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IL NOME SULLA BICI

La fine dell’estate ci ha consegnato un’esperienza bellissima, a suggello di un anno di sempre più solida consapevolezza dell’importanza che ha la ciclabilità contemporanea in tutte le sue declinazioni. Parlo dell’Italian bike festival fortemente voluto e genialmente trasferito dalla seducente ma ‘inadatta’ Rimini all’autodromo Marco Simoncelli di Misano. Il tutto grazie alla coraggiosa intuizione di tre giovani imprenditori – Francesco Ferrario, Lucrezia Sacchi e Fabrizio Ravasio –che hanno fiutato e addirittura anticipato la direzione del vento e di fatto si sono sostituiti alle colpevoli e anacronistiche lacune di quello che resta di Eicma (dove la C di ciclo è diventata una presenza senza più alcuna aderenza alla realtà). In tre giorni, ad appena una settimana dalla tappa del motomondiale (a proposito di intelligenti connessioni fra le due ruote) oltre 40mila visitatori si sono riversati nei grandi spazi dell’impianto romagnolo, per la loro gioia (visto che hanno potuto provare tutto quello che desideravano sulla pista e sullo sterrato che divide le lingue d’asfalto) e per quella dei 500 marchi presenti e soddisfatti.

Più che un festival, una vera e propria festa, benedetta da un sole complice e assolutamente generoso. Per chi ama la bici e tutto ciò che rappresenta è stata una beatitudine svolazzare fra un padiglione e l’altro, ritrovando nomi storici e nuovi amici, solide certezze e ghiotte novità.

Non se abbiano a male gli altri… 498 espositori, ma ci sono due stand in particolare nei quali ho ritrovato il calore di una caratteristica che ha sempre contraddistinto il procedere dell’industria ciclistica nel nostro Paese: e cioè il nome di famiglia impresso sul prodotto.

Una volta, ovviamente, era abitualmente così: poi arrivarono le sigle di fantasia e poi, pur conservando la firma, le inevitabili cessioni a holding straniere. Ma entrare in ‘casa’ De Rosa e incontrare Cristiano (oltretutto coi suoi tre figli) ed entrare in quel pezzo di Sicilia griffato Lombardo e incontrare Emilio mi ha fatto sentire felice di amare questo mondo. Due aziende diverse (anche se coetanee), due storie certamente differenti, due prospettive distinte: ma lo stesso unico amore.

E poi quel marchio sul telaio che corrisponde all’entusiasmo di due querce

– Ugo De Rosa e Gaspare Lombardo – che parte dal passato, ma guarda al futuro: con una freschezza che solo chi sa pedalare col vento in faccia può capire e far capire.

7 EDITORIALE

ARIA APERTA

UOMO

/ FRANCESCA CAZZANIGA

DI UNA GRANDE STORIA

/ MARZIA PAPAGNA

CUSTODITA di / MARZIA PAPAGNA /

PEDALANDO TRA LE ACQUE di / ENRICO SALVI /

LA CASA DELLA BICICLETTA di / ENRICO SALVI /

DOVE TUTTI SONO CAMPIONI di / PIETRO PISANESCHI /

IL CUORE RURALE DELLA PUGLIA di / MARZIA PAPAGNA /

STUPEFATTI DAL GIGANTE di / LUCA GREGORIO / 74

MISSIONE MONDIALE di / ENRICO SALVI / 76

LA NEMESI DI BARTALI di / MARCO PASQUINI /

PEDALANDO IN SICUREZZA

IL VALORE DELL’ATTESA di / MASSIMO BOGLIA /

NON TUTTO È PERDUTO di / FEDERICO BALCONI /

DUE RUOTE, DUE PIANI di / FULVIO DI GIUSEPPE /

UNA TASK FORCE PER TRASFORMARE IDEE IN CHILOMETRI VERI di / FULVIO DI GIUSEPPE /

8 AUTUMN SOMMARIO EDITORIALE IL NOME SULLA BICI di / MARINO BARTOLETTI / 5 | COME GIRA LA RUOTA | SMART LEADERSHIP IL COMPLESSO DELLE DUE RUOTE di / GIOVANNI IOZZIA / 11 L’ESPERTO NON C’È SOSTENIBILITÀ SENZA RESPONSABILITÀ di / RAFFAELE FEDELE / 13 DUE NEWSLETTER, UNA SOLA PASSIONE di / MATTEO RIGAMONTI / 14 | RUNNER. NOTIZIE E CURIOSITÀ | 17 | COVER STORY | UNA SPINTA A CHI PEDALA IN SALITA di / MARINO BARTOLETTI / 26 | FOCUS | NEL NOME DELLA ROSA di / ROLANDO LIMA / 34 EMOZIONI IN DISCESA di / MATTEO RIGAMONTI / 38 NUOVE SFIDE A PIENI GIRI di / MATTEO RIGAMONTI / 42 ENERGIA MINEIRA di / SIMONA ALTIERO / 44 FENOMENI AZZURRI di / SIMONA ALTIERO / 45 LA FORZA DI RICOMINCIARE di / LEONARDO SERRA / 46 RINASCERE FUORI STRADA di / LUCA GREGORIO / 48 | ALL’
| INNANZITUTTO
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84 | CITTÀ IN MOVIMENTO |
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SOMMARIO

ORIZZONTE 2035 di / GIOVANNI IOZZIA / 92

CARGO MADE IN ITALY di / MARZIA PAPAGNA /

L’ARTE DEL MOBILITY MANAGER di / GIOVANNI IOZZIA /

| CICLO ECONOMICO |

FACCE DA ITALIAN BIKE FESTIVAL di / ROLANDO LIMA /

GRAVELLANDO ALLA FESTA DEL CIOCCOLATO di / ROLANDO LIMA /

TRAZIONE OPEN-SOURCE di / GIOVANNI IOZZIA /

SHARING A TRE RUOTE di / MARZIA PAPAGNA /

L’ASSISTITA CHE NON CONSUMA di / MARZIA PAPAGNA /

Contributors

BIKE Smart Mobility Anno 3 / N°10 / Autumn Ottobre-Dicembre 2022

Trimestrale per vivere in movimento. Registrazione al Tribunale di Milano: il 24/06/2020 al numero 58.

Editore BFC Media Spa Via Melchiorre Gioia, 55 – 20124 Milano Tel. (+39) 02.30.32.11.1 info@bfcmedia.com

Presidente Denis Masetti

Amministratore delegato Marco Forlani

Direttore responsabile Alessandro Rossi

Direttore editoriale Marino Bartoletti

Video content editor Valerio Gallorini

Smart mobility specialist Giovanni Iozzia

Coordinamento redazionale Matteo Rigamonti rigamonti@bfcmedia.com

Cycling writers Filippo Cauz, Luca Gregorio

| BIKE LIFE |

IN MONTAGNA CON HERVÉ di / MATTEO RIGAMONTI / 114

COGLIENDO L’ATTIMO di / LEONARDO SERRA /

IRIDE SU TELA di / ROLANDO LIMA /

MA CHE TEMPO FA di / ALESSIA BALLAN / 122

LEGGERE SUI PEDALI di / FILIPPO CAUZ /

BIKE PLAYLIST GIOIA A PEDALI di / LUCA GREGORIO /

IL CICLISMO TI RENDE MAGRO ARRIVEDERCI, NON ADDIO di / RICCARDO MAGRINI /

Art director Marco Tonelli

Impaginazione rustbeltgarage@gmail.com

Project manager Alberto Brioschi brioschi@bfcmedia.com

Emanuele Cordano cordano@bfcmedia.com

Marketing Marco Bartolini bartolini@bfcmedia.com

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Il costo di ciascun arretrato è di 10,00 euro.

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Foto di Copertina Pier Maulini (Per gentile concessione della Fondazione Ambrogio Molteni)

Simona Altiero, Federico Balconi, Alessia Bellan, Massimo Boglia, Francesca Cazzaniga, Fulvio Di Giuseppe, Rolando Lima, Riccardo Magrini, Marzia Papagna, Marco Pasquini, Pietro Pisaneschi, Enrico Salvi, Leonardo Serra
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IL COMPLESSO DELLE DUE RUOTE

Mentre a Roma approvano il Piano generale della mobilità ciclistica urbana ed extraurbana 2022-2024, a Treviso non si riesce a incentivare economicamente l’uso della bici per andare al lavoro per un lacciuolo fiscale. Nel mondo sempre più complesso anche sul fronte della mobilità sostenibile i risultati arrivano a fatica senza una visione d’insieme e un’azione forte, decisa e convinta.

L’approvazione del Piano del ministero è senza dubbio una buona notizia perché si è messo nero su banco che cosa fare per affrontare la salita che dovrebbe avvicinarci almeno alla media europea. Nella classifica mondiale delle 90 città più a misura di due ruote (Global bicycle cities index 2022) le prime nove sono in Europa, ma l'Italia è assente: Milano è al 65° posto, Roma al 70°. Eurobarometer ci ricorda che solo il 4% degli italiani usa ancora la bici per spostarsi contro il 41% dei Paesi Bassi.

Siamo quindi un Paese ad altissimo potenziale. La mobilità dolce va però individuata come un obiettivo strategico (per ragioni ambientali, di risparmio energetico, di vivibilità delle città) e va presa molto bene la mira. Fino a farsi venire il ‘complesso delle due ruote’, una vera e propria ossessione che faccia fare gesti forti, capaci di incoraggiare e sostenere chi si decide a sposare la mobilità dolce. Solo qualche esempio che ci arriva dall’Europa: a Parigi chi decide di lasciare l’auto per una e-bike può chiedere un incentivo di 4mila euro. E questo è un fatto concreto. D’accordo, ma come faccio con la spesa? A Vienna il Comune prevede un contributo fino a mille euro per l’acquisto di una e-bike dove si possono caricare fino a 350 chili, una libreria dell’Ikea e ancora altro.

Che cosa accade invece a Treviso? Un’azienda prende l’iniziativa per ricompensare simbolicamente chi usa la bici (o i mezzi pubblici o il car pooling) per andare al lavoro, aderiscono circa venti comuni della provincia e diverse associazioni di categoria. Ma da mesi l’iniziativa è bloccata dall’Agenzie delle Entrate perché non è chiaro se si tratti di un benefit da tassare o no. Le buone intenzioni vengono così frustrate dalla burocrazia fiscale e la sostenibilità può attendere.

Non sarà certo il solo Piano generale a portarci lontano senza una visione d’insieme, che veda allineate le numerose amministrazioni pubbliche coinvolte (i Comuni non possono fare tutto da soli), aziende private e persino i produttori di bici. Perché avere una vera politica della ciclabilità è anche interesse dell’industria. Il mercato della micromobilità non è ancora economicamente sostenibile, ci ricorda infatti una recente ricerca Bcg, proprio perché ci sono a ancora troppe contraddizioni, incongruenze, frammentazioni. Perché non c’è integrazione e inclusione fra operatori privati e pubblici, fra produttori e aziende di servizio. Con un risultato: la crescita ci sarà (la micromobilità vale già 100 miliardi nel mondo ed è previsto un incremento del 30% nei prossimi dieci anni) ma sarà disordinata e senza i vantaggi che invece potrebbe portare all’industria della mobilità e ai cittadini.

13 COME GIRA LA RUOTA

NON C’È

SOSTENIBILITÀ SENZA RESPONSABILITÀ

Il momento storico che viviamo è caratterizzato da un’attenzione sempre maggiore alla sostenibilità e al benessere dei singoli individui e delle comunità. In un contesto del genere va ripensata anche la mobilità e per questo motivo si stanno facendo spazio soluzioni alternative ai classici mezzi e servizi di trasporto.

L’avvento della micro-mobilità, in particolare quella basata sull’uso di biciclette ed e-bike, ha favorito la nascita di servizi di mobilità condivisa all’interno delle realtà urbane con l’obbiettivo di offrire ai cittadini, in collaborazione con le amministrazioni locali, soluzioni di trasporto multimodali alternative alle auto e agli scooter privati, che permettano di rendere le città maggiormente accessibili e sostenibili, dal punto di vista sociale e ambientale.

Come si poteva prevedere, la spinta della transizione ecologica ha catturato l’attenzione di molti investitori che hanno deciso di puntare su soluzioni di micro-mobilità condivisa. Dal 2015 ad oggi gli investimenti a livello globale in questo segmento hanno raggiunto la cifra di 6 miliardi di euro, permettendo a diverse società di raggiungere lo status di unicorno, ovvero aziende con una valutazione superiore al miliardo.

Eppure, molte delle società che hanno investito nel settore hanno avuto difficoltà a rendere il proprio modello di business sostenibile sia dal punto di vista economico sia urbanistico e ambientale. Le cause sono molteplici: dall’errato utilizzo dei mezzi al vandalismo, fino al limitato tasso di utilizzo del singolo mezzo. Tutto ciò ha contribuito a ridurre le marginalità, generando ripercussioni negative sull’accessibilità del servizio in termini di aree cittadine coperte e prezzi alti.

Noi di Oltre Impact riteniamo che gli elementi determinanti per vere successo in questo settore siano una forte attenzione alla progettazione delle biciclette e alla loro tecnologia, e un rapporto forte con le amministrazioni locali. È per questo che abbiamo deciso di investire in Fifteen, società francese che ha sviluppato un sistema di e-bike e stazioni di ricarica progettate appositamente per i diversi utilizzi di mobilità condivisa cittadina. Questo servizio è già attivo con 50mila biciclette in più di 30 città, fra cui Parigi, Helsinki e Vancouver.

L’auspicio è che l’ambizione di Fifteen, così come di tutte le altre società di micro-mobilità, possa finalmente ridurre le distanze fra centro e zone periferiche, contribuendo così a creare città più a misura d’uomo e certamente più sostenibili.

* Partner del fondo di venture capital sociale Oltre Impact

15 COME GIRA LA RUOTA
L’ESPERTO / RAFFAELE FEDELE */

DUE NEWSLETTER, UNA SOLA PASSIONE

Un semplice gesto per rimanere aggiornati sul mondo BIKE e sulla programmazione di Bike Channel (canale 222 di Sky oppure 259 del digitale terrestre o tasto rosso del multicanale 60 dtt). Iscrivendosi alla newsletter BIKE, attraverso il form che si trova online su Bikechannel.it nell'apposita sezione, lettori e telespettatori riceveranno con un click le nostre due newsletter settimanali: la newsletter del sabato mattina, con tutte le notizie da non perdere della settimana appena trascorsa, e quella del lunedì con le segnalazioni delle produzioni BIKE nonché delle prime televisive in procinto di andare in onda nella settimana che sta per cominciare. Per iscriversi alle newsletter BIKE è sufficiente inquadrare il Qr code in pagina e compilare il form su Bikechannel.it.

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di / MATTEO RIGAMONTI / 16 AUTUMN
Channel su canale222

Il fruttodella nostra terra.

Capriva del Friuli (GO) - www.schiopetto.it
19 NOTIZIE E CURIOSITÀ NOTIZIE E CURIOSITÀ DAL MONDO DELLA BICICLETTA E DELLA SMART MOBILITY

LA VOLATA DELL'USATO

Cresce il mercato dell'usato e ci credono startup e investitori. Come nel caso di Bikeen, frutto dell'intuizione di cinque soci che, dopo un corso presso la Cuoa Business School, hanno dato vita a quello che ambisce a diventare il più grande canale europeo per la vendita di bici usate e a 'chilometro zero'. Spazio virtuale (bikeen.eu) dove negozianti e noleggiatori possono promuovere prodotti e servizi a contatto diretto con gli appassionati, Bikeen punta a mettere in rete anche punti di noleggio e altri servizi per amanti della bici e cicloturisti. Al progetto ha aderito anche l'ex pro Pippo Pozzato, vincitore in volata della Milano-Sanremo 2006 nonché ideatore del format Ride the Dreamland per promuovere il ciclismo in Veneto, “perché – ha detto – penso sia un progetto imprenditoriale con prospettive di crescita molto interessanti. In esso vedo la capacità di unire la vocazione all'innovazione, il coraggio di accogliere le sfide e le opportunità delle nuove tecnologie e la passione per la bicicletta”.

CRESCERE A FINALE

Exept non smette di crescere: ha infatti completato quest'anno un nuovo round di investimenti con il Fondo Rilancio Startup, gestito da Cdp Venture Capital Sgr, per un importo pari a 500mila euro. Operazione che fa seguito all'aumento di capitale da 310mila euro definito nel corso del 2021 e guidato dal business angel Uberto Thun. L'azienda savonese, fondata a Finale Ligure nel 2016, produce e commercializza telai monoscocca in fibra di carbonio costruiti su misura, ma di recente ha anche introdotto

nuovi modelli come la mountain bike elettrica Finale e (nella foto) la e-gravel Ponente. "Questo investimento rappresenta una tappa importante nel percorso di sviluppo di Exept – ha dichiarato il ceo Alessio Rebagliati –. Le nuove risorse saranno destinate a progetti strategici come il lancio di nuovi modelli e il rafforzamento del canale distributivo con l’obiettivo di sostenere la crescita dell'azienda, un'eccellenza italiana giovane, ma già riconosciuta nel settore".

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LA BICI-TAXI INVENTATA DAL MIT

Arriva da Boston la bicicletta a guida autonoma. Progettata dal Massachusetts institute of technology, noto anche con l'acronimo di Mit, questa particolare bici si prefigge di trasformare la mobilità in sharing in mobilità on-demand, a chiamata via app. Il vantaggio, secondo l'istituto, se il progetto dovesse diventare realtà diffusa, potrebbe essere quello di una maggiore efficienza nonché una ulteriore sostenibilità dei trasporti nelle città dove simili servizi sono già presenti. Il sistema di guida autonoma geolocalizzata della Mit Autonomous Bicycle, come ben spiega una news pubblicata all'interno della media room dell'istituto (Media.mit.edu), si integra infatti con una doppia ruota posteriore che consente alla bicicletta la stabilità necessaria per raggiugere e lasciare l'utente, per esempio da un parcheggio o una rimessa, al prelievo e alla consegna; doppia ruota che poi, però, si riunisce in un’unica quando deve essere utilizzata pedalando, in modo tale che la guida sia analoga a quella di qualsiasi altra bici.

LE DUE RUOTE AL CENTRO DEL FUTURO TESSUTO MOBILE DELLA LOMBARDIA

C'è molto spazio per la bicicletta e l'intermodalità in Fili, il progetto di rigenerazione urbana e interurbana promosso da Regione Lombardia, Fnm, Ferrovienord e Trenord, con vista su Milano-Cortina 2026. Si tratta di un imponente disegno di riqualificazione dei principali centri di connessione (sono quattro: la Stazione di Cadorna, quella di Bovisa, quella di Busto Arsizio e il Polo di Saronno), anche attraverso i 54 chilometri della 'Superstrada ciclabile' per connettere la stazione di Cadorna all'aeroporto di Malpensa. Il tutto su un'area complessiva di circa 2 milioni di metri quadrati che vedrà la piantumazione di alberi su una superficie di circa 41mila ettari, più grande per dimensioni del lago di Garda. Il progetto è consultabile sul sito Fili-fnmgroup.it.

21 NOTIZIE E CURIOSITÀ

LA BICI GREEN OMAGGIA FERRARA

Una maxibici in materiali di riciclo per celebrare Ferrara città della bicicletta. Realizzata da Alessandro Bergamini, carrozziere, è alta due metri e lunga tre ed è una riproduzione, in scala 1:2, dei modelli usati negli anni '50. L'autore l'ha donata al Comune che ha deciso di collocarla in bella vista in uno snodo cittadino importante. Autonoma sotto il profilo energetico (i fari notturni si accendono grazie all'installazione di pannelli solari nella sella), l'installazione è stata inaugurata a luglio alla presenza del sindaco Alan Fabbri, che si è complimentato per "l'iniziativa, il gesto e l'attaccamento alla città e al suo simbolo per eccellenza".

Frutto di tre anni di lavoro, ha spiegato Bergamini, "il telaio è stato realizzato con tubi in pvc, il fanale è stato ricavato da un fustino di candeggina, la dinamo da un nebulizzatore per la pulizia dei vetri, la corona dal copricerchio di un'auto, i parafanghi da corrugato per fognature. Le ruote, anch'esse di corrugato, hanno al proprio interno raggi ricavati da barre di ferro trovate in discarica". "Spero - ha concluso l'autore - che questa bici venga apprezzata per ciò che vuole simboleggiare".

RUPERT, DA LONDRA A PARIGI PER RICORDARE IL PAPÀ

Ha raggiunto Parigi da Londra a metà luglio il piccolo Rupert Brooke, la cui fotografia ha fatto il giro del web. Sette anni di età e orfano di papà dal 2019, ha voluto omaggiare in questo modo la memoria del genitore, caduto vittima di un incidente sul lavoro. Era stato lui, tra le tante cose, a insegnargli a pedalare. Rupert è stato il più giovane di sempre a pedalare per 200 miglia e lo ha fatto con il nobile intento di raccogliere fondi per il Children's Bereavement Centre di Newark che, come spiega un post sulla piattaforma di fundraising Justgiving, ha aiuato lui e la mamma ad attraversare tanti momenti difficili, non ultimi quelli della lunga solitudine durante la pandemia. Fino ad ora sono state raccolte 36mila sterline.

/©Foto Courtesy Comune di Ferrara/ /©Foto Courtesy Justgiving/
22 AUTUMN

DALLA SCOZIA A LARDERELLO LUNGO LA ROTTA DEL VAPORE

Si chiama David Walls, ha 27 anni ed è scozzese. Ama sport, avventure e geotermia, che è l'oggetto dei suoi studi e del suo lavoro. Partito il 16 luglio da Glasgow, davanti alla sede dell'Università di Strathclydein, dove è dottorando, in sella alla sua bicicletta, Walls si è avventurato per una pedalata lungo la rotta, o meglio la 'faglia', europea del vapore. Dopo più di 2mila chilometri con tappe in Olanda, Germania, Francia e Svizzera presso aziende del settore ed enti di ricerca e atenei specializzati, Walls è approdato ad agosto a Larderello (Pi), dove ha potuto visitare i luoghi della geotermia toscana, con la centrale di Valle Secolo, la più grande d'Europa con i suoi 120 MW di potenza. Qui il geologo geotermico specializzato in ricerca sulle acque geotermichedi miniera è stato accompagnato dai rappresentanti Enel Green Power per la visita geologica, alla sala controllo e all'edificio turbina-alternatore, comprensiva di aspetti storici e con attenzione alle attività di comunicazione e al cicloturismo sostenibile. Ha pedalato tra centrali e soffioni, poli museali e pozzi, industria e natura, prima di ripartire alla volta dell’Amiata per visitare la centrale geotermica Bagnore 4. Al termine partenza per Civitavecchia per raggiungere via nave Barcellona, da dove poi è ripartito per Oviedo, Santander e imbarcarsi alla volta della Cornovaglia, per visitare il primo pozzo geotermico del Regno Unito, prima di rientrare a Glasgow intorno alla metà di agosto.

ITALIA-AMSTERDAM ANDATA E RITORNO PER AMORE (NON SOLO DELLA BICI)

Oltre 3mila chilometri fino ad Amsterdam partendo da Rivolta d’Adda (Cr) e facendo ritorno in Italia in provincia di Nuoro. Per amore della bicicletta e non solo di quella. È la curiosa storia di Luca Strepparola, che è partito da casa lo scorso luglio, in sella alla sua bici da gravel, per andare alla scoperta dell’Europa e di città che sono per tutti un riferimento nella cultura della mobilità sostenibile. Lasciata l’Italia passando per Milano e Domodossola, Strepparola ha attraversato la Svizzera e la Germania, Friburgo e la Foresta nera, prima di dirigersi verso l’Olanda. Al ritorno, tra le altre città visitate, Maastricht nel Limburgo e in Belgio Bruxelles, poi le Ardenne e il Lussemburgo, la Francia, dall’Alsazia giù fino a tornare in Italia per il Moncenisio e lungo la Valle di Susa e ancora fino Genova, dove ha preso il traghetto per Olbia. Ci ha impiegato circa un mese, 26 giorni in totale di cui 21 pedalando, per una media di 150 chilometri al giorno. Tutto questo per tornare in tempo per il compleanno della sua compagna, festeggiato nel paese di lei che, come lui, ama la bicicletta. Insieme, infatti, sono andati l’anno scorso, sempre da Rivolta d’Adda, dove risiedono, a Santa Maria di Leuca, in Puglia. Viaggi, che, come tutti gli altri, Strepparola condivide sui suoi canali social (Instagram e Youtube) e che potete vedere anche su Bike Channel.

