BloGlobal Weekly N°12/2014

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N째12, 13 APRILE-17 MAGGIO 2014 ISSN: 2284-1024

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BloGlobal Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo Milano, 17 maggio 2014 ISSN: 2284-1024 A cura di: Davide Borsani Giuseppe Dentice Maria Serra

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Photo credits: Ansa. Charles Charapak/AP, Ajit Solanki, Lapresse, Picture-alliace/DPA


FOCUS LIBIA ↴

Sembra non conoscere fine il caos politico e sociale che imperversa nel Paese nordafricano. A gettare nuova benzina sul fuoco sono stati i violenti scontri in corso dal 16 maggio a Bengasi, a Derna e in generale in tutta la Cirenaica e che hanno provocato finora almeno 79 morti e 141 feriti, tra le milizie islamiste (Ansar al-Sharia Libia e Brigata islamica 17 Febbraio) e le formazioni paramilitari dell’autoproclamato Esercito Nazionale Libico, guidate da Khalifa Haftar, ex Generale in pensione che ha preso parte alla rivolta contro il regime di Gheddafi e che ha tentato un golpe – fallito – il 14 febbraio scorso. Nel difendersi dalle accuse di colpo di Stato lanciate dal Presidente del Parlamento libico, Nuri Abu Sahmein, Haftar si è detto determinato a «proseguire la sua offensiva contro le milizie islamiste», allo scopo di «sradicare il terrorismo in Libia». Secondo indiscrezioni di stampa, alcuni reparti dell'aviazione militare e altre unità militari si sarebbero unite a quelle di Haftar. Da parte loro, il governo di Tripoli e l'esercito regolare libico hanno istituito una zona di esclusione aerea (una no fly-zone) su Bengasi, minacciando di abbattere qualunque aereo militare sorvoli l'area, e hanno intimato al generale Haftar di fermare le operazioni militare e di ritirare le proprie milizie. Sono ormai mesi che la situazione in Libia sembra incamminarsi verso una nuova stagione di preoccupante instabilità. Dapprima la sfiducia parlamentare e le immediate dimissioni da Primo Ministro di Alì Zeidan, il 12 marzo, a seguito del caso della petroliera nordcoreana Morning Glory, carica di petrolio proveniente da uno scalo controllato dai gruppi ribelli, che aveva superato un blocco navale ed era riuscita a fuggire dalle coste libiche; successivamente le dimissioni del Premier ad interim ed 1


ex Ministro della Difesa Abdullah al-Thani (13 aprile) e l’attacco al Parlamento da parte di uomini armati (29 aprile); infine, le tensioni intorno al neo Premier, il giovane imprenditore di formazione britannica Ahmed Maiteeq – quinto Primo Ministro dalla caduta di Gheddafi nel 2011 – eletto con il sostegno dei partiti islamisti in Parlamento. A queste situazioni bisogna tuttavia aggiungere un ulteriore fattore di instabilità, ossia il mancato riconoscimento del nuovo Esecutivo come governo legittimo da parte dei ribelli di Ibrahim Jadran e, sempre da parte loro, il mancato rispetto degli accordi sulla riapertura dei terminal petroliferi dell’Est del Paese, concordato solo un mese prima, il 7 aprile, con al-Thani. Infatti, il governo centrale di Tripoli e l’Ufficio Politico di Barqa (nome arabo della Cirenaica) avevano trovato un accordo per la riapertura di due dei quattro porti petroliferi occupati dalla fine di luglio 2013 da un gruppo separatista guidato dall’ex rivoluzionario Ibrahim Jadran, deus ex machina dell’intera operazione di mediazione e influente attore dell’attuale scena politica libica. I porti petroliferi in questione sono quelli di Hariga e Zweytina, mentre quelli di Sidra e Ras Lanouf sarebbero dovuti essere riaperti nelle settimane successive. Una situazione esplosiva e dagli effetti imprevedibili che preoccupa, non poco, gli Stati Uniti che hanno invitato l’intera comunità internazionale a non distogliere l’attenzione dal Paese nordafricano. Nelle scorse settimane, il Daily Beast aveva avvertito sui pericoli che sta attraversando la Libia definendo il Paese la «Woodstock del jihadismo». Un invito a non sottovalutare la situazione è giunto, in particolare, dall’ex Segretario alla Difesa USA, Leon Panetta, che, in linea con quanto affermato dal Presidente Obama nella sua visita a Roma del 27 marzo, ha invitato il governo Renzi ad assumere un ruolo maggiormente attivo in quella che dovrebbe essere la «maggiore priorità della politica estera italiana». Altre raccomandazioni erano giunte oltre che dalla Conferenza internazionale sulla Libia del 6 marzo a Roma, anche dal Sotto Segretario di Stato USA William Burns, che in una visita a sorpresa in Libia il 28 febbraio, aveva ammonito i governanti libici ad «assumersi le loro responsabilità nel superare l’agitazione corrente entro due mesi, altrimenti il Paese sarà preso in consegna dalla comunità internazionale» e, anche se non espressamente, aveva richiesto un maggior impegno italiano nelle sorti dell’ex colonia. Ecco perché gli Stati Uniti hanno spostato 180 marines da Rota, nel sud della Spagna, a Sigonella, in Sicilia, (insieme a due aereo-cisterna KC-130 e quattro convertiplano ad uso militare Bell Boeing V-22 Osprey), pronti a intervenire nel caso in cui la situazione dovesse precipitare. Non improbabile, dunque, che nella visita di Stato del Ministro degli Esteri Federica Mogherini a Washington dal 13 al 17 maggio, i vertici di Casa Bianca, Pentagono e Dipartimento di Stato abbiano nuovamente richiesto all’Italia un nuovo intervento di securitization nel Paese nordafricano.

