OPI Weekly Report N°2/2017

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N°2, 15-21 GENNAIO 2017 ISSN: 2284-1024

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Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo Milano, 22 gennaio 2017 ISSN: 2284-1024 A cura di: Alessandro Costolino Giuseppe Dentice Nicolò Fasola Antonella Roberta La Fortezza Giorgia Mantelli Fabio Rondini Maria Serra

Questa pubblicazione può essere scaricata da: www.bloglobal.net Parti di questa pubblicazione possono essere riprodotte, a patto di fornire la fonte nella seguente forma: Weekly Report N°2/2017 (15-21 gennaio 2017), Osservatorio di Politica Internazionale (OPI), Milano 2017, www.bloglobal.net

Photo Credits: Reuters; IlFattoQuotidiano.it; ANSA/EPA; Anadolu Agency/Getty Images; AP.


FOCUS SIRIA-IRAQ ↴

In attesa del Vertice di Astana del prossimo 23 gennaio, che avrà lo scopo di inserire l’accordo di cessate il fuoco dello scorso 29 dicembre in un quadro di transizione politica per una soluzione del conflitto siriano, gli schemi regionali ed internazionali delle alleanze restano fluidi e la situazione sul campo conosce ulteriori sviluppi significativi. Stati Uniti e Russia hanno infatti accelerato la competizione per la definizione delle operazioni di anti-terrorismo. Da un lato Washington prosegue la campagna di raid aerei – almeno cinque dall’inizio del 2017 – contro i membri delle formazioni jihadiste legate al network di al-Qaeda, in particolare contro Jabhat Fatah al-Sham (JFS) e Nur al-Din al-Zanki (un gruppo a questo legato), nella provincia di Idlib. Secondo quanto dichiarato dal Pentagono, il 19 gennaio gli strikes statunitensi avrebbero colpito le postazioni qaediste nel training center di Shaikh Sulaiman, operativo dal 2013, uccidendo più di 100 combattenti, tra cui Boussadoun Mohammad Habib al-Tunisi, ritenuto uno dei registi delle operazioni esterne di al-Qaeda ed operativo in particolare nella pianificazione di attentati contro obiettivi occidentali. La riconquista di questo campo di addestramento scoraggia la linea dura islamista e punta a fiaccare il tentativo dei gruppi di opposizione siriana ad unirsi e a cooperare direttamente con al-Qaeda. Peraltro l’uccisione di al-Tunisi segue, come confermato dal portavoce dell’esercito USA Peter Cook, quella di Abd al-Jalil al-Muslimi, un cittadino tunisino già addestrato dai talebani e identificato come un facilitatore degli spostamenti dei miliziani, colpito in un attacco aereo nei pressi di Saraqib, nonché quelle di Abu Khattab al-Qahtani, un altro veterano di al-Qaeda che si dice abbia combattuto 1


