto di cardiochirurgia diretto dal professor Parenzan. Una festa che ha avuto risultati molto positivi. Quell'idea, che all'inizio riguardava solo l'aiuto ai bambini cardiopatici, ha preso piede nel tempo concretizzandosi in centinaia di progetti basati su partecipazione e beneficenza uniti alla consapevolezza di poter aiutare qualcuno in modo concreto. Ed è diventata la Festa del Cuore, la manifestazione attraverso la quale ogni anno raccogliamo i fondi necessari per aiutare la nostra comunità e le associazioni che si rivolgono a noi.
PERCHÈ “AMICI DEL CUORE”? Il titolo Amici del Cuore ce l’ha regalato il dottor Burgarella, cardiologo, poeta e scrittore nato nella Bergamasca, che l’ha ideato. Nel frattempo avendo ricevuto richieste di sostegno da parte di famiglie che avevano molte problematiche diverse dallo scopo primario dell’associazione (i bambini cardiopatici), abbiamo deciso di allargare il nostro cuore in altre direzioni. Il percorso intrapreso è stato ricco di soddisfazioni ed esperienze meravigliosi, venire a contatto con persone problematiche ci ha reciprocamente arricchiti. QUALI SONO GLI OBBIETTIVI DELL’ASSOCIAZIONE? Gli obbiettivi rientrano nella categoria della solidarietà nella sua forma più classica. Tra questi, uno dei principali è quello di sensibilizzare
il territorio ad aiutare la ricerca sulle malattie cardiovascolari e sostenere famiglie in difficoltà con bambini cardiopatici. Attraverso manifestazioni, incontri, feste popolari ed eventi sportivi, vengono raccolti fondi da devolvere a singole persone o famiglie disagiate in Italia o all'estero. Si collabora economicamente e operativamente alle iniziative solidali promosse da associazioni di volontariato, ONG, Fondazioni, associazioni di promozione culturale, istituzioni pubbliche e private e vengono sostenuti progetti di cooperazione internazionale. Il fine che ci proponiamo è quello di aiutare, essere di sostegno l'uno con l'altro e sostenere chi è più nel bisogno. CHE TIPO DI INIZIATIVE DI RACCOLTA FONDI IN PARTICOLARE ORGANIZZATE? L'attività dell'associazione viene finanziata attraverso la raccolta di donazioni e la realizzazione di feste popolari. La Festa del Cuore è il nostro fiore all’occhiello e la principale raccolta fondi da devolvere in
beneficenza a sostegno di progetti di solidarietà e di cooperazione internazionale. Rappresenta per noi l'impegno più grande di tutte le iniziative annuali. C'è poi la festa Amici in Cammino, una Festa che cresce anno dopo anno con la gratuita collaborazione dei gruppi presenti sul territorio animati da un bene comune "i ragazzi e la loro crescita”. Oltre alle nostre iniziative proprie, dell'associazione Amici del Cuore di Torre Boldone, collaboriamo in altre manifestazioni: la Gran Fondo Felice Gimondi; la Festa di San Martino, patrono di Torre Boldone, con gli Alpini. COME VENGONO POI ASSEGNATI I FONDI RACCOLTI? In base alle richieste che riceviamo; nel 2015 abbiamo avuto 27 richieste di aiuto e siamo riusciti a soddisfarne 15. Le domande di aiuto arrivano da diversi Paesi nel mondo, tuttavia noi ci concentriamo su progetti specifici, come possono essere un reparto di maternità piuttosto che
una casa della collettività, una sala della pacificazione, una scuola, un lebbrosario. Tutti i contatti vengono valutati con attenzione e i progetti vengono scelti in base alle necessità e alla qualità degli stessi dedicando sempre una particolare attenzione al nostro territorio, come dimostra la collaborazione con diverse ramificazioni della parrocchia e il centro di ascolto che aiuta le famiglie del territorio. E ORA COSA VI PROPONETE PER IL FUTURO? Riuscire a integrare il nostro gruppo con nuove forze, nuove idee, nuove persone. Tutte le esperienze fatte sino a ora hanno fatto sì che noi migliorassimo sia come uomini sia come comunità, e pur non avendo fatto nulla di eccezionale, siamo orgogliosi di aver dato un aiuto concreto a chi più ne aveva bisogno impegnandoci a favore del prossimo, perché donare è fonte di gioia e dove il nostro aiuto non basterà ci sarà l'intervento di altre mani generose e della provvidenza.
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DAL TERRITORIO
FARMACIE
NUTRACEUTICA
Quando il cibo diventa medicina DOTT.SSA MANUELA PEDRAZZOLI
a cura di ELENA BUONANNO
“F
ai che il cibo sia la tua medicina e che la tua medicina sia il cibo”. Ippocrate, medico greco e padre fondatore della medicina occidentale moderna lo scriveva già nel V secolo a.C., ma ci sono voluti più di 2.500 anni perché nascesse la nutraceutica, nuova disciplina che si pone l’obbiettivo di individuare e studiare con rigore scientifico i componenti benefici dei diversi alimenti, evidenziandone gli effetti positivi sullo stato di salute dell’individuo. Un campo interessante e di sempre più attualità, che cerchiamo di conoscere meglio con l’aiuto della dottoressa Manuela Pedrazzoli, farmacista. DOTTORESSA PEDRAZZOLI, SU QUALI PRINCIPI SI BASA QUESTA DISCIPLINA? Il termine “nutraceutica” è un neologismo coniato dal medico statunitense Steven de Felice e deriva dall’unione dei termini nutrizione e farmaceutica, proprio per sottolineare la valenza terapeutica del cibo di cui ci nutriamo quotidianamente. In generale, oggetto della nutraceutica sono alimenti di origine animale, vegetale o microbica in cui siano stati identificati, sulla scorta di evidenti e consistenti studi scientifici, componenti biologicamente attivi (in genere non nutrienti) in grado di influire positivamente sul benessere psicofisico e quindi sullo stato di salute. Nutraceutico è quindi un alimento (definito funzionale) o parte di esso, per cui sia stato sufficientemente dimostrato un effetto benefico su una o più funzioni del corpo, tanto da risultare rilevante nel mantenere o 54
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Farmacista - MASTER IN DIETETICA E NUTRIZIONE CLINICA -
promuovere uno stato di benessere o salute ovvero nella riduzione del rischio di un processo patologico o di una malattia. CI PUÒ FARE QUALCHE ESEMPIO DI ALIMENTO CON PROPRIETÀ NUTRACEUTICHE? Alimenti a cui sono attribuite proprietà nutraceutiche sono ad esempio l’uva, per il suo contenuto in resveratrolo, dal potente effetto antiossidante; il pesce azzurro grazie al suo contenuto in acidi grassi polinsaturi Omega 3, con importanti effetti sul mantenimento della normale funzione visiva, cerebrale
e cardiaca; i prodotti che contengono fibra solubile come la buccia dei semi di plantago per ridurre l’ipercolesterolemia. E ancora la soia con i suoi isoflavoni, il pomodoro grazie al licopene; la frutta e la verdura in generale per il contenuto in vitamine e sali minerali e alimenti contenenti complessi enzimatici e probiotici. BASTA CONSUMARE GLI ALIMENTI GIUSTI PER ASSUMERE QUESTE “SOSTANZE” BENEFICHE NELLE QUANTITÀ UTILI? Oltre a essere introdotti con l’alimentazione, i complessi biologi-
camente attivi contenuti negli alimenti funzionali possono essere assunti anche sottoforma di integratori alimentari (in compresse, capsule, fialoidi, gocce, etc.), soprattutto nel caso in cui, al di là di una dieta equilibrata, si renda necessario un intervento di ottimizzazione fisiologica. MA QUINDI TUTTI GLI INTEGRATORI SONO NUTRACEUTICI? Gli integratori sono definiti dalla normativa comunitaria come “… prodotti alimentari destinati ad integrare la comune dieta …e possono contribuire al benessere ottimizzando o favorendo la normalità delle funzioni dell’organismo con l’apporto di nutrienti o altre sostanze ad effetto nutritivo o fisiologico”. La differenza tra integratori e nutraceutici, sebbene a oggi non sancita da nessuna normativa europea, sta nel fatto che questi ultimi vantano nello specifico effetti di prevenzione o riduzione del rischio di malattia. In assenza di una normativa comunitaria chiara e inequivocabile in materia,
