DESIGNED FOR YOUR FREEDOM.
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I GIUDICI HANNO FIGLI CHE VANNO IN BICI?
Il nome Davide – nella Bibbia e dunque nelle nostre suggestioni – è sempre stato quello di un vincitore. Di un combattente indomito, pronto a battersi con chiunque a dispetto della sua apparente fragilità.
Ma quando Davide il coraggioso, Davide l’invincibile, Davide pronto a combattere anche contro il destino ha come sua sola ‘arma’ una bici, e Golia è un criminale vigliacco alla guida di un oggetto mastodontico che manovra con superficialità e incoscienza (tanto lui non si farà mai ‘male’), la leggenda è destinata a finire. E così Davide resta sull’asfalto esanime come un povero passerotto colpito a tradimento da un killer infame: mentre Golia si ferma, lo guarda, capisce e poi scappa come fanno solo gli assassini.
E li chiamano pure ‘incidenti stradali’. Come se fosse un ‘incidente’ andare in giro con un bazooka e premere il grilletto: possibilmente contro un obiettivo indifeso. E c’è pure chi applaude perché i ciclisti ‘stanno in doppia fila’, perché sono ‘imprudenti’, perché – ohibò – sono persino maleducati e si permettono di mandare a quel paese chi cerca simpaticamente di ammazzarli. Ma Davide Rebellin non era in doppia fila, non era imprudente ed era la persona più gentile del mondo: e in più sapeva portare benissimo la bici, sapeva scansare i pericoli, era un gatto dai riflessi prontissimi. Ma quando una dozzina di tonnellate gestite da uno scellerato si schiantano contro un ‘obiettivo’ di 60 chili, bicicletta compresa, ‘Golia’ vince sempre. E uccide. Uccide chi vorrebbe solo pedalare e vivere: senza fare del male a nessuno.
Si è chiuso un anno disastroso per la sicurezza stradale. I ciclisti, dopo il Covid, sono tornati a uscire e purtroppo, in numero sempre maggiore, sono tornati a morire. Anzi, ad essere assassinati (e non da ‘macchine impazzite’ come recitano i titoli dei giornali, ma da chi queste macchine le guida ai confini della criminalità). Poche – troppo poche e inascoltate – le voci che si levano contro questa strage (autorevole e inattesa quella del presidente della Repubblica: “Siamo davanti a sofferenze insopportabili”). Troppe – ancora troppe – le barriere culturali di chi non solo alza le spalle, ma addirittura incita a delinquere. Clamoroso e incomprensibile quello che è accaduto poche settimane fa presso il tribunale di Pistoia dove è stato assolto in primo grado (“perché il fatto non costituisce reato”), un galantuomo che aveva commentato l’episodio di un corridore professionista travolto e poi aggredito con un post che recitava testualmente: “Investire un ciclista per educarne cento”. Suscitando più sgomento che indignazione.
Chissà che ‘lezione educativa’ ha ricevuto Davide Rebellin, o che ‘insegnamento’ aveva tratto a suo tempo Michele Scarponi, o che meravigliosa prospettiva di vita ha raccolto morendo sull’asfalto il giovane calciatore del Padova Manuel Lorenzo Ntube strappato al futuro a 17 anni dall’autista di un suv a Ferrara, o come si sarà sentito vicino ai suoi sogni il piccolo Momo assassinato a Milano da uno scellerato senza patente imbottito di cannabinoidi.
Avranno un figlio questi seminatori di odio? Avranno un figlio i giudici che li assolvono?
MARINO BARTOLETTI Direttore editorialeSpedisci la tua bici ovunque!
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BIKE Smart Mobility Anno 4 / N°11 / WINTER Gennaio-Marzo 2023
Trimestrale per vivere in movimento. Registrazione al Tribunale di Milano: il 24/06/2020 al numero 58.
Editore BFC Media Spa Via Melchiorre Gioia, 55 – 20124 Milano Tel. (+39) 02.30.32.11.1 info@bfcmedia.com
Presidente Denis Masetti
Amministratore delegato Marco Forlani
Direttore responsabile Alessandro Rossi
Direttore editoriale Marino Bartoletti
Video content editor Valerio Gallorini
Smart mobility specialist Giovanni Iozzia
Coordinamento redazionale Matteo Rigamonti rigamonti@bfcmedia.com
Cycling writers Filippo Cauz, Luca Gregorio
Contributors
Federico Balconi, Alessia Bellan, Massimo Boglia, Giancarlo Brocci, Francesca Cazzaniga, Giuseppe Collino, Danilo Gioia, Fulvio Di Giuseppe, Federico Guido, Rolando Lima, Riccardo Magrini, Dario Nardone, Marzia Papagna, Marco Pasquini, Pietro Pisaneschi, Andrea Ronchi, Enrico Salvi, Giacomo Spotti, Leonardo Serra
Art director Marco Tonelli
Impaginazione rustbeltgarage@gmail.com
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SOSTENIBILITÀ È ANCHE SICUREZZA
Andare in bici è una scelta antica e contemporanea allo stesso tempo. Ed è soprattutto un gesto di rispetto verso l'ambiente. Perché deve diventare un pericolo, come purtroppo ci ricorda troppo spesso la cronaca? Solo due nomi per un promemoria drammatico del 2022: Luca Marengoni, 14 anni, investito da un tram a Milano, e Davide Rebellin, 51 anni, il campione travolto da un camion a Montebello Vicentino. All’inizio di un nuovo anno alcune domande sono d’obbligo: possiamo continuare a parlare di mobilità intelligente con centinaia di vite che si infrangono sull’asfalto? Stiamo davvero utilizzando le soluzioni che la tecnologia ci offre? Quanto una leadership responsabile può trascurare la sicurezza delle persone nelle scelte di mobilità sostenibile?
Sappiamo che sulle strade i soggetti deboli, più esposti ai rischi, sono pedoni e ciclisti. Lo conferma la contabilità delle vittime: 229 su bici e monopattini nel 2021 con un incremento del 30% rispetto al 2020, secondo i dati Istat. E il 2022 non è andato certo meglio, perché funziona ancora un’inaccettabile relazione, direttamente proporzionale, fra la diffusione della mobilità dolce e il numero di vittime: aumenta l’uso delle bici, crescono gli incidenti. Solo a Milano, considerata capitale italiana della smart mobility, dal 2018 i ciclisti investiti sono aumentati del 25%, secondo l’Agenzia regionale di emergenza e urgenza: nel 2021 gli incidenti sono stati 864, con 34 morti. E nei primi otto mesi del 2022 ne sono stati registrati 688.
Le chiamano vittime della strada ma sono vittime spesso d'imprudenza e distrazione, certamente d'infrastrutture inadeguate, di politiche della mobilità zoppe, di uno scarso rispetto da parte di chi è protetto da pareti di acciaio per chi si muove su veicoli leggeri. La sostenibilità non può essere solo ambientale, deve comprendere anche la sicurezza delle persone.
Non basta più proclamare un giorno di lutto cittadino dopo l’ennesima vittima su due ruote. Non basta più chiedere e ottenere piste ciclabili se non ci sono generali condizioni e garanzia di sicurezza, dai limiti di velocità (stiamo andando verso i 30 chilometri orari nei centri urbani) alle condizioni del manto stradale fino all’uso di soluzioni innovative in grado di rendere più sostenibile, per esempio, la circolazione dei mezzi pubblici utilizzando sistemi di frenata parzialmente automatica che possono ridurre il rischio d'incidenti dovuti alle zone cieche per l’autista. Sulle strade le automobili sono tornate padrone, oltre i livelli pre-pandemia, avverte il recente Rapporto sulla mobilità Isfort e Cnel. Nel 2021 il parco macchine ha continuato a crescere, ma non a ringiovanire. Adesso si può e si deve fare di più per rendere la mobilità dolce anche sicura ed evitare di trovarsi a dover risolvere la tragica equazione: più auto in circolazione = più incidenti. *
Smart mobility editor di BIKEIL FUTURO È CONDIVISO
Bici, e-scooter, guida autonoma e monopattini elettrici. Le città dispongono di numerose soluzioni per promuovere nuove forme di mobilità, micromobilità inclusa, cioè quella che in contesti urbani utilizza mezzi meno pesanti, ingombranti e inquinanti di quelli tradizionali. Una tendenza crescente che porta con sé il potere di trasformare le città lungo quattro assi: diminuire il traffico, gli incidenti, liberare spazio e abbattere le emissioni di Co2. Non dimentichiamo che circa il 40 per cento delle emissioni totali da trasporto derivano dagli spostamenti urbani e che più del 90 per cento della popolazione mondiale vive in aree in cui la qualità dell’aria non raggiunge gli standard qualitativi.
Le analisi condotte da Bcg evidenziano casi esemplari: se New York adottasse veicoli a guida autonoma condivisi per 15 passeggeri, ridurrebbe parcheggi per un’area uguale a sei volte Central Park! Ma l’uso della micromobilità ha un impatto ancora neutro e le alternative all’uso dell’auto sono insufficienti. Come immaginare quindi, gli scenari futuri? Partendo intanto dal segmento di mezzi proprietari e abbonamenti, che è in crescita sebbene condizionata dalle differenze socioeconomiche. Servire le aree al di fuori del centro cittadino potrebbe incentivare l’adoption e promuovere l’inclusione sociale: se applicate in modo opportuno, infatti, le nuove forme di mobilità giocano un ruolo chiave nella diminuzione delle disuguaglianze, permettendo a tutt di accedere a servizi condivisi, perché mobilità significa accesso e quindi possibilità.
Flessibilità, sicurezza e risparmio di tempo già stimolano la nuova mobilità: se aggiungiamo le opzioni in bundle, ossia le offerte combinate che integrano micromobilità e trasporto pubblico, potrebbe indursi un’adozione maggiore dei servizi. Le città potrebbero poi adottare un approccio intermodale e integrare l’ampiezza della rete di trasporto pubblico con la flessibilità dei servizi di micromobilità. Una città come Berlino, per esempio, ridurrebbe i costi di oltre un miliardo e mezzo all’anno se promuovesse più combinazione tra micromobilità e trasporto pubblico. Migliorare le infrastrutture, investire in innovazione e utilizzare piattaforme digitali per pacchetti a costi competitivi potrebbe poi condurre a una profonda trasformazione del contesto senza mai perdere di vista le esigenze degli utenti. Le riflessioni sulla mobilità, d’altronde, puntano a migliorare la vita dei cittadini ed è essenziale porre questi ultimi al centro e tener conto dell'identità delle città per scegliere il modello più opportuno, diverso secondo i differenti contesti urbani.
Immaginare il futuro richiede un ultimo sforzo: un approccio congiunto tra città e operatori. I progressi già compiuti da alcune città come Parigi e Utrecht mostrano che una collaborazione proattiva consentirebbe di incentivare una mobilità urbana nuova, più intelligente e sostenibile.
*
Managing director & partner BcgUN PREMIO A CHI CREDE NELLA BICI
C'era anche BIKE sul palco della prima edizione del premio Alfredo Oriani - Oscar La Bicicletta, assegnato lo scorso ottobre durante una cerimonia al Grand Hotel delle Terme di Riolo (Ra). Istituito in occasione dei 120 anni della pubblicazione del libro La bicicletta (Zanichelli, 1902), scritto da Oriani, primo cicloviaggiatore della storia, il riconoscimento è tributato dall’Associazione cicloturistica Asd Oriani di Casola Valsenio, dal Riolo Terme cycling hub, dal Comune di Riolo Terme e dal Comune di Casola Valsenio a chi si è distinto per promuovere e raccontare la bicicletta come stile e filosofia di vita. La scelta del primo premio è ricaduta su Gianni Bugno, “grande campione di ciclismo e di vita” che nel 2021 ha pubblicato per Baldini + Castoldi l’autobiografia Per non cadere.
La mia vita in equilibrio, scritta con Tiziano Marino, e oggi testimonial e rappresentante della SL Academy Sport & Lifestyle. Riconoscimenti anche per il team Sl Academy Gianni Bugno (categoria ciclismo e benessere), il Rally di Romagna (eventi ciclistici), Marco Selleri direttore generale del comitato Imola 2020 (Alfiere della promozione cicloturistica del territorio), Raffaele Babini (Alfiere dell’educazione e della sicurezza ciclistica), il meccanico della Ineos Grenadier Matteo Cornacchione (Alfiere dell’eccellenza meccanica), Lorenzo Scarpetti (Alfiere delle Romagna ciclistica jr), Elena Gaddoni (Alfiere delle Romagna ciclistica femminile), Alberto Padovani (pioniere delle randonnée). A consegnare i premi i sindaci di Riolo Terme, Casola Valsenio, Castel Bolognese, Faenza e Imola. Menzioni speciali per la comunicatrice Silvia Donatiello (categoria Activitaly) e il progetto BIKE di Bfc Media (categoria media e comunicazione), premiato in quanto "primo sistema di comunicazione integrato (tv, web e magazine) dedicato alla cultura della bicicletta e della smart mobility".
A consegnare il riconoscimento al giornalista Matteo Rigamonti, responsabile del coordinamento redazionale di magazine e sito internet, Luca Della Godenza, sindaco di Castel Bolognese e vicepresidente dell’Unione della Romagna Faentina con deleghe alla mobilità pubblica e alle smart city, e Stefania Baldassari, referente IF Imola Faenza Tourism Company.
Il frutto della nostra terra.
Friulano - Collio Doc Capriva del Friuli (GO) - www.schiopetto.itUN'APP CHE DONA SPERANZA
(E BICI) AI BAMBINI RIFUGIATISi chiama Riding the Rainbow il progetto, nato in Lussemburgo, ideato da Emanuele Santi, un business angel italiano co-fondatore e presidente di Afrilanthropy, ong che fa incubazione di start up africane e che per anni ha lavorato con i paesi in via di sviluppo attraverso realtà come la Banca Mondiale. L'obiettivo che si prefigge l'app (ridingtherainbow.com) è quello di restituire un sorriso ai bambini fuggiti dalla guerra e, perché no, opportunità alle loro famiglie attivando reti di solidarietà partendo da risposte a bisogni semplici. Come ha raccontato il responsabile del progetto a La Stampa, il nome è stato suggerito da una mamma ucraina commossa per il volto del figlio davanti a un dono imprevisto: "Ho visto la luce dell’arcobaleno nei suoi occhi", ha detto. In pratica tramite l'app, scaricabile sui principali store, si possono regalare biciclette, monopattini, attrezzature sportive ma anche strumenti musicali che non si usano più o che si intende donare. "Avevo un paio di bici che stavano in garage", ha detto Santi, "così ho messo un post sui social: l’incontro con questo ragazzo ucraino, che è venuto con la sua famiglia a prendere la bici è stato così toccante, ha arricchito così tanto me, e i miei ragazzi, che ho deciso di iniziare a distribuire biciclette dal mio garage, per trasferire questa gioia del donare e dell’incontro a tutti. Erano tutti traumatizzati per aver dovuto lasciare la propria casa, ogni cosa dietro di sé, ma avere di nuovo una bicicletta offriva loro un legame con la vita che si erano lasciati alle spalle".
PER GLI INTERNAZIONALI D'ITALIA SERIES CINQUE APPUNTAMENTI, IL PRIMO A MARZO
Approvato dalla Federciclismo il regolamento del circuito 2023 degli Internazionali d'Italia Series di cross country olimpico in mountain bike. Confermate le cinque tappe di cui tre hors categorie, il primo appuntamento è il 18 e 19 marzo a San Zeno di Montagna (Vr). Primo hc a Capolivieri sull'Isola d'Elba l'8 e il 9 aprile, per poi spostarsi a fine mese, il fine settimana del 29 e 30 aprile, nelle Marche a Esanatoglia (Mc). A inizio giugno (il 4 del mese) si risale in Val d'Aosta per l'appuntamento hc di La Thuile (Ao) e poi gran finale, sempre hc, a Chies d'Alpago in Veneto, provincia di Belluno. Cinque appuntamenti dove gli atleti di punta della mountain bike potranno sfidare i vari Avondetto, Kerschbaumer, Specia, Berta e compagnia, chiamati a confermarsi.
GUERRA, LOCOMOTIVA SPINTA DAL CORAGGIO
Una pietra miliare nella storia sportiva. La figura di Learco Guerra conserva, nel 120esimo anniversario dalla nascita, l'aura di fuoriclasse e campione popolare. Non soltanto per via della prima maglia rosa indossata nella tappa inaugurale del Giro d'Italia 1931, anno in cui il simbolo del primato si è tinto del colore della Gazzetta dello Sport. Il carisma della Locomotiva umana oltrepassa, infatti, le qualità atletiche di passista, inseguitore e cronoman quale è stato, vincendo il Mondiale del 1931 a cronometro, il Giro d’Italia tre anni dopo, la Milano-Sanremo del 1933, il Giro di Lombardia del 1934 e un’ottantina di corse all’assalto del traguardo. Due volte secondo al Tour e terzo nella graduatoria all-time dei vincitori di tappa al Giro, a documentare l'eccezionalità delle gesta del manovale mantovano che a 25 anni si è messo a correre in bici è un libro scritto da Claudio Gregori e Marco Pastonesi: si intitola Il grande Guerra, edito da Mulatero per la collana della rivista Alvento diretta da Gino Cervi. Gli autori l'hanno presentato a Palazzo Lombardia a Milano, preceduto dalla proiezione di Learco
La Locomotiva Umana diretto da Jacopo Pietrucci per MC5 Media, un documentario in cui il nipote si commuove ancora oggi a parlarne, restituendo viva una traccia della sua umanità: "Forse nella vita non è poi così importante arrivare primi, è più onorevole correre con coraggio", diceva. Se tanti l’hanno amato, alcuni più di Binda, è anche per questo.
DOWNHILL ITALIA, CRESCE L'ATTESA PER LA NUOVA STAGIONE
Si è conclusa con una gara ricca di colpi di scena a Pian del Poggio, Pavia, la stagione 2023 della Coppa Italia di downhill, organizzata da Sport Inside - Downhill Italia. A trarne il bilancio su Bike Channel, che ha seguito tutta la stagione con un format realizzato in sinergia con gli organizzatori, sono stati proprio Riccardo Tagliabue, mente e anima di Downhill Italia – Sport Inside, insieme a Elena Galliano, volto e voce della competizione nonché del programma in onda sulla nostra emittente. L'intervista, realizzata per Le Storie di BIKE e che potete rivedere anche dal sito Bikechannel.it all'interno della sezione programmi, è stata l'occasione per fare un primo bilancio e tracciare le prime idee per il 2023. Quello che è certo è che la Coppa d'Italia di downhill intende crescere, professionalizzarsi sempre più, come la storia dei suoi organizzatori lascia facilmente immaginare, e contribuire alla promozione di un
turismo moderno e sostenibile nei territori di montagna nella stagione estiva. Tutto grazie a un evento che fa del rapporto con la Federazione un elemento ulteriore di garanzia. Di tutto questo e
EROICA CONQUISTA MILANO (COL CAFFÈ)
Anche Milano ha il suo Eroica Caffè. Inaugurato prima di Natale in viale Tunisia, a fianco di una delle ciclabili più frequentate della città, è molto più di un locale da aperitivi. Spazio moderno e funzionale, vuole essere un progetto dedicato a 360° agli eventi, alla cultura, allo sport e al ciclismo ed è pensato, ha spiegato il presidente di Eroica, Nicola Rosin, "per essere un punto di riferimento per la città, non solo per chi cerca uno spazio per una pausa, per un incontro di lavoro o per un pranzo, ma per la grande community dei ciclisti, che troveranno molte proposte loro
dedicate". All'inaugurazione non poteva certo mancare Giancarlo Brocci, ideatore di Eroica nonché contributor di BIKE e Bike Channel con articoli e videointerviste a ciclisti eroici per l'omonimo format (Eroica), che ha ricordato come un tempo "al caffè si andava in bici, si leggeva e discuteva di bici e dei suoi eroi”. Chissà che all'Eroica Caffè “quella rara umanità che si è raccolta attorno a una filosofia, che condivide valori e idee di vita, proverà a dirsi come vuole mangiare e bere, stare assieme, preservare l'ambiente, le sue strade e paesaggi.
CON CAMBIOBIKE IL TOP DELL’ELETTRICO È A RATE
Ha meno di un anno di vita ma sogna in grande Cambiobike, l’e-commerce di Cambiomarcia (società del Gruppo Unipol) specializzato in e-bike implementato da Eurostep con un progetto realizzato insieme, oltre che a Unipol, ad Akqa, agenzia internazionale di design e innovazione, e alla piattaforma americana Bigcommerce di cui Eurostep è partner. In pratica, Cambiobike è un player b2c che mira a rendere più accessibile l’acquisto di e-bike grazie a soluzioni di pagamento rateizzate, con la possibilità – dopo 12 o 24 mesi – di tenerle, acquistandole con unica rata finale o rifinanziandole, restituirle o cambiarle con una nuova. Oltre alla flessibilità delle soluzioni di pagamento, Cambiobike offre anche assistenza a domicilio, assicurazione furto e kasko. Particolare attenzione è stata posta alla visualizzazione del prodotto online e alla semplicità della procedura di acquisto.
“Far vivere una customer experience di qualità era uno dei principali obiettivi del progetto”, ha spiegato Simone Bittoto, ceo & founder di Eurostep, “un traguardo raggiungibile attraverso una customizzazione dell’esperienza di check-out senza frizioni per il cliente adattato ad un modello di business disruptive e innovativo”.
SIDI È DI ITALMOBILIARE: ROSSETTI CEO, CASSANI NEL BOARD
A ottobre Italmobiliare ha completato l’acquisizione del 100% del capitale di Sidi, marchio italiano specializzato in calzature per ciclismo e motociclismo. Fondata nel 1960 da Dino Signori e con sede a Maser, nel distretto industriale della calzatura sportiva di Montebelluna (Tv), Sidi impiega oltre 250 dipendenti e distribuisce i suoi prodotti in più di 60 paesi del mondo. La società, che nel 2021 ha registrato 38 milioni di euro di ricavi e 7 milioni di ebitda, è stata rilevata da Italmobiliare sulla base di un enterprise value di 66 milioni di euro, cui si aggiungono 20 milioni di cassa netta detenuta dalla società. Il corrispettivo complessivo di circa 86 milioni ha comportato un esborso netto di Italmobiliare pari a 53,5 milioni, mentre i restanti 32,5 milioni circa derivano da un finanziamento concesso da Banco Bpm. In oltre sessant’anni di storia, le scarpe e gli stivali Sidi hanno calcato i podi delle principali manifestazioni sportive internazionali. Da Giacomo Agostini a Tony Cairoli, da Francesco Moser a Paolo Bettini fino all’oro di Tokyo Richard Carapaz e Pauline FerrandPrévot, vincitrice del Mondiale gravel femminile. Ceo di Sidi è stato nominato Davide Rossetti e nel board ha fatto il suo ingresso anche l’ex ct azzurro Davide Cassani, che ha dichiarato: “Il mondo delle due ruote in Italia ha bisogno di investimenti,
competenza e passione. Sono entusiasta di ritrovare questi tre elementi nei vertici di Italmobiliare e di essere partecipe di questa nuova sfida di sviluppo per Sidi”.
