L'Espresso 42

Page 1

Settimanale di politica cultura economia N. 42 • anno LXVIII • 23 OTTOBRE 2022 Domenica 3 euro L’Espresso + La Repubblica In Italia abbinamento obbligatorio alla domenica. Gli altri giorni solo L’Espresso 4 euro MEDIO ORIENTE Gli alleati del Golfo si ribellano a Biden CLAN E AFFARI La mafia dei pascoli espugna l’Abruzzo ESCLUSIVA Nel caos del mondo Parla Jonathan Franzen Gli imprenditori del Nord chiedono 4 milioni di lavoratori. Che devono venire dall’estero. La legge Bossi-Fini impedisce l’immigrazione regolare. E la destra al governo è chiamata a cambiare i suoi provvedimenti-bandiera Il capitale umano Poste Italiane s.p.a.sped.in A.P.-D.L.353/03 (conv.in legge 27 /02/04 n.46) art.1comma 1-DCB RomaAustriaBelgioFranciaGerm aniaGreciaLussemburgoPortogalloPrincipato di MonacoSloveniaSpagna € 5,50C.T. Sfr. 6,60Svizzera Sfr. 6,80Olanda € 5, 90Inghilterra £ 4,70
Altan 23 ottobre 2022 3

Il Pentagono

Alice Pistolesi

Manna 20

Susanna Turco 28

Stefan Seidendorf 32

Alberto Stabile 34

Gigi Riva 38

Federica Bianchi 40

Eugenio Occorsio 42

Vittorio Malagutti 44

Ludovico Tallarita 48

Nataliya Kudryk 50

Federico Varese 54

Shaparak Shajarizadeh 56

Manuela Cavalieri e Donatella Mulvoni 58

Luciana Grosso 64

Antonio Fraschilla e Chiara Sgreccia 66

Alessandro Longo 72

Matteo Novarini 76

Emilio Cozzi 78

Paolo Biondani 80

Elvira

Emanuele

Sommario numero 42 - 23 ottobre 2022 Abbonati a SCOPRI L’OFFERTA SU ILMIOABBONAMENTO.IT L’Espresso fa parte in esclusiva per l’Italia del Consorzio internazionale dei giornalisti investigativi Ricevi la rivista a casa tua per un anno a poco meno di €6,00 al mese (spese di spedizione incluse) Le inchieste e i dibattiti proseguono ogni giorno sul sito e sulle pagine social de L’Espresso. UNISCITI ALLA NOSTRA COMMUNITY lespresso.it @espressonline @espressonline @espressosettimanale 40 COPERTINA Foto di Alessio Mamo/ Redux Pictures/ Contrasto Editoriale La destra allo specchio delle sue contraddizzioni Lirio Abbate 11 Rubriche Altan 3 Makkox 8 Manfellotto 24 Murgia 27 Serra 31 Alberti 122 Opinioni La parola 7 Taglio alto 15 Bookmarks 103 Ho visto cose 118 #musica 118 Scritti al buio 119 Noi e voi 120 Prima Pagina Le imprese vogliono più migranti Gloria Riva 12 In strada i rifugiati della rotta balcanica
16 Sfruttati delle griffe alla fame dopo il Covid Erica
Il governo c’è la maggioranza no
Discutere per unirsi
Alleati ribelli d’America
Israele in bilico
A chi fa paura l’impero di Xi
Lezione inglese
Salvate il Credit Suisse
Ballando con le bombe
Scegliere una bandiera è un atto di coraggio
Uso il crimine per spiegare la Russia
Sono scampata agli ayatollah
Biden vs Trump, il referendum
si è impigrito
La mafia nelle valli dell’Abruzzo
Che ne sarà del digitale
Claudio Descalzi all’Eni verso la riconferma
Energia solare dallo spazio
Gas e petrolio con omicidio
Idee Caos e così sia colloquio con Jonathan Franzen di Stefano Vastano 82 Edipo verso l’impossibile Andrea Porcheddu 90 Il patriarcato? Preistoria colloquio con C. Taraud e P. Romito di F. Martini 94 E la Spagna dice basta alla misoginia
Seminara 96 Il cuore in bottiglia
Coen 98 I segreti del faraone ragazzino Angiola Codacci-Pisanelli 100 Realtà virtuale per egittomani 102 Canto e suono ma non ballo colloquio con Stefano Fresi di Francesca De Sanctis 104 Storie I custodi delle oasi nell’ultima trincea contro il Sahara Matteo Fagotto 106 A rischio i tesori di Staglieno celebrati da Hemingway Roberto Orlando 110 L’epopea dei braccianti socialisti che bonificarono Ostia antica Maurizio Franco 114 82 48 106 34

La parola

testimone

Testimone è colui o colei che ha assi stito a un evento e lo racconta e ricostru isce, in genere davanti a un tribunale, o a uno storico oppure a un cronista: par la dei fatti non dei valori. Tuttavia, ne gli ultimi decenni è emerso un altro uso di questa parola. Testimone è sinonimo del reduce dei Lager: una vittima che è riuscita a sopravvivere e ora narra l’ine narrabile affinché noi – le generazioni nate dopo la Catastrofe – potessimo provare a immaginare l’inimmaginabile. La Shoah – o meglio l’appello “Mai più Auschwitz” – è diventata una specie di canone della democrazia occidentale e di difesa della dignità umana.

Il Testimone è prezioso perché è una persona che ha avuto a che fare con il Male radicale, l’ha subito. E in genere ne parla dopo anni e anni di reticenza, dovu ta al fatto che è difficile e imbarazzante raccontare l’essere stati vittima e perché, come aveva scritto Primo Levi, esiste una vergogna dei reduci, non tanto perché so-

nomortiglialtri isommersi maperché assistere all’inenarrabile lascia un segno che lacera l’anima. Ecco, la Testimonianza, nonostante l’eroismo di chi racconta va e racconta, è rimasta incompiuta. Da alcuni anni, una signora che di an ni ne ha novantadue ed è senatrice a vita della Repubblica italiana, parliamo di Liliana Segre, sta cambiando – nel senso della maggiore compiutezza il ruolo del Testimone. Sarà la saggezza, sarà lo spiri to del tempo, Liliana Segre, e lo ha dimo strato ancora una volta nel suo discorso dell’apertura della nuova legislatura, ha saputo trasformare la Testimonianza, da un racconto, per quanto importante, in un messaggio di etica universale. Nel le sue parole, pregne, nonostante tutto, dell’amore per la vita, c’è urgenza di capa cità di giudizio e quindi l’urgenza del Be ne. Quando parla, interpella la coscienza non di “tutti” ma di ognuno e ognuna di noi, perché parla dei diritti, che sono uni versali o non sono.

23 ottobre 2022 7
© RIPRODUZIONE RISEVATA
WLODEK GOLDKORN
Cronache da fuori 8 23 ottobre 2022
Makkox 23 ottobre 2022 9

La destra allo specchio delle sue contraddizioni

Adesso che è al governo dovrà fare i conti con le norme che ha propugnato e che impediscono una immigrazione regolare.

A chiederne una profonda revisione non sono solo Ong e sinistra, ma la stessa base elettorale di piccoli e medi imprenditori

Ci sono oltre cinque milioni di stranieri regolarmente resi denti nel nostro Paese, una ci fra superiore a quella dello scorso anno. Sono aumentati anche i titolari di permesso di soggiorno. E nel 2021 si è registrata un’impennata di richieste per motivi di lavoro. Lo scrivono i vescovi italiani nel loro Rapporto sull’immigrazione: “Costruire il futuro con i migranti”, redatto da Caritas italia na e Fondazione Migrantes. Sono dati che ci devono far riflettere. E l’inchiesta che pubblichiamo nelle pagine seguenti ci mostra come le piccole e medie imprese del Nord, per poter portare avanti i loro affari, hanno bisogno di milioni di lavora tori. Che devono venire dall’estero perché in Italia non ne trovano. Ma la legge Bos si-Fini impedisce l’immigrazione regola re e la destra che adesso non è solo mag gioranza in Parlamento, ma anche a Pa lazzo Chigi con il futuro governo di Gior gia Meloni, è chiamata a cambiare i suoi provvedimenti bandiera se vuole dare una mano a imprenditori e commercianti in difficoltà, non solo per il caro bollette, ma anche perché non trovano lavoratori.

«La crisi del movimento operaio crea condizioni favorevoli per uno spostamen to verso l’estrema destra di settori interi del proletariato, in particolare di vittime della crisi o di quanti temono di diventar lo», diceva il sociologo francese Alain Bihr, autore di importati studi sulla storia del movimento operaio e sulle trasforma zioni del capitalismo europeo, il quale lanciava questo allarme già all’inizio de gli anni Novanta nell’ambito di una ricer ca dedicata all’emergere in Francia del

Front National di Jean Marie Le Pen, il primo partito d’Europa a fare esplicita mente della xenofobia e del rifiuto dell’im migrazione il proprio fondo di commercio elettorale.

Bihr spiegava come proprio presso i ceti più deboli la rabbia e il disorientamento provocati dalla perdita dei posti di lavoro, dalla ristrutturazione produttiva che pri vava molti operai dell’«identità di classe» attraverso la quale si erano percepiti per molto tempo e che gli aveva al contempo conferito una sorta di status sociale parti colare avrebbero costruito un potenziale bacino di ascolto per le parole d’ordine di Le Pen che indicava negli «stranieri» i re sponsabili di tutti i mali della società, of frendo così un facile capro espiatorio su cui sfogare il malessere che si andava dif fondendo nel Paese. E da questo punto di vista è facile comprendere come il Front National abbia fatto scuola un po’ ovun que, o meglio abbia anticipato caratteristi che e forme della propaganda e del vocabo lario di una nuova politica di destra che oggi appare perfino banale, tanto e tale è stato il suo sviluppo nell’intera Europa.

Adesso andiamo verso il governo Melo ni, definita dal Financial Times «una po pulista di destra, anti-immigrazione, una dura conservatrice e una nazionalista eu roscettica» la cui vittoria «preannuncia guai per Bruxelles e problemi per molti aspiranti immigrati nell’Ue». E il capitale umano, oggi, è quello di cui le aziende hanno bisogno, che però è in contrasto con i respingimenti in mare. E le leggi del la destra sull’immigrazione.

EditorialeLirio Abbate 23 ottobre 2022 11

Un

del lavoro

12 23 ottobre 2022 Il mercato
lavoratore in un cantiere edile. Si stima un fabbisogno di 10mila muratori
23 ottobre 2022 13 Prima Pagina Foto: Xxxxx Xxxxxx LE IMPRESE VOGLIONOPIÙ MIGRANTI DI GLORIA RIVA MANCA ALL’APPELLO IL 40 PER CENTO DI OPERAI DA ASSUMERE. MA CON FLUSSI TAGLIATI E PERMESSI CON IL CONTAGOCCE ORA SONO LE AZIENDE A SMASCHERARE IL FLOP DELLA BOSSI-FINI

lavoro

Mancano carpentieri, elet tricisti, care giver. Man cano saldatori, infermie ri, ma anche professioni sti. Stando all’ultima in dagine Excelsior Unioncamere, gli imprenditori puntano ad assumere entro ottobre 1,3 milioni di persone, ma sanno già che faticheranno a trovare il 41,6 per cento del personale ri cercato. Pesa la mancanza di 87mila com messi e camerieri, 10mila muratori, 28mi la fattorini, 26mila addetti alle pulizie. Una situazione destinata a peggiorare perché nei prossimi cinque anni andran no in pensione 2,8 milioni di occupati e nello stesso periodo vi sarà la necessità di assumere 4,5 milioni di lavoratori. Ma il bacino di italiani disponibili al lavoro si restringe di circa 400mila unità l’anno, so prattutto per colpa del declino demografi co, ma anche per via degli errori commes si nella formazione dei giovani e per l’as senza di politiche attive capaci di riattiva

re i cinquantenni disoccupati o sfiduciati. «C’è un gigantesco problema quantitativo e qualitativo di ricerca del personale. Non solo i giovani sono pochi, ma non sono adeguatamente preparati al mondo del la voro», spiega Fabio Costantini, ammini stratore delegato della società di risorse umane Randstad HR, la divisione che si occupa di formazione e ricollocazione. Secondo gli imprenditori la migrazione è la migliore delle soluzioni: «Per risponde re a quella che è una vera emergenza ab biamo creato il progetto Without boards per garantire percorsi di ingresso e reclu tamento coinvolgendo associazioni e Ong che operano nei Paesi esteri, così da tro vare fuori dai confini nazionali il persona le necessario. Entriamo anche in contatto con le Caritas territoriali, con i centri di accoglienza, parliamo con i migranti per

capire se hanno esperienze professionali o titoli di studio, offriamo loro percorsi di formazione e inserimento lavorativo. È tutt’altro che semplice, soprattutto perché bisogna convivere con due elefanti nella stanza, ovvero la legge Bossi-Fini e il de creto sicurezza», che era stato fortemente voluto dall’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini e, nei fatti, ha abolito i per messi di soggiorno per motivi umanitari, bloccando uno dei mag giori canali di ingresso di personale per le imprese.

A conferma che la migra zione è la soluzione più in dicata per affrontare il mi smatch, ovvero il mancato incontro tra domanda e offerta, l’Istat dice che nel primo trimestre 2022 il

14 23 ottobre 2022 Il mercato del
Addetti al confezionamento
della frutta destinata alla distribuzione per la vendita nei mercati agroalimentari LE RESTRIZIONI ALIMENTANO RETI CLANDESTINE PER L’ARRIVO IN ITALIA E L’OCCUPAZIONE. DA NORD A SUD LA RADIOGRAFIA DEL CAPORALATO EMERSO DALLE INDAGINI DELLA FINANZA
Gloria Riva Giornalista
23 ottobre 2022 15 Prima Pagina TAGLIO ALTOMAURO BIANI Foto: A. Serranò / Agf; pag12-13: F. Fotia / Agf

Il mercato del lavoro

Fonti: Ipsos, Indagine Excelsior Unioncamere e Osservatorio sui conti pubblici italiani Università Cattolica

tasso di occupazione degli stranieri è in crescita dell’1,5 per cento, mentre quello dei lavoratori italiani è fermo allo 0,8.

Attrarre manodopera straniera però è tutt’altro che semplice. Clemente Elia è re sponsabile del dipartimento Immigrazio ne della Cgil Lombardia: «Mettiamo che una famiglia quest’anno intenda fare un contratto a un collaboratore domestico straniero: non può farlo. Perché il lavoro domestico non rientra nell’elenco del de creto flussi e perché ormai è scaduto il tempo per presentare domanda». Nel rac conto di Elia c’è tutta la stanchezza di chi ogni giorno media tra i migranti (molti ir regolari e con permesso di soggiorno sca duto), imprenditori e famiglie che vorreb bero regolarizzare situazioni opache e le questure dei territori che devono rilascia re i permessi. In fila, fuori dal suo ufficio, fra gli altri c’è il gestore di un rifugio della Valtellina che da giugno attende il nulla osta per un migrante del centro Africa. Sa rebbe stato un valido aiuto in montagna, peccato che il via libera non sia mai arriva to e nel frattempo la stagione estiva sia terminata.

Ma facciamo un passo indietro per capi re qual è la trafila utile a ottenere un

IN STRADA I RIFUGIATI DELLA ROTTA BALCANICA

DI ALICE PISTOLESI

L’estate appena trascorsa ha messo in luce alcune delle debolezze del sistema di accoglienza italiano. Molte sono infatti le persone che si sono ritrovate a dormire in strada, perché i posti in accoglienza non sono sufficienti. Nella piccola città di Siena (53.777 abitanti) da aprile a settembre 2022 sono arrivati oltre trecento migranti, la quasi totalità di origine pakistana.

Tutte le mattine affrontano una lunga fila davanti alla Questura cittadina, per capire se riusciranno a formalizzare la richiesta di asilo ed entrare in una struttura. La giornata tipo prosegue con il pasto che la Caritas fornisce e con la tappa alla Corte dei Miracoli, un’associazione che dà loro la possibilità di ricaricare il cellulare, effettuare medicazioni, reperire vestiario o semplicemente passare il tempo al chiuso. La notte invece si torna nel parcheggio della stazione, dove i

16 23 ottobre 2022
PER CENTO PER CENTO Quota di immigrati percepiti in Italia Quota di immigrati realmente in Italia 250.000 200.000 150.000 100.000 50.000 0 LE QUOTE DEI DECRETI FLUSSI Lavoratori stagionali e non per anno 200120022003200420052006200720082009201020112012201320142015201620172018201920202021 31 9

PERMESSI

SOGGIORNO

LAVORATIVO NELL’UE

volontari arrivano con il pasto e, quando va bene, con coperte aggiuntive per affrontare l’arrivo del primo freddo. Questo almeno fino alla mattina del 17 ottobre, quando la polizia municipale ha sgomberato il rifugio temporaneo. Nonostante non ci siano posti in accoglienza le persone a Siena continuano ad arrivare. In molti, tramite reti di connazionali, lavorano nelle campagne. «C’è stato un effetto passaparola che ha portato molti a credere che a Siena fosse più semplice entrare in accoglienza. Nonostante siano stati lasciati in un limbo di attesa dalle Istituzioni, si sono subito organizzati. In autonomia hanno prodotto una lista, condivisa con noi operatori, per ordine di arrivo per non creare ingiustizie: riesce a ottenere un posto chi è arrivato prima degli altri, dando la precedenza ai minori non accompagnati e a chi si trova in condizioni di salute precaria», racconta Cassandra Rofi, operatrice dello sportello legale della Corte dei Miracoli.

La totalità di loro arriva dalla cosiddetta “Rotta Balcanica” e ha alle spalle mesi, o più facilmente, anni di viaggio. Un viaggio che tutti si portano sulla pelle, in molti sotto forma di ferite: le aggressioni dei cani della polizia in Serbia e Bosnia ricorrono in molti racconti. Chi arriva è spesso in condizioni di salute precaria: la scabbia una delle malattie più frequenti. Le motivazioni che li hanno portati a lasciare il Pakistan sono le più disparate: povertà, mancanza di lavoro, violenza, ma

LE PROFESSIONI PIÙ RICHIESTE

operai

tecniche

qualificate

specializzati

impianti

anche le inondazioni che distruggono le città di provenienza. «Siamo partiti da Sargada, in Pakistan. La nostra città è stata più volte distrutta dalle alluvioni. Anche nel mese di settembre c’è stata un’inondazione, le nostre famiglie raccontano cosa accade e noi per adesso non possiamo fare niente per aiutarli perché non abbiamo soldi da inviare», raccontano Ali e Mohamed. Non manca chi racconta delle incursioni e del reclutamento forzato dei talebani. Nel Nord Waziristan, al confine con l’Afghanistan dall’estate 2021, gli sconfinamenti si sono fatti più frequenti. «Le formazioni armate arrivano e ti obbligano ad andare con loro. Chi si rifiuta fa una brutta fine. Noi siamo scappati perché non era più sicuro», raccontano altri due migranti. Anche se si dorme in strada c’è fiducia tra la neo-comunità pakistana: «È vero che dormiamo in strada ma qui ci sentiamo al sicuro». A preoccupare gli operatori è però l’aspetto psicologico. «Si sottovaluta la traumatizzazione. Tutti gli orrori che le persone subiscono durante il loro viaggio, parte dei quali diretta responsabilità di scelte politiche dell’Unione Europea, ricadono sul territorio di arrivo: sul sistema sanitario che in qualche modo deve assisterli, sull’inserimento nel mondo del lavoro», spiega Tommaso Sbriccoli, antropologo esperto di Sud Asia.

C’è poi la questione documenti: nessuno dei richiedenti asilo a Siena li ha con sé. «I datori di lavoro o le autorità li ritirano

23 ottobre 2022 17
DI
DI TIPO
Numero di nuovi rilasci ogni 10.000 abitanti
Periodo agosto - ottobre 2022 ENTRATE PREVISTE DIFFICOLTÀ A REPERIRE 2020 2011 76,1% 3.450 43,5% 101.860 47,3% 184.190 27,8% 98.620 39,3% 337.300 55,4% 199.850 44,1% 182.190 32,4% 183.090 Prima Pagina POLONIA MALTA CIPRO UNGHERIA SPAGNA SVEZIA FRANCIA GERMANIA ITALIA Dirigenti Professioni intellettuali, scientifiche e di elevata specializzazione Professioni
Impiegati Professioni
nelle attività commerciali e nei servizi Operai
Conduttori di
e
di macchinari fissi e mobili Professioni non qualificate0 20406080100120140

durante il viaggio, oppure sono i migranti stessi che scelgono di lasciarli prima di attraversare la frontiera per paura che vengano loro requisiti o rubati. Sul Monte Carso, in provincia di Trieste, ho avuto modo di trovare in poche ore un’enorme quantità di oggetti che i migranti lasciano prima di entrare in Italia», racconta Rofi.

Nel 2022 un aumento degli arrivi c’è stato ma, secondo gli osservatori, non così cospicuo da giustificare la crisi del sistema. Secondo i dati del ministero dell’Interno i migranti sbarcati dal 1° gennaio 2022 al 15 settembre 2022 sono stati 66.162, mentre erano 42.750 l’anno precedente e 21.073 nel 2020. Oltre agli arrivi via mare questa estate si è verificato un aumento via terra, ovvero dalla rotta balcanica. Incremento stimabile, secondo i dati dell’Ics (Consorzio italiano solidarietà), in un 30 per cento in più, con l’Afghanistan come prima nazionalità in arrivo. Se nel 2021 erano state 6.500 le persone che avevano ricevuto accoglienza e assistenza istituzionale dalla rotta balcanica, quest’anno siamo attorno agli 8.000. Numeri da prendere con le pinze, perché gli arrivi via terra non sono monitorati, come lo sono invece gli sbarchi.

«Il conteggio dei migranti dalla rotta balcanica non c’è mai stato in Italia, nonostante queste persone siano richiedenti asilo a tutti gli effetti», spiega a L’Espresso Gianfranco Schiavone, presidente dell’Ics, ente di tutela diritto di asilo

che gestisce il sistema di accoglienza a Trieste e socio Asgi: «Noi che lavoriamo nel settore da anni ci chiediamo il motivo di questa falla. Una spiegazione potrebbe essere che queste persone arrivano non da uno Stato terzo ma da un altro Paese Schengen».

Oltre all’aumento degli arrivi a mettere in crisi il sistema è stata la mancata ricollocazione in altre Regioni. «Nell’anno in cui sono cresciuti gli arrivi sono crollate del 70-80 per cento le quote di trasferimento dei richiedenti dal Friuli Venezia Giulia al territorio nazionale. Gli anni scorsi, ogni due-tre giorni partiva un autobus per ricollocare le persone nelle altre regioni, cosa che non è successa questa estate. I posti in accoglienza però ovviamente non sono bastati. La Caserma Cavarzerani di Udine, ad esempio, è arrivata a ospitare 900 persone, anche se era adibita per 350. A Trieste il sistema di accoglienza diffusa, che non prevede grosse strutture, si è trovato in difficoltà e da modello virtuoso si è trasformato in un problema. E le persone sono rimaste in strada, aiutate solo dal volontariato locale. A oggi in strada ce ne sono circa 300 e metà di loro da più di un mese», continua Schiavone. E chi non resta nel capoluogo friulano parte ridistribuendosi autonomamente in varie città del Centro Nord come ad esempio a Trento, Firenze, Siena. «In questo modo l’Italia sta violando il decreto 142/2015, che recepisce la direttiva europea sull’accoglienza. La legge, infatti, impone allo

18 23 ottobre 2022 Il mercato del lavoro

Prima

La baraccopoli di San Ferdinando (Reggio Calabria), allestita dai migranti africani ingaggiati come raccoglitori stagionali di arance. In basso, migranti accampati all'ex Silos della stazione di Trieste

permesso di lavoro. Il flusso è regolato dalla legge Bossi-Fini del 2002 che prevede la presentazione di un documento trien nale programmatico per stabilire quanti migranti servono al mercato del lavoro: nella pratica, dal 2006 nessun governo si è più preoccupato di questa programmazio ne e, in sua assenza, è possibile accogliere una quota di lavoratori migranti non su periore a quella dell’anno precedente. In sostanza, si è passati dagli oltre 180mila permessi del 2010 ai 30mila del 2020. Trop po poco rispetto alle richieste del mercato che Costantini di Randstad stima in 350mila unità l’anno. Solo a dicembre del

2020 è stato eliminato il vincolo della Bos si-Fini e il governo Draghi ha potuto allar gare un poco le maglie del decreto flussi: 70mila persone. Briciole, perché sono un quinto della richiesta delle imprese. Ma non è finita qui. «Il decreto flussi stabilisce quante persone possono entrare, in quali settori, se per lavoro stagionale, autono mo o subordinato e su quali territori. Se ad esempio un imprenditore bresciano voles se assumere un autotrasportatore, ma per quell’area il decreto flussi stabilisce che possono entrare solo dieci braccianti, allo ra non c’è alcuna possibilità di assumere personale straniero. Di più: per assumere un dipendente bisogna anche essere velo ci e fortunati, visto che si utilizza il siste ma del click day. Chi è più veloce a colle garsi al portale governativo “vince” il per messo di soggiorno».

Ma come avviene l’incontro fra doman da e offerta di lavoro fra Italia ed estero? In base alla legge Bossi-Fini il datore dovreb be selezionare il dipendente straniero ba sandosi sul curriculum, dal momento

Stato di recepire la domanda di asilo e di farsi carico del richiedente. Quest’estate invece molte persone sono state lasciate in strada senza poter fare i documenti e senza accoglienza», spiega Schiavone.

Capire quanti sono effettivamente i posti disponibili è un altro punto dolente. Quello che si sa è che molte strutture in tutta la Penisola si sono ritirate dalla gestione dell’accoglienza dal 2019, anno in cui sono stati tagliati fondi, ma stabilire quanti sono i posti liberi oggi resta difficile.

La relazione “Diritto di asilo e accoglienza dei migranti sul territorio”, presentata dalla Camera e datata 16 settembre 2022 riporta i dati diffusi nel rapporto sul funzionamento del sistema di accoglienza di stranieri nel territorio nazionale, riferita all’anno 2019 e trasmessa a fine dicembre 2020 dal ministero dell’Interno al Parlamento. La rete della prima accoglienza era costituita da: 9 centri governativi e 5.465 strutture di accoglienza temporanea dislocate nel territorio,

in diminuzione rispetto alle 9.132 del 2017 e alle 8.102 del 2018. I dati pubblici si fermano quindi al 2019. «Complessivamente tali centri ospitano la maggior parte dei richiedenti asilo, pari a 63.960», si legge. Secondo un’indagine di OpenPolis, una fondazione indipendente che promuove progetti per l’accesso alle informazioni pubbliche, l’accesso ai dati sul numero di posti presenti nel 2022 «è stato negato con la motivazione che i dati sarebbero incompleti». Continua Schiavone: «Il fatto è che in Italia l’accoglienza è totalmente sottostimata rispetto alle esigenze e un aumento, anche se non così consistente, degli arrivi via terra e via mare mette in ginocchio l’intero sistema. La mia impressione è che in corrispondenza della crisi politica anche gli atti amministrativi siano stati rallentati. Non posso escludere che si volesse creare il caos che è emerso, creando l’immagine che le persone dormono in strada perché sono troppe, addossando loro la colpa di essere arrivati e non al sistema che avrebbe dovuto provvedere».

Il rovescio immediato di questa strategia è portare i migranti a essere invisibili (chi non viene registrato come richiedente per lo Stato di fatto non esiste) traghettandoli nell’illegalità.

23 ottobre 2022 19
Pagina

Il mercato del lavoro

che risiede all’estero. Ovviamente le cose vanno diversamente: «Il più delle vol te l’imprenditore o la famiglia interessata all’assunzione si affida a una rete familiare di migranti già risiedenti in Italia, la quale ha un parente o un conoscente interessato a quell’impiego», spiega Elia della Cgil, che continua: «Funziona così in tutti i set tori, dall’edilizia, alla manifattura, dal la voro domestico alla logistica, dalla risto razione collettiva alle pulizie e si crea una forma di caporalato internazionale dram matica sia per i datori di lavoro sia per chi arriva qui, perché su tutto prevale questa rete di intermediari, che spesso crea for me di schiavismo a cui sottostanno i nuovi arrivati». Visto che la percentuale di per messi di soggiorno lavorativi è passata dal 60 al 10 per cento negli ultimi dieci anni a causa delle maglie sempre più strette del decreto flussi, sempre più migranti entra no in Italia sfruttando i visti per ricon giungimento familiare (aumentati dal 30 al 60 per cento in 10 anni) e gonfiando le fila del caporalato.

Farsi invitare da un parente è quindi una delle modalità per ovviare alla carenza di permessi di lavoro, l’altra è sperare di essere intercettato da un sano sistema di colloca mento, come quello avviato da Randstad con i centri di accoglienza e le organizza zioni che si occupano di migrazione. Ma la stragrande maggioranza di chi arriva in Ita lia segue una strada meno sicura e finisce per galleggiare fra quel 12 per cento di lavo ro nero, grigio e sommerso inscalfibile in Italia. È la Guardia di finanza del Comando provinciale di Milano che, dopo aver sco perchiato il fenomeno del caporalato inter nazionale prima con l’inchiesta sui rider, poi con altri due filoni di indagine che inte ressano imprese lombarde della logistica, a spiegare come sempre più spesso la dispe razione dei migranti li rende ricattabili da reti di caporali che li assoldano attraverso società e cooperative. I migranti, che in mi nima parte arrivano in Italia via mare, men tre nel 65 per cento dei casi arrivano con un visto turistico e sperano per l’appunto in un lavoro, vengono assunti con contratti sta gionali o di collaborazione occasionale co me rider, fattorini, braccianti, bassa mano valanza impiegata in edilizia, agricoltura e in generale nell’industria e pagati pochi euro l’ora. Nella sola inchiesta sui rider

SFRUTTATI DELLE GRIFFE ALLA FAME DOPO IL COVID

DI ERICA MANNA

È una mattina di marzo 2020. Le operaie della fabbrica tessile Hulu Garment, in Cambogia, come ogni giorno prendono posto ai loro banchetti, illuminati dalle lampade al neon sotto il tetto di lamiera. Si siedono a cucire in questo alveare. La fabbrica produce abiti per Adidas. Ci lavorano 1.020 operai, la stragrande maggioranza donne. Ogni giorno scivola via identico. Ma quella mattina è diversa. I manager convocano le lavoratrici: spiegano loro che la pandemia da Covid-19 sta paralizzando il mondo, che la fabbrica non ha più ordini e che devono licenziare i lavoratori. «Dovete firmare questo documento, con l’impronta del pollice», spiegano, perché la maggioranza non sa né leggere né scrivere: «Se non lo fate, non potremo pagarvi il salario». Firmano tutti. Senza accorgersi che in una riga del documento c’è scritto che stavano accettando di dimettersi. A oggi, stanno ancora aspettando in tutto 3,6 milioni di dollari. Il caso della Hulu Garment non è un episodio isolato: gli esempi sono tanti, mappati dagli attivisti della campagna “Pay your workers”, che vede uniti sindacati e organizzazioni per i diritti umani a livello mondiale. Chiedono sostegni immediati a lavoratori e lavoratrici tessili e una riforma del settore, a partire da Adidas. La mobilitazione globale andrà in scena dal 24 al 30 ottobre anche in Italia. Da Bologna, con una campagna di manifesti realizzati dal collettivo artistico Cheap, a Milano, Torino, Roma, Fidenza, Firenze, Trento.

La questione delle tutele nel settore tessile è annosa e globale e non riguarda solo Adidas: ma è la pandemia a segnare un prima e un dopo. Perché se già lavoratori e lavoratrici erano sottopagati, con la chiusura di molte fabbriche ora sono alla fame 35 milioni di persone nel mondo. Una ricerca della Penn State University – Center for global workers’ rights calcola che il 10 per cento di chi lavora nel tessile con il Covid-19 abbia perso il lavoro: una percentuale destinata a salire al 35 per cento con la crisi energetica. «Milioni di persone non ricevono lo stipendio da mesi e contraggono debiti per sfamare le proprie famiglie», spiega Deborah Lucchetti, presidente di Fair e coordinatrice della campagna nazionale Abiti Puliti: «Con la campagna Pay your workers vogliamo che le imprese, tramite un accordo vincolante negoziato con i sindacati, garantiscano a lavoratori e lavoratrici tessili lo stipendio pieno per tutta la durata della pandemia e dunque, restituiscano il furto

20 23 ottobre 2022

salariale per stipendi tagliati, tfr o indennità non pagate. E che le aziende aderiscano al fondo di garanzia che copra i rischi di eventuali fallimenti».

In Cambogia, secondo una ricognizione dei sindacati in 114 fabbriche, i lavoratori tessili che hanno prodotto indumenti per Adidas sono stati privati di circa 109 milioni di dollari di salari solo nel periodo tra aprile e maggio 2021, e in otto di queste fabbriche più di 30 mila lavoratori e lavoratrici stanno ancora aspettando gli stipendi arretrati da marzo a maggio per un totale di 11,7 milioni di dollari. In Turchia, quest’anno, alla Çevre Yolu Caddesi, i sindacati hanno denunciato che Arık Bey Tekstil Beysehir, uno strategico fornitore Adidas nel Paese, ha licenziato illegalmente nove lavoratori per intimidire gli altri ed evitare che aderissero alle sigle. «Per i lavoratori e le loro famiglie è una questione di sopravvivenza, Adidas invece, nonostante la pandemia, in un anno ha aumentato il fatturato del 15 per cento, passando da 18.435 miliardi di dollari nel 2020 a 21.234 miliardi di dollari l’anno dopo, e solo nel primo trimestre del 2021, la multinazionale ha guadagnato 650 milioni di dollari di profitti. E un ruolo decisivo nel generare guadagni è stato giocato dai ristori pubblici alle aziende».

Dal Sud del mondo al nostro Paese: a partire dal settore moda la campagna Abiti Puliti lancia la sua proposta per l’Italia sul salario dignitoso come diritto universale. Il tema è tornato di attualità perché il Consiglio dell’Unione europea ha appena dato il via libera finale alla direttiva sul salario minimo già approvata anche dal Parlamento Europeo. Di fatto, mettendo nero su bianco dopo mesi di dibattito che per legge le paghe non potranno scendere sotto un certo livello, in modo da garantire condizioni dignitose a tutti i lavoratori. La direttiva però non stabilisce quale debba essere questa soglia e non obbliga i singoli Stati a introdurre

il tetto. Tra i ventisette Paesi comunitari, solo sei non hanno la paga base: tra questi l’Italia, perché la grande maggioranza dei lavoratori è coperta dai contratti collettivi. Il tema non appare nell’agenda del prossimo governo, visto che Giorgia Meloni ha esplicitato molto chiaramente che il salario minimo è «uno specchietto per le allodole», perché «la stragrande maggioranza di chi oggi è lavoratore dipendente nel privato è coperto da contratti collettivi nazionali che già di fatto prevedono un minimo salariale». Partendo dai dati Eurostat del 2019, che rilevavano per l’Italia un tasso di rischio di povertà lavorativa per le persone di età compresa tra 18-64 anni dell’11,8 per cento (ovvero 2,8 punti al di sopra della media europea), il rapporto “Il salario dignitoso è un diritto universale. Una proposta per l’Italia, a partire dal settore moda” di Fair - Campagna Abiti Puliti individua come salario minimo dignitoso 1.905 euro netti mensili, ipotizzando una settimana lavorativa standard di quaranta ore settimanali. Ovvero, 11 euro netti all’ora. Utopia? «No», risponde Deborah Lucchetti: «Una volta chiarito quanto vale una paga adeguata bisogna che sia garantita a tutti i lavoratori, in Italia e all’estero. Come? Attraverso leggi che la impongano alle imprese. Per questo è nata la campagna Good Clothes Fair Pay, una petizione diretta alla Commissione europea tramite uno strumento specifico previsto dai Trattati, ovvero Iniziativa dei cittadini europei (Ice), con la quale si chiede che l’Unione approvi una legislazione ad hoc per introdurre salari dignitosi nel settore tessile. Se la petizione raggiunge almeno un milione di firme in un anno, entro il 19 luglio 2023, la Commissione europea sarà obbligata a valutare di promulgare questa legge proposta nella petizione. Per questo è importante firmare: e l’Italia è in prima linea, vista la sua tradizione manifatturiera. Possiamo farcela».

23 ottobre 2022 21 Prima Pagina Foto: pag. 18-19: Andrea Lasorte, Giulio Piscitelli / Contrasto
Lavoratrici sfruttate del settore tessile in Bangladesh aderiscono alla campagna Pay your workers, promossa da sindacati e organizzazioni per i diritti umani

sfruttati da Uber Eats la Guardia di fi nanza ha scoperto 750 migranti prevenien ti per lo più da Pakistan, Bangladesh e an che Centro Africa costretti a lavorare al soldo di società che trattenevano per sé parte degli stipendi e lasciavano ai rider non più di tre euro a consegna.

Se al Sud il fenomeno è sfacciatamente alla luce del sole con i migranti accolti nelle baraccopoli e occupati nei campi per un pugno di soldi, «al Nord il fenomeno esiste, è massiccio, ma meno evidente. Qui a Cu neo vengono impiegati nella raccolta della frutta, nella vendemmia, ma anche nell’edi lizia, nelle imprese manifatturiere, nei ri storanti, nelle aziende di pulizia. Non han no un ruolo fisso, ogni due o tre giorni l’a zienda per cui lavorano li indirizza altrove», racconta Enrico Manassero, responsabile dellaCaritas di Cuneo, che continua: «Sono ragazzi con permessi di soggiorno tempo ranei alle dipendenze di cooperative e orga nizzazioni che offrono loro vitto, alloggio e un contratto regolare, ma solo di facciata

Il mercato del lavoro

perché in busta paga risultano pochi giorni di lavoro anche se nella realtà hanno fatica to tutto il mese. Questo non permette loro di svincolarsi dal caporale». Terra Buona e Presidio sono i nomi dei progetti avviati da Caritas e prefetture per garantire contratti regolari e forme di accoglienza ai migranti: «Cerchiamo di convincerli a svolgere corsi di specializzazione, per esempio nella po tatura dei vigneti o da manutentori e sal datori, che sono molto ricercati dalle im prese, ma i migranti hanno la necessità di guadagnare in fretta il denaro da inviare al Paese d’origine e spesso preferiscono la soluzione più semplice, ovvero restare al soldo dei caporali», racconta Manassero della Caritas. In Veneto e in Lombardia so no le stesse imprese di Confartigianato e Confindustria a chiedere sia una riforma della legge Bossi-Fini per avere permessi di soggiorno per ricerca di lavoro, sia un giro di vite al caporalato, che favorisce la concorrenza sleale e fa scivolare verso il basso la qualità del lavoro. Richieste fatte pervenire alla leader in pectore Giorgia Meloni, che ha promesso di voler ascoltare gli imprenditori per ridurre al minimo il fardello burocratico dello Stato. Chissà, do po la Bossi-Fini, potrebbe essere giunto il momento di una nuova legge sulla migra zione, magari targata Meloni-Salvini, per allentare i vincoli migratori e accontentare le richieste degli imprenditori italiani.

L’INIZIATIVA

Stefano Disegni firma sei vignette da completare a tema disuguaglianze a sostegno della campagna di raccolta fondi “Insieme per la giustizia sociale e ambientale” del Forum Disuguaglianze e Diversità su Produzioni dal Basso. La quinta battuta vincitrice è di Daniele Poto nella vignetta che pubblichiamo qui. Un’ultima vignetta verrà pubblicata nel prossimo numero de L’Espresso.

Tutte le vignette premiate sono disponibili su www. forumdisuguaglianzediversita.org

Prima Pagina 22 23 ottobre 2022
NEI PROSSIMI CINQUE ANNI ANDRANNO IN PENSIONE 2,8 MILIONI DI PERSONE E NELLO STESSO PERIODO VI SARÀ LA NECESSITÀ DI RECLUTARNE 4,5 MILIONI GUARDANDO FUORI DAI CONFINI

Una legge sbagliata che alimenta il lavoro nero

Vent’anni dopo, potenza del contrappasso, potrebbe ro essere Meloni e Salvini, neo premier e vice, leader di FdI e della Lega, a dover corregge re storture e insufficienze della legge sull’immigrazione firmata nel 2002 dai loro papà Bossi e Fini, allora capi dei leghisti e dei postfascisti di An, ministro delle riforme l’uno, vicepre sidente del Consiglio l’altro nel secon do governo Berlusconi. Fa bene Glo ria Riva a notarlo a conclusione del suo allarmante rapporto (è a pag. 12) su un male che sta diventando ende mico: le aziende cercano personale, ma non lo trovano. O non possono averlo. E lanciano l’allarme. La manodopera italiana non basta, o non ce n’è, o ignora le offerte di lavo ro. Per più di una ragione: mentre la società invecchia, molti giovani cer cano all’estero specializzazioni che non trovano qui, o un futuro migliore; per chi resta non c’è formazione co erente con le nuove esigenze di mer cato; per non dire delle condizioni di lavoro e di paga che molti ragazzi non

hanno più intenzione di accettare. Non resta dunque che ricorrere agli stranieri.

