N°7, 26 MARZO – 8 APRILE 2017 ISSN: 2284-1024
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Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo Milano, 9 aprile 2017 ISSN: 2284-1024 A cura di: Davide Borsani Alessandro Costolino Giuseppe Dentice Nicolò Fasola Antonella Roberta La Fortezza Fabio Rondini Maria Serra
Questa pubblicazione può essere scaricata da: www.bloglobal.net Parti di questa pubblicazione possono essere riprodotte, a patto di fornire la fonte nella seguente forma: Weekly Report N°7/2017 (26 marzo – 8 aprile 2017), Osservatorio di Politica Internazionale (OPI), Milano 2017, www.bloglobal.net
Photo Credits: Ministero degli Interni; Aftonbladet; CNBC; Reuters/Carlos Garcia Rawlins; AP; CNS photo/Ford Williams.
FOCUS SIRIA-IRAQ ↴
Nella notte tra il 6 e il 7 aprile, gli Stati Uniti hanno lanciato dalle proprie portaerei nel Mediterraneo orientale (la USS Porter e la USS Ross) 59 missili Tomahawk verso la base aerea siriana di al-Shayrat, nei pressi di Homs, uccidendo – secondo quanto riportato da fonti governative – almeno 15 persone, di cui 6 militari in servizio e causando “significativi danni materiali”. L’operazione militare – formalmente la prima americana apertamente diretta contro il regime di Damasco – è stata ufficialmente giustificata dall’amministrazione americana e dagli alleati come una risposta “proporzionale e appropriata” all’ennesimo crimine contro l’umanità perpetrato dal regime di Bashar al-Assad: proprio da questa base infatti, lo scorso 4 aprile, sarebbero partiti i tre bombardamenti chimici con gas nervini (in particolare il sarin) – arsenale che si riteneva fosse stato distrutto dopo il presunto attacco chimico avvenuto nelle aree del Ghouta orientale nell’estate del 2013 – diretti sul villaggio di Khan Sheikhun, nella provincia nord-occidentale di Idlib sotto il controllo dei ribelli, e che hanno provocato decine di vittime – se non centinaia, come sostenuto dalle organizzazioni non governative in loco. Come nel 2013, il Ministro degli Esteri siriano Walid al-Muallem ha invece sostenuto che il raid dell’esercito siriano ha colpito un deposito di armi chimiche e una fabbrica di munizioni dei ribelli, accusando questi stessi di aver utilizzato i gas nelle aree urbane circostanti. Nonostante il Segretario di Stato USA, Rex Tillerson, abbia dichiarato che lo strike non modifica l’atteggiamento americano nei confronti del conflitto, l’assunzione di una nuova postura – dopotutto in linea con il recente rafforzamento della presenza militare sul suolo siriano – in merito alla permanenza di Assad al potere (solo alla 1
fine di marzo l’Ambasciatrice americana alle Nazioni Unite, Nikki Haley, aveva dichiarato che quest’argomento non costituiva una priorità) appare giustificato dal tentativo degli USA non solo di dettare la propria posizione sulla principale crisi internazionale e di rientrare così in quel reticolo diplomatico da cui la Russia – anche a causa delle mancanze negli anni dimostrate dalla stessa Washington – li aveva estromessi, ma anche di prendere nettamente le distanze dall’ondivaga politica promossa dalla precedente amministrazione Obama, soprattutto sul tema delle red lines che non si sarebbero dovute oltrepassare. I fences fissati con questa operazione militare mirano così a dettare nuovamente i criteri e le misure di deterrenza sia a livello regionale – e in particolar modo per ciò che riguarda i rapporti con Russia e, soprattutto, Iran – sia a livello globale – con specifico riferimento alle tensioni con la Corea del Nord, verso la quale si stanno muovendo nelle stesse ore un gruppo di navi militari guidate dalla portaerei a propulsione nucleare USS Carl Vinson con il beneplacito della Cina.