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STATI UNITI ↴

Il Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha effettuato un importante viaggio in Estremo Oriente tra il 23 e il 28 aprile. In realtà, esso era stato messo in programma per l’ottobre dello scorso anno; tuttavia, esigenze di politica interna, nella fattispecie il cosiddetto “shutdown”, avevano fatto slittare la tappa asiatica di alcuni mesi. Obama ha così visitato Giappone, Corea del Sud, Malesia e Filippine. Tre sono stati i temi più importanti toccati nel corso delle varie tappe: primo, le contese territoriali/marittime che tali Paesi hanno con la Cina; secondo, la minaccia nucleare posta dalla Corea del Nord; terzo, i progressi dell’area di libero scambio Trans-Pacific Partnership (TPP). Nei colloqui con il Primo Ministro di Tokyo, Shinzo Abe, non poteva che essere al centro la questione delle isole contese Senkaku/Diaoyu. Gli Stati Uniti hanno nuovamente ribadito l’impegno nel trattato di mutua difesa, siglato nel 1951, per cui, in caso di un ipotetico attacco della Cina al Giappone, Washington dovrebbe sentirsi ugualmente aggredita, con le eventuali conseguenze. Obama ha ribadito la necessità di abbandonare l’unilateralismo nel perseguire una soluzione per la sovranità sulle isole, dichiarandosi contrario, ad esempio, alla recente creazione da parte di Pechino della “Zona d’identificazione per la difesa aerea” che include proprio le Senkaku/Diaoyu. Il Presidente americano ha inoltre auspicato un maggiore impegno da parte di Tokyo in termini di spese per la difesa, per meglio rispondere congiuntamente a minacce esterne. A Seul, poi, il tema caldo è stato, per ovvi motivi, la Corea del Nord. Obama ha rassicurato il proprio alleato e ha invitato il regime di Kim Jong-Un ad abbandonare la via nucleare poiché essa «conduce su una strada che porta a un ulteriore isolamento. Non è un segno di forza. Chiunque può minacciare, spostare eserciti, o far 3


partire un missile. Ma questo non vuol dire che sia forte. O che faccia aumentare la sicurezza, o le opportunità, o il rispetto». Successivamente, Obama si è recato in Malesia, la prima visita di un Capo di Stato USA dal lontano 1966, dove ha incontrato il Primo Ministro Najib Razak. Qui Obama si è soffermato sulle questioni commerciali, enfatizzando i vantaggi che la TPP potrebbe portare ad ambo i Paesi, soprattutto in chiave anti-Cina, un Paese con cui anche la Malesia, come il Giappone, ha contese territoriali aperte: le isole Spratly. Proprio queste ultime, però, sono reclamate anche delle Filippine, che sono state l’ultima tappa del viaggio asiatico del Presidente statunitense. Al grido obamiano di «Noi riteniamo che la legge internazionale vada rispettata, che la libertà di navigazione debba essere preservata e il commercio non debba essere impedito. Noi crediamo che le dispute vadano risolte pacificamente e non con l'intimidazione», Manila e Washington hanno siglato un accordo di sicurezza della durata di dieci anni che permetterà alle truppe a stelle e strisce di stazionare sul suolo filippino, ex colonia americana fino al 1946. Le Forze Armate di Washington, inoltre, garantiranno sostegno logistico ed addestreranno i soldati di Manila.

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UCRAINA ↴

Come da aspettative, e sebbene persino nei primi di maggio il Presidente russo Vladimir Putin avesse frenato sull'opportunità di tenere il momento elettorale, il referendum separatista dell'11 maggio nelle regioni sud-orientali dell'Ucraina, a Donetsk e a Lugansk, ha visto oltre il 90% della popolazione (il 95,98%) esprimersi in favore dell'indipendenza da Kiev (anche l'affluenza è stata piuttosto elevata, attestandosi, secondo il Presidente della Commissione elettorale, Oleksandr Malykhyn, ad oltre il 70%). Oltre alle denunce di brogli, avvalorate peraltro dal fatto che nessuna organizzazione internazionale ha vigilato sul corretto andamento delle votazioni, il Ministro degli Esteri ucraino, Andrii Deshiza, ha immediatamente dichiarato che si è trattato di una “farsa criminale” organizzata dalla Russia, «giuridicamente nulla e che non avrà alcuna conseguenza per l'integrità territoriale». Mentre i leader separatisti del bacino del Donbass proseguono dunque le discussioni sulla loro unificazione probabilmente sotto il nome di Novorossia, regione storica con cui l'Impero zarista identificava le regioni sud-orientali del Paese, il Cremlino temporeggia sull'avvio di un possibile processo di annessione sul modello della Crimea lo scorso mese di marzo. A pesare sulle decisioni di Putin, ma non solo, sono, inevitabilmente le nuove sanzioni economiche da parte dei Paesi occidentali a cui la Russia è sottoposta. Al termine del Consiglio Affari Esteri del 12 maggio, l'Unione Europea ha infatti esteso le restrizioni ai visti e il congelamento dei beni e degli asset finanziari a 13 nuove persone – aggiungendosi alle 48 precedenti – e a due società energetiche della Crimea, Chernomorneftegaz e la Feodosia (sembrerebbe scongiurando così l'inserimento nella lista anche del numero uno di Gazprom, Aleksey Miller). Questa volta nel mirino: Vyacheslav Volodin, primo vice Capo dello staff presidenziale russo; il Tenente Colonnello Vladimir Shamanov, comandante delle forze aeree di primo combattimento; Vladimir Pligin, Presidente della Commissione costituzionale della Duma 5


