10 minute read

Tre bombe a orologeria sul futuro della Sanità Ivan Cavicchi

Next Article
Cacciari

Cacciari

di IVAN CAVICCHI Tre b om b e a or o l og eri a su l futur o d el l a S anit à

Il nuovo ministro della Salute, il professor Orazio Schillaci, riceve in eredità da chi l’ ha preceduto una situazione oggettivamente a dir poco preoccupante.

Il sistema sanitario pubblico, soprattutto dopo la pandemia, è sempre più vistosamente regrediente, fiaccato da vistose carenze di personale e da innegabili disfunzioni del sistema di servizi. La sua privatizzazione continua a crescere in ogni modo, ma quel che è peggio il diritto alla salute dell’art. 32, ormai soprattutto dopo le controriforme degli anni 90 mai corrette, non è più un diritto fondamentale ma un diritto relativo e subordinabile. Nello stesso tempo oggi il ministro Schillaci eredita dal predecessore Roberto Speranza un Pnrr (missione 6 ) a dir poco preoccupante, cioè pieno di bombe “retard”, che se non disinnescate per tempo possono causare grandi danni a tutti. La prima bomba riguarda i medici di medicina generale. Speranza, a forza di dare il contentino a tutti, ha fatto un enorme pasticcio. Di fatto ha controriformato le cosiddette cure primarie spostandole almeno per metà nelle case di comunità che sono tutto meno che servizi di prossimità. Per obbligare i medici di medicina generale a lavorare in queste “case”, Speranza di fatto li ha segati in due: una metà continua a lavorare negli studi privati come liberi professionisti e una metà lavora nelle “case” come dipendenti. Già prima, poveracci, i cittadini si lamentavano e anche molto dei medici di medicina generale: figurarsi ora. A Speranza non è venuto in mente che anziché far girare i cittadini come trottole, avrebbe potuto negoziare con i medici una convenzione semplicemente più adeguata alle loro necessità .

La seconda bomba “retard” sono gli ospedali. La scelta di Speranza è stata quella di confermare i parametri di organizzazione degli ospedali definiti nel 2015 (DM 70). Cioè prima della pandemia. Per rendersi conto dell’inadeguatezza di questi parametri, a parte confrontare i nostri standard smaccatamente al di sotto di quelli europei, è sufficiente andare in qualsiasi ospedale, contare i posti letto disponibili e contare i malati da ricoverare e parcheggiati nei pronto soccorso. Non solo si scoprirà che i malati sono più dei letti disponibili nei reparti, ma soprattutto ci si renderà conto dello stato precario in cui si trovano i reparti e i loro organigrammi. Forse si è esagerato un po’ troppo con la deospedalizzazione. Oggi serve urgentemente correre ai ripari. La terza bomba “retard” riguarda soprattutto i sistemi di prevenzione necessari per tutelare le nostre popolazioni. L’eredità di Speranza è inquietante. Pur potendo, grazie alle recenti modifiche costituzionali, integrare le politiche di prevenzione sanitaria con quelle ambientali ha mantenuto i vecchi dipartimenti di prevenzione, mantenendo la vecchia dicotomia sanità-ambiente. Per cui, nonostante la solfa “one health” oggi molto di moda, dopo circa 200 mila morti, abbiamo le agenzie per l’ambiente da una parte e i dipartimenti di prevenzione dall’altra. Cioè Speranza si è guardato bene da mettere in atto una svolta riformatrice. Oggi solo se produciamo salute mettiamo in sicurezza l’economia e allo stesso tempo risolviamo la questione della sostenibilità finanziaria della sanità pubblica. Il punto è come si produce salute oggi. A questa domanda Speranza non dà proprio risposte. Il Pnrr lasciato in eredità al ministro Schillaci per la Sanità vale 20 miliardi. Soldi che però a causa delle soluzioni sbagliate di Speranza rischiamo di buttare alle ortiche. Non si dimentichi poi che per la Sanità le previsioni di spesa definite con la nota al Def del precedente governo sono tutt’altro che generose e che le regioni chiedono a gran voce di rivedere i fabbisogni programmati anche alla luce della crescita dei costi del sistema. Ho l’impressione che il ministro Schillaci sia chiamato a misurarsi con scelte delicate difficili e complesse e che i cittadini presto ne faranno empiricamente la sua conoscenza diretta. Vedremo.

