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Anni di piombo e tempo perso Gigi Riva

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Noi e voi

Noi e voi

ANNI DI PIOMBO E TEMPO PERSO

DI GIGI RIVA

rrori. Ritardi. Invasioni di campo tra politica

Ee giustizia e viceversa. Complicità segrete. Ipocrisie. Falsità. Viltà. Tutto questo sta racchiuso nella vicenda ultraquarantennale degli ex terroristi italiani rifugiati in Francia e mai, salvo eccezioni, restituiti all’Italia. Una storia che avvelena da troppo tempo i rapporti tra i due Paesi, non ancora chiusa se anche l’ultimo pronunciamento della Chambre de l’Instruction della corte d’Appello, che ha negato l’estradizione per dieci persone, è stato impugnato dalla procura generale davanti alla

Cassazione, un ricorso peraltro con scarse possibilità di essere accolto in punta di diritto.

Sarebbe l’ora di sgombrare il campo da troppi equivoci partendo, senza sciovinismi, dall’ammissione che sbagli sono stati fatti da entrambe le parti nel corso di questo lungo periodo a cavallo di due millenni. L’origine dei fraintendimenti fu la cosiddetta “dottrina Mitterrand” che, se ebbe un padre nel presidente della République, ebbe almeno uno zio in Bettino Craxi all’epoca presidente del Consiglio.

Così, stando alle ricostruzioni di alcuni storici e di testimoni oculari degli incontri tra i due leader socialisti. Era la metà degli anni Ottanta, la stagione del terrorismo rosso stava per concludersi, salvo purtroppo sanguinosi colpi di coda,

Craxi voleva evitare seccature con il rientro di personaggi scomodi, e tra questi quello che lo preoccupava di più era il professore padovano Toni Negri, fondatore di Autonomia operaia. Francois Mitterrand dal canto suo non poteva rinnegare la tradizione della Francia come terra d’asilo. E tuttavia nel famoso discorso al Palais des Sports di Rennes del primo febbraio 1985 fissò un paletto. Sarebbero stati esclusi dai benefici coloro che si erano macchiati di reati di sangue.

Ed era il caso di diversi «rifugiati» o «latitanti» come venivano definiti a seconda della passione politica.

La distinzione niente affatto sottile dell’inquilino dell’Eliseo fu vanificata dalla prassi e per lungo tempo la protezione fu estesa indiscriminatamente a tutti, compresi ex terroristi che erano stati giudicati colpevoli di omicidio. Alcuni fattori contribuirono, in nome del quieto vivere, ad un sostanziale silenzio sull’applicazione di una dottrina pronunciata sì da un capo dello Stato ma che non è stata mai tradotta in una formula giuridica. Salvo alcune timide pressioni di Ciriaco De Mita, il potere esecutivo italiano mai si impegnò davvero perché fossero rispettate le nostre sentenze almeno fino al cambio del secolo. E le varie procure furono assai timide nell’inoltrare richieste di estradizione spesso lacunose. I tribunali francesi ebbero buon gioco nel respingere le richieste perché spesso le condanne si basavano sulle dichiarazioni di pentiti, cosa allora non ritenuta sufficiente (oggi va diversamente) e perché i processi si erano tenuti in contumacia quando nel codice penale francese si riconosce il diritto alla presenza anche quando ci si è sottratti volontariamente alle udienze. In Francia, inoltre, si diffuse l’idea, propagandata da diversi intellettuali tra cui si distinse Bernard Henry-Levy, che l’Italia aveva adottato per contrastare il terrorismo leggi emergenziali in contrasto con i diritti dell’uomo e che i «rifugiati» erano addirittura dei «perseguitati» da un sistema iniquo. Tanto più perché Oltralpe si erano rifatti una vita, avevano abbandonato la lotta armata e alcuni, come Cesare Battisti, avevano raggiunto un prestigio in ambito culturale come giallista.

Il clima mutò dal 2001 in poi con il governo Berlusconi II° coniugato con la presenza a Parigi di un presidente gollista come Jacques Chirac, liberato dalla coabitazione con l’esecutivo di sinistra di Lionel Jospin. Il ministro della Giustizia Roberto Castelli e il suo omologo Dominique Perben riaprirono i dossier, sembrarono mandare in pensione la dottrina Mitterrand (o almeno la sua interpretazione estensiva) concordando la restituzione all’Italia di una quindicina di condannati per la partecipazione ad attentati omicidi. Il 24 agosto 2002, Paolo Persichetti, ex Br, pena di 22 anni di carcere per concorso morale nell’omicidio del generale Licio Giorgieri, venne consegnato alle autorità italiane.