in Afghanistan e Yemen, e di Abu Omar al-Turkistani, un membro anziano del Turkistan Islamic Party affiliato ad al-Qaeda e segnalato come uno dei leader di JFS. Dall’altro lato gli Stati Uniti proseguono i raid anche contro lo Stato Islamico (IS) ad al-Bab, nella provincia di Aleppo, in supporto all’Operazione “Euphrates Shield” della Turchia; un contesto in cui si è inserita anche la Russia con l’avvio di operazioni aeree congiunte tra Mosca e Ankara (18 gennaio) – coordinati con il regime di Bashar al-Assad, come annunciato il Ministero della Difesa russo – e che mira a ridimensionare l’intervento americano nei territori settentrionali della Siria a favore di quello promosso dall’asse turco-russo e, in prospettiva, ad un conferimento del monitoraggio delle aree in questione esclusivamente alla Turchia. La pressione militare, e dunque anche politica, che il Cremlino punta ad esercitare nei confronti degli Stati Uniti per affermarsi come principale garante dello scenario di pacificazione siriano, è d’altra parte confermata dall’accordo (20 gennaio) con il governo di Damasco per l’espansione della base navale di Tartous e di quella aerea di Hmeimim (la prima potrà in particolar modo ospitare fino a 11 navi russe contemporaneamente – a fronte delle 4 attuali –, incluse quelle nucleari) e sulla proroga di altri 49 anni (con la possibilità di ulteriori 25) del relativo utilizzo logistico a titolo gratuito. Tale intesa smentisce, almeno parzialmente, il nuovo annuncio del portavoce del Ministero della Difesa russo, Valery Geramisov, sull’avvio della progressiva riduzione delle forze russe dallo scenario siriano (a cominciare dal gruppo navale guidato dalla portaerei Admiral Kuznetsov), ma certifica al tempo stesso l’intensione russa di assicurarsi il consolidamento della propria proiezione sul Mediterraneo, oltre che la stabilità della Siria orientale sotto il controllo di Damasco anche con il supporto delle linee politiche e militari offerte dall’Iran. Mentre prosegue la campagna su Aleppo, dove le forze damascene con il supporto russo hanno strappato all’IS i villaggi di Sarjah Kabirah, Sarjah Saghirah e Maran e hanno raggiunto quelli Madyunah e Sarbas dove gli scontri sono ora in corso, la Russia ha offerto inoltre il proprio supporto con raid aerei mirati alle unità siriane a Deir ez-Zor: qui l’IS ha lanciato un’importante offensiva per prendere il controllo totale della città, del suo aeroporto militare e delle zone desertiche circostanti per potersi garantire la linea di continuità e di rinforzi verso Raqqa (oltre che verso Palmira), nonché la possibilità di assicurarsi la contiguità con il confine iracheno (e dispiegarvi i propri miliziani in ritirata dallo stesso Iraq) e/o di creare un centro operativo strategico complementare o alternativo alla stessa Raqqa nel caso di una sua caduta. Proprio su un’intensificazione dell’offensiva su Raqqa, infatti, sembra essere orientata la nuova amministrazione americana con un possibile incremento del contingente, sebbene restino da verificarsi le modalità di dispiegamento e di compiti, anche in connessione al supporto alle forze curde e al corso dei rapporti con la Turchia. Sul fronte iracheno, grazie all’arrivo di nuovi rinforzi operativi e tattici da parte degli USA volti in particolare a sorprendere le linee dei combattenti e a prevenire le azioni suicide dei miliziani, l’esercito (ISF) e la polizia federale hanno annunciato la 2


ripresa del controllo dell’intera area sud-orientale di Mosul (15 gennaio) e dell’Università (già in uso all’IS come laboratorio chimico e per la fabbricazione di armi e ora quale snodo strategico essenziale per la prosecuzione delle operazioni verso la parte ovest in mano all’IS) dopo aver riconquistato i villaggi di Yarmyah e Qiz Fakhri, l’ultimo in mano ai miliziani di al-Baghdadi lungo la riva orientale del Tigri. Specificatamente l’ISF controlla il nord-est della città, dove si segnalano ancora degli scontri seppur di lieve entità, il Counter-Terrorism Service (CTS) il blocco orientale e la polizia federale i quartieri meridionali. Nel corso di una seduta parlamentare, il Primo Ministro Haider al-Abadi ha delineato le prossime strategie del governo al di là della liberazione di Mosul e di Ramadi, assicurando infatti l’avvio di un processo di riconciliazione e coesistenza pacifica tra le comunità etniche e religiose del Paese e la lotta contro altre organizzazioni terroristiche. Al-Abadi ha altresì promesso di mettere l’esercito esclusivamente nelle mani dello Stato, dichiarando che attori non statali e milizie autonome non saranno coinvolte in questo processo. Un impegno, tuttavia, che sembra contraddire l’approvazione del decreto parlamentare dello scorso novembre che conferiva alle milizie sciite (le Forze di Mobilitazione Popolare, molte delle quali supportate dall’Iran) lo status giuridico di forze di riserva e di sostegno all’esercito iracheno (e che per tale ragione aveva scatenato le reazioni dei parlamentari sunniti) e che, dunque, rischia di approfondire le fratture etniche e politiche di un Iraq pacificato.

