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Dalla mezzadria al transfemminismo in Val d’Orcia

che parola davanti al fuoco, ma soprattutto dedicarsi a qualche altro lavoretto. Le donne conservavano le parti più dure delle cipolle, normalmente scartate, per poi metterle vicino alle braci o addirittura sotto la cenere per poi mangiarle come spuntino. Prima di coricarsi, il “capoccia”, il marito di una di loro, cioè il responsabile, sotto al padrone, del podere, faceva il giro delle stalle e delle terre per controllare che fosse tutto in ordine. Finito il giro era solito rientrare in casa, e, un giorno, passando accanto alle donne, notò che stavano sgranocchiando delle bucce di cipolla abbrustolite. Con tono brusco, le apostrofò: «Siete lì per lavorare o per sprecare?».

Questo aneddoto non racconta solo la condizione femminile del tempo, ma un aspetto essenziale di questa civiltà: tutto ritorna alla natura, tutto viene riciclato, nulla si fa a caso. Ogni cosa ha il suo

In provincia di Siena il festival delle disobbedienti sotto lo slogan Cbcr, Cittine birbe crescono ribelli posto in un economia agricola. Nel Dopoguerra «in queste terre», come altrove certo, «si soffriva e si moriva» (l’Unità, 2009). Giorgio Scheggi in “Species” scrive che «mai si era vista un’accelerazione così rapida e brutale della storia, mai una cultura si era dissolta con tanta rapidità» (2002). Che ruolo hanno avuto le donne in questo processo? L’hanno solo subito? E ora che ruolo hanno? Stare e sostare in provincia significa mettersi in ascolto. Qui sicuramente le fila delle resistenze sono state ereditate: qualcuno ha raccolto i saperi delle grandi città e li sta redistribuendo. La provincia ruggisce e nel farlo ricorda che massaie, che classi subalterne, si è state, prima d’arrivare fin qui. La provincia non può dimenticare la propria storia: le voci riecheggiano troppo forti, la tradizione orale resiste e così si può tracciare il percorso del nuovo, del rinnovato.

La settimana scorsa, la Val d’Orcia ha ospitato il Cbcr, il primo festival transfemminista della provincia di Siena. Centinaia e centinaia di persone hanno parlato di cultura del consenso, di educazione sessuo-affettiva, di saperi decoloniali. Lo slogan “Cbcr” ovvero «cresci bene che ripasso» è una frase comunemente riferita a soggetti, spesso minorenni, che fisicamente «promettono bene», osservati quindi già con sguardo sessualizzante. «Per noi, invece, diventa: Cittine Birbe Crescono Ribelli», mi racconta Luce Scheggi. «Cittine, nella nostra zona, è il modo di chiamare le ragazzine. Noi siamo cittine disobbedienti alla norma sociale. In una prospettiva di critica al sistema patriarcale, le cittine birbe si ribellano a uno status quo che le vuole composte, ubbidienti e relegate in un ruolo subalterno, ruolo rafforzato anche attraverso slogan che sono i veicoli della violenza patriarcale». È bello cominciare da qui: dalla provincia che tiene il filo storico, intergenerazionale, megafono di contro-saperi e antichissimo.

Carlo Cottarelli

La questione del salario minimo non è una grana da poco per Giorgia Meloni perché la questione sembra essere considerata importante da buona parte dell’opinione pubblica. Per ora Meloni, non potendo rigettare tout court la proposta delle opposizioni, ha allargato il campo della discussione, coinvolgendo il Cnel. Ma in autunno dovrà trovare qualcosa di concreto, magari con risorse da reperire in sede di legge di bilancio, già però molto stretta. Ma, al di là dei tatticismi, cosa su può dire sul merito della questione?

Il salario minimo (ovviamente) non è la soluzione a tutti i problemi italiani. Alla

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