A governare tutto, Riva lo spiega be ne, è appunto la Bossi-Fini che non solo contingenta i flussi, ma è costru ita come il romanzo-film “Comma 22” il cui fatidico paradosso - «Chi è pazzo può essere esentato dalle missioni di volo, ma chi vuole essere esentato dalle missioni di volo non è pazzo» - potrebbe essere parafrasato così: per poter lavorare un immigrato deve essere in regola, ma per essere in regola deve avere un regolare posto di lavoro. E tutto si ferma. Con le con seguenze denunciate dagli impren ditori, molti dei quali rappresentano proprio quel Nord produttivo che ha votato a destra: servono ogni anno 350mila tra carpentieri, elettricisti, infermieri, ingegneri, camerieri, mu ratori, addetti alle pulizie, ne sono di sponibili solo 70mila. Del resto l’Italia è, in Europa, tra i Paesi con il minor numero di immigrati (9 per cento del la popolazione, 13 in Germania, 23 in Svezia).

Non è un caso allora che la piaga del sommerso dilaghi: dice l’Istat che nonostante il fermo da Covid e lock down, sono ancora tre milioni i lavo ratori in nero, in ogni settore, e poco o nulla è stato fatto nemmeno per arginare il ricatto del caporalato che riduce gli uomini a schiavi e inquina l’intero mercato del lavoro. Spesso con la condiscendenza degli stessi imprenditori che si avvantaggiano di costi bassi e di manodopera senza diritti. I ritardi culturali, le polemiche di comodo su ius soli e ius scholae colpiscono anche chi sta qui da anni se perfino una campionessa della pal lavolo come Paola Egonu, nata in Ve neto, italiana di pelle scura, decide di lasciare la nazionale e il suo Paese per i continui insulti razziali e sessuali. In tempi di guerra, di inflazione alta e di crescita zero, non sono question celle. La Caritas ha pubblicato dati drammatici sulla diffusione della po vertà: 5 milioni e mezzo di italiani, il dieci per cento della popolazione, so no in miseria. Nel frattempo si torna a discutere di reddito cittadinanza che, come si sa, piace poco alla destra, ma è oggi incassato da due milioni e mez zo di persone. Non si può fare a me no di incrociare i due dati: anche se i giovani sdraiati sui divani e i furbetti con reddito in tasca e secondo lavo ro in nero fossero solo un’invenzione polemica, resta il fatto che almeno tre milioni di italiani vivono senza lavoro e senza soldi. Parafrasando facili slo gan sbandierati in questi mesi, ver rebbe da dire alla coppia Meloni-Sal vini che povertà e disoccupazione non sono né di destra né di sinistra. E che ora tocca a loro.

24 23 ottobre 2022 Prima Pagina Foto: A. Serranò / Agf Il commento
Un immigrato al lavoro nella raccolta di ortaggi
di BRUNO MANFELLOTTO

Evocano il Pontefice e fanno il contrario

C’

è un particolare interessante nei discorsi che Ignazio La Russa e Lorenzo Fontana hanno pro nunciato in occasione del loro insediamento: en trambi hanno evocato papa Francesco. Negli inse diamenti delle più recenti presidenze di Camera e Senato - Fico, Boldrini, Casellati, Grasso - non c’era quel riferimen to, a prescindere dalle differenze ideologiche. Il saluto deferente (sic!) al Papa era invece usuale nei discorsi più risalenti, quelli di Fini, Casini, Violante e per eccesso anche Pivetti, la quale in un delirio di onnipotenza evocò sulla propria elezione addirittura l’Al

tissimo. Salutare il Papa nel contesto di un insediamento istituzionale non è da tempo più normale, né è mai stato normale il reciproco, visto che nessun Pontefice si è mai riferito ai presidenti di Senato e Camera nel suo discorso di investitura.

Cosa significa nel 2022 citare un’au torità spirituale mentre si presiedono le istituzioni di uno Stato laico? La fac cenda non riguarda papa Francesco, al quale immagino non cambi niente se lo salutano o no in seduta parlamenta re. Nominare il Pontefice serve invece a qualificare chi lo fa davanti alla sua comunità di appartenenza ideologi ca. Il sillogismo è tutto elettorale: se ti riconosci in quest’uomo e pure io mi riconosco in lui, allora tu puoi ben ri conoscerti in me. Che vantaggio ci sia nel tirare la giacchetta al Pontefice in questa maniera si fa presto a capirlo: l’omofobo conservatore Fontana, di fensore della cosiddetta famiglia tradi zionale, nomina il Papa per dire che la sua idea di società è conforme al Van gelo e che per questo lui è contrario all’omosessualità e all’aborto. Spiace

doverglielo ricordare, ma questi eser cizi di libertà personale sono garantiti da leggi dello Stato a cui sta giurando fedeltà. Se tra Chiesa e Stato Fontana preferiva la prima, forse doveva ten tare la carriera vescovile, non quella del politico della Repubblica, anche se quest’ultima ha l’indubbio vantaggio di essere meno selettiva, come prova la sua elezione.

Peccato che Francesco, al di fuori della materia familiare, abbia posizio ni che Fontana si guarda bene dal ci tare, per esempio sui migranti, verso i quali il Papa ha pronunciato frasi che per anni abbiamo inutilmente sogna to di sentire sulla bocca dei governanti cosiddetti di sinistra. È di appena due settimane fa il focoso discorso in cui ha definito l’atteggiamento dell’Euro pa verso i migranti come «peccami noso, disgustoso e criminale», citando la pratica di lasciar morire le persone in mare senza soccorso durante i pe ricolosi attraversamenti del Mediter raneo e soprattutto i respingimenti in Libia, dove vengono messe in campi di detenzione che il Papa non ha avuto il minimo dubbio a definire lager. In pratica, il Papa parlava della politica della Lega di cui Fon tana è vicesegretario, nonché dell’operato da ministro dell’Interno di Matteo Salvini, del quale il neoeletto presidente della Camera è braccio destro e testimone di nozze. Su quello Fontana non ha det to una parola, perfetto interprete della fede cattoleghista a mac chia di leopardo, che usa della dottrina cristiana solo quello che conviene e scarta con astuzia il resto. Bisognerebbe dare un nome a questa nuova religione, almeno per rispetto verso chi la coerenza col Vangelo la ricerca davvero, fuori e dentro le istituzioni.

In un esercizio di legittimazione elettorale all’omofobo conservatore Fontana serve ad accreditare che la sua idea di società è conforme al Vangelo

23 ottobre 2022 27 Illustrazione: Ivan Canu
L’antitalianaMichela Murgia

ra sarà tutto un affannarsi di nomine, di deleghe, di fiducie, di ministri e sottose gretari, si avrà auspicabilmente l'idea al meno per un po' che il cammino del gover no possa immaginarsi ordinato come una fila di paperelle appresso a Giorgia Melo ni, a sua volta in bilico tra un futuro da Angela Merkel e uno da Liz Truss. Eppure la legislatura è nata sotto il segno del caos, l'impronta è data: potrà inabissarsi, il caos, ma poi tornerà sempre su. Come nei primissimi giorni della legislatura. Con un nuovo mistero tipo i 101 che sbarraro no il Quirinale a Romano Prodi nel 2013: i 116 che hanno eletto il fratello d'Italia Ignazio La Russa alla guida del Se nato. Coi fogliettini, i bigliettini, i pizzini, le liste, le schede bianche e le schede finto bianche. Con Silvio Berlusconi vero o in effigie che pur faticando a reggersi in piedi svo lazza tra i Palazzi, da via della Scrofa a Pa lazzo Montecitorio, sempre in cerca di nuovi predellini. «State aspettando Berlu sconi? E pensate davvero che esista?», motteggiava lunedì 17 ottobre una guardia davanti alla sede di Fratelli d’Italia, rivolta ai curiosi che si erano fermati per vedere l'arrivo del Cavaliere in carne ed ossa. E so prattutto, oltre ai pizzini, oltre all'ex pre mier ancora sotto processo per la questio ne delle Olgettine, con una maggioranza che al primo giorno, alla prima seduta, alla prima votazio ne, non ha fatto la prima e forse l'unica cosa che avrebbe dovuto fare: esserci.

«La maggioranza non c'è», ecco la stella danzante, quella partorita dal caos per dirla alla Nietzsche, pensa tore prevedibilmente di nuovo in ascesa. Fratelli d'Italia se ne è andato da una parte, Forza Italia dall'altra, ed è pronta a rifarlo. Come il 28 settembre 2018 Luigi Di Maio - oggi scomparso dal Parlamento e dal web - urlò dal bal

cone di Palazzo Chigi la fine della povertà, così rimarrà negli annali il ringraziamento fatto da Ignazio La Russa il 13 ottobre, appena eletto presidente di Palazzo Madama, ai senatori, in specie agli almeno 17 che sono arrivati in suo soccorso al posto di quelli degli azzurri che non ave vano voluto votarlo. «Voglio ringraziare tutti quelli che mi hanno votato, quelli che non mi hanno votato, quelli che si sono astenuti e - se mi consentite - quelli che mi hanno votato pur non facendo parte della maggioranza

28 23 ottobre 2022 Politica
O IN PARLAMENTO COMANDA IL CAOS. LO SI È VISTO DAL PRIMO GIORNO. PER TENERE SU MELONI È PRONTO UN GRUPPO ALTERNATIVO. DEM, M5S, RENZIANI. I RESPONSABILI SONO FRA NOI DI SUSANNA TURCO IL GOVERNO C’È LA MAGGIORANZA NO

di centrodestra. Grazie davvero di cuore». Un unicum, in effetti, nella storia repubblicana. Abbiamo avuto sì, presi denti delle Camere di opposizione eletti coi voti della maggioranza: ma mai presidenti di maggioranza eletti solo grazie ai voti dell'opposizione. Grazie, grazie di cuo re. E sarà questa l'inquietudine che porta il neoeletto, Ignazio La Russa, a fare anche lui avanti e indietro senza pace tra Palazzo Giustiniani e la sede di FdI in via della Scrofa, come nemmeno Roberto Fico, crocifisso ai tempi giusto per quella gita in autobus che volle fare il primo giorno da presidente.

Segno del nuovo è che il timbro sia arri vato dentro una votazione classica. Senza password, pre-iscrizioni, profili verificati, blog e piattaforme Rousseau: ma dentro l'urna. Proprio così, all'ombra del catafalco di Palazzo Madama, assieme alla maggio ranza che non c'era, si è materializzato il futuro possibile di questi manipoli di ono

revoli. Un Parlamento quasi dimezzato nel numero da una riforma-taglio che voleva contentare le piazze e che, para dosso, ha spazzato via i suoi promotori, per riportare inve ce nei Palazzi tanti di quelli che una legge così non l'avreb bero mai nemmeno ipotizzata. Revenant della politica, di cui questo Parlamento è pieno zeppo. Francesco Saverio Romano al posto di Alfonso Bonafede. Marcello Pera al po sto di Danilo Toninelli. Eugenia Roccella al posto di Paola Taverna, Elisabetta Gardini al posto di Laura Castelli. Si potrebbe andare avanti per delle mezze ore.

Ecco l'altra maggioranza, dunque. La maggioranza ante riore. Quella che c'è e che tornerà. Quella che si è materia lizzata prima della maggioranza ordinaria, rappresentata dal centrodestra a trazione Meloni che ha vinto le elezioni. È una maggioranza alternativa fatta di furbizie, di aspira zioni, di tecnicismi e vendette. Una maggioranza in qual che modo atemporale, eterna, che ha trovato una sua nuo va, vigorosa, incarnazione. In Matteo Renzi, anzitutto. Buon depositario contemporaneo delle manovre di Pa

23 ottobre 2022 29 Prima Pagina Foto: Agf (4)
Susanna Turco Giornalista Nel fotomontaggio: Matteo Renzi, Dario Franceschini, Enrico Letta e Giorgia Meloni

lazzo da, per citare lui, «pelo sullo sto maco alto così», primo indiziato come portatore d'acqua per i voti a La Russa (ov viamente lui nega). Certamente interessa to, in prospettiva, non soltanto a cose con crete come la presidenza del Copasir, ma soprattutto, più in generale, a giocare un ruolo in questa legislatura che si prean nuncia assai più lunga del primo governo che, per adesso, si incarica di interpretarla. C'è tutta la residua eredità di Forza Italia da intercettare, mica uno scherzo. E que sto Terzo polo, litigioso quanto si vuole, funziona da presagio. Come lo fu la scorsa legislatura l'elezione di Maria Elisabetta

Silvio

Alberti Casellati alla presidenza del Sena to: ora non lo si ricorda più, ma si trattò di una specie di colpo di mano da parte del leader leghista Matteo Salvini, a spese di Forza Italia che avrebbe voluto Anna Maria Bernini. Fu so prattutto la prima prova di convergenza tra Cinque Stelle e Lega, che di lì a poco avrebbero governato insieme. Ecco: stavolta, invece, c'è Renzi. Un altro che, come ebbe a dire di sé Vittorio Sgarbi, «dove c'è disordine prospera».

Ma non è mica solo. A recuperare come Pollicino tutte le bricioline lasciate cadere dall'elezione di La Russa si ri trova una caratteristica che attraverserà l'intera opposi zione e che ha benissimo sintetizzato il dem Francesco Boccia: «Se come opposizioni siamo frammentate ri schiamo che a spuntarla fra noi sia quello che ha maggio ri sponde con la Meloni».

Un magnifico modo di spiegare come siano arrivati a Fratelli d'Italia in soccorso i voti che servivano a La Russa. A quanto pare, in effetti, per il momento siamo alla gara. Non è un caso che tra i fedelissimi di Giorgia Meloni mai, nemmeno nel momento peggiore, si sia dubitato che l'ex ministro della Difesa sa rebbe stato eletto. Un accordo che è stato cucito già alla vigilia, persino sigillato da alcuni incontri la sera prima del voto, co me quello - confermato dentro FdI - tra La Russa e un altissimo esponente dem.

casione per assiepare in un angolo om breggiato grandi elettori che gli debbano un favore. Oltre Franceschini: anche Enri co Letta medesimo. Non solo perché il se gretario dem è in ottimi rapporti da sem pre con Giorgia Meloni, come si è detto fi no alla nausea. Non soltanto per il partico lare,riportatodalFoglio,diunafedelissima lettiana ed esponente della segreteria Pd che ha esclamato: «Non la prendessero co me uno sgarbo quelli di Forza Italia, se per questa volta li abbiamo rimpiazzati!». È pure che, giunti al momento di votare vi cepresidenze, capigruppo e questori, pro prio dall'area lettiana si sia scelto il nome del coordinatore nazionale Marco Meloni. Praticamente il braccio destro di Letta, destinato al ruolo di Questore al Senato come ad una àncora di salvezza. Segno, questo, di un buon rapporto con i meloniani. Spiega i tec nicismi un deputato che si intende di queste materie: «I vicepresidenti sono quattro, è più facile dividerseli; i que stori sono tre, quindi devi avere un accordo di ferro anche con la maggioranza, soprattutto se vuoi candidare il tuo uomo».

Ecco dunque che non serve guardare neanche tanto lon tano per capire dove può affondare le radici quest'altra maggioranza sottile. La differenza, d'altra parte, in questo Parlamento dimezzato, in questo Senato dove maggioran za assoluta è 104 e il centrodestra totalizza 115 voti, la dif ferenza la fanno i pochi. Non per niente, prontissimi, si sono già attrezzati a Palazzo Madama i prossimi "Respon sabili". Un gruppetto parlamentare guidato per nulla a ca so da Antonio De Poli, Udc, promosso anche lui questore (in quota maggioranza). Il nome è tutto un programma:

VICEPRESIDENZE

Come in una versione politica dell'Assas sinio sull'Orient Express, infatti, non c'è alcuno che si possa chiamare davvero fuo ri. Non i Cinque Stelle di Giuseppe Conte, che aspirano per lo meno alla presidenza della commissio ne di Vigilanza e che comunque, a parte i tre mesi di cam pagna elettorale, hanno in questi dieci anni di Parlamento sempre giocato con lo schema delle maggioranze variabili, quello che conoscono meglio.

DOVREBBERO ESSERE OPPOSTI

Non è esente nemmeno il Pd. Tra i possibili spingitori di La Russa c'è infatti l'areadem di Dario Franceschini; mini stro uscente della Cultura, ora senatore, come aspirazio ne residua ha soltanto ormai il Quirinale, e non perde oc

Civici d'Italia-Noi Moderati-Maie. Per ora gli aderenti sono tre (oltre a De Poli, la ex azzurra Michaela Biancofiore e l’argentino Mario Alejandro Borghese), cui si aggiungono tre prestiti da FdI (il vicesindaco di Colleferro Giorgio Sal vitti, la neosenatrice Giovanna Petrenga, l’ex ministro An tonio Guidi). Ma la presenza del Maie, che è il cremor tar taro dei Palazzi, lo rende pronto a lievitare. Come un impa sto. Basterà giusto un po' d'acqua.

30 23 ottobre 2022 Prima Pagina Foto: A. Casasoli / FotoA3 Politica
DELLE CAMERE E GUIDA DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI SONO DIVENTATE SUBITO MATERIA DI SCAMBIO TRA I FRONTI CHE
Berlusconi. Le sue dichiarazioni sui ministri e su Putin hanno provocato forti tensioni nella maggioranza di destra

Le Finanze vanno ai figli di Silvio

Dopo avere rivendicato la sua amicizia con Putin, Ber lusconi ha ammesso anche quella con Umberto Smaila, rendendo indifendibile la sua posizione anche presso gli alleati più fedeli. Per punizione avrà solo un paio di mini steri: il nuovo Ministero dell’Amnistia, che prende il posto del desueto Ministero della Giustizia, e quello della Marina Mercantile, in omaggio ai suoi trascorsi sulle navi da crociera. Per un partito di pic cole dimensioni è un notevole successo.

La polemica Secondo le rivelazioni di un nostromo in pensione, raccolte dal settimanale Dimmelo!, Berlusconi non avrebbe affatto suonato il pianoforte sulle navi da crociera, come rivendicano i suoi agiografi, individuando in quelle esibi zioni il punto più alto della sua carriera. Suonava il tamburello, accompagnando l’orchestra “Billy Caronìa Mediterranean Band”, e venne sostituito da un altro tam burellista perché stonava spesso. Dopo quell’incidente trovò una scrittura, come ventriloquo, sui pescherecci di Mazara del Vallo, ma gli equipaggi si stancarono presto e la sua carriera artistica finì lì. Per sua fortuna, preso a benvolere da un ar matore locale, Cicciu Badalanotte, tornò a Milano con una liquidazione di venti miliardi lire, che gli consentì i primi passi come imprenditore.

Piano di pace Dimenticato al tavolo di un ristorante, scritto di suo pugno in un grosso stampatello, è stato reso pubbli co il “Piano Top Secret di Pace” che Ber lusconi avrebbe concordato con Putin in una lunga telefonata in viva voce, nel corso del pranzo sociale con le maestran ze di Mediaset. Nonostante abbia dovuto zittire spesso sia i commensali sia i came rieri, e ci siano alcune macchie di sugo dovute alla concitazione del momento, il piano è molto chiaro. Come già anticipa to a Porta a Porta, il piano consiste in un unico punto: l’instaurazione di un gover no di persone per bene a Kiev, formato da ex detenuti siberiani e ceceni scarcerati

per meriti di guerra. Putin, allargandosi, aveva chiesto l’instaurazione di un gover no di persone per bene anche a Roma, ma Berlusconi gli ha spiegato che bisogna fa re un passo per volta.

I figli Inviati a trattare con Fratelli d’I talia per il nuovo governo (unico caso nella storia della politica mondiale) i fi gli di Berlusconi ci hanno preso gusto e vorrebbero tutto per loro un ministero, quello delle Finanze, così da poter abolire la tassa di successione, già ridotta a poca cosa dal loro lungimirante padre. Non è stato possibile, perché le Finanze sono destinate alla Lega. Per rabbonire i figli, è stato spiegato loro che chiunque sarà il nuovo ministro delle Finanze, la tassa di successione sarà abolita lo stesso.

Salvini Sarà vicepremier. Gli è stato spie gato che il ruolo è meno importante di quello di premier, così come vicesindaco è meno di sindaco, vicequestore meno di questore, videbrigadiere meno di bri gadiere, eccetera. Ha risposto che lo sa benissimo, ma ha chiesto se i protocolli consentono che il vice possa parlare con un volume di voce superiore a quello del premier. Gli è stato risposto che nulla osta a questa soluzione, e per ora sembra accontentarsi. Gli è stato anche assicura

to che potrà continuare a indossare felpe, però consone al suo ruolo. Sta facendosi preparare, dalla sartina di riferimento, tre felpe: da am basciatore, da generale e da cardiochirurgo.

Meloni Cammina senza sosta, con gli occhi fissi nel vuoto, nel suo stu dio di Tor Perpendicola (ma ne ha uno anche a Tor Mantecata) ripeten do ai suoi collaboratori del Cerchio Maggico: «Ma perché? Perché quei due? Perché proprio a me? Me ne stavo così bene, alla Garbatella…». È assistita da uno psicologo d’area, Romolo Mannaggia, che ha uno stu dio a Latina e uno a Rieti. Non esercita, perché in zona la psicanalisi non è praticata volentieri. Si professa metà junghiano, metà freudiano, metà di Velletri.

Satira PreventivaMichele Serra 23 ottobre 2022 31 Illustrazione: Ivan Canu
Chiamati a trattare sul nuovo governo gli eredi di Berlusconi hanno chiesto il dicastero competente sul fisco. Per abolire del tutto la tassa di successione

L’Unione europea sta affrontan do grandi sfide. Dopo la crisi bancaria e la pandemia, l’at tacco russo all’Ucraina ha fat to capire a noi europei quanto siamo dipendenti da partner commerciali rivelatisi inaffidabili e quanto il nostro siste ma economico sia fragile. Dobbiamo gestire questa situazione, garantire la sicurezza energetica, rafforzare la nostra difesa, pro teggere la nostra economia e mitigare i disa gi sociali. Ma il rischio di un blocco recipro co è grande perché ogni Paese persegue e difende i propri interessi, come comprensi bilmente si aspettano le rispettive popola zioni. Allo stesso tempo, è chiaro che le so luzioni nazionali non saranno sufficienti. I compromessi europei possono essere ac cettati a livello di opinione pubblica nazio nale solo se si è consapevoli della situazione politica, economica e sociale dei vicini eu ropei. Si pone quindi una domanda centrale per l’Ue: come possiamo, in quanto europei, scambiare opinioni su temi di interesse pubblico che ci riguardano tutti? Come pos siamo discutere insieme della res publica, percepire il punto di vista dell’altro, soppe sare le argomentazioni e quindi capire per ché una certa decisione merita la nostra ap provazione o il nostro rifiuto?

Fin dai tempi di Jürgen Habermas sappia mo dell’importanza di una “sfera pubblica”, uno spazio al di là della sfera privata in cui i cittadini possono discutere di questioni di interesse generale. Solo in questo modo, nel la competizione per l’argomentazione mi gliore, le posizioni possono emergere discor sivamente e si può sviluppare un’opinione democratica, sulla base della quale è poi pos sibile una decisione di maggioranza.

Per Habermas, l’esistenza di una sfera pub blica, supportata da pubblicazioni, media, giornali e organi di stampa, è il prerequisito per la transizione dall’Ancien Régime, dalle società aristocratiche feudali, alle società de mocratiche di massa della modernità nei se coli XVIII e XIX. L’argomentazione di Haber mas ha ancora una grande rilevanza per l’U nione Europea di oggi. Non sono le differenze linguistiche, storiche, di ricchezza o di nazio nalità tra gli europei a determinare il succes

DISCUTERE PER UNIRSI

Per rafforzare il processo democratico nella Ue è necessario sviluppare una sfera pubblica comune. Che superi le differenze culturali e linguistiche fra i Paesi

so o l’insuccesso dell’esperimento democra tico dell’Ue. Si tratta piuttosto di rendere possibile un dibattito democratico sulle so luzioni a problemi comuni al di là dei confini linguistici e nazionali.

L’AUTORE

Stefan Seidendorf è vicedirettore dell’Istituto francotedesco di Ludwigsburg. Studia l’effetto di comportamenti culturalmente e socialmente radicati sul processo di integrazione europea. Inoltre esamina le strutture di governance europee e l’impatto delle strutture istituzionali

Un ordine democratico ha bisogno di uno spazio pubblico comune dove i cittadini pos sano discutere e confrontarsi, dove si possa no scambiare argomenti e formare opinioni. Come nel contesto nazionale, ciò non signifi ca omogeneità negli argomenti o nel modo in cui i media possano parlare o scrivere. L’esi stenza di una sfera pubblica comune signifi ca che gli europei attribuiscono importanza alle stesse questioni pubbliche nello stesso momento, ne riconoscono la rilevanza e ne discutono tra loro. Questo implica il dialogo tra opinioni e punti di vista diversi e il dibat tito per l’argomento migliore.

Tuttavia, affinché ciò avvenga, i cittadini devono avere la possibilità di percepire e far propri anche i dibattiti, le discussioni e le opi nioni su un tema espressi negli altri Stati membri dell’Ue. Nonostante Internet e le mi gliori possibilità tecniche, ad oggi esistono solo rudimentali mezzi di comunicazione europei che sarebbero disponibili e fruibili in tutta l’Unione. In particolare, le barriere lin

32 23 ottobre 2022
A CURA DI AMÉLIE BAASNER Europa Oggi

guistiche tra gli europei sembrano rappre sentare ancora un ostacolo in questo campo. Allo stesso tempo, a partire dagli anni ’50 e dai dibattiti sulle prime comunità europee e sul riarmo della Germania, è stato dimostra to che un’opinione pubblica europea può svi lupparsi molto rapidamente: per questioni ed eventi che riguardano tutti noi, c’è stato e c’è interesse e attenzione oltre i confini na zionali. La storia dimostra che già in passato le sfere pubbliche nazionali sono state in gra do di “europeizzarsi”: per fare degli esempi, le riviste, e in particolare i giornali, hanno riferi to contemporaneamente e con la stessa at tenzione della visita di Stato di Theodor Heuss, il primo presidente della Repubblica Federale Tedesca, in Italia nel 1957, o dei viaggi del cancelliere Adenauer in Francia e del presidente de Gaulle in Germania.

Oltre alla crescente importanza dei mezzi di comunicazione e di informazione paneu ropei, spesso su Internet, questa base di una sfera pubblica mediatica transnazionale ri mane un prerequisito cruciale per il successo dei dibattiti europei. Per evitare che le di scussioni sulle questioni europee rimangano un fenomeno d’élite, è necessario diffonder le, tradurle e pubblicizzarle reciprocamente.

Prima

IL TEMA

Non sono le differenze linguistiche, storiche, di ricchezza o di nazionalità tra gli europei a determinare il successo o l’insuccesso dell’esperimento democratico dell’Ue. Come tutti gli ordini democratici l’Ue ha bisogno di uno spazio pubblico dove i cittadini possano discutere e confrontarsi, dove si possano scambiare argomenti e formare opinioni. La discussione sull’Europa rischia altrimenti di disintegrarsi in dibattiti di nicchia condotti a livello nazionale

La discussione sull’Europa rischia altrimen ti, di disintegrarsi in dibattiti di nicchia con dotti a livello nazionale. Anche nelle sfere pubbliche pro-europee degli Stati fondatori, Francia, Italia e Germania, negli ultimi anni si è sviluppata una crescente politicizzazione del dibattito sull’Europa. Ciò comporta il pe ricolo di una spaccatura tra le élite pro-euro pee ed uno schieramento euroscettico o ad dirittura anti-europeo della “gente comune”. Il consolidamento di una tale divisione sa rebbe fatale per l’Ue, poiché incoraggerebbe la politicizzazione lungo linee di conflitto nazionaliste. È troppo facile incolpare sem pre “l’Ue” di tutti i mali e ripiegare sugli inte ressi nazionali. L’ampiezza delle sfide rende indispensabili posizioni comuni, che posso no essere raggiunte solo se i cittadini cono scono e comprendono anche i punti di vista dei Paesi partner. Un panorama mediatico più connesso, lo scambio di articoli di opi nione su diversi media di qualità nei grandi Stati membri potrebbe essere un approccio efficace per dinamizzare il dibattito pubbli co sul futuro dell’Europa.

Traduzione di Nicholas Teluzzi e Amanda Morelli

23 ottobre 2022 33 Foto: Getty Images
Pagina
Manifestazione a Tbilisi in favore dell’adesione della Georgia alla Ue

ALLEATI RIBELLI D’AMERICA

roprio mentre pensava di poter contare sugli amici più fidati per evitare che pericolose lesio ni si aprissero sulla sua strate gia d’attacco per fermare Putin, Joe Biden è costretto a fare i conti con gli alleati ribelli del Golfo, sempre più insofferenti alle insicurezze palesate dalla politica estera americana in Medio Oriente e sempre più tentati di percorrere una loro via diplomatica in un mondo sempre meno uni polare.

Questo sentimento di disillusione, quando non di tardivo disincanto, nei confronti del vecchio alleato e protettore d’oltre oceano si avverte, sottotraccia, nei commenti di tutti, o quasi, i governanti mediorientali che parteci pano in queste ore allo tsunami di parole, ac cuseeripicche,provocatodalladecisionepre sa il 5 ottobre scorso dall’Opec+, l’Organizza zione che raccoglie 23 paesi produttori di pe trolio, inclusa la Russia, ma non l’America, di

tagliare la produzione di ben due milioni di barili al giorno, in modo da mantenere alto il prezzo del greggio, intorno ai 90 dollari al ba rile. Una decisione che nella polarizzazione provocata dall’aggressione russa all’Ucraina è stata vista dagli Stati Uniti come un favore a Putin, il quale, grazie agli alti prezzi del petro lio e del gas può continuare a finanziare la sua guerra. L’uomo che ha imposto all’Opec quel taglio sanguinoso è il potente principe eredi tario saudita Mohammed bin Salman, o MbS, come scrivono i giornali, di fatto il reggente del trono delle due scimitar re, solo formalmente affidato allo scettro dell’anziano e fra gile re Salman. Il quale, a con ferma della successione in atto, ha da poco trasmesso al trentasettenne erede la cari ca di primo ministro, solita mente spettante al monarca regnante.

34 23 ottobre 2022 Medio Oriente / 1
DI ALBERTO STABILE
BIDEN HA PRESO MALISSIMO LA DECISIONE DELL’OPEC DI TENERE ALTO IL PREZZO DEL PETROLIO. MA IL SAUDITA MBS E IL SUO AMICO DEGLI EMIRATI MBZ VANNO PER LA LORO STRADA
Alberto Stabile Giornalista
P

Autoritario, più che autorevole, spregiudi cato nella sua scalata al potere anche a costo di travolgere altri membri della famiglia, ac compagnato da una fama di riformatore che contrasta col pugno di ferro adoperato con tro i promotori dei diritti civili, MbS avrebbe perso ogni legittima aspettativa al trono dopo i gravi sospetti gettati su di lui, anche dai ser vizi di sicurezza americani, quale mandante della raccapricciante uccisione del giornali sta e oppositore, Jamal Khashoggi, strangola to e fatto a pezzi da una squadra speciale in viata da Ryad, nelle stanze del Consolato sau dita di Istambul.

Invece, quattro anni dopo quel delitto, MbS non soltanto conta i giorni che lo separano dal trono, senza che nessun governo osi solle vare alcuna obiezione di tipo morale, ma con tinua a coltivare i progetti faraonici che gli sono valsi la fama di visionario innovatore, tra i quali spiccano un complesso sciistico nel deserto e una città supertecnologica (Neom)

Il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman (a sinistra) con Mohammed bin Zayed Al Nahyan, presidente degli Emirati Arabi Uniti

da 500 miliardi di dollari, in parte fluttuante sulle acque del Mar Rosso. Progetti per finan ziare i quali occorre che la risorsa principale del reame petrolifero, il greggio, costi ai con sumatori sempre di più. Ed ecco, quindi, pronta la giustificazione al taglio imposto al la produzione: «decisione puramente econo mica non politicamente motivata», insiste Ryad.

Basterebbe soltanto osservare la distanza siderale che separa il giovane despota seduto su un’immensa ricchezza, abituato a non ri spondere del proprio operato, dal vecchio presidente, aggrappato al potere ma sempre sottoposto alle leggi del consenso popolare, per concludere che Biden non aveva nessuna possibilità di venire ascoltato quando, secon do quanto ha rivelato il ministro saudita per l’Energia, nonché fratello del principe eredi tario, Abdel Aziz bin Salman al Saud, la Casa Bianca ha implorato MbS di rinviare la deci sione dell’Opec di un mese. Non c’è bisogno di ipotizzare, come hanno fatto molti politici americani, diabolici voltafaccia da parte sau dita, o un inedito asse Mosca-Ryad, dove al massimo sembra essersi consumato un ma trimonio estemporaneo di interessi. Il taglio della produzione danneggia i Paesi europei e aiuta Putin, è vero, ma da questo a ipotizzare un riallineamento Russia-Arabia Saudita ne corre.

Ma il problema non riguarda soltanto l’Ara bia Saudita. L’altro protagonista dello scontro tra gli Stati Uniti e i signori del Golfo è l’uomo che ha creato, politicamente, il personaggio di Mohammed bin Salman, che ha puntato su di lui quando era un giovanissimo principe con molte ambizioni e poco acume, e che lo ha introdotto nelle alte sfere del potere ame ricano, a partire dalla famiglia Trump. Lo sceicco Mohammed bin Zayed Al Nahyan, presidente degli Emirati Arabi Uniti, dopo una vita passata a esserne il ministro della Difesa. MbZ, come viene chiamato sui gior nali per assonanza col suo epigono, contra riamente all’irruento MbS è paziente e calco latore, ma detesta sentirsi dire quello che de ve fare. Tant’è che, quando l’Opec ha deciso il taglio alla produzione che ha mandato su tutte le furie gli americani, lui, lo sceicco emi ratino, ha fatto sapere di essere «preoccupa to» delle possibili conseguenze.

Ma poi si è adeguato. Perché sulla questio ne Russia-Ucraina-Stati Uniti, cioè sulla guer ra che rischia di mandare il mondo a gam

23 ottobre 2022 35 Prima Pagina Foto: Ansa

be all’aria, ha un suo progetto di mediazio ne che gli è già valso la liberazione di 215 sol dati ucraini prigionieri della Russia, in cambio di 54 russi e del magnate ucraino amico di Putin, Viktor Medvedchuk. MbZ, martedì 11 ottobre, è volato a San Pietrobur go per incontrare Putin e parlare anche di co me porre fine al conflitto.

Per gli Emirati Arabi Uniti, non meno che per l’Arabia Saudita e per il Qatar (l’emiro del Qatar, Tamimi bin Hamad al-Thani ha incon trato Putin il 13 ottobre al vertice di Astana) la guerra nel Nord Europa ha una valenza economica imprescindibile e, come tutte le guerre, può risultare per alcuni un buon affa re. Nel caso degli Eau non solo grazie alle spe culazioni sui prezzi delle materie energetiche ma anche grazie al ruolo degli Emirati, in quanto “transhipment location”, luogo di tra sbordo, nel commercio internazionale delle armi. Così, pur condannando al pari dell’Ara bia Saudita l’annessione delle regioni ucraine decisa da Putin, gli emirati hanno chiarito che non intendono rinunciare agli investi menti e alle joint venture create in Russia. Business as usual.

Così Dubai è diventato il paradiso dei russi inseguiti dalle sanzioni: oligarchi, uomini d’affari, cacciatori di opportunità, sono più di centomila gli attuali residenti “russian spea kers”, a cui si sono aggiunti, anche 15mila ucraini difficilmente etichettabili come per sone in fuga dalla guerra. Gli oligarchi sono presenze ingombranti. Il loro capofila, Ro

man Abramovich, ex proprietario del Chel sea, se non amico, almeno “nella manica” di Putin, è arrivato negli Emirati con il suo Boe inig 787 Dreamline da 314 milioni di dollari. Andreij Skoch, acciaierie, deputato della Du ma, ha messo in rada una barchetta da 156 milioni. Chi li ha aiutati ad aggirare blocchi e divieti internazionali? Alcuni investigatori ucraini, tramite due penalisti inglesi, hanno accusato il vicepresidente degli Emirati, Sheik Mansour bin Zayd Al Nayhan, fratello del Presidente MbZ, di aver aiutato Abramo vich a trasferire danaro “sanzionato” negli Emirati. Ma l’inchiesta non è mai partita.

Resta, così, sospeso come una Spada di Da mocle, ma più retorica che efficace, il “disap punto” di Biden provocato dal taglio inatteso deciso dall’Opec+. «Ci saranno conseguenze. Prenderemo provvedimenti», ha detto guar dandosi bene dallo specificare. I deputati de

DUBAI È DIVENTATO IL PARADISO

DEGLI OLIGARCHI RUSSI COLPITI

DALLE SANZIONI INTERNAZIONALI. PRIMA ANCORA DI OGNI SCELTA POLITICA CONTA SOPRATTUTTO IL BUSINESS

In alto, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden partecipa a un vertice del G7 in collegamento audiovideo

mocratici sono andati ben oltre, accusando i sauditi di aver tradito l’alleato americano con Putin e invocando il congelamento dei rap porti e la sospensione delle forniture militari. Quelle americane ammontano al 73% dell’ar senale saudita, il che non è poco. Ma è difficile che Biden giunga a tanto. In fondo, già una volta, il presidente americano che pure aveva accusato MbS di essere un “paria” e aveva re so pubblici i rapporti dell’intelligence sul ruo lo di mandante svolto dal principe nel delitto Khashoggi, ha perdonato l’erede al trono sau dita nell’inutile viaggio di luglio, a Gedda, a tutti parso come un gesto di pacificazione.

Adesso a Washington si parla di “rivedere”, “ricalibrare”, “rivalutare” i rapporti con gli al leati indisciplinati del Golfo. I quali, più facil mente, grazie al fiuto commerciale che di stingue quelle genti, troveranno il modo di pareggiare i conti energetici, come hanno promesso, con un abbassamento del prezzo del petrolio a dicembre. Con buona pace, sta volta, anche di Putin.

Prima Pagina 36 23 ottobre 2022 Foto: Adam Schultz / White House / Agf Medio Oriente / 1
L’ESPRESSO. TUTTO CIÒ CHE ERA E TUTTO IL NUOVO CHE VERRÀ. lespresso.itL’ESPRESSO INIZIA UNA NUOVA STORIA. LE GUIDE DE L’ESPRESSO NELLE MIGLIORI LIBRERIE E SU AMAZON.

ISRAELE IN BILICO

La cosa migliore che poteva succedere a Israele era di sparire dai radar, non essere più al cen tro dei problemi del pianeta con una guerra che si trascina, tra intervalli, da 74 anni e ha reso il Medio Oriente, assieme ad altre emer genze, l’area più infiammata. È successo. Dap prima quando le illusorie primavere arabe hanno spostato l’attenzione verso i Paesi convicini e le loro lotte intestine. Poi quando il disimpegno americano dall’area, determina to (anche) dalla raggiunta autosufficienza energetica di Washington, un disimpegno cominciato con Obama e pro seguito con Trump e Biden, ha catalizzato l’interesse sull’annunciato dualismo del Ventunesimo secolo tra Usa e Cina. Infine con il conflitto in Ucraina che obbliga a volgere lo sguardo verso la frattu ra di mondi apertasi nel centro dell’Europa, con traumatici cascami geopolitici che dall’epicentro si irradiano verso periferie lontane, in attesa della ricomposizione di un nuovo ordine semmai arriverà.

Esaurita la seconda Intifada (2005), chiu sa la guerra con il Libano (2006), in tutto questo tempo lungo più di un decennio

Israele è stata sì impegnata in alcune crisi peraltro tempo ralmente molto contenute con la Striscia di Gaza (2012, 2014, 2021) e in altrettante scaramucce con i palestinesi in Cisgiordania, ma ha potuto dedicarsi con vigore a rafforza re un’economia peraltro proverbialmente molto vivace. Il Pil ha sempre avuto segno positivo, salvo nel 2020 causa Covid, e quest’anno dovrebbe attestarsi su una crescita pre vista del 5,7 per cento.