CAMPAGNA MILITARE SU MOSUL (UPDATE AL 18/01/2017) – FONTE: ISW

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BREVI ECONOMIA INTERNAZIONALE, 17-20 GENNAIO 2017 ↴ A Davos, in Svizzera, è stata la settimana del 47° Forum Economico Internazionale, uno dei principali appuntamenti non istituzionali globali. La lista dei presenti, e degli assenti, all’incontro annuale ha forse spiegato meglio di molte analisi i recenti mutamenti degli

equilibri

mondiali.

Se

infatti

a

mancare

l’appuntamento è stata una buona fetta dei leader occidentali, per la prima volta tra i partecipanti era presente il Presidente cinese Xi Jinping, che ha aperto i lavori con un intervento sulle correzioni da apportare per superare gli attuali problemi economici mondiali. «È vero che la globalizzazione ha creato nuovi problemi, ma questa non è una giustificazione per cancellarla, quanto piuttosto per adattarla» ha dichiarato. Il discorso dalla tribuna del World Economic Forum del leader di Pechino è apparso anche un chiaro messaggio all’ormai insediato Presidente degli Stati Uniti Donald Trump: non rinnegare le promesse internazionali degli Stati Uniti, compreso l’accordo sul clima di Parigi. Uno scenario, quello illustrato da Xi Jinping, che delineerebbe quindi una evidente inversione di ruoli: la Cina, nuovo baluardo del libero mercato e dell’ambiente, e l’amministrazione americana, sostenitrice del protezionismo e fortemente scettica sul riscaldamento climatico globale. Il presentarsi a Davos come esempio di governance globale “alternativo” agli Stati Uniti, tuttavia, non sembra essere sufficiente da solo a spiegare la presenza di Xi Jinping a Davos. La Cina sta infatti conducendo una robusta offensiva diplomatica presso il WTO per ottenere lo status di economia di mercato che la metterebbe al riparo da eventuali dazi da parte degli altri membri che la accusano di aiuti di Stato e di manipolare i cambi. Inoltre la storica partecipazione cinese nel cuore del continente europeo consente alla Repubblica Popolare di sviluppare il progetto di una nuova “Via della Seta economica” e di assurgere al ruolo di leadership climatica così da permettere alla nomenclatura comunista di rafforzare la presa interna e l’immagine del regime a livello mondiale.

GAMBIA, 19-20 GENNAIO ↴ Il Presidente Yahya Jammeh ha dichiarato lo stato d’emergenza per i prossimi tre mesi nel Paese dell’Africa occidentale, ritardando così sine die la consegna dei poteri al suo successore Adama Barrow, leader dell’opposizione e vincintore non riconosciuto nelle elezioni presidenziali di dicembre 2016. La decisione di Jammeh è solo l’ultimo dei tentativi messi in atto nelle ultime settimane per non cedere il potere che detiene dal 1994, nonostante le innumerevoli pressioni politiche e militari regionali e internazionali. La crisi sorge infatti all’indomani delle 4


elezioni dello scorso dicembre che hanno portato inaspettatamente ad una sconfitta di Jammeh, tanto da costringere il Presidente uscente a non riconoscere la vittoria di Barrow e a denunciare presunti brogli a proprio sfavore durante la campagna elettorale e il conteggio delle schede. Al di là delle ragioni addotte, Jammeh, perdendo la propria influenza politica e la propria immunità giuridica, teme di essere esposto al rischio di processi a causa dei numerosi crimini e abusi commessi nei 22 anni di regime. Nonostante la reticenza nel dimettersi, il Presidente eletto Adama Barrow, sostenuto dal governo del Senegal, ha provato a superare l’impasse e a forzare la mano nei confronti del Capo di Stato uscente prestando giuramento all’interno dell’Ambasciata gambiana di Dakar, in Senegal, ufficializzando così l’inizio del proprio mandato. L’insediamento all’estero di Barrow di fatto ha aperto le porte all’intervento militare in Gambia dei Paesi della Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (CEDEAO/ECOWAS). Barrow, riconosciuto come legittimo Capo di Stato dalla comunità internazionale, potrà infatti invocare l’intervento degli Stati vicini nel caso in cui Jammeh continuasse a rifiutare le dimissioni volontarie.