russa; Pyotr Jarosh, capo operativo del Federal Migration Service Office della Crimea; Oleg Kozyura, capo operativo del Federal Migration Service Office per la città di Sebastopoli; Vlacheslav Ponomariov, auto-proclamato sindaco di Sloviansk; Igor Bezler, leader della milizia Horlivka; Igor Kakidzyanov, leader delle forze armate dell'auto-proclamata Repubblica Popolare di Donetsk; Oleg Tsariov, membro della Rada; Roman Lyagin, capo della Commissione elettorale centrale della stessa Repubblica di Donetsk; Aleksandr Malykhin, appunto, capo della Commissione elettorale centrale di Lugansk; Natalia Poklonskaya, Procuratore Generale della Crimea; Igor Shevchenko, Procuratore a Sebastopoli. Nonostante la nuova lista di sanzioni, e a dispetto di quanto dichiarato dal Presidente del Consiglio UE, Herman Van Rompuy, secondo cui Bruxelles è pronta ad adottare misure di più vasta portata, i Paesi europei si sono dimostrati ancora una volta divisi al loro interno circa la necessità di agire con un'unica voce sul dossier ucraino, ma piuttosto disponibili ad agevolare in ogni modo la missione di mediazione lanciata dal Presidente della Confederazione elvetica e leader di turno dell'OCSE, Didier Burkhalter. Fallito difatti il tavolo quadripartito del 17 aprile tra USA, Russia, UE e Kiev, questi ha tracciato una road-map, immediatamente accettata dall'Ucraina e su cui la stessa Russia non ha mostrato alcuna reticenza, imperniata su quattro punti: fine delle violenze, disarmo, dialogo tra le parti e corretto svolgimento delle elezioni presidenziali il prossimo 25 maggio, cercando il più possibile di superare la contrapposizione USA/UE-Russia e focalizzando l'attenzione sul negoziato inter-ucraino. La trattative saranno pertanto affidate al governo di Kiev con il sostegno della mediazione OCSE, per ora affidata al tedesco Wolfang Ischinger. Il primo incontro del cosiddetto “tavolo di unità nazionale” si è in questo senso tenuto lo scorso 14 maggio e ha visto la partecipazione dei politici nazionali delle varie regioni ucraine, esperti, Ministri, rappresentanti della comunità religiose e della società civile, due ex Presidenti della Repubblica (anche se non il leader della Rivoluzione arancione, Viktor Yushenko), i candidati alle elezioni del 25 maggio, con esclusione infine dei rappresentanti delle regioni separatiste. Tra le personalità di spicco presente invece, l'oligarca Rinat Akhmetov, proprietario della holding siderurgica SKM e tra gli uomini più ricchi se non il più ricco delle regioni orientali, che si è dimostrato più che favorevole alle trattative diplomatiche, bloccando lo scenario separatista – probabilmente in virtù delle considerazioni di tipo economico se la Russia non dovesse procedere con un'annessione – e sostenendo il processo di riforma costituzionale che conferisca più poteri alle regioni e la possibilità di un'elezione diretta dei governanti locali al posto dell'attuale procedura di nomina. Neanche troppo sullo sfondo restano i focolai di guerra civile e i numerosi episodi di scontro e violenze, tra cui spicca l'incendio della Casa del Sindacato di Odessa lo scorso 4 maggio in cui sono rimasti uccisi 31 miliziani filorussi e altri 50 sono i feriti; l'imboscata del 13 maggio nei pressi di Kramatorsk da parte dei separatisti ai danni di alcuni pro-governativi che ha provocato 7 vittime; l'assalto alla sede televisiva di Sloviansk nella notte tra l'11 e il 12 maggio; l'omicidio del Comandante della 6


polizia locale di Mariupol, Valeri Androshchuk. Non si è invece tradotto in un'operazione anti-terrorismo su larga scala contro i checkpoint ucraini, come era stato inizialmente paventato, l'ultimatum lanciato il 14 maggio dai miliziani filorussi ai soldati di Kiev (mentre, a proposito di ultimatum, il Premier slovacco Robert Fico ha lanciato l'allarme sul possibile imminente blocco – dal 3 giugno – degli approvvigionamenti energetici dalla Russia se l'Ucraina non ripianterà i propri debiti). Un Rapporto dell'ONU pubblicato il 17 maggio, e che prende come lasso temporale l'intervallo 2 aprile-6 maggio, parla di «assassinii, torture, rapimenti, intimidazioni contro civili, politici e giornalisti», nonché di almeno 127 morti per il periodo in questione. L'Alto Commissario per i Diritti Umani dell'ONU, Navi Pillay, ha esortato le parti in conflitto a terminare le operazioni e i Paesi coinvolti ad arginare le forze estremiste.