23 NOTIZIE E CURIOSITÀ

FINO A CAPO NORD PER IL BANCO ALIMENTARE

Si è conclusa venerdì 5 agosto l’avventura di Pietro Franzese, in bici fino a Capo Nord per il Banco Alimentare della Lombardia. Partito il 18 giugno da Piazza del Duomo a Milano, il cicloviaggiatore solitario ha percorso in scatto fisso 4.700 chilometri in quaranta giorni con nove di pausa. L’obiettivo? Promuovere la sostenibilità e combattere lo spreco di cibo. Zero i problemi meccanici riscontrati così come zero le forature, mentre grazie alla campagna di crowdfunding su Retedeldono.it è stato raccolto l'equivalente di decine e decine di migliaia di pasti per sfamare i più bisognosi con le eccedenze alimentari ancora buone, raccolte dal Banco presso molteplicidonatori della filiera

agroalimentare. “È stata un’esperienza senza paragoni”, ha detto Franzese. “Viaggio in scatto fisso da più di sei anni ma mai come in questa avventura mi sono sentito felice e realizzato una volta giunto alla meta!”. “Un’impresa, quella affrontata da Pietro, che unisce il mondo dello sport a quello della solidarietà contribuendo a dare un aiuto concreto a chi oggi è in difficoltà”, gli ha fatto eco Dario Boggio Marzet, presidente del Banco Alimentare della Lombardia. I viaggi di Franzese li potete vedere anche su Bike Channel così come il format che conduce Unconventional Travellers, dedicato alle imprese dei viaggiatori non convenzionali, come lui.

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CAMPIONI E PROTAGONISTI DELLA NUOVA MOBILITÀ

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UNA SPINTA

A CHI PEDALA IN SALITA

LA TRADIZIONE CICLISTICA VINCENTE DELLA MOLTENI VIVE ANCORA OGGI GRAZIE ALLA MISSION DELLA FONDAZIONE COSTITUITA DAI FIGLI DI AMBROGIO, MARIO E PIERANGELA, OFFRENDO AIUTO CONCRETO A CORRIDORI IN DIFFICOLTÀ

Chi ha dai cinquant’anni in su, scagli la prima biglia se, davanti a un circuito di sabbia, non ne ha mai desiderata una di Eddy Merckx con la maglia Molteni. Chi ne ha di meno, invece, si accomodi sulla poltrona: perché questa non è solo una storia di ciclismo o di imprenditoria, ma una vera e propria storia d’amore. E un po’ anche di salami.

Forse non esisteva nemmeno la parola sponsor quando nonno Pietro decise di patrocinare una squadra di ciclismo. E se esisteva era una quasi sconosciuta – e probabilmente dimenticata (almeno in Italia) – parola latina! Pietro Molteni aveva poco più che una bottega da salumiere a Lurago d’Erba, dove si era trasferito dalla natìa Alzate Brianza. Era sveglio e creativo. Aveva capito che i prodotti non bisognava solo farli buoni, ma anche farli conoscere.

E lui aveva un’eccellente predisposizione per l’una e l’altra cosa: così, da ottimo macellaio e da comunicatore ante litteram (a costo di andare in bici per la Brianza di casolare in casolare), piano piano si ingrandì, creando una vera e propria azienda. Non aveva timore neanche di prendere il treno per ampliare il più possibile i propri

confini: inventando di fatto, attraverso una rete di grossisti, la grande distribuzione che ancora non esisteva.

L’impresa assunse dimensioni sempre maggiori, anche grazie a importanti intuizioni e all’acquisizione di singole aziende specializzate nei vari prodotti (la mortadella da una parte, la pancetta da un’altra, la carne in scatola da un’altra ancora): ma su tutti c’era il marchio e soprattutto la garanzia di qualità Molteni.

Mancava solo un piccolo step: la notorietà a livello nazionale, con la quale il sciur Pietro ormai non aveva più nessun problema a cimentarsi: tanto più che accanto a lui era cresciuto – preparato, ambizioso e in gamba – anche il figlio Ambrogio, classe 1933. Il brainstorming sull’argomento si tenne certamente in strettissimo slang brianzolo, dibattendo se fosse meglio fare un Carosello (allora unica possibilità di pubblicità televisiva) o creare una squadra ciclistica (antica passione di casa): “Sel custa fà un Carusel? Pusèe e fà ‘na squadra de biciclett ca la và al Gir insci de vess vista de tucc?”. “No la custa de men e se divertisum anca pusèe”.

di / MARINO
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/Mario Molteni (in piedi a destra) con (in senso antiorario) la moglie Cristina, i figli Arianna e Pietro e la sorella Pierangela che, insieme a lui, ha costituito e anima la Fondazione dedicata al padre Ambrogio, nel ricordo dello storico team ciclistico/ /©Foto Pier Maulini / Per gentile concessione della Fondazione Ambrogio Molteni/
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Affare fatto! Il ‘divertimento’ cominciò nel 1958, con le maglie blu e camoscio della neonata formazione Alimentari Molteni alla partenza del Giro vinto da Ercole Baldini (l’ultimo, per la cronaca, corso da Fausto Coppi), che precedette Brankart, Gaul, Bobet e Nencini: roba, grossa, insomma. Punta di diamante della squadra (già internazionale) il tedesco Junkermann (tredicesimo assoluto e destinato a una carriera decorosissima).

Con lui altri due tedeschi (Muller e Reinecke), uno svizzero (Schaer), un italiano… che viveva in Svizzera (De Gasperi), e tre… lombardi: Carizzoni, Buratti e Donato Piazza, detto Piazza Grande non solo perché era molto alto, ma anche perché era il fratello maggiore di un altro Piazza che faceva l’autista per la ditta. Ma già l’anno dopo fu subito campagna-acquisti e la musica cambiò: dentro Carlesi (già vincitore di tappe al Giro e al Tour), lo svizzero Graf (già vincitore del Tour de Suisse e fra i migliori cronomen in circolazione, che conquistò a Milano la prima tappa-Molteni al Giro), dentro soprattutto quel Giorgio Albani, già campione d’Italia che, sceso dalla bici, sarebbe diventato la raffinatissima mente che portò la Molteni a tutti i trionfi degli anni successivi.

“Io nacqui all’inizio degli anni ‘60 – dice Mario Molteni, figlio di Ambrogio, appassionato custode assieme alla sorella Pierangela –di questo bellissimo romanzo popolare. Ricordo vagamente l’arrivo in squadra di Motta e Dancelli giovanissimi e tutte le gioie che ci diedero (qualcuno sostiene che quando Michele vinse la Milano-Sanremo dopo 17 anni di digiuno italiano ci fu chi sentì nonno Pietro urlare: Vai Michelin… forsa campiun… se te la fè, te regali il stabliment!)”.

Era il 1970 quando il nonno e il papà ingaggiarono il più grande. Entrambe le parti furono correttissime. I Molteni dissero a Merckx: “Se te ne dovessi andare dalla Faema noi siamo qua: le condizioni falle tu”. Eddy rispose: “Se la Faema mi lascia libero la cosa è fatta”. Un contratto di sei righe aggiornato ogni due anni e una stretta di mano. "Oggetto: contratto di corridore ciclista – Con la presente scrittura privata, il corridore ciclista signor Eddy Merckx si impegna a correre le stagioni ciclistiche 1975 e 1976 per il Gruppo sportivo Molteni. Il signor Ambrogio Molteni corrisponde a favore del signor Eddy Merckx la somma di franchi belgi sei milioni per anno fermo restando tutti i punti dell’accordo.31 dicembre 1974”. Punto. Fra parentesi, sei milioni di franchi erano circa 300 milioni di lire. Una cifra importante, ma non stratosferica.

“Praticamente vennero allestite due squadre – dice Mario –: con una Eddy poteva fare tutte le gare che voleva all’estero, con l’altra aveva l’impegno morale – solo quello –di partecipare, al Giro, alla Sanremo e alle corse importanti in Italia. In effetti…. non si fermava mai. Era generosissimo.E a ogni sua vittoria aumentava il fatturato dell’azienda”.

“Papà, che forse neanche conosceva la parola marketing e men che meno la parola convention, aveva inventato il ciclismo moderno, facendo – chessò – quello che poi avrebbe fatto Sky in termini di impegni sdoppiati o quello che avrebbe fatto Mediolanum di ottimizzazione degli eventi sul territorio. Fummo anche i primi a portare un arrivo di tappa davanti agli stabilimenti: era il 1976, vinse il nostro Bruyère. Gimondi conquistò la maglia rosa e il giorno dopo la portò a Milano. Eddy cominciava a essere un po’ stanco: anche se all’inizio di quella stagione aveva vinto la sua settima Milano-Sanremo.

/Eddy Merckx sulle strade della Roubaix/
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/©Foto per gentile concessione della Fondazione Ambrogio Molteni/
/Giorgio Albani in ammiraglia/ /Michele Dancelli con i colori blu e camoscio del team/ /Il ritorno in pista alla Sei giorni di Londra nel 2018/ /Gianni Motta in maglia Molteni/ /©Foto per gentile concessione della Fondazione Ambrogio Molteni/
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Ma è vero che papà stesso diventò così famoso che gli venne proposta la presidenza dell’Inter?

“Sì l’Inter del suo idolo Sandrino Mazzola. Ma preferì non accettare. Lui amava solo il ciclismo. E l’Inter andò a Fraizzoli”.

Certo che anche nel ciclismo italiano allora c’era veramente un grande derby: Molteni da una parte, Salvarani dall’altra, salumi contro cucine. In entrambi i casi due grandi e appassionate famiglie alle spalle e grandi successi sportivi che diventarono il volano anche di un’enorme visibilità.

“Sì, è vero, c’era indubbiamente un po’ di rivalità. Ma anche un rispetto infinito. Così come il nonno e il papà ammiravano Giovanni Borghi, che con la sua Ignis aveva fatto dello sport a 360 gradi il volano del suo successo commerciale”.

Diciotto anni di trionfi, poi i tempi cambiarono. Ora però il marchio Molteni si rimette in gioco…

“Credo sia giusto così. Niente corse, ma aiuto concreto per ciclisti in difficoltà. Soprattutto quelli colpiti da un infortunio. Con la Fondazione Ambrogio Molteni abbiamo già archiviato qualche bella storia”.

Ma la divisa camoscio e blu non la vedremo più in una corsa ciclistica?

“Penso proprio di no. La uso io con qualche amico nelle nostre uscite amatoriali (per non fare torto a due grandi amici uso la bici De Rosa su strada e la Colnago all’Eroica). E poi c’è il merchandasing con l’amico Giovanni Rosti. Un sogno però ce l’avrei: fare una gran fondo Arcore-Ghisallo tutti in maglia Molteni”.

Niente più Giro, niente più Tour dunque. Ma se tornasse papà?

“Non credo che riuscirei a fermarlo!”.

IL RESPIRO DI UN’EPOCA LEGGENDARIA, CON CAMPIONI COME EDDY MERCKX

E RIVALI DEL CALIBRO DI IGNIS E SALVARANI, ARRIVA FINO ALLE

NUOVE MAGLIE FIRMATE ROSTI, PERFETTE PER USCITE IN COMPAGNIA, GRANFONDO E CICLOSTORICHE

/Mario Molteni e la figlia Arianna ai microfoni di Bike nello stand Rosti durante l'ultima edizione dell'Italian bike festival/
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UNA STORIA DI SUCCESSI

La Molteni ha gareggiato per 19 stagioni consecutive (dal 1958 al 1976) vincendo complessivamente 633 gare (208 in Italia e 455 all’estero): con la sua maglia hanno corso 77 ciclisti italiani e 47 stranieri (in prevalenza belgi, 37). Il solo Eddy Merckx, dal 1971 al 1976 ha vinto 246 volte. Nel palmarès, fra l’altro, tre titoli mondiali (Altig 1966, Merckx 1971, 1974), 57 vittorie di tappa al Giro e quattro successi finali (Motta 1966, Merckx 1972, 1973, 1974), 37 tappe al Tour con tre successi finali (Merckx 1971, 1972, 1974), 8 tappe alla Vuelta a un successo finale (Merckx 1973). Quindici vittorie nelle classiche monumento (Lombardia, Sanremo, Liegi, Roubaix, Fiandre) in buona parte con Merckx, oltre a Motta, Dancelli e Bruyere. Di Merckx anche lo storico record dell’ora del 1972 su bici Colnago.

DENTRO UNA MAGLIA C’È VITA

Aiutare ciclisti in difficoltà a riscrivere le pagine di una storia che non è andata come si sarebbe voluto. Perché lo sport non è fatto solo di successi e lustrini, ma anche di prove e talvoltà difficoltà. È a questo livello che la Fondazione Ambrogio Molteni, costituita dai figli Mario e Pierangela nella memoria del padre e del suo storico team ciclistico, vuole aiutare i meno fortunati, perché i “campioni passano, la vita continua”, si legge sul sito internet ad essa dedicato. Una storia di successi non certo esente, a sua volta, da prove e difficoltà che, come racconta anche Pier Augusto Stagi nel libro Molteni Storia di una famiglia e di una squadra (Prima Pagina Edizioni) con prefazione di Eddy Merckx, confluisce oggi nella Mission della Fondazione: portare un aiuto concreto ad ex professionisti del ciclismo mondiale in difficoltà perchè caduti in indigenza o rimasti vittime di infortuni invalidanti o per diverse vicissitudini.

L’attenzione della Fondazione potrà riguardare anche casi di giovani talenti il cui cammino verso il successo nel ciclismo professionistico sia stato compromesso da gravi incidenti.

Un nobile obiettivo per cui il marchio e l'immagine di Molteni – rimanendo fedeli alla grafica e ai colori di allora – sono stati riscoperto con nuove maglie firmate Rosti, in modo funzionale a dare un senso storico all’impegno che la famiglia intende portare avanti nel ciclismo.

/Foto di squadra con il campione del mondo Rudi Altig/ /Un libro racconta Molteni, tra storia del team e mission della Fondazione/
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FOCUS LENTE D’INGRANDIMENTO SU BICI E DINTORNI 35

NEL NOME DELLA ROSA

ENEL FESTEGGIA SESSANT’ANNI E LO FA PUNTANDO SULLA BICICLETTA, AL TERMINE DI UNA STAGIONE IN PRIMA FILA, AL FIANCO DEL GIRO D’ITALIA E DELLA MARATONA DLES DOLOMITES, DUPLICE IMPEGNO NEL SEGNO DELLA PASSIONE PER UNO SPORT DA SEMPRE NEL CUORE DEGLI ITALIANI

Un viaggio per festeggiare sessant’anni di vita e di storia, che ricorrono il 6 dicembre. È quello che sta percorrendo Enel, azienda che in Italia dal 1962 è alle prese con la sfida di cambiare volto all’energia, a maggior ragione nell’odierno contesto di decarbonizzazione dell’economia.

Un viaggio che, attraverso due importanti appuntamenti del calendario ciclistico italiano – il Giro d'Italia e la Maratona dles Dolomites, di cui Enel è rispettivamente top e title sponsor –, ha voluto legarsi a doppio filo con la passione per la bicicletta.

Ve lo abbiamo raccontato su Bike Channel questo legame tra Enel e il ciclismo, lo abbiamo fatto attraverso uno speciale in quattro puntate, con le interviste del direttore editoriale di BIKE Marino Bartoletti al top management dell’azienda e della redazione tutta ai protagonisti di una granfondo che ogni anno attira migliaia di appassionati da ogni parte del mondo. Quattro momenti di un’unica sinfonia che ha idealmente accompagnato il telespettatore all’ultimo istante della 105esima edizione della Corsa rosa fino al primo fine settimana di luglio, quando, come da tradizione, si corre la Maratona dles Dolomites Enel, offrendo

la possibilità di rivivere, attraverso la mediazione di uno schermo, tutti quei sentimenti che ne hanno animato l’attesa, le emozioni del grande giorno e ripercorrendo poi il senso di tutto, partendo proprio dalle ragioni che sostengono il coinvolgimento di Enel con uno sport tra i più amati e seguiti in Italia, praticato grazie al mezzo del futuro sostenibile per eccellenza, la bicicletta.

Di queste sei decadi di storia Enel, gli ultimi sei anni si sono tinti di rosa, grazie alla sponsorizzazione del Giro, in essere dal 2016 come vuole la partnership con Rcs Sport, condividendo con i ciclisti che lottano per la maglia simbolo del primato sguardo in avanti, tenacia ed entusiasmo.

Quest'anno l’ha conquistata, per la prima volta nella storia, un australiano, Jai Hindley, che ha portato così sulle spalle, anche lui, il logo celebrativo del sessantesimo di quella che, da compagnia energetica dell'idroelettrico e pioniera delle fonti alternative e delle energie rinnovabili, ha saputo divenire moderno attore di un mercato che, attraverso la digitalizzazione, sta rendend l'elettricità accessibile a tutti, città, case, industria e mobilità, con un bouquet di servizi e reti intelligenti in continua evoluzione.

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/Foto di gruppo in maglia rosa presso l'Officina Enel alla Maratona dles Dolomites/ /L'arrivo del team Enel sul traguardo di Corvara al termine della Maratona dles Dolomites/ /Marino Bartoletti intervista Nicola Lanzetta, direttore Italia Enel/
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Una sfida, quella per l’elettrificazione, sempre vissuta da parte di Enel con l’obiettivo del pieno rispetto dell'ambiente, come intende testimoniare proprio il legame con la Maratona dles Dolomites, in Alta Badia, tra i passi leggendari del Giro e in un teatro naturale unico come sono i Monti pallidi. Title sponsor dal 2011, l'edizione di quest'anno era dedicata ai Ciüf, la flora, i fiori in ladino e, come da tradizione, Enel ha partecipato con un nutrito team, capitanato da Francesco Starace, suo amministratore delegato e direttore generale,

Nicola Lanzetta, direttore Italia Enel, Giulio Fazio, direttore affari legali e societari Enel, Salvatore Bernabei, direttore Enel Green Power & thermal generation Enel; seguiti dall'ormai consueta e nutrita pattuglia che, alla maglia arancio del giorno di gara, ha affiancato quest’anno il medesimo rosa della maglia del Giro, quella con il logo per i sessant'anni. Un’edizione che, a detta di tutti, è stata forse a più bella ed emozionante, perché vissuta in compagnia, divertendosi e respirando bellezza a pieni polmoni.

/Francesco Starace, amministratore delegato e direttore generale Enel, ai microfoni di Bike Channel/ /La maglia della 35esima edizione di Maratona dles Dolomites Enel, dedicata ai Ciüf/
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/©Foto Courtesy Marathona dles Dolomites/
/Martha Maltha gioisce sul traguardo dopo la vittoria della Maratona dles Dolomites/ /Jai Hindley festeggia la vittoria del Giro con il suo team/ Inquadra il QR Code per rivedere lo speciale dedicato alla Maratona dles Dolomites Enel insieme a tutti i programmi targati BIKE Channel /©Foto Courtesy Marathona dles Dolomites/ /©Foto Credits: LaPresses/
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EMOZIONI IN DISCESA

COPPA ITALIA E CAMPIONATO ITALIANO DI DOWNHILL STANNO PORTANDO AL SUCCESSO UNA DISCIPLINA CHE ATTRAE UN NUMERO CRESCENTE DI APPASSIONATI. GLI ORGANIZZATORI, FORTI DEI RISULTATI DI SESTRIERE E PIAN DEL POGGIO, GIÀ PREPARANO LA STAGIONE 2023 TRA NOVITÀ E CONFERME

Bica, campione tra gli agonisti/
di / MATTEO RIGAMONTI /
/Vasco
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Un anno ricco di sorprese e colpi di scena per chi con la mountain bike ama scendere a tutta velocità dalle montagne con adrenalina in corpo e capacità tecnica sopraffina. Si è conclusa con il gran finale di Pian del Poggio, Pavia, il 18 settembre, la stagione agonistica 2022 della Coppa Italia di downhill: una bellissima gara, organizzata, come le precedenti tappe di Sestola, Borno e Prali, da Riccardo Tagliabue e tutto il team di Sport Inside - Downhill Italia.

“Organizziamo la Coppa Italia da due anni ed è stata un grande successo”, commenta Tagliabue, “oltre al Campionato italiano che quest’anno è ritornato a Sestriere. All’ultima prova, che solitamente segna un calo notevole sugli iscritti, abbiamo invece avuto oltre 200 rider e tutto questo per noi dimostra che il lavoro svolto è sulla strada giusta”.Tutte le gare del circuito nazionale Fci hanno visto, in realtà,

oltre 200 rider presenti, non solo l’ultima, con punte oltre i 400 per un totale che sfiora le mille presenze. Tagliabue sa bene che “c’è ancora molto da fare, ma crediamo che nei prossimi anni avremo ulteriori incrementi nei numeri, sia dei concorrenti sia dei team che si affacceranno in questa disciplina”.

A Pian del Poggio, dove i rider hanno riempito il ‘paddock’ della località montana come non si vedeva da tempo, l’ultimo atto della stagione ha avuto luogo su una pista divertente e tecnica che non ha dato nulla per scontato. I vincitori finali delle varie categorie sono stati: Vasco Bica negli agonisti, Rosaria Fuccio tra le agoniste, Rebecca Bruno nelle donne esordienti, Filippo Murachelli negli esordienti uomini, Davide Gatti nella master uomini, Lelia Tasso tra le master Donne, Lorenzo Mascherini negli allievi e Clarissa Carzolio nelle allieve.

/Rosaria Fuccio, campionessa tra le agoniste/
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Più difficile la pista dei Campionati italiani, il 23 e 24 luglio a Sestriere, dove la grande siccità ha contribuito al verificarsi di condizioni estreme per il downhill, con polvere e un terreno secco che si modificava a ogni passaggio, ma è stato comunque grande spettacolo con le vittorie di Davide Cappello e Veronika Widmann tra gli agonisti, Filippo Murachelli e Rebecca Bruno tra gli esordienti, Andrea Bruno e Maritna Fumagalli tra i master. Comunque una bellissima giornata di sport, con pochi infortuni e tanto agonismo. Alla cerimonia del podio presente anche Giancarlo Masini per la Fci e il sindaco di Sestriere Gianni Poncet, felice della manifestazione e che ha rilanciato per i prossimi anni con possibili gare internazionali della disciplina. Ad affiancare l’organizzazione gli Alpini, che hanno garantito la supervisione della pista assieme agli uomini della Protezione Civile/ Cinofila e del Soccorso Alpino.

A fare la felicità degli organizzatori per la stagione appena conclusa, precisa Tagliabue, non sono stati solo “gli altissimi numeri di rider iscritti, ma soprattutto la qualità delle gare e la crescita esponenziale dell’interesse verso la disciplina, che sta uscendo dal solo concetto dello sport, ma si sta inserendo perfettamente nella proposta turistica estiva delle varie

località montane”. Lo dimostra, prosegue, “il grande interesse di diverse stazioni che hanno impianti di risalita che già dal prossimo anno vorrebbero ospitare delle competizioni con la nostra struttura e tutto questo si vedrà nel calendario 2023”, dove faranno il loro debutto “nuove località per un calendario intenso che abbraccerà tutto l’arco alpino”. E ci saranno anche “nuovi premi, come quest’anno abbiamo fatto grazie ad Acerbis attraverso Intermediate Time, che ha assegnato premi speciali”.

Intanto c’è la soddisfazione per quello che è stato “un lavoro di team”, tiene a sottolineare Tagliabue, “che va dalla segreteria a chi allestisce la pista a chi controlla che tutto sia a posto fino alle numerose premiazioni, concludendo con l’ufficio stampa. Uno staff coeso unito dalla passione per lo sport”. Se ne è accorto anche “l’ultimo presidente di Giuria, a seguito della riunione tecnica a fine gara, mi ha detto: ottima squadra, complimenti!”. Un lavoro di squadra che anche il pubblico di Bike Channel ha avuto modo di apprezzare attraverso gli speciali dal campo gara in onda alla domenica sera e gli approfondimenti nella trasmissione in onda tutti venerdì alle 21:30 fino alla pausa invernale e che torneranno nel 2023.

