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DIGITAL FINANCIAL OFFICER
dicembre 2018 Blast21 Srl - 20123 Milano, Via M. Bandello 15 Trimestrale - anno II - Numero 8 - dicembre 2018 Poste Italiane SpA - Sped. in a.p. - D.L. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB milano
RENDICONTAZIONE
NON
FINANZIARIA,
A CHE PUNTO SIAMO? IN QUESTO NUMERO Fiscalità Una nuova leva competitiva Digital Supply Chain Imprese ancora ferme ai test
Connessi al futuro. L’impresa apre i suoi confini. Immaginiamo e realizziamo soluzioni per l’Extended Enterprise: Cloud, Social, Collaborative.
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The Fintech Specialist
sommario SCENARI E-fattura e big data: le opportunità 19 per i CFO
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Chi taglia gli sprechi migliora la 20 redditività Pir alla prova dei mercati 22 Il futuro del lusso? È online 24 FinTech a misura di pmi 26 Fiscalità, una nuova leva competitiva 28
SPECIALE Rendicontazione non 30 finanziaria, a che punto siamo? Sostenibilità. Le aziende investono, 33 ma non lo comunicano Con il bilancio si racconta il presente 34 e si costruisce il futuro Estra, “energia” per il territorio 36
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AZIENDA Mondo Convenienza, 38 riorganizzazione nel segno dell’efficienza Il budget multi-year vola sul cloud 40
TECNOLOGIA Digital supply chain. 42 Imprese ancora ferme ai test 2 dfo - dicembre 2018
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sommario
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DIGITAL FINANCIAL OFFICER
www.dfo.media Numero 8 - Dicembre 2018 Direttore responsabile Alberto Grisoni - agrisoni@aziendabanca.it Redazione Barbara Botti - bbotti@aziendabanca.it Simone Rizzo - srizzo@aziendabanca.it Gaja Calderone Advertising Mariuccia Ritrovato - mritrovato@aziendabanca.it Hanno collaborato Elena Giordano, Francesca Ruggiero, Rosaria Barrile, Paolo Fioroni Progetto grafico e Impaginazione Clementina Occhipinti Stampa - Àncora Arti Grafiche
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Crediti Immagini Copertina e pag. 30: abstract/shutterstock Pag.8: wutzkohphoto/shutterstock Pag.9: Eviart/shutterstock. Pag.10: designer491/shutterstock Pag.11: g-stockphoto/shutterstock Pag.17: metamorworks/shutterstock Pag.24: Kiselev Andrey Valerevich/shutterstock Pag.42: julia.m/shutterstock. Pag.44: pixabay Redazione Blast21 Srl - Via F. Caracciolo, 68 - 20155 Milano Tel. 02 49536590 4 numeri l’anno. L’abbonamento andrà in corso, salvo diversa indicazione, dal primo numero raggiungibile. Italia 10 euro. La copia 3,90 euro. Arretrati il doppio. Estero 20 euro. Sped. in a.p. - D.L. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Milano Autorizzazione tribunale di Milano n. 74 del 7/02/2017. È vietata la riproduzione, anche parziale, di quanto pubblicato senza la preventiva autorizzazione scritta di Blast21.
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Ai sensi del decreto legislativo 196/2003, le finalità del trattamento dei dati relativi ai destinatari del presente periodico, o di altri dello stesso Editore, consistono nell’assicurare una informazione tecnica, professionale e specializzata a soggetti identificati per la loro attività professionale. L’Editore, titolare del trattamento, garantisce ai soggetti interessati i diritti di cui all’art.13 del suddetto decreto. Gentile lettore, alcune copie del mensile AziendaBanca sono inviate gratuitamente per finalità di marketing diretto. Il destinatario finale può, in qualunque momento, contattare la redazione per richiedere l’aggiornamento o la rimozione del proprio nominativo dalla mailing list.
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nomi
A AC Milan........................................... 6 Acerbis Fabrizio..............................28 Ambienta SGR................................17 American Express............................. 9 Anima............................................... 7 Anra.................................................. 9 AromataGroup...............................17 Ascopiave......................................... 6 Assifact...........................................10 Auxiell.............................................20 B Bain & Company............................ 24 Balladore Davide............................ 19 Banca CR Asti.................................16 Banca Miondiale............................ 28 Banco BPM.....................................20 Banco BPM.....................................13 Bernoni Grant Thornton................ 33 Biverbanca.....................................16 BNP Paribas....................................12 Bozzini Giulio.................................... 6 C Canon.............................................19 Capgemini......................................42 Cargeas...........................................40 Caruso Giuliano..............................38 Casartigiani....................................11 Cavacini Stefano............................... 7 CCH Tagetik....................................38 Cerved.............................................. 8 Cioni Giacomo................................11 CNA................................................11 Coface............................................44 Confidi Fedart ...............................11 Credem...........................................12 Crédit Agricole............................... 13 D D’Arpizio Claudia............................ 24 D’Avanzo Gianluca............................ 6 De Lucia Nicoletta............................ 7 4 dfo - dicembre 2018
Dedem............................................16 Deloitte...........................................22 DoveVivo.......................................... 7 E Estra...............................................36 F F2i Sgr.............................................16 Ferma............................................... 9 Fietta Paolo...................................... 6 Fondo Italiano d’Investimento Sgr.....18 G Gada...............................................17 Giorgetti Patrizia.............................. 6 Giorzet Paolo Angelino.................. 40 Grenke............................................13 Gruppo 24 Ore................................. 6 Gruppo Farmacrimi........................ 16 Gruppo Unipol...............................34 H Happy Center Service.................... 16 HAT Orizzonte Sgr.......................... 18 I Icrios Bocconi.................................20 Innexta...........................................26 IPS...................................................18 J JeMe Bocconi.................................22 L Leisure Group.................................16 Levato Federica..............................24 Lundquist.......................................30 M Macrì Francesco............................. 36 Maiocchi Danilo............................. 26 Manzoni Luca.................................20 Martignano Alessandro................. 40
Marval............................................18 Mediaworld...................................... 6 Moda Italia.....................................18 Mondo Convenienza...................... 38 MotorK............................................. 7 N Nctm Studio Legale........................ 22 Noovle............................................13 O Ortolani Marco................................. 6 Osborne James..............................30 P Paggiaro Riccardo............................ 6 Parmigiani Marisa.......................... 34 Principia Sgr...................................17 Prismi............................................... 6 PwC TLS Avvocati e Commercialisti............................ 28 Q Quaglino Andrea.............................. 7 R Regione Lombardia........................ 26 S SACE...............................................13 Saipem............................................. 7 School of Management Politecnico di Milano..................... 26 SIFI.................................................... 7 Sosio Davide..................................... 7 Star Capital.....................................18 T TAS Group......................................40 Tecno Pool......................................16 Tenova.............................................. 6 X Xenon.............................................16
editoriale
L’AMMINISTRAZIONE PUBBLICA DEI SOGNI “Se fosse semplice, non si chiamerebbe impresa”. È il sottotitolo della web serie “Il Titolare”, creata da Confcommercio. Quattro episodi rapidi, di circa 3 minuti ciascuno, che vedono protagonista il titolare di un negozio alle prese con diversi aspetti del “fare impresa”. A parte la campagna in sé (le qualità tecniche e cinematografiche, in un contesto che non fa ipotizzare budget stratosferici, sono indubbie) e la capacità di raccontare realmente al grande pubblico il contesto in cui le imprese operano, dedico l’editoriale di questo numero di DFO al terzo episodio della serie. Quello dedicato alla burocrazia.
Alberto Grisoni Direttore di DFO
Perché in tre minuti riassume l’incubo di imprenditori e liberi professionisti, ma anche cittadini comuni. L’imprenditore protagonista della serie si reca a un non meglio identificato “sportello” per pagare l’IVA. E trova un nuovo impiegato, mai visto prima, che si comporta in maniera molto strana. Riconosce subito l’imprenditore, ad esempio. E poi lo avvisa proattivamente che ha diritto a un rimborso: nottetempo (sì, l’impiegato lavora anche di notte) ha calcolato l’ammontare esatto e ha predisposto tutta la documentazione necessaria, compreso il modulo per presentare ricorso nel caso in cui, trascorsi 20 giorni, l’amministrazione non abbia provveduto al pagamento (e qui si sfiora l’effetto comico). In un crescendo di stupore, l’episodio prosegue con la cacciata dall’ufficio di un “cugino del direttore” che voleva saltare la fila in nome dei suoi “diritti” (di nascita): subito dopo vengono buttati fuori dall’ufficio, sempre dall’impiegato dei sogni, anche portatori di regali e bustarelle, parenti di dirigenti, falsi invalidi. In fila possono restare solo “imprenditori che hanno l’attività bloccata” e che cercano assistenza. Vi raccomando di sacrificare tre minuti e guardarvi quell’episodio della web serie (e anche gli altri, approfittando delle fredde vacanze invernali). Provate a non sentire una certa gioia all’idea di avere a che fare, dal primo gennaio del prossimo anno, con un’Amministrazione Pubblica del genere. Purtroppo, l’effetto della serie è spesso malinconico: sarebbe bello, sì. Ma non accadrà mai. Buona lettura
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carriere
MEDIAWORLD. MARCO ORTOLANI MediaWorld affida a Marco Ortolani l’incarico di Chief Financial Officer per l’Italia. Con un’esperienza di oltre 20 anni in aziende multinazionali del settore retail, prima di arrivare in MediaWorld Marco Ortolani ha ricoperto diversi ruoli in ambito Finance and Administration a livello internazionale. Il manager ha iniziato come consulente per Applicativi ERP e Datawarehouse Oracle ed è successivamente entrato in Gillette, ricoprendo il ruolo di Group Controller Italia e Grecia e Planning Systems manager nella sede di Boston fino al 2006. Ha assunto poi il ruolo di CFO per Francia e Belgio e Planning Systems manager in Beiersdorf fino al 2014, per poi continuare la sua carriera nel Gruppo Bolton, dove prima ha ricoperto il ruolo di Financial and Administrative Group Director - CFO di Bolton Manitoba ed infine, dal 2016, quello di Financial and Administrative Group Director - CFO per Manetti&Roberts e le consociate Bolton Solitaire e Rogè Cavailles a Parigi.
PRISMI. PATRIZIA GIORGETTI Patrizia Giorgetti è il nuovo Chief Financial Officer del Gruppo Prismi: la manager è operativa dal 19 novembre e prende il posto Raffaella Agazzani che, per motivi personali, ha rassegnato le proprie dimissioni. Nel nuovo ruolo, Giorgetti ha il compito di guidare la funzione Human Resources del Gruppo e di supportare le operazioni di M&A. Il nuovo CFO ha ricoperto in precedenza vari ruoli in aziende multinazionali di grandi dimensioni.
ASCOPIAVE. RICCARDO PAGGIARO Nuovo Chief Financial Officer per Ascopiave. Si tratta di Riccardo Paggiaro, che ha preso il posto di Cristiano Belliato a partire dal 31 ottobre 2018. Il manager assume allo stesso tempo il ruolo di Dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili e societari e di Dirigente strategico del Gruppo Ascopiave. Paggiaro, Dottore Commercialista e Revisore Contabile, ha maturato negli anni una vasta esperienza nell’area amministrazione, finanza e controllo dopo un percorso in ambito tributario e corporate finance presso diverse società di consulenza e revisione. Dal 2011 ha ricoperto l’incarico di Responsabile Finanza & Tesoreria del Gruppo Ascopiave e di Responsabile Amministrativo per le società controllate, oltre ad aver ricoperto altre cariche in società del Gruppo. Paggiaro non è titolare di azioni ordinarie Ascopiave.
TENOVA. GIULIO BOZZINI Tenova, società del Gruppo Technit con sede a Castellanza, affida a Giulio Bozzini l’incarico di Chief Financial Officer. Il manager risponde al CEO dell’azienda, Andrea Lovato. Giulio Bozzini ha iniziato la sua carriera presso il Dipartimento Audit di KPMG, nel 1988. Dal 1994 ha lavorato poi per Saipem, azienda del settore Oil e Gas, dove ha ricoperto diversi ruoli di leadership, tra gli ultimi quello di Chief Financial & Strategy Officer. Infine, dal 2014 al 2016, è stato Executive Vice President Planning e Control di Eni. 6 dfo - dicembre 2018
GRUPPO 24 ORE. PAOLO FIETTA Paolo Fietta è il nuovo Chief Financial Officer del Gruppo 24 Ore. Fietta, 50 anni, in precedenza ha lavorato presso diverse multinazionali e aziende italiane di differenti settori: dal fashion al food, dall’information technology al digital. Negli anni si è occupato di IPO, processi di ristrutturazione e sviluppo sui mercati emergenti. In particolare di recente ha ricoperto il ruolo di Direttore Finanziario in Illy Caffè, dove ha supportato lo sviluppo dei canali retail e ecommerce, in Twin Set e in Yoox, dove ha guidato la società nel percorso di quotazione.
AC MILAN. GIANLUCA D’AVANZO È Gianluca d’Avanzo il nuovo CFO rossonero. Il manager, membro del Consiglio di Amministrazione, prende il posto di Valentina Montanari alla guida delle attività dell’Area Financial di AC Milan. Il Chief Financial Officer Valentina Montanari ha infatti lasciato il club il 10 ottobre per intraprendere nuovi percorsi professionali.
carriere
DOVEVIVO. NICOLETTA DE LUCIA Nicoletta De Lucia assume il ruolo di CFO di DoveVivo, società specializzata in affitti di immobili e vita in condivisione, per coordinare le attività di Finance, Administration e Controlling con un team di 10 persone. Nicoletta De Lucia ha iniziato la sua carriera professionale come Business Unit Controller in BULL Italia, spostandosi dopo 3 anni in CSC, società americana di sistemi integrati, dove per 4 anni ha ricoperto il ruolo di Financial Analyst. Successivamente è entrata in Hitachi Data Systems come Finance&Administration Manager. Nel 2015 è passata poi nel gruppo Dell EMC, come Finance & Business Operation Director lavorando a stretto contatto con il Country Manager e gestendo la responsabilità di tutte le attività di Finance, Tax and Accounting.
SAIPEM. STEFANO CAVACINI Stefano Cavacini assume l’incarico di Chief Financial Officer (CFO) di Saipem con la responsabilità delle funzioni Amministrazione, Finanza e Controllo: è operativo con il nuovo ruolo dal 15 di novembre. Cavacini vanta diverse esperienze nel ruolo di CFO in importanti gruppi multinazionali nel settore industriale. Nel periodo tra l’uscita di Giulio Bozzini, che lascia la società il 15 ottobre 2018, e l’ingresso di Stefano Cavacini, le responsabilità delle funzioni Amministrazione, Finanza e Controllo sono assunte dall’Amministratore Delegato, Stefano Cao. Cavacini non detiene azioni della società.