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BREVI BRASILE, 16 MAGGIO ↴ Continuano gli incidenti e gli scontri tra manifestanti anti-mondiali di calcio FIFA e forze di polizia per le strade e le favelas di Rio de Janeiro, San Paolo, Recife, Belo Horizonte, Brasilia e Manaus e in tutte le altre principali città del Paese sudamericano. I maggiori incidenti si sono registrati nel quartiere di Taboao, nell'area di Guarulhos, l’aeroporto internazionale di San Paolo, dove gli agenti hanno sparato gas lacrimogeni per disperdere i manifestanti che hanno risposto con un fitto lancio di pietre e l’incendio di auto e pneumatici per bloccare le strade. Secondo i media locali sono 234 le persone arrestate. Così, a poco meno di un mese (12 giugno) dall’inizio di una delle più grandi manifestazioni sportive al mondo, cortei e violenze non accennano a diminuire. La rabbia contro i mondiali è dovuta soprattutto alle enormi somme di denaro spese per allestirli che secondo i manifestanti potevano essere investiti invece per la costruzione di opere di valore sociale e per migliorare i trasporti, l’istruzione, l’edilizia e la sanità. Secondo le ultime statistiche i costi complessivi sarebbero più che triplicati raggiungendo la considerevole cifra di 11 miliardi di dollari. Il governo, che teme nuovi incidenti come in occasione della Confederations Cup FIFA e la visita del Papa del giugno-luglio 2013, oltre a lanciare un dialogo con tutte le parti sociali, ha comunque annunciato che manterrà alta la guardia, soprattutto nelle 12 città che ospiteranno gli incontri.

CINA-VIETNAM, 7 MAGGIO ↴ Crescono

le

tensioni

nell’area

del

Mar

Cinese

meridionale. Questa volta è stato il turno di Vietnam e Cina.

Pechino

ha

recentemente

installato

una

piattaforma petrolifera, la Haiyang Shiyou 981, nei pressi delle isole Paracel, un’area contesa tra Pechino e Hanoi. Sono seguite polemiche e manifestazioni tra i vietnamiti,

che

hanno

letteralmente

assaltato

fabbriche – pare anche di Taiwan – e causato feriti e morti in alcune decine. Le autorità di Hanoi hanno condannato la violenza, ma hanno supportato le ragioni delle dimostrazioni di massa. Anche in mare si sono registrate pericolose tensioni, con le navi vietnamite e cinesi che hanno rischiato la collisione. Cina e Taiwan hanno quindi protestato ed invitato il Primo Ministro di Hanoi, Nguyen Tan Dung, a ripristinare l’ordine e la sicurezza per i propri cittadini e le aziende. La portavoce del Ministero degli Esteri cinese, Hua Chunying, ha affermato che «le violenze sono legate direttamente all'indulgenza del governo vietnamita e alla connivenza con una parte 8


delle forze anticinesi». In totale, sono state coinvolte nelle proteste oltre cento fabbriche e ben dieci di queste sono state incendiate. Almeno due sono stati i cittadini cinesi uccisi, mentre più di quindici sono stati quelli di etnia cinese. Nonostante tali fatti, Pechino ha fatto sapere di voler continuare le sue attività di estrazione petrolifera al largo delle Paracel. Il Generale dell’esercito cinese, Fang Fenghui, nonché influente membro del Politburo, ha avvertito che la Cina farà quanto in suo potere per garantire la sicurezza ai suoi uomini operanti nel Mar Cinese meridionale.

INDIA, 16 MAGGIO ↴ Dopo una lunga maratona elettorale durata 35 giorni e 9 turni di consultazioni nelle 29 regioni indiane, la Commissione elettorale nazionale ha assegnato al leader del Bharatya Janata Party (BJP), Narendra Modi, la vittoria alle elezioni generali con ampio margine. Come da previsioni, il candidato nazionalista indù ha conquistato gli oltre 272 seggi necessari per formare una maggioranza alla Camera bassa (o Lok Sabha). Secondo i primi risultati ancora ufficiosi, il BJP e i suoi alleati regionali hanno conquistato oltre 336 seggi sul totale di 543 della Camera bassa. La destra indiana torna così al potere dopo 10 anni di governi di orientamento socialista del Partito del Congresso di Manmohan Singh e Sonia Gandhi. Nella débâcle della coalizione del governo uscente ha influito il diffuso malcontento per il carovita e la corruzione, perdendo consensi soprattutto negli Stati chiave dell'Uttar Pradesh, Bihar e Maharashtra che contano la maggioranza dei seggi. Sempre la Commissione elettorale ha certificato una partecipazione popolare record di 551 milioni di votanti pari al 66,38% dell'elettorato, in crescita rispetto ai 417 milioni di cinque anni fa. Per il Premier in pectore dunque importanti saranno le sfide in campo economico: lotta alla corruzione e crescita del PIL superiore al 5%, magari esportando anche a livello nazionale il modello di sviluppo diffuso nei suoi 12 anni di governo nel Gujarat, dovranno essere i primi impegni di Modi in campo nazionale. Sul piano internazionale, invece, il compito principale del nuovo Esecutivo sarà quello di proporre un’idea di India non più potenza incompiuta, bensì quello di un grande Paese in grado di incidere anche nelle principali arene e crisi globali.

