Bergamo Salute - 2020 - 54 - gennaio/febbraio

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numero

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Anno 9 Gennaio | Febbraio 2020

www.bgsalute.it Poste Italiane spa Sped. in Abb. Postale DL 353/2003 (Conv. in legge 27/02/2004 N.46) Art. 1 comma 1 LO/BG

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Attualità DETRAZIONE DELLE SPESE MEDICHE: ECCO LE NOVITÀ DAL 2020

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Meningite QUELLO CHE C’È DA SAPERE

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Psicologia INTELLIGENZA EMOTIVA. UNA PREZIOSA “SOFT SKILL”

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Bellezza AGOPUNTURA, IL “BIO-LIFTING” PER UN VISO PIÙ GIOVANE

Bergamo Salute è sempre con te: leggila integralmente dal tuo computer, tablet o smartphone www.bgsalute.it

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Giacomo Agostini Nel suo museo tutti i trofei e le moto del campione che ha vinto 15 mondali Gennaio/Febbraio 2020 | Bergamo Salute | 1


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MI A COPLIE

Anno 9 Gennaio | Febbraio 2020

www.bgsalute.it

) EDITORIALE 5 Una mano lava l’altra e insieme tengono lontane le malattie ) ATTUALITÀ 6 Detrazione delle spese mediche: ecco le novità dal 2020 ) SPECIALITÀ A-Z 8 Dermatologia Vitiligine, non è solo questione di macchie bianche 12 Neurologia Attenti al TIA! 14 Virologia Meningite. Quello che c’è da sapere ) PERSONAGGIO 16 Giacomo Agostini Nel suo museo tutti i trofei e le moto del campione che ha vinto 15 mondali ) IN SALUTE 20 Stili di vita Sigarette elettroniche. Allarmi, allarmismi, dibattiti, rischi proibizionistici 22 Alimentazione Digiuno e semi-digiuno: funzionano davvero per dimagrire? 24 Topinanbur, il tubero dal nome poetico amico della salute

) IN ARMONIA 26 Psicologia Intelligenza emotiva 28 Coppia Come superare la fine di un amore ) IN FAMIGLIA 30 Dolce attesa Diastasi dei retti addominali dopo il parto 32 Ragazzi Difficoltà di attenzione in adolescenza 38 Bambini La morte raccontata ai più piccoli. Le parole per dirlo

) DAL TERRITORIO 58 Farmacie Farmaci orfani e farmacia 60 News 62 Onlus Amici di Samuel 64 Il lato umano della medicina Infermiere di giorno, musicista di notte suonando i Pink Floyd 67 Malattie rare Iperistidinemia 68 Testimonianza Il mio cuore era malato e rischiavo di morire. Ora a 87 anni vado ancora a funghi

) IN FORMA 41 Bellezza Agopuntura, il “bio-lifting” per un viso più giovane 44 Fitness Sempre più sani e felici di pedalare sulle hydrobike!

) STRUTTURE 70 Casa Di Riposo Piatti-Venanzi 72 ASST Papa Giovanni XXIII

) RICETTA 46 Mele alla crema di nocciola ) RUBRICHE 54 Guida esami Mammografia, le nuove regole per lo screening 56 Animali Gatti e stagione degli amori: come proteggerli al meglio

) REALTÀ SALUTE 77 Farmacia San Nicolò 79 Puffiland 81 Centro di Radiologia e Fisioterapia

) PROFESSIONI SANITARIE 74 Psicologo, un professionista “multitasking”

Allegato centrale: Amici di Bergamo Salute

PARTECIPANTI ALLA FONDAZIONE ITALIANA PER L’EDUCAZIONE ALIMENTARE

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EDITORIALE

Una mano lava l’altra e insieme tengono lontane le malattie I casi di meningite che si sono verificati in provincia di Bergamo a partire da dicembre 2019 e la recente epidemia di coronavirus scoppiata in Cina, ma con rischio di diffusione globale, destano preoccupazione e ci fanno riflettere sugli strumenti di prevenzione che possono essere messi in campo. Come ci spiega il professor Pregliasco a pag. 14 le principali armi contro la diffusione della meningite sono il vaccino e alcune norme igieniche, peraltro comuni alla prevenzione dell’influenza e altre malattie virali. Per il coronavirus invece non esiste oggi un vaccino, ma è dimostrato che la trasmissione avviene da persona a persona, di solito dopo un contatto stretto con un paziente infetto,

o per via aerea attraverso le goccioline prodotte da tosse e starnuti. Il virus si introduce nell’organismo attraverso le prime vie respiratorie, naso e bocca, ma non attraverso l’apparato digestivo con passaggio di cibi contaminati. Vale quindi la pena ricordare che abbiamo a disposizione uno strumento di prevenzione semplicissimo, che ci è stato insegnato fin da piccoli e che non va trascurato: l’igiene delle mani, in cui gli italiani sembrano non essere campioni... Da un sondaggio effettuato nel 2019 dal portale Top Doctors risulta che il 46% degli italiani si lava le mani tra le 5 e le 10 volte al giorno, il 15% più di 10 volte, il 32% tra le 2 e le 4 volte e il 7% ancora più raramente. Cosa dicono gli esperti? Il consiglio è di lavare le mani almeno 5 volte al giorno, ma al di là della frequenza conta come e quando si lavano. Essenziale è l’uso del sapone: il 46% del campione lo usa sempre e il 32% quasi sempre, ma una minoranza di italiani sembra apprez-

zare anche i gel igienizzanti, valida alternativa quando non si ha un lavabo a disposizione: ne è entusiasta il 12% del campione. Una buona notizia è che il 72% degli intervistati si lava sempre le mani dopo essere andato in bagno, ma solo il 49% lo fa sempre prima dei pasti e il 28% spesso. L’attenzione scende invece quando ci si mette in bocca una caramella o uno snack: solo il 6% in questo caso si lava le mani sempre. Il 47% del campione dichiara di lavarsi le mani dopo essere stato sui mezzi pubblici, mentre non è comune lavarsi dopo avere stretto la mano ad altre persone. Ricordiamoci quindi di non abbassare la guardia su questo fronte e di insistere con i bambini e i ragazzi in modo che l’attenzione all’igiene delle mani si rafforzi nelle prossime generazioni, risparmiando grandi rischi con uno sforzo minimo. Non ci resta che augurarvi, come sempre buona lettura e... Non dimenticatevi mai la prevenzione.

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ATTUALITÀ

Detrazione delle spese mediche: ecco le novità dal 2020 ∞  A CURA DI ELENA BUONANNO

Al via le nuove regole per la detrazione delle spese sanitarie: la principale è l’obbligo di tracciabilità con bancomat o carta di credito per portare in detrazione le spese e ottenere lo “sconto” dal fisco. Vediamole in dettaglio con Mariagrazia Pescatori, commercialista e revisore legale. Iniziamo proprio dalla tracciabilità delle spese per visite ed esami medici. Vale per qualsiasi spesa medica? Dal 1° gennaio 2020 con l’approvazione della manovra finanziaria 2020, per fruire della detrazione del 19% dall’Irpef nel 730 o nell’Unico delle spese mediche sostenute in strutture private non convenzionate o per prestazioni di medici specialisti in “privato” è necessario pagare mediante strumenti tracciabili come bancomat, carta di credito, assegno con clausola non trasferibile, bonifico bancario o postale. Ovviamente si potrà continuare a pagare in contanti anche queste spese, ma in questo caso non sarà possibile portarle in detrazione. Ad esempio le spese sostenute in contanti per le prestazioni rese da un dentista nel suo studio privato non sono più detraibili a meno che, appunto, vengano pagate con strumenti “tracciabili”. Nulla cambia, invece, per le spese di prestazioni rese da strutture pubbliche, ospedali o da strutture private accreditate al Servizio Sanitario Nazionale. Ai fini

della fruizione delle detrazioni queste spese potranno essere pagate sia in contanti sia con strumenti “tracciabili” a condizione che sulla fattura o ricevuta siano riportati il codice fiscale e i dati anagrafici del paziente. Per le spese di medicinali o dispositivi medici invece cambia qualcosa? Le spese in contanti per l’acquisto di medicinali, di dispositivi medici e protesi sanitarie continueranno a poter essere portate in detrazione. Occorre, come in realtà era già anche prima, farsi rilasciare lo scontrino “parlante” (ossia contenente il codice fiscale del contribuente) determinante per il diritto alla detrazione fiscale. A proposito di pagamenti in contanti, vale la pena ricordare che, in ogni caso, la soglia è di 3 mila euro fino al 30 giugno 2020 e di 2 mila euro dal 1° luglio 2020 al 31 dicembre 2021. Fin qui le novità per gli utenti. E per i professionisti? Il professionista che rende prestazioni mediche dovrà indicare nel Sistema Tessera Sanitaria se il pagamento delle prestazioni è avvenuto con metodo tracciabile o contanti per cui riportare nella fattura rilasciata al paziente l’indicazione del metodo di pagamento semplifica la compilazione dell’adempimento a carico dei professionisti. Gli stessi sono obbligati già da qualche anno

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a dotarsi del POS ma un emendamento ha cancellato le sanzioni previste che sarebbero dovute entrare in vigore dal 2020. Nel caso il professionista non abbia il POS, è opportuno portare con sé un assegno per avere traccia del pagamento e poter detrarre la spesa.

AUMENTATO IL TETTO PER LE SPESE VETERINARIE Le novità riguardano anche le spese veterinarie. È stato infatti aumentato dal 2020 il tetto della detrazione Irpef del 19% delle spese fino a 500 euro con la franchigia di 129,11 euro. Anche le spese veterinarie per poter essere detraibili devono essere pagate con strumenti “tracciabili”. Le spese detraibili sono le visite veterinarie, le spese per interventi o analisi di laboratorio, le spese per farmaci veterinari per animali legalmente detenuti a scopo di compagnia o pratica sportiva. La detrazione spetta a chi ha sostenuto la spesa con la fattura o scontrino parlante anche se non proprietario dell’animale.


Purché tracciabili, si possono detrarre tutte le spese sanitarie che vengono effettuate? Le spese sanitarie sono detraibili dall’IRPEF per il 19% per cento per la parte eccedente l’importo di euro 129,11. Nel caso di spese sostenute per familiari a carico, chi ha diritto alla detrazione? Le spese mediche sostenute per i familiari fiscalmente a carico (che sono riportati nell’apposito quadro “Familiari a carico” della dichiarazione) sono detraibili dal contribuente al quale è intestato

il documento e che ha effettivamente sostenuto la spesa. Nel caso in cui le spese mediche siano state rimborsate dalle assicurazioni come funziona? Le spese mediche rimborsate dalle assicurazioni sono deducibili per la parte effettivamente pagata dal contribuente a meno che il rimborso sia stato ricevuto per effetto di contributi o premi di assicurazione per i quali non è prevista la detraibilità o la deducibilità o che, essendo versati da altri (ad esempio, il datore di lavoro) concorrono a formare il suo reddito (di lavoro).

MARIAGRAZIA PESCATORI Rag. Commercialista e Revisore Legale Studio Pescatori Bergamo

Adriano Merigo

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SPECIALITÀ A-Z

DERMATOLOGIA

Vitiligine Non è solo questione di macchie bianche DOTT. LUIGI NALDI Specialista in Dermatologia Unità Complessa di Dermatologia, Ospedale San Bortolo, Vicenza Centro Studi GISED, Bergamo

∞  A CURA DI LUIGI NALDI

Il termine “vitiligine” sembra derivare dal latino “vitium” nel senso di “macchia, imperfezione”. La malattia è caratterizzata dalla comparsa di chiazze bianche sulla pelle dovute alla perdita dei melanociti, le cellule che producono la melanina, la sostanza che colora la pelle. Cicli di progressione, seguiti da cicli di riposo e raramente ripigmentazione spontanea, si possono succedere indefinitamente. Si tratta di una condizione benigna, priva di sintomi sistemici, ma che ha importanti conseguenze psicologiche ed emotive.

UNA LUNGA STORIA DI PREGIUDIZI Testi indiani, risalenti a oltre 1500 anni prima della nascita di Cristo, già riportano descrizioni compatibili con la vitiligine. La malattia è stata, tuttavia, a lungo confusa con altre condizioni associate a lesioni

Le chiazze di vitiligine possono comparire in ogni età, più frequentemente nella prima età adulta. L’andamento nel tempo è variabile. In genere, dopo una fase di progressione, la malattia si arresta e le macchie chiare persistono indefinitivamente” cutanee ipocromiche. Nella Bibbia, non viene fatta, ad esempio, una distinzione tra lebbra, ben nota malattia causata dal Micobacterium leprae, e vitiligine. Tale confusione giustifica la stigmatizzazione

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sociale di cui la malattia è ancora gravata in alcuni Paesi. Tra gli Indu è pressoché impossibile per una donna con vitiligine trovare marito. Lo storico francese Michael Pastoureau, nel suo libro “L’Etoffe du diable” riferisce come, fin dai secoli più antichi, sia esistito un processo di stigmatizzazione per tutti i tessuti e le superfici variegate, “portatori” di qualcosa di negativo e diabolico. L’esempio tipico è quello di Arlecchino con il suo vestito a chiazze: maschera che riscuote simpatia ma anche inquietudine. Nella Divina Commedia di Dante è una lince maculata, simbolo della lussuria, a impedire il cammino verso la virtù.

AUTOIMMUNITÀ E GENETICA Allo stato attuale delle conoscenze, la vitiligine è inserita nel gruppo delle malattie autoimmuni: la perdita di melanociti si accompagna, infatti, alla presenza nella cute


di cellule coinvolte nelle reazioni immunitarie, i linfociti T, che sembrano giocare un ruolo nella distruzione delle cellule melanocitarie. Sebbene la maggior parte dei pazienti con vitiligine goda per il resto di buona salute, una frazione pari a circa il 10% presenta una concomitante condizione patologica immuno-mediata, come malattie tiroidee autoimmuni, anemia perniciosa, morbo di Addison, malattie infiammatorie intestinali. È probabile che la suscettibilità a sviluppare vitiligine dipenda da un tratto genetico complesso che può regolare l’autoimmunità, la biosintesi della melanina, e le risposte a stress ossidativo. La malattia è documentabile, in Italia, in circa 6 persone su 1.000. Si può quindi calcolare come, nel nostro Paese, vi siano circa 330.000 individui affetti. L’età di comparsa più frequente è attorno ai 20 anni, con inizio più

precoce nel maschio e più tardivo nella femmina. La frequenza di malattia nei parenti di primo grado di una persona con vitiligine è più elevata rispetto alla popolazione generale. Si è visto però che, oltre alla genetica, nello scatenamento e mantenimento della malattia influiscono anche fattori ambientali, tra i quali sembrano avere un peso eventi stressanti o traumi fisici.

TRE FORME, UNA MALATTIA Si distinguono classicamente tre varietà di vitiligine: una forma focale, una segmentale e una generalizzata. La forma focale è caratterizzata da poche chiazze isolate. La forma segmentale è caratterizzata da una lesione più spesso di forma allungata su un lato del corpo. Tale forma è stabile nel tempo e non ha tendenza alla progressione. Infine, la vitiligine generalizzata è la varietà più comune ed è caratterizzata da

LA DIAGNOSI È basata sul semplice esame clinico. Le lesioni vanno distinte da quelle di altre condizioni associate a chiazze chiare come la pitiriasi versicolor, malattia comune connessa con la crescita di un fungo, normale abitante della pelle, denominato Malassezia furfur, o la pitiriasi alba, frequente nei bambini e al viso, associata spesso a dermatite atopica. Per la diagnosi, risulta utile l’impiego di un esame sotto luce ultravioletta, esame alla lampada di Wood, che permette di identificare le chiazze di vitiligine in quanto emettono una caratteristica fluorescenza bianca.

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SPECIALITÀ A-Z

DERMATOLOGIA

chiazze simmetriche al viso, specie alle regioni orbitarie, alla fronte, al mento e attorno alla bocca, nonché agli arti (vitiligine acro-faciale). La vitiligine universale è una forma particolarmente estesa di vitiligine generalizzata.

IL TRATTAMENTO: DALLA FOTOTERAPIA AI FARMACI… Non è disponibile una cura definitiva per la vitiligine. Il trattamento ha come obiettivo attenuare il contrasto tra le chiazze ipopigmentate e la restante cute. In linea di principio, ciò può essere ottenuto sia incrementando il pigmento nelle chiazze ipopigmentate (ripigmentazione) sia riducendo la colorazione della restante cute (depigmentazione). Il trattamento di riferimento per la ripigmentazione delle lesioni in aree cosiddette fotosensibili, cioè aree del viso e collo, è la fototerapia con luce ultravioletta B a banda stretta o con laser o lampada a eccimeri (la fonte di luce ultravioletta ottimale per il trattamento mirato). I migliori risultati si ottengono combinando la luce con immunosoppressori locali, idrocortisone o inibitori della calcineurina come tacroli-

mus o pimecrolimus. Utilizzando la fototerapia con ultravioletto B a banda stretta si richiedono cicli di trattamento molto lunghi superiori a sei mesi che prevedono almeno due sedute di esposizione settimanali. La fototerapia, specie se per aree limitate, può essere eseguita a domicilio (home phototherapy) utilizzando piccoli apparecchi acquistabili da aziende specializzate, sotto controllo medico. Sono comunque possibili e comuni le recidive. Il mascheramento delle lesioni con tecniche di trucco terapeutico (camouflage) rappresenta un valido aiuto. Nelle forme estese, si può valutare la depigmentazione delle aree residue. D’incerta utilità è la supplementazione con vitamine antiossidanti. Nelle forme rapidamente progressive si può considerare il trattamento intermittente con piccoli boli di steroidi sistemici per tre-quattro mesi.

… FINO AL TRAPIANTO DI MELANOCITI NEI CASI PIÙ “RESISTENTI” Per ottenere una risposta nei pazienti che non traggono beneficio dalla fototerapia combinata con immunosoppressori, sono state in-

trodotte varie tecniche di trapianto di melanociti autologhi i cui risultati terapeutici sono assai variabili. Esistono due tipologie di trapianto, quella che prevede il trapianto di melanociti coltivati e quella che prevede il trapianto di melanociti non coltivati. La seconda tecnica è certamente più semplice e comporta il trasferimento di melanociti dal sito donatore a quello ricevente senza particolari interventi di manipolazione delle cellule in vitro. Una fonte di melanociti particolarmente vantaggiosa sembra essere il follicolo pilifero. Le tecniche di trapianto sono raramente impiegate in Italia e, nel caso del trasferimento di cellule coltivate, richiedono una vera e propria “cell factory” certificata. In conclusione, nel complesso, il trattamento della vitiligine è, ad oggi, piuttosto frustrante. Sarebbe auspicabile che venissero meglio definiti i criteri di gestione clinica e i centri di riferimento. Le informazioni sui protocolli di trattamento e sui risultati ottenuti sono molto frammentarie e andrebbero rese trasparenti. I pazienti meritano un maggior impegno in questo senso!

I farmaci del futuro? Tra i farmaci in sviluppo, va segnalato l’afamelanotide, un analogo sintetico dell’ormone stimolante il melanocita (α-MHS), che può essere somministrato per via sottocutanea utilizzando un impianto a rilascio controllato, proposto in associazione con fototerapia ma non disponibile per l’indicazione della vitiligine in Italia. Ancora, sono in fase di sperimentazione (non in Italia) alcuni farmaci con azione sulle risposte immunitarie come gli inibitori della Janus chinasi (JAK inibitori) tofacitinib e ruxolitinib.

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SPECIALITÀ A-Z

NEUROLOGIA

Attenti al TIA! ∞  A CURA DI GIOVANNI PIETRO SALVI E MARCELLO SIMONINI

L’attacco ischemico transitorio (TIA) è un’ischemia che provoca deficit neurologici improvvisi e transitori senza tuttavia diventare un vero infarto cerebrale permanente. Bisogna fare molta attenzione al TIA perché la probabilità di essere successivamente colpiti da ictus cerebrale è molto alta. Ricordiamo che l’ictus è la terza causa di morte dopo l’infarto cardiaco e le neoplasie ed è la prima causa di disabilità nel mondo.

QUANDO IL SANGUE FA FATICA AD ARRIVARE AL CERVELLO Il TIA si verifica quando il flusso ematico nelle arterie che portano o distribuiscono il sangue al cervello è ostacolato da un coagulo (embolo) o da un restringimento (stenosi) per lo più dovuto a placche di colesterolo (aterosclerotiche) ovvero a processi di “ammaloramento” delle piccole arterie cerebrali dovute all’ipertensione arteriosa. In questi casi l’ostacolo al passaggio del sangue provoca una riduzione dell’ossigeno e quindi una sofferenza per il cervello (ischemia) che per definizione deve risolversi entro le 24 ore. Qualora si protragga oltre parliamo di ictus. Riconoscere correttamente un TIA e curare immediatamente i fattori patologici che l’hanno determinato aiuta quindi a evitare l’ictus vero e proprio con i suoi enormi costi

personali, sociali e sanitari.