ANIMA. DAVIDE SOSIO Davide Sosio è il nuovo Group CFO e HR Director di Anima. Nel nuovo ruolo, il manager riporta direttamente al Direttore Generale Alessandro Melzi d’Eril. Sosio è operativo ufficialmente dal primo ottobre 2018, era Direttore Generale della controllata irlandese Anima AM e ha l’incarico ora di presiedere al riassetto delle attività estere dell’azienda. SIFI. ANDREA QUAGLINO SIFI, azienda italiana attiva nello sviluppo di soluzioni per le patologie oculari, affida ad Andrea Quaglino il ruolo di Chief Financial Officer della società. Quaglino riporta direttamente a Fabrizio Chines, CEO del Gruppo. Il manager, dopo una lunga carriera nella revisione in Deloitte & Touche, ha ricoperto il ruolo di CFO in MolMed, società biotech quotata alla borsa di Milano dal 2008, dove ha, tra l’altro, portato a termine diverse operazioni straordinarie di aumento di capitale.
MOTORK. LAELA PAKPOUR TABRIZI MotorK, digital company nel settore automotive, rafforza il team internazionale con la nomina di Laela Pakpour Tabrizi come Group Chief Financial Officer. La manager ha la responsabilità dei team Finance e M&A per gli aspetti di internazionalizzazione: ha l’incarico cioè di definire l’impostazione finanziaria globale di MotorK e di gestirne il processo di espansione globale, insieme alle relazioni con gli investitori. Pakpour Tabrizi vanta una lunga esperienza nell’ambito della consulenza finanziaria in Europa e negli Stati Uniti, prima come Vice Presidente della divisione Structured Finance di BNP Paribas, a Parigi e New York, e poi come CFO di VistaJet, compagnia aerea di lusso, a Londra. MotorK sta attraversando una fase di scaleup, con operazioni di Merger & Acquisitions e grazie al round di investimento di Serie A di 10 milioni di dollari ricevuto nel 2017. Anche per questo l’ingresso di Laela Pakpour Tabrizi è l’ultimo di una serie di arrivi: l’azienda punta a chiudere il 2018 con oltre 200 dipendenti in più rispetto all’anno precedente. dicembre 2018 - dfo 7
brevi - mercato
PMI ai livelli pre-crisi. Ma la crescita rallenta Bene ma non benissimo per le PMI italiane. Secondo i dati di Cerved, la crisi è ormai superata, la redditività è stata recuperata e si sono fatti progressi sul fronte dei debiti nel 2017. Nei primi sei mesi del 2018 la crescita è risultata però in calo. Grazie alle nuove aperture e al calo dei default, l’emorragia (come la definisce Cerved) che aveva decimato dal 2008 il sistema imprenditoriale si è oggi fermata. Tanto che a guidare la ripresa sono state proprio le PMI. Il miglioramento dei conti economici, partito nel 2012, ha subito un’accelerazione nel 2017: i ricavi sono aumentati a tassi più che doppi rispetto all’anno precedente (+5,3%), con risultati particolarmente brillanti per chi opera nei settori industriali (+5,7%). PMI che tornano a investire Non è un caso se, dopo che tra il 2007 e il 2013 gli investimenti delle imprese si sono quasi dimezzati, già a partire
dal 2014 si è osservata un’inversione di tendenza. All’inizio timidamente ma nel 2017, anche grazie agli incentivi previsti dal piano Industria 4.0, la propensione all’investimento è poi cresciuta. La ripresa degli investimenti è coincisa con la fine del credit crunch. Il calo dei debiti finanziari, iniziato nel 2011, si è arrestato nel 2015, per poi accelerare moderatamente nel 2016 (+0,6%) e nel 2017 (+1,7%). Le PMI hanno anche beneficiato di una maggiore disponibilità di credito commerciale da parte dei loro fornitori, un’altra voce che si era fortemente ridotta durante la crisi. Meno società di capitali, più liquidazioni Non va però dimenticato che nel 2017 le PMI sono cresciute soprattutto grazie ala politica monetaria espansiva della BCE. Anche per questo ora il rallentamento è evidente e i dati lo confermano: ad esempio nei primi sei mesi
del 2018 sono nate poche società di capitali, solo l’1,3% in più contro l’8,2% dell’anno scorso. Mentre sono aumentate le liquidazioni volontarie (+3,1%). Inoltre sono tornati ad aumentare le fatture non saldate nei termini pattuiti e i giorni medi di ritardo (10,8 a giugno). Il rischio degli spread sui tassi E la situazione non è destinata a migliorare: se gli spread crescessero ancora, l’effetto sarebbe l’aumento dei tassi di interesse e l’interruzione del ciclo positivo degli investimenti. Secondo uno studio a ogni aumento di 100 punti base del costo del debito delle PMI corrisponde un calo del ROE di circa un punto percentuale. Le PMI restano però “il cuore pulsante della nostra economia”, ci conferma Cerved. E su di loro non si può smettere di investire, soprattutto se guardiamo a quelle imprese a carattere familiare. Perché si tratta di “imprese eccellenti”: un mix di analisi ha individuato infatti più di 5mila società con performance finanziarie ottime e pronte alla quotazione in Borsa o all’ingresso in fondi di investimento. Così facendo potrebbero accrescere il loro valore aggiunto di 40 miliardi euro. Un futuro incerto Quindi quale futuro attende le PMI italiane? Il quadro macroeconomico è molto incerto, per fattori sia esterni (politica commerciale americana, turbolenze finanziarie in Turchia e Argentina, incognite legate alla Brexit, fine del quantitative easing, graduale rialzo dei tassi di interesse avviato dalla Federal Reserve) sia interni. Secondo Cerved però l’economia italiana nel suo complesso sarà caratterizzata da un rallentamento solo moderato: il Pil crescerà del’1,1% nel 2019 e dell’1% nel 2020.
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mercato - brevi
Risk Manager? In Italia si preferiscono i consulenti Un figura ancora lontana dal modello europeo. Ecco l’identikit del risk manager made in Italy secondo una ricerca di ANRA e FERMA. Risk manager? L’Italia preferisce l’outsourcing Rispetto ai loro colleghi europei, i risk manager nostrani (il 42% tra i 31 e i 45 anni) sono prima di tutto meno remunerati. Questo perché le aziende del nostro Paese preferiscono innanzitutto consulenti esterni, piuttosto che figure interne all’azienda. Del resto, in Italia dominano le imprese di medio piccole dimensioni che non possono permettersi una funzione di Risk Management fissa in sede.
Più responsabilità, niente modello enterprise Il risk manager italiano ha inoltre responsabilità diverse che spesso con la gestione del rischio in senso stretto centrano poco: è il caso della compliance e dell’Internal Audit. In questo senso il modello di Enterprise Risk Management è ancora poco sviluppato: in Italia ad esempio solo il 54% dei risk manager è il primo responsabile nelle definizione di governance, framework e processi ERM (in UE la percentuale è al 76%). Rischi “fuori controllo” Inoltre, appena un 14% dei professionisti del rischio nostrani è responsabile dell’integrazione del risk management nelle strategie aziendali (il 74% in Eu-
ropa). Tanto che gli stessi manager segnalano come molti dei rischi non siano pienamente sotto il loro controllo: va meglio con i rischi operativi (il 60% degli intervistati li ritiene di propria competenza) ma non con quelli strategici, legal e compliance (qui la percentuale scende al 24%) e con i rischi finanziari (20%). Focus sulla business continuity I risk manager italiani sono piuttosto alle prese con le manacce legate ad aspetti di Asset e Business Continuity. Il rischio è infatti segnalato al primo posto dal 72% degli intervistati tra i timori a livello operativo. Seguono i rischi di mercato, reputazionali e di compliance. Il tutto mentre in Europa in cima spicca invece il cyber risk.
NUOVA CARTA CORPORATE DA AMEX American Express continua a puntare sulle carte business. Arriva la Carta Corporate Purchasing, nuovo prodotto dedicato alle aziende, pensato per un controllo più efficiente da parte dell’Ufficio Acquisti. Con le Carte Corporate Purchasing i dipendenti possono effettuare tutti gli acquisti necessari all’attività aziendale. Ci sono sia carte fisiche, per i dipendenti che lavorano fuori sede o che fanno acquisti in negozi ed esercizi, sia carte virtuali, per acquisti online o pagamenti periodici presso fornitori abituali. Al servizio dell’Ufficio Acquisti si aggiungono invece strumenti per il controllo delle transazioni e per la reportistica: le Funzioni Acquisti riceveranno infatti informazioni dettagliate sulle transazioni e un’analisi dei costi. È possibile inoltre personalizzare le occasioni di utilizzo delle carte (ad esempio limitandole ad alcune tipologie di settori ed esercenti) e predefinire i limiti di spesa. Così come si possono ottimizzare i processi di riconciliazione in conformità con fornitori e dipendenti. Inoltre, sarà possibile controllare la gestione delle fatture passive: tutte le spese B2B sono preimpostate e conformi alle procurement policies dell’azienda. dicembre 2018 - dfo 9
brevi - mercato
Il factoring alla sfida del FinTech Il FinTech guarda al factoring. Ecco l’Invoice FinTech: i nuovi player digitali specializzati nella cessione dei crediti commerciali. Un’opportunità soprattutto per le imprese più piccole, ma un competitor per gli attori tradizionali del factoring. A fare il punto sulla trasformazione del mercato del factoring in Italia è un ricerca condotta da Assifact insieme al Politecnico di Milano. Un comparto in crescita, che nel nostro Paese vale il 13% del PIL e che a settembre ha superato i 168 miliardi di euro di turnover (+5,99% rispetto allo stesso mese del 2017). Tanto da attrarre le FinTech. Cos’è l’Invoice FinTech Aziende giovani soprattutto, con un modello di business più agile, centrato sul digitale e sulla velocità. Par10 dfo - dicembre 2018
liamo infatti di piattaforme con cui le aziende possono smobilizzare i crediti commerciali cedendoli a investitori professionali e agli operatori della supply chain finance, che offrono strumenti finanziari per ottimizzare il capitale circolante di tutti gli attori coinvolti in una filiera produttiva. 3 modi di dire Invoice FinTech In particolare le FinTech del circolante offrono infatti tre servizi: • Il reverse factoring, che consente ai fornitori di incassare anticipatamente i crediti vantati nei confronti dell’azienda debitrice attraverso una convenzione; • Il digital factoring, l’anticipo dei crediti con una operatività 100% digitale, dai processi di delibera all’onboarding;
• L’invoice marketplace, l’anticipo dei crediti tramite scambi che passano da aste o segnalazioni della migliore offerta. Verso la collaborazione con il FinTech Per questo operatori come Credimi, Fifty Finance Beyond, FinDynamic e modeFinance hanno iniziato a destare la curiosità di una clientela finora non servita, come le aziende più piccole. Tanto da diventare una minaccia per gli operatori storici del factoring. Più che competere, banche e operatori tradizionali sembrano però orientate verso la strada della collaborazione: dai nuovi attori infatti si può imparare e si può prendere spunto per rinnovare la user experience.
mercato - brevi
Microimprese. Sempre più difficile l’accesso al credito “Non c’è credito per le micro imprese italiane”. Recita così una recente nota diffusa dai Confidi Fedart di CNA, Confartigianato e Casartigiani. Un allarme supportato dai dati: il credito concesso è diminuito di 3,4 miliardi nel 2017. Meno 1,8 miliardi nei primi sei mesi del 2018 È la fotografia di un mercato del credito sempre più inaccessibile, ma soprattutto poco distribuito. Dove la difficoltà è legata alla dimensione, più cha alla qualità delle imprese. E dove tra le realtà più in crisi troviamo proprio le “micro”, aziende fino a 10 addetti, oltre 4 milioni in tutta Italia. Lo spaccato del credito alle imprese artigiane, componente centrale tra le micro imprese, è la prova dei fatti: nel primo semestre del 2018 la contrazione è proseguita, con un- 1,8 miliardi.
hanno erogato garanzie per 1,8 miliardi di euro a favore delle circa 670mila imprese associate, a valere su solo 3,3 miliardi di euro di finanziamenti concessi dalle banche. E così a fine 2017 il sistema deteneva 5 miliardi di euro di garanzie in essere, con una contrazione del 7% rispetto all’anno precedente. La soluzione dei Confidi, che parte dalle banche … Ora i Confidi hanno un piano. Potrebbero, oltre alla concessione della garanzia, svolgere per conto della banca alcune fasi della sua istruttoria. Con l’obiettivo di abbassare i costi e permettere alle banche di concedere prestiti più contenuti. Le banche devono però – suggeri-
scono i Confidi – tornare a dare priorità agli aspetti qualitativi più che a quelli quantitativi. Così come potrebbero puntare di più sui canali online, risparmiando dalla riduzione dei punti fisici. … per arrivare al Governo L’inversione di rotta deve però passare anche dal coinvolgimento del governo, che potrebbe estendere le attività dei Confidi a favore delle micro imprese. Come ha spiegato infatti Giacomo Cioni, Presidente Fedart Fidi: «chiediamo che venga accolta la proposta che eleva fino al 49% l’attuale vincolo del 20% sull’attività residuale che i Confidi 106 svolgono a favore delle micro, piccole e medie imprese».
Un credit crunch che va avanti dal 2010 Il trend, che prosegue senza freni dal 2010, ha portato il credito complessivo verso le micro imprese da 57 miliardi a 37 miliardi, con una riduzione del 35% in 7 anni. Nel 2017 i 109 Confidi Fedart
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brevi - mercato
BNP. Oltre 60 PMI finanziate con il fondo di debito Il fondo di debito per PMI di BNP Paribas AM accelera. A oggi sono si contano oltre 60 aziende finanziate, per un importo complessivo degli investimenti che sfiora i 300 milioni di euro. Un’offerta complementare al canale bancario BNP Paribas European Debt Fund, questo il nome del fondo, è stato lanciato nel settembre 2016 per sostenere la crescita delle PMI europee. Dotato di una capacità di 500 milioni di euro, apportati da importanti investitori istituzionali, il fondo offre una soluzione di finanziamento di lungo termine, complementare a quella proposta dalle banche, sotto forma di debito senior (rimborsabile in una unica soluzione alla scadenza o basato
su un piano di ammortamento). «Le PMI europee che desiderano crescere sino a divenire delle imprese di dimensione intermedia necessitano infatti di finanziamenti complementari a quelli offerti
dal credito bancario – commenta Christophe Carrasco, Responsabile del credito alle PMI di BNP Paribas Asset Management. Il fondo punta ora a raggiungere un obiettivo minimo di 100 finanziamenti».