ITALIA, 13-17 MAGGIO ↴ Tour americano per il Ministro degli Esteri italiano, Federica Mogherini, che a Washington prima di incontrarsi con le istituzioni ha recato visita ad importanti think tank come la Brookings Institution e il Center for American Progress. Ha poi parlato a rinomati intellettuali nell’ambito del disarmo nucleare e delle relazioni transatlantiche. La Mogherini ha quindi incontrato il Consigliere della Sicurezza Nazionale, Susan

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Rice, e subito dopo il Segretario di Stato, John Kerry. Al centro delle discussioni non ha potuto che esserci l’Ucraina, su cui il Ministro ha notato una certa convergenza di vedute, dopo quelle iniziali piuttosto differenti. È difatti importante, come ha detto la Mogherini, che «nell'affrontare la crisi ucraina dobbiamo tutti, UE, USA, G7 parlare con unica voce». Kerry ha poi ringraziato l’Italia «per il suo grande sforzo ed aiuto nell'eliminazione dell'arsenale chimico siriano offrendo il porto di Gioia Tauro per effettuare il trasbordo delle armi chimiche di Assad sulla nave USA Cape Ray». Si è discusso anche di Libia, dove entrambi si sono detti preoccupati dell’ormai cronica instabilità che caratterizza l’intero Paese, di Iran, su cui si attende la conclusione dei negoziati sul nucleare, e di India, tema sensibile per Roma per via della questione dei marò. Sul piano delle relazioni tra Italia e USA, molta eco hanno avuto la scorsa settimana le parole dell’ex Segretario al Tesoro, Timothy Geithner, che nelle sue memorie ha rivelato la contrarietà di Washington ad assecondare il “complotto” europeo nel 2011 per deporre dalla carica di Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.

SIRIA, 13 MAGGIO ↴ Le dimissioni dell'inviato speciale per la Siria di Nazioni Unite e Lega Araba, Lakhdar Brahimi, già succeduto nel 2012 all'ex Segretario Generale dell'ONU Kofi Annan, rappresentano indubbiamente una sconfitta per la soluzione diplomatica del conflitto in Siria, a pochi giorni, peraltro, delle elezioni presidenziali che certamente decreteranno la vittoria di Bashar al-Assad. Lo stesso regime di Damasco, attraverso Fayez Sayegh, deputato del Parlamento ed esponente del partito Baath, ha auspicato che il successore di Brahimi, punto sul quale Ban Ki-moon non si è ancora espresso, sia meno di parte e non eserciti ingerenze sugli affari interni siriani. Intanto il Ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius, in un incontro a Washington con il Segretario di Stato USA John Kerry, ha dichiarato che, nonostante l'accordo dello scorso anno sullo smantellamento dell'arsenale chimico, dalla fine del 2013 il regime di Assad avrebbe fatto uso in almeno 14 occasioni di armi non convenzionali. Mentre l'OPAC ha dunque deciso di inviare i propri ispettori per verificare l'utilizzo di gas nel corso di un attacco nella provincia di Hama lo scorso 11 aprile, il 7 maggio i ribelli (almeno 1700 combattenti) hanno annunciato l'inizio del ritiro dalla città vecchia di Homs per spostarsi a Dar al-Kabira, una località controllata dai ribelli ad una ventina di chilometri più a nord, sulla base di un accordo firmato alcuni giorni prima (4 maggio) con i capi dei servizi di sicurezza damasceni alla presenza dell'Ambasciatore iraniano e con il sostegno dell'ONU: la liberazione in sicurezza della città martire di Homs dovrebbe avvenire in cambio della

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liberazione di decine tra militari e agenti dei servizi di sicurezza iraniani e libanesi in mano agli insorti.

