BloGlobal Weekly N°1/2015

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N°1, 22 DICEMBRE 2014 – 10 GENNAIO 2015 ISSN: 2284-1024

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BloGlobal Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo Milano, 11 gennaio 2015 ISSN: 2284-1024 A cura di: Eleonora Bacchi Davide Borsani Giuseppe Dentice Danilo Giordano Maria Serra Alessandro Tinti

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Photo credits: AFP; AP; Reuters/Sana Handou; Richard Wareham Fotogrpahie/Alamy;


FOCUS FRANCIA↴

Il 7 gennaio un gruppo di almeno tre uomini dotati di fucili d’assalto Ak47 e Ak74 (non resta confermato un presunto lanciarazzi) ha condotto un attacco a Parigi alla sede del giornale satirico Charlie Hebdo, uccidendo 12 persone – dieci tra giornalisti e disegnatori e due poliziotti – e ferendone altre 20, di cui 4 in maniera grave. Le operazioni immediatamente condotte dalle teste di cuoio francesi in tutta l'Île-deFrance – oltre che nella regione di Reims, a Strasburgo, a Pantin e a Gennevilliers – hanno portato all'individuazione dei due presunti autori, Saïd e Chérif Kouachi, due fratelli franco-algerini sospettati di essere collegati ad al-Qaeda nella Penisola Arabica (AQAP) e già inseriti nella no fly list degli Stati Uniti, grazie al ritrovamento di alcuni documenti di identità in una Citroen C3 abbandonata. I due uomini sarebbero stati aiutati da una terza persona, il diciottenne Hamyd Mourad, costituitosi alla polizia di Charleville-Mezières, al confine con il Belgio. Nel corso della stessa mattinata un'altra sparatoria nella zona meridionale di Parigi, a Montrouge, nei pressi della Porte de Chatillon, ha provocato la morte di una poliziotta e il ferimento di un altro agente. Il presunto attentatore sarebbe Amedy Coulibaly, un uomo di origini maliane, in passato arrestato dalla polizia anti-terrorismo per aver aiutato ad evadere dal carcere Smaïn Aït Ali Belkacem, figura chiave degli attentati alla metro di Parigi del 1995. Lo stesso Coulibaly il 9 gennaio si sarebbe reso responsabile dell'irruzione in un supermercato kosher a Porte de Vincennes, alla periferia orientale della capitale, prendendo in ostaggio almeno 6 persone (4 delle quali successivamente rinvenute morte) e chiedendo la fine dell'assedio delle forze

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speciali della polizia alla tipografia di Dammartin-en-GoÍle (a nord est di Parigi) in cui si erano asserragliati i fratelli Kouachi. Un doppio blitz simultaneo da parte del Groupe d'Intervention de la Gendarmerie Nationale (GIGN) al market ebraico e alla tipografia ha portato all'uccisione di tutti e tre i sospetti terroristi. La polizia è peraltro sulle tracce di una quarta persona, Hayat Boumedienne, compagna di Coulibaly, sui cui movimenti restano ancora molti dubbi: secondo alcune fonti la donna non si troverebbe infatti in Francia, ma in Siria, dov'era giunta nei primissimi giorni di gennaio attraverso la Turchia con un presunto uomo apparentemente conosciuto alle forze di sicurezza francesi. Mentre restano dunque numerosi buchi neri nell'individuazione delle responsabilità delle forze francesi, nella ricostruzione delle dinamiche e nell'esatta identificazione di persone e mezzi coinvolti nell'operazione terroristica, alcune fonti della polizia hanno dichiarato che numerose cellule terroristiche dormienti in Francia sono state attivate. Ricevendo peraltro l'Ambasciatore Patrick Maisonnave, il Premier israeliano Benjamin Netanyahu ha dato ordine al proprio Ministero degli Esteri e al Mossad di garantire tutta l'assistenza necessaria per contrastare l'ondata terroristica in Francia.

