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A cura di Sabina Minardi S T O R I A D I U N “ I O ” I N V E N TAT O

Un incontro, uno spettacolo, una passeggiata. Cordelli in 48 testi PAOLO DI PAOLO

Occorre – visto che ci autorizza lui – immaginare l’autore alle prese con testi scritti nell’arco di quattro decenni. Li rilegge, li corregge, ma soprattutto li riorganizza e riadatta in una sorta di domino. La cronologia originaria si perde a favore di un tempo diverso: un tempo, per l’appunto, narrativo, romanzesco; di un romanzo scritto per tessere spurie, negli anni, e che in modo imprevisto si ricompone. È un esperimento interessante quello che Franco Cordelli propone con Tao 48 (La Nave di Teseo): il collante è il personaggio, l’alter ego dell’autore, che attraversa la vita e i suoi “casi”, nel senso talvolta proprio di casi clinici, le sue rivelazioni (è un libro fatto di rivelazioni), i suoi miracoli terreni. Si tratta di istanti dilatati dall’intensità della scrittura, sogni anche a occhi aperti, desideri erotici e intellettuali – tutti vissuti nella stessa città, Roma, la cui geografia (e toponomastica) diventa geografia emotiva. I testi, dice o sembra dire il titolo, sono 48, però il lettore ne conta 32 effettivi, e anche questo fa effetto: che ci siano tessere e storie invisibili, o cancellate. Un passaggio dell’infanzia o della giovinezza, un film, un incontro perturbante, una passeggiata, uno spettacolo visto a teatro (c’è molto teatro: nei nomi shakespeariani dei personaggi femminili e nei lampi dell’esperienza del Cordelli critico teatrale), una lettura, una festa. Il tempo della nostra vita di che cosa è fatto? Le frequentazioni, le amicizie, il conversare. Le passioni. I legami. Il modo in cui li condiziona, o li infiltra, la cosiddetta Storia. Gli amici, i “nemici”, i maestri (con le loro angoscianti contraddizioni: appare, non nominato e riconoscibile, Strehler in pagine bellissime). Userò, per definire questo insolito e avvolgente libro, un’espressione di Antonio Tabucchi (appare anche lui, senza cognome e in modo spiazzante, nel primo testo): una «autobiografia altrui». Non un memoir, non la solita autofiction: la storia di un “io” inventato, ma nel senso proprio dell’etimo. Scoperto, dissotterrato, riportato alla luce. Q

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“ TAO 4 8” Franco Cordelli L a nave di Teseo, pp. 152, € 20

Settembre 1989. Una diciassettenne scompare da un villaggio sulla costa dalmata. Apparentemente è una studentessa qualunque; ma, scavando, qualcosa non torna: droga, soldi, e forse una fuga ora, come sostiene un testimone. Mentre il regime di Tito si sgretola, la cittadina e la famiglia di Silvia assistono alla fine delle loro certezze. Un mistero che solo anni dopo, quando la storia della ex Jugoslavia avrà fatto il suo doloroso corso, si svelerà. La solitudine, la fatica di rintracciare un’identità, la responsabilità verso la memoria. E l’epopea dei sefarditi, dal Medioevo al Novecento, in una emozionante storia familiare. Un racconto di donne, della loro malinconia, dei loro matrimoni, dei rapporti inquieti con figli cresciuti lontano dalle origini e condannati a muoversi ancora. Al centro, la figura dell’esule Vidal, che condensa la storia di un popolo. Tra Londra, Stoccolma e l’originaria Salonicco. Un ristorante di lusso a Oslo. Una brigata in cucina dalle rigide regole. E un cameriere che tutto osserva e annota: le relazioni tra colleghi, i tic dei clienti, l’ordine necessario al funzionamento di questo microcosmo. Finché una giovane donna non sconvolge le abitudini di questo delicato mondo, seminando il caos. Dall’artista scandinavo una potente, caustica metafora di una società vecchia, sul punto di finire. E su una contemporaneità pronta a travolgerla.