CON IL FANTACYCLING SI PEDALA PER DAVVERO
Prosegue il percorso di crescita del Fantacycling, la prima app per fantallenatori appassionati di bicicletta. A chiudere la stagione 2022, traendone un primo bilancio e gettando lo sguardo sulla prossima, ormai alle porte, sono intervenuti alle Storie di BIKE Camillo Castellani, co-founder del Fantacycling, e Federico Creatini, co-founder e ceo del Fantacycling, che per Bike Channel realizzano il format Il Club del Fantacycling con i compagni di viaggio Lorenzo Lucon, il Mullah e Luca 'Lucapedia' Bertacchini. La puntata potete rivederla su Bikechannel.it. Intanto, in attesa di conoscere tutte le novità per il 2023 - che riguarderanno in particolare le gare Pro Series e il ciclismo femminile -, tra nuove partnership e consigli di fantamercato, pedalate virtuali e iniziative dedicate alla sempre più numerosa community social, si è tenuto anche il primo raduno dal vivo: a ottobre è stato scalato il Monte Serra, in provincia di Pisa, e per l’occasione è stata creata anche una maglietta ad hoc con Pissei. Una giornata di divertimento in compagnia, ovviamente documentata da uno speciale Youtube.
BUGNO MAESTRO DI BENESSERE SULLE STRADE DEL MONDIALE
In fuga con il campione nel segno del benessere. È il senso delle esperienze proposte da Sl Academy Gianni Bugno, come tour e programmi educational. Nata dal comune desiderio del vincitore del Giro d'Italia e due volte campione del mondo Gianni Bugno e Stefania Libietti, professionista del wellness e del lifestyle, l'academy propone giri in bici ed e-bike tra Italia e Spagna, dai calanchi imolesi ai luminosi paesaggi di Gran Canaria, sempre in location esclusive. Proprio come le Terme di Riolo che, con il loro Grand Hotel, hanno ospitato l'educational Riolo Academy con il fuoriclasse brianzolo: due giorni in sella godendo di bellezze e sapori delle terre di Brisighella e del Riolo Terme Cycling Hub, nonché di terapie e trattamenti termali che da 150 anni fanno la storia della salute e del benessere. A condire il tutto i consigli nutrizionali e biomeccanici del team Sl Academy Gianni Bugno, con il ds Mario Chiesa, l'ex pro Maurizio Molinari, l'allenatore Diego Cecchi, il tecnico Shimano Osvaldo Bettoni, il responsabile delle performance federale Diego Bragato e il preparatore atletico della nazionale Marco Compri, guidati lungo le strade del Mondiale Imola 2020 dai ‘local’ Danilo Cenci e Flavia Stivari. Partner dell'iniziativa Cicli Drali, Limar, Fsa e Vision insieme a BikesPlus e Cooperativa trasporti Riolo Terme. Immancabile la tradizionale merenda romagnola a base di sangiovese, piadina e affettati.
UNA MAGLIA D'ARTISTA PER LA STELVIO SANTINI
A giugno i partecipanti alla Granfondo Stelvio Santini potranno indossare una maglia simbolo di una lunga storia di amicizia, arte e tecnologia. L'ispirazione grafica per la realizzazione della maglia ufficiale dell’edizione 2023 nasce, infatti, grazie all’opera realizzata dall’artista irlandese Colm Mac Athailoc che, in seguito alla sua partecipazione all’edizione 2022, realizza un dipinto astratto, ad olio su tela, rappresentante sé stesso in bicicletta mentre affronta i tornanti dello Stelvio. L'opera astratta di mac Athailoc nasce però da un’esperienza concreta e grazie alla collaborazione con l'amico Fergus Niland, creative director di Santini Cycling (i due sono stati compagni di studi al Collegio nazionale di arte e disegno a Dublino). Confermata la partnership con Polartec, fornitrice dei tessuti tecnici con cui verranno confezionate le 3mila maglie che i partecipanti indosseranno la mattina del 4 giugno 2023.
MICROMOBILITÀ ELETTRICA E DISABILITÀ: SERVE UNA RICARICA ACCESSIBILE
Grazie a una ricerca pubblicata da Motability anche in Italia si è cominciato a parlare della possibilità che le colonnine di ricarica per veicoli elettrici possano essere utilizzate anche dalle persone con disabilità che si spostano a bordo di una carrozzina elettrica. E secondo Bike Facilities, azienda nata nel 2015 a Torbole sul Lago di Garda che ricerca, sviluppa e promuove prodotti per la micro mobilità elettrica territoriale, la presenza capillare di colonnine di ricarica non solo incentiverebbe le persone a scegliere un mezzo di trasporto il più sostenibile possibile, ma supporterebbe soprattutto chi può spostarsi solo a bordo di carrozzine meccaniche o elettriche. “Con Bike Facilities vogliamo sensibilizzare soprattutto chi è responsabile dell’ideazione, installazione e realizzazione di infrastrutture che possono letteralmente ostacolare la vita di certe persone. Ma per farlo è necessario che diventi una missione per l’intera società”, è il pensiero di Fabio Toccoli, fondatore di Bike Facilities. “Per garantire una copertura adeguata di infrastrutture di ricarica, c’è ancora molto lavoro da fare”, spiega Toccoli: “Nonostante il numero di punti di ricarica sul territorio nazionale sia aumentato mediamente del 39%, la rete infrastrutturale italiana non garantisce ancora totale accessibilità dei punti di ricarica.
Un lavoro ragionato aiuterebbe non solo il settore dei mezzi elettrici a fare breccia nelle intenzioni di scelta degli italiani ma permetterebbe a chi può spostarsi solo attraverso carrozzine meccaniche o elettriche di avere punti di riferimento precisi e
SINAI BIKE TOUR, L'EGITTO TRA TRADIZIONE E TURISMO
Non solo vacanze al mare. Egitto e Sharm El Sheikh come sinonimo di ciclismo e bike tour. Ne sono convinti Michele Adami, ultratleta e personal trainer veronese, e l’ex ciclista professionista Alessandro Proni, di Roma, che hanno unito le forze per organizzare il primo Sinai Bike Tour. L’evento, come ci hanno spiegato in un’intervista per Le Storie di BIKE, è il primo tour per ciclisti non professionisti organizzato in Egitto nella penisola del Sinai. La prima edizione si svolgerà dal 28 al 30 aprile e sarà di tipo around ovvero avrà tappe diverse in ognuno dei quattro giorni che lo compongono per uno sviluppo totale di poco più di 500 chilometri. Le tappe toccheranno le città di El tor, Santa Caterina, Dahab e Sharm el Sheikh che rappresenterà il punto di arrivo e partenza. Maggiori informazioni sul sito www.sinaibiketour.it.
UN'AMICIZIA CHE PARTE DA FIRENZE E ARRIVA FINO A CITTÀ DEL CAPO
Una grande avventura dal cuore della Toscana al profondo sud dell’Africa. È il viaggio in bicicletta di due amici giovanissimi che condividono sogni e chilometri. Sono Dario Franchi di 19 anni e Oliver Kaspar di 18 anni. Partiti in autunno da Firenze per raggiungere Città del Capo verso l’estate, pedalano con la passione di chi riconosce nella bici una delle soluzioni alla questione ambientale. Loro che la macchina non l’hanno mai guidata (non hanno nemmeno la patente), credono che la lentezza sia uno dei modi migliori per lanciare un messaggio necessario, di sostenibilità e sensibilizzazione. A colpi di pedali, chiedono al mondo intero, ma soprattutto agli italiani, di fare uno sforzo per imparare a valorizzare la bellezza della natura e rispettarla. Non a caso l’Africa, una
i quelle terre che sta seriamente pagando gli effetti della crisi climatica, è stata sin dal principio la meta di questa sfida progettata sui banchi di scuola. In sella alle loro biciclette per dimostrare che si possono fare scelte diverse, percorreranno circa 20mila chilometri. Un sogno lungo quasi dieci mesi che su Youtube e Instagram prende forma nei loro commenti e nelle tante immagini scattate in luoghi differenti, ogni volta un nuovo contesto e un clima che fa riflettere. Dalle strade della Francia e della Spagna al Marocco e ancora più giù. Il progetto è anche sulla piattaforma di raccolta fondi Gofunme.com, dove Franchi e Kaspar raccolgono le donazioni utili a sostenere la spedizione (https://www.gofundme.com/f/ firenzecitt-del-capo-in-bicicletta).
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LA TRAMA DEL SUCCESSO
ALESSIO CREMONESE, AMMINISTRATORE DELEGATO DELLA MANIFATTURA VALCISMON, RACCONTA A BIKE IL PERCORSO DELL'AZIENDA DI ABBIGLIAMENTO SPORTIVO EREDITATA, INSIEME AI SUOI FRATELLI, DA PAPÀ GIORDANO E CHE OGGI VESTE CON I BRAND SPORTFUL E CASTELLI PROFESSIONISTI E AMATORI IN TUTTO IL MONDO
Questa volta la montagna (nel senso geografico) non ha partorito il topolino: ma una preziosa ed emblematica realtà, orgoglio non solo di quel territorio bellunese che ne ha alimentato lo spirito, ma anche dell’imprenditoria italiana nel mondo. E il ciclismo ne è uno sfondo imprescindibile: un compagno di viaggio che a questo connubio ha fornito stimoli e rinnovate frontiere, ricevendone in cambio quello che non è imprudente definire un nuovo benessere.
Alessio Cremonese, amministratore delegato della Manifattura Valcismon (e anche ‘ramo giovane’ della straordinaria ‘quercia’ da cui tutto nasce) con modestia e orgoglio esprime una sua teoria: “Io non so se una corsa la si può vincere anche grazie a ciò che si indossa, o perlomeno il vantaggio non è scientificamente quantificabile: ma quando alle Olimpiadi di Tokyo il nostro quartetto ha trionfato nell’inseguimento a squadre con un vantaggio di sei centesimi sugli inglesi, abbracciando i miei fratelli ho detto loro: ‘E se quei sei centesimi glieli avessimo ‘regalati’ proprio noi’”?
Le radici della ‘quercia’ si chiamano nonno Olindo e nonna Irma. Cultura veneta (feltrina) fino al
midollo. Da una parte la sede della piccola azienda artigianale di maglieria intima di lana: a un passo, la grande casa con figli e nipoti. “Noi stavamo al piano di sopra: tutte le sere scendevamo dai nonni in un clima di meravigliosa comunione familiare. Cominciò lì la nostra forza: grazie alla capacità vincente di essere sempre e comunque tutti uniti”.
La manifattura andava bene, navigando in anni difficili per l’Italia, ma allo stesso modo molto stimolanti per chi sapeva tenere dritta la barra della concretezza. Sempre producendo per conto terzi e cioè ancora senza marchio, dai mutandoni di lana e dalle maglie che pizzicavano un po’ si passò – in un primo guizzo di modernità – ai cosiddetti maglioni dolcevita, quelli col collo alto che cominciarono a spopolare soprattutto negli anni ‘60, grazie al traino inatteso e vincente di un personaggio dell’omonimo film di Fellini, il dandy Pierone, che nella finta via Veneto icostruita a Cinecittà indossava appunto quel capo neo-bohemien che sedusse una grande quota ùdi maschi italiani (alle donne ci pensò Marcello Mastroianni che lo usava sistematicamente fuori dal set, immortalato dalle copertine dei sempre più diffusi rotocalchi).
Poteva bastare? Nonno Olindo e nonna Irma avevano fatto anche troppo per quelli che erano i tempi e i luoghi. Avevano anche consentito di laurearsi in medicina al loro figlio Giordano. Ma al di là della meritata stima che il giovane Cremonese godeva in paese, quanto avrebbe potuto servire il suo ‘contributo’ professionale alla crescita dell’azienda familiare?
Giordano, classe 1935, era però un ragazzo di fertili inquietudini in tanti settori. Aveva praticato l’atletica leggera a buoni livelli come velocista, misurandosi anche con campioni come Livio Berruti, poi vincitore dei 200 metri alle Olimpiadi di Roma del 1960. Si era dedicato al decathlon e infine si era appassionato (quasi inevitabilmente, visto il territorio d’origine) allo sci da fondo. E in questa veste, giovane medico trentacinquenne, si era iscritto alla prima edizione della Marcialonga nella vicina Val di Fiemme (versione italiana della celebre Vasaloppet svedese). Ma alla partenza si accorse che i campioni del Nord vestivano capi moderni, confortevoli e al passo con le nuove tecnologie, mentre le migliaia di appassionati italiani erano ancora imbacuccati in improbabili tenute che la letteratura di quegli anni avrebbe definito ‘fantozziane’. Eppure fu proprio lì che scattò la scintilla. All’edizione successiva Giordano arrivò – è il caso di dirlo – in ben altra ‘veste’. Sfruttando nella maniera più audace possibile le tecnologie familiari, si presentò al via con un abbigliamento rivoluzionario: una magnifica e soprattutto pratica tuta arancione che tutti videro, ammirarono e immediatamente sognarono.
Il dado era tratto. Di lì a poco la Manifattura Valcismon divenne Sportful. E iniziò la grande avventura di cui Giordano, il nuovo ‘tronco‘ della vecchia ‘quercia‘, divenne il capofila. “Papà – dice Alessio – fra i suoi tanti meriti ne ha avuto uno fondamentale: quello di coinvolgerci piano piano nella nuova avventura familiare. Ci ha attratti tutti con naturalezza verso un percorso che era ormai disegnato e consolidato”.
E così la nuova generazione dei Cremonese ha gradualmente preso in mano le redini dell'impresa: il primogenito Dario, poi Gioia, poi Alessio e poi Alberto (questi ultimi due rispettivamente amministratore delegato e presidente dell’azienda). Ai quattro fratelli si è aggiunto Steve, un ragazzo americano entrato in punta di piedi 23 anni fa (con un impegno a rimanere… almeno cinque anni) e ora parte integrante non solo dell’azienda, ma anche della stessa famiglia.
“Papà è stato molto bravo ad ‘attrarci’ tutti in azienda in maniera delicata e spontanea –puntualizza Alessio – trovando per ognuno di noi il ruolo che ha ritenuto più funzionale. È innegabile che la nostra vera forza sia un’unità d’intenti e una coesione di cui il senso di appartenenza costituisce la componente fondamentale”.
“LA NOSTRA STORIA INIZIA NELLA CASA A DUE PASSI DALLA MAGLIERIA DEI NONNI OLINDO E IRMA, GRAZIE ALLA CAPACITÀ DI ESSERE SEMPRE E COMUNQUE TUTTI UNITI”
Un senso di appartenenza a cui non è estranea la stessa comunità aziendale in senso lato…
“Abbiamo 253 dipendenti: personalmente li conosco tutti per nome e da tutti mi faccio dare del tu. Fra di loro ci sono eccellenze professionali fondamentali, alcune delle quali espressione delle scuole di formazione che noi stessi supportiamo perché questa tradizione non si disperda. La qualità del prodotto è la cosa a cui teniamo di più. E la qualità è in maniera irrinunciabile nelle mani di questi nostri collaboratori. C’è tanta cultura veneta nel nostro modo di operare: e cioè di una terra che ha conosciuto la fame e che, piano piano, con la laboriosità, ha trovato la strada del successo. E mentre altri delocalizzano (per obbligo o per scelta), noi ci stringiamo sempre più attorno ai valori sani che sentiamo di rappresentare”.
‘Valori’ che, in termini prosaici, hanno portato a un fatturato di 134 milioni di euro nel 2021, destinati a crescere.
“Sì abbiamo proiezioni molto interessanti. D’altra parte i momenti difficili che ha vissuto il Paese hanno fatto riscoprire il piacere dell’attività fisica declinata in tutti i modi. E noi ci siamo fatti trovare pronti…”.
A cominciare dal ciclismo.
“Quando abbiamo rilevato il marchio Castelli sapevamo che, per quanto commercialmente decaduto, avremmo avuto un potenziale gioiello fra le mani. Ci abbiamo lavorato riallineandolo alla contemporaneità e proiettandolo verso il futuro (anche con soluzioni tecniche molto innovative e coraggiose). Ora si parla di leadership mondiale del settore”.
Quest’anno Castelli e Sportful sponsorizzeranno due team…
“Rispettivamente la Quick Step (e dunque avremo, fra gli altri, il campione del mondo in carica, Remco Eevenepoel) e la TotalEnergies del nostro amato Peter Sagan, praticamente un altro membro della famiglia che anche a carriera finita resterà certamente con noi”.
In effetti con i vostri testimonial avete rapporti che sono sempre andati ben oltre gli accordi economici.
“Sì, molti di loro sono amici preziosi, come Elia Viviani a cui dobbiamo gioie immense e che non riusciamo e immaginare vestito diversamente, se non con un nostro body, o, per andare fuori dal ciclismo e per citare anche il marchio Karpos, come Federico Pellegrino che ci ha addirittura affidato il suo ‘museo’ di medaglie in segno di una profonda fratellanza. Quella fratellanza che in fondo è il vero motore – praticamente lo slogan – di tutto quello che abbiamo fatto nella vita”.
UNA STORIA DI INNOVAZIONI
Nata nel 1946 per opera di Olindo e Irma Cremonese, la Manifattura Valcismon, che ha il suo quartier generale a Fonzaso, Belluno, era inizialmente una filanda per filati di lana, poi divenuta azienda produttrice di biancheria intima di qualità per il mercato italiano e statunitense. Ogni tappa della sua storia documenta la cifra innovativa che sempre l'ha contraddistinta. Nel 1972, quando il figlio Giordano prende le redini dell'azienda dai genitori, nasce Sportful, specializzata in abbigliamento sportivo, e l'anno successivo debutta la prima collezione di capi per lo sci di fondo. Il ciclismo fa il suo debutto nel 1985, anno a partire dal quale alcune delle squadre professionistiche più riconosciute e anche la nazionale italiana iniziano a vestire Sportful.
Nel 2003 Manifattura Valcismon è in piena crescita e si presenta l'opportunità di acquisire il marchio Castelli, che può così tornare ad essere un brand leader nel mondo dell'abbigliamento ciclistico. Segue nel 2007 la creazione del marchio di indumenti tecnici outdoor Karpos e nel 2019 il fondo Equinox rileva una quota di minoranza del 40% per diventare partner
strategico di Manifattura Valcismon: è l’inizio di ambiziosi obiettivi di crescita e di espansione a livello internazionale.
Nel frattempo la visione aziendale supera i confini dell’abbigliamento sportivo per contemplare gesti e azioni che abbiano un impatto sociale sugli esseri umani e sul pianeta, grazie a idee condivise, collaborazioni e sforzi mirati.
Un impegno che spazia dalla ricerca di soluzioni per alleggerire l’impronta ecologica e ridurre imballaggi e rifiuti fino alla garanzia di trasparenza e responsabilità, mettendo sempre le persone al centro e sostenendo le comunità locali. Oggi, che la manifattura è divenuta Mvc Group, società per azioni nonché vero e proprio incubatore di brand specializzati in abbigliamento sportivo, produce oltre tre milioni di capi, è presente in 75 Paesi nel mondo, tramite sei hub regionali da Portland al Giappone, con tre marchi di proprietà che, pur in una rinnovata dimensione internazionale, mantengono salde e radici e la cultura tra le Dolomiti, dove recentemente è stato inaugurato il nuovo store multibrand all’insegna proprio della sostenibilità.
QUANDO PAPÀ GIORDANO PARTECIPA ALLA PRIMA EDIZIONE DELLA MARCIALONGA SI ACCORGE CHE I CAMPIONI DEL NORD EUROPA VESTONO CAPI MODERNI, CONFORTEVOLI E AL PASSO CON LE NUOVE TECNOLOGIE, MENTRE LE MIGLIAIA DI APPASSIONATI ITALIANI SONO ANCORA IMBACUCCATI IN IMPROBABILI TENUTE ‘FANTOZZIANE’. SCATTA LA SCINTILLA, L’ANNO DOPO SI PRESENTA AL VIA CON UN ABBIGLIAMENTO RIVOLUZIONARIO: UNA MAGNIFICA TUTA ARANCIONE CHE TUTTI VIDERO, AMMIRARONO, SOGNARONO... E ACQUISTARONO
/In alto papà Giordano con la tuta ideata per la Marcialonga. In basso i fratelli Cremonese, una famiglia di sportivi: Dario in bici da corsa, Gioia sugli sci da discesa e Alessio sugli sci da fondo/
MODERNA E DIGITALE: È LA MAGLIA ROSA FIRMATA CASTELLI
Il primo a indossarla fu Learco Guerra nel 1931, l’ultimo l’australiano Jai Hindley vincitore del Giro d’Italia 2022. Nel mezzo, una storia lunga più di 90 anni e un desiderio cullato da chiunque si avvicini al ciclismo: indossarla. La maglia rosa 2023, simbolo del primato al Giro, fa da ponte tra storia e innovazione, proprio come insegnano storia e visione di Manifattura Valcismon, che con il suo marchio Castelli l’ha ideata, rinnovando la partnership per altri quattro anni fino al 2026. Caratterizzata da uno stile moderno e digitale, rappresenta l’era in cui viviamo, contraddistinta dalla velocità e da un’incessante evoluzione tecnologica. Il concetto di velocità è il filo conduttore tra questo tema e la maglia del leader della Corsa Rosa, che dal 2016 viaggia insieme a Enel, verso l’ottavo anno da title sponsor; mentre Sitip, che della maglia rosa produce i tessuti, festeggia nel 2023 dieci anni insieme al Giro. La maglia rosa 2023, inoltre, sarà oggetto di una nuova collezione digitale in esclusiva su ItaliaNft.
LENTE D’INGRANDIMENTO SU BICI E DINTORNI
Un anno in cinque reel
SE LA STAGIONE AGONISTICA 2022 FOSSE RIASSUMIBILE IN POCHI ISTANTI DI VIDEO DA SOCIAL NETWORK, SULLO SCHERMO DELLO SMARTPHONE SCORREREBBERO GESTA COME L’ORO DEL QUARTETTO AZZURRO FEMMINILE, LE IMPRESE DI VAN VLEUTEN E LONGO BORGHINI, IL TOUR DELLA JUMBO-VISMA, IL RITORNO DI EVENEPOEL E IL RECORD DELL’ORA DI PIPPO GANNA
L’altro quartetto L’Italia della pista è ormai il fiore all’occhiello del ciclismo italiano. Maschile e femminile. A ricordarcelo, dopo l’exploit del quartetto olimpico ai Giochi di Tokyo 2020, sono state le sette medaglie, quattro d’oro e tre d’argento, conquistate dalla truppa azzurra coordinata dall’immenso ct Marco Villa ai Mondiali di Saint Quentin. Questa volta, però, alla rassegna iridata nel velodromo alle porte di Parigi sono le ragazze dell’inseguimento a squadre ad averci regalato il risultato più prestigioso, anche perché si tratta di una prima volta assoluta nella storia della pista femminile. Martina Fidanza, Chiara Consonni, Elisa Balsamo e Vittoria Guazzini (più Martina Alzini schierata in semifinale) hanno vinto l’oro con il tempo di 4.09.770, nuovo record italiano. Libellule azzurre che ci fanno sognare anche in vista delle Olimpiadi, sempre a Parigi, del 2024.
