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Ripresa in appalto Gianfrancesco Turano 36 Pensionata mai Gloria Riva

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P E N S I O N ATA M A I

ra quindici giorni il governo

TMeloni dovrà inviare a Bruxelles la legge di bilancio 2023 che, oltre ai complicati dossier su caro energia e inflazione, dovrà anche affrontare il nodo pensioni, come ha annunciato la neopresidente del Consiglio nel suo discorso alla Camera. «Intendiamo facilitare la flessibilità in uscita». Spetterà al ministro del Lavoro, Marina Calderone, già presidente dei Consulenti del Lavoro, e a quello dell’Economia, il leghista Giancarlo Giorgetti, trovare una aderito percepisce meno di mille euro lordi al mese e, più in soluzione economicamente sostenibile senza scontentare generale, l’importo medio delle loro pensioni è di 1.073 euil suo elettorato. ro per le dipendenti e 805 euro per le autonome, con una

Senza indugio, la Lega vorrebbe inserire in finanziaria decurtazione del 32 per cento dell’assegno. Quota 41, cioè l’uscita con 41 anni di contributi al di là Nei calcoli fatti mesi fa dalla Fondazione dei consulenti del dell’età anagrafica. Una misura cara a Salvini che sta dre- lavoro, di cui l’attuale ministro del lavoro era presidente, la nando 23,2 miliardi alle casse pubbliche e, se estesa al 2023, Quota Flessibile avrebbe consentito l’uscita anticipata di circomporterebbe un ulteriore aggravio di cinque miliardi. ca 470 mila persone, con l’obiettivo di incentivare il ricambio Con il sistema delle Quote sono andati in pensione 380mila occupazionale, senza tuttavia gravare sui conti pubblici gralavoratori, mentre la stima della Ragioneria di Stato era di zie al ricalcolo della pensione con il metodo contributivo. 990mila uscite. Tesi che si scontra con i dati della Corte dei Conti, secondo

Il ministro Calderone intende invece creare una “Quota cui il tasso di sostituzione di Quota Cento è del 40 per cento, flessibile” a partire dai 58 anni di età tenendo fermo il re- ovvero meno di un nuovo assunto ogni due pensionati. E si quisito minimo di contributi a 35 anni e ricalcolando l’inte- scontra anche con i bassissimi tassi occuparo assegno con il sistema contributivo. Il modello Caldero- zionali italiani certificati dall’Ocse: siamo ne, sposato da Meloni, è simile all’attuale Opzione Donna, ultimi in Europa al 60,3 per cento di popolache è tutto fuorché una proposta allettante per le lavoratri- zione occupata, scavalcati da Romania, Bulci. Infatti chi la sceglie deve accettare il ricalcolo della quo- garia e persino dalla Grecia che ha un livello ta retributiva (basata sulla retribuzione e non sull’ammon- di occupazione del 61,5 per cento, mentre la tare dei contributi versati) con il metodo contributivo. Le media europea è del 69,8. Il tema, dunque, pensioni retributive sono più vantaggiose di quelle contri- non è mandare i sessantenni in pensione, butive e per questo nel 2021 solo 15 mila donne hanno quanto incentivarli a restare al lavoro e fare sfruttato Opzione Donna. Oggi il 48 per cento di chi vi ha altrettanto per attivare donne e giovani.

IL GOVERNO VUOLE RIFORMARE LE PENSIONI PER FACILITARE LE USCITE ANTICIPATE. MA NON PENSA A CHI È VERAMENTE PENALIZZATO DAL SISTEMA: LE DONNE E I GIOVANI DI GLORIA RIVA INFOGRAFICA DI PAULA SIMONETTI Gloria Riva Giornalista