Ma il vero banco di prova del nuovo corso fu il caso di Cesare Battisti. Benché il Consiglio di Stato e la Cassazione avessero emesso parere favorevole all’estradizione, l’ex leader dei Proletari armati per il comunismo riuscì a fuggire in Brasile grazie a un passaporto fornito, secondo le sue ammissioni dopo la cattura, dai servizi segreti francesi. Fece scalpore e indignò gli italiani la poderosa campagna a suo favore scatenata da un corposo gruppo di intellettuali capeggiato da Fred Vargas e Daniel Pennac. I quali non solo si erano convinti dell’innocenza di Battisti circa i quattro omicidi per cui era stato condannato (e che lui stesso ammetterà dopo la definitiva cattura in Bolivia) ma rimanevano pervicacemente attaccati all’idea che l’Italia fosse un luogo in cui funzionava una giustizia in stile sudamericano. Se, regnante Sarkozy, l’estradizione della briga-

Il presidente francese Emmanuel Macron

tista Marina Petrella fu bloccata per ragioni di salute e forse per l’amicizia dell’ex brigatista con Valeria Bruni Tedeschi, sorella di Carla Bruni la moglie del presidente, non si poteva sperare che con Francois Hollande cambiasse granché se da segretario del partito socialista era, ad esempio, andato in carcere per esprimere solidarietà a Cesare Battisti.

Si arriva a Emmanuel Macron e alla necessità di una linea del rigore sul tema del terrorismo dopo gli attentati ( jihadisti) che hanno insanguinato la Francia soprattutto dal 2015 in poi e molto caldeggiata dalla sempre più agguerrita opposizione di destra incarnata da Marine Le Pen e, in Italia, da un partito come la Lega di Salvini, entrato stabilmente nella stanza dei bottoni. Un accordo tra i ministri della Giustizia Marta Cartabia ed Eric Dupont-Moretti sfociò il 28 aprile del 2021 nell’operazione “Ombre rosse”. Sette ex terroristi italiani arrestati tre latitanti. Sembrava la chiusura definitiva del cerchio, ma la volontà politica si è infranta contro le ragioni della Chambre d’Instruction che lo scorso 29 giugno ha rigettato le richieste di estradizioni. La fermezza voluta dall’esecutivo arriva, secondo i giudici, fuori tempo massimo e non rispetta gli articoli 6 e 8 della Convenzione europea per la salvaguarda dei diritti dell’uomo, quelli sul «diritto al rispetto della vita privata e familiare» e sull’ «equo processo», dove per equo processo si devono intendere i tempi rapidi. I processi furono sì celebrati in tempi ragionevoli ma in contumacia, e come in un gioco dell’oca si torna a una delle caselle iniziali. Al di fuori delle questioni leguleie più complicate, vale la pena sottolineare che anche la nostra Carta fondamentale, la Costituzione, sancisce che il carcere deve tendere alla «rieducazione del condannato». Non si vede come questo possa valere a tanta distanza dai fatti per persone ormai anziane e, come nel caso di Giorgio Pietrostefani, condannato come mandante dell’omicidio Calabresi, gravemente ammalate.

Più che deprecare la sentenza del giorni scorsi sarebbe dunque opportuno rammaricarsi per il tempo perduto in calcoli tattici e opportunistici che hanno prodotto l’obbrobrio giuridico di vicende giudiziarie lunghe una vita. Resta aperta la questione dei parenti delle vittime, il sempiterno dualismo sofocleo tra legge dello Stato e legge del sangue. Per loro, per i parenti, a questo punto c’è un solo risarcimento possibile: che i condannati chiariscano le loro responsabilità. Una verità largamente postuma ma pur sempre una verità. Q

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IL NO FRANCESE ALL’ESTRADIZIONE DEI TERRORISTI ITALIANI È FRUTTO DI SCELTE POLITICHE ONDIVAGHE

ssere di sinistra, oggi, significa E stare dalla parte dell’Ucraina, battersi per l’uguaglianza e giustizia sociale, e non rinunciare all’ideale del socialismo con l’aggiunta di un aggettivo: liberale, e il riferimento a Carlo Rosselli è esplicito. Schierarsi da una parte non esime tuttavia dal dovere di cogliere la complessità della situazione, che non è dar ragione un po’ a tutti, ma significa assumersi, nel bene e nel male, le contraddizioni di coloro con cui si simpatizza. Michael Walzer, filosofo della politica, animatore della rivista “Dissent” nata sessantotto anni fa negli ambienti di intellettuali socialisti, democratici e anti-stalinisti di New York, professore emerito della School for Advanced Studies di Princeton, a 87 anni è una di quelle persone che potremmo definire “i grandi vecchi”. E con lui abbiamo parlato di cosa sono oggi la sinistra e la guerra in un mondo che sta cambiando pelle.

La guerra in Ucraina segna la fine di un universo come l’abbiamo conosciuto?