Regine diverse
In coppia sul trono dell’agonismo femminile salgono due regine molto diverse. Con trentatré top 10 in 52 giorni di corsa Elisa Longo Borghini è stata ancora una volta la numero uno del ciclismo italiano. La ragazza della porta accanto di Ornavasso ha fatto ‘paura’ anche nel 2022, annata impreziosita dai successi alle Tre Valli Varesine, al Giro dell’Emilia e alla Parigi-Roubaix. Soprattutto la Classica delle pietre, vinta in solitaria, ha certificato la sua grandezza. Ma la copertina della stagione va, senza discussioni, all’olandese Annemiek Van Vleuten che, a 39 anni, ha messo insieme un ineguagliabile en-plein: Giro d’Italia, Tour de France, Vuelta di Spagna e titolo mondiale. Più la Liegi, così, tanto per gradire. Più che regina, imperatrice.
Memorabili calabroni
È sempre complesso fare paragoni e classifiche, anche quando si tratta di valutare il Tour de France ‘stellare’ corso dalla Jumbo-Visma. Pochi però sono i precedenti nella storia, almeno recente, del ciclismo. I calabroni infatti hanno dominato quasi tutte e tre le settimane i corsa. Jonas Vingegaard ha vinto classifica generale, classifica di miglior scalatore e due tappe (da leggenda quella sul Granon). Wout Van Aert ha portato a casa a mani basse la classifica a punti, con un bottino di tre tappe vinte e il premio di supercombattivo del Tour, visto il suo atteggiamento d’attacco praticamente in ogni frazione. A completare l’opera il successo di tappa di Christophe Laporte. Insomma, una dimostrazione di forza in cui le singole individualità si sono amalgamate in modo perfetto facendo emergere un collettivo che si è rivelato autentica corazzata. Memorabili.
Oltre l’aspettativa
Crescere con addosso l’etichetta di ‘nuovo Eddy Merckx’ non è certo la cosa più semplice al mondo. Ma Remco Evenepoel ha la stoffa del fuoriclasse e sta facendo il suo percorso in piena serenità. Il 2022 è stato l’anno della sua consacrazione: quindici vittorie stagionali con un poker da sogno: Liegi, San Sebastian, Vuelta di Spagna e, soprattutto, titolo mondiale in Australia. Tutto questo ad appena 22 anni. Un predestinato, insomma. Uno di quelli che appartengono alla nuova nidiata di giovani terribili. La maglia iridata conquistata a Wollongong forse lo caricherà di ulteriori aspettative, ma per il ragazzo che faceva il calciatore e poi è diventato corridore vivere sotto i riflettori ormai fa parte della quotidianità. Nel 2023 dovrebbe provare a dare l’assalto al Giro d’Italia per poi, probabilmente, passare al Tour de France l’anno successivi. Ma non c’è fretta.
Un’ora da record
L’8 ottobre 2022, al Velodromo di Grenchen, Svizzera, Filippo Ganna è entrato nel club degli uomini più veloci di sempre. Lo ha fatto sgretolando il precedente record dell’ora, quello del suo performance engeneering alla Ineos, Dan Bigham (55,548 chilometri), coprendo in 60 minuti 56 chilometri e 792 metri. Polverizzato anche il risultato, non omologato Uci, di Chris Boardman del 1996 (56,375 chilometri). Il piemontese è diventato così il quinto corridore italiano della storia a riuscire nell’impresa, dopo Giuseppe Olmo (1935), Fausto Coppi (1942), Ercole Baldini (1956) e Francesco Moser (1984). Un primato che porta la firma di Pinarello con la bici Bolide F Hr 3D da 75mila euro. Storia nella storia.
di / PIETRO PISANESCHI /
L’UNICITÀ DI ESSERE SONNY COLBRELLI
IL VINCITORE DELLA PARIGI-ROUBAIX 2021 SI È RITIRATO LASCIANDO L’AMARO IN BOCCA A TIFOSI E APPASSIONATI. COME SAREBBE PROSEGUITA LA SUA CARRIERA SENZA QUELL’ATTACCO CARDIACO? NESSUNO PUÒ SAPERLO, MA IL BRESCIANO È STATO UN CORRIDORE UNICO, A PARTIRE DAL NOME, OMAGGIO A UN DETECTIVE DA FILM
Prima una lettera aperta, poi una conferenza stampa. Sonny Colbrelli ha detto basta al ciclismo ufficialmente il 15 novembre 2022 ma il suo addio è stato un percorso lungo, tortuoso, sofferto. Tutto inizia il 21 marzo dello stesso anno, a Sant Feliu de Guíxols in Spagna. Prima tappa della Volta Ciclista a Catalunya, arrivo in volata. Vince l’australiano Michael Matthews e Colbrelli arriva secondo. Un ottimo piazzamento visto che siamo a inizio stagione e il meglio di sé il Cobra dovrà darlo nelle classiche del nord. C’è tutto per sperare e invece basta un secondo perché la situazione diventi tragica. Colbrelli accusa un malore, viene portato in ospedale. Attacco cardiaco, diranno i medici: ha rischiato di lasciare la vita lì pochi centimetri dopo la linea bianca del traguardo. Gli viene impiantato un defibrillatore sottocutaneo che serve per vivere ma purtroppo non per fare il corridore professionista. La legge italiana in questo è chiara. Così i pensieri iniziano a correre rapidi. Le idee azzardate, come togliersi lo stesso defibrillatore pur di correre, iniziano a fare capolino come corridori in fughe disperate, ma alla fine vince il buon senso. Nel prendere la decisione di ritirarsi, per Colbrelli ha pesato l’essere padre e marito e il rendersi conto di dover dire grazie a una vita che stava per perdere. In questo sta l’unicità di Sonny Colbrelli, come uomo e come corridore. Per tutto il dolore che si può provare, per tutta la frustrazione che si è costretti a masticare nel dover dire basta proprio adesso che arrivavano le vittorie, ci sono valori che vanno al di sopra di tutto.
La famiglia ha sempre avuto un grande peso nella vita di Colbrelli. Figlio di operai e lui stesso operaio nella stessa fabbrica di maniglie, ha appreso fin da piccolo il valore di guadagnarsi le cose passo passo. La prima bici? Una mountain bike raccattata chissà dove e riverniciata. Ma anche l’amore incondizionato di un nonno, Cesarino, che era l’unico a portarlo alle corse e credere in lui quando tutti lo ritenevano troppo grasso per gareggiare. Un rapporto talmente importante che Sonny ha sempre portato con sé una foto del nonno, nel tascapane della maglietta, ad ogni corsa a cui ha partecipato. Era lì con lui quando perdeva e quando vinceva. Anche le vittorie di Colbrelli sono vittorie uniche, belle, emblematiche. Il titolo di campione europeo e la Parigi-Roubaix sono corse per cui si viene ricordati all’istante. L’immagine di Sonny ricoperto di fango fino ai denti che alza la bici al cielo nel velodromo di Roubaix sapora di trionfo e di fatica, strizza l’occhio alle sue origini operaie in una terra, la Valle Sabbia nel bresciano, dove terra e ferro per le acciaierie della zona abbondano. La carriera di Colbrelli è stata rapida, folgorante. Maturato tardi, è esploso come una supernova nel 2021, trovando vittorie belle da incorniciare. L’anno d’oro che hanno le rock star, che vivono a ridosso dell’anonimato per anni e poi incidono il pezzo che incendia le radio. L’anno speciale di un corridore unico già dal nome. Sonny, come quel protagonista di Miami Vice che tanto piaceva a sua madre. Se dici Sonny pensi a Colbrelli. Impossibile sbagliare.
A TUTTO OSCAR
LA RINASCITA DEL MONDO TRIATHLON
Sin dal 1995, ho scelto e ho la fortuna di vivere intensamente, come triatleta, giornalista speaker, la mia famiglia del Mondo Triathlon. E sono davvero entusiasta di poter cominciare il racconto sul magazine BIKE e su Bike Channel delle gesta dei suoi campioni e delle0, manifestazioni che, sempre più numerose e coinvolgenti, si svolgono in Italia e all’estero.
Da dove partire se non dal bilancio della stagione conclusa, in Italia, concentrandosi sugli eventi che hanno dato lustro al Paese e attirato atleti da ogni angolo del globo. Dopo lo stop imposto dalla pandemia di coronavirus, nel 2022 siamo tornati a vivere la ‘triplice’ come piace a noi! Complice la spinta innovativa e la voglia di immergersi nelle emozioni che fanno parte del Dna del nostro sport, quest’anno è andata in scena una stagione esaltante.
La Federazione italiana triathlon ci ha messo del suo, lavorando in sinergia con istituzioni del territorio, federazione mondiale (World triathlon) e organizzatori locali, creando appuntamenti che ho avuto la fortuna di raccontare in prima linea.
di duathlon sprint all’Autodromo di Imola. Caorle con la tappa europea e Arzachena con la Coppamondo di triathlon si sono confermati appuntamenti imperdibili e ai quali si sono aggiunte le novità della Coppa europa di paratriathlon a Bari e, prima volta in italia, la World triathlon championsip series a Cagliari, la ‘Formula 1’ del triathlon. È stato fantastico partecipare anche agli eventi giovanili tricolori nell’Autodromo di Magione, a Montesilvano e Lovadina: vedere in azione i nostri ragazzi ti dà la scossa, ogni gara è agonismo puro dal primo all’ultimo metro.
Il circuito che ho seguito per tutto l’anno è stato quello di Adriatic series, con la Flipper triathlon che ha proposto gare tra cui spiccano gli appuntamenti tricolori di Pesaro (duathlon), Alba Adriatica (triathlon) e la due giorni di Cervia, Triathlon event con circa 2.500 partecipanti, località che si è confermata capitale del triathlon italiano anche grazie all’edizione di Ironman Italy Emilia-Romagna, che si ricorderà in particolare per l’incredibile sforzo organizzativo fatto per
CACCIA ALL’IRIDE 3.0
LA LOTTA PER LA MAGLIA ARCOBALENO APPRODA NELL’UNIVERSO DEGLI SPORT VIRTUALI, DOVE AI CAMPIONATI MONDIALI DI FEBBRAIO DEBUTTA UN NUOVO FORMAT CON TRE PROVE A ELIMINAZIONE. IN CORSA C’È ANCHE L’ITALIA: IL SOGNO SI CHIAMA TOP TEN MA IL PRIMO OBIETTIVO È CONTINUARE A CRESCERE
Per il secondo inverno consecutivo non sono solo i Mondiali di ciclocross a caratterizzare l’agenda di eventi sportivi che vanno sotto l’egida dell’Uci. Nei primi mesi del 2023, il massimo organismo internazionale è impegnato infatti anche nell’organizzazione, dopo la rassegna iridata olandese in programma a Hoogerheide il 4 e 5 febbraio, della terza edizione dei Cycling esports world championships. Un evento che, grazie al supporto tecnologico della piattaforma Zwift, è previsto per il 18 febbraio. La rassegna virtuale, vinta nel 2020 da Ashleigh Moolman Pasio e Jason Osborne e nel 2022 da Loes Adegeest e Jay Vine, intercetta, del resto, interesse e passione di un numero sempre maggiore di praticanti, collimando con la volontà dell’Uci di dare ancor più spazio alle innovazioni per uno sport che è in continua evoluzione.
“Il ciclismo e-sport non sostituirà mai il ciclismo tradizionale, ma ci permette di aprirci ad altri utenti”, ha dichiarato in tempi non sospetti il presidente Uci David Lappartient, il quale, proprio in un’ottica di maggiore espansione del ciclismo virtuale, ha applaudito l’ideazione del nuovo format per la prossima edizione dei mondiali e-sport. “La piattaforma Zwift ha più account di quanti siano i corridori tesserati dalle nostre Federazioni nazionali – ha spiegato –: ciò significa che anch’esse hanno la possibilità di crescere, espandersi e raggiungere un nuovo pubblico”.
L’edizione 2023 dei Cycling esports world championships, diversamente dalle precedenti, vedrà i suoi protagonisti prendere parte a tre diverse gare a eliminazione che, sui percorsi denominati The Punch, The Climb e The Podium, contraddistinti da distanze e pendenze differenti, assottiglieranno di volta in volta il numero dei pretendenti alla maglia iridata, premiando alla fine la donna e l’uomo più completi. “Il nuovo formato dei Campionati del mondo di ciclismo esports è in linea con il nostro desiderio di continuare a innovare e aumentare il fascino del nostro sport”, ha sottolineato il numero uno dell’Uci. “I nostri primi due Mondiali di ciclismo esports sono stati un grande successo e ora abbiamo alzato le aspettative con tre eventi separati che selezioneranno gradualmente i componenti del gruppo”.
Andrea Anastasio, amministratore del gruppo Facebook Zwift Italy e coordinatore del Team Castelli (una delle realtà italiane più floride e competitive nel panorama del ciclismo virtuale), ha apprezzato il cambio di rotta: “Con questo nuovo format a eliminazione – osserva – Zwift vuole puntare a creare qualcosa di maggiormente
connaturato alla natura degli e-sport, più emozionante e avvincente. Personalmente apprezzo questo cambiamento e avere gare più brevi può essere una chiave di successo per godere di più appeal e spettacolo”.
Per valorizzare l’aspetto competitivo della manifestazione, dopo i 130 partecipanti complessivi dell’edizione 2020 (77 uomini e 53 donne) e i 181 del 2022 (92 uomini e 89 donne), a febbraio si sfidano un massimo di cento uomini e altrettante donne. L’Italia, rimasta fuori dalle top ten maschili e femminili sia tre anni fa che l’anno scorso, in attesa di conoscere quali saranno i nomi selezionati per l’occasione dalla Federazione potrà certamente contare su Luca Zanasca, unico azzurro in grado di passare le qualificazioni che a metà novembre hanno messo in palio 25 pass per gli uomini e 25 per le donne.
“Al momento è molto dura pensare di poter vincere o ottenere un piazzamento a podio, perché ci sono atleti di altre nazioni molto competitivi; l’obiettivo però è entrare tra i primi dieci: sarebbe un risultato che ci darebbe grande soddisfazione”, chiosa Anastasio, augurandosi, per la rassegna iridata 2024 e più in generale per tutto il movimento “che sta crescendo parecchio”, “di vedere sempre più italiani e italiane correre ad alti livelli”. Anche in sella a bici virutali.
IL WES TINTO DI ROSA
“Sinceramente, se devo esprimere un auspicio personale, è quello di vedere nel 2023 e nelle annate successive una sempre più crescente partecipazione delle donne che, nella nostra disciplina, competono insieme agli uomini. È un obiettivo che ci siamo posti e pensiamo di poterlo raggiungere perché l’evoluzione della World e-bike series negli ultimi anni è stata importante. La speranza è di andare sempre in crescendo sia come partecipazione sia in termini di mercato”. Firmato Valentina Conti, managing director del Wes e donna motivatissima nel far crescere una disciplina che già sta appassionando sempre di più. “La strada è lunga – ci spiega Valentina – però abbiamo ottenuto una notevole partecipazione nonostante gli ultimi due anni siano stati difficili a livello di organizzazione causa pandemia, ma intravediamo prospettive importanti. Educazione del pubblico, lo sdoganare le mtb elettriche che da alcuni non sono ancora totalmente accettate, l’aumento delle parternship degli sponsor. Sono tutti obiettivi per il 2023 e negli anni successivi. Questo è uno sport duro, esigente, la crescita del mercato degli utenti, uomini e donne, rimane al centro dei nostri pensieri”. Siamo a gennaio 2023 e la World e-bike series promette di aumentare lo spettacolo dopo un 2022 eccezionale nei numeri e un anno, quello in cui ci siamo appena tuffati, che
promette benissimo. La grande riconferma è la tappa di Bologna che l’anno scorso è stata altamente spettacolare, con tempo incerto e nebbia nonostante il periodo: “Ma decisamente apprezzata sia per organizzazione sia per tracciato da tutti i partecipanti”, aggiunge Conti. Ed è questa la prima novità del 2023, Wes tornerà per il secondo anno consecutivo nel comune di Monghidoro, Città metropolitana di Bologna, con la collaborazione di Bomba (Bologna Montana bike area) ed E-Xplora, gli specialisti dell’e-mtb nella formazione e nell’esplorazione del territorio. “È difficile trovare una combinazione così perfettamente oliata – prosegue – dove tutto è pensato e disegnato a misura del Wes. È una tappa che ci sta nel cuore quella di Bologna ed è nel cuore di tutti gli atleti, di calibro internazionale, che arrivano da ogni parte del mondo”. Il circuito inizierà il 20-21 maggio nel Principato di Monaco, poi l’atteso tappone di Bologna il 10-11 giugno, successivamente trasferimento in Francia a Charade Clermont-Ferrand il 30 settembre – 1° ottobre. Senz’altro ci sarà la tappa belga di Spa-Francorchamps ma qui occorrerà aspettare per la data, per non sovrapporsi con il Gp di Formula 1. Chiusura in autunno in Spagna, a Girona, il 22 e 23 settembre e, infine, l’ultimo appuntamento il 14-15 ottobre: certo nella data, ma da definire la località.
LE STELLE DELL’ELIMINATOR
Le emozionanti sfide dell’ultimo atto della Coppa del Mondo di Mtb Eliminator, lo scorso settembre a Winterberg in Germania, non hanno fatto altro che confermare la notevole crescita, in termini di spettacolo e popolarità, della disciplina sprint del cross country in mountain bike.
La nostra Gaia Tormena e l’istrionico tedesco Simon Gegenheimer hanno messo le mani sulle rispettive classifiche generali al termine di una stagione entusiasmante che ha toccato mezzo mondo. Si è partiti dal caldo deserto di Abu Dhabi, poi il Belgio, paese per eccellenza elle grandi classiche sulle due ruote, e ancora il clima tropicale dell’Indonesia, la spettacolare tappa indiana di Leh/Ladakh a tremila e cinquecento metri sopra il livello del mare, la Tour Eiffel e per finire Svezia e Germania. A Winterberg Gegenheimer ha dato vita a una battaglia fino all’ultimo respiro con il francese Titouan Perrin-Ganier, con l’atleta di casa che puntava a difendere il risicato vantaggio nella generale. In uno sprint serrato il tedesco è riuscito a mettere le mani sulla Coppa del Mondo Uci confermando di essere uno dei maggiori talenti della disciplina. Capello biondo lungo e baffi che curvano all’insù – tanto da essere ribattezzato anche Mustache Man – Gegenheimer è simpatico e molto attivo sui social ma diventa un computer quando sale sulla sua bicicletta. Lo racconta lui stesso in un bel documentario su Youtube (Defending a title) in cui spiega come: “All’inizio della mia carriera ho sempre pensato di poter essere uno dei favoriti, ma non ne ho mai avuto abbastanza, altrimenti non avrei vinto quattro ori. La medaglia d’oro è
sempre l’obiettivo e non vuoi perderla quando sei il campione in carica”. Meticoloso nella preparazione della sua bici, maniacale nei dettagli dell’allenamento, il suo credo è: “Portare sempre le proprie prestazione al limite”. Appena compiuti vent’anni, Gaia Tormena ha un profilo vincente fin da bambina, quando si è innamorata della mountain bike perché, dove è nata, in Valle d’Aosta, le ruote grasse sono quasi una religione. Dopo l’ingresso nel circuito Uci è esplosa la sua forza. Il volto italiano dell’Mtb Eliminator, ha chiuso un 2022 da record e se il collega Gegenheimer è un veterano plurivincente, la nostra Gaia è il futuro radioso di questo sport.
A Barcellona lo scorso ottobre ha messo le mani anche sul campionato del Mondo, dopo che in bacheca ci aveva già messo, nel corso dell’anno, il titolo europeo, quello italiano e il terzo successo di Coppa del Mondo a Winterberg. “Dopo queste vittorie ho ricevuto proposte da team più strutturati e organizzati rispetto al mio, ma ho sempre preferito rimanene dove sono, in un team più piccolo come il Gs Lupi Valle d’Aosta, perché di me ho capito che senza grandi pressioni riesco a rendere decisamente meglio”. Data la giovane età e vista la sua grande dinamicità nelle diverse discipline, dovrà fare una scelta in un futuro prossimo, come ha detto lei stessa: “La gara eliminator rispecchia al meglio le mie caratteristiche, l’endurance mi diverte tanto e mi riesce bene, la pista invece mi sta insegnando molto. Finché posso porterò avanti più discipline possibili poi, quando dovrò fare
“Facile non è stato mai, strepitoso lo è stato sempre”. I post di Dino Lanzaretti su Instagram ti danno una carica pazzesca: tra foto e commenti si percepisce che c’è qualcosa di leggendario. Dino è adrenalina pura, ha viaggiato a piedi, è stato alpinista e adesso la sua vita è in bicicletta. Dopo anni passati a pedalare in giro per il mondo ha fatto dell’avventura il suo lavoro. Sui social è sufficiente sbirciare una sola foto per capire di che pasta è fatto: Lorenzo Cherubini –che la scorsa estate lo ha voluto sul palco del suo Jova Beach Party, come ci aveva anticipato nella sua intervista per BIKE – dice di lui: “Credetemi, io sembro matto, ma lui è la prova che esiste qualcuno più matto di me”.
Ottantamila chilometri percorsi, 67 paesi attraversati e più di 1.600 giorni in viaggio, quando raggiungiamo Lanzaretti con una chiamata su Whatsapp, è in sella sotto la pioggia, lungo una strada asfaltata di Puerto Montt, Cile. Ha da poco attraversato la Patagonia e il deserto di Atacama con un gruppo di avventurieri (fino a qualche anno fa lavorava come chef nei rifugi in montagna, ora accompagna viaggiatori che vogliono girare il pianeta in bicicletta). Ma lui non si ferma e prosegue spingendosi più a sud, in solitaria. Conosce molto bene qualcosa di nuovo da scoprire perché le strade non sono mai le stesse e, ci spiega, “il mondo è pieno di opportunità”.
La scoperta dell'ignoto per rendere la vita una storia incredibile: “Io so che devo arrivare fino a là, cosa c’è nel mezzo per me è una sorpresa”. Lanzaretti apre la tenda quando ne ha bisogno, si ferma con la gente che incontra e sceglie sul posto se percorrere una strada piuttosto che un’altra. “Sono ben equipaggiato –rassicura – e so quello che sto facendo, sono un professionista, è il mio lavoro. Ma il percorso è tutt’altro che segnato”. Al telefono, percorriamo un tratto di strada insieme a lui e per fortuna siamo sull’asfalto, condizione che permette a Dino di percorrere 150 chilometri al giorno: “Adesso mi piace andar forte e spingere”, confessa. Se il terreno è impervio, i chilometri scendono a sessanta. In ogni caso, struttura e tipologia della bici, abbigliamento e organizzazione dei carichi fanno la differenza.