BOMBARDAMENTO BASE MILITARE AL-SHAYRAT – FONTE: DIPARTIMENTO DELLA DIFESA USA/AP
In ogni caso, per ciò che riguarda il bombardamento in Siria, il basso numero di morti suggerisce non solo che l’indirizzamento dei cruise è stato chirurgico (a tal proposito, solo 23 avrebbero effettivamente raggiunto il target) e avvenuto nel momento in cui si registrava la minore attività all’interno del centro militare, ma anche che evidentemente Washington aveva annunciato l’azione con un certo anticipo, in particolare alla
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Russia. Lo stesso Tillerson, che i prossimi 11-12 aprile si recherà ufficialmente a Mosca, ha confermato che la controparte era stata avvisata per tempo, in accordo ai programmi di de-conflitto e di condivisione delle informazioni sullo spazio aereo concertati negli ultimi mesi. D’altra parte, a fronte delle condanne per quella che è stata definita una “violazione della sovranità siriana”, il Cremlino non ha preso significative contromisure, lasciando i termini del confronto sul piano verbale e/o diplomatico e corroborando allo stesso tempo l’ipotesi per cui gli Stati Uniti non promuoveranno, almeno per il momento e a meno di ulteriori azioni considerate “inaccettabili”, una più ampia campagna militare volta ad indebolire o a rimuovere Assad. Resta piuttosto in quest’ottica confermato il terreno comune in materia di lotta allo Stato Islamico (IS), che nello scenario siriano risulta ancora assediato intorno a Raqqa (e correntemente a Tabqa) sotto la pressione dell’alleanza arabo-curda delle Forze democratiche siriane (SDF). In questo contesto resta altamente delicata la posizione della Turchia che, se da un lato ha potuto negli ultimi mesi avvantaggiarsi della convergenza strategica con la Russia per poter perseguire la propria azione militare nel nord della Siria anche parzialmente in contrasto con la strategia americana, dall’altro ha commentato favorevolmente il bombardamento su al-Shayrat, evidentemente alla luce delle deboli garanzie che la Federazione Russa allo stato attuale sta offrendo ad Ankara sulla questione curda e dello scudo posto dal governo siriano intorno alle aree di Manbij che ha di fatto strozzato l’incursione turca. La reazione della Turchia, similare a quella dell’Arabia Saudita oltre che a quella della Giordania e delle altre monarchie del Golfo, indica che lo strike americano ha oltretutto creato l’opportunità per Trump di restaurare le relazioni con attori che nel corso degli ultimi mesi hanno puntato a riorientare la propria politica estera verso la Russia. Sul fronte iracheno resta intatto lo sforzo contro l’IS a Mosul. I miliziani del Califfato, pur in ripiegamento e indeboliti dalla perdita di figure chiave (come Ayad al-Jumaili, ex comandante dei servizi segreti a Fallujah durante il regime di Saddam Hussein e considerato il numero 2 di al-Baghdadi in qualità di Ministro della Guerra; Turki al-Dulaimi, indicato come comandante militare del gruppo ad al-Qaim, e Salim al-Ajm, considerato un responsabile dell’amministrazione dell’Anbar), continuano a condizionare lo scenario bellico attraverso un aumento delle proprie capacità operative – come evidenziato dall’abbattimento di un elicottero dell’esercito iracheno (6 aprile) – e l’intensificazione di una campagna di attentati suicidi a Tikrit e a Samarra.
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STATI UNITI ↴
Il disegno di legge proposto dal Presidente degli Stati Uniti Donald Trump per riformare l’Affordable Care Act, la riforma sanitaria approvata nel 2010 dall’amministrazione di Barack Obama, è stato ritirato dal voto dei Deputati al Congresso il 24 marzo. La proposta, infatti, non avrebbe ricevuto i voti necessari per l’approvazione della Camera bassa statunitense. Il progetto, che avrebbe dovuto sostituire e riformare l’Obamacare, oltre a costituire uno dei punti critici della campagna elettorale del tycoon, rappresenta una questione molto dibattuta nella politica interna americana da molti anni. Il tema della riforma sanitaria si conferma come una delle sfide più delicate per gli inquilini della Casa Bianca, poiché già la precedente amministrazione Obama aveva riscontrato grandi difficoltà nell’approvazione e nell’applicazione del disegno di legge. Trump, dal canto suo, si è detto deluso e ha subito cercato di riunire le fila del GOP spingendo per l’approvazione di una nuova riforma volta a una semplificazione nell’ambito fiscale e ad una riduzione delle imposte. Il ritiro della proposta legislativa sulla sanità di Trump costituisce un’importante sconfitta sul fronte interno per il Presidente statunitense, al quale sono mancati proprio i voti dello stesso partito repubblicano. I dissidi non riguardano, tuttavia, solo il rapporto tra il Presidente e il GOP, ma sembrano essere presenti anche nella stessa squadra di governo di Trump, in quanto Steve Bannon, Chief Strategist della Casa Bianca e uno dei più stretti consiglieri del Presidente, il 5 aprile è stato rimosso dal National Security Council. La nomina di Bannon, ex capo della campagna elettorale di Trump, era stata aspramente criticata sia dai democratici sia dai repubblicani per la sua inesperienza e per alcune sue posizioni ideologiche, in grado potenzialmente di politicizzare il ruolo del NSC. Si tratta, comunque, di un secondo rimpasto politico che colpisce il NSC dopo le dimissioni di Michael Flynn, costretto a rinunciare all’incarico dopo essere stato 4
accusato di avere avuto “contatti compromettenti” con l’Ambasciatore russo a Washington al fine di favorire la vittoria di Trump alle elezioni di novembre e di aver mentito a riguardo al vice Presidente Mike Pence. L’amministrazione Trump ha comunque precisato che l’esclusione di Bannon dal NSC non implica un ridimensionamento delle mansioni a lui affidate. Intanto, il 31 marzo l’ex National Security Advisor Michael Flynn ha espresso la disponibilità a rivelare, in cambio dell’immunità, la propria versione dei fatti sul “Russiagate” e sui presunti legami tra l’amministrazione Trump e il Cremlino, un’accusa che i democratici hanno mosso all’amministrazione repubblicana già a partire dall’esito delle elezioni presidenziali di novembre. In politica estera, Trump ha rispolverato il 30 marzo l’arma delle barriere tariffarie su beni europei commerciati negli Stati Uniti, alcuni dei quali italiani, minacciando l’introduzione di dazi pari al 100% del prezzo del prodotto. Una decisione che, già elaborata durante la presidenza Obama e inclusa in due decreti firmati da Trump per ridurre il deficit sulla bilancia commerciale di Washington, poggia su una storia di rapporti commerciali transatlantici non sempre contrassegnati dalla collaborazione reciproca, soprattutto su alcuni prodotti critici come la carne statunitense trattata con ormoni. Dopo il ritiro degli Stati Uniti dal TPP e la bocciatura del TTIP, la “guerra commerciale” con l’Europa citata dal Segretario al Commercio statunitense Wilbur Ross conferma la tendenza protezionistica dichiarata dall’amministrazione Trump. In merito agli incontri previsti dal tycoon, spicca quello con il Presidente della Repubblica Popolare Cinese Xi Jinping in Florida il 6 e 7 aprile, soprattutto per le critiche espresse alla politica commerciale cinese in campagna elettorale, alla mancanza di fermezza di Pechino nell’ostacolare il programma di riarmo nucleare nordcoreano e alla possibilità, paventata da Trump a gennaio, di non confermare la “One China policy” e di riallacciare i legami con la Repubblica nazionalista di Taiwan. Si potrebbe profilare una normalizzazione dei rapporti basata su un accordo volto ad una maggiore pressione cinese su Pyongyang e a una tolleranza da parte degli USA sulla politica d’influenza di Pechino nella zona Mar Cinese. Trump, inoltre, ha tenuto un incontro il 3 aprile con il Presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi a Washington – la prima visita di un Presidente egiziano negli Stati Uniti dal 2004. Il colloquio con Trump rappresenta un miglioramento nei rapporti tra i due Paesi soprattutto in tema di lotta al terrorismo internazionale e islamista.