I SINTOMI? DIFFICOLTÀ DI PAROLA, DISTURBO DELLA VISTA E VERTIGINI I sintomi (transitori) esordiscono improvvisamente e sono costituiti da difficoltà nella parola, debolezza degli arti, paralisi dei muscoli facciali, disturbo della vista, vertigini e disturbi dell’equilibrio. In caso di comparsa di questi sintomi bisogna chiamare immediatamente il 112 (servizio medico di emergenza) in modo da poter eseguire urgentemente la visita neurologica, TAC encefalo, Ecocolordoppler dei Tronchi Sovra Aortici, Doppler Transcranico ed esami del sangue specifici. Importanti sono anche l’elettrocardiogramma, la visita cardiologica ed eventualmente l’ecocardiogramma, perché una

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causa frequente di TIA/Ictus sono le aritmie cardiache (fibrillazione atriale prima di tutte) e la cardiopatia ischemica.

ETÀ, IPERTENSIONE, FUMO E OBESITÀ TRA I FATTORI DI RISCHIO I fattori di rischio per il TIA sono gli stessi che riscontriamo anche nell’ictus: età, familiarità, sesso, razza, fumo, alcool, diabete, ipercolesterolemia, obesità, iperten-


sione arteriosa, aritmie cardiache e predisposizione genetica. Questi fattori si differenziano in due gruppi: quelli non modificabili (età, sesso, familiarità, razza e genetica) e modificabili (fumo, alcool, colesterolemia, ipertensione arteriosa, obesità, aritmie cardiache).

L’IMPORTANZA DI UNA CORRETTA ALIMENTAZIONE Da quanto detto finora si evince che l’alimentazione è un fattore preventivo importante: seguire una dieta povera di grassi, non eccedere nell’uso di alcool (due bicchieri al giorno di vino rosso che contiene resveratrolo, protettivo per le arterie), preferire le carni magre (pollame) e il pesce, usare olio di oliva e limitare burro, sale e formaggi, risultano utili abitudini alimentari per contrastare il rischio di ictus e TIA. Anche un salutare stile di vita che escluda il fumo, incentivi l’esercizio fisico regolare (almeno 30 minuti al giorno), associato al controllo della pressione arteriosa (non superiore a 130 mmHg la massima e 85 mmHg la minima), della glicemia, del colesterolo e del peso corporeo significa tutelarsi dalle malattie cerebrovascolari. Per le donne sia l’utilizzo di contraccettivo orale sia la terapia ormonale sostitutiva nel post menopausa, possono aumentare le probabilità di TIA/Ictus in presenza di altri fattori di rischio (fumo, ipertensione

arteriosa, obesità, familiarità, fattori pro-coagulativi).

LA CURA: DALLA FASE ACUTA ALLA RIABILITAZIONE Di solito il TIA esaurisce il suo percorso di cura nell’ambito del Pronto Soccorso o del Fast Track Neurologico dove presente (percorso veloce di accertamento diagnostico in ambito specialistico). Solo in caso di estrema necessità, cioè quando si ha il sospetto che il TIA stia evolvendo o sia evoluto in ictus vero e proprio, il paziente può essere ricoverato presso una Stroke Unit, che rappresenta il contesto in assoluto più efficace per la cura delle malattie cerebrovascolari in fase acuta poiché vi sono le competenze mediche e infermieristiche più formate, dotazioni tecnologiche dedicate ed è possibile quindi adottare le strategie di assistenza più adeguate al caso, riducendo così la gravità dei deficit in esito e il rischio di morte. Fra le strategie possibili, entro le prime ore (non oltre sei), se sono presenti i criteri previsti dalle Linee Guida, il paziente può essere sottoposto nei Centri Autorizzati a trombolisi (sistemica o selettiva, farmacologica e/o meccanica); si cerca cioè di risolvere l’occlusione del vaso con un recupero delle condizioni iniziali nella maggior parte dei casi. Solitamente dopo il ricovero in fase acuta segue una fase riabilitativa ospedaliera e am-

bulatoriale che può essere molto lunga a seconda dell’entità e della tipologia del danno neurologico provocato dall’ictus, al fine di ridurre al minimo gli esiti invalidanti e reinserire il paziente nel suo contesto familiare, sociale e lavorativo.

DOTT. GIOVANNI PIETRO SALVI Specialista in Neurologia

DOTT. MARCELLO SIMONINI Medico esperto in Medicina Fisica e Riabilitazione Presso l’Istituto Clinico Quarenghi di San Pellegrino Terme (BG)

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SPECIALITÀ A-Z

VIROLOGIA

Meningite Quello che c’è da sapere ∞  A CURA DI FABRIZIO PREGLIASCO

La situazione che si è creata a Villongo e nei paesi limitrofi intorno al Lago di Iseo qualche settimana fa è giustamente balzata all’interesse dei media. La meningite da meningococco spaventa e in effetti determina una mortalità elevata. Inoltre rappresenta uno spauracchio legato anche a una quota di gravi complicanze nelle persone che sopravvivono (un esempio è la schermitrice Bebe Vio, colpita a 11 anni da una meningite fulminante che le causò un’estesa infezione a seguito della quale le sono state amputate gambe e braccia e che le ha lasciato numerose cicatrici su corpo e viso). Cerchiamo allora qui di fare un po’ di chiarezza sull’argomento.

L’ARMA PIÙ EFFICACE PER PROTEGGERSI? LA VACCINAZIONE Ci sono molti virus e batteri che possono causare una meningite. Anche alcune forme tumorali possono determinare questa infezione delle meningi (ndr. membrane che avvolgono e proteggono il cervello). Le forme che preoccupano di più in termini di gravità e contagiosità sono quelle determinate appunto dai meningococchi che però rappresentano solo una parte delle circa mille meningiti che si registrano in Italia ogni anno. I dati della sorveglianza nazionale delle malattie invasive da meningococco mostrano che in Italia tra i vari tipi di meningococco circolano normalmente sia il meningococco

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di tipo C che il meningococco di tipo B. Sono infatti circa 200 i casi di meningococco registrati nel nostro

PROF. FABRIZIO PREGLIASCO Virologo Ricercatore del Dipartimento di Scienze biomediche per la salute dell’Università degli Studi di Milano e Direttore Sanitario dell’Irccs Galeazzi (MI)


Paese ogni anno. Il Meningo B (che colpisce maggiormente bambini e adolescenti) risulta il più diffuso seguito dal Meningo C (che colpisce prevalentemente giovani adulti e adulti). Dunque, nonostante la circolazione fisiologica dei batteri sia nota, quando ci si trova, come per il focolaio lombardo, di fronte a casi concentranti nel tempo e nello spazio è fondamentale che siano avviati interventi mirati e specifici di sanità pubblica. Nel 2015 in alcune province della Toscana si era osservata una situazione simile di concentrazione geografica di casi, che anche in quell’occasione è stata affrontata e poi risolta con una campagna vaccinale a tappeto. La gravità percepita della malattia da parte della popolazione fa sì che, rispetto ad altre vaccinazioni, vi sia una maggiore propensione a eseguirla e in effetti questa è l’unica vera possibilità di prevenirla. A oggi la vaccinazione antimeningococco rientra tra quelle raccomandate nei bimbi e negli adolescenti, ma la copertura vaccinale ad oggi non è soddisfacente ed è per questo che queste forme continuano ad essere presenti nelle nostre comunità.

IL CONTAGIO: SERVE UN CONTATTO PROLUNGATO Queste forme si propagano da persona a persona per via respiratoria, attraverso le goccioline di saliva e le secrezioni nasali, che possono essere disperse con la tosse, con gli starnuti o mentre si parla. Affinché il contagio avvenga è comunque necessario essere a contatto stretto e prolungato con la persona infetta. L’essere esposti al batterio non comporta però necessariamente lo sviluppo della malattia.

cosiddetta chemioprofilassi ovvero l’uso preventivo di antibiotici.

L’infezione da Meningococco può manifestarsi in forme diverse. Se si limita ad attaccare le meningi si parla di meningite. Se si diffonde a più organi, per esempio fegato o reni, si parla di sepsi”

LE REGOLE DELLA PREVENZIONE: LA PRIMA, LAVARSI LE MANI CON CURA

UN ESORDIO SUBDOLO E IN GENERE SIMILE ALLA COMUNE INFLUENZA I sintomi principali sono cefalea, febbre elevata, malessere generale, vomito, alterazione di coscienza e in molti casi presenza di rigidità nucale. Nelle forme fulminanti ci può essere anche la comparsa di petecchie (macchie rossastre o violacee). Purtroppo l’inizio è subdolo e, soprattutto in questo periodo, la meningite può essere scambiata per una pesante influenza. In caso di presenza di sintomi sospetti è necessario rivolgersi al medico di Medicina Generale o al Pronto Soccorso per stabilire la terapia più appropriata. Il trattamento deve essere tempestivo e con antibiotici. È importante anche la profilassi dei conviventi e delle persone che hanno avuto contatti stretti con chi ha contratto la malattia. Dieci sono i giorni di incubazione e questo è il termine entro il quale si deve sorvegliare chi è venuto a contatto con un caso conclamato. Gli igienisti inoltre consigliano a chi ha avuto un contatto stretto l’effettuazione di una

Il meningococco non può vivere a lungo fuori dall’organismo ed è molto sensibile ai comuni disinfettanti e alla luce del sole. Essendo il contagio interumano, si possono adottare misure di igiene e protezione individuali: lavarsi le mani con cura e più volte al giorno con acqua e sapone, in particolare dopo aver tossito, starnutito o essersi soffiato il naso; evitare luoghi molto affollati (la propagazione dell’agente patogeno generalmente non supera il raggio di due metri); arieggiare spesso i luoghi dove si vive e si lavora; non scambiare oggetti di uso personale (bicchieri, sigarette, spazzolino, posate etc.); mantenere pulite le superfici (interruttori, telefoni, tastiere, maniglie, rubinetti, pulsantiere dei citofoni o dell’ascensore, tavoli e scrivanie).

NO ALLA PSICOSI, SÌ AL SENSO DI RESPONSABILITÀ L’approccio a questa situazione non deve debordare in una psicosi, che oggi, come in altri casi, viene spesso a determinarsi. Questo episodio, invece, deve servirci per rilanciare l’importanza di tenere alto l’interesse della popolazione verso le patologie infettive che non sono scomparse, anzi hanno una tendenza a riemergere e a evidenziarsene di nuove. Senza eccessi di panico, ma con acquisizione di una consapevolezza e di responsabilità per attuare comportamenti preventivi, in primis la vaccinazione per le patologie prevenibili.

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PERSONAGGIO

GIACOMO AGOSTINI

Nel suo museo tutti i trofei e le moto del campione che ha vinto 15 mondali ∞  A CURA DI LUCIO BUONANNO

Era uno dei suoi sogni. Realizzare un museo che raccontasse la sua carriera. Ne aveva parlato anche con il Comune ma alla fine ha deciso di farlo da solo nella sua villa ai piedi della Maresana. Giacomo Agostini, detto Ago, bergamasco di Lovere anche se nato a Brescia, è stato 15 volte campione del mondo di motociclismo (sette volte nelle classe 350, e otto nella classe 500 di cilindrata), tra gli anni Sessanta e Settanta, un record difficilmente superabile. Un mito vi-

vente il cui palmares vanta anche 123 primi posti nei Gran Premi, 18 titoli italiani, 10 Tourist Trophy. Ora, a 77 anni, è in perfetta forma anche se i suoi capelli non sono più neri come una volta quando faceva impazzire i fan e tante donne, modelle e attrici. Ci apre il cancello della “Sala Trofei”. Uno spettacolo, che ti proietta in un’altra dimensione. In bella mostra la MV Agusta 500 vincitrice nel mondiale del 1966, la Yamaha della

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mitica vittoria a Daytona nel 1974, in un’urna trasparente c’è il casco, quasi una scodella capovolta, che ha indossato nella sua prima vittoria nel 1962, nella Bologna San Luca con la sua Morini. «In questa sala c’è tutta la mia storia motociclistica, tutti i miei ricordi, dalle moto alle tute ai caschi, agli oggetti personali che usavo in gara» ci dice. In bacheca e alle pareti i 364 trofei, le medaglie d’oro, le coppe, 10 statuette dorate che l’hanno premiato per dieci anni quale miglior atleta di tutti gli sport,


le onorificenze di Cavaliere Ufficiale e di Commendatore conferitegli rispettivamente dai Presidenti della Repubblica Saragat e Ciampi. Appesi al muro tante foto di lui in gara, di lui con politici, giornalisti, piloti rivali e amici, attori, personaggi famosi. E soprattutto i 15 diplomi di campione del mondo e i 18 di campione italiano. In un angolo i manifesti dei suoi tre film usciti nelle sale nel 1970 quando era all’apice della carriera: “Bolidi sull’asfalto”, “Amore Formula2” con il cantante Mal e Lino Banfi, “Formula 1 nell’inferno dei Gran Prix”. E una foto sulla Yamaha alla 200 miglia di Daytona quando ha vinto, unico italiano, battendo Kenny Roberts. «Fu una gara estenuante» racconta. «Alla partenza, vedo gli altri piloti che si spalmano creme in faccia, bevono. Io non mi ero attrezzato. E a metà

gara ero disidratato, cercavo di inumidirmi la lingua con il sudore della faccia, sono stato sul punto di ritirarmi, ma poi ho pensato alle critiche dei giornali americani che mi davano perdente e ai miei tifosi. “Cosa dico alla gente che è venuta dall’Europa per vedermi?”. E allora ha vinto in me l’orgoglio, la forza della disperazione e ho tagliato il traguardo battendo il mio rivale. Poi però sono crollato a terra e i medici mi hanno dovuto fare una flebo». Agostini il motociclismo l’ha sempre avuto nel sangue. Aveva solo 9 anni quando sale per la prima volta su una moto “rubata al padre”. «Era un Galletto. Vado in piazza, vedo gli amici, ma non penso che non tocco per terra, mi fermo, cerco un appoggio col piede ma vado giù. Una figuraccia. Ma correre in moto

era la cosa che desideravo di più. Ho cominciato con le Gincane e riuscivo a battere gli specialisti della provincia. La svolta avviene a 18 anni che allora era l’età minima per iscriversi alle gare ufficiali previa autorizzazione paterna. Mio padre Aurelio però non era d’accordo.

Se siete appassionati di motociclismo, è possibile visitare il museo di Agostini in gruppi di otto persone accompagnati da Giacomo Agostini in persona. Bisogna rivolgersi a Villa Vittoria di Bergamo che organizza la visita con cena con il campione e pernottamento.


PERSONAGGIO

GIACOMO AGOSTINI

Ph: Rainer Herhaus

Giacomo Agostini nel 2016 a Jerez (Spagna) durante il Red Bull MotoGP

Diceva sempre che non avrebbe mai firmato la morte di suo figlio. Allora nelle gare c’erano purtroppo tanti incidenti mortali. Papà però chiese consiglio al notaio di famiglia, un uomo molto saggio, ma un po’ sordo che capì bicicletta invece di motocicletta. E gli disse: “Dai Aurelio, firma, fa fare a tuo figlio un po’ di sport”». Ago inizia così la sua eccezionale carriera. Compra la moto Morini a rate e l’anno dopo vince da privato, senza scuderia e meccanici, la Bologna San Luca. Nel 1965 corre con la MV Agusta 350 si classifica secondo come l’anno dopo e nel 1967, poi sette successi consecutivi. Contemporaneamente sfida gli altri piloti, sempre con una MV Agusta, ma nella classe 500 e vince per otto anni di fila. Nel 1974 passa alla

Yamaha mietendo altri trionfi fino al 1977 quando tra le lacrime lascia le piste per diventare manager, direttore sportivo prima del Team Marlboro-Yamaha e poi alla Cagiva. «Ho smesso quando ho capito che era ormai arrivata l’ora di ritirarmi. Grippavo, si rompeva il motore e poi avevo perso troppi amici in incidenti. Non bastava più fare una vita da professionista con tanta ginnastica, seguendo diete, studiando magari a piedi tutte le curve dei circuiti e prendendo appunti nei quaderni come quelli esposti in bacheca. Ma non è stato facile. La sala trofei mi riporta ai mondiali, alle gare vinte e penso a quando nel 1966 ho vinto il mio primo titolo a Monza davanti a 130 mila persone con la gente che mi portava in braccio e mi dava certe manate sulle spalle. O ai tanti amici che purtroppo non ci sono

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più. O ai tanti sacrifici fatti. Non basta infatti la passione, il talento, devi preparati, allenarti». Una vita da atleta, anche se all’apice del successo Ago è corteggiato non solo per il suo talento in pista ma anche per il suo fascino. Da scapolo impenitente ha resistito per anni a sposarsi, poi a 45 anni trova l’amore, Maria, una ragazza spagnola che ha studiato negli Stati Uniti e che conosce in una conferenza stampa dove fa l’interprete. Nascono due figli, Vittoria che ora gestisce un B&B di prestigio nel cuore di Bergamo Alta, e Piergiacomo che s’interessa, con il padre, della loro società immobiliare. Ma la passione per le moto resiste sempre. Ogni tanto partecipa ai revival e dà il suo contributo ai Gran Premi come commentatore su Sky Tv.



IN SALUTE

STILI DI VITA

Sigarette elettroniche Allarmi, allarmismi, dibattiti, rischi proibizionistici L’autorevole rivista americana “Science” fa il punto ∞  A CURA DI ELENA BUONANNO

L’inizio dell’anno, si sa, è il momento dei buoni propositi. Tra questi uno dei più gettonati è sicuramente smettere di fumare. C’è chi promette di dire addio del tutto alle sigarette, buttando una volta per tutte il pacchetto, chi invece -soprattutto negli ultimi anni– preferisce optare per soluzioni meno drastiche “ripiegando” sulla sigaretta elettronica. Secondo i dati l’Istituto Superiore della Sanità sarebbero 900mila gli italiani che “svapano” (11,6 milioni invece gli amanti delle bionde). Ma passare alla sigaretta elettronica può essere davvero un’alternativa più salutare? Quali rischi nasconde? A queste e altre domande ha cercato di dare risposta un recente editoriale (“Evidence, alarm, and the debate over e-cigarettes”, Amy Fairchild, Cheryl Healton, James Curran, David Abrams e Ronald Bayer) a cura di esperti di salute pubblica di prestigiose Università statunitensi pubblicato sulla rivista Science –rivista scientifica interna-

zionale dell’American Association for the Advancement of Scienceche ha fatto il punto sul dibattito relativo ai prodotti alternativi a base di nicotina senza combustione (sigarette elettroniche, e-cig). Vediamone i punti principali. Le evidenze scientifiche sin qui raccolte inducono a sconsigliare l’adozione di azioni meramente proibizioniste dettate da allarmismi e volte a limitare tout court l’accesso e il ricorso alle e-cig da parte dei fumatori. Tali azioni infatti rischiano di sviare una tendenza che può invece accelerare la fine dell’uso delle sigarette, ad oggi responsabili del decesso di circa un miliardo di persone entro il secolo corrente. Negli Stati Uniti si dibatte da decenni sulla riduzione del danno come una strategia basata su evidenze scientifiche volta a ridurre i danni associati ai comportamenti potenzialmente letali, per mezzo dell’offerta di prodotti più sicuri,

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anche se non totalmente privi di rischi: gli autori ribadiscono che per coloro che sono dipendenti dai prodotti del tabacco combusto, la riduzione del danno è un approccio pragmatico. L’uso delle e-cig come misura di riduzione del danno si è quindi fatto strada e, se in un primo momento le evidenze scientifiche disponibili erano scarse, con il passare del tempo i dati scientifici via via acquisiti risultavano sufficientemente solidi da dimostrare che, seppur non prive di rischio, le soluzioni senza combustione sono meno dannose dei prodotti a combustione e che quindi hanno un beneficio tale da superare il danno residuo, soprattutto vista la massiccia e urgente necessità di prevenire i decessi dovuti al fumo di sigaretta. Gli autori condividono una forte preoccupazione per il notevole aumento del vaping tra i giovani,


Sigaretta a riscaldamento del tabacco: è meno pericolosa della sigaretta comune?

tuttavia suggeriscono che i benefici dei prodotti per il vaping contenenti nicotina superano i timori di arrecare danno ai giovani. I sondaggi condotti negli Stati Uniti confermano un notevole incremento delle percentuali di studenti di scuola superiore che riferiscono di aver “svapato” negli ultimi 30 giorni, dall’11,7% del 2017 fino al 27,5% del 2019, ma tale fenomeno rimane infrequente e la maggior parte degli “svapatori” (circa il 60% di chi ha provato il fumo elettronico e circa l’89% degli utilizzatori regolari) sono fumatori o ex fumatori. In contemporanea, la prevalenza del fumo tra i minori è calata molto più rapidamente negli anni di boom del fumo elettronico (2013-2019) rispetto agli anni precedenti, facendo registrare un minimo storico nel periodo in questione, un dato che suggerisce che il vaping di nicotina potrebbe sostituire il fumo anziché promuoverlo. Affrontare la crescente diffusione del vaping tra gli adolescenti rima-

ne un imperativo. Ma le misure per la tutela della salute pubblica non devono trascurare le distinzioni tra nicotina e THC (cannabinoidi), né tra i prodotti ottenuti sul mercato legale e i prodotti del mercato nero. In conclusione le stime più conservative indicano che se “svapare” nicotina rimpiazzasse efficacemente la maggioranza del fumo di sigaretta nei prossimi 10 anni, si eviterebbero 1,6 milioni di morti premature e 20,8 milioni di anni di vita regolati per qualità, nei soli USA. Il beneficio maggiore si avrebbe proprio nei giovani. A livello mondiale si stima che più di otto milioni di fumatori siano morti prematuramente a causa del fumo di sigaretta (e non per la sola nicotina) soltanto nel 2019. Il beneficio potenziale di questa modalità di fornitura della nicotina (regolamentata, innovativa, senza combustione) potrebbe avere un enorme impatto positivo a livello globale.