considerate le importanti ripercussioni che tali prodotti possono avere sullo stato di salute del consumatore, per tutelarlo affinché si concretizzino i reali effetti benefici attesi dal loro utilizzo, nel 2002 è stata istituita l’EFSA, Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare. Questo ente ha anche il compito, tra gli altri, di verificare che le indicazioni riportate sulle etichette o confezioni di questi prodotti riguardino effetti documentati e non siano fuorvianti o ingannevoli. Facciamo un esempio per semplificare ulteriormente questo concetto. Il riso rosso fermentato è un alimento funzionale ottenuto dalla fermentazione del riso comune a opera del lievito Monascus Purpureus (lievito rosso). Il processo di fermentazione arricchisce il riso di sostanze chiamate monacoline (in particolare monacolina K), che hanno comprovate proprietà ipocolesterolemizzanti (ovvero abbassano il colesterolo). Nel 2011 l’EFSA ha dato parere favorevole, sulla base dei dati scientifici, all’indicazione salutistica che recita: “la monacolina K del riso rosso contribuisce al mantenimento di livelli normali di colesterolo nel sangue” solo per prodotti che garantiscono “un apporto giornaliero di 10 mg di monacolina K del riso rosso. L’indicazione va accompagnata dall’informazione al consumatore che l’effetto benefico si ottiene con l’assunzione giornaliera di 10 mg di monacolina”. Ecco quindi che solo ed esclusivamente gli integratori alimentari che contengono le suddette quantità di sostanza attiva (monacolina K) potranno, in qualità di nutraceutici, vantare il benefico effetto di contribuire a mantenere adeguati livelli di colesterolo LDL (colesterolo cattivo), effetto importante per favorire un buono stato di salute. PERCHÉ RICORRERE ALLA NUTRACEUTICA? Nei paesi occidentali, l’aumento dell’aspettativa media di vita e il
conseguente progressivo invecchiamento della popolazione da un lato e ritmi sempre più frenetici dall’altro, possono condurre all’instaurarsi di scorrette abitudini alimentari che, se associate a una scarsa attività fisica e a una predisposizione genetica, possono determinare l’insorgenza di patologie quali obesità, diabete, malattie cardiovascolari. In questo contesto la nutraceutica trova il suo campo d’azione, proponendo soluzioni di prevenzione che vanno oltre la dieta dell’individuo, ma precedono la necessità di ricorrere all’utilizzo del farmaco vero e proprio. La nutraceutica costituisce quindi uno strumento di fondamentale importanza per migliorare lo stato di salute, prevenire l’insorgenza di condizioni patologiche croniche, ritardare il processo di invecchiamento. COME DEVE ORIENTARSI IL CONSUMATORE? Appare evidente che non è affatto facile per il consumatore, bersagliato dal “gossip salutistico” attraverso stampa, tv, social media, destreggiarsi nel mondo sempre più vasto, complesso e a volte nebuloso dell’alimentazione in generale e della nutraceutica in particolare. Da qui la necessità di rivolgersi a personale sanitario professionalmente qualificato e competente (il proprio medico di famiglia, il nutrizionista, il farmacista di fiducia) per poter avere indicazioni adeguate e personalizzate in merito allo schema alimentare bilanciato più consono alle proprie esigenze nutrizionali, al proprio stile di vita. E perché no, anche per poter ricevere consigli sulla possibilità di colmare, ricorrendo ad alimenti funzionali specifici o integratori nutraceutici quando necessario, le eventuali carenze in cui, seppur in buono stato di salute, si può incorrere in particolari fasi della vita (adolescenza, gravidanza, allattamento, periodi di intensa attività fisica o lavorativa, menopausa, vecchiaia). Bergamo Salute
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DAL TERRITORIO
IL LATO UMANO DELLA MEDICINA
NELLA MIA MUSICA
c'è la natura Intervista a Corrado Rossi tecnico di Anatomia Patologica di giorno e compositore di sera. Le sue opere hanno vinto due importanti premi a Los Angeles a cura di LUCIO BUONANNO
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a sua musica è senza confini. L’ultima composizione “In the peony garden” (Nel giardino delle peonie), registrata in studio a Budapest con un quartetto d'archi di artisti ungheresi, ha vinto il primo premio per la musica classica dell’Akademia Music Award di Los Angeles. Incontriamo l’autore, il bergamasco Corrado Rossi, 46 anni, il giorno dopo il riconoscimento americano. Ha appena finito il suo turno al Policlinico di Ponte San Pietro dove lavora come tecnico di Anatomia Patologica e subito dopo andrà a casa a scrivere altri pezzi. «È la mia passione, non ho altri hobby se non il pianoforte e la tastiera elettronica» ci dice. «Ora sto preparando un nuovo album ispirato dalla lettura di un libro di fantascienza “The Martian” di Andy Weir da cui è stato tratto anche il film “Il sopravvissuto-The Martian” con la regia di Ridley Scott. Sia il libro che il film mi hanno affascinato e ora voglio tentare un esperimento nuovo: creare una colonna sonora per i vari capitoli del libro. Uno legge il romanzo e con le cuffie può sentire la musica ispirata da quelle pagine. Weir, con il quale sono in contatto, mi ha detto che non vede l'ora di ascoltare l'album».
Corrado Rossi è un compositore molto apprezzato negli Stati Uniti dove nel 2011 ha vinto l’Hollywood Music Awards di Los Angeles per il miglior brano nella categoria “Ambient” con “Eclipse”. E di premi ne ha avuti tanti, in Italia e all’estero. 56
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«In America sono andato con mia moglie e mio figlio che allora aveva otto anni. Avevo visto che oltre alla sezione dei big ce n’era anche una per gli emergenti e ho mandato il mio brano. Quando ho ricevuto la email della nomination quasi non ci credevo. E’ stata la giornata più bella della mia vita artistica. Quando tra i quindici musicisti provenienti da tutto il mondo e in lizza per il genere “new age-ambient” ho sentito scandire il mio nome come vincitore, sono rimasto senza parole. Un’emozione incredibile». Corrado ha cominciato ad amare la musica fin da bambino quando i genitori gli regalarono una pianola. «Fu un amore a prima vista.
Non riuscivo più a staccarmi dalla tastiera. Papà e mamma mi iscrissero all'Accademia Santa Cecilia in via Sant’Alessandro a Bergamo dove si insegnava soprattutto musica sacra. E ho continuato tra lo studio al liceo e al conservatorio di Brescia dove nel 1997 mi sono diplomato in pianoforte con il maestro Giuseppe Fugazza. Nello stesso tempo sono diventato tecnico di laboratorio e ho cominciato a lavorare, vincendo una borsa di studio, all’Ospedale San Raffaele di Milano. Poi sono passato a Ponte San Pietro come tecnico di Anatomia Patologica: qui si studiano le malattie con esami macroscopici e microscopici dei tessuti e delle cellule. In pratica si
eseguono analisi, vetrini, biopsie, esami citologici e via dicendo tutti i giorni. Spesso però vengo preso dallo sconforto quando vedo che i risultati delle analisi sono positivi e che alcuni pazienti hanno gravi problemi di salute. E allora, quando torno a casa, prima ancora di cenare, mi metto al piano o alla tastiera e scarico in musica tutta la mia tensione. Ma queste composizioni restano nel mio archivio. Non le userò mai. Mi servono solo per dimenticare, per ritrovare la pace interiore». La sua musica infonde davvero un senso di pace. Ascoltare le sue composizioni dà serenità. Fa “vedere” la natura come in “Sunset on the lake” (Tramonto sul lago), “The big lone tree” (Il grande albero solitario) e via dicendo. «In questo album mi sono ispirato all’ambiente. La mia è una musica con una base elettronica ed anche un po' sinfonica che cerca di dare un’emozione a chi ascolta». Com è avvenuto a fine gennaio quando all’Auditorium di Piazza della Libertà è stato protago-
nista a “Orobie Film Festival 2016” con un breve concerto: i suoi brani hanno fatto “vivere” le montagne e i loro suoni, emozionando il pubblico. Ed è forse la stessa emozione che ha provato a otto anni quando ha suonato per la prima volta al Teatro Sociale di Sorisole, dove abitava, su un pianoforte a coda o quando ha fatto il suo secondo concerto, applauditissimo, in quinta elementare suonando per i compagni sulla sua pianola. O quando ancora anni fa ha conosciuto sua moglie Anna, nel coro del Santuario della Madonna dei Campi. «Mancava un orga-
nista per accompagnare il coro e mi chiesero di dare una mano. Anna era la direttrice della Corale: ora siamo marito e moglie. Lei è la mia prima ascoltatrice e “critica musicale” e spesso mi dà dei suggerimenti». Ma Corrado Rossi ora ha un erede. Il figlio Davide suona il violino e frequenta il conservatorio di Bergamo. «È bravo anche se il violino è uno strumento difficile; la domenica suoniamo insieme qualche pezzo. È l’unico giorno in cui si sente suonare in casa mia. Abitando in un condominio, normalmente io uso le cuffie e il computer per creare i miei brani».
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DAL TERRITORIO
ERITROCHERATOLISI HIEMALIS
A.R.M.R.
INSIEME CONTRO LE MALATTIE RARE Le Malattie Rare sono un ampio gruppo di patologie (circa 6000 secondo l’OMS), accomunate dalla bassa prevalenza nella popolazione (inferiore a 5 persone per 1000 abitanti secondo i criteri adottati dall’Unione Europea). Con base genetica per l’80-90%, possono interessare tutti gli organi e apparati dell’organismo umano. In questo numero parliamo di eritrocheratolisi hiemalis.