RICCARDO TAGLIABUE (SPORT INSIDE): “GLI ALTISSIMI NUMERI DI RIDER ISCRITTI, LA QUALITÀ DELLE GARE E L’AUMENTO DI INTERESSE VERSO I FORMAT IDEATI STANNO CONTRIBUENDO A INSERIRE LA MANIFESTAZIONE NELLE PROPOSTE TURISTICHE DELLE LOCALITÀ MONTANE” 42 AUTUMN
/Sopra: Riccardo Tagliabue di Downhill Italia al microfono di Elena Galliano per il format in onda su Bike Channel. Da destra, in senso orario: Rebecca Bruno, un gruppo di giovani rider e Filippo Murachelli mentra taglia il traguardo/ /Martina Fumagalli, campionessa italiana master/
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NUOVE SFIDE A PIENI GIRI

SONO TANTI GLI ASSI DELLA MOTO CHE SI METTONO ALLA PROVA IN SELLA A UNA BICI. COME I FRATELLI CHECA, CHE HANNO FATTO TAPPA AL WES IN OCCASIONE DEI DUE WEEKEND CATALANI. UN MODO PER ALLENARSI DIVERTENDOSI CHE HA CONQUISTATO I CAMPIONI DI OGGI E DI IERI DA MARQUEZ A BAYLISS /David Checa durante la prova di Girona del Wes/ Courtesy World e-bike series
di / MATTEO RIGAMONTI /
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/©Foto
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Dal rombo dei motori al fruscio della pedalata assistita. A essere catturato dal gusto magnetico per la mountain bike elettrica, fino a stuzzicarne l'agonismo, è David Checa, quattro volte campione del mondo endurance di motociclismo, che quest'anno ha fatto ritorno a Girona per la tappa catalana del Wes, la Coppa del mondo Uci riservata alle e-mtb.

Vincitore del Bol d'Or nel 2007 e 2017 oltre che di tre edizioni della leggendaria 24ore di Le Mans, il pilota nativo di Barcellona ha scelto la tappa in Costa Brava della competizione organizzata da World e-bike series per cimentarsi, con i colori del team Raspini, nella sfida del cross country elettrico. La bici, infatti, è ormai per David come per un numero sempre crescente di assi della motocicletta, sempre più frequentemente compagna di gare, uscite e allenamenti, soli o in compagnia.

Come David, l'anno scorso anche il fratello Carlos, campione del mondo Superbike 2011 in sella a una Ducati del team Althea dopo un’importante carriera nel Motomondiale, aveva partecipato alla seconda prova del week end di gara a Girona. Appuntamento che, come da tradizione, si svolge in concomitanza con il Sea Otter Europe, festival della bicicletta di cui la competizione elettrica riconosciuta Uci è la ciliegina sulla torta. Quest’anno non ha potuto esserci perché impegnato nelle telecronache del motomondiale a Motegi, in Giappone, ma è tornato per correre proprio a Barcellona, tappa successiva del Wes.

Il maggiore e più celebre dei due fratelli Checa, Carlos, ha partecipato quest’anno anche alla Maratona dles Dolomites dove, senza assistenza elettrica, ha sfidato le Dolomiti insieme al collega Michele Pirro, anch’egli alfiere Ducati, brand sempre più presente nel mondo

delle e-bike insieme al costruttore Thok, presenti insieme anche ad appuntamenti del Wes. Pirro, plurititolato nel campionato italiano velocità, è da tempo prezioso tester della rossa con cui Bagnaia lotta (e vince) nel Motomondiale.

Proprio con Pirro, in pista quest’anno a Misano durante l’Italian bike festival c’era un’altra conoscenza del Wes proveniente dalle corse in moto, Marco Melandri, campione del mondo nella classe 250 che da qualche tempo si cimenta con nuove sfide in sella a una mtb elettrica. Anche Dani Pedrosa, per tanti anni rivale degli italiani in Motogp e ora collaudatore Ktm, ha conosciuto da vicino il mondo Wes, ospite d’eccezione nel ‘paddock’ delle mtb a pedalata asssistita in occasione della tappa italiana di Bologna.

A conferma di un crescente legame tra motociclismo e bicicletta, specie la mountain bike assistita, i talenti sbocciati, come Bagnaia, nell’academy del nove volte campione mondiale Valentino Rossi, dall’anno scorso si allenano in sella a e-mtb Giant, fornitura frutto di una partnership tra le due realtà. Mentre i selfie di piloti che si preparano alle gare di moto in sella a bici, da strada o tassellate, non si contano più, dai fratelli Marquez agli Espargaró, senza dimenticare tantissimi altri campioni di oggi e di ieri, dal britannico Cal Crutchlow alla leggenda ‘Aussie’ Troy Bayliss.

Sono soprattuto italiani e spagnoli i motociclisti appassionati di bici, non a caso due Paesi in cui il ciclismo è radicata passione di molti. Come, del resto, lo sono i motori. Legami che, anche grazie alla spinta dell’elettrico, sono destinati a saldarsi sempre più. Nel nome dello sport e di sane pratiche di vita all’aria aperta.

/I fratelli David e Carlos Checa nella tappa di Girona del Wes 2021/ series
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/©Foto Courtesy World e-bike
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ENERGIA MINEIRA

ARRIVA DAL MINAS GERAIS, LA REGIONE BRASILIANA DEGLI ALTIPIANI, LA PIÙ BELLA SORPRESA DELLA

STAGIONE DI COPPA DEL MONDO DI MTB ELIMINATOR: MARCELA LIMA HA CHIUSO CON TRE PODI E UNA VITTORIA

La stagione 2022 della Coppa del mondo Uci di Mtb eliminator si è conclusa con le vittorie di Gaia Tormena, tra le donne, e Simon Gegenheimer, tra gli uomini. Ma tra le sorprese al femminile di una competizione che sempre regala volti e storie da ogni angolo del mondo, quest'anno spicca la figura di Marcela Lima Matos. Classe 2000, l'atleta del Groove Team, che porta sul petto la bandiera del brasile, è campionessa under 23 in patria. Nata a Itabirito, una cinquantina di chilometri più a sud della capitale del Minas Gerais, Belo Horizonte, Lima arriva da una regione di miniere e altipiani. Nel corso della stagione si è distinta per il successo nella tappa di Abu Dhabi, approfittando di una caduta di Tormena e riuscendo a tenere testa a due atlete del calibro di Didi de Vries e Marion Fromberger. Terza in generale alle spalle di Tormena e Fromberger, Lima si è messa alle spalle de Vries, grazie anche a piazzamenti importanti come i terzi posti di Sakarya, Turchia, e Leh-Ladakh, India.

traguardo Abu Dhabi/
di / SIMONA ALTIERO /
46 AUTUMN /Vittoriosa sul
di
/Sul podio tra le rivali de Vries e Fromberger/ /©Foto Courtesy City Mountainbike/ /©Foto Courtesy City Mountainbike/

FENOMENI AZZURRI

IL MOVIMENTO ITALIANO DELLA MOUNTAIN BIKE È IN SALUTE E PRONTO A CRESCERE ANCORA. I RISULTATI DI LES GETS CONFERMANO QUANTO VISTO DURANTE GLI INTERNAZIONALI D’ITALIA SERIES. BUONE PROVE DI BRAIDOT, SPECIA E AVONDETTO

Bellissima soddisfazione, frutto di un impegno comune. Il bilancio positivo della spedizione azzurra guidata dal ct Mirko Celestino ai mondiali mtb di Les Gets, in Francia, parla di quattro medaglie, due elite e due under di cui un oro. All'argento del team relay (Braidot, Betteo, Berta, Corvi, Specia e Avondetto) si sono aggiunti il prestigioso bronzo di Luca Braidot nel cross country, nella gara vinta dal ‘mostro’ Nino Schurter, l'oro di Simone Avondetto, campione del mondo under 23, sempre nel cross country, e lo storico bronzo nel downhill con lo junior Davide Cappello, una medaglia che aspettavamo da quasi trent’anni.

Risultati, sempre migliorabili, ma che parlano di un movimento in salute, in grado di dire la sua a livello internazionale, con atleti che già avevano hanno dato il meglio di sé nelle gare di casa. Come agli Internazionali d’Italia series, l’evento gestito da Cm outdoor events, dove, nelle classifiche generali della stagione elite/ under, dopo le prove di San Zeno di Montagna, Nalles, Capolivieri Isola d'Elba e La Thuile, hanno chiuso in testa proprio Braidot (Santa Cruz Fsa) e Giada Specia (Wilier-Pirelli), poi sesta anche ai mondiali Marathon in Danimarca. Una bella stagione, quella della Mtb italiana culminata, a luglio, con i campionati italiani, organizzati da Pichl Gsies, in Valle di Casies (nel 2023 saranno a Maser).

Il tricolore ha consacrato quattro stelle di assoluto prestigio: a trionfare nella prova maschile è stato Gerhard Kerschbaumer (Specialized Factory Racing), davanti a Juri Zanotti e al favorito Braidot, ostacolato da un inconveniente meccanico; nella prova femminile Martina Berta (Centro Sportivo Esercito) ha staccato Chiara

Teocchi e Giorgia Marchet. Mentre tra gli under 23 hanno trinofato i Wilier-Pirelli: il campione europeo, e poi mondiale under23, Avondetto e la bellunese Specia.

Per Internazionali d’Italia Series, intanto, può dirsi raggiunto, come recita una nota sul sito della competizione, “l'obiettivo di fare uno step sul piano della crescita qualitativa, organizzativa e mediatica, convinti che questa sia la strada giusta per rilanciare il movimento italiano mountain bike”.

di / SIMONA ALTIERO /
47 FOCUS /La nazionale italiana a Les Gets /Simone Avondetto, campione italiano e del mondo Under 23/ /Giada Specia prima sul podio in maglia tricolore/ /©Foto Mondini / /©Foto Mondini/ /©Foto Mondini/

LA FORZA

RICOMINCIARE

di / LEONARDO SERRA /
DI
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Trentanove anni in sella a una bmx, tra infortuni e vittorie, ed è ancora sulla cresta dell’onda. Il piemontese Alessandro Barbero è un fuoriclasse della categoria: nella sua longeva militanza in sella vanta, infatti, diversi risultati di prestigio, nazionali e internazionali, tra i quali spiccano i quattro titoli di campione italiano nel freestyle (prima volta nel 2003 e l’ultima quest’anno), la vittoria ai Bmx Master di Colonia del 2006 e il Fise a Montpellier nel 2010. Tutt’ora tra i migliori rider nel panorama mondiale, arbero racconta a BIKE come è nata la sua passione per questa disciplina.

In che modo è iniziato tutto?

Quando ero piccolo mio padre praticava enduro e anche io ero, come lui, appassionatissimo di motocross. Purtroppo, però, nessuno mi comprò mai una moto e dunque ho deciso di intraprendere la strada della bmx. In pratica ho fatto come i figli dei motocrossisti di Santa Monica, in California, dove, agli inizi egli anni ’70 è nata la disciplina.

Qual è lo stato di salute della bmx in Italia? Il movimento italiano è in crescita e, sopratutto dopo il lockdown, si sono registrati dati in aumento anche per quanto riguarda le vendite di bmx. Certo, manca ancora molto per fare un salto a livello culturale, di conoscenza della disciplina. Va detto poi che sono molte, e anche diverse tra di loro, le filosofie, i modi di vedere e vivere la bmx. Ma credo che le nuove generazioni si faranno trovare pronte.

La possibilità di allenarti oltreoceano ti ha offerto qualcosa in più?

Senza dubbio: girare oltreoceano, dove lo sport è nato ed è più praticato, è molto stimolante. Sopratutto a livello culturale. Girare con persone che si spingono a vicenda su delle facilities veramente adatte alla nostra disciplina è la chiave per una preparazione efficace. Poi, personalmente, quando mi sono trovato lontano da casa, ho imparato ad arrangiarmi n tutto e per tutto: la bmx mi ha veramente nsegnato a vivere!

Con la vittoria del Fise nel 2010 il tuo impegno è stato ripagato?

Il Fise è sicuramente stato uno degli highlights nella mia carriera, un risultato peraltro giunto in un periodo per me molto difficile. È qualosa

che mi ha ripagato a livello morale, ma anche di consapevolezza dei miei mezzi. Nel 2009, infatti, avevo avuto un calo emotivo molto importante, avevo perso molti stimoli, arrivavo da una stagione faticosa e piena di viaggi: giravo quattro continenti in un mese! Con umiltà ho deciso di entrare in analisi e provare a ritornare sul mio sentiero. Ci sono riuscito.

Cosa significa per te essere oggi un rider di bmx?

La bmx per me non è solo uno sport, ma è una cultura e uno stile di vita: è una disciplina che mi ha insegnato a vivere e a confrontarmi, mi ha permesso di viaggiare e conoscere, mi ha anche salvato la vita in più d’un frangente. Giustamente si dice che tra le prime esperienze di libertà da bambini ci sia la bicicletta, per me è stata la bmx.

Senza sponsor cosa ne sarebbe stato della tua carriera?

È innegabile l’importanza degli sponsor, così come del marketing, nello sport. Io, per esempio, ho avuto la fortuna di cavalcare l’età d’oro della bmx e sono stato scelto come ambassador da tanti brand importanti. Il denaro è uno strumento utile per potersi spostare e investire in tutte quelle cose che possono aiutarti a crescere come rider e atleta. Puoi anche diventare campione del mondo, ma senza sponsor difficilmente si riesce raggiungere il medesimo interesse.

La maglia della nazionale cosa ti ha dato in più negli anni dell’agonismo?

Quando il bmx freestyle è diventato uno sport olimpico, la federazione ha avviato un programma e mi ha supportato con una borsa di studio per potermi allenare. È sempre bello rappresentare il proprio Paese praticando lo sport che ti ha dato di più nella vita.

A trentanove anni sei ancora tra i migliori e nel 2020 hai addirittura chiuso la stagione al quinto posto del ranking mondiale nella specialità park. Quanto contano simili risultati?

Sì, è vero, sono stato top 5 nel ranking Uci ed è stato bello ed emozionante. Ma io provo qualcosa di particolare ad ogni singola gara o evento cui partecipo, per le esperienze che maturo e le sensazioni che provo. È questo che mi nutre e motiva sempre. La ragione per cui continuo a girare, anche a questa età, è che voglio spremere le mie energie fino alla fine, senza lasciare nessun rammarico.

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RINASCERE

FUORI STRADA

L’EX PRO MATTIA VIEL, SENZA PIÙ UN CONTRATTO, SI È DOVUTO REINVENTARE A MENO DI TRENT’ANNI. ERRANDO NEL SUD AFRICA PIÙ INCONTAMINATO HA RISCOPERTO IL GUSTO DELLA PEDALATA E IDEATO UN EVENTO GRAVEL APERTO A TUTTI

Dalla strada al gravel per ripartire. Mattia Viel, cresciuto a Gassino Torinese, ha seguito il classico percorso per diventare pro, passando dalla pista (nel quartetto dell’inseguimento dal 2012 al 2017) alla strada, dove si è messo in luce all’Androni Giocattoli di Gianni Savio. Poliglotta (parla inglese e francese, spagnolo e tedesco) e con alle spalle un’esperienza in Francia nelle giovanili dell’Ag2r (frequentando in contemporanea l’Università di Chambery), Viel si è ritrovato, a fine 2021, senza contratto. Circostanza che, a 27 anni, l’ha portato a voltare pagina.

Come hai vissuto quest’uscita di scena forzata? Con rammarico. In molti, io in primis, si aspettavano di più a livello di risultati. Ma se qualcosa è andato storto non c’è da incolpare nessuno. È inutile restare ancorati al passato e a ciò che non si può cambiare. Così mi sono buttato su una nuova idea. Il ciclismo è stato mio alleato, mi ha tenuto per mano fin da quando ero piccolo, forgiandomi come uomo e atleta. È giusto restituire qualcosa, ora che ne ho l’opportunità.

Qual è il tuo ricordo più bello da professionista?

La Milano-Sanremo del 2021: convocato all’ultimo e non in condizione super, sono entrato

nella fuga di giornata e me la sono goduta.

Da bambino guardavo la corsa sul divano di casa e vent’anni dopo ero lì davanti in mondovisione.

È stato un onore e una grande emozione. Spiace non averne potuta correre un’altra perché sarei stato ancora protagonista.

C’è qualcosa che non va nel sistema? Il problema principale è di natura economica. In Italia mancano sponsor importanti: con più investitori ci sarebbero più squadre e posti di lavoro. Oltre alle squadre, poi, manca una progettualità diversa, come in Belgio e Francia. Ma il vero ostacolo è l’assenza di fiducia, anche perché i governi non incentivano le aziende a investire nello sport.

Come è maturata l’idea del gravel? Speravo di rinnovare, ma nel 2021 ho avuto un calendario discontinuo. In autunno, quando ho realizzato che sarei rimasto senza squadra, sono andato in Sudafrica per pedalare in luoghi incontaminati e ho iniziato a leggere articoli sul gravel, che è un punto di incontro fra strada e mountain bike. In Europa sembrava solo una moda, ma oggi cresce in modo esponenziale. Così ho pensato che potesse essere un’occasione: mi sono fatto promotore di questo mondo come testimonial e tester, con ottimi riscontri da parecchi sponsor.

di / LUCA GREGORIO /
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Qual è la filosofia alla base?

Pedalare in libertà, vivendo la bicinel modo più bello, senza guardare numeri e tabelle, senza essere sottoposti a giudizi né a diete. Ci sono anche meno rischi, perché non sei n mezzo al traffico, ma a contatto con la natura e hai la possibilità di fare viaggi-avventura. Anch’io ho riapprezzato la bici senza dover contare chilometri e altimetrie... e poi, quello del gravel, è un ambiente inclusivo.

Quali adesso i tuoi progetti?

Siamo partiti con la Erratico Gravel (Erraticogravel.it) nel Canavese: un’idea nata insieme a un piccolo gruppo di appassionati, per valorizzare un territorio splendido.

Si è svolta il primo fine settimana di ottobre, con partenza di domenica dal velodromo di San Francesco al Campo e tre percorsi per tutti i gusti: quello più semplice dedicato alle famiglie e, per chi invece ha la vena agonistica, due settori cronometrati e classifiche annesse. Alla vigilia divertimento con street food, musica e un’area expo e la possibilità di dormire in tenda nel velodromo.

Ci piacerebbe, per i prossimi anni, visto che siamo a cinque minuti dall’aeroporto, dare un respiro internazionale all’evento che, per essere stata un’edizione ‘zero’, ha comunque trovato il supporto di realtà importanti da Alè a Cipollini, da Dmt a Deda e Brico fino, come main sponsor, a Banca Reale.

/Per l’ex Androni il bello del gravel è che si pedala in totale libertà/
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all’ ARIA aperta PEDALARE IN LIBERTÀ: PERSONE E PERCORSI ALL'ARIA APERTA 53

INNANZITUTTO

UOMO

AL LOMBARDIA L’ULTIMO BALLO DI VINCENZO NIBALI IL PIÙ GRANDE CICLISTA ITALIANO DEL ‘DOPO PANTANI’ RIPERCORRE CON BIKE LE TAPPE DI UN'INTENSA CARRIERA: TRA I TANTI SUCCESSI E QUALCHE IMPREVISTO, EMERGE LA GRATITUDINE PER CHI HA SEMPRE CREDUTO IN LUI, COME LA MOGLIE RACHELE E IL DS BEPPE MARTINELLI

Ha scelto il Giro di Lombardia, data 8 ottobre 2022, come teatro del suo personale The last dance, l’ultimo ballo, Vincenzo Nibali. Appuntamento prestigioso per salutare, proprio come furono per Michael Jordan le Finals della stagione Nba ’97-’98 quando vinse il suo sesto anello con i Chicago Bulls. Era l’anno della doppietta Giro-Tour di Marco Pantani, che da allora non si è più ripetuta. Lo Squalo, quell’anno, aveva solo quattordici anni, correva negli esordienti e vinceva la sua prima corsa a Solarino, in provincia di Siracusa, ma sognava già in grande: voleva il Giro d’Italia. Non poteva sapere né chene avrebbe vinti due né quali e quanti altri successi avrebbe inanellato in carriera.

Professionista dal 2005, le prime importanti vittorie arrivano solo un anno più tardi e la Vuelta 2010 è il primo grande giro conquistato. Ma è nel 2013 che si consacra con la Corsa Rosa, per poi ripetersi tre anni dopo.

Sei volte Nibali è salito sul podio del Giro, in un totale di undici partecipazioni, e quest’anno, a trentasette anni, ha sfiorato il terzo gradino della generale. “Il momento più bello della mia carriera? È difficile sceglierne uno solo”, confida Vincenzo a BIKE, “perché ce ne sono stati parecchi; ma uno su tutti, forse, è proprio il primo Giro d’Italia”. Un trionfo che inaugurò una fila di successi e avvenimenti che lo hanno portato a definire 2013 e 2014 come le sue due stagioni più importanti. Non che le altre siano state da meno, escluso il biennio 2020-21, due anni davvero complessi, non solo per il messinese.

Il 2014 è stato il suo anno magico: trionfo al Tour de France di un italiano, sedici anni dopo il Pirata, ma soprattutto la nascita della figlia Emma Vittoria, pochi mesi prima della Grande Boucle, lei che è il frutto dell’amore con la moglie Rachele, con cui si era sposato due anni prima.

54 AUTUMN di / FRANCESCA CAZZANIGA /

PRIMA GREGARIO, POI CAPITANO LO SQUALO È TRA I SETTE ASSI DELLA BICICLETTA CHE HANNO CONQUISTATO VUELTA, GIRO E TOUR

“In quegli anni, specialmente dopo la vittoria al Tour, la mia vita è cambiata tanto”, ricorda Nibali, “intorno a me si è creata un’attenzione mediatica incredibile e sono stato travolto da tante cose”.

“In quei momenti - continua - ciò che fa la differenza è come accogli tutto a livello psicologico; io inizialmente non avevo assorbito bene. Tant’è che nel 2015 l’impatto si è fatto sentire e ho fatto fatica”.

Ma non si è arreso e, al termine di quella tagione, ha conquistato la prima delle tre

Monumento in palmarès, uno dei due Lombardia vinti. Nella capacità di reagire non è stato solo: “Sicuramente un ruolo fondamentale lo svolge la famiglia, e io ne ho una bellissima”, sottolinea, spiegando come abbia “sempre tenuto distinti il lavoro, e quindi lo sport, dalla mia vita privata, che è un pilastro fondamentale e che mi ha sempre aiutato nel recuperare energie. Del resto una buona stabilità ti aiuta ad affrontare anche la vita da atleta, ti dà la giusta forza e soprattutto ti aiuta a capire meglio alcune situazioni con

/©Foto Getty Images/
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ALL'ARIA APERTA

la lucidità necessaria”. E se, quest’anno, sportivamente parlando, Nibali è tornato ‘a casa’, è proprio per ritrovare un’altra persona di cui si fida ciecamente, il direttore sportivo dell’Astana Beppe Martinelli, con cui ha condiviso i successi più belli e con cui oggi saluta le corse. “Non so cosa mi passerà per la testa durante l’ultimo chilometro del Lombardia. Non ci ho mai pensato. A dire il vero, durante questa stagione, non ho mai vissuto nessuna corsa come fosse l’ultima. Vivo il presente”.

A quasi trentott’anni, che compie il 14 novembre, Nibali è senza dubbio tra i migliori atleti italiani di sempre, non solo ciclisti. È uno dei sette (insieme a Felice Gimondi, Eddy Merckx, Bernard Hinault, Jacques Anquetil, Alberto Contador e Chris Froome) ad aver vinto almeno una volta in carriera ciascuno dei tre i grandi giri: la Vuelta di Spagna nel 2010, il Giro d’Italia nel 2013 e 2016 e il Tour de France nel 2014. Nel suo immenso palmarès, tra i tanti trionfi, anche due Tirreno-Adriatico, nel 2012 e 2013, due titoli italiani nella prova in linea (2014 e 2015), due Giri di Lombardia (2015 e 2017), la Milano-Sanremo del 2018 e undici podi complessivi nei tre grandi giri. In totale sono 54 i successi, di cui 15 vittorie di tappa tra Giro (sette), Tour de France (sei) e Vuelta (due). Sulla “vittoria del cuore” è “indeciso tra la prima Classica delle foglie morte e la Classicissima di Primavera, che è arrivata così, di sorpresa, ed è stato un altro dei momenti più belli da quando sono corridore”.

Cosa manca nel palmarès di un campione del suo calibro? Forse la medaglia olimpica sfiorata a Rio 2016. Quel 6 agosto, giorno della prova in linea, Vincenzo ha gestito la gara benissimo e ai meno 10 chilometri si ritrova davanti insieme a Henao e Majka, ma in una delle curve più pericolose del circuito cade, procurandosi la frattura scomposta della clavicola, dovendo abbandonare così i sogni di gloria in maglia azzurra. Un imprevisto negativo ormai metabolizzato. “Non posso dire che questo sia un mio rimpianto. Certo che mi dispiace, ma così è lo sport, e comunque ero felice, perché arrivavo dalla seconda vittoria al Giro d’Italia”. L’annuncio dell’addio alle competizioni è giunto durante l’edizione di quest’anno del Giro, nella sua Messina, la terra dove tutto ebbe inizio, prima di spostarsi a Mastromarco, in Toscana, trampolino di lancio verso il professionismo, dove andò quindicenne insieme al fratello minore Antonio, che sarebbe anche lui passato professionista e suo compagno di squadra dal 2017. Tante e importanti le squadre professionistiche per cui Nibali ha corso: Fassa Bortolo, Liquigas, Astana, Bahrain Merida, Trek-Segafredo e, poi, per quest’ultimo anno, ancora Astana.