Intanto, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite dovrà votare sul progetto di Risoluzione presentato dal governo senegalese per sostenere l’intervento militare. Dakar ha già posto lungo i confini gambiani i propri soldati e aerei da combattimento pronti ad intervenire in qualsiasi momento, mentre, secondo fonti non ufficiali, 5


Jammeh avrebbe reclutato diversi mercenari originari di Liberia, Sierra Leone, e Mali per difendersi, alla luce anche delle defezioni tra le fila dell’esercito regolare, pronto a non intervenire in difesa del Presidente uscente. Il rischio di un’eventuale conflitto, con una conseguente ed imprevedibile escalation di violenze, potrebbe tuttavia essere evitato concedendo a Jammeh l’immunità per i reati commessi durante l’esercizio delle sue funzioni in cambio di una transizione immediata e pacifica dei poteri a Barrow, nonché, come pare stia emergendo nelle ultime ore, concedendogli la possibilità di ripresentarsi al prossimo turno presidenziale come candidato libero e indipendente.

LIBIA, 18 GENNAIO ↴ L’aviazione statunitense ha pesantemente bombardato alcuni

campi

che

i

miliziani

jihadisti

avevano

organizzato nel deserto a sud ovest della città di Sirte. I bombardamenti, ripresi improvvisamente a pochi giorni dal cambio di amministrazione USA dopo che la stessa ne aveva dichiarato la conclusione un mese fa, sono stati effettuati in accordo con il governo di transizione di Tripoli guidato da Fayez al-Serraj. Il Segretario alla Difesa statunitense uscente, Ashton Carter, ha dichiarato che tra le vittime sono sicuramente compresi «individui che avevano attivamente tramato per compiere operazioni terroristiche in Europa». Si fa, inoltre, sempre più seria la crisi dovuta al black-out politico-istituzionale che sta coinvolgendo Tripoli e buona parte del Paese e per la quale il Premier incaricato al-Serraj è stato costretto ad annullare anche la sua prevista partecipazione al World Economic Forum di Davos. Sul fronte cirenaico, aumenta invece la tensione tra Haftar e Roma. La tensione verbale già

registratasi

dopo

la

presentazione delle credenziali del

nuovo

Ambasciatore italiano a Tripoli, Giuseppe Perrone, si è fatta sempre più accesa fino a quando il Generale Khalifa Haftar ha respinto l’offerta di invio di medicinali e di aiuti umanitari fatta dal Ministro degli Esteri Angelino Alfano. Dopo aver accusato Roma di portare avanti in Libia una politica dal sapore neo-colonialista ha rifiutato gli aiuti offerti dal governo italiano quantomeno «prima che le sue navi da guerra e le truppe italiane abbiano lasciato Tripoli e Misurata». L’uomo forte di Tobruk ha continuato accusando l’Italia di ingerenza negli affari interni del Paese nordafricano, finanche parlando di aggressione, e di essersi schierata con Tripoli. Suona proprio come un avvertimento all’Italia il tentativo, andato a vuoto, di due kamikaze di farsi esplodere nei pressi della nuova sede dell’Ambasciata d’Italia a Tripoli avvenuto nella tarda serata del 21 gennaio. Secondo fonti tripoline un uomo avrebbe, infatti, tentato di parcheggiare un’auto imbottita di esplosivo nei pressi della rappresentanza diplomatica italiana ma sarebbe stato sorpreso e messo in fuga dal personale addetto alla sicurezza. Si sta ora indagando sulle concrete intenzioni degli attentatori di colpire la sede diplomatica italiana.

