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Sinistra, difendi l’Ucraina colloquio con Michael Walzer di Wlodek Goldkorn 30 Anatomia di un massacro Lorenzo Tondo

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Noi e voi

Noi e voi

MASSACRO

callo agli allarmi aerei. A Kremenchuk, fino a quel momento risparmiata dalle bombe, le sirene erano diventate una routine al punto che fatalmente, anche quel giorno, al centro commerciale decine di clienti e dipendenti scelsero di ignorare del tutto, come tante altre volte, quell’appello urgente a nascondersi in luoghi più sicuri. Il resto è la cronaca di una discesa agli inferi. Lo scorso 27 giugno, alle ore 15.52, un missile X-22, lanciato dal bombardiere ad una velocità superiore a quella del suono, si abbatterà con il suo carico di fuoco e morte sul grande magazzino di Kremenchuk, nell’Ucraina centrale, riducendo l’edificio a un cumulo di macerie in fiamme. Le vittime ad oggi sono una ventina. Ma all’appello mancano un numero imprecisato di persone. Ciò che resterà dei loro corpi ridotti a brandelli dall’impatto del missile, schiacciati dalle lamiere roventi e infine carbonizzati, verrà recuperato dai soccorritori, pezzo dopo pezzo, nel tentativo di identificarli.

Eppure, nonostante la nitida flagranza di questo ennesimo massacro russo perpetrato contro i civili in Ucraina, Mosca ancora una volta ha negato ogni responsabilità dell’attacco, arrivando addirittura a sostenere, con la consueta insolenza, che il grande magazzino fosse addirittura dismesso da un pezzo e che l’incendio che l’ha colpito sarebbe stato causato dall’effetto secondario dell’esplosione di un deposito di armi occidentali, poco distante da lì, centrato da un loro missile.

Le testimonianze di prima mano dei sopravvissuti raccolte da L’Espresso e le analisi di esperti militari, incrociate con le prove raccolte dagli investigatori, dimostrano come, ancora una volta, com’era già accaduto a Kyiv e a Kramatorsk, con il tragico attacco alla stazione ferroviaria, la morte di decine di persone, sia il risultato di un errore dell’intelligence russa, se non di una deliberata strategia di colpire i civili.

Igor Konashenkov, portavoce del ministero della Difesa russo, ha affermato che i suoi militari avrebbero lanciato un «attacco aereo con missili di alta precisione su alcuni hangar dove erano immagazzinati armamenti e munizioni provenienti dall’Occidente», e che l’esplosione di quei depositi di armi avrebbe causato un incendio nel vicino centro commerciale, che, aggiunge Konashenkov, sarebbe stato chiuso al pubblico da un pezzo, e quindi al suo interno non c’erano né clienti né dipendenti.

Con questa affermazione, ribadita dal ministro degli Esteri russo e dallo stesso presidente Vladimir Putin, il Cremlino, dunque, indica almeno tre circostanze che assolverebbero la Russia e i loro militari dalle accuse mosse da Kiev : che l’esercito ucraino nascondesse armi nelle vicinanze, che l’esplosione del mall non sarebbe stata causata da un attacco missilistico diretto e che il centro commerciale fosse chiuso al pubblico.

Le registrazioni video delle telecamere a circuito chiuso mostrano che in realtà i russi hanno lanciato due missili e che il primo dei due ha colpito il centro commerciale e il secondo, poco dopo, i capannoni di

Le squadre di soccorso scavano per cercare i sopravvissuti intrappolati sotto le macerie del centro commerciale di Kremenchuk centrato da un missile russo

Lorenzo Tondo Giornalista

un’azienda. Davanti all’ipermercato, la polizia ucraina ha allestito un tavolo con i frammenti contorti di un missile trovato all’interno. Si tratta, appunto, del potente missile da crociera russo X-22, lanciato da un bombardiere Tu-22M.

Le immagini satellitari mostrano come i capannoni dell’azienda e il fantomatico deposito di armi occidentali, si trovino a 500 metri dal centro commerciale. Secondo esperti militari indipendenti e ricercatori del Molfar, un’associazione che mette insieme esperti d’armi e ricercatori, anche se volessimo sposare la versione dei russi secondo la quale il centro commerciale non sarebbe stato colpito da alcun missile, l’esplosione dei capannoni, non avrebbe potuto provocare un incendio abbastanza forte da raggiungere un altro edificio così distante. Percorrendo i 500 metri che separano la fabbrica dal centro commerciale, non si notano danni ad edifici o a strade, un elemento che esclude che il fuoco si sia propagato da un punto all’altro. Decine di lavoratori sopravvissuti all’esplosione, così come numerosi testimoni che vivevano nelle vicinanze, hanno confermato a L’Espresso che il centro commerciale era aperto al pubblico e affollato, come sempre. All’interno dell’edificio, dopo l’esplosione, erano ancora presenti i prodotti alimentari esposti sugli scaffali del supermercato. Durante le operazioni di soccorso, oltre ai 20 corpi estratti dalle macerie, la polizia ha recuperato decine di badge di dipendenti e repertato almeno altri 20 frammenti di corpi carbonizzati. «Dovremo effettuare numerosi test del Dna per identificarli», ha detto Mykola Lukash, procuratore distrettuale di Kremenchuk: «Quello che ci preoccupa sono le 21 segnalazioni di persone scomparse presentate dalla gente del posto alla ricerca dei propri cari che non sono più tornati a casa».