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TERRORISMO ↴
Un doppio attentato ha scosso nuovamente l’Europa, colpendo questa volta la Russia e la Svezia. Il 3 aprile una bomba è esplosa in una stazione della metropolitana a San Pietroburgo, mentre il 7 aprile un camion ha travolto diverse decine di persone in un’area pedonale a Stoccolma. Sebbene non rivendicati ufficialmente dallo Stato Islamico (IS), entrambi gli attacchi vengono ritenuti dalle fonti di polizia e di sicurezza russe e svedesi indirettamente ispirati dall’IS o da soggetti variamente legati a cellule locali radicalizzate e in qualche modo collegate con ambienti estremisti e terroristici. Oltre che confermare un certo trend generale rispetto ad altri eventi terroristici anche recenti (come Berlino, Istanbul o Londra), circa la tipologia di target (luoghi chiusi/aperti molto affollati) e il modus operandi (ordigno esplosivo o camion sulla folla), gli attacchi di San Pietroburgo e Stoccolma evidenziano però una certa frammentarietà delle notizie a conoscenza degli inquirenti, nonché una più complessiva assenza di chiarezza nei moventi, nelle finalità reali e nelle dinamiche degli atti compiuti, ma anche e soprattutto una possibile entrata in scena di gruppi aderenti a correnti radicali ed estremiste collegabili ad aree ad oggi relativamente lontane – come l’area dell’Asia Centrale – dai contesti prettamente europei.
RUSSIA, 3 APRILE ↴ A San Pietroburgo un uomo si è fatto esplodere all’interno di un vagone della metropolitana cittadina nei pressi della stazione di Semaya Ploschad, provocando la morte di circa 14 persone e il ferimento di circa 50. Poche ore dopo la deflagrazione, un altro ordigno inesploso è stato ritrovato nella vicina fermata metro di Ploschad Vos-
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staniya. L’attacco è stato condotto attraverso un’azione suicida da parte di un soggetto che nascondeva sotto i propri vestiti delle importanti quantità di esplosivo. L’autore è stato individuato in Akbarzhon Jalilov, un cittadino uzbeko di passaporto russo, originario di Osh, una città della Valle del Fergana in Kirghizistan, area nota al contro-terrorismo russo e delle Repubbliche centro-asiatiche ex sovietiche per essere un hotbed di primo piano nell’esportazione di foreign fighters verso le fila siro-irachene dell’IS. Al momento gli inquirenti non hanno fornito ulteriori dettagli circa le generalità e la vita dell’uomo, ma ipotizzano che alla base del gesto vi possa essere stato il risentimento nei confronti della politica estera mediorientale condotta dalla Russia in Siria in sostegno ad Assad e contro le cellule islamiste attive in quei territori prossimi al Caucaso, dove da decenni Mosca è impegnata in un logorante conflitto a bassa intensità contro gruppi locali di insorgenza nazional-secessionista e/o jihadista. In particolare il fattore jihadista e islamista viene temuto fortemente dal Cremlino, dove è impegnato a combattere le cellule più o meno prossime ad al-Qaeda (Emirato del Caucaso e una parte del Movimento Islamico dell’Uzbekistan – MIU) e ad IS (Wilayat Kavkaz e scissionisti del MIU) e a bloccare il continuo afflusso di combattenti locali attivi tra Cecenia, Inguscezia, Kabardino-Balkaria e Dagestan e andati ad ingrossare le fila dello Stato Islamico in Siraq (secondo le stime del Soufan Group sarebbero all’incirca 5.000 i soggetti russi o lingua russa in quei territori). Nel frattempo le forze di polizia e la sicurezza nazionale hanno dato avvio ad una serie di operazioni di anti-terrorismo su tutto il territorio russo, arrestando 4 persone sospettate di avere legami con l’attentatore. Anche in questo caso non sono stati forniti dettagli circa generalità, dati personali e nazionalità, ma si suppone, anche alla luce dei precedenti raid avvenuti nel corso degli ultimi 24 mesi a San Pietroburgo e Mosca, che vi possano essere numerose cellule dislocate e unite da una rete più o meno organizzata di soggetti radicalizzati di provenienza per lo più centro-asiatica e caucasica.