Medicina generale, ospedali e prevenzione. Grossi nodi da sciogliere che il nuovo governo riceve in eredità. E che deve risolvere usando bene i finanziamenti del Pnrr

CLIMA

INVERTIRE LA ROTTA DI VITTORIO MALAGUTTI olete misurare la distanza tra la realtà del V cambiamento climatico e la sua percezione da parte della classe dirigente del mondo? Basta leggere l’ultimo comunicato dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (Aie) che aggiorna i dati delle emissioni di gas serra su scala globale. «Quest’anno la quantità di anidride carbonica diffusa nell’atmosfera per effetto dell’uso di combustibili fossili aumenterà solo dell’1 per cento rispetto al 2021», recita la nota stampa diffusa il 19 ottobre scorso dall’organizzazione nata per coordinare le politiche energetiche dei maggiori Paesi industrializzati, Italia compresa. Il tono è soddisfatto: un risultato «molto migliore rispetto alle previsioni», si legge. E, in effetti, i numeri sembrano incoraggianti, ma purtroppo non c’è nulla da festeggiare. Il mondo si trova drammaticamente in ritardo nella corsa a mantenere gli impegni di riduzione del riscaldamento globale fissati dagli Accordi di Parigi del 2015. Le emissioni di CO2 dovrebbero essere tagliate del 45 per cento entro il 2030 per poter sperare di limitare l’aumento delle temperature in questo secolo entro 1,5 gradi rispetto ai livelli preindustriali, come previsto dall’intesa sottoscritta da 195 Paesi al termine della conferenza sul clima di sette anni fa. E invece, secondo l’ultimo rapporto ambientale dell’Onu, continuando di questo passo l’anidride carbonica prodotta dall’attività umana nel 2030 sarà aumentata del 16 per cento in confronto al 2010. Per tentare di invertire la rotta, migliaia di delegati dei governi di tutto il mondo, delle agenzie internazionali e dei movimenti ambientalisti si incontreranno a Sharm el-Sheikh, in Egitto, per due settimane a partire da domenica 6 novembre. La ventisettesima Conferenza delVittorio le Parti, meglio nota come Cop 27, non poMalagutti trebbe cadere in un periodo peggiore. PriGiornalista ma la pandemia e poi l’aggressione russa

Un vigile del fuoco al lavoro in California dopo uno degli incendi della scorsa estate

perdollaro e dell’impennata dei tassi d’interesse, e con crescenti difficoltà nei rifornimenti alimentari. I Paesi ricchi, invece, in primo luogo l’Europa, devono affrontare i rischi di un’imminente recessione associata a un’inflazione mai così elevata da oltre 40 anni, a causa soprattutto dell’aumento esponenziale dei prezzi dell’energia. Per far fronte al taglio delle forniture di gas decise da Mosca, i governi del Vecchio Continente hanno accelerato la transizione verso fonti rinnovabili come il solare e l’eolico, ma allo stesso tempo sono tornati a investire sul carbone, il più inquinante dei combustibili fossili. Ben diverse erano le premesse con cui un anno fa si è aperta la Conferenza mondiale sul clima di Glasgow, la Cop 26, che nelle attese di tutta la comunità internazionale avrebbe dovuto rilanciare la lotta al cambiamento climatico su scala globale dopo la sosta forzata dovuta alla pandemia. Il ritorno degli Stati Uniti al tavolo negoziale, da cui si erano ritirati negli anni della presidenza di Donald Trump, aveva rafforzato le speranze di una svolta, di un salto di qualità nella ricorsa degli ambiziosi obiettivi sottoscritti a Parigi nel 2015. Il documento finale della conferenza aveva per la prima volta messo nero su bianco l’impegno comune a tagliare del 45 per cento le emissioni di gas serra entro il 2030, anche eliminando gradualmente l’uso del carbone. «Si poteva fare di più», commentarono all’epoca i movimenti ambientalisti e molti governi, soprattutto in Europa. A dodici mesi di distanza, però, anche quegli obiettivi minimi stabiliti nel cosiddetto Patto di Glasgow, sembrano sempre più difficili da raggiungere. La tabella di marcia per ridurre la dipendenza dei combustibili fossili, frutto di laboriosi negoziati e inevitabili compromessi al ribasso, ora appare fin troppo ambiziosa, proiettata com’è in un contesto di crisi globale in cui più che mai prevalgono gli egoismi nazionali sulla collaborazione per far fronte a una minaccia comune come quella dei cambiamenti climatici. «Ma non ci sono alternative», sottolinea Mariagrazia Midulla, all’Ucraina hanno innescato una serie di crisi che hanno finito col EMISSIONI AL TOP. TEMPERATURE MAI minare seriamente ogni prospettiva di cooperazione internazionale. Da mesi ormai la COSÌ ALTE. E ORA IL VERTICE COP 27 minaccia del clima impazzito sembra pas- DOVRÀ RILANCIARE LA COOPERAZIONE sata in secondo piano a livello globale. «Stiamo andando nella direzione sba- PER SALVARE IL PIANETA. MA IL gliata», avverte l’Organizzazione meteorologica mondiale, in uno studio pubblicato a GOVERNO ITALIANO HA ALTRE PRIORITÀ metà settembre in cui si legge che senza correzioni delle politiche energetiche a livello mondiale a responsabile energia e clima di Wwf. «Tutti i governi - spiefine secolo l’aumento della temperatura media rispetto ga Midulla - hanno compreso che l’unico orizzonte possibiall’epoca preindustriale toccherà i 2,8 gradi. Questo signi- le è quello della transizione energetica e quindi anche nella fica che gli eventi climatici estremi, alluvioni, siccità, on- prossima conferenza i negoziati andranno nella direzione date di calore sono destinati ad aumentare ancora, con di rafforzare l’impegno per contrastare l’aumento delle perdite sempre più pesanti in termini di vite umane e di temperature». danni materiali. Intanto, però, la metà più povera del Il tempo stringe. Il riscaldamento globale, con il suo carimondo combatte con i debiti in aumento, effetto del su- co di disastri naturali, corre molto più veloce dell’azione

