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Cacciari

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immaginare di risolvere il problema della qualità degli apprendimenti futuri dei nostri giovani se, mantenendo la struttura del sistema scolastico esistente, eliminassimo soltanto le bocciature. Un sistema scolastico che sia “ lievito” dei talenti degli studenti e che non trascuri nessuno deve strutturarsi sul piano ordinamentale, organizzativo e didattico in una maniera di-

Sopra: studenti del liceo classico Giulio Cesare di Roma si avviano in classe. A sinistra: una studentessa del liceo scientifico Alessandro Volta di Milano versa dall’attuale. Passare dalla logica del “diplomificio” a un modello di formazione scolastica che privilegi lo sviluppo individualizzato dei talenti e delle corrispondenti competenze». Ecco dov’era finita l’originale di Mariastella Gelmini. Adesso si chiama Giuseppe Valditara. Chissà se la scuola si merita il bis.

TAGLIO ALTO MAURO BIANI

LA SCUOLA DISUGUALE

DISPERSIONE, DIVARIO DI APPRENDIMENTO, COMPETENZE, TAGLI. ECCO PERCHÉ “MERITO” RESTA SOLO UNO SLOGAN DAL SAPORE CONSERVATORE, DICONO STUDENTI E DOCENTI. IL PROBLEMA SONO LE RISORSE DI ANTONIO FRASCHILLA E CHIARA SGRECCIA

La ripresa delle lezioni durante la pandemia di Covid-19, nel liceo Kennedy di Roma

Foto: L. Santini / Contrasto l problema non è la parola «merito», ma i mancati investimenti. Il problema non è un nome aggiunto al ministero, ma la situazione difficile che vive tutto il mondo della scuola dopo anni di riforme e tagli per assunzioni e formazione. Occorrono finanziamenti e cambiamenti strutturali per migliorare la scuola italiana e rendere davvero attuale quella parola tanto cara al nuovo governo: «merito», appunto, una parola che è anche nella Costituzione ma che dovrebbe arrivare alla fine di un percorso che consente a tutti, ricchi e poveri, del Nord o del Sud, di poter accedere alla migliore istruzione. Dagli studenti ai dirigenti scolastici, dai docenti di periferia a quelli dei centri benestanti delle città, tutti chiedono in fondo la stessa cosa al nuovo governo guidato da Giorgia Meloni e dalla destra: investimenti, riforme profonde, e pari opportunità per tutti i bambini e i ragazzi del Paese.

L’Espresso ha ascoltato diverse voci dal mondo della scuola e dell’università per capire quali sono le urgenze dell’istruzione in Italia che il governo dovrebbe affrontare. Il responsabile dell’Associazione nazionale presidi, Antonello Giannelli, ha pronto una sorta di dossier da inviare al neoministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara sulle principali emergenze: «Abbiamo un problema grave che riguarda la dispersione scolastica ovvero il gran numero di alunni che escono dal sistema educativo, prima di conseguire un diploma. Un fenomeno di disagio giovanile al quale si aggiunge anche il problema di trovare lavoro. Poi c’è il tema dei divari di apprendimento nei vari territori. Invalsi ci fa vedere che l’efficienza del sistema educativo è molto differenziata non solo a livello geografico ma, a volte, anche nello stesso istituto scolastico. A questo si aggiunge il problema del basso livello di competenze dei nostri diplomati: cosa questa che, a cascata, si riflette sul prodotto interno lordo. Come affrontare questi problemi enormi? Innanzitutto con maggiori investimenti in personale docente, amministrativo e nell’edilizia scolastica. Riprenderei quindi proprio una frase della presidente del Consiglio Giorgia Meloni detta durante il discorso che ha tenuto alla Camera: l’Italia non è un Paese per giovani. Noi infatti investiamo nella spesa sanitaria, visto che siamo molto anziani, ma diminuiamo ogni anno il budget ri-