Credem: 9 miliardi finanziati alle PMI nel 2018 Nove miliardi di euro di finanziamenti a 100mila aziende. Credem traccia un primo bilancio dei prestiti erogati alle PMI nel corso del 2018. Il plafond finora ha coinvolto 30mila aziende già clienti e 70mila potenziali nuovi clienti. E resta a disposizione delle piccole e medie imprese fino alla fine dell’anno. Il target sono le PMI di artigiani, agricoltori e liberi professionisti con esigenze di liquidità, particolarmente marcate verso fine anno per il pagamento di tredicesime, acconti per imposte di fine novembre, anticipi Iva, oltre che 12 dfo - dicembre 2018
per altre necessità quali il finanziamento del magazzino o il pagamento anticipato dei fornitori. I finanziamenti per regione Il plafond complessivo è stato suddiviso per regione: oltre 1,4 miliardi per l’Emilia Romagna, circa 2,3 miliardi alla Lombardia, 1,1 miliardi al Veneto, 600 milioni alla Toscana, 500 milioni al Piemonte, 570 milioni alla Campania, 680 milioni al Lazio, 420 milioni alla Puglia e 360 milioni alla Sicilia. Credem a fine settembre 2018 ha anche aumentato
i prestiti alla clientela del 2,6% a/a. «I risultati del Gruppo ed il contesto economico ci hanno spinto a puntare sulle piccole e medie imprese con decisione – dichiara Gabriele Decò, responsabile commerciale small business di Credem. Nel 2017 abbiamo creato una rete dedicata alle PMI con 60 centri small business. Abbiamo poi effettuato investimenti su persone, formazione e IT. E abbiamo rinnovato diversi accordi con il FEI per sostenere con maggiore decisione i progetti delle imprese che hanno idee innovative».
mercato - brevi
Banco BPM. Al via il Trade Club per le imprese clienti Lancio ufficiale per YouLounge The Trade Club. Dopo l’inaugurazione a febbraio 2018, entra nel vivo la community B2B internazionale promossa da Banco BPM per l’export delle imprese clienti. Un vetrina virtuale per l’export Presentata il 21 novembre presso la Sala delle Colonne di Banco BPM, si tratta di una piattaforma web con cui le aziende possono offrire i propri prodotti e servizi a i membri di tutto il mondo registrati alla community. YouLounge è infatti connessa alla Trade Club Alliance, l’iniziativa internazionale firmata Banco Santander. Con una business card (una breve
descrizione dell’azienda), le imprese promuovono la propria attività nella vetrina virtuale, ricevono messaggi e stringono accordi B2B. Un network da oltre 13 banche Grazie al network di banche della Trade Club Alliance, YouLounge offre inoltre la possibilità di partecipare a eventi organizzati nei vari Paesi, che si unisce a servizi di consulenza, anche in ambito tecnologico. La Trade Club Alliance riunisce attualmente 13 gruppi bancari internazionali da 50 nazioni. 15mila sono invece le aziende attive ma il network è in espansione: si punta a quota 100mila entro il 2020. «Banco BPM
SACE E CA INSIEME PER LO SMOBILIZZO CREDITI VERSO LA PA Crédit Agricole supporta i fornitori della PA. Insieme a SACE Fct (Gruppo CDP), arrivano nuovi servizi dedicati allo smobilizzo crediti verso la pubblica amministrazione rivolti alle imprese clienti dell’istituto. L’offerta firmata SACE Fct Grazie all’accordo, le imprese clienti del Gruppo possono rivolgersi infatti alle oltre 1.100 filiali presenti in tutta Italia per richiedere i servizi offerti. Le soluzioni firmate SACE Fct, che nel 2017 ha smobilizzato 4,6 miliardi di euro di crediti, comprendo cessione pro solvendo o pro soluto dei crediti e di controparti corporate. E si aggiungono quindi agli strumenti di finanziamento offerti da Crédit Agricole. «La collaborazione con SACE Fct – dichiara Alessio Foletti, Responsabile della Direzione Banca d’Impresa di Crédit Agricole Italia – conferma l’importanza per il Gruppo Crédit Agricole di supportare le imprese italiane nel loro percorso di sviluppo e crescita sostenibile. L’accordo consente infatti di rispondere al bisogno di liquidità, esigenza fortemente sentita nel mondo imprenditoriale italiano, contribuendo a mantenere o ripristinare l’equilibrio finanziario dell’impresa».
– spiega Fabio de Rosa, Responsabile Estero e Trade Finance dell’istituto – è la prima e, al momento, l’unica banca italiana parte della Trade Club Alliance. Grazie a questo accordo è possibile fornire alle nostre aziende clienti un innovativo strumento per ampliare la loro rete di business oltre i confini nazionali». «Ci fa molto piacere che Banco BPM sia parte della Trade Club Alliance – aggiunge José Miguel Alonso de Ozalla, Head of Santander Large Corporates Spain. Si tratta di una banca con una forte vocazione di servizio a favore delle PMI e delle Mid Cap, un target centrale e significativo per la nostra iniziativa».
LOCAZIONE OPERATIVA: ACCORDO TRA NOOVLE E GRENKE Noovle apre le porte alla locazione operativa. In partnership con Grenke Locazione, la l’azienda offre ora alle società clienti il noleggio di prodotti hardware di ultima generazione. L’offerta comprende un mix diverso di prodotti: hardware Google per il lavoro in team; Jamboard, la lavagna digitale da 55 pollic i touchscreen con Android e fotocamera; soluzioni Hangouts Meet, Chromebox per videoconferenze e dispositivi Chrome. I clienti di Noovle possono noleggiare i prodotti in modalità “pay per use”. Offerta ad hoc per le PMI La locazione si rivolge in particolare alle piccole e medie imprese che, “grazie a questo strumento”, si legge in una nota, “possono così mantenere il proprio vantaggio competitivo, potendo investire in sistemi costantemente all’avanguardia. Soprattutto in un mercato come quello del digitale in così rapida espansione”. dicembre 2018 - dfo 13
brevi - mercato
Imprese, innovazione e sfide L’economia italiana, tra alti e bassi, sembra essere ripartita. E nel contesto industriale si deve sottolineare il ruolo svolto dalle piccole-medie imprese. Il dato sulla raccolta dei PIR (piani industriali di risparmio) non è passato inosservato agli occhi degli investitori e non: a settembre, nelle casse dei gestori dei PIR sono entrati 95,6 milioni e anche il mese scorso la parte più consistente dei flussi è andata sui prodotti bilanciati che a livello di patrimonio rappresentano la tipologia più rilevante del segmento. L’economia circolare Tante sono le sfide che attendono le imprese. Economia circolare, nuovi modelli di finanza, big data e industria 4.0 sono solo alcune delle tematiche che dovranno affrontare le PMI italiane per continuare ad alimentare la crescita industriale. Non c’è impresa senza visione. Una visione che deve orientarsi entro il terreno dell’economia circolare, un business che nello scorso anno valeva quasi 300 milioni, in crescita rispetto al 2016, ma che non è facile da realizzare. Circolarità è anche efficienza. Per esempio, nell’impiantistica di ingegneria il dato, vale a dire il software, viene utilizzato dopo il progetto mentre l’efficienza, legata al creare un impianto di minori dimensioni e più sostenibile, vuol dire anche non solo mettere al servizio del progetto il “dato”, ma prima di tutto costruirlo. Internet delle Cose e strategie Alcune PMI hanno lanciato quindi una sfida: tutti i loro impianti partiranno dal software e poi si affronterà la parte ingegneristica del ferro. Una sfida epocale. Vi sono aziende che investono percentuali importanti del proprio fatturato in ricerca e sviluppo per automatizzare la produzione e il controllo. L’obiettivo è quello di cavalcare l’IoT (Internet of Things, l’internet delle cose tra loro interconnesse): guardando alle business unit legate a energy efficiency o smart mobility si comprende quanto e come il mondo stia cambiando. E come l’economia circolare sia un fenomeno inarrestabile. 14 dfo - dicembre 2018
Risorse: dai PIR ai fondi europei L’attenzione si sta spostando dal B2C al B2B dove gli investimenti sono più robusti nel lungo periodo: nel prossimo triennio sono previsti anche incrementi significativi degli investimenti nelle startup digitali. In questo contesto, infatti, le aziende hanno bisogno di risorse e non sempre passano dal sistema bancario: la grande vitalità dell’AIM lo dimostra, anche alla luce del boom dei PIR. Tra le imprese c’è voglia di avvicinarsi alla Borsa, con l’idea di liquidità di medio-lungo periodo, almeno cinque anni. Al di là, quindi, di un momento difficile per i mercati, gli investitori restano molto sensibili alle “storie del successo”. Per le giovani imprese ci sono il venture capital, ma anche i fondi europei: qui i Paesi che meglio hanno attinto sono lo UK (verso la Brexit) e la Spagna, mentre in italia l’aumento della burocrazia si traduce in ritardi anche notevoli. L’opportunità dei fondi europei richiede un piano di sviluppo a 3/5 anni e un’analisi a supporto del piano industriale. Big data a portata di PMI Anche i big data sono un tema sempre più attinente alle PMI, grazie al calo dei prezzi di queste tecnologie da un lato e alla crescita dell’offerta dall’altro. L’utilizzo dei dati è anche oggetto di strategie specifiche da parte di alcuni istituti bancari che hanno capito l’importanza dei big data per elaborare predittivamente le informazioni in loro possesso utilizzandole in un’ottica commerciale e proattiva. Francesco Megna Funzionario di banca area Corporate
o t u a ’ l l e d a La filier i d r a i l i m e l elettrica va green) (ed è anche
IN QUESTO NUMERO
lities Energy e uti tà si io ch Ris sa finanziaria bas
Energia Blockchain ed Dai prosumer ettrica el alla mobilità
2018 o II • settembre no 7 di DFO • Ann ma 1, DCB Mila plemento al N° n. 46) art. 1, com dello 15 • Sup L. 27/02/2004 no, Via M. Ban In v. Mila (con 23 03 201 • /20 Blast21 Srl a.p. - D.L. 353 Spa • Sped. in Poste Italiane
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brevi - M&A
in collaborazione con BPVPartners
Banca CR Asti al 100% di Biverbanca Banca CR Asti ha definito un accordo quadro per l’acquisizione delle
partecipazioni detenute dalle Fondazioni Cr Biella e CR Vercelli nella
DEDEM ACQUISISCE HAPPY CENTER SERVICE Leisure Group Italia, società controllata da Dedem S.p.A., attiva nella fabbricazione e gestione di cabine automatiche per fototessera, ha acquisito l’intero capitale sociale di Happy Center Service, che si occupa di gestione di spazi ludici per bambini. Happy Center conta circa 1.800 spazi gioco, di cui 1.400 installati in 300 centri commerciali su tutto il territorio nazionale. L’operazione è stata affiancata finanziariamente dal Mediocredito Italiano (Intesa Sanpaolo). L’acquisizione permette a Dedem di rafforzarsi nel settore leisure, ad elevato tasso di crescita, aggiungendo circa 8,5 milioni ai ricavi del gruppo. 16 dfo - dicembre 2018
controllata Biverbanca nonché per l’ingresso delle due Fondazioni nella compagine azionaria di Banca CR Asti. La banca raggiunge così il 100% del capitale sociale di Biverbanca. I termini economici fissati dalle parti hanno determinato in 11,60 euro il prezzo di emissione delle azioni Banca di Asti. Il prezzo della partecipazione delle Fondazioni in Biverbanca è stato valutato in 125 milioni. È inoltre prevista la sottoscrizione da parte sia della Fondazione CR Biella sia della Fondazione CR Vercelli di un patto parasociale con la Fondazione Cassa di Risparmio di Asti. Il perfezionamento dell’operazione, soggetta tra l’altro all’ottenimento delle autorizzazioni richieste, è atteso entro aprile 2019.
A F2I IL 62% DEL GRUPPO FARMACRIMI F2i Sgr ha acquisito il 62% del Gruppo Farmacrimi, gruppo italiano a cui fanno capo 12 farmacie e 14 parafarmacie oltre ad un sistema di logistica e distribuzione. Nel 2017 la società ha registrato poco meno di 9 milioni di euro di ricavi.
XENON ACQUISICE TECNO POOL Il fondo Xenon Private Equity VI SICAR ha perfezionato l’acquisizione del gruppo Tecno Pool, produttore di impianti per il trattamento e la trasformazione di prodotti alimentari con sede a Padova. Fondata nel 1980 dal presidente Leopoldo Lago, la società è guidata oggi dall’amministratore delegato Michela Lago. Tecno Pool ha realizzato oltre 3350 impianti in tutto il mondo, per l’80% all’estero, e ha registrato nel 2016 37 milioni di euro di ricavi. I venditori hanno reinvestito nella società mantenendo una quota del 40%.
M&A - brevi
Ambienta SGR completa l’acquisizione di Aromata Ambienta SGR, il più grande fondo europeo di private equity focalizzato sulla sostenibilità ambientale, ha concluso il processo di acquisizione di AromataGroup, attiva nella produzione e distribuzione di aromi, estratti e coloranti naturali con applicazioni nel settore food & beverage, farmaceutico, nutraceutico e cosmetico. AromataGroup, con sede a Bresso, nasce nel 2011 come gruppo di aziende storiche e comprende Variati
Aromi, Select Alimenta, Emans Derivati Aromatici e Florio Colori. Il gruppo attualmente ha tre stabilimenti produttivi situati nel Nord Italia e un totale di 120 dipendenti, un portafoglio di oltre 5.500 referenze di prodotto e 1.200 clienti distribuiti in oltre 50 Paesi. A oggi il 60% circa del fatturato generato da AromataGroup scaturisce dal comparto degli aromi e colori naturali ed è in costante crescita grazie all’aumento di richiesta
alimentato dall’inasprimento normativo europeo e statunitense oltre che dalla maggiore consapevolezza e richiesta del consumatore finale. Nel 2018 il gruppo raggiungerà un fatturato pari a €30 milioni e un EBITDA di 5 milioni di euro. L’investimento in AromataGroup segna l’avvio del programma di investimento del fondo Ambienta III, che ha chiuso la raccolta a maggio con una dotazione di 635 milioni di euro.
