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L’Editoriale

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La divina Venere

La divina Venere

di Vincenzo Chetta

Estate anni ‘80, ero un bambino, al mare con i genitori in Romagna in un campeggio sulla spiaggia: lì sentii per la prima volta l’inconfondibile suono delle onde sul bagnasciuga seguite da due note elettroniche (FA - RE), era l’intro di “Summer on a solitary beach” di Battiato, immediatamente iniziai a cantare: “Mare mare mare, portami lontano da queste sponde, portami lontano sulle onde…”. Subii immediatamente un’attrazione per quelle note, quelle parole misteriose a tratti incomprensibili, ma assolutamente affascinanti. A distanza di 40 anni ascoltando questa canzone ho ancora le stesse emozioni, “ricordi lontanissimi come se fosse ieri”. Suoni sperimentali, molto avanti per gli stessi anni ‘80, canzoni che evocano immagini e ricordi ancestrali in cui emergono i suoi tanti interessi, fra cui l’esoterismo, la teoretica filosofica, la mistica sufi e la meditazione orientale. Troviamo nei suoi brani molti riferimenti a Gurdjieff (filosofo, scrittore, mistico e musicista); tra i passaggi più significativi: “E il mio maestro mi insegnò com’è difficile trovare l’alba dentro l’imbrunire”, concetto nel quale l’alba può essere paragonata ad una vita superiore che superi l’imbrunire, ovvero la morte, attraverso un percorso di ricerca della consapevolezza. Molti i suoi successi musicali, sarebbero da “studiare” tutti, ma indimenticabili sono: “Voglio vederti danzare”, un inno alla danza come lingua universale dell’uomo; “E ti vengo a cercare”, brano che può essere interpretato come ricerca dell’anima gemella oppure della propria divinità; “La cura”, semplicemente una delle più belle canzoni d’amore mai scritte; “Centro di gravità permanente”, “Bandiera bianca” e “Cuccurucucu” tre canzoni, spesso riprodotte in un unico medley, un mix musicale accattivante, testi singolari e perle di saggezza disseminate qua e là per impreziosirne il contenuto. Battiato non era solo “musica”, si dedicava infatti anche alla pittura. Ad esempio le copertine di “Fleurs” e ”Ferro Battuto” ed il libretto di ”Gilgamesh” sono stati realizzati da lui. Süphan Barzani era lo pseudonimo che utilizzava per firmare i suoi dipinti ed in tutto ha prodotto circa 80 opere tra tele e tavole dorate, create con olio, terre o pigmenti puri: “Una volta pensavo che la mia totale incapacità nel disegno dipendesse dalla mancanza di una naturale predisposizione, come nel caso di uno stonato che non riesce ad emettere la stessa nota che ha in testa… Col tempo ho scoperto invece che avevo un’idea astratta, archetipa, dell’oggetto che osservavo: quello che mi mancava era la possibilità di coglierlo nella sua esatta forma”, scrisse Battiato nel 1994. “Per analizzare praticamente questo genere di chiusura, tre anni fa iniziai a dipingere, per pura sfida: questa terapia riabilitativa mi sta privando di quel difetto, pilastro di certa consacrata pittura moderna”. Pochi conoscono questo suo lato, è infatti la produzione musicale ad aver spianato la via della sua ricerca. C’è un altro brano che mi ha sempre affascinato “Lode all’inviolato”, a mio avviso uno dei più profondi, fortemente dualistico, ci pone tra due energie opposte, tra le parole della canzone “E poi la sofferenza che ti

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rende cieco [...] Le nuvole non possono annientare il Sole”,

un passaggio sulla “sofferenza”, parte inevitabile della nostra esistenza che non deve renderci “ciechi”, ma consapevoli, e poi la metafora delle nuvole (sofferenza) che non possono annientare il sole (non possono annullare la nostra anima). Infine, nel testo di “Mesopotamia” troviamo le parole che ben si adattano nell’eterno istante: “Che cosa resterà di

me, del transito terrestre? [...] Anch’io a guardarmi bene,

vivo da millenni”, cosa resterà? Resteranno le sue canzoni immortali, ma è il suo essere “uomo straordinario” che ci mancherà, e tanto. Vincenzo Chetta

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