servato all’istruzione». Per i dirigenti scola-I stici la parola «merito» non è un problema: «Questa parola è presente nell’articolo 34 della Costituzione, dove si dice che “i capaci e i meritevoli” devono arrivare ai livelli più alti dello studio e lo Stato deve favorire questa dinamica aiutando chi ha minori possibilità. Sarebbe quindi il caso di reintrodurre vere borse di studio, come avviene in diversi Paesi anglosassoni, evitando sistemi elitari. Ma il concetto del merito va poi applicato anche al personale docente e a tutti gli attori che animano la scuola». Ma poi è nelle classi che si vivono i problemi, altro che merito calato dall’alto. Secondo Piero De Luca, preside dell'Istituto comprensivo Sauro Errico Pascoli di Secondigliano, nella periferia di Napoli, «il problema sta nel capire cosa intendono col legare la parola merito all’istruzione»: «La scuola deve dare uguali opportunità a tutti, occupandosi, paradossalmente, proprio di chi potrebbe essere definito come meno meritevole. Parlare di merito fa pensare all’idea di riportare in auge una concezione conservatrice della scuola che ripete negli istituti le logiche classiste che ci sono in società. Invece la scuola, almeno secondo me, dovrebbe essere rivoluzionaria affinché venga rispettato l’articolo 3 della Costituzione secondo cui tutti “hanno pari dignità, senza distinzioni”. Credo che il merito nasconda dentro di sé un’idea dell’istruzione legata a voti, classifiche e graduatorie, tremenda. Come quella messa in atto con le prove Invalsi che hanno lo scopo di identificare scuole di serie A e B. Come se non fosse già chiaro a tutti che i risultati migliori arrivano dalle aree di Paese in cui il benessere è maggiore. Noi che lavoriamo in contesti deprivati dal punto di vista sociale e economico, sappiamo bene Antonio come accrescere l’idea di Fraschilla competizione; qui significa Giornalista far morire la scuola: perché crea frustrazione tra chi ha opportunità diverse e scatena disaffezione tra chi non vede già la scuola di buon occhio. La scuola dovrebbe educare non all’eccellenza Chiara ma alla cittadinanza». Da Sgreccia Secondigliano alle aule del Giornalista centro di Milano, in fon-

do il punto di vista non cambia: «Come docenti abbiamo difficoltà nel valutare con dei numeri la preparazione degli studenti», dice Felice Moramarco, docente di Storia e filosofia al liceo Carlo Tenca. «La scuola degli ultimi anni ha cercato di avere più attenzione al benessere degli studenti. Le condizioni di partenza, il contesto familiare e sociale, oggi sono fattori di cui teniamo conto. Introdurre il concetto neoliberale del merito va nella direzione opposta. Rafforza l’idea falsa secondo cui una persona può farsi da sola. Non è vero, non esiste nessuno che è stato in grado di raggiungere il successo senza il supporto degli altri».

La parola merito comunque non piace non solo ai docenti, ma anche agli studenti: «Di che tipo di merito può farsi portavoce il nuovo ministro Valditara con un sistema scolastico che priva migliaia di studenti dall'accesso al diritto allo studio?», si chiede Daniele Agostini, responsabile scuola Fronte giovani comunisti: «Circa 100 mila persone ogni anno lasciano gli studi e tra le cause principali c’è l’aumento dei costi come il caro libri, trasporti e i contributi scolastici». Aggiunge Tommaso Biancuzzi, rappresentante nazionale della Rete degli studenti medi: «Il merito è un concetto che esclude senza criterio, che non considera il libero sviluppo delle personalità, che si basa sulla competizione sfrenata e non permette di cre-

L’INIZIATIVA

Stefano Disegni ha firmato sei “vignette da completare” sul tema delle disuguaglianze a sostegno della campagna di raccolta fondi “Insieme per la giustizia sociale e ambientale” che il Forum Disuguaglianze e Diversità ha lanciato su Produzioni dal Basso. Terminata lo scorso 20 ottobre, la campagna ha visto la partecipazione di oltre 680 donatori e donatrici e ha raccolto oltre 83.000 euro. La sesta battuta vincitrice è di Maria Teresa Benassi nella vignetta che pubblichiamo qui. Tutte le vignette premiate sono disponibili anche sul sito del Forum Disuguaglianze e Diversità: www.forumdisuguaglianze diversita.org. scere. La scuola che vogliamo è tutto il contrario. Vogliamo una scuola aperta».

Ma una riforma che ha già introdotto certi concetti di «merito», legandoli anche ai finanziamenti da dare agli atenei e provocando fratture sempre più profonde, è quella dell’università. Non a caso qui la richiesta alla neoministra Anna Maria Bernini è unanime: più finanziamenti agli atenei per consentire loro di competere, a Milano come a Palermo. Dice Antonella Polimeni, rettrice de La Sapienza di Roma: «Auspico che il governo presti attenzione ai finanziamenti al sistema di formazione e ricerca che negli ultimi anni hanno avuto un seppur debole incremento e mi auguro che continui perché un Paese che non investe in formazione non investe sul capitale umano. Va respinto comunque con forza alla radice il tema degli atenei di serie A e B, garantendo accesso egualitario a tutti nei nostri atenei. Il dibattito sul merito è vuoto. Dobbiamo garantire invece il diritto allo studio, supportare gli studenti con attività di orientamento fin dalle medie e costruire ponti importanti tra università e mondo del lavoro».

