BloGlobal Weekly N°8/2014

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N°8 – 9/15 MARZO 2014 ISSN: 2284-1024

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BloGlobal Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo Milano, 16 marzo 2014 ISSN: 2284-1024 A cura di: Davide Borsani Giuseppe Dentice Danilo Giordano Maria Serra

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Photo credits: The Associated Press, FOXBusiness, The Independent, FMLN USA, Hosam Turkia, Ariel Shalit, European Commission, External European Action Service, AFP, Getty Images.

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FOCUS ISRAELE ↴

Dal 12 marzo proseguono con regolarità una serie di lanci di razzi Qassam e Grad (all’incirca centotrenta secondo le fonti palestinesi, soltanto una settantina secondo le autorità di Tel Aviv) dal confine della Striscia di Gaza verso l’entroterra dello Stato ebraico, in particolar modo verso i centri abitati di Ashqelon, Sderot, Eshkol e del Negev. Il lancio di razzi sarebbe una reazione ad alcune operazioni condotte l’11 marzo dall’aviazione israeliana in cui sono stati uccisi tre miliziani della Jihad Islamica, gruppo estremista palestinese antagonista ad Hamas nella Striscia. In risposta al lancio di razzi, dunque, Israele ha reagito con una serie di bombardamenti aerei mirati, gli ultimi dei quali avvenuti nella notte tra il 13 e il 14 marzo, condotti contro sette siti nel sud e nel nord di Gaza. I siti colpiti sarebbero le basi logistiche delle Brigate di al-Qods e delle Brigate Ezzedine-al Qassam. Secondo un portavoce dell’IDF, «continueremo a rispondere all'aggressione che arriva da Gaza». Intanto i media israeliani riportano la notizia del dispiegamento del sistema di difesa antimissile Iron Dome da parte dell’esercito a Be’er Sheba e vicino Ashdod. Da ambo le parti, i rappresentanti locali non segnalano vittime né tra i civili, né tra i militari. Soltanto poche ore prima la Jihad Islamica aveva dichiarato attraverso il suo portavoce Daud Jihab, un «cessate il fuoco mediato dalle autorità egiziane […] in linea con gli accordi raggiunti nel 2012 al Cairo». Tuttavia né dall’Egitto, né da Israele erano giunte conferme ufficiali.

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Il Premier israeliano Benjamin Netanyahu ha promesso di «continuare a colpire coloro che vogliono farci del male» e ha lanciato un avvertimento agli islamisti spiegando che «se non ci sarà silenzio nel sud di Israele, presto ci sarà un rumore assordante a Gaza». Parole più dure sono giunte dal Ministro degli Esteri Avigdor Lieberman che ha affermato la necessità da parte di Israele di rioccupare nuovamente Gaza al fine di salvaguardare la sua sicurezza. Nel frattempo il Ministro della Difesa Moshe Ya’alon ha chiuso tutti i valichi di accesso a Gaza fino a nuovo ordine e ha richiamato un numero limitato di riservisti di supporto alla difesa aerea. Da Betlemme, invece, il Presidente dell'Autorità Nazionale Palestinese, Abu Mazen, impegnato in un incontro bilaterale con il Primo Ministro britannico David Cameron – quest’ultimo in visita ufficiale in Terra Santa dal 12 al 13 marzo «per sostenere il disegno di pace del Segretario Kerry» –, ha condannato il lancio di missili dalla striscia di Gaza e i raid dell'aviazione israeliana, richiamando Tel Aviv ad un maggior senso di responsabilità. Gli Stati Uniti nel condannare gli attacchi palestinesi hanno contestualmente chiesto a Tel Aviv di fermare la possibile escalation delle violenze: «Israele, come ogni Nazione, ha il diritto di difendersi», ha affermato in una nota un portavoce del Dipartimento di Stato. Nonostante in queste circostanze sia sempre difficile poter stabilire le colpevolezze di una o dell’altra parte, è bene tuttavia precisare che già poche settimane dopo la tregua del Cairo del novembre 2012 sono ripresi con una certa regolarità il lancio di razzi dalla Striscia di Gaza, e anche dal Sinai, verso i centri abitati del Negev e la città di Eilat, nell’estremo sud di Israele. Sono numerosi, dunque, i timori tra gli analisti di una nuova escalation militare che come nel novembre 2012 possa portare ad una possibile operazione sul modello di “Pilastro di Difesa”, così come non è da escludere un possibile ingresso dell'esercito israeliano nella Striscia di Gaza, assente dal territorio gazawi dal ritiro programmato del 2005. Come scrive Amos Harel dalle colonne di Haaretz, sebbene per «Netanyahu il fronte di Gaza è di secondaria importanza rispetto ad altri conflitti regionali», i maggiori problemi all’insicurezza di Israele potrebbero comunque giungere proprio dall’interno. Da un lato il senso di insicurezza provato dai suoi cittadini – specie quelli del sud che oggi come nel 2012 chiedono al governo una maggiore risolutezza nell’affrontare e risolvere definitivamente il problema Gaza –, dall’altro le tensioni con gli ambienti ultraortodossi della società – anche a seguito della discussa legge sul servizio militare obbligatorio per gli haredim – potrebbero spingere il governo israeliano a compiere alcune mosse sbagliate, radicalizzando ancor di più lo scontro con i Palestinesi e decretando una volta per tutte la fine del processo di pace rilanciato lo scorso anno dal Segretario di Stato USA John Kerry.

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UCRAINA ↴

L'incontro tra il Segretario di Stato USA John Kerry e del Ministro degli Esteri russo Serghej Lavrov, tenutosi a Londra il 14 marzo con lo scopo di trovare una soluzione condivisa all'attuale crisi in Ucraina, si è risolto con un sostanziale nulla di fatto. Troppo ampia resta la diversità di vedute tra Washington e Mosca: la prima non intenzionata a riconoscere l'esito del referendum che si svolgerà in Crimea il 16 marzo (dopo che il Parlamento della stessa Repubblica Autonoma l'11 marzo aveva adottato una dichiarazione di indipendenza) circa il proprio status e la propria annessione alla Russia; la seconda apparentemente non particolarmente preoccupata delle sanzioni economiche minacciate da Stati Uniti e Unione Europea e che, non da ultimo, ha posto nella giornata del 15 marzo il proprio veto alla bozza di Risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sulla legittimità del voto referendario. I 13 voti a favore del documento presentato dagli USA all'ONU danno tuttavia la dimensione di una Russia e di un Putin lasciato sempre più solo nell'arena ucraina, soprattutto se si considera anche l'astensione della Cina. Fallita pertanto la soluzione diplomatica, e pressoché scontato l'esito della consultazione nella piccola penisola, sembrano dunque farsi concrete le misure concordate dai Paesi UE il 12 marzo e che saranno sottoposte al Consiglio degli Affari Esteri di lunedì 17: restrizioni sugli ingressi e sulle uscite e congelamento degli asset finanziari per coloro che minacciano e violano l'integrità, la sovranità e l'indipendenza dell'Ucraina. Misure che dovrebbero entrare in vigore di concerto con gli stessi Stati Uniti, Svizzera, Canada, Giappone e Turchia, dopo averne individuato gli effettivi destinatari. I Paesi del G7 sarebbero inoltre pronti ad espellere Mosca dal consesso internazionale, dopo aver già difatti spostato la sede dell'incontro previsto per il prossimo mese di giugno da Sochi a Londra. Al termine di un tour del neo Premier

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ucraino Arseniy Yatsenyuk in Europa e negli USA, Bruxelles ha peraltro annunciato l'imminente firma (21 marzo) della parte politica dell'Accordo di Associazione e di Stabilizzazione (la cui sospensione in novembre aveva scatenato la prima ondata di proteste popolari), mentre quella economica verrà finalizzata più avanti. La risposta della Russia, che ha definito le misure prospettate dai Paesi occidentali "controproducenti" per loro stessi a causa delle profonde interconnessioni economiche con la stessa Mosca, si è nel corso della settimana prevalentemente sviluppata a livello militare: nuove esercitazioni militari sono state avviate non solo al confine con l'Ucraina - nelle regioni di Rostov, Belgorod e Kursk, che vedrebbero impiegati almeno 8mila soldati oltre agli 80mila già dispiegati nelle aree transfrontaliere - ma anche sulle isole della Nuova Siberia, dove è stata simulata la conquista dell'area aeroportuale di Kotenly. Ufficialmente pianificate nel 2013 e successivamente rinviate per avverse condizioni meteorologiche, sono con l'occasione iniziate le esercitazioni congiunte di USA, Romania e Bulgaria nel Mar Nero con lo scopo di «rafforzare la compatibilità operativa delle forze navali dei Paesi della NATO». Aerei di ricognizione Awacs dell'Alleanza Atlantica, partiti da basi tedesche e del Regno Unito, hanno sorvolato nella giornata del 10 marzo i cieli di Polonia a Romania su richiesta della stessa Varsavia sulla base dell'articolo 4 del Trattato NATO («Le Parti si consulteranno quando, secondo il giudizio di una di esse, ritengano che l'integrità territoriale, l'indipendenza politica o la sicurezza»). Dal canto suo, il 13 marzo il governo di Kiev ha annunciato la creazione di una Guardia Nazionale, un nuovo corpo militare formato da forze che rispondono già al Ministero degli Interni e da quanti, tra i volontari, hanno dichiarato la propria disponibilità ad arruolarsi, per un totale di circa 70mila uomini. Mentre il neo Ministro della Difesa ucraino Volodymyr Zamana ha annunciato il respingimento di un tentativo russo di infiltrarsi nelle aree orientali della Crimea, lungo l'Arbatskaya Steelka, nella regione di Kherson, è di due morti, 5 feriti e almeno 30 arresti il bilancio degli scontri tra filorussi e militanti di estrema destra avvenuti il 15 marzo a Kharkiv, nell'Ucraina orientale, dopo che alcuni giorni prima se ne erano verificati altri a Donetsk. E sempre il 15 marzo alcune migliaia di manifestanti regolarmente autorizzati sono scesi nelle strade di Mosca per protestare contro la scelta di Putin di proseguire sulla strada di un braccio di ferro nella questione ucraina: oltre all'isolamento diplomatico e al fattore economico (i principali indici della borsa moscovita, il Micex e l’Rts, stanno pesantemente risentendo della crisi), a creare più di qualche capo per il Presidente russo potrebbe essere un nuovo fronte di opposizione interna.

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YEMEN ↴

Il bilancio finale dell’attacco sferrato dai ribelli Houthi ai danni di un convoglio militare, nell'area di Hamdan ad ovest della capitale Sana'a, è di quattro soldati uccisi e cinque feriti. L'attentato, avvenuto il 16 marzo, è solo l'ultimo di una lunga serie dovuti alle lotte tribali in corso tra i sunniti Hamdan e gli sciiti Houthi: i secondi stanno cercando di insediarsi nelle aree attorno alla capitale yemenita che i primi cercano invece di difendere. Soltanto questa settimana 40 persone sono state uccise negli scontri tribali: l’escalation ha costretto l'esercito yemenita, conscio dei piani strategici degli Houthi, a rafforzare il dispiegamento di truppe a nord e ad ovest della capitale. I belligeranti fedeli alla tribù sciita degli Houthi, che hanno avversato le politiche del governo centrale sin dal 2004, stanno cercando di imporre la propria legge sul nord dello Yemen, proprio mentre il Paese si sta avviando verso una riforma in senso federalista del sistema di governo. Il 10 febbraio scorso, alla vigilia dell’anniversario della rivolta popolare che ha portato alle dimissioni dell’ex Presidente, Ali Abdullah Saleh, e all’avvio di un processo di riconciliazione nazionale tra le varie forze politiche, il Capo di Stato Abd Rabbuh Mansour al-Hadi, alla guida di un comitato composto dai rappresentanti dei partiti e della società civile, ha ufficialmente approvato una soluzione federale a sei Stati come futuro sistema amministrativo del Paese. Le nuove regioni in cui è stato scomposto il Paese sono: Hadramout, Saba, Aden, al-Janad e Azal (dove si concentra l’alveare della ribellione degli 5


Houthi) e al-Hodeida. La capitale Sana’a avrà uno statuto a sé, garantito dalla Costituzione, per tutelarne l’indipendenza e l’imparzialità. La riforma approvata dal governo rappresenta l’estremo tentativo del Presidente yemenita di sconfiggere, tanto nel nord quanto nel sud, le sacche di ribellione interne, messe a tacere durante il regime di Saleh, che mirano a dividere nuovamente in due il Paese, riconciliatosi nel 1990 dopo anni di guerre. Il timore che una federazione a due possa fomentare ulteriormente le spinte indipendentiste, ha fatto propendere a favore della suddivisione in sei Stati federali, ritenuta più efficace per venire incontro alle richieste di autonomia attraverso una decentralizzazione dei poteri amministrativi. Il futuro del Paese resta molto incerto e non è sicuro che la strada del nuovo Yemen federato sarà priva di ostacoli: oltre ai movimenti separatisti del sud e ai focolai di ribellione del nord, che ritengono il nuovo sistema portatore esclusivamente di una divisione tra regioni ricche e regioni povere, il conflitto latente tra sunniti e sciiti, esemplificato dalla crisi siriana, l’attività di al-Qaeda nella Penisola Arabica (AQAP) e dei movimenti jihadisti rappresentano infatti pericolose variabili che potrebbero mettere a repentaglio il processo di stabilizzazione del Paese sul piano istituzionale e della sicurezza. È del 14 marzo la notizia che un attivista pro-secessione, Mubarak al-Awlaki, è stato ucciso dalle forze di sicurezza penetrate nella sua abitazione di Mansoura, sobborgo situato nelle vicinanze di Aden. L’operazione segreta è avvenuta il giorno dopo uno “scambio di prigionieri” tra governo e ribelli: 35 soldati dell’esercito regolare, rapiti dalle milizie durante i conflitti nella regione di alDhalea, sono stati scambiati con 40 pro-secessionisti imprigionati dall’esercito. La situazione di incertezza del Paese preoccupa molto sia gli Stati del Golfo che gli Stati Uniti: lo Yemen condivide un lungo confine con l’Arabia Saudita, principale fornitore mondiale di petrolio, e le sue coste sul Mar Rosso e il Golfo di Aden rappresentano una importante testa di ponte per molte navi. Lo Yemen rappresenta, però, un fondamentale punto strategico anche per la “guerra al terrore” degli Stati Uniti: è proprio in questo Paese, oltre che in Somalia e Pakistan, che si sono concentrate le uccisioni mirate statunitensi di leader islamici, attraverso l’utilizzo dei droni. In questi giorni il Consiglio dei Diritti Umani dell’ONU, il cui relatore Ben Emmerson, ha pubblicato l’annuale Report sulle vittime civili nei conflitti e ha sottolineato l’incremento degli attacchi dei droni in Yemen durante il 2013 e l’aumento di morti civili. Proprio a dicembre si è verificato l’errore più eclatante: 12 persone, facenti parte di un corteo nuziale, sono state scambiate per terroristi ed uccise per errore. Nel frattempo cominciano a levarsi, come sta succedendo in Pakistan, le prime proteste per queste uccisioni “dall’alto”, ritenute un attacco diretto alla sovranità del Paese. È un altro problema che si aggiunge alla lunga lista di criticità che il Paese deve risolvere se vuole acquisire pace e stabilità interna.

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BREVI COLOMBIA, 9-10 MARZO ↴ Le elezioni legislative si sono confermate una vittoria annunciata per la coalizione di centro-destra Unidad Nacional dell’attuale Presidente Juan Manuel Santos e banco di prova per le più importanti presidenziali del prossimo 25 maggio. Secondo i primi conteggi, le forze governative hanno conquistato la maggioranza sia al Senato sia al Congresso. Seconda forza è quella del gruppo conservatore Céntro Democratico vicino all’ex Presidente Alvaro Uribe – che ha conquistato un seggio al Senato –, diventando così il maggior partito di opposizione. Un’affermazione, questa, che potrebbe avere un peso anche nelle trattative di pace con i ribelli delle Forze Armate Rivoluzionarie di Colombia (FARC): queste sono in corso dal 2012 sotto la supervisione di Cuba, Venezuela, Cile e Norvegia e potrebbero porre fine ad un conflitto armato che ha provocato diverse migliaia di morti negli ultimi cinquanta anni. Uribe è sempre stato contrario ad una qualsiasi risoluzione pacifica con le FARC e per questo motivo conduce da mesi una dura campagna mediatica contro il governo e in particolare contro l’ex alleato Santos accusandolo di aver svenduto la «dignità delle autorità» e di offrire una «totale impunità per i loro crimini ai guerriglieri». Allo stato attuale, le trattative si sono tradotte in alcuni accordi di massima (in particolare in materia di sviluppo rurale e di partecipazione politica per i partiti di minoranza) che dovrebbe portare entro la fine del 2014 ad un’approvazione dell’intesa tra le parti attraverso un referendum popolare del quale tuttavia ancora non è stata fissata ancora una data certa. Intanto nella settimana elettorale del Paese sudamericano si è registrato un attentato da parte delle FARC. Secondo le ricostruzioni delle forze di polizia locali, quattro militari dell’esercito regolare colombiano sono rimasti uccisi in un attacco di un commando armato nel dipartimento amazzonico di Caqueta, verso il confine ecuadoriano e brasiliano. Pur non essendo stata accertata la pista dei ribelli colombiani, la stampa nazionale avrebbe individuato gli autori dell’attacco nella squadriglia 15 delle FARC che operano nella regione.

EGITTO, 12 MARZO ↴ Una bomba è esplosa nella notte tra l'11 e il 12 marzo sul ponte al-Gamaa, nei pressi dell'Ambasciata israeliana del Cairo: la deflagrazione ha tuttavia distrutto solo due auto, non provocando nessun ferito. Gli uffici della sede diplomatica israeliana erano ad ogni modo vuoti dal settembre 2011, quando fu assaltata da centinaia di manifestanti egiziani. Nessuna rivendicazione è stata fatta, anche se la pista più accreditata 7


sarebbe quella di Hamas, o di gruppi vicini ad esso, a seguito della recente messa al bando. Intanto, in attesa che il Presidente Adly Mansour annunci ufficialmente la data definitiva delle elezioni, il potenziale candidato e concorrente di al-Sisi, l'ex Capo di Stato Maggiore Sami Anan, ha dichiarato di essere scampato ad un agguato di un gruppo di uomini non identificati che a bordo di un'auto avrebbero sparato contro di lui. Nei giorni scorsi si era peraltro diffusa la notizia di un possibile attentato che gruppi appartenenti alla galassia della Fratellanza Musulmana starebbero ordendo ai danni dello stesso al-Sisi: come riportato dal giornale degli Emirati Arabi Uniti (dove peraltro al-Sisi si è recato in settimana) al-Bayan, fonti dell'intelligence russa ed egiziana avrebbero le prove di un piano di attacco con missili - guidati da satelliti - diretti nel centro del Cairo e in altri punti del Paese che dovrebbero colpire il Feldmaresciallo e altri esponenti delle Forze Armate egiziane.

EL SALVADOR, 13 MARZO ↴ Dopo giorni di tensioni e incertezza a seguito del pareggio tecnico nel secondo turno delle attese consultazioni presidenziali nel Paese centramericano,

il

Tribunale

Supremo

Elettorale

(TSE)

avrebbe fornito un responso ufficioso assegnando la vittoria a Salvador Sánchez Cérén. L’attuale vice Presidente di Mauricio Funes Cartagena e candidato della sinistra del Fronte Farabundo Marti per la Liberazione Nazionale (FMLN) si è imposto con un risicato 50,11% su Norman Quijano, ex sindaco della capitale e rappresentante della destra conservatrice dell'Alleanza Repubblicana Nazionalista (ARENA). Secondo i risultati preliminari la differenza tra i due candidati è stata soltanto di 6.364 voti, in un’elezione caratterizzata dall’alta astensione (circa 2 milioni i non votanti). Nonostante al ballottaggio Quijano potesse contare sui voti dell’ex Presidente Elìas Antonio Saca – il quale ha corso come indipendente in queste elezioni – il candidato di ARENA ha ottenuto il 49,89% delle preferenze. L’ex sindaco di San Salvador ha denunciato pubblicamente «brogli di tipo “chavista” e “Madurista”» che avrebbero inficiato il risultato finale e ha chiesto nuove elezioni dopo che il TSE ha negato la sua richiesta di un riconteggio dei voti. Il Tribunale dovrà comunque aspettare ancora alcuni giorni prima di proclamare ufficialmente il vincitore in attesa di eventuali ricorsi. Se i risultati verranno confermati, l’ex comandante della guerra civile salvadoregna (1979-1992) sarebbe il primo ribelle ad assumere la più alta carica dello Stato. Le principali sfide che attendono il neo-Presidente sono molteplici: dalla lotta alla criminalità organizzata e alla micro-criminalità delle gang di strada (le mara) alla riduzione delle condizioni di povertà che affligge

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ancora il 40% dei salvadoregni, passando per un rilancio dell’economia, ancora troppo dipendente dalle rimesse estere (pari al 16% del PIL).

IRAN, 9 MARZO ↴ L’Alto

Rappresentante

per

la

Politica

Estera

dell’Unione Europea, Catherine Ashton, si è recata in visita a Teheran, dove ha incontrato il Ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif. Scopo della visita era quello di continuare il dialogo con l’Iran, proseguendo la via della riconciliazione dopo l’accordo preliminare sul nucleare iraniano raggiunto a Ginevra nel novembre scorso. La Ashton ha affermato che «non c'è garanzia di successo dei colloqui» e della firma di un accordo definitivo e globale, che costituisce invece «il nostro scopo». L’Alto Rappresentante ha aggiunto «che con il sostegno del popolo iraniano e il lavoro che le due parti stanno svolgendo, speriamo di raggiungere un accordo». Come già accaduto nei mesi scorsi, più fiducioso si è mostrato Zarif, che ha sottolineato la “determinazione” di Teheran a portare a compimento il processo diplomatico già intrapreso, sostenendo che un accordo definitivo possa essere raggiunto dal suo Paese con il gruppo 5+1 (i cinque membri del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, più la Germania) in meno di un anno, per la precisione «quattro o cinque mesi». Il prossimo appuntamento è già stato fissato per lunedì 17 marzo a Vienna, dove si riuniranno le delegazioni del G5+1 per esplorare la possibilità di giungere infine ad un accordo onnicomprensivo in grado di soddisfare ciascuna parte in gioco. Secondo il portavoce della Ashton, il nuovo round dei colloqui nella capitale austriaca dovrebbero durare per un paio di giorni.

LIBIA, 11 MARZO ↴ Il Congresso Generale Nazionale, la massima autorità della Libia, ha lanciato un ultimatum alle milizie che dall’estate scorsa bloccano i porti e i terminal nazionali, impedendo di fatto l’esportazione da parte di Tripoli di materie prime, centrali per alimentare la crescita economica del Paese. L’ultimatum è stato reso pubblico dallo Speaker del Congresso Generale, nonché Capo delle Forze Armate, Nuri Abu Sahmain, il quale ha anche affermato che, in caso di mancato rispetto, verrà utilizzata la forza militare. Proprio Abu Sahmain, nella scorsa settimana, aveva annunciato l’istituzione di un gruppo paramilitare affiliato al governo, affiancato da alcune unità dell’esercito libico, con l’obiettivo dichiarato di garantire l’ordine e la protezione delle strutture petrolifere

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e delle altre infrastrutture volte a incanalare l’export. Con tale provvedimento, Tripoli cerca anche di porre fine all’autonomia dell’est del Paese, che sta attualmente gestendo le esportazioni di petrolio per conto proprio, indispettendo evidentemente l’autorità centrale, che vede così venir meno la principale fonte di profitto. L’instabilità ed il disordine in Libia, d’altronde, ha fatto calare l’export di barili di petrolio dal milione e duecentomila unità ad un paio di esigue centinaia di migliaia. Anche il Primo Ministro libico, Ali Zeidan, ha alzato bandiera bianca e, dopo essere stato sfiduciato dal Parlamento, è fuggito in Germania. In realtà, le autorità giudiziarie nazionali avevano bloccato l’espatrio di Zeidan, ma il provvedimento era stato pubblicato solo dopo che il Premier si era già imbarcato sul volo per l’Europa. Da ricordare che Zeidan, che ha anche la cittadinanza tedesca, era stato sequestrato per alcune ore da alcuni miliziani già nell’ottobre scorso.

NIGERIA, 14 MARZO ↴ Alcuni militanti di Boko Haram hanno attaccato una caserma dell’esercito nella città di Maiduguri, capitale dello Stato di Borno, nel nord-est del Paese. Secondo alcuni testimoni, uomini armati sarebbero entrati in città sparando all’impazzata, per poi dirigersi verso l’edificio militare chiamato Giwa, dove sarebbero detenuti numerosi militanti di Boko Haram, dando vita ad un duro scontro con i militari nigeriani, protrattosi per più di due ore. Maiduguri è storicamente la roccaforte di Boko Haram, gruppo che si batte per imporre la sharia non solo nel nord a maggioranza musulmana, ma anche nel sud per lo più cristiano della Nigeria. A Borno e in altre regioni del nord-est è in vigore dallo scorso anno uno stato di emergenza, che non ha però consentito di ridurre né il numero né la gravità delle violenze e degli attentati rivendicati dagli islamisti. Il Ministro degli Interni, Abba Moro, ha annunciato lo scorso 13 marzo la messa in atto di un piano di sorveglianza aerea alla frontiere nord-orientali del Paese, con lo scopo di lottare contro l’insicurezza, dove predominano i militanti islamisti di Boko Haram. Differenti le dinamiche delle stragi avvenute martedì sera nello Stato di Katsina, nell’estremo Nord a maggioranza musulmana della Nigeria. Uomini armati, di etnia Fulani, hanno assaltato le comunità di contadini di Mararrabar Maigora, Kura Mota e Unguwar Rimi. Stando alla versione fornita da un deputato originario della zona, Abbas Abdullahi Michika, le vittime sono state almeno 69. Un responsabile della polizia locale, Hurdi Mohammed, ha invece riferito di 30 morti. In Nigeria il controllo dei pascoli e delle terre coltivabili alimenta storicamente conflitti tra comunità di pastori e contadini, nel caso dello Stato di Katsina tutte prevalentemente di religione musulmana.

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SOMALIA, 14 MARZO ↴ L’Esercito Nazionale Somalo (SNA) e la Missione dell’Unione Africana in Somalia (AMISOM) hanno dichiarato di aver riconquistato l’importante città di Buula Burde, nella regione di Hiraan, sottraendola alle milizie al-Shabaab, il gruppo islamista fortemente legato ad al-Qaeda. La città di Buula Burde rappresentava un importante centro di rifornimento strategico per i militanti di al-Shabaab, molti dei quali risiedevano proprio nelle vicinanze. Con la conquista di Buula Burde sono sei le città della regione di Hiraan (tra le quali Rabdhure, Ted, Hudur e la capitale Bakool) sottratte dal governo centrale agli Shabaab, nell’ambito di un piano di riconquista che sta rappresentando il maggior successo compiuto dalle forze regionali contro i militanti islamisti sin dal 2012, quando i militari kenyani aiutarono i somali nel riprendere il controllo del porto di Chisimaio. Secondo fonti affidabili, in molti casi i ribelli di al-Shabaab hanno preferito darsi alla fuga piuttosto che affrontare lo scontro con i militari, limitandosi poi semplicemente a sollecitare la popolazione a sollevarsi contro la presenza di truppe straniere sul proprio territorio. La prossima tappa della reconquista potrebbe essere la regione di Gelo, situata al confine con Etiopia e Kenya, dove le truppe di AMISOM hanno già riconquistato diversi territori. Ciò che molti analisti sottolineano è la mancanza di un disegno globale: molte aree sono state liberate dagli Shabaab ma senza mettere in campo un’adeguata strategia a lungo termine e ciò provoca un vuoto di potere nel quale hanno gioco facile i clan tribali. Proprio la riconquista di Chisimaio del 2012 rappresenta un precedente da cui trarre insegnamento. Dopo la ritirata degli Shabaab il governo non riuscì ad evitare che attorno alla città si scatenasse una lotta un leader sostenuto dal Kenya e altri leader locali: cinque diversi signori locali reclamarono la sovranità di un nuovo stato formato attorno alla regione di Chisimaio.

STATI UNITI, 10-14 MARZO ↴ Si è concluso il quarto round dei negoziati tra Stati Uniti e Unione Europea per l’area di libero scambio denominata Transatlantic Trade and Investment Partnership. Il capo negoziatore europeo, Ignacio Garcia Bercero, al fianco della controparte statunitense, Dan Mullaney, ha annunciato che questo round era volto ad analizzare come alle piccolemedie imprese potessero essere garantiti vantaggi diffusi. Bercero ha affermato che il capitolo sulle PMI costituisce una priorità per l’Unione Europea, «ciò mostra quanto prendiamo sul serio la situazione. Le piccole imprese danno lavoro la maggior parte delle persone sia in Europa che negli Stati Uniti e corrispondono a circa due terzi

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dell’occupazione europea per quanto concerne il settore privato. Sono la spina dorsale della nostra economia e la TTIP permetterà loro di espandersi, creando posti di lavoro e crescita su ambo le sponde dell’Atlantico». I negoziati si sono poi concentrati anche su altri argomenti, non certo secondari, come i dazi doganali e l’interscambio dei servizi, la compatibilità dei diversi ordinamenti giuridici, le barriere tecniche (incluse quelle sanitarie), l’impatto ambientale ed energetico di un eventuale accordo, e la semplificazione legislativa. Entrambe le delegazioni si sono impegnate nuovamente a proseguire i negoziati per tutto il 2014, fissando così il prossimo appuntamento a Washington. La data esatta ancora non è stata definita, ma si presume prima dell’estate.

TURCHIA, 5 MARZO ↴ La morte di Berkin Elvan, il quindicenne colpito accidentalmente da un lacrimogeno della polizia lo scorso 16 giugno durante le manifestazioni di Gezi Park e rimasto in coma per nove mesi, ha scatenato una nuova ondata di proteste antigovernative ad Istanbul, a Kizilay (quartiere centrale di Ankara) e nelle maggiori città del Paese, costringendo la polizia anti-sommossa ad utilizzare cannoni ad acqua. È di due morti – un poliziotto stroncato da un infarto a Tunceli (nel sud della Turchia) durante un uso massiccio di gas lacrimogeni e un giovane coinvolto in una rissa tra sostenitori e oppositori del governo - e almeno 40 feriti il bilancio dei nuovi disordini. Sono almeno 150 gli arresti effettuati dalle forze di sicurezza a Smirne, Adana, Denizli, Kocaeli e Bursa. Ad Istabul, inoltre, nel distretto di Sisli, un gruppo di manifestanti ha preso d'assalto una sede locale di AKP, sempre più in crisi di consensi – anche a causa del recente scandalo intercettazioni che ha ora direttamente coinvolto Erdoğan - in vista delle elezioni amministrative del 30 marzo.

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ALTRE DAL MONDO AFGHANISTAN, 12 MARZO ↴ Tre attivisti impegnati nella campagna elettorale del candidato presidenziale Abdullah Abdullah sono stati uccisi da alcuni miliziani armati nella provincia settentrionale di Faryab. I tre tornavano dai funerali a Kabul del vice Presidente afghano Mohammad Qasim Fahim. CINA, 14 MARZO ↴ Tre persone sono morte nell'attacco di un gruppo di uomini armati di coltello a Changsha, nello Hunnan, nella Cina centrale. Pur ricordando nelle modalità la strage di Kunming del 1° marzo, viene tuttavia esclusa la pista terroristica. COREA DEL NORD, 9 MARZO ↴ Si sono tenute le elezioni per la Suprema Assemblea del Popolo, il Parlamento nazionale: il Presidente Kim Jong-un è stato eletto con il 99,97% dei voti nel proprio collegio di riferimento, il Monte Paekdu. Si è trattato delle prime elezioni dell’organismo dopo la morte di Kim Jong-il nel 2012. INDIA, 11 MARZO ↴ 16 soldati indiani sono stati uccisi in un agguato della guerriglia maoista-naxalista nel distretto di Jagdalpur, nello Stato di Chhattisgarh, nell’India centrale. Altri 15 militari sono rimasti feriti. Il Ministro dell'Interno Sushilkumar Shinde ha garantito il regolare svolgimento delle elezioni legislative che si svolgeranno in nove fasi, dal 7 aprile al 12 maggio. MALI, 14 MARZO ↴ Omar Ould Hamaha, detto il “barbarossa”, esponente del Movimento per l'Unicità e la Jihad nell'Africa Occidentale (MUJAO, legato ad al-Qaeda nel Maghreb Islamico), sarebbe stato ucciso in un raid dell’aviazione francese impegnata in operazioni di counter-terrorism nel Sahel. MOLDAVIA, 14 MARZO ↴ Approvando gli emendamenti posti dal Parlamento europeo lo scorso 27 febbraio, e facendo seguito alla recente firma dell’accordo di Associazione, il Consiglio dell’Unione europea ha approvato la liberalizzazione dei visti per i cittadini moldavi all’interno dell’area di Schengen. La misura sarà in vigore dai primi di maggio 2014.

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PAKISTAN, 14 MARZO ↴ La Corte Speciale di Islamabad ha emesso un mandato di arresto per l’ex Presidente Pervez Musharraf, sotto processo con l’accusa di alto tradimento, dopo essersi rifiutato di presentarsi in Tribunale. L’ordinanza avrà effetto dal 31 di marzo. SLOVACCHIA, 15 MARZO ↴ Secondo i dati ufficiosi rilasciati dalla Commissione Elettorale centrale, il Premier socialdemocratico Robert Fico ha ottenuto il 28% dei voti e sfiderà Andrej Kiska – attestatosi al 24% - al ballottaggio per la presidenza della Repubblica del prossimo 29 marzo. L’affluenza alle urne è stata del 43,45%, la più bassa nella storia delle elezioni dirette in vigore dal 1999. SUD SUDAN, 13 MARZO ↴ L’Autorità Intergovernativa per lo Sviluppo (IGAD), incaricata di seguire i colloqui di pace in Sud Sudan, ha annunciato il dispiegamento di un nuovo contingente formato da forze provenienti da Etiopia, Kenya, Ruanda e Burundi con lo scopo di monitorare il mantenimento dell’accordo di pace. VENEZUELA, 13 MARZO ↴ Ancora disordini a Caracas e nelle principali città del Paese: è di 3 morti il bilancio degli scontri tra manifestanti anti-governativi e forze di sicurezza, portando così a 28 il numero delle vittime dall’inizio delle proteste.