SVEZIA, 7 APRILE ↴ Un camion è piombato sulla folla in un’area pedonale di Drottninggatan, nel centro città e tra le principali vie dello shopping della capitale svedese. Il bilancio parziale è di 4 morti e 15 feriti, ma questo potrebbe continuare salire a causa delle gravi condizioni in cui versano 9 persone travolte dal mezzo. Il camion, di proprietà della società Spendrups, risulterebbe essere stato rubato durante una consegna ad un ristorante nel centro città. L’uomo responsabile del furto e dell’attacco è stato arrestato dopo un lungo inseguimento. Il suo nome è Rakhmat Akilov, un cittadino uzbeko, padre di quattro figli, che aveva manifestato sul web simpatie per lo Stato Islamico e che era in attesa di espulsione dopo che la sua domanda di asilo in Svezia era stata rifiutata. Nelle operazioni sempre condotte dalle forze di polizia e dalla sicurezza nazionale sono state fermate 6 persone, anch’esse di nazionalità uzbeka, con accuse varie di coinvolgimento nell’attentato. Non è chiaro se l’uomo e i soggetti in questione si conoscessero e/o avessero dei contatti diretti; tuttavia gli 7
inquirenti sarebbero sempre più convinti a seguire l’ipotesi che dietro l’atto criminale – definito fin da subito come terroristico dal Primo Ministro svedese Stefan Lövfen – vi sia un network uzbeko localizzato tra i sobborghi di Stoccolma e delle altre grandi città svedesi (come Göteborg e Malmö). Un’ulteriore conferma giungerebbe anche dal ritrovamento di un certo quantitativo di esplosivo all’interno del mezzo rubato, che farebbe supporre dunque che il gesto non sia frutto di improvvisazione ma di una pianificazione o comunque di uno schema già studiato. Il capo dell’intelligence svedese, Anders Thornberg, ha spiegato che il sospetto «non era sotto indagine» ma che «era stato attenzionato per i suoi interessi circa eventi terroristici» (aveva postato su Facebook diverse immagini e video della maratona di Boston del 2013) e infine catalogato come «figura marginale» perché non legato ad ambienti estremisti. In questo senso saranno importanti le eventuali rivelazioni da parte dell’arrestato e le indagini condotte dalle forze di polizia impegnate nel far luce sull’accaduto.
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BREVI LIBIA, 1 APRILE ↴ Dopo tre giorni di trattative, 60 capi tribù della regione del Fezzan riunitisi al Viminale sotto la mediazione del Ministro italiano degli Interni, Marco Minniti, hanno raggiunto
un
accordo
di
riconciliazione
rispettato, permetterebbe di
che,
se
vedere pacificata la
regione meridionale della Libia. Quest’ultima, in seguito alla frantumazione dello Stato libico nel post-Gheddafi, è infatti da anni luogo di accesi scontri tra le due principali tribù, gli Awalad Suleiman e i Tebu. L’accordo del 1 aprile, tra le altre cose, affronta anche altri punti focali del dossier libico quali la lotta al terrorismo, alla radicalizzazione e soprattutto al traffico di esseri umani. Proprio in riferimento a quest’ultimo punto, l’accordo raggiunto, prevedendo il controllo unificato del confine meridionale del Paese da parte delle tre principali tribù, Awlad Suleiman, Tuareg e Tebu, risulta strategico anche nella gestione dei flussi migratori. Non a caso, continuando lungo la stessa linea strategica bilaterale già iniziata con l’accordo di febbraio, l’Italia si è fatta garante, su proposta delle tribù libiche stesse, del nuovo accordo dimostrando così di essere ormai in prima fila nella gestione del dossier libico. Sul fronte interno libico, il patto sembrerebbe rafforzare le posizioni del governo di Tripoli il quale potrebbe con maggiore decisione cercare di estendere il proprio controllo effettivo alle regioni del Fezzan. La ritrovata pace dovrebbe portare in tempi
relativamente brevi
anche alla riapertura
dell’aeroporto di Sebha.