PERCORSO DI RADICALIZZAZIONE DEI FRATELLI KOUACHI E DI COULIBALY - FONTE: AFP

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Tra l'altro, mentre in un video postumo all'attentato a Porte de Vincennes sarebbe emersa la presunta affiliazione di Coulibaly allo Stato Islamico (IS), Sheik Harith alNadhari, leader di AQAP, avrebbe confermato la rivendicazione degli episodi di Parigi, accusando al-Bagdadi di creare una frattura tra i gruppi jihadisti con il progetto della costruzione dell’IS. La carica emotiva per quanto è accaduto lascia ora spazio anche ad un ampio dibattito politico in tema di sicurezza nazionale ed internazionale: il Premier Manuel Valls ha promesso l'adozione di nuove misure anti-terroristiche, mentre il Ministro degli Interni Bernard Cazeneuve ha annunciato l'innalzamento del livello di allerta per la regione di Parigi e il rafforzamento del cosiddetto "Piano Vigipirate" (il dispositivo di sicurezza per l'Île-de-France, creato nel 1978, e già potenziato all'indomani dell'intervento militare in Mali nel 2013) con la mobilitazione di altre centinaia di militari di rinforzo. Come dichiarato dal Ministro italiano degli Interni, Angelino Alfano, la Commissione europea potrebbe trovare opportuno varare la direttiva sulla registrazione dei passeggeri che transitano in area Schengen e la conservazione dei dati che li riguardano al fine di contrastare il fenomeno del jihadismo di ritorno. Già lo scorso 15 dicembre, d'altra parte, era stata individuata e smantellata a Tolosa una filiera di smistamento verso la Siria di presunti jihadisti. Sarebbero legati ad islamisti radicali altri singoli attentati avvenuti negli ultimi giorni di dicembre contro un gruppo di pedoni a Digione, a Nantes e in un commissariato a Joueles-Tours.

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IRAQ/SIRIA↴

Acquisito il controllo della zona del Monte Sinjar alla metà di dicembre grazie ad un’efficace operazione congiunta dell’esercito regolare e dei Peshmerga curdi, il governo iracheno ha riaperto alcune stazioni di polizia nella provincia settentrionale di Ninive. I militanti dello Stato Islamico (IS) che presidiavano l’area sono stati costretti a ripiegare oltre il confine siriano nel governatorato di Hasaka, incontrando il fuoco delle truppe di Damasco e dei guerriglieri curdi del YPG; fonti non confermate denunciano che le forze leali a Bashar al-Assad abbiamo fatto uso di gas cloro nella circostanza. La rinnovata pressione nel nord dell’Iraq ha perciò esercitato immediate ripercussioni anche nel teatro siriano, dove i miliziani dell’IS hanno ingaggiato pesanti scontri nei pressi del checkpoint di Albu Kamal con un gruppo sunnita alleato a seguito del rifiuto di quest’ultimo di sconfinare in territorio iracheno per sostenere i jihadisti sul Sinjar. Inoltre, i Peshmerga sono riusciti a riprendere il centro cittadino di Kobane, uccidendo nell’avanzata il saudita Othman al-Nazih, influente leader spirituale del Califfato. Tuttavia, la sovranità dell’IS si mantiene salda su gran parte dell’Iraq sunnita, dove i miliziani tengono sotto scacco le arterie stradali che discendono lungo il Tigri e l’Eufrate così bloccando sul nascere la riorganizzazione delle forze di sicurezza irachene, e su larghi spazi della Siria. Tra la fine di dicembre e l’inizio di gennaio il Califfato ha lanciato attacchi su Ramadi, Falluja, Baiji, mentre attentati dinamitardi hanno insanguinato i quartieri di Samarra e Baghdad in una tragica e ininterrotta sequela di terrore. Nonostante la minaccia incombente dei bombardamenti della coalizione internazionale, sono riapparsi i lunghi convogli battenti le bandiere nere allo scopo di rispondere con la tangibile esibizione delle risorse di morte alle defezioni di alcuni gruppi tribali dapprima associatisi alla causa jihadista. Ai numerosi sequestri ed espropri, si è accompagnata nuovamente la brutale prassi delle esecuzioni di 4