Dal 2017 ad oggi il Pil pro capite ha compiuto un balzo di circa 13 mila dollari (da 41.131 a 54.462). L’inflazione segna un record al 4,5 per cento, comunque di molto inferiore alle cifre europee, il debito pubblico è rimasto pressoché inalte rato attorno al 60 per cento. Una situazione invidiabile vi sta l’epoca che viviamo. E che potrebbe diventare floridissi ma nei tempi medi grazie a un accordo sancito lo scorso 11 ottobre e definito “storico” con il nemico Libano per lo sfruttamento di un enorme giacimento di gas (parola ma gica nell’inverno del nostro scontento) nel Mediterraneo del valore stimato in miliardi di dollari. Le controparti non hanno trattato direttamente, c’è voluta una mediazione americana, e tuttavia hanno concordato di delineare fron tiere marittime prima contese. Solo marittime, attenzione, nessun accordo per quelle terrestri. Il business più forte di

38 23 ottobre 2022 Medio Oriente / 2
DI
GIGI RIVA

tutto insomma in un patto che dovrebbe aiutare il disastra to Libano a risollevarsi e Israele a rimpinguare ulterior mente i propri forzieri.

In questo quadro mai così favorevole, fa eccezione una tur bolenza politica senza precedenti se il primo novembre si ter ranno le quinte elezioni nell’arco di tre anni. O forse è proprio la relativa quiete a scatenare la bagarre dei partiti: con il ne mico alle porte si tende a cercare una stabilità dei governi che a queste latitudini è ormai una lontana chimera. Se poi l’en nesima chiamata alle urne servisse a qualcosa. I sondaggi fo tografano una situazione di stallo simile alle precedenti. Or mai residuale la sinistra, Israele è in bilico tra due coalizioni una centrista e una di destra che sembrano ispirate a due

slogan esattamente contrapposti: chiunque ma non Ne tanyahu; nessuno se non Netanyahu. I primi l’avevano spun tata per un solo seggio la volta precedente, costituendo la più variegata compagine di governo mai registrata e che include va al potere i partiti degli arabi-israeliani. I secondi, seppur in un contesto molto fluido, sono dati in leggero vantaggio, gra zie al frazionamento degli arabi-israeliani non più riuniti sot to la stessa bandiera e alla disaffezione al voto dei cittadini arabi molti dei quali, disillusi, almeno nelle previsioni do vrebbero toccare il record di astensionismo.

Nonostante l’incertezza, Israele va, i suoi fondamentali economici come abbiamo visto sono decisamente buoni con qualsiasi premier. Eppure il deputato in più o in meno stavol ta potrebbe pesare in modo significativo sulla collocazione internazionale a causa dei cascami lunghi della guerra lassù al cuore dell’Europa. Yair Lapid, 59 anni, il fresco premier in carica dal primo luglio e già uscente, dopo un lungo esercizio di equivicinanza tra i belligeranti, è uscito allo scoperto e ha promesso armi a Kiev, spinto dall’amicizia con Joe Biden e dalle pressioni di Volodymyr Zelensky che gli ha ricordato le sue origini ebraiche. Una svolta che ha provocato la reazione infuribondita di Dmitry Medvedev, l’ex presidente russo uso a rivestire i panni del falco tra i falchi al Cremlino. Lapid si è risolto all’impegno con gli aggrediti perché il peggior nemico di Israele, l’Iran, ha fornito micidiali droni ai russi. E teme, al pari dei suoi generali, che un legame ancora più stretto tra gli ayatollah e lo zar possa portare benefici militari alla Repub blica teocratica di Teheran. Il premier non si è spinto al punto da offrire Iron Dome (Cupola di Ferro), il costoso dispositivo che protegge Israele dai missili, ma secondo alcune rivelazio ni del New York Times ha offerto consiglieri israeliani in gra do di aiutare le truppe ucraine a contrastare gli ordigni dell’Iran, peraltro ovviamente molti studiati a Gerusalemme. Dovesse essere ricon fermato nella sua carica, Lapid dovrebbe af frontare la prevedibile reazione di Putin il qua le potrebbe bloccare, come ha già minacciato mesi fa, l’esodo degli ebrei russi: uno su otto, stando ad alcune statistiche, avrebbero lascia to la Russia per raggiungere Israele dall’inizio del conflitto. Così come potrebbe rimettere in discussione il tacito accordo raggiunto sulla Siria. Mosca controlla lo spazio aereo siriano eppure non ha volutamente impedito raid dell’aviazione con la stella di Da vid per bloccare i rifornimenti iraniani agli Hezbollah libane si. E se invece vincesse il sempiterno Bibi Netanyahu? Fu lui a stabilire ottime relazioni con Vladimir Putin e a creare il pre cario equilibrio su cui si regge oggi il Medi Oriente. Perché va bene la sofferenza degli ucraini, ma la Siria è a un passo ed è anello fondamentale di quella dorsale sciita che si estende dal Golfo Persico al Mediterraneo: una minaccia incombente sullo Stato degli ebrei. Israele avrebbe voluto sparire dai radar delle emergenze. Ma è il mondo fattosi turbolento che ora bussa alla sua porta: e gli chiede di scegliere.

23 ottobre 2022 39 Prima Pagina Foto: Corinna Kern / Reuters / Contrasto
Manifesti elettorali per le strade di Tel Aviv
NEL VOTO DEL 1° NOVEMBRE IL PAESE È CHIAMATO A SCEGLIERE TRA IL CENTRO DI LAPID E LA DESTRA DI NETANYAHU. MA ANCHE COME SCHIERARSI NEL CONFLITTO TRA RUSSIA E UCRAINA

A CHI FA PAURA L’IMPERO

Erano gli anni Trenta quando la Gran Bretagna coniò il termine “preferenza imperiale” per in dicare la gerarchia dei suoi scambi: prima i produttori domestici, poi quelli dell’Impero, infine gli stranieri. Protezionismo e nazionali smo erano la musica di sottofondo della politi ca globale di inizio Novecento. Come lo sono oggi. E se allo ra le tensioni culminarono nella devastazione del Vecchio Continente, all’inizio del nuovo Millennio è l’Oriente ad ap parire sempre più come una polveriera: Pechino e Washin gton non escludono più un confronto armato per il predo minio mondiale, a partire dall’isola di Taiwan.

«Gli Usa stanno entrando nella fase più cruciale della loro rivalità con Pechino», ha detto Hal Brands, senior fellow presso l’American Entreprise Institute: «Adesso il rischio di guerra è maggiore e le decisioni, prese o non prese, si riper cuoteranno per decenni».

Xi Jinping, che nel Congresso quinquennale in scena a Pe chino è stato appena consacrato leader per una terza volta, mettendo fine alla regola dei due mandati introdotta da Deng Xiaoping per assicurare la stabilità del Paese, è determinato a passare alla Storia come l’erede politico di Mao. Il dittatore carismatico che ha terminato la costruzione della Nuova Ci na, conquistando l’ultimo bastione dei ribelli (Taiwan), e che ne ha ripristinato la predominanza globale, usurpata con la forza dall’Occidente nel secolo scorso. «Proteggeremo senza riserve la sicurezza del potere dello stato, del sistema e dell’i deologia cinese e costruiremo la capacità di sicurezza nelle aree chiave, reprimendo le attività di infiltrazione, sabotag gio, sovversione e separatismo delle forze ostili», ha detto nel suo discorso al Congresso, sottolineando di essere disposto a riprendersi Taiwan anche con le armi: «La riconquista di Taiwan non può essere rimandata di generazione in genera zione». Le sue parole sono sostenute da un budget militare che supera i 230 miliardi di euro, oltre il doppio di dieci anni fa. «La Cina è l’unico rivale mondiale che abbia sia l’intento di ridefinire l’ordine mondiale sia le risorse economiche, diplo matiche, militari e tecnologiche per farlo», aveva detto il pre sidente americano Joe Biden nel recente rapporto sulla Stra tegia per la sicurezza nazionale, proprio nei giorni in cui chie deva agli americani (le famose “tartarughe di mare”, cinesi cresciuti negli Usa ma tornati in Cina per approfittare del boom economico) di scegliere tra la cittadinanza americana

e il lavoro nell’industria dei microchip.

Lavorare per Pechino in un settore strategico per Washin gton non è più possibile: «Una volta producevamo il 30 per cento dei microchip mondiali e ora solo il 10, nonostante la progettazione sia ancora nostra», ha sottolineato il presiden te americano, annunciando che l’estensione della catena del valore dei microchip, componente essenziale per l’industria bellica, come ha dimostrato la guerra russa in Ucraina, «do vrà iniziare e finire qui, negli Stati Uniti». Non solo. Biden ha annunciato nuove restrizioni sull’esportazione dei chip Usa in grado di alimentare i più potenti algoritmi di intelligenza artificiale: un bando che si estende anche alle società taiwanesi e a quel le sudcoreane. «Sa bene che i chip americani finiscono nei sistemi di Ia dell’apparato mili tare cinese, e la cosa non è più accettabile», ha sottolineato Gregory Allen del Centro per gli Studi Internazionali e Strategici.

Dal canto suo Xi ha annunciato, nell’am bito di quella che è ha definito «la rinascita

40 23 ottobre 2022 Asia
DI FEDERICA BIANCHI
Matrioske con l’immagine di Joe Biden e Xi Jinping

L’IMPERO DI XI

della sua relazione con la Cina mettendone in evidenza il lato antagonista. Ma a frenarla è ancora una volta la Germa nia, che, ignara della lezione russa, nella prima parte di quest’anno ha intensificato e non diramato i rapporti com merciali con Pechino, da cui importa quasi la metà del suo fabbisogno nazionale. Tra le critiche (ignorate) degli alleati, il cancelliere Olaf Scholz sarà il primo leader europeo a in contrare Xi nel dopo Covid-19 il 3 novembre, accompagna to da una delegazione di imprenditori.

Intanto la Cina ha accelerato la nazionalizzazione delle sue aziende strategiche, a partire da quelle tecnologiche, inviando un messaggio inequivocabile: ora mette l’ideolo gia e la politica davanti alla performance economica. «Non è il Paese che ho conosciuto negli ultimi trent’anni», ha det to Joerg Wuttke, presidente dell’Unione delle camere di commercio europee in Cina, all’indomani della decisione del gruppo automobilistico Stellantis di ritirarsi da alcuni investimenti: «È meno accessibile ed è profondamente marchiato dal tocco ideologico di Xi». Tra il 2019 e il 2021 oltre 110 aziende quotate sono state acquisite da aziende di stato, per un valore complessivo di oltre 83 miliardi di euro.

L’atteggiamento protezionistico e belligerante del ditta tore cinese arriva però in un momento difficile per la neo potenza. Il boom esplosivo degli ultimi trent’anni è giunto al suo apice e rischia di tramutarsi in un lento declino, con un tasso di crescita economica pari a quello delle economie avanzate pur non avendone ancora raggiunto gli standard di vita; con una popolazione in diminuzione, appesantita da un numero crescente di anziani; con un tasso di disoccu pazione tra i giovanissimi che ha raggiunto il 20 per cento; con un mercato immobiliare (che conta per un quarto del suo Pil) in piena crisi e una reputazione in caduta libera: le democrazie sue vicine, dal Giappone all’Australia, dall’Indo nesia all’India, sono in perenne allerta. La Storia insegna

del Paese», non soltanto che costruirà in Patria la propria tecnologia ma che sta co struendo «un forte sistema di deterrenza strategica». Come ha fatto sapere il Penta gono, includerà l’espansione dell’arsenale atomico: 700 testate nucleari entro il 2027 e almeno mille entro il 2030. Non solo. L’e mittente televisiva britannica Sky news ha rivelato che, con l’inizio dei lockdown nel 2019, la Cina, attraverso agenzie terze, avrebbe cominciato ad assumere, attraendoli con 240mila euro a testa, decine di ex piloti militari britannici affinché spiegassero alle controparti cinesi come sconfiggere gli ae rei da guerra e gli elicotteri occidentali, e ha adesso inten zione di assumere anche ex personale della Royal Navy bri tannica e dell’esercito. La situazione è giudicata talmente grave che il ministero della Difesa ha lanciato l’allarme e sta correndo ai ripari.

Anche l’Unione Europea osserva con preoccupazione, tanto da avere settimana scorsa modificato la definizione

che è per questo che, dopo decenni di ingenuo entusiasmo, scaturito soprattutto dai vantaggi economici a breve termi ne, la Cina comincia a fare paura all’Occidente. «La sindro me del raggiungimento dell’apice del potere, cioè la tenden za degli stati a rapida crescita a diventare più aggressivi quando temono un declino imminente, ha causato alcune delle guerre più sanguinose della Storia», ha indicato Brands. Con conseguenze che ci farebbero rimpiangere quelle inferte dalla Russia di Vladimir Putin.

23 ottobre 2022 41 Prima Pagina Foto: Chris McGrath / Getty Images
IL LEADER CINESE È STATO CONFERMATO PER
LA TERZA VOLTA. E ORA CHE
IL
PAESE
CONOSCE
LA CRISI
ECONOMICA DIVENTA PIÙ PERICOLOSO PER I
VICINI
ASIATICI E PER GLI USA

ome nella più sapiente delle sceneggiature, a mettere la pa rola fine sui sogni di Salvini con le sue riforme della Forne ro e di Berlusconi con la flat tax, tutte misure che compor terebbero un buco di bilancio di decine di miliardi - da compensare con disinvolti “sfo ramenti” e con nuovo debito come se non ne avessimo abbastanza - è arrivata la parabola britannica. La quale insegna che non è pro prio il momento - fra guerra, inflazione, calo della crescita - di scherzare con i bilanci pubblici. E questo in qualsiasi Paese: nell’i pergloriosa Gran Bretagna né a maggior ra gione nell’iperindebitata Italia.

Lo psicodramma a Londra è iniziato il 23 settembre. Quel giorno, il 17° dal suo insedia mento al n.10 di Downing Street, la premier Liz Truss, che aveva preso il posto di Boris Johnson travolto da una crisi di impopolarità, ha varato il “mini-budget”: un assaggio di fi nanziaria in attesa della legge definitiva in calendario per il 31 ottobre. Nel provvedi mento, per spingere la crescita, la “lady di lat ta” come è stata ribattezzata irridendo il suo piglio autodichiaratamente thatcheriano, ha inserito una serie di sgravi fiscali a beneficio sia delle aziende (la cui tassa sarebbe scesa dal 25 al 19%) che delle persone fisiche, con i maggiori vantaggi per i contribuenti più ric chi visto che era prevista l’abolizione del top rate al 45%. I redditi da 150mila sterline in su sarebbero rientrati nello scaglione del 40%.

Doveva essere, secondo gli economisti di Tufton Street, la via dove sono concentrati i centri studi più conservatori della City, una letterale applicazione della “trickle-down economy”, la teoria neoliberista di Milton Friedman degli anni ’70: facendo pagare me no tasse ai ricchi si incentiva lo sviluppo che poi “sgocciola” verso le classi più basse. Mac ché: il buco per le finanze pubbliche supera va i 45 miliardi di sterline, quasi 60 miliardi di

euro. «È stata la mossa sbagliata nel momen to sbagliato», spiega Brunello Rosa, docente alla London School of Economics. «In tempi normali una manovra del genere sarebbe stata accolta con gioia o quantomeno con interesse, ma in tutto il mondo i bilanci pub blici sono sotto pressione per l’inflazione. Aggravare i conti statali in modo massiccio è stato da irresponsabili. Senza contare che si è andati in rotta di collisione con la Bank of England, che come tutte le banche centrali sta alzando i tassi per restringere la massa monetaria anziché ampliarla per contenere l’inflazione, che in Uk supera il 10%». Un di luvio di vendite sui mercati internazionali ha travolto sia la sterlina che ha accentuato la discesa contro il dollaro (la perdita sulla va luta Usa è oggi del 24% dall’inizio dell’anno), sia i titoli di Stato, i famosi “gilt”: quello a trent’anni ha superato il 5% di interesse, il decennale è arrivato al 4,5% come quello italiano, suprema onta per i sovranisti della City. Una cir costanza che non è sfuggita alla stampa: «Siamo diven tati come l’Italia», ha scritto il Telegraph. Più esplicito il Guardian: «Liz Truss offre

42 23 ottobre 2022 Regno Unito
Eugenio Occorsio Giornalista C IL GOVERNO BRITANNICO È A RISCHIO, DOPO LA MARCIA INDIETRO SULLA MANOVRA CHE RIDUCEVA LE TASSE AI RICCHI. ANCHE CHI È FUORI DALL’EURO E DALL’UE DEVE RISPETTARE LE REGOLE LEZIONE INGLESE DI EUGENIO OCCORSIO

una lezione gratis alla Meloni su cosa non fa re». E l’opinione pubblica britannica si trova a convivere con una instabilità di governo cui non è abituata.

Le conseguenze sono state pesanti specie per i fondi pensione, sensibili al ribasso di valore dei gilt in cui sono investiti (simmetri co al rialzo dei tassi), che hanno dovuto in gaggiare un costoso rifinanziamento vista la svalutazione del portafoglio. Ad arginare la bufera è intervenuta la Bank of England, che ha messo sul tavolo un “quantitative easing” d’emergenza per 65 miliardi di “gilt” valido due settimane. Il tempo è scaduto venerdì 15 ottobre, e tutti si preparavano al “botto” il lu nedì successivo. Ma domenica 17, dopo aver licenziato il Cancelliere dello Scacchiere (ministro delle Finanze) Kwasi Kwarteng, la Truss ha annunciato che cancellava il “mi ni-budget”. E si è pure scusata. Le borse di tutto il mondo hanno ripreso fiato, la sterli na ha riguadagnato qualche punto, e gli inte ressi sui buoni del Tesoro sono ridiscesi pur restando ben sopra del “pre mini-budget”. Rimane la volatilità: lo spread sui titoli tede schi è un umiliante 150 punti. La banca cen trale, per ulteriore accortezza, ha sospeso il “tightening”, cioè l’irrigidimento monetario, non rivendendo più come programmato i

buoni del Tesoro che deteneva dai tempi del primo quantitative easing.

La tempesta insomma è tutt’altro che pas sata. «Il danno d’immagine che ha subito il governo Tory è forse irrecuperabile», com menta Gabriele Foà, manager di Algebris. «Ha destato sconcerto non solo la manovra in sé, del tutto inopportuna in questa fase, ma che si sia ignorato l’abituale coordina mento con la Bank of England e perfino con l’Office for Budget Responsibility che “bolli na” operazioni del genere. Ora è iniziato un cammino in salita verso il 31 ottobre, quando dovrà essere presentato il budget finale, che sarà tutto in salita». Sarà un momento im portante anche perché allora dovrà essere chiarita un’altra incognita, quella che inte ressa di più ai cittadini: «Il governo in aprile si è impegnato a ristorare famiglie e imprese dal caro-energia per un totale di 60 miliardi di sterline l’anno per due anni», spiega Fran cesco Castelli, analista della Banor con base a Londra. «Ora, vista la situazione che si è creata tutto è tornato in discussione. Il nuo vo Cancelliere, Jeremy Hunt, ha annunciato che si andrà avanti fino alla scadenza del pri mo anno, poi si vedrà».

Ma com’è stata possibile tanta incoscien za del governo di sua maestà? La risposta, secondo Carlo Manzato, responsabile dell’a dvisory di Credit Suisse, va cercata nelle om bre lunghe della Brexit: «È come se, svincola ta da ogni rapporto con qualsiasi istituzione multilaterale, la Gran Bretagna si sia sentita libera e sufficientemente forte da intrapren dere qualsiasi azione, anche la più rischiosa, senza dover rendere conto a nessuno. Ma ha fatto i conti senza i mercati». Oggi la scelta è la lotta all’inflazione, a costo di una recessio ne che si spera leggera. L’aumento dei tassi sui mutui e i prezzi impazziti dell’energia hanno provocato ovunque il calo della fidu cia dei consumatori. Ma c’è dell’altro, come dice Esther Baroudy, manager di State Stre et: «In mancanza di qualsiasi ombrello di protezione come la Bce, è emersa la debolez za del Regno Unito, che ha un deficit delle partite correnti tale da essere un importante debitore netto per l’estero. La sterlina, sem pre meno valuta di riserva globale, risente dell’incertezza politica». Insomma, malgra do il Commonwealth, l’impero è finito. An che i più coriacei nostalgici se ne stanno ren dendo conto.

23 ottobre 2022 43 Prima Pagina
Foto: Hollie Adams
/ Bloomberg via Getty Images
44 23 ottobre 2022 Finanza e politica DI VITTORIO MALAGUTTI SALVATE IL CREDIT SUISSE

Nelle Borse in balìa della peggio re tempesta finanziaria dai tempi della crisi dei mutui sub-prime, gli speculatori hanno messo nel mirino un bersaglio grosso. Il Credit Suis se, marchio paludato della finanza interna zionale, da più di un secolo gestore e custode di patrimoni miliardari, ha perso la bussola del profitto e naviga a vista alla ricerca di un porto sicuro. Servono soldi, molti e in fretta, per evitare guai peggiori. Le dimensioni del disastro lievitano di settimana in settimana, tra indiscrezioni e fughe di notizie, spesso in teressate. Quattro miliardi, poi sei, ora siamo arrivati a otto miliardi di euro: sarebbe que sta la somma necessaria per mettere in sicu rezza un gigante globale inserito dal Finan cial stability board nella categoria delle isti tuzioni di interesse sistemico, trenta in tutto. In altre parole, secondo i guardiani della fi nanza internazionale, un ipotetico crac del Credit Suisse avrebbe ripercussioni pesanti sull’equilibrio del sistema e potrebbe diven tare il detonatore di una crisi globale. Lo stesso film già visto nel 2008, dopo il dissesto dell’americana Lehman. A quattordici anni di distanza da quel terremoto, i mercati si trovano di nuovo in una fase di estrema ten sione e le nubi nere in arrivo da Zurigo certo non migliorano il clima. Non pare casuale, allora, che di recente si sia sparsa addirittura la voce di un intervento del governo di Berna, pronto a finanziare il salvataggio. Sarebbe una soluzione estrema, un ribaltamento di ruoli per uno Stato, la Confederazione, la cui stabilità è sempre stata garantita dalle ban che, e non viceversa.

Le indiscrezioni circolate in Borsa sono ri maste finora senza conferma, ma in questi giorni molti analisti hanno notato che il fran co svizzero, tradizionale valuta rifugio in tempi incerti, di recente ha perso qualche colpo dopo mesi di rialzi. Un segnale chiaro, secondo alcuni, che le difficoltà di uno dei

due santuari economici del Paese, l’altro è Ubs, getta qualche ombra perfino su un’oasi di stabilità come la Svizzera. Intanto, bersa gliato dalle vendite, il titolo Credit Suisse nell’arco di un anno ha perso metà del suo valore in Borsa. I colpi più pesanti sono arri vati dalla speculazione spicciola, milioni di investitori sparsi per il mondo che inseguono le voci a caccia di profitti.

Sabato primo ottobre, è bastato il tweet di un cronista finanziario australiano per sca tenare una febbre social che si è rapidamente diffusa ovunque nel mondo. David Taylor, questo il nome del giornalista, ha pubblicato un post che citando “fonti attendibili” lancia va l’allarme su «una grande banca pericolan te». I sospetti dei trader si sono subito con centrati sul Credit Suisse e il lunedì successi vo, 3 ottobre, alla riapertura dei mercati il ti tolo della banca elvetica ha perso il 10 per cento nel giro di poche ore. L’improvvido au tore ha cancellato il tweet, ma il danno ormai era fatto. Peggio ancora: le attese di un immi nente disastro sono state rafforzate da un memo interno di Ulrich Körner, l’ammini stratore delegato della banca svizzera in cri si. In un messaggio diffuso nel weekend tra i dipendenti e poi filtrato anche all’esterno, il manager ingaggiato la scorsa estate per ri lanciare l’istituto ha finito per gettare altra benzina sul fuoco ammettendo il «momento difficile» della banca mentre prometteva un intervento per uscire dalla crisi. Da quel lu nedì di inizio ottobre, le quotazioni si sono un po’ risollevate dopo aver toccato il mini mo storico. I problemi però restano. C’è grande attesa per le comunicazioni an nunciate da Körner per gio vedì 27 ottobre, quando con ogni probabilità verrà reso pubblico un piano di cessio ni, drastici tagli di personale e, forse un aumento di capi tale, con l’obiettivo di

23 ottobre 2022 45 Prima Pagina Foto: Niels Ackermann / The New York Times / Contrasto
Vittorio Malagutti Giornalista
UNA SERIE DI INVESTIMENTI SBAGLIATI E DI SCANDALI HA MESSO IN CRISI IL COLOSSO BANCARIO SVIZZERO. CHE È TROPPO GRANDE PER FALLIRE. ORA SCATTA IL PIANO D’EMERGENZA. CON TAGLI DI PERSONALE E VENDITE DI ATTIVITÀ
La sede del Credit Suisse a Zurigo

chiudere le falle nei conti.

Il manager a capo di Credit Suisse, 59 an ni, si è guadagnato sul campo il soprannome di «Uli the knife», traducibile in Uli mani di forbice, per la pesante ristrutturazione im posta a Ubs un decennio fa. Ora è chiamato a un bis, ma l’impresa appare ancora più complicata, se è vero che questa volta la po sta in palio è addirittura la sopravvivenza della banca come entità indipendente. La rincorsa parte dai 3,6 miliardi di perdite ac cumulate nel 2021 e nel primo semestre di quest’anno, ma sul futuro della banca grava soprattutto l’eredità di una catena di scan dali che hanno fatto emergere, come mini mo, clamorose falle nei controlli interni e gravi errori nella gestione dei rischi. Riesce difficile spiegarsi, altrimenti, come sia stato possibile che la filiale americana di Credit Suisse abbia potuto accumulare un’esposi zione ai fondi d’investimento Archegos pari a 25 volte il valore massimo consentito in base ai regolamenti interni. Archegos, fallito nella primavera del 2021, ha provocato una perdita di 5,5 miliardi di dollari nel bilancio della banca elvetica.

L’anno scorso si è poi scoperto che Credit Suisse era uno dei principali partner di Gre ensill, un altro gruppo finanziario interna zionale travolto dalle perdite. Nel tentativo di proteggere i propri clienti, l’istituto di cre dito con base a Zurigo è così stato costretto a chiudere alcuni fondi esposti per 10 miliardi di dollari nei confronti della società in ban carotta. Una parte del denaro è stata recupe rata, ma sono migliaia gli investitori che re clamano oltre 2 miliardi inghiottiti dal crac.

Finanza e politica

Serviranno anni per venire a capo di una vi cenda a dir poco complessa. Poi ci sono i danni d’immagine. E qui la missione di Krön er, affiancato dal presidente Axel Lehmann, pure lui in carica da pochi mesi, diventa se possibile ancora più impegnativa. Se non al tro perché il Credit Suisse deve scrollarsi di dosso la polvere di altri casi imbarazzanti. Giusto un anno fa l’authority finanziaria elve tica ha sanzionato l’istituto zurighese per una serie di attività di spionaggio illegale au torizzatedaiverticiaziendalineiconfrontidi alcuni top manager tra il 2016 e il 2019.

MILIARDI

È invece fin qui costata una multa di 475 milioni di dollari la vicenda dei tuna bond, una frode legata al collocamento di obbliga zioni per circa 2 miliardi di dollari che nel 2013 avrebbero dovuto finanziare, tra l’altro unaflottadinaviperlapescadeltonnoeuno stabilimento per la successiva lavorazione del pesce. Si è però scoperto che il denaro raccolto tra gli investitori internazionali è andato in gran parte nei conti off shore di una cricca che comprendeva intermediari, politici mozambicani e anche manager della banca elvetica. Il fallimento di due società statali coinvolte nel progetto ha dato il colpo di grazia alle fragili finanze del Mozambico chenel2016hadichiaratoildefault.L’indagi ne, partita negli Stati Uniti e in Gran Breta gna, è ancora in corso, mentre si è concluso a luglio il processo che ha portato alla condan na del Credit Suisse per aver attivamente col laborato, una decina di anni fa, con l’organiz zazione criminale del boss bulgaro Evelin Banev nel riciclaggio di centinaia di milioni di dollari, frutto del traffico di droga.

L’eco internazionale della sentenza ha contribuito a dare un altro colpo all’immagi ne pericolante della banca guidata da Körn er, che a febbraio aveva dovuto affrontare anche l’onda mediatica dell’inchiesta Swiss Secrets. Grazie a un gigantesco leak di dati, un gruppo internazionale di giornali ha elen cato i nomi di politici corrotti, trafficanti di droga, oligarchi ed evasori fiscali che negli anni scorsi avevano parcheggiato capitali per miliardi di dollari nei conti del Credit Suisse. «Storie vecchie, perché da tempo so no state introdotte regole antiriciclaggio più severe», ha replicato la banca. La smentita però non cancella l’imbarazzo. Per voltare pagina davvero e salvare i conti servirà anco ra tempo e molto denaro.

Prima Pagina 46 23 ottobre 2022
Foto: Anne Gabriel-Jrgens
/ 13 Photo /
Contrasto, Ting Shen
/
Bloomberg via Getty Images Il presidente di Credit Suisse Axel Lehmann e (a destra) l’amministratore delegato Ulrich Körner
3,6 Perdite di bilancio cumulate da Credit Suisse nel 2021 e nei primi sei mesi del 2022
DI EURO 1.500 Capitali affidati in gestione a Credit Suisse dalla clientela (asset under management) MILIARDI DI EURO 51.400 Numero di dipendenti del gruppo Credit Suisse nel mondo 11,4 Il valore di Borsa del gruppo Cs, dimezzato rispetto a un anno fa MILIARDI DI EURO
48 23 ottobre 2022 DI LUDOVICO TALLARITA DA KIEV FOTO DI GIOVANNI CULMONE BALLANDO CON LE BOMBE SPETTACOLI, PARTY DIURNI PER AGGIRARE IL COPRIFUOCO, RAVE PER FINANZIARE LA RICOSTRUZIONE. ANCHE QUESTA È KIEV CHE SI AGGRAPPA ALLA NORMALITÀ PER RESISTERE Guerra in Ucraina

Prima Pagina

va Brownie, una drag que en tra le più popolari della scena queer di Kiev, si esi bisce sul palco di un loca le nel quartiere di Podil. È il giorno dopo il comple anno di Putin e, al culmine della perfor mance, alle sue spalle appaiono le imma gini - risalenti al giorno precedente - del ponte di Kerch avviluppato dalle fiamme. Il pubblico è in visibilio. Galvanizzati dai successi militari, gli abitanti di Kiev stan no assaporando una parvenza della vec chia quotidianità, per quanto surreale, tra ristoranti aperti e party diurni per ag girare il coprifuoco.

Fino a poco tempo fa, infatti, le uniche esplosioni che scuotevano i palazzi di Kiev erano quelle degli sminatori intenti a far brillare i dispositivi russi rimasti dopo l’as sedio fallito alla città. La litania delle sire ne veniva puntualmente ignorata dagli abitanti della capitale, che avevano perso l’abitudine di radunarsi nei bunker.

Anche la mattina del 10 ottobre, infat ti, le prime sirene sono state ignorate. Ma poi sono arrivate le esplosioni, le colonne di fumo sempre più vicine. È un attacco coordinato contro diverse città del Paese per mezzo di 83 missili e la contraerea ne intercetta solo 43. Uno degli ordigni che colpiscono Kiev si abbatte sul parco di Taras Shevchenko, davanti a una delle più grandi università del Paese. Apre una voragine larga cinque metri e profonda due, facendo volare frammenti di un’alta lena a dieci metri di distanza e diffon dendo un acre odore di bruciato tra gli alberi tutti intorno.

Poco più avanti c’è un altro cratere: il missile è caduto in mezzo a un incrocio stradale durante l’ora di punta. Tre auto giacciono carbonizzate: tra le vittime c’è Oksana Leontieva, un’oncologa dell’o spedale pediatrico di Kiev che aveva ap pena lasciato il figlio di 5 anni all’asilo. Tenendo conto di tutto il Paese, il bilancio finale sarà di 14 morti e 97 feriti.

Anja ha 29 anni, lavora per la Siemens e si trovava al primo piano della 101 Tower, nel pieno centro di Kiev, quando alle nove

23 ottobre 2022 49
Giovani ucraini all’esterno del Portum di Kiev Ludovico Tallarita Giornalista
E

Guerra in Ucraina

e trenta un missile ha colpito la palaz zina di fronte, sventrando gli apparta menti. L’onda d’urto ha frantumato an che le finestre della torre dove lavora Anja, ben oltre il ventesimo piano. Nel cortile interno del suo ufficio ci sono pez zi di lamiera sopra gli alberi e grandi Suv schiacciati dal peso delle macerie.

Anja è stata ferita dai pannelli che si sono staccati dal soffitto e come tutti i suoi colleghi ha riportato escoriazioni causate dai vetri delle finestre andate in frantumi. «Sono terrorizzata. Domani stesso partirò e andrò a stare da un’amica in Polonia. Non ho ancora deciso quanto mi fermerò, ma potrei anche non tornare più», dice. Poi aggiunge: «Le persone a Kiev si comportavano in maniera troppo rilassata. Andavano al ristorante, beve vano una cosa con gli amici. Forse qual cuno si era scordato che c’è un guerra in corso».

Quarantotto ore dopo i raid, quando ormai il peggio sembra passato, due uo mini si infilano in uno degli uffici e rie mergono con due computer integri. Nel parcheggio, una persona estrae una ruota di scorta da un’auto che non ha neanche un finestrino intatto. L’economia di guer ra comporta anche questo.

La resistenza all’invasore russo si com batte su più fronti e non tutti sono con vinti che per lottare serva un fucile. La drag queen Eva Brownie, 27 anni e origi naria proprio della capitale, continua a esibirsi ogni fine settimana nonostante gli attacchi russi siano ripresi. Mentre termina gli ultimi ritocchi al trucco nel suo camerino, spiega che è il suo modo per sentirsi parte integrante della resi stenza all’invasore. «Ognuno ha il suo campo di battaglia. Il mio è nella mente delle persone: le aiuto a rilassarsi e a scappare dai pensieri più bui, dalla de pressione della vita quotidiana». Del re sto, continua, «se pensi ininterrottamen te alla guerra entri nel gioco di specchi di Vladimir Putin. Una volta che ti abitui a percepire la guerra come un fatto norma le, lui ha già vinto».

Durante una pausa del suo spettacolo nel cortile del locale si formano piccoli capannelli di fumatori. Due soldati in li cenza si salutano calorosamente: vengo no entrambi da Kharkiv, città tutt’ora

SCEGLIERE UNA BANDIERA È UN ATTO DI CORAGGIO

di Nataliya Kudryk

Una mia amica romana di origine inglese dopo essere andata in Gran Bretagna a trovare i parenti mi invia tramite WhatsApp una foto, dove intravedo una casetta addobbata con una ghirlanda delle bandierine ucraine in una provincia inglese di Lancashire. «Guarda come qua sostengono l’Ucraina!», seguiva il messaggio. Immagini simili arrivano dall’Estonia, dalla Lituania, dalla Lettonia, dalla Polonia, dalla Germania, meno dall’Italia. I missili Iskander o S-300 cadono troppo lontano da qui. Da Milano a Palermo prevale la convinzione che se i razzi russi dovessero colpire i territori anche fuori dall’Ucraina i confini italiani non ne sarebbero comunque sfiorati. Vorrei ricordare altri episodi. Nei mesi scorsi, viaggiando nella penisola, avevo notato diverse bandiere esposte sui balconi ma solo in rarissimi casi i colori erano quelli giallo e blu dell’Ucraina. A sventolare erano soprattutto bandiere con i colori dell’arcobaleno inneggianti alla pace. Non lontano dall’ambasciata russa a Roma, dove spesso la comunità ucraina svolge le manifestazioni contro i crimini di guerra russi, su un palazzone d’epoca si nota una lunga fila di bandiere arcobaleno. A guardare queste bandiere e, in particolare, il simbolo dell’arcobaleno spesso si è portati a pensare che la pace sia armonia, assenza di conflitti, pura e semplice mediazione. Su questa linea si colloca un certo filone ideologico pacifista in Italia. A maggio del 2022 European council on foreign relations, un autorevole think tank europeo, ha condotto un sondaggio per capire cosa pensano i cittadini di dieci Paesi europei sulle prospettive della guerra a lungo termine. In Italia, la maggior parte degli intervistati, senza distinzione di appartenenza politica, ha dichiarato di volere una pace immediata anche se ciò dovesse comportare per gli ucraini sacrifici dolorosi in termini di concessioni a Mosca, mentre pochi hanno associato il tema della pace alla giustizia quando una pace stabile è possibile solo nelle condizioni della sconfitta militare della Russia. Il maggior numero dei sostenitori della pace immediata – più del 60 per cento –appartengono agli elettori di FdI e Lega Nord. La stragrande maggioranza degli europei, circa due terzi, che hanno risposto all’intervista non hanno avuto dubbi su chi è il più grande ostacolo alla pace, ovvero la Russia. L’unica eccezione è stata l’Italia dove molti hanno sostenuto che il principale ostacolo alla pace sia rappresentato dall’Ucraina e dall’Occidente. La sensazione maturata è che la eccessiva esposizione di bandiere arcobaleno, mentre l’Ucraina subisce quotidianamente ogni genere di violenza, in fondo esprime il bisogno inconscio delle persone di non prendere nessuna posizione in questo

Foto: Agf

50 23 ottobre 2022

conflitto: non mi sbilancio da nessuna parte. Nascondo la testa nella sabbia, pur sventolando la bandiera con la scritta pace o «мир» scritto in cirillico (che guarda caso si scrive nello stesso modo sia in russo che in ucraino). In questi ultimi sette mesi e ancor prima da quando è iniziata la guerra, 8 anni e 7 mesi, abbiamo capito che la pace non può essere un principio astratto o un sentimento romantico. Gli ucraini per difendere la pace e la libertà delle proprie famiglie e del proprio Paese non possono non imbracciare le armi per sconfiggere il nemico aggressore. Non ci potrà essere negoziato o mediazione se prima il nemico non sarà sconfitto. E allora per difendere o riconquistare la pace prima di tutto bisogna fare una scelta e prendere una posizione netta per una delle due parti in conflitto. Perché solo la vittoria degli ucraini e degli occidentali riporterà la vera pace nel continente europeo. Perché solo la vittoria degli ucraini e degli occidentali aiuterà a ristabilire o meglio rinnovare le regole della convivenza comune che sono state unilateralmente violate in modo brutale dalla Russia.

Non tutti possono e devono imbracciare il fucile ma molti possono impugnare le bandiere giallo blu insieme a quelle tricolori dell’Italia e dell’Ue. Tutto ciò avrebbe un immenso valore simbolico perché la bandiera della pace oggi coincide con i colori giallo blu. E anche solo questo gesto sarà già una dimostrazione di coraggio e di presa di posizione. «Be brave like Ukraine», «Sii coraggioso come l’Ucraina», scandisce lo slogan che ha acquistato fama internazionale.

Il solo pensare che oggi nei villaggi occupati dagli aggressori russi gli insegnanti delle scuole ucraine rischino la vita o vengano incarcerati per aver nascosto le bandiere giallo blu ed altri simboli nazionali nei ripostigli, sotto gli armadi e ai frigoriferi, genera sgomento e ripugnanza. Cosi facendo, gli occupanti hanno cominciato a mettere in atto un’altra forma di «operazione speciale», ossia la russificazione forzata con lo scopo di cancellare l’identità ucraina. In primo luogo attaccano le scuole dove, sotto la minaccia delle armi, i dirigenti scolastici vengono costretti a togliere i simboli ucraini e ad introdurre i programmi didattici russi. A quanti accettano di collaborare, gli occupanti promettono un stipendio cospicuo che supera i 2000 dollari al mese. Questo è il vero volto della Russia. Noto che in Italia molti, nel profondo della loro anima, custodiscono ancora nostalgia per la Russia, come descritta nei romanzi dei suoi scrittori del passato, oppure per il comunismo sovietico oppure ancora per i ricchi russi con i quali sognano di tornare sulla barca dell’oligarca. Spesso questa gente non ha il coraggio morale o l’onestà intellettuale di esprimere la propria opinione. Preferiscono tacere. Oppure rispondono: «La situazione è brutta. Ci spiace. Chi l’avrebbe mai detto …». La prepotenza del Cremlino e gli appetiti imperialistici dell’ex funzionario del Kgb devono essere combattuti grazie al coraggio delle persone che prendono posizione e assumono le responsabilità. Be brave like Ukraine!

23 ottobre 2022 51 Prima Pagina
Manifestazione contro la guerra in Ucraina all’Universita di Roma La Sapienza

Guerra in Ucraina

oggetto di pesanti bombardamenti. Per uno di loro è arrivato il momento di tornare al fronte, ma non prova rancore per chi esce la sera a ballare, anzi. «Com battiamo anche per questo», sostiene.

Il fronte psicologico della guerra è fon damentale, perché l’invasione russa non è un fenomeno esclusivamente militare. I bombardamenti sono accompagnati da propaganda che all’apparenza non ha nulla a che vedere con la guerra. Come è accaduto lo scorso 28 settembre, durante la celebrazione dell’annessione russa del le quattro regioni ucraine di Donetsk, Luhansk, Zaporizhzhia e Kherson, quan do Putin ha attaccato l’Occidente, reo se condo lui di aver appoggiato la teoria del gender: «Vogliamo che i nostri bambini siano indottrinati rispetto all’esistenza di altri generi oltre a quello maschile e fem minile?».