Principia Sgr acquisisce il 65% di Gada Principia, tramite il fondo Principia-III Health, ha acquisito il 65% del capitale sociale di Gaba, tra i principali operatori italiani nel settore della distribuzione di medical device ad alto valore aggiunto che offre alle strutture sanitarie e agli ospedali supporto nell’integrazione e nell’organizzazione di servizi di alta specializzazione. L’investimento di Principia nella società, che a livello consolidato ha registrato un fatturato di circa 65 milioni ed un Ebitda di 10,6 milioni di euro e circa 5 milioni di utile netto con oltre 100 dipendenti, è volto a consolidare la posizione di leadership di Gada nella distribuzione di prodotti medicali ad alta innovazione ed a contribuire all’ulteriore crescita del settore dei servizi integrati, fattore chiave nel processo di ammodernamento del settore sanitario. Gada, con i soci di riferimento Davide Ciattoni, Antonio Gualtieri e Alessandro Pellegrinelli, distribuisce in esclusiva prodotti dei principali operatori di mercato ed è attiva nel settore cardiovascolare, in quello della gestione e trattamento del sangue (dialisi e trasfusionale), in quello del laboratorio analisi e della neurostimolazione, oltre a fornire servizi ad importanti ospedali pubblici e privati. L’operazione prevede il coinvolgimento dell’attuale management, Davide Ciattoni, Antonio Biagio De Marinis e Alessandro Pellegrinelli i quali resteranno nella proprietà del gruppo con una partecipazione complessiva del 35%. dicembre 2018 - dfo 17
brevi - M&A
in collaborazione con BPVPartners
Star Capital rileva la maggioranza di IPS e Moda Italia Attraverso il fondo Star IV Private Equity Fund, Star Capital Sgr ha acquisito la maggioranza di International Promo Studio (IPS), operante nella produzione di capi di abbigliamento casual e sportwear per conto dei più prestigiosi marchi a livello mondiale e le quote maggioritarie di Moda Italia, specializzata nella produzione di abbigliamento sportwear di fascia alta in prevalenza nel segmento denim. La famiglia Marzioni manterrà una quota del capitale del 30% in entrambe le società e manterrà un ruolo operativo in azienda. In particolare, Enrico Mar-
zioni rivestirà la carica di presidente e amministratore delegato di Ips, mentre la moglie Anna Maria Barzi ed il fratello Massimo rivestiranno rispettivamente la carica di amministratore delegato e presidente di Moda Italia. L’ingresso del fondo ha l’obiettivo di supportare la famiglia Marzioni nel promuovere e favorire un ulteriore sviluppo e consolidamento del processo di crescita di entrambe le società, grazie anche al graduale rafforzamento della struttura manageriale. La famiglia Santini ha invece ceduto integralmente la propria quota di par-
tecipazione di minoranza detenuta in Ips e non manterrà alcun ruolo operativo in azienda. IPS è una società con sedi a Misano Adriatico (RN) e Urbania (PU), negli ultimi anni ha messo a segno un trend di crescita costante chiudendo il 2017 con ricavi superiori a 37 milioni di euro. Moda Italia è una società con sede a Urbania (PU) specializzata nella produzione di abiti di abbigliamento sportwear per uomo e donna di fascia alta in prevalenza nel segmento denim. La società ha chiuso l’esercizio 2017 con un fatturato pari ad oltre 6,2 milioni euro.
Fondo Italiano di Investimento SGR e Hat investono in Marval Il Fondo Italiano d’Investimento SGR, per conto del fondo Innovazione e Sviluppo, e HAT Orizzonte SGR hanno perfezionato l’acquisizione del 100% delle quote di Marval – società specializzata nelle lavorazioni meccaniche di precisione – detenute dall’imprenditore Nicola Marchiando, il cfo Filippo Osella e il fondo Mandarin Capital Partners, e indirettamente, delle partecipazioni di Marval in una società con sede in Cina e due società con sede in UK. In aggiunta rispetto al reinvestimento da parte dei soci venditori persone fisiche di una 18 dfo - dicembre 2018
parte dei proventi rinvenienti dalla acquisizione nel capitale sociale di “Stark One S.r.l.”, veicolo costituito da Fondo Italiano d’Investimento al fine procedere al closing dell’acquisizione di Marval, l’operazione ha contemplato il co-investimento di Europa 22, veicolo partecipato con una quota di maggioranza da Hat Orizzonte SGR per conto del FIA “Fondo Technology & Innovation”, e, separatamente da quest’ultimo, di un’altra società riconducibile ad investitori privati, nel capitale della società “Stark Two S.r.l.”, ulteriore veicolo costituito dal
Fondo Italiano d’Investimento al fine di detenere la partecipazione di controllo in Stark One. Marval, società con sede a Castellamonte (TO) fondata nel 1950 dalla famiglia Marchiando, è leader nel settore delle lavorazioni meccaniche di precisione per i motori di auto e per motori delle macchine utilizzate nell’ambito delle costruzioni e del movimento terra (il cosiddetto “heavy duty”), con un elevato know-how tecnologico e di processo ed una continua capacità di innovare. L’azienda ha un fatturato di oltre 75 milioni di euro.
Canon - scenari
E-FATTURA E BIG DATA:
LE OPPORTUNITÀ PER I CFO La trasformazione digitale mette il CFO al centro delle strategie aziendali. La fatturazione elettronica offre opportunità importanti nella digitalizzazione dei processi in ottica big data
B
ig data e automazione. Sono i due assi nella manica del CFO alle prese con una trasformazione del suo ruolo. «Dall’analisi condotta sui clienti e sui mercati in cui operiamo – racconta Davide Balladore, Product Business Developer Manager di Canon Italia – è emerso come il CFO si sta trasformando sulla spinta di obblighi normativi e tecnologie. Nelle grandi aziende Il CFO sta assumendo un connotato digital a supporto del CEO per l’esecuzione delle strategie aziendali e dei risultati di business. Oggi al CFO si presentano sfide che al contempo sono opportunità per assumere un ruolo strategico sia in termini di visibilità e creazione del valore, sia come stakeholder principale per le decisioni strategiche. Nell’attuale scenario della trasformazione digitale e dei conseguenti impatti sui processi e sull’organizzazione e gestione delle risorse, il CFO deve guidare e favorire un deciso cambiamento di mentalità, competenze e attività». Big data e RPA A favorire la centralità del CFO rispetto al business aziendale sono i big data, con la possibilità di incrociare e integrare i dati
relativi a vendite, clienti e mercato. «Da questo punto di vista – commenta Balladore – la fatturazione elettronica B2B rappresenta una forte spinta all’innovazione dei processi, portando le aziende a essere sempre più digitali e acquisire velocità e flessibilità nella gestione dei processi dentro e fuori l’organizzazione. L’obiettivo che il Digital CFO deve perseguire è introdurre nella propria funzione soluzioni e servizi innovativi capaci di automatizzare le attività time-consuming liberando tempo e risorse da destinare a competenze più specifiche, per fornire un efficiente supporto alla strategia aziendale. Occorre mettere gli esperti aziendali in condizione di fare ciò che sanno fare meglio. A supporto di questo approccio troviamo anche soluzioni di Robotic Process Automation per l’attività amministrativa e di Extended Performance Management e Cognitive & Predictive volte a velocizzare ed efficientare analisi di dati e di performance».
Davide Balladore, Product Business Developer Manager di Canon Italia
E-fattura: difficoltà per le PMI… Un cantiere aperto è proprio la fatturazione elettronica, dove le grandi aziende hanno implementato, o sono in fase di tuning, le loro soluzioni, «ma la situazione cambia per le PMI, ove la complessità anche del sistema fiscale in cui si inserisce la fatturazione elettronica rischia di rendere l’adempimento più complicato – osserva Balladore. L’obbligo di conservare digitalmente i documenti in ottemperanza alla normativa è un ulteriore problema. A fronte di ciò, e di un sistema fiscale altamente complesso e poco efficace, difficilmente le piccole imprese riusciranno da subito a percepire i vantaggi che offrono la fattura elettronica e la digitalizzazione di questo processo, così centrale per ogni azienda». … ma le opportunità ci sono I benefici della e-fattura, secondo Balladore, non sono solo i risparmi tangibili e quantificati legati alla gestione cartacea e alla veicolazione dei documenti. «Dal punto di vista del CFO, i vantaggi saranno percepibili ripensando ed efficientando i processi interni con l’obbligatorietà della gestione dei flussi dati con l’esterno. Quando cioè l’intero processo di gestione, dalla emissione/ricezione fino alla sua conservazione, coprirà anche workflow autorizzativi e le riconciliazioni automatiche con i dati già presenti a sistema di ordini o bolle entrate merci. Il CFO oggi è il leader della trasformazione e dell’integrazione dei processi per puntare alla crescita di fatturato e della redditività aziendale». P.F. dicembre 2018 - dfo 19
scenari - Lean e credito
CHI TAGLIA GLI SPRECHI MIGLIORA LA REDDITIVITÀ Secondo i dati raccolti da Icrios Bocconi, le imprese Lean registrano una migliore redditività del capitale investito e un miglior rapporto tra posizione finanziaria netta e margine operativo lordo
L
e imprese che intraprendono un processo di trasformazione ispirato ai dettami del lean thinking registrano una migliore redditività del capitale investito (2,7% in più) rispetto alle imprese non lean e un miglior rapporto tra posizione finanziaria netta e margine operativo lordo (3,6% in meno). Ma non solo. Perché le imprese che applicano il Lean Thinking sono più redditizie, più interessanti per gli investitori e ritenute più affidabili al momento della concessione di un finanziamento. Sono le conclusioni a cui è giunto il primo Osservatorio Lean Thinking Icrios Bocconi, realizzato con il supporto di Banco BPM e Auxiell, in collaborazione con Assolombarda e il patrocinio del Club dei 15, il progetto Lean Thinking di Confindustria. L’analisi, che utilizza le informazioni dell’Osservatorio AUB (che ogni anno raccoglie i dati di bilancio di tutte le imprese italiane con un fatturato superiore ai 20 milioni di euro), mette a confronto 171 imprese che hanno sposato la filosofia lean con 3.614 imprese comparabili che non l’hanno fatto. Le im20 dfo - dicembre 2018
prese vengono comparate sia dal punto di vista statico (differenze tra un’impresa lean e una che non lo è) sia dinamico (che cosa accade a mano a mano che un’impresa si addentra nel suo percorso lean) secondo tre variabili: margine operativo loro, redditività del capitale investito e rapporto tra la posizione finanziaria netta e il margine operativo lordo. Il vantaggio delle imprese lean rispetto alle prime due variabili secondo i ricercatori è evidente fin dall’introduzione della metodologia lean e migliora ulteriormente nel tempo. Per ogni anno di adozione, infatti, la redditività del capitale investito migliora di un ulteriore 2,3% e il rapporto posizione finanziaria netta/ margine operativo lordo del 2,2%. Discorso diverso, invece, per il margine operativo lordo che allo stadio iniziale del processo di trasformazione, proprio in virtù dei maggior costi sostenuti in termini di riorganizzazione e di formazione del personale, è inferiore dello 0,8% nelle imprese lean che in quelle non lean ( salvo poi migliorare nel tempo ad un ritmo dello 0,4% l’anno).
Lean e credito - scenari
Il punto di vista del sistema bancario Se quindi da un lato il miglioramento derivante dall’adozione di questa metodologia in termini di parametri economico - finanziari è evidente, meno chiaro è stato finora il valore attribuito ai fini della valutazione del merito creditizio da parte delle banche. Ne parliamo con Luca Manzoni, responsabile Corporate di Banco BPM che ha sostenuto lo studio. «Lean Thinking significa “innovazione digitale”, una scelta che Banco BPM caldeggia e valuta positivamente. L’innovazione digitale attraversa tutte le aree aziendali, dalla supply chain alla ridefinizione dei processi produttivi, dall’efficientamento operativo alla progettazione e sviluppo. Alcuni tra i nostri migliori clienti hanno già introdotto il metodo lean nel processo organizzativo aziendale. Noi incoraggiamo questa scelta a tal punto che rappresenta un importante elemento di valutazione del merito creditizio. Un altro obiettivo che si pone il nostro istituto è quello di creare e sviluppare cultura manageriale; per tale motivo, abbiamo investito noi per primi nel lean, sponsorizzando e facendoci promotori di questo progetto con Icrios Bocconi e con le nostre società clienti. Inoltre, l’applicazione dei principi e delle tecniche del Lean Thinking è per Banco BPM un prerequisito per la digital transformation e per l’adozione delle tecnologie di Industry 4.0». Quali sono le caratteristiche delle aziende lean più apprezzate dal sistema bancario? «Grazie alle ricerche condotte da Banco BPM, oltre che da Icrios Bocconi, abbiamo potuto verificare che le nostre società che hanno adottato il metodo lean nei loro processi aziendali hanno beneficiato di un miglioramento sia negli indici sia nelle performance, soprattutto se il metodo lean è stato mantenuto e finanziato nel tempo e
non utilizzato in maniera spot. Le imprese che hanno applicato e stanno applicando il nuovo modello organizzativo lean hanno visto, tra gli altri, un miglioramento del rating rispetto alle controparti non lean appartenenti allo stesso settore e un miglioramento degli indicatori finanziari. Inoltre la strategia lean è un ottimo strumento che permette alle società di riLuca Manzoni, responsabile Corporate, Banco BPM strutturare il proprio debito, tramite operazioni straordinarie, senza dover bloccare gli investimenti, bensì portando il management a cercare le opportunità di business dentro le strutture esistenti». Come sta cambiando la conoscenza di questa metologia tra le vostre aziende clienti? «L’apertura al metodo lean, come tutti i processi che impattano sulla policy, sul ciclo di vita e sulle strutture aziendali a 360° non è stata immediata. Le imprese hanno avuto inizialmente un approccio incerto e pieni di dubbi salvo poi abbandonarlo date le performance positive e i risultati ottenuti soprattutto nel tempo. Banco BPM si è fatto diretto promotore del progetto, chiedendo ai propri clienti di introdurre il Lean Thinking nei processi di crescita e innovazione aziendale e ponendolo come un elemento di valutazione del merito creditizio; in questo modo, le stesse aziende che inizialmente non riuscivano a coglierne le opportunità oggi sono le prime a porlo al centro delle loro scelte strategiche». R.B. dicembre 2018 - dfo 21
scenari - PIR
PIR ALLA PROVA DEI MERCATI
Un’indagine realizzata da Deloitte, Nctm Studio Legale e JeMe Bocconi indaga sulle cause e sulle soluzioni per scongiurare il rischio bolla finanziaria
A
poco più di un anno dalla loro introduzione, la raccolta confluita sui PIR, i Piani individuali di risparmio, ha persino battuto le aspettative del Ministero dell’Economia, che li ha disciplinati, tanto da far temere l’esplosione di un possibile rischio bolla. A fare il punto sulla situazione e a valutare le probabilità di questo scenario è un’indagine realizzata da Deloitte, Nctm Studio Legale e JeMe Bocconi. Più che l’entità del fenomeno a preoccupare è il ritmo con cui tale crescita sta avvenendo: da gennaio 2017 a fine giugno 2018 si sono registrati poco meno di 19 miliardi di masse in gestione e una raccolta di 14,4 miliardi, con una previsione di 67,9 miliardi di raccolta nei primi cinque anni di vita dei PIR. Un simile flusso di denaro, confluito in così poco tempo nel mercato delle PMI, ha contribuito a una crescita generale del valore di questi strumenti finanziari. Rischio bolla? Secondo lo studio tuttavia questa crescita potrebbe celare il rischio di una bolla speculativa come fanno 22 dfo - dicembre 2018
supporre le performance dell’AIM nel corso del 2017 con risultati doppi rispetto a quelli registrati nel 2016. “Nonostante ciò, se le stime avanzate dagli operatori finanziari dovessero rivelarsi corrette” – si
legge nell’analisi - “ciò risulterebbe in un apporto dovuto ai PIR di 68 miliardi di euro nel periodo 20172022, di cui solo 14 miliardi, ovvero il 21%, sarebbero da destinarsi a piccole e medie imprese europee
RACCOLTA NETTA: A 18 MESI DALL’INTRODUZIONE
Fonte: Ricerca “I piani individuali di risparmio” di Deloitte, Nctm Studio Legale e JeMe Bocconi
PIR - scenari
quotate in Borsa. Allo stesso tempo, attualmente, il totale della capitalizzazione quotata, sulla quale i PIR possono investire, ammonta circa a 111 miliardi di euro. Quindi, se le valutazioni effettuate si dovessero confermare, tale fondi arriverebbero a detenere circa il 30% del flottante disponibile a Piazza Affari nel segmento Mid e Small cap”. La soluzione: più società quotate Di conseguenza, le previsioni di un continuo margine di crescita della domanda porterebbero i ricercatori a ipotizzare un’eventuale bolla finanziaria sui titoli PIR compliant. Per scongiurare il rischio, la soluzione sarebbe l’aumento del numero di società quotate in Borsa così da far trovare uno sbocco all’aumento di liquidità disponibile o, parallelamente, permettere la creazione di canali maggiormente strutturati per il private equity che investe su aziende non quotate sui quali, a loro volta, possano investire i PIR. “Tuttavia, sebbene durante il 2017, ben 23 aziende si siano quotate sull’AIM, il 2018 non è stato altrettanto positivo, e la situazione risulta ancora non del tutto sufficiente a scongiurare la possibilità di un effetto bolla. Il rischio, però, può essere ricondotto, oltre che alla quantità dei titoli che sono presenti sul mercato, anche alla loro qualità e affidabilità: in generale risultano poco coperti dagli analisti finanziari e tale fattore ne aumenta l’incertezza”. Un semplice riallineamento Secondo Borsa Italiana, invece, la crescita del valore dei titoli appar-
tenenti ai segmenti PIR compliant non dovrebbe allarmare, in quanto questo trend non è altro che un allineamento delle quotazioni dei titoli degli stessi settori a livello europeo. La percentuale, infatti, di presenza di investitori domestici sul mercato italiano è bassissima, e per arrivare alle medie dei paesi sviluppati, che vede gli investitori istituzionali avere almeno il 30% tra gli investitori totali, rimarrebbe un 15-20% di margine ancora non sfruttato. Stando inoltre ai dati dei primi due trimestri del 2018 dei PIR, è emersa un’evidente crescita della liquidità destinata ai listini minori. Da inizio anno, il FTSE Small Cap è salito del 27%, l’AIM Italia del 23% mentre il FTSE Mib ha registrato un +12%. Più nel dettaglio, i tre settori con la migliore performance sono quelli di Servizi (+162%), Telecomunicazioni (107%) e Industria (+96%). L’AIM Italia, grazie a questo nuovo strumento, ha visto crescere la propria capitalizzazione di oltre il 60%, e il controvalore totale scambiato nei primi sei mesi del 2017 raggiungere il 155% del valore relativo all’intero anno 2016. Una spinta all’IPO? E qui risiederebbe il punto chiave dell’analisi: “Qualora questa crescita nei volumi e nella liquidità degli indici menzionati non fosse supportata da una corrispondente quotazione di un numero adeguato di PMI, e dato che l’attuale bacino di imprese è limitato, vi sarebbe il rischio concreto che si formi una bolla speculativa delle Mid e Small cap.