Gli studenti universitari comunque vivono sulla loro pelle le riforme basate su “meriti” delle università fatte dagli ultimi governi, a partire dalla riforma Gelmini. Secondo Camilla Piredda, dell’Udu, l’Unione degli uni-

Studenti in una delle aule dell’Università di Bologna

versitari, «performatività, competitività, individualismo sono stati i filoni che hanno guidato il trattamento dei giovani negli ultimi decenni e le due figure che oggi sono a capo dei ministeri di Istruzione e Università non fanno pensare ad alcun miglioramento. Come possiamo basare ogni scelta che concerne le nuove generazioni sul concetto di merito in un Paese con delle disuguaglianze socioeconomiche che non fanno altro che crescere?». «Il concetto di merito è presente da anni all’interno delle scuole e delle università e infatti ha indebolito il sistema di welfare e piegato il sapere alla certificazione dei crediti: è stato utilizzato anche in chiave ideologica per rafforzare l’idea che tra studenti debba vigere la competizione invece del confronto», spiega Antonio Corlianò dell’associazione studentesca universitaria Cambiare Rotta. «Il merito è stato utilizzato come strumento per smantellare alcune tutele: come la possibilità di accedere alle borse di studio, che sono sempre meno, o di alloggiare nelle residenze universitarie, sempre più in mano ai privati. Oppure come succede nei bandi per la ricerca e per l’accesso nelle università a numero chiuso che danno vita a un sistema di concorrenza sfrenata. La narrazione del “se te lo meriti ce la fai“ porta sempre meno persone a iscriversi all’università».

L’ A P P E L L O SOVRANA È LA COSTITUZIONE

DI Stefano Bonaga

Le elezioni sono una condizione necessaria per qualunque democrazia, ma non una condizione sufficiente. Un caso fra i tanti di Mussolini, Hitler, Ceaucescu, Erdogan, Orban, Putin. La democrazia ha equilibri delicati che richiedono rigore e attenzione. Ad esempio, il primo articolo della nostra Costituzione recita che la sovranità appartiene al popolo, ma vi aggiunge una virgola cui segue la formula: «Che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». Il popolo è dunque assolutamente sovrano solo quando, attraverso l’Assemblea costituente, articola i principi della Costituzione. Qualunque norma esca dalle Assemblee parlamentari pur delegate dai cittadini è, infatti, sottoposta al giudizio degli organi che la garantiscono: il presidente della Repubblica e la Corte costituzionale. Sovrana è in principio la Costituzione, non il popolo. Le recenti elezioni del Senato e della Camera sono formalmente indiscutibili, benché condotte con una legge elettorale pessima, che distorce la rappresentanza. Tuttavia siamo allarmati dal fatto che le due figure di garanzia da poco elette – i presidenti delle due Camere – e quelle di altri ministri appena nominati siano caratterizzate culturalmente da identità che ribadiscono la loro devozione al trinomio “Dio Patria Famiglia”, triste eredità di regimi autoritari come quello di Vichy in Francia durante la seconda guerra mondiale. Questo trinomio è in contrasto con l’articolo 3 della Costituzione. La nostra Costituzione non prevede infatti “Dio, Patria e Famiglia”, ma al contrario garantisce la pari dignità di ogni cittadino indipendentemente dal sesso, dalla razza e dalla religione e dunque implica il rispetto di una pluralità di dei, di patrie e di famiglie. Come cittadini di questa Repubblica che hanno a cuore la Norma costituzionale fondativa e che sono quotidianamente impegnati sul fronte della formazione, della ricerca artistica e dell’elaborazione culturale e scientifica riteniamo nostro dovere segnalare all’attenzione della pubblica opinione la minaccia rappresentata da questa parola d’ordine, che nel nostro recente passato ha fatto da bandiera alle più infami avventure totalitarie (dal fascismo al franchismo, dal nazismo al putinismo), anche se naturalmente altre avventure simili – come nel caso dello stalinismo – si sono sviluppate senza utilizzo di tale trinomio. Oggi i diritti garantiti dalla Costituzione sono ancora tutelati, ma i timori di un loro indebolimento sono ragionevolmente fondati. Stefano Bonaga, Rocco Ronchi, Piergiorgio Ardeni, Alessandro Bergonzoni, Antonio Caprarica, Maurizio Ferraris, Massimo Fusillo, Nicola Lacetera, Piero Maranghi, Riccardo Manzotti, Pietro Marcello, Ivano Marescotti, Piergiorgio Odifreddi, Moni Ovadia, Leonardo Piccinini, Pif, Daniela Ranieri, Andrea Roventini, Elena Stancanelli, Fabrizio Tonello, Emanuele Trevi, Ornella Vanoni, Giovanni Veronesi, Sandro Veronesi, Giancarlo Vitali L’appello può essere sottoscritto attraverso i commenti sulla pagina Facebook “Insonnia della ragione”: https://www.facebook.com/insonniadellaragione

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