INCONTRI CON I SOCI E GLI AMICI DI A.R.M.R •7 APRILE Ore 19 - Assemblea annuale soci A.R.M.R. Villa Camozzi - Ranica A.R.M.R. Festeggia i suoi 22 anni Seguirà Buffet preparato e offerto dalle socie A.R.M.R • 15 APRILE Ore 20 da Vittorio alla Cantalupa - Brusaporto Gran Galà con Cena di Gala A.R.M.R. “bordo piscina” • 29 APRILE Ore 20 Cena Menù Siciliana Istituto Alberghiero San Pellegrino Organizzata e gestita dagli studenti dell'Istituto alberghiero I.P.S.S.A.R. di San Pellegrino, guidati dai docenti Per i tre eventi info e prenotazioni Telefono 035.798.518 @mail: presidenza@armr.it - segreteria@armr.it
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Codice esenzione. RL0010 Categoria. Malattie della pelle e del tessuto sottocutaneo. Definizione. L’eritrocheratolisi hiemalis o eritema invernale cheratolitico è caratterizzata da eritema e desquamazione palmo-plantare ricorrente, con tipico peggioramento durante la stagione invernale. Epidemiologia. Si tratta di una patologia molto rara, osservata dapprima unicamente tra famiglie del Sud Africa, discendenti da popolazioni francesi originarie del distretto di Oudtshoorn (con una prevalenza molto elevata 1:7000 a causa dell’effetto del fondatore), ma recentemente descritta anche in un ampio “pedigree” tedesco. Segni e Sintomi. Caratteristica è la desquamazione centrifuga palmo-plantare, che può estendersi alla superficie dorsale di mani e piedi e agli spazi interdigitali. Questi episodi possono essere preceduti da iperidrosi e sensazione di prurito. L’eritema a volte si accompagna a lesioni vescicolari asciutte, superficiali, che vanno incontro a desquamazione o possono essere rimosse lasciando un arrossamento residuo. Queste eruzioni si ripetono ciclicamente per alcune settimane, ma la cute appare normale tra un attacco e l’altro. Il clima freddo e asciutto rappresenta un fattore precipitante. Altri fattori scatenanti sono febbre, stress, ciclo mestruale; si assiste a miglioramento durante la gravidanza e in età avanzata. Eziologia. La malattia è di origine genetica; il gene responsabile è localizzato sul cromosoma 8 (8p22-p23). Diagnosi. Viene formulata in base a criteri clinici; l’esame istologico mostra ipercheratosi, paracheratosi, assenza dello strato granuloso, edema cellulare. Terapia. Non sono ancora stati individuati dei rimedi terapeutici efficaci, in quanto la terapia topica con retinoidi, cheratolitici e steroidi ha dimostrato di poter aggravare la dermatosi. Dott. Angelo Serraglio Vice Presidente Commissione Scientifica ARMR
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NON SOLO MEDICI
IL TECNICO ORTOPEDICO
una figura sempre più familiare per il nostro benessere a cura di GIULIA SAMMARCO
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apita sempre più spesso oggi di aver bisogno di protesi, ortesi, plantari, ausili di diverso genere. Per correggere ad esempio problemi osteoarticolari e disturbi dovuti a patologie oppure all’età, offrire un sostegno in seguito a traumi o ancora “bilanciare” difetti di postura. In tutti questi casi il professionista di riferimento, dopo il medico ovviamente, è il tecnico ortopedico, una figura diventata negli ultimi anni sempre più familiare. Ma quali sono le sue competenze nello specifico? In che modo collabora con il medico? Scopriamolo insieme, con l’aiuto di Nicola Perrino, tecnico ortopedico (T.O.). CHE TIPO DI FIGURA È IL TECNICO ORTOPEDICO? Il Decreto Ministeriale 14/9/94 n° 665 individua la figura professionale del tecnico ortopedico con il seguente profilo: “il tecnico ortopedico è l'operatore sanitario che, in possesso del diploma universitario abilitante, su prescrizione medica e successivo collaudo, opera la costruzione e/o adattamento, appli-
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cazione e fornitura di protesi, ortesi e di ausili sostitutivi, correttivi e di sostegno dell'apparato locomotore, di natura funzionale ed estetica, di tipo meccanico o che utilizzano l'energia esterna o energia mista corporea ed esterna, mediante rilevamento diretto sul paziente di misure e modelli”. In altre parole, il tecnico ortopedico costruisce, usando materiali e/o semilavorati, innumerevoli dispositivi cosiddetti "su misura", cioè personalizzati su ogni singolo paziente. È un po' come andare dal sarto: siano scarpe, protesi o busti, in alcuni casi vengono costruiti per la funzione a cui sono adibiti ma anche con un occhio di riguardo alla comodità e l'immagine della persona "costretta" a portarli. In altri il tecnico ortopedico adatta o personalizza dei dispositivi predisposti dalle grandi industrie sul singolo paziente e lo addestra all'uso e alla manutenzione. SE UNA PERSONA, AD ESEMPIO, SOFFRE DI MAL DI SCHIENA, PUÒ RIVOLGERSI DIRETTAMENTE A LUI?
Il tecnico ortopedico come altre professioni sanitarie agisce per una serie di atti “dietro prescrizione medica” come previsto dall’art.1 del Decreto del Ministero della Sanità 14 settembre 1994 n.665. Il rapporto tra il medico e il tecnico ortopedico è quindi mediato dalla prescrizione medica. Una volta avuta la prescrizione, il tecnico ortopedico sviluppa la sua autonomia in relazione alla prestazione professionale richiesta. QUALI SONO LE FASI DI LAVORAZIONE DI UN DISPOSITIVO CHE GLI COMPETONO? La costruzione di un dispositivo su misura o di serie predisposto, effettuata dal tecnico ortopedico, avviene attraverso le seguenti fasi: • Valutazione esigenze funzionali dell'ausilio prescritto dallo specialista • Analisi di rischio di utilizzo • Progettazione • Rilevamento misure e calco negativo • Stilizzazione e correzione del calco positivo • Correzione del grafico • Costruzione dei componenti prodotti individualmente su calco o in base alle misure • Assemblaggio e allineamento provvisorio • Prove: allineamento statico • Prove allineamento dinamico • Finitura • Redazione della fascicolazione tecnica in riferimento alla qualità del prodotto in conformità con la direttiva 93/42 CEE • Verifica e consegna dell'ausilio • Addestramento e spiegazione per un corretto utilizzo.
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DAL TERRITORIO
TESTIMONIANZA
NOÈ
il mio piccolo guerriero Nato alla 28° settimana ha lottato per sopravvivere. Insieme a lui i medici del reparto di Patologia Neonatale dell’Ospedale Bolognini e soprattutto la sua mamma Fabiola, che ha scritto per noi questa toccante testimonianza, un invito a non mollare e a non perdere mai la speranza a cura di FABIOLA NORIS
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settembre 2014. Questo è il giorno in cui sarebbe dovuto nascere Noè, la “data presunta del parto”, ma la realtà è che il 25 settembre erano già 3 mesi che il nostro piccolo era ricoverato in ospedale. Noè è infatti nato prematuro, o come preferiamo dire noi “prima del tempo”, e più precisamente alla 28° settimana, 6 mesi esatti, per una grave pre-eclampsia. La settimana prima che venissi ricoverata d’urgenza io e mio marito eravamo in vacanza a Kos, in Grecia; spaparanzata sulla spiaggia, il venticello che allietava le giornate, aperitivo, partitella a briscola, una vittoria al torneo di freccette, kalispera, kalimera e kalimitti: sette giorni dopo ero in un letto di ospedale e non sapevo se il mio piccolo sarebbe sopravvissuto e io con lui. Noè doveva nascere a inizio autunno e invece, due giorni dopo il mio trentesimo compleanno, il 3 luglio alle 19.43 ha visto la luce: uno scricciolo pelle e ossa lunghissimo, 960 grammi di puro splendore, il mio piccolo guerriero, il mio eroe. Il taglio cesareo è stata la parte più semplice, anche perché io a parte tremare per il freddo e pregare non ho fatto un granché. Il bello è arrivato dopo, giorno dopo giorno, grammo su grammo, le complicazioni che si 62
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presentavano puntualmente e la sensazione di non andare avanti, di non vedere la luce in fondo al tunnel e poi la parte più difficile: ritornare a casa ogni giorno senza di lui. Hai un figlio e non puoi averlo vicino a te, razionalmente lo sai che è per il suo bene, ma il cuore non ce la fa a reggere questo peso. Noè è rimasto 112 giorni in Terapia Intensiva Neonatale
(TIN). C’erano i bip, le luci sui monitor e la piccola “arca” con dentro Noè. Ho aspettato 2 giorni per entrare in quella stanza: il dolore per il cesareo e la paura mi trattenevano. Il bimbo era solo ossa, bellissimo. Indossava berretto e babbucce di lana, aveva un pannolino enorme. Cerotti e tubicini mi impedivano di accarezzarlo: sfiorare la sua pelle traspa-
rente poteva causargli dolore. Ho potuto solo appoggiare le mani, con i guanti di lattice, sul capo e sulla pancia per trasmettergli calore, presenza, forza. Circa 3 mesi e mezzo così e poi finalmente l’abbiamo portato a casa e tutto è ricominciato, con un po’ più di apprensione soprattutto i primi tempi visto che aveva ossigeno e saturimetro, ma con una consapevolezza maggiore riguardo la fortuna di averlo con noi. 1 bambino su 10 nasce prematuro, prima di vivere questa esperienza non lo sapevamo, poi con la nascita di Noè siamo entrati in questo nuovo mondo, una sorta di “terra di mezzo” dove i bimbi nati prima del tempo crescono e diventano forti, alimentati oltre che dall’amore dei propri genitori dalle cure indispensabili di medici e infermieri. In questi mesi ho raccolto i ricordi, le emozioni, il dolore, la speranza di questa esperienza chiamata TIN ed è nato un libricino: “L’Arca di Noè. Storia di un piccolo guerriero e della sua mamma”. L’ho scritto prima di tutto per me stessa per aiutarmi a rielaborare l’accaduto e poi per Noè, un piccolo regalo, perché quando sarà grande potrà leggere la sua storia. Condividendo la nostra esperienza, la speranza è di poter aiutare tutti quei genitori che come noi si troveranno ad affrontarla, infondendo un po’ di coraggio e trasmettendo energia positiva. Ma non solo, mi auguro anche che possa servire a rendere visibile la lotta di questi piccoli guerrieri e dei loro genitori, di questo mondo di bimbi "piccini picciò" che devono tirare fuori fin da subito la grinta e la forza per lottare e continuare a vivere. Di seguito un piccolo estratto che rappresenta perfettamente la condizione dei genitori che vivono la TIN, la sensazione del tempo che non passa e i particolari normalmente dati per scontati che si trasformano in preziosi rituali.