“
Molte imprese potrebbero scegliere di quotarsi per beneficiare di queste risorse
”
Tale fenomeno sarebbe dovuto alle innumerevoli risorse investite nei mercati, troppo piccoli sotto molti aspetti, che hanno reagito al successo dei PIR con un aumento sregolato delle valutazioni”. La crescita del numero di PMI quotate, uno dei principali obiettivi che il governo si è prefisso dopo l’introduzione dei PIR, oggi più che mai, risulterebbe pertanto fondamentale per permettere il corretto funzionamento di indici di mercati come, ad esempio, l’AIM. Secondo gli esperti molte imprese a media e piccola capitalizzazione potrebbero finalmente scegliere di quotarsi per beneficiare di questa “pioggia di risorse” che sta attualmente giungendo sui mercati. Ma anche qualora ciò avvenisse, il rischio bolla non sarebbe del tutto scongiurato: occorrerà infatti verificare che il numero di nuove IPO sia effettivamente sufficiente a supportare l’ingente domanda per i titoli di PMI quotate. Un aspetto non del tutto trascurabile in mancanza di incentivi alla quotazione di natura fiscale oppure di una semplificazione delle attuali procedure. R.B. dicembre 2018 - dfo 23
scenari - lusso ed export
IL FUTURO DEL LUSSO? È ONLINE Nel 2025 l’e-commerce varrà un quarto dell’intero mercato del lusso, cannibalizzando di fatto i canali tradizionali, che dovranno essere ripensati. Tutte le tendenze del settore luxury nella diciassettesima ricerca di Bain & Company
P
untare sul mercato cinese, sui giovani e sull’appartenenza culturale. Oltre che, naturalmente, sull’e-commerce. Questa, in estrema sintesi, la ricetta per chi nei prossimi anni intenda scalare il mercato del lusso. La ricerca annuale Worldwide Luxury Market Monitor di Bain & Company, ormai alla diciassettesima edizione, fotografa un settore vivace e in piena espansione. Un trend che dura da almeno un decennio, da quando cioè il segmento dei beni destinati ai ricchi globali ha cominciato a svettare in controtendenza rispetto alla recessione 24 dfo - dicembre 2018
generalizzata. L’ascesa pare destinata a durare nei prossimi sette anni, secondo una serie di scenari prevedibile fin da ora: nel 2025, i consumatori cinesi faranno il 45% del mercato, a fronte dell’odierno 32%; l’e-commerce sbaraglierà i canali tradizionali, influenzando la totalità degli acquisti di lusso e imponendo di ripensare la fisionomia dei punti vendita; la rivoluzione demografica giocherà la sua parte, con i millennials e la generazione Z a coprire oltre la metà del mercato, mentre le culture e sottoculture condizioneranno in maniera sempre più incisiva le scelte di
Claudia D’Arpizio, Partner Bain e prima autrice dello studio
lusso ed export - scenari
acquisto. «Tre imperativi strategici si impongono ai brand del lusso: proattività, formule distintive, occhi puntati sulle nuove generazioni – commenta Claudia D’Arpizio, Partner Bain e prima autrice dello studio». Il dragone guida la crescita “new normal” A conti fatti, nell’anno che sta per concludersi il comparto del lusso cresce del 5%, con un valore stimato di circa 1.200 miliardi, una performance complessivamente positiva in tutti i segmenti e previsioni solide e rosee per i prossimi anni. In particolare, ottimi risultati si registrano per i beni rivolti alla persona, cresciuti del 6% raggiungendo i 260 miliardi di euro, con una stima che indica tra i 320 e i 365 miliardi annui il valore entro il 2025. «Fin dal 2017, il mercato globale del lusso è tornato a crescere in modo sano, anche se a un ritmo più moderato rispetto al passato Un andamento che perdura nel 2018 rafforzando, come previsto, il periodo di cosiddetto new normal – continua D’Arpizio». Il dragone traina il comparto in tutto il mondo, ma soprattutto in patria. Tra il 2015 e il 2018, gli acquisti interni hanno contribuito alla crescita della spesa dei cittadini cinesi per una quota doppia rispetto alle loro spese all’estero, che pure sono aumentate. I consumi interni e le spese globali per beni e servizi di lusso sono salite di un punto percentuale, attestandosi rispettivamente al 9% dei consumi domestici e al 33% della spesa globale. Le vendite di lusso, guidate dall’aumento più della domanda che dei prezzi, sono cresciute del 18% a tassi di cambio correnti e del 20% a tassi di cambio costanti, attestandosi a 32 miliardi di euro. Nel complesso, l’Asia cresce del 7%, toccando i 39 miliardi di
euro, trainata da Corea del Sud, Singapore, Thailandia e Taiwan, mentre Hong Kong e Macao traggono beneficio dagli acquisti dei consumatori cinesi. Rallenta invece leggermente il Giappone, con vendite al dettaglio comunque cresciute del 3%, per un valore di 22 miliardi di euro. In aumento di circa il 5% anche il giro di affari d’Oltreoceano, che tocca gli 80 miliardi di euro, con l’economia USA a liberare risorse per la spesa, Canada e Messico a dare il loro contributo positivo e il Brasile penalizzato dalle incertezze politiche. Frena l’Europa, che sconta l’impatto dell’euro forte sul potere d’acquisto dei turisti, a fronte di un consumo locale complessivamente positivo: pur con differenze tra i vari paesi, le vendite al dettaglio aumentano dell’1% a tassi correnti fino a 84 miliardi di euro. Crescita zero e mercato a quota 12 miliardi per il Medio Oriente, caratterizzato da stagnazione politica e restrizioni governative ai danni della spesa. Il lusso si compra online Le nuove tecnologie alimentano l’acquisto online, in particolare sul canale mobile, minacciando il ruolo dei canali fisici: «I brand sono chiamati a ripensare il ruolo del negozio, ma allo stesso tempo devono impiegare al meglio le nuove tecnologie per valorizzare l’esperienza di acquisto – commenta Federica Levato, Partner Bain e coautrice dello studio». Il canale retail cresce del 4%, il wholesale di un risicato 1%, mentre l’online aumenta del 22%, con transazioni per 27 miliardi di euro; gli e-commerce diretti dei brand guadagnano terreno, raggiungendo gli altri canali attivi in rete (31% contro il 30% dei retailer .com e al 39% degli e-tailer). Il mercato statunitense rappresenta quasi la metà del mercato via web (44%), ma l’Asia emerge come
Federica Levato, Partner Bain e coautrice dello studio
il nuovo motore propulsore, seguita dall’Europa. Gli accessori rimangono il segmento più venduto, seguiti dall’abbigliamento e, in ascesa, da profumi e cosmetici profumi e da gioielli e orologi. Largo ai giovani Le nuove generazioni, nate dopo il 1980, diventano protagoniste dell’acquisto esclusivo: nel 2018 i Millennials e la generazione Z hanno contribuito al 100% della crescita totale del mercato del lusso, mostrando preferenze molto diverse rispetto alle generazioni precedenti. Più individualisti, inclini a fare acquisti nei negozi fisici purché sia prevista un’esperienza digital, attenti alla marca ma poco fedeli. Guadagnano peso anche le differenze culturali e le preferenze delle minoranze: la “modest-accepted fashion” rappresenta circa il 40% dell’abbigliamento donna di lusso, includendo sia gli indumenti per la clientela musulmana sia altri prodotti dalla “vocazione modesta”, oltre che l’offerta per clienti curvy o plus size e gli indumenti dai tagli più ampi. F.R. dicembre 2018 - dfo 25
scenari - FinTech
FINTECH A MISURA DI PMI In Lombardia parte il progetto Punto Impresa Finanza Digitale per favorire l’innovazione e il matching tra gli imprenditori e i canali di accesso al credito alternativi a quello bancario
D
alla tecnologia alla finanza attraverso i Punti Impresa Finanza Digitale per facilitare l’accesso delle imprese alle risorse alternative al credito bancario: è il percorso tracciato dal progetto di collaborazione strategica tra la Regione Lombardia, attraverso l’assessorato allo Sviluppo Economico, e Unioncamere Regionale con il contributo tecnico di Innexta, il nuovo brand per il Consorzio Camerale Credito e Finanza, ribattezzato così in tempi recenti in vista della sua nuova mission: quella di “innestare” nel mondo delle imprese i concetti di FinTech, finanza digitale e alternativa. Obiettivo: far conoscere il FinTech L’obiettivo del progetto, che fa leva sul supporto dei Punti Impresa Digitale (PID), le strutture di servizio localizzate presso le Camere di Commercio, dedicate alla diffusione di processi innovativi presso le PMI, è quello infatti di favorire la diffusione dell’informazione sulle opportunità legate al FinTech e alla finanza complementare, che rappresentano non solo una modalità innovativa di finanziamento ma anche un’occasione per rinnovare i modelli di business. Le linee d’azione previste dal programma sono quattro e comprendono il servizio “FinTech tutor”, 26 dfo - dicembre 2018
che si basa su una serie di azioni formative e informative a supporto dell’attività dei PID, il “Vademecum digitale FinTech”, che censirà le imprese FinTech operanti su scala nazionale e sarà basato su una piattaforma online dedicata, il tool “FinTech score” per la valutazione delle imprese FinTech e il progetto “Health check” per l’autovalutazione informatizzata delle PMI. A che cosa servono i PID A illustrare come attraverso i PID le PMI possano cogliere le opportunità derivanti dal FinTech è Danilo Maiocchi, Direttore di Innexta. «La Finanza 4.0, intesa come l’introduzione di servizi e modelli finanziari abilitati dalle tecnologie digitali all’interno del sistema impresa, rappresenta una tematica non ancora sufficientemente approfondita in ambito istituzionale, anche data la sua importanza strategica per la competitività delle imprese stesse. Per questo motivo, il progetto fa leva su diversi strumenti informativi radunati all’interno del “FinTech tutor”: dagli help desk, sportelli informativi evoluti dedicati al personale camerale, ai referenti dei PID e ai digital promoter camerali, oltre che alle imprese coinvolte nel progetto, ai webinar dedicati a temi quali pianificazione e gestione finanziaria, il funding, big data, digital payment e blockchain, fino agli incontri personalizzati tra gli imprenditori egli operatori FinTech». Una guida digitale al FinTech italiano Passando in rassegna gli altri strumenti tecnologici predisposti all’interno del proget-
FinTech - scenari
to, il Vademecum Digitale FinTech consiste nella prima guida digitale sui servizi erogati e le caratteristiche delle imprese FinTech italiane. Operativa tramite una piattaforma digitale, la guida permette di individuare e comparare servizi a livello nazionale. «Tra i suoi obiettivi vi è quello di avvicinare le imprese al mondo della finanza digitale tramite modalità informatizzate e user friendly e favorire percorsi di matching tra fornitori di soluzioni FinTech e imprese. Il Vademecum rappresenterà un sistema continuamente in evoluzione che vedrà il coinvolgimento diretto della community e costituirà una fonte di informazioni legate all’attività delle aziende, tra cui il target di clientela di riferimento, i servizi offerti dall’impresa e i dati di bilancio fondamentali». Come “misurare” il FinTech Le imprese italiane che si avvicinano alle FinTech spesso hanno difficoltà nel distinguerne l’efficacia e l’affidabilità e questo può costituire un deterrente all’utilizzo dei loro servizi. Per questo motivo Innexta intende fornire un servizio on line in grado di valutare le performances delle imprese FinTech attraverso l’identificazione di un set di KPI che permette di attribuire un punteggio basato su dati oggettivi e misurabili, applicabile alle imprese inserite nel Vademecum digitale FinTech. «Se il Vademecum mira a incrementare la conoscenza e la consapevolezza dell’ecosistema FinTech, il FinTech score ne certifica l’efficacia, fornendo agli imprenditori un ulteriore, potente strumento per comprendere il settore – spiega Maiocchi». Il tool informatico “Health Check” permetterà inoltre agli imprenditori di ottenere uno scoring di primo livello delle imprese operanti sul territorio nazionale dal quale ricavare una valutazione finanziaria di base dei propri clienti o fornitori. Il servizio sarà fornito tra-
I PRODOTTI FINTECH PER LE PMI
Fonte: Osservatorio FinTech & Digital Finance, Politecnico di Milano
mite un software sviluppato appositamente da Innexta e sarà alimentato da un algoritmo elaborato sulla base dei criteri ESMA (Autorità Europea degli Strumenti Finanziari e dei Mercati). «Lo strumento informatico genererà uno scoring sgranato su differenti classi di rischio, rappresentato da un sistema di alert in forma di semaforo risultante da un calcolo sofisticato e associato ad una descrizione sintetica. Oltre allo scoring di base, sempre disponibile, sarà garantito alle imprese un determinato numero di interrogazioni in grado di fornire informazioni finanziarie avanzate. Con il tempo, anticipa Maiocchi, «verranno introdotte ulteriori funzionalità con l’obiettivo di rendere lo strumento idoneo ad una valutazione in grado di facilitare i rapporti con gli istituti di credito e migliorare la propria gestione finanziaria». R.B. dicembre 2018 - dfo 27
scenari - PwC Paying Taxes
FISCALITÀ, UNA NUOVA LEVA COMPETITIVA L’Italia scivola dal centododicesimo al centodiciottesimo posto nella classifica globale di Banca Mondiale e PwC, che stima l’incidenza dei costi fiscali a carico delle imprese e il tempo impiegato per far fronte alle procedure di pagamento. Un dato che penalizza il nostro Paese nella competizione globale