Intere frange della popolazione ucrai na lottano per contrastare un modello culturale, quello russo, che vorrebbe ne gare loro l’esistenza. «È paradossale, ma lo scoppio della guerra ha contribuito ad abbattere parecchi stereotipi», dice Mar len Scandal, una drag queen trentunenne che nel 2014 ha ricoperto un ruolo attivo nell’esercito. «Adesso non importa più con chi vai a letto o come ti vesti. Conta solo se sei ucraino e se sei pronto a difen dere il tuo Paese».

Mentre passeggia davanti alla casa di Mihail Bulgakov, Marlen sorride al pensie ro della minaccia atomica ed estrae il cel lulare: «Se Putin premerà il pulsante nucle are, migliaia di abitanti di Kiev si ritrove ranno sulla collina qui dietro per un’ultima grande orgia. Ci siamo già dati appunta mento». Come tanti ucraini, Marlen è ob bligata a vivere il terrore con leggerezza e l’unico momento in cui si fa scura in volto è quando le viene chiesto se abbia mai ma neggiato armi da fuoco. I primi razzi russi, il 24 febbraio scorso, sono caduti proprio a poche centinaia di metri dal suo apparta mento nella periferia di Kiev e forse anche per questo lei mantiene un suo codice d’o nore: non si esibisce più da febbraio e con tinuerà lo sciopero fino a quando non tor nerà la pace.

Per i giovani ucraini finire sotto l’occu pazione russa significherebbe riportare le lancette indietro nel tempo. Dyma ha

LA

QUEEN

DRONI

I vigili del fuoco al lavoro per spegnere un incendio in un edificio residenziale di quattro piani dopo un attacco di un drone kamikaze all’alba del 17 ottobre a Kiev

21 anni ed è originario di Luhansk. Con l’inizio della guerra nel 2014 aveva trova to rifugio a Kharkiv, ma quest’anno è do vuto scappare di nuovo e rifugiarsi a Kiev. Sta in piedi accanto al bar di una fabbrica dismessa, dove è in corso un rave party a tutti gli effetti. Al piano terra, davanti alla dark-room - una stanza priva di luce dove è possibile appartarsi per consumare rap porti sessuali - una donna minuta in abiti succinti di pelle nera e borchie porta al guinzaglio un sacripante mascherato che sfiora i due metri. Potrebbe sembrare Berlino, invece è Kiev. Nello scantinato ci sono centinaia di corpi pressati uno con

52 23 ottobre 2022
DRAG
CHE NON SMETTE DI ESIBIRSI: “OGNUNO HA IL SUO CAMPO DI BATTAGLIA, IL MIO È NELLA MENTE DELLE PERSONE: LE AIUTO A SCAPPARE DAI PENSIERI PIÙ BUI”

tro l’altro che ondeggiano sulle note della musica techno: «Gli americani e gli euro pei combattono le loro battaglie cultura li», afferma Dyma: «Anche noi vorremmo andare verso il futuro, ma la guerra ci spinge verso il passato».

La necessità di dimenticare la guerra anche solo per qualche ora è palpabile. A settembre la linea nazionale per la pre venzione dei suicidi ha ricevuto 2.775 chiamate: circa il triplo rispetto alla nor ma. Chi riesce a scampare alle barbarie russe spesso convive con lo shock post-traumatico e la sindrome del soprav vissuto. Distrarsi diventa una questione di

IN SCENA

Andrij, 27 anni, in arte Eva Brownie, si esibisce al Portum di Kiev. In alto, due colleghe. A sinistra, Marlen Scandal tra i suoi abiti di scena. A destra, Alesia Dilda

vita o di morte. E così, nonostante Kiev sia nuovamente sotto attacco, i rave vanno avanti. Oltre a offrire una valvola di sfogo a migliaia di persone, questi eventi under ground hanno uno scopo ben preciso: rac cogliere fondi per la resistenza. Come rac conta il 25enne Mykhail Maliarchuk, tra gli organizzatori dell’evento nella fabbri ca dismessa: «Noi lavoriamo spesso con Rebuild Together», un collettivo che radu na volontari per ricostruire i villaggi col piti dal conflitto. «L’atto di costruire qual cosa durante una guerra è la risposta più potente che una comunità possa offrire», chiosa Mykhail.

La guerra però è entrata in una nuova fase: gli attacchi russi si concentrano sull’infrastruttura energetica e gli abitan ti della capitale fanno incetta di powerbank. Dopo aver fallito la conquista del Paese con la forza, i russi sperano di stac care la spina all’elettricità e al riscalda mento ucraino. Se così fosse, a Kiev dovrà fermarsi anche la musica.

23 ottobre 2022 53 Prima Pagina Foto: Getty Images (1)

USO IL CRIMINE PER

FEDERICO VARESE

Quando nel 1994 arrivai a Perm’, nella regione degli Urali, per raccogliere dati per la mia tesi di dottorato, diverse mafie si contendevano la città. Una era guidata da ex funzionari del Kgb e veterani della guerra in Afghanistan, mentre l’altra da ex galeotti appena usciti da prigione e seguaci delle regole tradizionali del mondo criminale. L’economia pianificata era finita e la violenza su vasta scala permeava gli affari. La domanda di questo libro è semplice: come è possibile che la Russia sia passata dal caos sociale ed economico degli anni Novanta, dove si fronteggiavano diverse mafie e lo Stato era un cola

brodo, a una dittatura che ha sostituto l’idea marxista-lenini sta con quella neo-imperiale e nazionalista di Vladimir Pu tin? Per capire questa evoluzione si possono prendere molte strade. Io ho scelto di seguire la vita e le tribolazioni di quat tro personaggi che esemplificano momenti diversi di questa trasformazione. Vyacheslav Ivan’kov iniziò la sua carriera durante il periodo del disgelo di Kruscev, quando la maggior parte dei suoi pari passavano la gran parte della loro vita die tro le sbarre. In prigione, questi avevano sviluppato un gergo segreto e un rito di iniziazione e i loro corpi erano coperti di tatuaggi. La setta alla quale appartenevano era nota col no me di ladri-in-legge. Ivan’kov diventerà il più temuto e noto esponente di quella casta, grazie anche al suo trasferimento a New York nel 1992. L’attività principale di Ivan’kov consiste va nel governo violento del mercato proprio negli anni Ot tanta e nei primi anni Novanta: imprenditori che non pote vano rivolgersi allo Stato per risolvere le loro controversie contavano su di lui per dispensare una forma del tutto parti colare di giustizia. Le riforme permisero a personaggi come Ivan’kov di prosperare.

Durante gli anni Novanta molti osservatori ritennero che Eltsin volesse portare alle estreme conseguenze la trasfor mazione politica ed economica iniziata in maniera troppo timida nel decennio precedente. Democrazia e mercato sa rebbero finalmente arrivati in Russia. In real tà, Eltsin fece in modo di bloccare quella tra sformazione. La privatizzazione era per lui un modo di redistribuire le risorse dai vecchi manager “rossi” e trasferirle a un piccolo gruppo fidato di imprenditori. L’opposizione di sinistra e liberale fu anch’essa repressa, un processo che culminò nel bombardamento del Parlamento liberamente eletto nel 1993,

nel passaggio di una costituzione autoritaria nel 1994, fino alla guerra in Cecenia del 1999. Pochi in Occidente capirono la natura autoritaria e antidemocratica di Eltsin. Si può esse re anti-comunisti e autoritari. Un alleato cruciale del presi dente in quegli anni fu un imprenditore senza scrupoli, il più emblematico della sua generazione, Boris Berezovsky, che iniziò la sua carriera proprio con una joint-venture con un’a zienda italiana. Berezovsky, prima di morire suicida nel 2009 in una villa nella campagna inglese non lontano da dove vivo oggi io, fece fortuna attraverso la truffa e la menzogna. Du rante gli anni Novanta entrò a far parte del cerchio magico di Eltsin, ne divenne un ascoltato consigliere e beneficiò della redistribuzione delle risorse a favore di una cerchia ristretta di oligarchi. Il regime di Putin consiste in un’evoluzione coe rente del processo iniziato dal suo predecessore. Il parados so è che alcuni dei protagonisti degli anni di Eltsin sono poi diventati vittime della repressione putiniana, come lo stesso Berezovsky. Il nuovo dittatore si è scelto un cerchio di im prenditori a lui fedeli e ha continuato la repressione politica.

Dopo aver liquidato imprenditori legati all’era di Eltsin e i politici di opposizione, il regime cominciò a occuparsi del mondo criminale. Nel 2014, fu impartito l’ordine che dissi

54 23 ottobre 2022 I clan dello zar
DI

SPIEGARE LA RUSSIA

denti e criminali che non si adeguavano ai diktat dell’amministrazione carceraria pote vano esser stuprati e torturati impunemen te. Bisognava reprimere i successori di Ivan’kov: non era ammissibile che esistesse una mafia autonoma e separata dalla Stato. La vicenda di Sergey Savelyev racconta que sto snodo cruciale. Arrestato per spaccio di droga, Sergey era un esperto di informatica assegnato all’infermeria del carcere di Sara tov, dove gestiva la rete dei computer di una decina di prigio ni. Gli venne quindi affidato il compito di scaricare i video delle torture e distribuirli a pochi funzionari fidati. Di fronte all’orrore delle immagini che vedeva decise di scaricarle e, una volta rilasciato, di trafugare il girato in Occidente. I video sono stati pubblicati sul sito di una Ong franco-russa nel no vembre del 2021. La violenza dello Stato diventa stupro gene ralizzato, per colpire chi, in carcere, ancora non si adegua.

Il regime di Putin non è riuscito a modernizzare l’econo mia. Al contrario, essa continua a essere inefficiente e dipen dente dai cartelli. Imprenditori vicini al regime ottengono li cenze per controllare il mercato. Il modello di sviluppo con

tinua a essere fondato sull’esportazione di materie prime e l’importazione di tecnologia. Lo Stato è composto da ap parati inefficienti e corrotti. E quindi il regime di Putin si è trovato costretto a convivere con una forma molto specifi ca di criminalità, quella informatica. Quello è l’unico modo per poter portare a termine alcuni dei piani strategici e criminali del Cremlino. Nikita Kuzmin, l’inventore del virus informatico più po tente del mondo, Gozi, è la personalità forse più emblematica di questo gruppo. Gli hacker russi come Nikita operano in relativa autonomia, ma entro confini ben precisi: non possono attaccare obiettivi all’interno della Federazione russa e, quando gli viene richiesto, devo no aiutare lo Stato nella sua guerra cibernetica contro l’Occi dente. Per questo viene permesso loro di operare con impu nità. E così la Russia è diventata un paradiso del crimine in formatico nel mondo, insieme a Paesi come il Brasile, la Ni geria e Il Vietnam.

In libreria dal 25 ottobre “La Russia in quattro criminali” (Einaudi, pagg.160, 12 euro) di Federico Varese, docente a Oxford e nostro opinionista

Queste quattro storie ci insegnano che una età dell’oro del

la democrazia e del diritto post-sovietica è stata brevissima se è davvero mai esistita. Un modo di dire che sentivo spesso negli anni Ottanta in Unione Sovietica era «batti il ferro fin ché c’è Gorbaciov», una variante di «batti il ferro finché è cal do». In altre parole: approfitta della libertà di parola e di gua dagno fino a quando c’è Gorbaciov. L’Occidente non è stato uno spettatore innocente: ha creduto in Eltsin e nel suo cir colo di uomini e donne senza scrupoli, permettendo loro di nascondere i patrimoni nelle banche occidentali, senza ac corgersi che erano il preludio di Putin. Oggi ne paghiamo tut ti le conseguenze.

23 ottobre 2022 55 Prima Pagina Foto: M. Kiselev –Tass Photo / IPA
I BOSS COME AGENTI CHE REGOLANO IL MERCATO, DIRIMONO CONTROVERSIE. LE SCELTE DI ELTSIN COME PREMESSA DEL REGIME DI PUTIN. GLI OLIGARCHI COME UN SISTEMA MAFIOSO

SONO SCAMPATA AGLI AYATOLLAH

COLLOQUIO CON SHAPARAK SHAJARIZADEH

DI SABRINA PISU

In Iran si può morire per una ciocca di capelli al vento, che rivendi ca libertà. Lo ha vissuto sulla sua pelle Shaparak Shajarizadeh, che ha subito le stesse atrocità che hanno condotto alla morte Masha Amini. Come lei, Shajarizadeh è stata fermata dalla “poli zia della sicurezza morale” che l’ha portata nello stesso centro di detenzione di Vozara a Teheran. «So quello che le hanno fatto per

ché conosco la brutalità degli agenti», racconta a L’Espres so collegata da Toronto, in Canada, dove vive come rifugia ta politica. «Sono stata picchiata, hanno sbattuto la mia testa ripetutamente contro il suolo, mi hanno umiliato chiamandomi “troia”, “cagna”, mi hanno fatto spogliare, colpito con violenza e poi chiusa in una cella di isolamento, mi hanno detto che sarrei marcita dietro le sbarre. Accanto a me c’erano donne nere dai lividi».

Nel febbraio del 2018 Shajarizadeh è scesa per la strada a volto scoperto e con i capelli sciolti per prendere parte alla protesta “White Wednesday” (Mercoledì Bianco), una cam pagna lanciata dalla giornalista iraniana Masih Alinejad.

«Ero su Viale Enghelab (Rivoluzione) con il foulard bianco appeso a un bastone», racconta: «A 42 anni avevo capito che la libertà dovevamo prendercela da sole».

I giorni bui tornano dal passato di Shajarizadeh che non si toglie dalle mente l’immagine della giovane curda iraniana. Torturata per qualche capello, forse, fuori posto, Masha Amini è morta a Teheran a soli 22 anni nell’ospedale di Kasra per una probabile commozione cerebrale. Le autorità iraniane hanno dichiarato che il decesso in cu stodia è legato a una malattia cerebrale ma suo padre, che ha denunciato gli autori dell’arresto, ha assicurato che sua figlia era “in perfetta sa lute” e di aver visto con i suoi occhi “che il san gue le era sgorgato dalle orecchie e dal collo”.

«Sono stata fortunata a non essere morta anche io, ma sono rimasta ferita in modo mol to grave», continua Shajarizadeh. «Soffro di

disturbo da stress post-traumatico, sono claustrofobica, non posso stare in una stanza con la porta chiusa e ho attacchi di panico, ancora oggi».

Dopo l’arresto, Shajarizadeh è stata condotta nella prigione di Gharchakm dov’è rimasta una settimana, per protesta ha fatto lo sciopero della fame. Dopo un mese è stata portata con il marito nel carcere di Evin, accusati di essere due spie.

«La terza volta mi hanno imprigionata con mio figlio», continua, «sono stata ammanettata e interrogata di fronte al lui che urlava di lasciarci andare a casa. Quella sera in tribu nale ha pianto perché voleva dormire sulle mie ginocchia. Ero seduta su una fredda panchina di pietra e in quel mo mento ho promesso a me stessa che non avrei mai più per messo che questo accadesse alla mia famiglia». Shaparak Shajarizadeh ha passato altri nove giorni tra le sbarre. A sal varle la vita è stata la nota avvocata iraniana per i diritti uma ni Nasrin Sotoudeh che è riuscita a farla uscire su cauzione.

«Sono fuggita dall’Iran con mio figlio prima che iniziasse il processo, poco dopo hanno arrestato la mia avvocata». Sotou deh ha pagato il suo impegno, in difesa di alcune donne irania ne che avevano protestato contro l’obbligo di indossare lo hi jab, con una condanna a 38 anni di carcere e 148 frustate.

Su Shaparak Shajarizadeh pesa una condanna di venti an ni: «Due anni di detenzione e 18 di prova. Se mi fossi ancora tolta il velo, sarei stata chiusa in carcere».

Dopo la morte di Masha Amini è nato un movimento di pro testa a partire dalla provincia iraniana del Kurdistan, da cui la giovane era originaria, che si è poi esteso a tutto l’Iran con

56 23 ottobre 2022
Donne e libertà
Manifestazione davanti al consolato iraniano di Istanbul dopo l’assassinio di Masha Amini. Sopra: Shaparak Shajarizadeh

pelli non basta: «Le donne in Occidente de vono capire che in Iran c’è un regime di apar theid sessuale. Le politiche così come le gior naliste parlano di diritti umani ma quando vengono in Iran obbediscono e indossano lo hijab. Questo è un tradimento».

Le donne in Iran hanno animato diverse proteste, che hanno continuato ad ardere sot to la cenere, come quelle scatenate nel 2009 dalla morte di Neda Agha-Soltan, la ragazza uccisa a 26 anni da un miliziano mentre pren deva parte con il padre alle proteste post-ele zioni presidenziali represse dalle autorità, e più recentemente quella delle “Ragazze di Via Enghelab” nel 2018 alle quali ha preso parte Shajarizadeh.

Ma questa volta al grido “Donne, Vita, Libertà” ha preso forma un movimento senza precedenti per unità, durata e massiccia partecipazione di tutti i gruppi sociali: «È l’inizio di una rivoluzione. Queste donne stanno scrivendo la Sto ria, butteranno giù il regime, la rivoluzione sociale sta già avvenendo e ne seguirà una politica perché le persone sono stanche di un governo corrotto, bugiardo, repressivo e che spende soldi per armare gruppi terroristi nella regione inve ce che investirli per il bene comune».

I manifestanti gridano “Combattiamo, moriamo, ma ci riprenderemo l’Iran”: «Ci sono tutti in piazza, non solo don

coinvolte oltre 80 tra città e piccoli centri. In testa ci sono donne e giovani con un’età com presatrai15ei25anni,chemanifestanonelle scuole e nelle università. Un’onda umana per chiedere la libertà, la fine del dogmatismo re ligioso e politico, uno Stato di giustizia con al centro la dignità umana e i diritti civili, senza più discriminazioni.

«Il mio cuore è in Iran con le mie sorelle e i miei fratelli. Vorrei essere con loro, molti miei amici sono stati arrestati, è terribile la violenza delle autorità su chi manifesta pacificamente».

Secondo Amnesty International sono 144 i manifestanti uccisi, tra cui almeno 23 minorenni, deceduti nella maggior parte dei casi perché colpiti da proiettili o a seguito di pe staggi. La repressione dello Stato iraniano passa anche at traverso il blocco di Internet, per controllare i social media che hanno fatto da veicolo ai contenuti della protesta ovun que, dentro e fuori dall’Iran.

Shajarizadeh conosce il prezzo che sono disposte a paga re le donne in nome di Masha Amini: «Sono senza paura e vederle in massa è un sogno che si realizza, bruciano lo hi jab che è il simbolo dell’oppressione, di sistematiche discri minazioni sessuali e violenze del regime iraniano sulle don ne a cui non è permesso ridere, cantare e ballare per le stra de altrimenti sono maltrattate, vivono perseguitate dalle pattuglie». Shajarizadeh è grata per la solidarietà interna zionale che le iraniane stanno ricevendo, ma tagliarsi i ca

ne ma anche uomini, intere famiglie con bambini. Tantissi mi studenti hanno strappato dai libri scolastici le immagini di Ruhollah Khomeini, fondatore della Repubblica islamica, e del leader supremo Ali Khamenei. Ora rispetto al passato sono tutti pronti a difendersi e combattere».

A prendere posizione deve essere ora la comunità inter nazionale: «Rappresentanti politici, capi di Stato e governo dovrebbero schierarsi a favore del popolo e non del regime che non ha alcuna legittimità in Iran. Dovrebbero inter rompere negoziati e relazioni diplomatiche, richiamare gli ambasciatori».

Shaparak Shajarizadeh crede in quello che chiama «l’ef fetto farfalla»: «Ogni piccolo gesto finisce per produrre il cambiamento nel tempo». E non vuole pensare che Masha Amini sia un’altra farfalla che vola via ma che, come recita l’iscrizione sulla sua lapide: “Name-to ramz mishavad”, ov vero, il tuo nome diventerà chiave».

23 ottobre 2022 57 Prima Pagina Foto: C. Yurttas –dia images / GettyImages, F. Coffrini –Afp / GettyImages
ARRESTATA PIÙ VOLTE, PICCHIATA, TORTURATA. È RIUSCITA A FUGGIRE E OGGI VIVE IN CANADA. L’ATTIVISTA IRANIANA È SICURA: “LA NOSTRA È UNA RIVOLUZIONE CHE CAMBIERÀ LA STORIA”

BIDEN VS TRUMP,

TORNARE

DI MANUELA CAVALIERI E DONATELLA MULVONI DA WASHINGTON DC

Nessuno dei due nomi è stam pato sulla scheda elettorale, ma i volti di Joe Biden e Do nald Trump sono ben impres si nella mente degli americani che il prossimo otto novembre saranno chiamati a rinnovare il Congresso. Non era mai accaduto prima che le elezioni di metà mandato, oltre a rappresentare nella sostanza un referendum sul presidente in ca rica e su i suoi primi due anni nello Studio Ovale, fossero anche la consultazione non ufficiale su un ex inquilino della Casa Bian ca. Dai risultati delle urne, infatti, dipenderà il destino – profondamente interconnesso –dei due nemici giurati, in vista delle presi denziali del 2024.

Donald Trump ha reclamato un ruolo di protagonista, infischiandosene dei proble mi legali che lo riguardano, come le indagini dell’Fbi sui documenti classificati ritrovati nella residenza di Mar a Lago. Ma anche le audizioni della Commissione d’inchiesta della Camera sul 6 gennaio 2021, che hanno determina to il suo ruolo attivo nel fo mentare l’assalto al Campi doglio. Mattoni che avrebbe ro istantaneamente seppel lito chiunque. Non lui, che anzi ne ha addirittura tratto vantaggio, ponendosi come perseguitato politico in

campagna elettorale. Sono decine i fedelissi mi di Trump candidati in queste midterm. La loro vittoria, il volano per la sua corsa alla Casa Bianca. «Nonostante le audizioni gli abbiano fatto perdere sostegno tra i repub blicani moderati, credo sia ancora il nome che il partito sceglierà nel 2024. È un’anoma lia nella storia di questo Paese», dice il pro fessor Thomas Patterson, politologo della Harvard Kennedy School. Le violenze di Ca pitol Hill, comunque, non avranno peso de terminante, visto che, come ricorda il sito Politico, la maggioranza dei deputati che votarono contro la certificazione dei risulta ti del 2020 contestando la vittoria di Biden, oggi si trovano in collegi sicuri.

Il super Pac Maga Inc. ha già iniettato mi lioni di dollari nelle battaglie chiave per il Senato. Come l’Ohio, dove corre JD Vance, lo scrittore populista della Hillbilly Elegy, contro il democratico Tim Ryan; o la Penn sylvania, dove il medico star della tv Meh met Oz sfida il vicegovernatore John Fetter man. Proprio qui, il candi dato della destra estrema Doug Mastriano, ultra tru mpiano, cercherà di guida re lo Stato battendo Josh Shapiro.

Nelle elezioni di metà mandato, si rinnovano tutti i 435 seggi della Camera e 35 su 100 al Senato. In ballo ci

58 23 ottobre 2022 Foto: Drew Angerer / Getty Images L’America alle urne
LE ELEZIONI DI MIDTERM DI NOVEMBRE SONO NELLA SOSTANZA UN TEST PER IL PRESIDENTE E PER L’EX CHE, NONOSTANTE I GUAI LEGALI, SCHIERA I SUOI FEDELISSIMI E PUNTA A
NEL 2024. OBAMA DOSA LE APPARIZIONI PRO DEM
Manuela
Cavalieri Giornalista
Donatella
Mulvoni Giornalista

IL REFERENDUM

sono anche 36 poltrone governatoriali, nu merose altre posizioni locali e referendum. Per vincere, progressisti e conservatori han no sposato agende diametralmente oppo ste. In casa dem innanzitutto ambiente, con trollo delle armi, difesa del diritto all’aborto e della comunità Lgbtq. Nella prima riga del taccuino repubblicano, invece, ci sono infla zione ed economia zoppicante. E poi i temi cari alla base Gop, come la lotta alla crimi nalità e all’immigrazione illegale, ma anche le istanze pro-life.

Tema sensibile, il fronte ucraino-russo. Se l’amministrazione democratica rafforza l’impegno, cala il numero dei conservatori graniticamente convinti che sia responsabi lità americana proteggere l’Ucraina dall’in vasione russa. Dalla sua piattaforma Truth Social e dai palchi elettorali, Trump indica ai suoi elettori un nuovo indirizzo: «Dobbiamo chiedere l’immediata negoziazione della fi ne pacifica della guerra in Ucraina o finire mo nella Terza Guerra Mondiale». La sua base lo segue, convinta che con lui al timone, la guerra non sarebbe neppure iniziata.

A giocare contro Biden, nelle prossime elezioni, non sarà solo l’inflazione e l’incubo di un conflitto nucleare, ma anche la storia. Stiamo parlando della tradizionale teoria “surge and decline”, secondo cui, spiega il politologo Patterson, «gli elettori che porta no al trionfo un partito, non tornano a vota re in blocco due anni dopo. Chi si è aggiudi cato la Casa Bianca, poi ha sempre perso seggi alla Camera». Il professore ricorda che le eccezioni sono solo tre: «Roosevelt nel 1934, Clinton nel 1998, Bush Jr. nel 2002». In comune, una percentuale di gradimento al 60 per cento. «I presidenti intorno al 40 per cento, come Biden, hanno sempre raccolto sonore sconfitte». Se però in primavera per il partito dell’asinello si prospettava un disa stro su tutti i fronti, l’estate ha riacceso le speranze, grazie ad alcuni successi incassati. Come l’uccisione del capo di Al Qaeda, al-Zawahiri, a un anno esatto dal ritiro,

23 ottobre 2022 59 Prima Pagina
Sostenitori del Comitato nazionale democratico a Rockville, nel Maryland

Prima

molto criticato, delle truppe americane in Afghanistan e la firma dell’Inflation re duction act, che oltre a costituire il più gran de investimento mai visto in materia di cli ma, punta anche ad abbassare i prezzi dei farmaci. Ma a mobilitare i democratici ci ha pensato soprattutto la Corte Suprema, che con tre sentenze molto controverse - su cli ma, armi e aborto - si è imposta come terzo protagonista di queste elezioni di metà mandato. Quando a fine giugno i saggi han no rovesciato la sentenza Roe contro Wade, che da 50 anni garantiva il diritto federale all’interruzione di gravidanza, l’America li beral si è svegliata dal torpore ed è scesa in piazza, realizzando che i diritti non sono in violabili e che la loro protezione passa dalle urne. E infatti quasi due milioni di americani hanno già votato per corrispondenza.

Per i democratici una débâcle sia alla Ca mera che al Senato, preludio di una paralisi legislativa totale, sembra scongiurata. Alme no secondo quanto sostengono esperti e sondaggisti. Il quadro più probabile è che perdano la maggioranza alla Camera (oggi di 221, mentre i repubblicani ne potrebbero conquistare fino a 242), mantenendo però il controllo del Senato. È qui che Biden potreb be fare la storia: diventando il primo demo cratico dai tempi di Kennedy ad aumentare i seggi in una elezione di un midterm. Oggi alla Camera Alta la situazione è di perfetta parità tra i partiti (50 e 50) con il voto deter minante della vicepresidente che sposta l’a go della bilancia. Se riuscissero ad afferrare altri due seggi, magari strappandoli al Gop in Pennsylvania e in Wisconsin (Stati diven tati blu nel 2020), e se nessuno dei senatori in corsa per la rielezione si lasciasse sfilare la poltrona, arriverebbero a 52. Il numero ma gico con cui il partito neutralizzerebbe i due democratici conservatori - Kyrsten Sinema e Joe Manchin - che hanno ostacolato molte battaglie cruciali.

Per Biden e i suoi alleati resta fondamenta

LE SFIDE

Il candidato repubblicano della Pennsylvania al Senato ed ex personaggio televisivo Mehmet Oz. In alto, il candidato repubblicano dell'Ohio al Senato JD Vance

L’America alle

le la mobilitazione al voto, in modo da limita re il più possibile il peso del «gerrymande ring», la riorganizzazione ad hoc dei distretti elettorali che generalmente favorisce i re pubblicani. Per riuscirci, bisogna convincere i giovani, che rappresentano una base solida per i liberali, ma sono difficili da portare alle urne. È anche per strizzare l’occhio ai millen nial e alla Gen Z, oltre che per mantenere le promesse elettorali, che recentemente la Ca sa Bianca ha annunciato due misure: il con dono dei debiti universitari (fino a 10mila dollari per chi ne guadagna meno di 125mila all’anno) e la grazia a migliaia di americani nelle carceri federali, in larga parte afroame ricani, per possesso di marijuana.

«Storicamente l’affluenza è più bassa ri spetto alla generazione di genitori e nonnidice ancora Thomas Patterson - Il partito però spera che si ripeta l’affluenza del 2018. Ci sono vari motivi che inducono a pensare che i ragazzi si mobiliteranno: oltre alle già citate questioni dell’accesso all’aborto e del clima, anche quelle della giustizia sociale e dell’equità razziale».

E proprio a loro si rivolgerà Barack Oba ma, affondando i piedi nei terreni di scontro più incandescenti in coda alla campagna elettorale. L’ex presidente sarà ad Atlanta, in Georgia, il 28 ottobre. Gli occhi sono puntati sulla sfida alla massima carica dello Stato, tra il governatore conservatore in carica Brian Kemp e l’afroamericana Stacey Abrams. Nel 2018 Kemp l’aveva spuntata per il rotto della cuffia. Serrata anche la lotta per un seggio al Senato. Si affrontano il senatore democratico Raphael Warnock (pastore ad Atlanta della chiesa battista di Martin Luther King) e Herschel Walker, ugualmente afroamericano, controverso ex giocatore di football appoggiato da Trump. Obama si sposterà poi in Michigan e Wisconsin, il giorno dopo. Pochi appuntamenti per spin gere i candidati in bilico; chirurgico, per evi tare ogni tipo di sbavatura con l’amministra zione Biden. Il partito - rimarca la Cnn - lo avrebbe voluto più presente, invitandolo a numerosi appuntamenti, che lui ha declina to. Secondo il sito della televisione america na, infatti, sebbene la sua popolarità sia an cora molto alta, ha preferito limitare le appa rizioni, certo che la sua presenza infiammi il voto repubblicano più di quanto mobiliti la base democratica.

60 23 ottobre 2022
Foto: Spencer Platt
/
Getty Images, Jeff Swensen
/
Getty
Images
Pagina
CACCIA AL VOTO GIOVANE, L’INQUILINO DELLA CASA BIANCA HA CONDONATO I DEBITI UNIVERSITARI E GRAZIATO MIGLIAIA DI DETENUTI. BATTAGLIA SU DIRITTI, ABORTO, POVERTÀ E ARMI
urne
Channel su canale222

DI LUCIANA GROSSO

l Pentagono, sede blindatissima (e pure un po’ cine matografica) di quella che senza dubbio è stata, e probabilmente è ancora, la più poderosa macchina bellica al mondo, dovrebbe essere uno dei posti più avveniristici ed efficienti d’America. E invece, a guar darlo da vicino, e soprattutto da dentro, appare co me un polveroso dedalo di burocrazie e scartoffie: fiacco, farraginoso, bizantino e disperatamente lento e inefficiente (e lentezza e rigidità e, più o meno dai tempi delle Termopili, sono l’esatto opposto di quel che serve per condurre un’ope razione militare decente).

John Kroeger, giurista che per lungo tempo ha servito nei Marines, ha scritto in un lungo articolo apparso su Wired nel 2020: «Non ci sono laptop alle riunioni del Pentagono. Non ci sono nemmeno lavagne. Nessuna connettività e quasi nessu na diversità. Amo la Marina e il Corpo dei Marines, ma come dirigente civile, questo ambiente degli anni ’50 è ciò che mi ha esasperato di più nel lavorare lì. Questi problemi danneg giano la velocità e la qualità della nostra pianificazione e del nostro processo decisionale militare. Se non li correggiamo presto, metteremo a repentaglio la nostra sicurezza naziona le».

Il periodico di politica internazionale Foreign Policy, in un recente articolo, scrive: «Il Dipartimento rimane rigidamen te gerarchico, in netto contrasto con le organizzazioni mo derne; rimane ossessionato dal protocollo; rimane gravato dalla stretta aderenza a processi lenti e sequenziali; sviluppa armi incredibilmente efficaci, ma una quantità spaventosa

mente grande del denaro che spende viene sprecata in spese generali contrattuali e programmi di acquisizione che richie dono così tanto tempo che le armi possono essere quasi ob solete quando vengono messe in campo. Prendere una deci sione? Le idee audaci spesso subiscono la morte per mille tagli di carta o forse sono più benignamente soffocate dalla noia».

Il Pentagono appare dunque come una macchina sì pode rosa e potentissima, ma resa inefficiente (e quindi inefficace) dalla sua stessa mole, con il risultato di essere inadeguata e soprattutto sproporzionata rispetto ai fondi che richiede (gli Usa spendono tra i 700 e gli 800 miliardi di dollari l’anno per le intere forze armate; poco meno del 4 per cento del Pil sta tunitense, laddove la Cina non arriva al 2 per cento).

Come tutte le cose, però, anche la lentezza e l’efficienza solo parziale del Pentagono, hanno una causa e un effetto. La causa è, in buona sostanza, il fatto che da un certo punto in poi il Pentagono non ha avuto più bisogno di essere né effi ciente né efficace. Con la fine della Guerra Fredda, che gli Stati Uniti hanno vinto, è sembrato che la ragione stessa dell’esisten za del Pentagono venisse meno. Del resto, dopo la Seconda Guerra Mondiale e la divi sione del mondo in blocchi, gli Stati Uniti avevano progettato la loro struttura milita re a misura di scontro mondiale, con porta erei, jet, armi nucleari. Ma quando la Guer ra Fredda è finita e per un breve periodo è

64 23 ottobre 2022
IL PENTAGONOSI È IMPIGRITO BUROCRAZIA, SCARTOFFIE, SPESA MONSTRE. IL CUORE DELLA MACCHINA BELLICA USA PERDE COLPI. INCAPACE DI RINNOVARSI SEMBRA RIMASTO FERMO AL TEMPO DELLA GUERRA FREDDA
I La difesa americana

parso che tutto quel l’armamentario pesantissimo fosse pronto per essere consegnato alla Storia e ai magazzini. Dunque che senso aveva renderlo migliore, più efficace se ormai era roba di antiquariato?

Le cose sono andate diversamente e la Storia si è ben guar data dal finire.

Anzi, ha continuato ad andare avanti a tutta velocità, men tre il Pentagono, illuso di essere diventato inutile, rimaneva fermo e uguale a se stesso.

Le guerre non sono finite, ma si sono trasformate da scon tri tra potenze in terrorismo, attentati e guerriglia, trovando gli Stati Uniti completamente impreparati, tanto in Iraq quanto e, soprattutto, in Afghanistan. «La nostra débâcle strategica post-11 settembre è nata da una mentalità che si è concentrata in modo schiacciante su avversari e minacce, a scapito della comprensione del contesto in cui si erano meta statizzati. Abbiamo perso la guerra in Afghanistan, non per mancanza di capacità di battere i talebani in aperta batta glia, ma perché non siamo riusciti a capire l’Afghanistan stes so. In Iraq, ci siamo dimostrati incapaci di navigare in un la birinto di linee di fratture sociali e politiche. Più e più volte, durante la “Guerra globale al terrorismo”, i nostri nemici si sono adattati e rigenerati», scrive il Modern War Institute. Un cambiamento veloce e fluido, cui il Pentagono, probabilmen te più per complessità che per pigrizia o malafede, ha rispo sto restando sempre uguale, all’insegna del «si è fatto sempre così»: non ha rinnovato i suoi processi decisionali, la sua ca pacità di approvvigionamento (il primo audit finanziario cui

la struttura è stata sottoposta data 2017 e non lo ha nemme no superato) e soprattutto non ha mai rivisto la concezione del suo compito: non ha cambiato il suo modo di studiare, prima ancora che di combattere.

Ma se queste sono le cause della paralisi del Pentagono, occorre ora pensare agli effetti. E per scorgerne il profilo, oc corre guardare al futuro prossimo della guerra in Ucraina, di cui il Pentagono appare, che lo voglia o no, centro strategico. Un centro strategico che ora, a meno di un anno dall’inizio del conflitto, inizia a dare segni di affanno. Pochi giorni fa, il sito di Bloomberg, ha provato a fare i conti in tasca al diparti mento della Difesa americana (da cui dipende buona parte della risposta militare ucraina alla Russia) e i risultati non sono parsi buoni. «Dall’inizio della guerra in Ucraina, nes sun’arma è stata più efficace contro le forze russe del missile anticarro Javelin. La potenza dell’arma ha contribuito a sven tare i piani del presidente Vladimir Putin di invadere il Paese. C’è solo un problema: le scorte statunitensi stanno finendo», scrive Bloomberg. Secondo i calcoli, la guerra ha già consu mato fino a un terzo dell’inventario di Javelins dell’esercito americano e un quarto dell’inventario statunitense di missili antiaerei Stinger a spalla. In pratica non solo entro pochi me si gli Usa potrebbero non avere più niente da mandare in Ucraina (o chissà dove) ma potrebbero trovarsi impreparati e sguarniti nel caso in cui un conflitto (per esempio con la Ci na) li coinvolgesse direttamente. Il che non è esattamente quel che ci si aspetta dall’esercito Usa.

23 ottobre 2022 65 Foto: Getty Images
Il Pentagono, quartier generale del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti
Prima Pagina

LA MAFIA NELLE VALLI

Campo

66 23 ottobre 2022 Esclusivo / Il controllo dei pascoli
Imperatore, gli 80 capi di bovini sui terreni del Centro turistico Gran Sasso

VALLI DELL’ABRUZZO

UN FIUME DI AIUTI EUROPEI: FACCENDIERI

SGHERRI DELLE COSCHE FANNO INCETTA

TERRENI DA AFFITTARE PER INTASCARE

SUSSIDI.

REGOLANO L’USO DEI PASCOLI PUBBLICI. MINACCE, INTIMIDAZIONI

DI ANTONIO FRASCHILLA E CHIARA SGRECCIA

FOTO DI STEFANO SCHIRATO

La strada che collega il Gran Sasso a Campo Imperatore è deserta. Il silenzio è rotto so lo dal rumore degli zoccoli di una piccola mandria di ca valli agricoli da tiro che sem brano andare in giro selvaggi e liberi tra le valli di questo pezzo d’Abruzzo. Ma nono stante lo sguardo non incroci nessun’altra anima viva, in questo giorno di ottobre ci si sente osservati. Poco dopo una jeep grigia passa lenta: «Saranno foggiani, qui siamo nel loro territorio», dice Donato Di Marco, dirigente della Confederazione italiana agricoltori che conosce ogni spicchio di questa parte di Appennino. I foggiani? E che ci fanno qui? E perché questo control lo?

Da tempo qualcosa di strano si sta muo vendo in queste valli, tra volti scuri e sco nosciute società che fanno incetta di terre ni privati e la fanno da padrona nell’asse gnazione di appezzamenti pubblici desti nati al pascolo. Tutti attratti da un fiume di denaro che arriva qui dall’Europa per so stenere agricoltori e agricoltura: una cifra intorno ai 150 milioni di euro all’anno. Soldi che dovrebbero creare ricchezza sul terri torio, ma che invece svaniscono nel nulla, preda di speculatori del Nord che piomba no nei piccoli comuni abruzzesi con Mer

cedes e valigie di denaro per affittare i ter reni a prezzi che nessun agricoltore locale può sostenere e anche di personaggi in odor di mafia che fanno capolino in queste contrade arrivati dalla Sicilia, dalla Cala bria, dalla Campania e dalla Puglia.

In queste valli non si dorme più tran quilli come una volta. La tensione sta sa lendo, come raccontano alcuni fatti di cro naca avvenuti di recente: mucche scarica te di frodo e abbandonate, allevatori che si son trovati un giorno quaranta bovini squartati oppure mezzi in cendiati, tubi dell’acqua ta gliati, ruote dei trattori bu cate. E fiamme, qui e là, come a Campo Imperato re: un hotel nuovo di zecca andato distrutto, un rifu gio ridotto in cenere. Pres sioni costanti. Un ragazzo di un paesino della zona che aveva appena compra to un furgoncino per fare panini ai turisti di passag gio, è stato avvicinato da alcune persone con accen to pugliese: «Qui non puoi lavorare». E il sogno del ragazzo si è così spento an cora prima di iniziare. A

23 ottobre 2022 67 Prima Pagina
E
DI
I
E
E QUALCHE DENUNCIA
Chiara Sgreccia Giornalista Antonio Fraschilla Giornalista

L’ORO

Campo di Giove invece un giovane agri coltore ha segnalato ai carabinieri di esse re stato avvicinato da tre persone origina rie del Gargano che volevano la sua azien da agricola ereditata dal padre allevatore. Al primo rifiuto ha ricevuto minacce: lui le ha solo comunicate alle forze dell’ordine ma senza sporgere denuncia. Perché nelle valli adesso c’è paura. Il denaro garantito dalla politica agricola comunitaria (Pac), al quale si aggiungono i contributi per l’al levamento di bovini e ovini, ha attirato l’at tenzione di chi vuole incassare questi fon di senza tanti sforzi per portare poi i soldi altrove e far restare qui finti allevamenti e aziende che non producono nulla.