«Sembra un conflitto dell’epoca della guerra fredda, un po’ come quello in Corea o Vietnam. Però gli Stati Uniti questa volta non sono coinvolti direttamente. Comunque, stiamo andando verso un mondo multipolare, e questo più per via della Cina che della Russia».

C’è “ il nuovo concetto strateg ico della Nato”, dove la Russia è indicata come nemico.

«L’attacco all’Ucraina è la ragione immediata dell’allargamento della Nato e del nuovo concetto strategico. Però, non credo sia stato intelligente identificare minacce e nemici in modo così esplicito. I “nemici” della Nato dovrebbero invece includere qualsiasi Stato che organizzi massacri sul proprio territorio

Wlodek così come qualsiasi Stato

Goldkorn che attacchi i suoi vicini. La

Giornalista Nato dovrebbe essere pron-

FILOSOFO

Michael Walzer, 87 anni è professore emerito a Princeton. Filosofo della politica, da sempre impegnato nella sinistra americana, è il principale animatore della rivista “Dissent” di New York A sinistra: Sloviansk, Ucraina, luglio 2022

ta per gli interventi umanitari, per gli sforzi di mantenimento della pace e salvataggio delle persone coinvolte in disastri naturali. Multinazionale e multiuso. Ciò detto, spero che siano ristabilite le regole del diritto e ho simpatia per coloro che hanno voluto fornire le armi agli ucraini».

Diamo per scontato che gli ucraini hanno il diritto di difendersi dall’aggressione di Putin e parliamo delle magagne dell’Occidente. L’intervento americano in Iraq finì con le torture ad Abu Ghraib, i curdi sono stati traditi dopo aver combattuto l’Isis, l’Afghanistan è stato abbandonato dagli Usa. Ora c’è l’accordo in base a cui la Turchia ha tolto il veto all’ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato in cambio di una promessa di estradizione di curdi considerati da Erdogan terroristi. Altra cosa è ov viamente riconoscere a Turchia un ruolo nell’emergenza del grano o nella possibile mediazione fra Russia e Ucraina.

(Walzer allarga le braccia). «Cosa ha ottenuto la Turchia per aver “permesso” a Svezia e Finlandia di entrare nell’Alleanza atlantica non è del tutto chiaro, ma sembra un accordo a spese dei curdi, traditi di nuovo. La Svezia nega di aver accettato di estradare i richiedenti asilo: decideranno i tribunali e possiamo sperare che non rispondano alle richieste turche. Tuttavia, i curdi sono ora con meno risorse e più a rischio rispetto a due settimane fa, e questo non va a merito della Nato».

E allora possiamo dav vero parlare di regole del diritto occidentali?

«Sì, perché questa è la nostra aspirazione. Molto dipende tuttavia da come evolverà l’Unione Europea, se diventerà, rispetto agli Usa, un partner capace di dire non solo sì, ma anche no. C’è molta ipocrisia. Il nostro procuratore generale Merrick Garland - a Kiev - ha ipotizzato mandare a processo al Tribunale internazionale dell’Aja i russi per crimini di guerra. Ma noi americani non abbiamo aderito a quel Tribunale proprio per non correre il rischio che vi finiPERCHÉ BISOGNA STARE CON KIEV. COSA È OGGI L’OCCIDENTE. L’ATTUALITÀ DEL SOCIALISMO LIBERALE DI CARLO ROSSELLI. PARLA UN CELEBRE INTELLETTUALE

scano i nostri militari. Però, attenzione, l ’Ucraina non è lo specchio dell ’Iraq. Gli iracheni, a differenza degli ucraini, non hanno combattuto contro l ’invasore. I curdi e gli sciiti - la maggioranza della popolazione - volevano che gli americani li liberassero da Saddam, e poi se ne andassero via. Erano contro l ’occupazione. Io comunque ero contrario a quella guerra».

Spetta ai popoli abbattere i propri dittatori. L’impressione è che gli Usa siano un impero privo di cultura imperiale. E per questo spesso creano disastri.

(sorride) «È vero. Siamo pessimi come imperialisti. Non impariamo le lingue. La nostra cultura non apprezza le culture altrui, non mandiamo antropologi in giro, come facevano invece i britannici. Non sappiamo neanche far vincere le elezioni ai nostri candidati, come è accaduto in Iraq nel 2005, dove il nostro uomo fu sonoramente sconfitto».

Intanto sembra che ci sia pericolo di una guerra civile negli Stati Uniti.