Q
uanto pesano tasse, imposte e contributi sulle imprese dei vari Paesi del mondo? E quanto tempo spendono le aziende per gli adempimenti amministrativi, i versamenti e la correzione di eventuali errori? Sono le due domande a cui risponde “Paying Taxes 2019”, il rapporto pubblicato a quattro mani da Banca Mondiale e PwC. La rilevazione, attiva sul 2017, fotografa l’incidenza della tassazione sull’attività produttiva di 190 economie del mondo, utilizzando come campione per ciascun paese un’azienda domestica di medie dimensioni nel suo secondo anno di attività. Insieme al peso della pressione fiscale, il rapporto considera gli effetti del carico amministrativo legato ai versamenti d’imposta e agli altri adempimenti fiscali. Nel suo complesso, la stima si basa su tre indicatori: il Total Tax and Contribution Rate, sintetizzabile con l’acronimo TTCR, che esprime il carico fiscale e contributivo complessivo; il tempo necessario per pratiche e Fabrizio Acerbis, Managing Partner pagamenti; il numero dei verdi PwC TLS Avvocati e Commercialisti 28 dfo - dicembre 2018
samenti previsti. A questi si aggiunge il Post Filing Index, che valuta i tempi da mettere in conto per ottenere un rimborso IVA o per correggere eventuali errori nella dichiarazione dei redditi. Non va dimenticato, infine, che la pressione fiscale e il costo di compliance non esauriscono i temi della fiscalità: altri fattori, come la stabilità delle norme, la certezza interpretativa e i tempi del contenzioso, pesano sull’attrattività Paese e hanno un’influenza diretta, ancorché spesso sottostimata, sulle scelte di localizzazione delle imprese. L’Italia perde terreno «Il nostro Paese scivola dalla posizione 112 alla 118 nella classifica generale che combina i tre parametri. Un risultato in linea con le attese, ma non per questo meno rilevante – commenta Fabrizio Acerbis, Managing Partner di PwC TLS Avvocati e Commercialisti, che cura la sezione italiana del rapporto. Nonostante i benefici dovuti alla riduzione dell’aliquota IRES e all’introduzione del superammortamento sull’acquisto dei beni strumentali, nell’anno in esame pesa il parziale riassorbimento degli incentivi per la decontribuzione dei neoassunti, che nell’anno precedente avevano migliorato sostanzialmente
PwC Paying Taxes - scenari
l’indicatore». L’indice inoltre, date le limitazioni del caso base, non riflette altri significativi incentivi introdotti a favore delle imprese, come quelli per l’Industria 4.0. Infine, il posizionamento è penalizzato dall’inclusione del TFR, il trattamento di fine rapporto, che viene conteggiato tra i costi contributivi annuali pur non essendo erogato nell’anno della rilevazione. Nel 2017, a conti fatti, il carico fiscale complessivo per le imprese italiane aumenta del 5% sul 2016, salendo al 53,1% dei profitti commerciali. Il dato è allineato con il trend mondiale, che vede un incremento generalizzato del costo del lavoro, e risente in maniera decisiva della riduzione degli sgravi contributivi degli anni precedenti, che nel 2016 avevano prodotto un calo di 8,9 punti percentuali sul 2015. Tutto sommato, però, pur collocandosi tra i 39 paesi con un carico fiscale in aumento a fronte dei 58 che lo hanno visto calare, l’Italia si rivela un paese competitivo rispetto ad altre economie avanzate comparabili, come Belgio e Francia, che mostrano valori ancora superiori. Il peso della lentezza burocratica Stando alla rilevazione, le imprese italiane impegnano 238 ore all’anno per gli adempimenti fiscali: «Un dato inalterato rispetto al 2016 e linea con la media mondiale, ma superiore alla media europea: 237 ore nel mondo a fronte di 161 ore in Europa – spiega ancora Acerbis». Resta invariato anche il numero di pagamenti annuali, fermo a 14: nettamente inferiore alla media mondiale di 24 versamenti all’anno e sostanzialmente in linea con quella europea, che si attesta su 12. In Italia le imprese impiegano 42 ore per la richiesta di rimborso IVA, incluso il tempo speso per rispondere alle richieste dell’amministrazione finanziaria nel corso delle verifiche fiscali: un dato all’incirca doppio rispetto alla media mondiale di 19,6 ore e sei volte la media eu-
ropea, stimata in 7 ore. Il tempo di attesa del rimborso è di 62,6 settimane e include un periodo di sei mesi (26 settimane) trascorso tra l’acquisto di un bene e la presentazione della dichiarazione IVA annuale (nel caso di studio condotto dal rapporto l’impresa non può richiedere il rimborso dell’imposta su base trimestrale). Anche in questo caso, il tempo è doppio rispetto alla media globale di 29 settimane e quasi quadruplo rispetto alla media europea di 16,6 settimane. Infine, le imprese italiane impiegano in media 5 ore per correggere un errore nella dichiarazione dei redditi, con un risultato in questo caso migliore rispetto alla media mondiale ed europea (rispettivamente 15,1 e 7,3 ore). Incentivi: serve un’agenda chiara «Dopo anni di riduzione della pressione fiscale, il quadro si presenta oggi più variegato, influenzato non tanto dall’aliquota dell’imposizione diretta sulle imprese, in costante riduzione nella maggior parte delle economie, ma dalle politiche sugli incentivi – afferma Fabrizio Acerbis. Generalmente, proprio come è avvenuto in Italia, gli incentivi fiscali e contributivi, anche dove inizialmente introdotti con finalità di revisione strutturale del sistema, sono spesso i primi interessati a cambiamenti di indirizzo nella politica fiscale dei governi, e in ogni caso producono effetti variabili nel tempo In un contesto macroeconomico esterno difficile, la strada da intraprendere appare tracciata, con poche deviazioni possibili: lavorare sui temi di policy fiscale con un’agenda chiara, non emergenziale ma di tipo organico, e tempi di esecuzione rapidi. Il tempo, oltre che la qualità delle riforme, è un fattore sempre più critico in un contesto in cui la competizione fra i Paesi attraverso la leva del carico fiscale e contributivo si farà sempre più aspra». F.R. dicembre 2018 - dfo 29
speciale - Lundquist
RENDICONTAZIONE
NON
FINANZIARIA,
A CHE PUNTO SIAMO?
30 dfo - dicembre 2018
Lundquist - speciale
Con James Osborne di Lundquist indaghiamo come le aziende approccino il tema, tra obblighi di legge e mutate sensibilità nei confronti della sostenibilità
«I
l bilancio integrato non è il nirvana, o un punto di arrivo inevitabile». Con queste parole James Osborne, Head of Sustainability di Lundquist, società di consulenza, inizia a raccontare come, nel nostro Paese, l’obbligo e la volontarietà, in merito alla rendicontazione di ciò che è “sostenibile” e non prettamente “di business”, stiano ingaggiando le aziende. È necessario, come spiega lo stesso Osborne (anche team leader del Premio Speciale Integrated Reporting dell’Oscar di Bilancio 2018), evidenziare innanzitutto il contesto: in Italia, così come in Europa, per gli enti di interesse pubblico, è stato introdotta una norma che rende obbligatorio rendicontare anche le performance in merito di alcuni temi non-finanziari. «È un punto di svolta perché fino a oggi le imprese hanno avuto l’obbligo di pubblicare solo informazioni finanziarie. Ora si tratta di associare a esse anche quelle non finanziarie. La storica contrapposizione tra risultati economici e la sostenibilità quindi viene superata e sostituita da un nuovo contesto, in cui la sostenibilità deve essere vista come elemento strategico, anche nel reporting». Il cambiamento, indotto dalla direttiva europea 2014/95/UE e dal suo recepimento italiano (decreto legislativo 254/2016, in vigore da gennaio 2017) ha avuto il merito di allargare la prospettiva, e di iniziare a far comprendere come la sostenibilità non sia più “accessoria”, rispetto ai dati finanziari, ma sia un “must have”: «Imprescindibile per una gestione efficace di un’azienda. A livello di reporting si tratta di un momento di svolta, perché finalmente si assiste alla diffusione di una cultura che mette insieme in modo
virtuoso le aspettative del legislatore, le richieste del consumatore e degli stakeholder allargati. E risponde alla domanda: qual è, azienda, il tuo contributo alle sfide collettive e future?». Osborne aggiunge, però, che il tema viene più o meno “sentito” a seconda del livello di sensibilità dei decisori delle aziende. Prendere esempio dalle “piccole” In Italia il recepimento della direttiva europea è stato, in questo primo anno di redazione della documentazione, interpretato in maniera rigida e formale, nel senso che molte aziende si sono attenute a una compilazione più possibile rispondente a quanto richiesto. Lundquist ravvisa però un progresso: essendo una norma con obbligo di verifica esterna, le aziende si sono strutturate con processi precisi: «Questo è certamente un bene. Questi processi, in molti casi, non erano ben impostati nemmeno nelle aziende che già redigevano il bilancio di sostenibilità in modo
James Osborne, Head of Sustainability di Lundquist dicembre 2018 - dfo 31
speciale - Lundquist
volontario. Si nota un lavoro interessante svolto da parte dei CSR manager, dei direttori finanziari, dei responsabili della compliance, degli uffici amministrativi. Analizzando i bilanci, abbiamo apprezzato un maggior engagement con gli stakeholder, sia interni sia esterni». Particolarmente vivaci sono risultate alcune aziende non quotate, che non sono soggetti a particolari obblighi di reporting. «Quando predisposto secondo un approccio strategico, si nota che il report aiuta a diffondere una maggior cultura della sostenibilità, tanto importante in quanto espressa in forma volontaria. Interessanti lavori si notano presso le aziende maggiormente esposte all’estero oppure del settore agroalimentare». Verso il “pensiero integrato” Come precisato all’inizio da Osborne, bisogna compiere uno sforzo e andare oltre la “forma” del documento non finanziario. «In un report di qualunque tipo occorre che emerga, con forza, la sostanza. Ovvero: le aziende sono chiamate a raccontare come creano valore per se stesse e tutti gli stakeholder, consapevoli dell’interdipendenza tra performance finanziaria ed ESG - Environmental, Social and Governance». Quello a cui le aziende, indipendentemente dalla dimensione, devono tendere, è un bilancio che sia “integrato” nel vero senso della parola, che non sia solo un collage della parte finanziaria e di quella non finanziaria. Interessanti esperienze di bilanci (integrati e non) redatti secondo una visione strategica proveniente dal management si stanno già notando in diversi settori. Osborne cita per esempio Unipol, Pi32 dfo - dicembre 2018
TRA IL DIRE E IL FARE Lundquist ha svolto una ricerca, dal titolo “Blurring Boundaries”, su un campione di 50 aziende italiane, 40 quotate al FTSE-MIB e 10 non quotate e 49 europee, 40 valutate come “gold class” da RobecoSAM, e 9 best improver, sempre secondo RobecoSAM. Obiettivo: guidare le aziende verso un reporting non finanziario più efficace e strategico nel nuovo contesto di sostenibilità. Come si può notare dal grafico, l’entrata in vigore del D.Lgs. 254 ha frammentato il panorama in termini di scelta di collocamento della dichiarazione non finanziaria. «Emerge tuttavia – commentano da Lundquist - una totale continuità tra il 2017 e 2018 in termini di ripartizione dei report tra le varie categorie: le aziende, fatte salve quelle che hanno dato vita a un documento stand alone per la Dnf-Dichiarazione di carattere non-finanziaria ai sensi del D.Lgs 254/2016 (14% del campione nel 2018), hanno mantenuto i documenti che già redigevano l’anno precedente, arricchendoli con la Dnf». In particolare, nel 2018 integrano la Dnf il 22% dei report di sostenibilità e il 23% degli annual report/consolidato. Reporting practice
2017
2018
Δ
DNF
0%
14%
14%
Report di Sostenibilità
52%
19%
-33%
Report di Sostenibilità + DNF
0%
22%
22%
Integrated Report
13%
12%
-1%
Annual report/Bilancio consolidato
35%
11%
-24%
Annual report/Bilancio consolidato + DNF
0%
23%
23%
relli, Cnh Industrial, Barilla, oltre a un numero importante di aziende del settore Utilities: «Penso per esempio ad A2A, che da poco redige il bilancio integrato, associato a bilanci territoriali; a Gruppo Hera, che racconta in modo dettagliato come è impegnata sul territorio, ma produce anche report tematici su argomenti quali rifiuti e acqua. Penso a Terna, passata quest’anno al bilancio integrato, che nella strategy
presentation 2018 ha spiegato come il contesto ambientale sia la premessa alla strategia di business. Ugualmente Enel, che ha unito la sostenibilità all’innovazione del business. Direi che la pecora nera è rappresentata dalle aziende del fashion e del lusso, con qualche eccezione, come Yoox Net-a-Porter o Salvatore Ferragamo». E.G.
sostenibilità - speciale
SOSTENIBILITÀ. LE AZIENDE INVESTONO, MA NON LO COMUNICANO Gli investimenti green ci sono, ma non vengono rendicontati. I dati sulle quotate al segmento STAR sono emblematici: come possono sparire dalla “narrazione di impresa” 6,7 miliardi di euro?
T
utti investono nel green, ma pochi forniscono dati precisi. È così in particolare tra le società quotate sul segmento STAR di Borsa Italiana: il 100% sta affrontando il tema della sostenibilità ma sulla condivisione delle informazioni si deve accelerare.