“ACQUA ROS S A” Jurica Paviþiü (trad. E s tera Mioþiü) Keller editore, pp. 367, € 18,50 “A BBA NDONO” Elisabeth Å sbrink (trad. A lessandra Scali) Iperborea, pp. 316, € 18,50 “IL CA MERIERE” Matias Faldbakken (trad. M. Podes t à) Mondadori, pp. 213, € 19

Da sinistra, in senso orario: prigionieri tedeschi radunati dai soldati della 9° armata, nel 1945; la spia francese Louise de Bettignies; l’agente polacco Maria Krystyna Skarbek; Andrée Raymonde Borrel na spia al posto giusto Usostituisce ventimila uomini al fronte, diceva Napoleone. Mappare in presa diretta la geologia dei servizi segreti è impossibile, dal momento che i documenti sono classificati. Ma ciò che veniamo a sapere dal loro progressivo desecretamento è da un lato che in un mondo sempre in bilico su un instabile equilibrio tra pace e guerra è l’azione sotterranea dei servizi di spionaggio a mantenere la pace finché dura o a guidare la guerra poi; e dall’altro che spesso ciò che di ufficiale viene emanato dagli uffici stampa dei governi, anche in tempo di pace, nasconde un fittissimo e sotterraneo lavoro di intelligence che serve a depistare il nemico (ci rendiamo per esempio conto oggi, nel pieno della guerra tra Russia e Ucraina, di come la guerra stessa sia innanzitutto propaganda, e di come riuscire a far passare un’affermazione per vera, nell’infinito gioco caleidoscopico delle propagande incrociate, valga più della presa di una città).

Il lavoro dei servizi segreti guida sotterraneamente quello dei governi, e invisibilmente disegna il mondo in cui ci muoviamo. Più che i film d’azione ad alto budget servono maestri della rappresentazione del mistero per avvicinarsi alla sottile mente inafferrabile e saturnina di una spia. Doppiogiochisti, triplogiochisti, manipolatori. Ci è riuscito Javier Marìas in “Berta Isla” (Einaudi), che racconta la vita della spia

Tomàs Nevinson. Riesce magistralmente a rendere il gioco infinito di specchi tra la realtà e la verità anche

Hernan Diaz nel recente “Trust” (Feltrinelli). Ma spie tra le spie più occulte sono sempre state le donne, che per ragioni storiche e culturali (condivise non solo nel blocco occidentale ma anche per esempio in Cina o in Vietnam), rimangono più “coperte”, meno osservabili, e per questo più efficaci nell’arte dell’infiltrarsi, del raccogliere informazioni, dell’essere silenziosamente letali. Queste donne, di cui il libro di Gabriele Faggioni, “Spionaggio femminile del Novecento” (Odoya) fa una veloce carrellata, spesso per scelte politiche e ideologiche, altre volte per denaro, condizionano il mondo in cui viviamo. Non esiste solo Mata Hari, la celebre spia tedesca doppiogiochista.

La rete di spionaggio di maggior successo della Prima Guerra Mondiale si chiamava Rete Alice ed era gestita da Louise de Bettignies, che è passata alla storia come “la regina delle spie”. Nata in una famiglia belga di otto figli, frequentò il collegio religioso di Lille. Allo scoppio della Grande Guerra Luise era in Francia a prestare servizio come governante e lì poté assistere all’occupazione tedesca. Prese subito a occuparsi dei feriti, presto però raggiunse la famiglia rifugiata nella Francia non occupata, portando con sé la posta di diversi rifugiati. La nave fece scalo a Folkestone, e lì il suo inglese fluente e la sua vispa intelligenza furono notati da un funzionario dei servizi segreti britannici. Il maggiore Walter Kirke, responsabile dell'intelligence, a Londra la iscrisse al corso di formazione per agenti segreti e le assegnò il compito di organizzare la rete di intelligence Ramble, con i cittadini belgi già coinvolti nella Resistenza, assistita da Léonie Vanhoutte, un'operaia di Roubaix che aveva già aiutato i soldati alleati ad attraversare il confine. Così, in breve tempo, Louise e Léonie crearono una rete di spionaggio chiamata Rete Alice, la più grande della Grande guerra, di cui facevano parte non solo adulti ma anche giovani e bambini: raccoglievano ogni tipo di informazione sul nemico. La rete ebbe un successo sbalorditivo, e i tedeschi riempirono le strade di posti di blocco per catturare le spie. Louise usava diverse false identità, e ingannava le guardie recitando la parte della donna chiacchierona, riuscendo a passare i confini con i messaggi in codice nascosti tra le pagine di una rivista o arrotolati all'interno dei bastoni degli ombrelli. Nonostante questo la Rete Alice venne scoperta. Léonie fu arrestata all'inizio di settembre del 1915 e pochi giorni dopo la stessa sorte toccò a Louise. Le due donne furono imprigionate a Bruxelles. Nel processo del marzo 1916 Louise fu condan-

nata a morte e Léonie a quindici anni di prigione. L'ambasciata di Spagna riuscì a commutare la pena all'ergastolo, ma trasferita nella colonia penale di Siegburg Louise si ammalò di pleurite e morì in due mesi, a soli trentotto anni. Al termine della guerra fu decorata con la Croce di Guerra e con la Legione d'Onore.