RUSSIA, 28 MARZO - 3 APRILE ↴ Nelle ultime due settimane il Presidente Vladimir Putin ha partecipato a due incontri bilaterali di particolare rilievo. Nel primo andato in scena il 28-29 marzo a Mosca, Putin ha interloquito con il Presidente iraniano Hassan Rouhani, in quello che è stato l’ottavo vertice tra i due leader negli ultimi quattro anni ed il primo per Rouhani dall’inizio del 2017: numeri che lasciano intendere la volontà da entrambe le parti di mantenere alto il livello dei contatti e della cooperazione bilaterale e che conferma anche lo spessore strategico che l’una riveste nella politica estera dell’altra. I colloqui si sono soffermati su numerosi progetti per espandere il commercio bilaterale, aumentare il volume degli investimenti e riconfermare il supporto reciproco nei settori energetico e delle infrastrutture. Stando a fonti del Cremlino, sarebbero stati firmati ben 14 documenti di cooperazione che spaziano dall’oil & gas al turismo, dallo scambio di tecnologie informative allo sport, dall’aggiornamento della rete 9
ferroviaria iraniana fino al nucleare. Rispetto a quest’ultimo punto, Mosca e Teheran sono particolarmente attive: ROSATOM opera nella Repubblica islamica già da tempo ed è di recente completamento la resa operativa di un primo reattore nel sito di Busheher; oltre ad aver spianato la strada per la costruzione di nuovi reattori presso lo stesso complesso, il vertice del 28 marzo permetterà all’Iran di godere anche di un prestito da 4,2 miliardi di dollari per la costruzione di una nuova centrale termoelettrica e l’elettrificazione degli impianti ferroviari nel quadrante nord-est del Paese. Questo accento sui temi energetici e infrastrutturali è andato di pari passo con l’invio di rassicurazioni alla comunità internazionale circa il rispetto dell’accordo sul nucleare, pur ribadendo il proprio pieno diritto di sviluppare una cooperazione per l’utilizzo pacifico dell’energia atomica. Putin e Rouhani hanno avuto modo di confermare l’interesse congiunto nella stabilità del Medio Oriente e nel porre fine al conflitto siriano, in relazione al quale essi hanno avviato delle consultazioni assieme alla Turchia, marginalizzando invece gli Stati Uniti. Se la Russia guadagna dagli stretti rapporti con l’Iran numerose commesse per i propri giganti nel settore energetico ed un partner fondamentale nello scacchiere mediorientale, Teheran, dall’altro lato, beneficia di consistenti trasferimenti finanziari e tecnologici e di un alleato per la stabilità interna del Paese così come del suo rilancio internazionale, come dimostrerebbe il supporto russo alla membership iraniana nell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai. Il secondo incontro di rilievo è avvenuto a San Pietroburgo – nelle stesse ore in cui avveniva anche l’attentato nella metropolitana cittadina – tra il Presidente della Federazione Russa è il Presidente bielorusso Alexandr Lukashenko. Le premesse da cui muovevano le parti non erano tuttavia delle migliori, differentemente dal caso iraniano. Le relazioni bilaterali tra Mosca e Minsk hanno iniziato ad incrinarsi con lo scoppio della crisi in Ucraina, che ha fatto temere alla Bielorussia la possibilità di subire una
sorte
simile nel
prossimo futuro.
Ciò ha
causato un
relativo
raffreddamento nell’enfasi posta da Lukashenko sulla fratellanza con la Russia, dando invece nuovo vigore alla retorica neutralista. Questo a sua volta ha portato da parte russa ad un ridimensionamento degli aiuti elargiti a Minsk, aumentando il prezzo del gas e diminuendo il volume di greggio esportati. Questo ha reso Mosca compartecipe, agli occhi del Presidente bielorusso, dell’incessante crisi economica che affligge il Paese. Una risoluzione dei dissapori era già stata tentata il 30 marzo dai rispettivi Primi Ministri, ma senza esito positivo. Stando a fonti bielorusse, il Vertice presidenziale avrebbe invece dato i suoi frutti, risolvendo “ogni divergenza” e anzi stabilendo le condizioni per un’ulteriore spinta integrativa, questa volta nei mercati dell’energia elettrica e del gas. Rimane ancora da vedere quali progressi effettivi siano stati compiuti, ma entrambe le parti avrebbero da guadagnare da un pur parziale riavvicinamento. Putin, da un lato, eviterebbe un ulteriore cedimento del proprio controllo sul vicinato orientale; Lukashenko, dall’altro, ne ricaverebbe in termini di stabilità interna-economica innanzitutto e, di conseguenza, politica. Permetterebbe inoltre ad entrambe le parti di sbloccare il processo di integrazione eurasiatica, recentemente arenatosi sull’opposizione reciproca dei due Paesi, con la Bielorussia 10
che rivendica maggiore uguaglianza nei rapporti e per questo blocca nuovi progetti e la Russia che, per ritorsione, pone il veto all’elargizione di una terza tranche di prestiti in favore di Minsk.
VENEZUELA, 30 MARZO ↴ Resta alta la tensione nel Paese dove da giorni si susseguono
manifestazioni
e
scontri
contro
il
Presidente Nicolás Maduro, che hanno già provocato numerosi feriti e arresti nella capitale Caracas. La già aspra contrapposizione nel Paese è stata infatti aggravata dalla sentenza del Tribunale Supremo di Giustizia (TSJ) che aveva nei fatti esautorato il Parlamento dei propri poteri e togliendo ai parlamentari l’immunità propria della loro funzione. A seguito dell’inaspettata decisione del TSJ, il Presidente dell’Assemblea Nazionale, Julio Borges ha parlato di “colpo di Stato giudiziale” e il Segretario Generale dell’Organizzazione degli Stati Americani (OSA), Luis Almagro, ha descritto gli avvenimenti nella Repubblica Bolivariana come un “auto-golpe”, chiedendo nel contempo la convocazione urgente del Consiglio permanente dell’OSA per mettere in moto la procedura della Carta Democratica contro il Venezuela. Queste dichiarazioni unite ai probabili consigli alla prudenza provenienti dall’alleato Cuba e alle dure critiche della comunità internazionale e della Conferenza Episcopale Venezuelana, che aveva già in passato denunciato il rischio di deriva dittatoriale nel Paese, hanno convinto il Tribunale Supremo di Giustizia a rivedere la sentenza, sebbene solo parzialmente poiché permangono alcune misure che usurpano l’autonomia del potere legislativo, e Maduro ad evitare di impugnare la decisione stessa che gli avrebbe permesso di esautorare il Parlamento dove l’opposizione è maggioritaria. Le proteste, che nel Paese sudamericano sono divenute molto frequenti a causa del protarsi della crisi economica e sociale legata in parte anche al basso prezzo internazionale del petrolio, continuano senza sosta anche perché l’Organo di Controllo Supremo, controllato dal governo, ha negato all’Assemblea Nazionale la possibilità di citare in giudizio i giudici della corte che hanno emesso la discussa sentenza al fine di rimuoverli.