piazza. Inoltre, mentre Riyadh annunciava la riapertura a Baghdad dell’Ambasciata chiusa nel 1990, i miliziani islamisti colpivano le postazioni sul confine saudita e lanciavano razzi “dimostrativi” contro la base di al-Assad, che ospita buona parte del contingente americano; seppur inconsistenti, per la prima volta un’aggressione dell’IS ha direttamente messo in pericolo il personale statunitense. Di fronte alla tracotanza e alla complessiva superiorità militare del Califfato, le autorità irachene premono Washington per armare 100 mila combattenti irregolari sunniti. Recatosi a Baghdad, il senatore John McCain si è intrattenuto a tal riguardo con il Presidente del Parlamento Salim al-Juburi, raccogliendo le richieste delle tribù che si oppongono sul campo al disegno califfale. Separatamente all’incontro, l’esecutivo statunitense ha comunicato la donazione di sei carri armati Abrams e 250 veicoli corazzati MRAP (Mine-Resistant Ambush Protected) necessari a contrastare la capacità di fuoco dei guerriglieri jihadisti; nell’accordo è previsto anche il trasferimento di equipaggiamento d’assalto, compresi oltre 10 mila fucili M16. Anche dal contesto siriano si alzano le voci per un’adunata delle tribù sunnite contro i fondamentalisti islamici: a seguito del rapimento dei suoi tre figli, lo sceicco Nawaf al-Bashir si è detto pronto a mobilitare la confederazione tribale di Bagara nella provincia di Dair az-Zor per affrancarsi dal giogo dell’IS. Se le tensioni con il tessuto tribale aprono lo spazio politico per il rovesciamento degli equilibri militari, l’esplosione di un’autobomba a Homs il 29 dicembre e la distruzione di cinque posti di blocco presidiati da Hezbollah e dalle truppe governative nei pressi del villaggio di Falita (in quest’ultimo caso con il sostegno di alcune formazioni ribelli affiliate all’Esercito Siriano di Liberazione), testimoniano la pervicace determinazione dei jihadisti. Tanto più che la sovrapposizione all’annosa guerra civile indebolisce i possibili oppositori e rafforza la strategia dell’IS. Mentre Jabhat al-Nustra ha rigettato la proposta dell’Inviato Speciale delle Nazioni Unite Staffan De Mistura sul congelamento delle ostilità nel fronte di Aleppo, nella stessa città siriana divenuta baluardo della rivoluzione anti-Assad cinque fazioni militari hanno annunciato la consociazione in un fronte unitario sotto il comando di Abdul-Aziz al-Salama. Analogamente, l’1° gennaio i gruppi ribelli asserragliati a Jobar fondavano la formazione Jund al-A’asima; nelle stesse ore e a pochi chilometri di distanza, Bashar al-Assad era invece ripreso dai media governativi nell’atto di rinsaldare il morale delle truppe regolari impegnate da mesi nella riconquista del distretto orientale di Damasco.

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NIGERIA↴

L’offensiva militare dei guerriglieri islamici di Boko Haram ha raggiunto, mercoledì 7 gennaio, uno dei punti più alti compiendo una strage nella città di Baga, situata nello stato del Borno, nel nord-est della Nigeria. Il risultato del raid contro la città di Baga e i suoi dintorni, sedici villaggi di piccola e media grandezza, potrebbe aver prodotto un numero impressionante di morti, non ancora quantificato con precisione. Secondo Musa Bukar, responsabile amministrativo dell’area, intervistato dall’agenzia France Presse, i miliziani islamici hanno assaltato e bruciato la città di Baga e i villaggi circostanti, lasciando a terra più di 200 morti e costringendo migliaia di persone a riparare nella savana. Almeno ventimila persone, in fuga dal massacro, si sono rifugiate nel campo di Maiduguri, la capitale dello stato del Borno, mentre circa 500 persone sarebbero rimaste bloccate su un’isola del Lago Ciad, senza alcuna fonte di sostentamento. Un rappresentante di Amnesty International ha comunicato che la città di Baga è stata quasi completamente rasa al suolo, mentre molte delle persone che si erano rifugiate nella savana sono state inseguite ed uccise: il bilancio del raid potrebbe raggiungere la cifra finale di 2.000 morti. L’offensiva di Boko Haram nell’area di Baga era cominciata sabato 3 gennaio, quando un centinaio di miliziani, pesantemente armati, si erano impadroniti dell’importante base militare della Forza Multinazionale (MNJTF), creata per la lotta contro i guerriglieri islamici nella quale, al momento dell’assalto, vi erano esclusivamente soldati nigeriani, in quanto i contingenti di Niger e Ciad erano stati richiamati dai rispettivi governi a causa di dissidi con le scelte politiche del Presidente nigeriano Goodluck Jonathan. La conquista della città di Baga riveste un importante valore strategico, perché dimostra che Boko Haram, che aveva già conquistato le città di Malam Fatori e Damasak,