Accanto alla e-cig nell’ultimo anno si è assistito anche in Italia a un vero e proprio boom della cosiddetta sigaretta a riscaldamento del tabacco. Gli studi finora disponibili dicono che il contenuto in nicotina è simile a quello delle sigarette normali, ma il livello di sostanze tossiche legate alla combustione è minore (ma non nullo). Ecco cosa c’è da sapere. La sigaretta a riscaldamento del tabacco o “sigaretta che non brucia” non è una sigaretta elettronica. Il suo contenuto di nicotina è simile a quello delle sigarette comuni, ma il livello di altre sostanze tossiche è inferiore. Non sono ancora disponibili studi in grado di dimostrare che l’uso di sigarette a riscaldamento del tabacco riduca il rischio di cancro rispetto alle sigarette classiche. Gli studi che dimostrano un livello inferiore di sostanze tossiche provengono in maggioranza dai produttori. I livelli elevati di nicotina possono indurre dipendenza, specialmente tra i più giovani. Fonte: www.airc.it

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IN SALUTE

ALIMENTAZIONE

Digiuno e semi-digiuno: funzionano davvero per dimagrire? ∞  A CURA DI LELLA FONSECA

«Non passa giorno che su giornali e siti non compaia una nuova dieta o un nuovo prodotto in grado di far perdere peso senza sforzo. Al netto del proliferare d’informazioni volutamente false e/o tendenziose (oggi definite fake-news), anche le rimanenti hanno spesso poco valore scientifico. Tra queste, una delle ultime in ordine di tempo, è la rinata e rivisitata moda del “digiuno”, protagonista di regimi alimentari che contemplano l’astensione completa da tutti i cibi solidi e liquidi tranne l’acqua per periodi più o meno lunghi (da 12 ore fino a uno o più giorni). Secondo chi li suggerisce, questi regimi servirebbero a “depurare” l’organismo, se non addirittura a “guarirlo” da varie malattie anche gravi». Chi parla è il professor Massimo Valverde, endocrinologo e farmacologo; lo abbiamo incontrato ora che è tempo di buoni propositi e di mettersi a dieta dopo gli eccessi delle feste, per parlare degli effetti del digiuno.

Malgrado i regimi alimentari di questo tipo vengano in qualche caso suggeriti anche da medici, in realtà un comportamento alimentare espresso con il digiuno o il semi-digiuno, può avere solo due motivazioni. La prima, personale e lecita, è generalmente legata al proprio credo religioso come forma tradizionale di penitenza, sacrificio e igiene e quindi assolutamente coerente e indiscutibile.

Professor Valverde, ma davvero digiunare per un certo numero di ore al giorno può aiutare a perdere peso senza correre rischi, anzi migliorando il proprio stato di salute? 22 | Bergamo Salute | Gennaio/Febbraio 2020

A questo proposito basta citare il digiuno rituale nelle tre maggiori religioni monoteiste (il venerdì per i cristiani romani e ortodossi, lo yom kippùr degli ebrei, il ramadan nella religione islamica e nelle religioni orientali quali ad esempio il buddhismo). La seconda è generalmente legata a una discutibile interpretazione del digiuno come strumento di guarigione che, nella realtà dei fatti, confligge direttamente con

S.O.S. GLUCOSIO Nelle prime 24 ore di privazione alimentare, per produrre l‘ATP (la “benzina“ necessaria per far funzionare tutte le cellule) l’organismo sopperisce alla carenza di glucosio utilizzando inizialmente la piccola quantità di “glucosio d’emergenza” prodotto e depositato nel fegato sotto forma di glicogeno. Questa scorta non è però in grado di far fronte a lungo a tutte le necessità metaboliche e, dopo averla consumata, l’organismo inizia a utilizzare per produrre l’ATP prima i grassi e, dopo averli esauriti, rielabora le proteine presenti nelle sue varie sedi. Quando vengono utilizzati i grassi l’organismo produce come scarto l’acetone, che si percepisce ad esempio nell’alito dei bambini quando hanno difficoltà nell’alimentarsi normalmente per una malattia. Il cervello, i globuli rossi e tutto il corpo in generale, che non sono in grado di utilizzare direttamente gli acidi grassi a scopo energetico, si affidano a questo meccanismo “alternativo“ per disporre di “energia” (ATP) partendo dai grassi o dalle proteine invece che, come al solito, dagli zuccheri.


tutte le attuali conoscenze scientifiche provenienti dallo studio della fisiologia umana, della biochimica, e dell’endocrinologia. Escludendo il digiuno effettuato sotto diretto e costante controllo medico durante il decorso di una malattia o dopo un intervento chirurgico, le attuali conoscenze della fisiologia e della biochimica umana dei soggetti “sani” dimostrano infatti che il digiuno, ancorché breve e frequente, intrapreso essenzialmente con fini dimagranti e/o depurativi, provoca delle modificazioni organiche che di fatto annullano e spesso peggiorano i suoi eventuali vantaggi in termini di perdita di peso. Ma cosa succede esattamente nell’organismo quando si digiuna? Il digiuno è in grado di stimolare la capacità dell’organismo di aumentare l’estrazione e la metabolizzazione dei nutrienti. Una

Durante il digiuno non può mai mancare l’acqua, che è uno degli alimenti più importanti e deve essere consumata ogni giorno in abbondanza”

controllata da caratteristiche sia “di base” (ovvero genetiche) sia “adattative” (dette epigenetiche). Proprio per questo ci sono persone che possono sopportare ed eventualmente trarre momentaneo vantaggio dagli effetti del digiuno meglio di altre.

conseguenza del digiuno è certamente il consumo dei depositi di grasso (vedi box), che è l’effetto più desiderabile di una dieta dimagrante, ma il vantaggio è apparente, perché nello stesso tempo si produce anche un rallentamento del metabolismo. Gli effetti del digiuno sono uguali per tutti? Anche con brevi periodi di digiuno viene esaltata la capacità legata ai processi di sopravvivenza, tipici di ciascun organismo umano e

PROF. MASSIMO VALVERDE Specialista in Patologia della Riproduzione Umana, Endocrinologia, Farmacologia e Tossicologia Direttore Sanitario Centro Medico MR Bergamo

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IN SALUTE

ALIMENTAZIONE

Topinambur il tubero dal nome poetico amico della salute ∞  A CURA DI VIOLA COMPOSTELLA

Aiuta a controllare la fame, a contrastare la stitichezza, a ridurre il colesterolo, è antiossidante. Ancora poco conosciuto (anche se negli ultimi anni si sta diffondendo sempre di più), il topinambur, o Helianthus tuberosus, è un alimento non solo gustoso ma dalle molte proprietà benefiche per la salute. Scopriamole con l’aiuto della dottoressa Chiara Cortiana, biologa nutrizionista. Dottoressa Cortiana, che cosa è il topinambur? Il topinambur, conosciuto con diversi nomi tra cui carciofo di Gerusalemme, rapa tedesca, patata del Canada, fa parte della famiglia dei tuberi. In particolare si tratta di una pianta erbacea perenne facilmente riconoscibile dalla forma irregolare e un po’ frastagliata che ricorda molto quella dello zenze-

ro. Ne esistono due varietà, una di colore bianco, che si trova verso fine agosto, e una di colore viola reperibile in autunno e in inverno. Quali sono le virtù di questo tubero? Perché vale la pena inserirlo in una sana alimentazione?

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Ha un contenuto calorico molto basso, circa 76 calorie per 100 grammi di alimento e quindi si rivela adatto anche per chi segue diete ipocaloriche.

È molto ricco di fibre solubili, tra le quali la più importante è l’inulina che aiuta a ridurre i livelli di colesterolo e di trigliceridi nel sangue,

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abbassa la glicemia, aumenta il senso di sazietà e riduce il meteorismo intestinale.

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È ricco di potassio e consente di migliorare la regolazione della pressione sanguigna. È anche una buona fonte di ferro e calcio, minerali indispensabili per mantenere l’organismo in salute: il primo contribuisce al trasporto di ossigeno verso organi e tessuti, il secondo svolge un ruolo importantissimo nel mantenimento di ossa sane e quindi nella prevenzione dell’osteoporosi.

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È un ottimo antiossidante grazie alla presenza di vitamina C ed E, sostanze in grado di contrastare


l’azione dei radicali liberi, ovvero i principali responsabili dei processi di invecchiamento delle nostre cellule.

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Può essere utilizzato per tenere sotto controllo il senso di fame grazie alla presenza delle fibre le quali, a contatto con l’acqua, aumentano di volume e conferiscono al cibo un maggior potere saziante. Risulta quindi consigliato nei regimi dietologici volti alla perdita di peso.

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Ha un effetto diuretico sempre grazie alla presenza di potassio.

È un’ottima fonte di vitamine (vitamine del gruppo B, vitamina A, vitamina C, vitamina K, vitamina E).

Tabella nutrizionale per 100 g di alimento: . Energia 76 kcal . Proteine 2 g . Carboidrati 17,5 g . Grassi 0,01 g . Fibra 1,6 g

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Facilita la digestione perché stimola la secrezione di succhi gastrici e biliari.

È naturalmente privo di glutine quindi può essere consumato anche dalle persone celiache.

DOTT.SSA CHIARA CORTIANA Biologa Nutrizionista Presso Centro Daina a Nembro (BG)

È utilissimo per regolarizzare il transito intestinale e migliorare o prevenire la stitichezza perché ricco di fibre insolubili. Ma lo possono mangiare tutti o ci sono controindicazioni? Non ci sono al momento controindicazioni particolari al consumo del topinambur. Essendo però un alimento molto ricco di fibre potrebbe provocare meteorismo,

diarrea e mal di pancia se consumato in eccesso, perché il corpo potrebbe non essere in grado di smaltire tutte le fibre introdotte. Per abituare l’intestino è bene cominciare con piccole dosi da aumentare con il tempo fino ad un massimo di 150-200 grammi al giorno. Inoltre, potrebbe scatenare reazioni allergiche nelle persone predisposte. Come si cucina? Il topinambur può essere consumato crudo nelle insalate o da solo con l’aggiunta di succo di limone, così da lasciare intatte le sue proprietà nutritive. Se mangiato crudo va solo lavato e spazzolato. Chi non gradisce la buccia può toglierla semplicemente con un pela patate. Può anche essere cotto a vapore (bastano circa 10 minuti) e successivamente condito con un po’ di olio extravergine di oliva oppure trasformato in purea.

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IN ARMONIA

PSICOLOGIA

Intelligenza emotiva La soft skill per essere felici nella vita e nel lavoro ∞  A CURA DI ELENA BUONANNO

“La capacità di riconoscere i propri sentimenti e quelli degli altri, di saper gestire le emozioni in modo efficace e interagire in modo costruttivo con gli altri”. Così lo psicologo americano Daniel Goleman, padre della teoria della Emotional Intelligence, definisce l’intelligenza emotiva, una qualità sempre più centrale nella società di oggi, non solo nella vita personale e di relazioni ma anche in ambito lavorativo. Non a caso, è stata inserita dal World Economic Forum tra le prime 10 competenze (skill) richieste dagli imprenditori. Ma di cosa si tratta? Quali vantaggi offre? Come svilupparla? Ne parliamo con Marco Ghezzi, psicologo e psicoterapeuta. Dottor Ghezzi, cosa s’intende per intelligenza emotiva? Per parlare di intelligenza emotiva possiamo partire dagli emoticon. Al giorno d’oggi ne facciamo grande uso sui social. Usiamo il pollicione verso l’alto per comunicare che siamo d’accordo con un’affermazione, il sorriso quando siamo contenti, l’occhiolino per annuire o per “simpaticamente addolcire” una frase ben delineata che però potrebbe apparire troppo netta tanto da ferire la sensibilità dell’interlocutore. Gli emoticon ci permettono di

aggiungere, nella comunicazione scritta, quelle sfumature che nel rapporto diretto sono comunicate spontaneamente attraverso il corpo. Ed è il linguaggio non verbale quello che trasferisce la maggior parte del contenuto della comunicazione. Essere consapevoli di ciò che il nostro corpo sente e comunica al di là del verbale è un aspetto dell’intelligenza emotiva. Così come lo è leggere e interpretare correttamente i segnali del corpo dell’interlocutore. Facciamo un esempio: è esperienza comune quella di incontrare persone con cui non c’è feeling e, pur cercando di mantenersi spigliati nel dialogo verbale, si conferma vicendevolmente il disagio nell’incontro: è il corpo che parla per noi e il corpo registra come più attendibile la comunicazione non verbale di quella verbale. “Ma perché non succede con tutti?”, Perchè solo con alcune persone?”. Ecco, queste domande, per esempio, sorgono spontaneamente nella testa di chi ragiona emotivamente: “parlare con Giovanni mi ha reso sereno. Chissà come mai?”, “Che nome dare all’emozione che mi dà incontrare Rosamunda?”, “Come mai quella battuta ha innervosito Tiziano?”. Domande e riflessioni che nascono dai segnali del corpo

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e vengono percepiti ed elaborati per il loro significato emotivo. Perché può rivelarsi una forma di intelligenza preziosa in diversi campi della vita? Perché ha valore per sé, per conoscersi in maniera intima e profonda, e si rivela anche indispensabile per avere delle relazioni appaganti e significative con gli altri. Questo lavoro di consapevolezza, mai finito, consente di apprendere a entrare in empatia con gli altri, cercare di leggerne gli stati d’animo, dandoci quelle informazioni emotive essenziali per decidere, in modo quasi istintivo, come comportarci (e questo è importante sia nella vita

DOTT. MARCO GHEZZI Psicologo e Psicoterapeuta, Practitioner Emdr, Mental coach per atleti e imprenditori A Bergamo


affettiva e personale sia in ambito lavorativo). Ci sono persone che non riescono (certamente perché non l’hanno appreso) a svolgere questo compito e quindi si concentrano più facilmente sul significato razionale del discorso. Sono spesso apprezzate sul lavoro perché considerate persone precise e affidabili. Nei rapporti affettivi, invece, fanno enorme fatica. Oltretutto, proprio perché percepiscono che c’è qualcosa che non va, spesso tendono a mascherare queste difficoltà e imparano a “far finta” di sentire, amare, provare emozioni, voler bene e via dicendo. È come se mancasse la capacità di percepire, riconoscere e maneggiare tonalità emotive sfumate, come se fosse solo bianco o nero. Vivere l’emotività è spesso sentita da queste persone come disturbante, incontrollabile, pericolosa o anche sintomo di debolezza e quindi da

tenere a distanza. L’emotività è poi parente stretta dell’affettività, cioè il voler bene e il voler male. E se non sai fare i conti con l’emotività, sarà difficile che tu possa realmente amare qualcuno al di là di te stesso. Ma si può “allenare” questo tipo di intelligenza? Quando parliamo di intelligenza emotiva, parliamo di una competenza geneticamente strutturata dell’essere umano, una disposizione spontanea e universale. Gli studi sui neuroni specchio, tra gli ultimi, ne hanno dato una conferma definitiva. L’uomo entra in sintonia con il suo simile: si commuove se l’altro si commuove, prova compassione se l’altro prova dolore; è naturale. Perciò la risposta è sì. E l’allenamento comincia dalla capacità di ascoltare se stessi e chi si ha davanti, imparando a cogliere le emozioni, nel caso dell’altro, cercando di

LE 5 CARATTERISTICHE PER RICONOSCERLA 1. Consapevolezza di sé: capacità di riconoscere il proprio stato emotivo, le proprie emozioni, le proprie capacità, punti deboli e forti. 2. Autocontrollo: capacità di dominare le proprie emozioni, anche quelle più forti o negative, imparando ad incanalarle in modo che possano trasformarsi in qualcosa di costruttivo. 3. Motivazione: capacità di spronare se stessi al raggiungimento degli obiettivi che ci si pone. 4. Empatia: capacità di percepire e riconoscere i sentimenti degli altri, di ascoltarli, cercando di vedere le cose anche dal loro punto di vista, non solo dal proprio. 5. Abilità sociali: capacità di gestire le relazioni, e anche eventuali conflitti o tensioni, in modo efficace.

mettersi “nei suoi panni”. Anche in psicoterapia spesso si parte proprio da un lavoro che abitui e consolidi l’attitudine all’ascolto, di sé e dell’altro, e per molti è difficile seppur, quando accade, possa risultare molto appagante e per certi versi liberatorio. Come se fosse un mondo rimasto sepolto e, finalmente, portato alla luce, rivelasse una ricchezza e una limpidezza che non si sarebbe mai immaginata prima.


IN ARMONIA

COPPIA

Come superare la fine di un amore ∞  A CURA DI VIOLA COMPOSTELLA

La fine di un amore, per l’elevato carico di stress e sofferenza che porta con sé, è un evento particolarmente critico, soprattutto quando la decisione di porre termine alla relazione è stata subìta o quando si è trattato di una scelta obbligata, anche se per autodifesa o per buon senso. Cuore a parte, quali meccanismi scattano per cui il tormento può diventare quasi fisico? Quali strategie si possono mettere in atto per “sopravvivere”, lenire il dolore e, col tempo, ricominciare una vita nuova rimettendosi in gioco in una relazione? Lo abbiamo chiesto alla dottoressa Rita Ferrari, psicologa.

sovrapponibili a quelli coinvolti nelle dipendenze da sostanze. La frequentazione della persona amata innesca, infatti, un potente meccanismo di gratificazione che spinge a ricercare la sua presenza e che può mandarci in tilt quando il partner non è più disponibile. L’ossitocina, in particolare, sembra svolgere un ruolo cruciale: l’alterazione che segue alla fine di una relazione determina un’impennata dei livelli di stress e dei comportamenti depressivi. Per questo, la sofferenza può essere ancora più devastante del dolore fisico e alcune persone rimangono agganciate all’ex come se si trattasse di una droga.

Dottoressa Ferrari, cosa succede nel nostro cervello quando veniamo lasciati? Le neuroscienze hanno scoperto che, durante l’innamoramento, i circuiti neurali che si attivano nel cervello sono ampiamente

Ma quindi è sempre meglio smettere di vedere e sentire il partner? Non esiste una ricetta passe-partout: per alcune coppie, l’interruzione “a comando” di ogni contatto risulta impossibile, altre si allontana-

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no gradualmente, per esempio evitando di vedersi ma continuando a mantenere un contatto telefonico, per altre ancora una chiusura netta si rivela l’unico modo per riuscire a lasciarsi. In ogni caso, è importante sapere che interrompere i contatti con il partner indebolisce i circuiti neurali coinvolti e dà modo all’ossitocina e a neurotrasmettitori come dopamina e noradrenalina di stabilizzarsi, permettendo al corpo di ritornare in equilibrio. In quali casi superare la fine di un amore si rivela particolarmente difficile? Quando la coppia era fusionale, ovvero con pochi spazi di autonomia individuale, quando la rottura è stata del tutto inaspettata, quando vi era un forte investimento in termini di progetti futuri e infine quando alla sofferenza si aggiungono preoccupazioni di tipo pratico, spesso legate all’abitazione e più in


generale all’aspetto economico. Ci sono poi caratteristiche personali che possono contribuire a rendere un abbandono particolarmente gravoso: scarse abilità di far fronte alle avversità, incapacità di chiedere conforto, mancanza di legami familiari e amicali solidi, una vita

specie nei primi giorni, se il dolore dovesse essere particolarmente acuto, accontentarsi di sopravvivere (mangiare, dormire, andare al lavoro): le delicate variazioni ormonali e neurali in corso hanno bisogno di tempo per assestarsi. Poi cercare conforto presso amici

Quando può essere utile rivolgersi a un esperto? Quando il dolore appare intollerabile, si rimugina continuamente su quello che è accaduto e si fatica a comprendere i motivi che hanno portato alla chiusura, quando non si riesce a riprendere le normali

professionale poco gratificante e, in generale, una vita percepita come poco appagante.

e familiari: esporre il proprio punto di vista e i propri sentimenti permette già una prima rielaborazione. Infine, cercare attivamente altre gratificazioni, ovvero dedicarsi ad attività che si trovano piacevoli, sforzandosi di fare caso alle sensazioni di benessere che piano piano cominceranno a riaffiorare. Da un punto di vista emotivo, cercare di non colpevolizzare eccessivamente l’altro se non ricambia più il nostro trasporto: i sentimenti non sono una colpa e nemmeno i non sentimenti. Riflettere sul fatto che non abbiamo le redini della relazione e soprattutto non abbiamo alcun controllo su sentimenti e decisioni dell’altro, ma possiamo tenere ben salde quelle della nostra vita. Anche cercare di comprendere come si ha contribuito al naufragio del rapporto aiuta a sentirsi non solo vittime degli eventi, ma co-costruttori di una storia che, anche se è andata come è andata, con ogni probabilità ha insegnato qualcosa, non fosse altro cosa non si vuole da un partner.

attività quotidiane e i sentimenti prevalenti rimangono tristezza e senso di fallimento. Attenzione anche quando sembra che la storia si ripeta, con svariate relazioni precedenti che hanno avuto un’evoluzione simile: è possibile che ci sia un meccanismo che non abbiamo compreso e che, per questo, non possiamo fare altro che subire.