Sabato 11 ottobre 2014 Sono 100 giorni che Noè è nato. 100 giorni che veniamo in ospedale. Ho aspettato 2 giorni prima di poterlo vedere per la prima volta, 2 giorni per sfiorarlo con i guanti di lattice, 10 giorni per avere il permesso di toccarlo senza guanti, 12 giorni per poterlo prendere in braccio per 15 minuti, 36 giorni per presentarlo alla nonna Wilma, 40 giorni per presentarlo ai miei genitori, 46 giorni per metterlo sul mio petto e sentire il suo calore, 59 giorni per vederlo vestito e in un letto normale, 59 giorni per stare noi tre insieme per 10 minuti, 69 giorni per dargli il primo biberon, 69
UN LIBRO PER AIUTARE LE MAMME COME LEI Fabiola Noris ha 31 anni ed è di Scanzorosciate. L’intero ricavato de “L’Arca di Noè. Storia di un piccolo guerriero e della sua mamma”, libro scritto per raccontare la sua esperienza e pubblicato grazie all’Associazione Onlus “Insieme per Crescere” (www.insiemepercrescere. org) di Seriate, sarà devoluto alla Patologia Neonatale dell’Ospedale Bolognini di Seriate, il reparto che ha avuto in cura Noè (per chi fosse interessato all’acquisto è necessario contattare l’Associazione inviando una mail a info@ insiemepercrescere.org).
giorni per cambiargli il primo pannolino, 73 giorni perché conoscesse la zia Serena, 87 giorni per vederlo in braccio a Renato, 90 giorni per il primo bacio, 97 giorni per fargli il primo bagnetto, 98 giorni per attaccarlo al seno. E oggi siamo a 100. Non so quanti ne mancano a portarlo a casa e iniziare a vivere la mia famiglia in modo normale. Ma proprio adesso che la fine si avvicina sento il peso di questi 100 giorni, e le ore che mi separano dalla fine sembrano durare mesi interi. Ecco, questo è il mio bilancio dopo 100 giorni di TIN, l'attenzione al particolare che può fare la differenza, quando tutto quello che dovrebbe essere normale vita quotidiana, si trasforma in una conquista giorno dopo giorno. E oggi avevo voglia di scrivere, non del solito caffè. 100 giorni e io non ci sto più dentro. Noè vedi di finire di costruire la tua arca, perché è ora di salpare. Alla fine, dopo 100 lunghissimi giorni, Noè è salpato. Ha attraversato molte tempeste, problemi al pancreas e al fegato, ittero, anemia, una dolorosa ernia inguinale per cui è stato operato. Ha un lieve soffio al cuore. Ma oggi, a 17 mesi di vita, sta bene. È inserito nel follow up, il programma di controlli che segue i prematuri fino ai 3 anni, e all’ultima visita ci hanno rassicurati su tutto. Lo allatto ancora al seno, guardo i suoi occhi seri che mi scrutano e penso che, in fondo, abbiamo soltanto avuto un inizio un po’ più difficile. Bergamo Salute
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STRUTTURE
ISTITUTO CLINICO QUARENGHI
Una nuova palestra
PER LA RIABILITAZIONE CARDIOLOGICA Un punto di riferimento di eccellenza per rispondere anche alle nuove applicazioni della cardiochirurgia mininvasiva a cura di MARIA CASTELLANO
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che imponeva la nuova branca. Al centro della vita del nuovo reparto di riabilitazione cardiologica si poneva la palestra, il “cuore” dell’attività assistenziale, l’ambiente che doveva accogliere confortevolmente i pazienti e ospitare tutta quella serie di apparecchiature e attrezzature atte a rispondere alle specifiche necessità riabilitative della nuova disciplina. Dopo 40 anni e oltre 18.000 pazienti trattati (con il tempo alla riabilitazione cardiologica si è aggiunta la riabilitazione respiratoria, vascolare, dell’obesità e oncologica, integratesi alla riabilitazione neuromotoria che aveva avuto avvio nel 1966), nel 2015 si è deciso di intervenire nuovamente sulla palestra, con lo spe-
cifico intento di implementarne la superfice e rinnovarne l’aspetto. Il giorno 25 gennaio la nuova palestra è stata presentata a un gruppo di medici di medicina generale e di specialisti in cardiologia e cardiochirurgia a cui sono stati illustrati gli scopi e le motivazioni alla base delle scelte attuate per i lavori di sviluppo e riammodernamento. «In primo luogo, per guadagnare metri preziosi e aumentare gli spazi vitali a disposizione dei pazienti, si è provveduto alla fusione della preesistente palestra con lo studio medico di cardiologia (spostato qualche metro più in là» spiega il dottor Raffaele Morrone, direttore medico di Presidio.