SUD SUDAN, 9 MAGGIO ↴ Non è durato più di 24 ore l'accordo di cessate il fuoco siglato ad Addis Abeba (Etiopia) sotto la mediazione dell'Intergovernamental Authority on Development (IGAD) da parte del Presidente del Sud Sudan, Salva Kiir, e il leader dell’opposizione ed ex vice Presidente sud sudanese, Riek Machar, per porre fine a una guerra civile che andava avanti da cinque mesi. L'intesa prevedeva non solo l'immediata cessazione delle violenze – implementando dunque la tregua già concordata lo scorso 23 gennaio ma di fatto mai entrata in vigore –, ma anche la formazione di un governo di transizione di unità nazionale incaricato di redigere una nuova Costituzione rispettosa dei diritti di tutti i gruppi etnici (dinka e nuer in primis, ma non solo) e di condurre verso nuove elezioni, l'obbligo di includere nei negoziati di pace tutti gli attori sud sudanesi interessati (e dunque non le sole parti in conflitto), nonché quello di collaborare con l’ONU per portare aiuto alla popolazione civile, aprendo corridoi umanitari. La debolezza dell'accordo, che difatti tra le altre cose non specificava a chi dovesse toccare il compito di formare il governo di unità nazionale, è emersa dopo poche ore, quando negli Stati di Jonglei, di Unity e dell'Upper Nile sono ripresi gli scontri tra le forze governative e i ribelli fedeli a Machar: come confermato dal portavoce dell'esercito di Juba, Philip Aguer, e dalla sua controparte ribelle, Lul Ruai Koang, colpi d'artiglieria sono stati sparati a Dolieb Hill, a sud della capitale dell’Upper Nile, Malakal, e nel distretto settentrionale di Renk, così come nei pressi di Bentiu e Rubkona, nelle vicinanze della base della missione internazionale UN Mission in South Sudan (UNMISS). Nonostante gli attriti e il conflitto degli anni recenti, a sperare su un esito positivo dei negoziati di pace è il Sudan di Omar al-Bashir, che necessita di una stabilizzazione del Paese resosi indipendente nel 2011 per via delle riserve petrolifere che, partendo dalle regioni in crisi, si snodano attraverso il territorio sudanese: il Ministro degli Esteri di Khartoum, Abou Bakr al-Seddik, si è detto pronto ad inviare assistenza alle parti affinché l'intesa entri in vigore.

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ALTRE DAL MONDO CINA, 6 MAGGIO ↴ Il Centro di ricerche sulla strategia e sicurezza internazionale dell'Istituto di Relazioni Internazionali e la Casa editrice di Scienze Sociali hanno presentato a Pechino il primo Libro Blu della Cina sulla sicurezza nazionale: il documento rileva come nel 2013 le attività terroristiche sul territorio cinese abbiano ripreso con maggiore frequenza (almeno 10) per lo più diretti – fattore di novità – nei confronti degli organismi governativi e di polizia.

KOSOVO, 7 MAGGIO ↴ Con 90 voti a favore e 4 contrari, sui 115 totali, il Parlamento di Priština ha votato lo scioglimento anticipato della medesima Assemblea nazionale, annunciando per il prossimo 8 giugno il voto anticipato. Alla base della decisione vi sarebbe stata la difficoltà del Premier Hashim Thaçi a far approvare la creazione di un Esercito regolare del Kosovo, a causa in primo luogo dell'opposizione dei deputati serbo-kosovari.

KENYA, 16 MAGGIO ↴ Un duplice attentato nel mercato di Gikomba, nel quartiere somalo di Nairobi, ha provocato la morte di 10 persone e il ferimento di almeno altre 70. Sebbene l’attacco non abbia ricevuto rivendicazioni, si segue la pista degli estremisti islamisti di alShabaab, che si sarebbero resi colpevoli di altri episodi di violenze nella stessa capitale kenyota già nei primi giorni di maggio.

IRAQ, 30 APRILE ↴ In attesa dei risultati ufficiali, che dovrebbero confermare il Premier uscente Nouri al-Maliki per il terzo mandato consecutivo, il 30 aprile oltre il 60% degli iracheni si è recato alle urne per quelle che sono state le prime consultazioni dopo il ritiro delle forze USA dalla fine del 2011.

IRAN, 16 APRILE ↴ Si è concluso con un nulla di fatto il quarto round di negoziati a Vienni tra Gruppo 5+1 e Teheran per un accordo definitivo sul nucleare iraniano. Il negoziatore iraniano, Abbas Araqchi, ha assicurato che questa conclusione non deve essere considerata un fallimento ma utile a preparare il terreno e che le trattive continueranno in vista di un’intesa globale entro il prossimo mese di luglio.

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NIGERIA, 2 MAGGIO ↴ Mentre sul piano internazionale continua la mobilitazione a favore delle 268 ragazze rapite da Boko Haram, lo stesso gruppo terroristico si è reso colpevole di una strage ad Abuja nei primi giorni del mese: un’autobomba esplosa in una stazione degli autobus ha ucciso almeno 19 persone, provocando anche una sessantina di feriti. Nello steso luogo, il 14 aprile, un altro attacco aveva provocato la morte di 71 persone e il ferimento di altre 100. SLOVENIA, 5 MAGGIO ↴ Dopo poco più di un anno di governo, il Primo Ministro Alenka Bratušek ha rassegnato le proprie dimissioni: ad incidere sulla scelta dell’esponente del partito centrista Slovenia Positiva è stata la mozione di sfiducia all’interno dello stesso partito avanzata dal suo principale antagonista, il sindaco di Lubiana, Zoran Janković, che ha accusato la Bratušek di non aver affrontato nel giusto modo la crisi economica del Paese.

SUDAFRICA, 7 MAGGIO ↴ Come da aspettative, con il 62,2% dei voti l’African National Congress (ANC) del Presidente uscente Jacob Zuma si è confermato – nonostante gli scandali e le accuse di corruzione a suo carico – alla guida del Paese per il secondo mandato consecutivo. Si attesta al 22,15% la principale formazione di opposizione, la Democratic Alliance di Mmusi Maimane, mentre raccolgono il 6,3% i populisti radicali di Julius Malena.

THAILANDIA, 8 MAGGIO ↴ La Corte Costituzionale di Bangkok ha stabilito la destituzione del Primo Ministro Yingluck Shinawatra, riconoscendola colpevole di abuso di potere a fini personali quando nel 2011 depose il Capo della Sicurezza nazionale, Thawil Pliensr, con il cognato del fratello del Premier, Thaksin Shinawatra, il Generale Priewpan Damapong. Anche la Commissione nazionale anti-corruzione ha riconosciuto il leader del Pheu Thai colpevole di corruzione al termine di un'indagine sul programma pubblico di sussidi sul riso. Nuove elezioni sono attese per il 20 luglio anche se la data non è stata ancora ufficializzata.

TURCHIA, 14 MAGGIO ↴ Sono riprese con vigore proteste anti-governative – questa volta accusato di negligenza nella tutela della sicurezza dei lavoratori – a seguito dell’esplosione nella miniera di Soma che ha provocato la morte di 282 persone. La polizia è dovuta intervenire con lacrimogeni e cannoni ad acqua per disperdere manifestazioni nella stessa Soma, a Smirne, ad Ankara e ad Istanbul. 13


ANALISI E COMMENTI LA CRISI DEL “FATTORE K” IN ARGENTINA: ANTEPRIMA DI UN NUOVO POSSIBILE DEFAULT FRANCESCO TRUPIA ↴ In Argentina la vittoria del Frente Renovador di Sergio Massa alle scorse elezioni legislative di mid-term di ottobre ha impresso una pesante sconfitta all’attuale Presidente Cristina Kirchner. Dopo aver perso dodici dei ventiquattro distretti del Paese, la crisi economica ha diminuito le chances di riconferma per il terzo mandato consecutivo alla già ribattezzata politica del “fattore K”. Durante gli ultimi mesi il Presidente argentino ha subìto un ulteriore ridimensionamento non solo sul piano politico. Per la coalizione governativa la sconfitta elettorale di ottobre ha condotto alla perdita di 2/3 dei parlamentari necessari per effettuare le auspicate modifiche costituzionali. (…) SEGUE >>>

L’ALGERIA AL VOTO TRA INSTABILITÀ E INCOGNITE SARA BRZUSZKIEWICZ ↴ Il 17 aprile oltre 38 milioni di algerini saranno chiamati alle urne per eleggere il nuovo Presidente della Repubblica Democratica Popolare. Una data fondamentale per le sorti presenti e future del Paese retto dal 1999 da Abdelaziz Bouteflika, passato indenne attraverso gli ultimi turbolenti anni e le cosiddette Primavere Arabe, ma ancora incapace di garantire una svolta positiva al processo democratico. Ad un’analisi più approfondita, infatti, risulta evidente come in Algeria siano presenti squilibri sociali molto forti e un diffuso malcontento popolare provocati da un lato dalla stagnazione economica e da una critica totale verso la staticità del sistema politico vigente, dall’altro dal fenomeno mai sopito del terrorismo di matrice islamista (…) SEGUE >>>

LA POSSIBILE SVOLTA DELLA QUESTIONE CIPRIOTA ANNALISA BOCCALON ↴ L’11 febbraio i negoziatori ciprioti greci e turchi hanno raggiunto un accordo congiunto sulla necessità di riavviare i negoziati sotto l’egida ONU per risolvere la questione di Cipro Nord. Era il 20 luglio 1974 quando con la cosiddetta Operazione Atilla le truppe turche invasero un terzo dell’isola di Cipro, appellandosi al Trattato di Zurigo e Londra del 1960, per stroncare il colpo di Stato del movimento nazionalista EOKA B, sostenuto dalla Guardia nazionale cipriota e dal regime dei Colonnelli dal 1967 al potere ad Atene, ai danni dell’Arcivescovo Makarios, primo Presidente della Repubblica di Cipro dopo l’indipendenza dal Regno Unito. L’intervento turco, che portò infine nel 1983 alla nascita della Repubblica Turca di Cipro Nord (Kktc) presieduta da Rauf Denktaş (…) SEGUE >>>

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L’ACCORDO HAMAS-FATAH: UN NUOVO REBUS PER IL MEDIO ORIENTE STEFANO LUPO ↴ Il 23 Aprile 2014 potrebbe divenire una data storica per svariati motivi e non solo per l’accordo che torna a legare in un unico ensemble Hamas e Fatah. Data per scontata la necessaria presa di distanza dei leader del governo di Israele, il totale superamento delle logiche post-Oslo 1993, anticamera dell’inimicizia tra Hamas e Fatah, segna il ribaltamento delle posizioni del biennio 2006-07 tra i due movimenti palestinesi, dall’altro la possibile fine di Hamas come elemento di power balance tra Tel Aviv e Ramallah. Il gesto del 23 aprile, che per la verità ha trovato piuttosto fredda la piazza di Gaza City dopo i tentativi andati a vuoto nel 2007, nel 2011 e soprattutto nel 2012 (Accordo della Mecca, Accordo del Cairo e la Dichiarazione di Doha) (…) SEGUE >>>