«Se si immagina una guerra come quella degli anni Sessanta dell’Ottocento, sbaglia. Ma temo che ci saranno molti episodi di violenza politica in cui verranno sfidate le nostre istituzioni, la polizia e l’esercito. Fra il 2020 e il 2021, i poteri forti dello Stato, sono rimasti fedeli alla Costituzione, così come del resto i cittadini normali. Ed è stata questa postura

Combattenti del Pkk a Sinjar, nel nord dell’Iraq dopo aver liberato la città dall’occupazione dell’Isis. A destra: la campagna elettorale di Jean-Luc Mélenchon a salvarci da un regime dittatoriale. Ora invece ho l’impressione che una parte della gente, così come alcuni uomini e donne di potere, hanno perso il senso delle istituzioni. Sono preoccupato per il ruolo delle milizie armate e per i possibili rifiuti di riconoscere gli esiti delle elezioni. Noi, americani non abbiamo una grande storia di non violenza, abbiamo invece una storia di violenza di classe molto più radicale dell’Europa».

Cambiamo tema. Cosa significa essere di sinistra?

«Rispondo così. Seguendo i procedimenti parlamentari che riguardano il tentato golpe del 6 gennaio, sono rimasto colpito di alcuni repubblicani, persone di destra, che hanno avuto il coraggio di dire no a Trump. La prima cosa di sinistra nel mio Paese è dire: appoggio questa gente. Sono av versari ma difendono la Costituzione e dobbiamo riconoscere la loro onestà. Ma l’impegno fondamentale della sinistra è la lotta per l’uguaglianza o comunque per una maggiore uguaglianza. In Occidente, i laburisti e i socialdemocratici hanno accettato il discorso liberista e così hanno finito per aiutare a creare le disuguaglianze sempre più crescenti. Hanno abbandonato la classe operaia, che contrariamente a quanto si dica, esiste. Così, negli States, molti operai, perfino sindacalizzati, hanno votato Trump. La si-

nistra deve tornare alle sue origini sociali. Lo vediamo in Cile e in Colombia dove sta vincendo una sinistra democratica non più populista. La differenza? Il populismo redistribuiva le risorse fra i più poveri ma non faceva nulla per costruire un’economia sostenibile. Finiti i soldi si è ricorso alla repressione. Ma la gente finalmente ha capito che ci voleva un’alternativa sia a una destra aggressiva sia a una sinistra populista».

In Francia Jean-Luc Mélenchon ha federato le sinistre.

«Ha costruito un programma basato su questioni di politica interna, e che io penso sia giusto per la sinistra. Lui sembra un performer, un uomo non proprio impegnato a governare il Paese. Però potrebbe riportare la sinistra nel cuore della politica francese, o forse lo ha già fatto. Non sono contento di alcune sue dichiarazioni riguardanti Israele e ebrei».

Cosa è l’Occidente?

«È l’eredità dell’epoca dei Lumi, con tutte le sue contraddizioni. Ho scritto un libro

sull’aggettivo “liberale”. Comincia con i fratelli Rosselli e il socialismo liberale e parla pure di nazionalismo liberale. Ecco, quell’aggettivo è un’invenzione occidentale. Significa che il potere della maggioranza è limitato dal rispetto dei diritti umani e delle libertà civili. Per quanto riguarda il socialismo, l’egualitarismo estremo e le ideologie avanguardistiche (sta parlando del bolscevismo e i suoi eredi, ndr) sono limitati dai valori democratici. La politica in Occidente non può fare a meno dell’aggettivo liberale. E la sinistra non può fare a meno del socialismo liberale. Carlo Rosselli, appunto».

Sinistra è anche solidarietà e empatia.

«Ov vio».

E allora, torniamo al nostro punto di partenza, l’Ucraina. Perché una parte della sinistra non riesce a essere empatica e solidale?

«Perché coltiva persistenti fantasie riguardanti l ’Urss e il comunismo. Detto questo, certo, c’è il problema dell ’ultranazionalismo ucraino del passato e il più recente fenomeno di corruzione. Voglio essere chiaro. Noi, la sinistra democratica, storicamente, abbiamo appoggiato l ’Fln in A lgeria anche se avevamo riser ve rispetto ad alcune loro idee e prassi. E lo stesso valeva per la Repubblica spagnola, anche se non ci piacevano coloro che facevano stragi di preti e stupravano le suore».

E neanche ci piacevano le pratiche repressive degli stalinisti in Spagna.

«Certo. Oggi abbiamo qualche problema con l ’elaborazione della memoria e della storia in Ucraina».

Intende immagino, storie di antisemitismo e di collaborazionismo ai tempi della seconda guerra mondiale.

«Il 73 per cento degli ucraini ha votato per un presidente di origini ebraiche. Quindi l ’antisemitismo non è un discorso di stretta attualità ma riguarda i conti con la storia e memoria».

Indispensabili. Ma che si possono fare solo in condizioni di relativa sicurezza e libertà . E comunque i giovani delle

SPETTA ALLA POPOLAZIONE UCRAINA DECIDERE SUL PROPRIO FUTURO. NON POSSIAMO AVERE LA PRETESA DI STABILIRE NOI COSA È MEGLIO PER LORO

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