Cooperative, intrecciate tra loro e con al cuni soggetti che ricorrono poi nelle varie aziende, da qualche anno stanno prenden

do tutti i titoli di proprietà agricoli da priva ti che non riescono a resistere a questo mer cato ma anche attraverso le aste pubbliche dei Comuni: qui piccoli enti con poche cen tinaia di abitanti, come Lucoli, possono mettere a bando usi civici per 3 mila ettari. Ogni ettaro è arrivato ad avere un valore di contributi ricevuti solo per il sostentamen to agricolo pari a 200 euro, ai quali occorre aggiungere altri contributi, come quello per bovino che può valere anche 240 euro a ca po. Lina Calandra, docente di geografia dell’Università de L’Aquila, da diversi anni sta conducendo una dettagliata ricerca su quello che sta avvenendo nei pascoli d’A bruzzo. Seduta nel suo ufficio con vista sui monti aquilani racconta: «L’Italia, diversa mente da quanto avviene in altri Paesi euro pei, ha scelto di applicare il sistema dei “ti toli” considerando l’intero territorio nazio nale come un’unica regione: ciò significa che per il pagamento di un titolo può essere ammesso qualsiasi terreno. Per un allevato re che ha qualche titolo dal valore di circa un centinaio di euro è impossibile reggere il confronto nelle aste pubbliche per la con cessione dei pascoli con chi ha molti più ti toli e dal valore di gran lunga più alto: cioè le grandi cooperative. Il risultato è che recen

68 23 ottobre 2022 Esclusivo / Il controllo dei pascoli
VERDE
DEI FONDI COMUNITARI
HA
CONSOLIDATO IL CONTROLLO DELLE
AREE SOTTO AL GRAN
SASSO.
BESTIAME UCCISO, MEZZI AGRICOLI E
UN
HOTEL A FUOCO PER MARCARE IL TERRITORIO

temente da noi il prezzo di affitto di un ter reno da pascolo è passato da 10 euro all’et taro a 200. Stiamo così assistendo al para dosso per cui i contributi europei, invece di integrare il reddito di chi produce e vive con il pascolo e, quindi, di chi garantisce un pre zioso lavoro di manutenzione del territorio e delle sue caratteristiche ambientali e pae saggistiche, non solo finiscono altrove ma concorrono a desertificare l’allevamento montano. Mentre proliferano allevamenti fantasma di società agricole solo sulla carta fatte da banchieri, commercialisti, avvoca ti, notai».

Le conseguenze nel territorio sono drammatiche, come spiega all’ingresso del la sua azienda piantata sui colli di Sulmona Nunzio Marcelli, pastore di Anversa degli Abruzzi, presidente di Appia, la rete della pastorizia italiana: «Assistiamo al fenome no dell’accaparramento dei terreni, della chiusura delle aziende oneste e dell'impos sibilità per i giovani di restare in questa ter ra: stiamo creando un deserto. E poi stiamo assistendo ad altri fenomeni strani frutto di speculazione: a esempio quella che io chia mo “somarizzazione”. Dalle nostre parti stanno crescendo gli allevamenti, anche fasulli, di somari: sempre per il meccani

LE MINACCE

A sinistra, Assunta Valente che ha pascoli tra il Lazio e l’Abruzzo: ha denunciato l’uccisione di pecore e il furto di capre. Al centro Nunzio Marcelli, guida la protesta contro la speculazione delle finte aziende agricole. In alto, la ruspa dell’allevatore Dino Rossi, bruciata il 7 marzo 2022: uno dei due atti intimidatori ricevuti e denunciati ai carabinieri

smo perverso dei contributi, che danno lo stesso aiuto a chi alleva una mucca o un asino, nonostante i costi molto differenti tra le due tipologie, visto che è molto più costoso tenere una mandria di mucche. Senza generare né valore aggiunto per l’e conomia dell’area, né benessere per l’ecosi stema ambientale».

In queste valli non ci sono solo somari, ma anche atti di violenza sempre più fre quenti, come raccontano diversi pastori sentiti da L’Espresso: «Non si possono ne anche più contare tutti gli animali che mi hanno ammazzato. L’ultima vacca l’hanno uccisa due mesi fa. L’ho trovata morta all’interno di un burrone», dice Assunta Valente, proprietaria di un’azienda agrico la al confine tra Lazio e Abruzzo, che da più di tre anni subisce violenze continue, intimidazioni e furti. «Non ho capito subi to che gli attacchi fossero mirati, all’inizio non ci facevo caso. Ma poi si sono fatti più frequenti e sono arrivate anche le minac ce. Tubi tagliati, mi hanno squarciato le ruote del trattore, strappato i recinti dove tengo gli animali. Finché non sono iniziate delle vere esecuzioni. Mi hanno fatto di tutto, anche ammazzato i cani». Per Va lente, gli autori sono «quelli della mafia

23 ottobre 2022 69 Prima Pagina

Prima

Animali al pascolo nei laghetti di Campo Imperatore: un giovane di un comune della zona qualche mese fa aveva acquistato un furgoncino per vendere panini ai turisti ma è stato invitato da tre persone con accento pugliese ad andare altrove. La zona è sotto il controllo di alcuni foggiani arrivati dal Gargano

/ Il controllo dei pascoli

tissimo fumo e una puzza tremenda di gomma bruciata. Dopo poco più di un me se è successo di nuovo: mi hanno incen diato la ruspa che avevo parcheggiato nel la stalla». Per Rossi, gli atti di violenza non erano rivolti a lui ma all’azienda agricola confinante. «Hanno dato due avvertimen ti alla persona sbagliata e, infatti, poi sono andati a prendersi chi cercavano vera mente». Il riferimento è alla morte di un giovane allevatore di Ofena trovato impic cato a un albero dopo che, qualche mese prima, era stato ferito alla testa con una pistola per ammazzare i buoi. «In paese tutti dicono che qualcuno l’ha indotto ad ammazzarsi. L’Abruzzo sta diventando una terra di conquista».

dei pascoli perché vogliono la terra. Hanno iniziato rubando gli animali ma poi hanno capito che il modo più efficace per mettere in difficoltà gli allevatori è uccide re i capi di bestiame. Non comprano la tua azienda ma ti costringono con la forza ad abbandonarla. Se a un allevatore togli i terreni in cui porta gli animali a pascolare cos’altro gli rimane?».

Ad altri hanno bruciato i mezzi. «C’è fuoco, c’è fuoco da te», hanno gridato i vi cini al telefono dell’allevatore Dino Rossi una notte dello scorso gennaio. «Anche se erano solo le 22 stavo per mettermi al letto perché l’indomani mi sarei dovuto sveglia re presto per lavoro», dice Rossi, proprie tario di un’azienda agricola nel Comune di Ofena, provincia de L’Aquila. «Sono sceso e ho trovato la rotopressa in fiamme. Tan

Una terra di conquista e una terra di ma fia. L’Espresso ha letto in esclusiva un do cumento che alza il velo sui legami tra alcu ni titolari di cariche amministrative in co op che stanno facendo incetta di terreni e nomi noti alla Camorra e alla mafia del Gargano. Un documento che si basa su al cune informative della Direzione investiga tiva antimafia di Napoli, dei carabinieri e della Guardia di finanza de L’Aquila utiliz zate in parte anche dalla prefetta Cinzia Teresa Torraco che ha firmato una pesante interdittiva antimafia al Consorzio Aquila no. In queste informative gli investigatori ricostruiscono alcuni contatti tra soci di diverse coop e, a esempio, uomini «del clan dei Casalesi» e, per la precisione, del grup po Schiavone. Ma anche «frequentazioni tra altre figure societarie e i fratelli Cari glia», uno dei quali sposato con «una cugi na dei fratelli Notarangelo, al centro della faida del Gargano». Informative finite chia ramente sul tavolo di diverse procure e che si aggiungono alle carte inviate dalla pro cura di Messina dopo che si era scoperto che cognomi di peso della mafia dei Nebro di, dai Bontempo ai Galati, risultavano ave re titoli di proprietà di terreni in questa fetta d’Italia, e in particolare a Barisciano, Ofena, Castel del Monte, Pettorano sul Gi zio, Crognaleto, Cortino, Valle Castellana, Rocca Santa Maria, Isola del Gran Sasso e Caramanico. Tracce di indagini che stanno chiudendo il cerchio su quello che sta acca dendo nelle grandi valli del Gran Sasso e nel cuore d’Abruzzo. Nell’assoluto silenzio rotto soltanto da zoccoli e jeep.

70 23 ottobre 2022
Pagina Esclusivo
UN ETTARO AGRICOLO MESSO ALL’ASTA DAI PICCOLI COMUNI FRUTTA FINO A 200 EURO DI FONDI UE. UN BOVINO ANCHE
240.
ALL’OPERA CLAN DEI CASALESI, FOGGIANI E I SICILIANI DEI NEBRODI
RAFFO ART COMMUNICATION ROMA

DI ALESSANDRO LONGO ILLUSTRAZIONE DI GIOVANNI GASTALDI

er capire quello che l’Italia ha perso finora a causa dei ritardi nel digitale si può partire dal Covid-19. «I dati pubblicati da Lancet, storica rivista scientifica, sono emblematici: nei Pae si più digitali sono morte meno persone du rante la pandemia». E in Italia? «Da noi inve ce c’è stato un aumento record della mortalità, non solo per il Covid-19 ma anche per tutte le altre malattie». Sergio Pillon è un medico, tra i più noti in ambito digitale. Dieci anni fa ha creato le prime linee guida per la telemedicina, per l’allora governo. Dieci anni sprecati e il risultato si cal cola in vite umane, perché «da noi, con la telemedicina ancora inutilizzata nel 2020-2021 la gente aveva solo una scelta: o farsi visitare dal medico di persona o non farsi vi sitare affatto. In un caso rischiava di prendersi il Covid-19, nell’altro di morire per altre malattie. Negli Stati Uniti inve ce le visite durante la pandemia sono state al 70 per cento in telemedicina», aggiunge.

Altro settore, altri danni. La burocrazia inutile toglie 57 miliardi di euro alle aziende italiane (secondo uno studio Cgia, Ambrosetti e Deloitte di quest’anno); una pubblica amministrazione più digitale sarebbe al contrario più agi le, come dicono studi, anch’essi decennali, del Politecnico di Milano.

Oppure, più banalmente: se la banda ultra larga di livello migliore (“gigabit”) fosse diffusa in Italia quanto negli altri Paesi europei forse tanti tifosi non avrebbero penato per un calcio in streaming che andava a singhiozzo.

Il nuovo rapporto annuale delle Nazioni Unite sulla clas sifica digitale di tutti i Paesi al mondo (uscito a settembre scorso) dà all’Italia il posto 37, sotto Grecia e Polonia, con Spagna e Francia ben più in alto.

L’altra faccia, positiva, della medaglia è che negli ultimi due anni abbiamo fatto grossi passi avanti e «ancora di più

ne faremo nei prossimi, grazie ai fondi e alle azioni colle gate al Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), che al digitale destina 45 miliardi di euro di fondi pubblici euro pei», dice Michele Benedetti, direttore Osservatorio digita le del Politecnico di Milano. «Se pensiamo che prima al digitale i Governi davano poco o nulla…».

Siamo in un momento delicato, di spartiacque, secondo gli esperti. Se l’Italia utilizzerà bene quei fondi diventerà un Paese moderno e risolverà un ritardo storico che incide su tutti gli aspetti della vita, dalla competitività interna zionale, all’occupazione, alla salute. Se fallirà l’impresa –che ha una scadenza dettata dall’Europa al 2026 – non ci saranno probabilmente più treni disponibili.

Insomma, ci giochiamo tutto e questa responsabilità ora è in capo al nuovo governo di centrodestra. In un docu mento pubblicato a metà ottobre dal governo si può legge re «il testamento di quanto fatto finora in questo ambito»,

P CHE NE SARÀ DEL DIGITALE TELEMEDICINA, BUROCRAZIA, SERVIZI. LA TRANSIZIONE ARRANCA E L’ITALIA È AL 37° POSTO NEL MONDO, DIETRO GRECIA E POLONIA. LA SVOLTA CON I 45 MILIARDI DEL PNRR. A PATTO DI NON SPRECARLI Il Paese da modernizzare 72 23 ottobre 2022

spiega Stefano da Empoli, presidente dell’osservatorio I-Com. L’ha firmato Vittorio Colao, ministro (uscente) all’Innovazione e una storia di manager nelle telecomuni cazioni. Il documento (Italia Digitale 2026. Risultati 20212022 e azioni per il 2023-2026) dice con grande trasparenza anche quanto resta da fare, da subito e senza perdere tem po, con il nuovo esecutivo. Dà persino qualche consiglio su come fare ed errori da evitare, a conferma di quanto la situazione sia delicata. Tra le cose fatte nell’ultima legislatura, si può ci tare «il decollo dello Spid, l’identità digita le, a cui la pandemia ci ha costretti tutti. O la possibilità di pagare ormai moltissimi servizi della pubblica amministrazione in modo comodo e online», dice Benedetti. Oppure l’arrivo della banda ultra larga al 97 per cento della popolazione, anche se quel

la di livello superiore (gigabit) è ancora poco presente (44 per cento), secondo l’ultimo rapporto Desi della Commis sione europea (uscito ad agosto 2022 su dati 2021).

«Solo negli ultimi due anni l’Italia ha cominciato a lavo rare davvero sulla Sanità digitale», dice Pillon. «Solo ades so, finalmente, abbiamo un modello di Fascicolo sanitario elettronico funzionale. E lo sappiamo quanto ci sarebbe stato prezioso in pandemia, per curare meglio anche con televisite», aggiunge.

Il Fascicolo – un documento accessibile online via piat taforme pubbliche – dovrebbe avere tutta la storia clinica di ognuno di noi e ospitare ogni referto medico, risultati di esami. Peccato che solo una minoranza di strutture pubbliche e private vi partecipino, con il risultato che il fascicolo è stato a lungo vuoto oppure con documenti in un formato inutilizzabile. Il Governo ha cominciato a sbloccare la situazione con alcune Regioni pilota, otte

Alessandro Longo Giornalista
23 ottobre 2022 73 Prima Pagina

Prima Pagina

nendo i primi risultati concreti e «ora le strutture sa ranno obbligate a collaborare per ottenere i fondi del Pn rr», dice Pillon.

Al 2026, si legge nel documento di Colao, tutte le Regioni dovranno partecipare appieno e dovrà anche nascere una piattaforma nazionale di telemedicina e tele-monitorag gio dei pazienti. Quanto alle infrastrutture, il governo ha fatto in tempo tutti i bandi con cui portare la migliore rete Internet veloce fissa e mobile a tutti gli italiani entro il 2026: famiglie, aziende, scuole, pubbliche amministrazio ni, ospedali. Una rivoluzione, a patto di riuscirci material mente: a ottobre tutte le aziende di rete hanno lanciato l’alert; non trovano abbastanza manodo pera specializzata per fare le nuove reti, per colpa delle storiche lacune italiane in competenze tecniche.

Si tenga conto che il precedente piano pubblico banda ultra larga, ancora in cor so, viaggia ora con tre anni di ritardo sugli obiettivi fissati (se va bene finirà nel 2023), secondo i dati del ministero Sviluppo eco nomico. Un’altra bella grana per il nuovo Governo, tra le tante.

be da loro. E così ad esempio, «costringiamo ancora le nuove aziende innovative a spendere soldi da un notaio per l’apertura della società, con costi indebiti. Non c’è vera semplificazione: una delle poche novità di amministrazio ne digitale per i cittadini, peraltro rinviata per anni, è la possibilità di fare il cambio di residenza online. Capirai; e in ogni caso ci ho provato, a Milano, ad agosto e sto ancora aspettando».

È d’accordo Eugenio Prosperetti, avvocato esperto di amministrazione digitale: «Il nostro Stato non rispetta an cora il principio dello once only (“una volta sola”), sebbene previsto dalle norme e quindi continua a chiedere più vol te gli stessi documenti, che pure dovrebbe già avere nei propri archivi. Lo fa ad esempio l’Agenzia delle Entrate, con le cartelle esattoriali, facendo perdere tempo ai citta dini, e alle imprese». È anche questo il peso della burocra zia inutile di cui parlava lo studio Cgia.

Da un altro punto di vista, «si può dire che negli ultimi due anni abbiamo posto le basi per cambiamenti impor tanti futuri», dice Benedetti. Ad esempio, sulle competen ze digitali: il vero nostro tallone d’Achille, secondo la Com missione europea. Non si è fatto quasi nulla per anni, ma nel 2020 è arrivato il piano per le competenze digitali, nel 2021 i primi programmi pubblici gestiti da volontari per i cittadini più svantaggiati, il 13 ottobre 2022 i primi bandi (del Fondo per la Repubblica digitale) per formare lavora tori in questo ambito, partendo da donne e giovani. Anche questi obiettivi rientrano nei fondi Pnrr al 2026, così come la costruzione di una piattaforma pubblica di dati (per permettere tra l’altro il famoso once only).

Tante cose critiche da fare in poco tempo; di qui consigli del vecchio governo al nuovo (nel documento di Colao), tra cui spicca l’invito a conservare una regia forte e centra

AVANTI CON LO SPID E LA BANDA ULTRA LARGA, IN RITARDO SUL RESTO. L’INNOVAZIONE È RIMASTA IN OMBRA DURANTE LA CAMPAGNA ELETTORALE. E ORA RISCHIA DI ESSERLO IL MINISTERO

Qualche esperto nota che sì l’ultimo governo ha fatto molto, almeno rispetto ai precedenti, ma non abbastanza: «Colao si è limitato in fondo a seguire il solco dei Governi Letta e Renzi, senza nessuna vera discontinuità, sfruttan do solo il vento in poppa dato dal Covid-19 alla digitalizza zione del Paese», dice Francesco Sacco, professore all’uni versità Insubria e tra i consulenti governativi alla stesura della prima Agenda digitale italiana (governo Monti, 2012).

Sacco nota che dal governo dei tecnici non c’è stato quello scarto, quella visione di futuro che ci si aspettereb

le, com’è stato ora il ministro per l’Innovazione. E anzi raf forzarla, perché ce n’è ora bisogno più che mai. Ma di que sti temi l’attuale maggioranza ha parlato pochissimo, né accenna a un possibile ministro dedicato, che quindi po trebbe sparire. E, per tutti i motivi fin qui visti, sarebbe un grosso errore, come dicono - oltre al governo uscenteesperti indipendenti del calibro di Carlo Mochi Sismondi (decano degli studi sulla pubblica amministrazione, fon datore di ForumPa) e Gianpiero Ruggiero del Consiglio na zionale delle ricerche.

Foto:
Davide Pischettola
/ NurPhoto
via Getty Images Telemedicina per monitorare una paziente positiva al Covid-19
Il Paese da modernizzare 74 23 ottobre 2022

amministratore delegato dell’Eni, Claudio Descalzi, ama la parola “neutralità”. Ha invocato, per esempio, la neu tralità tecnologica: nessun preconcetto verso gli stru menti per abbattere le emissioni di gas ser ra. Non gradisce, invece, il termine “ideolo gia”. Pochi giorni fa ha detto: «Per anni ab biamo parlato di idrogeno verde, biogas, biometano. Quando ci siamo risvegliati, ab biamo scoperto che l’83% della domanda era per carbone, petrolio e gas. La nostra vi sta era annebbiata. E la vista è annebbiata quando ci si fa guidare dalle ideologie e non dalla neutralità». Del resto, Descalzi è sia l’uomo che ha varato il piano per la neutrali tà carbonica di Eni entro il 2050 sia il mana ger che ha risposto a Greta Thunberg e alle sue accuse contro i “bla bla bla” dei politici.

Forse è proprio per questo che Claudio Descalzi, nominato da Matteo Renzi e con fermato da Paolo Gentiloni e Giuseppe Con te, sembra avviato verso il quarto mandato alla guida dell’Eni. Tra le centinaia di nomi ne che spetteranno al futuro governo di Giorgia Meloni nelle prossime settimane, la sua - secondo indiscrezioni - sembra una delle più sicure. Anche perché l’emergenza gas sconsiglia rivoluzioni nella posizione più delicata per il settore dell’energia. Lui, intan to, continua a muoversi come chi pensa di avere altri anni davanti. Pensa a una terza bioraffineria italiana, da costruire a Livorno. A settembre è volato in Arabia Saudita e ha firmato un memorandum d’intesa con il mi nistro degli Investimenti locale. A inizio ot tobre ha annunciato di risolvere il problema dei flussi di gas proveniente dalla Russia e bloccati in Austria e Germania, flussi che so no destinati ad arrivare a Tarvisio.

Descalzi mette d’accordo tutti almeno su un punto: nessuno conosce l’Eni meglio di lui. Milanese, 67 anni, è in azienda da quan do ne aveva 26 e si è quasi sempre occupato

Nomine

di estrazione, attività chiave del gruppo. Lau reato in Fisica, entrò come ingegnere di gia cimento e arrivò, nel 2008, alla guida della divisione di esplorazione e produzione, la più importante di Eni. Nella sua carriera ci sono incarichi e progetti in Norvegia, Medio Oriente e Cina. E poi l’Africa: Libia, Nigeria, Congo, Angola, Mozambico. In caso di quar to mandato, l’attuale ad supererebbe Scaroni e Mattei e diventerebbe il più longevo nella storia dell’Eni.

Secondo l’osservatorio topmanagers.it, Claudio Descalzi contende a Carlo Messina di Intesa Sanpaolo il titolo di dirigente ita liano con la migliore reputazione sul web. È sostenuto anche dai risultati economici del gruppo: per il primo semestre dell’anno Eni ha annunciato utili per più di 7 miliardi, con un aumento del 700% sul 2021. Da maggio 2020, quando è stato riconfermato per il ter zo mandato, il titolo del gruppo è cresciuto in Borsa di più del 30%. A luglio si è lasciato alle spalle, con l’assoluzione definitiva, il lungo processo sulla presunta maxi-tangen

te che avrebbero pagato Eni e Shell per otte nere la licenza di un giacimento petrolifero in Nigeria. Può rivendicare di avere denun ciato, in anticipo sulla guerra in Ucraina, il pericolo della dipendenza dalla Russia per il gas e di avere guardato ad altri fornitori, co me Algeria e Qatar. Oggi prevede che l’inver no più difficile non sarà quello alle porte, ma il 2023-24.

76 23 ottobre 2022 Foto: P. Tre / FotoA3
Prima Pagina
DI MATTEO NOVARINI CLAUDIO DESCALZI ALL’ENI VERSO LA RICONFERMA L’AMMINISTRATORE DELEGATO DEL COLOSSO ENERGETICO ARRIVEREBBE AL QUARTO MANDATO. SECONDO LUI L’INVERNO 2023-24 SARÀ ANCORA PIÙ DURO DI QUELLO CHE ABBIAMO DAVANTI L’ L’amministratore delegato dell’Eni Claudio Descalzi

L’ENERGIA SOLARE DALLO SPAZIO

La prima si chiama Cassiopeia. È una cattedrale orbitante da duemila tonnellate, una struttura elicoidale costituita da 61mila strati di pannelli in grado di convertire in elettricità i raggi solari, raccolti da due specchi, per poi spedirli sulla Terra sotto forma di microonde. Posizionata in orbita geostazionaria, 36mila chilometri oltre il cielo, Cas siopeia non scompare mai oltre l’orizzonte ed è sempre orientata verso le antenne terrestri, le «rectenne».

L’altra è Sps-Alpha. L’ha progettata l’ex fisico della Nasa, John C. Mankins, e sempre in orbita geostazionaria occupa una superficie di 15 chilometri quadrati, con un diametro di circa quattro. Ha una capacità di 2 gigawatt (GW). I sistemi promettono di soddisfare fra il 10 e il 20 per cento del fabbi sogno energetico europeo annuo. Peccato non esistano.

Meglio, non esistano ancora, visto che l’Agenzia spaziale europea (l’Esa), a fronte di due valutazioni di costi e benefici affidate allo studio inglese Frazer-Nash Consultancy (Cas siopeia) e alla tedesca Roland Berger (Sps-Alpha), punta nel 2025 a proporne lo sviluppo ai 22 Paesi membri, con lo scopo di costruirle.

Si chiama “Solaris” ed è il programma con cui l’Esa inten de fornire una fonte ecologicamente sostenibile, accessibile e pulita all’Europa in modo da soddisfare il suo crescente fabbisogno energetico e azzerare le emissioni inquinanti nette entro il 2050.

Lungi dalla fantascienza, la possibilità di raccogliere l’e nergia solare dallo spazio, cosiddetta “Space based solar power” o Sbsp, è un’idea considerata promettente dagli anni ’60. Ne teorizzò lo sfruttamento l’ingegnere aerospaziale Pe ter Glazer, che in un articolo pubblicato su “Science” il 22 novembre del 1968 ipotizzò che la futura espansione, se non la sopravvivenza, del genere umano sulla Terra sarebbe po tuta dipendere dalla capacità di usare le fonti alternative. La migliore, per disponibilità pressoché illimitata, era e sarebbe stata l’energia solare. In particolare se prelevata oltre l’atmo

sfera, dov’è più intensa, e poi inviata alle reti di distribuzione terrestri tramite connessione wireless (o Wtp).

Sebbene ai tempi fosse tecnologicamente impossibile, oggi sono molti i Paesi decisi a dimostrare che Glazer aves se ragione: in palio non c’è tanto la chiave della crisi coeva, quanto quella del nirvana energetico dei prossimi decenni. Come sottolinea il Citi nel rapporto “Space. The Dawn of a New Age”, pubblicato lo scorso maggio, «secondo il Dipar timento dell’energia degli Stati Uniti, la quantità di energia solare che colpisce la Terra in un’ora è maggiore di quella che il mondo intero consuma in un anno (430 quintilioni di joule)». Lo ribadisce la relazione tecnica di Roland Berger per l’E sa: sempre che tutto proceda come previ sto, Cassiopeia potrebbe produrre «800 TWh all’anno entro il 2050». Oppure, nel caso di Sps-Alpha, «un sistema Sbsp con una capacità di 2 GW produrrebbe circa 15,78 TWh annui. Per soddisfare il 10 per cento della domanda lorda di elettricità

78 23 ottobre 2022 Il futuro sostenibile
Il rendering per un impianto solare spaziale dell’Esa, l’agenzia spaziale europea Emilio Cozzi Giornalista

dell’Unione Europea, pari a circa 3.500 TWh nel 2050 (sce nario di riferimento UE 2020), sarebbero necessari fra i 20 e i 25 sistemi Sbps operativi, con una produzione totale di elettricità di 314-390 TWh». Tradotto in soldoni e conside rati gli investimenti per costruirla, lanciarla, manutenerla e farla funzionare (in tutto 418 miliardi di euro), la sola Cas siopeia prometterebbe un valore netto dei profitti fra i «149 e i 262 miliardi, con il valore del caso centrale di 183 miliar di di euro tra il 2022 e il 2070». I costi, scalabili, diminuireb bero dal primo impianto ai successivi.

Non è un caso se l’energia solare dallo spazio stia già attra endo l’iniziativa e i giganteschi investimenti di Paesi come Cina, il più avanzato di tutti, e Stati Uniti. Ma altrettanto si gnificativo, bene ribadirlo, è che si tratti di progetti, cioè solo di piani: le sfide tecnologiche imposte da colossi come Cas siopeia o Sps-Alpha sono ancora tutte da vincere. La loro complessità sarebbe evidente anche solo confrontandone le dimensioni con quelle della Stazione spaziale internaziona le, a oggi l’architettura più grossa mai realizzata in orbita, estesa quanto un campo di calcio e pesante «solo» 420 ton nellate (per gli Sbps si parla di chilometri quadrati).

Detto altrimenti, come gli studi dell’Esa sottolineano, per costruire le strutture previste, non solo sarebbe neces sario farlo in orbita e per questo aumentare a dismisura la frequenza dei lanci, moltiplicando di oltre 200 volte la no stra attuale capacità di trasporto spaziale e ipotizzandone una drastica riduzione dei costi, ma occorrerebbe «svilup pare la tecnologia associata ai sistemi robotici e autonomi nello spazio […] Considerando l’elevato numero di questi sottosistemi, saranno indispensabili procedure operative autonome supportate da un’adeguata intelligenza artificia le e da capacità di elaborazione dei dati». Il tutto senza di menticare altre criticità, come lo sviluppo di una trasmis sione energetica wireless ad alta efficienza e lunga distanza – «a oggi il Naval Research Laboratory degli Stati Uniti sta testando la trasmissione a livello di kW su una distanza di 1,6 chilometri di frequenze a microonde» e pannelli solari sempre più performanti.

Ammesse complessità immani, il rapporto di Citi auto rizza comunque un certo ottimismo vaticinando che entro il 2040 i costi di lancio, soprattutto grazie alla riutilizzabili tà dei razzi vettore (vedasi quelli di SpaceX), potrebbero scendere dagli attuali 1.500 dollari al chilo a meno di 100 dollari e che i pannelli solari raggiungeranno una massa di un chilogrammo per kW, contro i 20 kg/kW di oggi: «Significherà che il trasporto di un impianto solare da 4 GW – il consumo an nuale di una città come Milano – costerà un miliardo di dollari».

Rimane anche da capire, ed è questo l’ob biettivo dell’Esa, se la volontà politica euro pea converga nel sostenere lo sviluppo (e il costo) di progetti tanto ambiziosi. L’impor tanza della decisione non è testimoniata so lo dall’emergenza attuale, ma anche dai pro getti già in corso altrove: ben più avanti dell’Europa sono la Nasa e il Regno Unito, che sta considerando l’investimento in un progetto da 16 miliardi di sterline e potrebbe portare il pri mo prototipo in orbita nel 2035. La capolista, però, è la Cina che, dopo aver testato un modello completo nel 2021, punta a portarlo in orbita bassa nel 2028 e, due anni dopo, a 36mila chilometri dalla Terra.

Proprio là dove, un giorno, potrebbero galleggiare Cassio peia e Sps-Alpha.

23 ottobre 2022 79 Prima Pagina
I MEGA IMPIANTI IN ORBITA POTREBBERO ESSERE PRESTO REALTÀ LE SUPERPOTENZE GIÀ SI SFIDANO. DUE I PROGETTI EUROPEI CHE SCONTANO PERÒ DIFFICOLTÀ TECNICHE E FINANZIARIE

GAS E PETROLIO CON OMICIDIO

Un’Italia che conquista l'indipendenza ener getica: si libera dal giogo delle multinaziona li, sfrutta al meglio le proprie risorse, stringe accordi privilegiati con le nazioni emergenti che hanno bisogno di tecnici e strutture per produrre gas e petrolio, dall'Egitto all'Iran, dalla Libia al Marocco. Una strategia che stava cambiando l'economia e la politica internazionale del nostro Paese, ma è stata fermata con una bomba: l'attentato che 60 anni fa, il 27 ottobre 1962, ha ucciso il fondatore dell'Eni, Enrico Mat tei, con altre due vittime, sull'aereo aziendale partito dalla Sicilia, esploso in volo mentre il pilota iniziava la manovra per atterrare a Linate.

zienda statale, diventando negli anni Settanta il numero uno del primo gruppo chimico privato. Che già allora, co me l'Eni, distribuiva fiumi di tangenti ai partiti di governo.

A quegli anni cruciali è dedicato un libro-inchiesta, “L’I talia nel petrolio. Mattei, Cefis, Pasolini e il sogno infranto dell’indipendenza energetica”, frutto di anni di ricerche di Giuseppe Oddo, giornalista economico che scrive anche per L'Espresso, e Riccardo Antoniani, professore di Lettera tura italiana a Parigi. Il saggio viene pubblicato da Feltri nelli nei giorni dell'anniversario della morte di Mattei e nel centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini, che fu ucci so nel 1975 mentre stava lavorando a un romanzo clamoro so su Cefis, intitolato “Petrolio”, rimasto incompiuto.

Un crimine rimasto impunito. Che mai come oggi, con la crisi del gas scatenata dalla guerra russa in Ucraina, rivela la sua portata di svolta storica violenta. Dopo l'omicidio di Mattei, che per decenni fu fatto passare per incidente ae reo, al vertice dell'Eni è asceso il suo ex di rettore generale, Eugenio Cefis. Che in po chi mesi ha rovesciato la politica energeti ca. Ha ridotto gli acquisti e limitato gli ac cordi con le nazioni emergenti. E ha ripristinato e aumentato la dipendenza italiana da multinazionali anglo-america ne del calibro di Esso e Shell. Dopo aver normalizzato l'Eni, Cefis ha poi scalato se gretamente la Montedison, con fondi dell'a

La prima parte del volume, quella economica firmata da Oddo, è la cronistoria di un golpe applicato all'industria: si parte dall'Eni di Mattei e si arriva alla Montedison di Cefis. Grazie a un'imponente documentazione e a molte testimo nianze inedite, il saggio dimostra che Mattei aveva rivolu zionato il mercato mondiale dell'energia. Nelle ex colonie francesi e inglesi che conquistavano l'indipendenza, l'Eni entrava in società, alla pari, con le aziende petrolifere na zionali, che per la prima volta potevano sfruttare e rivende re il proprio gas e petrolio, insieme agli italiani. La rottura del monopolio delle multinazionali, unita ai primi accordi tra l'Eni e l'Unione Sovietica per importare greggio, pro vocò reazioni allarmatissime nel blocco occidentale. Nel saggio c'è una lettera inedita di Raffaele Mattioli a Nelson

80 23 ottobre 2022 Misteri d’Italia
DI PAOLO BIONDANI
L’ATTENTATO A MATTEI. L’ASCESA DI CEFIS. IL ROMANZO INCOMPIUTO DI PASOLINI. UN LIBRO-INCHIESTA SVELA I SEGRETI DEI FONDI NERI. E LE CAUSE DELLA CRISI ENERGETICA

Nell’altra pagina, il poeta e scrittore Pier Paolo Pasolini. Qui sopra, il fondatore dell’Eni, Enrico Mattei, e a sinistra, il suo successore, Eugenio Cefis, che poi scalò la Montedison. Quando fu ucciso, nel 1975, Pasolini stava lavorando a un libro che denunciava l’omicidio di Mattei

Rockefeller: il banchiere italiano chiedeva al miliardario statunitense, già nel 1957, di favorire un incontro pacifica torio tra Mattei e i colossi petroliferi americani. Mattei fu contrastato anche da politici e aziende francesi e inglesi.

Nei suoi ultimi mesi di vita, stava lavorando al progetto Eurafrigas: un accordo con Algeria e Francia per estrarre gas nel Sahara e trasportarlo con un metanodotto fino in Italia e Belgio. Le carte documentano che, dopo la sua mor te, Cefis fece fallire le trattative.

L'omicidio di Mattei viene ricostruito dal magistrato Vin cenzo Calia, che riaprì le indagini dimostrando che sull'ae reo era esploso un ordigno collegato al carrello di atterrag gio. Una bomba a effetto limitato, per simulare un inciden te. L'ex procuratore, nell'intervista, rivela un dato finora sconosciuto: l'avvocato Vito Guarrasi, eminenza grigia del la Dc siciliana, ha testimoniato, nel 1998, di aver visto Cefis a Palermo il giorno prima della morte di Mattei. Che il fon datore dell'Eni sia stato ucciso, ormai lo conferma anche la sentenza sull'omicidio del giornalista Mauro De Mauro, che stava ricostruendo per il regista Francesco Rosi il suo fatale viaggio in Sicilia. Tutta questa catena di delitti è ri masta senza colpevoli, grazie a depistaggi sistematici.

Pasolini, nelle bozze di “Petrolio”, denuncia che Mattei fu assassinato. E si si spinge ad accusare il personaggio ispira to a Cefis di essere il mandante. Oggi l'ex procuratore Calia riconosce che gli autori dell'attentato restano ignoti e «non ci sono indizi su Cefis». Il testo di Pasolini viene analizzato

dal professor Antoniani, che ne identifica le fonti, tra cui spicca un pamphlet, “Questo è Cefis”, che la Montedison fece sparire dal mercato: ne risulta autore, sotto pseudoni mo, un giornalista con un passato all'Eni, Luigi Castoldi, reclutato dal politico Gaeta no Verzotto, che fu tra gli organizzatori del viaggio di Mattei in Sicilia. Pasolini collega va Cefis anche alla strategia della tensione, facendone una sorta di precursore dell'an cora sconosciuta loggia P2.

Cefis, riservatissimo, ha parlato di soldi ai politici solo nel 1993. Interrogato dai ma gistrati, ha ammesso che l'Eni finanziava i partiti di governo, dalla Dc al Psi, sostenen do di aver ereditato «un sistema creato da Mattei». Il saggio però svela anche i paga menti per la chimica. In un paragrafo inti tolato con ironia «le nonne di tutte le tan genti», c'è un verbale «riservatissimo» del la società che controllava la Montedison, con il gotha del capitalismo italiano: Agnel li, Pirelli, Cuccia e altri, insieme a Cefis. Gli azionisti pubblici e privati votano per limi tare le «erogazioni a fini sovventori»: i fon di neri in precedenza distribuiti senza limi ti dall’allora presidente Giorgio Valerio, che da quell’anno è tenuto a farsi «autorizzare» e rispettare «un budget massimo».

Altre carte documentano rapporti strettissimi tra Cefis e diversi capicorrente della Dc. In particolare i diari di Ettore Bernabei, che fu consigliere politico di Amintore Fanfani oltre che direttore generale della Rai, rivelano una costante ricerca di coperture politiche e massicci finanziamenti sta tali. Una parabola economica riassunta in un dato finale: nel 1977, quando Cefis ha lasciato l'Italia, la sua Montedi son era ridotta «in stato prefallimentare», con «un indebi tamento finanziario pari a sedici volte il capitale netto».

Il libro è ricchissimo di documenti. Un carteggio finora inedito offusca anche il mito di Indro Montanelli, il più im portante giornalista italiano, che firmò due famose se quenze di articoli, la prima contro Mattei, la seconda a fa vore di Cefis. Quando Montanelli lasciò il Corriere, nel 1974, fu una società svizzera controllata da Cefis a finan ziare la nascita del Giornale nuovo, anticipando due anni di «minimo garantito» sulla pubblicità futura. Il libro ora fa luce sulla genesi di quel rapporto. In una lettera del 1965, Montanelli chiede un primo incontro riservato a Cefis, ri cordando i suoi precedenti attacchi a Mattei. Il giornalista si «impegna» con Cefis «a non sollecitare altre fonti d’in formazione» e «a sottoporre alla sua approvazione e revi sione i miei articoli prima che siano pubblicati». Nei tre servizi per il Corriere, Montanelli non dichiara la sua unica fonte e non virgoletta neppure una parola di Cefis.

23 ottobre 2022 81 Prima Pagina Foto: A3 (2), D. Lees –GettyImages
82 23 ottobre 2022 Letteratura colloquio con Jonathan Franzen di Stefano Vastano Trump? Uno scherzo che sarebbe piaciuto agli hippie. Internet? L’apoteosi del consumismo. Dio? No, grazie. E l’ecologia, l’amore, la scrittura. Jonathan Franzen si racconta in un’intervista esclusiva Caos e così sia
Idee
Lo scrittore e saggista americano Jonathan Franzen

In “Crossroads”, il suo ultimo, mera viglioso romanzo pubblicato da Ei naudi, racconta i tormenti di una famiglia molto religiosa nei primi anni Set tanta. In un’America stravolta dalla guerra in Vietnam, e dalle proteste studentesche. « Erano anni di insofferenza per la tradizio ne», inizia a dire Jonathan Franzen, «ma an che anni in cui si credeva che l’amore potes se cambiare il mondo».

Cosa è rimasto di quelle spinte e convin zioni quasi religiose della sinistra? E qual è l’interpretazione che uno dei più grandi scrittori americani dà del «fenomeno Tru mp», come lo chiama lui, e della vittoria dei partiti di estrema destra nei parlamen ti di mezza Europa? A partire dalle vicen de del suo romanzo, in questa intervista esclusiva Franzen - che ci tiene a definirsi «un razionalista rigoroso» - ci parla del suo personalissimo rapporto con la reli gione. Della crisi ecologica che, oltre alla

stato per la maggior parte della mia vita». Da bambini però si crede nei miracoli. Lo ha fatto anche lei?

recrudescenza dei movimenti sovranisti, sta mettendo a repentaglio l’equilibrio della Terra. E del suo amore assoluto per la letteratura, «per quei romanzi che ci rac contano come un significato delle cose e della vita sia ancora possibile oltre il brut to spazio polarizzato di Internet».