“I primi anni viaggiavo da cicloturista, con delle borse piene di roba inutile – prosegue Lanzaretti –, adesso vado via in bikepacking per farci stare solo l’essenziale: borse piccole ancorate in modo da poter affrontare qualsiasi strada, scarpe con l’aggancio, giacca e pantaloni in materiale traspirante per proteggermi dall’acqua, due Gps davanti a me, il fornello per cucinare, tenda e materassino”. Di persone che viaggiano in bicicletta ce ne sono molte, non tutte arrivano così all’estremo. Qualcuno lo fa per piacere oppure, come ha fatto Dino, con l’obiettivo di essere testimoni di una terra che cambia. “Sei chilometri fa ho incontrato un americano alla sua prima esperienza – racconta col fiato che nel frattempo lavora –, aveva la bici che sembrava un albero di Natale. Mi sono rivisto io vent’anni fa”.
LAVORAVA COME CHEF NEI RIFUGI DI MONTAGNA, ORA ACCOMPAGNA CHI VUOLE SCOPRIRE IL PIANETA PEDALANDO. MA DOPO CHE LI HA SCORTATI ALLA META, PROSEGUE IN SOLITARIA
Molti, nel bene o nel male, ritengono questo genere di imprese una follia, ma per Lanzaretti non è così, perché lui ha scelto di vivere in questo modo. “Credimi, a volte piango mentre pedalo. A volte mi sento ‘schifosamente’ fortunato a fare quello che faccio. Tra otto giorni mi raggiungerà la mia ragazza e pedaleremo insieme mentre lavoro. Chiaramente la vita è anche tanto altro, ma al momento la mia vita è questo”. Sorride quando gli chiediamo se si è mai fermato su un divano per qualche ora e risponde: “Una volta ne ho anche comprato uno, vivevo in un appartamento in città e per un anno ho vissuto aspettando le serie tv. Poi è logico che uno prenda e parta per la Siberia!”, esclama con sarcasmo.
La voce di Lanzaretti ci parla del futuro con energia coinvolgente. Non ha programmi, non sa cosa succederà. “Magari un giorno mi fermerò, ma so che potrò dire di aver fatto quello che ho sempre voluto. So che quel tramonto me lo sono meritato dopo due mesi di deserto. È la stessa sensazione che prova chi fa surf e chi scala le montagne. Siamo tutti una banda di personaggi che hanno bisogno di endorfina per stare lì”. E conclude: “Io guardo il presente, anzi: ora vado a scoprire cosa c’è dietro quella curva”. Ci salutiamo così, con la strada che continua.
Non so fare interviste, soffro abbastanza anche quando le propongono a me e non voglio mai sapere dove andremo a parare, mi imbarazzano le domande precotte. Anche questa che vi accingete a leggere spero renda bene l'idea del personaggio ma vedrete che dell'intervista avrà ben poco. Conosco Deborah Compagnoni una bella mattina dell'ultimo aprile al Paradiso in Chianti, l'alberghetto di piazza in Gaiole (Si), casa mia. È giornata speciale, vado su per colazione e stanno là sia lei, con amici, che Paolo Bettini, venuto a trovare il fido Paolini per un giro in bici in zona. Roba grossa, due campioni mondiali ed olimpici casualmente insieme nella stessa struttura di ben sette camere. Bettini lo conosco da mo', ci parlo e ci frequentiamo con discreta cadenza, la Compagnoni è speciale, mai vista dal vivo, personaggio che sta in un mio olimpo personale e che mi riprometto di conoscere meglio. Anche perchè qua è venuta sulle tracce de L'Eroica, di quel percorso permanente che è ormai diventato un giro cult. Chiedo, stanno per partire in bici, obiettivo ragionevole fare i 209 chilometri in tre giorni, roba da turisti veri ma comunque allenati. Richiamo dopo un pò di giorni, uso la cortesia che mi ha mostrato spontanea per chiedere com'è andata, per invitarla, se del caso, a L'Eroica, per riparlarne a prescindere perchè belle persone in belle zone fanno bene alla causa. Deborah, a conclusione del giro, la trovo entusiasta sincera, ne riparleremo. Ecco tutto l'antefatto, non altro. Non ho mai visto una gara di sci dal vivo, l'ultima volta che li misi mi portarono giù in barella e son passati oltre trent'anni. Quando chiamo la signora Compagnoni, approfitto dello spunto e della disponibilità, mi piace conoscerla. Ecco questa, che non è un'intervista, è una lunga, piacevolissima chiacchierata via telefono, appunti presi sul block notes di un albergo milanese perchè io non sarei capace di registrare alcunchè. Tra l'altro la scrivo dopo, mi dicono che andrà sui numeri invernali, la Compagnoni si abbina alla neve che verrà.
E l'intervista diventa ciò che ricordo io, quel tanto che mi ha lasciato una campionessa in un contatto così etereo. Quando alzo il telefono certo che mi sono preparato le domande; le riscorro ora, scarabocchi a penna, ma che senso avrebbe metterle in fila, in neretto con la D e la R per usuale alternanza. Eccone un succinto resoconto, spero fedele. L'Eroica in tre giorni?
Un'esperienza unica e bellissima, la magia di quei luoghi, la bici mezzo speciale per vivere in modo completo l'avventura. Soste a Buonconvento e Asciano, ben presenti gli strappi brevi, la tanta strada bianca in contesti da sogno. Viene fuori naturale la cultura dell'uso della bici da sempre, bambina abituata all'attività motoria spontanea, la bici per spostarsi e conoscere, atletica leggera e sci di fondo per formarsi.
Per Deborah ragazzina non c'era ancora la mountain bike, intorno alla sua Santa Caterina Valfurva e all'albergo di famiglia tante salite, con nomi da leggenda. Mi viene di chiedere del Gavia '88, lei diciottenne a veder passare quella litania di penitenti, un ricordo indelebile da girone in inferno di ghiaccio, con miseri eroi in brache di tela, che passavano a fine discesa ricoperti delle cose più improbabili, raccolte in questua tra i fedeli intorno al calvario. La sua carriera, gli ori splendidi e splendenti? Cercatela su Wikipedia, dove tutti ne sanno quasi quanto lei. A me interessava parlare del concetto di sfortuna, che pure ha attraversato sue imprese e vita. Incidenti, rotture, persino la recente perdita del fratello; niente da concedere, in lei, alla parte nascosta della luna, al triste esercizio della recriminazione, al piangersi addosso. A un campionato italiano, unica di sempre e magnifica nella sua versatilità, vinse in ogni specialità, poi dovette solo adeguare ginocchia provate ed evitare le rischiose discese libere. Ricetta da campionessa? Nessuna ripetibile, tranne impegno, sacrificio, passione, il resto rimesso a mamma natura. Deborah la ascolti con raro piacere, parla piano ma non ha nessun bisogno di sollecito, mai; scolpisce dolce, senti che esprime convinzioni con radici e finisci per condividerle tutte. Perchè sono le mie, uno degli ultimi fatti in casa in piccolo paese, che è timorato di dei e ambiente, per il quale "Non c'è stata attenzione ma sfruttamento", del rispetto verso gli altri, di un'educazione fondamento di vita. Quattro battute finali? Sui figli, sulla solidarietà, sulla sindrome del numero 1, ovvero sul come si scende dal carro del trionfo, e sulla bellezza, perché no. Deborah ha tre figli, li immagino magnifici, li vede poco perché stanno studiando molto, anche all'estero, e perché, segnatevelo, "sono troppo importanti le esperienze fatte da giovani e da soli". Circa la solidarietà racconta volentieri di un impegno spontaneo e costante con il suo Sciare per la vita (Sciareperlavita.com) nella raccolta fondi da destinare a sostegno di enti e associazioni che operano nel settore della ricerca e della cura delle malattie leucemiche. Per la caduta della dea la senti sorridere sincera, senza ansie e rimpianti: "Avrei continuato a sciare ma cominciavo a soffrire l'obbligo, mi rendeva sempre più stanca e poi persino contenta di smettere". La bellezza? Glielo dico, lo sento come un normale obbligo di chi ha ammirato, di chi l'avrebbe sempre scelta alle feste in casa di ragazzo per ballare Hey Jude La Compagnoni ha vissuto una parabola come Steffi Graf, nata col solo habitus della marziana, più forza che grazia, in tempi in cui Tomba riempiva le piste di rutilanti veline.
Poi, pian piano, credo che si siano innamorati in tanti di lei, fidanzata d'Italia con un sorriso naturale da cineteca. E secondo il modesto parere di chi scrive, è così giusta anche di testa che non gli pesano nemmeno le cicatrici.
* Ideatore di Eroica e conduttore per Bike Channel dell’omonimo programma tv
Classe 1970 e originaria di Santa Caterina Valfurva, Sondrio, Deborah Compagnoni è la prima atleta, nella storia dello sci alpino, ad aver vinto una medaglia d'oro in tre differenti edizioni dei Giochi Olimpici invernali (in supergigante ad Albertville 1992 e in gigante a Lillehammer 1994 e Nagano 1998) e vanta in palmarès, oltre ai tre ori, anche un argento olimpico (Nagano 1998 in slalom speciale), tre ori mondiali (due in slalom gigante e uno in slalom speciale) e 44 podi in Coppa del Mondo (di cui 16 vittorie) dove ha chiuso al primo posto in slalom gigante nel 1997,
conquistando la coppa di disciplina, anno in cui si è piazzata quarta in generale, suo miglior risultato replicato l’anno dopo.
Tedofora ai Giochi Olimpici di Torino nel 2006, oggi è ambasciatrice della Fondazione Milano-Cortina 2026 per le Olimpiadi e Paralimpiadi, con l’obiettivo di promuovere la sostenibilità ambientale.
Compagnoni è impegnata anche per una vita attiva e un’alimentazione sana nonché, nel sociale, con la sua associazione onlus Sciare per la vita e come ambassador Unicef.
La neve come risposta alternativa alla voglia di viaggiare e divertirsi sulle due ruote. La Valle d’Aosta, tra le destinazioni invernali per antonomasia, nei mesi più freddi offre tutte le possibilità di divertimento per lo sport outdoor, non solo per sciatori e alpinisti. E per gli amanti delle due ruote in tutte e quattro le stagioni le aspettative non vengono deluse in quella che è stata insignita come la regione europea dello sport 2023.
Il paradiso degli sport invernali – con 19 stazioni sciistiche, 800 chilometri di piste e 7 snowpark –ha un’offerta estiva fatta di bike park e sentieri naturalistici per mountain bike, downhill e freeride che in questa stagione lascia spazio alle fat bike, le ruote grasse e chiodate per percorrere i sentieri ricoperti di neve anche senza sci di fondo o ciaspole. Le tre mete principali, mostrate secondo una direttrice nord-sud in senso orario, mettono in mostra tutto ciò che naturalisticamente può offrire.
All’estremo confine con la Francia, da Courmayeur si può pedalare ben piantati sulla neve ma con lo sguardo in alto rivolto verso il Monte Bianco. Le pendici della montagna più alta d’Europa sono il punto di partenza ideale per sciatori, escursionisti e alpinisti, grazie ai sentieri e all’avveniristica funivia Skyway, che arriva fino ai 3.466 metri di Punta Helbronner. Incastonata tra la Val Veny e la Val Ferret, Courmayeur offre esperienze anche a fondisti, ciaspolatori e ciclisti. Con partenza dalla località Planpincieux per arrivare a Lavachey, lungo un percorso di neve battuta che si snoda a fianco della pista di fondo, la cornice unica della catena del Monte Bianco, il silenzio della natura incontaminata e la possibilità sia di usare la fat bike, sia di sciare e pedalare insieme con la snow bike, che al posto delle ruote ha degli sci. Con insegnanti e guide ad hoc per i più temerari c’è anche la possibilità di fare le escursioni in notturna muniti di torce frontali. Ad ovest del capoluogo Aosta, nella piana di Saint-Barthélemy, nel risalire la vallata che porta al Cervino, ci si immerge in uno dei paesaggi più autentici forse dell’intero arco alpino. In uno dei centri più rinomati per lo sci di fondo, le fat bike costeggiano uno dei tratti più lunghi percorrendo la cosiddetta Via del silenzio dove non ci si annoia mai sia tecnicamente che a livello paesaggistico. Partendo dalla frazione di Fontanes il primo tratto si snoda in mezzo al bosco, dopodiché si inizia a salire con dei tornanti prima che si apra la vallata, quando la pendenza si addolcisce puntando ai 2007 metri del Rifugio Magià.
Per concludere il giro si va verso sud, ma non si perde quota né bellezza dei paesaggi, anzi. Cogne, che in patois valdostano significa ‘angolo’, per la posizione privilegiata potrebbe efinirsi un angolo di Gran Paradiso. Immersi in un Parco Nazionale che ha appena festeggiato il centenario dalla sua fondazione, la distesa appena fuori dalla cittadina ha sentieri per mtb catena montuosa sullo sfondo, che si trasformano in questa stagione in percorsi per le ruote più grasse. Tra gli 80 chilometri di piste per il fondo, i Prati di Sant'Orso – insigniti del riconoscimento Meraviglia d'Italia – ospitano quattro tracce di diverse difficoltà per le fat bike attraverso boschi, torrenti e ponticelli.
Dal giro intorno al paese alle sortite verso il cuore del Gran Paradiso come Valnontey, Lillaz con le sue cascate ghiacciate e dove non è inconsueto incontrare camosci e stambecchi.
Una terra piccola che però offre come poche una grande varietà di opportunità. L’altra faccia del cicloturismo, quella meno battuta, che trova nella neve una traccia nuova per un’esperienza unica.
DOVE IL TURCHINO SI GETTA NEL MARE
IL PASSO SIMBOLO DELLA MILANO-SANREMO È UN’OTTIMA
META PER RIMETTERSI IN MOTO CON L’AVVICINARSI DELLA PRIMAVERA. SALITA DA MASONE, DISCESA VERSO LA COSTA E RITORNO A SCELTA, TRA PERCORSO CLASSICO, LE GIUTTE DA ACQUASANTA O LA TERRIBILE CANNELLONA SU FINO ALLA CIMA DELL’INFERNO
Non è una salita dura (specie da Masone) e chiaramente non ha il fascino di una cima alpina o dolomitica. Eppure il passo del Turchino (532 metri sul livello del mare) porta con sé comunque un’attrattiva speciale. Il motivo è semplice. Questo snodo è (quasi) sempre stato uno dei simboli della Milano-Sanremo, la Classicissima di primavera del ciclismo. Ai tempi di Gino Bartali e Fausto Coppi la strada era sterrata e provocava una certa selezione in gruppo. Oggi fa solo il solletico ai corridori, ma resta comunque il primo spartiacque perché, dopo la salitella affrontata da Masone, spalanca al gruppo l’arrivo sul mare dopo oltre 0 chilometri di discesa.
Ho scoperto l’itinerario attorno al Turchino grazie al Duca di Predosa Simone e al Reverendo Paul. In bici, si sa, nascono storie e soprannomi… Partenza da Ovada (meglio se dal Bar Trieste per prendere la giusta carica con un caffè di Fausto), poi su per la bellissima salita del Termo (che si conclude dove è stata fissata una delle tante ‘big bench’ con notevole vista), discesa su Rossiglione e quindi fondovalle, comunque in falsopiano, fino a Masone. Una volta arrivati alla galleria del Turchino (foto d’obbligo!) si può fare più o meno quello che si vuole. In giornate belle e terse il consiglio è affrontare il passo del Faiallo (1.050 metri), salita panoramica e meravigliosa di una decina di chilometri che offre la sensazione a chi
pedala di trovarsi in alta montagna, con il mare che però addolcisce gli occhi in lontananza.
Se si vuole respirare l’aria marina, invece, basta buttarsi a capofitto verso Voltri. Foto in spiaggia, un pezzo di focaccia indimenticabile al mitico panificio Priano e poi di nuovo in sella per riprendere la strada di casa. Ma da dove? Le opzioni sono tre: il Turchino classico (11 chilometri al 4,5%); il versante delle Giutte da Acquasanta (strada bellissima senza traffico con pendenze medie, che scavalca la galleria e si ricollega alla strada principale dove comincia la discesa per Masone) o la terribile CannellonaCima dell’Inferno, coi primi 4 chilometri che hanno una pendenza media fra il 10 e l’11 per cento con diversi tratti fra il 14 e il 20. Insomma, una scelta che può essere fatta solo quando la gamba è bella in tiro e allenata. Si sbuca sulla strada del Faiallo, con la possibilità a quel punto di decidere cosa fare.
Per concludere al meglio il giro e tornare a Ovada, se vi piace la salita, la cosa migliore è buttarsi sulla salita pedalabile di Tiglieto (da Rossiglione), poi girare verso la Valle del Latte e rifare in discesa la salita del Termo. Vedrete zone incontaminate e scorci naturali che vi riempiranno il cuore. Perché lì dove finisce la pianura e la strada inizia a salire, dolcemente o meno, comincia l’autentica bellezza dei giri in bici.
LA CULLA DELLA CLASSICISSIMA
L’OSTERIA DELLA CONCA FALLATA, SUL NAVIGLIO PAVESE, È IL PUNTO ESATTO DOVE PRESE AVVIO
LA PRIMA STORICA EDIZIONE DELLA MILANO-SANREMO
Sono le quattro e mezza del mattino del 14 aprile 1907 e la pioggia disturba il pelo dell’acqua del Naviglio Pavese. Davanti alla chiusa che tutti i milanesi conoscono con il nome di Conca Fallata c’è un gran movimento. Voci, suoni, la luce di un’osteria illumina i volti di 33 corridori in bicicletta. Avrebbero dovuto essere almeno il
doppio, ma il freddo e il tempo da lupi ha tenuto i più lontani dal Naviglio. Forse anche il pensiero che quell’idea così strampalata, nata quasi per sberleffo ad una corsa in auto che fu un vero fiasco, non prendesse reale corpo, ha giocato un ruolo decisivo nel preferire il letto al sellino.
Si parte da Milano e si arriva a Sanremo percorrendo quasi 300 chilometri giù verso la nebbia e le nubi basse sui campi della Lomellina. L’attenzione di giornalisti e semplici curiosi è rapita da un corridore vestito di rosso. Viene da Asti, si chiama Giovanni Gerbi. È una specie di star. Lo chiamano Diavolo Rosso per il colore della maglia e perché ne sa una più del proverbiale demonio. Ad esempio, si depila le gambe. Perché? Almeno la sporcizia non si incaglia tra i peli. Che diavoleria! Un altro invece sembra avere uno sguardo un po’ truce per colpa dei baffoni neri che porta. È francese, si chiama Lucien Mazan ma siccome è bretone e non troppo alto, in Argentina dove era emigrato gli hanno affibbiato il soprannome di Petit-Breton. Suona meglio, così tornato in Europa ha deciso di correre con quello. Nessuno lo sa ma il Diavolo e il bretone, seminascosti nel buio, si sono già accordati. Gerbi aiuterà Petit-Breton a vincere, soprattutto terrà a bada il rivale Gustave Garrigou, e in cambio lui gli darà metà del premio in denaro che la squadra gli ha promesso. Affare fatto, si parte. Comincia così la prima Milano-Sanremo della storia, la Classicissima come verrà soprannominata successivamente. Una corsa talmente semplice da risultare difficile. Affascinante, prestigiosa, basta vincerla una volta per schizzare nell’olimpo del ciclismo. E oggi come in quella prima edizione, dopo 116 anni, la partenza ufficiale, il km 0 è sempre posizionato lì, davanti all’Osteria della Conca Fallata, ai bordi del Naviglio Pavese appena fuori Milano dove il paesaggio cambia bruscamente e inizia la strada che porta al mare.
“In origine era un negozio di vino”, racconta Andrea Mascoli, ristoratore e attuale proprietario dell’Osteria della Conca Fallata: “si tracannava un bicchiere dopo l’altro giocando a briscola e mangiando una fetta di salame”. Il nonno Domenico e il padre Giuseppe,
rilevarono l’attività nel 1969 rendendola un ristorante di specialità pugliesi e si ritrovarono il prestigio della Sanremo proprio davanti all’uscio. “Ricordo quando da bambino partiva la corsa”, ricorda Andrea: “Tutti i giornalisti fuori a fumare fin dalle 6 del mattino. Nel nostro cortile sul retro, avveniva la punzonatura delle bici. C’erano dei grossi tavoli di pietra dove i ciclisti venivano massaggiati”. Sul muro esterno dell’Osteria campeggia una grande foto di un ciclista. Non è un corridore, però, è Renato Pozzetto. “Veniva spesso da queste parti insieme a Cochi, gli ricordava i tempi in cui la madre lo portava a passeggio”. All’interno si respira l’aria dei tempi che furono con foto in bianco e nero che ricordano la corsa. C’è Gino Bartali baciato dal sole, altri corridori con le camere d’ari incrociate sulla schiena che poggiano le loro bici al muro dell’Osteria. Gli anziani che venivano a giocare a carte, tenutari di una storia che rischia di essere dimenticata, non ci sono più. Così come i 1.200 operai delle cartiere Binda che lavoravano sulla sponda opposta. Ma anche oggi, a più di 100 anni di distanza, con le macchine che passano e la chiusa che ormai non serve più, tra gli odori dell’osteria e quella nebbiolina che si forma sul Naviglio, se chiudi gli occhi vedi ancora quei trentatre corridori che partirono alla volta di Sanremo ignari di dare avvio a una delle corse più importanti del ciclismo.
ALL'INIZIO NON ERA UN RISTORANTE MA UN NEGOZIO DI VINO.