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ALTRE DAL MONDO ARMENIA, 2 APRILE ↴ Rispettando i pronostici elettorali, il Partito Repubblicano (HHK) è stato riconfermato come forza di maggioranza relativa all’interno del Parlamento unicamerale armeno, con il 49,12% delle preferenze raccolte. Seguono a distanza Armenia Prosperosa, la colazione creatasi intorno all’imprenditore Gagik Tsarukyan (27,32%), il blocco delle opposizioni Yelk (7,77%) e i nazionalisti di retaggio socialista della Federazione Rivoluzionaria Armena (Dashnaktsutyun, 6,57%). Con tutta probabilità, il nuovo governo vedrà la riproposizione dell’alleanza tra questi ultimi e l’HHK, già alla guida del Paese durante la precedente legislatura, pur senza risultati di particolare rilievo. L’Armenia è infatti preda di un’incipiente crisi economica che ne ha ridotto la crescita dal 3% allo 0,2% nel giro di due anni – complice l’embargo sostenuto dalla Turchia per appoggiare l’Azerbaijan nell’annoso conflitto del Nagorno-Karabakh. Non a caso, l’economia è stato il principale argomento di dibattito durante la campagna elettorale. Si tratta della prima elezione dalla riforma costituzionale del dicembre 2015, la quale, suggellata da un referendum popolare, ha notevolmente ridimensionato i poteri del Presidente in favore della transizione al modello di Repubblica parlamentare. L’attuale Capo di Stato Serzh Sargsyan sarà l’ultimo direttamente eletto dal popolo: una volta scaduto il suo mandato nel 2018, il leader dell’HHK potrebbe ricevere con molta probabilità l’incarico dal Parlamento e ricoprire un ruolo prevalentemente cerimoniale. Invero, non tutti hanno accolto positivamente tale trasformazione. Gli oppositori accusano Sargsyan di avere architetto la riforma solo poter mantenere il potere dopo il 2018, in qualità di nuovo Primo Ministro o semplicemente in quanto segretario dell’HHK; la vittoria del suo partito ne sarebbe la prova. Per parte loro, gli osservatori elettorali internazionali non hanno riscontrato gravi vizi ma solo irregolarità minori nella conduzione delle elezioni, che l’OSCE ha definito come ben amministrate e rispettose dei diritti fondamentali.
BULGARIA, 26 MARZO ↴ Per la terza volta in quattro anni, i cittadini bulgari sono stati chiamati alle urne per eleggere i propri rappresentanti all’Assemblea Nazionale. Infatti, a seguito dell’elezione a Presidente della Repubblica, il 14 novembre scorso, dell’ex generale Rumen Radev, candidatosi come indipendente ma supportato dai socialisti, il Primo Ministro e leader del GERB Boyko Borisov ha deciso di dimettersi, aprendo così l’ennesima crisi istituzionale del Paese. Il partito Cittadini per lo sviluppo europeo della Bulgaria (GERB), schieramento europeista di centro-destra, ha ottenuto nuovamente la maggioranza relativa, raccogliendo il 33,54% delle preferenze e dunque aggiudicandosi 95 seggi su 240. Seguono il Partito Socialista (BSP; 81 seggi), la coalizione Patrioti Uniti, che riunisce i tre principali movimenti nazionalisti del Paese (27), tra i quali anche il Movimento per i Diritti le Libertà (DPS), il quale rappresenta la numerosa minoranza turca presente in Bulgaria (26) ed infine il partito populista “Volontà” (Voyna; 12). Nonostante la popolazione si dica stanca della gestione disfunzionale 12
del Paese e, in particolare, delle enormi disuguaglianze a cui questa ha portato, la leadership politica precedente è stata sostanzialmente riconfermata. È tuttavia vero che gli equilibri interni al Parlamento sono mutati e questo potrebbero contribuire ad una maggiore dinamicità politica. Prima ancora, però, ciò potrebbe comportare dei problemi per la formazione di un governo stabile. Questo è valido in generale ma soprattutto nel caso del GERB, il primo partito ad essere incaricato della formazione del nuovo governo. I potenziali partner potrebbero rifiutare di unirsi in coalizione con questi, favorendo invece i socialisti – che idealmente si prospettano più malleabili. Inoltre, anche qualora una coalizione fosse formata, la convivenza al suo interno risulterebbe in ogni caso problematica; esclusa a priori un’alleanza GERB-BSP, ciascuna delle altre possibilità presenta aspetti critici, data la scarsa compatibilità tra le linee politiche dei partiti presenti.