Partiamo dalla religione. Lei crede in Dio, Franzen?

«No, non l’ho mai fatto. Come dice Perry in “Crossroads”, non ho mai ricevuto un se gnale dall’altro capo della linea. E presto, almeno da quando avevo 12 o 13 anni, ho letto molta scienza e non mi era chiaro cosa significasse la metafisica. Quindi no, sono un razionalista piuttosto rigoroso, e lo sono

«In effetti, ho un rapporto molto forte con i mondi magici. Soprattutto con i libri che parlano di animali che sono in grado di par lare, che possono pensare. Ho amato - non so se sono conosciuti in Italia - i libri del Dot tor Doolittle che aveva la capacità di parlare con gli animali, e quelli di parlare con lui. E poi i libri di Narnia...».

Dunque era disposto a credere al mondo così animistico dei fumetti?

«Certo, qualsiasi fumetto – come i Peanuts con Snoopy – avesse a che fare con animali che somigliavano a persone mi piaceva. E questo sì, in un certo senso, è magico. Ho passato ore a farli parlare tra di loro e ho cre ato voci diverse per loro. Credo ci fosse in me un amore innato per gli animali, che poi è stato sepolto per molti decenni e che è rie merso solo quando ho trovato la mia strada verso gli uccelli».

È appena stato in Germania per ricevere il Premio Thomas Mann. Alla domanda

84 23 ottobre 2022 Letteratura
Non c’è ordine nell’universo. L’intelligenza immagina l’infinito e cerca di dare un senso al mondo. Ma siamo solo animali, fatti di atomi, diretti alla fine

se credesse in Dio, il grande scrittore ri spondeva: “Non sono abbastanza musi cale”. “Crossroads” è un romanzo su ispi razione e crisi religiosa, ma perché ab biamo tanto bisogno di fede?

«Ebbene, mi rifaccio a “Desperate Cha racters”, e contrappongo a Thomas Mann Paula Fox. Fox scrive qualcosa come: “Sotto la pelle dell’esistenza ordinaria c’è solo il ca os”. Sì, se si scava a fondo, si trova solo un terribile caos. Da un lato c’è l’enorme intelli genza umana, la mente che immagina l’infi nito e può controllare il mondo in vari modi.

Ma dall’altra siamo solo animali fatti di ato mi e che presto saremo morti per sempre. Non c’è un ordine nell’universo, anche se l’intelligenza insiste su un qualche sistema per dare un senso al mondo. Ma poiché alla fine si basa sul caos non sarà necessaria mente un sistema razionale. Ecco, ogni si stema si rivela un insieme di credenze non dimostrabili».

Perché questa sua storia di una famiglia molto religiosa americana è ambientata proprio negli anni Settanta?

«Perché il personaggio a cui pensavo nel progetto originale ha settant’anni nel pre sente, e se si sottraggono 50 anni dall’anno 2022, ci si ritrova nel 1971-72. Il motivo per cui “Crossroads” è diventato un libro è che, una volta che ho attinto a quei ricordi degli anni Settanta, mi sono sentito così a casa in quel periodo che ho voluto rimanerci per un romanzo intero».

È l’epoca in cui l’America è travolta dalla guerra in Vietnam e dalle rivolte studen tesche, che poi arriveranno a Parigi e a Berlino. L’era in cui nasce quella cultura alternativa di sinistra oggi in crisi...

«Oggi è in crisi praticamente tutto. Ma si potrebbe anche sostenere, al contrario, che nei centri di potere culturale degli Sta ti Uniti, sono giorni buoni per i progressi sti. Incoraggiati nella discussione sul privi legio dei bianchi, nel dibattito sul colonia lismo, sui diritti delle donne, dal movi mento MeToo alla lotta per il diritto all’aborto. Quindi, credo sia più corretto dire che la politica progressista è più in cri si in Europa. Quello che abbiamo negli Sta ti Uniti è il caos, certo, ma non formiamo governi come in Italia o Svezia».

Ha appena concluso un lungo giro in Europa e respirato l’atmosfera dei mo vimenti sovranisti e il rigurgito dei par titi di estrema destra. Cosa l’ha sorpre sa di più?

«Tutti questi movimenti nazionalisti sono alimentati dal risentimento verso l’élite libe rale e il suo globalismo e, in Europa, dal suo allineamento con l’Ue. Sì, penso che gran parte del risentimento che guida il trumpi smo e molti dei movimenti sovranisti in Eu ropa sia un risentimento verso una cosid detta élite liberale istruita».

È solo una coincidenza se la scena del ro manzo sia nel Midwest, regione in cui il trumpismo è forte?

«Se riuscirò a scrivere altri due romanzi do po “Crossroads”, questo diventerà un fatto molto importante. “Crossroads” è un sob borgo abbastanza ricco di Chicago. Il prota gonista Russ e la sua famiglia non hanno

23 ottobre 2022 85 Idee Foto pagine 80-81: W. Wintermeyer –Redux / Contrasto, pagine 82-83: A. Barboza –GettyImages
Manifestazione contro la guerra in Vietnam, New York, anni Sessanta

soldi, ma la città evidentemente sì. Han no case grandi e impianti stereo costosi. Ma non è una vera e propria roccaforte del tru mpismo, che è più legato alla classe operaia, alle persone in difficoltà, e ha il suo vero nu cleo nelle aree rurali, nei piccoli centri lonta ni dalle grandi città».

Già, ma Trump ha i numeri per tornare al potere e crede che il suo mantra ideologi co, quel suo “M.A.G.A” possa funzionare ancora oggi?

«Sarà improbabile che diventi di nuovo presidente. Ma non è impossibile. E non credo che quell’uomo abbia un briciolo di ideologia in corpo. È un artista, un intratte nitore. È come se non riuscissimo più a di stinguere tra gli intrattenitori e le persone realmente qualificate per il loro lavoro.

Trump ha la capacità di entrare in contatto con le vittime. O con il vittimismo delle per sone. E credo che molti americani bianchi meno istruiti si sentano vittimizzati, a torto o a ragione».

Siamo alla politica del vittimismo diffuso, lei dice. E in questo senso il personag gio di Trump ricorda molto Donald Duck, no, per tornare ai fumetti?

«C’è una bella frase sempre nel romanzo di Fox “Desperate Characters”, ambientato nel 1968. In una scena passiamo davanti a un cartellone pubblicitario per George Wallace, il governatore razzista dell’Alaba ma che si candidava alle presidenziali, e il commento della Fox è: “La patologia chia ma alla patologia”. È esattamente ciò che Trump ha saputo fare. Ha i suoi risentimen ti, il suo senso di vittimismo ed è un genio nel dividere le persone in gruppi, uno dei quali può controllare totalmente. Si tratta insomma di suscitare rabbia e di svegliare un senso di attaccamento in lui, percepito come salvatore. Per questo penso che sia un intrattenitore di talento».

Se Trump è un genio nel parlare agli istinti della gente, Berlusconi, l’invento re di questa forma di populismo, è il suo maestro?

«Non ho mai pensato che fosse il modello originale per la presidenza di Trump. Cer tamente l’Italia è riuscita prima dell’Ame rica ad eleggere presidente un uomo d’af fari semicriminale. E Berlusconi era per certi versi ridicolo, proprio come lo è Tru mp. C’è l’abbronzatura di Berlusconi e ci sono i capelli arancione di Trump, ma so

Sopra: un gruppo di giovani hippie davanti a University Hill, a Boulder, maggio 1970. A destra, l’ex presidente Donald Trump parla ai sostenitori durante una manifestazione in Wisconsin, nell’agosto scorso

no grossolane somiglianze. Credo che Ber lusconi sia stato un uomo d’affari di suc cesso più legittimo di Trump - Trump è sempre stato una frode. La differenza è che Berlusconi non ha cercato di distrug gere la democrazia italiana. Sì, ha puntato al controllo dei media, e questo è simile a ciò che Orbán sta facendo oggi in Unghe ria. Ma non ti fa disperare come le bugie di Trump. Insomma, bisogna risalire a uno come Hitler per trovare qualcuno al pote re che menta così volentieri come Trump. In lui c’è la grottesca irresponsabilità, il completo disprezzo per i fatti e le leggi. Sì, temo che ricordi la Germania dei primi anni Trenta».

Nel frattempo in Italia i post-fascisti sono tornati al potere. Pensa che i movimenti sovranisti possano arrivare al potere in tutta Europa e persino negli Usa?

«Non credo che ci sia un percorso chiaro verso il fascismo negli Stati Uniti. Perché il Paese è così grande e diverso. Vivo qui in Ca lifornia, una delle più grandi economie del mondo e un baluardo contro il fascismo.

Non vedo una deriva verso un sistema come quello della Cina o della Russia semplice mente per il modo in cui siamo strutturati, con stati davvero grandi e importanti, come

86 23 ottobre 2022 Letteratura

New York e la California, che non vogliono avere nulla a che fare con questo fascismo. InEuropaètuttopiùdifficileperchéilnazio nalismo è forte, e il potere regionale molto menoimportante.Sì,perl’Europapensoche ci sia il rischio che un Paese dopo l’altro inse di governi simili a quello di Orbán e questo è preoccupante».

Ricorda come ha reagito quando ha visto in televisione, lo scorso 6 gennaio, le im magini di quei “desperados” che, a Wa shington, assaltavano la “White House”?

«Allo stesso modo in cui ho reagito all’11 settembre: era orribile quel che vedevo in tv! Eppure, la tendenza, comprensibile, di una rete liberale come Cnn a etichettare il fatto come una sommossa, come un “tra dimento”, un tentativo di rovesciare il go verno, era in qualche modo in contrasto con quanto questa folla fosse in definitiva patetica».

È stato un vero e proprio shock… «Sì, alcune persone sono morte, ma si è trat tato di una sommossa. Istigata dal Presiden te. La cosa spaventosa non è stata la rivolta in sé, quanto il fatto che sia stata istigata da un presidente che vive in un mondo di fanta sia in cui lui non aveva perso le elezioni».

Ma la deriva autoritaria con Orbán, Le

Pen, Meloni, Trump, non esprime proprio il rifiuto di quella cultura alternativa della sinistra degli anni Settanta di cui parla nel romanzo?

«Credo che sia più complicato. Certo: ap plausi per le emancipazioni degli anni Ses santa. Ma se si pensa al fenomeno Trump, una star dei reality televisivi eletta presi dente, questo era il tipo di scherzo che sa rebbe piaciuto agli hippie. L’insofferenza nei confronti delle strutture tradizionali si può dire che affondi le sue radici nella ri bellione giovanile degli anni Sessanta. Qualcosa è stato scosso e non si è più ri composto. Da tempo sostengo che - forse senza volerlo - la ribellione degli anni Ses santa sia servita a promuovere la causa del consumismo. E che Internet, e in partico lare i social media, sono l’apoteosi di que sta cultura consumistica. La premessa è che ora tutti, in quanto consumatori, pos sano scegliersi “i fatti”. Ecco, penso che questa demolizione delle strutture episte mologiche di base sia stata parte di ciò che si è allentato negli anni Sessanta».

È partito applaudendo la cultura alter nativa degli anni Settanta: mi dica allora quali erano i lati positivi.

«La straziante innocenza e sincerità, la con vinzione che l’amore potesse davvero cam biare il mondo, questa è la parte che mi è ri masta impressa. E mi ha davvero cambiato. Credo che l’amore e la gentilezza abbiano qualcosa di trascendente. Credo che esista una cosa come la bontà, a cui tutti noi ri spondiamo istintivamente, e che in qualche modo ci fa sentire come qualcosa di eterno.

Potremmo associarla a un dio, e in questo senso forse sono un po’ credente, perché cre do che la bontà esista».

Questa è la sua privata religione...

«Al centro del libro “Vita e destino” di Vasi lij Grossman c’è un sermone sulla gentilez za. La gentilezza come l’unica cosa che non si può spiegare del mondo: come mai le

23 ottobre 2022 87 Idee Foto: Denver Post –GettyImages, S. Olson –GettyImages
In politica è come se non riuscissimo più a distinguere tra intrattenitori e irresponsabili e gente qualificata per il proprio lavoro

persone sono gentili tra loro, quando non devono esserlo? Ed è molto commo vente. È un romanzo scritto in un’epoca an cora peggiore della nostra, quando c’erano due poteri, uno di Stalin e l’altro di Hitler, entrambi orribili. Eppure c’erano persone che cercavano solo di essere gentili l’una con l’altra, bloccate in mezzo. È un po’ come ci si sente oggi, anche se non stiamo ancora assistendo a qualcosa di simile alla Secon da Guerra Mondiale». Nel saggio “E se smettessimo di fingere?” suggerisce di concentrarsi su problemi ecologici concreti e di smetterla di illu dersi di poter salvare il pianeta intero... «Immagino che non vorremmo trovarci nel la posizione di aver riposto tutte le speranze nell’evitare che la temperatura media globa le aumenti di oltre 2 gradi in questo secolo. Sarebbe molto stupido investirvi le nostre speranze, perché ciò non accadrà. Se vi sie te messi in una posizione in cui o disperate o vi aggrappate a una speranza totalmente irrealistica, è meglio la terza via, e cioè pro vare con cose che realisticamente potreb bero essere migliorate. La mia preoccupa zione, nel breve saggio a cui si riferisce, non era tanto la speranza, quanto il senso della vita. Cercavo di ricordare alle persone che se si accetta la verità sul clima, ci si trova di fronte a tutto un mondo di cose che hanno bisogno di aiuto. Non solo gli ecosistemi na turali, i luoghi soggetti a inondazioni o a in cendi boschivi, ma anche i sistemi di gover no, la legge e l’ordine».

In questo mondo così complicato, e in crisi, si può credere alla capacità della letteratura di cambiare le idee e i com portamenti della gente?

«La metafora per me è che io scrivo per gli amici. Anche se non incontrerò mai quelle persone, la mia è una scrittura per amici. E di solito non entri in un’interazione con un amico pensando: “Cambierò quella perso na”. Di certo, non cercherò di cambiarla dal punto di vista politico. Fondamentalmente, amo quella persona, chiunque essa sia. E credo che l’amore non voglia cambiare il suo oggetto, ma accettarlo e stimarlo».

Il messaggio di fondo di “Crossroads” è proprio l’amore. La quintessenza della letteratura è la capacità di amare?

«Sì. Non posso farne a meno, come scrittore. Devo amare i personaggi e cerco di amarli incondizionatamente. È questo che mi è

sembrato il più grande passo avanti in “Cros sroads“. Sentivo di essere riuscito a eliminare la presa in giro dei personaggi e di presentar li nel modo in cui vorrebbero essere visti. Siamo consapevoli dei nostri difetti, ma tro viamo sempre un modo per amarci. Credo che sia un’espansione dell’idea di Flaubert secondo la quale lo scrittore dovrebbe essere come Dio, ovunque e da nessuna parte in un romanzo. Ma Flaubert, scrittore piuttosto freddo, ha trascurato di aggiungere che Dio ama le sue creature. Quindi l’onniscienza è importante, l’invisibilità anche, ma certa mente anche l’amore».

Nel XXI Secolo, nell’era digitale e globale, il romanzo non ha perso senso?

«Il romanzo è ancora più importante in un’epoca come questa. Non scrivo per chi passa il giorno sui social media, ma per le persone che si sentono estranee allo spazio così brutto di Internet, così polarizzato, ar rabbiato. Prendere in mano un libro è stabi lirsi in un mondo in cui le cose sono più sot tili. Sì, sono alla ricerca di un libro che mi ri cordi cosa significa essere umani. Quindi non credo che sia già troppo tardi, ma che i buoni romanzi siano ciò di cui abbiamo più bisogno in questo momento».

88 23 ottobre 2022 Idee Foto: B. Stirton –GettyImages Letteratura
Jacob Anthony Angeli Chansley, noto come lo Sciamano di Qanon, che ha guidato l’assalto al Congresso americano

verso l’impossibile

90 23 ottobre 2022 Edipo Teatro

Eugenio Barba dall’Archivio dell’Odin Teatret, un momento di prove con “Theatrum Mundi” a Bologna, nel 1990

Ha un che di leggendario: il sorriso aperto, lo sguardo tagliente, un’eterna ener gia che continua a trasmet tere in tutto il mondo. Eu genio Barba, ottantacin que anni appena compiuti, è un giovanotto instancabile. Maestro di teatro, fece una pacifica e bellissima rivoluzione a metà an ni Settanta, creando il “Terzo Teatro”, che si distingueva dalla scena mainstream e da quella di ricerca: «Era una generazione, la nostra, spesso confusa, che chiamai del “Terzo Teatro”. Era una sorta di “terzo mon do”, senza soldi, e con le ambizioni di af frontare il rigore, la disciplina, lo studio». Lui sa bene le difficoltà degli inizi. È stato emigrante: partito dal Salento, ha fatto molti mestieri, prima di scegliere il teatro.

«Avevamo ancora il ricordo della guerra mondiale, della fame, del grigiore dell’Ita lia: sono riferimenti naturalmente persi og gi. Invece, per ognuno di noi, come anche per Jerzy Grotowski, il teatro era un “rifu gio”, un modo indiretto di perseguire alcu ne necessità. Per lui significava andare, con la sua ricerca spirituale, oltre il regime po lacco; per il Living Theatre era tentare un modo di vivere totalmente anarchico. Per me significava superare il mio essere mi grante. Ho fatto tanti lavori, e cercavo una “maschera” che mi proteggesse dagli insulti razzisti, dal sentirmi dire “sporco italiano”, o addirittura “fascista”, dal momento che la memoria del fascismo era ancora presente. La maschera, allora, era quella dell’artista: in teatro potevo mantenere una certa liber tà. Era una necessità personale».

Ha fondato il suo Odin Teatret a metà de gli anni Sessanta: il gruppo formato da giovani e giovanissimi rifiutati dalle accade mie trovò casa in una vecchia stalla di Hol stebro, in Danimarca, che tutti assieme ri

strutturarono con entusiasmo. E Barba, da quel luogo diventato mitico, ha rinnovato radicalmente il linguaggio della scena, fo calizzando sempre più l’attenzione sull’ar te dell’attore, tra Oriente e Occidente, e sulle dinamiche del gruppo, unendo sem pre teoria e pratica.

Era il 1980 quando usò per la prima vol ta l’espressione “antropologia teatrale”: definiva così lo «studio del comportamen to dell’essere umano in una situazione di rappresentazione organizzata». Una disci plina – che influenzerà moltissimo, tanto da ravvivarli, gli studi di teatro in Italia –che abbraccia i principi tecnici dell’arte dell’attore/danzatore in una «dimensione transculturale. L’obiettivo di questa scelta metodologica derivava da un approccio empirico e mirava a una comprensione dei principi fondamentali che generano la “presenza scenica” dell’attore/danzatore e i suoi effetti sulla percezione di chi osser va», spiega.

Con il suo gruppo, Barba ha scavato a fondo questi temi, chiamando in causa pas sato e presente del teatro internazionale: «Esiste nel teatro una tradizione dell’im possibile. La conferma ne è la vita di Eleo nora Duse, Sarah Bernhardt, Isadora Dun can, Konstantin Stanislavskij, Ellen Terry, Gordon Craig, Vsevolod Meyerhold, Helena Modrzejewska, Adolphe Appia, María Guerrero, Antonin Artaud e Bertolt Brecht. Tutti questi artisti seppero immaginare e a volte realizzare un teatro considerato im possibile dai loro contemporanei. Oggi ci appaiono come pionieri che trascesero l’o rizzonte del teatro, dando un’altra dimen sione alla nostra professione sorta come intrattenimento».

E questa tradizione si riverberava negli storici allestimenti, solo per citarne alcuni: al primo, “Ornitofilene” del 1965, a Fe

23 ottobre 2022 91 Idee
Gli inizi durissimi, la fatica di essere migrante. E poi Grotowski, l’Odin Teatret, la rivoluzione compiuta sul linguaggio scenico. È il maestro Eugenio Barba, 85 anni di passione inesauribile

Teatro

rai, del 1969, all’incredibile “Come and the day will be ours”, del 1976; a “Le ceneri di Brecht”, del 1982, fino ad arrivare ai più recenti, come “Talabot”, del 1988, o “Kao smos”, dell’83, e ancora “Andersen’s Dre am”, del 2004 o il nuovissimo “Tebe al tem po della febbre gialla”, presentato al Teatro Vascello di Roma, nell’ambito di un artico lato progetto e annunciato come l’ultima regia di Barba. «Eccomi ancora una volta – ha spiegato – a spogliare gli attori di quello che sanno, renderli indifesi, e così imporre a me stesso di denudarmi di ogni conoscenza… Dopo aver realizzato 79 spettacoli, sembra superfluo farne ancora uno. Invece mi muovo verso Edipo, il pelle grino cieco che mi tende la mano. Insieme ai miei attori avanzo nel buio. Gli attori ri conoscono i personaggi solo dopo che li hanno creati. Il regista sfiora l’essenziale solo dopo che l’ha finito. Bisogna smettere prima di aver detto tutto».

E in scena ci sono loro, i compagni di sempre: Kai Bredholt, Roberta Carreri, Iben Nagel Rasmussen, Julia Varley, Do nald Kitt. A vederli, viene da pensare a quante avventure abbiano passato: gli ar resti sotto la dittatura cilena; i continui viaggi in tutto il mondo; la pratica umile e poetica del “baratto” con le comunità che incontravano; lo struggente viaggio nel Salento del 1974 – documentato da un bel

Da sinistra, in senso orario: due momenti dello spettacolo “Tebe ai tempi della febbre gialla”; 58° Parallelo di Eugenio Barba, con Lorenzo Gleijeses e Julia Varley; dagli Archivi dell’Odin Teatret, l’International School of Theatre Anthropology, Polonia 2005

lissimo film di Ludovica Ripa di Meana –quando quell’Italia contadina era scossa non solo dalla strategia della tensione ma dalla “civilizzazione” borghese e capitali sta denunciata da Pasolini. Accanto alla pratica scenica, resta sempre viva la voca zione pedagogica, fatta di tanti workshop, in cui si riflette sulla filosofia del teatro, e si continuano a investigare metodi di lavo ro e di training.

Oggi, dopo aver salutato compagni di ven tura chiamati ad altra vita nel corso del tem po, Eugenio Barba e l’Odin Teatret hanno dovuto lasciare la storica sede: l’hanno fatto con entusiasmo e l’orgoglio di bambini pron ti a un nuovo viaggio. Con Julia Varley, stori ca componente dell’Odin, Barba ha dato vita a una Fondazione che porta il loro nome, e che si fa carico di mantenere viva questa me moria, e questa sapienza, lunga oltre mezzo secolo. Ed è un “ritorno in patria”, in quella Puglia che ha dato nuova casa alla Fonda zione, dopo la storica sede di Holstebro.

92 23 ottobre 2022 Foto pagine 90-91 per gentile concessione di: Fiora Bamporad

Foto per gentile concessione di: R. Skeel (2), F. Galli, T. Le Pera

A partire dal 13 ottobre 2022, la Bibliote ca Bernardini di Lecce, accoglierà nei suoi spazi il “Living Archive Floating Islands” (Archivio Vivente Isole Galleggianti) che in quadra il lungo percorso dell’Odin Teatret come teatro-laboratorio, e la memoria del le diverse realtà delle Isole galleggianti, no me che Barba aveva poi dato al Terzo Tea tro, alla cultura dei gruppi che hanno se gnato la storia del teatro della seconda metà del Novecento fino ai giorni nostri.

«Sarà un archivio-mostra-installazione interattiva che non solo darà casa e possibi lità di studio a centinaia di materiali e re perti – libri, documenti, video, filmati, sce nografie, oggetti – ma sarà un’esperienza da attraversare e conoscere in modo reale. La scelta è di preservare e studiare le testi monianze del passato e un universo artisti co per reinventarlo», spiega.

È una bella novità, uno spazio interes sante non solo per gli studiosi di teatro, ma per tutte quelle nuove generazioni che

hanno conosciuto l’Odin solo attraverso i libri. «La durata è la forma di resistenza di un teatro», afferma Barba citando un al tro maestro, Jacques Copeau: «Per questo sono convinto dell’importanza di uno spazio di continuità culturale per le nuove generazioni. Questa proiezione della me moria non è concepita per imbalsamare un passato irripetibile, ma per “rimetterlo in scena” attraverso nuove forme e grazie a tecnologie che spingono i limiti della memoria dai confini del passato, al pre sente e al futuro».

La Fondazione Barba Varley (su Internet all’indirizzo www.fondazionebarbavarley. org) si rivolge alla cultura dei “senza nome” del teatro. Il suo obiettivo è «appoggiare fo colai di azione di soggetti svantaggiati per genere, etnia, geografia, età, modo di pen sare e agire dentro e fuori dal teatro. Il tea tro è politica con altri mezzi: quelli della Bellezza, della Vulnerabilità, dell’Ostina zione e del Rifiuto», spiegano i fondatori.

E certo una ariosa, affascinante, com movente pagina politica è stato, ed è an cora, il teatro dell’Odin. Perché quel mani polo di uomini e donne, capitanato da un condottiero caparbio e generoso è l’osti nato tentativo di difendere la poesia in questa Italia eternamente fascista. Ci pro viamo, anche noi che il teatro lo viviamo di riflesso, a far di tutto – ciascuno per quel che può – pur di tenere viva almeno l’idea di teatro come esperienza da fare assieme, di tutti e con tutti. Proviamo a non farci risucchiare dal vuoto, dalla chiu sura, dalla paura, dai nuovi populismi e dagli ottusi regimi.

Il gioco teatrale dell’Odin, così evane scente, così fragile nel suo essere imme diata percezione e condivisione, è l’unico modo per chi sta in scena di lasciare trac cia di sé.

Le opere: restano le opere, dicevano gli esistenzialisti. Restano gli spettacoli, i personaggi, gli incontri, i libri. Le persone svaniscono nel tempo, è naturale, ma la loro azione resta. Sul finale di Tebe, gli at tori e le attrici lasciano la scena danzando e cantando.

Eugenio Barba, allora, ci saluta con una domanda quanto mai aperta: «Che sa remmo noi senza la consapevolezza di quello che non esiste più?».

23 ottobre 2022 93 Idee
Come Eleonora Duse, Isadora Duncan, Konstantin Stanislavskij, Antonin Artaud, Bertolt Brecht: generazione di pionieri che ha dato allo spettacolo un altro senso

Violenza

Il patriarcato? Preistoria

Il femminicidio non è né solo un atto individuale, né solo un atto isolato che può essere ri dotto ad “anomalie” della ma scolinità: è un aggregato di violenza contro le donne che le colpisce dalla nascita alla morte e si ritrova in tutte le epoche e in tutti i continenti... Parola di Christelle Ta raud, storica e femminista, specializ zata in questioni di genere, che ha di retto sul tema un’opera monumentale di quasi mille pagine uscita in Francia per le edizioni La Découverte. “Fémin icides. Une histoire mondiale” si è av valsa di competenze congiunte (acca demica, militante, artistica, giornali stica) e di una coralità di voci, anche italiane, grazie alle quali è stato possi bile approfondire la questione in un arco cronologico molto lungo, dalla preistoria ai giorni nostri.

Abbiamo raggiunto l’autrice e Patri zia Romito, la studiosa italiana che ha scritto il capitolo dedicato a “Mascoli nismi e femminicidi”, dove mette in lu ce le relazioni tra il sessismo ordinario

invisibile, che potremmo definire be nevolo, e le situazioni di discriminazio ne più pesante che portano alla violen za e in alcuni casi al femminicidio. Professoressa Taraud, qual era l’o biettivo del vostro studio?

C. T.: «Far luce sul sistema di domina zione fino all’eliminazione fisica delle donne al centro della macchina fem minicida. Un sistema antico quanto l’umanità stessa e che investe tutti gli ambiti della vita: dagli aspetti più fisi ci a quelli più simbolici. Come affer mano, tra le altre, Patrizia Romito e Rita Laura Segato, è giunto il momen to di uscire dalla preistoria patriarcale dell’umanità e dalla dominazione ma schile che la fonda».

Qual è, a suo giudizio, l’elemento più interessante che è emerso?

C. T.: «Indubbiamente l’antichità del reato. L’archeologia e l’antropologia femministe fanno ormai risalire alme no al Neolitico la discriminazione delle donne, che è senza dubbio la prima nella storia dell’umanità, radice di tut te le altre. Anche se è molto complica

to, come spiega nel libro la paleontolo ga francese Claudine Cohen, trarre modelli interpretativi definitivi dalle tracce archeologiche, le cose sembra no giocarsi quando le società di caccia tori-raccoglitori, che erano endogame e prive del tabù dell’incesto, hanno do vuto attraversare tempi difficili. Di fronte a una crisi climatica o a una guerra di clan praticavano l’infantici dio, in particolare quello delle bambi ne. Solo che, superata la crisi, iniziava la lotta, meno per le risorse alimentari

94 23 ottobre 2022
sulle donne
colloquio con Christelle Taraud e Patrizia Romito di Fabiana Martini illustrazione di Francesca Gastone
Dominazioni. Discriminazioni. Storie di ordinario sessismo. Esce in Francia un’importante storia mondiale del femminicidio. Reato antico quanto l’umanità

che per le donne, che scarseggiavano e di cui questi gruppi avevano un biso gno cruciale per rinnovarsi e sviluppar si. Questo è ciò che ha dato origine all’esogamia, accompagnata dal tabù dell’incesto: le prime razzie effettuate al di fuori del gruppo avevano quindi spesso lo scopo principale di razziare donne e ragazze. Per questo la donna può essere considerata come “la prima colonia”: il suo corpo diventa un terri torio che l’uomo cerca di accaparrarsi per crescere. Lo illustrerà la leggenda

del ratto delle Sabine: i romani si im possessano degli “uteri su gambe” per popolare la terra che hanno appena conquistato».

Perché è così importante, al punto che avete scelto di riportarlo nel ti tolo, l’uso del termine femminici dio, che alcuni — almeno in Italia — continuano a contestare?

C. T.: «La genealogia intellettuale e po litica della parola femminicidio risale alla fine degli anni Settanta negli Stati Uniti. Il termine emerge nel duplice

contesto della ricerca femminista e del pensiero sui serial killer, che di solito sono assassini di donne. La ricercatrice americana Diana Russell ha coniato la parola femminicidio per designare l’as sassinio di una donna perché donna, in un ambiente intimo, coniugale, priva to, da parte di un marito o ex marito, compagno o ex compagno. Un decen nio dopo, la riflessione rimbalza in Messico con la scoperta delle fosse co muni da cui vengono riesumati i corpi di moltissime donne. La ricercatrice messicana Marcela Lagarde de los Rios propone poi il termine femminicidio per qualificare omicidi che non hanno più solo carattere individuale e privato, ma coinvolgono una dimensione poli tica, collettiva e una responsabilità sta tale. Oggi, nel linguaggio comune, si usa spesso il termine femminicidio al posto della parola “femicidio”. Possia mo discutere, cavillare, dire che dob biamo cambiare il termine, ma mi sem bra che se la parola si è imposta è per ché parla meglio alle persone. La cosa principale per me è che mette in luce la violenza che è diretta contro le donne, sia individuali che collettive, mettendo gli Stati di fronte alle loro responsabili tà, sia storiche che contemporanee». Cos’è che impedisce di affrontare in maniera sistemica e non emergen ziale questo fenomeno? Indubbia mente si possono individuare diver si gradi di violenza, che compongo no il continuum che porta al femmi nicidio: forse il problema sta nel non dare abbastanza importanza e nel non investire sufficienti atten zioni all’inizio della storia?

«Se il femminicidio è stato preso in considerazione così tardi nelle nostre società europee e occidentali, è perché infrange la mitologia dell’uguaglianza di genere su cui molti dei nostri Paesi sono stati ricostruiti dagli anni Settan ta in particolare. Sebbene essenziale, come mostra l’esempio spagnolo, la politica repressiva da sola non risol verà il problema, perché l’omicidio in dividuale è sempre il prodotto di un omicidio collettivo: cioè il fatto di ucci dere una donna perché è donna è “pre parato” da tutta una serie di atti

23 ottobre 2022 95
Idee

Violenza

contro le donne che, anche se non da mettere sullo stesso piano, parteci pano tutti alla stessa violenza. Questo è ciò che io chiamo il continuum femmi nicida. L’unico modo per risolvere que sti crimini è affrontare la realtà poli morfica del continuum femminicida (molestie sessuali, cultura dello stupro, incesto, prostituzione coatta, lesbofo bia, transfobia, matrimoni precoci e forzati, divieto di aborti, feticidi e in fanticidi di massa delle bambine... l’e lenco è molto lungo purtroppo). Senza questo verranno messe in atto solo mezze misure, con effetti limitati nel tempo e nello spazio. Il crimine è tota le, la consapevolezza dev’esserlo così come la risposta. Questo è uno degli obiettivi del libro: combattere». Professoressa Romito, come vede la situazione italiana in questo mo mento? I numeri della violenza non accennano a diminuire.

P. R.: «Ci sono tanti pezzetti della so cietà italiana che si muovono, ad esem pio i corsi universitari sulla violenza contro le donne sono frequentatissimi da ragazzi e ragazze che vogliono capi re e attivarsi, ma il punto è che queste occasioni dovrebbero essere istituzio nalizzate, non dipendere dalla sensibi lità dei singoli: una chiave per affronta re il fenomeno è una formazione seria e non episodica, come previsto dalla Convenzione di Istanbul. Tuttavia, ciò che mi inquieta profondamente è constatare l’adattabilità della violenza patriarcale al tempo e allo spazio: penso al revenge porn e al body sha ming che passano attraverso i social media e che dimostrano che c’è una reazione al cambiamento molto forte. Ma penso anche a quanto spesso in Italia accade che giovani uomini si uc cidano tra loro, perché uno dei due ha guardato la donna dell’altro, evidente mente considerata un oggetto che si conquista e si possiede». In che modo quest’opera può con tribuire anche in Italia a istituire un approccio nuovo nei confronti di questo fenomeno?

P. R.: «La prima domanda da porsi è se ci sono in Italia case editrici in grado di raccogliere questa sfida. Lo spazio cul

turale e politico che le istanze femmi niste hanno in Francia è molto più am pio che in Italia: basti pensare al Me Too, che in Italia non è praticamente esistito, mentre in Francia ha avuto delle conseguenze, che i responsabili delle violenze stanno pagando».

Il magistrato Fabio Roia ha detto: «Sette donne vittime di violenza su dieci non sanno di subire un reato. Dobbiamo aiutarle a capire che un uomocheagisceattraversoviolenza fisica, controllo e distruzione dell’autostima è un uomo violento.»

P. R.: «Riconoscere la violenza è fon damentale per non legittimarla. Il la voro preziosissimo e insostituibile dei Centri antiviolenza in parte consiste proprio in questo: nel favorire un per corso di consapevolezza, fondamen tale per ripartire e perché il reato non venga reiterato».

Professoressa Taraud, una doman

Qui sopra: Patrizia Romito. In alto: Christelle Taraud. A destra: manifestazione del collettivo #NousToutes, a Parigi

E la Spagna dice basta alla misoginia

di Elvira Seminara

Ciò che non è nominato non esiste. Lo ha detto Victoria Rosell, delegata del Governo spagnolo contro la violenza di genere, ed è il principio che ha mosso il Xll Congreso internacional dell’Audem, Asociacion universitaria de estudios de las mujeres, appena concluso nella Facoltà di Lettere a Oviedo, in Spagna, sul tema “La misoginia en la literatura, la cultura y la sociedad. Una mirada al pasado y retos para el futuro”. Centocinquanta relatrici in presenza (una decina i relatori) fra studiose e scrittrici, e una quarantina on line, per il convegno forse più ricco degli ultimi anni, per adesioni e per l’ampiezza di orizzonte, geografico e storico.

«Non si può combattere la misoginia oggi se non indaghiamo nel nostro passato», ha esordito Estela Gonzales de Sande, docente di Letteratura italiana, organizzatrice del convegno assieme alla sorella e collega Mercedes: «E cioè i modi e gli strumenti con cui si è espressa e diffusa nei secoli, creando modelli e categorie adottati anche passivamente da uomini e donne nella cultura e nella società». Tant’è. Dai Padri della Chiesa alle madri del pensiero no-binary,

96 23 ottobre 2022
sulle donne

dai canti medievali ai videogames, passando per i pamphlet e i trattati morali, dai martirologi (veri cataloghi della violenza sulle donne) ai riti funerari e alle fiction tv, in un percorso avvincente e tenebroso emerge la narrazione sulla donna (volontaria e involontaria) nei vari Paesi, e la misoginia furiosa o disfrazada (travestita), automatica o ideologica, razzista e coloniale, quella accademica e militante, in tempo di guerra e di pace, in fabbrica, in carcere o negli ospedali, durante i disastri naturali, dentro la mafia e nel settore marittimo, dai manuali di scuola a quelli diagnostici per il disturbo mentale. Tra povere e regnanti, contadine e celebrità. Dal “realismo isterico” al “disarmismo”, al “femminicidio romantico”. Non esistono parole innocenti. La lingua è intrisa di sessismo, ne siamo tanto imbevuti e sgocciolanti da averne perso la lucidità, ma sono tante, ovunque, in studio, le mujeres olvidadas, dimenticate, o peggio silenziate, autrici di testi rimossi o svalorizzati, da riconsegnare alla memoria. E non solo per allungare lo sguardo, ma per rifondare un linguaggio paritario ed equo, che le studiose spagnole con giusto orgoglio

da per concludere: che ruolo potrebberogiocaregliuomini?

C. T.: «Molti uomini condividono il progetto politico di abbandonare il pa triarcato. Il lavoro che dobbiamo svol gere è duplice. La “sorellanza rafforza ta”, che la scrittrice maliana Aminata Traoré auspica nella conclusione del libro, è essenziale. Una sorellanza oriz zontale ed egualitaria che costituisce una comunità di resistenza delle don ne su scala planetaria: è questa comu nità di resistenza, che unisce le donne da un capo all’altro del globo, che il li bro mette principalmente in evidenza. Ma la sorellanza può anche, in un se condo momento, fare spazio agli uomi ni di buona volontà, e sono tanti, se accettano di rinunciare ai privilegi ma schili e si impegnano nella costruzione di un mondo che faccia spazio alla no stra comune umanità».

rivendicano come prioritario, non solo negli atti normativi di ministeri e istituzioni, ma anche per l’amplissima produzione di testi, negli ultimi quindici anni - a cura di ministeri, università, centri di ricerca, sindacati e associazioni - sull’uso non sessista del linguaggio.

È l’Italia, ahinoi, il Paese più attardato, anche sul fronte degli interventi legislativi, riguardo all’uso non discriminante del linguaggio. Il provvidenziale testo di Alma Sabatini, “Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana”, pubblicato nel 1986 per la Commissione nazionale per la parità e pari opportunità, è stato ignorato sino a ieri non solo dai media ma dalle stesse istituzioni che lo avevano commissionato.

Non solo palabras, dicevamo - scambiate, scadute e da reinventare. L’assemblea dell’Audem, a fine convegno, ha definito il suo piano attivo di osservatorio permanente tra le associazioni femminili e la ricerca delle allieve.

Sulla fiancata del bus che prendiamo al volo c’è scritto Stop alla violenza sulle donne. Scritte analoghe, in colori forti e vitali, campeggiano sui pannelli in strada. Mentre il campus universitario si allontana, e scompare tra gli alberi, Estela racconta che per loro non è mai esistita la scrittrice. C’è sempre stata la scrittora. Persiste ancora la poetisa, strisciante e canzonatoria, ma la parola, per tutte, è poeta.

23 ottobre 2022 97 Idee
Il corpo femminile può essere considerato la prima colonia della storia: il territorio che l’uomo ha sempre cercato di accaparrarsi per crescere
A.C. PoujoulatAfp / GettyImages, A. CarconiAnsa, J. De RosaAfp / GettyImages

Il futuro del vino

Il cuore in bottiglia

Vendemmia anticipata, siccità prolungata, al luvioni catastrofiche.

Il disastro nelle Mar che dimostra ancora una volta che l’emer genza climatica ha superato il livello di guardia, con conseguenze deva stanti per l’agricoltura. I produttori e i professionisti del mondo del vino cor rono ai ripari, si reinventano, si adat tano alle nuove condizioni attraverso l’uso di strumenti tecnologici, cerca no parole e tecniche nuove per sensi bilizzare clienti e appassionati. La sostenibilità ambientale diventa una priorità, non uno slogan vuoto per ri farsi il trucco e tirare a campare. «Sia mo convinti che la generazione pre sente debba soddisfare i suoi bisogni senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri», riflette Roberto Paladin, ti tolare insieme al fratello Carlo di Ca sa Paladin, l’azienda di Annone Vene to fondata dal padre Valentino ses sant’anni fa, con vigneti sparsi per l’I talia e marchi tra cui Bosco del Merlo

Degustazioni, talk di esperti, meditazione. A Parma un evento dedicato a sommelier, professionisti della ristorazione, wine lovers. Al bando i tecnicismi, al centro le emozioni

di Emanuele Coen

tra Friuli e Veneto, Castello Bonomi in Franciacorta, Casa Lupo in Valpoli cella. «Crescita personale e crescita aziendale vanno di pari passo», ag giunge Paladin, che ha messo al cen tro della sua azienda la strategia delle 4V: rispettare la vite, proteggere il verde, produrre un vino sostenibile, tutelare la vita: «Rispetto a trent’anni fa l’uva si raccoglie in media un mese prima. È tutto più veloce, a comincia re dalle vendemmie, con differenze significative tra una zona microclima tica e l’altra».