QUI PARTIRONO I PRIMI TRENTATRE CORRIDORI DIRETTI IN LIGURIA, DEL TUTTO IGNARI CHE AVREBBERO DATO AVVIO A UNA PIETRA MILIARE DEL CICLISMO
ALLE ORIGINI DELLA GRANDE MAINO
Sul numero 59 di Biciclette d’Epoca, in edicola dallo scorso dicembre, è stata trattata la storia di una marca che è rimasta nella memoria collettiva degli sportivi, la Maino. La ditta viene fondata alla fine dell’800 ad Alessandria, all’epoca capitale italiana della bicicletta. Nella cittadina piemontese, infatti, l’imprenditore birrario Carlo Michel aveva riportato nel 1867 un velocipede dall’Expo di Parigi. Tanta e tale fu la curiosità dei concittadini che dopo qualche anno fu creata una zona dedicata alle biciclette vicino a Porta Savona, che prende il nome di Pista (dal quartiere adiacente). Negli stessi anni viene spostata la sede della Federazione italiana (Uvi) proprio ad Alessandria. Chiaro che, in un contesto simile, il giovane Giovanni Maino trovi le condizioni ideali per entrare ed investire nel mercato delle due ruote (come già stanno facendo altri in Lombardia, come Edoardo Bianchi dal 1885) e sviluppare la sua passione. Trovato l’assetto societario giusto all’inizio del nuovo secolo Maino capisce che per spingere le vendite dei suoi mezzi ha bisogno di fare pubblicità e trova nell’emergente mondo delle corse il suo naturale sbocco. Inizialmente appoggia, senza creare una vera e propria squadra, corridori emergenti come Giovanni Gerbi e Giovanni Cuniolo. Il Diavolo Rosso vince sotto le insegne della Maino la Milano-Torino (1903), mentre Manina Cuniolo la famosa Coppa del Re (1904). Nel 1905 viene costituita la prima squadra. Gerbi torna in sella alla bicicletta d’Alessandria e vince la prima Milano-Sanremo. Negli anni successivi, sempre grazie al corridore di Asti, la Maino trionfa nelle più importanti corse dell’epoca. L’anno di svolta è il 1912, con l’ingaggio di un giovanissimo Costante Girardengo. Nel 1913 La Maino conquista il Giro d’Italia con Carlo Oriani, con la grande novità dell’applicazione, per la prima volta in Italia, del gioco di squadra, come già avveniva per gli squadroni francesi al Tour de France. Anche Girardengo porta gloria alla Maino, conquistando tra il 1913 e il 1914 per due volte il titolo di campione italiano. Alla ripresa, dopo la guerra, la Maino non allestisce immediatamente la squadra delle maglie grigie, ma quando lo fa punta direttamente su Girardengo. Saranno anni fiorenti, con vittorie importanti: Milano-Sanremo, Giro d’Italia (1923, con otto vittorie di tappa e davanti a Brunero per 37”) e il Campionato italiano, ormai suo esclusivo terreno di caccia. Alla fine del 1924 la squadra corse sospende l’attività per poi riprenderla nel 1928. Con un Girardengo ormai avviato verso il viale del tramonto, ma ancora attivo e pronto a cogliere e occasioni anche fuori dalle gare, ecco che comincia a risplendere la stella di Learco Guerra. La Locomotiva Umana negli anni ‘30 sarà il grande avversario di Alfredo Binda, conquistando il Giro d’Italia (1934), classiche
e il Campionato del mondo (1931, a cronometro). Al termine della stagione 1936 Giovanni Maino chiude la squadra e poco prima del conflitto mondiale cede la società che viene rilevata dalla famiglia Rizzato di Padova.
Le biciclette Maino sono ancora oggi oggetto di collezionismo e molto ricercate per la loro estrema leggerezza e soluzioni innovative per l’epoca.
* Oltre a curare il blog Inbarbaallebici.wordpress.com collabora con Biciclette d’Epoca e nell’ambito dell’omonimo format tv su Bike Channel interviene con approfondimenti e curiosità
/Un'illustrazione pubblicitaria ritrae Girardengo in maglia di campione italiano su di una Maino dall'iconico colore grigio/
EROI ALL’EROICA
CINQUE RAGAZZI SPECIALI HANNO PARTECIPATO ALLA CICLOSTORICA DI GAIOLE IN CHIANTI, CON BICI E ABBIGLIAMENTO D'EPOCA, PORTANDO A COMPIMENTO UN'IMPRESA OLTRE OGNI BARRIERA. CRONACA DEL FINE SETTIMANA SULLE CRETE SENESI CHE HA VISTO PROTAGONISTI TEAM SUPEREROICA E FONDAZIONE ALLIANZ UMANA MENTE
È tempo di ciclostoriche e di eroi per abbattere barriere con sfide bellissime e raggiungere traguardi importanti. La più famosa al mondo tra le ciclostoriche è senza dubbio L’Eroica; i protagonisti di questa sfida sono Nicolas, Pietro, Piergiorgio, Daniele e Riccardo, i cinque ragazzi del progetto SuperEroica che, grazie alla Fondazione Allianz Umana Mente, ho avuto l’onore di seguire, conoscere personalmente e riprendere per un documentario di Bike Show. Quattro giorni di grandi emozioni insieme a ragazzi speciali, ai loro allenatori e a tutto il Team SuperEroica, immersi nel Chianti e nel Senese, partendo proprio da Gaiole in Chianti: luoghi incantevoli dove la passione per il ciclismo si unisce alle eccellenze del territorio, pedalando sulle strade bianche, gli sterrati storici –percorso insidioso che ancora oggi anche i professionisti affrontano con mille difficoltà –rigorosamente con bici e abbigliamento d’epoca. Un ringraziamento particolare va alla grande passione e sensibilità dell’organizzatore de L’Eroica, Giancarlo Brocci, che ha appoggiato l’iniziativa sociale e ha permesso ai nostri cinque eroi di affrontare questa sfida, nella mischia degli ottomila partecipanti all’edizione 2022, appassionati giunti da tutto il mondo per pedalare in questo stupendo paesaggio. La nostra avventura è iniziata il venerdì con l’arrivo dei primi ragazzi a San Felice, accolti nella bellissima e suggestiva struttura del Relais & Châteaux Borgo San Felice, di proprietà del Gruppo Allianz, che li ha ospitati insieme alle loro famiglie e a tutto il Team. Un borgo d’eccellenza con radici risalenti al Medioevo e dove oggi sono presenti spazi e iniziative importanti per i nostri ragazzi speciali, come un orto sociale supportato dalla Fondazione Allianz Umana Mente dove lavorano ragazzi con disabilità.
I primi ad arrivare sono Daniele da Civitavecchia, Nicolas da Latina e Piergiorgio, che invece è del luogo e lavora presso l’orto di San Felice. Dopo essersi sistemati nelle camere, il pranzo insieme: qui ci si presenta, ci si conosce e si parla de L’Eroica. Si percepisce già l’emozione di poter partecipare alla manifestazione, un’emozione che si allarga ai familiari, agli allenatori e ai volontari che partecipano al progetto.
Nel pomeriggio, dopo il pranzo a San Felice, ci si sposta a Gaiole per l’arrivo degli altri due ragazzi,
Pietro da Como e Riccardo dall’Isola d’Elba; ci si avvia al ritiro dei pacchi gara con i numeri di corsa, oltre alle bici storiche preparate con cura da Roberto Lencioni detto Carube. Si respirano un’aria e un’atmosfera uniche, si sente la felicità per il solo fatto di esserci. Dopo aver ritirato i pacchi gara, ci si sposta nell’area del Palatenda dove si svolgono le premiazioni delle biciclette storiche. In quest’occasione, Nicola Corti, segretario generale della Fondazione Allianz Umana Mente, e Giancarlo Brocci presentano il Team SuperEroica composto dai cinque ragazzi, e dagli gli allenatori Vanessa Casati, Enrico Scali, Paolo Casconi e Alessio Ghiani.
La festa è appena iniziata e già si percepisce cos’è L’Eroica, con il suo mercatino, le iniziative in stile, i partecipanti in abbigliamento storico, le bici e soprattutto un paese dedicato interamente all’evento. Ritirato il materiale, si ritorna a San Felice e ci si prepara per la cena, a Brolio, dove nella piazzetta ai piedi del Castello inizia anche una grande festa, con la musica e la gente che balla. Domenica sarà il primo punto di passaggio per i ragazzi a L’Eroica.
Sabato è un’altra giornata ricca di impegni per il Team. Si inizia la mattina con il racconto della storia di Borgo San Felice, della sua cantina e dei vigneti, per poi spostarsi a San Felice e conoscere dal vivo l’orto sociale e i ragazzi speciali che ci lavorano. Un momento di grande festa, conclusa con una bellissima grigliata tra i vigneti. Nel pomeriggio si parte: prova delle biciclette e, dopo aver ricevuto l’abbigliamento e il materiale tecnico realizzato come se fosse d’epoca, si svolge il primo allenamento per i ragazzi. Si prova la salita che porta al castello di Brolio, le prime prove di sterrato e guida. Con bici di oltre 35 anni e tubolari stretti, infatti, bisogna essere bravi e imparare come guidare su questi insidiosi percorsi. Siamo arrivati al giorno più importante, la sfida dei cinque eroi. Sveglia alle 6 per la colazione; alle 6:30 è ancora buio, ma c’è già molta adrenalina perché si parte per una giornata storica: i ragazzi fanno colazione, si vestono da ‘eroici’ e sono pronti per partire. Dopo colazione ci si sposta tutti a Gaiole. Qui si monta sulle bici e si va nell’area della festa e l’emozione si legge negli occhi dei ragazzi. Tutti hanno un grande sorriso in volto e non vedono l’ora di partire per fare la loro corsa.
IL GRUPPO HA PEDALATO SULLE STRADE BIANCHE, UN PERCORSO INSIDIOSO CHE ANCHE I PROFESSIONISTI AFFRONTANO CON PRUDENZA E TRA MILLE DIFFICOLTÀ
Nicolas, Pietro, Piergiorgio, Riccardo e Daniele sono pronti ad affrontare L’Eroica. Passano dai cancelletti di controllo bici e qui viene loro consegnata la tessera per i timbri, per certificare il percorso. Subito dopo è il momento del saluto dello speaker ai ragazzi, poi quello del pubblico e dei familiari. Tutti tifano per loro e l’emozione sale anche in tutti noi che accompagnamo i ragazzi in questa bellissima avventura. Inizia la pedalata dei cinque eroi: la prima parte è verso il Castello di Brolio, in salita, i ragazzi pedalano davvero bene e iniziano a scaldarsi. Arriviamo a Brolio dove c’è una grande festa con musica e balli e Piergiorgio si butta nella mischia a ballare. Dopo questa sosta, si riparte con la salita al Castello, c’è il primo sterrato e qui è Riccardo che sfodera una classe da scalatore, ma anche Nicolas e Piergiorgio vanno forti in salita; Pietro e Daniele sono più passisti. Affrontiamo questo primo sterrato di strade bianche con discese anche insidiose per questo tipo di bici da corsa storiche, ma tutti e cinque se la cavano alla grande senza l’aiuto di alcuno, ma solo con l’accompagnamento del Team SuperEroica. Da ex corridore ero preoccupato per i ragazzi, alle prese con bici vecchie e su questi percorsi, senza dotazioni moderne né freni a disco o gomme larghe… e invece, già dopo i primi sterrati e discese, ho capito che stavano andando alla grande, in controllo e piena sicurezza, pedalando anche forte. Il primo stop è al punto assistenza, prima del ristoro, momento per riunirci insieme e proseguire nella pedalata. I ragazzi sono ‘carichi’ e soddisfatti per questa prima parte della gara: abbiamo superato metà del percorso e ripartiamo per affrontare la seconda discesa sterrata che ci porta al ristoro dove c’è ancora grande festa. E cibo a volontà. Qui i ragazzi, con tutto il Team, si fermano a mangiare e a divertirsi; il morale è alto e dopo essersi rifocillati si riparte, si punta verso il traguardo, affrontando altri sterrati e paesaggi da cartolina. Pietro continua la pedalata con il suo ritmo regolare; Daniele dice che non vuole fare la discesa perché è pericolosa, ma alla fine la fa tutta; Riccardo va fortissimo in salita, in discesa è però molto prudente; poi ci sono Nicolas e Piergiorgio, che in un tratto di sterrato in piano si agganciano e cadono, ma da veri corridori si rialzano e con qualche medicazione ripartono più forti di prima, alternandosi nel fare l’andatura. Si avvicina il traguardo di Gaiole e incominciamo a riunirci tutti per arrivare insieme, gli allenatori, gli accompagnatori e i ragazzi: qui si vede la grande felicità per raggiungere la meta, un risultato importante, conseguito dopo aver pedalato molto bene. Il pubblico applaude e l’emozione ci prende tutti: i ragazzi sono felicissimi di aver vinto la loro prima gara da ’eroici’. La festa prosegue anche dopo l’arrivo dei genitori, che hanno visto i loro ragazzi
partecipare a un evento importantissimo come L’Eroica. La soddisfazione è veramente grande e unica la felicità di festeggiare con i ragazzi. Cinque ragazzi speciali, ‘eroici’, che vogliono aprire la strada anche ad altri per poter partecipare a corse e ad eventi sportivi come questi, abbattendo barriere importanti. Per me è stata un altrettanto grande emozione e me ne vado con la felicità di aver conosciuto persone speciali e la gratitudine verso tutti loro, con l’obiettivo di essere solo all’inizio di questa grande avventura. E grazie soprattutto ai cinque eroici: Daniele, Riccardo, Nicolas, Pietro e Piergiorgio.
* Già ciclista professionista, è ceo di Withjoy Entertainment, nonché ideatore, volto e voce di Bike Show Tv. Fondazione Allianz Umana Mente è la fondazione corporate di Allianz Italia. Dal 2001, anno della sua creazione, la Fondazione ha finanziato e ideato 267 progetti sociali per favorire l’inclusione sociale delle persone con disabilità e dei giovani in stato di svantaggio, erogando oltre 38 milioni di euro in tutta Italia.
/Una giornata di gioia e divertimento/
ALLA GUIDA IN CONTROLLO
L’ADEGUATA COMPRENSIONE DEL FUNZIONAMENTO DELLA BICICLETTA DAL PUNTO DI VISTA MECCANICO È PREMESSA FONDAMENTALE PER IL CORRETTO UTILIZZO. E L’INVERNO È IL MOMENTO MIGLIORE PER DEDICARE TEMPO ALLA PROPRIA COMPAGNA DI PEDALATE
Vedere un corridore fermarsi durante una gara per un guasto meccanico e subito imprecare contro la sua bicicletta o addirittura gettarla via è veramente un brutto gesto, una situazione alla quale, purtroppo, ancora capita di assistere agli spettatori sulle strade o durante le dirette televisive. Il celeberrimo ‘salto di catena’, però, che quando accade può compromettere una volata, lo sprint per un piazzamento o una vittoria, spesso è la conseguenza di un errore del corridore. Nei momenti più delicati della gara ci si trova infatti in situazioni estreme dal punto di vista fisico e talvolta la lucidità diminuisce. E una cambiata troppo violenta, con la catena tesa al massimo, può compromettere l'efficienza di componenti anche di altissimo livello.
Questa premessa è utile a introdurre un argomento molto importante come la piena comprensione del funzionamento della bicicletta per poter essere in grado di gestire ogni situazione, durante una ‘sgambata’ dominicale o una manifestazione sportiva. Se decidessimo di comprare un paio di sci, del resto, con tutta probabilità, ci rivolgeremmo a uno skiman e a un istruttore di sci per imparare a conoscerli e utilizzarli, così come, se acquistassimo una racchetta da tennis, dovremmo rivolgerci a un incordatore e un istruttore di tennis o se comprassimo un pianoforte che dovesse rivelarsi male accordato ci rivolgeremmo al negoziante per chiedergli un intervento, oltre che a un maestro di musica per imparare a suonarlo. Se non riuscissimo, arrabbiarci con gli sci, la racchetta o il pianoforte non aiuterebbe certo a imparare a usarli. Con la bicicletta è la stessa cosa, soltanto che non sempre avviene così. Dopo l’acquisto, il cliente, il ciclista, troppo facilmente è indotto a ritenere che sia sufficiente salire in sella, accendere il Gps e pedalare.
La prima difficoltà che solitamente si incontra è quando si carica la bici sulla macchina: come fare
a togliere e rimontare la ruota posteriore, specie quando c’è il freno a disco? Ogni ciclista dovrebbe essere in grado di farlo autonomamente, ma se non è capace allora meglio dedicare del tempo a imparare operazioni semplici, ma non banali, come questa. L’errore più comune, però, che determina la maggior parte dei più consistenti malfunzionamenti, è causato proprio dal fatto di non sapere utilizzare il cambio: da quando esiste la bicicletta, la catena deve lavorare nel modo più lineare possibile; a maggior ragione oggi che, con l'avvento di nuove tecnologie, sono aumentati anche il numero di rapporti e l'inclinazione della catena. Pedalare in salita e cambiare con un 52x32, tanto per fare un esempio, già è un'azione abbastanza spregiudicata, se poi lo si fa senza prima cambiare dietro… le conseguenze possono essere varie: dalla caduta della catena alla rottura del forcellino o del cambio intero.
Intendiamoci, è una fortuna che oggi le bici siano strumenti tecnologicamente molto avanzati, ma ciò implica che alla base della possibilità di utilizzarli correttamente e secondo il loro reale potenziale, ci sia la giusta conoscenza del mezzo meccanico. Essere padroni della bicicletta, dunque, non vuol dire solamente esserne i proprietari, ma cercare di capirla e soprattutto individuare il modo migliore per utilizzarla. Anche per limitare le spese straordinarie. Sfruttare il periodo invernale per imparare a conoscere, a livello tecnico, le caratteristiche della propria bicicletta è tempo dedicato in maniera costruttiva alla questa comune passione. Con un ‘nota bene’ finale: importante è anche conoscere il nome delle componenti. È fondamentale, infatti, parlare la stessa lingua di chi dovrà poi aiutarci e mettere in atto la riparazione.
* Già atleta professionista, è divulgatore delle due ruote e lavora per Scout Bike a Lainate (Mi)
IL POTERE DELLA LEGGE
PER IL CICLISTA LE INSIDIE GIURIDICHE POSSONO RIVELARSI PIÙ DIFFICILI DA GESTIRE DI QUELLE STRADALI. ECCO CINQUE SUGGERIMENTI PER 'SALVARSI' IN SEDE DI DIBATTIMENTO PER RISARCIMENTO DEL DANNO
Più insidiosi delle buche stradali sono i trabocchetti lungo il percorso delle pratiche di risarcimento danni. Con il rischio di vedersi aggiungere al danno la beffa di un mancato indennizzo e tanto di condanna alle spese. Anche sapere di avere ragione non sempre basta, perché in un’eventuale causa – nella quale gli enti tendono sempre a trascinarci, affidando le proprie sorti all’alea del giudizio oltre che alla lungaggine – si può inciampare in insidie procedurali che possono portare fino al respingimento di una pur legittima domanda.
Essenziale è dunque agire immediatamente, togliendo alla controparte quegli appigli che essa ha per sottrarsi all’obbligo di risarcire il danno. Può capitare, ad esempio, che il giudice non ritenga sufficientemente documentata la dinamica della caduta, oppure non ritenga dimostrato il nesso di causa tra la buca e la caduta e il danno subito, per mancanza di foto nel fascicolo o assenza di documentazione relativa a interventi di autoambulanza e forze dell’ordine.
La strada sarà in salita soprattutto qualora, dopo la caduta provocata da insidia stradale, il ciclista
tornasse a casa con le proprie gambe, senza testimoni, senza aver chiamato le forze dell’ordine e l’ambulanza, omettendo di fotografare la buca, la bici, la strada. Ecco perché bisogna chiamare sempre i vigili o i carabinieri: possono documentare la buca, la rottura eventuale della bici, le lesioni, e dichiarazioni dei testimoni, ricostruendo sul posto la dinamica dell’incidente. Il verbale redatto dalle autorità resta come fonte di prova.
Per quanto la Cassazione abbia allargato il campo della responsabilità oggettiva, alcuni tribunali mostrano una rigidità estrema, pretendendo prove scientifiche e schiaccianti attestanti l’idoneità della buca a essere considerata insidia o pericolo (con valutazioni però del tutto personali). Pretese smentite dai giudici superiori che invece invocano l’applicazione dell’art. 2051 del codice civile (obbligo del custode), obbligando l’ente al risarcimento e stabilendo che la pubblica amministrazione sia tenuta a far sì che la strada non presenti situazioni di pericolo. In caso contrario l’ente è responsabile e tenuto al risarcimento (ordinanza n. 11096/2020 della Cassazione).
Dallo studio dei casi trattati fino ad oggi possiamo comunque stilare una procedura in cinque mosse per scongiurare un mancato risarcimento:
Chiamare sempre le forze dell’ordine in caso di caduta provocata da insidia stradale, per far accertare lo stato dei luoghi, i danni, la pericolosità della buca, così da poter accedere poi al verbale e avere la fotografia di quanto è accaduto. Il verbale costituisce prova fino a querela di falso, pertanto l’ente non potrà negare quanto riportato. E se nei giorni o settimane successive l’ente provvedesse a riparare la buca, un accesso agli atti dimostrerebbe l’intervento, con conseguente ammissione indiretta di pericolosità.
Fotografare buca e danni. Le foto scattate nell’immediatezza sono le più attendibili e costituiscono prove che dimostrano la presenza della buca e la compatibilità dei danni. Utile fotografare la buca con un oggetto che possa farne dedurre le dimensioni (per esempio un documento d’identità o una tessera).
Chiamare l’ambulanza. Incombendo sulla vittima l’onere di dimostrare che il danno subito sia stato provocato dalla caduta, l’intervento di un’ambulanza, con accesso al pronto soccorso, costituisce documento incontestabile e comprovante il nesso causale tra lesioni subite e caduta. Senza contare che il ciclista, a caldo, ha spesso la sola smania di rimontare in sella e ripartire, per poi accorgersi una volta a casa di
avere qualche problema che emerge in serata o nei giorni successivi. Se i dolori o la sofferenza arrivassero dopo, si potrebbe così, anche nei giorni successivi, ricostruire il tutto, facendo annotare nel verbale di Ps che le lesioni o conseguenze sono riconducibili all’evento subito.
Preventivo e foto della bici. Il risarcimento della bicicletta è la fonte delle maggiori discussioni con l’assicurazione o l’ente in fase di trattativa: se chiediamo la sostituzione del telaio, ad esempio, dovremo documentare sia la crepa o la lesione sia il valore del pezzo da sostituire. I danni richiesti devono essere non solo documentati ma plausibili con il tipo di incidente subito, così da snellire eventuali contestazioni.
Assistenza immediata. L’assistenza giuridica agevola il danneggiato nelle prime fasi, per poi accompagnarlo nell’intera pratica di risarcimento, interfacciandosi direttamente con l’ente e consentendo al danneggiato di agire nel modo più efficace per l’ottenimento del risarcimento. L’associato Zerosbatti, per esempio, trova tutela anche qualora dovesse incontrare un ente particolarmente riottoso al risarcimento, perché potrà citarlo in giudizio togliendo alla controparte quel vantaggio derivante dall’alea del giudizio, almeno quanto alle spese di lite.
* Avvocato e pubblicista, oltre a guidare lo Studio legale Balconi, con l’associazione Zerosbatti garantisce assistenza ai ciclisti in caso di incidente.
FERMI AL PALO
SECONDO IL REPORT A CURA DI CLEAN CITIES L'ITALIA NON È UN PAESE PER BICI NÉ CICLISTI: TRA RITARDI, INVESTIMENTI MANCATI E SCARSA CAPACITÀ PROGETTUALE EMERGE UN QUADRO DESOLANTE MA LE ESPERIENZE GIÀ IN ESSERE MOSTRANO MISURE SEMPLICI CHE SI POSSONO APPLICARE FIN DA SUBITO
Non si può dire che sia stato un autunno tranquillo per i ciclisti italiani. I morti sulle strade sono entrati con frequenza in un lugubre bollettino, culminato con l'uccisione di Davide Rebellin, a poche settimane dal suo ritiro. Né sono mancati gli attacchi verbali, come spesso capita quando si parla delle vittime. Ma frequenti sono state le risposte di chi pedala ogni giorno. Nella sola città di Milano si sono contati in poche settimane una manifestazione per chiedere una pista ciclabile, una catena umana per difendere una bike lane dalle auto, un flash mob in reazione alle critiche sui giornali. I ciclisti ci si mettono in prima persona, e non hanno altra scelta. Per capirli basta scorrere i dati divulgati lo scorso autunno dal dossier Non è un paese per bici, ad opera di Clean cities, coalizione internazionale di oltre sessanta ong, associazioni e movimenti ambientalisti, che ha analizzato le strade delle città italiane ed europee per valutare la reale penetrazione della mobilità ciclistica. Il quadro che emerge è desolante.