A tal proposito, nel rapporto annuale presentato a luglio dall’Inps si spiega che «i pensionati uomini incassano seimila euro più delle donne per tre motivi: le donne hanno salari inferiori del 17 per cento; sono occupate part-time e hanno il 25 per cento in meno di anzianità contributiva», dice l’Inps, che in sostanza fa notare come le carriere delle donne siano più fragili, discontinue e meno remunerate di quelle dei maschi. «Tra i fattori a cui è riconducibile il “gender pay gap” c’è la diffusione dei contratti a tempo determinato (pagati il 30 per cento in meno di quelli a tempo indeterminato) e, per quanto riguarda le ore retribuite nell’anno, la differenza è di oltre il 15 per cento, con i maschi che lavorano 300 ore più delle femmine», scrive l’Inps. Salari bassi per l’ente previdenziale significano meno entrate correnti e quindi meno liquidità per pagare le pensioni attuali, mentre per le lavoratrici vuol dire future pensioni da fame.

Sul fronte pensionistico è Ezio Cigna, responsabile delle politiche previdenziali della Cgil, che all’Espresso spiega come una delle problematiche maggiori per le donne è riuscire a raggiungere i requisiti minimi di pensionamento, soprattutto perché la Riforma Fornero prevede una soglia minima di ingresso per coloro che hanno cominciato a lavorare dopo il 1995. Chi ha compiuto 66 anni può andare in pensione, ma solo se ha almeno 20 anni di contributi e un assegno da 1.310 euro, cioè 2,8 volte l’importo dell’assegno sociale. Altrimenti, come in un gioco dell’oca, quella persona deve attendere i 67 anni e deve parallelamente avere un assegno pensionistico di almeno 1,5 volte l’assegno sociale, cioè 710 euro. Se anche in questo caso il lavoratore non raggiunge quella soglia, dovrà attendere i 71 anni. «Assurdamente, potremmo trovarci di fronte a due lavoratori, entrambi di 64 anni, lui un manager con 20 anni di contribuzione, ma una retribuzione di quattromila euro, lei una dipendente part time con 40 anni di contributi, ma uno stipendio da 650 euro. Con gli attuali requisiti il primo potrà accedere al pensionamento subito perché ha perfezionato una pensione di 1.320 euro. L’altra non potrà andare in pensione perché il suo importo maturato è di 360 euro. Non potrà accedere neppure a 67 anni e sarà costretta a lavorare altri quattro anni, per un vitalizio di soli 430 euro», e non si tratta di un caso limite.

A sostenerlo è Michele Raitano, economista dell’Università La Sapienza di Roma, che mette in evidenza la seconda grana pensionistica, ovvero le carriere discontinue e i bassi salari degli italiani. La vera bomba sociale non sono gli attuali sessantenni che lottano per Quota 100, bensì i trentenni e quarantenni precari, freelance, professionisti, dipendenti con il contratto a termine che in comune hanno gli scarsi versamenti contributivi. Raitano spiega che la metà degli under 40 percepisce redditi inferiori ai mille euro al mese e, per via del sistema contributivo, a partire dal 2035 le loro pensioni saranno altrettanto misere. «L’analisi di chi è entra-

PER LE LAVORATRICI È ESTREMAMENTE DIFFICILE RAGGIUNGERE I REQUISITI MINIMI PER ANDARE A RIPOSO CON UN ASSEGNO DECENTE. OPZIONE DONNA NON CONVIENE: POCHISSIME HANNO ADERITO to nel mondo del lavoro nel 1996 e ha lavorato per 20 anni mostra un quadro di diffusa fragilità. Complessivamente, infatti, il 50 per cento ha trascorso almeno 10 anni come working poor e poco più della metà ha almeno 16 anni di contribuzione totale utile ai fini pensionistici. Inoltre, solo il 35 per cento di queste persone - 25,8 per cento fra le donne, 40,8 per cento fra gli uomini - ha accumulato almeno 20mila euro lordi l’anno», snocciola dati preoccupanti l’economista, che aggiunge: «Più del 38 per cento di questa popolazione ha accumulato meno di mille euro al mese ed è quindi a forte rischio di povertà da pensione futura», e ovviamente le più colpite sono proprio le donne. Il “gender pay gap” sommato al precariato giovanile porta dritti dritti al terzo problema che il neoministro Calderone non potrà non affrontare - nonostante di questi temi non ci sia traccia nei programmi elettorali di FdI, Lega e Fi - ovvero la sostenibilità dell’Inps. L’ente, sulla base dei flussi contabili di entrata e uscita, mostra un saldo negativo da qui al 2029 per un totale di 92 miliardi, sia perché le pensioni liquidate