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a riabilitazione cardiologica dell’Istituto Clinico Quarenghi di S. Pellegrino Terme parte molto precocemente, a metà degli anni ’70, quando gli enormi progressi della cardiochirurgia di quegli anni intercettarono la curiosità dei fratelli Quarenghi che, con grande entusiasmo e lungimiranza, ne intuirono le potenzialità e svilupparono una tra le prime Unità Funzionale di Riabilitazione Cardiologica, nell’ambito dell’intero panorama sanitario nazionale. Alla brillante intuizione dovette però seguire la fase attuativa, che comportò un’impegnativa serie di lavori di ristrutturazione e di adattamento degli spazi preesistenti alle specifiche necessità
«Per accrescere la sensazione di ampiezza e rendere l’ambiente più caldo ed accogliente per i pazienti, si è optato per scelte cromatiche che privilegiassero la luminosità, ricorrendo quindi a una morbida tinteggiatura gialla per le pareti e per il pavimento a un moderno e luminoso PVC, effetto parquet chiaro, antiscivolo e idoneo per riscaldamento radiante. Il lavoro di restyling si è concluso con un accurato progetto illuminotecnico costituito da 6 corpi a luce indiretta per il confort visivo dei pazienti, in particolare per coloro che compiono esercizi riabilitativi a terra, per i quali è attivo anche il riscaldamento a pavimento che assicura una valida protezione dal contrasto termico». La nuova palestra, ristrutturata secondo criteri di ottimizzazione dell’assistenza e dell’accoglienza, è
dotata della strumentazione necessaria al monitoraggio dell’attività elettrica cardiaca in corso di attività motoria. «È infatti frequentata da pazienti che hanno subito recenti interventi di cardiochirurgia valvolare, di rivascolarizzazione cardiaca mediante by–pass aortocoronarico, di angioplastica coronarica percutanea relativamente all’area cardiologica, ma anche da pazienti affetti da importanti malattie respiratorie e circolatorie e quindi anch’essi necessitanti di un attento monitoraggio» continua il dottor Morrone. Alla presentazione della palestra è seguito un interessante confronto multidisciplinare sull’attualità e sui benefici della riabilitazione cardiologica alla luce delle nuove tecniche di cardiochirurgia mininvasiva,
transtoracica e transcatetere. «Dal partecipato e intenso dibattito è emerso che l’attività riabilitativa rivolta ai pazienti cardiopatici operati con tecniche microchirurgiche, come d’altronde con le tecniche interventistiche “standard”, resta un passaggio fondamentale per ottenere il miglioramento della tolleranza allo sforzo fisico, la riduzione della sintomatologia, la diminuzione della probabilità d'insorgenza di successivi eventi cardiovascolari, la gestione dello stress che accompagnanti alle attività di educazione sanitaria determinano riconosciuti benefici in termini di miglioramento del benessere pscicosociale, di diminuzione delle re-ospedalizzazioni e di riduzione della mortalità legata a cause cardiovascolari» aggiunge il direttore. «L’allenamento fisico comporta una migliore utilizzazione dell’ossigeno da parte del tessuto muscolare e può indurre la formazione di nuovi capillari a livello miocardico, favorendo in molti casi lo sviluppo di un circolo collaterale coronarico particolarmente utile in situazioni inducenti ischemia. Sono state dimostrate positive modificazioni a livello della coagulazione del sangue e nella riduzione di aritmie». Un’attività fisica adeguata riduce i valori di pressione arteriosa, aumenta il colesterolo HDL, il così detto colesterolo buono, migliora il controllo della glicemia nel diabetico ed è indicato per la riduzione del sovrappeso. «È stato infine evidenziato che l’avanzamento delle capacità diagnostiche, delle tecniche interventistiche e della farmaceutica sta consentendo di ridurre ulteriormente i tempi di degenza ospedaliera e sta conseguentemente comportando un’estensione e una ridefinizione degli ambiti di intervento delle strutture riabilitative che, pur mantenendo la prioritaria funzione di agire sulla ripresa delle capacità che soddisfano la qualità della vita e di prevenire delle disabilità, sono chiamate a rispondere ad accresciute necessità di cura e stabilizzazione clinica biomedica dei pazienti dimessi precocemente dagli ospedali» conclude il dottor Morrone. Bergamo Salute
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STRUTTURE
TERME DI TRESCORE
Centro per la cura delle gambe
PER GAMBE A PROVA D’ESTATE! a cura di VIOLA COMPOSTELLA
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e gambe sono un’icona di femminilità, ma le donne sanno quanto sia difficile mantenerle belle e sane nel tempo! L'insufficienza venosa cronica rappresenta, oggi, una delle voci che incidono maggiormente sulla spesa sanitaria dei Paesi dell'Europa e dell'America del Nord. Colpisce il 35% della popolazione adulta di razza bianca e si verifica quando il sangue fatica a tornare dagli arti inferiori verso il cuore e la pressione all’interno delle vene e dei capillari aumenta, dando luogo a una serie di patologie e di sgraditi inestetismi. Approfondiamo l’argomento con il dottor Pietro Cefalì, specialista in chirurgia vascolare all'Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo e responsabile del Centro per la Cura delle Gambe delle Terme di Trescore.
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DOTTOR CEFALÌ, PERCHÉ SONO LE DONNE A ESSERE PIÙ SOGGETTE A PATOLOGIE FLEBOLOGICHE? Perché nel sesso femminile fattori ormonali, familiarità, particolari tipi di abbigliamento, gravidanze e sedentarietà giocano molto spesso un ruolo determinante. Infatti le statistiche riportano un'incidenza doppia nelle donne rispetto agli uomini, con un picco dopo i 50 anni e un progressivo incremento proporzionale all'età.
proprie gambe. Ad esempio alternando nella doccia getti di acqua fredda e calda, procedendo dal basso verso l’alto e restando per almeno 15 minuti sdraiati con le gambe appoggiate su un rialzo che le faccia stare più in alto del livello del cuore. Senza dimenticare l’importanza di un’alimentazione e di uno stile di vita sani ed equilibrati, da abbinarsi - se del caso - a farmaci flebotonici che cioè agiscono rinforzando e proteggendo la delicata parete delle vene.
QUALI SONO LE PRINCIPALI PATOLOGIE CHE COLPISCONO LE GAMBE? Parlando di gamba si pensa subito all’insufficienza venosa, alle vene varicose ed alle teleangectasie, che sono immediatamente visibili. Nel nostro centro vengono trattate anche le complicanze a lungo termine come le ulcere vascolari, i flebolinfedemi, e le recidive e gli esiti di chirurgia.
PERCHÉ UN CENTRO PER LA CURA DELLE GAMBE ALLE TERME DI TRESCORE? Nato con lo scopo di fornire un efficace trattamento per le ulcere vascolari della gamba e del piede, il Servizio di Flebologia Termale si è costantemente evoluto specializzandosi sempre più nella prevenzione e nella cura di numerose patologie vascolari dell’arto inferiore, sino alla nascita del Centro per la Cura delle Gambe, garanzia di esperienza e professionalità.
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QUESTI DISTURBI SI POSSONO PREVENIRE? Purtroppo non sempre, perché spesso sono dovuti a cause genetiche. A scopi preventivi, comunque, è sempre bene evitare il sovrappeso, la stazione eretta prolungata e fare movimento. L’elastocompressione (ovvero la compressione con calze elastiche) rimane la pietra miliare della prevenzione e della terapia. Alla comparsa dei primi sintomi, poi, è utile rivolgersi ad un flebologo, che grazie a una tempestiva e precisa diagnosi, potrà verificare l’appropriatezza di trattamenti chirurgici o meno e consigliare il protocollo terapeutico più adeguato.
QUALI TRATTAMENTI PROPONETE? Il trattamento principale è rappresentato dai camminamenti vascolari, corridoi acquatici paralleli dotati di getti idromassaggio e con acqua a diverse temperature. Le proprietà
drenanti e rassodanti dell’idromassaggio, riattivanti dell’ozono e tonificanti dell’attività fisica in acqua, rendono i camminamenti vascolari molto utili nel trattamento delle principali patologie flebologiche. Il Centro propone anche la scleroterapia, il linfodrenaggio manuale, la pressoterapia e l’hydroelettroforesi. QUESTI TRATTAMENTI SONO RISOLUTIVI? Come buona parte delle patologie, anche nell'insufficienza venosa l'approccio terapeutico va mirato primariamente alla correzione delle cause scatenanti. Va da sé, quindi, che il risultato di qualsivoglia terapia sarà tanto più duraturo ed efficace quanto più l'intervento sui fattori di rischio sarà stato incisivo. Obesità, vita sedentaria, fumo etc. possono essere corretti “educando” il paziente sull'importanza di praticare esercizio fisico regolare e di attenersi a corrette abitudini alimentari o, quando le cause scatenanti non fossero correggibili (predisposizione genetica, fattori ormonali, ecc.) l'obiettivo del trattamento sarà quello di alleviare la sintomatologia e, quindi, il trattamento andrà mantenuto e ripetuto nel tempo al fine di migliorare stabilmente la qualità della vita. Per informazioni tel. 035 4255511. www.termeditrescore.it
QUALI CONSIGLI PUÒ DARE A CHI SOFFRE DI FORMICOLII ALLE GAMBE, SPECIE NEI MESI PIÙ CALDI DELL’ANNO? Per alleviare, almeno temporaneamente, la sensazione di gambe pesanti, i formicolii e i crampi che possono colpire in estate, è sufficiente dedicare qualche minuto della giornata al benessere delle Bergamo Salute
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ATS INFORMA
UNA MAIL AL GIORNO
messaggi per la tua salute a cura di ATS BERGAMO
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al 15 marzo è stata lanciata su tutto il territorio bergamasco la campagna di comunicazione “Una mail al giorno” che utilizza un innovativo sistema di messaggistica per promuovere i corretti stili di vita. Il servizio, completamente gratuito, è stato studiato per incoraggiare e sostenere, nel tempo, i comportamenti protettivi per la salute, raggiungendo in modo capillare la popolazione, grazie ad approfondimenti mirati su sei “aree tematiche”: alimentazione corretta e promozione dell’allattamento materno, attività fisica e benessere della persona non dimenticando temi, sempre
caldi, come fumo di tabacco e alcol. Pensato per stimolare comportamenti positivi per la salute delle persone, sfrutta le peculiarità dei nuovi media: grazie all’inoltro programmato dei messaggi sulla propria casella di posta elettronica, infatti, le persone potranno ottenere informazioni rapide ed efficaci volte a migliorare le proprie condizioni di salute. «Il ruolo dei comportamenti individuali per la salute ha ottenuto sempre maggiori conferme da parte della ricerca scientifica» sottolinea il referente del progetto, dottor Roberto Moretti, responsabile del Servizio di promozione della salute dell’ATS
Bergamo. «Tanto che molti esperti, oggi, ritengono che la strategia migliore per arginare l’epidemia di malattie croniche attesa per il XXI secolo stia proprio nella capacità di incoraggiare e modificare i comportamenti dannosi». Negli ultimi anni si sono moltiplicate le applicazioni in diversi settori della promozione della salute basate sull’invio di messaggi grazie ai dispositivi cosiddetti mobile (SMS, mail o applicazioni dedicate). Le ricerche pubblicate in questo ambito mostrano molto spesso risultati soddisfacenti in termini di efficacia come ad esempio per la cessazione del fumo di tabacco, per l’incremento dei livelli di attività fisica praticata o per il miglioramento delle scelte alimentari, anche se le argomentazioni e le tematiche tendono ad ampliarsi progressivamente. Sviluppato nell’ambito del programma WHP di promozione della salute negli ambienti di lavoro, promosso dalla Regione Lombardia, i messaggi del percorso di promozione della salute sono stati scritti grazie al supporto di professionisti del settore operativi presso istituzioni pubbliche, scientifiche o istituti di ricerca del settore. Per attivare il servizio e ricevere da subito tutti gli aggiornamenti è possibile collegarsi al seguente indirizzo web www.unamailalgiorno.it oppure all’omonima pagina dedicata e presente sul portale ats-bg.it. Bergamo Salute
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HEALTH WELLNESS RESEARCH COMPANY
C A D U TA D E I C A P E L L I Da oltre 50 anni affrontiamo e risolviamo i problemi dei capelli
C A M P A G N A
2.0.1.6 Cause della calvizie e del diradamento Forfora, prurito, sebo ma anche stress, squilibri ormonali, farmaci e diete sono i nemici che danneggiano i nostri capelli e contribuiscono ad aumentarne la caduta. Attenzione, non è facile riconoscere questo nemico al momento giusto. La maggiore parte delle persone si accorge del problema tardi, e viene da noi dopo aver già perso una parte importante della capigliatura, per questo motivo abbiamo organizzato questa campagna di prevenzione.