Spesso si sente dire che “chiodo schiaccia chiodo”. È vero? Dopo la fine di una relazione si può avere la tentazione di gettarsi velocemente tra le braccia di un altro partner, non tanto per vendetta, quanto perché si spera così di lenire il dolore, distraendosi per renderlo più tollerabile. Tuttavia, darsi tempo per elaborare la perdita è un passo necessario per recuperare un buon equilibrio interiore. Solo dopo si potrà essere pronti a iniziare una relazione sana con un altro partner. Cosa invece può essere di aiuto? Sforzarsi di vivere il dolore con ottimismo. Può sembrare un paradosso, invece è una delle chiavi di volta per uscirne: una certa quota di sofferenza va messa in conto, con la consapevolezza, però, che si tratta di una fase destinata a finire. Quindi, concedersi di non tornare subito alla vita di prima ma anzi,

DOTT.SSA RITA FERRARI Psicologa Studio Pronto Aiuto Psicologico Bergamo


IN FAMIGLIA

DOLCE ATTESA

Diastasi dei retti addominali dopo il parto L’importanza di un trattamento “globale” ∞  A CURA DI VIOLA COMPOSTELLA

È poco conosciuta, anche se più diffusa di quanto si pensi. La diastasi addominale riguarda circa due terzi delle neo mamme. Di solito si risolve spontaneamente nei primi quattro-cinque mesi dal parto, ma in alcuni casi può persistere anche 12 mesi dopo la nascita del bambino, provocando diversi disturbi, come lombalgie, e/o dolori addominali fino a difficoltà respiratorie o digestive. Conosciamola meglio con l’aiuto della dottoressa Monica Vitali, ostetrica in formazione osteopatica. Dottoressa Vitali, che cosa si intende con diastasi addominale? La diastasi dell’addome è la separazione eccessiva dei muscoli retti addominali. A separarli è la cosiddetta linea alba, una sottile banda di tessuto connettivo che va da sotto lo sterno fino alle ossa del bacino.

Una larghezza maggiore di tre centimetri della linea alba (o linea mediana) è considerata diastasi addominale. Perché è così frequente in gravidanza? Perché si verifica un aumento di pressione addominale e inoltre i contenitori -bacino, addome e torace- sono sottoposti a numerose sollecitazioni e modificazioni (meccaniche e ormonali). Il diaframma modifica la sua “posizione” influenzando le pressioni interne del corpo, non solo nell’addome ma anche a livello toracico. Quando la struttura è in equilibrio, la gravidanza con le sue modificazioni non comporta necessariamente la formazione della diastasi addominale intesa come patologia: tutti gli adattamenti richiesti dalla gestazione avvengono in modo più fisiologico possibile, così come

DOTT.SSA MONICA VITALI Ostetrica riabilitatrice, formazione osteopatica Studio Vitali Bergamo

il riassetto posturale post gravidanza e il parto che avvengono entro l’anno. All’inizio della gravidanza, la cresta (che si crea in corrispondenza della linea alba) derivante dalla diastasi addominale è poco evidente, mentre tende a diventare particolarmente visibile durante gli ultimi mesi.

Test di autovalutazione 1. Sdraiati a terra con le gambe piegate e le piante dei piedi aderenti al pavimento con una mano dietro la nuca e una sugli addominali. 2. Metti le dita al centro dell’addome all’altezza dell’ombelico e premile leggermente contro gli addominali sollevando la testa e le spalle del pavimento, come per fare un crunch. 3. Mantieni la posizione e muovi le dita lateralmente a destra e a sinistra, cercando le pareti del retto addominale. Se sei in presenza di una diastasi, dovresti sentire un vuoto tra i retti.

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Quali sono le cause o i fattori di rischio che ne favoriscono l’insorgenza? Le possibili cause sono disfunzioni posturali e riduzione della mobilità del bacino e torace; squilibrio pressorio tra addome e torace, rigidità e blocchi della colonna, in particolare a livello lombare; parti operativi (ndr quelli in cui si utilizzano forcipe o ventosa per agevolare l’espulsione); “atteggiamenti posturali” scorretti, globali o di alcune parti del corpo, esistenti già prima della gravidanza; fattori ormonali; fattori genetici; età (superiore ai 35 anni); sovrappeso. Spesso queste possibili cause sono correlate anche a instabilità del pavimento pelvico, dolori pelvici di varia natura, prolassi, incontinenze, dolori lombari o cervicali, problematiche intestinali e ernie ombelicali. Come si può sospettare di avere una diastasi addominale? In alcuni casi si verifica un eccessivo gonfiore addominale, specie dopo i pasti, causato dalla debolezza della parete addominale e del retto dell’addome. È anche possibile riscontrare la presenza di

Attenzione: con l’esercizio del “crunch” non si risolve, anzi si peggiora la diastasi” una o più ernie mediane, dovute alla debolezza della linea alba, non più in grado di sostenere la pressione intra-addominale. Non solo, si possono verificare difficoltà sia respiratorie sia digestive, perché i muscoli lassi della parete addominale facilitano l’esecuzione di questi processi. Infine, è possibile avere episodi d’incontinenza. Ma si può curare? Quali sono le terapie disponibili? Sia che si scelga la terapia conservativa sia che si debba ricorrere alla chirurgia, la diastasi addominale va sempre considerata come espressione di uno squilibrio posturale e pressorio e come tale va trattata, cercando di ripristinare una corretta funzionalità del sistema corporeo in generale. In particolare l’approccio terapeutico comprende: > trattamenti conservativi per migliorare e ripristinare l’equilibrio globale della struttura; > esercizi posturali, di mobilizzazione (globale e

segmentaria) per mantenere la mobilità nelle varie parti del corpo direttamente coinvolte nell’organizzazione posturale dell’individuo; > esercizi di rinforzo globali e per stabilizzare l’area addominale; > esercizi respiratori; > correzione dello stile di vita e/o atteggiamenti posturali scorretti per prevenire ed evitare l’instaurarsi di uno squilibrio muscolo-scheletrico; > intervento chirurgico, che è necessario in caso di diastasi severa (più di cinque centimetri) ma andrebbe sempre associato a trattamenti conservativi. Il rischio, altrimenti, è correggere il problema senza risolvere il meccanismo che ne è alla base e che, continuando ad agire, potrebbe causare un sovraccarico di altre zone e problematiche dolorose dell’apparato muscoloscheletrico e una continua pressione a livello addominale.

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IN FAMIGLIA

RAGAZZI

Difficoltà di attenzione in adolescenza L’importanza dell’attenzione e della pianificazione nell’organizzazione dello studio e della vita quotidiana ∞  A CURA DI MARIA CASTELLANO

Scuola, palestra, studio, amici, serate. Nella vita quotidiana gli adolescenti si trovano a gestire innumerevoli attività che richiedono buone capacità di prevedere i propri tempi di lavoro e di pianificazione. Tuttavia spesso tendono a procrastinare, a rimandare in continuazione gli impegni, distratti dai loro pensieri o da stimoli più accattivanti (ad esempio giochi su smartphone, video su youtube etc). Fino a che punto è “normale” e quando invece può essere un campanello di allarme di un disturbo vero e proprio? Cosa possono fare i genitori per aiutare i figli? Lo abbiamo chiesto alla dottoressa Elisa Tomasoni, psicologa e neuropsicologa, esperta in tematiche adolescenziali. Dottoressa Tomasoni, perché può essere difficile mantenere l’attenzione per un adolescente? Le capacità attentive (cioè di attenzione) si sviluppano progressivamente raggiungendo un buon livello intorno ai sette anni, in particolare per quanto riguarda la componente dell’attenzione selettiva, ovvero la capacità di concentrarsi sugli stimoli rilevanti. L’attenzione sostenuta, ovvero la capacità di mantenere l’attenzione per lungo tempo sul compito, si sviluppa fino agli 11 anni. Successivamente il miglioramento dei processi attentivi è

legato all’efficienza nell’esecuzione dei processi, ovvero alle abilità di autoregolazione che permettono di utilizzare in maniera efficace le proprie risorse attentive e raggiungono il massimo della loro potenzialità tra i 18 e i 26 anni. I recenti studi sul cervello degli adolescenti hanno evidenziato che i processi di maturazione cerebrale non sono definitivamente conclusi in questa fascia d’età ma vi sono ancora importanti cambiamenti; nello specifico riguardano la maturazione delle aree prefrontali deputate al controllo delle funzioni esecutive, ovvero l’insieme di processi psicologici adattivi che portano al raggiungimento di un obiettivo. Le funzioni esecutive, competenze strettamente implicate nell’organizzazione delle attività, comprendono l’attenzione sostenuta, la pianificazione, cioè la capacità di immaginarsi i passi necessari per raggiungere un risultato, e la memoria di lavoro, ossia l’abilità di tenere a mente le informazioni per il tempo necessario a concludere un’azione. L’organizzazione degli impegni può essere poco funzionale poiché influenzata dalle capacità di pianificazione che maturano fino ai 22 anni (Romine e R., 2005). Ci sono ragazzi che fanno più fatica a stare attenti e organizzarsi?

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Talvolta le scarse abilità organizzative sono l’espressione di difficoltà persistenti a mantenere l’attenzione sulle attività da svolgere dovute, in particolare, al Disturbo da deficit di attenzione e/o iperattività (Attention Deficit Hyperactivity Disorder). Conosciuto come ADHD o ADD (quando prevale la componente della disattenzione), è un disturbo del neurosviluppo che colpisce tra il 3-5% della popolazione in età scolare, anche se in Italia solo il 1,5% riceve un corretto inquadramento diagnostico. I dati raccolti dalla letteratura rilevano che il deficit non scompare con la crescita ma perdura anche in adolescenza: le difficoltà di attenzione e/o iperattività (ADD/ADHD) persistono in età adulta tra il 2,5 e il 5% (Polanczyk et al., 2007). L’ADD in adolescenza si manifesta come difficoltà a mantenere l’attenzione sui compiti da svolgere e nell’organizzazione di attività complesse, che prevedono la stima dei tempi e la pianificazione delle diverse fasi. Ciò porta a evitare compiti che richiedono uno sforzo cognitivo prolungato (ad esempio lo studio) oppure alla non esecuzione delle mansioni affidate perché se ne dimenticano. Tali difficoltà hanno già caratterizzato la storia evolutiva precedente, sono osservabili in diversi contesti di vita (a casa, a scuola…) e interferiscono in maniera significativa con le atti-


vità che il ragazzo deve svolgere, con ripercussioni sul rendimento scolastico e sulle relazioni interpersonali (anche quelle richiedono organizzazione!). Come si può aiutare i ragazzi a migliorare i propri di tempi di attenzione e l’organizzazione dello studio? Il passo fondamentale è aiutare il ragazzo a osservare le proprie modalità di lavoro per riconoscere l’impatto sulla sua vita delle abitudini più disfunzionali, così da promuovere il bisogno di un cambiamento. Spesso infatti i ragazzi con ADD sono scarsamente consapevoli dei loro comportamenti disadattivi e tendono a minimizzarne le conseguenze. È importante

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che si promuova questa consapevolezza in uno spazio di ascolto psicologico non giudicante, che aiuti il ragazzo a gestire le ripercussioni emotive (ad esempio basso senso di autoefficacia, ansia…) che spesso derivano dai comportamenti poco efficienti. In una fase successiva, a seconda dei bisogni, si può introdurre un tutor domiciliare, ovvero un professionista che possa supportare il giovane nell’adozione di una metodologia di studio più efficace e organizzata. Oppure l’adolescente può accedere a percorsi psico-educativi individuali o di gruppo nei quali si favorisce l’acquisizione di strategie per regolare la propria attenzione, per pianificare le attività, per gestire la procrastinazione e per revisionare

il compito. È importante che l’adolescente sperimenti la possibilità di avere maggior controllo della sua distraibilità, per poter svolgere le proprie attività con più efficacia.

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IN FAMIGLIA

BAMBINI

Tonsillite

come riconoscerla e cosa fare ∞  A CURA DI ELENA BUONANNO

Gola arrossata, difficoltà a deglutire, placche, febbre, ma anche torcicollo e, nei più piccoli, mal di stomaco. Sono questi alcuni dei sintomi della tonsillite, infiammazione delle tonsille che colpisce più comunemente i bambini tra l’età prescolare e la metà dell’adolescenza, soprattutto in questa stagione. Di origine in generale virale può però essere causata o peggiorata da batteri. Per questo il primo passo è una corretta diagnosi. Ma quando preoccuparsi? Come curarla? In quali casi può essere necessario togliere le tonsille? Ce lo spiega il

dottor Sergio Clarizia, pediatra. Dottor Clarizia, cosa sono le tonsille e a cosa servono? Letonsillesonopiccoleghiandole linfatiche, due cuscinetti di tessuto a forma ovale nella parte posteriore della gola (una tonsilla su ciascun lato). Sono la prima linea di difesa del sistema immunitario contro batteri e virus che entrano nella bocca. Questa funzione può rendere le tonsille particolarmente vulnerabili alle infezioni e alle infiammazioni. La maggior parte dei

LE BUONE ABITUDINI PER PREVENIRLA I germi che causano la tonsillite virale e batterica sono contagiosi. Pertanto, la migliore prevenzione è attuare una buona igiene. 1. Insegna a tuo figlio a lavarsi le mani accuratamente e frequentemente, soprattutto dopo aver usato il bagno e prima di mangiare. 2. Insegnali a evitare di condividere cibo, bicchieri, bottiglie d’acqua o utensili. Sostituisci lo spazzolino dopo una diagnosi di tonsillite. 3. Tieni il bambino a casa quando è malato, per aiutare a prevenire la diffusione di un’infezione batterica o virale ad altri. 4. Insegna a tuo figlio a tossire o starnutire in un tessuto o, se necessario, nel suo gomito e a lavarsi le mani dopo aver starnutito o tossito.

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casi di tonsillite è causata da virus comuni, ma anche le infezioni batteriche possono essere la causa. Il batterio più comune che causa la tonsillite è lo streptococco pyogenes (streptococco di gruppo A). Quali sono i sintomi dell’infezione? Tonsille rosse e gonfie, rivestimento bianco o giallo o macchie sulle tonsille, gola infiammata, deglutizione difficile o dolorosa, febbre, linfonodi ingrossati, una voce graffiante o gutturale, alitosi, mal di stomaco in particolare nei bambini più piccoli, torcicollo, mal di testa, vomito. Nei bambini piccoli che non sono in grado di descrivere come si sentono, i sintomi possono includere anche sbavare a causa di deglutizione difficile o dolorosa, rifiuto di mangiare e facile irritabilità. Quando è consigliabile rivolgersi al pediatra? Se il mal di gola non scompare


entro 24 - 48 ore, se il bambino ha una deglutizione dolorosa o difficile, se manifesta estrema debolezza, affaticamento o irritabilità. In cosa consiste la cura? Sia che la tonsillite sia causata da un’infezione virale o batterica, le strategie di assisten-

za domiciliare possono rendere il bambino più a suo agio e promuovere un migliore recupero. Se un virus è la causa della tonsillite, queste strategie sono l’unico trattamento e in genere l’infezione si risolve entro 7-10 giorni. Durante questo periodo è importante incoraggiare il riposo del bambino, assicurargli liquidi adeguati (acqua, brodo, tè senza caffeina o acqua calda con miele etc.) per mantenere umida la gola e prevenire la disidratazione, fornirgli

La funzione di difesa immunitaria della tonsilla diminuisce dopo la pubertà. Questo può spiegare i rari casi di tonsillite negli adulti” cibi confortanti tra cui ghiaccioli che possono lenire il mal di gola. Utili sono poi i gargarismi con

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BAMBINI

acqua salata (1 cucchiaino da tè di sale da cucina sciolto in 25 millilitri di acqua calda). Per non irritare ulteriormente la gola è importante evitare il fumo di sigaretta o prodotti di pulizia e umidificare l’ambiente per eliminare l’aria secca: si possono usare umidificatori ad aria fredda oppure sedersi con il bambino per diversi minuti in un bagno pieno di vapore. Per attenuare il dolore e in caso di febbre (non bassa) può essere opportuno valutare con il pediatra l’utilizzo dell’ibuprofene o del paracetamolo. Fatta eccezione per alcune malattie, i bambini e gli adolescenti non dovrebbero assumere l’aspirina il cui uso, per trattare i sintomi di malattie da raffreddore o influenza, è stato collegato alla sindrome di Reye, una condizione rara ma potenzialmente pericolosa per la vita. Quando servono gli antibiotici? Solo se la tonsillite è causata da un’infezione batterica (basta un semplice tampone alla gola per saperlo) il medico prescriverà un ciclo di antibiotici. La penicillina

assunta per via orale per dieci giorni è il trattamento antibiotico più comune per la tonsillite causata dallo streptococco di gruppo A. Se il bambino è allergico alla penicillina, verrà prescritto un antibiotico alternativo. Il bambino deve seguire l’intero ciclo di antibiotici anche se i sintomi scompaiono completamente. La mancata assunzione di tutti i farmaci secondo le istruzioni può causare il peggioramento o la diffusione dell’infezione in altre parti del corpo. Quali sono i rischi se la tonsillite non viene curata in modo adeguato? L’infiammazione o il gonfiore delle tonsille da tonsillite frequente o in corso può causare complicazioni come: respirazione difficoltosa, respirazione interrotta durante il sonno (apnea ostruttiva del sonno), infezione che si diffonde in profondità nei tessuti circostanti (cellulite tonsillare), infezione che provoca una raccolta di pus dietro una tonsilla (ascesso peritonsillare). Se la tonsillite causata dallo strep-

DOTT. SERGIO CLARIZIA Specialista in Pediatria Pediatra di famiglia a Bergamo e presso Politerapica Seriate

tococco di gruppo A o da un altro ceppo di batteri streptococcici non viene curata o se il trattamento antibiotico è incompleto, il bambino ha un rischio aumentato di malattie rare come la febbre reumatica, una malattia infiammatoria che colpisce il cuore, le articolazioni e altri tessuti e la glomerulonefrite poststreptococcica, un disturbo infiammatorio dei reni che provoca una rimozione inadeguata di rifiuti e liquidi in eccesso dal sangue.

Rimozione delle tonsille: solo in caso di infezioni batteriche frequenti o complicazioni La chirurgia per rimuovere le tonsille (tonsillectomia), una volta procedura comune per il trattamento della tonsillite, oggi viene solitamente eseguita solo quando la tonsillite batterica si verifica frequentemente, non risponde ad altri trattamenti o causa gravi complicazioni. La tonsillite frequente è generalmente definita come: più di sette episodi in un anno; più di quatto-cinque episodi all’anno in ciascuno dei due anni precedenti ;più di tre episodi all’anno in ciascuno dei tre anni precedenti. Una tonsillectomia può anche essere eseguita se la tonsillite provoca complicazioni di difficile gestione, come l’apnea ostruttiva del sonno, la difficoltà respiratoria, difficoltà a deglutire in particolare carne e altri cibi pesanti, un ascesso che non migliora con il trattamento antibiotico. L’intervento viene generalmente eseguito in day hospital. Un recupero completo richiede in genere da sette a 14 giorni.

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IN FAMIGLIA

BAMBINI

La morte raccontata ai più piccoli Le parole per dirlo ∞  A CURA DI ELENA BUONANNO

“Mamma, dov’è adesso il nonno? Ma poi torna?”. “Dov’è il nostro cane, perché non gioca più con me?”. “Cosa succede quando si muore?”. Prima o poi arriva il momento in cui i bambini fanno queste domande ai genitori. Può succedere quando viene a mancare una persona cara o così, senza un motivo apparente. E non sempre per i grandi è facile trovare le risposte giuste. Meglio “addolcire” con una mezza verità a fin di bene oppure affrontare l’argomento in modo diretto? Ecco i consigli della dottoressa Emanuela Zini, psicologa e psicoterapeuta. Dottoressa Zini, come si fa a spiegare ai bambini la morte, in modo che possano comprenderla, senza creare false aspettative o al contrario angosce eccessive?