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ha ormai il pieno controllo di un’importante area al confine con Niger, Camerun e Ciad e potrebbe estendere a questi Stati la sua azione militare. Alla fine di dicembre 2014 alcuni combattenti di Boko Haram hanno attaccato simultaneamente una colonna di veicoli militari e una base dell’esercito camerunense situata nei pressi del confine con la Nigeria. Il confine tra Camerun e Nigeria, in quest’area, è costituito da un ponte che separa la città camerunense di Amchidè da quella nigeriana di Banki, già da diversi mesi nelle mani di Boko Haram. I soldati camerunensi hanno risposto agli attacchi di Boko Haram, uccidendo 116 miliziani. Il 5 gennaio, il leader di Boko Haram, Abubakar Shekau, ha pubblicato su Youtube un video di 17 minuti nel quale, rivolgendosi al Presidente del Camerun, Paul Biya, ha minacciato di mettere a ferro e fuoco il suo Paese. L’estensione della minaccia di Boko Haram inquieta ormai anche le autorità del Niger. Secondo il sindaco di una località situata al confine con la Nigeria, il drappo nero degli islamisti è già ben visibile e l’influenza del gruppo sulla popolazione comincia a farsi sentire. Il Ministro degli Esteri nigerino, Mohamed Bazoum, ha affermato che il suo Paese non aiuterà la Nigeria a riconquistare la città di Baga, in aperta contestazione con le inefficienti strategie del governo di Abuja. In quest’ultimo periodo, il Presidente nigeriano Goodluck Jonathan sembra più orientato a garantirsi il suo secondo mandato presidenziale in vista delle elezioni del prossimo 14 febbraio, per poi rilanciare l’azione di contrasto al gruppo islamista. Nonostante lo sdegno provocato dall’attacco di Baga, la strategia terroristica di Boko Haram prosegue incontrastata: nella giornata di sabato 10 gennaio una forte esplosione è avvenuta al mercato di Maiduguri, provocando la morte di 19 persone ed un numero imprecisato di feriti. L’attentato sarebbe stato condotto da una bambina kamikaze di 10 anni che, bloccata da un metal detector all’ingresso del mercato, avrebbe fatto esplodere l’esplosivo che aveva posizionato sotto il vestito.

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BREVI COREA DEL NORD/STATI UNITI, 23 DICEMBRE ↴ Attacchi informatici arrivati, secondo l’intelligence americana, dalla Corea del Nord e a firma dei “Guardiani della Pace” hanno bloccato la première negli USA, organizzata per il giorno di Natale, del film satirico The Interview, che – a detta del regime di Pyongyang – ridicolizzava la figura del leader Kim Jong-Un. Il portavoce del regime, in realtà, ha smentito il coinvolgimento del proprio governo negli atti di cyberterrorismo benché nel giugno scorso avesse etichettato The Interview come «un atto di guerra». L’assenza di rivendicazione, però, non ha convinto gli Stati Uniti e in particolare l’FBI. Il Presidente, Barack Obama, il 19 dicembre aveva anticipato che Washington avrebbe risposto «nelle modalità e nei tempi che decideremo» non lesinando critiche alla Sony, che aveva optato per sospendere l’uscita del film. Non casualmente, nell’ultima settima di dicembre, la rete informatica nordcoreana è stata più volte colpita da rappresaglie informatiche e messa fuori uso. Pyongyang ha indicato negli Stati Uniti la causa del blocco, paragonando Obama a «una scimmia». Il portavoce del regime ha dichiarato che «se gli Stati Uniti continueranno nelle loro pratiche arbitrarie e da gangster all’americana malgrado gli avvertimenti della Corea del Nord, andranno incontro a ineludibili colpi mortali». L’amministrazione Obama, però, non si è fatta intimorire e con l’inizio del nuovo anno ha annunciato una serie di nuove sanzioni al regime di Kim Jong-Un. Washington ha così deciso di impedire l’accesso al proprio sistema finanziario a persone ed organismi nordcoreani, mentre ai propri cittadini di entrare in affari con Pyongyang. La Casa Bianca ha quindi annunciato che «la nostra risposta all'attacco da parte della Corea del Nord contro Sony è proporzionale e [le sanzioni sono] il primo aspetto della nostra risposta».