La ministra del Lavoro Marina Elvira Calderone. A sinistra: l’agenzia del Lavoro di Milano

sono più onerose dei versamenti dei lavoratori, sia perché il patrimonio dell’ente dall’anno scorso si è azzerato. A pesare sono soprattutto i conti di alcune casse, come quella dei lavoratori autonomi, dei lavoratori pubblici, dei giornalisti, dove l’elevato numero di pensionati e le relative corpose pensioni, non è compensato dall’esiguo numero di nuovi assunti e con bassi salari. «Solo migliorando i modelli di produzione del reddito si potrà garantire il patto intergenerazionale e adeguati livelli di finanziamento dello stato sociale», avverte l’Inps nel suo rapporto annuale, per poi chiarire: «Non è in discussione la stabilità dell’Inps, che gode della più ampia garanzia, quella del Bilancio dello Stato». Detto altrimenti, a pagare le pensioni ci pensa lo Stato, che s’accollerà i 92 miliardi delle pensioni, accumulando quindi altro debito pubblico, come se non ne avesse già abbastanza di suo.

Pochi giorni prima della nascita del governo Meloni, all’Inps si erano riuniti tecnici ed economisti per cercare di rendere strutturale una misura di flessibilità in uscita e superare così l’urgenza di porre ogni anno una toppa agli stringenti vincoli di uscita della riforma Fornero. L’ipotesi più realista sul tavolo è stata quella di concedere un’uscita anticipata di non più di quattro o cinque anni, ma con una decurtazione del tre per cento l’anno per la quota retributiva. Questo avrebbe consentito di non aggravare i conti pubblici e spostare il dibattito sui veri problemi previdenziali, ovvero donne, giovani e sostenibilità dei conti. Invece il governo, al massimo, metterà l’ennesima toppa per evitare che dal primo gennaio si innalzi a 67 anni l’età per andare alla pensione. Ma la Cgil tiene il punto: «Senza contrastare la precarietà e perseguire la piena e buona occupazione, pagata il giusto, gli assegni previdenziali continueranno a ridursi. Un'altra piaga da combattere è il lavoro nero, che non prevede alcun versamento contributivo», dice Christian Ferrari, della segreteria nazionale Cgil, che continua: «Nel frattempo, serve una riforma che garantisca a giovani e donne una pensione dignitosa, attraverso la pensione contributiva di garanzia e il riconoscimento del lavoro di cura. È poi necessaria la valorizzazione dei lavori gravosi, perché non tutti i lavori sono uguali e così le aspettative di vita. Una cosa è certa, non è accettabile il ritorno a pieno regime della Fornero. Va garantita una giusta flessibilità in uscita». La priorità, secondo Raitano, è la creazione di una pensione di garanzia per coprire i buchi pensionistici: «Un fondo di copertura per i mesi di mancata contribuzione che, nell’immediato, non costerebbe nulla, perché entrerebbe in funzione dal 2035, cioè da quando queste persone cominceranno ad andare in pensione. Il vantaggio sarebbe quello di ridurre il lavoro nero e incentivare i giovani a cercare un’occupazione regolare, stimolati dalla possibilità di avere una pensione superiore all’assegno minimo». Si dovrà anche iniziare a discutere su come in futuro s’intende finanziare l’Inps, visto che i lavoratori sono sempre meno. A tal proposito si fa strada l’ipotesi di tassare gli extraprofitti di multinazionali e big company che fanno affari d’oro pur avendo pochi dipendenti. Una bella idea di redistribuzione del reddito, che non sembra essere all’ordine del giorno per un governo di destra, come quello Meloni.

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