Green: verso i 10 miliardi di investimenti È un quadro positivo ma con tante potenzialità ancora da esplorare quello tracciato da una recente indagine di Bernoni Grant Thornton. Oltre 6,7 miliardi di euro sono stati
investiti nel 2017 dalle imprese italiane in efficienza energetica. E le previsioni in vista del 2021 sono più che ottimistiche: si attendono infatti investimenti per oltre 10 miliardi di euro. Ma le aziende non sono ancora in grado di dimostrare in modo preciso i risultati raggiunti: ad esempio in termini di riduzione delle emissioni e di minore consumo di risorse. Dati sulle politiche in atto ancora poco precisi Solo il 20% delle società quotate sul segmento STAR fornisce dati accurati sulle proprie azioni. Un altro 20% ci prova e informa di aver incrementato l’uso di energia da fonti rinnovabili tramite impianti propri o tramite acquisto di energia “certificata” come rinnovabile, ma senza report dettagliati. Tutte le 70 società del segmento sono però al lavoro su questo fronte: si va da semplici politiche di monitoraggio delle emissioni dei cicli produttivi a report sugli investimenti o sulla selezione delle materie prime. Ancora scarsa la formazione Si deve fare molto di più invece per la sensibilizzazione dei dipendenti.
“
Solo un’azienda su 10 fa attività di formazione sul risparmio energetico per i propri dipendenti
”
Le aziende che organizzano iniziative di formazione e supporto al risparmio energetico sono solo il 10% del totale. Eppure parliamo di un investimento da non sottovalutare: come rende noto lo studio, i dipendenti trascorrono molte ore sul luogo di lavoro e le aziende possono offrire un contributo verso l’educazione al consumo responsabile. S.R. dicembre 2018 - dfo 33
speciale - Unipol
CON IL BILANCIO SI RACCONTA IL PRESENTE E SI COSTRUISCE IL FUTURO Il percorso del Gruppo Unipol verso l’integrazione tra business e sostenibilità parte da lontano e arriva al riconoscimento dell’Oscar di Bilancio 2018
I
l Gruppo Unipol, vincitore dell’Oscar di Bilancio 2018 nella categoria Imprese Finanziarie quotate, che ha anche ricevuto il Premio Speciale “integrated Reporting”, ha iniziato a ragionare in termini di integrazione tra business e sostenibilità diversi anni fa: si parla infatti del 2006, quando il Gruppo coinvolse 1.500 dipendenti (su 4mila) e 500 agenti (su 1.500) per costruire insieme la carta dei valori e il codice etico, un “patto” condiviso e definito dagli stakeholder esterni dell’azienda. Nel 2008 venne creata l’Area Sostenibilità, l’anno successivo un comitato etico all’interno del CdA e, nel 2010, venne predisposto il primo piano triennale di sostenibilità. Oggi il piano industriale e quello di sostenibilità sono riuniti nel piano integrato 2016-18. «Due i principi fondamentali su cui è basato – spiega Marisa Parmigiani, Responsabile Sostenibilità Gruppo Unipol – la creazione 34 dfo - dicembre 2018
di valore condiviso e l’innovazione sociale». Non si tratta, nel caso di Gruppo Unipol, di raccontare ciò che si sta facendo e come ci si sta rendendo virtuosi agli occhi degli stakeholder, ma anche di misurare: l’adozione di diversi strumenti di accountability - non solo Bilancio Integrato, ma anche di Sostenibilità e Valutazione d’impatto - ha infatti permesso di identificare quale tipo di valore si stia creando e attraverso quali capitali. «In particolare, la Valutazione d’Impatto sviluppata con The European House - Ambrosetti riporta che il nostro Gruppo ha generato benefici ambientali pari a 4,3 milioni di euro nel triennio 2015-2017. La riduzione in termini di costi esterni legati all’emissione di CO2 è stata di 751.801 euro, mentre l’utilizzo della sola energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili ha generato una riduzione delle esternalità negative di 3,5 milioni di euro». A livello di impatti degli acquisti presso fornitori, prosegue Marisa Parmigiani: «Lo studio rileva come nel 2017 il nostro Gruppo abbia effettuato spese per acquisti pari a 940 milioni di euro generando 2,15 miliardi di euro di spesa nel sistema economico, 1,03 miliardi di euro di valore aggiunto, 10.930 unità di lavoro nel
Unipol - speciale
sistema economico e 0,38 miliardi di euro di gettito erariale derivante dagli impatti diretti, indiretti e indotti. A ciò si aggiunge il sostegno alla crescita di imprese sostenibili pari a 360 milioni di euro: 165 milioni di investimento in Private Equity di cui il 63% in Italia, nonché 195 milioni di investimento in real asset». Come si racconta la sostenibilità? Il Bilancio sociale (che nel caso del Gruppo Unipol viene redatto dal 1994, primo caso in Italia) è uno degli elementi che una realtà assicurativa o bancaria può utilizzare per raccontare se stessa al grande pubblico, a clienti e prospect; deve essere però inserito in un contesto di più ampio respiro. I numeri, da soli, possono non essere esplicativi di un cambiamento culturale e organizzativo che magari sta procedendo da anni. Questo è il motivo per cui la strategia di comunicazione di Gruppo Unipol, rivolta all’esterno, verte su tre punti chiave: contenuti, ingaggio di esperti, network. Innanzitutto, spiega la manager: «Cerchiamo di stimolare il confronto e la riflessione sui
Marisa Parmigiani, Responsabile Sostenibilità Gruppo Unipol
temi chiave della nostra strategia di sostenibilità: lo facciamo su Changes, il blog magazine del Gruppo Unipol (www.changes. unipol.it) che ha dedicato il suo primo numero a stampa proprio al climate change, ambito nel quale siamo particolarmente impegnati». All’interno sono state messe a punto una serie di azioni che agevolino la condivisione e la responsabilizzazione di ognuna delle nostre persone in materia di sostenibilità: «Per esempio abbiamo implementato un corso di formazione a distanza sulla nostra piattaforma interna Unica, abbiamo un piano di comunicazione che costantemente informa tutti attraverso il nostro sito interno Futur@ e, inoltre, ciascuna funzione ha individuato uno specifico referente per la sostenibilità». Il peso dell’intangibile Nel tempo dei Big Data e del presidio totale dei numeri e della loro misurazione, è in qualche modo possibile verificareanalizzare gli effetti di una buona informazione non finanziaria sul brand aziendale? La quantificazione esatta è probabilmente molto complessa ma, secondo Marisa Parmigiani: «Esistono alcuni dati certificati che possono aiutarci a trarre delle considerazioni interessanti. Secondo una ricerca del 2015 di Ocean Tomo, che analizza le componenti del valore di mercato delle S&P 50, gli intangibles sono arrivati a pesare l’87% del valore complessivo, e l’impatto stimato degli intangibili su FTSE MIB è pari a circa 700 miliardi di euro. Secondo gli studi di Reputation Institute, operatore globale nella gestione della reputazione, la CSR è, tra le dimensioni reputazionali, quella che pesa di più nella percezione della pubblica opinione quando valuta un’azienda, circa il 40%». E.G. dicembre 2018 - dfo 35
speciale - Estra
ESTRA, “ENERGIA” PER IL TERRITORIO Il Bilancio di Sostenibilità come espressione di una maggiore vicinanza a clienti e partner, e di una nuova visione della multiutility, nel segno della creazione del valore (ambientale, sociale, per l’organizzazione) e della crescita continua
O
ltre gli obblighi e le direttive comunitarie, e delle leggi dello Stato, un impegno e un desiderio: così viene vissuto, all’interno di Estra, player del settore della distribuzione e vendita di gas naturale, attivo anche nella vendita di energia elettrica (141 Comuni soci indiretti, della zona del Centro Italia), il Bilancio di Sostenibilità. Nata nel 2010, l’azienda ha avviato una sintesi sui dati non finanziaria nel 2014, poi avviato la redazione del bilancio a partire dal 2015. «Si è trattato – racconta Francesco Macrì, Presidente di Estra e Vicepresidente di Utilitalia – di una prova interna di maturità, che ha comportato un lavoro di valutazione e La sede di Estra a Prato
confronto tra diverse aree dell’azienda. Possiamo definirlo uno “stress test” che ha portato risultati assolutamente positivi, anche in termini di maggior dialogo tra i team coinvolti e per la condivisione dei dati che è stata raggiunta. Una bella prova, aggiungo, che consiglio anche alle altre aziende. Il Report ci ha consentito di mettere a fuoco i veri obiettivi di una società che ha per mission quella di lavorare nel rispetto degli stakeholder per generare valore»: impegno importante, specie per una realtà a capitale pubblico. I dati presenti nel Bilancio di Sostenibilità sono una occasione per condividere e analizzare informazioni che altrimenti resterebbero poco visibili, anche internamente all’azienda, e che invece oggi aiutano a migliorare le performance; il lavoro per la sua redazione è a ciclo continuo, mese dopo mese. Cambio di rotta, per un ritorno al territorio Un aspetto particolarmente interessante, che esula dalle informazioni puntuali espresse nei report, viene di seguito precisato dal Presidente: «Essere “sostenibili” ha significato, per Estra, cambiare anche visione strategica. Abbiamo infatti progressivamente abbandonato l’iniziale modello commerciale, similare a quello adottato dai grandi gruppi, e abbiamo scelto di intraprendere azioni commerciali legate al territorio, al servizio al cliente, alla prossimità.
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Estra - speciale
Subito abbiamo notato una diminuzione di lamentele e l’assenza di contenziosi. In una parola: abbiamo scelto di essere vicini ai nostri clienti; abbiamo rimodellato il contatto con gli utenti, abbandonando i call center esteri, anche per porre maggior attenzione alle condizioni di lavoro espresse dai nostri partner. Ora i clienti ci percepiscono in modo corretto e sono soddisfatti del nostro operato. Quello che inizialmente poteva apparire come un punto debole – la localizzazione geografica – si è trasformato in un punto di forza, corroborato da una più concreta relazione e da servizi aggiuntivi. Anche questa, per noi, è sostenibilità». La soddisfazione è molto alta e confermata dalle indagini di customer satisfaction che periodicamente vengono effettuate e che indicano un gradimento pari a 8,2 su 10. «La conferma più importante del fatto che Estra sta perseguendo la giusta politica proviene anche dai sindaci del territorio: molti stanno già guardando a noi per affidarci anche altri servizi, penso all’ambiente, al settore idrico. Il nostro modello di gestione si è mostrato efficace; desideriamo, con il nostro operato, ritornare a un “pubblico” che funziona e che lavora in modo serio, con un modello alle spalle di tipo industriale, a governance pubblica. Gli stessi cittadini sono in sintonia con questa rinnovata sensibilità: sono favorevoli a una gestione pubblica dei servizi, a patto che sia garantita un’elevata capacità di gestione. Come nel caso di Estra». Il tema della sostenibilità si sta facendo strada anche presso l’opinione pubblica e presso comunità di stakeholder sino a poco tempo fa “tiepide” in merito a questo mondo. «Mi riferisco agli istituti bancari e ai fondi di investimento, oggi molto interessati all’emissione di obbligazioni destinate allo sviluppo e alla tutela ambientale e che quindi guardano con interesse ad aziende che sono attente ai temi della sostenibilità, sia ambientale che economico-sociale, finalmente considerate volano per la crescita».
I NUMERI “SOSTENIBILI” DEL 2017 Nel 2017 il valore aggiunto globale distribuito da Estra tra tutti gli stakeholder è stato pari a 121,6 milioni di euro, suddiviso in remunerazione lavoratori e compensi agli amministratori (28,1%); imposte, tasse e canoni di concessione ai Comuni e agli enti del territorio (18%); dividendi agli azionisti di Estra del territorio (10,4%); risorse reinvestite nell’azienda (29%); progetti sociali e sponsorizzazioni (1,5%); remunerazione finanziatori (13%). La ricchezza complessiva distribuita nel 2017 al territorio, invece, risulta pari a 201,3 milioni, (83,3 milioni di valore aggiunto territoriale sommato alle forniture territoriali pari a 118 milioni). Al territorio è stato distribuito il 62,1% del totale della ricchezza prodotta del valore di 324 milioni.