ISRAELE/PALESTINA, 7 GENNAIO ↴ Il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, ha annunciato che la Palestina accederà alla Corte Penale Internazionale (CPI) ed a altre quattoridici convenzioni internazionali, dal prossimo 1° aprile. Abu Mazen il 1° gennaio 2015 aveva firmato a Roma il Protocollo per aderire ufficialemente alla CPI in risposta alla bocciatura da parte del Consiglio di Sicurezza dell’ONU (31 dicembre 2014) della Risoluzione palestinese che chiedeva la fine dell’occupazione israeliana in Cisgiordania entro il gennaio 2017. L’azione diplomatica palestinese – osteggiata anche al suo interno

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dall’ala vicina all’ex capo dei servizi di sicurezza palestinesi Mohammed Dahlan per motivi strumentali di opportunità politica – sembra essere mirata a perseguire le accuse di crimini di guerra contro Israele dinanzi alle organizzazioni giurisdizionali internazionali. L’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) vorrebbe citare in giudizio le operazioni militari israeliane “Brother’s Keeper” e “Protective Edge”, ovvero le azioni di Tzahal nei confronti dei sequestratori dei tre ragazzi ebrei rapiti in giugno a Hebron e la successiva campagna di luglio-agosto 2014 a Gaza. Un’azione politica, questa, che troverebbe quasi certamente il favore della Corte nel momento in cui quest’ultima si dovresse pronunciare, come già avvenuto in passato con il rapporto Goldstone in occasione di Piombo Fuso (2008-09), contro Israele. Tuttavia, tale mossa palestinese potrebbe rappresentare un pericoloso boomerang in quanto nel caso in cui Israele decidesse di presentare un medesimo procedimento giurisdizionale per atti di terrorismo nei confronti di Hamas nella Striscia di Gaza, Tel Aviv potrebbe trovare quasi sicuramente un pronunciamento a lei favorevole da parte della CPI. Israele ha denunciato l’azione palestinese minacciando gravi ritorsioni contro Ramallah: tra queste, la prima e più efficace misura di rappresaglia è stata il blocco di circa 100 milioni di euro in imposte e tasse riscosse in Israele da dover redistribuire in favore dell’ANP, come stabilito dagli accordi di Oslo del 1993. Anche gli Stati Uniti, contrari all’adesione palestinese alla CPI in quanto suscettibile di minare l’integrità del processo di pace con Israele, hanno minacciato di tagliare 400 milioni di dollari di aiuti all’ANP, qualora quest’ultima dovesse perseguire internazionalemente Israele, e di muovere, congiuntamente con Tel Aviv, nuove sanzioni politiche e finanziarie. La recente polemica tra Israele e ANP si inserisce in un contesto di tensioni politiche sorte all’indomani della nascita del governo di unità nazionale tra Fatah e Hamas dell’aprile scorso e continuate anche dopo l’ultima guerra di Gaza.