Clean cities ha confrontato le infrastrutture italiane con quelle europee e ha analizzato i progetti presentati per i prossimi anni. Sulla base di questi dati è stata costruita una scala di efficienza che suddivide le città italiane in classi da A+ a G. Più della metà ricadono nelle due classi più basse, mentre sono meno del 10% quelle che rientrano nelle classi A e B. Se città come Reggio Emilia, Modena o Ferrara viaggiano su medie di eccellenza da 12-15 chilometri ciclabili ogni 10mila abitanti, nei grandi centri la situazione è disastrosa: con Milano che sta intorno ai due chilometri, Roma solo uno e Napoli addirittura 0,3.
Il quadro si fa solo leggermente meno tetro quando si passa all'analisi dei Pums, i piani per la mobilità presentati dai comuni, nei quali l'intenzione di estendere i chilometri ciclabili c'è, seppur restando ancora ben lontani da numeri virtuosi, ma si scontra immediatamente con la carenza di risorse. Perché costruire piste ciclabili, specialmente in sede separata, costa parecchio, intorno ai 200mila euro al chilometro. Sicché, anche sommando tutti i migliori progetti, si sfora il triplo dei fondi originariamente stanziati dal governo, peraltro fortemente decurtati dall'ultima finanziaria.
Ma, una volta fotografata la situazione, il dossier di Clean Cities guarda avanti, snocciolando obiettivi e proposte per la mobilità del prossimo decennio. L'obiettivo sarebbe triplicare, o meglio quadruplicare, i chilometri ciclabili nelle città italiane. Uno scenario che da solo non basterebbe, perché andrebbe
rinforzato dagli investimenti in un trasporto pubblico che nelle città sta diventando sempre più caro e spopolato, e da forti restrizioni alle automobili (finanziandoli con una piccola percentuale di quei 98,6 miliardi che ogni anno l'Italia devolve alla mobilità motorizzata), ma che segnerebbe un netto passo avanti. Per compierlo è necessario però che i progetti siano orchestrati dal Piano generale della mobilità ciclistica, un documento di programmazione per il prossimo decennio, gestito da una struttura tecnica ad hoc, all'interno del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Starà a questa regia organizzare finanziamenti per infrastrutture e mezzi in condivisione, sgravi fiscali e incentivi, progettazione e promozione dell'intermodalità, e soprattutto “una grande campagna di sensibilizzazione sulla bicicletta come mezzo di trasporto per gli spostamenti quotidiani per lavoro e studio”.
RIDURRE A 30 CHILOMETRI ORARI IL LIMITE SULLE STRADE URBANE È UNA SOLUZIONE FACILE E DI IMMEDIATA ATTUAZIONE. LO HANNO FATTO BRUXELLES E PARIGI, HELSINKI E VALENCIA E, DA NOI, PARMA E BOLOGNA. MA SPETTA AL PIANO GENERALE DEL MINISTERO DEI TRASPORTI PROGRAMMARE INTERVENTI E FINANZIAMENTI MIRATI
Il dossier si concentra molto sull'insufficiente copertura economica, ma le esperienze già n vigore mostrano come ci siano misure semplici che si possono applicare da subito. A partire dal ‘disarmare’ le troppe auto in circolazione. Perché se, come ha giustamente ricordato l'ex maglia rosa Alessandro De Marchi dopo l'uccisione di Rebellin, “guidare un'automobile è come avere una pistola in mano”, ciò che le rende letali è la velocità. Ridurre a 30 chilometri orari il limite massimo sulle strade urbane è una delle soluzioni più immediate e di facile attuazione. All'estero sta già succedendo in metropoli come Bruxelles o Parigi; lo stesso hanno fatto Helsinki, Valencia e Zurigo ma pure Parma e Bologna. Se Parigi negli ultimi anni è stata guardata come un modello è anche perché la capitale francese ha compreso una regola molto semplice: ovvero che per migliorare la vita dei ciclisti è necessario complicarla agli automobilisti. Perché racimolare finanziamenti per complicate ciclabili quando basta chiudere una strada alle auto e destinarla alle bici, o anche solo concedere il doppio senso alle bici sulle strade a senso unico? Parigi ha fatto così. Come ha preso strade a quattro corsie e ne ha date tre ai ciclisti: alle auto ne resta una, congestionata. Non vi è modo più efficace per incentivare la ciclabilità che scoraggiare l'uso dell'auto, perché meno auto significa anche più bici, ma soprattutto significa ridurre statisticamente il pericolo, l'ingombro e persino l'inquinamento.
Invece, come rimarca il dossier, se questo non è un paese per bici, sicuramente è un paradiso per le auto. In Italia il trasporto stradale è responsabile del 28,4% delle emissioni di Co2 e del 10% delle polveri sottili in atmosfera, facendo del nostro il paese leader per la peggior qualità dell'aria. Inoltre, le città con più auto sono quelle con meno dotazioni ciclabili e reddito più basso. Puntare sulla bicicletta, il mezzo più economico, e invertire quel rapporto 1:100 degli investimenti tra bici e auto, è soprattutto una questione di giustizia sociale. E un paese per bici sarebbe un paese più giusto per tutti.
Premi in euro o in buoni spesa per chi va al lavoro in bicicletta. È il bike-to-work, una tendenza in crescita in termini di progetti che nascono, comuni e aziende che aderiscono e chilometri che vengono percorsi, oltre che un’abitudine virtuosa tanto per chi già lo praticava da tempo così come per chi ha appena cominciato.
Tra le esperienze italiane di bike-to-work più recenti c’è Ecoattivi, capace di interpretare il desiderio di un cambio di rotta da Codogno a Caltanissetta. Il progetto, che ha l’ambizione di mettere in rete enti e cittadini, mappa tutti i comportamenti positivi, con un respiro ampio: tra le pratiche valorizzate ci sono infatti il volontariato, il pedibus, il compostaggio, le casette dell’acqua, ma è soprattutto il bike-to-work l’azione sulla quale negli ultimi due anni sempre più realtà decidono di scommettere.
La tecnologia, anche in questo caso, ha avuto un ruolo fondamentale nel misurare obiettivi ed elaborare dati. Tutto il resto dipende dalle persone coinvolte, sia per chi deve mettersi in sella (i cittadini) sia per chi ha il ruolo di incentivare l’uso della bicicletta e dei mezzi sostenibili. Come funziona: l'app Ecoattivi è in grado di tracciare i percorsi casa-lavoro tramite il gps e assegnare punti in base ai chilometri percorsi. Vale il principio del “meglio ti comporti e più ti premio”. I punti guadagnati, una volta elaborati dal istema, sono convertiti in ecosconti da consegnare ai lavoratori durante una cerimonia di premiazione direttamente dal sindaco o dagli assessori.
Il sistema di marketing applicato non è convenzionale: gli sconti infatti possono essere spesi all’interno dei negozi del proprio paese, questo per sostenere l’economia locale. “L’investimento di base – ci spiega Paolo Mogno di Achab, responsabile del progetto – è parametrato al numero di abitanti e si adatta alla disponibilità di budget del comune grazie alla modularità del progetto”. È un’opportunità per i cittadini, ma lo è per l’intero territorio.
La premialità è il concetto più potente di questo
strumento con una doppia anima: da una parte sostiene la mobilità sostenibile, dall’altra, in maniera strategica, punta allo sviluppo locale. “È importante che le aziende e i comuni lo capiscano – prosegue –; non risolviamo i problemi ai commercianti, ma diamo un segnale di vicinanza. Oltretutto è un sistema che insegna ed educa il cittadino a spendere i propri soldi nei negozi vicino casa, senza dimenticare che, innanzitutto, il bike-to-work fa bene alla salute e alleggerisce il traffico”.
Chi decide di far parte di questo piccolo cambiamento, non deve fare altro che caricare una app o accedere tramite il codice fiscale. L’adesione per i commercianti locali è gratuita e al Comune è affidato il compito di scegliere quale dei due strumenti attivare: i buoni spesa a estrazione o gli ecosconti. E ad aver ottenuto un discreto successo sono anche i piccoli comuni. I dati più recenti sono quelli che arrivano dalla Valle del Chiampo, una piccola zona verde del vicentino che conta circa 100mila abitanti.
Nei primi mesi di progetto, il bike-to-work gestito in quest’area ha raggiunto settantaquattro mila chilometri percorsi da 174 persone. Numeri che sono triplicati nel giro di quindici mesi per un totale, ad oggi, di 600 buoni sconto guadagnati (per un valore di circa 6mila euro da spendere nelle attività commerciali vicine) con 72 negozi aderenti e 76 aziende coinvolte. E si andrà avanti fino a giugno.
Nella provincia di Venezia, a San Donà, Musile e Noventa, le statistiche degli ultimi mesi evidenziano, invece, un costante incremento del numero dei percorsi per un totale di oltre 30mila chilometri affrontati e 1.251 buoni che sono stati consegnati. Nel comune di Novellara, vicino a Reggio Emilia, poi le persone che hanno partecipato sono passate da 12 a 35 nel giro di quasi sei mesi pedalando per 24.521 chilometri totali. A marzo, infine, il bike-to-work di Ecoattivi arriverà anche a Treviso e in 18 comuni dell’hinterland.
L'ATLANTE DELLA BELLEZZA
RFI E AMODO HANNO MAPPATO BORGHI, MONUMENTI, SITI UNESCO E ALTRI LUOGHI D’INTERESSE RAGGIUNGIBILI
VIA TRENO. UNA PROPOSTA CREATIVA CONSULTABILE ONLINE CHE VALORIZZA IL CICLOTURISMO E L’INTERMODALITÀ
E il viaggiar ci è dolce tra siti Unesco, borghi storici, aree protette e greenways. Si può attraversare l’Italia all’insegna del turismo lento e sostenibile e adesso c’è anche uno strumento per scoprire destinazioni e itinerari: l’Atlante della mobilità dolce.
Per la prima volta sono state censite e riunite in una mappa digitale oltre 3mila stazioni ferroviarie attive, 20 linee turistiche, 900 borghi tra i più belli d’Italia, 12mila chilometri di sentieri, 1.656 aree protette, 55 siti Unesco, 18mila chilometri di ciclovie e greenways su iniziativa di Rete ferroviaria italiana (Rfi del gruppo Fs) e Amodo, l’alleanza per la mobilità dolce che riunisce 29 associazioni. E per la primavera 2023 è già prevista una nuova edizione con più informazioni e dettagli. La mappa è nata dalla digitalizzazione e dai big data che sono sempre più uno stimolo di innovazione anche nella mobilità.
“Rfi stava lavorando alla mappatura digitale delle sue stazioni e ci siamo incontrati con Amodo, arrivando a un concetto più ampio: se si parla di turismo sostenibile non può essere fatto che con il treno”, spiega Luigi Contestabile, responsabile strategie di sviluppo stazioni di Rfi.
“Così abbiamo cominciato a visualizzare quanto erano vicine le stazioni alle bellezze d’Italia”. E sono arrivate le sorprese: 259 a meno di 2,5 chilometri da siti Unesco, 296 da borghi storici, 1.563 da cammini e sentieri, 1.830 entro 5 chilometri da piste ciclabili. “Questi numeri ci fanno comprendere come sia possibile raggiungere in bici gli angoli più belli d’Italia, se si creano le condizioni per poter scendere dal treno con la propria bici o trovarne una a noleggio e poter pedalare in condizioni di tranquillità e sicurezza”, spiega Giulio Senes, docente alla Statale di Milano, esperto di Gis (Geographical information system, cioè i sistemi di mappatura dei territori), che segue il progetto Atlante per Amodo. Senes è anche presidentezdell’associazione europea Greenways, nata oltre vent’anni fa per diffondere il recupero di vecchie infrastrutture per la creazione di percorsi ciclopedonali: in Spagna con le vias verdas sono stati recuperati circa 4mila chilometri di ferrovie dei 7mila dismessi dal dopoguerra. In Italia, partiti dalla medesima eredità di vecchi impianti, siamo ancora a quota mille.
La mobilità dolce è il risultato di un gioco di squadra. “Il nostro obiettivo non sono solo i singoli i cittadini, ma le istituzioni, i ministeri, le Regioni, i Comuni”, puntualizza Contesabile. “Il treno arriva vicino ai paesaggi più belli dell’Italia, la stazione può diventare un luogo più accogliente per ciclisti ma il servizio di bike sharing, il bus che porta al sito Unesco o la pista ciclabile che ti permette di arrivare in sicurezza e comodamente al borgo antico non possiamo farli noi. Per questo consideriamo la mappa fatta con Amodo come una sorta di scrivania digitale sulla quale avorare con le istituzioni sull’ultimo miglio, per fare in modo che il treno sia sempre più vicino alle bellezze d’Italia”. Obiettivo 2023 è avere un Atlante ancora più dettagliato e con più informazioni. “Avremo più dati e anche nuovi partner”, anticipa il professor Senes.“ È importante avere una visione d’insieme per costruire una vera mobilità integrata. Per questo nell’Atlante abbiamo inserito i 6mila chilometri di civlovie turistiche già previste e finanziate, anche se ancora non ci sono. Sarebbe assurdo non pensare di collegarle con le stazioni o ancora peggio porsi il problema quando saranno finite. Un sistema davvero multimodale va pensato sin dall’inizio”.
HEY GOOGLE, GIRO IN BICI?
IN AUMENTO IL NUMERO DI UTENTI SENSIBILI ALLE TEMATICHE DELLA SOSTENIBILITÀ CHE DOMANDANO ALLA PIÙ CELEBRE DELLE BARRE DI RICERCA E ALLE SUE MAPPE COME RAGGIUNGERE METE PEDALANDO E DOVE TROVARE COLONNINE DI RICARICA ELETTRICHE
Voglio una vita… sostenibile. Anche quando si tratta di spostamenti urbani e viaggi. Parola di Google. In Italia, secondo il colosso di Mountain View, tra le ricerche di tendenza più recenti ci sono proprio le tematiche ambientali. I contenuti che gli italiani vogliono approfondire sono: energia marina, economia verde, sicurezza dell’acqua, infrastruttura urbana sostenibile e vita sostenibile, appunto. Un aumento che, tra marzo 2021 e marzo 2022 il blog di Google Italy definisce “esponenziale”. E succede anche che alla barra di ricerca l’utente chieda sempre più frequentemente dove sia la stazione di ricarica per veicoli elettrici più vicina (una query in aumento del 169% rispetto all’anno precedente), così come dove trovare un mercato contadino per acquistare prodotti a chilometro zero.
La tendenza è green anche su Google Maps, la piattaforma pensata per facilitare gli spostamenti delle persone. Qui i dati mostrano come a Roma e Milano il 40% delle persone in città usi un mezzo alternativo alla macchina, sia che ci si sposti a piedi, sia che si preferiscano mezzi di trasporto pubblico o in sharing, monopattini elettrici o biciclette di proprietà. Ma il dato più alto riguarda proprio la bicicletta: due punti percentuali in più per entrambe le metropoli. Una notizia che indirettamente conferma quanto siano importanti i piani d'azione. A proposito, secondo il dossier
Non è un Paese per bici redatto da Clean Cities e Legambiente, all’Italia servirebbero 16mila chilometri di piste ciclabili in più rispetto al 2020. Vuol dire che, per colmare il gap con il resto d'Europa, nei prossimi sette anni dovremmo investire cifre importanti. Intanto, da Venezia a Catania, la bici diventa comunque e sempre di più punto di riferimento in un mondo che cambia, fatto di cui anche la tecnologia si sta accorgendo.
Britta Duerscheid, responsabile Google delle relazioni in materia di micromobilità e ciclismo, ci ha spiegato che se le indicazioni per l’uso della bicicletta vengono fornite su Maps da oltre 12 anni in circa 30 paesi, è grazie all’unione di quattro elementi: intelligenza artificiale, dati delle città, partner cartografici e feedback della comunità (ovvero milioni di persone).
Volendo approfondire come nascono i percorsi sostenibili su Maps e qual sia la visione di Google sul tema, la contattiamo e risponde alle nostre domande poche ore dopo il Giorno del ringraziamento, una delle feste più importanti dell’anno per gli americani.
“Per fornire alle persone il percorso ciclabile più aggiornato – ci dice – utilizziamo una combinazione di apprendimento automatico, algoritmi complessi e la nostra comprensione delle condizioni del mondo reale basata su immagini e dati provenienti dalle autorità governative e dai contributi della comunità.
Consideriamo anche le varie forme di piste ciclabili e le strade vicine che potrebbero essere più o meno adatte alle due ruote (valutando la presenza di gallerie, scale e condizioni di superficie precarie), in modo da offrirvi il miglior percorso ciclabile. È anche possibile vedere quanto il percorso sia pianeggiante o ripido, in modo da sapere in anticipo se si tratta di una pedalata facile e leggera o di una che farà pompare il cuore”. Strumenti di questo tipo, unitamente alla giusta attrezzatura per seguire la mappa mentre si pedala, possono inoltre aiutare, oltre ai ciclisti urbani, anche i ciclo-viaggiatori più comuni.
“Google Maps fornisce mappe satellitari, segnalazioni in tempo reale delle condizioni del traffico e consente di pianificare gli spostamenti in base al mezzo di trasporto preferito”, prosegue Duerscheid. “Dall'app è possibile trovare le stazioni di bike e scooter sharing più vicine a noi o individuare i veicoli disponibili in città, vedere il
prezzo approssimativo della corsa, stimare la durata del viaggio e, naturalmente, vedere il percorso ideale per raggiungere la destinazione desiderata”.
Google, ci spiega la nostra interlocutrice, è costantemente al lavoro per migliorare i percorsi proposti e il territorio è direttamente coinvolto in questo processo di sviluppo continuo.
Un appello è rivolto anche alle amministrazioni: “Siamo al lavoro per raccogliere nuove informazioni, come piste ciclabili appena aperte o ampliate. Gli enti locali possono fornire questi dati attraverso il nostro strumento di caricamento dei dati geografici per far sì che le informazioni più recenti sulle piste ciclabili siano riportate in Google Maps. Abbiamo partnership che coprono più di 10mila amministrazioni locali, enti per i trasporti e organizzazioni in tutto il mondo. Questo include tutto, dagli orari di viaggio, alle piste ciclabili, alle chiusure stradali e altro ancora”.
MOBILITÀ SU MISURA
VIAGGIO ALLA SCOPERTA DEL LABORATORIO PIRELLI DOVE SI TESTANO SOLUZONI INNOVATIVE A DISPOSIZIONE DEI PIONIERI ITALIANI DEL MOBILITY MANAGEMENTPochi probabilmente lo sanno: il primo pneumatico prodotto da Pirelli nel 1894 era per e biciclette o, come si chiamavano allora, i velocipedi. “La mobilità dolce è nella nostra storia”, può quindi sostenere a ragion veduta Stefano Porro, head of future mobility dell’azienda. “Nel 2017 siamo tornati in questo settore e abbiamo riconvertito lo stabilimento di Bollate, vicino alla nostra sede di Milano, dalla produzione di pneumatici per auto a quelli per biciclette”. Una svolta che ha anticipato i cambiamenti del mercato e delle abitudini di chi si muove nelle città.
Del resto il lavoro di un head of future mobility è un po’ più ampio di quello del mobility manager. Porro lo descrive così: “Analizzare i trend di mobilità e come si stanno sviluppando nelle diverse capitali europee, proporli come occasioni di business all’azienda ma anche, all’interno, come possibili servizi per la mobilità dei dipendenti”. E quali sono i modelli da guardare in questo momento? “Non c’è solo Copenaghen. Parigi sta facendo scuola, Londra non la sottovaluterei”, risponde Porro. “Personalmente mi ha molto colpito Oslo che nel 2019 ha quasi azzerato il numero di persone morte per incidenti stradali (solo un decesso). Perché la sostenibilità
non è solo questione ambientale, riguarda anche la sicurezza delle persone”.
Tra i principali trend di mobilità c’è ovviamente la bici. “L’attenzione per questo segmento è sempre maggiore, soprattutto dopo la pandemia, che ha portato in evidenza la mobilità individuale sicura e a basso impatto ambientale”. E non c’è solo questo. Porro richiama l’attenzione su un aspetto tecnologico: “Nell’e-bike si incontrano le due principali tendenze della mobilità: elettrificazione e digitalizzazione che abilita la condivisione”, spiega e sottolinea il ruolo (e la responsabilità) delle aziende nello sviluppo della smart mobility e della mobilità dolce. “Con la crescita dello smart working le aziende sono diventate fondamentali per la domanda di mobilità ma anche per le scelte delle persone. Tre sono i fattori della smart mobility: infrastrutture, veicoli, comportamenti.
Le aziende hanno l’opportunità di agire sui tre livelli con mezzi sostenibili e sicuri, infrastrutture che possono mettere a disposizione dialogando con le pubbliche amministrazioni e le istituzioni, oltre che con programmi di formazione e attività per coinvolgere i dipendenti in questo percorso verso la sostenibilità”.
Pirelli, da questo punto di vista, è una sorta di laboratorio in cui si testano, con i dipendenti, prodotti e servizi che vengono poi proposti ad altre aziende. In questo momento il gioiello di famiglia è la piattaforma Cycl-e around: “Il nostro è un noleggio di bici elettriche dedicato a comunità private, non un servizio di sharing tradizionale. I nostri partner sono hotel, università, aziende: insieme costruiamo programmi di mobilità dolce”, spiega Francesco Bruno, direttore della business unit micromobility solutions. “Attualmente contiamo più di 30 clienti, tra cui aziende come Terna, Aon, Electrolux, Ntt Data. Nel 2023 l’obiettivo è arrivare a mille biciclette su tutto il territorio nazionale e poi contiamo di cominciare a guardare all’estero”. Una pedalata verso il futuro seguendo
STEFANO PORRO, HEAD OF FUTURE MOBILITY: “INFRASTRUTTURE, VEICOLI E COMPORTAMENTI SONO I FATTORI DELLA SMART MOBILITY. LE AZIENDE POSSONO AGIRE SU TUTTI E TRE”
FRANCESCO BRUNO, DIRETTORE BUSINESS UNIT MICROMOBILITY SOLUTIONS:
“NON SIAMO UNO SHARING TRADIZIONALE, NOLEGGIAMO E-BIKE A COMUNITÀ PRIVATE CON CUI COSTRUIAMO PROGRAMMI DI MOBILITÀ DOLCE”
CARGO, IL VIAGGIO CONTINUA
PROSEGUE CON OFFICINE RECYCLE E TRIKEGO IL RACCONTO DI BIKE DEDICATO ALLA SCOPERTA DEI PRODUTTORI DI BICI DA CARICO MADE IN ITALY. STORIE DI CORAGGIO E CREATIVITÀ
Le storie di bici cargo prodotte in Italia raccontano sfide di coraggio e creatività. Sullo scorso numero di BIKE abbiamo iniziato un viaggio per dare voce a produttori come Riccardo Tavernari di Irena Bike a Modena, Walter Turbinano con la sua Panda bike a Treviso e Giacomo di Bcargo con tutto il team di Florence Bike Lab a Scandicci, provincia di Firenze. Questa volta siamo in Emilia Romagna e in Lombardia per incontrare Officine Recycle e TrikeGo.