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SITUAZIONE POLITICA E MILITARE SUL CAMPO – FONTE: ECFR

STATI UNITI, 20 GENNAIO ↴ Dopo

una

tumultuosa

transizione

con

l’amministrazione uscente di Barack Obama, si è insediato

ufficialmente

alla

Casa

Bianca

il

rappresentante repubblicano Donald Trump, quale 45° Presidente degli Stati Uniti. La cerimonia si è articolata in una “due giorni” (19-20 gennaio) caratterizzata da una serie di commemorazioni che hanno raggiunto il clou con il giuramento del nuovo Presidente a Capitol Hill. Dopo il giuramento insieme al suo vice Mike Pence, Trump ha pronunciato un discorso alla folla dai toni molto forti e sensibilmente ispirato al principio “America First”, richiamando i concetti e le proposte che gli hanno consentito di sconfiggere sia l’establishment repubblicano sia la candidata democratica Hillary

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Clinton. I soli toni distensivi contenuti nel discorso sono riferiti agli ex avversari e alla famiglia Obama, che Trump ha pubblicamente ringraziato. «Stiamo facendo ritornare il potere al popolo. (…) Per troppo tempo l’establishment ha protetto se stesso e la prosperità era solo per politici. Da ora tutto cambierà (…) i dimenticati non saranno più ignorati». Ulteriore importante tema toccato dalle parole di Trump è stato il tema dei creazione di nuovi posti di lavoro negli USA, scoraggiando anche attraverso sanzioni amministrative e/o economiche la delocalizzazione, fenomeno ampiamente abusato nel corso negli ultimi decenni, in particolar modo poco al di là dei confini statunitensi come ad esempio in Messico. Trump ha ribadito che si dovrà: «proteggere i nostri confini dalle devastazioni di altri Paesi che distruggono i nostri prodotti, rubano le nostre aziende e distruggono il nostro lavoro». Un discorso molto simile a un comizio elettorale piuttosto che a un insediamento presidenziale, nel quale il tycoon ha ribadito con maggior forza messaggi di protezionismo economico, chiusura di confini e di un certo rigetto della globalizzazione. La cerimonia si è svolta in una Washington che ha visto accese manifestazioni di protesta contro il nuovo inquilino della Casa Bianca, scontri con la polizia che hanno portato ad oltre 200 arresti, dimostrando che la frattura all’interno dell’elettorato statunitense non si è ancora rimarginata.

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ALTRE DAL MONDO EGITTO, 16 GENNAIO ↴ Un commando di uomini non meglio identificati ha attaccato una postazione militare della Guardia di Frontiera egiziana ad al-Naqab, nella provincia di al-Wadi al-Jedid, nella desertica New Valley, nella parte orientale del Paese. Secondo le informazioni diffuse dal Ministero dell’Interno, sarebbero state uccise 8 persone, tra cui due assalitori, mentre i feriti sarebbero almeno 4. L’attacco è avvenuto a pochi chilometri di distanza da al-Farafra, già noto per essere stato luogo nel luglio 2014 di uno dei più importanti attentati contro le forze di sicurezza egiziane (22 morti). In quel caso l’atto venne rivendicato da una brigata di Ansar Bayt al-Maqdis (ABM, poi rinominatasi Wilayat Sinai, dopo l’affiliazione allo Stato Islamico, del novembre 2014) guidata dall’ex militare egiziano Hisham Ali Ashmawi. Sebbene non rivendicato, anche in questa circostanza l’attacco potrebbe essere stato condotto da una qualche cellula legata all’attuale gruppo di Ashmawi, Jamaat al-Mourabitoun. Quest’ultima formazione, legata ad al-Qaeda dopo lo shift di ABM con l’IS, pare non avere apparenti collegamenti diretti, seppur ideologicamente siano molto affini, con la formazione omonima attiva nell’Africa saheliana e guidata da Mokhtar Belmokhtar.