Il primo anno tra i grandi, nel 2005, fu con la Fassa Bortolo di Alessandro Petacchi. “L’esperienza, dopo diciott'anni di carriera tra i professionisti, è sicuramente tanta e ne farò tesoro per sempre”, spiega Nibali, ricordando come “in questi anni sono stato tante cose: neoprofessionista, giovane che doveva imparare e crescere prendendo spunto dai corridori con più esperienza, al fine di acquisire la giusta maturità; poi sono stato gregario fino ad arrivare a rivestire il ruolo di capitano”. E aggiunge: “Porterò con me ogni giorno vissuto da corridore nelle squadre in cui ho militato in tutti questi anni; esperienze che, grazie al ciclismo, mi hanno permesso di girare il mondo, conoscere tantissime persone e culture diverse”.

Che fosse giunto il momento di “appendere la bici al chiodo”, Nibali non l’ha capito “da una situazione in particolare”, semplicemente è arrivato “come un momento che fa parte della vita”. Restanola consapevolezza che “è stato un bel viaggio” e “di aver dato tanto a questo sport. Forse”, aggiunge, “è arrivato il momento di restituire ciò che ho sottratto alla famiglia, agli amici e a tutto quello che ho sacrificato per le due ruote. Ma sono sereno di chiudere così la mia carriera”. Non ha ancora deciso cosa farò dopo: “le idee sono tante ma devo prendermi il giusto tempo per ponderare ogni scelta”. Lo farà con calma, dopo il suo ultimo Lombardia. A noi resta un vuoto, difficile da colmare per la sua inestimabile grandezza, ma anche la gratitudine per tutto ciò che ha dato allo sport italiano.

/In maglia rosa tra i fratelli Johnny (alla sua destra) e Alex Carrera, i suoi procuratori dell'agenzia A&J All Sports /©Foto Courtesy Bettini Photo/
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57 ALL’ARIA APERTA "LE VITTORIE PIÙ BELLE? LA PRIMA VOLTA AL GIRO E LA GRANDE BOUCLE, SUBITO DOPO LA NASCITA DI MIA FIGLIA EMMA. MA ANCHE IL PRIMO LOMBARDIA E LA MILANO-SANREMO" /In maglia gialla sul podio del Tour de France nel 2014/ /Nel 2016 in maglia rosa al secondo Giro vinto dopo il primo nel 2013/ /©Foto Getty Images/ /©Foto Getty Images//©Foto Shutterstock/

EREDI DI UNA GRANDE STORIA

IL VELODROMO VIGORELLI DI MILANO E IL CUORE

DEL TRIANGOLO LARIANO FONDONO SPORT, TRADIZIONE

POPOLARE E GUSTO PER I PAESAGGI. A FARE DA GUIDE

IN UN VIAGGIO NELLA CULTURA CICLISTICA LOMBARDA

LA DIRETTRICE DEL MUSEO DEL GHISALLO E IL CURATORE DELLA SEZIONE TRASPORTI DEL MUSEO DELLA SCIENZA

Fatica e libertà, condivisione e legame con il territorio. La bicicletta è tutto questo e molto altro ancora. Ovunque nel mondo, e qualsiasi sia l’obiettivo di chi sale in sella, approfondire la connessione unica che questo mezzo riesce a creare tra persone e luoghi è sempre affascinante. In Italia, tra le regioni che più di tutte nell’immaginario esprimono questo rapporto, c’è sicuramente la Lombardia: regione verde e moderna che ospita, tra i tantissimi itinerari percorribili, simboli assoluti come Milano e il Triangolo Lariano. Per ripercorrerli idealmente tra memorie personali e suggerimenti pratici ci siamo affidati a Marco Iezzi, curatore della sezione trasportidel Museo nazionale della scienza e della tecnologia a Milano, e Carola Gentilini, direttrice del Museo del Ghisallo a Magreglio (Co).

Sinonimo per eccellenza di ciclismo a Milano è innanzitutto il suo storico velodromo, il Vigorelli: un luogo che anche Iezzi vorrebbe riuscire a “raccontare sempre meglio, tanto la storia dell’impianto quanto le storie delle corse”, un “obiettivo”, ci spiega, che anima il suo lavoro di ogni giorno. Storia e storie che iniziano in bianco e nero, come la prima gara ufficiale nel marzo del 1935 o i tanti record ottenuti su questa pista di legno, dove hanno corso i grandi delle due ruote,

tra i quali Antonio Maspes cui l’impianto è dedicato dal 2000. Ancora oggi il Vigorelli rimane un monumento universale del ciclismo.

Il centro del capoluogo meneghino è, da tradizione, teatro dell’arrivo della tappa finale del Giro d’Italia. Iezzi ricorda ancora oggi quando, durante la sua infanzia, gli adulti decidevano il punto più strategico per vedere sfrecciare il gruppo dei campioni che entravano a Milano. Succedeva la stessa cosa su tutte le strade che il Giro toccava, ovunque in Italia, e succede ancora oggi, ma nei suoi ricordi questo luogo era, senza dubbio, corso Sempione.

“C’era una grande emozione quando transitava il grande ciclismo”, osserva, “ai più grandi tra noi interessava già la competizione, che è sicuramente molto affascinante, ma per noi bambini era soprattutto incredibile vedere come la bicicletta potesse quasi raggiungere la velocità di una moto.

Certo, se era spinta dalle gambe giuste! Ricordo come fosse oggi quella grande emozione”. E per chi ama il cicloturismo, o semplicemente ha il desiderio di scoprire pedalando la ‘gran Milàn’, questo ampio viale che inizia sotto l’Arco della Pace e punta dritto verso Varese può essere il punto di partenza o di arrivo per un tour dentro e fuori la città.

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/In cima al Ghisallo, a Magreglio, si trova il Monumento al ciclista, una scultura di Elio Ponti/
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UN ITINERARIO EMOZIONALE TRA RICORDI D'INFANZIA E LUOGHI CHE HANNO SEGNATO INDELEBILMENTE LA CULTURA CICLISTICA ITALIANA ALL'ARIA APERTA

Allontanandoci da quello che è il ciclismo professionistico, c’è un altro grande punto di riferimento per i milanesi: l’Idroscalo. Oggi più che mai, anche sui social, è il ‘mare dei milanesi’. Qui in molti, come è stato per Iezzi, hanno imparato ad andare in bicicletta: “tantissimi qui hanno tolto le rotelle – ricorda –perché i genitori, avendo l’Idroscalo spazi molto ampi, erano più tranquilli”. A proposto di prime volte, lo stesso Museo della scienza dedica a questo passaggio importante della vita diversi momenti: “Soprattutto in primavera – prosegue –ci sono attività organizzate per i più piccoli in collaborazione con gli esperti di ciclofficine partner. Lo facciamo per insegnare il primo approccio con la manutenzione, o anche come andare in bicicletta, trovare l’equilibrio e svincolarsi dall’appoggio”.

L’esperienza personale di Iezzi si sposta poi proprio in provincia di Varese, nella Valganna, una zona che frequenta spesso per le uscite con la bici da strada. Nella zona, la destinazione è nota anche per le lunghe passeggiate o per il rafting: “La Valganna ha una lunga tradizione di bicletta”, chiosa, “e qui anch’io, seguendo qualche amico più bravo di me, ho capito cosa vuol dire scendere da una montagna senza farsi male”. Non bisogna essere grandi atleti per raggiungere e visitare i luoghi che qui vi proponiamo. Anche il Museo del Ghisallo, che sorge tra i due rami del lago di Como, è uno di questi. Adiacente al Santuario dedicato alla Madonna del Ghisallo, protettrice dei ciclisti, la sua salita, è diventata infatti, negli anni, una meta non solo ciclistica, ma anche di interesse culturale, oltre che per il panorama. Siamo in un territorio oggettivamente bello e dal grande fascino naturalistico. Per questo, insieme a Carola Gentilini, ci muoviamo alla scoperta di percorsi che si possono visitare in sella a una bici, muscolare o elettrica, oppure anche a piedi.

Il viaggio naturalistico proposto inizia da San Primo, una frazione del comune di Bellagio che prende il nome dall’omonimo monte, il più alto del Triangolo lariano. “San Primo è una meta di grande bellezza”, osserva Gentilini, “e raggiungerlo una soddisfazione”. Nei dintorni sono tante le località da poter visitare (e fotografare) come, per esempio, Cernobbio. Decisamente più faticoso, invece, salire sul Muro di Sormano, sopra Canzo, molto frequentato anche dagli appassionati delle aree montane. Come testimoniano le scritte sull’asfalto, è una di quelle strade da eroi del pedale, con una pendenza che supera il 20%. Come la salita del Ghisallo, il Muro di Sormano fa parte della storia

del Giro di Lombardia. In questo territorio, del resto, emerge subito il binomio tra la natura e le imprese dei grandi ciclisti.

I luoghi che si possono percorrere coincidono spesso con quelli che, per la gente del posto, sono i punti di attrazione per vedere le gare. Luoghi che poi diventano punti di richiamo. Arrivare a piedi sulle colline o posizionarsi sul lungolago o vicino all’arrivo durante le corse entra a far parte della tradizione locale. Se si vuole ammirare, invece, il ramo del lago che arriva fino a Lecco, Gentilini suggerisce Barni e la zona della conca di Crezzo, molto vicine al Ghisallo: “Località piacevoli anche per passeggiare e dove ci trovano aziende agricole, animali e altre attrazioni ideali per le famiglie”. Queste e molte altre mete di quest’angolo di Lombardia possono essere scoperte anche appoggiandosi all’applicazione, gratuita, Oltre Lario, voluta dalla comunità montana del Triangolo lariano dove si può scoprire cosa vedere lungo i percorsi e qual è la difficoltà.

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/©Foto Shutterstock/ /©Foto Shutterstock/ /Veduta aerea del Vigorelli/ /L’Arco della Pace visto dal tratto finale di corso Sempione/
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62 AUTUMN di / MARZIA PAPAGNA / LA SALITA VERSO IL GHISALLO, CON IL SANTUARIO DEDICATO ALLA PATRONA DEI CICLISTI, EVOCA FATICA E IMPRESE, TRA AGONISMO E SPIRITUALITÀ. ECCO PERCHÉ QUESTO ANGOLO DI PARADISO CHE SORGE TRA I DUE RAMI DEL LAGO DI COMO ATTRAE ANCORA OGGI MOLTISSIMI APPASSIONATI ASCESA CUSTODITA /©Foto Shutterstock/

Una delle salite più iconiche nel territorio lombardo è il Ghisallo, che sorge a Magreglio, al centro del Triangolo Lariano, tra i due rami del lago di Como. È un luogo dal fascino leggendario. Raggiungere la cima di questa ascesa significa tante cose, come si può intuire osservando con attenzione i cimeli conservati all’interno del piccolo santuario dedicato alla Madonna del Ghisallo. La Patrona e protettrice dei ciclisti è stata riconosciuta tale con una bolla papale nel 1949. Per la proclamazione fu organizzata, a partire da Roma, una staffetta con tutti i partecipanti al Giro d’Italia e a depositare la fiaccola furono i due grandi campioni Fausto Coppi e Gino Bartali.

Qui il valore della fatica su strada, al termine di una salita non proibitiva ma che, se percorsa sul versante nord, da Bellagio, sa far male (più dolce l’ascesa da Canzo), viene certificato anche da un brevetto: a seconda del percorso e del dislivello, facendo più o meno scalate, si conquista il proprio timbro. Un po’ come succede con il Cammino di Santiago de Compostela, forse il pellegrinaggio più famoso al mondo. Soltanto che, conoscere il Ghisallo vuol dire omaggiare le sfide eroiche del ciclismo. Fede e devozione qui incontrano la passione per tutto ciò che questo sport rappresenta, compreso l’amore per la natura. E si può essere religiosi oppure no, ma questo posto, almeno una volta nella vita, va visto. Meglio se sui pedali di una bici da strada, di un’elettrica oppure a piedi e anche, come fanno in molti, in sella a una moto.

Oltre ad ammirare la chiesetta e la sua torre campanaria di origine medievale, sempre pronta a suonare quando passa il Giro di Lombardia, dal Ghisallo si gode di una vista senza paragoni. Siamo a poco meno di 800 metri di altezza, ma c’è una splendida balconata affacciata sul lago, suggestiva anche quando non c’è il sole. Entrare nelle sale dell’adiacente Museo del Ghisallo poi, noto come la ‘casa dei ciclisti’, è un’altra delle esperienze da fare qui a Magreglio e dove si può ammirare la più grande collezione di maglie rosa al mondo (compresa una sezione femminile in forte crescita).

Dopo la visita al Museo, d’obbligo è la foto di rito sotto al monumento del ciclista, sul belvedere Romeo. E chi lo desidera si può immergere tra i sentieri delle montagne vicine, per esempio verso Canzo, Asso o Sormano, toccare il lago del Segrino oppure scendere fino a Bellagio, con le sue ville e i suoi giardini. Sono tanti gli eventi in programma, anche in autunno, come

'La Ghisallo', ciclostorica di circa 50 chilometri che si tiene a fine ottobre. Senza dimenticare le mostre, le visite guidate, compresa la possibilità di vedere, in diretta, il Giro di Lombardia all’interno delle sale.

Da circa un anno il Museo è stato inserito nella rete Mulm, progetto triennale pensato per alimentare il turismo tra Italia e Svizzera. Nell’ambito del progetto, sono state acquisite una serie di bici, sia muscolari sia assistite, disponibili al pubblico che vuole scoprire il territorio in bicicletta. Il sito museodelghisallo. it raccoglie le informazioni di tutte le iniziative promosse.

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DA UN ANNO IL MUSEO HA FATTO IL SUO INGRESSO NELLA RETE MULM, PROGETTO IDEATO PER ALIMENTARE IL TURISMO TRA ITALIA E SVIZZERA PUNTANDO SULLA BICICLETTA

SALVI

PEDALANDO

TRA LE ACQUE

LA PROVINCIA DEL VERBANO-CUSIO-OSSOLA OFFRE LA POSSIBILITÀ DI SCOPRIRE, ATTRAVERSO PERCORSI CICLABILI PER TUTTI, IL DISTRETTO DEI LAGHI TRA GRANDI SALITE E ITINERARI CICLOTURISTICI, SENTIERI PER MTB, GRAVEL E TRACCE DA DOWNHILL

Il lago come filo conduttore di percorsi per tutti i gusti, per tutte le stagioni e per tutta la famiglia. Alla scoperta della provincia del VerbanoCusio-Ossola, nell’estremità nord del Piemonte, che regala strade e panorami ideali per ogni appassionato. La costante di questo territorio è, appunto, il lago. Non solo il Lago Maggiore, il secondo in Italia per superficie e profondità, ma tutti quelli di in una terra d’Italia unica, chiamata non a caso il Distretto dei Laghi, e che permette ai visitatori di scoprirla in lungo e in largo attraverso le due ruote.

Sono più di quaranta i percorsi ciclabili, di diversa lunghezza e difficoltà, che, in un ideale viaggio da sud verso nord, partono dai grandi laghi del Verbano (Maggiore) e Cusio (d’Orta) e risalgono verso la valle dell’Ossola. Il fiume Toce è il punto di congiunzione di tutti i suoi affluenti con le rispettive valli fino a Riale, al confine con la Svizzera e con la Valle del Ticino, affluente da nord del Lago Maggiore. Verbania è il centro abitato più grande dell’intera provincia e si affaccia nel bel mezzo del lago occupando tutta la costa a nord fino al confine svizzero. Nonostante sia la zona più bassa di quota, gli amanti dello sterrato troveranno pane per i loro denti in ogni periodo dell’anno. L’anello del Monte Rosso, appena fuori il centro abitato ma soprattutto l’itinerario sulla Linea Cadorna, alle porte del Parco Nazionale della Val Grande

tra i più panoramici. Percorrendo la strada militare costruita ad inizio ‘900 prima della Grande Guerra, si possono ammirare i laghi sottostanti e, in lontananza, la Pianura Padana, il Monte Rosa e le Alpi Svizzere.

Stresa, secondo comune del Verbano, è invece il punto di partenza dei percorsi adatti agli amanti della strada. L’anello Stresa-Arona costeggia il lago andando verso sud, ed è molto più semplice e cicloturistico rispetto all’ascesa ai 1.492 metri del Mottarone, salita con pendenze anche in doppia cifra. In cima c’è il Mottarone Park, con piste da sci d’inverno che d’estate diventano percorsi per mtb e downhill. Ad ovest del Mottarone si apre il Cusio con il Lago d’Orta. Il capoluogo è Omegna, sulla punta nord da cui partono anelli di diversa difficoltà che circumnavigano interamente il lago, fino all’estremità sud (Gozzano) e, a risalire, praticabili in ogni stagione grazie al clima mite del bacino.

Andando verso nord, tra le due città principali della provincia, Verbania e Domodossola, ci si addentra in tutta la parte montana e pedemontana: è la Val d’Ossola la principale protagonista. Nel cosiddetto ‘Fondotoce’ si alternano piste ciclabili e sentieri per mountain bike tra i colori delle fioriture primaverili, boschi e borghi come Vogogna, tra i borghi più belli d’Italia. La Val d’Ossola e la sua capitale, Domodossola,

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65 ALL’ARIA APERTA /Il Lago d'Orta visto dal Monte Crabbia/ CHE SIATE CACCIATORI DI VETTE O ESPLORATORI AMANTI DELLA NATURA NESSUNA ASPETTATIVA QUI RESTERÀ DELUSA /©Foto Fabio Valeggia/

sono al centro di tutte le valli scavate dagli affluenti del Toce. Sia che si tratti di ciclisti alla caccia di salite o cicloturisti in cerca di percorsi naturalistici, le aspettative sono sempre soddisfatte. A sud-ovest si estende la Valle Anzasca che sale fino a Macugnaga, alle pendici del Monte Rosa, nonché arrivo di tappa nel Giro 2011 con vittoria di Paolo Tiralongo. Il percorso tra la cittadina e il Lago delle Fate affaccia proprio sulla parete est della seconda vetta più alta d’Europa, meta di escursionisti e alpinisti.

Meta per alpinisti e ciclisti a cui piace fare fatica è anche la Valle Antrona, poco più a nord, con la salita che porta ai laghi di Cheggio, d’Antrona e di Campliccioli. Sempre dalla parte ovest, la Val Divedro risale da Varzo fino ai 1.400 metri di San Domenico, con un bike park adatto a tutti i tipi di rider e una scuola di mtb per i più piccoli.

Ad est della Val d’Ossola, la Val Vigezzo offre piste ciclabili sicure che attraversano borghi come Santa Maria Maggiore, patria degli spazzacamini. In prima fila per gli sport invernali, gli impianti

sciistici d’estate si trasformano in un’offerta green per sentieri bike e trekking ben organizzata. Meta finale è la Val Formazza, all’estremo nord della provincia (e dell’Italia) alle sorgenti del Toce. Anche qui i più preparati possono risalire la vallata: passando per le terme naturali di Premia e i 143 metri di salto delle cascate del Toce, ’arrivo a Riale, a oltre 1.700 metri di quota, garantisce un paesaggio senza pari e la ricompensa a tutte le fatiche fatte.

Da qui partono percorsi estivi molto impegnativi di mountain bike fino ai 2.400 metri del Passo San Giacomo, con sconfinamento in Svizzera.

Queste sono solo alcune direttrici di una zona molto estesa a misura di ciclisti e cicloamatori, con ventinove noleggi bici e alberghi bike friendly disseminati in tutto il territorio. Un’offerta arricchita dalla presenza di depositi e officine, di accompagnatori e guide per vivere al 100% qualsiasi percorso: strada o sterrato, pendenze arcigne o semplice cicloturismo, adulti esperti o bambini a cui insegnare.

/L'impianto di risalita Domo Bianca/
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67 ALL’ARIA APERTA DISSEMINATI SUL TERRITORIO NON MANCANO NOLEGGI E ALBERGHI BIKE FRIENDLY /Escursione nel Parco del Mottarone/ /Tra le destinazoni possibili anche Riale in Val Formazza / /©Foto Archivio Gianluca Barp/

SALVI

LA CASA DELLA

BICICLETTA

CALA IL SIPARIO SULLA STAGIONE 2022 DEL CICLISMO IN TRENTINO. LA PROVINCIA AUTONOMA PUNTO DI RIFERIMENTO PER SPORT E TURISMO SI CONFERMA AL TOP CON PROPOSTE CHE SPAZIANO DALLA STRADA AL CICLOCROSS SULLA NEVE

Un connubio vincente tra pratica sportiva di base, grandi eventi internazionali e promozione territoriale. Quest’anno il Trentino ha puntato su competizioni di altissimo livello, multiformità di discipline, in tutte le stagioni, per un’offerta completa in grado di offrire proposte ai turisti della bicicletta per dodici mesi l’anno.

Oltre novanta competizioni che spaziano dalle Dolomiti al Lago di Garda, dall’arrampicata fino alla vela. Una palestra a cielo aperto che ha ospitato i ritiri delle grandi squadre di calcio e i raduni delle nazionali italiane di basket, rugby e pallavolo. Anche il ciclismo ha avuto un ruolo fondamentale: sono nove le manifestazioni di rango internazionale con le due ruote protagoniste, da aprile a dicembre, su tutti i terreni.

La strada ha avuto una parte importante. Il Tour of The Alps a fine aprile è stato l’antipasto del Giro d’Italia con dieci squadre World Tour in una cinque giorni di tappe impegnative, iniziata proprio dal Trentino per finire in Austria, a Lienz. In mostra la Val di Non con la partenza da Cles per arrivare nella Valle di Primiero, a San Martino di Castrozza, tra le mete turistiche più accoglienti d’Italia alle pendici delle Pale di San Martino. Nella prima tappa a vincere è stato il

francese Bouchard, mentre la vittoria finale è andata al transalpino Romain Bardet, due volte sul podio al Tour de France.

Il Giro d’Italia, come spesso successo nelle sue 105 edizioni, ha visto il Trentino come terreno decisivo per conquistare il Trofeo senza fine.

La diciassettesima tappa, Ponte di LegnoLavarone, ha attraversato Val di Sole, Val di Non, Val di Cembra e Valsugana, fino al traguardo di Lavarone sui durissimi tornanti del Menador.

Il giorno dopo la ripartenza da Borgo Valsugana e l’ultima tappa di montagna che ha deciso la corsa Rosa. Tra i passi San Pellegrino, Pordoi e Fedaia, ai piedi della Marmolada, lo scatto decisivo di Jai Hindley per la maglia rosa. Un biglietto da visita eccezionale, visto in televisione da tre milioni di spettatori solo in Italia.

Non solo il Giro uomini, ma anche due realtà del ciclismo su strada come il Giro Under 23, che a metà giugno ha visto il passaggio in Trentino di due tappe con partenza e arrivo a Pinzolo, in Val Rendena. Decisive anche le tappe del Giro Donne, andato in scena la prima decade di luglio.

La terzultima e la penultima tappa, con arrivo ad Aldeno e a San Lorenzo-Dorsino, hanno certificato il dominio dell’olandese Annemiek Van Vleuten, che ha poi fatto tripletta di Grandi Giri conquistando poco dopo Tour de France e Vuelta.

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/Un momento della terza tappa del Tour of the Alps/ /Un momento delle finali di Coppa del mondo Uci mtb in Val di Sole/ /©Foto Josef Vaishar, Courtesy Trentino Marketing/ /©Foto Giacomo Podetti / Courtesy Trentino Marketing/
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/Un passaggio delle Enduro world series in Val di Fassa/ /In Val di Fassa non poteva mancare il Giro d'Italia/ /©Foto Nicola DamonteVal di Fassa Bike District / Courtesy Trentino Marketing)/ /©Foto Rcs, Courtesy Trentino Marketing/
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Se le tappe alpine e dolomitiche sono un ottimo modo per promuovere e raccontare un territorio, non è da meno l’organizzazione delle granfondo, dove il legame con gli appassionati, amatori e non solo, è forse ancora più diretto, anche in virtù dell’offerta turistica che viene costruita attorno alla competizione. A maggior ragione se il target riguarda la categoria master, che spesso porta con sé tutta la famiglia.

E a metà settembre Trento è tornata ad essere protagonista, dopo l’Europeo di ciclismo dello scorso anno vinto dall’azzurro Sonny Colbrelli, con l’organizzazione proprio dell’Uci Gran Fondo World Championship per i Master.