SOMALIA, 25 DICEMBRE – 7 GENNAIO ↴ Il 25 dicembre è stato compiuto un attacco per mano di

un

commando

di

otto

uomini

nei

pressi

dell’aereoporto di Mogadiscio, al campo base Halane, sede

dell’operazione

Africana

(UA),

di

nonchè

peacekeeping quartier

dell’Unione

generale

delle

operazioni delle Nazioni Unite e delle Ambasciate britannica e italiana. Nell’attentato, diretto contro le truppe dell’operazione AMISOM dell’UA durante l’orario del pranzo, mentre le guardie avevano probabilmente allentato il controllo della zona, sono rimasti uccisi tre soldati, un civile e cinque militanti, due dei quali si sono fatti esplodere. In seguito, il gruppo al-Shaabab ne ha reclamato la responsabilità affermando che si è trattato di una ritorsione per l’assassinio di settembre del leader Ahmed Godane. Nel comunicato i militanti hanno inoltre sostenuto che «i mujahideen possono e vogliono, con il permesso di Allah, colpirvi dovunque in Somalia» e che «ciò che vi aspetta è ben più terribile e crudele 9


di ogni altro attacco precedente. Aspettatevi di sentire ancora di noi». Quattro giorni dopo l’accaduto di Halane, lunedì 29 dicembre, un attacco di un drone statunitense ha colpito ed ucciso il leader del movimento terroristico, Tahliil Abdishakur. L’operazione è avvenuta nelle vicinanze della città di Saakov, nella regione del Medio Giuba, a 320 km da Mogadiscio, e ha colpito il veicolo su cui il target stava viaggiando insieme ad un altro militante. Abdishakur, capo dell’ala di intelligence e di sicurezza del gruppo, ritenuto la mente di numerosi attentati suicidi nella capitale somala, era il successore di Godane, il quale subì la stessa sorte il 1° settembre scorso. Nei primi giorni di gennaio, tuttavia, altri due eventi hanno scosso il Paese del Corno d’Africa. Si tratta, per il primo, dell’esplosione di un’autobomba avvenuta il 4 gennaio nella capitale in cui sono rimasti uccisi quattro civili. Il secondo è stata l’esecuzione capitale di quattro uomini nel Paese di Bardhere, roccaforte dei militanti, dove le vittime sono state processate da un tribunale islamico con l’accusa di spionaggio per conto di Stati Uniti ed Etiopia e condannate a morte. Nonostante la perdita di terreno negli ultimi mesi per mano delle operazioni della missione AMISOM supportata dagli Stati Uniti, gli al-Shaabab restano dunque un pericolo presente nel Paese somalo.

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ALTRE DAL MONDO AFGHANISTAN, 28 DICEMBRE ↴ Si è ufficialmente conclusa domenica 28 dicembre a Kabul, la missione ISAF (International Security Assistance Force) in Afghanistan della NATO. Iniziata nel 2001, ISAF ha portato alla caduta del governo dei talebani, all’uccisione di Bin Laden, al rafforzamento delle forze di polizia e sicurezza locali e delle istituzioni politiche. Nei 13 anni della missione le truppe dispiegate sono arrivate, nel 2010, ad un picco di 140 mila unità provenienti da 50 Paesi. Le perdite sono state di 3.485 militari, di cui 54 italiani. Dal 1° gennaio prende il via una nuova missione in Afghanistan che si occuperà principalmente del piano economico e civile, denominata Resolute Support, e che vedrà in campo 13 mila militari, di cui 11 mila statunitensi e gli altri provenienti da 13 Paesi. Il contributo italiano sarà di 750 soldati.

BAHRAIN, 9 GENNAIO ↴ La fiamma della Primavera Araba è ancora viva in Bahrain, dove gli scontri settari hanno conosciuto un nuovo picco di tensione a seguito dell’arresto (28 dicembre) dello Sceicco Ali Salman, leader del partito di opposizione sciita al-Wefaq che da ultimo aveva promosso il boicottaggio delle elezioni di novembre contro la famiglia reale sunnita degli al-Khalifa. Washington e Bruxelles guardano con apprensione ai nuovi scontri nelle strade di Manama, mentre l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani ha richiesto la liberazione di Ali Salman.