LA NIGERIA TRA BOOM ECONOMICO E SOTTOSVILUPPO CHIARA GIGLIO ↴ A seguito della pubblicazione dei nuovi dati economici da parte del National Bureau of Statistics di Abuja, la Nigeria, con un PIL pro capite in crescita di 510 miliardi di dollari e già egemone regionale nell’Africa Occidentale, è diventata la prima economia del Continente, scavalcando il Sudafrica. Tale sorpasso è stato possibile grazie all’operazione nota come “rebasing”, vale a dire l’aggiornamento dei parametri per il calcolo del Prodotto interno lordo ad opera dello stesso Ente: con un semplice spostamento dell’“anno base” di riferimento del PIL reale dal 1990 al 2010, l’economia nigeriana compie un enorme balzo in avanti, attestandosi al 26° posto mondiale (…) SEGUE >>>

OCEANO ATLANTICO, IL NUOVO ELDORADO DELL’ENERGIA? SIMONE VETTORE ↴ Ai tempi della Guerra Fredda uno degli indiscutibili capisaldi dottrinali, talvolta recitati come un mantra nei circoli NATO, era che la difesa dell’Europa Occidentale non potesse prescindere dal dominio dell’Atlantico. Tale convinzione derivava in primo luogo da valutazioni di ordine strategico-militare ed, in subordine, di natura politico-economica: per quanto riguarda il primo aspetto uno sguardo ad una carta geografica del periodo è sufficiente a chiarire come, nel contesto globale dei due blocchi contrapposti, l’Europa al di qua della cortina di ferro non fosse altro che un’appendice a stelle strisce affacciata sulla sponda orientale del “laghetto” nordatlantico (…) SEGUE >>>

I RIFLESSI DELLA RIFORMA AGRARIA DEL GIAPPONE SUGLI EQUILIBRI DEL PACIFICO PAOLO BALMAS ↴ A partire dal 2014, la consolidata politica giapponese sulla produzione e sulla vendita del riso subirà un radicale cambiamento. Il controllo delle quote dal 1970 è stato 15


impostato con l’obiettivo di mantenere il prezzo del riso alto e di garantire agli agricoltori un sussidio statale annuale. Ciò permetterebbe di rendere il riso giapponese molto competitivo sui mercati esteri e incrementare le esportazioni come mai avvenuto prima. Le scelte rivoluzionarie di Abe arrivano proprio nel vivo del dibattito sul Trans Pacific Partnership (TPP), il trattato che dodici Paesi che si affacciano sull’Oceano Pacifico stanno concordando al fine di abbattere i limiti che regolano la libertà di scambio delle merci e la proprietà intellettuale (…) SEGUE >>>

POLONIA, LA NUOVA FRONTIERA ECONOMICA DELL’EUROPA ALBERICO IUSSO ↴ Il 1° maggio 2004 è una data storica per l’Europa Orientale. Quel giorno infatti, entrando in vigore il Trattato di Atene firmato l’anno prima, veniva sancito l’ingresso nell’Unione Europea di Cipro, Repubblica Ceca, Ungheria, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Slovacchia e Slovenia. Tre anni più tardi si sarebbero aggiunte anche Bulgaria e Romania. L’allargamento del 2004 non ha solo rappresentato la riunificazione dell’Europa dopo la Guerra Fredda, ma anche un’incredibile opportunità per i nuovi Paesi membri di accedere al più ricco mercato del mondo, nonché alle risorse dei Fondi Strutturali. I primi anni dopo l’allargamento sono stati estremamente positivi per le economie dell’Est. Sebbene in misura diversa, tutti i Paesi hanno beneficiato delle risorse europee, sapendo sfruttarle per un ammodernamento delle proprie infrastrutture e dei propri processi produttivi (…) SEGUE >>>

EUFOR RCA, ULTIMA CHIAMATA PER LA REPUBBLICA CENTRAFRICANA? DANILO GIORDANO ↴ Dopo ripetuti rinvii, il 1° aprile la portavoce del Consiglio d’Europa, Susanne Kieffer, ha annunciato che durante l’ultima seduta dello stesso organismo prima del quarto Vertice UE-Africa (2-3 aprile) è stata approvata l’operazione militare europea EUFOR RCA nella Repubblica Centrafricana. Oltre all’Italia, che ha messo a disposizione alcuni veicoli e una quarantina di uomini, saranno otto i Paesi che schiereranno i propri militari: Spagna, Svezia, Estonia, Lettonia, Polonia, Portogallo, Georgia e Francia. Proprio quest’ultima, già operativa sul suolo africano con una propria missione di circa duemila soldati (Opération Sangaris), ha fatto grandi pressioni sui partner europei affinché si costituisse EUFOR RCA (…) SEGUE >>>

A cura di OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE Ente di ricerca di “BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO” Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale C.F. 98099880787 www.bloglobal.net 16


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