Andrée Raymonde nacque il 18 novembre 1919 in una famiglia operaia a Bécon-les-Bruyères, un sobborgo nordoccidentale di Parigi. Dopo la morte del padre, Andrée interruppe gli studi e andò a lavorare come commessa. Le piaceva andare in bicicletta e la domenica partecipava a gare ciclistiche femminili finché, nell'autunno del 1939, non si trasferì con la madre a Tolone, dove frequentò un corso di formazione come aiuto infermiera presso l'Association des Dames françaises, per assistere i soldati feriti. Dopo l'occupazione tedesca della Francia immortalata nei romanzi di Irène Némirovsky, Andrée decise di aderire alla Resistenza francese. Collaborò alla rete di fuga creata dal medico belga Albert Guérisse: migliaia di volontari aiutavano soldati non evacuati e aviatori alleati abbattuti a lasciare la Francia e a rientrare nel Regno Unito. Nell’autunno del 1941, però, la Gestapo scoprì il gruppo e molti suoi membri vennero arrestati. Andrée fuggì a Lisbona, dove continuò la propaganda a favore della Francia libeme energie ferì il suo boia. Venne gettata ancora viva nel forno crematorio.

Maria Krystyna Skarbek era di Varsavia, figlia di ricchi conti ebrei. Era bella, bellissima, e si classificò seconda a Miss Polonia 1930. Trasferitasi a Londra con il secondo marito dopo l’occupazione polacca della Germania, chiese di entrare a far parte dell’intelligence britannica. Partì per la prima missione a Varsavia, dove raccoglieva informazioni sulle truppe tedesche e organizzò una rete di corrieri che portavano rapporti di intelligence a Budapest, da dove raggiungevano Londra. Fu lei a scoprire che la Germania aveva stretto un’alleanza militare con il maresciallo Antonescu e con la Romania, e quindi a portare gli Alleati a difendersi con anticipo su quel fronte. Nel gennaio 1941 Krystyna venne arrestata dalla Gestapo insieme al suo amante, l’agente segreto Kowersky, amico d’infanzia ritrovato in Ungheria. Ottenne il rilascio mordendosi la lingua, sputando sangue e dichiarando di essere malata di tubercolosi. Cambiò allora identità in Christine Granville, e raggiunse Sofia nascosta nel bagagliaio di un’auto. Lì consegnò al personale diplomatico britannico microfilm sui preparativi tedeschi di invasione dell’Unione Sovietica. Fu così che Churchill scoprì il piano della Germania e cambiò le sorti della guerra. Krystyna venne promossa a capitano, una delle pochissime donne nella storia, e alla fine della guerra non tornò in Polonia, governata dal regime comunista, ma andò a Londra, dove finì per trovare solo lavori precari, come quello di hostess sulle navi da crociera. Fu in uno di quei viaggi che conobbe uno steward che si innamorò follemente di lei, non ricambiato, e la uccise con un fendente al cuore. Sono migliaia le donne che hanno lavorato, e che lavorano, come agenti segreti. Anche attorno a noi. Non conosceremo mai le loro verità, ma le nostre vite saranno condizionate dalle loro azioni. Q

ra. Poi, nella primavera del 1942, raggiunse il Regno Unito. Dal quartiere generale della Francia Libera, comandata dal generale De Gaulle, venne a conoscenza che il SOE, il servizio segreto britannico, reclutava agenti che collaborassero con la Resistenza francese. Venne arruolata e divenne agente speciale. La notte del 24 settembre 1942, lei e la sua compagna Lise de Baissac, partite dalla base aerea della RAF a Tempsford, furono le prime agenti della storia a essere paracadutate nella Francia occupata. Lise atterrò nei pressi di Poitiers, Andrée vicino al villaggio di Mer, dove era attesa da una squadra della Resistenza locale. Fu assegnata come corriere per la nuova rete Prosper gestita da Francis Suttill, prima di prendere parte ad alcuni sabotaggi attuati dai maquis, la Resistenza francese. Quando, il 23 giugno del 1943, i Prosper furono scoperti e smantellati dalla polizia segreta tedesca in seguito alla segnalazione di un traditore, Suttill e Andrée vennero arrestati, interrogati e rinchiusi nella prigione di Fresnes. Nel maggio 1944 Andrée e le sue compagne di prigionia Vera Leigh, Sonya Olschanezky e Diana Rowden furono trasferite nel campo di concentramento di Natzweiler-Struthof. Il 6 luglio 1944 alle quattro donne furono praticate iniezioni letali di fenolo al cuore: morirono all’istante tranne Andrée. Riprese conoscenza e con le ulti-

Inghilterra, 1918, donne al lavoro su macchinari di guerra

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