ISRAELE-PALESTINA, 15 GENNAIO ↴ Oltre 70 Paesi si sono riuniti a Parigi per partecipare ai lavori della Conferenza internazionale di pace sul Vicino Oriente, incontro informale e fuori dai canali ufficiali ONU volto a rilanciare il processo di pace – da anni in stallo – tra Israele e Palestina. L’iniziativa sorta su impulso francese ha come obiettivo principale il rilancio della formula “Two State Solutions”, ossia quella che garantisce, sotto supervisione della comunità internazionale, la creazione di due Stati separati all’interno del territorio di Terra Santa. L’evento, che ha visto la partecipazione al suo ultimo appuntamento internazionale di John Kerry nel ruolo di Segretario di Stato USA, ha annoverato il rumoroso boicottaggio dei rappresentanti israeliani e palestinesi, entrambi concordi nel sostenere, ma partendo da presupposti diversi, che l’incontro non avrebbe garantito il rilancio del dialogo o di una soluzione politica. Al termine dei lavori, quasi tutti i partecipanti alla conferenza, ad eccezione del Regno Unito e degli USA, hanno sottoscritto una dichiarazione comune che rinnova l’appello a Israele e a Palestina a restaurare il loro impegno per un accordo di pace, nonché ad evitare pericolose azioni unilaterali volte a danneggiare gli sforzi verso questa direzione.

LITUANIA, 17 GENNAIO ↴ Vilnius ha espresso la volontà di costruire entro fine 2017 un muro difensivo lungo il confine con l’exclave russa di Kaliningrad. Il progetto rientra in un piano più ampio di rafforzamento dei confini con Russia e Bielorussia che nel prossimo triennio dovrebbe portare al significativo ridimensionamento di due necessità. Da un lato, fare 9


fronte alla percepita minaccia geopolitica da parte di Mosca; dall’altro, arginare il traffico illegale di merci e persone a cavallo dell’area Schengen. Il muro si estenderà lungo un percorso di 135 Km che è al momento sguarnito di qualsiasi barriera difensiva, e avrà un’altezza di 2 m. Ciò non impedirebbe ai mezzi corazzati ipoteticamente provenienti da Kaliningrad di irrompere in Lituania, ma comporterebbe quantomeno un ostacolo logistico e sarebbe fin da ora inteso a segnalare un atteggiamento di “ragionevole ostilità” verso Mosca. A gravare sul progetto vi è però un fattore monetario. Il muro dovrebbe avere un costo totale di circa 30 milioni di euro, di cui solo 3,6 sarebbero coperti dalla Lituania, mentre i restanti sarebbero corrisposti dall’Unione Europea. Bruxelles, tuttavia, ha prontamente comunicato di non avere alcuna intenzione di pagare, non rientrando nel novero di ciò che è definito come gestione dei confini esterni. La Russia è intervenuta sulla questione per voce del governatore di Kaliningrad, il quale, dopo aver sottolineato la disponibilità ad un ulteriore sforzo congiunto per garantire la sicurezza delle frontiere, ha espresso forti dubbi sull’utilità e sulla fattibilità di tale progetto. L’annuncio del muro ha preceduto di tre giorni la firma di un accordo di cooperazione militare rafforzata tra Lituania e Stati Uniti.

MALI, 18 GENNAIO ↴ In un attacco contro una base militare a Gao, nel nord del Mali, sono rimaste uccise almeno 50 persone, sebbene il bilancio ufficiale delle vittime sia ancora da definire con precisione. La base, che ospita militari e oltre un centinaio di ex combattenti del Coordinamento dei Movimenti dell’Azawad (CMA) che hanno siglato un accordo di pace con il governo maliano, è stata colpita da un attentatore suicida al volante di un’autobomba. Il governo ha proclamato tre giorni di lutto nazionale. L’attentato è stato successivamente rivendicato da al-Mourabitoun, il gruppo islamista guidato da Mokhtar Belmokthar e affiliato ad AQIM (al-Qaeda nel Maghreb Islamico). Negli ultimi anni il gruppo ha compiuto diversi attentati in quest’area dell’Africa mirando a colpire principalmente obiettivi frequentati da occidentali come il Radisson Hotel di Bamako il 20 novembre 2015 e lo Splendid Hotel nella capitale del Burkina Faso Ouagadougou nel gennaio del 2016.