politica dei governi. È poi molto probabile che a Sharm el-Sheik il fronte dei Paesi in via di sviluppo porrà di nuovo con forza la questione dei finanziamenti per il clima. E cioè risorse per centinaia di miliardi di dollari indispensabili non solo a sostenere il passaggio verso fonti rinnovabili, ma soprattutto a rifondere i danni provocati dal riscaldamento globale, che ha effetti particolarmente gravi in zone del mondo già afflitte da una povertà estrema.

I Paesi ricchi, di gran lunga i maggiori responsabili dell’accumulo dei gas serra, non hanno fin qui neppure mantenuto l’impegno a sovvenzionare le nazioni più povere con 100 miliardi di dollari l’anno destinati a progetti per la mitigazione del cambiamento climatico. Anche in questo caso hanno finora prevalso gli stessi egoismi nazionali con cui deve fare i conti l’Unione Europea, terzo produttore mondiale di CO2 dopo Cina e Usa. In maggio Bruxelles ha approvato il RePowerEu, un programma d’azione che ha l’obiettivo dichiarato di eliminare la dipendenza dalle forniture russe e punta a rilanciare la transizione energetica fissando obiettivi ancora più ambiziosi negli investimenti in fonti rinnovabili. Allo stesso tempo, però, i 27 Paesi Ue faticano a trovare una politica comune sul gas e ciascuno, a cominciare dall’Italia, nei mesi scorsi è andato per la sua strada alla ricerca di nuove fonti di approvvigionamento.

«Se davvero vogliamo liberarci il più rapidamente possibile della dipendenza dai combustibili fossili - ammonisce Luca Bergamaschi, direttore esecutivo del think tank ambientalista - Ecco, non possiamo limitarci a sostituire il gas di Mosca con altro gas comprato altrove». L’Italia, in particolare, si presenta all’appuntamento di Sharm el-Sheik con un nuovo governo che, come primo atto formale, ha cambiato nome al Ministero della Transizione Ecologica. Il Mite torna a chiamarsi Ministero dell’Ambiente con l’aggiunta della Sicurezza Energetica. Un’indicazione chiara di quali siano le priorità della coalizione di centrodestra per il dicastero affidato al berlusconiano Gilberto Pichetto Fratin.

A sole due settimane dalla nomina, il nuovo ministro sarà chiamato a presentarsi sulla scena mondiale e, perdipiù, come ospite di un Paese, l’Egitto, con cui i rapporti diplomatici sono da tempo a dir poco accidentati per via dei casi di Giulio Regeni e poi di Patrick Zaki. Lo stesso Egitto, peraltro, che grazie all’Eni si prepara ad aumentare di molto le sue forniture di gas all’Italia.

Nei negoziati sull’energia in sede Ue, Pichetto sarà affian-

UN PIANETA SEMPRE PIÙ CALDO (anomalie di temperatura rispetto alla media 1900-2000 per gennaio-settembre) 1.00 0.80 0.60 0.40 0.20 0.00 -0.20 -0.40 -0.60 1880 1890 1900 1910 1920 1930 1940 1950 1960 1970 1980 1990 2000 2010 2020 GAS SERRA AL TOP (dati in miliardi di tonnellate di CO2) 51,3 50 40 30 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 2019 2020 2021 cato dal suo predecessore al Mite, Roberto Cingolani, come è successo all’ultimo vertice di Lussemburgo di martedì 25 ottobre. A Sharm invece il ministro esordiente sarà probabilmente accompagnato da Alessandro Modiano, un diplomatico di carriera, senza esperienza in tema ambientale, a cui il governo Draghi ha assegnato l’enfatico titolo di “Inviato Speciale per il Cambiamento climatico”. Una nomina, decisa nel gennaio scorso, che Cingolani condivise con l’allora titolare degli Esteri, Luigi Di Maio. Modiano deve aver lavorato molto dietro le quinte, perché dal giorno della sua promozione non si è più avuta notizia di lui. La coppia Modiano-Pichetto adesso è in partenza per la Cop 27. Intanto, lunedì 24 ottobre, il ministro ha approfittato della sua prima uscita ufficiale per dichiararsi favorevole alla sperimentazione sul nucleare di ultima generazione e al rilancio delle trivellazioni in Italia alla ricerca di gas. Neppure una parola, per ora, su clima e rinnovabili. Questione di priorità.

This article is from: