OPI Weekly Report N°4/2017

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N°4, 5-11 FEBBRAIO 2017 ISSN: 2284-1024

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Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo Milano, 12 febbraio 2017 ISSN: 2284-1024 A cura di: Giulia Bernardi Oleksiy Bondarenko Davide Borsani Alessandro Costolino Giuseppe Dentice Antonella Roberta La Fortezza Fabio Rondini Maria Serra

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Photo Credits: Getty Images; AP Photos/Massoud Hossaini; Thomas Coex/AFP; AFP; Khalil Ashawi/Reuters.


FOCUS SIRIA-IRAQ ↴

In attesa dei colloqui di pace in programma a Ginevra il prossimo 20 febbraio, e forte di quello che si configura un successo diplomatico ottenuto ad Astana gli scorsi 2324 gennaio, la Russia ha ripreso con vigore la campagna aerea nel nord della Siria a sostegno delle forze di Damasco, nella provincia di Aleppo e a Deir ez-Zor, dove dai primi di gennaio lo Stato Islamico (IS) ha avviato una vasta offensiva per assicurarsi il controllo di un teatro operativo nevralgico a cavallo di Raqqa e Palmira, nonché strategico per le azioni da e verso l’Iraq. Secondo quanto dichiarato dal Generale Sergej Rudskoy, capo della gestione operativa dello Stato Maggiore delle Forze Armate russe, la distruzione di almeno 34 postazioni dei miliziani di al-Baghdadi avrebbe consentito alle forze governative di spezzare l’accerchiamento – in particolare intorno alla zona dell’aeroporto – e di migliorare in modo significativo le proprie posizioni, avanzando verso la zona di Palmira. Altri 892 obiettivi del Califfato sarebbero stati colpiti e distrutti intorno ad al-Bab, dove i raid russi avrebbero consentito tra l’8 e il 9 febbraio sia la ripresa del villaggio di Touman – a sud del centro e crocevia essenziale per i rifornimenti dell’IS dai territori meridionali – da parte del regime siriano sia la conquista di alcune alture circostanti da parte dell’esercito turco appoggiato dagli alleati ribelli del Free Syrian Army (FSA) nell’ambito dell’Operazione “Euphrates Shield”. Stretta a nord dalle forze turche e a sud da quelle siriane, la caduta di al-Bab – dove tuttavia restano ancora asserragliati almeno 2.500 jihadisti dello Stato Islamico – dovrebbe essere questione di pochi giorni, ma apre allo stesso tempo interrogativi sul futuro

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del controllo della città – laddove si configura una competizione tra Siria e Turchia, con quest’ultima decisa a securitizzare il proprio confine e ad impedire la formazione di un’entità statuale curda – e dunque sulla capacità della stessa Russia di continuare ad assurgere al ruolo di coordinatore delle azioni esterne e di garante del processo di pacificazione. A sostegno di tale tesi si pongono per un verso le dichiarazioni dei vertici dello stesso FSA circa la probabilità di uno scontro con le truppe damascane se queste si avvicineranno troppo alle posizioni settentrionali della città e, per l’altro, dalla possibilità che l’abbattimento di un’unità turca da parte di un aereo russo nelle operazioni su al-Bab (9 febbraio) non sia stato un errore ma un deliberato tentativo del Cremlino di tenere ancora separate – almeno fino a che il quadro negoziale non sarà più chiaro – le forze turche da quelle siriane e di evitare così di dover effettuare una scelta di parte. In ogni caso al momento l’incidente di al-Bab ha fatto sì che Vladimir Putin e Recep Tayyip Erdoğan abbiano concordato sulla necessità di rafforzare il coordinamento, in particolare nello scambio di dati di intelligence nella lotta contro l’IS.

SITUAZIONE MILITARE SUL CAMPO AD AL-BAB (UPDATE AL 4 FEBBRAIO 2017 – FONTE: SOUTHFRONT.ORG

Allo stesso tempo la strategia di Mosca di garantire la permanenza di Bashar al-Assad, di intaccare il ruolo statunitense nell’area e dunque di riuscire a far funzionare lo schema di alleanze a lei più favorevole, sembra essere orientata a indebolire militarmente i gruppi dell’opposizione moderata e a indurli a cooperare: emblematici in tal senso sono gli attacchi condotti contro di essi nella provincia di Idlib tra il 6 e il 9 febbraio; operazione a cui si sommerebbe il presunto invio al governo siriano di cinquanta missili balistici a corto raggio SS-21 “Scarab”, fornitura che, se confermata, si configurerebbe come il più importante accordo militare tra i due Paesi e che ha la capacità di variare significativamente il piano bellico. 2


In questo contesto, la strategia americana sembra essere attendista, proiettata a valutare eventuali passi falsi degli attori coinvolti e a valutare la concretezza della collaborazione con la Russia sul piano della lotta al terrorismo, nonché concentrata sulle operazioni nella stessa provincia di Idlib contro le formazioni qaediste. Il Pentagono ha dichiarato che nella prima settimana di febbraio sono stati uccisi almeno 11 miliziani di al-Qaeda, tra cui figurerebbe anche Abu Hani al-Masri: leader di al-Qaeda e al cui rafforzamento ha largamente contribuito tra gli anni Ottanta e Novanta grazie alle operazioni di reclutamento e addestramento in Afghanistan e negli altri scenari di crisi, oltre che tra i fondatori di Jihad Islamica Egiziana (JIE), al-Masri era stato identificato come capo militare di alto livello di Ahrar al-Sham in Siria. Nelle ultime settimane il gruppo in questione si era diviso in più fazioni, una delle quali confluita in Hayat Tahrir a-Sham (HTS) – nato dalla fusione di Jabhat Fatah al-Sham (JFS), l’ex Jabhat al-Nusra, con altre sigle locali. Alcune fonti ipotizzano che al-Masri stesse per unirsi ad HTS quando è stato ucciso. Sul fronte iracheno, invece, dove lo scenario delle alleanze è meno fluido e le operazioni sono pressoché esclusivamente condotte contro lo Stato Islamico e volte a conferire stabilità al governo di Baghdad, i raid americani avrebbero portato all’uccisione nei pressi di Mosul di Rachid Kassim (10 febbraio), tra i principali reclutatori di combattenti dell’IS per il compimento di attacchi in Europa e, in particolare, in Francia. Sarebbe stato infatti il giovane yemenita-algerino nato in Francia, e attivo da almeno il 2015 tra Siria e Iraq, ad aver attirato molti giovani nelle maglie dell’IS e averli spinti a perpetrare attentati sul suolo francese, in taluni casi riusciti come quello a Magnanville (13 giugno 2016) contro una coppia di agenti e a Saint-Étiennedu-Rouvray (26 luglio) contro padre Jacques Hamel. Sul piano specifico della battaglia di Mosul, tuttavia, le forze di sicurezza irachene evidenziano le prime difficoltà nel mantenere le posizioni nel settore orientale della città, come evidenziato dagli attacchi qui condotti dall’IS l’8 febbraio. La sicurezza si sta deteriorando ulteriormente anche a Tikrit e nel distretto di al-Dour, dove i miliziani del Califfato hanno rivendicato la paternità di alcuni attentati anche in un clima di crescente competizione con alcuni gruppi di insorgenza nell’area, evidenziata dalla presenza di alcune cellule legate ad al-Qaeda a Samarra. Nel frattempo, gli attacchi dell’8 e 9 febbraio contro i membri del Consiglio Supremo islamico iracheno (ISCI) a Bassora e nel governatorato di Maysan sembrano i presupposti di una nuova stagione di violenza politica in vista delle elezioni locali in programma per l’aprile 2018. Un’eventuale escalation di tensioni in questo senso, potrebbe indurre il governo di al-Abadi a dover riorganizzare il dispiegamento delle proprie forze di sicurezza sul fronte meridionale per contenere le violenze tribali, lasciando tuttavia spazio all’azione jihadista sul fronte settentrionale. Se a ciò si sommano i nuovi scontri tra forze di sicurezza e i sostenitori del leader sciita iracheno Moqtada al-Sadr (questi ultimi scesi in piazza il 10-11 febbraio per protestare contro il governo e per richiedere la riforma della commissione elettorale) nel 3


corso dei quali sarebbero rimaste uccise almeno 4 persone – configurando pertanto indirettamente una nuova crisi tra Iran e Stati Uniti anche sullo scenario iracheno – è evidente che i tempi e le possibilità di riuscita del processo di pacificazione sono destinati ad allungarsi.

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STATI UNITI ↴

Il 9 febbraio la Corte d’Appello del nono distretto di San Francisco ha dichiarato l’incostituzionalità del bando contro i cittadini provenienti da 7 Paesi a maggioranza musulmana (Iraq, Iran, Siria, Libia, Yemen, Sudan e Somalia) voluto da Donald Trump, sollevando dubbi sull’effettivo potere di intervento del Presidente su un tema così costituzionalmente delicato e che ha a che fare con la libertà religiosa. Secondo il documento approvato all’unanimità dai tre magistrati, il governo non avrebbe nessuna prova che anche solo uno dei cittadini provenienti da uno di questi Paesi sia stato protagonista di attentati terroristici; dunque, la norma decretata dal Presidente comporterebbe una forma di discriminazione su base nazionale e religiosa. Nel documento finale, inoltre, la Corte ha definito il decreto presidenziale contrario anche al principio di un equo processo. La querelle giudiziaria aveva avuto il proprio inizio con la decisione degli Stati di Washington e del Minnesota di eccepire la violazione dei diritti procedurali previsti da un giusto processo che l’esecuzione dell’ordine comportava, in particolare in riferimento al divieto di rientro imposto ai residenti e ai titolari di visto. Oltre a confermare la sentenza emessa dal giudice federale James Robart dello scorso 3 febbraio, che definiva il decreto di Trump “incostituzionale”, la decisione della Corte d’Appello rende momentaneamente nullo il decreto presidenziale e rappresenta la prima dura sconfitta politica per il tycoon newyorkese. Trump ha commentato su Twitter in modo molto duro il risultato di questo scontro giudiziario, dichiarando la propria volontà di portare il caso dinnanzi alla Corte Suprema, in quanto la «sicurezza della nazione è in pericolo». Reazioni che hanno pro-

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vocato una spaccatura anche con lo stesso Neil Gorsuch, scelto da Trump come giudice alla Corte Suprema non più tardi di una settimana fa, il quale, dopo aver espresso una posizione contraria al bando, le ha definite “avvilenti”. Sul fronte della politica estera, intanto, aumenta ancora la tensione diplomatica tra Washington e Teheran. Dopo l’imposizione di sanzioni da parte statunitense a seguito dell’esperimento missilistico condotto dell’Iran il 29 gennaio, la guida spirituale del Paese, l’Ayatollah Sayyed Ali Khamenei, ha commentato duramente la postura internazionale dell’amministrazione Trump, dichiarando che essa «ha mostrato il vero volto dell’America: corruzione politica, economica, sociale per più di 30 anni e quest’uomo ha rivelato tutto». Parole che sembrano porre fine al disgelo tra i due Paesi inaugurato durante la Presidenza di Barack Obama attraverso la graduale rimozione delle sanzioni e la conclusione del “nuclear deal”, da sempre oggetto di critiche da parte dell’attuale Presidente, condivise anche dall’establishment repubblicano. Anche per quanto concerne i rapporti con la Cina, la recente telefonata del 10 febbraio tra Trump e il Presidente Xi Jinping ha tamponato le tensioni tra Pechino e Washington, accesesi a seguito del colloquio telefonico del 3 dicembre scorso tra il tycoon e il leader di Taiwan Tsai Ing-Wen, in cui il nuovo inquilino della Casa Bianca aveva messo in discussione la politica del “riconoscimento di una sola Cina” che caratterizza i buoni rapporti tra i due Paesi dal 1972. Nel colloquio telefonico con Xi Jinping, Trump è tornato sui suoi passi e ha riaffermato la propria volontà di riconoscere una sola Cina, sebbene in campagna elettorale abbia dichiarato a più riprese di voler punire Pechino per la sua politica commerciale, accusata di danneggiare gli interessi economici americani. L’approccio estremamente realista di Trump, insieme alla sua volontà di proteggere gli interessi nazionali statunitensi e il suo desiderio di fornire una connotazione molto più imprevedibile alla politica estera americana si trasformano spesso in una serie di repentini cambi d’idea tali da creare un’incertezza che non avvantaggia rapporti stabili e duraturi.

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BREVI AFGHANISTAN, 5-7 FEBBRAIO ↴ Almeno 20 persone sono state uccise e una quarantina risultano ferite in un attacco suicida contro la Corte Suprema di Kabul, avvenuto il 7 febbraio. Secondo quanto dichiarato dalla polizia locale, il kamikaze si sarebbe fatto esplodere nel parcheggio della Corte all’orario di uscita dei dipendenti. Tutte le vittime sarebbero civili. L’attacco è stato rivendicato dallo Stato Islamico tramite un post su Twitter il giorno successivo. Il Presidente afghano Ashraf Ghani ha condannato l’attacco bollandolo come «un crimine contro l’umanità e un atto imperdonabile». La Corte di Kabul era già stata vittima di un attacco simile nel 2013, quanto un’autobomba è stata fatta esplodere al suo ingresso causando 15 vittime. Negli ultimi mesi gli attacchi da parte dei Talebani e di altri gruppi di miliziani si sono intensificati. Il mese scorso, un attacco suicida nei pressi del Parlamento a Kabul ha causato più di trenta morti e decine di feriti. Nel frattempo le Nazioni Unite fanno appello a tutte le parti coinvolte nel conflitto afghano al fine di arrestare la scia di morti civili nel Paese. Un nuovo report della missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan pubblicato il 5 febbraio, infatti, indica che il 2016 ha stabilito un nuovo record per quanto riguarda il numero di civili vittime del conflitto. Secondo quanto riportato dal report, solamente nel 2016, 3.498 persone sono state uccise e 7.920 sono rimaste ferite, per un totale di 11.418 vittime, 3% in più rispetto al 2015. Il numero dei decessi tra i bambini è aumentato del 24%. La maggioranza di quest’ultimi è causato da ordigni remasti inesplosi.

ISRAELE, 6 FEBBRAIO ↴ La Knesset ha approvato per 60 voti contro 52 la cosiddetta

“legge

dell’esproprio),

che

della

regolarizzazione”

disciplina

e

(o

normalizza

retroattivamente lo status giuridico di 3.800 alloggi di coloni ebrei presenti in circa 50-60 insediamenti costruiti su terre private palestinesi in Cisgiordania. La controversa legge – già approvata in via preliminare a novembre 2016 – permette al governo israeliano di espropriare i terreni privati palestinesi in Cisgiordania dove sono già stati

costruiti insediamenti

o avamposti

israeliani, permettendo il loro

mantenimento e sviluppo, nonché concedendo la possibilità agli stessi coloni di restare nelle loro case, e se lo vorranno, anche di diventare proprietari della terra su cui vivono. Attraverso tale norma i proprietari originari palestinesi non potranno rivend

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rivendicare

la

proprietà

dei

terreni persi, almeno finché non verrà raggiunto un accordo di pace tra Israele e Palestina che risolva anche la questione della

proprietà

terriera.

palestinesi

I

espropriati

potranno però chiedere alle istituzioni

israeliane

un

risarcimento, consistente in un lotto di terra alternativo di pari valore oppure il pagamento di un

canone

annuale

pari

al

125% del valore di affitto in condizioni degli

normali.

insediamenti

Il

tema

ebraici

è

tornato ad essere ampiamente centrale nel dibattito politico e pubblico nazionale, anche a causa delle proteste sorte dopo il diniego di alcuni coloni ad abbandonare

l’avamposto

illegale di Amona, sempre in Cisgiordania, il 1° febbraio scorso. Amona è un insediamento costruito illegalmente su terre arabo-palestinesi vicino al sito di Ofra, a pochi chilometri da Ramallah, capitale de facto dei palestinesi in Cisgiordania. Lo sgombero di Amona, che è arrivato dopo più di 2 anni dalla decisione della Corte Suprema che ne ha sancito la sua incompatibilità con il sistema legale israeliano, è stato oggetto di battaglie politiche da parte delle forze di destra del governo, che in più occasioni hanno cercato di aggirare l’ordine della Corte israeliana provando a ritardare l’evacuazione o trasferendo gli abitanti su terreni vicini. Questo episodio è stato usato come pretesto politico dall’esecutivo Netanyahu per accelerare il dibattito parlamentare sulla “legge della regolarizzazione”, che per la prima volta nella storia dello Stato ebraico affronta e legifera unilateralmente il tema dei diritti di proprietà dei palestinesi in Cisgiordania (i quali non votano nella Knesset). Secondo le opposizioni laburiste e arabo-israeliane contrarie

al

nuovo

retroattivamente

tutti

dispositivo gli

legislativo,

insediamenti

il

interessati

governo da

potrà

ordini

di

legalizzare demolizione

(attualmente sedici), che, in base alle nuove norme, saranno congelati per un anno, permettendo alle istituzioni israeliane di valutare l’opportunità appunto di espropriare il terreno e quindi di divenirne proprietario, aprendo inoltre all’eventualità di costruire nuovi avamposti anche in questi territori espropriati. Le Nazioni Unite, i governi di Francia e Regno Unito hanno criticato duramente la legge approvata dal Parlamento israeliano, definendola più o meno apertamente come una violazione del diritto internazionale. L’inviato speciale del Segretario Generale per il processo di pace in 8


Medio Oriente, il diplomatico bulgaro Nickolay Mladenov, ha definito la legge israeliana un’aperta violazione della Risoluzione 2334 del Consiglio di Sicurezza, approvata lo scorso 23 dicembre, che chiedeva uno stop agli insediamenti nei Territori Occupati. Il Segretario Generale António Guterres ha affermato che la nuova iniziativa unilaterale israeliana mina pericolosamente le speranze residue di pace con i palestinesi. Altrettanto netto il giudizio dell’amministrazione Trump, che ha definito il dispositivo legislativo israeliano un ostacolo per la pace.

YEMEN, 8 FEBBRAIO ↴ Il governo del Presidente legittimo Mansour Hadi avrebbe deciso di revocare agli Stati Uniti il permesso di procedere con operazioni speciali di terra sul territorio yemenita. Sebbene la notizia non sia stata ufficializzata, la decisione sarebbe stata presa a seguito del blitz anti-terrorismo condotto dagli USA il 31 gennaio, che avrebbe dovuto portare all’eliminazione del leader di al-Qaeda nella Penisola Arabica (AQAP), Qasim al-Rimi, sopravvisuto all’operazione militare. Durante il blitz, che ha visto la morte di un marine USA, i Navy Seals hanno ucciso 14 terroristi, ma anche numerosi civili, soprattutto donne e bambini – tra cui pare la figlia dell’ex leader di AQAP, Anwar al-Awlaki ucciso da un drone USA nel 2011 –, sollevando perplessità tra le alte sfere del governo yemenita, investito a sua volta da proteste popolari per l’azione statunitense. Il Ministro degli Esteri yemenita, Abdulmalik al-Mekhlafi, ha infatti definito il raid statunitense come “un’esecuzione extragiudiziale”. L’evento ha rappresentato l’apice di una tensione latente che ha trovato il suo sfogo naturale dopo mesi di raid aerei dei droni USA contro postazioni di AQAP, che hanno però provocato diverse vittime civili, alimentando accuse popolari sempre più veementi contro le istituzioni nazionali. Una situazione, questa, non dissimile a quanto avvenuto in varie fasi in Afghanistan, quando strikes statunitensi colpivano anche civili inermi e che indirettamente hanno portato, nel Paese centroasiatico così come in Yemen, molti civili a simpatizzare o a provare una forte empatia nei confronti dei terroristi. Tuttavia, come riportano molti attenti osservatori delle principali testate internazionali, New York Times in testa, la causa principale della tensione tra Sana’a e Washington potrebbe ascriversi alle recenti polemiche sorte dopo la proclamazione da parte della nuova amministrazione Trump del cosiddetto “Muslim Ban”, ossia il bando di ingresso di tre mesi che ha investito i cittadini di sette Paesi a maggioranza musulmana (tra cui lo Yemen), ufficialmente per motivi di sicurezza interna agli USA riconducibili al terrorismo internazionale di matrice islamista e all’immigrazione clandestina. Nelle intenzioni statunitensi, il Muslim Ban nei confronti dello Yemen sembrerebbe, in realtà, mirato a colpire indirettamente l’Iran, considerato lo sponsor politico e militare dei ribelli Houthi che combattono il governo legittimo Hadi. Una misura, dunque, volta a fiaccare e contenere ancora una

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volta Teheran, il grande obiettivo di politica estera statunitense, nei teatri operativi del Golfo e del Vicino e Medio Oriente.

SITUAZIONE MILITARE SUL CAMPO (UPDATE 8 FEBBRAIO) – FONTE: CT E AEI

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ALTRE DAL MONDO BRASILE-ARGENTINA, 7 FEBBRAIO ↴ Il Presidente argentino Mauricio Macri è stato ricevuto al Palazzo del Planalto dall’omologo brasiliano Michel Temer. Si è trattato della prima visita di Stato in Brasile di un leader straniero dopo il processo di impeachment che ha destituito Dilma Roussef, nel maggio-agosto dello scorso anno. Al centro dell'incontro la promessa di dare maggiore impulso al MERCOSUR, rafforzando il blocco commerciale, dopo la sospensione del Venezuela, anche attraverso accordi di libero commercio con altri Paesi. A testimonianza dei recenti ottimi rapporti politici tra i due Paesi, la visita di Macri ha inoltre confermato una speciale sintonia con l’omologo brasiliano sui principali problemi economici regionali, bassa crescita economica e disoccupazione, e sulla necessità di implementare nuove riforme per aumentare la competitività dei due Paesi attraverso il rafforzamento della cooperazione bilaterale.

FRANCIA, 10 FEBBRAIO ↴ Le forze speciali della polizia francese hanno arrestato 4 persone in un’importante operazione anti-terrorismo a Montpellier, nel sud del Paese. Gli arrestati, tra i 21 e 34 anni ad eccezione di un 16enne, sarebbero parte di una sospetta cellula jihadista locale legata allo Stato Islamico (IS). Secondo le prime informazioni fornite dal Ministro degli Interni, Bruno Le Roux, il gruppo sarebbe stato pronto ad intervenire a breve con una serie di attentati nel centro di Parigi. Durante il raid, la polizia ha trovato nell’appartamento dove progettavano gli attacchi una notevole quantità di TATP, un esplosivo artigianale a base di perossido di acetone più potente dello stesso tritolo, ribattezzato dagli addetti ai lavori “la madre di Satana”. Tracce dell’esplosivo in questione è stato rinvenuto anche negli attentati di Bruxelles e Parigi. L’episodio di Montpellier, che segue di una settimana il fallito attentato del Louvre, conferma da un lato l’elevato grado raggiunto dalla minaccia jihadista sul territorio francese, dall’altro una forte presenza, in particolare nel sud del Paese, di soggetti radicalizzati e attenzionati dalle forze di sicurezza.

ISRAELE-GAZA-SINAI, 7-8 FEBBRAIO ↴ Torna alta la tensione lungo i confini meridionali di Israele dopo che il 7 febbraio diversi razzi Qassam sono stati lanciati da alcune postazioni nel nord della Striscia di Gaza contro le periferie urbane di Ashdod e Ashqelon, senza tuttavia provocare vittime o feriti. Pronta e ferma è stata la risposta israeliana che dalle basi militari meridionali del Paese ha cannoneggiato e distrutto tre avamposti militari di Hamas e delle Brigate Izzedin al-Qassam – l’ala militare del gruppo islamista – intorno l’area di Beit Lahiya, nel nord della Striscia. Seppur non direttamente correlati ai precedenti episodi, ma ascrivibili all’interno del precario scenario di crisi vicino-orientale, sono i fatti che hanno contraddistinto il Sinai ed Eilat, dove l’8 febbraio 4 missili Grad sono stati 11


lanciati dalla penisola egiziana verso la città resort israeliana. L’attacco non ha provocato danni considerevoli in virtù del dispiegamento del sistema anti-missile Iron Dome, che ha intercettato e distrutto i razzi prima che arrivassero a colpire la città. Sebbene tale avvenimento non rappresentanti una novità assoluta (già nel 2012 era avvenuto un caso analogo), l’atto ha acquisito una nuova risonanza dopo che è stato ufficialmente rivendicato dal Wilayat Sinai, la branca egiziana dello Stato Islamico (IS), il quale ha così dichiarato aperto «un nuovo fronte della guerra contro lo Stato ebraico». Le autorità egiziane e israeliane – che hanno ulteriormente rafforzato negli ultimi mesi la cooperazione di sicurezza lungo il confine di Gaza distruggendo diverse centinaia di tunnel nei pressi di Rafah – hanno accusato Hamas di complicità nelle attività di IS nel Sinai.

LIBIA, 8-9 FEBBRAIO ↴ Il neo Segretario Generale delle Nazioni Unite, il portoghese António Guterres, ha deciso di sostituire Martin Kobler, inviato speciale dell’ONU per la Libia, con l’ex Primo Ministro palestinese, il diplomatico Salam Fayyad. Già da qualche settimana si erano diffuse voci in merito ad una presunta sostituzione richiesta a gran voce da tutte le fazioni libiche in lotta e anche da alcuni Paesi europei, tra cui l’Italia. La figura di Fayyad però non ha incontrato l’intero appoggio internazionale: infatti Israele e Stati Uniti stanno cercando di bloccarne la nomina ufficiale. Sul versante dei rapporti Roma-Tobruk si registra un nuovo motivo di scontro relativo alla firma del memorandum Serraj-Gentiloni sulla gestione dei flussi migratori. Tobruk ha dichiarato “nulla e non vincolante” l’intesa del 2 febbraio in quanto firmata da un Governo, quello di Unità Nazionale, senza alcuna giurisdizione. Di conseguenza Tobruk ha precisato che non si ritiene destinataria di alcun “obbligo morale o materiale”. Probabilmente, anche per evitare una possibile escalation di questa tensione, il governo Gentiloni, in risposta alle pressioni interne e internazionali registrate dopo l’apertura dell’Ambasciata a Tripoli, sta attentamente valutando la possibilità di aprire un Consolato italiano a Tobruk.

MOLDAVIA-UE, 6-7 FEBBRAIO ↴ Il neo Presidente Igor Dodon si è recato in visita ufficiale a Bruxelles per incontrare i leader dell’Unione Europea e della NATO. Durante i colloqui, Dodon ha espresso, seppur in maniera velata, il suo disappunto a riguardo dell’Accordo di Associazione e Stabilizzazione (ASA) firmato con l’Unione Europea nel 2014 e si è detto favorevole alla sua cancellazione in caso di una decisione in tal senso del Parlamento o di un referendum popolare. «Dall’attuazione dell’ASA con l’Unione Europea, la situazione in Moldavia è peggiorata in base ai rilevamenti conseguiti da quasi tutti gli indicatori economici», ha dichiarato Dodon. Analogamente, il Presidente moldavo si è detto scettico nei confronti di una più stretta collaborazione con la NATO e ha criticato la prossima apertura di un nuovo ufficio di collegamento dell’Alleanza Atlantica a

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Chișinău. Una più stretta collaborazione economico-politica con la Russia e la possibilità di entrare a fare parte dell’Unione Economica Euroasiatica sembrano i principali obiettivi in politica estera del Presidente moldavo.

REGNO UNITO-ISRAELE, 6 FEBBRAIO ↴ L’obiettivo principale che il Premier israeliano Benjamin Netanyahu ha cercato di perseguire nel primo incontro bilaterale post-Brexit con il Primo Ministro inglese Theresa May a Londra è stato quello di ottenere l’appoggio britannico per un’azione più decisa sulla questione del nucleare iraniano e il rafforzamento dei rapporti economici e politici tra i due Paesi. Netanyahu ha chiesto al governo britannico di sostenere le sanzioni imposte dall’amministrazione Trump a Teheran a seguito del recente test nucleare del 29 gennaio, sottolineando come l’Iran costituisca una minaccia per la comunità internazionale. May ha espresso la vicinanza del Governo britannico alle posizioni israeliane, ma ha ribadito l’importanza dell’accordo sul programma nucleare iraniano, l’applicazione della “soluzione dei due Stati” per la questione palestinese e la preoccupazione per la politica di insediamenti israeliani in Cisgiordania, condannata a livello internazionale sia dall’ONU sia dalla nuova amministrazione statunitense.

ROMANIA, 9 FEBBRAIO ↴ Nonostante il decreto legge che prevedeva la depenalizzazione dell’abuso di ufficio per reati inferiori a circa 44.000 euro, la scarcerazione per i detenuti che scontavano una pena inferiore ai 5 anni e l’immunità per dipendenti pubblici accusati di abuso d’ufficio sia stato soppresso, continua la protesta popolare contro il governo socialdemocratico di Sorin Grindenau, cominciata lo scorso 31 gennaio. La decisione, anziché quietare la protesta, ha dato nuova forza ai manifestanti e, benché la partecipazione sia diminuita rispetto alla prima settimana, i cittadini romeni continuano a scendere in piazza contro il governo, chiedendone le dimissioni e accusandolo di essere inaffidabile. Dopo le dimissioni del Ministro degli Affari, Commercio e Imprenditorialità, Florin Jianu, lo scorso 2 febbraio, sono arrivate anche quelle del Ministro della Giustizia, Florin Iordache. Le proteste, che sono considerate le più imponenti manifestazioni di piazza dal crollo del regime di Ceaușescu nel 1989, sono in parte sostenute dal Presidente della Repubblica, Klaus Iohannis, che nelle scorse settimane aveva accusato il governo di aver causato la crisi politica.

SOMALIA, 8 FEBBRAIO ↴ Mohamed Abdullahi Mohamed, meglio conosciuto come Farmajo, è il nuovo Presidente della Somalia. Eletto a sorpresa, dopo essere già stato Primo Ministro dal 2010 al 2011, Farmajo ha superato al ballottaggio l’attuale Capo di Stato Sheikh Mohamud. Dopo 25 anni di guerra civile nel Paese, l’elezione di Farmajo suscita speranze per l’avvio di una nuova stagione, che veda al centro dell’agenda politica la lotta alla

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corruzione e la sicurezza nazionale. Tuttavia, il neo Presidente eredita un Paese flagellato da una grave crisi umanitaria, in preda ad una nuova carestia e deve fronteggiare l’esodo di migliaia di rifugiati yemeniti in fuga della guerra.

TURCHIA, 5 FEBBRAIO ↴ Mentre prosegue il processo, iniziato a fine dicembre 2016, contro i militari accusati di aver preso parte al tentato golpe dello scorso luglio, si registra la più grande operazione anti-terrorismo che il Paese abbia mai visto. Il 5 febbraio Ankara ha, infatti, lanciato un’imponente operazione di polizia, avvenuta simultaneamente in 29 delle 81 province turche, contro persone sospettate di avere legami con il gruppo Stato Islamico. Nel contesto di questa operazione sono state arrestate centinaia di persone (cica 400 secondo le fonti più attendibili); il numero più elevato di arresti, circa 150, si registra nella provincia sud-orientale di Şanlıurfa, al confine con la Siria. Nessuna indicazione è stata fornita sulle ragioni specifiche degli arresti, sul materiale sequestrato o sull’identità degli arrestati, sebbene, in riferimento a quest’ultima, l’agenzia stampa turca Anadolu abbia precisato che si tratterebbe principalmente di stranieri.

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ANALISI E COMMENTI LA COESISTENZA TRA TERRORISMO E TRAFFICO DI DROGA IN AFRICA SUB-SAHARIANA MASSIMO PASCARELLA ↴ Nel corso del XX secolo, l’Africa sub-sahariana si è rivelata un terreno fertile per il traffico di droga e il terrorismo islamico, una permeabilità influenzata da vulnerabilità intrinseche della regione, come la perenne instabilità, l’alta corruzione, delle istituzioni labili, la dilagante criminalità e una pace sociale fragile. Ciò ha contribuito ulteriormente alla destabilizzazione dell’area permettendo, in maniera ciclica, il prosieguo della “convivenza pacifica” dei due fenomeni. Il traffico di cocaina ed eroina – La cocaina viene normalmente trafficata dagli Stati andini del Sud America in Nord America, o, passando per i Caraibi o l’Africa, in Europa. La tendenza implicherebbe il Sahel nel traffico di cocaina (specificamente Mauritania, Mali e Niger), di concerto a GuineaBissau, Ghana e Nigeria, considerati punti di transito strategici. Inoltre, diverse capitali in Africa Occidentale, in particolare, sono implicate nel traffico di cocaina, in particolare: Conakry in Guinea, Accra in Ghana e Monrovia in Liberia. Secondo studi sulla regione, la Nigeria ha riportato il sequestro di 290 kg di cocaina nel 2013, il Ghana 901 kg e la Costa d’Avorio 20 kg. In Africa Orientale, il traffico di cocaina ha assunto una portata significativa in Tanzania, Kenya, Etiopia, Botswana e Zambia, a cui si aggiunge il Sudafrica come porta di entrata. La rara la presenza di pattuglie perlustranti il litorale e le buone infrastrutture di trasporto avrebbero facilitato le spedizioni di eroina in Africa Orientale dal 2013. Come dimostrano i rapporti dell’OICS nel 2010 e dell’UNDOC nel 2014, numerosi sequestri sono stati registrati in Tanzania ed in Kenya, anche se l’Etiopia con il suo aeroporto di Bolerimane uno dei maggiori punti di entrata dell’eroina in Africa. L’eroina in arrivo dall’Asia approda in Etiopia, Somalia, Kenya, Tanzania o Mozambico transitando per vie aeree o terrestri, e riparte verso differenti territori: America del nord, Europa, Sud-Est asiatico e Oceania. Tale traffico talvolta passa per l’Africa Occidentale e ne utilizza le rotte già esistenti per il traffico di cocaina (La Nigeria rappresenta una delle maggiori piattaforme di distribuzione di eroina della regione). Allo stesso tempo, in Africa Orientale l’eroina viene smistata verso i mercati interni del Sud Africa e dell’Africa Occidentale (…) SEGUE >>>

A cura di OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE Ente di ricerca di “BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO” Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale C.F. 98099880787 www.bloglobal.net 15


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