Abbandonando la strada non cambia il ruolo centrale del Trentino, con un evento che ha collegato direttamente l’aspetto agonistico con quello paesaggistico. La Dolomitica Brenta Bike, dal 24 al 26 giugno, è stata insignita del rango di Campionato Mondiale Uci di Mtb Marathon per i Masters. Lo splendido scenario delle Dolomiti di Brenta ha assegnato le maglie iridate attraverso due percorsi, marathon (di 62 chilometri) e race (44 chilometri), nel cuore di un Patrimonio Unesco attorno a cui ruota un’offerta tecnica e cicloturista completa.

Sempre per i grandi eventi con le ruote grasse a fine giugno sono andate in scena a Canazei (Val di Fassa) le World Series di enduro tra le aree del Belvedere e del Col Rodella. Tra il 2 e il 4 settembre, a Daolasa di Commezzadura in Val di Sole, 25mila spettatori hanno assistito alle finali della Coppa del Mondo Uci di Mtb, nelle specialità short track, downhill e cross-country, dove il fenomeno svizzero Nino Schurter, dopo aver vinto il decimo Mondiale, ha conquistato l’ottava Coppa del mondo generale.

Il Trentino si conferma tra le capitali dello sport e nell’organizzazione di eventi anche senza competizioni internazionali. Ne è la dimostrazione il Festival dello Sport, andato in scena a Trento l'ultimo weekend di settembre. Organizzato da Gazzetta dello Sport insieme a Trentino Marketing, tra presentazioni, talk ed eventi collaterali, con la presenza di campioni di tutte le discipline non potevano mancare fuoriclasse delle due ruote del presente e del passato, da Sonny Colbrelli a Vincenzo Nibali, da Paola Pezzo a Davide Cassani e ancora Alessandro Ballan, Paolo Bettini, Ivan Basso, Maurizio Fondriest, Gianni Bugno, Francesco Moser e Giuseppe Saronni.

Un anno di grandi eventi insomma che, dopo una primavera-estate da protagonista, vivrà il gran finale il 17 dicembre con un evento che nonostante la sua giovane età è già diventato attesissimo: la tappa di Coppa del mondo di ciclocross, ai Laghetti di San Leonardo a Vermiglio (Val di Sole), è la prima progettata su un percorso interamente innevato che, all'esordio lo scorso anno, ha stupito gli spettatori ed esaltato i più grandi interpreti della specialità, con la vittoria del fuoriclasse belga Wout Van Aert.

Grandi eventi la cui riuscita è il risultato di un gioco di squadra che vede coinvolti volontari, forze dell'ordine, comitati organizzatori e istituzioni. Manifestazioni che permettono di legare l’interesse sportivo a quello turistico-promozionale in un territorio dove lo sport è cultura e passione, che vuole soddisfare l’organizzatore così come il visitatore. Per un impatto mediatico di livello internazionale e un indotto economico importante per tutto il territorio.

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DOVE TUTTI SONO CAMPIONI

AL RE DEL CAPPUCCINO DI MONSUMMANO TERME NON SI FANNO DISTINZIONI: NON PAGA IL RAGAZZINO COSÌ COME IL FUORICLASSE. STORIA DI UN LUOGO IN PROVINCIA DI PISTOIA CHE È ENTRATO DI DIRITTO NELL’IMMAGINARIO COLLETTIVO OFFRENDO LA SUA BEVANDA SIMBOLO AI CICLISTI CHE DAGLI ANNI ’60 VENGONO A SCALARE IL SAN BARONTO, LASCIANDO CIMELI IN CAMBIO: FOTO, MAGLIETTE, CAPPELLINI

Monsummano Terme è un paese di 20mila abitanti immerso nella Valdinievole, provincia di Pistoia in Toscana. Segni particolari: la Grotta Giusti e la Grotta Parlanti, due rinomati centri termali, i calzaturifici e il fatto di aver tenuto a battesimo la prima esibizione italiana di David Bowie. Prima di diventare Ziggy Stardust, nel 1969 il giovane cantante partecipò al Premio Internazionale del Disco cantando When i Live My Dream. Boccoli biondi, modi gentili e una voce calda che scaldò i cuori di tutti all’interno del teatro cittadino. Per un Duca che canta c’è però un Re che a Monsummano fa altro: il cappuccino. Già, perché in questo luogo, vicino al San Baronto, la salita simbolo del ciclismo toscano, esiste un posto dove, se sei un corridore, puoi gustare un cappuccino gratuitamente. Perché il ciclista al Re del Cappuccino è sempre un ospite d’onore. Sopra il frigo dei gelati, appese al muro, una selezione delle maglie dei corridori raccolte negli anni. Le altre, più di 200, stipate nelle scatole delle sigarette insieme agli album fotografici. Un vero e proprio tesoro nello scantinato del bar, mostrato con orgoglio da chi ha fatto del ciclismo una passione da tramandare. “I corridori vengono qua e bevono il cappuccino. Non li facciamo pagare così, per regalo, ci lasciano la loro maglia” racconta Manuela che gestisce il bar insieme al fratello Maurizio e al marito Paolo da quando il padre Umberto è mancato nel 2015.

Era lui il Re del Cappuccino. “Mio padre non faceva distinzioni tra il campione e il ragazzino: nessuno dei due pagava. Per lui era una gioia offrire il suo cappuccino. E noi proseguiamo in

questa tradizione perché sappiamo di renderlo felice”. Nel 1959 Umberto Galligani torna da Milano dove aveva lavorato come cameriere in una gelateria-caffetteria di Porta Venezia frequentata dalla buona borghesia milanese. 60mila lire di stipendio, 400mila lire di mance. Con i soldi messi da parte, Il toscanino com’era soprannominato torna a Monsummano e apre un alimentari che poi diventa un bar e inizia a sfornare cappuccini a ripetizione. Sempre sorridente, affabile, con la cravatta sotto il camice da lavoro. Un signore, nel vero senso della parola. “Mano, macinatura, miscela, macchina: queste sono le quattro emme che secondo mio padre servivano per ottenere un buon caffè” afferma Manuela che poi indica una maglia tra le tante appese. Riporta proprio le ‘quattro emme’ con un piccolo errore ortografico. “Ce la portò una squadra israeliana quando seppero che mio padre era morto. Vennero apposta, fu molto toccante”. Maglie, tante, e foto, una miriade. Squadre intere o singoli corridori, immortalati a fianco di Umberto. E poi firme, cappellini, ritagli di giornali.

Il Re del Cappuccino è il regno del ciclismo racchiuso in un bar, tra i cornetti, le sigarette e i quotidiani da sfogliare. Fuori le bici da corsa, dentro i corridori che fanno una pausa. Una meta di pellegrinaggio obbligatoria. Tutti si fermano o si sono fermati dal Re del Cappuccino. Persino Marco Pantani. “Venne una sera”, ricorda Manuela: “Parlò a lungo di funghi con mio padre. Gli disse che aveva comprato un podere in Romagna vicino a una fungaia”.

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di / PIETRO PISANESCHI /

Nel 2013 la Toscana celebra la sua vocazione ciclistica ospitando i Mondiali su strada e il Re del Cappuccino diventa meta per tutte le nazionali che alloggiano nella vicina Montecatini. “Era un viavai continuo, servivamo cappuccini senza sosta. Un giorno arrivò Marianne Voss che si stava allenando con la nazionale olandese. Si portò dietro l’intera troupe televisiva. Bevve il cappuccino e ci regalò la maglia. Due giorni dopo vinse il Mondiale”. In alto, sul muro, campeggia incorniciata la prima pagina dell’Equipe che immortala la vittoria di Pantani sul Galibier al Tour de France del 1998. Su una colonna, trova posto la foto di Francesco Moser e, subito sotto, quella di Giuseppe Saronni. Umberto era moseriano ma nel suo locale teneva anche quella del rivale, a ricordarci che il ciclismo unisce e non divide mai.

/©Foto Sara Agostiniani/
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AL FONDATORE UMBERTO, DETTO IL TOSCANINO, SONO SUCCEDUTI I FIGLI MANUELA E MAURIZIO: "PER LUI DONARE ERA UNA GIOIA, E NOI PROSEGUIAMO LA TRADIZIONE SAPENDO COSÌ DI RENDERLO FELICE"

IL CUORE RURALE DELLA PUGLIA

NEL PARCO NAZIONALE DELL’ALTA MURGIA, LUNGO IL CONFINE CON LA BASILICATA, SI SNODA UN PERCORSO CHE CORRE TRA NATURA E STORIA ATTRAVERSO TRATTURI E PRATERIE, DA SCOPRIRE ACCOMPAGNATI DA GUIDE LOCALI. L'ITINERARIO PIÙ RICHIESTO È L'ANELLO DI FEDERICO II

Alla ricerca del tramonto perfetto, nel cuore rurale della Puglia. Pedalando nei luoghi di Federico II, immersi nel Parco Nazionale dell’Alta Murgia, verso il confine con la Basilicata, in un paesaggio disegnato da muretti a secco, chiesette rupestri, antiche masserie e infiniti campi di grano e cereali. Un pezzo di Puglia segreta, tratti prediletti per conoscere questa regione lontano da tutti e riscoprirne storia e tradizioni.

Nelle sere d’estate o durante il giorno nelle giornate più corte, l’altopiano della Murgia, candidato come Unesco Geopark, è il viaggio in bicicletta che conserva nella memoria immagini sempre diverse perché qui i colori non sono mai gli stessi: dal celeste del cielo al giallo della ferula in fiore a inizio estate, dal bianco e il rosa di asfodeli e mandorli ad aprile al rosso vivo dei papaveri a maggio, fino al foliage d’autunno con gli arbusti selvatici e gli alberi tipici della zona mediterranea, come il terebinto.

Pedalare sulla Murgia è un po’ come sentirsi un elemento che si muove all’interno di un quadro: si attraversano tratturi e praterie e le narici si dilatano per sentire l’odore delle erbe spontanee, come il timo serpillo e la menta selvatica. Esistono percorsi e itinerari agevoli segnalati qua e là da diversi cartelli, anche se il territorio non offre grandi infrastrutture. Da soli, il rischio è quello di perdersi e di non saper cogliere i dettagli di una ‘steppa’ così rara.

Ad incastrare i pezzi del puzzle, ci sono le guide ambientali riconosciute, tra cui Filippo Tito fondatore di Ciclomurgia. “Consiglio un tour

guidato perché, lì dove sembra che non ci sia niente, in verità, c’è un mondo da scoprire”, spiega a BIKE. “La Murgia è il luogo perfetto per imparare a puntare la lente di ingrandimento verso angoli che altrimenti non noteresti. E comunque si può tornare in autonomia dopo il tour guidato per godere dell’immersione naturalistica al di là del racconto”. In sella con Ciclomurgia si fanno molti percorsi on the road, con bici muscolare o in e-bike, super consigliata la mountain-bike, ideale in questa zona. L’itinerario più richiesto e adatto a tutti è l’anello di Federico II che ruota intorno a Castel del Monte, il castello ottagonale del XIII secolo (patrimonio mondiale dell'Unesco dal 1996), scelto da Gucci come palcoscenico della sua ultima collezione.

Si percorre un tratto di bosco della locale quercia Roverella per poi ritrovarsi nello scenario di aperta campagna, restando sempre lungo il periplo del castello. In questo itinerario, il canale dell’Acquedotto pugliese fa da ciclovia e la bici lo percorre passando tra due porzioni diverse dello stesso territorio: a destra la mano dell’uomo con il paesaggio agricolo e i vigneti, a sinistra la natura selvaggia che esprime tutto il potenziale della biodiversità. “Durante questa pedalata il castello è sempre lì che domina”, prosegue Tito, “ti sorveglia dall’alto, osserva il tuo passare in bicicletta. Fatto al tramonto ha un fascino incredibile”.

Con un percorso diverso, di circa 35 chilometri, si sale invece sul costone murgiano con un dislivello di 150 metri tra pinete e macchie di conifere fino a raggiungere il Pulicchio di Gravina, una dolina carsica scavata dall’acqua profonda quasi 100 metri, sulla parte più alta dell’altopiano

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di / MARZIA PAPAGNA /

illuminata dal sole. Il ritorno è scenografico, quasi tutto in discesa, dal bosco al canyon che squarcia le Murge per centinaia di metri fino ad arrivare vittoriosi sul ponte in pietra settecentesco, simbolo di Gravina di Puglia, città che è anche il punto di partenza del tour.

“Per noi la bici è un mezzo per esplorare il territorio”, chiosa la guida, “per questo a volte ci fermiamo per gustare anche i sapori della terra con un pranzo in masseria”. Fermarsi vuol dire anche osservare più da vicino, o ascoltare. “Le sorprese sono sempre tantissime”, conclude: “è una zona che riesce a emozionarti. Come è successo durante un concerto di Ludovico Einaudi proprio ai piedi del costone

murgiano. In una pausa del pianista, siamo riusciti a sentire il canto dell’Occhione. È stato stupendo”.

/Alcuni scorci di paesaggio con i colori tipici della Murgia/ /©Foto Piero Amendolara/ /©Foto Piero Amendolara/ /©Foto Ciclomurgia/ Leggi tutte le news di All'aria aperta su Bikechannel.it
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STUPEFATTI

DAL GIGANTE

SONO TRE I VERSANTI DA SCALARE, UNICA ED ECCEZIONALE

L’ESPERIENZA QUANDO SI RAGGIUNGE LA CIMA. IL MONT VENTOUX, SIMBOLO DELLA FRANCIA E DEL TOUR, È UN’ATTRAZIONE CHE OGNI CICLISTA DOVREBBE PROVARE UNA VOLTA NELLA VITA

Si percepisce sempre qualcosa di misticodi fronte al Mont Ventoux. Sarà per il paesaggio lunare unico al mondo o per l’aura di ciclismo leggendario che si respira, eppure è proprio così. Anche il grande scrittore e poeta del ‘300 Francesco Petrarca si innamorò di questa montagna tanto da volerla scalare (a piedi), per mettere poi nero su bianco le sue sensazioni nella lettera intitolata proprio Ascesa al Monte Ventoso

Il Mont Ventoux è uno dei simboli della Provenza, meravigliosa regione collocata nel sud della Francia e autentico paradiso per ciclisti e cicloamatori. Fra borghi ricchi di arte e cultura e campi che, fra giugno e inizio luglio, fioriscono di lavanda, si staglia maestoso Le Geant, che domina la zona con i suoi 1.912 metri d’altezza e quella calotta senza più vegetazione, sferzata nei secoli dal vento. Impossibile non restarne ammaliati, e attratti. Quando soffia forte il Mistral, tra 60 e i 100 chilometri orari, salire in bici è impossibile, oltre che pericoloso. Per prima cosa occorre, dunque, controllare il meteo. In estate, comunque, il rischio è piuttosto basso.

Sono tre i versanti da cui è possibile affrontare il Ventoux: da Bédoin, Malaucène e Sault. Per chi ha gambe, e tempo, si possono anche fare tutti e tre nello stesso giorno per complessivi 130 chilometri e 4.400 metri di dislivello. E chi ci riesce ottiene l’ambito riconoscimento del Club des cinglés de Mont Ventoux, il club dei, letteralmente, pazzi del Ventoso. Il versante classico è quello di Bédoin, il versante sud che generalmente affronta il Tour de France e dove hanno vinto, scrivendo imprese incastonate nella memoria, Eddy Merckx e Charly Gaul, Raymond Poulidor e Richard Virenque, Marco Pantani e Chris Froome.

Una salita benedetta per alcuni e maledetta per altri. Fatale, per esempio, a Tommy Simpson, che su questi tornanti perse la vita nel 1967 per un malore. Il versante di Bédoin è una sfida con se stessi: 21,5 chilometri e 1.600 di dislivello e dove solo i primi 4-5 chilometri sono pedalabili. Poi ci si immerge nel bosco. Strada larga, tanti drittoni e pendenza che oscilla costantemente fra il 9 e il 12 per cento. Un breve rifiato in prossimità dello Chalet Reynard e poi via ad affrontare gli ultimi 5,5 chilometri nella pietraia. Qui comincia la magia: il pennone dell’ex osservatorio astronomico sembra lì a portata di mano, ma non arriva mai. Intanto il panorama si apre e ci si sente un po’ padroni della Provenza. La strada resta bellissima e sinuosa. La fatica si mescola all’emozione crescente. Fino ad arrivare lì, al fatidico cartello: Mont Ventoux – 1.912 m”, ormai sepolto dagli adesivi. Un godimento.

Molto bello, e duro, anche il versante nord, da Malaucène. Più panoramico nel complesso, con la salita che ogni tanto offre scorci sulla cittadina di Vaison la Romaine (una perla da visitare, non molto lontana). I primi 9 chilometri alternano tratti più morbidi (al 5-6 per cento) ad altri più impegnativi (9-11 per cento), poi ce ne sono 5 quasi fissi al 10 e gli ultimi 5 attorno all’8 per cento. Qui, l’osservatorio si scorge solo all’ultimo ed è una scossa di brividi.

Molto più pedalabile, invece, è il versante di Sault (da est). Sono oltre 25 chilometri, con pendenza media attorno al 5 per cento. Si tratta della salita decisamente più panoramica, specialmente nella prima parte, dove si può avere la fortuna di pedalare fra i campi di lavanda. È il versante accessibile a tutti, almeno fino allo Chalet Reynard, dove la strada incrocia quella che

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di / LUCA GREGORIO /

sale da Bédoin. A quel punto il finale è identico al versante sud, con pendenze non banali.

Il Mont Ventoux non delude mai, da nessun versante – e chi scrive li ha provati tutti e tre –, non importa da dove partite, è una salita intrisa di storia e bellezza, non a caso battuta da ciclisti che vengono da ogni angolo d’Europa per scoprirne e testarne la maestosità. Solo un consiglio finale. Questa zona resta comunque tutta fantastica da

pedalare, a prescindere dal Geant, le strade sono belle e le salite mai troppo impegnative.

Da appuntarsi, per esempio, le Gorgesde la Nesque e il giro dei Dentelles de Montmirail, con ulteriori scorci da cartolina, fra vigneti, lavanda, borghi e dolci colline.

E il Mont Ventoux resta lì come una stella polare, dalla cui sommità la vita acquista tutto un altro panorama.

CHI COMPLETA TUTTE LE ASCESE NELLO STESSO GIORNO ENTRA NEL CLUB DEI 'PAZZI' DEL VENTOSO

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MISSIONE MONDIALE

PER LA PRIMA VOLTA UN ATLETA DELLA SANTA SEDE HA LOTTATO PER UN TITOLO IRIDATO. MA A WOLLONGONG, IN AUSTRALIA, RIEN JOHN SCHUURHUIS, È ANDATO SOPRATTUTTO PER PORTARE UN MESSAGGIO DI PACE E RICONCILIAZIONE

/Di fronte alla basilica di San Pietro, Roma/
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di / ENRICO SALVI /

Una storica prima volta è andata in scena ai Mondiali di ciclismo a Wollongong, Australia, che hanno visto al via un corridore della Santa Sede. Nella prova in linea maschile, dove si sono sfidati campioni del calibro di Van Aert, Van der Poel, Alaphilippe e Pogacar, a contendere la maglia iridata c’era anche

Rien John Schuurhuis, olandese sposato con l’ambasciatrice australiana presso la Santa Sede Chiara Porro e pertanto naturalizzato vaticano. Per lui, più che il sogno di vincere il Mondiale, l'obiettivo era partecipare per portare il messaggio del Papa fino all’altra parte del mondo.

Papa Francesco, durante il congresso dell’Unione ciclistica europea del 2019, aveva definito il ciclismo un esempio quanto a spirito di altruismo, generosità e comunità.

“Pedalare in bicicletta – aveva detto – mette in risalto virtù come la sopportazione della fatica nelle lunghe salite, il coraggio nel tentare una fuga, l'integrità nel rispettare le regole, l'altruismo e il senso di squadra”. Un appello a cui la famiglia del ciclismo ha risposto “presente”, muovendo un passo verso il Vaticano: il 24 settembre 2021, nel Congresso di Leuven, Belgio, l’Unione ciclistica internazionale, massimo organo della disciplina a livello mondiale, è stata infatti la prima federazione internazionale ad accogliere la polisportiva Athletica Vaticana, che ha così potuto qualificare un atleta per le competizioni iridate.

Il corridore che ha rappresentato il Vaticano ai Mondiali – un ruolo che il pontefice stesso ha ‘investito’ del titolo di ‘ambasciatore’ del Papa – è un atleta che con la bicicletta e il continente Downunder ha un rapporto privilegiato. Nato nei Paesi Bassi, a Groningen, nel 1982, Schuurhuis ha girato il mondo, Asia e Pacifico in particolare, fino all’Australia, diventando ciclista professionista. Tra il 2015 e il 2019 ha corso per la Oliver's Real Food, conseguendo peraltro due successi di tappa e la vittoria finale del Tour di Tahiti. Nel 2020 il trasferimento a Roma, per seguire la moglie, e l'anno scorso l'iscrizione alla Vatican Cycling, oltre alla disputa del campionato olandese a cronometro, conclusa con un quarantesimo posto finale.

Ottenuta la cittadinanza vaticana, Schuurhuis è stato convocato per il Mondiale, all’interno di un programma che va ben oltre la mera competizione ciclistica. La delegazione vaticana, infatti, grazie al supporto della Caritas di Sydney e dell’Ambasciata di Australia presso la Santa Sede, ha incontrato la comunità aborigena nell’ambito del progetto solidale denominato First Australians dedicato ai bambini

indigeni portati via con la forza all’epoca del colonialismo e che sono stati così rifiutati due volte, dai non indigeni prima e quando sono tornati a casa poi. Una mission sportiva, sociale e religiosa che ha coinvolto anche l’ex professionista Valerio Agnoli, già gregario di Vincenzo Nibali, Ivan Basso e Peter Sagan, il cui ruolo per Vatican Cycling è quello di responsabile dei rapporti con l'estero, ma che per l’occasione è stato designato Ct della spedizione vaticana.

Salutando la bontà del progetto in cui è stato coinvolto il suo ex compagno di squadra in Liquigas, Astana e Bahrain, Nibali ha dichiarato: “Sono felice che la squadra di ciclismo di Athletica Vaticana partecipi a un evento sportivo mondiale, legando i suoi valori a quelli dello sport e facendosi ‘portavoce’ del messaggio che la famiglia sportiva, la comunità sportiva, la squadra è la prima vera forza”. Schuurhuis, facendo proprio il messaggio che il Santo Padre ha rivolto a inizio luglio all’Athletica Vaticana per i Giochi del Mediterraneo, ha ricordato che “lo sport ha il potere di spingere ciascuno di noi a dare il meglio di sé, sposando la generosità, il sacrificio e l’umiltà. Noi di Athletica Vaticana siamo pronti a portare questi valori ai Campionati del mondo e a incoraggiare tutti gli atleti a essere ambasciatori dello sport come veicolo di inclusione, di fraternità e di pace”.

/Rien Schuurhuis durante un allenamento a Cape Baily, Sydney/ /La maglia della nazionale vaticana/
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LA NEMESI

DI BARTALI

Siamo abituati a pensare a Fausto Coppi come al più grande avversario di Gino Bartali. Un duello che ha infiammato l’Italia, e non solo, nel dopoguerra. Prima però c’era stato un altro piemontese che si era opposto all’emergente toscano: Giovanni Valetti da Vinovo. Valetti passa professionista nella Frejus dei fratelli Gelfi sul finire nel 1935, la stessa squadra che, a inizio stagione, aveva fatto passare anche Bartali. Nel 1936 Bartali, diventato intanto corridore della Legnano, vince il suo primo Giro d’Italia, mentre Valetti è quinto, a quasi un quarto d’ora dal vincitore. Scrive di lui Marco Pastonesi ne Giro d’Italia, La grande storia: “Valetti è un omone silenzioso e duro, forte e instancabile, più regolarista che scalatore, e un giorno Bartali lo avrebbe paragonato a Miguel Indurain”. Nel 1937 il duello si rinnova al Giro d’Italia. Ancora una volta è il toscano a prevalere, ma il piemontese vince una tappa (la terza, da Acqui Terme a Genova) e indossa la maglia rosa per cinque giorni. Bartali, in seguito a questo successo, viene dirottato sul Tour de France, con l’obbiettivo di riportare in Italia una vittoria che manca ormai dalla doppietta (‘24 e ‘25) di Ottavio Bottecchia. Guidato in ammiraglia da Costante Girardengo, commissario tecnico della

Nazionale, Bartali, in attesa delle montagne dove spiccare il volo, controlla la situazione, ma una caduta nel torrente Calau ne blocca il proposito.

Da Roma, poi, arriva l’ordine di ritirarsi e a nulla valgono le proteste del giovane toscano.