Spesso la difficoltà di spiegare la morte ai più piccoli si traduce in frasi poco adeguate: “il nonno riposa per sempre”, “andrà molto molto lontano”, “sembra che stia dormendo”. È preferibile, invece, utilizzare altre modalità che evitano di creare confusione e dubbi, o, a volte, angosce. Questo perché i bambini prendono alla lettera le parole degli adulti con il rischio di fraintendere e di aver paura, per esempio, nell’andare a dormire o temere che la mamma che si reca al lavoro o il papà in trasferta non tornino più. Anche se può apparire “crudele”, è meglio fornire una chiara spiegazione di ciò che è accaduto e i motivi per cui il caro non tornerà più. Se si tratta di una malattia, è utile far capire la differenza tra un comune problema di salute e uno che porta alla perdita della persona cara. Lo stesso in caso di

incidente: uno mortale è diverso da uno in cui non ci sono feriti o morti. Un bambino, se non conosce la differenza, potrebbe creare continuamente connessioni tra le esperienze quotidiane e la morte del familiare. Dopo una spiegazione iniziale relativa alla morte è consigliabile attendere le domande del bambino. Non sempre arrivano in tempi brevi, ma a volte anche qualche mese dopo: “Cosa fa il papà

Dalle lettere al libro dei ricordi: gli aiuti per elaborare il lutto Libri: magnifico strumento per identificare e nominare i sentimenti. A volte però, alcuni bambini si rifiutano di ascoltare, ciò indica che non sono ancora pronti e tale rifiuto va rispettato. Raccontare delle storie: raccontare un tema (morte) che si avvicina alla storia del bambino, ma riferendosi ad un personaggio inventato e immaginario, consente di tollerare delle emozioni che i bambini potrebbero vivere come troppo invasive se riferite in maniera troppo diretta. Scrivere lettere: i bambini/ragazzi più grandi potrebbero essere aiutati dallo scrivere alla persona deceduta, perché farlo implica trasferire in parole i sentimenti di angoscia, tristezza, amore, rabbia e dargli uno spazio. Costruire un libro dei ricordi: simboleggia un luogo in cui il bambino esprime i sentimenti relativi alla morte della persona cara, attraverso parole (racconti, lettere), disegni o fotografie.

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in paradiso?”, ”Perché la mamma se ne è andata senza salutarmi?”, “Ma la nonna come fa a vedermi da lassù?”. Quello che il bambino chiede fornisce un’indicazione di ciò che è capace di concettualizzare e tollerare. È indispensabile rispondere alle domande e parlare della persona defunta perché ciò gli permetterà di esprimere quello che ha necessità di sapere, nel rispetto dei suoi tempi. I bambini potrebbero domandare in maniera esplicita la ragione della morte di una persona cara, ma potrebbero anche non chiederlo affatto, per il timore della risposta. Occorre, quindi, giungere a un equilibrio in cui la tematica morte non è né evitata né esasperata. In associazione a ciò è importante far riferimento alle credenze rispetto a

dopo la morte (religiose, culturali, spirituali, filosofiche) che variano da famiglia a famiglia. Uno spunto molto utile per parlare di morte ai bambini sono libri e cartoni animati. Se prendiamo i secondi, la morte è rappresentata in “Il re leone” e “Coco”. Ne “Il re leone”, la morte del re Mufasa è dettagliata e realistica, come lo è l’elaborazione del lutto di Simba, che parte per un viaggio con la speranza di dimenticare, ma solo attraversando il dolore e tornando nella sua terra d’origine può avvenire la vera elaborazione. In “Coco”, invece, Miguel, il protagonista, scopre che i morti, finchè qualcuno li rievoca, continuano a vivere nell’aldilà, e che il contatto con i cari defunti, anche se solo attraverso i ricordi, permette di mantenere il legame con loro.

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BAMBINI

Quali reazioni può causare la “consapevolezza” della morte da parte dei più piccoli e come gestirle? In genere le più frequenti sono la protesta, la tristezza, l’intensificazione delle ansie, la rabbia, la regressione nel funzionamento dello sviluppo, nuove paure come quella del buio, di stare da soli etc.. In questi casi è necessario non sminuire le reazioni del bambino, ma empatizzare con lui e soprattutto con il suo bisogno di protezione. I bambini piccoli e in età prescolare, poi, possono esprimere i loro timori sia a livello verbale sia non verbale, sviluppando paure riconducibili a domande come “mi abbandoneranno altre persone che amo?”, “morirò anche io?”, “sono stato io a causare la morte?” o affermazione come “voglio morire

così posso stare con la mamma”. È importante innanzitutto rassicurarli ed enfatizzare le relazioni attuali e le attività piacevoli, senza togliere importanza alla persona persa, in modo da cercare di ristabilire un equilibrio, ricordando al bambino il piacere di essere vivi. Il processo di elaborazione del lutto da parte del bambino avviene in modo più adeguato se il contesto ambientale e sociale rimane invariato: le abitudini quotidiane, spesso, sono connesse con la relazione che aveva con la persona cara (genitore, nonni, parenti vicini) ed è importante mantenerle perché rimangono un punto fermo e stabile, in mezzo al dolore e alle sensazioni di fragilità e impotenza della perdita. Infine, bisogna dare tempo al cuore del bambino per ritrovare la serenità,

spiegandogli che a volte potrebbe non pensare alla persona che è morta ma questo non significa averla dimenticata.

DOTT.SSA EMANUELA ZINI Psicologa e Psicoterapeuta Studio di psicologia Ambivere


BELLEZZA

IN FORMA

Agopuntura il “bio-lifting” per un viso più giovane

∞  A CURA DI VIOLA COMPOSTELLA

Il segreto di Cameron Diaz, Angelina Jolie e Jennifer Aniston per mantenersi giovani e combattere le rughe? L’agopuntura facciale. «L’agopuntura in campo estetico è un metodo sicuro e indolore che permette di ottenere risultati sia a livello del viso sia del corpo» conferma la dottoressa Giuseppina Albani, medico omeopata e omotossicologo che da anni si occupa di agopuntura. «E non si tratta solo di risultati estetici ed esteriori. Il principio base della

medicina tradizionale cinese, di cui l’agopuntura fa parte, infatti, è considerare l’organismo nel suo insieme per poter trattare una singola problematica. Anche nel caso, ad esempio, delle rughe o del rilassamento cutaneo. Di fondamentale importanza è partire sempre dalla “radice” degli organi interni per avere un risultato visibile esteriormente. Così facendo, oltre a un miglioramento estetico, si ottiene un beneficio generalizzato con circolazione migliorata, maggior

funzionalità neuroendocrina e ormonale con conseguente maggior benessere della persona». Dottoressa Albani, su quali principi si basa l’agopuntura “applicata” a problemi di tipo estetico? Il trattamento per il viso e per il corpo con l’agopuntura è basato sulla teoria dei canali o meridiani, secondo la quale tutti gli organi sono connessi alla superficie attraverso una fitta rete di canali energetici in

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IN FORMA

BELLEZZA

cui scorrono il sangue e il QI (energia vitale). L’esistenza dei meridiani fu dimostrata dai medici francesi, J.C.Darras e P.De Vernejoul, negli anni Novanta. I due medici iniettarono sottocute, in corrispondenza dei cosiddetti agopunti, una piccola quantità di Tecnezio -99m a cinquanta pazienti sani e ottanta pazienti urologici dell’ospedale Necker di Parigi. Mediante sequenze radiografiche i due ricercatori dimostrarono come, dopo cinque minuti dall’inoculo in un agopunto, il marcatore si muovesse lungo un tragitto di circa trenta centimetri, il corrispettivo del tragitto di un meridiano secondo la medicina tradizionale cinese. Questo fenomeno non si verificò iniettando il marcatore in un punto qualsiasi del corpo. Per la presenza di questi canali che collegano superficie e profondità, qualsiasi disordine o patologia di un organo si riflette anche all’esterno. Il sangue e il QI hanno un ruolo rilevante in quanto intervengono nel nutrire, riscaldare, umidificare e sostenere le funzioni di organi e tessuti. Si comprende, quindi, come un disordine interno si rifletta anche con problematiche estetiche. Questi canali, che partono da organi e visceri, sfociano superficialmente a livello degli agopunti e hanno azione sia localmente sia a distanza. L’agopuntura estetica ha quindi una visione olistica dell’organismo e il suo fine è rinforzarne la resistenza, eliminando i fattori patogeni, riequilibrando l’attività di organi e visceri, del sangue e del QI. In questo modo si impegna a risolvere problematiche estetiche risolvendo disturbi interni, possibili responsabili di inestetismi.

E, nello specifico, per il ringiovanimento del viso? I cambiamenti del viso dipendono da diversi fattori come la struttura ossea, la genetica, gli ormoni, il collagene, l’elastina. Secondo la medicina tradizionale cinese, però, rilevante nell’invecchiamento cutaneo è anche il ruolo delle emozioni, soprattutto quelle inespresse, responsabili di solchi per tensioni muscolari inconsapevoli. L’agopuntura può aiutare a sbloccare emozioni latenti riducendo lo stato di tensione e, soprattutto, ripristinando il normale fluire dell’energia all’interno dei canali che, se bloccata, potrebbe essere responsabile dell’insorgenza di patologie. Nella medicina tradizionale cinese a ogni organo corrisponde un’emozione che influisce sulla sua funzionalità ed essendo cinque gli organi nobili (Cuore, Polmone, Milza, Fegato, Rene e Pericardio), cinque sono le emozioni corrispondenti. > Cuore: gioia smodata. > Milza: rimuginazione, ossessioni. > Polmone: tristezza. > Rene: paura. > Fegato: rabbia, frustrazione. Queste emozioni, per divenire causa di malattia, devono essere violente, eccessive e perdurare nel tempo. Prima di iniziare un trattamento del viso, quindi, è fondamentale diagnosticare il tipo di pelle che dobbiamo trattare secondo le indicazioni della medicina tradizionale cinese. > Pelle secca e sottile: consegue a un deficit di Yin e

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Sangue. In questi casi la pelle appare sottile, secca, con pochi peli, si danneggia con facilità e guarisce a fatica. La pelle risulta povera di sebo e con insufficiente idratazione a livello dello strato corneo. > Pelle grassa e spessa: è la conseguenza di accumulo di umidità, espressione di un malfunzionamento dell’organo Milza, che regola la distribuzione dei liquidi, per l’abuso di alimenti grassi, raffinati, freddi e crudi o per un’emotività ossessiva. La pelle appare molto grassa con sufficiente contenuto di acqua nello strato corneo e i pori sono dilatati con comedoni. L’accumulo prolungato di umidità può evolvere in produzione di calore con insorgenza di uno stato infiammatorio con acne o dermatite seborroica. > Pelle mista: è dovuta a un deficit di QI di Milza e Triplice Riscaldatore, responsabili della circolazione dei liquidi e del buon funzionamento degli


organi interni. La pelle appare con un abbondante strato di sebo e pori dilatati, ma con poca acqua nello strato corneo, per cui si hanno zone untuose e zone secche, la cosiddetta area T (fronte-naso). Quali tipi di inestetismi si possono trattare? Il ringiovanimento del viso consiste nel trattamento delle rughe e della lassità cutanea dovuta al cedimento del tessuto connettivo che non riesce a sostenere la pelle adesa ai muscoli sottostanti. Inoltre con l’avanzare dell’età è possibile la comparsa di discromie cutanee, ossia la presenza di macchie scure e chiare per iper-ipopigmentazione. Secondo la medicina tradizionale cinese l’origine delle rughe dipende, come già detto, da possibili emozioni inespresse che causano contrazioni mimiche involontarie. La lassità cutanea, invece, segue al ridotto funzionamento dell’organo Milza che ha il compito di mantenere in sede organi e tessuti con conseguente caduta verso il basso dei tessuti. Le discromie, a loro volta, sono correlate a un’alterata funzionalità dell’organo Fegato, suscettibile a stress prolungati e a

una disarmonia tra mente e corpo. Per questo motivo il Sangue e il QI non vengono distribuiti in tutto il corpo e si verifica un mancato nutrimento della cute. La terapia di questi inestetismi consiste nella risoluzione sia locale del problema, con l’inserimento degli aghi negli agopunti nelle zone interessate, sia nella risoluzione della causa che può aver determinato la comparsa o il peggioramento dell’inestetismo. L’approccio deve essere globale, non riferito al singolo problema e comprendere anche un’alimentazione corretta con la scelta di cibi che, secondo la dietetica cinese, non vadano a peggiorare l’inestetismo. A livello locale, in che modo l’agopuntura aiuta a contrastare le rughe e rendere la pelle più giovane? Gli aghi inseriti nei tessuti, causando dei microtraumi, stimolano l’organismo ad attivare sistemi di riparazione, con produzione di collagene ed elastina nell’area interessata con rigenerazione dermica ed epidermica (cioè a livello sia profondo sia più superficiale). Inoltre gli aghi, penetrando in zone povere di collagene, scollano i tessuti super-

ficiali da quelli sottostanti ricreando la loro mobilità. Alcune ricerche rivelano come l’agopuntura possa favorire la circolazione sanguigna e linfatica con apporto di ossigeno e nutrienti con conseguente rivitalizzazione dei tessuti. In conclusione, i risultati ottenuti in campo estetico con l’agopuntura non dipendono solo dal trattamento in loco, bensì dall’azione di un riequilibrio sistemico a livello dei vari organi e da un fluire più fluido dell’energia vitale all’interno dei canali energetici.

DOTT.SSA GIUSEPPINA ALBANI Medico chirurgo Iscritta FISA (Federazione Italiana delle Società di Agopuntura) A Bergamo


IN FORMA

FITNESS

Sempre più sani e felici di pedalare sulle hydrobike! PEDALARE, CON IL CUORE... Oggi anche il mondo del fitness acquatico ha capito l’importanza di dover monitorare, misurare e analizzare gli effetti che l’allenamento provoca sull’organismo; ed è proprio grazie a questa consapevolezza che alcuni recenti studi affermano che osservando e confrontando parametri di prestazioni incoraggianti si attivano percezioni positive di soddisfazione personale che rinforzano la fiducia in se stessi e l’autostima. ∞  A CURA DI VIOLA COMPOSTELLA

Disciplina abbastanza recente, oggi sempre più diffusa, l’hydrobike o acquabike è un’attività acquatica di gruppo che non solo allena, tonifica e mantiene in forma, ma permette di farlo in compagnia e in modo divertente. Come ci spiega Alice Rota, istruttrice di questa disciplina. Alice, che cos’è l’hydrobike? Cugina per eccellenza dell’acquagym, l’hydrobike consente di pedalare in acqua sfruttando la microgravità, ovvero l’assenza di peso. Priva di ruote e di qualsiasi meccanismo elettronico, la bike è un attrezzo molto semplice, ma stabile, che consente di allenare sia le braccia sia le gambe in quasi totale immersione. Pedalare in acqua

sollecita prevalentemente il metabolismo aerobico, con tanti benefici anche per l’apparato cardiovascolare e respiratorio. Ecco perché è un’attività consigliata anche a coloro che non hanno esperienza di allenamento e che non possono caricare in modo eccessivo le articolazioni. Non tutte le lezioni di acquabike sono uguali: profondità della piscina, tipologia di bike e dei meccanismi con cui le stesse producono attrito in acqua, generano risposte fisiologiche diverse. La presenza o meno di un volano regolabile permette ai trainer di creare sessioni di allenamento più o meno impegnative, con maggiore o minore consumo calorico. Ecco perché, grazie all’applicazione di diversi protocolli di allenamento,

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le lezioni di hydrobike preparano o mantengono in allenamento (durante la stagione invernale) i ciclisti che pedalano su strada.

ALICE ROTA Istruttrice di hydrobike Presso BLU FIT Redona piscina e palestra


Perché fare hydrobike? Questa attività in acqua consente di attivare il metabolismo, con un consumo calorico direttamente proporzionale all’intensità dell’allenamento, migliorando l’efficienza del cuore che pompa più sangue con minor sforzo. Oltre a rinforzare la muscolatura degli arti inferiori ha effetti anche sul core (ndr.nucleo centrale del nostro corpo che comprende i muscoli addominali, i muscoli paraspinali, il quadrato dei lombi, i muscoli del pavimento pelvico, i glutei e i flessori dell’anca), soprattutto se si dedica buona parte dell’allenamento alla pedalata sollevati dalla sella. Non solo: anche la capacità respiratoria ne trae beneficio; l’hydrobike è l’allenamento giusto per migliorare la resistenza, senza correre rischi. Ciò che non si può misurare, ma è visibilmente chiaro, è che pedalare in acqua favorisce il buonumore, migliora il livello di autostima e aiuta a scaricare lo stress grazie alla liberazione di endorfine. Inoltre, allenarsi in gruppo a ritmo di musica sottolinea l’evidente componente sociale della disciplina: durante le lezioni ogni biker si mette alla prova, con il sorriso e divertendosi.

Hydrobike o spinning? Se pedalare è un movimento naturale, che quasi sicuramente si impara da bambini, trasferire questo gesto in acqua comporta qualche differenza. Considerare l’acquabike un’evoluzione dello spinning o del cycling terrestre non è propriamente corretto. Che le due discipline somiglino è vero, ma ci sono alcuni punti sui quali si differenziano. > Ambiente di allenamento: la presenza dell’acqua aggiunge una resistenza naturale che chi pedala in sella alla bike acquatica deve affrontare. Questo fattore genera due diversi aspetti: la possibilità di tonificare in modo efficace la muscolatura ma al contempo di avere il corpo avvolto da un massaggio continuo e dolce (soprattutto a livello delle gambe) con notevoli benefici a livello circolatorio e linfatico (e quindi per la cellulite). > Muscoli coinvolti: se nello spinning si lavora su arti inferiori, glutei e addominali, in una sessione di acquabike si sollecitano anche i muscoli stabilizzatori della colonna, grazie all’azione dell’acqua e degli arti superiori, a corpo libero o con piccoli attrezzi. I muscoli allenati in acqua diventano lunghi e affusolati. > Intensità e post allenamento: l’hydrobike elimina il rischio di traumi da caduta e sollecitazioni eccessive alle articolazioni; i dolori che compaiono nei giorni successivi all’allenamento sono ridotti. È consigliata a chi deve recuperare mobilità in seguito a interventi chirurgici e infortuni. > Cardiofrequenzimetro: è la novità che nell’ultimo anno sta accendendo una nuova sfida per gli amanti del fitness acquatico. Il monitoraggio della frequenza cardiaca in acqua e in sella alla bike è ciò che avvicinerà ancor più le discipline acquatiche a quelle terrestri.

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Svuotare le mele con un levatorsoli. Frullare uvetta, nocciole e succo di mela per ottenere un impasto cremoso ma non troppo liquido. Riempire le mele con questa crema, quindi porle su una teglia da forno e cuocere a 180 gradi per 20-30 minuti, fino a quando cominciano a rompersi. Servire da sole o accompagnare con la crema di nocciole.

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GUIDA ESAMI

∞  A CURA DI MARIA CASTELLANO

Mammografia le nuove regole per lo screening È, insieme al pap test, l’esame di prevenzione più importante per le donne. Parliamo della mammografia, il metodo più affidabile per la diagnosi precoce del tumore al seno, in grado di evidenziare modificazioni del tessuto mammario anche di dimensioni millimetriche.

Si tratta di un’indagine molto importante perché permette di individuare il tumore quando è all’inizio ed è ancora piccolo: se diagnosticato precocemente la possibilità di guarigione oggi è alta. Come ci spiega la dottoressa Svetlana Teyatnikova, medico radiologo.

Dottoressa Teyatnikova. a cosa serve la mammografia e quale ruolo ha nella diagnosi dei tumori? È un esame radiologico che, utilizzando raggi X, consente uno studio molto accurato della mammella. La mammella viene posizionata su un apposito soste-

Un esame ormai centenario Le prime immagini radiologiche della mammella risalgono al 1913 ad opera del dottor Albert Salomon, chirurgo tedesco, che le ricavò da 3000 campioni provenienti da operazioni e autopsie. Il padre di questo esame è però considerato il dottor Stafford Warren del Memorial Hospital di Rochester (UK), che partì dalla casuale osservazione, fatta durante le sue ricerche sulla radiologia della regione cardiaca, che in posizione obliqua a braccio sollevato la mammella veniva esaminata bene ai raggi X. Le sue ricerche furono accolte dai colleghi solo quando riuscì a fare diagnosi anche su tumori di piccole dimensioni.

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gno e compressa mediante un piatto in materiale plastico detto compressore. Vengono eseguite di base due proiezioni per ogni mammella. La dose di radiazioni è davvero minima soprattutto con la tecnica digitale che oggi si utilizza. Le mammografie più avanzate sono effettuate con la tomosintesi. Questa particolare tecnica mammografica, associata all’ecografia ed eseguita da operatori esperti, aumenta molto la sensibilità dell’esame rendendola sovrapponibile a quella di una Risonanza Magnetica con contrasto. Consente di documentare lesioni talvolta non visibili mediante la mammografia standard, permettendo una corretta diagnosi della malattia con successiva pianificazione di un adeguato trattamento. Ma è dolorosa? Con i macchinari di ultima generazione la sensazione di dolore è notevolmente ridotta. In genere si avverte solo una pressione che dura solamente pochi secondi.

Quali sono le fasce d’età coinvolte nello screening? Da gennaio 2019 lo screening proposto dalla Regione Lombardia prevede l’esecuzione della prima mammografia a 45 anni proseguendo poi fino a 75 anni, con una cadenza annuale dai 45 ai 50 anni e biennale dai 50 ai 75. A seconda della storia personale di ogni donna, però, lo specialista può suggerire alcune variazioni, programmando controlli più ravvicinati o anticipando rispetto allo screening la prima mammografia. ad esempio nelle pazienti ad alto rischio per famigliarità di primo grado (che abbiano cioè avuto un parente stretto con tumore al seno: madre, sorella, figlia o padre). Solamente in questi casi il primo controllo è consigliabile già a partire dai 35 anni. Ci sono precauzioni da osservare prima di sottoporvisi? No, a parte il fatto che è preferibile eseguire l’esame nella prima metà del ciclo mestruale perché è il pe-

riodo in cui il seno è meno teso ed è quindi più agevole effettuare la necessaria compressione. Nelle donne in menopausa invece è generalmente possibile eseguire l’indagine in qualunque momento. Ovviamente lo stato di gravidanza è una delle controindicazioni per eseguire l’esame, mentre è assolutamente falsa la convinzione di pericolosità della mammografia in allattamento.