Parteciperà anche il produttore ve neto alla terza edizione di Sommelier Coach Live, all’Auditorium Paganini

di Parma (28-30 ottobre), l’appunta mento annuale ideato da Enrico Maz za e Gennaro Buono che unisce il mondo della sommellerie e quello della costruzione della leadership. Tre giorni di emozioni, scambio di opinio ni e idee, laboratori, degustazioni gui date, talk di esperti. È un nuovo pro tocollo formativo alla base della ker messe, a cui sono attesi tra i 300 e i 400 partecipanti: imprenditori, formatori, innovatori, professionisti del settore della ristorazione, semplici wine lo vers. «Non è solo il vino al centro del nostro incontro, ma tutto quello che gli gira intorno», sottolinea Buono, sommelier professionista, coach e

98 23 ottobre 2022

consulente per alberghi di lusso e ri storanti stellati: «Come vendere il vi no e presentarlo, come e quando par lare ai clienti. Insegniamo strategie di marketing, di comunicazione, tecni che di programmazione neurolingui stica». Inoltre, i fondatori di Scl hanno ideato un nuovo metodo di degusta zione, che abbina alle tecniche tradi zionali alcuni elementi inediti. «Sia mo partiti dalle discipline che si tro vano alla base del lavoro, del succes so, del life coaching e le abbiamo trasformate in un’esperienza di degu stazione, abbandonando i tecnicismi, che pure conosciamo bene perché ve niamo da quel mondo», aggiunge

Buono: «I codici tradizionali della sommellerie hanno sempre trascura to le emozioni. Nel mondo del vino, invece, convergono aspetti diversi: l’a nalisi sensoriale e gli aspetti emozio nali: la musica, i profumi, le esperien ze realmente vissute. Bisogna lasciare da parte i tecnicismi, parlare a un pro fano di concetti come “acidità apicale” e “criomacerazione” non fa altro che allontanarlo dal piacere».

Sarà, ma il mondo del vino ha i suoi dogmi, i suoi punti fermi basati su un approccio tradizionale. Come sono stati percepiti il Sommelier Coach Li ve e i suoi metodi da parte degli ad detti ai lavori? «Non voglio peccare di presunzione ma come tutti gli inno vatori, piccoli e grandi, all’inizio sia mo stati accolti con scetticismo, ci consideravano due folli, due visiona ri, anche se i nostri titoli ci hanno aiutato ad afferma re la nostra credibilità», dice Mazza, anche lui sommelier, esperto di marketing, di Champagne e maestro sciabolatore: «Poi lo scetticismo ha ce duto il passo alla fiducia, in molti hanno cominciato a seguirci, alcuni a copiar ci». Ma cosa significa in terpretare il vino attraver so le emozioni? «Invitare i partecipanti a chiudere gli occhi e fare una visualizza zione: “Dove pensate di es sere?”, chiediamo. Non si tratta sem pre di emozioni positive, a volte sono negative. Durante la degustazione di un vino piemontese, un Nebbiolo del le Langhe ad esempio, prevalgono tri stezza, nostalgia, meditazione, rifles sione. Magari in altri casi vengono in mente il mare o le montagne inneva te. Spesso la degustazione viene ac compagnata dalla musica».

Alcuni dei partecipanti agli eventi live nel corso del tempo sono entrati come coach nella squadra di Buono e Mazza. È il caso di Luca Longato, 29 anni, cresciuto a Primo Vercellese in una famiglia di ristoratori. Due anni fa ha partecipato alla prima edizione

di Scl, ora per Sommelier Coach Live 2022 coordina il team di otto tutor che gestisce l’accoglienza e le degustazio ni. «Mi sono innamorato di questo mondo, è stata una rivincita persona le. Ora, per la prima volta, con il no stro protocollo formativo si unisce sommellerie e coaching. Non è pensa bile che un sommelier o chi si occupa di ristorazione non abbia competenze di comunicazione, programmazione neurolinguistica e crescita persona le», spiega Longato: «I sommelier de vono smettere di comunicare con lin guaggio tecnico con i clienti, che smettono di ascoltare, si sentono pic coli, inadeguati. L’obiettivo è creare leader, persone dotate di leadership nel lavoro e nella vita quotidiana», ag giunge. La nuova filosofia, inoltre, ha uno spiccato carattere inclusivo. Sa ranno ospiti a Parma, infatti, i ragazzi di Le Nuvole, associazione di volonta riato che si occupa del tempo libero di ragazzi diversamente abili, i quali hanno in progetto l’apertura di un ri storante interamente gestito da loro. La sostenibilità sociale dell’impresa, dunque, viene declinata in varie for me ed è uno dei temi che attraverse ranno l’evento a Parma. Ne è convinto Alessandro Natali, amministratore delegato della società che porta il suo nome, con sede a La Spezia, e control la anche Gruppo Italiano Vini, che ha in casa diversi marchi (tra gli altri Fontana Candida, Conti Serristori, Bolla). Anche Natali, che condivide in pieno la filosofia della manifestazio ne («Nel bicchiere non ci sono solo elementi gustativi e la chimica del terreno, ma anche la storia di un ter ritorio. Il vino è il Dna della terra», dice) parteciperà a Scl 2022: «Da sem pre, nella gestione dell’azienda penso al valore della vita e delle relazioni, non mi sono mai posto un obiettivo solo economico. La ricchezza non è altro che il premio per un buon lavo ro. Ai miei dipendenti offro sempre un contributo per le vacanze e alla fine di quest’anno, se i conti lo permettono, vorrei dare a tutti una mensilità in più per compensare l’inflazione».

23 ottobre 2022 99 Idee Foto: GettyImages
Un vitigno. Sotto: Enrico Mazza e Gennaro Buono

I segreti del

faraoneragazzino

Passato e presente di Angiola Codacci-Pisanelli

Fanno cent’anni a novem bre: è l’anniversario della scoperta della tomba di Tutankhamon, uno degli eventi più importanti nella storia della cultura del No vecento. Nel 1922, per la prima volta, gli archeologi hanno trovato la sepoltura di un Faraone che era sfuggita ai tom baroli dei millenni precedenti. Era la prima occasione di vedere un corredo sepolcrale intatto, di osservare quella raccolta unica di oggetti quotidiani e di opere d’arte, di provviste alimentari e di gioielli preziosissimi. E di esaminare le tracce dei riti dell’inumazione del Fara one: anche la ghirlanda di fiordalisi e foglie di olivo che forse era stata posata dalla giovane vedova sul sarcofago del marito, quei petali inariditi da millenni di calore ma conservati intatti dall’aria secca che commossero profondamente Howard Carter, l’archeologo inglese che firmò la scoperta. Tutto questo non è in nessun modo merito del “proprietario” della tomba: poteva essere uno qualun que dei Faraoni che si sono succeduti nei circa 3.000 anni di storia dell’Antico Egitto. Anzi: tutti abbiamo sentito smi nuire Tutankhamon. Tutti abbiamo sentito dire di lui che in fondo era un Faraone di serie B, che regnò per una decina d’anni, che compare in pochissi mi monumenti antichi. E che insomma non avrebbe lasciato alcuna traccia nella Storia se non avesse avuto la for

100 23 ottobre 2022
L’età del ferro, la fine delle piramidi, le radici dell’orgoglio black. In un saggio le coincidenze che fanno di Tutankhamon un antico Forrest Gump

Tutankhamon in due ritratti trovati nella tomba: un manichino di legno (sopra) e la maschera d’oro (in basso). A destra: la sua matrigna Nefertiti

tuna di essere l’unico regnante dell’An tico Egitto la cui tomba è stata ritrovata intatta. Un “Faraone ragazzino”, lo po tremmo definire: e speriamo che il let tore colga il richiamo affettuoso a Rosa rio Livatino, ucciso dalla mafia nel 1990, irriso da vivo come «giudice ra gazzino» e beatificato da Papa France sco nel 2021 come modello di un eroi smo che non fa rumore.

Anche il corredo funebre di Tutan khamon non doveva essere granché, ri spetto a quelli dei Faraoni “importanti”. Il tesoro del Faraone ragazzino ci abba glia, ma forse è soltanto perché è l’uni co che ci è arrivato intatto, e anche il solo che è conservato tutto insieme: un destino privilegiato rispetto a quello degli altri Faraoni, le cui poche reliquie sono sparse tra Europa e Stati Uniti. Per decenni il tesoro di Tutankhamon è sta to ammassato nelle vetrine di poche stanze – le più affollate – del vecchio,

polveroso, affascinante Museo Egizio del Cairo che si affaccia su piazza Tahrir: proprio lei, la “Piazza della Li bertà” che ha ispirato le manifestazioni della Primavera araba, la piazza del ter rore dove era diretto Giulio Regeni, quando fu rapito per essere torturato e ucciso, il 25 gennaio del 2016, quinto an niversario dell’inizio della rivoluzione. Ora quelle sale sono vuote. Il corredo funebre del Faraone ragazzino è desti nato a diventare il cuore dello sceno grafico Grand Egyptian Museum di Gi za, annunciato da una spettacolare pa rata di mummie nell’aprile del 2021. Nel video di presentazione del futuro mu seo, la parte del leone la fanno i restau ratori al lavoro sui reperti provenienti dalla tomba: carri e letti e tabernacoli di legno sapientemente ricoperto di la mine d’oro scintillante.

Abbiamo tante cose di Tutankha mon, e sappiamo così poco di lui. Le certezze riguardo alla sua biografia so no pochissime: quando salì al trono aveva al massimo 10 anni; morì che ne aveva compiuti a stento 18, nel 1323 a.C., e durante il suo breve Regno fu af fidato a un collegio di saggi guidato dal generale (e futuro Faraone) Horemheb. Si sposò presto con la sua sorellastra Ankhesenamon, di quattro o cinque anni più grande di lui; non lasciò eredi e morì per le conseguenze di una caduta, probabilmente un incidente di caccia, aggravate dalla malaria e da un difetto della circolazione del sangue. Tutto questo spiega l’empatia collettiva senza paragoni che circonda questo ragazzo che nella tomba portò con sé una cioc ca di capelli di sua nonna, una quantità di immagini che testimoniano l’amore per sua moglie e le mummie in miniatu ra delle loro due figlie morte in fasce. Dettagli come questi ce lo fanno sentire molto più vicino delle imprese grandio se che segnano i sessantasei anni del Regno record di Ramses II, o quelle de gli altri Faraoni che hanno fatto la Sto ria: Menes, che unificò l’Alto e il Basso Egitto in un unico potentissimo Paese, Cheope con la sua piramide o la volitiva Hatshepsut, prima donna che riuscì a

essere riconosciuta Faraone a tutti gli effetti.

Vero, certo. Ma Tutankhamon non è tutto qui. A guardare bene i millenni che ci separano dalla sua breve vita e i cento anni trascorsi dall’apertura della sua tomba, si scopre una specie di For rest Gump. Come il personaggio inven tato da Winston Groom e reso celebre dal film di Robert Zemeckis, che incon tra Elvis Presley e John Kennedy e in fluenza la pace nel mondo e il movi mento per i diritti civili, il Faraone ra gazzino ha avuto la fortuna di trovarsi a “vivere” una quantità di avvenimenti importanti. Lo possiamo immaginare, seduto come Forrest Gump sulla sua panchina, a una quantità di bivi del cammino dell’Umanità, dove la Storia ha scelto una strada invece che un’altra e il destino degli uomini è cambiato.

Sono eventi epocali come la prima affermazione del monoteismo e l’inizio dell’età del ferro, momenti fondamen tali per la società come l’imporsi di un certo canone di bellezza femminile o la riscoperta delle radici africane della cultura occidentale, o semplici colpi di fortuna: il più grande, sicuramente, è quello di aver schivato non solo i tom baroli dell’antichità, ma anche gli India na Jones dell’Ottocento e i trafficanti di reperti ancora attivissimi nel nostro XXI secolo. Come Forrest Gump, o co me il vecchio Qfwfq, il misterioso testi mone oculare della nascita dell’uni

23 ottobre 2022 101 Idee

Passato

verso che conduce il lettore attraver so “Le Cosmicomiche” di Italo Calvino, quando succedeva ognuno di questi eventi Tutankhamon, in qualche modo, “era lì”. Senza contare che con Forrest Gump il Faraone ragazzino condivide anche un’altra caratteristica: aveva un handicap. Se l’interpretazione di Tom Hanks nel film di Zemeckis è conside rata la prima, toccante rappresentazio ne di un personaggio con sindrome di Asperger, pochi sanno che Tutankha mon era zoppo. Tra i 5.398 oggetti del corredo funebre, Carter si trovò davanti centotrenta bastoni: di canna o di le gno, tagliati grossolanamente o deco rati con cura, rovinati dall’uso o tenuti solo per bellezza, come un gioiello in più da sfoggiare durante le cerimonie. Perché Tutankhamon poteva anche es sere l’uomo più potente dell’Antico Egitto, ma era pur sempre un ragazzo

La copertina del saggio “Tutankhamon” di Angiola CodacciPisanelli (Castelvecchi) in uscita il 28 ottobre; A destra, due collaboratori di Howard Carter, l’archeologo che scoprì la tomba del faraone

con un piede storto, che non era in gra do di camminare senza aiuto. I ritratti lo mostrano a volte appoggiato alla mo glie, a volte a qualche dignitario. Un bassorilievo ritrovato nei pressi della Sfinge, dove andava per dedicarsi alla caccia, il suo hobby preferito, ce lo mo stra sul carro con arco e frecce, ma se duto. In compagnia di Tutankhamon appoggiato al suo bastone, ripercorre remo rapidamente i momenti della Sto ria legati in qualche modo al suo nome. Sarà un viaggio nel tempo, nella religio ne, nella cultura, nell’estetica e nella politica non solo dell’Antico Egitto ma anche dei secoli seguenti. Un viaggio che può insegnarci molte cose impre vedibili sul mondo di oggi.

Realtà virtuale per egittomani

Come il nome di Leonardo da Vinci, anche quello di Tutankhamon nel titolo di una mostra è una garanzia di successo. Per questo, anche se i tesori originali non hanno più lasciato l’Egitto dopo il 2004, le mostre costruite intorno al personaggio fioriscono. E non potevano mancare in occasione del centenario della scoperta della tomba, avvenuta nel novembre del 1922. Inizia il 29 ottobre a Venezia in Palazzo Zaguri “Tutankhamon. 100 anni di misteri”, che accosta riproduzioni dei tesori del giovane faraone a mille reperti provenienti dal Museo archeologico di Firenze. Il cuore dell’esposizione è la possibilità di rivivere il momento della scoperta della tomba grazie a una ricostruzione in 3D da visitare con un visore virtuale. È alla seconda proroga (fino all’8 gennaio 2023) la tappa napoletana di “Tutankhamon. Viaggio verso l’eternità”, già vista a Torino: cento riproduzioni dei reperti più importanti

trovati nella tomba, realizzati al Cairo in collaborazione con il Ministero delle Antichità Egizie. Anche qui, a Castel dell’Ovo, riproduzioni in realtà virtuale, ma anche una sala dedicata alle tecniche di mummificazione. È una mostra permanente quella ospitata dall’Accademia d’Egitto a Roma: repliche dei tesori più importanti e un inquadramento storico della scoperta. Su una parete, un collage di riproduzioni degli articoli usciti in tutto il mondo. Allarga il campo il Mucem di Marsiglia con “Pharaons Superstars”, che accosta reperti egizi (come la stele conservata al Louvre in cui la figura di Tutankhamon è stata distrutta per una “damnatio memoriae”) e testimonianze di opere d’arte e di prodotti commerciali ispirati dall’egittomania: nata con le spedizioni di Napoleone ma amplificata proprio dalla scoperta del 1922. A.C.P.

102 23 ottobre 2022 Idee Foto: Hulton Archive / Getty Images, Tania / Contrasto; pag. 98-99: Tania / Contrasto, Getty Images (2)
e presente

Bookmarks/i

A‘pucundrìa – malinconia, struggimento per qualco sa di indefinibile – è moto dell’animo assai diffuso a Napoli. Vi si contrappone una tendenza giocosa, bambinesca cui i napoletani pure ricorrono, forse proprio per allontanare i dolori della ‘pucundrìa. Renato Cacciop poli soffriva dell’una e si difendeva con l’altra. Grande ma tematico, coltissimo e ribelle, sdrucito e geniale, vittima dell’alcol e della solitudine, sofferto e irrisolto, sapeva an che ridere e scherzare.

Non è il solo dettaglio sorprendente che rivela Lorenza Fo schini, ma ben riassume la chiave di questa affascinante indagine sulla vita e sulla morte di Caccioppoli – un colpo di pistola alla nuca: non alla tempia o in bocca, alla nuca! –e sulla città che in lui si identifica fino al mito. Foschini sceglie fin dal titolo – “L’attrito della vita” che con suma Caccioppoli – una via letteraria, non saggistica; evita ogni luogo comune; cancella leggende sul suo sangue russo e sulle sue gesta; foto dopo foto sfoglia l’album di famiglia (la mamma di Foschini era una Caccioppoli) e ci restituisce Renato nella sua interezza, specie privata: geniale nell’ana lisi matematica; dolcissimo al pianoforte; durissimo agli

Femminista, inclusiva, antirazzista, non binaria. Arriva la prima guida per graphic designer che, partendo dallo strapotere maschile e bianco, accoglie nella teoria e nella pratica del design nuovi punti di vista mediati dal femminismo, dagli studi di genere, da pagine critiche sulle questioni razziali. Un vademecum che illustra simboli, introduce caratteri e visioni più in grado di raccontare l’eterogeneità del mondo. Con testi di E. Lupton, F. Kafei, J. Tobias.

“EXTRA BOLD”

Autori vari (trad. Isabella Borrelli) Quinto Quarto, pp. 220, € 22

esami; affascinante con Gide, Croce, Moravia e con le don ne; finto barbone a Milano e mendicante nei vicoli di Napo li «per vivere la vita degli altri»; perseguitato dal fascismo che lo rinchiude in manicomio – dove lui suona Chopin ai pazienti – e isolato negli anni Cinquanta di Lauro e Gava. Di quella morte così aspra, Foschini non dà una sola lettu ra. Sì, l’amore perduto, la dannazione del matematico che si avvicina alla verità e al quale non resta che «una via di fuga» (Sciascia su Majorana), ma certo pesa la delusione comune a quella straordinaria pattuglia di intellettuali napoletani che dopo la guerra sogna che tutto cambi: non è un caso che Eduardo parli per primo all’amico Renato di quella commedia che ha in testa, “Napoli milionaria”… Delusi, molti di loro fuggiranno, Caccioppoli no. Ma pren derà atto che l’armonia inseguita nella matematica, nella musica, in città era «perduta» (La Capria). O forse irrag giungibile.

“L’ATTRITO DELLA VITA”

Lorenza Foschini

La nave di Teseo, pp. 191, € 20

In occasione dei cento anni dalla nascita di Kurt Vonnegut, arriva in libreria la storia di Billy Pilgrim in forma di graphic novel. Un classico moderno, amatissimo, sull’atrocità e sull’inutilità della guerra che manda a morire i bambini, testimonianza della prigionia dell’autore e del bombardamento di Dresda. Ryan North e Albert Monteys hanno adattato e illustrato il romanzo, esaltandone la prosa nuda e l’ironia per questa nuova, bella edizione.

“MATTATOIO N. 5”

Kurt Vonnegut con R. North e A. Monteys Bompiani, pp. 192, € 22

Un’avventura culturale strepitosa. Una scommessa improbabile vinta. E la storia di come genialità e passione abbiano la meglio sull’ottusità della burocrazia. Un giovane gallerista inglese decide di organizzare una mostra dedicata a Francis Bacon nella Mosca del 1986, in piena perestrojka. E ci riesce, a dispetto di ostacoli pratici e resistenze del Kgb. Consegnando a un pubblico sbalordito una rassegna qui ricostruita in documenti, foto, e i divertenti commenti dei visitatori.

“BACON A MOSCA”

James Birch (trad. Tiziana Lo Porto) Edizioni e/o, pp. 204, € 27

23 ottobre 2022 103
libri A CURA DI SABINA MINARDI
Foschini indaga, dall’album di famiglia, la vita di Renato Caccioppoli, matematico napoletano
FORMULE DELLA MALINCONIA DI BRUNO MANFELLOTTO

Canto e suono ma non ballo

La sua è una vita frenetica, come quella di molti at tori alla ricerca di un equilibrio fra lavoro e fa miglia. Il contesto in cui avviene questa intervista fotografa la volontà di conciliare un po’ tutto: Stefano Fresi, attore, musicista, doppiatore e anche papà, risponde alle domande dalla sua auto parcheggiata davanti la scuola di scherma frequen tata dal figlio. «Qui bisogna fare così, non si può perdere tempo, nell’attesa chiacchieriamo...». Il prossimo film è stato appena presentato alla Festa del Cinema di Roma nella sezione Alice nella città e arriverà nelle sale il 10 no vembre: “The Land of dreams”, primo lungometraggio di Nicola Abbatange lo. Per Fresi un ritorno al suo primo amore: la musica.

Come nasce questa passione? «Nasce per caso, a 5 anni. Un giorno ar rivarono a casa un cane e un gatto. Non potevo tenere entrambi e così deci demmo di regalare il cane di razza a un amico architetto. Lui per sdebitarsi mi regalò una tastiera. Iniziai a riprodurre i brani che ascoltavo. Mio padre si ac corse che ero bravo e mi iscrisse al cor so di pianoforte di Uccio Sanacore. A 17 anni conobbi a Tivoli, dove vivevo, Augusto Fornari, allievo di Gigi Proiet ti, che mi chiese di scrivere le musiche del suo spettacolo “Donne al Parla mento” di Aristofane. E così iniziai a seguire le prove in teatro. Rimasi rapi to.... Poi ho fondato un trio con mia so rella Emanuela e mio cognato Toni Fornari - fratello di Augusto - che si

L’antica passione

con

colloquio con Stefano

Fresi di Francesca De Sanctis

chiama Favete Linguis e abbiamo ini ziato a portare i nostri spettacoli musi cali in giro nei teatri. Ci esibiamo anco ra oggi (ndr: prossimo appuntamento è al Teatro Ambra Jovinelli, “Cetra una volta”, dall’11 al 22 gennaio)».

In teatro ha conosciuto Placido... «Recitavo nello spettacolo di Attilio Corsini “Tre moschettieri”. Michele Placido era venuto a vedere l’allora sco nosciuto Riccardo Scamarcio. A fine spettacolo venne in camerino e mi dis se: “Sta cosa che canti me piace...”. Poi mi chiese se avevo letto “Romanzo cri minale” di De Cataldo. Io gli dissi di sì e

che mi era molto piaciuto. Lui mi pro pose subito di fare “Il secco”: “Me lo im magino al piano bar”, disse. E mi chiese di fare un provino. Ma io non ho mai fatto il provino! Mi disse: “Pensa a due canzoni” e mi diede il copione. Mi ritro vai da un momento all’altro in mezzo ai mostri sacri del cinema. È stato il mio debutto nel mondo del cinema». Che poi è diventato la sua vita. «Sì, è vero. Pochi anni dopo ho recitato in “Nessuno mi può giudicare” di Mas similiano Bruno e sul set ho conosciuto attori e attrici che oggi sono degli ami ci, come Paola Cortellesi. Sul set posso no nascere anche amicizie profonde. Dopo il film “Noi e la Giulia” di Edoardo Leo abbiamo mantenuto il gruppo WhatsApp con tutti gli attori, da Anna Foglietta a Luca Argentero. Usiamo la chat come fossimo vecchi compagni di classe anche solo per dire “Aoh, ma ’na cenetta?”».

Come sceglie i suoi personaggi? «Innanzitutto scelgo, cosa che prima non potevo permettermi di fare. Non mi lascio condizionare dalla firma e neppure dai soldi. Ma qualche no è sta

104 23 ottobre 2022 Protagonisti
per il pianoforte, l’amicizia
Cortellesi e Argentero. E ora il musical “The Land of dreams”. L’attore romano si racconta

to difficile da dire. Nei personaggi cer co un canale in cui infilarmi, come è accaduto per “Sconnessi” di Christian Marazziti, per esempio, in cui interpre tavo un personaggio bipolare».

Con Walter Veltroni, invece, come andò?

«Ci siamo incontrati nei giorni in cui io stavo girando la fiction “Il nome della Rosa”. Interpretavo il deforme e non potevo togliere quelle lunghe un

ghie che cat turavano tanta sporcizia, erano veramente sporche. Ho pranzato con lui in quelle condizioni. Men tre mi raccontava del suo film, “C’è tempo”, mi disse: “Ho immaginato il viaggio a bordo di un Maggiolino cabriolet”. Io avevo appena fatto sistemare un vecchio Maggiolino cabriolet che ov viamente è diventato il Maggiolino del film. Non solo, poi parlando dell’inedi to di Lucio Dalla, da utilizzare nel film, è venuto fuori che anche lui ave

va un Maggiolino. Insomma strane coincidenze...».

Veniamo al musical in uscita. Abbia mo iniziato la nostra conversazione parlando della sua passione musi cale. Nel film di Abbatangelo, “The Land of dreams”, canta e suona. «Non solo canto e suono, ma ho ri schiato anche di ballare! Mi ha salvato il pianoforte a coda che era sul palco scenico, e per fortuna perché sono una frana nel balletto. Non conoscevo Ab batangelo, il regista. Quando ho letto la sua sceneggiatura però non ho avuto dubbi. Alla fine mi sono ritrovato con 120 persone in Bulgaria. Nel film interpreto la parte del pro prietario del locale Choo Choo Train, dove lavora co me lavapiatti la protagoni sta, Eva, giovane immigrata che un giorno incontra Armie e capisce che è ancora possibile so gnare. Il mio personaggio, Carl, è un eccentrico, esplosivo. Per quel ruolo mi hanno rasato la barba, un trauma, e mi hanno tinto i capelli di rosso, ma poi ché temevo che il colore non sarebbe andato più via ho fatto una tinta senza ammoniaca. In quei giorni in albergo a Sofia mi alzavo alle 7 di mattina e la sciavo il cuscino macchiato di rosso. La cameriera bulgara non parlava in glese e io non sapevo come spiegarle che non avevo ucciso nessuno. Con i capelli rossi, senza barba e un vestito verde lucido sembravo un avocado!». Altri progetti?

«Tanti... C’è il film di Luca Miniero, “Tutti a bordo”, che è già nelle sale. Poi “War-La guerra desiderata” di Gianni Zanasi, con Edoardo Leo, Miriam Leo ne, Giuseppe Battiston, storia della ter za guerra mondiale innescata da una lite in spiaggia. Io sono uno degli amici di Miriam Leone che le dà una mano a uscire dalla situazione. Poi è in arrivo su Rai 1 la fiction di Rolando Ravello “Vivere non è un gioco da ragazzi” con Lucia Mascino e Claudio Bisio».

Ci sono personaggi che le piacereb be interpretare?

«Si ce n’è uno: Ettore Majorana, la sua storia andrebbe ricordata».

23 ottobre 2022 105 Idee
Foto:
Anna
Camerlingo Stefano Fresi, 48 anni. Nell’altra pagina: una scena del film “The Land of dreams”

MAROCCO

I custodi delle oasi nell’ultima trincea contro il Sahara

Emblemi di biodiversità, minacciate dalla desertificazione, sono l’habitat di popolazioni che all’ombra delle palme hanno differenziato le colture

Vengo qui ogni volta che ho voglia di prendermi un mo mentolibero»,spiegaMoha med Laaziz, addentrandosi tra palmeti e piccoli appezzamenti col tivati. «Qui la natura è talmente bella che mi basta ascoltare il cinguettio de gli uccelli per essere felice».

Commerciante di datteri di 52 anni, Laaziz ha vissuto quasi tutta la sua vita a Tamegroute, un’oasi di 21.000 abitan ti che costeggia la valle del fiume Draa, nel Marocco meridionale. Quand’era bambino, i campi di Tamegroute erano ricolmi di frutteti, coltivazioni e palme da dattero, il principale prodotto agri colo delle oasi. «In autunno ogni fami glia ne raccoglieva più di una tonnella ta», racconta: «E a fine raccolto, ci ra dunavamo attorno al fuoco per ascol tare le storie delle nostre nonne».

Il giovane Laaziz trascorreva i pome riggi a nuotare con gli amici nelle fred de acque del Draa, che scendevano co piose dalle montagne dell’Atlante. Og gi, lo stesso fiume che per secoli ha portato la vita a Tamegroute è comple tamente secco e coperto di arbusti. «Ormai il Draa riceve acqua per non più di tre o quattro mesi l’anno. Quest’anno non ne è arrivata neanche unagoccia»,spiegaLaazizscoraggiato.

Buonapartediquellacheuntempoera un’oasi verdeggiante si è ormai trasfor mata in una distesa infinita di campi abbandonati e alberi morenti. «La sic cità dura da otto anni», continua. «È

molto triste, ma non mi si può andare contro il volere di Dio».

Le oasi ospitano a oggi più di 150 mi lioni di persone in tutto il mondo e co stituiscono una delle barriere ecologi che più importanti contro l’avanzata del deserto. Ma negli ultimi decenni, l’innalzamento delle temperature do vuto al cambio climatico e le sempre più invasive attività antropiche hanno provocato una micidiale combinazio ne di siccità e desertificazione, che ri schia di spazzare via un ecosistema unico al mondo.

La tendenza è particolarmente pre occupante in Nordafrica, una delle re gioni più secche del pianeta, dove le temperature potrebbero alzarsi di ben cinque gradi entro il 2060. In Marocco le oasi occupano il 15 per cento della superficie del Paese e ospitano circa due milioni di persone, ma nell’ultimo secolo per due terzi sono già scompar se, e il numero delle palme da dattero è sceso da 15 ad appena sei milioni.

M’hamid el Ghizlane, l’ultima oasi sulla valle del Draa prima dell’inizio del Sahara, sembra il set di un film apoca littico. L’oasi, che ospita 8.000 persone, si è ridotta di due terzi negli ultimi de cenni, e quello che rimane è sul punto di essere inghiottito dal deserto. «Ci stiamo trasformando in una specie di cimitero», lamenta l’ambientalista lo cale Halim Sbai, 51 anni. «Quando ero piccoloc’eranopalme,frutteti,campi… Oggi ci sono solo tronchi morti».

L’emergenza climatica
A M'hamid un ragazzino in cima a una duna: il deserto è il parco giochi per i bambini locali. Fino a pochi decenni fa la zona era ricoperta di vegetazione
106 23 ottobre 2022
23 ottobre 2022 107 Storie

Un abitante del villaggio nutre il suo cammello con erbe raccolte nel letto asciutto del fiume Draa

Eppure per millenni le oasi sono state un simbolo unico di ingegnosità umana e sviluppo sostenibile. I loro abitanti sono stati capaci di prospera re in un ecosistema completamente creato dall’uomo - e in alcuni tra i cli mi più ostili al mondo - utilizzando al meglio le limitate risorse a propria di sposizione. «Le oasi erano ecosistemi isolati», spiega il 27enne Abdelkarim Bouarif, agronomo presso l’oasi di Skoura. «Gli abitanti erano costretti a produrre quasi tutto ciò di cui aveva no bisogno e lo facevano grazie a un know-how acquisito in millenni di sperimentazioni».

Le oasi si basano su un sistema agri colo incentrato sulla palma, che forni sce datteri e riparo dai raggi solari, pre servando così l’umidità necessaria a far crescere sotto le sue fronde alberi da frutto, verdure, cereali e foraggio. È questa varietà di colture che permette alle oasi di essere estremamente resi lienti e adattabili alle variazioni clima tiche. «Melograni, mele, albicocche,

pesche, olive, fagioli, grano, orzo… Un’oasi sana è un’ode alla biodiversità, dove piante e alberi vivono in sinergia, con la palma da dattero come direttore d’orchestra», spiega Bouarif.

L’acqua viene convogliata dalle falde alle oasi tramite un antico sistema di canali sotterranei chiamati khettara, che sfruttano la gravità e ne impedisco no l’evaporazione. Gli ksar, i villaggi tradizionali che punteggiano le oasi marocchine, sono costruiti in spessi muri di fango, che isolano le case dalle alte temperature esterne e garantisco no una ventilazione naturale.

Le siccità hanno sempre fatto parte della vita nelle oasi, ma un tempo la loro ciclicità per metteva alle comunità di so pravvivere stoccando cibo e gestendo con oculatezza le risorse idriche. Oggi il cambiamento climatico sta alteran do questo ciclo, facendo aumentare le temperature e rendendo i periodi di siccità sempre più lunghi. La loro

scomparsa segnerebbe la fine di una civiltà unica, i cui insegnamenti e tec niche di adattamento potrebbero rive larsi preziosissimi per aiutarci a far fronte a temperature e fenomeni atmo sferici sempre più estremi.

In Marocco, la maggior parte delle oasi si trova nel vasto bacino desertico a sud delle montagne dell’Atlante, lun go le rotte carovaniere che collegavano il Sahara con le coste del Mediterraneo. I loro abitanti sono i discendenti delle tribù nomadi che occuparono queste aree nel corso dei secoli e sono forte mente attaccati alle loro terre. Ma la mancanza di prospettive costringe sempre più famiglie ad abbandonare le proprie terre per emigrare in città e cercare lavoro nell’edilizia, o nell’indu stria turistica. Centinaia di ksar abban donati stanno crollando sotto il peso delle dune e camminare tra le loro rovi ne equivale ad assistere dal vivo alla lenta scomparsa di una civiltà.

A Skoura, un’oasi di 24.000 abitanti situata su un altipiano vicino all’Atlan

L’emergenza climatica
108 23 ottobre 2022

te, la prossimità dalle montagne garan tisce ancora una costante riserva d’ac qua. Qui la raccolta di palme e olive ri veste tuttora un ruolo importante per le famiglie locali. Giovane e appassio nato, l’agronomo Bouarif conosce mol to bene le sfide che la sua oasi si trova ad affrontare, e vuole preservarne l’esi stenza promuovendo un mix innovati vo di agricoltura e turismo sostenibili. «Dobbiamo tornare a fare ciò che face vano i nostri antenati e focalizzarci sul la palma da dattero», spiega con con vinzione. «È lei che ha portato la vita nelle oasi, e senza di lei non potremmo continuare a esistere».

Bouarif incoraggia gli agricoltori lo cali a reintrodurre tecniche tradiziona li come la rotazione delle colture, oltre all’utilizzo di semi locali e di fertiliz zanti naturali. «Anche l’associazione delle colture è molto importante», pro segue. «Le leguminose sono ricche di azoto e i cereali arricchiscono il suolo di calcio, mentre le piante aromatiche tengono lontane erbacce e parassiti».

Oggi che l’emigrazione di massa mette a rischio la trasmissione di que ste conoscenze ancestrali, la missione di Bouarif è divenuta ancora più im portante. «Molti agricoltori non appli cano più queste tecniche. Anno dopo anno cercano solamente di ottenere le rese più alte dalle colture più redditi zie», continua. «La verità è che non abbiamo bisogno di fertilizzanti chi mici nelle oasi, e non abbiamo nean che bisogno di sfruttare le nostre terre all’eccesso».

Bouarif applica gli stessi prin cìpi di sostenibilità alla ca sbah di famiglia, che è stata riconvertita in guesthouse turistica. «Tutti i prodotti agricoli di cui abbiamo bisogno provengono dai nostri campi o da quelli degli agricol tori della zona e utilizziamo l’acqua di scarto della piscina per irrigare i no stri campi», spiega. Bouarif ama ac compagnare i suoi visitatori nel pal meto e spiegare loro come funziona

un’oasi. Così facendo, spera anche di sensibilizzare l’opinione pubblica mondiale sui problemi che affliggono le oasi marocchine.

A M’hamid, l’ambientalista Sbai sta tentando di salvare anche la ricca cul tura delle oasi, che viene ancora tra smessa oralmente di generazione in generazione attraverso canzoni e poe mi secolari. Ogni fine settimana, deci ne di bambini e adolescenti di raduna no presso la sua scuola di musica per ascoltarli e conoscere le proprie origini. «Lavoriamo sul nostro patrimonio im materiale. È un primo passo necessa rio, altrimenti i giovani non sapranno neanche più cos’è un’oasi», spiega Sbai che, nonostante le difficoltà, si dice an cora speranzoso per il futuro. «Il nostro è uno sforzo a lungo termine. Per salva re le oasi dobbiamo prenderci prima di tutto cura delle persone che ci vivono. Sono loro i soldati in questa battaglia contro la desertificazione, e il Sahara è un nemico che non perdona».

Il letto asciutto del fiume Draa vicino all’oasi di Skoura
23 ottobre 2022 109 Storie

Crolli, saccheggi e incuria

A rischio i tesori di Staglieno celebrati da Hemingway

di Roberto Orlando

Hemingway l’aveva definito una delle meraviglie del mondo. Sissi, imperatrice d’Austria, nel 1883 venne qui a cercare ispirazione per il monu mento funebre del figlio Rodolfo. E i Joy Division, quasi un secolo più tardi, scelserounafotodellaTombaAppiani per la copertina dell’album “Closer”. Qui sono sepolti grandi protagonisti dell’Ottocento e del Novecento: Giu seppe Mazzini, Nino Bixio, molti dei Mille e l’autore dell’inno d’Italia Mi chele Novaro. Qui si onora la memoria di Govi e di De André. E poi di capitani d’industria e armatori, generali e co mandanti partigiani, navigatori e po eti. Ma anche di una sequenza infinita di padri esemplari, mogli devote e figli strappati troppo presto alla vita terre na. Tutti insieme, con le loro vicende riassunte in epitaffio, raccontano un periodo lungo quasi un secolo della storia di Genova, l’ultima occasione in cui la città celebra, anche nell’atto del la morte, la sua potenza economica.

Ora il Cimitero monumentale di Staglieno, uno dei più importanti d’Europa e un tempo principale meta turistica della città, ha bisogno di cure speciali. Il Tempio dei Morti, ideato dall’architetto Carlo Barabino e com piuto nel 1851 dal suo allievo Giovan ni Battista Resasco, è in agonia e ria nimarlo non sarà semplice.

Il nostro viaggio nel paese delle me

raviglie offese inizia dalla Galleria in feriore di Ponente, le cui volte sono un colabrodo: l’acqua si è infiltrata fino a terra, l’intonaco si è sbriciolato sul pa vimento e lì è rimasto. Si esita a inol trarsi tra i porticati. Ma poi, lungo il percorso cadenzato dai volti, dagli sguardi, dalle espressioni di questa umanità di pietra, prevale lo stupore: qui sotto si allineano oltre duemila statue scolpite dai più importanti scultori italiani a partire dal 1851 fino al primo Novecento, con qualche acu to negli anni Cinquanta. Un excursus - attraverso stili molto particolari dal tardo neoclassicismo canoviano al simbolismo, al liberty, al mix tra déco ed espressionismo - che trova il suo apice nel realismo borghese, così defi nito per l’abilità degli autori di ripro durre i dettagli. «Uno stile unico al mondo», spiega la più esperta studio sa dell’arte di Staglieno, Caterina Ol cese Spingardi, funzionaria della So printendenza delle Belle arti della Li guria delegata al Monumentale.

Su ogni tomba, accanto ai nomi dei defunti, compare quello di chi li ha perpetuati a colpi di scalpello. Santo Varni, il caposcuola, che ha realizzato più di 40 opere oltre alla statua della Fede nel viale del Pantheon. Giulio Monteverde, autore dell’Angelo della Resurrezione sulla tomba Oneto, una delle sculture più riprodotte. Lorenzo Orengo, che ha modellato la statua

più popolare di Staglieno, quella di Caterina Campodonico, venditrice di noccioline che investì i risparmi per avere una statua che le somigliasse persino nel modo di vestire. E le silhouette commoventi di Eugenio Baroni.

«È tutto bellissimo», dice una turi sta mentre fotografa l’Angelo Caduto sulla tomba Ribaudo, di Onorato Toso. Ma lo scrigno di questi tesori è in con dizioni disastrose: gallerie chiuse per ché pericolose, lavori lasciati a metà, loculi scoperchiati, ragnatele ovun que, sculture annerite dallo smog. E tombe saccheggiate, tanto che ormai non c’è più niente da rubare.