Bartali è obbligato dal regime a saltare l’edizione del 1938 del Giro d’Italia per concentrarsi sul Tour de France, lasciando il palcoscenico a Valetti. Il corridore della Frejus, nonostante qualche ritardo iniziale, domina quel Giro. I suoi diretti avversari sono staccati di quasi dieci minuti sul podio di Milano. La stampa però tende ad esaltare più l’assenza del rivale che non le doti del vincitore.

Una lettura che si amplifica quando Bartali torna vincitore dalla Grand Boucle a fine luglio. Il duello tra i due allora prosegue a distanza.

Valetti, infatti, ad agosto partecipa e vince il Tour de Suisse: conquista due tappe (la terza e la quarta) e trionfa con 12’44” sul secondo classificato, il lussemburghese Arsène Mersch. Le attese per il 1939 sono quindi altissime. L’edizione del Giro del ‘39 è dunque tutta incentrata sul confronto tra i due corridori. Le fughe premiano l’uno e poi l’altro. Le cronometro sono di Valetti, mentre in salita è Bartali a fare la differenza.

PRIMA DI COPPI FU UN ALTRO IL RIVALE DEL TOSCANO A ENTUSIASMARE L’ITALIA DEGLI APPASSIONATI DI CORSE IN BICICLETTA: SI CHIAMAVA GIOVANNI VALETTI, VENIVA DA VINOVO E CON LA FREJUS VINSE DUE GIRI D’ITALIA, RIUSCENDO A BATTERE ANCHE IL PORTACOLORI DELLA LEGNANO PASQUINI
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di / MARCO
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Sulle Dolomiti, però, Bartali vola sul passo Rolle, rifilando 7’48” a Valetti. Segue un giorno di riposo e poi una nuova tappa di montagna. Valetti dà il tutto per tutto nella Trento-Sondrio, accompagnato dall’altro corridore della Frejus, Bizzi. Vanno via in tre, con Bartali che fora a Cles. Anche Valetti fora, ma la presenza del compagno è fondamentale per riprendere immediatamente la sua cavalcata. Con Bartali in leggera crisi, il piemontese riesce ad arrivare con un vantaggio tale da ribaltare il Giro. Nel 1940 Valetti passa alla Bianchi, con il proposito di ripetere l’impresa dell’anno precedente. Ma non è più lui. È un corridore svuotato mentalmente, combina poco o niente e al Giro non entra neanche nei primi dieci. Dopo un solo anno la Bianchi lo liquida e da lì comincia la sua parabola discendente. Correrà ancora qualche corsa durante la guerra per chiudere l’attività nella Milano-Sanremo del 1948. La storia completa di Giovanni Valetti è stata raccontata sul numero di Biciclette d’Epoca andato in edicola a fine agosto.

*Oltre a curare il blog Inbarbaallebici.wordpress.com, collabora con la rivista Biciclette d’Epoca e, nell’ambito dell’omonimo format tv su Bike Channel interviene con approfondimaneti e curiosità

/Giovanni Valetti e Cino Cinelli/
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I CONSIGLI DEGLI ESPERTI SU COME GUIDARE BICICLETTE E MONOPATTINI ELETTRICI 83 PEDALANDO IN SICUREZZA

IL VALORE

DELL’ATTESA

RISPETTARE L’OROLOGIO BIOLOGICO CON I SUOI TEMPI DI RIPOSO È IMPORTANTE PER NON SOVRACCARICARE

IL CORPO E LA MENTE. ECCO QUALCHE SUGGERIMENTO SULLA PRATICA SPORTIVA PIÙ ADATTA PER QUANDO

DOBBIAMO RIPORRE LA BICICLETTA IN GARAGE

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di / MASSIMO BOGLIA* /©Foto Shutterstock/

Inoltrandosi nelle stagioni autunnale e invernale a parola d’ordine per l’appassionato deve essere differenziare le attività, con intelligenza e creatività. Se un tempo infatti con l’arrivo del freddo era pressoché inevitabile riporre la bicicletta in garage, oggi grazie allo sviluppo delle migliori innovazioni e tecnologie dal punto di vista dell’abbigliamento e delle dotazioni sportive è sempre più facile allenarsi anche alle temperature più basse (oppure indoor). Ciò non toglie, tuttavia, che rispettare l’orologio biologico in queste stagioni sia comunque importante, sia per il fisico sia per la mente. Senza scordare poi che prendersi un periodo di pausa può servire a ricaricare le batterie in vista della nuova stagione.

Chi proprio non riesce a staccare, nemmeno per due o tre settimane, è quantomeno opportuno che diminuisca drasticamente i carichi di lavoro, fino a pedalare solamente, come talvolta si usa dire, “per portare in giro la bici”. Nulla più.

Importante sarebbe piuttosto considerare come vera e propria seduta di allenamento gli esercizi a corpo libero, all’aperto o in palestra, che troppo spesso vengono tralasciati durante la stagione. Esercizi in cui si rafforzano, in particolare, la parete addominale, i muscoli lombari e la parte alta della schiena, che sono fondamentali per il ciclista.

Non di rado capita infatti che, dopo uno sforzo prolungato e specialmente in salita, se non si è preparati, la parte bassa della schiena possa dolere. Ed è qui che spesso si inizia immancabilmente a dare la colpa alla bicicletta, con il conseguente avvio di quello che io chiamo il “festival della brugola”, alzando e abbassando la sella, avanzando e arretrando il manubrio… quando in realtà la causa ell’indolenzimaneto può, molto più probabilmente, essere rintracciata nel fatto che certi muscoli conivolti nella pedalata non sono semplicemente pronti a sostenere determinati sforzi.

Sfruttare il periodo invernale per impostare un allenamento in parallelo alla pratica del ciclismo può dare notevoli vantaggi. Chiaramente bisogna farsi seguire da un esperto, evitando il fai-da-te e i videotutorial. L’esempio che qui abbiamo fatto è semplicemente volto a rendere l’idea di fondo dell’intero ragionamento esposto. Del resto, come ci sono stati importanti sviluppi sulle biciclette, sull’alimentazione e sull’abbigliamento, anche la preparazione si è evoluta. E non è un caso se, una volta, si diceva che le corse si vincono in inverno. È vero (ancora oggi) per chi corre, ma lo è altrettanto per l’amatore che cerca di migliorare i propri obbiettivi o riuscire in un’impresa personale.

Sono molteplici le attività alternative alla bicicletta che si possono praticare con profitto anche in nverno, dal nuoto allo sci di fondo, passando per la corsa o delle belle passeggiate all’aria aperta. Non è una novità. Come detto, trovare uno stimolo diverso per l’allenamento – perché di allenamento sempre si tratta – può risultare fondamentale per trascorrere il periodo di pausa nella maniera più produttiva possibile. Così come la bicicletta non è composta solo dalle ruote, ma ci sono i copertoncini, la catena, il cambio, lo sterzo e il telaio, allo stesso modo il ciclista non pedala “solo” con le gambe. E per prevenire contratture e altri piccoli ma sempre fastidiosi infortuni è bene allenare tutto il corpo, ovviamente senza eccedere.

* Già atleta professionista, è divulgatore delle due ruote e lavora per Scout Bike a Lainate (Mi)

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/©Foto Shutterstock/ /©Foto Shutterstock/

NON TUTTO

È PERDUTO

ACCIDENTALI O CAUSATI DA TERZI, DANNI E CADUTE SONO QUALCOSA CHE IL CICLISTA SPERA SEMPRE DI EVITARE. MA QUANDO CAPITANO È IMPORTANTE SAPERE SE E COME SIANO EFFETTIVAMENTE RISARCIBILI. ECCO QUALCHE SUGGERIMENTO OPERATIVO DA PARTE DEGLI ESPERTI

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di / FEDERICO BALCONI */ /©Foto Shutterstock/

Le prime sbucciature alle ginocchia ci insegnano, fin da piccoli, che dalla bici si può cadere. E gli incidenti in cui il ciclista può incappare, generalmente, si possono raggruppare in due diverse tipologie: le cadute accidentali, quando l’incidente non è attribuibile a nessun responsabile e deriva quindi da una nostra distrazione, inesperienza o altra causa esterna qualificabile come caso fortuito; e gli incidenti causati da terzi, come il conducente di altro mezzo o l’ente manutentore della strada, quando l’errore o la condotta colposa sono strettamente connessi all’evento dannoso e il responsabile, pertanto, è tenuto a risarcire il danno.

Nel primo caso non c’è modo di richiedere ad alcuno risarcimento e conviene quindi stipulare una polizza che copra da eventuali infortuni. È ciò che fanno, per esempio, gli enti di promozione sportiva includendo nel tesserino una polizza infortuni e una polizza responsabilità civile verso terzi (perché anche il ciclista potrebbe causare danni a terzi). Nel secondo caso, invece, individuato il responsabile, sorge il diritto al risarcimento ed è possibile attivare la tutela legale finalizzata al ristoro dei danni.

Certo, nel caso di incidente strettamente collegato alla cattiva manutenzione della strada, una buca per esempio, il soggetto tenuto al risarcimento è l’ente custode del tratto di strada ammalorato. In questo caso, in particolare, la giurisprudenza stabilisce che l'ente proprietario della strada sia responsabile dei sinistri riconducibili alle situazioni di pericolo immanente connesse alla struttura e alla conformazione della stessa e delle sue pertinenze. Fermo restando che su tale responsabilità può influire la condotta della vittima, la quale, però, assume efficacia causale esclusiva soltanto ove sia qualificabile come abnorme, cioè estranea al novero delle possibilità fattuali congruamente prevedibili in relazione al contesto.

Diverso il caso di urto con veicolo dove, secondo le casistiche raccolte negli anni da Zerosbatti, tre sono le più frequenti situazioni critiche: rotonde, quando all’ingresso l’automobilista sbaglia il calcolo della velocità del ciclista e pensa di anticiparlo, stringendogli la curva con inevitabile impatto; sorpasso, che gli automobilisti dovrebbero sempre effettuare solo con le dovute cautele, distanze e ridotta velocità, ma così non sempre accade; incroci, in particolar modo quelli con precedenza per il ciclista. La difficoltà, in tutti questi casi, è sempre quella di stabilire la responsabilità quando nessuna delle parti ammette il torto e lotta per avere ragione.

Attenzione, negare con coscienza di mentire è gesto che, oltre ad essere incivile, aggiunge danno al danno; mentre ammettere la propria responsabilità pone le fasi successive di gestione del sinistro, riparazione e risarcimento con minori spese e lungaggini. A proposito vale la pena ricordare che, in caso di incidente, di norma si applica la presunzione prevista dall’art. 2054 codice civile, secondo il quale la colpa è concorsuale, ovvero di entrambe le parti (concorso di colpa), a meno che la parte convinta di avere ragione scelga, appunto, di dimostrare le proprie ragioni e il torto dell’altro. In assenza di un modello per redigere la constazione amichevole, carabinieri, vigili o polizia effettuano i rilievi del caso, raccolgono e dichiarazoni e redigono il verbale. È importante, in tutti questi casi, svolgere correttamente le prime mosse, così da nonzcompromettere la pratica.

Negli ultimi tempi, infine, si è aggiunta un’ulteriore ipotesi di danno risarcibile: quello verificatosi a seguito del trasporto in aereo della bicicletta. Per poterlo ottenere, però, è fondamentale depositare, alla consegna della bicicletta, con timbro che ne attesti il ricevimento, una dichiarazione con il valore esatto del mezzo e l’interesse particolare alla sua restituzione in forma integra.

*Avvocato e pubblicista, oltre a guidare lo Studio /Negli ultimi tempi ha fatto il suo esordio un'ulteriore ipotesi di danno risarcibile: quello verificatosi a seguito di trasporto aereo della bici/
87 PEDALANDO IN SICUREZZA
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IDEE E PROGETTI PER LE METROPOLI E IL TERRITORIO 89 CITTÀ IN MOVIMENTO

PIANI

90 AUTUMN DUE RUOTE, DUE
GLI STANZIAMENTI PREVISTI DAL PNRR A BENEFICIO DI CICLOVIE TURISTICHE E URBANE COMINCIANO AD ARRIVARE MA PER OTTIMIZZARE L’IMPATTO DEL ‘MAXI-CANTIERE’ A PEDALI È FONDAMENTALE COORDINARE GLI INTERVENTI CON IL PIANO GENERALE DELLA MOBILITÀ CICLISTICA di / FULVIO DI GIUSEPPE / /©Foto Shutterstock/

La mobilità sostenibile si (ri)prende la scena e ci sono 600 milioni di motivi, in euro, per migliorare e potenziare i sistemi di mobilità ciclistica urbana e interurbana, in linea con le indicazioni europee. A tanto ammonta, infatti, il finanziamento che il Piano nazionale di ripresa e resilienza destina alle ciclovie, turistiche e urbane. Ma per la concreta realizzazione delle infrastrutture è di fondamentale importanza l’integrazione con un'altro piano, il Piano generale della mobilità ciclistica, approvato ad agosto scorso per definire il quadro di coordinamento degli interventi da pianificarsi nel tempo. Il ministero delle infrastrutture li ha ribattezzati “due assi di responsabilità”. In sostanza: finanziamenti da una parte, visione dall’altra. Un impegno che si concretizza attraverso due interventi specifici: l’investimento più importante è per le ciclovie turistiche a cui il Pnrr indirizza 400 milioni per la realizzazione, entro il 30 giugno 2026, di almeno 1.235 chilometri aggiuntivi di ciclovie turistiche, incluse le opere di manutenzione straordinaria. In particolare, 51 milioni vengono assegnati alla ciclovia Ven-To (Venezia-Torino), 22,5 milioni alla ciclovia del Sole (Verona-Firenze), 39,5 milioni alla ciclovia dell’Acquedotto pugliese (da Caposele, in provincia di Avellino, a Santa Maria di Leuca, in provincia di Lecce, attraverso la Campania,

la Basilicata e la Puglia), 74 milioni a quella Adriatica, 44,5 milioni alla Tirrenica, 30 milioni alla ciclovia del Garda, 33 milioni alla ciclovia della Sardegna, 61,5 milioni alla ciclovia Magna Grecia (Basilicata-Calabria-Sicilia) e 30 milioni alla ciclovia Trieste-Lignano-Sabbiadoro-Venezia. Discorso a parte per la ciclovia Grab (Grande raccordoanulare delle bici di Roma), a cui erano già stati assegnati 14 milioni di euro, sufficienti per il completo finanziamento dell’opera. L’altro filone riguarda le ciclovie urbane, per le quali il Pnrr stanzia 200 milioni di euro. Le risorse sono destinate al rafforzamento della mobilità ciclistica e in particolare alla costruzione di 565 chilometri aggiuntivi di piste ciclabili urbane e metropolitane, da realizzare nelle città che ospitano le principali università, da collegare a nodi ferroviari o metropolitani. È prevista la realizzazione di 200 chilometri aggiuntivi di piste ciclabili urbane e metropolitane entro il 31 dicembre 2023 e di ulteriori 365 chilometri entro il 30 giugno 2026. Uno degli aspetti rilevanti è che il piano di riparto delle risorse e dei chilometri identificati prevede che vi sia una percentuale del 50% riservata alle Regioni del Mezzogiorno L’obiettivo, ora, è non lasciare quei soldi esclusivamente sulla carta.

91 CITTÀ IN MOVIMENTO /©Foto Shutterstock/

Un rischio che, almeno al momento, sembra essere scongiurato: il ‘maxi cantiere’ ciclabile è in piena attività come dimostra la pubblicazione, tra il 2021 e il primo semestre 2022, di 37 procedure di affidamento per lavori e servizi di competenza del ministero delle Infrastrutture e della mobilità sostenibile (Mims), per un valore complessivo di circa 5,8 miliardi di euro. Sono i dati emersi dal monitoraggio periodico effettuato dall’unità di missione del Mims per le attività del Pnrr e del Piano nazionale complementare (Pnc), che stima inoltre come alla fine dell’anno, saranno 74 le altre gare – per un controvalore di circa tre miliardi di euro – bandite nel secondo semestre. Numeri importanti per un settore in costante crescita. Anche nel Pgmc viene ripreso il rapporto L'ecosistema della bicicletta, in cui Banca Ifis evidenzia come l'intero comparto sviluppi circa 9 miliardi di ricavi annui e occupi 17 mila addetti. Nel triennio 2021-2023, si prevede un incremento nella produzione di biciclette di oltre il 7% anno su anno, con un +25% previsto per il settore delle e-bike. D’altronde, già oggi l'Italia risulta essere il primo produttore europeo con una quota di mercato del 21% e l'aumento della domanda ha sostenuto anche i ricavi: +7,4% l'incremento nel 2021 sull'anno precedente e +7,3% la crescita media annua del fatturato dei produttori attesa nel biennio 2022-2023, alla fine del quale potrebbe superare 1,8 miliardi di euro.

Un trend a cui partecipa, con particolare rilevanza, proprio il cicloturismo: avendo come riferimento i dati consolidati del Trentino-Alto Adige, il Rapporto fa una proiezione di ricavi potenziali su base nazionale, in almeno 20 miliardi di euro. I piani, ci sono. Ora tocca realizzarli.

LE RISORSE NON DEVONO RESTARE SULLA CARTA PERCHÉ

DAL CICLOTURISMO L’ITALIA PUÒ RICAVARE FINO

A 20 MILIARDI DI EURO

92 AUTUMN

UNA TASK FORCE PER TRASFORMARE IDEE IN CHILOMETRI VERI

Non solo i finanziamenti per le infrastrutture. Tra gli interventi per promuovere lo sviluppo turistico dei territori, il Piano generale della mobilità ciclistica individua anche una Commissione di studio per il cicloturismo.

Un provvedimento che, in fase di presentazione, lo scorso agosto, è stato salutato dal ministro del Turismo, Massimo Garavaglia, come “la testimonianza dell’impegno del ministero a sostegno dello sviluppo del cicloturismo in Italia”. A comporre la Commissione per l’esame e l’elaborazione di iniziative finalizzate all’implementazione del cicloturismo in Italia sono stati chiamati esperti di alto rilievo: Gianluca Santilli in qualità di coordinatore, Ludovica Casellati, Riccardo Capecchi, Andrea Abodi e Andrea Noè. “Il cicloturismo in Italia possiede grandi potenzialità – si legge nel decreto di nomina dei componenti –, idonee a rendere il Paese competitivo rispetto ad altri Paesi che hanno già significativamente investito nel settore”. Ed è proprio questa l’ambiziosa sfida raccolta dalla Commissione, a cui spetterà il compito di promuovere e “sviluppare un’economia sostenibile che vale miliardi”, per dirla con le parole del coordinatore Santilli. Tra le principali azioni che il ministero del Turismo ha previsto per la Commissione c’è “l’elaborazione di linee guida e standard da adottare nei progetti di promozione e sviluppo sul territorio del cicloturismo e per l’analisi e la selezione dei progetti di cicloturismo da supportare”. Altro rilevante aspetto è quello di indirizzare “l’organizzazione di corsi di formazione sul cicloturismo, l’indicazione degli strumenti digitali da utilizzare per un’ottimale fruizione della bicicletta nei territori destinati al cicloturismo

e l’indicazione degli strumenti di finanziamento del cicloturismo”, senza tralasciare il piano informativo con “la strutturazione di un piano di comunicazione per la promozione del cicloturismo in Italia a livello internazionale”.

A queste misure si aggiunge la volontà di digitalizzazione auspicata dal Pgmc.

La sinergia tra i ministeri del Turismo e delle infrastrutture dovrà infatti portare a “sviluppare strumenti multimediali e multilingua per fornire al cicloturista (reale e potenziale) tutte le informazioni necessarie per la sua esperienza, oltre a realizzare la mappatura digitale dei percorsi su piattaforme nazionali accessibili da tutti i luoghi di transito del cicloturista (compresa la cartellonistica) attraverso dei Qr code o altri strumenti garantendo altresì un digital hub nazionale”.

di FULVIO DI GIUSEPPE
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ORIZZONTE

NELL’ANNO IN CUI AVREBBE DOVUTO INIZIARE L’ERA A EMISSIONI ZERO UNA COSA È CERTA: NON SAREMO PRONTI. ECCO COME SARÀ VERAMENTE CARATTERIZZATA LA MOBILITÀ TRA UN DECENNIO SECONDO IL CENTRO PREVISIONI TECNOLOGICHE DEL POLITECNICO DI MILANO

94 AUTUMN
2035
di / GIOVANNI IOZZIA / /©Foto Shutterstock/

Come ci muoveremo nel 2035? Può sembrare una domanda oziosa ma quel che accadrà fra poco più di dieci anni dipenderà molto da che cosa riusciremo a fare da subito per andare verso soluzioni di mobilità, bicicletta in testa, che riducano l’impatto sull’ambiente. E infatti la domanda è all’origine della prima analisi del Centro di Technology Foresight del Politecnico di Milano nato per dare indicazioni sulle scelte di innovazione a chi ha il potere di decidere: un team di 19 docenti e otto esperti di aziende e amministrazioni pubbliche che per cinque mesi ha studiato le tecnologie che cambieranno la mobilità così come l’abbiamo conosciuta fino ad oggi e quali saranno le caratteristiche di quella che viene definita la “settima rivoluzione dei trasporti” (dagli spostamenti a piedi o su animali al trasporto merci su container che viene considerata la sesta).

La mobilità dei veicoli è la prima causa di inquinamento, lo sappiamo e per questo le città non stanno poi così tanto bene. Tutte sono ben oltre le soglie di inquinamento accettabili per la salute. L’ultimo rapporto dell’Agenzia europea per l’ambiente dice che solo il 3% dei centri urbani europei rientra nei limiti di polveri sottili non dannose per la salute. In Italia Sassari è la città che ci si avvicina di più. “La mobilità sostenibile è una delle grandi sfide dei nostri tempi. Gli spostamenti avranno un impatto decisivo sulla qualità della nostra vita e delle nostre città”, ha scritto su Linkedin il rettore del Politecnico di Milano Ferruccio Resta, che auspica “un cambio di passo che faccia della mobilità intelligente una delle chiavi di volta per il futuro delle nostre città e delle politiche ambientali”.

Nel 2035, secondo il Green Deal europeo, dovrebbe cominciare l’era dei veicoli a zero emissioni , mentre l’analisi del Centro di Technology Foresight del Politecnico di Milano sostiene che il traguardo non sarà raggiunto e la fase di transizione sarà più lunga. Le tecnologie sono importanti ma possono avere effetti diversi: la mobilità sostenibile sarà un combinato di scelte politiche e sociali. I prerequisiti sono visibili oggi: “Il camminare o l’andare in bicicletta non sono considerati come una necessità per mancanza di altri mezzi ma anche per i loro benefici sulla salute”, si legge nello studio. “La scelta del trasporto è determinata anche dalla crescente consapevolezza del contributo all’impatto ambientale”.

Entro il 2035 tutte le tecnologie utili per una mobilità sostenibile saranno pronte, anche in Italia, tranne le auto a guida completamente autonoma e i veicoli volanti urbani, dice l’analisi del Politecnico che individua 12 traiettorie che ci porteranno verso la mobilità del futuro: i veicoli a carburante alternativo, l’automazione, la fine della proprietà del veicolo, la mobilità flessibile basata sulla domanda, le infrastrutture energetiche per la mobilità, le infrastrutture per la connettività, la privacy dei dati, la riconfigurazione della struttura urbana, l’inclusività, l’interazione dei cittadini con le interfacce di mobilità, la digitalizzazione che cambia la motivazione degli spostamenti. E, ultimo ma non meno importante cambiamento, lo spostamento come esperienza: sempre di più vorremo fare qualcos’altro mentre ci spostiamo da un punto all’altro della città.

UNA VENTINA TRA DOCENTI E MASSIMI ESPERTI HA STUDIATO LE TECNOLOGIE DELLA SETTIMA RIVOLUZIONE DEI TRASPORTI: SPAZIO ALLA BICI E AI CARBURANTI ALTERNATIVI, STOP AI VEICOLI DI PROPRIETÀ, PIÙ DATI E AUTOMAZIONE. LA NOVITÀ? SPOSTAMENTO SIGNIFICHERÀ ESPERIENZA. MA IL RETTORE AVVERTE: “SERVE CAMBIARE PASSO”

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/©Foto Shutterstock/

CARGO MADE IN ITALY

FENOMENO IN FORTE CRESCITA A LIVELLO EUROPEO E GIÀ RADICATO IN PAESI COME GERMANIA, OLANDA E DANIMARCA, QUELLO DELLE BICI DEDICATE AL TRASPORTO MERCI E PERSONE È UN SETTORE CHE IN ITALIA

HA DESTATO L’ATTENZIONE DI ARTIGIANI DEL PEDALE

E DIVERSE START UP. SU BIKE INIZIA UN VIAGGIO PER SCOPRIRLO E RACCONTARLO

Molto più di una semplice bicicletta. Una cargo bike è una vera e propria vettura da carico per trasportare cose e persone. Agile, robusta, compatta e conveniente, se si considera che, soprattutto in città, può sostituire l’auto praticamente in tutto. Sia che si debba accompagnare i bambini a scuola, fare la spesa o una semplice commissione sia che ci si occupi di trasporto merci, consegne a domicilio, logistica urbana. Soluzione pratica, pulita ed ecologica, nel Nord Europa la cargo bike è già una tendenza: secondo un recente sondaggio di City changer cargo bike (Cccb), l’incremento nell’ultimo anno in Europa è stato del 65%. Trend positivo che, più lentamente rispetto a Danimarca, Germania e Olanda, sta arrivando anche in Italia.