DOTT.SSA SVETLANA TEYATNIKOVA Specialista in Radiologia Presso Policlinico San Pietro di Ponte San Pietro


RUBRICHE

ANIMALI

Gatti e stagione degli amori: come proteggerli al meglio ∞  A CURA DI ELENA BUONANNO

Chiunque ha sentito, soprattutto di notte, i tipici vocalizzi felini che assomigliano al pianto di un bambino piccolo. Sono quelli emessi dai gatti maschi durante la cosiddetta “stagione degli amori”, che ha inizio da fine gennaio. Un periodo “delicato” che può nascondere rischi, anche gravi, per la salute dei gatti domestici abituati a uscire anche fuori da casa. Approfondiamo l’argomento insieme alla dottoressa Viviana Bonfanti, medico veterinario. Dottoressa Bonfanti, innanzitutto quanto dura la “stagione degli amori” per i gatti? La specie felina viene definita “poliestrale stagionale”: le femmine vanno in calore più volte durante la stessa stagione che in genere va da fine gennaio fino a ottobre, seguendo il fotoperiodo positivo (periodo dell’anno con maggior numero di ore di luce). Durante tutti questi mesi le gatte vanno in calore ogni 15 giorni circa. Se riescono ad accoppiarsi in modo efficace, cioè se l’atto sessuale riesce a far ovulare la femmina, la gatta resta gravida e partorirà dopo circa due mesi di gestazione. Se ciò non accade, passa un periodo variabile di circa un mese per poi tornare nuovamente in calore e disponibile a un nuovo accoppiamento. Dopo

È importante proteggere i gatti domestici da comportamenti che potrebbero causare loro danni anche seri: oggi esistono trattamenti medici e chirurgici che permettono di farlo senza alterarne personalità e carattere” il parto, invece, la gatta allatta i gattini per circa uno-due mesi e una volta finito l’allattamento torna in calore dopo 15 giorni (se è ancora nella stagione riproduttiva). Da fine settembre-ottobre, invece, le gatte vanno in “anaestro”, cioè il loro apparato riproduttore, seguendo il fotoperiodo negativo (minor numero di ore di luce giornaliere), va in riposo fino a gennaio-febbraio dell’anno successivo. Perché la stagione riproduttiva può essere “pericolosa” per i gatti maschi? Durante la stagione riproduttiva, i maschi lottano per accoppiarsi con la femmina, emettendo i tipici vocalizzi. Durante le lotte possono ferirsi anche gravemente e trasmettersi

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pericolose malattie infettive come la Fiv (causata dal Feline immunodeficiency virus, analogo dell’Aids umano) il cui contagio avviene attraverso la saliva del gatto infetto inoculata coi morsi. Quindi se il gatto domestico tornasse a casa ferito o improvvisamente mostrasse debolezza, inappetenza, sonnolenza eccessive, e fosse un gatto intero (non castrato) con libero accesso all’esterno della casa, sarebbe meglio portarlo subito da un veterinario per una visita approfondita. Se fosse stato morso da un gatto potrebbe facilmente presentare uno o più ascessi di cui in genere ci si rende conto solo dopo qualche giorno: un gonfiore sulla parte del corpo morsicata o graffiata a cui segue spesso fuoriuscita di pus favorita anche dal leccamento insistente della parte. Questo genere di lesione solitamente è molto dolorosa e provoca un rialzo della febbre importante (anche 40-41 C°). La somministrazione di antibiotici accompagnata, se necessario, dalla pulizia chirurgica della ferita, porta alla guarigione completa in pochi giorni. Cosa si può fare per proteggerli e prevenire problemi? Per prevenire la trasmissione di malattie come la Leucemia felina, la Calicivirosi, l’Herpesvirosi e la Pan-


leucopenia, è consigliabile la vaccinazione. A tutt’oggi, invece, non è ancora disponibile un vaccino nei confronti della Fiv. In generale, poi, per ovviare a tutti i problemi, l’unico metodo efficace di prevenzione è rappresentato dalla castrazione del gatto che può essere chimica o chirurgica. La castrazione chimica prevede la somministrazione di una sostanza, la Deslorelina, in grado di sopprimere la produzione degli ormoni maschili (Fsh e Lh) con conseguente diminuzione della concentrazione di testosterone nel sangue e quindi della libido. In questo modo i maschi non subiscono più il richiamo delle femmine in calore e diminuisce la necessità di lottare con altri maschi per l’accoppiamento. Questo trattamento è reversibile, perciò dopo circa un anno l’effetto svanisce e

gradualmente gli ormoni tornano a essere prodotti normalmente. Un metodo più drastico, ma definitivo, è rappresentato dalla castrazione chirurgica, cioè l’asportazione dei testicoli. Si tratta di un intervento chirurgico semplice effettuato in anestesia totale, che prevede un ricovero in day hospital e il riposo a casa di qualche giorno. In entrambi i casi, il gatto non subisce modificazioni comportamentali importanti, se non quelle legate alla sfera sessuale: se è un esploratore o un giocherellone, rimarrà tale! Anche per le femmine esiste la possibilità della sterilizzazione, ma in questo caso è consigliata solo quella chirurgica che prevede l’asportazione delle ovaie e, a volte, anche dell’utero per mezzo di un intervento chirurgico più complesso rispetto a quello del maschio. Infatti nelle femmine

è necessario eseguire una laparotomia (apertura dell’addome) per poter asportare gli organi genitali. Dopo l’intervento è prevista la somministrazione di antibiotici ed antidolorifici per qualche giorno, accompagnati da riposo in casa.

DOTT.SSA VIVIANA BONFANTI Medico Veterinario A Nese


DAL TERRITORIO

FARMACIE

Farmaci orfani e farmacia ∞  A CURA DI MARIA CASTELLANO

Tutti siamo abituati, quando andiamo in farmacia, a trovare il farmaco di cui abbiamo bisogno o, al massimo, a farcelo procurare in poche ore. È la normalità, ma non è sempre così. Proviamo a pensare come ci sentiremmo se il nostro medicinale, proprio quello di cui abbiamo bisogno, non c’è e non c’è l’alternativa immediatamente disponibile, cioè l’equivalente. Pensiamo a come ci sentiremmo, o come ci siamo sentiti, quando per accedere a un altro farmaco “che abbia lo stesso effetto” è necessario ripercorrere tutta la trafila dal nostro medico di famiglia o addirittura dallo specialista. «Non si tratta di un’ipotesi campata in aria: tra il 2005 e il 2006, per problemi industriali, non è stato disponibile un farmaco antidolorifico di una certa importanza nel trattamento del dolore grave. Per chi ne aveva bisogno è stato importante che la

farmacia potesse prepararlo nel laboratorio, in capsule o in cartine invece che in compresse effervescenti, ma la sostanza era la stessa» dice il dottor Ernesto De Amici, presidente dell’Ordine dei Farmacisti di Bergamo. E se il farmaco non esistesse proprio? Possibile? «Si, è possibile. Solo in provincia di Bergamo ci sono alcune centinaia di bambini (non molti quindi, fortunatamente) che richiedono cure particolari e per vari motivi l’industria farmaceutica non è in grado di sopperire all’esigenza.» continua Il dottor De Amici. «Circa l‘80 % dei farmaci commercializzati per gli adulti non hanno indicazioni d’uso in età pediatrica. Farmacisti e pediatri si trovano spesso di fronte al problema di dover modificare preparazioni farmaceutiche disponibili solo per adulti in modo da renderle somministrabili anche

58 | Bergamo Salute | Gennaio/Febbraio 2020

in pediatria. In molti casi mancano inoltre le informazioni adeguate per utilizzare formulazioni prive d’indicazione d’uso nei bambini. I formulari terapeutici riportano spesso dosaggi che non tengono conto delle forme farmaceutiche realmente disponibili sul mercato. La causa di tale mancanza è in parte legata all’uso specialistico di

DOTT. ERNESTO DE AMICI Farmacista Presidente dell’Ordine dei Farmacisti della Provincia di Bergamo


queste formulazioni, che le rende poco vantaggiose dal punto di vista commerciale (Raffaelli e altri in Giornale Italiano di Farmacia Clinica)». Ma quali sono in particolare questi farmaci? «Sono soprattutto farmaci per la pressione che, a causa della tenera età dei piccoli pazienti, sono richiesti in dosaggi 10, 20, 50 volte più diluiti di quelli disponibili, ma anche oncologici, antitrombotici, colluttori, sedativi, anti-ulcera, regolatori del ritmo cardiaco etc.» spiega ancora il dottor De Amici. «Fino a oggi l’esigenza delle famiglie di questi bambini veniva appagata dagli ospedali che, al momento della dimissione dei bimbi, fornivano la cura necessaria per un periodo più o meno lungo, ma comunque sufficiente ad arrivare al controllo successivo. Ma l’aumento delle necessità e l’esigenza di semplificare l’accesso al farmaco da parte di queste famiglie ha imposto la ricerca di alternative. L’alternativa è in farmacia ed è la preparazione galenica, che deve essere di altissimo livello e estremamente

I farmaci detti “orfani” sono destinati alla cura delle malattie talmente rare da non consentire la realizzazione, da parte delle aziende farmaceutiche, di ricavi che permettano di recuperare i costi sostenuti per il loro sviluppo (fonte: www.orpha.net)”

accurata nel dosaggio del principio attivo». A questo scopo già nel 2004 è nato un gruppo di lavoro composto da farmacisti territoriali aderenti alla SIFAP (tra cui il dottor De Amici e il dottor Fortini di Seriate), docenti universitari di Milano, rappresentanti degli Ospedali Riuniti di Bergamo, Gaslini di Genova, Salesi di Ancona e rappresentanti dell’Istituto Mario Negri di Milano. «L’obiettivo era individuare e sperimentare

un metodo di preparazione che permetta al farmacista in qualsiasi farmacia di allestire il medicinale con precisione e accuratezza. Questo lavoro ha portato alla convenzione tra l’ASL provinciale (ora ATS) di Bergamo e il sindacato delle Farmacie della Provincia (Federfarma Bergamo) che permette di trasferire la preparazione di questi farmaci dall’ospedale al territorio, con semplificazione dei problemi per le famiglie. Questa convenzione è ancora in essere e si è implementa ta seguendo le necessità e le richieste degli specialisti ospedalieri. Per garantire il massimo della qualità al farmaco galenico il farmacista che si impegna nelle preparazioni galeniche continua ad aggiornarsi e a far verificare il risultato del suo lavoro in un processo continuo di miglioramento allo scopo di certificare la qualità del suo lavoro. Espressione di ciò è il congresso nazionale della Società Italiana dei Farmacisti Preparatori (SIFAP) che si terrà a Bergamo in febbraio, occasione per tutti i farmacisti di confronto e crescita» conclude il dottor De Amici.


DAL TERRITORIO

NEWS

NEWS “A spasso con Luisa”: tornano le escursioni in montagna per i trapiantati Torna anche quest’anno “A spasso con Luisa”, il progetto che offre ai trapiantati la possibilità di cimentarsi in escursioni in montagna per migliorare il proprio benessere mentale e fisico, in compagnia dell’esperto del Cai di Bergamo, Silvio Calvi, trapiantato di fegato. Sono sette le uscite in programma, una ogni due settimane, nelle domeniche dal 5 aprile al 28 giugno. L’iniziativa, giunta alla sua sesta edizione, è dedicata a Luisa Savoldelli, trapiantata di fegato e grande appassionata di montagna. S’inizia con il rifugio Parafulmine, sopra Gandino, per poi passare al rifugio Gherardi in Val Taleggio, al Magnolini in Presolana, e poi ancora al Capanna 2000 in alta Val Serina, alla Baita Golla nella Valle del Riso e al rifugio Longo in alta Val Brembana. L’ultima escursione sarà al Passo dello Stelvio. Per iscriversi compilare il form di adesione disponibile ai Cup di Torre 4, Torre 5 e Torre 6 dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo o sul sito www.asst-pg23.it e restituirlo al Sig. Gianni Alfieri, volontario dell’Associazione Amici del trapianto di fegato, partner dell’iniziativa, da lunedì a giovedì dalle 8 alle 12 al quarto piano della torre 4 (Segreteria A), o inviarlo via e-mail a silviocalvi@ tin.it o giannyalfieri@hotmail.it. L’iscrizione è aperta ai trapiantati, ai loro familiari e amici e agli operatori della ASST Papa Giovanni XXII, per tutte le escursioni o solo alcune. La partecipazione è gratuita.

Bollini rosa: premiati cinque ospedali a Bergamo e provincia Tre bollini rosa al Papa Giovanni di Bergamo, due all’ospedale di Treviglio-Caravaggio, due al Policlinico San Marco di Zingonia, uno all’Humanitas Gavazzeni e uno al Policlinico San Pietro di Ponte San Pietro. Anche per il biennio 2020-2021 la Fondazione Onda, Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere, ha premiato cinque strutture della bergamasca con i Bollini Rosa, riconoscimento che viene attribuito dal 2007 agli ospedali attenti alla salute femminile e che si distinguono per l’offerta di servizi dedicati alla prevenzione, diagnosi e cura delle principali malattie delle donne. La valutazione delle strutture ospedaliere e l’assegnazione dei Bollini Rosa è avvenuta tramite un questionario di candidatura composto da quasi 500 domande suddivise in 18 aree specialistiche, due in più rispetto alla precedente edizione per l’introduzione di dermatologia e urologia. Un’apposita commissione multidisciplinare, presieduta da Walter Ricciardi, Direttore del Dipartimento di Scienze della Salute della Donna, del Bambino e di Sanità Pubblica del Policlinico Gemelli di Roma, ha validato i bollini conseguiti dagli ospedali. Per maggiori informazioni: www.bollinirosa.it


Una persona su cinque è costretta a rinunciare alle cure per motivi economici È un quadro preoccupante quello che emerge dal 7° Rapporto - Donare per curare: Povertà Sanitaria e Donazione Farmaci, promosso dalla Fondazione Banco Farmaceutico onlus e BFResearch e realizzato, con il contributo incondizionato di IBSA, dall’Osservatorio sulla Povertà Sanitaria (organo di ricerca di Banco Farmaceutico). Secondo il rapporto, nel 2019 473.000 persone povere non hanno potuto acquistare i farmaci di cui avevano bisogno per ragioni economiche. La richiesta di medicinali da parte degli enti assistenziali è cresciuta, in 7 anni (2013-2019) del 28%. Nel 2019, si è raggiunto il picco di richieste, pari a 1.040.607 confezioni di medicinali (+4,8% rispetto al 2018). Servono soprattutto farmaci per il

sistema nervoso (18,6%), per il tratto alimentare e metabolico (15,2%), per l’apparato muscolo-scheletrico (14,5%) e per l’apparato respiratorio (10,4%). Ma anche presidi medici e integratori alimentari. Le difficoltà non riguardano solo le persone indigenti: 12.634.000 persone, almeno una volta nel corso dell’anno, hanno limitato - per ragioni economiche - la spesa per visite mediche e accertamenti periodici di controllo preventivo (dentista, mammografia, pap-test etc.). E le difficoltà aumentano per le famiglie con figli minori. «A 30 anni dalla Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia (New York, 20 novembre 1989), che riconosce al minore il diritto “di godere del miglior stato di salute possibile” (art. 24), c’è ancora tanto

lavoro da fare: In Italia, le famiglie con minori (sia quelle povere, sia quelle non povere) sono penalizzate rispetto all’accesso alle cure e, per ragioni economiche, sono costrette a perseguire strategie di rinuncia o di rinvio delle cure in misura superiore alle altre. Speriamo che il 7° Rapporto sulla Povertà Sanitaria possa contribuire alla presa di coscienza, anzitutto da parte delle istituzioni e dell’opinione pubblica, di tale preoccupante situazione e del fatto che senza migliaia di enti e associazioni che, in tutta Italia, offrono assistenza socio-sanitaria gratuita agli indigenti, il quadro sarebbe ancora più drammatico» ha commentato Sergio Daniotti, presidente della Fondazione Banco Farmaceutico onlus.

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ONLUS

Amici di Samuel Dalla parte dei giovani e delle loro famiglie per ritornare alla vita dopo il coma

∞  A CURA DI LUCIO BUONANNO

“Quando una grave disabilità bussa alla porta di una famiglia è come se avvenisse un’eclisse di sole. Tutto quanto era programmato e pianificato viene ribaltato e un mondo pieno di incertezze viene a coabitare con te. In quel momento avrai bisogno di qualcuno che ti aiuti a muoverti in un mondo pieno di pratiche burocratiche e di cure di cui non conosci l’esistenza. In quel momento la nostra esperienza maturata su un campo non scelto da noi entra in gioco”. È il messaggio che lancia in rete l’Associazione Amici di Samuel (www.amicidisamuel.it) con sede a Pedrengo fondata da Stefano Pelliccioli, il papà di Samuel, un ragazzo brillante, amante della vita e con tante speranze nel futuro. «A febbraio del 1996, mentre era in moto, fu vittima di uno svenimento causato da una congestione. La rovinosa caduta provocò devastanti lesioni al cervello che lo portarono a guardare da vicino la morte» racconta il padre che ha lasciato il lavoro per stargli vicino, per aiutarlo. «Al pronto soccorso Samuel senza un graffio né una goccia di sangue versata sembrava dormire, ma la porta della vita si stava chiudendo alle sue spalle e io, suo padre, non volevo arrendermi. Il mio Samuel non poteva finire così. Solo la speranza e la fede mi consentivano di non darmi per vinto e di non im-

pazzire. Lottavo contro le diagnosi mediche che non lasciavano spazio neanche alla più tenue speranza. Iniziò così per 45 giorni il calvario della rianimazione. Samuel, in stato di coma vegetale, giaceva nel letto con due sonde impiantate nel cranio. La situazione era impossibile e solo l’amore che nutrivo per lui mi obbligava a ripetermi che non poteva finire così. Al centro di riabilitazione di Mozzo fu ancora peggio: subentrò una paresi irreversibile alla parte sinistra del corpo e la sentenza dei medici che mi dissero: “Solo un miracolo può salvarlo”. Un colpo per me devastante, ma io credo nei miracoli. Poi Samuel venne dimesso perché non c’era nulla da fare, ma io non mi diedi per sconfitto. E avevo ragione a sperare, ad avere fede. Samuel riaprì gli occhi. Ed all’uscita dal coma le sue prime parole furono: “Domani si parte… domani si parte” registrate dal papà in un video unico e introvabile nel suo genere. Così rivide un po’ di luce. Ma il futuro era un mistero. Non potevo sapere come sarebbe tornato alla vita e quali sarebbero state le sue condizioni. Tanta riabilitazione. E senza alcuna spiega-

62 | Bergamo Salute | Gennaio/Febbraio 2020

zione scientifica cominciò a reagire anche se ormai era su una sedia a rotelle. Due anni dopo, nell’agosto del ’98 eravamo in un ristorante a Cesenatico e volle alzarsi e a fatica ma con determinazione iniziò a camminare». Su questa drammatica esperienza Stefano Pelliccioli ha scritto un libro dal titolo evocativo “Domani si parte… Domani si parte… Storia di un ritorno alla vita” e ha fondato l’Associazione Amici di Samuel Onlus che recentemente ha organizzato a Bergamo la XXI Giornata Nazionale del Trauma Cranico promossa dalla Federazione Nazionale Associazioni Trauma Cranico, festeggiando anche il decennale della fondazione. Tra le storie più emozionanti oltre a quella di Samuel nel convegno internazionale di Bergamo c’è la storia di Giulia una ragazza di Torino che finì in coma a 15 anni per un aneurisma cerebrale. Grazie alla riabilitazione e a tanta forza di volontà la ragazza, giudicata “non riabilitabile”, dopo 7 anni si risvegliò e ora è in grado di muoversi, parlare e nutrirsi da sola anche se non al 100%. Ma come Samuel e la giovane

Associazione Amici di Samuel Pedrengo (Bg) - Via Ghisalberti, 17 - Tel. 035 5292958 info@amicidisamuel.it - www.amicidisamuel.it IBAN: IT59N0503453940000000003579 IBAN: IT20U0894053940000000705010 Codice Fiscale 95174810168


torinese ci sono tanti altri ragazzi vittime di incidenti, di traumi cranici, di aneurismi e l’Associazione onlus Amici di Samuel, grazie a una vasta rete di volontari, cerca di aiutare loro e le loro famiglie. Una missione perseguita attraverso tanti e diversi progetti come F.O.R.T.E (For one return to existence), presentato nel 2010 al Parlamento Europeo dove ha ottenuto importanti riconoscimenti, o “Accidenti agli incidenti”

e “Prevenzione incidenti” con programmi di prevenzione pensati per i ragazzi dell’ultimo anno scolastico e per tutti gli studenti per sensibilizzarli sui rischi legati a un comportamento scorretto, coinvolgendoli operativamente in attività di studio e ricerca a favorire la presa di coscienza di azioni rischiose anche il loro coinvolgimento diretto attraverso workshop e attività sul campo. C’è poi “Domani si parte”, riduzione teatrale tratta del libro che, attraverso due ore di riflessioni e coinvolgimento porta all’attenzione del pubblico la storia di Samuel e della sua famiglia, i cui proventi sono destinati al finanziamento delle attività dell’Associazione e ai progetti di ricerca della Federazione Nazionale Trauma Cranici di cui Stefano è vicepresidente. E ancora, “Il sogno di Arlecchino”,

con laboratori occupazionali presso Aziende profit che mettono a disposizione spazi per il ri-apprendimento delle competenze e la socializzazione di persone disabili da cerebro lesione dovuta a traumi cranici, ictus e anossie cerebrali. I volontari dell’associazione, inoltre, sono a disposizione delle famiglie, per un supporto anche pratico e “tecnico”, grazie all’Infopoint creato dalla Onlus. E l’impegno non si esaurisce qui: Stefano va nelle scuole, università, circoli culturali, teatri, piazze a parlare dell’Associazione, alla quale il 14 dicembre è stato assegnato il “cuore d’oro” al premio della bontà di Seriate, e presenta il dvd “Samuel dal coma alla vita” dodici minuti di profonda emozione. Tutto per sensibilizzare i giovani alla prevenzione di incidenti.