I capelli caduti ricresceranno? Dovrebbe, purtroppo non sempre funziona in questo modo. Succede che i capelli cadono ma non ricrescano, perché il follicolo pilifero, cioè la radice del capello, ormai è compromessa, si sta atrofizzando e non è più in grado di generare un capello sano. Significa che il quel preciso punto non crescerà mai più un capello. Esiste comunque un lasso di tempo in cui è possibile tornare indietro e rigenerare i follicoli. Superando questo limite, l’unico modo per riavere i propri capelli rimane usare il parrucchino.
CHECK UP GRATUITO Questo mese tutti potranno farsi controllare gratuitamente dai nostri tecnici tricologi per sapere se sono ancora in tempo per contrastare la caduta di capelli efficacemente. La nostra esperienza di oltre 50 anni, accompagnata da continue ricerche, conferma che intervenendo in tempo, questo processo può essere controllato in maniera efficace. Già dal primo manifestarsi delle anomalie, quali la pitiriasi (forfora), l’ipersecrezione sebacea (seborrea oleosa), l’anomalo proliferare della flora batterica e dei miceti (funghi) presenti sul cuoio capelluto e del conseguente prurito è possibile evitare l’assottigliamento dei capelli, il conseguente diradamento e la calvizie.
Un problema maschile e femminile Sfortunatamente in questi decenni abbiamo assistito ad un notevole incremento dei casi di diradamento e calvizie femminile ed anche ad un progressivo abbassamento dell’età in cui questa problema si manifesta. Per questo, una corretta prevenzione è l’unica arma efficace se non vogliamo rimpiangere i capelli perduti. Nelle donne, è sempre in costante aumento, si vedono capigliature diradate e pettinature che coprono spazi vuoti; un disagio difficile da nascondere. Il metodo messo a punto dagli esperti di Health Wellness Research Company permette intervenire anche sulla caduta dei capelli femminile e sulla loro crescita a patto che si intervenga tempestivamente.
Come si svolge il controllo? Al fine di poter valutare le condizioni e le anomalie presenti sul cuoio capelluto è necessario un check-up approfondito che consiste in un controllo macroscopico e microscopico del cuoio capelluto e dei capelli durante quale il tecnico tricologo aiuterà a capire la situazione e spiegherà quello che si può fare per salvare i propri capelli. Il primo nemico da eliminare è rimandare da oggi a domani, con il rischio di diventare sempre più diradati e sentirsi dire dai nostri tecnici che non c’è più niente da fare.
BERGAMO - Poliambulatorio Habilita San Marco - Piazza della Repubblica, 10 - tel. 035 222062 CLUSONE - Poliambulatorio Habilita - Via Zucchelli, 2 - tel. 0346 22654
REALTÀ SALUTE IPASVI
Cure palliative
L’INFERMIERE PERCORRE IL CAMMINO INSIEME A CHI SOFFRE a cura di CONSUELO ROTA infermiera di cure palliative e collaboratrice redazionale Collegio Ipasvi Bergamo
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otrebbe risultare fuori tempo tornare a parlare della legge 38, approvata il 15 marzo 2010, che sancisce il “diritto del cittadino ad accedere alle Cure Palliative e alla terapia del dolore”. Ad oggi però, anche nel nostro territorio, nonostante la presenza di sette hospice, un servizio territoriale di cure palliative (STCP) gestito dall’Unità Operativa Complessa Hospice dell’ASST Papa Giovanni XXIII e una ormai diffusa e capillare rete di Assistenza Domiciliare di Cure Palliative, si conosce ancora poco in merito. Il risultato è spesso la confusione e la tardiva attivazione delle segnalazioni dei casi ai servizi. Cosa si intende quindi per cure palliative? Cicely Saunders, infermiera, assistente sociale e medico, ne sintetizzò così il significato: “tutto ciò che resta da fare quando non c’è più niente da fare”. L’Organizzazione Mondiale della Sanità le definisce come un “approccio che migliora la qualità della vita dei pazienti e dei familiari che si trovano ad affrontare i problemi connessi a una malattia che mette a rischio la vita, attraverso la prevenzione e
IPASVI collegiobg@ipasvibg.postecert.it www.ipasvibergamo.it collegio@infermieribergamo.it Via Rovelli, 45 - Bergamo Tel. 035/217090 - 346/9627397 Fax 035/236332
GLI ESORDI Nel 1987 presso gli allora Ospedali Riuniti nacque il Centro di Cure Palliative. Due anni dopo, fu creata l’Associazione Cure Palliative ONLUS (www.associazionecurepalliative.it ), che si occupa di sensibilizzazione, comunicazione e formazione su cure palliative, e terapia del dolore, sostiene l'equipe di cure palliative e l'Hospice di Borgo Palazzo, nonché l'assistenza domiciliare; grazie ai suoi volontari offre ai pazienti e alle loro famiglie presenza e ascolto.
il sollievo della sofferenza per mezzo della precoce identificazione e del trattamento del dolore e degli altri problemi fisici, psicosociali e spirituali”. L’obbiettivo delle Cure Palliative è “affermare la vita e guardare alla morte come a un processo normale”. Non intende quindi “né affrettare né ritardare la morte”, ma offrire alle persone ammalate “un supporto che le aiuti a vivere attivamente per quanto possibile fino alla fine. Purtroppo in Italia, e anche a Bergamo, l’attenzione alle Cure Palliative si è sviluppata tardi e con fatica rispetto ad altri Paesi del Nord Europa e agli Stati Uniti. Oggi la rete degli hospice bergamaschi garantisce degenza a circa 850 pazienti ogni anno, il Servizio territoriale di Cure Palliative circa 200 prese in carico e l’ADI (Assistenza Domiciliare Integrata) circa 2.150. Da qui si evince quanto ancora ci sia da fare perché il diritto alle Cure Palliative diventi reale ed esaustivo per tutta la popolazione. Negli ultimi anni, grazie alla collaborazione tra Associazione Cure Palliative, Ospedale Papa Giovanni XXIII, ASL e IPASVI di Bergamo si sta lavorando molto su progetti di formazione e integrazione tra i vari servizi affinché la segnalazione dei pazienti e la loro presa in carico sia il più precoce possibile. Viviamo purtroppo in un’epoca in cui i progressi della medicina e della tecnologia hanno favorito nell’immaginario comune l’illusione che tutto sia risolvibile.
Non può esserci spazio al fallimento e quindi alla morte. La sfida delle Cure Palliative è, mai come oggi, riportare la Cura alle origini dell’etica insita in essa, garantendo equilibrio tra senso di onnipotenza e senso di impotenza degli operatori che la praticano. Per noi infermieri la cura è vera e propria “essenza” della professione, il valore fondamentale dell’agire quotidiano. L’etica della cura nasce da uno sguardo capace di sentire. Sentire e guardare l’altro nella sua integrità e nella fragilità che la malattia, specie quella terminale, comporta. La malattia, quella grave in particolare, “paralizza” la persona, senza rispettare nessuna delle sue esigenze, progetti e diritti. Chi soffre chiede principalmente ascolto garbato, che tenga conto del proprio sentire, comprensione e legittimazione delle emozioni provate. Il rispetto è il sentimento con il quale cogliere l’altro nella sua alterità e diversità, per poter rispondere ai suoi bisogni. Bergamo Salute
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Il Pilates che cura e riabilita a cura di FRANCESCA DOGI
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i chiama Pilates Therapy e si basa sui principi originari introdotti da J.Hubertus Pilates. Integrando a essi i moderni concetti di riabilitazione e rieducazione motoria, ha come fine mantenere l’equilibrio e la postura, muovere la colonna e gli arti in modo bilanciato, aumentare la propriocezione e ridurre il senso di fatica e dolore. Conosciamolo meglio con l’aiuto di Guerrina Brizzi, ideatrice e divulgatrice della tecnica Pilates, che cura e riabilita, titolare dello studio Fisioforma. IN CHE COSA SI DIFFERENZIA IL “PILATES MEDICALE” DAL PILATES NORMALE? Dalla qualifica di chi lo insegna, dalla formazione e dagli obbiettivi da raggiungere. Respirazione, concentrazione, precisione, power house e fluidità di movimento, sono il filo conduttore degli istruttori che insegnano la tecnica Pilates in palestra a corpo libero o presso gli studi Pilates con i macchinari. L’obbiettivo da raggiungere è insito nello slogan originario di J. Hubertus Pilates: ”10 lezioni per sentirti meglio, 20 lezioni per vederti meglio, 30 lezioni per un corpo nuovo”. Chi insegna Pilates in queste strutture è un istruttore, mentre chi vi si rivolge sono persone alla ricerca della forma fisica, equilibrio e benessere attraverso il movimento del corpo e la concentrazione della mente. Pilates Therapy parte dallo stesso filo conduttore e integra ai principi originari i concetti riabilitativi di allineamento e posizione neutra, mobilità e stabilità dinamica,
dissociazione e integrazione del movimento, organizzazione dei cingoli pelvico e scapolare, core stability e timing. L’obbiettivo è creare “l’ambiente Pilates Therapy”, un modo di pensare e di agire nei confronti della rieducazione al movimento con obbiettivi finalizzati alle esigenze e necessità del paziente alla ricerca della propria salute. Chi insegna è un fisioterapista e chi si rivolge alla tecnica Pilates Therapy è un paziente con la prescrizione medica di fisiokinesiterapia a seguito di dolore articolare cronico o acuto con origine traumatica o degenerativa, oppure con patologie specifiche di articolazioni della colonna, arti o del sistema nervoso. Presso Fisioforma convivono entrambi i Pilates (Pilates Therapy e Pilates Training). Le lezioni sono gestite, per entrambi, da laureati in fisioterapia e scienze motorie, le lezioni sono individuali o a piccoli gruppi e sono praticate sia con i macchinari Pilates, sia con i piccoli attrezzi, sia a corpo libero. CHE TIPO DI PROGRAMMA PREVEDE PILATES THERAPY? Un programma che ha inizio con la raccolta dell’anamnesi rilasciata dal
medico, un’attenta valutazione funzionale e propriocettiva che consente al fisioterapista di elaborare i 10 principi di Pilates Therapy e impostare 10 lezioni con esercizi progressivi, mirati e specifici alle esigenze terapeutiche del paziente. Il paziente è coinvolto attivamente e guidato ad acquisire la consapevolezza del movimento per migliorare lo schema motorio, ridurre il dolore e correggere i compensi posturali. Al termine di ogni lezione viene rilasciato un manuale con la descrizione degli esercizi per i “compiti a casa”. DOVE SI PRATICA? Lo studio Fisioforma è la sede di formazione e pratica del metodo; ci sono circa 180 terapisti in Italia preparati a utilizzare la tecnica Pilates Therapy a corpo libero.
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Da oggi ente accreditato
PRESSO L’ATS DI BERGAMO Assistenza ad anziani malati e disabili: il centro PrivatAssistenza di Bonate Sotto è diventato Sede Operativa del Consorzio PrivatAssistenza per la gestione dell’Assistenza Domiciliare Integrata. Un importante traguardo: diventando un ente accreditato presso l’ATS di Bergamo i cittadini potranno richiedere ai propri medici di Medicina Generale i voucher sanitari ed avere prestazioni gratuite a cura di FRANCESCA DOGI
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ggi giorno non tutte le famiglie riescono a far fronte alle numerose necessità dei loro cari, ecco perché sono sempre di più quelle che si affidano a PrivatAssistenza, la rete nazionale in grado di offrire interventi personalizzati 24 ore su 24 per 365 giorni l’anno. Il centro Privatassistenza, importante punto di riferimento per i bisogni socio assistenziali delle famiglie ora ha un nuovo importante ruolo da svolgere, essendo diventato un ente accreditato presso l’ATS (ex Asl) di Bergamo. «Ogni persona non autosufficiente e non trasportabile presso strutture sanitarie che necessita di prestazioni sociosanitarie assistenziali, infermieristiche, fisioterapiche e medico specialistiche può richiedere il voucher sanitario al proprio medico di medicina generale e scegliere il Consorzio PrivatAssistenza come ente erogante del servizio» osserva Silvia Vezzoli, responsabile del centro. Il medico di medicina generale dopo aver constatato l'opportunità dell'intervento, effettua la richiesta del voucher. Le prestazioni previste saranno completamente gratuite per PRIVATASSISTENZA bonatesotto@ privatassistenza.it oppure www.privatassistenza.it Via F.lli Calvi, 8, - 24040 Bonate – Tel. 035 993712
l’assistito. Il Piano di Assistenza Individuale prevede diverse tipologie di prestazioni sociosanitarie (infermieristiche, riabilitative e medico specialistiche) di natura socio assistenziale a tutela della persona e di natura psicologica. Il centro di Bonate Sotto offre numerosi servizi personalizzati ed integrati, avvalendosi di operatori professionali, altamente qualificati. «Siamo molto contenti dei nostri risultati, siamo riusciti a diventare un punto di riferimento per la nostra collettività, i nostri clienti sono stati sempre soddisfatti delle prestazioni dei nostri operatori» continua la Vezzoli. «È per noi fonte di soddisfazione sapere che i nostri sforzi hanno dato buoni risultati. Oggi essere un ente accreditato ATS dà un valore aggiunto alle nostre competenze stabilendo uno stretto contatto con i pazienti che ci scelgono». Le prestazioni private offerte dal centro spaziano dall’assistenza domiciliare diurna e notturna presso le abitazioni o assistenza nei luoghi di ricovero o di degenza attra-
verso un’alta flessibilità. Il centro è in grado di offrire anche servizi sociosanitari personalizzati, occasionali o continuativi per l’assistenza ad ammalati, anziani e disabili e organizza qualora ce ne sia la necessità prestazioni fisioterapiche o infermieristiche (medicazioni, cateterismi, flebo, iniezioni, prelievi, clisteri etc). Sono migliaia le famiglie italiane che da più di vent’anni affidano quotidianamente a PrivatAssistenza un compito di grande responsabilità: assistere con amore e competenze i loro anziani, malati e/o disabili. Oggi in Italia si contano oltre 160 centri PrivatAssistenza capillarmente dislocati sul territorio, di questi oltre 50 in Lombardia. È possibile concordare una visita domiciliare gratuita di un responsabile del centro, al fine di conoscere al meglio il contesto e le esigenze della persona, individuando così il servizio più adeguato. Il centro ha il grande valore aggiunto di essere reperibile e operativo 24 ore su 24, 365 giorni. Bergamo Salute
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Dai denti da latte a quelli permanenti L’IMPORTANZA DELLA PREVENZIONE E DI CURE TEMPESTIVE a cura di FRANCESCA DOGI
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el processo di permuta dei denti, da quelli da latte a quelli permanenti, può accadere che intervenga qualche fattore di disturbo che comporti la mancata eruzione, la dislocazione, la malposizione del singolo dente e a seguire della restante dentizione. Individuare il motivo del disturbo è importante non solo per problemi estetici, ma anche per prevenire patologie più complesse a carico delle arcate dentarie». Chi parla è il dottor Stefano Sicura, del Centro Avalon, struttura dotata di un’equipe di professionisti specializzati nelle diverse branche dell’odontoiatria, dall’ortodonzia all’endodonzia fino alla chirurgia implantare, in grado di seguire con professionalità e competenza pazienti di tutte le età, bambini piccoli compresi (con prima visita e ablazione gratuita). COME COMPORTARSI ALLORA PER CAPIRE SE LA PERMUTA DEI DENTI STA PROCEDENDO NELLA MANIERA CORRETTA? La diagnosi della presenza o asPOLIAMBULATORIO AVALON Direttore Sanitario dottor Davide Falchetti via Rinaldo Pigola 1 Romano di Lombardia (BG) info@avalonbenessere.it www.avalonbenessere.it tel. 0363/911033 fax 0363/911023