Scegliere di affidarsi a una bicicletta di questo tipo, muscolare oppure elettrica, può, oltre che contribuire ad alleggerire il traffico urbano, riservare innumerevoli benefici, dal punto di vista personale e ambientale. Non ultimo perché, anche le cargo dai cassoni più grandi, possono accedere liberamente alle zone a traffico limitato, senza dover pagare alcun

bollo. Con l’aiuto di una batteria, poi, riescono a raggiungere un’autonomia fino a 100 chilometri.

In Italia esiste un’innimmaginabile rete di artigiani specializzati nella produzione di bici cargo, progettate, disegnate, assemblate interamente nelle nostre regioni.

Per esempio, in via di Casellina, a Scandicci, provincia di Firenze, Giacomo e il team di Florence Bike Lab producono una bici con carico anteriore a due ruote.

Si chiama Bcargo ed è nata come una bicicletta da lavoro, studiata per attraversare le strade delle città italiane e progettata per rispondere alle esigenze del delivery. Per le famiglie, il cassone di legno ha all’interno una seduta con cuscini e cinture di sicurezza, mentre la tettoia è fatta con materiale nautico.

“È nato tutto da un’esigenza personale – spiega il fondatore della start up toscana – usavo la bici, ma non potevo trasportare i bagagli. Allora ho cercato su internet ‘bici con bagagliaio’, e mi sono apparsi i primi modelli”. Bcargo può trasportare fino a 180 chili, incluso il ciclista, ed è lunga poco più di due metri.

di / MARZIA PAPAGNA /
96 AUTUMN

A Treviso, in Veneto, c’è Panda bike, fondata da Walter Turniano che ha stravolto la sua carriera passando dalla vendita di automobili alla realizzazione di bici cargo su misura. Le sue bici sono molto apprezzate dalle famiglie perché ogni pezzo viene fatto su richiesta e su misura, e sono dunque personalizzabili, scegliendo tra modelli diversi a seconda delle necessità.

Cuore dog, per esempio, si muove su tre ruote, ha una griglia di protezione fissata sulla struttura del box in legno e, nella parte anteriore del contenitore, ha un piccolo sportello che facilita l’ingresso e l’uscita degli animali, con una chiusura di sicurezza. Per i bambini, sono previsti sedili con cuscini imbottiti e alcuni riportano anche la faccina di un panda. Smoking Kid, invece, è una city bike su due ruote, per chi preferisce maggiore flessibilità, mettendo e togliendo i seggiolini. Poi ci sono decine di opzioni per le aziende, dal fruttivendolo all’artigiano fino alle flotte ecologiche.

A Modena, Irena bike, ideata da Riccardo Tavernari grazie alla precedente esperienza in una ciclofficina popolare torinese, è un prodotto artigianale, un modello semplice e dal prezzo contenuto (poco più di mille euro).

Il telaio è modulare e si può scegliere tra due lunghezze del piano carico, 45 oppure 82 centimetri. Il cassone è in legno multistrato per esterni e dotato di diversi accessori, con e senza tettoia. Riccardo racconta così l'inizio della sua avventura: “nel 2019 ho lanciato il cuore oltre l’ostacolo, ho fatto i disegni al computer, ho cercato chi poteva saldare il tubo. Ho lanciato i primi 20 telai a 990 euro insieme ai ragazzi di Dynamo Bologna che ne hanno curato la comunicazione. Ne sono seguite altre decine. Ho ottimizzato lavorazioni e forniture.

E il prezzo finale oggi è molto competitivo, perché fin dalla sua nascita questo progetto è un atto politico: offrire una cargo bike dal prezzo accessibile, per diffondere il trasporto bici in ambito urbano”.

Bcargo, Panda bike e Irena bike sono solo alcune delle storie di produttori made in Italy di bici cargo che su BIKE vi vogliamo raccontare. Per segnalazioni di negozi specializzati, artigiani e produttori locali scrivete pure alla redazione, ogni segnalazione verrà valutata con attenzione.

97 CITTÀ IN MOVIMENTO

L’ARTE DEL MOBILITY MANAGER

DALLA CONTRATTAZIONE DI SOLUZIONI DI TRASPORTO ALTERNATIVE ALL’AUTO ALLA VERIFICA DEL NOLEGGIO BICI A LUNGO TERMINE QUALE BENEFIT AZIENDALE: ECCO COME SI SVOLGE LA GIORNATA TIPO DI UNO DEGLI 850 RESPONSABILI CHE IN ITALIA HANNO LA MISSIONE DI RIFORMARE LA MOBILITÀ AL LAVORO

La mattina si comincia con gli aggiornamenti sullo stato del parco auto e il passaggio ai veicoli elettrici. Poi c’è il meeting con le risorse umane sulle nuove attività per incentivare le soluzioni più sostenibili per gli spostamenti casa-lavoro dei dipendenti. Nel pomeriggio si fa il punto sui costi delle trasferte. In mezzo c’è il confronto con i partner che propongono servizi innovativi e il necessario aggiornamento sulle novità di un mercato che dopo la pandemia è diventato più che vivace. Si potrebbe sintetizzare così una giornata-tipo del mobility manager. La sua missione? “Contribuire a raggiungere gli obiettivi di sostenibilità dell’azienda, gestendo e coordinando tutte le attività e i progetti finalizzati alla riduzione della CO2”, è la sintesi concreta proposta da Fabrizio Grassi, corporate mobility manager di Fastweb, azienda che poco prima delle vacanze ha potenziato il piano per la mobilità sostenibile dei suoi 3mila dipendenti.

Da poco più di un anno (maggio 2021, con il decreto Rilancio) la figura del mobility manager nelle aziende e amministrazioni pubbliche con più

di 100 dipendenti è prevista per legge, anche se non c’è alcuna sanzione per chi non ne nomina uno. In Italia ce ne sono 850 (dato 2021 dell’associazione di categoria Euromobility) ma il numero è in costante aumento perché cresce l’attenzione di aziende, enti pubblici e università ai temi della mobilità sostenibile. “Il suo impegno dipende dalle responsabilità che gli vengono affidate. Nel mio caso spazio dalla gestione della flotta aziendale alle iniziative per la mobilità dei dipendenti e anche delle loro famiglie”, racconta Grassi. “Nel portale che abbiamo appena lanciato, Go Fast Go Green, è possibile ad esempio trovare indicazioni pratiche per organizzare anche gli spostamenti personali e non solo quelli casa-ufficio con il minore impatto possibile sull’ambiente: dallo sharing di bici e monopattini ai voucher per i trasporti pubblici”.

Dopo la pandemia il lavoro del mobility manager è molto cambiato per effetto dello smart working. “Proprio dal 2020 abbiamo cominciato a proporre servizi di mobilità sostenibile ai nostri colleghi”, continua Grasso.

di / GIOVANNI IOZZIA /
98 AUTUMN

“Adesso il tema è come gestire il ritorno parziale in ufficio. Da ottobre parte il nuovo piano di smart working che prevede la possibilità di lavorare da dove si desidera per i due terzi del tempo ogni trimestre. Ovviamente le esigenze di mobilità cambieranno ancora e il mobility manager deve essere pronto con le risposte migliori: se prima l’abbonamento annuale al servizio pubblico era una soluzione possibile, per esempio, adesso non ha più molto senso, così come le navette aziendali. Servono proposte più flessibili”.

C’è da capire, quindi, come si muovono le persone (per legge è prevista una ricerca annuale) e poi trovare le misure più efficaci.

Tra queste può esserci anche la bicicletta.

“È una delle soluzioni possibili in alcune città ma non in tutte”, osserva Grasso; “un mezzo che sta conquistando sempre più adepti, grazie anche alla pedalata assistita. E infatti stiamo studiando la possibilità di un noleggio a lungo termine: le rate potrebbero andare nello stipendio, così come si faceva per l’abbonamento annuale del tram”.

“CONTRIBUIRE AL RAGGIUNGIMENTO DEGLI OBIETTIVI DI SOSTENIBILITÀ È COMPITO NOSTRO, COORDINANDO ATTIVITÀ FINALIZZATE A RIDURRE LA CO2. AI NOSTRI COLLEGHI PROPONIAMO NUOVI MEZZI PER NUOVE ESIGENZE”. COSÌ FABRIZIO GRASSI (FASTWEB) 99 CITTÀ IN MOVIMENTO /©Foto Shutterstock/

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STORIE ESCLUSIVE DI INNOVAZIONI E SUCCESSO 101 CICLO ECONOMICO
all’interno Misano World Circuit/
NON SOLO ADDETTI AI LAVORI PER CELEBRARE LA SESTA EDIZIONE DELLA FESTA ITALIANA DELLA BICICLETTA. SOTTO IL SOLE DI MISANO, NEL CIRCUITO DEDICATO A MARCO SIMONCELLI, TRE GIORNI DI INCONTRI E DIVERTIMENTO ALL’INSEGNA DEL PEDALE E DELLA SMART MOBILITY FACCE DA ITALIAN BIKE FESTIVAL 102 AUTUMN di / ROLANDO LIMA / /Una panoramica dell’area espositiva
del
/©Foto Nicola Pascucci (Courtesy Ibf)/

È stata una vera e propria festa, oltre che un incontro fondamentale, sempre più punto di riferimento, per il mondo della bicicletta e della smart mobility. Tre giorni intensi e ricchi di emozioni quelli della sesta edizione dell’Italian bike festival che, dal 9 all’11 settembre, è andato in scena per la prima volta al circuito di Misano dove tornerà nel 2023. Dopo il successo di Rimini 2021 all’ombra del Grand Hotel, il grande salto nei 50mila metri di area espositiva dell’autodromo dedicato a Marco Simoncelli. Un triduo baciato dal sole quello dell’Ibf 2022 che ha offerto ancora più opportunità all’economia del pedale, come la pista e gli sterrati e collinette ad essa adiacenti, utlissimi per testare bici da corsa, gravel, mountain bike elettriche e persino cargo bike.

Soddisfazione non solo per gli organizzatori (Taking Off). Oltre mille i modelli provati dai 42mila visitatori, un mix di appassionati, famiglie e addetti ai lavori accomunati dalla voglia di trascorrere un fine settimana di settembre in compagnia e nel nome della bicicletta per salutare così le vacanze estive. Anche BIKE e Bike Channel, in qualità di media partner, erano presenti, tra i 500 espositori, “con gioia e molto orgoglio”, come ha detto il direttore editoriale Marino Bartoletti, per raccontarsi al grande pubblico del pedale (oltre che della mobilità elettrica e sostenibile e del cicloturismo), incontrarlo, ascoltarne domande e osservazioni, dialogare con imprenditori, meccanici, testimonial, leggende di oggi e di ieri, e sportivi che, non solo ciclisti, amano pedalare e condividera questa passione. Ecco una selezione di scatti per rivivere alcuni momenti della kermesse italiana dedicata alla bicicletta.

/Alla gran fondo hanno partecipato anche (da sinistra a destra) Michele Pirro, Claudio Chiappucci, Mario Cipollini, Gianni Bugno e Marco Melandri/ /Tantissimi gli show, tra cui bmx e free ride/
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/Il direttore editoriale Marino Bartoletti nello stand di BIKE/ /Gli ex pro Mattia Viel e Giovanni Visconti/ /©Foto Alessandro Valenti (Courtesy Ibf)/ /©Foto Nicola Pascucci (Courtesy Ibf)/ /©Foto Alessandro Valenti (Courtesy Ibf)/ /©Foto Alessandro Valenti (Courtesy Ibf)/
AUTUMN
/Omar Di Felice, ambassador di Wilier Triestina/ /L’esibizione musicale di Paolo Belli/ /Nello stand Galfer Marco Aurelio Fontana firma autografi / /©Foto Alessandro Valenti (Courtesy Ibf)/ /©Foto Marco Ferreri (Courtesy Ibf)/ /©Foto Alessandro Valenti (Courtesy Ibf)/
105 CICLO ECONOMICO

GRAVELLANDO

ALLA FESTA DEL CIOCCOLATO

DALL’INCONTRO TRA GLI STERRATI DELL’UMBRIA CON IL ‘CIBO DEGLI DEI’ È NATA CHOCOGRAVEL, MANIFESTAZIONE CICLOTURISTICA CHE A PERUGIA SI SVOLGE IN OCCASIONE DI EUROCHOCOLATE. PER PROMUOVERE INSIEME LE VIE VERDI DELLE DOLCI COLLINE E UN’ECCELLENZA UNICA PER IL PALATO. CON LA PREZIOSA COLLABORAZIONE DELL’ASSOCIAZIONE LOCAL GRIFOBIKE

106 AUTUMN
di / ROLANDO LIMA / /©Foto Courtesy Grifobike/

Grifoni gravel sulla via del cioccolato. Debutta quest’anno a Perugia la prima edizione della Chocogravel, un evento dedicato agli amanti del cicloturismo e del ‘cibo degli Dei, che si tiene il 22 ottobre in concomitanza con Eurochocolate, dal ‘94 vero e proprio festival e salone della tradizione cioccolatiera e del cacao italiane e internazionali, in programma quest’anno dal 14 al 23 ottobre negli oltre 14mila metri quadrati di Umbriafiere.

Occasione d’eccezione per inaugurare uno dei sei percorsi della via verde delle Dolci colline (itinerario nato con il progetto regionale Around Perugia), Chocogravel è nata da un’idea di Eurochocolate in collaborazione con Grifobike, l’associazione fondata da Francesco De Luca nel ’99 che opera con iniziative nel campo del ciclismo e del cicloturismo locali, nota ai più per le sue partecipazioni a ciclostoriche toscane ed umbre.

Partenza e arrivo a Perugia in piazza IV Novembre, la Chocogravel, ha spiegato, Gabriele Giottoli, assessore al Turismo del Comune, “è dedicata a tutti coloro che vogliono essere presenti all’appuntamento annuale per eccellenza della tradizione cioccolatiera italiana e internazionale, pianificando un piacevole weekend in bicicletta alla scoperta dei paesaggi collinari che contornano la Capitale del Cioccolato”.

Il percorso può essere attraversato con bici gravel, mountain bike ed e-bike ed è caratterizzato da tratti sterrati e strade secondarie, riscoperte grazie al lavoro di mappatura fatto con il progetto di promozione del territorio e del turismo Around Perugia. La manifestazione prevede un tracciato ad anello lungo (83 chilometri e 1.800 metri di dislivello)e uno corto (44 chilometri e 900 metri di dislivello).

Su entrambi i tracciati si pedala immersi nel caratteristico paesaggio umbro e si possono raggiungere punti panoramici come l’Abbazia di Santa Maria Valdiponte a Montelabate, tra le città di Perugia e Gubbio. In piazza IV Novembre, a Perugia, i partecipanti possono visitare anche i tre flagship store di Eurochocolate.

In occasione dell’evento, poi, sono previsti speciali premi per i partecipanti e, lungo i percorsi, protagonisti sono i sapori tipici A tutti i biker verrà, infine, omaggiato del buon cioccolato, oltre che una limited edition di ChocolateGravel, i golosi confetti a forma di sassolini arricchiti da cioccolato fondente. Tutte le informazioni su: www.eurochocolate.com/choco-gravel-2022.

/©Foto Courtesy Grifobike/ /I ciclisti di Grifobike davanti a un flagship store di Eurochocolate/ /ChocolateGravel, i confetti a forma di sassolini arricchiti da cioccolato fondente/
107 CICLO ECONOMICO
108 AUTUMN LA PMI INNOVATIVA TRACKTING E IL PRODUTTORE DI CENTRALINE OLI EBIKE SYSTEMS HANNO CREATO IL PRIMO MOTORE ELETTRICO CONNESSO E APERTO. ECCO PERCHÉ PUÒ ESSERE PIÙ COMPETITIVO DEI SISTEMI CHIUSI CHE DOMINANO SUL MERCATO di / GIOVANNI IOZZIA / TRAZIONE OPEN-SOURCE /Cargobike con motore Oli e sistema Trackting Fleet/

La bicicletta sarà come uno smartphone: una piattaforma in cui chiunque potrà proporre le sue app al servizio del ciclista. Parliamo delle e-bike e la rivoluzione è ormai alle porte. Claudio Carnevali lo sostiene con cognizione di causa. La sua Trackting, pmi innovativa specializzata nell’internet delle cose di cui è founder e ceo,si è incontrata con un produttore di drive units, Oli ebike systems di Cesena, e insieme hanno creato il primo motore elettrico connesso e aperto. Un risultato non scontato nel mercato delle bici, dove ancora prevalgono i sistemi chiusi.

Tutto comincia con il furto di una moto, qualche anno fa. “Era la mia e in quell’occasione mi resi conto che nel settore gps per le due ruote c’era un vuoto, fra prodotti di bassa qualità e sistemi obsoleti”, racconta Carnevali, 46 anni, marchigiano e trascorsi nell’elettronica. Nasce così Trackting, con Smart alarm, un antifurto gps intelligente per moto, che costa più dei concorrenti ma si posiziona subito sul mercato per la tecnologia e la qualità del servizio. Dalla moto alla bici il passo sembra breve ma è uno “sconvolgimento aziendale”. “Avevamo la tecnologia in un mercato, quello delle moto, in forte crescita, che sono difficilmente difendibili e più esposte al rischio furto”. Il primo antifurto smart per e-bike viene proposto ai produttori di bici per farlo integrare sui loro modelli (“dato che cerchiamo di lavorare con aziende italiane, la prima è stata Five di Bologna che possiede tra gli altri imarchi Italwin e Wayel”). Alla Maker faire di Roma Trackting ne ha appena presentato uno completamente nuovo, per tutti i tipi di cicli e senza installazione: “Piccolo, anonimo, senza luci perché un antifurto deve essere invisibile, e connesso: se la bici viene spostata, parte la telefonata di allarme con tracciamento dei

movimenti. Al prossimo Ces di Las Vegas presenteremo un altro modello ancora, con design brevettato che renderà l’antifurto non solo invisibile ma anche a prova di manomissione”.

La connessione non serve solo per proteggere bici ed e-bike. Trackting, su cui ha investito tra gli altri il calciatore Ciro Immobile e che sta partecipando al programma Elite lounge di Intesa Sanpaolo che seleziona imprese promettenti per sostenerle nell’accesso ai capitali, è andata oltre.

La pmi innovativa ha creato una piattaforma per la gestione delle flotte di bici, delle aziende, degli hotel o delle società che fanno delivery: “Con un tracker gps su ogni veicolo, un sensore accelerometro digitale, un’antenna gps ad altissima precisione e una e-sim multi-operatore che copre 49 Paesi europei permettiamo di monitorare i percorsi in tempo reale, gestire la manutenzione, proteggere le bici raccogliere dati”. Una delle prime aziende a usarla è stata Pirelli per il suo progetto Cycl-e Around, servizio dedicato alle aziende e al mondo dell’hotellerie.

La connessione, il cloud, il digitale servono anche per creare una nuova generazione di e-bike. “Oli ebike systems, che è un’eccellenza italiana nel settore delle drive units, ci ha contattato per fare innovazione.

E noi abbiamo proposto un sistema aperto, che lascia liberi i produttori di bici di gestire la nuova relazione digitale con i clienti, di proporre servizi propri o di altri partner”. Come non accadeva fino a oggi sul mercato, dove chi produce il motore impone la sua app e per giunta chiusa. “Stiamo trattando con importanti produttori di bici ed e-bike”, conclude Carnevali. “Nel settore tante cose stanno cambiando.

E la bici diventerà come uno smartphone in cui i produttori, e non solo, potranno offrire servizi innovativi attraverso le app”.

/Il ceo di Trackting Claudio Carnevali con il general manager di Oli ebike systems Matteo Illari/
109 CICLO ECONOMICO

SHARING A

TRE RUOTE

SI CHIAMA SCUTER E SI GUIDA CON LA FACILITÀ DI UN MOTORINO ELETTRICO, MA È PIÙ STABILE E RESISTENTE. IL MERCATO DEI MEZZI CONDIVISI ADESSO HA UN PLAYER IN PIÙ PRONTO A GIOCARE

110 AUTUMN
di / MARZIA PAPAGNA /

La micromobilità condivisa si irrobustisce per trasmettere sicurezza. Nata dopo attenta analisi dell’offerta che caratterizza il vasto mondo dello sharing, Scuter è la nuova proposta elettrica sul mercato dei mezzi in condivisione. Classificato come ciclomotore, il mezzo si presenta con una cabina coperta simile a quella delle minicar, una poltrona e tre ruote, ed è dotato di una app dedicata, frutto di una progettazione basata su un sistema di machine learning e intelligenza artificiale. “A cosa serve lo sharing?

È la prima domanda che ci siamo posti”, spiega Gianmarco Carnovale, fondatore della startup insieme a imprenditori del settore automotive e ingegneri: “Siamo partiti da questo genere di osservazioni per ottenere la cosiddetta ‘silver bullet’, la pallottola d’argento. Così abbiamo progettato da zero un oggetto ‘corazzato’, pensato per avere più di un proprietario, e quindi per poter essere usato e trasferito tra più guidatori senza usurarsi troppo, per essere parcheggiato in giro per la città, con accessori e altri elementi difficilmente vandalizzabili, in grado di percorrere più chilometri rispetto al classico ultimo miglio”. Così è nato Scuter, che si guida dai 14 anni in su e ha un limite di 45 chilometri orari; nei fatti equivarrebbe a un cinquantino, ma senza averne la cilindrata perché è un ciclomotore elettrico. “Se piove sei protetto”, assicura il fondatore, “e anche se non c’è l’obbligo del casco (non ultimo per questioni igieniche), hai comunque

la cintura di sicurezza, nonché un’ottima stabilità grazie alle tre ruote, che offrono una performance eccezionale anche su sanpietrini e rotaie del tram”. Durante questo periodo di studio e progettazione, i test condotti dagli utenti sono stati diversi, ed è emerso che, spiega Carnovale, i più entusiasti sono quelli che non sono mai stato abituati a guidare un motorino. Del resto, assicura il fondatore, nel traffico si muove come uno scooter, ha la stessa agilità e la leggerezza del ciclomotore e la facilità di una bicicletta.

“C’è una differenza, però”, precisa, “ed è che è iper robusto e protettivo, e lo parcheggi nelle postazioni dedicate ai motorini”.

La prima città da cui parte Scuter è Roma, ma la giovane azienda, che ha ottenuto un round di investimenti superiore ai 3 milioni di euro già nei primi anni di attività nonché il titolo di startup cleantech tra le più promettenti secondo il bando Incense di Enel, guarda alle grandi città italiane, come Milano e Torino, ma anche all’Europa, a cominciare da Barcellona e Parigi.

“In sei anni di lavoro abbiamo prodotto cinque generazioni di prototipi”, prosegue Carnovale, “e da questo autunno, per coprire il lancio del

/Gianmarco Carnovale, primo da destra, con il team di Scuter/ Inquadra il QR Code per leggere tutte le notizie di smart mobility su Bikechannel.it
111 CICLO ECONOMICO

L’ASSISTITA

CHE NON CONSUMA

SI CHIAMA SUPERWHEEL SYSTEM LA STARTUP IRLANDESE CHE HA BREVETTATO UNA RUOTA IN GRADO DI SUPPORTARE LA PEDALATA SFRUTTANDO SOLTANTO IL PESO DEL CONDUCENTE, SOLUZIONE SEMPLICE E VERAMENTE SOSTENIBILE

112 AUTUMN
di / MARZIA PAPAGNA /

Un’invenzione tutta irlandese sfida la cinematica per garantire una pedalata assistita senza bisogno di batteria. Si tratta della ‘super ruota’ di Superwheel System, che racchiude in sé una tecnologia brevettata a livello internazionale e adatta in particolar modo alle biciclette da strada e da città. In pratica, attraverso un meccanismo di trasferimento dell’energia che sfrutta la ciclica compressione e decompressione di un sistema di molle durante la rotazione, Superwheel System fa leva sul peso del conducente per generare un aumento fino al 30% della potenza ciclistica. La sensazione, per chi pedala, è simile a quella che trasmette la bici muscolare, con l’unica differenza che la pedalata risulta più spedita, come quando si è sospinti dal vento.