PALESTINA, 18 GENNAIO ↴ A distanza di tre anni (aprile 2014) dall’ultimo tentativo di governo di unità nazionale, Hamas e Fatah hanno raggiunto un’intesa di massima per rilanciare l’ipotesi di un esecutivo congiunto. L’accordo raggiunto a Mosca – da dove dalla fine dell’estate 2016 erano in corso incontri ufficiosi tra le parti mediati da rappresentanti russi ed egiziani – vede questa volta anche l’inserimento di una nuova compagine, il Palestinian Islamic Jihad (PIJ), gruppo politico e militare strettamente legato e per certi versi antagonista ad Hamas nella Striscia di Gaza. Una base dell’accordo era stata raggiunta lo scorso 24 novembre al Cairo alla presenza di Abu Mazen, Presidente palestinese e leader di al-Fatah, di Khaled Meshaal, Presidente di Hamas, e di Moussa Abu Marzouk, vice Presidente di Hamas e rappresentante dell’ala egiziana del gruppo. 10


I colloqui sono poi proseguiti a Beirut e a Mosca, dove si è aggiunta la partecipazione del PIJ, che ha appunto finalizzato l’accordo con gli altri due gruppi palestinesi. I tre firmatari dell’intesa dovranno ora dare seguito alle intenzioni e formare un nuovo Consiglio Nazionale Palestinese, incaricato a sua volta di eleggere i vertici del Comitato esecutivo, ossia il futuro embrione del possibile governo di unità nazionale.

REGNO UNITO, 17 GENNAIO ↴ Theresa May ha pronunciato alla Lancaster House un atteso discorso sulla direzione che prenderanno le trattative sulla Brexit. Il Primo Ministro ha scelto la linea dura, esprimendo la volontà di condurre il Regno Unito fuori anche dal mercato comune e di negoziare con l’UE un accordo per creare un’unione doganale, suggerendo un approccio graduale per i negoziati su temi di comune interesse tra Londra e Bruxelles. May ha messo in guardia da un eventuale accordo punitivo nei riguardi del proprio Paese: «Danneggerebbe la stessa Unione Europea. (…) Usciamo dall’Unione ma non usciamo dall’Europa. Cerchiamo un partenariato nuovo e giusto tra un Regno Unito sovrano, indipendente e globale e i nostri alleati europei». Il discorso, oltre a tracciare un solco profondo nei futuri negoziati, potrebbe assumere un significato ancor più rilevante dopo l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, il quale ha sempre elogiato la Brexit e si è detto pronto a concludere accordi rapidi con Londra.

TURCHIA, 17 GENNAIO ↴ Durante un’operazione condotta dalla polizia di Istanbul affiancata dai reparti dell’anti-terrorismo e dell’intelligence, è stato catturato il presunto attentatore di Capodanno, l’uzbeko Abdulkadir Masharipov. Nella stessa operazione, avvenuta nel distretto di Esenyurt, situato alla periferia europea della città di Istanbul, sono state arrestate altre 5 persone ritenute appartenenti ad una cellula jihadista vicina allo Stato Islamico. Sul piano politico, il 16 gennaio il Parlamento turco ha approvato in prima lettura il progetto di riforma costituzionale che garantirebbe alla figura del Capo di Stato poteri pressoché illimitati. Il 18 gennaio si è già dato il via alla seconda lettura dei 18 articoli di cui si compone l’emendamento; qualora approvata, anche in seconda lettura, si procederà, in primavera, a sottoporre la riforma a referendum.

UNIONE EUROPEA, 17 GENNAIO ↴ Con 351 voti a favore contro 282, Antonio Tajani – esponente del Partito Popolare europeo (PPE) e già Commissario per i Trasporti (2008-2010) e per l’Industria (20102014) – è stato eletto dall’Assemblea di Strasburgo quale nuovo Presidente del Parlamento europeo, battendo Gianni Pittella, Presidente del Gruppo Socialisti e Democratici (S&D). L’elezione di Tajani, la cui nomina è stata possibile anche e soprattutto grazie all’alleanza tra i Popolari e i Liberaldemocratici (ALDE) e dunque grazie alla rinuncia a correre da parte del capogruppo di questi ultimi, Guy Verhofstadt, consolida la posizione del PPE all’interno delle Istituzioni europee ed evidenzia il tentativo 11


dell’Europarlamento di rafforzare il coordinamento e il dialogo con la Commissione. È atteso che l’uscente Martin Schulz, che ha detenuto la carica per cinque anni, si dedichi alla politica interna tedesca in vista del rinnovo del Bundestag, ma non è ancora chiaro se sfiderà come candidato socialista direttamente Angela Merkel, in corsa per il quarto mandato.