Artiginalità e attenzione all’utente finale, assieme alla passione per le relazioni umane, sono fattori comuni a tutte queste officine che, a volte, diventano luogo dove fermarsi a mangiare una pasta fresca o ad ascoltare un po’ di musica. Succede così a Soliera, provincia di Modena, dove Marco Casalgrandi sei anni fa ha messo in piedi il progetto delle Officine Recycle. Tra attrezzi del mestiere, categorizzati con un segno a pennarello nero e una piccola sala prove per quando c’è voglia di musica dal vivo, insieme a Giulia, Eros e ad altri appassionati, tutto viene fatto in casa. Si producono circa 70 biciclette l'anno, vendute principalmente a privati e per lo più all’estero. “Sono stato disegnatore meccanico per anni – racconta Casalgrandi –ma volevo un progetto mio. L’idea è nata quando sono diventato papà e avevo l’esigenza
di portare in giro mia figlia”. Inizia così l’avventura delle Officine Recycle. Il nome è un chiaro manifesto a sostegno dell’ambiente. I modelli sono realizzati sia ex novo sia dando una seconda (e durevole) vita a pezzi usati. “In pochissimi richiedono cargo a motore –osserva –, piuttosto qualcuno ci chiede di imparare a saldare e vuole costruire con noi la propria bicicletta. Una volta terminato l’assemblaggio, si mettono in sella e tornano a casa”.
C’è anche chi, con la cargo, ha fatto viaggi piuttosto lunghi: “Una famiglia, per esempio, ha viaggiato con la loro bimba di due anni da Amburgo fino a Lisbona. Io stesso l’ho fatto con mia figlia, siamo arrivati nei Paesi Baschi”.
La prima cargo prodotta da Officine Recycle è stata Bronte: ora acquistabile anche in versione e-bike motorizzata Oli, ha una struttura da mountainbike e spazio carico da 75x55 centimetri. “Le nostre cargo sono in acciaio e prodotte su misura”, precisa Casalgrandi. “Il telaio viene richiesto su ordinazione e il box viene adattato a seconda delle esigenze, oppure si può decidere di lasciare lo spazio del carico libero per creare il proprio box in autonomia. Se richiesta, anche la copertura viene cucita e assemblata da noi”.
Con TrikeGo ci spostiamo invece ad Arese, rovincia di Milano, dove l’idea di un progetto imprenditoriale dedicato alle bici da carico inizia con una collaborazione: trovare un modo innovativo per distribuire i prodotti locali a domicilio. A cavallo tra il 2010 e il 2011, dopo aver lavorato nella comunicazione, Francesco Casoli riparte da zero e diventa un corriere a bordo di una bici cargo. “Sono dell’idea – spiega – che per poter capire le cose bisogna prima conoscerle e provarle in prima persona. Tutti i giorni tornavo a casa pieno di informazioni. Mamme, negozianti, in molti mi fermavano per sapere qualcosa in più sulla bici che guidavo. Praticamente un'indagine di mercato durata dodici mesi. Ho capito che esisteva la domanda, ma mancava l’offerta. Così mi son fatto un grande regalo di compleanno: festeggiare i 40 anni con il mio primo prototipo di cargo”. Oggi ne vende circa 200 partendo dal mercato locale.
La formula vincente, lanciata sin dal principio, è stato il noleggio: “Sul territorio ero l’unico che faceva personalizzazione e servizio noleggio. A Milano siamo referenti per circa 15 agenzie pubblicitarie che con i nostri mezzi portano in strada qualsiasi tipo di prodotto. La cargo bike è capace di diffondere un messaggio trasversale“, sottolinea Casoli. “Abbiamo lavorato sul noleggio anche per i privati, facilitando il pagamento a rate sia per le aziende sia per le famiglie. Usare una bici di questo tipo per qualche giorno è l’opportunità per capire che l'eventuale acquisto è un investimento che si ripaga molto velocemente”.
Da qualche mese, le cargo di TrikeGo si possono provare anche a Milano, all’interno della nuova Ciclofficina Nascosta, nel cuore di Parco Sempione. Si possono noleggiare durante i giorni di apertura (martedì, giovedì e sabato) e tutti gli altri giorni solo su appuntamento. E a dieci anni di distanza dalla nascita è arrivato un nuovo modello TRK9, in acciaio e dal colore personalizzabile, poco più di due metri di lunghezza con un pianale di carico rettangolare di 86 centimetri, per un peso di 35 chili (senza box), motore elettrico integrato, display e circa 80 chilometri di autonomia.
GIRA LA RUOTA
IL 2023 DELLA BICICLETTA È RICCO DI APPUNTAMENTI
PER APPASSIONATI E ADDETTI AI LAVORI. DAI BIKE FESTIVAL ALL'EICMA, PASSANDO ATTRAVERSO GLI EVENTI A MARGINE DI IMPORTANTI MANIFESTAZIONI SPORTIVE. ECCO LE DATE DA CERCHIARE IN AGENDA
Il 2023 prende la forma delle due ruote. Sono numerosi, infatti, gli appuntamenti fieristici a tema bici in calendario per questo nuovo anno. C’è solo l’imbarazzo della scelta, tra eventi che hanno superato il secolo di anzianità – come il Giro d'Italia che celebra l'edizione 106 – e rassegne più giovani ma già consolidate. Di tanti BIKE è stato in più di un’occasione media partner, come nel caso dell'Italian Bike Festival. Proprio per valorizzare tutti questi eventi, sul sito di Bikechannel.it, verrà costantemente aggiornato il calendario con altre iniziative che arricchiranno il cartellone, ma ecco una prima e parziale panoramica. Si parte con gli Emoving days che, forti del successo delle prime due edizioni, si preparano al tris. Le date da segnare in agenda sono 31 marzo e 1-2 aprile e la location si riconferma il quartiere di CityLife a Milano,
pronto a ospitare un punto di riferimento per il settore della mobilità elettrica e urbana. Dopo una prima edizione con 15 mila visitatori, si sposta invece a Bologna, nello spazio DumBo, la Fiera del Cicloturismo: l’1 e il 2 aprile focus su vacanze per le famiglie, avventure per i cicloviaggiatori, con una giornata (il 31 marzo) dedicata interamente al B2B. Dal 28 aprile all’1 maggio torna il Garda Bike Festival Quattro giorni dedicati alla mountain bike, muscolare ed elettrica: il fulcro del festival nell’Area Cattoi di Riva del Garda è la fiera outdoor, in cui i grandi marchi bike attirano gli appassionati con presentazioni, test di prodotto e offerte. Mobilità sostenibile, green economy, turismo esperienziale e workshop show sono poi i capisaldi dell'Ecomob Expo City, in programma dal 12 al 14 maggio a Pescara.
Sarà a suo modo storica la 52esima edizione della Nove colli: a Cesenatico, il 21 maggio, per la prima volta verrà aggiunto anche un terzo tracciato chiamato Laltro percorso, da 60km,per godersi la corsa in maniera diversa. Confermato l’appuntamento con la maratona di mountain bike più dura al mondo: il 17 giugno nel palcoscenico delle Dolomiti l’edizione numero 13 della Bmw Hero Südtirol Dolomites. Per l’occasione, a Selva di Val Gardena, torna anche l’Hero Bike Festival: dal 15 al 18 giugno, spettacoli, musica e intrattenimento. A giugno tantissimi appuntamenti per gli appassionati della bici. È fuori dall’Italia ma rappresenta un riferimento per tutti la fiera Eurobike, in programma dal 21 al 25 giugno a Francoforte. E ancora migliaia di viaggiatori in bicicletta sotto lo stesso cielo, quello di Mantova: dal 9 all’11 giugno, di fronte ai suggestivi laghi della città, torna Bam!, il più grande raduno europeo di cicloviaggiatori.
Sempre a giugno anche Bergamo ospita la nona edizione di BikeUP, la prima fiera internazionale su e-bike, cicloturismo e mobilità elettrica leggera (e-scooter ed e-moto).
Tre giorni di esposizione, coinvolgimento del
pubblico ma soprattutto free test e prove di e-bike. In calendario a giugno anche l’Orobie bike fest a San Pellegrino Terme, tra escursioni nell’Alta Valle Brembana, raduni mtb, stand espositivi e l’Open bike, dal 9 all’11 giugno a Opendream, a pochi passi dall’aeroporto di Treviso, praticamente attraversato dalla ciclovia Treviso – Ostiglia. Intitolata all’Umanitè, la Maratona Dles Dolomites si terrà, come da tradizione, il primo fine settimana di luglio, il 2 del mese, con i suoi tre percorsi attraverso passi epici, dal Pordoi al Giau. Dal 15 al 17 settembre, la capitale delle due ruote tornerà ad essere Misano: è qui che si tiene l’Italian Bike Festival, il Salone Internazionale della Bici in cui centinaia di brand di settore si connettono con consumatori, partner commerciali e media. Festeggiarà invece gli ottant’anni l’Eicma, l’esposizione internazionale in programma dal 7 al 12 novembre a Milano. Al Salone del ciclo e motociclo, insieme alle due ruote a motori in mostra anche diverse biciclette a pedalata assistita, muscolari, accessoristica e componenti le cui aziende produttrici spesso operano a cavallo dei due mondi.
OTTANTA VOGLIA DI BICI
MENTRE IL SALONE INTERNAZIONALE DEL CICLO E MOTOCICLO FESTEGGIA LE OTTO DECADI, LA BICICLETTA È RITORNATA
Al Salone internazionale del ciclo e motociclo –che quest’anno spegne ottanta candeline – la bicicletta, spinta dal successo dell’e-bike, è tornata protagonista. Da Fantic a Ducati sono tanti i brand motociclistici che stanno sviluppando la propria presenza nel segmento della pedalata assistita. Non solo. Anche produttori di accessori, abbigliamento e componentistica come Givi, Sidi o Galfer – tanto per fare qualche nome tra gli 80 brand e 130 imprese (su 1.370 marchi) presenti – puntano con sempre maggiore decisione su entrambi i mercati a due ruote (pedali e motori). Eppure all’Eicma non c’è ancora tutto il mondo bici che gli organizzatori vorrebbero. Lo ha detto ai microfoni di Bike Channel Paolo Magri, presidente Ancma e ad Eicma, commentando il bagno di folla della 79esima edizione (+38% di visitatori sul 2021). “Noi siamo apertissimi e sappiamo di essere uno strumento importante anche per accedere a un pubblico più ampio di quello dei soli appassionati”, ha commentato, rilanciando l’appuntamento al 2023. Magri, che si è detto “appassionato di due ruote in generale”, ci ha anche confidato di andare ormai “più in bici che in moto”, grazie anche alla pedalata assistita che, a suo dire, “amplia ulteriormente il pubblico dei potenziali fruitori”. Lo pensa anche Piero Nigrelli, responsabile della sezione biciclette di Ancma, l’associazione di Confindustria del ciclo e del motociclo: “La bicicletta muscolare, diciamo tradizionale, continua a fare grandi numeri e direi fatturato –ha dichiarato a Bikechannel.it – ma è innegabile che l’e-bike viva una stagione nuova. È cambiato il prodotto, sono cambiati
gli utilizzatori. Da mezzo rivolto a chi faceva brevi spostamenti spesso solo urbani perché aveva una struttura pesante con una tecnologia orami vecchia, è diventato un mezzo davvero smart. C’è una nuova frontiera dell’e-bike che interessa un pubblico giovane che fa mountain bike o l’adulto che si impegna su medio-lunghe percorrenze”. C’è da credere che quest’anno di biciclette muscolari ed e-bike all’Eicma se ne vedranno, forse, ancora di più.
RINASCERE ELETTRICI
L’ambizione è già nel nome: Talet-E, ispirato a quello che viene considerato il primo filosofo della storia del pensiero. La startup, che a settembre 2022 ha compiuto il suo primo anno di vita, vuole “creare qualcosa che ancora non esiste”, come dice Paolo Gagliardo, il manager che guida le operazioni: un sistema per rendere elettrici scooter e moto che non lo sono e farli entrare, a partire dalla seconda metà del 2023, nell’era della mobilità sostenibile (come permette un decreto del ministero delle Infrastrutture e della mobilità entrato in vigore nell’ottobre 2022). L’idea è stata in gestazione per circa due anni, ha poi trovato un gruppo di imprenditori pronti a sostenerla e due personaggi che sono impegnati a farla diventare realtà: Sertac Yeltekin, ceo e uomo di finanza, e Giordano, appunto, a cui tocca il compito di sviluppare le operazioni di ricerca e sviluppo e portare il prodotto sul mercato, forte di una importante esperienza nel mondo dell’auto: ha lavorato in Ford, Piaggio e Fca negli anni di Testore e Marchionne. “Ultimo incarico: direttore generale del marchio Abarth. Ne ho viste di tutti i colori”. “All’inizio Talet-E era un semplice progetto di retrofit per alcuni scooter. Poi ci siamo resi conto che avevamo una grande opportunità: costruire una piattaforma elettrica universale come sono Android o Apple nella telefonia”, racconta Giordano. “Talent-E può essere applicato a tutti i marchi e a tutte le cilindrate, da 50 a 400 e presto anche oltre”. C’è quindi la possibilità di una seconda vita per moto e scooter, in una logica di
economia circolare e transizione energetica. L’idea iniziale era quella di vendere il sistema a chi vuole trasformare il proprio mezzo in elettrico, ma adesso si sta evolvendo: “Possiamo acquistare veicoli usati e rivederli elettrificati e possiamo anche offrire la nostra piattaforma ai produttori e a tutta la filiera delle due ruote a motore per valorizzare il parco veicoli con un pacco di batterie e un sistema che li fa entrare in una nuova dimensione”. Basti pensare a chi gestisce grandi flotte di due ruote, come gli operatori del delivery o i corrieri, che possono riconvertire i loro mezzi in chiave sostenibile. Come viene fatta la riconversione? “Togliamo scarico, serbatoio e motore e lo sostituiamo con quello elettrico e la batteria necessaria per l’alimentazione”, spiega Giordano. Le operazioni non durano più di quattro ore, poi serve circa una settimana per la parte burocratica, perché il veicolo avrà un nuovo libretto e un’app per gestire a distanza il suo funzionamento. Costi? Mediamente circa 2.500 euro, con la parte di installazione variabile in base alle città e con la possibilità di acquistare una batteria supplementare estraibile per aumentare l’autonomia e stare tranquilli, anche se si parla di almeno 100 chilometri per carica. Si comincerà nel secondo semestre 2023 con Milano e Roma, dove saranno aperti due flagship store. Obiettivo per il primo anno: elettrificare 10mila veicoli, il 2% di quelli in circolazione. “I nostri concorrenti non saranno gli scooter elettrici, ma le e-bike”, conclude Giordano.
Una nuova creatura di micromobilità, a trazione tutta italiana, si candida a risolvere il problema dell’ultimo miglio, che sia in città per lavoro o in vacanza per svago. Elisa, il monopattino con l’autonomia di 40 chilometri richiudibile in sei secondi e portatile come una normale borsa, è solo la prima creazione di Linkable. La startup nata nel 2020 e di stanza da poco a Trento, ha in Elisa il primo di tre prodotti che ricercano il miglior compromesso possibile tra prestazioni e minimalismo. Giacomo Pasciuta, del team di Linkable, ha raccontato a BIKE cosa ha portato l’azienda a voler sviluppare monopattini elettrici più smart possibili: “L’idea è nata dal dottor Francesco Guidetti, fondatore e ceo di Linkable, il quale si è reso conto che gli spostamenti in macchina, treno o in barca, fossero limitati nel momento in cui viene parcheggiato il mezzo, con ancora il cosiddetto ‘ultimo miglio’ da fare. Per questo ha cercato di produrre un mezzo che potesse essere ideale da mettere in un portabagagli, in una stiva di una barca o dentro un camper affinché una volta parcheggiato il veicolo potesse averne un altro, elettrico (quindi sostenibile), comodo e il più leggero possibile”. Elisa, in commercio dall’agosto scorso, va proprio in questa direzione. Con un peso inferiore ai 15 kg, una volta chiuso è portatile sia tramite maniglia sia a tracolla, come una borsa delle dimensioni di una racchetta da tennis. Ha un’autonomia, che con due batterie alternabili, può raggiungere i 40 chilometri e dispone di un car charger, con la classica presa da 12V e l’adattatore che consente di poterle ricaricare pienamente in poche ore in macchina, camion, camper o barca. Minimalismo che però non preclude guida e confort superiori al classico monopattino urbano in sharing. Ideato e sviluppato da designer e ingegneri italiani, ha una dozzina di brevetti che lo rendono un prodotto unico sul mercato: soluzioni elettriche (luci di svolta e riflettori) e meccaniche
(ruote basculanti, manubrio pieghevole e pedana di grandi dimensioni ad apertura automatica) si mescolano con un design innovativo. Il risultato è una comodità che permette una guida posturalmente corretta, eretta e con i piedi paralleli. Elisa, nella ricerca di prodotti ultraportabili, sicuri ed esteticamente belli, è il primo della famiglia Linkable che si allargherà con la messa in commercio quest’anno di Figaro, un e-scooter con ruote da 12 pollici che può essere trasformato in un trolley compatto, e Lucido, una e-bike leggera e pieghevole con ruote grandi (26”) e cambio elettronico automatico senza catena o cinghia, ideali per spostamenti brevi e agili. Così come tutti i prodotti della famiglia Linkable, Elisa si rivolge a un target eterogeneo. Oltre alla vendita b2c –sul web e in alcuni negozi specializzati – punta alla commercializzazione b2b tramite collaborazioni soprattutto con marine, porti e mondo del truck, per lavoratori che possono sfruttare al meglio le caratteristiche di portabilità e confort di un monopattino nei loro spostamenti quotidiani.
GLI AFFARI SPRINTANO ONLINE
Pensate di poter entrare in un negozio dove ci sono migliaia di biciclette pronte da comprare o da scambiare con la propria, in meno di 24 ore e risparmiando fino al 50%. Esiste online, si chiama Tuvalum e non a caso è il più grande marketplace per le due ruote in Europa, come dire la più affollata vetrina per l’usato garantito. È stata aperta nel 2015 a Valencia da Alejandro Pons, oggi poco più che trentenne, e da Ismail Labrador, quarantenne, ed è già una presenza importante anche in Italia, che per la startup è diventata il terzo mercato dopo Spagna e Francia. “Io sono un appassionato di sport, mi sono sempre mosso in bici e pratico mountain bike”, racconta Pons, che spiega così l’origine del nome: “Tuvalu è un piccolo atollo della Polinesia, il primo Paese al mondo che resterebbe sommerso dall’innalzamento degli Oceani causato dal cambiamento climatico. Per questo l’abbiamo scelto come simbolo della mobilità sostenibile e dell’economia circolare”. Perché con la bici si può contribuire a salvare Tuvalu: “Con quelle che abbiamo finora venduto sul nostro sito sono state risparmiate oltre 2.500 tonnellate di CO2”. Tuvalum ha già raccolto poco meno di 7 milioni di euro (5 nel 2022), ha un team di 45 persone e nel 2023 conta di arrivare a un fatturato di 15 milioni (+50% rispetto al 2022). Che cosa funziona? “La combinazione di prezzo conveniente e rarità della bici”, risponde Pons. “A questi due fattori va aggiunto il nostro servizio di revisione e ricondizionamento: la bici è praticamente come nuova. Questo è il nostro core: certifichiamo il pezzo e diamo una garanzia da 12 a 24 mesi con assistenza post-vendita”. Vendono privati che non usano più la bici, che hanno bisogno di soldi o vogliono cambiare con un modello di livello superiore. Tuvalum tratta prevalentemente bici da strada, mountain bike, e-bike ma tutte di media-alta gamma, dai 1.000-1.500 euro in su. E ormai non si rivolge solo ai ciclisti con la voglia di novità.
“Dopo il boom del 2020 molte biciclette sono rimaste in magazzino e oggi c’è il problema inverso rispetto a quando non si trovavano bici”, spiega Pons. “Un negozio può rivolgersi a Tuvalum, che ritira l’invenduto, come anche un qualsiasi rental bike che vuole rinnovare il suo parco di mezzi”. Anche in Italia, dove Tuvalum è attiva dal 2021, guidata da Jacopo Pozzan, 25 anni, che da Vicenza è andato a Valencia per un master e lì è rimasto a lavorarci. “L’Italia è per noi uno dei principali mercati, cresciuto con ritmi straordinari: +320% di transazioni effettuate nel primo anno di attività. Nel 2023 abbiamo come obiettivo 2 milioni di fatturato. Anche noi lavoreremo per dare supporto ai negozianti che devono affrontare il problema dell’invenduto: abbiamo già partnership con oltre 50 negozi e abbiamo creato un customer care dedicato per il nostro mercato”. Prossimo obiettivo di Tuvalum: la Germania.
I PUNTI DI FORZA: PREZZI CONVENIENTI PEZZI UNICI, SERVIZI DI ASSISTENZA E GARANZIA FINO A DUE ANNI
MONOPATTINO PER TUTTI
LA FUSIONE TRA HELBIZ E WHEELS CREA UNA PIATTAFORMA INTEGRATA IN GRADO DI INCLUDERE ANCHE LE PERSONE CON MOBILITÀ RIDOTTA. PUNTANDO SU SERVIZI E SICUREZZA
Da semplici operatori di micromobilità condivisa a sistema integrato accessibile a tutti e in grado di offrire un servizio ancora più completo, con applicazioni innovative e soluzioni attente alla sicurezza e all’inclusione quali punti di forza. Grazie al casco, anch’esso condiviso, in dotazione e a un’ampia flotta di e-bike, e-scooter, ciclomotori e ora anche veicoli adattivi e dispositivi di seduta a due e tre ruote. È di fine ottobre l’annuncio del piano di fusione tra la statunitense Wheels, piattaforma di mobilità elettrica condivisa, e l’italiana Helbiz, fondata da Salvatore Palella e quotata al Nasdaq.