Non è un caso che l’idea sia nata proprio in un territorio dove il vento, quando soffia, non lascia tregua: pedalare sotto i cieli d’Irlanda ha certamente un fascino unico, per i paesaggi che si attraversano e le atmosfere che si respirano, ma è innegabile che spesso il vento soffi contrario e con forza. Circostanza in cui l’aiuto di una bicicletta ‘potenziata’ può rendere il viaggio, verso l’ufficio o la meta del fine settimana, assai meno impegnativo. E grazie alle caratteristiche della ruota posteriore ideata da Simon Chang e Charlie Fegan la pedalata risulta veramente ‘green’, on essendo necessario ricaricare alcuna batteria.

Le prestazioni, però, sono comunque in linea con quelle di una normale e-bike.

Perfetta per le citybike, tipologia di bicicletta con cui peraltro sono stati condotti i primissimi test dalla startup che l’ha ideata, la Superwheel di Chang e Fegan è prodotta attualmente in due versioni, con diametro da 26 e 28 pollici. Selezionata tra i finalisti del premio Irish Times Innovation Awards del 2021, supportato da Enterprise Ireland, l’agenzia governativa che investe nella ricerca di talenti strategici per ’innovazione e lo sviluppo, Superwheel è già utilizzata in 87 città, anche al di fuori dei confini dell’Irlanda, dove appunto l’idea è nata, a partire dal Sud della Francia. L’anno prossimo toccherà al mercato giapponese, grazie a un entro di produzione a Hong Kong.

Superwheel non necessita nemmeno di particolare manutenzione, assicura a BIKE uno dei due fondatori, Chang, spiegandoci come l’utilizzo sia molto semplice; anche il montaggio non si differenzia dalle normali operazioni richieste per l’installazione di una qualsiasi ruota posteriore. Ciò nonostante l’obiettivo è diffondere in Europa una rete di centri specializzati a supporto. Intanto, per il prossimo futuro, la startup irlandese già immagina la seconda versione del modello Superwheel, con anche la possibilità di sostituire la ruota anteriore.

/Un dettaglio del Superwheel System/
113 CICLO ECONOMICO
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BIKE LIFE CULTURA E TENDENZE SU DUE RUOTE BIKE LIFE 115
/Sui pedali alla Maratona delle Dolomiti/
VALDOSTANNO DI VALTOURNANCHE, AI PIEDI DEL CERVINO, BARMASSE, DI PROFESSIONE ALPINISTA, È UN APPASSIONATO DI CICLISMO, CHE PRATICA E SEGUE DA UNA VITA E IN CUI RIVEDE I VALORI CUI SI ISPIRA SCALANDO IN MODO PULITO E SOSTENIBILE IN MONTAGNA CON HERVÉ di / MATTEO RIGAMONTI / 116 AUTUMN /©Fotoc credits Sportograf/

Professione alpinista, Hervé Barmasse nutre una grande passione per il ciclismo, che va di pari passo con quella per la montagna. Classe ’77, nato e cresciuto a Valtournanche, Val d’Aosta, ai piedi del Cervino, quando era giovane promessa dello sci, un infortunio lo ha ricondotto alla tradizione di famiglia: quarta generazione di guide alpine, come il bisnonno a fine ‘800, l’atleta del Global team The North Face di guide alpine è anche istruttore.

Il primo contatto con la bici, racconta Barmasse a BIKE, risale all’epoca della “rivalità tra Bugno e Indurain”, quando da ragazzo ancora sciava, “come allenamento di forza, resistenza e fondo”. Una pratica “che ha il pregio di non sollecitare le articolazioni”, spiega, riscoperta in questi anni nella preparazione per l’alpinismo, perché “le sensazioni durante un’uscita sono molto simili a quelle delle lunghe ascese”. Con i compagni di sci alpino aveva avuto l’occasione di testare anche le rampe del Barbotto tanto caro a Pantani,

(tra i suoi idoli insieme a Bugno e Nibali, Rossi e Federer, “campioni che sanno arrivare alle persone e che hanno saputo risollevarsi anche dalle crisi”), ma le sue salite restano quelle di casa: San Carlo, Col di Joux, San Pantaleone, il Piccolo e il Grande San Bernardo.

Ulteriore trait d’union tra la montagna e la bicicletta è Enervit, di cui Barmasse è ambassador e che l’ha riportato quest’anno, per la seconda volta, alla Maratona dles Dolomites. “È stata l’occasione per ripercorrere salite mitiche e incontrare appassionati di montagna, da scalatore per un giorno ma in modo differente”. Con l’azienda specializzata in nutrizione sportiva e integrazione alimentare, che lo accompagna tanto nelle uscite in sella quanto nelle sue imprese alpine, la collaborazione è proficua e, proprio in questi mesi, li vede al lavoro insieme su un nuovo prodotto per le discipline outdoor. “Ciò che le aziende che rappresento cercano in un atleta come me –osserva – non sono solo le prestazioni e l’attenzione alla natura, all’ambiente, ma un intero universo di valori, un’etica che dura nel tempo”. Inoltre, prosegue nel ragionamento, “le persone riescono a immedesimarsi con chi, come me, ha saputo risollevarsi dagli infortuni”.

Quando gli chiediamo quali sono le ascese di cui va più fiero, la memoria spazia tra diversi momenti della sua longeva carriera, ma tre su tutte ci tiene a menzionarle: il Cervino “per una ragione affettiva, è la montagna di casa e dove ho compiuto il maggior numero di exploit, tra nuove vie, invernali e solitarie”.

Poi c’è il Cerro Piergiorgio, una liscia lavagna granitica la cui ascensione “è stata una sfida che mi ha impegnato per tre anni”. Infine lo Shisha Pangma, “perché è stato il primo ottomila in assoluto, per di più scalato in stile ‘pulito’ in 13 ore, senza prima aver testato alcuna via ‘normale’”.

Il tipo di alpinismo nel cui solco si colloca Barmasse è quello ‘pulito’, rispettoso della natura e che ricorre a innovazioni e tecnologia in modo non pervasivo e sempre sostenibile.

È la scuola di Albert Friedrick Mummery, tra i suoi punti di riferimento insieme al papà, al nonno, a Bonatti e Messner. Ce lo racconta mentre commenta l’ultimo Tour, “il più bello che ho visto, con campioni come Van Aert e tanti giovani che stanno cambiando il ciclismo”.

/Con Miguel Indurain, entrambi testimonial di Enervit/ /Mentre si alimenta durante un'ascesa/
117 BIKE LIFE /©Foto Archivio Hervé Barmasse/

COGLIENDO L’ATTIMO

ALEX LUISE HA MOLLATO UN SICURO IMPIEGO D'UFFICIO PER SCOMMETTERE TUTTO SULLA PASSIONE PER LA FOTOGRAFIA. AFFIANCANDOLA ALL’AMORE PER LA BICICLETTA NE HA FATTO CON SUCCESSO UN MESTIERE. E OGGI SCATTA OUTDOOR, ANCHE AL SEGUITO DELLE PIÙ PRESTIGIOSE GARE DI MOUNTAIN BIKE

/Durante le uscite all'aria aperta Alex porta sempre con sé la sua macchina fotografica/
di / LEONARDO SERRA / 118 AUTUMN /©Foto Augusto Caire/

Dalla passione il mestiere della vita. Fotografo outdoor e commerciale, Alex Luise, base a Padova, è specializzato nella mountain bike in tutte le sue declinazioni, dal downhill al cross country, passando per enduro, gare del circuito Uci e appuntamenti mitici come la Cape Epic (i suoi scatti si trovano su Alexluise.com).

Con BIKE ha ripercorso i momenti cruciali della sua storia professionale, in cui le ruote grasse sono divenute sempre più importanti. Ecco come.

Quando hai iniziato a scattare?

La mia passione è nata agli inizi del 2000 quando, dopo il militare, ho frequentato un corso di fotografia nella biblioteca comunale. A casa, in un cassetto, c’era una vecchia Olympus OM10 che nessuno sapeva usare ed essendo allora internet poco diffuso (c’erano ancora i modem 56K) il tempo, la sera, non mancava. Ho iniziato le lezioni e mi sono appassionato.

Quali sono state le prime esperienze?

Portavo la reflex in montagna, nelle uscite sia in snowboard sia in mountain bike. Quante diapositive sbagliate o bruciate! La fotografia in quegli anni era ancora su pellicola e scattare era sempre un rischio e un costo. Ma è stato fondamentale per imparare le basi.

In che modo la fotografia è diventata lavoro? Per anni l’ho alimentata come passione unita allo sport; fino a quando ho deciso di trasformarla in lavoro e ho fatto il salto: ho mollato un impiego d’ufficio (sono diplomato in design industriale) per gettarmi a tempo pieno su di un’attività totalmente da freelance.

Le ruote grasse sono sempre state presenti? Ho sempre praticato mountain bike e bmx, non in modo agonistico ma tra amici, ed è bello aver potuto raccontare il mondo di cui sono appassionato. Ho iniziato fotografando chi conoscevo, per poi arrivare agli atleti professionisti. Ci è voluto tempo, anni, ma è stato utile per maturare tecnicamente. E quando si conosce a fondo la materia, si racconta tutto molto meglio.

In questo sport è fondamentale cogliere l’attimo. Qual è il segreto?

Non è facile. È una sfida costante con sé stessi. Perché ogni scatto non è mai all’altezza delle aspettative: anche in uno che sul momento può piacerti, se lo riguardi dopo tanto tempo, ci troverai difetti. Ecco perché non ci si deve innamorare dei propri lavori, ma bisogna

sempre cercare di migliorarsi, analizzandoli in modo distaccato per capire se manca qualcosa. Altrimenti, non si spiegherebbe come mai gli scatti dei grandi fotografi ci appaiono tutti così immediati, senza bisogno di spiegazioni e più il tempo passa e più sono belli.

Fotografia è avventura?

Non sono un tipo che si annoia! E non solo perché fare il fotografo vuol dire lavorare i sabati e le domeniche, spesso per quindici ore al giorno. Cresciuto sfogliando i vecchi Airone di mio padre, se potessi viaggerei sempre, per vedere posti e persone. Ma con il tempo ho capito che avventura non vuol dire solo viaggiare e ho imparato ad apprezzare ciò che ci circonda: per esempio, abbiamo la fortuna di vivere in Italia, con posti magnifici a un’ora da casa. È il motivo per cui molte delle mie foto sono a ‘Km zero’.

Lavorare con atleti professionisti, invece, che tipo di esperienza è?

Potrà sembrare strano, ma è tutto più facile. Non devi insegnare loro niente, c’è solo da imparare. Ciò che mi ha colpito di più è l’umiltà di certi campioni: persone che hanno vinto tanto, ma sono rimaste con i piedi per terra, disponibili e gentili, perché sanno di aver fatto sacrifici per realizzare il loro sogno. Capiscono che sono amati dal pubblico e vogliono ricambiare. Da loro si può solo prendere ispirazione.

C’è un un luogo dei tuoi ricordi? Per anni, oltre al lavoro di fotografo, ho aggiornato un blog (Welovetoride.it). È un contenitore di esperienze, storie e foto. Ora ho deciso di abbandonare il digitale per racchiudere tutto su carta, creando una fanzine, come quelle che si usavano anni fa. Folle? Forse, ma almeno sono sicuro che tra qualche anno mia figlia potrà sfogliarlo e vedere cosa faceva suo papà.

119 BIKE LIFE

L’EX CICLISTA

MIGUEL SORO OGGI

/©Foto Miguel Soro/ /Il Cannibale Eddy Merckx per tre volte campione del mondo (nel '67, '71 e '74)/
PROFESSIONISTA
FA L’ARTISTA E AI MONDIALI DI WOLLONGONG HA PORTATO SUL TRAGUARDO LA MOSTRA CHASING RAINBOWS: CALEIDOSCOPICI COLLAGE CHE NARRANO LE IMPRESE DEI CAMPIONI DI OGGI E DI IERI IRIDE SU TELA di / ROLANDO LIMA / 120 AUTUMN

Il primo ciclista a tagliare il traguardo dei Campionati mondiali su strada di Wollongong, in Australia, è stato un pittore. Ma non si tratta del Pittore Miguel Angel Michelangelo Lopez, come viene soprannominato il portacolori colombiano dell’Astana, e nemmeno di chi la maglia arcobaleno l’ha conquistata per davvero ma con l’arte figurativa non se la cava certo così bene come con il colpo di pedale. Stiamo parlando di Miguel Soro, 46 anni, ex-ciclista professionista, ora impegnato a tempo pieno con la pittura.

A pochi metri dal traguardo, infatti, presso il Sage Hotel, al 60-62 di Harbour Street, è andata in scena la mostra dei suoi quadri intitolata Chasing rainbows, ovvero Inseguendo l’arcobaleno, la maglia iridata. Le 25 opere a firma dell’artista spagnolo, supportate dalla preziosissima esperienza in gruppo che non tutti i pittori possono esibire come lui, hanno proposto un punto di vista unico e distinguibile sul microcosmo caleidoscopico delle due competizioni su due ruote.

Dai 'local' Amanda Spratt e Cadel Evans (che l'arcobaleno l'ha anche vestito in carriera), Mathew Hayman e Jay Hindley, alle leggende di oggi e di ieri, come Mathieu Van der Poel ed Eddy Merckx, Roger de Vlaeminck e Bernard Hinault, la mostra di Wollongong ha annoverato una serie di ritratti di campioni, australiani e internazionali, raffigurati con l’affascinante tecnica del collage.

“La mia arte è principalmente rivolta al pubblico del ciclismo”, ha dichiarato Soro, “ma ho notato che coinvolge anche i non appassionati di questo sport. Per me è un grande onore aver portato il mio lavoro in Australia ed esposto le mie opere durante questo evento ciclistico internazionale”.

Opere che sono state esposte in tutto il mondo, partecipando anche a importanti eventi come la celebrazione del centenario di Fausto Coppi in Italia e in occasione del Tour de France oltralpe. La mostra, con accesso gratuito, è stata organizzata da Oakbrew Swiss Sagl.

/La campionessa australiana Amanda Spratt/ /Bernard Hinault, campione iridato nel 1980/ /Roger de Vlaeminck/ /©Foto Miguel Soro/ /©Foto Miguel Soro/ /©Foto Miguel Soro/
121 BIKE LIFE
/L'idolo locale Cadel Evans, campione del mondo 2009/ /Mathew Hayman, vincitore della Parigi-Roubaix 2016/ /Il fenomeno Mathieu van der Poel/ /Il vincitore del Giro d'Italia, Jay Hindley, primo aussie a riuscirci/ /©Foto Miguel Soro/ /©Foto Miguel Soro/ /©Foto Miguel Soro/
122 AUTUMN “LA MIA ARTE È PRINCIPALMENTE RIVOLTA AL PUBBLICO DEL CICLISMO, MA VEDO CHE COINVOLGE ANCHE I NON APPASSIONATI E PER ME È UN ONORE”
COMUNIC AZIONE RESPONS ABILE sitointerattivo

MA CHE

TEMPO FA

LA STAGIONE AUTUNNALE PORTERÀ ACQUA ALLA TERRA ASSETATA. ECCO QUALCHE SUGGERIMENTO PER RESTARE ASCIUTTI, SCHIVANDO ANCHE IL VENTO E LA PIOGGIA

Soratte, elegantissima nei toni del beige e dell’oro, i colori delle linee lusso Battistoni, è una bici gravel in alluminio, con freni a disco, cambio sram a corona unica, manubrio esteso, ruote Pirelli da strada e fuori strada e accessori ricercatissimi. € 3.955 - battistoni.com

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AUTUMN
di / ALESSIA BELLAN /

BARBOUR PONCHO IN TARTAN

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127 BIKE LIFE

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128 AUTUMN
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LEGGERE SUI PEDALI

COLOMBIA ES PASIÓN! LA GENERAZIONE DI CICLISTI CHE HA CAMBIATO LA STORIA DI UN PAESE

/Mulatero, 424 p., 21 €/

Il cambio del millennio ha portato il ciclismo a un rapido ampliamento dei suoi orizzonti, vedendo irrompere negli albi d'oro delle gare più prestigiose corridori provenienti da ogni continente. Nel caso della Colombia, però, si è trattato di un ritorno. Il giornalista britannico Matt Rendell ha ricostruito le vicende del Paese più ciclistico del Sud America attraverso le storie dei suoi corridori più popolari, come Quintana, Bernal, Urán o Gaviria. Parabole umane che riflettono il cambiamento epocale di una nazione intera, capace di riscoprire nelle sue radici ancestrali, nelle sue abitudini e nei suoi valori la chiave per gettarsi nella modernità. Un viaggio affascinante e dettagliato, che fa venire voglia di partire verso le Ande e pedalare.

Rosita Rijtano INSUBORDINATI. INCHIESTA SUI RIDER /Edizioni Gruppo Abele, 128 p., 13,30 €/

C'è chi li vede come i nuovi schiavi, chi come una condivisione di servizi, chi semplicemente li vede e basta. I corrieri in bicicletta, oggi comunemente chiamati rider, sono divenuti ormai una presenza costante e sempre più numerosa sulle nostre strade. “Entità pirandelliane, dai mille volti e dalle altrettante esigenze”, come li definisce l'autrice, si muovono in costante sfida contro sfruttamento e algoritmi, oltre che contro gli abituali rischi della strada che ogni ciclista ben conosce. Raccontarli era necessario, e Rosita Rijtano lo ha fatto nel modo più onesto possibile: andando a parlare con loro e con chi li studia e li affianca. Per scoprire che i corrieri, proprio come i ciclisti sulle strade del Giro e del Tour, non sono altro che persone.

VOLEVO FARE LA CORRIDORA / Ediciclo editore, 191 p., 16 € /

Il successo planetario del Tour de France femminile dello scorso luglio, tornato a disputarsi dopo oltre un decennio di interruzione, ha contribuito anche a riportare alla luce le difficoltà e le continue battaglie a cui sono costrette le cicliste. I risultati di oggi, concreti ma ancora lontani dalla parità di diritti, hanno però radici profonde, in una lunga storia di resistenza. Tra gli anni '60 e '70 Morena Tartagni è stata una delle figure di riferimento dei ciclismo femminile, diventando la prima italiana a salire sul podio ai mondiali. La sua carriera è stata però un percorso a ostacoli, il più grande dei quali è stato il pregiudizio che accompagnava le donne che volevano correre in bicicletta. Un libro che riscopre una storia che rischiava di venire dimenticata.

Gianluca Alzati A Dicembre A Ottobre A Novembre Matt Rendell
130 AUTUMN
di / FILIPPO CAUZ /

Scegliere una colonna sonora musicale che si abbini alla mia idea di bicicletta è operazione al tempo stesso affascinante e complessa. Ma soprattutto divertente oltre che emozionante. Il mio andare in bicicletta è voglia di libertà, di scoperta e di sana fatica. È voglia di conquistare vette ‘mitiche’, alpine e non solo, da cui poi osservare panorami da sogno. Il mio pedalare è anche voglia di condivisione, perché, grazie alla bici, ho conosciuto tanti nuovi amici. Ecco perché le canzoni che vi suggerisco qui sono un mix di tutte le sensazioni positive che assaporo e si agitano dentro me mentre mi imbatto in stradine, borghi, vigneti e ascese che accompagnano le mie scorribande a pedali. Del resto, cosa c’è di più musicale del fruscio delle ruote che mangiano l’asfalto mentre ai lati della strada scorre il giallo dei girasoli e il vento porta all’orecchio i suoni della natura?

* Milanese, classe 1981, Luca Gregorio è nato facendo radiocronache di basket a Circuito Marconi, primo step di una lunga gavetta nel mondo dello sport, che lo ha portato poi a lavorare a Sportitalia, Mediaset e FoxSports. L’amore totale per il ciclismo è nato a Bike Channel, dove lavora dal 2013, anno di nascita del canale. Dal 2018 racconta il ciclismo in tv su Eurosport, in coppia con Riccardo Magrini, e commenta il calcio per Prime Video, Helbiz e la Lega Serie A.

OASIS

COLDPLAY

RICCARDO

131
1 / Questa è la mia vita LIGABUE 2 / Compagni di viaggio FRANCESCO DE GREGORI 3 / Ho imparato a sognare NEGRITA 4 / Good riddance GREEN DAY 5 / Don’t go away
6 / A sky full of stars
7 / Uomo in fuga
MAFFONI 8 / Buongiorno vita ULTIMO 9 / It’s my life BON JOVI 10 / It’s a beautiful day MICHAEL BUBLÈ 11 / Solo cose belle COMETE 12 / Come un pittore MODÀ 13 / Slide GOO GOO DOLLS 14 / Non cambierei questa vita con nessun’altra LIGABUE 15 / Best days GRAHAM COLTON 16 / Hanging by a moment LIFEHOUSE 17 / Un giorno migliore LUNAPOP 18 / Lucky man THE VERVE 19 / Volume ARTICOLO 31 20 / Vivere a colori ALESSANDRA AMOROSO musica / LUCA GREGORIO */ BIKE PLAYLIST Gioia a pedali Inquadra il QR Code e scopri tutte le Playlist di BIKE

Il ciclismo ti rende MAGRO

ARRIVEDERCI, NON ADDIO

A fine stagione salutano il ciclismo due protagonisti assoluti che hanno fatto la storia recente del nostro sport: lo Squalo dello Stretto, Vincenzo Nibali, e Don Alejandro Valverde, detto El Bala. I loro risultati, sportivi ma non solo, e il loro contributo in termini di ‘spettacolo’ dato alla visibilità dell’intero movimento sono sotto gli occhi di tutti. Ma non sono gli unici ad appendere la bici al chiodo, non sono i primi e non saranno gli ultimi. Anch’io ho smesso, presto, per fare il direttore sportivo. Tra gli altri che lasciano quest’anno mi piace ricordare anche il nostro Giovanni Visconti, che ha gareggiato a lungo proprio con e contro lo Squalo, fin da giovanissimo nella mia Toscana. I loro addii mi offrono l’occasione di approfondire nuovamente il senso di un passaggio che non è mai semplice per nessuno. Specie quando sei un grande campione.

C’è chi smette per scelta e chi no, chi programma tempo prima l’ultima gara e chi, invece, si trova improvvisamente senza contratto. C’è chi non accetta la resa e chi serenamente decide di assecondare la natura di un inevitabile decadimento mai soltanto fisico o un venir meno di motivazioni. C’è chi lascia ma potrebbe pedalare ancora e chi chiude per la nausea della tanta fatica profusa in una carriera di gioie e sacrifici. Chi vive un addio romantico e chi esce di scena a riflettori spenti. Tutti i fuoriclasse del pedale, però, quando smettono, una cosa sanno: quella dolcissima routine fatta di allenamenti e gare, chilometri e chilometri, tanto riposo e poca vita sociale fuori dalle corse, non tornerà mai più. E non è facile gestire questo improvviso vuoto che la tristezza che può generare.

Il mio consiglio è di non abbandonare mai del tutto il ciclismo. Io ho avuto la fortuna di rappresentare aziende del mondo bike, di fare il direttore sportivo e ora di vivere ancora immerso in questo bellissimo ambiente grazie alle telecronache delle corse in tv. Un privilegio per pochi, certo. Ma sono tanti i modi per rimanere legati alla bicicletta, e oggi, rispetto a quando ho smesso io, sono forse ancora di più: c’è chi fa il testimonial di un brand che lo ha accompagnato per una vita e chi sceglie un mestiere legato alla bicicletta, dal meccanico al fisioterapista, magari studiando per diventarlo quando ancora sta correndo; c’è chi apre negozi di bici, chi entra nell’organizzazione di manifestazioni, chi allena (non importa siano giovani, amatori o pro) e chi si re-inventa come guida cicloturistica per appassionati. Il gusto di un’uscita con la propria bicicletta, però, non è mai precluso, a nessuno, che sia da soli per riflettere, oppure in compagnia.

Quali che siano le scelte di ciascuno, insomma, credo che nessuno debba mai rinunciare a una bella pedalata in libertà, che poi è ciò che è alla base di questa passione che tutti ci accomuna. Del resto, lo cantavano già con Arrivederci Umberto Bindi e l’artista cubano Don Marino Barreto Jr., che ha contribuito a rendere celebre quel testo scritto da Giorgio Calabrese per Bindi: “Questo sarà l'addio / Ma non pensiamoci / Con una stretta di mano / Da buoni amici sinceri / Ci sorridiamo per dir / Arrivederci, arrivederci”. E così, anche noi, riprendiamo per mano quella sublime compagna di vita che è la nostra bicicletta e, senza piangere troppo, rimettiamoci prontamente in sella.

* Ex ciclista, dirigente sportivo e commentatore tv per Eurosport

132 AUTUMN
di / RICCARDO MAGRINI */

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