DAL TERRITORIO

IL LATO UMANO DELLA MEDICINA

Infermiere di giorno, musicista di notte suonando i Pink Floyd ∞  A CURA DI LUCIO BUONANNO

Da bambino sognava di suonare l’organo in chiesa tutti i giorni tanto che appena ha l’età entra in Seminario, credendo che il prete potesse suonare tutti i giorni (era solo un sogno da bambino) ma poi come succede durante la crescita, cambia idea e sceglie un’altra strada.

masco ad assistere i bambini nati prematuri o con problemi, che lui chiama amorevolmente “neonatini”, sotto lo sguardo vigile e attento di tutte le infermiere, che all’inizio lo considerano un caso difficile in un reparto di sole donne. Ma lui resiste e convince, con garbo, simpatia e professionalità, tutti e tutte.

Decide di fare l’infermiere e di continuare a suonare il pianoforte che ha cominciato a strimpellare da bambino e studiato poi alla scuola musicale Santa Cecilia di Città Alta durante gli anni del seminario. Fausto Chigioni ha 48 anni e lavora nel reparto di Patologia natale all’Ospedale Papa Giovanni dal 2001. È stato il primo infermiere maschio nella storia dell’ospedale berga-

«È vero, all’inizio mi sentivo un pesce fuor d’acqua» racconta ora. «Non avevo mai toccato un bambino prima di allora, ma ce l’ho fatta. I miei studi umanistici che avevo fatto in seminario prima e terminati poi alle magistrali, quelli professionali poi conseguiti agli Ospedali Riuniti di Bergamo e la mia esperienza alle Cliniche Gavazzeni nel reparto di terapia intensiva di cardiochirurgia,

dove ero stato prima di vincere il concorso agli Ospedali Riuniti, mi hanno aiutato ad affrontare questa nuova realtà. I neonati sono fuori dal loro habitat naturale e hanno bisogno di assistenza. Il medico li visita, li cura, ma poi tocca a noi infermieri assisterli in tutto e per tutto ed aiutare i loro genitori ad affrontare questo periodo a volte lungo e doloroso». Fausto è sposato con Anna, una collega che lavora nel reparto di medicina, e ha tre figlie, Martina, 20 anni, Serena, 17, e Sara, 8. Lui ama il pianoforte, le tastiere e soprattutto i Pink Floyd tanto da aver fondato una band che si chiama Shine on Project, con altri otto musicisti interessati alla musica del famoso gruppo inglese che ha venduto milioni di dischi in tutto il mondo a partire dagli Anni Sessanta. Per Fausto l’incontro con i Pink Floyd è stato un amore al primo ascolto. Era ancora in seminario quando un suo compagno gli fa ascoltare In the flash e di conseguenza l’album The wall. «È stata una rivelazione» dice. «In loro mi sono subito rispecchiato. La loro grandezza è nel mandarti un messaggio musicale, spirituale. Ti avvolge. È stato bellissimo, ho

In questa rubrica gli operatori sanitari (medici, infermieri etc.) si raccontano, facendo conoscere oltre al loro lato professionale la loro attività di artisti, volontari, atleti... Vuoi raccontare la tua storia su Bergamo Salute?

Scrivici su facebook o redazione@bgsalute.it! 64 | Bergamo Salute | Gennaio/Febbraio 2020


cominciato a studiarli e mi sono innamorato della loro musica che ora io e i miei compagni della Shine on Project cerchiamo di diffondere dove ci chiamano a suonare. Non ci consideriamo una tribute band, riproponiamo i loro brani, contestualizzandoli, mettendoci un po’ del nostro. D’altronde nel nostro gruppo ci sono dei bravissimi musicisti. Vale la pena ricordarli: Filippo Guerini e Alberto Federici (voce e chitarre), Antonio Saladino (pianoforte e hammond), Beppe Castelli (basso), Fabrizio Pintorno (batteria), io (tastiere e voce) e le meravigliose tre coriste: Claudia Castelli e la sorella Ornella e Carmen Giammona. Un gruppo nato un po’ alla volta. Io, Beppe e Fabrizio abbiamo dato il là. Poi si sono aggiunti gli altri provenienti da diversi generi musicali chi dal Pop, chi dal Jazz e Blues chi dal Sacro e dalla Classica». Dovunque va la Shine on Project ottiene un grande successo, come è stato recentemente al Palacreberg di Bergamo in un concerto organizzato da Proloco Bergamo in collaborazione con l’assessorato alle pari opportunità del Comune di Bergamo e della Provincia a favore dell’Associazione “Aiuto Donna”. “Una serata indimenticabile ed emozionante”, scrive Fausto sul suo sito “tutti uniti per gridare No alla violenza sulle donne”. «Sì, cerchiamo di trasmettere questo messaggio, per noi la musica è un servizio

verso gli altri, verso il pubblico. Noi siamo servitori della musica. Dobbiamo dare un qualcosa a chi ci ascolta. Il più bel complimento non è quando ci dicono “siete stati bravissimi”, ma quando commentano “Ho passato due ore intense, adesso vado a casa portandomi dentro qualcosa di bello”». Ed è lo stesso impegno che Fausto mette nel suo lavoro con i bambini e con i loro genitori. Forse lo ha imparato grazie alla sua famiglia con una mamma e papà che cantavano nel coro della loro parrocchia e insegnano ai quattro figli a stare al mondo nel rispetto di tutto e di tutti, e grazie all’ amore per Anna sua moglie che considera l’infermiera per eccellenza, una donna che assiste gli altri nella sofferenza e nella debolezza sia fuori che dentro l’ospedale senza se e senza ma trasmettendo tutto questo a chi la circonda. «Se tornassi indietro rifarei tutto» dice Fausto. «Ho fatto un bel percorso che mi ha portato a fare l’infermiere». E si sente che è innamorato del suo lavoro. «È assistere la persona in tutta la sua complessità». L’esperienza più forte in cui musica ed assistenza si sono incontrate è stato quando si è preso cura di un bambino con grossi problemi e anche del padre, un professionista che scrive poesia e musiche e fa teatro. «Abbiamo avuto un rappor-

to molto intenso, abbiamo parlato tanto. Purtroppo il piccolo non ce l’ha fatta e il suo papà che aveva scritto una poesia in musica per la malattia del figlio, ha voluto che la suonassi al funerale nella piccola chiesa degli Ospedali Riuniti. È stata un’emozione molto forte. La musica in questa situazione ha preso il posto delle parole, si è inserita nel cuore e in quel momento lo ha cullato. La musica è un linguaggio universale arriva a tutti, ti abbraccia, ti avvolge, si prende cura di te e alle volte ti assiste e ti accompagna nei momenti più belli e difficili della vita». Ecco la scelta di fare l’infermiere in “armonia”.


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IPERISTIDINEMIA Codice di Esenzione. RCG040 Categoria. Malattie delle ghiandole endocrine, della nutrizione, del metabolismo e disturbi immunitari (è chiamata anche "deficit di istidasi"). Definizione. L’iperistidinemia è un disordine del metabolismo dell’istidina (sostanza coinvolta nella formazione di proteine e con diverse influenze nelle reazioni metaboliche del corpo), caratterizzato da marcato aumento del livello di questo aminoacido nel plasma e nel liquido cefalorachidiano (che si trova nel sistema nervoso centrale) con aumentata secrezione dell’aminoacido stesso, dell’acido imidazolpiruvico e di altri metaboliti (prodotti di scarto) nelle urine. Epidemiologia. La prevalenza globale è attualmente stimata 1 su 10.000 mila in tutto il mondo. Maschi e femmine sono affetti in egual misura. Segni e sintomi. Le manifestazioni cliniche comprendono compromissione del linguaggio, ritardo dell’accrescimento e/o ritardo mentale. Eziologia. Questa condizione è dovuta al difetto di istidasi che normalmente trasforma l’istidina in acido urocanico. La malattia è ereditata. Test diagnostici. Il profilo aminoacidico mostra aumentati livelli di istidina nel plasma e nel liquido cefalorachidiano, oltre a un aumento inspiegato dell’alanina plasmatica. A livello urinario si riscontrano elevati livelli di istidina e del suo prodotto di transaminazione, l’imidazolpiruvato. La diagnosi biochimica può essere confermata con il dosaggio dell’enzima istidasi su epatociti o su fibroblasti. Terapia. Dieta povera di istidina, che determina un buon controllo biochimico, ma non un miglioramento clinico nei pazienti sintomatici. Dottor Angelo Serraglio Vice Presidente ARMR

Gennaio/Febbraio 2020 | Bergamo Salute | 67


DAL TERRITORIO

TESTIMONIANZA

Il mio cuore era malato e rischiavo di morire. Ora a 87 anni vado ancora a funghi La storia di Rina, di Clusone, sottoposta a un innovativo intervento mini-invasivo di sostituzione della valvola aortica ∞  A CURA DI MARIA CASTELLANO

«Rischiavo di non arrivare a Natale per colpa del mio cuore malato. Ora invece, grazie all’intervento di sostituzione di una delle valvole, mi sento di nuovo bene e posso godermi i miei figli e i miei nipotini. E non solo: pensi che ho anche ricominciato ad andare a funghi, la mia grande passione, e a curare l’orto. Se solo me lo avessero detto mesi fa che mi sarei ripresa così e così velocemente non ci avrei creduto». 87 anni di Clusone, Caterina, per tutti Rina, ha gli occhi azzurri, penetranti, che parlano ancor più delle parole. Raccontano la gioia di essere viva, attorniata dai suoi cari, e la gratitudine per chi l’ha operata, il dottor Maurizio Tespili, cardiologo bergamasco doc con origini da parte materna proprio della Val Seriana, tra i massimi esperti nel campo della cardiologia interventistica e della sostituzione mini-invasiva di valvole aortiche. «La signora Rina soffriva di una severa stenosi della valvola aortica. La sua valvola era malata e molto compromessa e non le avrebbe permesso di sopravvivere per sei mesi» racconta il dottor Tespili, coordinatore dell’area cardiologica degli Istituti Ospedalieri Bergamaschi e responsabile dell’unità di cardiologia dell’Istituto Clinico Sant’Ambrogio, tutte realtà appar-

tenenti al Gruppo San Donato. «L’ultima volta che l’avevo vista quest’estate, nello studio di Ponte Nossa, era molto affaticata. Aveva difficoltà a respirare, faceva fatica a camminare e a svolgere le normali attività quotidiane. Temevo che, se non si fosse sottoposta all’intervento di sostituzione della valvola, non le sarebbero rimasti molti mesi davanti a sé oppure sarebbe

stata destinata a essere invalida fino alla morte. Una cosa difficile da accettare per una donna come lei abituata fin da bambina a lavorare, darsi da fare e sentirsi attiva». E così il cardiologo le propone l’intervento. «I miei figli all’inizio erano scettici e preoccupati, vista la mia età. Ma io avevo già preso la mia decisione prima ancora di arrivare alla macchina dopo la visita: volevo


fare l’intervento. Sapevo di essere in buone mani» continua la signora Rina. «Abbiamo valutato attentamente il da farsi e, sebbene in ogni intervento ci possano essere dei rischi, soprattutto considerata l’età della signora, eravamo certi che sarebbe potuto riuscire bene» le fa eco il dottor Tespili. E così, ad aprile, Rina viene operata a Milano, all’Istituto Clinico Sant’Ambrogio -centro di riferimento a livello italiano per la cardiologia interventistica e per questo tipo di patologiecon una tecnica mini-invasiva chiamata TAVI (Transcatheter Aortic Valve Implantation) che si esegue solo in centri specializzati, dotati di una Cardiologia Interventistica Avanzata e un reparto di Cardiochirurgia), poiché richiede grande esperienza da parte degli operatori sia dal punto di vista tecnico sia nella scelta dei materiali. «Grazie a questa tecnica, mini-invasiva ad altissima efficacia, oggi è possibile sostituire la valvola aortica senza aprire lo sterno e fermare il cuore, ma con un accesso percutaneo. In pratica, dall’inguine e attraverso l’arteria femorale, sotto continuo controllo ecografico viene inserita una piccola protesi cardiaca, che può essere di materiali diversi. Una volta raggiunta la valvola aortica malata, questa protesi si “aggancia” e inizia a funzionare come una valvola naturale, ripristinando immediatamente il flusso della circolazione prima dif-

ficoltoso» spiega il dottor Tespili. «Questa tecnica presenta moltissimi vantaggi: oltre che all’assenza di cicatrici, un minore stress operatorio, minori rischi - non essendo necessaria una circolazione extracorporea con le complicanze importanti che possono essere ad essa associati - e tempi di ripresa inferiori. Proprio in virtù di tutto questo la TAVI, che una volta era riservata solo a pazienti giudicati ad alto rischio, ora è stata approvata dalla Fda (Food and Drugs Administration, massimo organo di controllo delle procedure operatorie negli Stati Uniti) anche per i pazienti a basso rischio. Questo ha un

valore culturale e scientifico di grande impatto sul trattamento futuro di questa patologia che potrà essere esteso a una serie di pazienti un tempo inoperabili. Da non dimenticare la riduzione di tempi di ospedalizzazione e dei costi socio-sanitari ad essa collegati. A Rina, in particolare- e questa è la novità - abbiamo impiantato una valvola di nuovissima genera-

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In questa rubrica pubblichiamo la storia di una persona che ha superato un incidente, un trauma, una malattia e con il suo racconto può dare speranza agli altri. Vuoi raccontare la tua storia su Bergamo Salute?

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zione, super-performante, più piccola, più sottile e ancora meno invasiva. È stato il primo intervento in Italia di questo tipo: infatti le arterie della paziente erano molto piccole e non avrebbero consentito altri approcci operatori per posizionare le valvole di vecchia generazione». L’intervento e il decorso operatorio di Rina vanno nel migliore dei modi. Tre giorni dopo la procedura è già a casa, nella sua Clusone, e un passo alla volta ricomincia a stare meglio. Ha di nuovo le forze per dedicarsi all’orto, per andare a piedi al cimitero a trovare i suoi cari, per ricamare e anche per andare a caccia di porcini. «Per me i funghi sono una vera malattia» dice Rina ridendo. «Lo sa anche il dottor Tespili. Appena sono stata meglio l’ho invitato a pranzo per il mio risotto ai funghi».

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STRUTTURE

CASA DI RIPOSO PIATTI-VENANZI

A Palosco un centro polivalente di servizi per anziani

Fin dalle sue origini la Casa di Riposo “Piatti-Venanzi”, nata nel 1954 su iniziativa della Parrocchia con la collaborazione delle Suore Poverelle, ha rappresentato un’istituzione e un punto di riferimento nella storia della comunità di Palosco, legandosi intimamente con il “vissuto” dei suoi cittadini. Oggi, con lo spirito di sempre ma allo stesso tempo adeguandosi alle nuove e crescenti richieste del territorio, la Casa di riposo di Palosco è diventata un centro polivalente di servizi, ampi e diversificati, soprattutto per gli

anziani ma non solo: > opera istituzionalmente a favore degli anziani non autosufficienti (prioritariamente residenti in Palosco) con una disponibilità di 70 posti letto; > offre loro, fin dalla sua costituzione, una struttura residenziale protetta con adeguate prestazioni di tipo alberghiero integrate dai servizi socio assistenziali, sanitari e animativi con rilevanza sempre crescente; > svolge altre attività di rilevanza sociale, con ricoveri di sollievo

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e di convalescenza. Tutto questo è stato reso possibile dall’impegno e dalla passione che ogni giorno il personale della Casa di riposo mette nel suo lavoro (medici, infermieri, fisioterapisti, animatori, personale di cucina, lavanderia, impiegati, personale ausiliario addetto all’assistenza, Consiglio di Amministrazione), ma anche dai numerosi volontari che, in modo silenzioso e in forme diverse, offrono un prezioso aiuto per il benessere degli anziani che frequentano il Centro diurno o sono ospitati nella Rsa.


LA STRUTTURA RESIDENZIALE SANITARIA ASSISTENZIALE

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La struttura residenziale sanitaria assistenziale (Rsa) offre servizi sanitari, interventi medici, infermieristici e riabilitativi finalizzati a prevenire e curare le malattie croniche e le loro eventuali riacutizzazioni. La sistemazione residenziale è caratterizzata da un’impronta il più possibile domestica, stimolando al tempo stesso la socializzazione tra gli ospiti. Inoltre è prevista un’assistenza individualizzata, orientata alla tutela e al miglioramento dei livelli di autonomia, al mantenimento degli interessi personali e alla promozione del benessere.

«La nostra struttura accoglie anziani che, per ragioni di salute o per motivi familiari, non possono più risiedere presso il proprio domicilio» spiega Giuseppe Zappone, presidente della Casa di riposo Piatti-Venanzi. La residenza si prende cura dei suoi ospiti non solo erogando loro servizi di tipo sanitario e socio-assistenziale, ma anche rendendo piacevole il loro soggiorno da un punto di vista umano, conferendo centrale importanza alla relazione che può instaurarsi tanto nel gruppo degli ospiti, quanto tra gli ospiti e il personale che opera all’interno della casa di riposo.

IL CENTRO DIURNO INTEGRATO Accanto alla Rsa, nella Casa di riposo di Palosco è attivo ormai da anni un Centro diurno integrato (Cdi), rivolto ad anziani non autosufficienti, per i quali non sia possibile un’adeguata assistenza diurna domiciliare, e ad anziani in attesa di accoglimento residenziale, quale momento di graduale passaggio dal proprio domicilio alla residenza protetta. Il centro assiste 15 utenti/ ospiti che possono usufruire, in giornata quindi senza alloggi, degli stessi servizi specifici e generali dei quali beneficiano tutti gli ospiti dell’Rsa.

La Casa di Riposo è stata riconosciuta come Ente Morale con DPR n.1345 del 16.10.1954 ed è rimasta Istituzione Pubblica di Assistenza e Beneficenza (I.P.A.B.) fino all’inizio dell’anno 2004, quando la Regione Lombardia ha approvato la trasformazione in soggetto di diritto privato assumendo la forma giuridica di Fondazione Onlus. Contestualmente è stato approvato il nuovo Statuto e la nuova denominazione come “Centro di Servizi per Anziani Casa di Riposo Piatti-Venanzi”.

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STRUTTURE

ASST PAPA GIOVANNI XXIII

Nuovo ambulatorio per l’intossicazione da alcol e droghe Grazie agli specialisti del Servizio Dipendenze (SerD), l’ASST Papa Giovanni XXIII offre una consulenza mirata ai giovani arrivati in Pronto soccorso per episodi legati all’assunzione di sostanze Stop&Go: è il nome dell’ambulatorio che da gennaio offre una risposta in due fasi ai casi di intossicazione per alcol e droghe di ragazzi che hanno meno di 25 anni. «Il primo punto in cui intercettiamo questi casi è il Pronto soccorso» spiega Marco Riglietta, direttore dell’Unità Dipendenze di cui fa parte il SerD. «Il numero degli accessi per quadri di vario tipo legati all’intossicazione acuta da sostanze psicoattive si aggira intorno

ai 400 casi l’anno, con episodi di diversa gravità». «Per lo più non rivediamo questi giovani» prosegue Riglietta «e l’episodio resta un caso isolato: ma per qualcuno è il segnale che c’è un problema che sarebbe opportuno valutare per identificare condizioni a rischio di un aggravamento. Già oggi i ragazzi, e le famiglie nel caso di minorenni, vengono indirizzate al SerD, ma la risposta è bassa».