Come si racconta la sostenibilità? Il Bilancio di Sostenibilità viene da Estra comunicato all’interno e all’esterno dell’azienda attraverso diverse iniziative, che vanno dalla pubblicazione sul sito web dedicato alla presentazione nelle assemblee dei soci e nelle assemblee del personale; notizie ad hoc vengono pubblicate sulla Intranet. La comunicazione si avvale anche dei classici strumenti di diFrancesco Macrì, Presidente di Estra e Vicepresidente di Utilitalia vulgazione (comunicati stampa, eventi per gli stakeholder, uso dei social media). Nel 2018 copia cartacea della Sintesi del Bilancio di Sostenibilità è stata anche consegnata a tutto il personale. «A breve approfondiremo anche temi verticali specifici: mi riferisco per esempio a un prossimo evento, che si terrà probabilmente nel mese di febbraio, dedicato all’economia circolare. O a quello, sempre in previsione per il 2019, dedicato a Smart City e sostenibilità»; completa Macrì. E.G. dicembre 2018 - dfo 37
aziende - Tagetik
MONDO CONVENIENZA,
RIORGANIZZAZIONE NEL SEGNO DELL’EFFICIENZA Un nuovo modello di gestione per ottimizzare i processi aziendali: come il Gruppo specializzato in arredamento ha ripensato - grazie alla tecnologia Tagetik alla propria struttura e al presidio dei dati
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osizionamento chiaro (“Offrire ai nostri clienti arredamento e mobili per le loro case al miglior rapporto qualità-prezzo del mercato”), una radicata e storica presenza nel suo settore di riferimento – 30 anni di vita – e l’impegno a essere sempre pronti ad accogliere i cambiamenti richiesti dal business. Mondo Convenienza, fondata da Giovan Battista Carosi, oggi presente con i suoi punti di vendita in Toscana, Abruzzo, Veneto, Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna, Marche, Umbria, Puglia, Sicilia, Campania e Sardegna, è specializzata nella grande distribuzione organizzata di mobili e complementi d’arredo “a un costo competitivo e accessibile a tutti”. Come capita a ogni azienda che cresce e desidera mantenersi competitiva, anche Mondo Convenienza si è trovata, a un certo punto del suo percorso, stanti anche le nuove esigenze del mercato, a “ripensarsi”, ossia a studiare un nuovo modello di gestione in grado di razionalizzare, uniformare, semplificare e decentralizzare i processi aziendali, rendendoli più smart, ossia maggiormente attenti alla qualità, alla fruibilità e alla loro condivi38 dfo - dicembre 2018
sione. Il percorso che l’azienda ha intrapreso ha riguardato sia gli aspetti di processo da rivisitare (compreso quello dei bilanci, per il quale erano richieste soluzioni più efficaci) che di taglio tecnologico: sino al 2016, infatti, il panorama dei sistemi informativi era caratterizzato da soluzioni isolate per la gestione dei processi di bilancio, consolidamento e riconciliazione “intercompany”. «Un cambio di passo era necessario – racconta Giuliano Caruso, Responsabile centro elaborazione dati contabili e Servizi Amministrativi della Holding – così come un’idea chiara di dove si volesse arrivare e con quali strumenti». Il progetto da implementare prevedeva una ristrutturazione di tutti processi di bilancio e di consolidamento, sino alla redazione di Nota Integrativa, Relazione sulla gestione, Rendiconto finanziario compresa la generazione dei file in formato Xbrl, raccogliendo tutti i dati e i report in un unico database, riducendo i tempi di produzione delle informazioni. «Il nostro obiettivo si componeva di più step: ridisegnare il processo di bilancio e creare degli standard di attività e reporting; adeguare il sistema informatico, per consentire una risposta rapida anche alle variazioni normative; garantire il controllo e la perfetta tracciabilità dei dati e utilizzare un unico database condiviso da tutti gli utenti, per migliorare la qualità delle attività». Il risultato è stato raggiunto attraverso la soluzione CCH Tagetik e oggi è già possibile osservare un Gruppo più
Tagetik - aziende
dinamico, che ha adottato parametri e strutture comuni a tutta l’azienda, migliorando tutti i processi “intercompany”. Tempo, efficienza, uniformità del dato Un unico strumento di reportistica civilistica unificato e automatizzato: questo è stato il primo traguardo ottenuto. I singoli utenti, tra l’altro, sono stati “liberati” dalla manutenzione del software (e dei processi), che è affidata a una specifica struttura aziendale. «Tra i benefici ottenuti ricordo tra l’altro, oltre alla sviluppo dell’informativa economicofinanziaria, anche un significativo risparmio dei tempi dell’intero processo». Il database centralizzato vanta dati di qualità elevata e tracciabili all’interno dei processi civilistici. Le informazioni possono essere recuperate in semplicità e con il massimo livello di dettaglio, fino alla singola scrittura di rettifica di consolidato. «Finalmente la reportistica è coerente e di qualità, in linea con le esigenze degli stakeholder del Gruppo». Fra i risultati ottenuti va evidenziata poi la razionalizzazione delle scritture di consolidamento e il
caricamento periferico dei dati grazie a un sistema di Etl customizzato e, soprattutto, la riconciliazione delle partite intercompany attraverso un cruscotto web che permette di mantenere la supervisione e il controllo sui dati inseriti dagli utenti periferici. Soluzioni di questo genere hanno risvolti, come accennato, anche dal punto di vista dell’operatività delle persone, oltre che del miglioramento del business. Come conferma Caruso, volevamo una soluzione in grado di abbassare i tempi e semplificare la gestione dell’intero processo bilanci: con CCH Tagetik abbiamo ridotto i tempi dei cicli, tagliato di oltre il 50% le attività manuali, garantito coerenza e integrità dei dati, migliorando la qualità del lavoro. Inoltre, abbiamo potuto contare su una importante flessibilità e personalizzazione, che ci ha permesso di fornire risposte efficaci alle continue variazioni del perimetro organizzativo del Gruppo che, dal 2012, ha intrapreso un percorso di profonda riorganizzazione». E.G. dicembre 2018 - dfo 39
aziende - TAS Group
IL BUDGET MULTI-YEAR VOLA SUL CLOUD Dal foglio Excel a un sistema di calcolo automatizzato e condiviso. La nuova piattaforma sviluppata da TAS Group per Cargeas su tecnologia Oracle Cloud integra in una soluzione avanzata la procedura di pianificazione finanziaria per il settore assicurativo
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na compagnia assicurativa del ramo Danni, specializzata in prodotti per la clientela bancaria, e il suo budget triennale, definito attraverso processi sequenziali su molteplici fogli di calcolo, scambiati più volte tra i responsabili dell’area finance. La storia comincia così, con l’esigenza di ridurre tempi e rischi operativi legati alla manualità delle elaborazioni, e si conclude con un sistema evoluto, un software in cloud che automatizza e condivide il processo, con rapidità e garantendo l’adozione delle metodologie corrette. La compagnia è Cargeas e il sistema è
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Oracle Planning and Budgeting Cloud, in un progetto sviluppato da TAS Group, riconosciuta da Oracle Italia come Cloud Platform Partner dell’anno per il 2018. Un sistema sfidante con molte variabili in gioco «Gli stress test legati a Solvency II, la direttiva europea che disciplina il regime di solvibilità del settore assicurativo, impongono alle compagnie di elaborare il budget pluriennale simulando scenari sfavorevoli per dimostrare la propria tenuta finanziaria, senza trascurare gli adempimenti regolatori previsti dall’I-
vass – spiega Paolo Angelino Giorzet, responsabile dell’area Operations 2ESolutions di TAS Group, che del progetto Cargeas si è occupato in prima persona. Di conseguenza il budget viene rilavorato in versioni successive, variando di volta in volta i parametri di rischio». In una gestione tradizionale, come quella attiva in Cargeas all’inizio del progetto, ognuna di queste variazioni comporta un ricalcolo manuale, con tempi e costi onerosi. «Per questo, dopo un’accurata valutazione, Cargeas ha riconosciuto nel sistema Oracle Planning and Budgeting Cloud la soluzione più adeguata alle
TAS Group - aziende
proprie esigenze e in TAS Group l’interlocutore adatto per gestire l’implementazione – commenta Angelino». Automazione dei calcoli e condivisione dei dati Ma in che cosa consiste precisamente la soluzione adottata? «Il progetto ha reingegnerizzato i singoli calcoli e racchiuso l’intero processo in un’unica soluzione software – spiega Angelino. Un repository che contiene le matrici e gli algoritmi di calcolo di tutte le componenti di budget, dalle spese generali agli investimenti fino ai calcoli attuariali, rendendo condivisibili i dati, i report e l’output finale. Le varie versioni, che possiamo immaginare come fotografie, convivono all’interno di un sistema integrato, disponibili a ciascun attore coinvolto. Ognuno opera a sistema per quanto di sua competenza, secondo funzionalità specifiche». Tutti i calcoli sono stati trasformati in procedure automatiche, secondo KPI, driver di processo e matrici tipiche, con l’aggiunta di una serie cospicua di ipotesi e approssimazioni, in un’analisi multidimensionale che ha integrato un numero ragguardevole di algoritmi di calcolo. «Il progetto è stato sfi-
Paolo Angelino Giorzet, responsabile dell’area Operations 2ESolutions di TAS Group
dante per la variabilità e per l’alto livello di dettaglio tipici del budget pluriennale di una compagnia assicurativa. I formati di calcolo sono articolati in funzione delle numerose fattispecie tipiche, tra cui, per esempio, la riassicurazione attiva e passiva del rischio. Nessun calcolo è stato semplificato e la fisionomia del software risponde alla complessità finanziaria del settore assicurativo – sottolinea Angelino». Riproduzione accurata del dettaglio I passaggi più critici in fase di implementazione hanno riguardato la definizione del perimetro delle attività: «non è stato facile circoscrivere il progetto, che si è rivelato più articolato del previsto via via che l’analisi è scesa nel dettaglio, considerando tutte le sfaccettature del dato. La sfida è stata riuscire a condurre analisi efficienti rispetto al grado di precisione del dato desiderata, ma compatibili con i tempi progettuali». Il sistema contiene centinaia di algoritmi, legati alle tante fattispecie di settore. «Per tenere sotto controllo la procedura, che è ampia e ricca di casistiche anche anomale, sono stati inseriti numerosi step di verifica intermedia».
Un modello esaustivo e performante Il modello finale consente alla compagnia di predisporre due macro scenari dalle finalità differenti, elaborati in diversi momenti dell’anno. L’Own Risk and Solvency Assessment, il cosiddetto ORSA, viene elaborato a inizio anno con un orizzonte temporale di 3 anni e consiste nella valutazione interna del rischio e della solvibilità che le imprese assicurative devono condurre nell’ambito del proprio sistema di gestione dei rischi. Il Multi-Year Budget prevede invece l’elaborazione del budget ufficiale della compagnia, per un orizzonte temporale che va dai 3 ai 5 anni, e inizia a maggio di ogni anno. «Grazie al nuovo modello, oggi per ciascuno scenario Cargeas è in grado di generare un Profit & Loss per ogni singola combinazione di prodotto, canale di vendita, tipologia di attività e relativo rischio, identificato dal rispettivo ramo ministeriale IVASS o dalla LOB Solvency – aggiunge Angelino. Tramite l’applicazione di una quota di variazione percentuale o di una quota fissa, esiste inoltre la possibilità di creare più versioni di What-if, con l’obiettivo di analizzarne l’impatto sulla redditività e sul conto economico della compagnia. Infine, si possono produrre report in tempo reale ed estrazioni ad hoc». Piena soddisfazione della compagnia per il risultato raggiunto: «uno strumento semplice ed efficace, che gestisce tutte le necessità di calcolo, ci offre piena consapevolezza dei driver del nostro budget e ci permette analisi dettagliate, trasversali, multidimensionali. Tutte le nostre esigenze sono state soddisfatte – dichiara Alessandro Martignano, responsabile Pianificazione e Controllo di Cargeas». F.R. dicembre 2018 - dfo 41
tecnologia - Supply Chain
DIGITAL SUPPLY CHAIN. IMPRESE ANCORA FERME AI TEST Dall’IoT alla business intelligence, fino all’AI, all’RPA e alla blockchain. Un mix variegato di tecnologie è al centro della digital transformation della supply chain. Una priorità per la maggior parte delle imprese. Peccato che si fatichi ad andare oltre la fase di test, a rilento verso l’implementazione su larga scala
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acile a dirsi ma non a farsi. La corsa verso la digitalizzazione della supply chain riassume un’espressione tanto consueta quanto vera: la metà esatta delle grandi imprese, intervistate a livello globale da Capgemini, indica la “svolta digitale” tra le 3 principali priorità corporate. Realizzarla concretamente, però, è un altro paio di maniche, tanto che si tratta di una sfida per quasi 9 aziende su 10, che ancora faticano a superare il Proof of Concept e a entrare nel vivo con le soluzioni di nuova generazione. 29 progetti pilota … Da un parte ci sono cioè le aspettative, dall’altra ci si scontra con la realtà. I progetti pilota del resto non mancano, anzi a oggi si contano ben 29 iniziative gestite contemporaneamente dalle aziende intervistate. Il focus è su RPA (Robot Process Automation) e IoT, tecnologie utili per efficientare l’elaborazione degli ordini, grazie anche a sensori intelligenti per monitorare la posizione e le condizioni dei prodotti. … in cima alle priorità aziendali Anche in Italia l’interesse è alto. Il campione nazionale in ambito corporate indica la digitalizzazione della supply chain tra le priorità (urgente
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per il 56%), dietro soltanto al Regno Unito (58%) e invece davanti a Paesi Bassi (54%), Germania (53%) Stati Uniti (52%) e Svezia (46%). Perché digitalizzare la supply chain A trainare l’entusiasmo sono due obiettivi: la riduzione dei costi e l’opportunità di generare nuovi ricavi. Indicati come rilevanti rispettivamente dal 77% e dal 56% delle imprese. Ma si continua a investire nella digitalizzazione della supply chain anche per supportare nuovi business model (lo segnala il 53% del campione). Al 18% il ROI atteso Le stime relative al ROI confermano che si tratta di un’opportunità da non lasciarsi sfuggire. Secondo Capgemini, il ROI generato dall’automatizzazione della supply chain si attesterebbe in media al 18%. Al di sopra quindi del ROI stimato per gli investimenti in altri ambiti: 15% per le Human Resources, 14% per l’Information Technologies, 13% il Customer Service e del 12% per le aree Finance&Accounting e Ricerca&Sviluppo. Secondo il report, inoltre, sono risultati che non tarderebbero ad arrivare: i primi impatti sui ricavi dovrebbero già essere visibili nel giro di un anno.
Supply Chain - tecnologia
Solo il 14% è andato oltre i test Il problema è che l’86% delle aziende intervistate si ritrova in difficoltà quando deve poi implementare le iniziative digitali su larga scala. Solo un’azienda su 7 si dice infatti in grado di compiere questo passo. Tanto che, guardando ai 29 progetti in corso (in fase di ideazione, Proof of Concept o nella forma di un pilota), solo il 14% delle imprese è riuscito a implementarne almeno uno su più siti, con l’effetto di un aumento dei ricavi (è stato così per il 94%). Troppi progetti, linee guida poco definite Qual è l’ostacolo principale? Secondo Capgemini, le aziende sono concentrate su troppi progetti allo stesso tempo. E perdono così di vista le priorità strategiche. Le imprese che hanno avuto successo nella digital transformation della supply chain, infatti, avevano in media 6 progetti in fase di test. Mentre quelle che non sono riuscite a portare nemmeno un progetto
su vasta scala, stavano lavorando su 11 progetti. Chi è riuscito a scalare le proprie iniziative ha inoltre utilizzato una chiara procedura per valutare il successo dei progetti pilota. Le altre hanno dichiarato di non averlo fatto. La soluzione: dall’escalation al change management Serve quindi accelerare sui programmi di trasformazione digitale con strategie meglio definite. Puntare sul coinvolgimento del senior management è un primo passo, che deve però comprendere anche l’IT e le risorse umane. Inoltre tutti i business partner (fornitori, distributori e attori specializzati nei servizi di logistica) devono essere parte integrante del progetto. E si deve lavorare sulla cultura aziendale, rafforzando le competenze di tutti i dipendenti. S.R./A.G. dicembre 2018 - dfo 43
closing time
Emirati. Un boom economico a metà strada Un’economia ricca ma ancora poco diversificata. Fotografa così Coface il mercato degli Emirati Arabi Uniti, Paesi con un ruolo centrale nell’export globale ma non del tutto integrati nelle filiere mondiali, così come nella Nuova Via della Seta. Gli EAU oltre il petrolio Chiaramente il primo problema è la dipendenza dal petrolio. Gli Emirati non sono diventati per caso la seconda economia più importante
all’interno del Consiglio di Cooperazione del Golfo. Sono però sulla buona strada per diversificare l’economia. Tra il 2000 e il 2017 la quota delle entrate petrolifere rispetto alle entrate finanziarie totali è diminuita di 7 punti percentuali. Mentre le esportazioni di petrolio sono crollate al 16% del totale delle esportazioni nel 2016, contro il 76% nel 2000. E così l’export di plastica, legno, carta, pietre preziose, cemento e metalli è aumentato.
Una diversificazione a metà strada C’è ancora molto da fare tuttavia per integrarsi al 100% nelle filiere mondiali. A oggi solo i combustibili, i metalli, i minerali e le pietre sono a buon punto. In aggiunta la Nuova Via della Seta (l’iniziativa cinese per il miglioramento dei collegamenti tra i Paesi dell’Eurasia) è sì un’opportunità, ma anche un rischio per gli Emirati. Se da un parte gli accordi con la Cina potrebbero infatti stimolare il commercio e gli investimenti, dall’altra l’instabilità politica è alta. La Nuova Via della Seta tra vantaggi … Il valore degli scambi bilaterali tra EAU e Cina hanno raggiunto i 52,7 miliardi di dollari statunitensi nel 2017, in crescita del 15% rispetto all’anno precedente. E il volume degli scambi, al di fuori del petrolio, è aumentato a 3,5 miliardi di dollari. … e rischi Ma ci sono ancora molte incertezze lungo la Nuova Via della Seta che, oltre alle tensioni politiche, includono il rallentamento dell’economia cinese. Quest’ultima potrebbe provocare un calo della domanda di prodotti petroliferi e petrolchimici ad esempio, aggravato tra l’altro dalle misure protezioniste imposte da Trump alla Cina.
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