Eugenio Bolleri, l’Indiana Jones di Staglieno, 77 anni di cui quasi metà trascorsi a prendersi cura di questi luoghi, si sofferma davanti al cippo di Wladimiro Chiavacci, ingegnere rac comandato da Cavour all’armatore Rubattino. Racconta Bolleri: «Chi era costui? Inventò lo scalo di alaggio per le navi e guardi ora la sua lapide...». È in frantumi ai piedi del cippo. Bolleri nel 1998 ha fondato la Onlus Per Sta glieno che si occupa della manuten zione del verde grazie a una conven zione col Comune. Lui ha sventato furti, è l’artefice di importanti ritrova menti tanto da essere nominato ispet tore honoris causa della Soprinten denza. E ha parole severe per quasi tutte le giunte comunali che ha co

GENOVA
Il Cimitero monumentale ospita le spoglie dei grandi del Risorgimento. È uno scrigno di meraviglie con sculture curate da volontari e mecenati. Ma minacciato da burocrazia, contenziosi e dallo stop ai fondi del Pnrr
Patrimonio a perdere 110 23 ottobre 2022
Foto: Roberto
Orlando L’Angelo della Resurrezione sulla tomba Oneto. L’opera di Giulio Monteverde è una delle più celebri di Staglieno
23 ottobre 2022 111 Storie

Patrimonio

nosciuto: «È mancata la sensibili tà, spesso la cultura. Qui c’è la storia della città e non si può cancellare così. Che serve ora? Intanto un presidio fis so per la manutenzione». Sono molte le cose che Bolleri non sa spiegarsi: ad esempio perché il Centro di restauro, nato una ventina di anni fa, non sia mai diventato operativo. Così ai re stauri hanno provveduto alcuni bene fattori. Il mecenate più generoso è Walter Arnold, scultore di Chicago che dal 2013 con la sua “American friends of Italian Monumental Sculp ture” ha raccolto fondi in Usa per ri pulire 17 opere. La diciottesima in la vorazione è il cippo Bozzano. Sta ac canto alla tomba Gnecco, già recupe rata, il cui bianco quasi stona tra le altre sculture annerite. La restauratri ce, Emilia Bruzzo, spiega: «Il primo problema è che le tombe non si posso no toccare senza consenso degli eredi. E rintracciarli è un’impresa. Se ne de ve occupare il Comune, chieda a lo ro...». La risposta è poco più in là, dove una barriera di tubi tiene alla larga dalla tomba Parodi: una lastra di mar mo è in bilico, da due anni. Le zanzare invece sono fin troppo solerti, ma an che la disinfestazione qui è un proble ma: ultimo intervento ad agosto, inu tile. Perché Staglieno ha un vizio d’ori

gine: è sopra due affluenti del Bisagno. Quindi nugoli di zanzare e tasso di umidità micidiale per il marmo.

Epoi gli alberi, la cui esube ranza fa più danni dell’acqua. Eleonora Mantero è la presi dente della Onlus fondata da Bolleri. A giugno lei e gli altri volonta ri hanno reso di nuovo frequentabile il Boschetto dei Protestanti. Prima, d’accordo con gli eredi, avevano risi stemato il giardino di Cappella Rag gio. Sembra il duomo di Milano e le piante erano cresciute tanto che si vedevano solo le guglie. «Potremmo fare di più. Ad esempio spolverare le sculture, se la Soprintendenza ci istruisse», spiega Mantero mentre ci guida verso i due estremi della gam ma del verde cimiteriale. Il primo è un cipresso cresciuto sul colonnato di una tomba, a 10 metri d’altezza, e finirà per demolirlo. Il contraltare è il campo dei caduti di guerra del Com monwealth. È perfetto, lo cura un giardiniere fisso: prato rasato, lapidi bianche come la neve.

Ma se ci riescono gli inglesi, perché noi no? «Perché il Monumentale è vastissimo (33 ettari, ndr) e trascura to da anni», risponde Caterina Faso lini, presidente di GenovaFa, associa

zione che promuove Staglieno grazie anche a un bando da 100mila euro della Compagnia di San Paolo. «Ab biamo convinto il Comune ad aprire un infopoint turistico, l’abbiamo ar redato e dotato di touchscreen con i contenuti utili alla visita. Vogliamo far conoscere il cimitero soprattutto ai genovesi. Organizziamo eventi, concerti, visite guidate anche in dia letto. Abbiamo coinvolto i ragazzi delle superiori e i bambini delle ele mentari. E gli allievi della scuola di restauro di Botticino (Brescia, ndr) sono intervenuti su due tombe. Ab biamo poi rintracciato gli eredi della Cappella Rubattino, per convincerli a donarla al Comune che potrebbe così restaurarla». Oltre alle vetrate poli crome in frantumi, qui è a rischio un affresco di Nicolò Barabino. Dice An gelica Canevari, di GenovaFa, nomi nata dal Comune “saggia” di Staglie no: «Qui si muovono molte associa zioni e altrettanti appassionati, ma bisogna fare sistema, in sinergia con le istituzioni. Serve una visione e poi una struttura che garantisca conti nuità. Le risorse? Si possono trovare in diversi ambiti se si creano i pre supposti: dalla formazione professio nale della Regione fino ai fondi Ue».

Anche se la via europea ai restauri

Foto:
Roberto Orlando, Getty Images Una transenna a difesa di una zona a rischio crollo nel complesso monumentale. A destra, le volte di una delle gallerie
a perdere 112 23 ottobre 2022

è diventata più aspra dopo che i cimi teri sono stati esclusi dai finanzia menti del Pnrr, sebbene Staglieno non si possa certo considerare sol tanto un cimitero. Spiega Olcese, funzionaria della Soprintendenza, «in tutta Europa non c’è niente di pa ragonabile.

Qualcosa del genere si trova in Su damerica come conseguenza dell’e

migrazione dei genovesi: a Lima ci sono monumenti importanti che vengono da qui, a Cuba ci sono nove copie dell’Angelo di Monteverde. Ep pure fino agli anni ’80 di Staglieno non importava a nessuno, le opere non erano nemmeno catalogate. Ora il bene è tutelato come complesso, ma è anche un problema complesso. Che cosa serve? Manutenzione con

tinua e diradamento della vegetazio ne. E certo, bisognerebbe riportare le sculture alle condizioni originali e poi curarle con regolarità per non rendere inutili i restauri».

Nel programma del sindaco rieletto Marco Bucci, Sta glieno non compare. Però ci sono le linee guida entro le quali il rilancio del Monumentale rientra a pieno titolo. Si tratta di capi requalisianolepriorità.L’assessoreai Servizi Civici di fresca nomina Marta Brusoni cerca di prendere familiarità con i problemi e annuncia una prima soluzione: «Ho ottenuto dall’assesso re al Bilancio Picciocchi un altro mi lione e mezzo per il verde. Valorizza re Staglieno è un obiettivo primario. A Genova però ci sono 35 cimiteri e dobbiamo curarli tutti». Dal 2017 il Comune alla sola manutenzione straoridinaria di Staglieno ha desti nato 5,5 milioni, cui vanno aggiunti altri 2,2 inseriti nel piano triennale dei lavori pubblici 2022-2024. Pro segue Busoni: «I nodi da sciogliere restano tanti, a partire dal rapporto con i proprietari delle tombe. Noi in terveniamo nelle parti comuni, loro devono prendersi cura delle scultu re. I nostri programmi? Ad esempio campagne di crowdfunding, mentre con le fondazioni bancarie stiamo già lavorando. Continueremo a coin volgere i giovani con lo strumento dell’alternanza scuola-lavoro ed è al lo studio un percorso ciclabile dentro il cimitero. A giugno abbiamo anche inaugurato l’infopoint turistico». Il quale però è aperto tre giorni la setti mana e mai nei weekend. «Problemi di personale, ma cerchiamo di risol verli», spiega Brusoni.

L’assessore chiude in due mosse. La prima è un invito alle associazioni che hanno a cuore il cimitero. «So che sono tante e vorrei incontrarle, il loro contributo è importante». Poi l’appello ai nuovi parlamentari liguri, di tutti gli schieramenti: «Contiamo sul vostro aiuto». Per la visione in somma bisogna attendere ancora.

La scultura di Giovanni Battista Villa per il monumento funebre di Raffaele Pienovi Le transenne che da due anni delimitano l’area intorno alla tomba Parodi
23 ottobre 2022 113 Storie
L’emigrazione italiana PANE E
Gli scariolanti romagnoli dell’800 che bonificarono Ostia antica L’epopea dei braccianti socialisti Ben prima del fascismo nell’Agro Pontino, subito dopo l’Unità, l’Associazione generale degli operai di Ravenna prese in subappalto il drenaggio delle terre paludose martoriate dalla malaria nel delta del Tevere di Maurizio Franco foto di Giovanni Culmone 114 23 ottobre 2022

La mia famiglia ha scelto di chiamarmi così perché sono nato poco dopo la rivoluzio ne russa del 1917». Vladimi ro Melandri ha 89 anni e la memoria di Lenin, suo omonimo, e il cruccio dei genitori per il bolscevismo gli ac cendono in volto una risata. È chino su delle foto in bianco e nero, sparpa gliate sul tavolo della sala da pranzo.

Le osserva attentamente alla ricerca delle sue origini, indicando le sagome degli antenati che fecero la storia di Ostia. «Ostia antica!», precisa, forzan do la voce sull’aggettivo che distingue la striscia sabbiosa a sud della Capi tale dalle poco distanti fortificazioni medievali che racchiudono il borgo. «Questo è il mio bisnonno Achille. È nato nel 1853 ed è partito da Ravenna

nel 1884 per bonificare il litorale roma no». Perché le zone di Ostia, Fiumici no e Maccarese erano terre paludose, martoriate dalla malaria, lasciate allo stato brado dalla corte papalina o da grandi tenutari come le famiglie Chigi e Aldobrandini. E percorse da lavora tori stagionali che dormivano dentro delle capanne. Fu il Parlamento del neonato Stato italiano a decidere cosa fare. «Garibaldi ne parlò alla Camera nel 1875. E tre anni dopo il Governo si pronunciò a favore», dice Melandri.

Chi avrebbe portato a termine un’impresa del genere? I braccianti e i contadini che nel corso del XIX secolo avevano trasformato con le loro mani il suolo melmoso della Romagna in frutteti rigogliosi, arginando con van ghe e carriole il potere delle acque.

L’attuale toponomastica di Ostia anti ca è un inno alle radici ravennati: il Parco, appunto, dei ravennati, il Viale dei romagnoli e il centro anziani “Lo scariolante”.

Erano soprattutto anarchici e socia listi, legati ideologicamente al partito socialista rivoluzionario di Romagna (che poi cambierà denominazione ge ografica assumendo un ruolo unifi cante nell’Italia appena concepita).

L’Associazione generale operai brac cianti di Ravenna prese in subappalto i lavori di bonifica sulle rive laziali. Era presieduta dal socialista Nullo Baldi ni, per controbattere alle imposizioni del padronato fondiario. Un’organiz zazione mutualistica, incubatrice del sindacato e della terza via emilia no-romagnola all’economia. L’Asso ciazione si era prefissata un duplice scopo: dimostrare le capacità dell’au togestione operaia nel dare risposte alle masse di disoccupati che inonda vano le campagne. Ed edificare un modello di società esemplare, basato sul collettivismo. Andrea Costa, il pri mo deputato socialista della storia italiana, andò a salutare di persona i 440 “scariolanti” e le 50 “azdore”, don ne alfabetizzate, dedite alla cura quo tidiana della colonia, alla stazione di Ravenna. Il treno partì il 24 novembre e giunse a destinazione il giorno dopo. Non si fermò a Roma perché il carico umano che trasportava era bollato co me sovversivo e anticlericale. E arrivò direttamente a Fiumicino. «Fin dove si estendeva lo sguardo non si coglie va che grigiore [...]. Quanto all’aria, so pra la permanente nebbiolina che co priva il terreno, puzzava di decompo sizione». Lo scrittore Valerio Evangeli sti, da poco deceduto, ha descritto nel suo capolavoro, la trilogia de “Il sole dell’Avvenire”, gli esordi della missio ne. Ed è ciò che i romagnoli videro ef fettivamente quando misero piede in quel nuovo mondo.

PANE E LAVORO

La bonifica terminò nel 1904. Con un numero imprecisato di morti e ingenti sacrifici. Le squadre di braccianti e az dore, intanto, si erano stabilite nel

Canale di raccolta delle acque sporche a Ostia antica. Sullo sfondo, il consorzio di bonifica
23 ottobre 2022 115 Storie

borghetto medievale, all’ombra del castello di papa Giulio II, in casupole incistate nella cinta muraria. All’en trata della rocca venne posto il busto baffuto di Andrea Costa, sovrastante un’epigrafe che celebrava la vittoria «de la novissima civiltà» sulle «zolle che l’antica civiltà seminò di ruderi ed ignavia di principi e prelati». «Pane e lavoro», è l’incipit dell’effige: sociali smo o barbarie, in salsa romagnola. Tanto che i bonificatori non si tolsero il cappello nemmeno al cospetto del re, dice Melandri. Un dato su tutti affa scina l’anziano. Secondo le stime di un censimento sulla popolazione, i resi denti a Ostia nel 1921 erano 625. Un nucleo costituito da romagnoli, a cui si aggiunsero contadini marchigiani, ciociari, sardi e abruzzesi.

«Questa storia è stata dimenticata, occultata nell’immaginario dalle boni fiche fasciste dell’Agro Pontino. Tutti sono convinti che a risanare la zona fosse stato il regime. Cosa che non è», dice Simone Bucri del comitato scien tifico della Cooperativa ricerca sul ter ritorio (Crt). Fondata nel 1978 per recu perare il patrimonio storico del delta tiberino. Paolo Isaja e Maria Pia Melan dri sono gli artefici del progetto: inda gine antropologica sul campo e speri mentazione multimediale. Con una mole impressionante di documentari video, film, libri, mostre e celebrazioni. L’Ecomuseo del Litorale romano, inau gurato nel 1994, è la loro ennesima cre azione. Un luogo della memoria in cui custodire i resti della lunga marcia dei bonificatori. Al fosso di Dragoncello, accanto agli stabili del consorzio di bo nifica dove le pompe idrovore, in fun zione dal 1889 - a motore elettrico dal 1915 -, convogliano l’acqua nei canali artificiali verso il mare. «Sono i primi edifici di Ostia moderna. Da qui è sorto tutto», dice Bucri.

Il volume “Pane e lavoro”, a firma di Giuseppe e Vito Lattanzi e di Paolo Isaja, è una ricostruzione erodotea del le vite che hanno lambito la palude ro mana, attraverso le testimonianze di chi c’era. Molti ravennati battezzavano i figli - con nomi tipo “Avanti” o “Comu nardo” - sotto la lapide di Andrea Co

sta: un rito laico con le bandiere rosse e un bicchiere di vino versato sulla fron te dei neonati. Ogni sera ingurgitavano pillole di chinino per resistere ai morsi della malaria. O consumavano le not tate a ballare nel ricreatorio “Andrea Costa”. Costituirono la cooperativa agricola operaia, emanazione produt tiva della Colonia, quella dei muratori e la cooperativa di consumo per lo spac cio delle merci. Ridistribuzione delle ricchezze e collettivizzazione delle fi liere. «A noi, i romagnoli che venivano da lontano, rispetto a noi che eravamo del Lazio, ci chiamavano al furesti, i fo restieri», è un commento di Rosa Cle menti, trascritto in “Pane e Lavoro”. «Parlavano tutti il romagnolo, anche quelli che non erano romagnoli», disse, invece, Domenico Crostini.

CAPPELLETTI IN BRODO

Franco Tarroni è cresciuto ascoltando queste storie. Ha 82 anni e ha una pas sione per il gioco delle bocce. Ostia antica è la sua casa. «Qua ci sono gli eredi dei romagnoli, di là quelli dei marchigiani», dice mostrando le pa lazzine a schiera, frutto delle lottizza zioni dei terreni della cooperativa che negli anni ’50 del secolo scorso chiuse i battenti. È figlio di Giovanni, detto Cinet («piccoletto» in uno storpiato dialetto romagnolo), e di Marina Beni ni, trapiantata sul litorale romano nel 1902 quando era ancora in fasce. Una lavoratrice instancabile per cui il so cialismo era un progressivo processo di emancipazione.

Il fascismo cambiò tutto, dice Tarro ni. La cooperativa aderì al regime con

L’emigrazione italiana
116 23 ottobre 2022

forti malumori. Durante le sfilate del le camicie nere, Cinet e altri compagni venivano rinchiusi nelle carceri di Re gina Coeli. Oppure erano guardati a vista, sorvegliati dai carabinieri in un «luogo del controllo». «Io penso che il fascismo fu peggio del periodo della malaria forte per gli abitanti de qui», disse Benini alla triade di ricercatori di “Pane e lavoro”. Gli squadristi pat tugliavano le case alla ricerca delle ve stigia della sinistra: quadri di Matteot ti, falce e martello e vessilli di partito. Anche una lanterna rossa provocava lo sdegno delle milizie. Ma gli ideali di un tempo non scomparirono. Cinet era un convinto comunista. La sezio ne che fu del Pci e oggi del Partito de mocratico fu donata al movimento di Togliatti dal vecchio Tarroni. “Cinet” è

il nome del circolo. «Una volta, orga nizzammo addirittura la festa dell’U nità nella nostra vecchia casa», dice Franco Tarroni.

Vilma Ori, invece, non ha mai re scisso il suo legame con Villanova di Bagnacavallo, in provincia di Raven na. Lì ha trascorso metà della sua esi stenza. Il padre romagnolo e la madre romana. Ori ha girato il mondo ma, ogni anno, trova il tempo per andare a trovare le amiche di sempre lungo le sponde del fiume Lamone. Vive a Ostia antica e i cappelletti in brodo so no la sua specialità. Anche Tarroni e Melandri ne hanno delle scorte in di spensa. «Abbiamo fatto 70mila cap pelletti per la festa dell’Unità di quest’anno. Noi vecchi ancora li fac ciamo. Una catena di montaggio in

sezione. Togliamo tutto da mezzo e impastiamo sul tavolo. C’è chi taglia, chi riempie e chi chiude», racconta. «Le nuove generazioni, però, hanno perso il legame con il passato». Gio vanni Zannola, però, la pensa diversa mente. Non vanta origini romagnole. È un giovane consigliere comunale di Roma, nelle fila del Pd di Ostia antica. «Da loro ho imparato che la militanza politica ha senso solo se inquadrata in una visione collettiva del futuro. Ci vuole dedizione alla causa. Come chi, tanto tempo fa, ha reso una terra insa lubre, un luogo meraviglioso dove abi tare, per sé e per gli altri», dice mo strando felice una busta di cappelletti congelati, tirata fuori dal freezer del circolo “Cinet”.

L’Ecomuseo del Litorale romano a Ostia Antica. A sinistra, in alto, la foce del Canale dei Pescatori di Ostia e, sotto, Vladimiro Melandri con l’album dei suoi antenati ai tempi della bonifica
23 ottobre 2022 117 Storie

C’è un momento preciso che ti separa dal vuoto. Quell’atti mo in cui non sai se buttarti, travolto da una ragionevole paura, ma ti senti sbagliato, perché gli altri lo hanno fatto e sono laggiù, in quella piscina che sembra piccina come una tazza di brodo. Quello stesso istante in cui, al contrario, ti assale un dub bio bruciante che all’improvviso re

gala un’altra faccia alle tue insicurez ze, perché forse il vero coraggio sta proprio nel decidere di non voler sal tare e l’errore non sei tu che sei rima sto lì, paralizzato sul cemento a dieci metri d’altezza e forse è giusto rima nere immobile su quella piattaforma alta come il cielo, perché i cretini, gli incoscienti, il vero errore sono loro, che hanno affrontato quel tuffo senza porsi alcuna domanda. Forse. “Tut to chiede salvezza”, la serie (Netflix) che lascia sulla pelle una sensazione duratura di disagio e bellezza, gioca per sette episodi su questo limite in visibile, dove ogni gesto, ogni lacri ma, ogni sorriso può essere anche il suo contrario, perché trovare la forza di guardarsi è il vero motore e non

la risposta che a volte puoi trovare. «Non lasciare che nessuno ti racconti il mondo», dice il maestro Mario col sorriso straziante di Andrea Pennac chi, e non permettere al mondo di raccontarti, viene da dire. Nei giorni tristi in cui la tv si appropria del disa gio psichico sbattendolo nello schiac ciasassi multicolore del “Grande Fra tello”, questo lavoro seriale ti prende alla gola e ti porta sulla nave dei pazzi capita nata da Daniele (Fe derico Cesari, ancora una gemma sbocciata da “Skam”), in un viag gio controcorrente, al ritmo sonoro delle cia batte che sbattono sul pavimento dell’ospe dale psichiatrico, nella danza delle memorie perdute da ritrovare co me versi di una poesia. Così Francesco Bruni, regista capace ancora una volta di muovere gli attori come pochi altri, prende il gran romanzo di Mencarel li e lo impasta adattandolo alle facce straordinarie dei protagonisti facen doli andare e venire come un’onda lenta e lavorando con rispetto all’ele gia della sottrazione in cui basta uno sguardo perduto, un dito che sfiora un ricciolo fuori posto, il nodo sciolto di una vestaglia. E dal cuore del rac conto sullo smarrimento, il Tso, le urla e il furore, si cammina in bilico sul filo del vuoto che non pretende di essere riempito, in un gioco di spec chi sui singoli che si fanno comunità stretti in un unico abbraccio. E dove i fratelli sono offerti dalla vita, l’amore si trova, la fragilità si accudisce. Per cercare salvezza.

CASTALDO

Big e nuovi eroi Sanremo aperto 365 giorni l’anno

Ve li immaginate Tiziano Ferro o Eros Ramazzotti in gara a Sanremo? Sono solo rumors, va detto, magari non ci saranno, ma il fatto strano è che la supposizione, anche la pura e semplice voce di corridoio, non è fantascientifica come sarebbe stato solo fino a pochissimo tempo fa, è addirittura verosimile, per non dire probabile, e proviamo a spiegare perché. Intanto, va detto che manca poco all’occupazione globale del ciclo astronomico. Dobbiamo prepararci a un “Sanremo tutto l’anno”. L’anticipo delle notizie è sempre più elevato, quest’anno si è iniziato in piena estate e ora, alla soglia di novembre, visto che mancano “solo” cinque mesi alla partenza del festival, siamo ampiamente nel vivo della questione. Dopo aver scoperto che ci sarà Chiara Ferragni per un paio di serate, che a cocondurre sarà Gianni Morandi, arrivano anche le prime indiscrezioni sul cast dei big in gara, 22 per l’esattezza, a cui si aggiungeranno tre giovani scelti dalla apposita sotto-gara. E si fanno nomi enormi. Elisa, Giorgia, per l’appunto Ferro e Ramazzotti, Biagio Antonacci, Mengoni, qualcuno osa addirittura la Pausini, oltre a svariate chicche scelte tra le nuovissime leve, una probabile riconferma di Madame, Ariete, Mara Sattei e chissà chi altro. Cosa è cambiato? Semplice, il festival è tornato a essere dopo decenni un festival di canzoni. È di canzoni che si discute la mattina dopo al bar e ci si accapiglia, si scoprono nuovi talenti, molte canzoni ci ritroviamo a cantarle per più giorni e non a rimuoverle il più velocemente possibile dopo aver fatto finta per una settimana che stessimo davvero seguendo una rassegna di musica, da qualche anno succede perfino che a vincere sia la miglior

Ho visto cose/tv BEATRICE DONDI #musica GINO
118 23 ottobre 2022 Foto: Agf
La serie Netflix “Tutto chiede salvezza” è un racconto straordinario sulla forza della fragilità
CHE BEL VIAGGIO SULLA NAVE DEI PAZZI

canzone in gara, assurdo, tutte cose piuttosto normali, in linea puramente teorica, ma che a Sanremo normali non erano. Altro punto, non secondario: il festival fa girare il mercato della musica, anzi è diventato il punto di svolta dell’anno, l’appuntamento più atteso, il lancio stagionale, intere carriere sono state decise nello spazio di tre minuti, ed ecco svelato l’arcano. Da che era lo spauracchio di tutta la musica, almeno considerandola dal livello di decenza in su, l’immagine si è completamente ribaltata. Ora a Sanremo, perfino in gara, visto che ormai di gare si vive dappertutto e non se ne esce, ci vogliono andare tutti, ma proprio tutti. Non è detto che i nomi siano tutti quelli che abbiamo citato, ma alcuni ci saranno, e ci sarà anche qualche ulteriore sorpresa. Il festival, tranne poche e sempre più rare eccezioni, non lo disprezza più nessuno, ci vogliono andare le megastar, i duri e puri, i supercattivi, gli alternativi degli alternativi, quelli che ancora non hanno deciso chi vogliono essere, i vecchi e i nuovi eroi. Insomma ne vedremo delle belle, e la mattina dopo, davanti al cappuccino fumante potremo fnalmente litigare col barista: era meglio Antonacci o Ramazzotti? E a questo drammatico dilemma non potremo sfuggire.

Scritti

FABIO

Che cos’è una baby box? Dipen de. Secondo Google è una sca tola con tutto l’occorrente per i primi mesi del bambino: ciuccio, bavaglini, biberon, forbicine etc. In Corea invece (ma anche in Giappone) la baby box è la versione moderna di quella che a Napoli era detta Ruota degli Esposti: uno sportello dentro cui vengono abbandonati i figli in desiderati. E il nuovo film di Kore-eda inizia proprio così: con una ragazza madre che la scia un neonato accanto a una baby box in una chiesa, due tipi che si affrettano a prendere il bambino e a cancellare il video della consegna, per rivenderlo. E due poliziotte che seguono tutto a distanza. Sco prendo ben presto che i due “broker” usano una scalcinata lavanderia come copertura.

Ma non è un giallo o un film di denuncia. È un’azzardata fiaba contemporanea su un mondo terri bile che difficilmente sopporterebbe un trattamento realistico, girata (in Corea), dal regista giapponese di “Un affare di famiglia” e “Father and son”, grande specialista in affetti e legami, non necessariamente biologici.

Presto infatti questo strano gruppo composto dai broker, non proprio due duri, dalla ragazza madre che ci ha ripensato e non li molla più, e da un bambino che si nasconde nel loro fur gone per fuggire dall’orfanotrofio, fini scono per formare una specie di fami glia virtuale che batte il paese in cerca di coppie pronte a scucire quattrini per quel neonato dalle sopracciglia perfette («Avete usato photoshop?»),

prezzo base 7mila euro, le trattati ve sono insieme esilaranti e sinistre. Mentre le poliziotte continuano a pe dinarli e addestrano addirittura due attori a fingersi aspiranti genitori.

Con molti momenti memorabili, grazie alla delicatezza del tocco di Kore-eda, che armonizza punti di vi sta molto diversi, e a un gruppo di interpreti fenomenali (il broker più

vecchio, dai tratti paradossalmente materni, è il grande Song Kang-ho, già protagonista di “Parasite”, premiato a Cannes come miglior attore). Ma an che un eccesso di ottimismo della vo lontà che emerge soprattutto nell’ulti ma parte, quando il gioco si fa più sco perto e nei rapporti fra i personaggi si insinua una nota sentimentale che è la vera scommessa del film ma anche il suo limite. “Un affare di famiglia”, non a caso girato in patria, non chiudeva mai gli occhi sulla durezza del mondo. “Broker” un po’ sì.

al buio/cinema
FERZETTI 23 ottobre 2022 119
Una ragazza madre abbandona il figlio, due tipi lo prendono per venderlo. Il tocco delicato di Kore-eda
INSEGUENDO I BROKER DI NEONATI
“LE BUONE STELLE - BROKER” di Hirokazu Kore-eda Corea-Giappone, 129’
aaacc

DIRETTORE RESPONSABILE: LIRIO ABBATE

CAPOREDATTORI CENTRALI: Leopoldo Fabiani (responsabile), Enrico Bellavia (vicario)

UFFICIO CENTRALE: Beatrice Dondi (vicecaporedattrice), Sabina Minardi (vicecaporedattrice), Anna Dichiarante

REDAZIONE: Federica Bianchi, Paolo Biondani (inviato), Angiola Codacci-Pisanelli (caposervizio), Emanuele Coen (vicecaposervizio), Antonio Fraschilla, Vittorio Malagutti (inviato), Antonia Matarrese, Mauro Munafò (caposervizio web), Gloria Riva, Carlo Tecce (inviato), Gianfrancesco Turano (inviato), Susanna Turco

ART DIRECTOR: Stefano Cipolla (caporedattore)

UFFICIO GRAFICO: Martina Cozzi (caposervizio), Alessio Melandri, Emiliano Rapiti (collaboratore)

PHOTOEDITOR: Tiziana Faraoni (vicecaporedattrice)

RICERCA FOTOGRAFICA: Giorgia Coccia, Mauro Pelella, Elena Turrini

SEGRETERIA DI REDAZIONE: Valeria Esposito (coordinamento), Sante Calvaresi, Rosangela D’Onofrio

CONTROLLO DI QUALITÀ: Fausto Raso

OPINIONI: Altan, Mauro Biani, Massimo Cacciari, Lucio Caracciolo, Franco Corleone, Donatella Di Cesare, Roberto Esposito, Luciano Floridi, Bernard Guetta, Sandro Magister, Marco Dambrosio Makkox, Bruno Manfellotto, Ignazio Marino, Ezio Mauro, Michela Murgia, Denise Pardo, Massimo Riva, Pier Aldo Rovatti, Giorgio Ruffolo, Michele Serra, Raffaele Simone, Bernardo Valli, Gianni Vattimo, Sofia Ventura, Luigi Vicinanza, Luigi Zoja

COLLABORATORI: Simone Alliva, Erika Antonelli, Viola Ardone, Silvia Barbagallo, Giuliano Battiston, Marta Bellingreri, Marco Belpoliti, Caterina Bonvicini, Ivan Canu, Gino Castaldo, Giuseppe Catozzella, Manuela Cavalieri, Rita Cirio, Stefano Del Re, Alberto Dentice, Francesca De Sanctis, Cesare de Seta, Roberto Di Caro, Paolo Di Paolo, Fabio Ferzetti, Alberto Flores d’Arcais, Marcello Fois, Antonio Funiciello, Giuseppe Genna, Wlodek Goldkorn, Marco Grieco, Luciana Grosso, Helena Janeczek, Stefano Liberti, Claudio Lindner, Francesca Mannocchi, Gaia Manzini, Piero Melati, Luca Molinari, Donatella Mulvoni, Matteo Nucci, Eugenio Occorsio, Marco Pacini, Massimiliano Panarari, Gianni Perrelli, Simone Pieranni, Paola Pilati, Sabrina Pisu, Laura Pugno, Marisa Ranieri Panetta, Mario Ricciardi, Gigi Riva, Stefania Rossini, Evelina Santangelo, Elvira Seminara, Caterina Serra, Chiara Sgreccia, Francesca Sironi, Leo Sisti, Elena Testi, Chiara Valentini, Chiara Valerio, Stefano Vastano

PROGETTO GRAFICO: Stefano Cipolla e Daniele Zendroni

L’ESPRESSO MEDIA SRL

Via Melchiorre Gioia, 55 - 20124 Milano P. IVA 12262740967 - Iscr. Reg. Imprese n. 12546800017 - N. REA MI - 2649954

CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE

PRESIDENTE: Denis Masetti

AMMINISTRATORE DELEGATO: Marco Forlani

DIRETTORE GENERALE: Mirko Bertucci

CONSIGLIERI: Maurizio Milan, Massimiliano Muneghina, Margherita Revelli Caracciolo, Alessandro Mauro Rossi

DIREZIONE E REDAZIONE ROMA: Via in Lucina, 17 - 00186 Roma - Tel. 06 86774111 E-mail: espresso@espressoedit.it

REDAZIONE DI MILANO: Via Luigi Galvani, 24 – 20124 Milano

Registrazione Tribunale di Roma n. 4822 / 55

Un numero: € 4,00; copie arretrate il doppio PUBBLICITÀ: BFC MEDIA SPA

info@bfcmedia.com - Via Melchiorre Gioia, 55 - 20124 Milano

ABBONAMENTI: Tel. 0864 256266 - Fax 02 26681991

E-mail:abbonamenti@gedidistribuzione.it Per sottoscrizioni www.ilmioabbonamento.it Servizio grandi clienti: Tel. 0864 256266

DISTRIBUZIONE: GEDI Distribuzione S.p.A.

RISPONDE STEFANIA ROSSINI

stefania.rossini@espressoedit.it

OCCHIO MELONI, B. È TORNATO PER RESTARE

Cara Rossini, è tornato più ricco e spietato del Conte di Montecristo. A chi pensava che fosse finito, sta facendo sberleffi dal giorno delle ele zioni. Più intrigante di sempre, dopo aver messo il suo paggio Fernan do/Benito al Senato, ha ripreso fiato e ora ci farà pagare cari gli anni di quasi assenza dagli schermi. Se fino a qualche giorno fa Meloni si illudeva di essere lei la premier, ora dovrà ricredersi perché il premier reale sarà lui e dovrà star dietro alle sue sparate ogni giorno. Ha 86 anni e anche se gli danno del rimbambito da almeno dieci, lui lo lascia credere, così potrà sfogarsi a dire, fare, baciare, lettera e…testamento No, quello no! Non ha nessuna intenzione di andarsene, è tornato per restare e per far vedere tutti i suoi effetti pirotecnici. Lo ha già messo nero su bianco alla futura premier perché non si creda di governare di suo buzzo. E poi si tratta di una donna. Di destra, ma sempre donna. E se non è arrivato alle altezze dei complimenti che rivolse ad Angela Merkel, ha messo bene in chiaro quali sono le migliori qualità della giovane Giorgia, perché gli italiani non dicano che lui non glielo aveva detto. E anche per farle tenere la testa bassa (come direbbe Goldoni) e non farle alzare le penne. E per fare ciò, ha messo in mezzo il suo caro amico Putin, che però si è un po’ risparmiato visto le tante spese che deve affrontare e gli ha regalato solo 20 bottiglie di vodka. Occhio, Meloni, perché il segnale è: quel bel tomo è amico mio, potrei accre ditarmi anche come mediatore e se tu alzi la cresta da prima della classe potresti finire dietro la lavagna. Insomma, se non avete ancora capito di chi parlo, lo capirete con la definizione che ha dato di se stes so mentre raccontava una delle sue barzellette: «L’uomo politico più intelligente d’Italia» o ha detto del mondo?

Mariagrazia Gazzato

Il rutilante ritorno di Silvio Berlusconi sul palco della politica ha suscitato tra i nostri lettori curiosità, stupore e qualche ribrezzo. Tra le molte lettere su di lui, ho scelto quella meno abrasiva anche perché è l’unica che accenni, anche se di sfuggita, alla sua età. Co me se la pietà per i danni che il tempo fa al corpo non fosse conces sa a quest’uomo, che proprio del suo corpo e della sua maschera di simpatia istrionica aveva fatto uno strumento di propaganda e seduzione di massa (come documentò a suo tempo il folgorante pamphlet di Marco Belpoliti “Il corpo del capo”). Oggi però Berlu sconi barcolla su gambe arcuate oltre misura, inciampa nei suoi piedi, si disorienta nelle direzioni, si appoggia alle spalle dei suoi fidi come fossero grucce. E sorride, non può che sorridere, perché ormai il suo viso è stato fissato dalla chirurgia estetica in quell’u nica espressione. Eppure non induce in chi lo vede la pietà dovuta alla vecchiaia conclamata e malata. Difficile capire perché. Forse è stato troppo odiato, forse è stato troppo amato. O non si sopporta la sua rabbia impotente, tipica dei vecchi. Ma per chi l’ha amato, e anche per chi l’ha detestato, è forse troppo penoso vede re così rappresentato l’orrore della caducità umana.

Noi e Voi L’ESPRESSO - VIA IN LUCINA, 17 - 00186 ROMA letterealdirettore@espressoedit.it - precisoche@espressoedit.it ALTRE LETTERE E COMMENTI SU LESPRESSO.IT 120 23 ottobre 2022 N. 42 - ANNO LXVII - 23 OTTOBRE 2022 Certificato ADS n. 8855 del 05/05/2021 Codice ISSN online 2499-0833
- Via Nervesa, 21 - 20139 Milano Arretrati e prodotti multimediali: Tel. 0864 256266 - Fax 02 26688669 - arretrati@gedidistribuzione.it STAMPA E ALLESTIMENTO: Stabilimento Effe Printing S.r.l. - località Miole Le Campore-Oricola (L’Aquila); Puntoweb (copertina) - via Variante di Cancelliera snc Ariccia (Rm). Titolare trattamento dati (Reg. UE 2016/679): L’Espresso Media Srl - info@lespresso.it - Soggetto autorizzato al trattamento dati (Reg. UE 2016/679): Lirio Abbate L’ESPRESSO MEDIA SRL è una società del gruppo BFC MEDIA Questo giornale è stampato su carta con cellulose, senza cloro gas, provenienti da foreste controllate e certificate nel rispetto delle normative ecologiche vigenti.
TIRATURA COPIE 189.900

Quando il maschio si sentì giudicato

Da questo numero Barbara Alberti inizia la sua collaborazione con L’Espresso. La rubrica “Dispetti divini” si alternerà in questa pagina con quella di Massimo Cacciari.

Sono sempre stata gentile coi maschi (quando proprio non te le strappano dalle mani), e li tratto con riguardo, per rispetto della loro sventura, l’erezione. Da quando ho capito come fun zionava il meccanismo erotico dei maschi, il loro complesso inestinguibile, so che non c’è una simile orfanezza al mondo, e vien voglia di consolarli. Meno male che sono nata senza. Orgoglio sa come sono, non avrei sopportato. Che trappola crudele, che trappola inferna le. Il sesso maschile a prima vista non è niente male, una promessa di gloria. Un organo dotato per il piacere, maestoso e capace di procreare. E fin dai primordi il simbolo del fallo è ripetuto come un van to, dovunque, ad esso si innalzano mo numenti allusivi e augurali- l’obelisco, la colonna, la torre, che sottendono la spaventosa domanda- sarò all’altezza?mentre l’anarchica appendice continua a fare come le pare. L’erezione dà un sen so di onnipotenza. Ma non è scontata. L’infido marchingegno è insidioso, talo ra beffardo. Ora vuole, ora no. Comanda lui, e accade che a volte il desiderio non segua la volontà né il sentimento, e anzi dispettosamente se ne dissoci. Sarebbe gran cosa se obbedisse al suo proprieta rio, se fosse lealmente sempre dalla parte dell’uomo cui sta attaccato. Ma spesso è un nemico in casa, che espone al giudi zio. Al terrore del ridicolo. Ho visto amici devastati dall’impotenza misteriosa che li affliggeva proprio con colei o colui che amavano di più al mondo. Una conti nua prova. Per questo la donna vive più a lungo, per la fortuna di una sessualità segreta. Per questo è meno feroce, e si permette il lusso consolante della pietà.

Il maschio fa la guerra, missili razzi e bombarde compensano e sublimano la sua mania erettile. Il pensiero pessimista è spesso maschile. Le donne sono meno intellettuali in senso autodistruttivo. Il nostro pensiero è altrettanto spietato, ma più arioso. Essere artefici di vita col proprio corpo, potenzia anche l’ironia femminile. Quanto sono spiritose le don ne. La calunnia più antica è che ad esse manchi il senso dell’umorismo. Se non lo avessimo avuto, con quello che abbiamo passato nei secoli, ci saremmo estinte da un pezzo.

Fratello maschio non hai torto a doler ti, incattivito e allarmato perché le donne si sono accorte di esistere. È ancora trop po vicino il tempo in cui anche l’ultimo dei disgraziati aveva potere di vita e di morte sulla moglie. Negli anni ’70, quan do eravamo streghe, per prima cosa ri vendicammo l’orgasmo femminile, quello sconosciuto. Da allora la diffidenza del maschio verso la donna è diventata pa nica. Da allora si sente giudicato, peggio, valutato, a letto - da un essere conformato in modo diversissimo e incapace di capire il peso e il dramma del membro maschile. Non c’è parità, a letto. La donna è in van taggio, ha poco da dimostrare.

Dalla rivendicazione dell’orgasmo, i maschi non si sono ancora ri presi. Quanto ci sono rimasti male! Ancora si vendicano. Ancora ci am mazzano per questo. Il maschio per la prima volta si sentì tirato giù dal trono, e ancora sta ruzzolando. C’era ancora nel codice penale il delitto d’onore - perché le corna femminili sono così gravi? Perché mettono in discussione la virilità del maschio tradito. Maschio non piangere, che ti si sciupa il trucco. Continueremo ad accoglierti come sempre dall’i nizio del mondo, perdonandoci l’un l’altra la colpa di essere umani.

122 23 ottobre 2022 Barbara Alberti Dispetti divini Illustrazione: Ivan
Negli anni ’70, rivendicammo l’orgasmo femminile. Quanto ci sono rimasti male! Furono tirati giù dal trono. Ancora ci ammazzano per questo

Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.