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ANALISI E COMMENTI CINA E TAIWAN: LE RELAZIONI PERICOLOSE IN CERCA DI EQUILIBRIO GUIDO TRAVAGLIANTI ↴ Se in diplomazia la forma è sostanza, il vertice di governo dello scorso mese (11-14 febbraio) tra la Cina Popolare e “l’isola ribelle” di Taiwan, svoltosi nella città simbolo di Nanchino (antica capitale del governo nazionalista istituito nel 1928 sulla base delle idee di Sun Yat-sen, fondatore del Kuomintang, padre della Cina moderna e tumulato proprio a Nanchino) ha avuto un alto valore simbolico, in quanto primo incontro ufficiale tra Pechino e Taipei dal 1949, anno di fondazione della Repubblica Popolare Cinese. Le cariche politiche riunitesi a Nanchino sono state il cinese Zhang Zhijun, con il grado di Ministro dell’Ufficio per gli Affari taiwanesi della Repubblica Popolare Cinese, e il taiwanese Wang Yu-chi, con l’incarico di Direttore del Consiglio per gli Affari continentali di Taiwan (…) SEGUE >>>

UCRAINA: DA TERRENO DI SCONTRO A PONTE IDEALE TRA OCCIDENTE E RUSSIA GEN. VINCENZO CAMPORINI ↴ Stiamo vivendo giornate convulse ed altre ne vivremo nelle prossime settimane, perché la questione ucraina è destinata a diventare uno spartiacque storico oppure un vistoso ostacolo, superato il quale si aprono nuovi orizzonti. Nonostante le apparenze, le azioni di Putin si spiegano come una difesa estrema di una visione geopolitica, come il tentativo di salvaguardare un ruolo di potenza egemonica globale, secondo criteri che in un Occidente post-moderno si ritengono relegati ai libri di storia. La Russia di Putin non è solo l’erede concettuale dell’Unione Sovietica e continua ad essere il Paese più grande del mondo, in termini di superficie, che non vuole essere ridotto al ruolo di comprimario, schiacciato ad occidente e ad oriente da potenze che non riuscirà mai a percepire come amiche, anche perché consapevole delle sue insuperabili debolezze strutturali, dalla demografia al fatiscente quadro industriale, che non consentono alla dirigenza di Mosca di guardare con ottimismo alle decadi future (…) SEGUE >>>

TRA STRATEGIA E IDENTITÀ: L’ASSE ITALO-TURCO NEL MEDITERRANEO FILIPPO URBINATI ↴ La visita di Stato del Presidente della Repubblica turca Abdullah Gül a Roma lo scorso mese di gennaio non ha avuto una grande eco nei media dei due Paesi complici le vicende interne di entrambi e la pressoché contemporanea visita del Primo Ministro Recep Tayyip Edoğan a Teheran. Nonostante ciò, e nonostante la clamorosa rinuncia di Ankara all’Expo di Milano 2015, il rapporto tra Turchia e Italia è molto più profondo di quanto un’analisi frettolosa potrebbe portare a pensare. Spesso sottotraccia, la relazione tra i due Paesi ha radici assai profonde che prendono le mosse dagli intensi 15


scambi commerciali, e culturali, intercorsi per secoli tra l’allora Impero Ottomano e le principali città italiane con le Repubbliche Marinare di Genova e Venezia a fare da apripista sin dalla fine del XIV Secolo (…) SEGUE >>>

LA NUOVA DEFENSE REVIEW DEGLI USA: EGEMONI GLOBALI IN TEMPI DI AUSTERITY? DAVIDE BORSANI ↴ In una fase storica in cui il multipolarismo pare ormai essersi affermato nel quadro delle relazioni internazionali, l’evidente necessità post-crisi finanziaria di perseguire un ridimensionamento strategico da parte di quella che fino a quindici anni fa era ancora identificata come l’hyperpuissance statunitense (per usare un’espressione coniata dal Ministro degli Esteri francese, Hubert Védrine) ha aperto inevitabilmente finestre di opportunità per i vari competitor statuali nei numerosi teatri regionali in sostituzione, o quantomeno in compensazione, della decrescente influenza americana. È all’interno di questo framework che il Pentagono ha pubblicato ad inizio marzo la nuova Quadriennial Defense Review (QDR), con il dichiarato fine di ottimizzare le capacità difensive e di proiezione della propria potenza (…) SEGUE >>>

A cura di OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE Ente di ricerca di “BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO” Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale C.F. 98099880787 www.bloglobal.net

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