ECUADOR, 2 APRILE ↴ Secondo i dati ufficiali del Consiglio Nazionale Elettorale dell’Ecuador, pronunciatosi dopo 48 ore dalle elezioni presidenziali, l’ex vice Presidente durante il primo mandato dell’uscente Correa, Lenín Moreno, ha vinto il ballottaggio distanziando di più di due punti l’avversario, il liberale Guillermo Lasso. Il partito del governo uscente, Alianza País, ha infatti ottenuto il 51,16% dei voti, mentre la coalizione di opposizione SumaCreo si è fermata al 48,84%. Lasso, che ha vinto nei maggiori centri urbani Quito e Guayaquil non sembra tuttavia voler riconoscere il risultato del voto e, dopo aver accusato il governo di brogli, ha promesso di impugnare la decisione dell’autorità elettorale, mentre i suoi sostenitori sono scesi in piazza a testimonianza di un Paese profondamente polarizzato e spaccato dove sia Moreno sia Lasso si erano proclamati vincitori già prima che l’autorità elettorale stessa si pronunciasse definitivamente, creando un diffuso senso confusione. Anche in riferimento agli ultimi avvenimenti la Conferenza Episcopale Ecuadoriana attraverso un comunicato ha chiesto «trasparenza e verità nel processo elettorale per non compromettere la pace e l'unità» in un Paese già attraversato da una profonda crisi economica, legata soprattutto al basso prezzo internazionale del petrolio.
ISRAELE, 3 APRILE ↴ Nella base militare di Hatzor, nella zona centrale di Israele, è stato ufficialmente inaugurato il nuovo meccanismo di difesa aerea noto come David’s Sling (Fionda di Davide). Il sistema, inaugurato alla presenza dei massimi vertici politici e militari dello Stato ebraico, dovrebbe permettere a Tel Aviv di neutralizzare l’arsenale missilistico in mano ai suoi nemici, rendendo inefficace qualsiasi attacco preventivo proveniente dai confini instabili. A sud, Hamas può attaccare dalla Striscia di Gaza con razzi a corto raggio Qassam e Katyusha; a nord, Hezbollah in Libano disporrebbe di missili a medio raggio Scud-Burkan e razzi M-600, mentre dal Golan in Siria, il regime di Assad potrebbe lanciare alcune batterie di missili Scud. Infine, da est, l’Iran potrebbe usare i missili a medio-lungo raggio Shahab. I tre sistemi integrati sono per-
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tanto pensati per prevenire eventuali attacchi su più fronti: Iron Dome può intercettare razzi, proiettili di artiglieria e missili a corto raggio, David’s Sling è in grado di intercettare missili a medio raggio, le evoluzioni di Arrow sono capaci di colpire missili balistici a lungo raggio. Con l’innovazione di David’s Sling Israele ha dunque completato il suo terzo e ultimo livello di meccanismi di sicurezza nazionale. Ciononostante gli analisti militari temono che i tre sistemi siano parzialmente impossibilitati ad intercettare tutti i missili provenienti da una qualsiasi zona di confine, soprattutto nel caso in cui si dovesse assistere ad un massiccio e costante lancio di razzi verso il territorio israeliano.
ITALIA, 30 MARZO ↴ Un blitz congiunto condotto dalla Polizia di Stato e dai Carabinieri, all’interno di un’operazione coordinata dalla Direzione distrettuale anti-mafia e anti-terrorismo di Venezia, ha portato all’arresto di 4 persone accusate di associazione terroristica. Gli arrestati – tra cui anche un minorenne – sono di origine kosovara, tutti residenti in Italia con regolare permesso di soggiorno. Durante le ore successive altre perquisizioni sono state eseguite sempre a Venezia, a Mestre e a Treviso per verificare un’eventuale ramificazione dei soggetti con reti nazionali e straniere. Dalle indagini è emerso che il gruppo sarebbe operativo dal 2016 in loco e farebbe parte di una cellula jihadista operante nella città lagunare e pronta a colpirla nei pressi del ponte di Rialto. I soggetti abitavano in due appartamenti nel centro città dove venivano confezionati piccoli ordigni in scala necessari a simulare un possibile attacco. Secondo le intercettazioni ambientali effettuate dalla polizia, il gruppo, formatosi e auto-addestratosi in Italia, sarebbe entrato in possesso di conoscenze ed expertise molto avanzate nel settore delle esplosioni.
PARAGUAY, 31 MARZO ↴ A seguito del voto del Senato che ha approvato un emendamento costituzionale per consentire la rielezione presidenziale a chi era già stato Capo dello Stato, nel Paese si sono verificati numerosi scontri e rivolte di massa durante le quali un giovane esponente del Partito Liberale Radicale Autentico, il maggiore tra i partiti di opposizione, è rimasto ucciso e circa trenta persone, tra cui tre Senatori, sono rimaste ferite. Nella capitale Asunción i manifestanti hanno assaltato e tentato di dare alle fiamme la stessa sede parlamentare, che poche ore prima aveva promosso la riforma che consentirebbe all’attuale Presidente Horacio Cartes, il cui mandato termina il prossimo anno, di ripresentarsi alle prossime elezioni che si svolgeranno nella primavera del 2018. Il progetto del Partido Colorado di Cartes, al potere dal 2013, è stato appoggiato anche da alcuni membri “liberali” e da quattro esponenti della coalizione di sinistra Frente Guasú che ha come leader Fernando Lugo, ex Presidente del Paese destituito nel 2012 e anch’esso con questo atto ricandidabile alla presidenza. La Costituzione varata in Paraguay nel 1992 dopo 35 anni di dittatura, la più lunga tra
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sudamericane, limita infatti l’incarico del Presidente a un solo quinquennio di mandato. L’emendamento alla Costituzione deve ora essere esaminato dalla Camera dove Cartes può contare su una solida maggioranza.