Per informazioni è possibile contattare il Ser.D. al numero 035 2676394 o scrivendo a dipendenze.segreteria@asst-pg23.it

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Il Servizio Dipendenze, l’ex SerT, viene ancora troppo spesso percepito come il centro a cui si rivolgono i dipendenti cronici da eroina in un contesto già di grave deriva sociale, mentre oggi è un servizio che vuole occuparsi soprattutto di interventi precoci: come in tutta la medicina, più si interviene precocemente e più è efficace e rapido l’intervento, minore è il rischio che il problema diventi cronico. Oggi fra l’esordio di consumo problematico di sostanze


e l’accesso ai servizi di trattamento trascorrono anche 8-10 anni, che per l’alcol possono anche arrivare a 20 anni. L’ambulatorio “Stop&Go” nasce proprio per vincere questa visione superata e mettere a proprio agio ragazzi e famiglie, a cominciare dalla sede, affacciata sull’Hospital Street del Papa Giovanni all’altezza della Torre 1 (ingresso 8, lato sud dell’Ospedale). «Chi viene trovato sotto l’effetto di sostanze o di alcol, nel referto del Pronto Soccorso trova già un appuntamento fissato all’ambulatorio

ospedaliero, in cui offriremo una consulenza medica e psicologica» continua Riglietta. «L’obiettivo è valutare la presenza di condizioni a rischio di aggravamento e offrire la possibilità di riflettere sull’episodio acuto che ha provocato l’accesso al Pronto Soccorso». Nel 2019 il servizio per le dipendenze dell’Asst Papa Giovanni XXIII ha seguito 239 ragazzi sotto i 25 anni, di cui 43 fra i 15 e i 19, e 2 fra i 10 e 14 anni. Sul dato complessivo l’81% è maschio e il 19% femmina, ma se analizziamo la fascia inferiore ai 19 anni osserviamo una leggera differenza: la percentuale di maschi si

abbassa al 74% e quella di femmine sale al 26%. Quasi il 50% di questi ragazzi arriva al SerD inviata dai servizi legati all’area del controllo (Prefettura, Tribunali, Commissione medica per le patenti di guida etc.), il 30% arriva volontariamente, segno che riconoscono il servizio come un luogo di consulenza/cura adeguato al problema. «Molto limitati sono invece gli invii dalla famiglia (6%), dai servizi sanitari (6%), dai servizi sociali, dalla scuola e dal volontariato (3%)» conclude Riglietta «come dire che lo stigma nei confronti del servizio lo hanno soprattutto gli adulti e non i ragazzi».


GUIDA ALLE PROFESSIONI SANITARIE

Psicologo un professionista “multitasking” ∞  A CURA DI ELENA BUONANNO

Dimenticatevi l’immagine dello psicologo sulla poltrona che ascolta il paziente, seduto o sdraiato sul lettino, mentre racconta le sue difficoltà, paure e aspirazioni. O almeno non relegatela solo a quella. Oggi, infatti, lo psicologo è una figura sempre più richiesta in ambiti molto diversi, da quello della salute a quello socio-sanitario, dalla gestione delle risorse fino al marketing e alla consulenza aziendale. Come ci spiega la professoressa Silvia Ivaldi, ricercatrice e docente di psicologia del lavoro e delle organizzazioni e responsabile dell’orientamento per la laurea triennale di psicologia presso l’Università degli Studi di Bergamo.

Dottoressa Ivaldi, innanzitutto, qual è il percorso di studi per diventare psicologi? Il percorso di studi è stato pensato per preparare futuri professionisti che abbiano conoscenze di base funzionali ad affrontare la pluralità dei contesti entro cui il sapere psicologico si realizza. Nello specifico, durante i primi tre anni, gli studenti del nostro corso di studi si avvicinano a discipline quali la psicologia generale, la psicologia dello sviluppo, la psicologia sociale, la psicologia del lavoro e delle organizzazioni, le neuroscienze, la psicologia clinica e dinamica. Il percorso formativo da noi proposto riconosce l’importanza degli

aspetti filosofici e delle dimensioni epistemologiche alla base della disciplina psicologica; per questo vengono inserite materie quali la filosofia della scienza e la storia del pensiero filosofico. Intento ulteriore è quello di aiutare gli studenti a comprendere le metodologie e le tecniche attraverso le quali è possibile tradurre in pratica il sapere psicologico. In questa direzione, quindi, completano il quadro corsi come metodologia della ricerca in psicologia, teoria e tecnica del colloquio e dell’intervista, metodi e tecniche psicodiagnostiche. Per quanto riguarda il percorso di laurea magistrale, il nostro dipartimento offre due possibili specializzazioni

Psicologo e psicoterapeuta: che differenza c’è? Lo psicologo è un professionista laureato in Psicologia e abilitato alla professione in seguito all’Esame di Stato. Per esercitare la professione deve essere iscritto all’Albo degli Psicologi. Lavora per migliorare la capacità delle persone di comprendere se stessi e gli altri e di comportarsi in maniera consapevole, congrua ed efficace (Codice deontologico, art.3). Lo psicoterapeuta è un professionista laureato in Psicologia o Medicina e Chirurgia che abbia acquisito una specifica formazione teorica e pratica, almeno quadriennale, in scuole di specializzazione universitarie o riconosciute dal MIUR. Il suo intervento è mirato alla risoluzione dei sintomi e delle loro cause, conseguenti a disturbi mentali, condizioni di disadattamento e sofferenza.

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in lingua italiana (la psicologia clinica e la psicologia della salute nei contesti sociali) e un curriculum in lingua inglese (Clinical psychology for individuals, families and organizations). I corsi di specializzazione sono diversi e l’intenzione è orientare e favorire la possibilità di pensare la psicologia in contesti differenti. In tal senso particolare attenzione viene posta agli aspetti di professionalizzazione dello psicologo. Per questo fin dal percorso di laurea triennale proponiamo iniziative di tirocinio che consentono agli iscritti di allargare il proprio sguardo. I giovani che s’iscrivono a psicologia tendenzialmente hanno interesse a specializzarsi nell’ambito della clinica avendo in mente come possibile applicazione il setting psicoterapeutico. Nella realtà dei fatti, i contesti di professionalizzazione diventano sempre più plurali, diversi e articolati. Il percorso di tirocinio agisce in questo senso nel tentativo di far incontrare agli studenti professionisti che lavorano in campi differenti e più difficilmente pensabili nell’idea comune dei giovani. Quali sono in particolare le opportunità lavorative per un laureato in psicologia?

Fino a qualche anno fa il rapporto tra formazione e lavoro era descritto perfettamente da un’equazione di fondo secondo la quale a un sapere corrispondeva una sola professione. Oggi non è più possibile pensare in questi termini: a un sapere corrispondono più e diverse professioni. Questo vale anche per la psicologia: chi esce da una laurea magistrale in psicologia può lavorare in campi differenti quali sport, azienda, ambito sanitario, cooperazione sociale, carcere, etc.. Una recente ricerca del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi realizzata su un campione di circa 1.500 persone ha evidenziato cinque tipologie fondamentali di gruppi professionali in ambito psicologico. > Psicoterapia privata: psicologi che operano nel settore salute per lo più come liberi professionisti nell’ambito di uno studio professionale privato e sono diplomati in una scuola di psicoterapia, seguita dopo la laurea magistrale. > Salute pubblica: psicologi che operano nel settore della salute, soprattutto in ambito pubblico, ma anche in cooperativa o in aziende no profit e lavorano a fianco di medici e infermieri.

> Servizi socio-educativi: professionisti che si presentano come educatori, coordinatori di progetto, insegnanti che operano nei servizi sociali, nella scuola e nell’università, in ambito pubblico nella cooperazione sociale e in aziende no profit. Lavorano insieme ad educatori, assistenti sociali e insegnanti. > Organizzazioni: psicologi che operano nel settore lavoro, nell’ambito delle risorse umane, formazione e marketing; lavorano soprattutto in aziende private e collaborano per lo più con economisti, ingegneri e avvocati. > Consulenza: professionisti che operano in ambiti eterogenei come la salute, la formazione, la scuola, il lavoro le aziende, ma anche lo sport. I contesti e i modi di applicazione della psicologia sono quindi molti e articolati: l’attenzione è sempre però quella di una comprensione degli aspetti soggettivi (dimensione intrapsichica) e relazionali che caratterizzano la vita privata e la vita lavorativa nelle diverse fasi di vita e di sviluppo.



REALTÀ SALUTE

ElettroSensibilità

si usavano tecniche che agivano sui campi elettro-magnetici del corpo. Altre tradizioni come quelle celtiche, maja, azteche, babilonesi,africane, hanno seguito questo tipo di trasmissione orale per gli insegnamenti riservati a pochi».

Un fenomeno già noto agli antichi

LA MEDICINA INDIANA, TIBETANA E CINESE

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Nel numero di settembre-ottobre vi avevamo parlato di ElettroSmog ed ElettroSensibilità, della attuale legislazione e degli effetti e sintomi. Ora, sempre con l’aiuto di Maurizio Ugo Rodriguez, farmacista e Presidente A.I.K.I. -As­ sociazione Istruttori Kinesiologia Italiana- approfondiamo l’argomento risalendo alle origini. «Sin da i tempi antichi sono esistite persone che avevano il dono di vedere o percepire i flussi elettromagnetici o magneto-elettrici e tramite questa facoltà operare sul silenzioso e invisibile mondo del non percepito, potendo guarire o prevenire problemi, oppure individuando i luoghi dove poter edificare o soggiornare» osserva il dottor Rodriguez. «Con il tempo queste facoltà sono state studiate e messe a disposizioni di tutti attraverso le tecnologie moderne, come la TAC, la Tecar terapia, la Magneto-terapia, o con i rilevatori di campi magnetici che sono reperibili sul mercato, ovvero strumenti di rilevazione di inquinamento

elettro-magnetico. Poi sono nati altri strumenti come il Vega-Test, l’ASYRA, EAV gold, Inergetic CoRe System etc. che usano frequenze a bassa intensità per verificare, per risonanza, gli squilibri nel corpo degli esseri viventi, come l’uomo».

L’ANTICA MEDICINA EGIZIA Gli Egizi, in particolare i sacerdoti o la casta sacerdotale, hanno tramandato le tradizioni attraverso la simbologia dei geroglifici, facendo riferimento alla natura e a tutte le espressioni di vita, dalle pietre alle stelle, dagli animali all’uomo. La vera conoscenza tuttavia era tramandata in forma orale e per questo si è persa. «Una parte delle moderne conoscenze teoriche scientifiche era praticata nell’antichità in modo rudimentale, con le risorse dell’epoca» continua il dottor Rodriguez. «Si generavano scariche elettriche o altre diavolerie che a quell’epoca erano usate per sottomettere il popolo. Si usavano le piante combinate con polvere di pietre ed estratti di animali per curare, e là dove il male era “misterioso”

Solo nell’area asiatica possiamo trovare dei praticanti “laici” che hanno iniziato a trasmettere queste conoscenze attraverso scritti: il più antico è il “Caraka Samita”, scritto in sanscrito. Lo scopo di questo libro era tramandare la conoscenza “informazionale” che riporta equilibrio nel corpo delle persone. In seguito gli scritti si sono sempre più orientati alla parte pratica, descrivendo punti energetici sul corpo che, connessi tra di loro come dei fili energetici, sono chiamati “Meridiani” o vortici di energia detti “Chakra”. «Grazie alla Wellness Kinesiology, ora sappiamo che tali fili e vortici hanno connessioni con tante parti diverse del corpo. L’equilibrio di queste è sintomo di vitalità e benessere, mentre un disequilibrio, più o meno grave, può preparare nel corpo la strada alla malattia. Credo che studiare in modo sempre più approfondito queste connessioni e sviluppare una tecnologia che possa essere alla portata di tutti sarà il futuro di questo nuovo millennio» conclude il dottor Rodriguez.

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REALTÀ SALUTE

Puffiland Un asilo a misura delle famiglie d’oggi

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Trilinguismo ed educazione alimentare, sicurezza e orari ampi e flessibili Una realtà all’avanguardia, concepita sull’esempio dei tanti modelli virtuosi presenti in Alto Adige. È questo l’asilo nido trilingue Puffiland, una struttura con un’offerta formativa di alta qualità che accoglie e accompagna i bambini dai tre mesi ai tre anni. Tra le peculiarità di questo asilo, ispirato al villaggio dei Puffi, c’è la struttura, dotata di un sistema di videosorveglianza che offre la possibilità ai genitori di monitorare i propri figli seguendoli in streaming grazie alle videocamere installate nell’asilo. «Inoltre, sempre per garantire ai genitori e ai piccoli la massima sicurezza e tranquillità possibili, quando vengono organizzate uscite o gite, ai piccoli viene fatto indossare un braccialetto gps “semiperdo” che permette loro di essere sempre localizzati» sottolinea Giuliana Capitaneo, coordinatrice pedagogica. Di grande interesse sono gli orari di apertura estesi e flessibili (dalle 7.30 alle 20.30 con possibilità di servizio pranzo o cena e di entrata pomeridiana), un’opportunità (non un vincolo) pensata per rispondere al meglio alle necessità della “famiglia moderna” in molti casi condizionate da turni di

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lavoro non standardizzati. Sempre per venire incontro alle famiglie l’asilo è aperto sempre, anche ad agosto. I piccoli possono inserirsi tutto l’anno e la segreteria inoltra direttamente le pratiche del bonus nido. «I punti di forza che ci contraddistinguono sono sia strutturali sia organizzativi» aggiunge Giuliana Capitaneo. «Innanzitutto, ovviamente, il trilinguismo: l’organico è composto da qualificate educatrici madrelingua italiano, inglese e tedesco. Il trilinguismo è presentato in modo naturale all’interno di tutta la giornata dei bambini, in modo che diventi parte integrante della loro vita aiutandoli, in futuro, ad acquisirne una migliore padronanza. Per quanto riguarda invece il metodo d’insegnamento, seguiamo i principi montessoriani, secondo i quali il bambino è un soggetto competente, predisposto ad apprendere dall’ambiente e dal contesto in cui viene inserito. La nostra finalità non è solo istruire per “trasmettere una cultura”, ma educare (portare fuori) il potenziale di cui ciascun individuo dispone, aiutandolo nella sua ricerca di autonomia, non correggendo i suoi errori ma lasciando che viva i propri fallimenti: è sbagliando e ripetendo più volte la stessa azione che il bambino impara». Questo all’interno di una dimensione che pensa al benessere dei bambini sotto tutti i punti di vista e davvero su misura per loro. «Tutti gli spazi sono pensati per favorire le esperienze educative: c’è uno spazio dedicato alla

manipolazione e alle attività grafico-pittoriche, un’area sensoriale, una sala polivalente con angolo per la lettura, uno spazio motorio e uno di gioco simbolico e una grande stanza nanna che all’occorrenza può diventare il palcoscenico per uno spettacolo o per i laboratori teatrali. All’esterno, poi, c’ è un ampio giardino privato per i giochi all’aperto. Grande attenzione è riservata anche al momento del pasto, durante il quale il bambino apprende il valore del cibo e impara a mangiare in modo sano e salutare, perché l’educazione alimentare deve cominciare già nei primi anni di vita».


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Implantologia guidata al computer

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L’alternativa per tornare a sorridere Anticipare le tecnologie a disposizione per dare ai pazienti trattamenti meno dolorosi e allo stesso tempo più rapidi e sicuri è diventato un must anche per l’odontoiatria moderna, a cominciare dagli interventi chirurgici. È il caso dell’implantologia computer guidata, una metodica chirurgica che, avvalendosi di tecnologie virtuali, permette di raccogliere preventivamente tutte le informazioni utili sia per la pianificazione del trattamento implantologico sia per l’inserimento di denti fissi. A spiegarci il valore aggiunto di questa procedura alternativa alla chirurgia tradizionale è il dottor Edoardo Franzini, medico chirurgo e odontoiatra del Centro di Radiologia e Fisioterapia di Gorle. «La moderna odontoiatria si avvale di molteplici tecniche per l’inserimento degli impianti e quella digitale guidata al computer è diventata un protocollo sicuro e complementare alla chirurgia a mano libera tradizionale. È indicata per i pazienti che hanno poco osso e paura del dolore e ha il vantaggio di ridurre al minimo i tempi dell’intervento e il trauma operatorio» spiega il dottor Franzini. Niente tagli, quindi, ma non solo: il progetto a computer consente al dentista e al paziente una condivisione anticipata dei risultati offrendo maggiore precisione e il controllo della posizione dell’impianto. «Il paziente entra in studio e gli viene applicata una mascherina chirurgica contenente già i fori per gli impianti, senza mettere né punti né fare incisioni. Successivamente vengono inseriti gli impianti utilizzando questa guida chirurgica» conferma il dottor

Franzini. Ma quando si utilizza? «La chirurgia guidata si applica nei pazienti con poco osso. È indicata anche nelle grandi riabilitazioni protesiche di tutta la bocca, sopra e sotto, ed è una tecnica molto precisa in quanto il posizionamento degli impianti vien studiato in 3D. Ovviamente bisogna essere strutturati e poter contare su Tac dentali sofisticate e laboratori di progettazione». Il punto di partenza riguarda sempre la situazione clinica globale del paziente. «Se le condizioni ci sono, è possibile utilizzare il protocollo di carico immediato» prosegue il dottor Franzini. «Si tratta di una tecnica implantologica, oggi frequentemente utilizzata, che permette la riabilitazione immediata, funzionale ed estetica, della masticazione del paziente. Fattori traumatici (fratture), granulomi, infezioni, patologie parodontali possono rendere necessaria la sostituzione immediata di un dente singolo o più elementi dentali, di

una o entrambe le arcate dentarie. Quando ci sono le condizioni cliniche (qualità e quantità di osso a disposizione e densità ossea) è possibile farlo anche per un solo dente». L’arcata definitiva, infine, viene realizzata a seguito di prove estetiche a cura del protesista. «Insieme al paziente si scelgono forma, colore e dimensione dei denti per garantire un sorriso il più naturale possibile. A fine piano terapeutico, inoltre, per la riabilitazione è consigliato fornire un byte su misura a uso notturno per preservare i denti e il lavoro svolto» conclude il dottor Franzini.

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Bergamo Salute anno 9 | n° 54 Gennaio | Febbraio 2020 Direttore Responsabile Elena Buonanno Redazione Rosa Lancia redazione@bgsalute.it Grafica e impaginazione Gabriele Rota gabriele.rota@marketingkm0.it Fotografie e illustrazioni Rainer Herhaus, Adriano Merigo, Shutterstock Stampa Elcograf S.p.A Via Mondadori, 15 - 37131 Verona (VR) Casa Editrice Marketing Km Zero Srls Via G. Zanchi, 22 - 24126 Bergamo Tel. 035.0514318 - info@marketingkm0.it Pubblicità Luciano Bericchia Tel. 035.0514601- info@bgsalute.it Hanno collaborato Lucio Buonanno, Maria Castellano, Rita Compostella, Viola Compostella, Lella Fonseca, Giulia Sammarco

COMITATO SCIENTIFICO • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • •

Dott. Diego Bonfanti - Oculista Dott.ssa Maria Viviana Bonfanti Medico Veterinario Dott. Rolando Brembilla - Ginecologo Dott.ssa Alba Maria Isabella Campione Medicina Legale e delle Assicurazioni Dott. Andrea Cazzaniga Idrologo Medico e Termale Dott. Marcello Cottini - Allergologo Pneumologo Dott. Giovanni Danesi - Otorinolaringoiatra Dott. Adolfo Di Nardo - Chirurgo generale Dott. Nicola Gaffuri - Gastroenterologo Dott.ssa Daniela Gianola - Endocrinologa Dott. Antoine Kheir - Cardiologo Dott.ssa Grazia Manfredi - Dermatologa Dott. Roberto Orlandi Ortopedico Medico dello sport Dott. Paolo Paganelli - Biologo nutrizionista Dott. Antonello Quadri - Oncologo Dott.ssa Veronica Salvi - Ostetrica Dott. Orazio Santonocito - Neurochirurgo Dott.ssa Mara Seiti - Psicologa - Psicoterapeuta Dott. Sergio Stabilini - Odontoiatra Dott. Giovanni Taveggia Medicina Fisica e Riabilitazione Dott. Massimo Tura - Urologo Dott. Paolo Valli - Fisioterapista

COMITATO ETICO • •

Dott. Ernesto de Amici Presidente dell’Ordine dei Farmacisti di Bergamo Gianluca Solitro - Presidente OPI

Iscr. Tribunale Bergamo N°26/2010 del 22/10/2010 Iscr. ROC N°26993. Tutti i diritti sono riservati. È vietata la riproduzione, anche se parziale, di qualsiasi testo o immagine. L’editore si dichiara disponibile per chi dovesse rivendicare eventuali diritti fotografici non dichiarati. I contenuti presenti su Bergamo Salute hanno scopo divulgativo e non possono in alcun modo sostituirsi a diagnosi mediche.

Tiratura 30.000 copie/bimestre. Canali di distribuzione: • Abbonamento • Spedizione a diverse migliaia di realtà bergamasche, dove è possibile leggerla nelle sale d’attesa (medici e pediatri di base, ospedali e cliniche, studi medici e polispecialistici, odontoiatri, ortopedie e sanitarie, farmacie, ottici, centri di apparecchi acustici, centri estetici e benessere, palestre, parrucchieri etc.) • Distribuzione gratuita presso le strutture aderenti alla formula "Amici di Bergamo Salute".

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