EGITTO, 8 GENNAIO ↴ Le autorità cairote hanno annunciato la seconda fase di implementazione delle misure anti-terrorismo riguardanti l’ampliamento – già annunciato nel novembre scorso – della buffer zone di confine lungo la Striscia di Gaza, che raggiungerà 1 chilometro di larghezza per 13 di lunghezza. Saranno evacuate altre 1.200 famiglie che si vanno aggiungere ad un altro migliaio già sfollato nel novembre 2014 e parzialmente rilocato ad al-Arish, capitale del governatorato del Nord Sinai. Al momento desta più di un dubbio il destino della città divisa con la Striscia di Gaza di Rafah che in base a questa nuova misura rischia di scomparire e non è chiaro se verrà costruita altrove o cesserà definitivamente di esistere. Intanto nei pressi di Sheikh Zuweid sono stati scoperti i corpi di due uomini decapitati. Si teme possa essere stata un’azione di Ansar Bayt al-Maqdis (o Wilayat Sinai, dopo la sua affiliazione il 10 novembre scorso allo Stato Islamico), il maggiore gruppo jihadista nella regione sinaitica, che in un video del 27 dicembre – diffuso in inglese dal sito specializzato SITE – ha rivendicato l’uccisione per decapitazione di 12 persone, tutte accusate di spionaggio in favore di Israele, dallo scorso 28 agosto, quando furono uccisi i primi quattro egiziani. Secondo gli investigatori queste “nuove” uccisioni potrebbero rientrare nel conteggio effettuato dal gruppo jihadista. 11


GRECIA, 28 DICEMBRE ↴ Il Parlamento greco non è riuscito ad eleggere al terzo scrutinio il nuovo Capo dello Stato, decretando come previsto per Costituzione le elezioni anticipate. La data in cui i cittadini greci andranno alle urne sarà il 25 gennaio. I mercati internazionali hanno reagito manifestando un certo timore per l’esito che potrà sortire. È infatti favorito il partito di sinistra Syriza, che vuole rinegoziare il debito nazionale e venir meno alle politiche di austerity imposte ad Atene dalla troika.

LIBIA, 10 GENNAIO ↴ L’Inviato Speciale delle Nazioni Unite in Libia, Bernardino Leon, ha annunciato in un comunicato di sabato 10 gennaio che nuovi dialoghi di pace tra le fazioni in lotta del Paese nordafricano si terranno nel corso della prossima settimana negli uffici ONU di Ginevra. Le trattative si sarebbero dovute tenere il 5 gennaio, ma sono state tuttavia rinviate. L’Alto Rappresentante per gli Affari Esteri e per la Politica di Sicurezza Comune, Federica Mogherini, ha dichiarato in merito all’incontro che «quest'ultima riunione [...] offre un'opportunità cruciale per riunire attori chiave e trovare una soluzione pacifica fondata sul dialogo». Scontri si continuano nondimeno a verificare nel Paese: nella giornata di venerdì 9 nella città di Bengasi sono morte sei persone e venti sono rimaste ferite nella battaglia tra i gruppi rivali.

LITUANIA, 1° GENNAIO ↴ Dopo l’approvazione nello scorso luglio da parte del Consiglio europeo, con l’inizio del 2015 la Lituania è divenuta ufficialmente il diciannovesimo membro dell’Eurozona, portando a 337 milioni il numero di persone che condividono l’Euro come moneta nazionale. Vitas Vasiliauskas, a capo della Banca Centrale lituana, ha affermato che «l'entrata nell'Euro è uno strumento per approfondire la nostra integrazione europea: più vicini siamo all'Occidente, più lontani siamo dall'Est».

TUNISIA, 5 GENNAIO ↴ Habib Essid è stato nominato Primo Ministro della Tunisia. Già Ministro degli Interni nell’interludio del governo ad interim che nel 2011 avviò il percorso di democratizzazione e poi consigliere dell’ex Segretario Generale di Ennahda, Hamadi Jebali, la designazione di Essid è stata esplicitamente votata alla formazione di un governo inclusivo, benché la vicinanza ai partiti islamisti e la lunga carriera amministrativa nel regime di Ben Ali preoccupino gli elementi secolari del nuovo corso politico tunisino. Il 22 dicembre il secondo turno delle consultazioni presidenziali aveva sancito la nomina a Capo di Stato di Béji Caïd Essebsi, espressione del partito laico di maggioranza Nidaa Tounes.