«Ho lasciato l’edificio due minuti prima dell’esplosione», racconta Semyonova, confermando che il centro commerciale fosse aperto al pubblico: «I miei colleghi che lavorano in negozi più grandi, come ad esempio il supermercato, hanno dovuto aspettare che i clienti uscissero prima di mettersi in salvo. Io e i miei colleghi siamo stati fortunati perché l’ultimo cliente era andato via dal nostro negozio poco prima dell’allarme. All’inizio della guerra, tutti gli uffici e i negozi avevano interrotto la loro attività durante gli allarmi aerei», continua Semyonova: «Ma ad un certo punto la gente si è abituata e ha iniziato a ignorare le sirene. Purtroppo è quello che è successo anche quel giorno. Molte persone che conosco e alcuni amici sono ancora scomparsi». L’Espresso ha ottenuto un messaggio, presumibilmente inviato dalla direzione del centro commerciale lo scorso 23 giugno, in cui i manager esortavano i dipendenti a non lasciare i negozi durante un allarme aereo. «A partire da oggi questo centro commerciale non interromperà le due attività durante gli allarmi aerei. Il centro commerciale è in funziona dalle 8 alle 21», si legge nell’sms. E almeno cinque dipendenti hanno confermato di aver ricevuto la comunicazione sui propri cellulari. Ma c’è di più. Quando sui social hanno iniziato a girare le smentite del Cremlino sulla responsabilità dell’attacco, numerosi residenti hanno rac-

L’OBIETTIVO NON ERA LA FABBRICA VICINA CHE NON CONTENEVA ARMI MA MACCHINE PER L’EDILIZIA. IL MISSILE HA CENTRATO L’IPERMERCATO

colto scontrini e ricevute fiscali di acquisti effettuati al centro commerciale, condividendoli sui propri canali per dimostrare che l’edificio fosse aperto al pubblico.

Per quanto riguarda il presunto deposito di armi, ovvero i magazzini vicini, sono della fabbrica KredMash, Kremenchuk road machinery. Si tratta di un’azienda produttrice di attrezzature per la manutenzione delle strade o per la riparazione di veicoli utilizzati dai lavoratori edili. I video aziendali pubblicati su YouTube da imprese edili specializzate mostrano in effetti la presenza di gru e altre attrezzature nella fabbrica che corroborano la versione delle autorità ucraine. Secondo alcune testimonianze raccolte da L’Espresso, l’impianto era stato temporaneamente chiuso a causa della guerra. Era sorvegliato quotidianamente da

I FIORI

Volodymyr Vasylenko lascia dei fiori sul luogo della strage. In alto, a sinistra, i vigili del fuoco stremati dopo ore di lavoro per domare l’incendio. A destra, uno dei reparti del centro commerciale sventrato dal missile e andato poi a fuoco un custode che aveva terminato il suo turno alle 14, due ore prima che Kremenchuk si trasformasse in un inferno.

Il giorno dopo l’attacco al centro commerciale era ancora possibile osservare piccoli pennacchi di fumo nero che si alzavano dalle rovine. Ci sono voluti 130 vigili del fuoco e quasi 5 ore di lavoro per domare le fiamme. Decine di parenti delle vittime, osservavano in cupo silenzio mentre una gru rimuoveva i pezzi metallici contorti del tetto crollato. Guardavano la scena in lacrime, mentre i soccorritori continuavano ad estrarre i corpi dei loro cari devastati dalle fiamme. Sul luogo della strage, c’era anche Volodymyr Vasylenko, 61 anni, nato e cresciuto a Kremenchuk. Non aveva parenti lì e conosceva a malapena alcuni dipendenti. Ma ci teneva a lasciare tra le macerie un mazzo di fiori. «Non so cosa abbiamo fatto per meritarci questo», dice Vasylenko: «Vogliono che viviamo nella paura. Ma non dobbiamo avere paura. Forse questo era il piano di Dio, cosicché potessimo finalmente ottenere le armi di cui abbiamo bisogno. Nel frattempo, non possiamo fare altro che continuare a vivere e a fare quello che ognuno di noi può fare. Io, ad esempio, davanti a tutto questo, non posso fare altro che pregare affinché non accada mai più». Q

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