REGNO UNITO, 28 MARZO ↴ L’Ambasciatore britannico presso l’Unione Europea, Tim Barrow, ha consegnato al Presidente del Consiglio europeo Donald Tusk la lettera firmata dal Primo Ministro Theresa May che sancisce l’attivazione della procedura di negoziato prevista dall’art. 50 del Trattato sull’Unione Europea per condurre Londra fuori dall’UE. L’avvio delle trattative per la Brexit prende dunque ufficialmente avvio e, conformemente all’art. 50, vi saranno due anni di tempo per negoziare un accordo bilaterale di uscita tra il Regno Unito e l’Unione Europea. Da entrambe le parti prevale una linea “dura” con cui approcciarsi ai negoziati. Il Primo Ministro May ha più volte espresso un approccio da “hard Brexit”, confermando l’intento di voler uscire anche dal mercato unico europeo; tuttavia, nelle ultime settimane, è apparsa più disponibile a una fase di transizione prima dell’applicazione dell’accordo di “divorzio” tra Londra e Bruxelles, in modo da «consentire alle imprese e ai governi di adeguarsi alla nuova realtà». Dal canto suo, il Presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker ha definito la Brexit «una scelta che i cittadini inglesi rimpiangeranno in futuro».
SERBIA, 2 APRILE ↴ Con il 55,1% dei voti, il Primo Ministro serbo e leader del Partito Progressista (SNS), Aleksandar Vučić, è stato eletto alla presidenza della repubblica. Staccato di circa il 40 punti il principale sfidante, l’ex ombudsman Saša Janković – presentato dall’iniziativa civica “Per una Serbia senza paura” e apertamente sostenuto anche dal Partito democratico serbo (DSS) –, fermatosi al 16% delle preferenze. Tra gli altri candidati (in tutto undici – a riprova della forte frammentazione del panorama partitico serbo), sono rimasti al di sotto del 10% l’attore satirico e attivista politico Luka Maksimović (9,4%) – unico reale elemento di novità –, l’ex Ministro degli Esteri ed ex Presidente dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, Vuk Jeremić (5,6%), nonché il fondatore del Partito radicale (SRS) Vojislav Šešelj (4,4%). Malgrado la formalità dell’incarico, la vittoria di Vučić, in ogni caso ampiamente prevista dai sondaggi pre-elettorali e in linea con il voto legislativo dello scorso anno, pone una serie di interrogativi sul futuro politico di Belgrado, a cominciare dagli equilibri interni alla formazione di maggioranza, dai rapporti che il neo Presidente intenderà intavolare con il futuro Premier e con l’esecutivo e sul ruolo che quindi lo stesso Vučić stesso potrà avere all’interno della vita politica nazionale.
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ANALISI E COMMENTI YEMEN SANTUARIO DEL JIHAD? LA GUERRA SOTTOVALUTATA E IL FATTORE TRUMP ELEONORA ARDEMAGNI ↴ Complice una guerra senza fine, lo Yemen, già roccaforte di al-Qaeda, potrebbe presto diventare il nuovo santuario mediorientale del jihad. Perché una volta riconquistate Mosul e Raqqa, le capitali siro-irachene di DAESH, la galassia jihadista vivrà l’ennesima riconfigurazione. Molto probabilmente, i mujaheddin locali, figli del tessuto tribale autoctono, ripiegheranno là dove DAESH è nato, fra le regioni di Deir eZor e di al-Anbar, tornando alla micro-insorgenza. Ma che ne sarà dei tanti foreign fighters (anche provenienti dal Golfo) che si unirono al sedicente Califfato? Senza dubbio, la Libia e la fascia del Sahel sono possibili destinazioni; tuttavia, DAESH ha subito rovesci anche in territorio libico e, più a sud, al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM) possiede collaudati network d’azione. Per tanti fattori, lo Yemen in guerra permanente è un teatro perfetto per attrarre i “jihadisti di ritorno” (…) SEGUE >>>
SERBIA, IL SIGNIFICATO DELLA VITTORIA DI VUČIĆ MARIA SERRA ↴ «Convincing». Con questo termine il Commissario europeo per la politica di vicinato e i negoziati per l’allargamento, Johannes Hahn, ha salutato l’elezione di Aleksandar Vučić alla presidenza della Repubblica serba. Secondo i dati preliminari della Commissione elettorale (Rik), l’ormai ex primo ministro e leader della coalizione di governo guidata dal Partito progressista serbo (Sns) ha difatti ottenuto la vittoria al primo turno con il 55,1% dei voti, staccando nettamente l’ex ombudsman Saša Janković, fermatosi al 16% delle preferenze. Solamente quarto (con il 5,6%) l’ex ministro degli Esteri ed ex presidente dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, Vuk Jeremić, preceduto dal giovane attore satirico e attivista politico Luka Maksimović (attestatosi al 9,4%) e seguito dallo storico fondatore del Partito radicale serbo (Srs) Vojislav Šešelj che, malgrado l’assoluzione da parte Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia e il reinserimento nel circuito parlamentare, ha raccolto solamente il 4,4% (…) SEGUE >>>
A cura di OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE Ente di ricerca di “BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO” Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale C.F. 98099880787 www.bloglobal.net
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