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UCRAINA, 23 DICEMBRE ↴ Con 303 voti favorevoli e 8 contrari, il Parlamento ucraino ha votato la legge che cancella lo status di Paese non allineato, mentre il Presidente Petro Poroshenko ha promesso di indire un referendum per l'adesione alla NATO. Mentre sono saltati i colloqui di pace previsti a Minsk per gli scorsi 26-27 dicembre, lo stesso Poroshenko ha indetto un summit con Russia, Francia e Germania ad Astana per il prossimo 15 gennaio. L’8 gennaio la Commissione europea ha annunciato lo stanziamento di un nuovo prestito per Kiev di 1,8 miliardi di euro, proposta che dovrà essere ora vagliata dai Ventotto oltre che dal Parlamento Europeo. Come spiegato dal Presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, in visita a Riga per l'inaugurazione del semestre di presidenza lettone, i prestiti per il periodo 2015-16 sono condizionati all’attuazione di riforme strutturali e questi potrebbero aggiungersi al nuovo pacchetto di aiuti attualmente in negoziazione con il Fondo Monetario Internazionale.

YEMEN, 7 GENNAIO ↴ Un’autobomba è esplosa nei pressi dell’accademia di polizia nella capitale Sana’a uccidendo 37 persone e ferendone almeno 86. L’attacco, sebbene non rivendicato, è plausibile sia stata opera dei jihadisti di al-Qaeda nella Penisola Arabica (AQAP), già autori nei mesi passati di numerosi attentati nel sud del Paese e impegnati in una cruenta guerra interna contro i gruppi ribelli sciiti-zayditi Houthi.

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ANALISI E COMMENTI COUNTRY PROFILES: BAHRAIN STEFANO LUPO ↴ La famiglia sunnita degli al-Khalifa controlla il piccolo Stato insulare del Bahrain dalla fine del 1700 e rappresenta la memoria storica del Paese che per primo iniziò lo sfruttamento economico dei proventi derivanti dall’oro nero. Una dinastia che controlla una popolazione per due terzi composta da sciiti e per circa il 35% del totale da lavoratori stranieri. Da questi dati ben si comprende come in fieri il vero problema per il Bahrain non sia tanto la produzione petrolifera in declino quanto il disordine socio-politico latente sul territorio nazionale, miracolosamente sopita fino agli inizi del XXI secolo, in particolare al 2011. Riforme e procedure di democratizzazione imposte dall’alto da parte del governo del Re Hamad al-Khalifa non hanno sortito gli effetti sperati; il Bahrain continua ad essere una delle pedine fondamentali degli equilibri regionali, nonostante gli imbarazzi che provocano non solo la diatriba tra la minoranza sunnita e la maggioranza sciita, ma anche per gli affari poco chiari della famiglia reale stessa. (…) SEGUE >>>

2015, LE STRATEGIE ECONOMICHE DELL’UE FEDERICA CASTELLANA ↴ Il 2014 è stato per l’Unione Europea soprattutto un anno di transizione istituzionale. Prima la lunga campagna elettorale, poi le elezioni di maggio che hanno portato alla formazione e all’insediamento del nuovo Parlamento. Quindi l’avvio del complesso iter per il rinnovo dei vertici europei: la nuova Commissione Juncker, il nuovo Alto Rappresentante per gli Affari Esteri e per la Politica di Sicurezza Comune Federica Mogherini e il nuovo Presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, che però sono entrati in carica solo tra novembre e dicembre. Ma il 2014 è stato anche, e ancora, un anno di sostanziale stagnazione economica, con la recessione che continua a farsi sentire e non accenna a mollare la presa. La crescita non è andata oltre l’1,3% nell’Unione e i livelli di disoccupazione restano elevati. La tanto attesa ripresa economica prevista per il 2015 sarà comunque debole. I tassi di crescita stimati si limitano all’1,5% per l’intera Unione e all’1,1% per la zona Euro e la disoccupazione dovrebbe scendere rispettivamente al 10% e all’11,3% (…) SEGUE >>> A cura di OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE Ente di ricerca di “BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO” Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale C.F. 98099880787 www.bloglobal.net 14


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