senza di un’anomalia richiede la semplice visita dello specialista in ortodonzia durante la quale può rivelarsi necessario un approfondimento diagnostico come una radiografia delle arcate dentarie (ortopantomografia). Le cause di una mancata eruzione del dente permanente possono essere molte e diverse, come un ritardo fisiologico che rientra nelle possibili variazioni individuali oppure l'assenza congenita del dente, l’agenesia. In questi casi può essere indicato mantenere il dente deciduo oppure estrarlo per consentire un riposizionamento degli altri elementi. Al contrario possono esserci denti in eccesso, sovrannumerari, dei quali è sempre indicata l’estrazione. L’intervento deve avvenire precocemente, onde evitare che il dente in eccesso vada a interferire con la crescita degli altri e il loro corretto allineamento in arcata. Un dente deciduo, poi, può rimanere in arcata oltre il normale tempo di permuta senza un apparente motivo o in seguito a un semplice trauma infantile con “blocco all’interno dell’osso” (anchilosi) del dente deciduo. Tra le altre cause frequenti di mancata eruzione del dente definitivo bisogna considerare anche la discrepanza dentoalveolare, ovvero una diseguaglianza di spazio tra gli elementi dentari e l’osso atto a contenerli. Ulteriori cause, per fortuna rare, sono cisti, neoplasie e ipertrofie gengivali. È evidente che la mancata eruzione di un dente non deve essere sottovalutata, ma considerata con attenzione dallo specialista. In segui-
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to può essere intrapresa la terapia più opportuna: il mantenimento del dente deciduo in arcata, la sua estrazione, un’eventuale terapia ortodontica (mobile o fissa). MA È IMPORTANTE CURARE ANCHE I DENTI DA LATTE? Molto. Anche se destinati alla caduta, i denti da latte rivestono infatti un compito fondamentale: consentono una masticazione efficace e una fonazione corretta, guidano i denti permanenti nella loro corretta posizione e mantengono uno spazio adeguato per lo sviluppo successivo dei denti "maturi". Mantenere i denti da latte in salute, poi, è fondamentale per permettere la fisiologica caduta dei denti nei tempi opportuni e favorire il corretto sviluppo della dentatura permanente. Per questo è importante istruire al meglio i piccoli pazienti e i loro genitori a una corretta igiene orale e alimentare da seguire. Bergamo Salute
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Cadute nell'anziano
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econdo i dati del Siniaca (Sistema informativo sugli infortuni in ambienti di civile abitazione dell'Istituto superiore di sanità), che si avvale di quelli di oltre 25 centri di Pronto soccorso sul territorio nazionale, le cadute rappresentano la prima causa di incidente domestico (circa il 50%) soprattutto con l’avanzare dell’età, quando cominciano a comparire eventi strettamente legati a patologie dell'anziano: cadute dal letto, cadute alzandosi dal letto o dalla sedia o in seguito a malore fanno la prima comparsa a partire dai 60 anni. Un problema che è diventato ormai una priorità sanitaria, dal momento che la popolazione è sempre più longeva. Le cadute si traducono spesso in disabilità, ricoveri ospedalieri, spesso prolungati, ma hanno anche gravi ripercussioni psicologiche: perdita di sicurezza e paura di cadere nuovamente accelerano il declino funzionale e inducono spesso a depressione o isolamento. La vita dell’anziano cambia
drasticamente dopo una caduta. Ad esempio almeno il 50% degli anziani in grado di camminare normalmente prima della frattura dell’anca, dopo l’incidente non riesce più a recuperare la mobilità originale. In particolare, dalle schede di dimissione ospedaliera per incidente domestico, risulta che le diagnosi di ricovero più frequenti negli anziani sono: frattura del femore, frattura dell’arto superiore, frattura della colonna vertebrale, trauma cranico con conseguenti emorragie. Le cadute domestiche hanno anche, purtroppo non di rado, esito fatale. «Per rispondere all'esigenza di ridurre il rischio di cadute dal letto, in particolare per persone anziane affette da demenza o mobilità ridotta, c'è oggi una soluzione che potrebbe sembrare l'uovo di Colombo: un letto che si può portare, quando necessario, praticamente a livello del pavimento. L'anziano quindi può al massimo “rotolare” con un dislivello di pochi centimetri dal materasso, anch'esso
studiato per aver uno spessore ridotto. Dalla posizione sul pavimento generalmente l'anziano non è in grado di rimettersi in piedi, quindi non c'è il rischio che si rialzi e si sposti senza assistenza» spiega Massimo Peradotto di Chiomed, distributore nazionale del FloorBedTM, così si chiama questo innovativo letto prodotto da Accora nel Regno Unito. Non si tratta semplicemente di un letto a filo del pavimento: ha anche la possibilità di essere portato a diverse altezze e inclinato in vari modi, quando l'anziano è assistito e viene accudito. «Il FloorBedTM è anche dotato di ruote per spostarlo, di accessori come il supporto per la flebo o barriere laterali e al bisogno può ripiegarsi completamente occupando uno spazio molto ridotto. Rappresenta la soluzione ideale per l'assistenza domiciliare soprattutto degli anziani affetti per esempio da morbo di Alzheimer o altre patologie oggi sempre più frequenti» conclude Massimo Peradotto.
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Bergamo Salute anno 6 - n°2 - mar. - apr. 2016
PERIODICO DI CULTURA MEDICA E BENESSERE
Direttore Editoriale Elena Buonanno Direttore Responsabile Daniele Gerardi Redazione Rosa Lancia redazione@bgsalute.it Grafica e impaginazione Catherine Coppens | Cut n' Paste catherine.coppens@hotmail.it Fotografie e illustrazioni Shutterstock, Dollar Photo Club, Adriano Merigo, Alessandro Trovati Stampa Elcograf S.p.A Via Mondadori, 15 - 37131 Verona (VR) Casa Editrice Pro.Ge.Ca. srl Viale Europa, 36 - 24048 Curnasco di Treviolo (BG) Tel. 035.201488 - Fax 035.203608 info@bgsalute.it - www.bgsalute.it Hanno collaborato Lucio Buonanno, Irina Candusso,Maria Castellano, Viola Compostella, Lella Fonseca, Giulia Sammarco
Iscr. Tribunale Bergamo N°26/2010 del 22/10/2010 Iscr. ROC N°21019 © 2014. Tutti i diritti sono riservati. È vietata la riproduzione, anche se parziale, di qualsiasi testo o immagine. L’editore si dichiara disponibile per chi dovesse rivendicare eventuali diritti fotografici non dichiarati. I contenuti presenti su Bergamo Salute hanno scopo divulgativo e non possono in alcun modo sostituirsi a diagnosi mediche.
Comitato Scientifico • Dott. Diego Bonfanti - Oculista • Dott.ssa Maria Viviana Bonfanti Medico Veterinario • Dott. Rolando Brembilla - Ginecologo • Dott.ssa Alba Maria Isabella Campione Medicina Legale e delle Assicurazioni • Dott. Andrea Cazzaniga - Idrologo Medico e Termale • Dott. Marcello Cottini - Allergologo Pneumologo • Dott. Giovanni Danesi - Otorinolaringoiatra • Dott. Adolfo Di Nardo - Chirurgo generale • Dott. Nicola Gaffuri - Gastroenterologo • Dott.ssa Daniela Gianola - Endocrinologa • Dott. Antoine Kheir - Cardiologo • Dott.ssa Grazia Manfredi - Dermatologa • Dott. Roberto Orlandi - Ortopedico Medico dello sport • Dott. Paolo Paganelli - Biologo nutrizionista • Dott. Antonello Quadri - Oncologo • Dott. Orazio Santonocito - Neurochirurgo • Dott.ssa Mara Seiti - Psicologa - Psicoterapeuta • Dott. Sergio Stabilini - Odontoiatra • Dott. Giovanni Taveggia - Medicina Fisica e Riabilitazione • Dott. Massimo Tura - Urologo • Dott. Paolo Valli - Fisioterapista
Comitato Etico • Dott. Maurizio Pagnoncelli Folcieri Presidente dell’Ordine dei Farmacisti di Bergamo • Dott. Ezio Caccianiga - Presidente dell’Ordine dei Medici Veterinari di Bergamo • Dott. Piero Attilio Bergamo - Oculista • Dott. Luigi Daleffe - Odontoiatra • Dott. Tiziano Gamba - Medico Chirurgo • Beatrice Mazzoleni - Presidente IPASVI
I canali di distribuzione di Bergamo Salute • Abbonamento • Spedizione a diverse migliaia di realtà bergamasche, dove è possibile leggerla nelle sale d’attesa (medici e pediatri di base, ospedali e cliniche, studi medici e polispecialistici, odontoiatri, ortopedie e sanitarie, farmacie, ottici, centri di apparecchi acustici, centri estetici e benessere, palestre, parrucchieri etc.) • Distribuzione gratuita presso le strutture aderenti alla formula "Amici di Bergamo Salute".
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