YEMEN, 16 GENNAIO ↴ Un sospetto attacco jihadista è stato condotto contro un checkpoint militare a Loder, nella provincia di Abyan, provocando la morte di 4 soldati e il ferimento di almeno 3 di loro. Sebbene non rivendicato l’attentato sembrerebbe essere stato condotto da una cellula legata ad al-Qaeda nella Penisola Arabica (AQAP), da tempo attiva in tutta l’area e interessata a rilanciare una campagna di ricontrollo territoriale nel sud del Paese, dopo aver visto ridimensionato le proprie attività a causa dei raid condotti dalla Coalizione araba anti-terrorismo a guida saudita. Parallelamente, la nuova campagna di attacchi condotti da AQAP segnerebbe un nuovo rilancio nella competizione intra-jihadista contro la cellula locale dello Stato Islamico, il Wilayat Yaman (o anche Wilayat Sana’a), quest’ultimo impegnato a difendere le proprie postazioni a Sana’a e Aden e in una fase calante a causa della scarsità di risorse (umane, finanziarie e militari) provenienti dalla casa madre siro-irachena.

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ANALISI E COMMENTI EURASIA E JIHADISMO – GUERRE IBRIDE SULLA NUOVA VIA DELLA SETA CHIARA SULMONI ↴ «Let us dedicate ourselves to making Afghanistan a geography of peace». Queste sono le parole pronunciate dal Primo Ministro indiano Narendra Modi il 4 dicembre 2016 a Amritsar (Punjab indiano) a margine del Summit annuale Heart of Asia, che punta alla cooperazione regionale nell’ambito della politica, dell’economia e della sicurezza – e che pone l’Afghanistan al centro delle preoccupazioni dei Paesi vicini. Nonostante l’attenzione dei media e dei governi occidentali sia ormai concentrata sul fronte siriano e iracheno, l’Afghanistan e le sue frontiere a sud-est con il Pakistan, a est con la Cina, a nord con Tajikistan, Uzbekistan e Turkmenistan e a ovest con l’Iran rimane un’area fortemente instabile, percorsa da gruppi jihadisti non solo talebani, e dove si è recentemente insediata anche la sigla dell’IS (Islamic State – Khorasan Province) (…) SEGUE >>>

L’ASSE FRANCO-AUSTRALIANO NELLO SCACCHIERE INDO-PACIFICO: PROBLEMATICHE E PROSPETTIVE (VISTE DA PARIGI) SIMONE VETTORE ↴ Il 26 aprile scorso il Primo Ministro australiano, il liberale Malcom Turnbull, annunciava che il gruppo francese DCNS, con i suoi Barracuda, era l’aggiudicatario dell’importante commessa per la realizzazione della nuova classe di sottomarini (AFS, Australian Future Submarine) destinata a sostituire gli ormai superati Collins di derivazione svedese (classe Vastergotland). La proposta di DCNS, stando sempre alle parole di Turnbull, si imponeva rispetto a quelle presentate della tedesca TKMS (Thyssen-Krupp Marine Systems) e da un consorzio giapponese con Mitsubishi Heavy Industries nel ruolo di capofila, non solo per la validità tecnica del progetto proposto ma anche per gli importanti risvolti economico-industriali: analogamente a quanto accaduto negli anni Ottanta, allorquando i Collins non vennero costruiti presso i cantieri svedesi della Kockums bensì presso quelli australiani della Australian Submarine Corporation (oggi ASC Pty Ltd), la realizzazione dei 12 Barracuda previsti nella commessa avrà luogo sempre in Australia e per la precisione presso i cantieri navali di Adelaide, assicurando la creazione di circa 1.100 posti di lavoro (…) SEGUE >>>

A cura di OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE Ente di ricerca di “BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO” Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale C.F. 98099880787 www.bloglobal.net

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