La notizia è arrivata a pochi giorni di distanza da un altro importante annuncio che ha riguardato Helbiz, cioè la partnership con Moovit per una più precisa geolocalizzazione. L’operazione permetterà a Helbiz, come ha spiegato la società, “di offrire un nuovo veicolo, di espandere la sua presenza negli Stati Uniti, di aggiungere un’attività di noleggio individuale a lungo termine e di raddoppiare il fatturato annuale” che a fine anno dovrebbe attestarsi intorno ai 25 milioni di dollari. Sviluppato in-house e brevettato, il veicolo Wheels è inoltre unico nel suo genere: si tratta di un mezzo a due ruote in linea ma con sedile, altamente innovativo e dal design all’avanguardia, in grado di muoversi senza impedimenti tra le vie della città. Baricentro basso e ruote da 14 pollici, è proprio questa soluzione tecnologica a renderlo particolarmente sicuro anche su strade sconnesse e superfici che presentano forti irregolarità. Caratteristiche che, unitamente l sistema di rilevamento del marciapiede alimentato da intelligenza artificiale e alla tecnologia selfie del casco in dotazione, rendono
l’utilizzo di questi mezzi ideale anche per le persone con ridotta mobilità.
La tecnologia Wheels prevede altresì l’opzione aggancio alla maggior parte di tipologie di sedie a rotelle, trasformandole, di fatto, da manuali a motorizzate, e consentendo il raggiungimento di una velocità di quasi 20 km orari. Contribuendo così a trasformare quello che potrebbe essere uno spostamento estenuante in un viaggio più piacevole. In flotta c’è anche uno scooter adattivo a tre ruote, anch’esso pilotabile da seduti. Funzionando in modo analogo a come si può comportare il monopattino per chi può viaggiare in piedi, entrambi questi veicoli adattivi contribuiscono così ad ampliare, veramente per tutti, le opportunità di accesso alla micromobilità condivisa.
Che si utilizzi la bicicletta per diletto, passione o per coprire il percorso che da casa porta al posto di lavoro quello che si chiede al proprio casco è che coniughi sicurezza, comfort e, perché no, eleganza. Se poi il casco fosse adatto alle diverse discipline sarebbe proprio perfetto. Questo, in sintesi, è ciò che desiderano mettere in testa gli amanti delle due ruote e proprio Sintesi si chiama la risposta di Kask.
L’azienda italiana nata nel 2004 da sempre sviluppa, progetta e produce caschi di altissima qualità nei quali la sicurezza è tra le priorità. Nel mondo del ciclismo non esistono standard che tengano conto degli impatti rotazionali e così, nel 2019, Kask ha introdotto il proprio protocollo per poter ovviare a tale mancanza, il Kask Rotational Impact WG11 Test, che attinge agli studi di esperti del settore e del mondo accademico per migliorare il modo in cui i caschi vengono valutati rispetto alle forze rotazionali.
Nei test i caschi vengono fatti cadere su un’incudine inclinata a 45° valutando così quale protezione assicurano ai ciclisti. BrIC, l’algoritmo, definisce il potenziale livello di lesione al cervello in caso di impatti, indicando come il valore che definisce un casco sicuro debba essere inferiore a 0,68. Minore è il valore, minore è il rischio. I prodotti Kask hanno valore sempre inferiore a 0,39. “Da quando abbiamo introdotto Kask Rotational Impact Impact WG11 Test abbiamo rivoluzionato
“Oggi siamo in grado di offrire caschi che non solo
hanno un design ricercato e permettono ai ciclisti di massimizzare le loro performance, ma offrono anche il miglior livello possibile di protezione. Abbiamo imparato molto dalla nostra ricerca in questo settore e la nostra esperienza e competenza continueranno a svolgere un ruolo fondamentale nel modo in cui integriamo nuovi materiali e tecnologie nella nostra gamma di caschi”. Sintesi non fa eccezione ponendosi così ai vertici dei caschi per i commuter. La calotta interna è in Eps mentre quella esterna in policarbonato. Le unisce un'imbottitura Blue Tech traspirante, antibatterica e antistatica. Non solo sicurezza, dunque, per il neonato dell’azienda italiana. Il comfort è ai massimi livelli grazie al peso ridotto, solo 230 grammi (per la taglia M), e il sistema di regolazione Ergo Fit che garantisce inoltre ottima vestibilità anche quando si pedala su terreni irregolari. Sintesi è ideale per gravel, strada ma anche il contesto urbano grazie alla cura ai dettagli e allo stile. Per esempio i tre punti di ancoraggio del cinturino negli inserti laterali e posteriori sulla calotta esterna sono nascosti alla vista. Ben undici le colorazioni presenti nella gamma che permettono a ogni ciclista di scegliere quella più adatta al proprio stile personale, bicicletta ooutfit. Si va dalle classiche colorazioni black, white, grey, red, light blue e sea ice, fino alle sfumature più ricercate come il wine red, tangerine, oxford blue, sahara e aloe green. Il range di taglie copre le misure da 52 a 62 centimetri con tagli M e L. Il prezzo consigliato al pubblico è di 100 euro.
23.02.23 Bergamo
IL VIAGGIO ALLA SCOPERTA DELLE Eccellenze Italiane
15.03.23 Salerno 18.04.23 Treviso
10.05.23 Bologna 22.06.23 Cagliari
04.07.23 Ancona 14.9.23 Lecce 10.11.23 Palermo
12.10.23 Perugia
Dopo il grande successo ottenuto nelle 6 tappe del 2022, continua anche nel 2023, con ben 9 tappe, il viaggio di Forbes dedicato alla scoperta delle PMI, spina dorsale dell’Italia che cresce. Un’occasione per confrontarsi su temi quali sostenibilità, innovazione, digitalizzazione, internazionalizzazione, welfare, accesso al credito e per creare relazioni professionali. Il progetto è rivolto a imprenditori e manager che gestiscono PMI del territorio e alle grandi aziende che vogliono mettersi in contatto con loro. SCOPRI DI PIÙ: www.eventi.forbes.it/smallgiants/
VERSO NUOVI TRAGUARDI
Nella sua carriera ormai non manca nulla: a quasi 34 anni Elia Viviani è ancora competitivo e ha raggiunto di fatto tutti i più grandi successi che un ciclista possa sognare. E come se non bastasse, lo ha fatto sia su strada che su pista. In pista ormai ha conquistato tutto, bissando anche il successo iridato nell’Eliminazione, a Roubaix prima e Parigi poi, risultati ai quali si aggiungono gli otto ori europei e quello Olimpico di Rio 2016 nell’Omnium: “Il momento più bello è stato sicuramente l’oro di Rio”, confida a BIKE “La svolta nella mia carriera è arrivata dopo le Olimpiadi ed è lì che ho capito di poter puntare davvero in alto: l’oro mi ha dato la consapevolezza del campione. Poi ci sono tante altre grandi soddisfazioni nella mia carriera: la prima tappa al Giro nel 2015 (l’Albenga-Genova ndr) e la prima al Tour nel 2019 (la Reims-Nancy), lontane l’una dall’altra, e poi il Campionato italiano nel 2018. Ci sono anche tanti altri piazzamenti –prosegue – incluso il bronzo olimpico di Tokyo 2020”, dove Elia è arrivato da portabandiera insieme a Jessica Rossi. Lo scorso anno, però, è arrivata la sua vittoria più bella: il sì di Elena Cecchini che sull’altare gli ha giurato amore eterno, insieme per il resto della vita. “È stata una giornata fantastica, passata troppo velocemente… con Elena ci siamo detti che sarebbe addirittura da rifare. Le emozioni sono state tantissime, eravamo in tanti e lì con noi c’erano i nostri familiari e gli amici di una vita. Poi siamo partiti per il viaggio di nozze che è stato bellissimo. Otto giorni in Namibia, dove abbiamo fatto il safari, e poi una settimana di relax alle Mauritius, dove abbiamo raggiunto Ganna e Consonni con le rispettive compagne”. Figli, insieme, ne desiderano. “Sì, posso svelare siano nei piani, io ed Elena parliamo spesso di famiglia. Anche Elena, però, ha una carriera a cui pensare ed è libera di farlo fino a quando ne avrà voglia. Ha il contratto in scadenza nel 2024, con un’opzione per il 2025, quindi vedremo”. Il giorno del matrimonio era il 22 ottobre, meno di una settimana dopo la conquista, il 16 ottobre, del secondo oro mondiale nell’Eliminazione per Viviani, al termine di una gara furba, cattiva e perfetta, proprio quando servivano rigore e precisione. Solitamente è una gran confusione la corsa a eliminazione, ci vogliono gambe, intelligenza e tattica: una volata dopo l’altra, l’ultimo a passare la linea d’arrivo viene eliminato: “Vincere per il secondo anno consecutivo la maglia iridata nell’Eliminazione è stato speciale. Anche perché è una delle specialità che preferisco. E riconfermarsi non è mai facile, sopratutto dopo una stagione non semplice… ma guardo avanti verso i nuovi obiettivi”, ha continuato Elia.
Quali saranno i prossimi obiettivi? “Vincere un altro oro olimpico a Parigi 2024 è l’obiettivo principale”, sentenzia. “Mi piacerebbe poi vincere il Mondiale con il quartetto – che è validissimo e fortissimo – e poi sogno la maglia iridata su strada: il percorso dei Mondiali di Glasgow di quest’anno mi incuriosisce, però per arrivarci ci sono prima dei passaggi fondamentali e innanzitutto devo tornare ad andare forte su strada”. Intanto Viviani si augura “di partire subito forte e quindi di tornare ad alzare le braccia al cielo anche su strada. Il mio obiettivo è centrare le dieci vittorie nei grandi giri, ma importante sarà anche tornare a vincere in corse di livello e quindi World Tour che non succede dal 2019, per presentarmi al Giro d’Italia, se farò parte della rosa dei partenti, in ottima forma”.
Aldilà degli obiettivi sportivi che sogni ha Elia? “Vincere l’oro alle Olimpiadi di Parigi 2024”, ripete, a conferma di quanto ci tenga, “e poi pensare al post carriera”. Idee? “Vediamo, dipenderà dalle occasioni che ci saranno nei pr ssimi anni. Dopo il 2024 (anno in cui scade il suo contratto con il Team Ineos Grenadiers, ndr) mi piacerebbe firmare per altri due anni. Parigi è sicuramente il più grande obiettivo di questi ultimi anni di carriera, ma altri due anni da corridore, oltre il 2024, ad oggi, li farei. Sto bene e ho le giuste motivazioni. Quello che è certo è che Parigi sarà la mia ultima Olimpiade”. Elia Viviani per il nostro ciclismo è un tassello fondamentale, è l’uomo che insieme a Marco Villa ha rilanciato la pista azzurra. Velocista e pistard, vanta su strada 87 vittorie, 5 tappe al Giro d’Italia, 1 al Tour de France e 3 alla Vuelta di Spagna. Poi il tris nella Classica di Amburgo (nel 2017, 2018 e 2019) anni che lui stesso definisce i migliori della sua carriera, il tricolore nel 2018 e il titolo Europeo nel 2019 in maglia QuickStep: “In QuickStep sono stati i miei anni d’oro, i migliori insieme al 2017 con il Team Sky”, conferma senza dubbio alcuno. “Il periodo del lockdown invece è stato il più difficile, arrivavo da grandi stagioni e ho deciso di rimettermi in gioco con la Cofidis. Da quel momento non sono più tornato a essere quello di prima”. Che errori ce ne siano stati non ha dubbio: “Certamente, alcuni miei altri dal lato della squadra”, precisa. “In QuickStep sono riuscito a ottenere 30 vittorie in due anni, andavo davvero forte e lì tutto sembrava semplice”. Su pista invece oro olimpico a Rio 2016 e bronzo a Tokyo 2020 nell’Omnium.
Ai Mondiali: due ori, due argenti e due bronzi oltre a otto titoli europei. Ma il rimpianto più grande resta la sua prima Olimpiade, quella di Londra 2012: “In quell’occasione ho voluto ‘strafare’ e quindi ho corso sia su strada che su pista pagando poi di conseguenza.
Se avessi preparato solo le Olimpiadi su pista forse oggi avrei una terza medaglia… nel 2012, infatti, sempre nell’Omnium, ero in corsa per l’oro ma ho chiuso solo sesto”. Adesso però una nuova stagione bussa alle porte e per il veronese di Isola della Scala è importantissima per tornare ad alti livelli su strada e cercare la qualificazione olimpica in vista dei Giochi del prossimo anno: “Comincerò dall’Argentina e quindi dalla Vuelta a San Juan a fine gennaio, per poi andare a Grenchen per gli Europei su pista importanti in vista della qualifica olimpica, poi Uae Tour o Volta o Algarve, la Kuurne-Bruxelles-Kuurne e a seguire Tirreno-Adriatico, Milano-Sanremo, Gand Wevelgem con la speranza di essere al via della Corsa Rosa a maggio”. Elia è pronto per scrivere una nuova pagina di quel romanzo che ha trovato il suo avvincente svolgimento tra le strade e i velodromi di tutto il mondo.
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Dal Brasile all’Italia attraverso una montagna russa di avventure. Archiviata la carriera da rider professionista, disciplina free ride, Nick Pescetto si è reinventato content creator sempre all’inseguimento di emozioni, come raccontano i suoi scatti e come recita la sua bio online (Nickpescetto.com).
Nato a Rio de Janeiro il 16 settembre 1990, Pescetto proviene da una famiglia in cui il padre si occupa di pacchetti avventura in Amazzonia, quel genere di proposte che oggi andrebbero sotto la voce ‘experience’; la madre dopo tanti anni trascorsi in una zona povera dal Brasile decide di seguire il marito in Italia.
È qui che Nick inizia a muovere i primi colpi di pedale fino a scoprire la mountain bike. Quando ha sedici anni il mondo della fotografia è in pieno sviluppo e inizia a curare da sé il proprio marketing, caricando foto su Pinkbike mentre chiede consigli ai rider più esperti su come chiudere un trick. È così che chiude il suo primo backflip.
I social non sono ancora ciò che sono diventati oggi, così Nick sfrutta l’intero potenziale del mondo digital, montando e spedendo video ai principali brand. È anche grazie a questa skill che comincia a chiudere non solo trick, ma sponsorizzazioni. Nel frattempo si iscrive all’università, step cercato e che inizia a porgli un dubbio: divenire rider a tempo pieno o costruire le premesse di un impiego nel settore del marketing? Quale la scelta giusta? È la vita a rispondere, non senza sorprese.
Appena terminati gli studi, Pescetto viene selezionato per un incarico di marketing research da un’azienda canadese: qui ha l’opportunità di testare diversi prodotti, dal suo caro mondo mtb all’universo triathlon, che non è propriamente il suo. Poi nel 2014 viene invitato da Red Bull alla Rampage, il più importante appuntamento free ride a livello mondiale. Durante un allenamento
però si sloga un polso e debutto rimandato. Il rider nato a Rio non si arrende e si ripresenta all’edizione successiva, nel 2015, ma lo fa più per divertimento personale che per sfida vera e propria, sposando una filosofia diversa rispetto all’anno precedente, così che l’attenzione è inevitabilmente più rivolta alla creazione di contenuti che non a puntare tutto sul risultato. E sono diverse le testate che di lui parleranno.
Il risultato ormai non è l’obiettivo più importante, nella mente si è fatta spazio l’idea di switchare definitivamente carriera, pur facendo una bella run. Da questo momento il bagaglio di esperienze di Pescetto continua ad arricchirsi, ancora di gare ma anche di altro tipo di eventi perlopiù mediatici, mentre crescono le energie dedicate dal rider alla ricerca della giusta luce per lo scatto perfetto. Così aumentano le collaborazioni con videomaker, riviste, magazine e giornali online, insieme ai legami stretti con nuovi colleghi, non più rider, in un campo dove, più che competere, ci si aiuta tutti assieme. Come è stato con Gopro, un rapporto che risale alla Rampage del 2014, e come è con la Creative Academy, una comunity che vanta ormai più di 20 creator, una piattaforma digitale dove le persone si iscrivono per produrre contenuti.
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LEGGERE SUI PEDALI
ARTICO. GUARDATE CON ME IL MONDO CHE CAMBIA
/ Baldini & Castoldi, 192 p., 18 € /
Da che esistono i viaggi avventurosi, l'uomo sente il richiamo dell'estremo, del disabitato, delle alte latitudini. E non serve andare a scomodare Chris McCandless, quando già nel mondo del cicloturismo sono ormai innumerevoli le scorribande tra Groenlandia, Alaska, Islanda. Omar Di Felice, il più celebre ciclo-polare italiano, stavolta ha deciso di pedalare nelle terre estreme, dalla Kamchatka fino al Circolo Polare in Nordamerica. In questo caso, però, non si tratta soltanto di un'avventura. Mentre Di Felice pedala ci sono più di 400 parti per milione di Co2 che si muovono nella sua e nella nostra atmosfera. È l'anidride carbonica che abbiamo pompato correndo dietro allo sviluppo, abusando di combustibili fossili e circondandoci di automobili. Ed è quella che si sta, giorno dopo giorno, mangiando i ghiacci del mondo. Così la bicicletta di Di Felice diventa uno strumento di incontro, testimonianza e anche un'indicazione su come provare a invertire la corsa.
LA CORSA
/ Mulatero, 216 p., 17 € /
Ha ispirato articoli, documentari, riviste e persino giovani ciclisti nell'intraprendere una carriera. Il capolavoro di Tim Krabbé, scrittore, giornalista e scacchista olandese, è una delle opere fondamentali della letteratura ciclistica, capace quasi di fondare un genere. La corsa infatti non è un reportage o una ricostruzione di una gara avvenuta, ma un'immersione frenetica e profonda nell'esperienza del ciclista, nel rapporto con il proprio corpo, la competizione e il mondo circostante. Un romanzo di fantasia più realistico di ogni diretta integrale in hd. Pubblicato nel 1978, la versione originale italiana era divenuta ormai introvabile. Un plauso a Mulatero per averlo riproposto, arricchendolo con un'intervista esclusiva all'autore.
Un libro da scoprire, o da riscoprire per chi se ne fosse già innamorato in passato.
L'ITALIA CHE VOLA
/ Ediciclo editore, 176 p., 18 € /
Parabiago è un comune con meno di 30mila abitanti a nord-ovest di Milano, al confine con la provincia di Varese. Uno dei tanti centri di medio-piccole dimensioni che circondano le città italiane ma che, a differenza di tanti altri, può vantare ben due campioni del mondo: Libero Ferrario (1923) e Giuseppe Saronni (1982). A un secolo dal primo trionfo e a quarant’anni dal secondo, queste due storie si incrociano con quelle della provincia, habitat naturale del ciclismo italiano. Un incontro doppio come quello dei due narratori, coppia di maestri della letteratura ciclistica (in questi mesi in libreria anche con Il grande Guerra) che si danno il cambio in una staffetta di racconti che faranno volare i lettori.
Questa speciale edizione della BIKE Playlist, a cura della redazione di BIKE, non poteva che essere eclettica. Proprio come disparatamente e imprevedibilmente armonici sono i gusti di chi la compone, alla stregua di quelli assolutamente unici di Deloris Van Cartier aka Suor Maria Claretta in Sister Act. Eclettica, appunto, non elettrica, come precisa in quello storico scambio di battute il personaggio magistralmente interpretato dalla vulcanica Whoopi Goldberg. Eclettica, non elettrica semmai smart, come le bici e la mobilità del domani, intuitiva e acuta come lo sono gli sguardi e le idee dei suoi direttori, degli artigiani della scrittura che a BIKE prestano l'opera, delle grafiche inventive nonché delle granitiche maestranze della produzione video e multimediale che a questo progetto collaborano. Un manipolo di professionisti che quanto a gusti non potevano che essere più disparati, dal funk al punk, dal melodico all'hard rock. Ma ci abbiamo messo il cuore. Buon ascolto!
Il ciclismo ti rende MAGRO
GIOIA CONDIVISA
Per chi corre in bicicletta i primi mesi dell’anno sono un periodo importante: si ricomincia, tra programmi e promesse, con grande attesa per la nuova stagione e la speranza di fare bene. A marzo poi, tradizionalmente nel giorno di San Giuseppe oggi nel sabato più vicino al giorno della festa del papà, si corre la Milano-Sanremo, dopo la Parigi-Nizza e la Tirreno-Adriatico, ora precedute in calendario dal Tour Down Under in Australia e dalla Vuelta a San Juan in Argentina. Per fortuna le date delle Classiche sono tra quelle cose che non mutano mai, nemmeno nel ciclismo moderno in cui sono diversi gli aspetti che sono cambiati e molti altri ne cambieranno ancora.
La particolarità della Classicissima di Primavera è che, diversamente da altre corse di un giorno come il Fiandre, la Parigi-Roubaix o il Lombardia dove se non si hanno determinate caratteristiche non si può mai essere della partita, il percorso è, per quanto duro e selettivo specie se l’andatura è sostenuta, tutto sommato semplice da interpretare. Lo ricordo sempre, anche nelle telecronache. Ciò significa che qualsiasi corridore parte con l’ambizione di poter vincere, perché il sogno di alzare le braccia sul traguardo di via Roma c’è per tutti ed è potenzialmente realizzabile.
Io, che di Milano-Sanremo ne ho corse dieci da gregario, ho sperimentato la gioia della vittoria quando nel 1980 con la Mangniflex vincemmo con Pierino Gavazzi. Abbiamo lavorato tanto per quel successo perché quel giorno era partita una fuga e anch’io feci la mia parte per contribuire a ridurre il distacco dalla testa, poi lui, con una volata delle sue si mise alle spalle, nell’ordine,
campioni del calibro di Giuseppe Saronni, Jan Raas, Sean Kelly, Roger de Vlaeminck e Francesco Moser. Due già vincitori (l’olandese una volta e il belga tre) e tre futuri della Classicissima
Quella vittoria fu per tutta la squadra una gioia immensa e condivisa perché nel ciclismo, quando si vince, si vince insieme e la squadra è sempre coinvolta; soprattutto quando hai lavorato duramente è come se avessi vinto anche tu. È difficile da comprendere se non lo si è mai provato, ma è così. Quel giorno regalammo una bella soddisfazione anche a Franco e Giuliano Magni, che erano i patron della Magniflex, due grandissimi appassionati di Prato, che in quegli anni avevano allestito una squadra di tutto rispetto per i cui colori hanno corso corridori di primissimo piano come Marino Basso, Gianni Motta e Gösta Pettersson.
Ricordo che dopo la vittoria tornai in Toscana in ammiraglia insieme a Bernt Johansson e andammo a festeggiare a Forte dei Marmi con un cenone memorabile a base di pesce e dolci in quantità industrali. Una bellissima serata la cui memoria custodisco ancora oggi, a conferma di come allora la gioia per una vittoria era veramente condivisa tra tutti. Anche oggi è importante che continui ad essere così, che in questo ciclismo in cui si investono milioni di euro in ricerca e innovazione non ci si dimentichi, oltre ai premi, di organizzare una bella cena tutti insieme. Sarà romantico, ma il ciclismo è anche questo. Noi ricordiamocelo sempre.
* Ex ciclista, dirigente sportivo e commentatore tv per Eurosport
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